Be around me.

di lasognatricenerd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***



Capitolo 1
*** I. ***


«Ma ci credi che ci siamo conosciuti sulla metro perché ti sono venuto addosso e adesso siamo qui?»

La notte stellata rifletteva sugli occhi dei due amanti stesi sul prato, stretti l’uno all’altro e la notte che scorreva veloce, attorno a loro, senza che nessuno dei due se ne accorgesse veramente. Lei, con lunghi capelli biondi, lui con capelli neri e scompigliati. Le loro dita si sfioravano, si toccavano e poi s’accarezzavano, insieme ai loro corpi che parevano non volersi staccare neanche per un istante.

«Non credo di averti mai chiesto dove stessi andando così di fretta.»

Lui ridacchiò ripensando a quel giorno di qualche settimana fa, quando, uscito dal lavoro, preso dalla voglia inaudita di tornare a casa, era corso alla velocità della luce giù dalle scale per prendere la metro che stava per partire. Tutto quello per tornare a casa il prima possibile! Assurdo, però, quanto fosse divertente il destino: se non avesse avuto quella gran voglia, non avrebbe mai incontrato lei, Selina, e tutta quella nuova storia d’amore fra loro due non avrebbe mai avuto inizio. Se credeva al destino? Sì, non credeva alle coincidenze, gli parevano delle grandi prese in giro. Da qualche parte, qualcuno aveva già scritto la sua vita e se ne prendeva gioco pienamente quando le cose andavano male. Non importava se fosse Dio o qualche altra divinità, ma credeva fermamente nella vita già totalmente scritta. Gli esseri umani s’illudevano del libero arbitrio senza rendersi conto che anche quello era già scelto. Le opzioni erano già state scritte in precedenza. Non c’era libertà.

«Volevo solamente tornare a casa e godermi il divano. Era stato un lavoro impegnativo, allo studio, e volevo solo rilassarmi.»

Il sarto, ecco qual era il lavoro del ragazzo. Se gli piaceva? Da morire. Fin da piccolo aveva sempre avuto l’abitudine di disegnare vestiti ed insieme a sua nonna aveva imparato come cucire a macchina. Pian piano, aveva frequentato diversi corsi di cucito e adesso era uno dei più ricercati della città, ma c’erano anche i lati negativi: era sempre oberato di lavoro e, per forza di cose, doveva portarselo anche a casa. Era come se non avesse la possibilità di dividere le due cose, e a volte, diventava particolarmente frustrante e stressante. Quelli che più lo sostenevano erano i suoi fratelli – in famiglia erano in quattro – ed il suo migliore amico, un gamer sfegatato che di recente aveva perso la testa per un ragazzo. Ah, e adesso Selina, la sua ragazza. Si conoscevano solamente da qualche settimana – tanto che dovevano ancora presentarsi alle due famiglie – ma volevano procedere con calma; insieme sembravano essere felici. Andavano d’accordo, avevano molti hobby da condividere e Selina era un’ottima fonte per i suoi vestiti: la sua boutique, infatti, produceva solamente capi da donna, dall’intimo, ai vestiti, ai corsetti. Nella sua vita aveva disegnato e poi cucito pochissimi completi maschili, ma non amava troppo farlo perché poteva lavorare su pochissimi particolari che di solito abbondavano in quelli femminili. Nonostante tutto, voleva che il suo brand fosse agender e che chiunque si sentisse libero di poter acquistare senza che qualcun altro potesse giudicare le sue scelte.

«John… ti andrebbe di—conoscere finalmente la mia famiglia, la prossima settimana? Sento che è arrivato il momento.»

Lui rimase qualche secondo immobile e poi volse il viso in sua direzione, poggiando le labbra sulle sue in un bacio dolce e delicato che sapeva d’amore. Ne aveva avute di esperienze, Jonathan, ma non erano mai state relazioni serie, ed il sesso non poteva considerarlo una vera e propria esperienza: non aveva mai ricercato l’amore, ma adesso che finalmente era fra le proprie mani, si meglio. Non ancora completo, ma meglio.

«Certo, mi andrebbe.»
 
E dopo quella sera non fece che pensare alla cena di famiglia che si sarebbe tenuta esattamente cinque giorni dopo. Non avendo mai avuto una relazione prima d’ora, non aveva la minima idea di come presentarsi alla famiglia di lei, come vestirsi o come comportarsi ed anche se odiava farlo, non faceva che scrivere al suo migliore amico per chiedergli consigli. Consigli che lui gli dava e che Jonathan non avrebbe seguito, perché era la tipica persona insicura che però faceva di testa sua. Non voleva rendere vano i tentativi del suo migliore amico, questo no, non voleva risultare scortese, ma alla fine tendeva quasi sempre a seguire il proprio istinto, sapendo che non sarebbe poi potuta andare così male. Intanto il lavoro procedeva alla grande, i clienti andavano e venivano, continuavano ad arrivargli delle richieste sul sito online e lui lavorava costantemente con grande impegno. Ancora a volte non poteva crederci di essere riuscito a trasformare la sua passione più grande in un lavoro che gli portava tanta rendita e tanta soddisfazione. L’idea era di poter promuovere i propri vestiti tramite una sfilata, ma sicuramente doveva avere ancora molto lavoro per arrivarci; non s’arrendeva, era pronto ad oltrepassare qualsiasi tipo di ostacolo per arrivarci. Già s’immaginava, a presentare i propri vestiti mano a mano che le ragazze – o i ragazzi – sfilavano sulla passerella indossando i propri corsetti, le proprie gonne o i propri vestiti ed una volta finita, ritrovarsi in mezzo alla folla che non la smetteva di fare domande. Un sogno che sperava di poter raggiungere, prima o poi. Complice era Selina, ammaliata dai suoi vestiti, tanto che prima di spedirli e di lavarvi, li indossava e pregava Jonathan di regalarglielo. Lo faceva per gioco, ma il ragazzo aveva già in mente di cucirle qualcosa di speciale per il suo compleanno. Un vestito lungo, bianco, con diversi particolari in pizzo sia sulle spalline che sulla gonna e probabilmente anche sulla vita. Avrebbe dovuto trovare il tempo necessario di farlo, oltre a tutto il lavoro che gli commissionavano ogni giorno sempre di più. L’idea di potersi espandere ed assumere qualcuno che lo aiutasse non era male, ma aveva paura di non riuscire a pagarlo decentemente e doverlo licenziare dopo pochissimo tempo: non voleva illudere nessuno, e finché ce la faceva da solo senza avere una crisi di nervi, preferiva continuare così. A volte lo aiutava anche sua nonna, anziana sì, ma molto promettente con il cucito, ed era stata proprio lei ad aiutare il nipote quando da piccolo desiderava soltanto aiutarla a cucire. Probabilmente doveva ringraziare lei, Jonathan, se adesso tutta quella passione la impiegava in ogni vestito ed in ogni pacchetto per la consegna.

«È permesso?»

Jonathan per poco non balzò sulla sedia facendo cadere di terra il telefono: velocemente s’alzò e andò incontro al cliente appena entrato. Davanti a sé si mostrò un ragazzo alto, spalle grosse, occhi blu, capelli rosa e lentiggini su tutto il viso. John ne rimase così ammaliato che neanche si rese conto di essere rimasto in silenzio a fissarlo.

«L’ho… disturbata?» chiese ancora.

Finalmente, John tornò alla realtà.

«No! No, no, mi scusi, ero—non importa. Mi dica tutto, di cosa ha bisogno?»

Con le mani coperte dai guanti, il ragazzo più alto tirò fuori un bigliettino dalla tasca del completo e la porse a Jonathan, parlando qualche secondo dopo: «queste sono le misure della ragazza. Vorrei commissionarle un completo intimo. Le serve qualche informazione in particolare?»

«Qualcosa di più, sì: il colore? Con il pizzo? Intero?»

L’altro, in tutta risposta, arrossì violentemente su tutto il viso e parte del collo e Jonathan cominciò a chiedersi se quell’intimo non fosse per lui ma si vergognasse ad esprimerlo a voce. Non voleva metterlo in imbarazzo, dunque non avrebbe chiesto.

«Dovrei chiedere alla mia capa… posso darle il mio numero così ci teniamo in contatto? Mi scusi, ma non mi ha dato altre informazioni e non vorrei sbagliare. È un problema per lei?»

Era la prima volta che qualcuno gli chiedeva il numero di telefono e lui non ne possedeva uno privato solamente per il negozio, perché di solito usava le email o le opzioni del sito, ma se lo comunicava a qualcuno non doveva essere la fine del mondo.

«Assolutamente. Questo…» e si abbassò sulla scrivania per scrivere i numeri su un piccolo post it blu, «… è il mio numero. Mi scriva pure quando ha qualche informazione in più. C’è una scadenza?»

«È possibile prima del cinque luglio?»

«Fammi controllare…»

S’avvicinò alla propria agenda posta anch’essa sulla scrivania, controllando tutte le commissioni ancora da portare a termine, quelle da consegnare e quelle da cominciare: mancavano ancora tre settimane al cinque luglio ed un completo intimo non era troppo complicato da disegnare e da cucire, quindi era abbastanza fattibile.

«Cinque luglio va benissimo. Come si chiama?»

«Jamie.»

«D’accordo, allora aspetto sue informazioni.»

«D’accordo, arrivederci.»

Notò il ragazzo leggermente in difficoltà ad uscire: lo aveva visto soffermarsi sulla porta chiusa ed aggrottare le sopracciglia fissando la maniglia, ma poi l’aveva afferrata ed era uscito. Solo quando questa si chiuse alle spalle del cliente, Jonathan tornò a respirare e si rese conto di avere il batticuore.



NOTA AUTRICE: ciao a tutti! Ci tengo particolarmente a questo racconto originale a più capitoli... spero che possa piacere anche a voi! Se mi riesce, proverò a pubblicare settimanalmente :)

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Capitolo 2
*** II. ***


Il messaggio da parte di Jamie arrivò tardi e lo stilista lo vide solamente una volta sveglio la mattina seguente: un intimo a due pezzi, rosso, con ricamature in pizzo e nient’altro. Non voleva fiori, né fronzoli, né niente di troppo complicato. Tre settimane sarebbero bastate eccome, anzi, probabilmente sarebbe riuscito a finirlo anche in anticipo per potersi dedicare ad altro!
 
“Grazie mille per le informazioni, cercherò di mettermi al lavoro domani o dopo domani. Prima devo finire delle commissioni.
J.”
 
Non era sicuro che fosse un buon messaggio da inviare ad un cliente, soprattutto la J finale che forse non aveva un senso per un messaggio inviato istantaneamente, ma gli era venuto così naturale che non ci aveva neanche fatto così. Fece colazione, guardò una puntata di friends e si diresse di nuovo al suo studio: questo era situato in una palazzina che condivideva con altri ragazzi che avevano deciso d’investire il loro patrimonio in uno studio in affitto e facevano i lavori più disparati. Il ragazzo con cui aveva legato di più era un programmatore, colui che lo aveva aiutato ad allestire il sito per il proprio brand di capi d’abbigliamento. Senza di lui, sarebbe stato totalmente perso.

All’ora di pranzo si fermò per fare una pausa ed uscì dallo studio per andare ad ordinare qualcosa da mangiare, quando notò che sul telefono aveva una notifica di Jamie. Il messaggio recapitava le seguenti parole:

“Grazie a te per la gentilezza. Mi sono reso conto che forse è stato scortese chiederti il numero di telefono privato, ma non me ne sono accorto mentre te lo chiedevo. Scusa. Potevi dirmi di no, non mi sarei offeso e mi sarei reso conto dell’errore. Comunque non lo darò a nessuno, promesso.”

Si fermò all’altezza del semaforo rosso, fissando quel messaggio con un sopracciglio alzato e confuso, leggermente sorpreso dalle scuse che improvvisamente gli erano arrivate senza che lui se l’aspettasse. Non aveva pensato che fosse una richiesta scortese o che ci fosse qualcosa di male, infatti neanche Jonathan ci aveva pensato, inizialmente, e gli era sembrata una cosa del tutto normale. Fissando ancora il messaggio, entrò in un ristorante, ordinò da mangiare un hamburger e cercò di rispondere, quando Seline lo chiamò per stare un po’ al telefono.

Si dimenticò completamente del messaggio.

Soltanto alla sera, una volta a casa ed abbandonato sul divano, scorrendo le chat, si accorse di non aver ancora risposto a Jamie. Saltò giù, come se uno spillo gli avesse punto la schiena, in preda al panico. Poi si calmò: perché stava perdendo la ragione per un messaggio al quale non aveva risposto solo per qualche ora? Si sistemò – di nuovo – sul divano e rispose:

“Scusami se ti rispondo dopo così tante ore, ma ero impegnato a lavorare e me ne sono completamente dimenticato… per favore, non preoccuparti. Anche io non me ne sono reso conto dopo e comunque non mi è dispiaciuto dartelo. È successo e basta, non crucciarti per una cosa così minima. Dovevamo solo scambiarci le informazioni per l’intimo della tua capa, no?”
Non premette invio e ricontrollò l’ultima frase. La cancellò e la sostituì.

Tranquillo, era necessario, è tutto più veloce così.”

Inviò il messaggio.

Selina suonò al campanello ed iniziò la serata insieme a lei all’insegna di film, popcorn e sesso. Oh, di quello ce n’era eccome, ma entrambi sembravano andare d’accordo su questo: non troppo e non poco. Era un compromesso implicito al quale non avevano dovuto dare importanza nessuno dei due.

«Come va il lavoro, mh?» le chiese dopo un ultimo sospiro di piacere ed essersi sistemata al fianco di lui. Jonathan le sorrise, donandole un dolce bacio sulle labbra.

«Il lavoro va bene, alla perfezione, sono sempre impegnato… ma felice. Ed il tuo esame?»

Lei studiava giurisprudenza, perché divenire avvocato era uno degli obiettivi che si era imposta fin da piccola e dal quale non si era mai spostata: diverse volte Jonathan le aveva chiesto se fosse un vero e proprio desiderio o se si fosse solo abituata, ma dopo le diverse risposte affermative, aveva smesso di insistere, anche perché poche volte l’aveva sentita lamentarsi ed era normale farlo anche quando si studiava qualcosa di piacevole. Non capiva come facesse, con tutte quelle leggi e nozioni da imparare a memoria, ma era bravissima e lui la stimava moltissimo; sperava che potesse farcela, visto che le mancavano pochissimi esami e si sarebbe laureata in tempo prima dell’anno fuori corso.

«Sta proseguendo bene… sono ormai a fine programma e poi devo ripassare tutto, ma sono nei tempi, dunque non c’è niente di cui debba preoccuparmi! Piuttosto… sei nervoso, per quella cena?»

Jonathan tirò gli occhi all’indietro e scoppiò a ridere insieme alla ragazza, prima di prendersi un’affettuosa sberla sulla guancia: «puoi dirmelo se sei nervoso, non ti do della femminuccia!»

«Mi sto proprio cagando sotto. Giuro.»

Un po’ era ironico, un po’ no; ancora non sapeva come potevano prenderla i suoi, se erano d’accordo o se avrebbero accettato il suo lavoro. Era di visione comune che uno stilista fosse gay. Che assurdità.

«Sono davvero sicura che ti adoreranno… lui e mio fratello, lo sai. Sono tutti e tre molto tranquilli.»

Glielo aveva ripetuto moltissime volte, Selina, ma per Jonathan era complicato, soprattutto perché poi avrebbe dovuto ricambiare, ed in famiglia erano tantissimi: due genitori ed altri tre fratelli, più Jonathan. Per lui non era mai stato un vero e proprio problema, quello, perché non aveva mai presentato nessuna ragazza a nessuno, contando che era finita ancor prima di iniziare, ma Selina era importante e voleva avere il loro consenso. Voleva che andasse tutto bene e che nessuno si odiasse. Quanto odiava quelle cose… Non potevano essere felici senza quelle stupide cene di famiglia?
 

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Capitolo 3
*** III. ***


Tre giorni alla cena di famiglia, ma ormai la mente di Jonathan era presa dal lavoro e da—trrr, trrr. Quello era un messaggio. Lo afferrò, ancora mezzo addormentato, con Selina al suo fianco, e notò che era un messaggio da parte di Jamie.

“Non ti devi preoccupare del ritardo… anche io lavoro molto e non ho sempre il telefono sotto mano, quindi tranquillo. E poi non dobbiamo continuare a parlare per forza, va bene se ci teniamo semplicemente aggiornati sul lavoro. Oppure no. Come fai di solito? Scusami le domande… è la prima volta che vengo da te e non so bene come funziona.”

Il ragazzo si ritrovò non solo a sorridere ma a pensare anche che fosse dannatamente adorabile con quel comportamento. Si chiedeva se davvero il completo fosse per la sua capa o fosse solamente una scusa per la troppa vergogna. Non poteva chiederglielo, ma era troppo curioso. Non era la prima volta che un ragazzo gli chiedesse di un intimo da donna: ormai il mondo si era evoluto e Jonathan era solo uno stilista e sarto, a lui non importava a chi andasse il proprio intimo, l’importante è che il cliente fosse soddisfatto. Alzandosi dal letto si diresse verso la cucina per fare colazione, ed intanto rispose al messaggio.

“Come vuoi tu. Di solito invio un’email solo a fine lavoro, ma se ti senti più sicuro a scrivermi e a ricevere aggiornamenti, io mi adatto, non ci sono problemi. Come preferisce la tua capa? Glielo hai chiesto?”

Improvvisamente s’accorse che erano passato dal ‘lei’ al ‘tu’ senza che nessuno dei due se ne rendesse davvero conto, ma non ne fece un problema di stato, né gli diede fastidio, perché da quanto poteva aver notato, Jamie doveva avere circa la sua età, se non qualche anno più grande. I capelli rosa dovevano dargli un’aria molto giovanile e così anche le sue lentiggini. Quand’è che lo aveva guardato così attentamente? Nah, le lentiggini devono essere abbastanza evidenti da essere viste bene. Impossibile che le avesse guardate tante in un frangente durato così poco. Se ne sarebbe accorto senz’altro.
 
I giorni prima della cena passarono in fretta, fra un lavoro e l’altro, fra una serata e l’altra con Selina, un’altra con i suoi fratelli e quei continui messaggi con Jamie. La verità è che non sapeva come fossero finiti a parlare assiduamente, ma c’era qualcosa che gli diceva di continuare perché la chimica fra loro era troppo intensa per lasciarla andare. Di Jamie, adesso, sapeva molte cose: amava il cocco (proprio come Jonathan, a differenza di Selina), amava il tonno (Dio, Jonathan lo avrebbe mangiato ogni giorno), lavorava come segretario per una donna piuttosto esigente ma gentile ed era l’unico lavoro che si sentiva in grado di fare. Quando Jonathan gli aveva chiesto se avesse hobby, lui aveva cambiato discorso cominciando a parlare, invece, del lavoro del riccio, riempiendolo di complimenti. Amava i suoi completi e la capa ne sarebbe stata estremamente felice: gli aveva addirittura fatto vedere la foto della donna ed il nome della ditta in cui lavorava, quindi Jonathan era sicuro che il completo fosse effettivamente per lei. I dubbi, però, non lo abbandonarono mai. Aveva parlato di Jamie con il suo migliore amico di tanto in tanto, a volte con uno dei suoi fratelli, perché cominciava ad essere una cosa normale e quotidiana, anche se da quel giorno non si erano più visti. John non aveva il coraggio di chiederglielo, come se ci fosse qualcosa… di male. C’era qualcosa nel suo cuore che non riusciva né a spiegare, né a comprendere. Ma non voleva farsi delle domande, non ancora.

“Comunque stasera devo uscire, quindi non penso che potrò risponderti… ci sentiamo domani, va bene?”

“Va bene, John. A domani.”

Quel messaggio, come ormai da quattro giorni, lo fece sorridere.
 
Davanti a casa di Selina cominciò quasi a sudare, stringendosi la camicia addosso e passandosi le mani sudate sui jeans. Ce la posso fare, non è niente di che. Sono un bravo ragazzo, ho un lavoro stabile – più o meno – sono bello ed intelligente… mi manca qualcosa? A volte sono stupido, ma chi non è stupido, a volte? Può capire a tutti, no?

Alla fine, suonò, e fu lei ad aprirgli la porta con un grosso sorriso. Si scambiarono un bacio e poi lei lo accompagnò fino alla sala da pranzo dove c’era la madre intenta ad appoggiare due piatti sulla tavola ed il padre davanti alla tv con una birra in mano.

«Mamma, papà… Jonathan.»

Selina arrossì sulle gote, ma i suoi, entrambi con un grosso sorriso sulle labbra, si diressero verso Jonathan: lei per stringergli la mano, lui per dargli una pacca sulla spalla: «ragazzo! Immagina la nostra sorpresa quando improvvisamente Selina che si frequentava con qualcuno e che voleva farcelo conoscere… non ne avevamo idea!»

«Sarebbe stato problematico se neanche io lo avessi saputo!»

Dio, dio, che battuta DI MERDA.

Eppure risero tutti.

«Fra pochissimo tuo fratello sarà a casa, Selina, quindi mettetevi già a tavola, io arrivo con le ultime cose!»

Jonathan seguì la propria ragazza al tavolo, mentre anche il padre prendeva posto e gli poneva le solite domande riguardanti lo sport, o che cosa faceva nella vita. Quando fu vicino a rispondergli, dando sfogo al proprio lavoro, qualcuno entrò in casa, e sua madre urlò dalla cucina: «siamo al completo!»

A quel punto, Jonathan s’alzò in piedi, come aveva appena fatto Selina, dopo avergli mormorato «ecco mio fratello», ed i propri occhi scuri si posarono su quelli chiari di suo fratello.

Capelli rosa.

Lentiggini.

Per poco non si strozzò e non riuscì a contenersi: cominciò a tossire.

«John? Tutto okay?»

«S—Sì, la… saliva.»

Cazzo, cazzo. Cazzo. Che cazzo. Che cazzo, fra tutti, lui?

«John… Jamie. Jamie, John.»

Entrambi fecero finta di non conoscersi, ma anche sugli occhi del ragazzo dalle ciocche rosa si leggeva abbastanza panico. A quel punto, il riccio capì che c’era qualcosa che non andava in quei messaggi che si scambiavano da quattro giorni: perché tenere nascosta la loro conoscenza ad una cena di famiglia? Non avrebbe dovuto migliorare tutta la tensione creata dal nervoso? Allungò una mano verso di lui, ancora stretta nei guanti bianchi, e gliela strinse, leccandosi le labbra terribilmente secche. Quando uscì dalla stanza per andare a sistemare la borsa che aveva addosso, Selina gli strinse una mano alla coscia.

«Penso di non averti accennato ad una cosa… importante. Ma ne parleremo dopo. Tu non toccarlo, okay? Neanche per sbaglio.»

«Sel… perché dovrei toccare tuo fratello?»

«Tu non farlo.»
 

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Capitolo 4
*** IV. ***


La cena non fu un disastro come aveva pensato per tutta la settimana Jonathan, ma non incrociò mai lo sguardo del segretario e questo senza saperne il vero motivo: perché? Perché tutto quel panico da parte di entrambi? Perché la prima cosa che gli era venuta in mente di fare era non dire niente e fare finta di niente? Rimase quasi sempre vicino al padre, quello che parlava di più, e anche la propria professione sembrò non destare disgusto, ma piuttosto un certo interesse. Adesso era tutto più chiaro del perché Selina tornasse a casa con dei vestiti nuovi da qualche mese. La madre aveva pensato che fossero bellissimi. Il padre, di tanto in tanto, lo guardava, ma John aveva pensato che fosse normale per un padre capire se effettivamente il fidanzato facesse per la propria figlia o se fosse solo un idiota patentato. Ah, se solo gli avesse letto nella mente! Jamie rimase quasi sempre in silenzio, per tutta la sera, e i due non parlarono quasi mai, almeno finché non fu Selina a chiedergli di farlo: «Jam, ti prego… di’ qualcosa. Voglio che conosci John anche tu.»

Lei allungò una mano sul tavolo per sfiorare il dorso di quella di lui e dopo qualche secondo di impedimento, gliela strinse. Fece un sorriso e finalmente girò lo sguardo in direzione di John.

«Avevo visto i tuoi vestiti online. Sono davvero bellissimi. Sono sicuro che se ne parlassi con la mia capa, ne vorrebbe uno… probabilmente dell’intimo.»

«Certo, per me non ci sono problemi.»

Dire altro gli sembrava impossibile in quel momento, tanto che abbassò lo sguardo verso la mano di Selina poggiata sulla propria coscia e gliela strinse, dolcemente, senza sapere il perché. Improvvisamente era come se non gli venisse più naturale farlo. Come se non dovesse stringere la sua, di mano. E poi cos’era quel discorso riguardo Jamie e sul suo non essere toccato? Lei lo aveva fatto…

A quel punto si accorse che da quando era entrato in casa non aveva mai tolto i guanti. Perché? Aveva un problema alle mani? E perché non gli aveva detto niente?

Siamo solo conoscenti, ovvio che non mi ha detto niente.

«Comunque, Sel, come va l’esame? Non me ne hai più parlato.»

E la serata si sciolse in quel modo, parlando del più e del meno, lasciando da parte la tensione che sembrava accomunare tutti. Quando fu ora di alzarsi e congedarsi, salutò il padre e la madre e poi si girò in direzione di Jamie, ricordandosi che cosa le aveva detto la fidanzata. Gli fece un cenno di saluto con la mano e si girò velocemente per andare verso la porta insieme a Selina. Poggiandosi allo stipite, tirò un grosso sospiro di sollievo, anche se c’era un grave problema di fondo: aveva superato la serata, ma ne era sorto un altro. Jamie. Quanto poteva essere piccola quella città?

«Come ti sono sembrati, Sel? Tranquilli?»

«Mi sembra proprio di sì. Mio padre ti ama già, lo so, e anche mia madre. Jamie… non so, mi sembrava un po’ intimorito, ma magari era solo stanco. Sai… lo stressa molto, lavorare e tutto il resto. Prima quando ti ho detto di non toccarlo, è perché soffre di misofobia. Non riesce a toccare né a farsi toccare da niente e da nessuno, se non con i guanti addosso e già così è complicato. Riesce a farsi toccare a malapena da me, ma con i miei è complicato. Lavora per quella donna perché lei lo ha capito, e non ha troppe difficoltà nel lavoro. Ma non mangia fuori, non esce, non va nei luoghi affollati…»
Le parole di lei lo lasciarono abbastanza sorpreso: sapeva cos’era la misofobia, ma non si era mai ritrovato a stare a contatto con una persona che ne soffrisse. Non aveva idea potesse essere tanto difficile e complicata, la loro vita; l’idea di non riuscire a toccare niente, o di farsi toccare quasi lo soffocava, quindi non riusciva ad immaginare che cosa si dovesse provare a condurre una vita simile.

«Ma lo è sempre stato?»

«No… ha cominciato a soffrirne quando aveva circa dieci anni. Da lì è solo peggiorato.»

Rimasero in silenzio per qualche secondo come se non ci fosse bisogno di andare avanti in quel discorso.

«Comunque, adesso vado, d’accordo? Poi ci sentiamo e ci mettiamo d’accordo. Sei bellissima in quel vestito, comunque.»
Lei gli sorrise, gli diede un bacio e poi tornò in casa.

 
Per due giorni interi Jonathan fissò la chat di Jamie cercando di capire se scrivergli o no, ma non ne ebbe mai il coraggio, continuando a chiedersi che cosa ci fosse di male e perché fosse venuto in mente ad entrambi di non dire niente. Intanto la sua vita andava avanti con il lavoro, con il suo migliore amico, la sua famiglia e Selina, eppure quel pensiero era costante come se non riuscisse a toglierselo dalla testa finché non fosse riuscito a scrivergli e a capire che cosa frullava nella mente di entrambi. Voleva solamente capire perché. Alla fine del secondo giorno, decise di darsi una spinta di coraggio e dare il via ad una conversazione che non aveva idea di dove sarebbe potuta finire o andare a parare.

“Ehy. Non so cosa scriverti o perché scriverti, ma andrò diretto al punto: perché non abbiamo detto niente a tua sorella? Perché siamo stati in silenzio? No, sono serio. Non potevamo dire che ci conoscevamo già? Che parlavamo già da giorni? Sono così confuso…”

Rimase qualche secondo immobile, fissando quel messaggio che pareva non volersi inviare. Alla fine rimase non lo inviò, ma preferì chiamare il suo migliore amico, sperando che non fosse impegnato.

«Pronto?»

«Devi aiutarmi. Non so che cazzo sta succedendo nella mia vita.»

«Intendi più del solito?»

«Se fossi qui ti sputerei in faccia.»

Cominciò il racconto dopo qualche battuta, da Jamie che entrava in negozio, ai messaggi, fino alla cena di famiglia, estremamente soddisfacente da una parte ed imbarazzante dall’altra. Aveva veramente provato dei sentimenti contrastanti, perché prima che lui entrasse gli veniva naturale stringere o accarezzare Selina, ma poi aveva pensato che potesse dare fastidio a Jamie. E di certo non c’entrava niente con la misofobia, visto che ne era venuto al corrente solamente a fine serata e di certo non era un veggente. C’era qualcosa nella sua testa che non riusciva a comprendere.

«Vuoi che sia sincero?»

«Sì… lo voglio, per favore.»

«Ti sei preso una bella cotta.»

«Che—che cazzo stai dicendo? Non sono gay!»

«Sicuro?»

Chiuse gli occhi, Jonathan, affondando il viso nel cuscino. Avrebbe voluto urlare. Nessun altro lo aveva sconvolto tanto come lo aveva fatto Jamie in quattro giorni, ma le cose fra lui e Selina andavano troppo bene, e lui l’amava… era amore, no? Andavano a letto insieme, si trovavano bene a parlare—non era quello che tutti chiamavano amore? E le farfalle nello stomaco? C’erano o se l’era solo immaginate? Gli sembrava quasi di non riconoscersi più, come se tutte le sue certezze si fossero frantumate solamente con uno sguardo nei confronti di Jamie; quegli occhi azzurri dovevano averlo stregato ancor prima che se ne rendesse conto. Le sue lentiggini ed i suoi capelli rosa avevano fatto perno su dei sentimenti che non pensava neanche di possedere. Ed in tutto questo, non era altro che il fratello della sua ragazza.

«Cosa mi consigli di fare?»

«Devi cercare di capirlo.»

Devo cercare di capirlo.

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Capitolo 5
*** V. ***


Con la scusa del lavoro, evitò Selina per una settimana intera, ma lei sembrò non notarlo. Il giorno dopo la telefonata con il suo migliore amico, alla fine, Jonathan aveva inviato quel maledetto messaggio a Jamie aspettando in trepida attesa una risposta che arrivò circa un’ora dopo, quando s’era già immerso nel lavoro. Quando però il trrr-trrr della vibrazione lo colse, balzò ed afferrò il telefono fra le mani, aprendo immediatamente la notifica.

Mi dispiace averti confuso… non era mia intenzione farti stare male o ferirti. Non so perché mi sia venuto naturale fare finta di niente, ma in quel momento è stata la prima cosa che sono riuscito a fare e non possiamo tornare più indietro, ormai, o tutti saprebbero che abbiamo mentito. E si chiederebbero il perché, di questa bugia. E non voglio deludere… Selina. O meglio, non voglio mettermi in mezzo fra voi due ed ho già fatto troppo, senza motivo. Non volevo confonderti con niente di tutto questo. Mi dispiace che tu abbia dovuto scoprire così che ero il fratello della tua fidanzata, ma non mi è proprio venuto in mente di dirti niente, sulla mia famiglia… e non sapevo neanche che fossi fidanzato, perché non ne hai mai parlato. Non che dovessi, certo. Non ne avevi motivo. Mi dispiace. Ci vedremo quando verrò a prendere il vestito, poi fine. Davvero. Scusami ancora.”

Quel messaggio sconvolse Jonathan più di quanto avesse pensato e si morse il labbro inferiore fino al sangue. C’era un alone di mistero che tutti e due sembravano non capire… o facevano finta di non capire? Passò un giorno, due, senza risposta, e al terzo giorno, nella settimana in cui stava evitando Selina, uscì prima dal lavoro per andare verso l’ufficio dov’era sicuro che lavorasse Jamie e facendosi indicare la strada da una donna dietro al bancone, bussò sulla porta. Dopo un breve ‘avanti’, l’aprì e se la richiuse alle spalle.

«C—Che cosa ci fai qui?»

«Non lo neanche io. So solo che quel messaggio… non lo so. Lo so che non dovrebbe sconvolgermi così tanto, o che non dovrebbe fregarmene niente perché sei solo il fratello della mia fidanzata, ma io… sentivo di dover venire qui. Mi dispiace. Non volevo disturbarti mentre lavoravi.»

«Pensavo non mi avresti più risposto.»

«Quello era il mio intento.»

Il silenzio si fece grande fra i due, ma nessuno dei due si mosse: John ancora vicino alla porta e Jamie dietro alla scrivania, con la penna fra le dita, intento a trascrivere un documento che sarebbe assolutamente servito alla sua capa proprio quel pomeriggio. Non aveva messo in conto un contrattempo. Dopo qualche minuto, Jonathan si fece avanti, camminando fino alla poltrona, dove si sedette senza chiedere o fare domande.

«Tua sorella mi ha detto… della tua misofobia.»

Sulla faccia del segretario si dipinse puro disgusto. O qualcosa di molto simile.

«Non doveva dirtelo. Toccava a me farlo.»

«Jamie, guarda che lo ha fatto solo per paura che io potessi toccarti. Era un modo per proteggerti e tenerti al sicuro.»

«Sono più grande di lei, non ho bisogno di protezione.»

«La stai prendendo nel modo sba—»

«Chi sei tu per dirlo?»

John spalancò le labbra per un secondo, ma poi le richiuse e mormorò un flebile «nessuno». Avrebbe voluto aggiungere che non doveva essere così sulla difensiva, ma Jamie aveva ragione: era praticamente uno sconosciuto, che diritto aveva di dirgli che cosa fare o non fare? Conosceva Selina solo da qualche mese, mentre lui era il fratello.

«Mi dispiace… adesso vado. Non ti – disturberò più. Perdonami.»

Senza guardarlo in faccia, s’alzò dalla poltrona e si diresse verso la porta dell’ufficio, ma in qualche secondo, Jamie lo afferrò per la giacca, dal polso, fermandolo. Si girò di scatto, il riccio, fissando la sua mano contro la propria stoffa, sorpreso. Selina gli aveva detto con chiarezza che non riusciva a toccare le persone neanche con i guanti…

«Non volevo alzare la voce. Solo che volevo dirtelo io. Ormai per me è la normalità, questa misofobia… se non te l’ho detto è perché—volevo apparire normale ai tuoi occhi. Ho continuato a scriverti… è stato un mio sbaglio, ma era come se qualcosa mi dicesse di farlo. Non so che cavolo sia stato, John, ma ti ho visto in quel negozio ed è scattato qualcosa che, giuro, non riesco a comprendere. Ma ti prego di non odiarmi.»

Ancora lo teneva stretto dal polso. Poi lo lasciò andare.

«Non ti odio, stupido. Ma non dobbiamo per forza chiudere qui… no? Giusto?»

«Credo…»
 
Erano arrivati ad un accordo che speravano non potesse fare del male a nessuno: rimanere amici. Inizialmente i messaggi furono carichi di tensione, ma poi le cose si fecero più sciolte e dopo quella settimana di quasi reclusione, lui e Selina ripresero a vedersi. C’era qualcosa di diverso, e non in loro, ma in lui. Qualcosa che non capiva, ancora una volta. La toccava, la baciava, la sfiorava, ma non provava quelle farfalle allo stomaco di cui tutti parlavano quando citavano l’amore. Eppure, se pensava a Jamie, qualcosa frullava nel suo stomaco. Se fossero o meno farfalle, questo non lo comprendeva. Lasciò correre le cose, senza chiedere consiglio a nessuno, perché preferiva tenere per sé quella questione almeno per un po’, giusto il tempo che bastava per capire che cosa ci fosse. Non che dovesse esserci qualcosa… era giusto che rimanessero amici. Più di una volta aveva osservato i lineamenti di Selina, immaginandosi le sue guance piene di lentiggini ed i suoi capelli rosa, ma non cambiava niente: era il viso di Jamie che gli veniva in mente, non quello di lei. Arrivò il compleanno della ragazza e fu invitato ovviamente anche Jonathan a casa della sua famiglia, con qualche altro amico, sia di lei che dei suoi. E c’era anche Jamie. Fu quella sera che ci fu la primissima svolta fra di loro, una svolta che molti avrebbero pensato fosse piccola, ma per uno che soffriva di misofobia era un grande passo avanti. A metà serata, quando tutti erano mezzi ubriachi ed i genitori non più in casa – avevano deciso di alloggiare da alcuni amici per lasciare la casa libera –, John salì le scale per andare verso il bagno e vide e Jamie in camera da letto. Lo vide perché la porta era socchiusa.

«Jamie…? Tutto bene?»

Lui alzò lo sguardo: «sì, solo… c’è troppa gente per i miei gusti ed è complicato non farsi sfiorare. I soliti problemi.»

Fece un passo dentro la stanza, il riccio, e si sedette al suo fianco, sperando che non fosse troppo. Entrambi seduti sul letto di lui – immaginò – si guardarono, in silenzio. Lui tremava leggermente. Avrebbe voluto toccarlo e dirgli che se avesse voluto, poteva rimanere un po’ con lui.

«John? Puoi… mettere una mano sulla mia?»

Non gli chiese se fosse sicuro, troppo desideroso di poterlo toccare seppur con il guanto. Dolcemente, una mano fu poggiata su quella dell’altro ed entrambi le guardarono come se fosse una cosa totalmente fuori dal normale. Jamie sorrise appena, ma sembrava più calmo di qualche secondo prima.

«Vuoi che resti qui?»

«È il compleanno di Selina… non potrei mai chiedertelo.»

Non rispose, perché si rendeva conto che l’altro aveva ragione. Di nuovo, si guardarono negli occhi. La mano si fece più stretta alla sua ed il viso più vicino a quello di Jamie. Qualcosa gli diceva che non doveva—la sua cazzo di coscienza! Non ce ne fu bisogno, perché d’un tratto qualcuno entrò nel bagno a pochi passi dalla stanza di Jamie e vomitò. Entrambi si ritrassero alla velocità della luce e John si alzò: «torno… torno giù.»

Gli sorrise e tornò davvero alla festa, avvicinandosi a Selina: lei, in tutta risposta, lo strinse in un grosso abbraccio e poi lo baciò con trasporto, fino a far ricadere entrambi sul divano. Lui chiuse gli occhi e continuò. Continuò anche se non sentiva niente. Continuò anche se percepiva il calore della pelle di Jamie sulla propria mano come se si fosse scottato.

Continuò nonostante tutto.

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Capitolo 6
*** VI. ***


Più i giorni passavano, più c’era qualcosa che cresceva nel cuore di Jonathan e lo metteva a disagio ogni qualvolta si trovava in compagnia di Selina, che fosse solo con lei o con Jamie: non riusciva a stringerla per più di qualche minuto, o a baciarla con trasporto o a finirci a letto come facevano prima. Lei tendeva ad essere molto impegnata con l’università e anche a causa della sua purezza, non ci faceva caso più di tanto, dunque il discorso non fu mai tirato fuori. Quello che cambiò, però, furono le ore passate a casa dei suoi di lei, in compagnia di Jamie: nessuno si faceva domande se il ragazzo di Selina passava del tempo insieme al fratello, perché poteva nascere tranquillamente una bellissima amicizia che non poteva che rendere ancora più bello il rapporto tra loro due. La verità, però, è che fra loro non stava nascendo solo dell’amicizia ed ogni volta che si guardavano negli occhi, c’era una domanda ancora sospesa nell’aria, una domanda alla quale nessuno dei due voleva rispondere per evitare che tutto precipitasse come mai prima d’ora. Ma più si vedevano e più passavano del tempo insieme, più i loro sentimenti crescevano, i loro corpi si sfioravano, ed inevitabilmente si facevano ancora più vicini. Per Jamie, ormai, era facile toccare il ragazzo di sua sorella, anche se non lo faceva neanche per sbaglio quando c’era lei nelle vicinanze per evitare che qualcuno si accorgesse dei sentimenti che covava nei suoi confronti. Ma quand’erano insieme, da soli, lo sfiorava, cominciando a crearsi una vita totalmente nuova e diversa da quella di prima. Riuscire a toccare di nuovo qualcuno senza sentirsi male era una sensazione che gli faceva benissimo al cuore.

In uno di quei giorni, Jamie poggiò la mano sulla sua guancia e la sfiorò in diversi punti, facendo scendere le dita lungo la pelle del suo collo. Erano sul letto, uno di fronte all’altro e Selina era in università con delle sue amiche per ripassare, dunque non c’era il pericolo che irrompesse nella stanza da un momento all’altro.

«Jamie… secondo te sto tratendo Selina? Lo so che è una domanda del cazzo—e so anche già la risposta. La verità è che dovrei lasciarla.»

Gli occhi dell’altro si fecero più grandi a quelle parole, quasi come se non se le aspettasse e la novità lo facesse andare sulle stelle. Qualcosa nello sguardo di Jamie fece intuire a Jonathan che non si aspettava davvero quelle parole, ma per lui era una cosa piuttosto naturale, ormai, da pensare.

«L… Lasciarla? E poi?»

«Non lo so, poi. Però il primo passo è lasciarla. Non posso continuare a stare con lei se non riesco neanche a toccarla, o baciarla, o… tutto il resto. Non ci riesco ormai da settimane.»

Da quando stavano insieme lui e Selina non aveva realizzato che la loro relazione potesse durare così poco, né tanto meno che cominciasse a piacergli il fratello, ma prima di tutto desiderava non tradire nessuno e poi avrebbe seriamente pensato al resto una volta che quella faccenda si fosse sistemata. Non sarebbe stato facile piantarla in asso, guardarla negli occhi e dirle che non riusciva più a continuare quella relazione, ma lei non aveva fatto nulla di male e Jonathan doveva avere rispetto per lei.

«Ne sei sicuro? È quello che vuoi?»

Erano così vicini che si sarebbero potuti baciare, ma questo era qualcosa che non aveva intenzione di compiere finché la relazione con Selina non fosse stata completamente chiusa: Jonathan ci teneva a non tradire nessuno. Sospirò ed annuì, passandogli una mano fra i capelli rosa, adesso pastello, perché leggermente schiariti dall’ultima volta. Annuì e scese dal letto in silenzio, rimettendosi le scarpe. Con un ultimo cenno, uscì dalla stanza e tornò verso casa con l’intenzione di chiamare la sua ragazza. Quando fu sotto il proprio appartamento, Selina era già lì, ad aspettarlo e Jonathan se ne sorprese: «cosa ci fai qui?»

«Volevo… parlarti.»

Per poco non si strozzò con il respiro mozzato.

«Sei qui da molto? Potevi chiamarmi.»

«Tranquillo, non sono qui da molto.»

Entrarono nel proprio appartamento con la tensione a mille. I pensieri di Jonathan erano un miscuglio di panico, indecisione, insicurezza, paura e terrore, ma non ebbe il coraggio di parlare per primo, quando si sedettero sulle poltrone del salotto, uno di fianco all’altro, a guardarsi come se fosse appena morto qualcuno.

«So che c’è qualcosa che non va. Ho fatto finta di niente perché ho pensato fossi semplicemente occupato con il lavoro, ma—non sono stupida. O almeno, fino ad un certo punto. Quindi dimmi che cosa c’è, John, perché sto impazzendo. Vuoi mettere fine alla nostra relazione? Va bene. C’è qualcun altro? Va bene, ma ti prego, dimmelo. Non voglio continuare così.»

A dispetto di quello che lo stilista aveva pensato, Selina era pienamente cosciente del suo allontanamento, quindi lo stupido era lui, non di certo lei. Avrebbe voluto urlare. Alzarsi e andarsene immediatamente perché gli pareva impossibile affrontare quella situazione.

«Mi dispiace. È vero, c’è qualcosa… non sento più il trasporto di prima. E voglio essere sincero con te anche se mi viene difficile: c’è qualcun altro. Ma non ti ho tradito, te lo giuro. Stavo solo cercando di capire… di capire che cosa provo per non ferirti in qualche modo. Capisco che è impossibile arrivati a questo punto, ma ti stavo per chiamare proprio per dirtelo. Mi dispiace di non averlo fatto prima, ma non ne avevo il coraggio. Non mi sto giudicando.»

Aveva pensato di parlare di più eppure gli si erano fermato le parole in gola e se avesse continuato sarebbe o scoppiato a piangere o avrebbe ripetuto continuamente ‘scusami, ti prego’ e non gli sembrava il caso. Guardò in direzione della ragazza che sembrava calma, anche se le mani le tremavano leggermente. Se avesse baciato Jamie prima di dirglielo, non se lo sarebbe mai perdonato… era già difficile farlo adesso. Mandò giù un groppo di saliva, non sapendo bene che cosa fare: aspettare che parlasse o dire qualcos’altro? Aveva paura di peggiorare la situazione.

«Se ti faccio una domanda mi prometti di essere sincero con me? Apprezzo che tu non mi abbia tradita, anche se avrei voluto saperlo prima. Ma se ti chiedessi chi è quest’altra persona, me lo diresti?»

«È che non sono… sicuro di quello che provo. Non mi sono mai trovato in una situazione simile. Per me è tutto nuovo. Tutto. Ma io—»

«È Jamie, vero?»

In poco tempo per la seconda volta gli si mozzò il fiato nella gola e non riuscì a spiccare parola, non subito, almeno. Si ritrovò spiazzato: di nuovo, era lui lo stupido che aveva creduto di riuscire a tenere per sé i sentimenti e gli sguardi rivolti a Jamie, ma era sbagliato di grosso. Abbassò lo sguardo perché il coraggio di guardarla negli occhi venne a meno, ma poi pensò che si meritava che la guardasse. Annuì senza dire una sola parola. Poi di nuovo il silenzio penetrò fra loro due, palpabile, doloroso. Ad un tratto, Selina allungò una mano e la poggiò su quella di Jonathan, sorprendendolo più di quanto non lo facesse la sua calma: «non ti dirò che sto bene, perché evidentemente non è vero, ma ti giuro… ti giuro, John, che se osi anche solo trattarlo male, ti uccido. Jamie è un’anima sensibile, è delicato e fragile, quindi trattalo come si deve. Ho notato del vostro attaccamento, così come l’hanno notato i miei, con la differenza che loro non si accorgono di quanti passi abbia fatto avanti con te. Tu non ti rendi conto di quante persone attrai nei tuoi confronti con il tuo essere così espansivo e sempre pronto con la battuta ed è ovvio che Jamie si sia affezionato a te. Ed io sono felice che lui abbia fatto progressi. Certo, non mi aspettavo che li facesse proprio con il mio ragazzo, ma chi sono io per mettervi i bastoni fra le ruote? Posso dirti che sarà molto dura con i miei genitori, ma avrete il mio supporto nonostante tutto. Dammi solo un po’ di tempo.»

Improvvisamente gli occhi di Jonathan si riempirono di stupore, senza capire se avesse appena sognato o se quello che lei aveva detto fosse reale: poteva trovare una persona più comprensiva di lei? No, sicuramente no. L’aveva scelta anche per il suo carattere dolce e gentile. Ricambiò la stretta e s’avvicinò per darle un delicato bacio sulla guancia.

«Sei così… non so davvero come ringraziarti. Non so neanche—che cosa posso fare? Dimmi che cosa posso fare. Ti darò tutto il tempo che vuoi e se ad un certo punto pensi che non riuscirai più ad essermi amica, me ne farò una ragione. Però… sono qui, se vorrai ancora essermi amica. E per quanto riguarda Jamie… sto ancora cercando di capire, ma credo che mi piaccia davvero. Non so come sia successo… non lo so. Ma è successo.»

I due si guardarono per qualche secondo e poi lei si alzò, comunicando che doveva assolutamente tornare a casa per parlare con Jamie. Nel frattempo, era meglio non sentirsi, e poi lei gli avrebbe scritto non appena si fosse sentita pronta. Si lasciarono con un altro bacio sulla guancia e poi se ne andò, lasciando nel cuore di Jonathan una certa leggerezza.

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Capitolo 7
*** VII. ***


Ovviamente la sorella ne parlò con il fratello ed i due fecero una grande chiacchierata, ma Jonathan non venne mai a sapere tutto nei dettagli e preferì non chiedere perché conosceva Jamie e sapeva che era una persona molto riservata e non gli piaceva quando le persone insistevano. Riuscirono a vedersi solamente quattro giorni dopo a causa dei mille impegni e l’incontro partì leggermente in imbarazzo da parte di entrambi, eppure le loro mani si congiunsero all’istante, come se non vedessero l’ora di farlo.

«E quindi…» cominciò John con un sorriso sincero.

«Quindi… siamo io e te.»

Quella frase bastò per far avvicinare lo stilista all’altro e dopo un assenso con gli occhi, lo baciò dolcemente sulle labbra: fu un bacio casto e leggero, per abituare Jamie a quel nuovo contatto. Poi, preso dalla smania, John lo afferrò per i fianchi e lo fece appoggiare sul bancone da lavoro del proprio ufficio senza neanche rendersene conto ed il secondo, terzo e quarto bacio furono decisamente più passionali di quello precedente, ma nessuno dei due se ne lamentò.

Sarebbe potuta nascere una nuova grande storia d’amore.



SPAZIO AUTRICE: è ovvio che, senza rendermene conto, ho tagliato malissimo l'ultimo capitolo: perdonatemi. Questo è un originale a cui tengo moltissimo: in realtà è un racconto unico che vorrei mettere insieme ad altri racconti e crearne una raccolta, ma siccome mi sembrava troppo lungo, ho deciso di dividerlo. Grazie a chiunque è arrivato fino a qui e ha deciso di leggere questo piccolo scorcio di me! Ci rivediamo prestissimo.

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