The Deer & The Owl

di Memel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Aprile ***
Capitolo 3: *** Maggio ***
Capitolo 4: *** Giugno ***
Capitolo 5: *** Luglio ***
Capitolo 6: *** Agosto ***
Capitolo 7: *** Settembre ***
Capitolo 8: *** Ottobre ***
Capitolo 9: *** Novembre ***
Capitolo 10: *** Dicembre ***
Capitolo 11: *** Gennaio ***
Capitolo 12: *** Febbraio ***
Capitolo 13: *** Marzo ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


P R O L O G O

始め 

 

 tracks n°1-2-3  
chapter pic: 

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Ci sono storie che non possono essere cambiate, o aggiustate.

Non importa il numero di cancellature e riscritture, per quanto possiamo impegnarci il finale non cambia.

In questi casi la cosa migliore da fare è abbandonarle, accettare la sconfitta e ricominciare.

Ci sarà sempre una nuova pagina bianca ad attenderci, l’inizio di un nuovo capitolo, di una nuova storia.


Era questo il pensiero che mi aveva consolata per tutta la durata del mio volo verso il Giappone.

Avevo lasciato da poche ore il Canada: la mia vita a Victoria, mio padre, rimorsi, dubbi e domande a cui non ero ancora in grado di dare una risposta ma in cui riponevo comunque l’ultima briciola di speranza rimasta. 

Mi sforzavo di essere fiduciosa e ottimista, ma allo stesso tempo cercavo di tenere a bada ogni possibile entusiasmo, per evitare l’ennesima scottatura, l’ennesimo vicolo cieco.

Sotto di me la baia di Tokyo cominciava a delinearsi, prima come un insieme di puntini luminosi, lontani ma accecanti, poi come una distesa di stelle, abbagliante e invitante, una piccola galassia fatta di vicoli e tesori in cui non vedevo l’ora di tuffarmi.

“Nori, meglio se cominci ad allacciarti le cinture, atterreremo sicuramente tra poco” mormorò mia madre, sollevando la mascherina di raso dagli occhi e chinandosi sul finestrino vicino a me per guardare quella visione incantata, l’ombra di un sorriso a illuminarle il viso immerso nella penombra del corridoio addormentato

“Sono passati tanti anni dall’ultima volta che ti ho portato con me… sarà strano ricominciare, vero?”

Annuii impercettibilmente, senza staccare gli occhi da quella vista luccicante, mentre l’aereo sorvolava l’ultimo tratto di oceano che ci separava dalla terraferma, l’ultimo lembo di oscurità prima dell’alba e di quel nuovo inizio che fremevo di vivere.

 

*

 

Nori si allungò per leggere l’ora sullo schermo a pochi centimetri da lei, sperando che fosse ancora notte fonda, ma erano esattamente le 7:14 e tra un minuto sarebbe suonata la sveglia. 

Aveva lasciato la finestra leggermente socchiusa per arieggiare la stanza chiusa da anni, ma si era addormentata per la stanchezza senza ricordarsi di richiuderla, e ora sentiva la fredda aria di aprile fare capolino tra le lenzuola.

Sgusciò fuori dal tepore delle coperte sbuffando sonoramente: non aveva la minima voglia di iniziare quella giornata, una giornata che si prospettava piuttosto lunga e impegnativa.

Sospirò, gettando uno sguardo fugace alla divisa scolastica appesa sull’anta aperta dell’armadio: i toni dell’Accademia Fukurodani le piacevano, così neutri e pacati, con un unico tocco di colore rappresentato da un fiocco azzurro a strisce. Sua nonna gliela aveva fatta provare la sera prima, borbottando sulla lunghezza delle gonne sempre più corte rispetto a quelle dei suoi tempi.

“E se ti mettessi dei leggins?” le aveva detto, tirandole giù il più possibile l’orlo

“Mamma non essere antiquata tutte le ragazzine girano così, Nori si abituerà e se farà freddo può sempre mettersi i miei vecchi scaldamuscoli” aveva risposto sua madre, ridacchiando e dandole due pizzicotti sulle cosce

Lei le aveva lasciate perdere ed era tornata su a sistemare la cartella, decisa ad andare a letto presto, così da poter affrontare quel primo giorno di scuola con qualche ora di sonno in più del solito.

E quel giorno era arrivato. Certo, non era il suo primo giorno di liceo, ma era pur sempre la sua prima volta in una scuola giapponese.

Si preparò in fretta senza nemmeno specchiarsi e scese le scale per fare colazione.

“Obasaan non c’era bisogno che ti alzassi presto per prepararmi il riso, sai che non sono abituata a mangiare salato di prima mattina” disse Nori guardando preoccupata la pila di piatti che ingombravano la sala da pranzo

Era passata solo una settimana dall’arrivo di lei e sua madre presso la casa di sua nonna. Eppure la sua vecchia vita le sembrava quasi l’eco di un sogno che andava via via svanendo ogni giorno di più.

Cosa che per alcuni versi non le dispiaceva molto.

“Devi assaggiare il natto, te ne ho messo un po’ anche nel bento… ho provato una ricetta nuova!” le disse, il viso nascosto nei fumi delle pentole sul fuoco

Nori sospirò, agguantando i dorayaki ancora impacchettati nascosti nella credenza: sapeva che sua madre ne andava ghiotta e in casa non erano mai mancati. Ovviamente ebbe la sfortuna di beccare quello con il ripieno di fagioli rossi, un gusto che lei ancora faticava ad apprezzare, e digerire. 

Quella giornata stava proprio iniziando bene, pensò ironica, trattenendo l’ennesimo sbadiglio.

 

*

 

Non ero in ritardo, non ancora almeno, pensai, guardando i tanti ragazzi e ragazze che mi precedevano. L’Accademia Fukurodani da fuori sembrava davvero grande e maestosa, piena di campi, palestre e altri edifici che si sviluppavano attorno al corpo principale dell’istituto. 

Mi diressi per prima cosa verso l’aula insegnanti per consegnare gli ultimi documenti che mi avrebbero reso a tutti gli effetti una studentessa del secondo anno. La professoressa che si era offerta di accompagnami verso la sala principale parve leggere dell'emozione mascherata da nervosismo nel mio silenzio e nel mio sguardo basso, ma in realtà non vedevo l’ora che quella mattinata passasse il più presto possibile.

Mi lasciò sulla soglia di un immenso auditorium, dove tutti gli studenti dell’Accademia attendevano il discorso di inizio anno che avrebbe sancito l’inizio del primo semestre. Mi persi nei miei pensieri, destandomi solo quando sentii gli applausi scroscianti che sancivano la fine della cerimonia. Tirai un sospiro di sollievo, ma per poco, visto che era finalmente arrivato il momento che più di tutti temevo. 

Sempre scortata dalla stessa professoressa di prima mi diressi verso quella che sarebbe stata la mia futura l’aula, la 2-6 lessi, poco prima che la porta si aprisse di fronte a me e una ventina di sguardi curiosi si voltassero nella mia direzione.  

“Sono Shikako Nori e vengo dal Canada, dalla città di Victoria, e per i prossimi due anni studierò in questa Accademia, piacere di conoscervi” ripetei come una macchinetta, le guance che cominciavano a surriscaldarsi

Presi posto e da quel momento mi lasciai scivolare addosso la giornata cercando di non pensare alle attenzioni e alle voci che serpeggiavano attorno a me finché non sentii suonare la campanella.

Non feci nemmeno in tempo a tirare fuori il bento che il mio banco venne preso d’assalto da una decina di ragazze che mi tempestarono di domande:

“Adoro il tuo colore di capelli, sono castani naturali?”

“Wow vieni dall’America, che sogno! Come mai sei venuta in Giappone?”

“I tuoi genitori sono entrambi stranieri?”

“Parli benissimo giapponese, ci darai una mano in inglese vero?”

Sospirai, mi ero preparata psicologicamente a questo tipo di assalto ma avrei voluto comunque scappare a gambe levate o gettarmi dalla finestra vicina. 

Sì, risposi, sono naturali; sono venuta in Giappone perché i miei genitori hanno divorziato e a mia madre è stata offerta una cattedra a Tokyo; no, solo mio padre è canadese, la famiglia di mia mamma è originaria della capitale; e sì, vi aiuterò con piacere, recitai tutto d’un fiato.

Sembrava che le mie risposte le avessero soddisfatte ma sentivo che la loro curiosità non si era del tutto placata, così, approfittando di quel fugace momento di pausa, mi alzai con una scusa e afferrando il mio bento box mi diressi fuori dall'aula a tutta velocità, decisa a prendere una boccata d’aria.

 

*

 

Nori si tolse gli auricolari, rendendosi conto che la pausa pranzo stava per finire.

Le prime due settimane di scuola erano davvero volate, si ritrovò ad ammettere: i compagni si erano abituati alla novità della sua presenza e cominciavano finalmente a lasciarla in pace, anche se alcune ragazze continuavano a invitarla dopo scuola, a studiare assieme o a qualche nuovo strano caffè in centro, vedendola ancora come la ragazza straniera, o meglio, mezza-straniera, da sfoggiare come un trofeo.

Lei inizialmente aveva accettato, non poteva certo comportarsi sempre da asociale, come la definiva sua madre, ma dopo una settimana si era già stufata di tutte quelle attenzioni, e si era ritrovata a bramare i suoi momenti di pace fatti di libri e musica.

Ciononostante sapeva benissimo che non era il caso di isolarsi così, e in fondo avrebbe davvero voluto farsi qualche amica nella nuova scuola, ma come? 

Le compagne della sua classe erano sempre state molto disponibili con lei ma le erano sembrate anche piuttosto superficiali quando erano uscite assieme, in fondo loro si conoscevano già da un anno e avevano ormai formato i loro gruppetti, mentre lei era pur sempre l’ultima arrivata.

Aveva anche valutato l’idea di iscriversi ad un club scolastico, ma senza successo: alla lezione di prova del club di Kyudo aveva quasi finito per spezzare la corda dell’arco; il club di audiovisivi era composto solo da ragazzi, che quando l’avevano vista arrivare avevano fatto una faccia ben poco amichevole, probabilmente intimoriti dalla possibile presenza di una ragazza nel loro gruppo consolidato; il club di teatro e quello di cerimonia del te erano stati dismessi per i pochi iscritti e la mancanza di professori di riferimento a disposizione; mentre tutti i club sportivi accettavano iscrizioni solo dopo alcune sessioni di prova che terminavano con delle selezioni ad eliminazione, essendo l’Accademia piuttosto riconosciuta a livello regionale e nazionale in ogni competizione sportiva. E l’ultima cosa che le serviva in quel momento era proprio altro stress. 

Era rimasto solo il club di fotografia, dove sperava di poter sfruttare la sua mirrorless, l’ultimo sudato regalo di compleanno, ma aveva amaramente scoperto che il club si dedicava solo alla fotografia analogica e la cosa l’aveva scoraggiata non poco. 

Niente, sembrava che non fosse destino per lei trovare il suo posto in quella scuola.

Sbuffò e si sedette indispettita al suo banco, in attesa dell’inizio della lezione, quando la sua attenzione venne catturata da un volantino appoggiato sotto il suo astuccio.

Cercasi manager per la squadra maschile di pallavolo. Ti aspettiamo presso la palestra 3, non mancare!

Si guardò attorno per capire chi glielo avesse lasciato ma in quel momento vide il professore varcare la porta dell’aula.

 

*

 

Un’altra giornata era finalmente finita.

Fuori c’era ancora un po’ di sole, notai, forse avrei potuto allungarmi verso quel negozio di elettronica vicino alla fermata della metro e comprare delle batterie nuove per la fotocamera. 

Ero quasi arrivata nell’atrio, pronta ad andarmene, quando vidi un ragazzo alto e dai capelli leggermente arruffati venirmi incontro.

“Shikako-san, sono Akaashi Keiji, siamo nella stessa classe. Scusami in questi giorni ti ho cercata ma non ti ho mai trovata durante le pause così mi sono permesso di lasciarti un volantino sul tuo banco...”

Lo fissai sorpresa e incuriosita, cercando di inquadrare il suo volto: no, stranamente non me lo ricordavo, eppure mi ero sforzata di memorizzare i nomi e i volti di tutta la classe dopo i primi giorni. 

“...Stiamo cercando una nuova manager per il nostro club di pallavolo visto che le due ragazze che attualmente se ne occupano sono al terzo anno e vorrebbero preparare e seguire chi prenderà il loro posto. Potrebbe interessarti la cosa?” 

Sentii il suo sguardo risoluto e imperscrutabile su di me, e capii che un semplice no non sarebbe stata certo la più cortese delle risposte. Non potevo neanche dirgli che ero già iscritta ad un altro club o che avevo altro da fare.

“Grazie Akaashi-san, ci penserò su e ti farò sapere” risposi, pronta a sgattaiolare via

“Oggi pomeriggio ci alleniamo, se ti va puoi passare a dare un’occhiata e conoscere la squadra” disse lui, sostenendo il mio sguardo senza arretrare di un millimetro 

Mi aveva astutamente messa alle strette, non mi restava che acconsentire purtroppo, e pensare nel frattempo ad una scusa cortese e plausibile per rifiutare quell’offerta.

 

*

 

Le ultime luci del tramonto illuminavano fiocamente le palestre e i campi, mentre gli impianti elettrici si accendevano e le voci e le urla delle diverse squadre riecheggiavano nell’aria.

Nori si guardò attorno spaesata: aveva lasciato il volantino datole da Akaashi sotto il banco e non si ricordava minimamente quale fosse la palestra del team maschile di pallavolo indicata nell'annuncio.

Stava quasi per ripensarci e tornare in aula, quando intravide un pallone Mikasa rotolare fuori da una porta semi aperta.

Lo prese ed entrò nell’edificio, rendendosi conto che era vuoto. Probabilmente era solo in anticipo, pensò, e vedendo che le reti erano già state montate approfittò del momento, mettendosi a palleggiare per ingannare l’attesa, ripetendo un gesto per lei un tempo automatico.

Era passato più di un anno dall’ultima volta che aveva giocato la sua ultima partita di pallavolo.

Ricordava ancora benissimo quel giorno: la tensione che le aveva tolto il sonno, rendendola rigida e poco reattiva, il tremore ad ogni scatto e salto, la vista che si annebbiava e la testa che le girava mentre cercava di rimanere concentrata, mordendosi le labbra fino a sentirle sanguinare. Poi le ginocchia era cedute e l’ultima cosa che ricordava erano i volti preoccupati delle sue compagne, e poi quello di sua madre, che si girava a guardarla in ansia tenendole la mano mentre la macchina di suo padre scivolava tra la pioggia e le strade di Vancouver. Quella partita era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, sia tra i suoi genitori, che dopo anni avevano finalmente avviato le pratiche di divorzio, sia per lei, che dopo tanti allenamenti e privazioni era stata finalmente liberata dalle pressioni e ambizioni di suo padre e aveva preso le distanze da un mondo che per tanto tempo era stato tutto il suo universo.

Se lo ero ripetuto tante volte che non era stata colpa sua, eppure non poteva fare a meno di sentirsi in colpa, verso le sue ex-compagne, e verso la pallavolo, uno sport che sin da subito l’aveva incuriosita e attirata, ma che aveva quasi finito per odiare, non vedendolo e vivendolo mai come una passione, ma come un obbligo, un dovere.

Fin da piccola aveva praticato e provato tanti sport: i suoi genitori la vedevano pigra, sempre chiusa in camera a leggere e guardare film, e pur di trascinarla fuori l’avevano iscritta a diversi corsi, nuoto, danza classica, baseball, tennis, ma sembrava che nulla la prendesse davvero.

Poi l’ultimo tentativo, il mondo della pallavolo, lo stesso mondo di suo padre, un tempo un promettente centrale liceale che però non era riuscito a sfondare come professionista e si era dovuto accontentare della carica di vice-allenatore di una piccola squadra locale. 

Si era avvicinata a quello sport tentennando perché le aspettative erano tante e alte, ma per fortuna aveva scoperto di possedere un po’ della stoffa necessaria, tanto da riuscire a diventare titolare nel giro di un anno. All’inizio le era sembrato tutto un gioco, il suo appuntamento dopo la scuola dove potersi sfogare e conoscere nuove compagne, ma più il tempo passava più la palla le sembrava pesante, gli allenamenti ripetitivi e intensi, i rapporti con le altre giocatrici sempre più tesi e superficiali. 

Era come se la scintilla si fosse persa e fosse rimasta solo lei e quella rete, sempre più simile ad una prigione. 

Suo padre non accettava scuse, nessun no, nessun oggi sono stanca, voglio stare a casa a riposarmi e leggere

No, non ci dovevano essere ostacoli tra lei e la palla, doveva riuscire dove lui non era riuscito, doveva osare e superare i suoi limiti. Cosa che aveva fatto, e che si era concluso con lei che perdeva i sensi dopo un’ora scarsa di sonno e ventiquattro ore di digiuno, durante la semifinale interregionale.

Da quel momento aveva chiuso, con la pallavolo e con suo padre. 

L’anno seguente era stato il più pesante, si era ritrovata a iniziare il liceo senza più amiche, perse dopo anni di silenzi e scuse, cosa che l’aveva portata a chiudersi sempre di più in se stessa. 

Per questo la proposta di trasferirsi in Giappone dalla nonna materna le era sembrata la cosa migliore che potesse capitarle, un segno del destino che tracciava per lei una strada diversa. Sua madre aveva chiamato in lungo e in largo per ottenere una cattedra in arte o storia in un istituto qualsiasi purché a Tokyo. Erano partite giusto in tempo per l’inizio dell’anno scolastico, entrambe decise a cambiare aria, a ricominciare, a darsi una seconda possibilità. Un nuovo inizio.

Nori strinse la palla tra le mani e con uno colpo secco e veloce la alzò con tutta la forza che aveva in corpo, per poi scattare e colpirla con foga, facendola rimbalzare con un sonoro tonfo sulla parete di legno oltre la rete. 

A pochi metri da lei, Bokuto Kotaro, studente del terzo anno e capitano della squadra maschile di pallavolo, correva maledicendo sé stesso per quello stupido imprevisto che lo stava facendo arrivare in ritardo agli allenamenti. 

“Akaaaaashiii, non mi avevi detto che diventare capitano voleva dire riempire tutte quelle pile di documenti” sbraitò, pensando a come era stato costretto dal coach a parlare con l’insegnante di riferimento del club per sistemare alcune questioni 

Quando il suo kohai si era offerto di accettare il ruolo di vice-capitano, Bokuto aveva semplicemente pensato che in quel modo avrebbe potuto aiutarlo con tutte quelle responsabilità che gli erano piombate addosso insieme alla meritata fama e popolarità nell’Accademia. Ma si sbagliava, purtroppo doveva continuare a occuparsene solo e soltanto lui.

Sbuffò, guardando in lontananza se le luci della palestra 3 fossero accese, ma in quel momento un tonfo secco proveniente dalla palestra 4 lo fece voltare per un secondo.

Una ragazza aveva appena battuto, stava recuperando la palla ed era pronta a saltare ancora, anche se in uniforme e con i capelli malamente raccolti sopra la testa da una penna. Penna che si sfilò proprio mentre la palla lanciata ricadeva, liberando una lunga chioma che le ricoprì la schiena, distraendola, mentre la palla atterrava con un balzo di fronte a lei. Invece di arrabbiarsi o sbuffare la vide sorridere malinconicamente, mentre si portava una ciocca dietro l’orecchio e si chinava per prendere la palla.

In quel momento vide Mimizuki Haruhi, vice-capitano e setter della squadra femminile, entrare e si rese conto che si era fermato a guardarle invece di precipitarsi verso gli allenamenti, così si diresse con uno scatto fulmineo verso l’edificio antistante.

Nori si voltò giusto in tempo per incontrare lo sguardo perplesso di Haruhi, che la osservava dall’alto dei suoi 178 cm.

“Mi spiace, ma abbiamo chiuso le selezioni per le nuove reclute la scorsa settimana. Se vuoi posso provare a parlare con il capitano e vedere se si può fare qualcosa…” 

“Cosa? Non è il club di pallavolo maschile questo?” disse Nori alzandosi con uno scatto

“No, questa è la palestra 4, l’edificio che cerchi è quello accanto” le rispose Haruhi, guardandola ancora più perplessa

Nori fece un veloce inchino per scusarsi per l’inconveniente e si precipitò fuori come un lampo, dandosi della stupida per la sua solita imbranataggine.

Quando arrivò si rese conto che gli allenamenti erano già iniziati e la squadra si era divisa in due gruppi per disputare un’amichevole, decise perciò di rimanere sulla porta per non disturbare l’azione.

Dall’altro lato del campo le parve di intravedere il ragazzo che l’aveva fermata prima, Akaashi, intento a parlare con un altro giocatore, dall’acconciatura piuttosto buffa, che sembrava intento a raccontargli qualcosa di divertente visto il sorriso contagioso che aveva in viso.

Il momento di pausa cessò e i ragazzi tornarono con la mente alla partita: Akaashi giocava come alzatore e dopo pochi minuti dal fischio del coach la palla passò a lui, che con un passaggio fluido la alzò al ragazzo al suo fianco, che la schiacciò con un colpo secco e preciso e ad una velocità impressionante, dandole l’impressione che la palla si fondesse al suolo vista la foga della schiacciata. 

Nori sbarrò gli occhi, trattenendo il respiro: quando aveva saputo che la Fukurodani disponeva di una buona squadra di pallavolo maschile si era immaginata una squadra di discreto livello, armata delle migliori intenzioni, ma non avrebbe mai pensato che il livello potesse essere davvero alto e degno di nota. Si ricredette dopo pochi minuti di azione, osservando con voracità tutte le schiacciate e i salti che quel ragazzo dai buffi capelli argentati stava facendo, uno dopo l’altro, senza accusare alcuna stanchezza ma esultando come un bambino felice dopo ogni punto fatto, prendendosi i complimenti e le pacche dei suoi compagni di squadra.

“Bokuto oggi è proprio in ottima forma, non credi?” disse una voce femminile alle sue spalle, facendola sussultare “Forse ti deve aver visto, tira sempre benissimo quando nota delle ragazze carine tra il pubblico” aggiunse, ridacchiando allusiva, ma vedendo la faccia perplessa di Nori decise di presentarsi

“Sono Yukie, una delle manager della squadra. Akaashi ci aveva avvertiti che saresti sicuramente venuta, Shikako-san! Di tutte le persone a cui abbiamo lasciato il volantino non siamo riuscite a convincerne nessuna… il ruolo di manager è davvero sottovalutato in questa scuola purtroppo! Così abbiamo deciso di passare alle maniere forti, è impossibile dire di no ad Akaashi in fondo, vero?” 

Allora le cose stavano così, ora Nori capiva bene la velata insistenza che il suo compagno di classe aveva mascherato dietro il tono formale e gentile. 

In effetti accettare un ruolo di contorno e tedioso come quello di manager di una squadra sportiva non era l’obiettivo della maggior parte degli studenti, ma aveva pensato che, vista la popolarità che gli atleti attiravano, almeno qualche ragazza ci sarebbe cascata e l’avrebbe tolta dall’impiccio. Ma a quanto pare si sbagliava. 

Nel frattempo la squadra si era fermata e aveva cominciato a lanciarle alcune occhiate incuriosite, cosa che l’aveva messa in agitazione, soprattutto quando vide il ragazzo che Yukie aveva indicato come Bokuto, e che prima aveva eseguito quelle battute perfette e potenti, parlottare con Akaashi e guardare nella sua direzione.

Un’altra ragazza spuntò alle loro spalle e notando l’espressione imbarazzata di Nori si voltò verso la squadra, intimando loro di tornare a giocare e di lasciare in pace la loro potenziale nuova manager, lanciando poi un’occhiataccia in direzione di Kotaro.

“Non fare caso a quello zuccone di Bokuto, sembra un bambinone ma in campo sa il fatto suo, altrimenti non sarebbe il nostro capitano!” disse poi, mettendole una mano sulla spalla quasi per tranquillizzarla “Io sono Kaori e come Yukie sono una manager della squadra. Piacere di conoscerti Shikako-san!”

Nori si lasciò guidare verso le panchine, dove il coach era impegnato a scrutare i giocatori, e anche la sua attenzione venne nuovamente catturata dalla palla e dall’azione della partita: l’alzatore e il centrale erano i due giocatori che più risaltavano e brillavano durante il gioco, ma il livello generale della squadra era davvero buono, la sintonia e la fiducia che aleggiava tra loro era senza dubbio palpabile. 

Eppure c’era qualcosa che stonava ai suoi occhi, e che allo stesso tempo la affascinava mentre li osservava giocare: sembravano così affiatati, così felici di essere lì, in campo, nonostante la stanchezza e la pressione. Si respirava lo stesso livello di tensione e concentrazione di una partita ufficiale nonostante fosse una semplice amichevole tra compagni di squadra, ma a differenza delle competizioni che aveva vissuto sulla sua pelle, in quel campo l’atmosfera era completamente diversa: meno pesante, priva della paura di essere costantemente giudicata che l’aveva spesso attanagliata, e del terrore di deludere tutti, dalle sue compagne a suo padre. 

Fu soprattutto Bokuto ad attirare completamente la sua attenzione: imprimeva in ogni azione tutta la potenza che il suo corpo gli permetteva, e la sua passione traboccava da ogni sguardo ed esclamazione durante il gioco. 

Sembrava davvero la persona più felice del mondo, intento a fare ciò che più amava e per cui era portato. 

Era davvero al posto giusto, nel momento giusto. 

Una sensazione che lei non aveva mai provato giocando.

“Sembra che la pallavolo ti interessi, o sbaglio?” le chiese Kaori, vedendola rapita dai movimenti in campo

“Sì, diciamo di sì” le rispose Nori cercando di rimanere vaga, non avendo voglia di rivelare altro

Yukie si sporse verso di lei, mettendole un braccio intorno alle spalle.

“Se è così saresti una perfetta candidata come nostra futura sostituta! Che ne pensi? Ti piacerebbe diventare manager di questa squadra?” 

“Non ti devi sentire obbligata, ma credimi, ci faresti un enorme favore! Se accettassi avremmo tantissimo tempo per insegnarti tutto, ed essendo in tre quest’anno il lavoro non sarà per nulla pesante, anzi, sono sicura che ci divertiremo un sacco!” aggiunse Kaori, tentandola

Nori pensò a quella prospettiva, e a come il destino le avesse giocato quello strano tiro, portandola nuovamente faccia a faccia con quel mondo da cui pensava di essersi allontanata per sempre.

Forse le stava offrendo un’opportunità, quella di poter riavvicinarsi e riscoprire quello sport, questa volta da un punto di vista diverso, con i suoi tempi, senza pressioni o aspettative troppe alte da raggiungere.

Vederli giocare, così affiati e appassionati, l’aveva davvero affascinata. Aveva riacceso in lei un interesse che credeva sepolto, e che spesso si era chiesto se fosse mai davvero esistito. L’idea che si potesse vivere la pallavolo nello stesso modo in cui sembrava viverla il ragazzo che aveva appena visto giocare, Bokuto, la mandava in confusione, scuoteva le sue certezze, portandola a chiedersi se forse anche lei avrebbe potuto riscoprire quello sport e innamorarsene davvero, senza doverlo più associare ad un brutto ricordo, ad una fase della sua vita che avrebbe preferito dimenticare.

Anche se come semplice spettatrice, voleva davvero provarci, voleva darsi una nuova possibilità, per poter finalmente rispondere a quelle domande e a quei dubbi che la tormentavano da tempo.

Sì voltò verso le due ragazze che la osservavano, pendendo dalle sue labbra in attesa di una risposta.

“Va bene, sarò dei vostri!” disse in un soffio, sciogliendosi in un sospiro liberatorio

Le due manager le saltarono addosso, abbracciandola grate, mentre dal campo arrivavano le urla di gioia e approvazione della squadra che aveva assistito alla scena. 

Nori lanciò uno sguardo verso di loro e notò Akaashi, un fugace sorriso riconoscente sul volto, e Bokuto, che invece rideva e lanciava i pugni in aria blaterando di come alle prossime amichevoli il Nekoma sarebbe sbiancato vedendo la loro nuova manager.

Nekoma? 

Quel nome le diceva qualcosa, ma cosa? Dove l’aveva già sentito?

Poi le tornò in mente sua madre e collegò tutto: era la scuola superiore dove aveva accettato la cattedra come professoressa di arte!

Questo non avrebbe portato a nulla di buono, pensò tra sé e sé, ma poi scacciò quei pensieri e tornò ad osservare i nuovi compagni che la circondavano, curiosa di scoprire che cosa il destino avesse in serbo per lei.

Forse era presto per dirlo, ma sentiva come un presentimento dentro di sé, che la spingeva a credere di aver imboccato la strada giusta, di aver fatto il primo passo verso qualcosa che non conosceva ma che l’affascinava proprio per quello stesso motivo.

Come quando ad un bivio inaspettato lasciamo che sia l’istinto a guidarci, finendo per scoprire un posto nuovo e bellissimo: ecco, tutto quello che voleva era questo, una novità, un cambiamento.

Nuove parole che riempissero le pagine della storia che sentiva di aver iniziato.
 
 

 

 

 

- - -
 
N O T E
 

Grazie per essere arrivati fin qui!
 Ho scritto questa fanfiction per diversi motivi, primo fra tutti perché sono appassionata all'universo narrativo di Haikyuu e a tutti i bellissimi personaggi che vi ruotano attorno.
 Secondo, avevo bisogno di tornare a scrivere dopo anni di inattività, visto che sentivo di essermi un po' arruggita; per questa ragione, in seguito anche ad un corso di sceneggiatura che ho frequentato in questi mesi, mi sono letteralmente obbligata a scrivere una long fic, la più lunga che abbia mai scritto.
 Insomma un bel proposito per il nuovo anno!
 Terzo motivo, ma non per importanza, volevo concentrarmi su un personaggio che adoro, ovvero Bokuto, che ho sempre ritenuto a modo suo complesso nella semplicità che lo caratterizza e che spesso porta a tratteggiarlo erroneamente in modo troppo stereotipato.
 Da qui il desiderio di volerlo analizzare sotto dei punti di vista diversi da quelli mostrati dal manga e dall'anime (le uniche fonti che ritengo canon e attendibili); insomma volevo dissezionarlo e metterlo in nuovi contesti e situazioni per vedere come avrebbe reagito, sempre avendo in testa l'obiettivo di non renderlo OOC, come il resto dei personaggi presenti nella mia storia.
 L'unica mia paura era quella di scrivere qualcosa di cringe e banale, o di trasformare il personaggio di Nori nell'ennesima Mary Sue.
 Spero proprio di aver scampato il pericolo e mi rimetto a voi.
 Buona Lettura

 
P . S .
 

In ogni capitolo vi segnalerò le soundtrack che mi hanno accompagnato e inspirato nella stesura di questa fic, insieme ad alcune fanart che ho disegnato in questi mesi, così da aiutarvi nell'immaginare meglio i personaggi e le atmosfere della storia.

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Capitolo 2
*** Aprile ***


A P R I L E

卯月

 

 tracks n°4-5 
chapter pic: 

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Era ormai aprile inoltrato e i colori degli alberi viravano ogni giorno sempre di più al verde, mentre i petali rosa dei ciliegi andavano via via scomparendo.

L’Accademia Fukurodani era ancora buia e addormentata quando Nori arrivò, cosa che la fece rabbrividire sotto al cappotto spesso: non era mai stata una fan degli allenamenti mattutini, soprattutto quando le mattine erano ancora così cupe e fredde, e il letto così caldo e invitante. 

Bevve l’ultimo sorso del cappuccino ormai tiepido preso per strada e si avviò verso la palestra 3, battendo teatralmente i denti.

Le luci erano già accese: Nori aveva imparato molto presto che era quasi impossibile arrivare in anticipo agli allenamenti, perché era praticamente impensabile battere quello stakanovista di Kotaro Bokuto, tanto che si era spesso chiesta se non dormisse direttamente lì dentro dato che non si scollava mai dal campo.

“Ehi Shikako-san! Buongiorno!” Bokuto si voltò di scatto, sorridendole festoso, mancando così la palla lanciata da Akaashi che finì a pochi centimetri dalla faccia di Nori, sulla parete affianco a lei.

Lei non ci fece caso, raccolse la palla e gliela lanciò, ignorando le sue scuse: aveva ancora troppo sonno per dargli corda.

Kotaro la guardò sospirando, sovrappensiero.

“Akaaashiii, pensi che a Shikako io stia antipatico?” esclamò, sbuffando drammaticamente come spesso faceva

Akaashi studiò Bokuto prima di rispondergli: era raro, ma non impossibile, per lui entrare in emo-mode per questioni non legate alla pallavolo perciò la cosa lo insospettì. Poi gli venne in mente di quella volta che Bokuto si era chiuso negli spogliatoi, disperato perché avevano tolto la sua marca di te verde preferita dalle macchinette della scuola, e non era uscito da lì finché Yukie non era tornata con un sacchetto di scorta dal konbini.

Forse non c’era motivo di preoccuparsi allora.

“Con te è gentile e parla sempre, mentre invece quando le rivolgo la parola io mi ascolta sì, ma sembra che non gli interessi molto quello che dico…” proseguì Kotaro indispettito, abbassando lo sguardo e mettendo il broncio

“Forse è perché io e lei siamo nella stessa classe e abbiamo più occasioni per parlare. E forse perché non le interessa sentirti discutere sempre di pallavolo visto che ti vede già giocare tutti giorni agli allenamenti” concluse l’amico senza tanti giri di parole 

Vedendo però che Bokuto non sembrava dargli corda ma sembrava sempre più sul punto di deprimersi cercò di salvare la situazione in corner.

“Comunque non penso che tu le stia antipatico. Secondo me Shikako-san è una ragazza gentile e disponibile con tutti, è solamente un po’ sulle sue e meno espansiva di te. Devi solo darle il tempo di abituarsi al tuo carattere e modo di fare…”

“Stai dicendo che sono una persona con un carattere difficile??” esclamò lui sbuffando offeso, per poi allontanarsi dal campo con aria sconsolata

Keiji sospirò: non ci voleva proprio un Bokuto depresso per iniziare la giornata.

 

*

 

La panchina era vuota, probabilmente Yukie e Kaori erano andate a ritirare le divise nuove visto che le stavamo aspettando da giorni.

Presi una matita dalla cartella e tentai di raccogliere parte delle mie ciocche ribelli in uno chignon, ben consapevole del fatto che si sarebbe sicuramente disfatto in 2 millisecondi, ma c’era davvero troppo caldo in quella palestra. Non capivo ancora come faceva Bokuto a tenere le ginocchiere a compressione sotto i pantaloncini, c’era un’umidità pazzesca!

Vidi che il campo si era svuotato: strano, non era da loro battere la fiacca così presto. 

Poi mi accorsi che i ragazzi si erano sdraiati da un lato a fare stretching, ma mancava il capitano: dove si era cacciato? Guardandomi intorno mi accorsi che quella testa buffa si era andata a nascondere nell’angolo opposto come se si fosse messo in castigo. Cosa stava combinando?

Akaashi sembrò leggermi nel pensiero:

“Shikako-san non fare caso a Bokuto. Forse per te è la prima volta che lo vedi così ma credimi gli capita spesso di deprimersi in modo molto teatrale. Il problema è quando succede durante una partita, ma negli altri casi cerchiamo di lasciargli smaltire la cosa prima di approcciarlo. Vedrai che ora di questo pomeriggio sarà tutto passato.”

Ma non fu così. Quando tornai dopo le lezioni vidi che la situazione non era cambiata molto.

Mi sedetti vicino a Yukie, intenta a guardare il nostro capitano in cagnesco.

“Detesto quando Bokuto-san si impunta a comportarsi così. E il bello è che questa volta non ci vuole neanche dire il motivo dietro a tutte queste scenate” 

“Vuol dire che non sai perché fa così?” chiesi, stiracchiandomi sulla panchina
 “No! E stranamente sembra che neanche Akaashi voglia dire nulla al riguardo. Se ne sta lì senza fare nulla, senza neanche intervenire come fa sempre!” sbuffò lei 

Alzai lo sguardo su Kotaro, intento a vagare per il campo con passo strascicato, la palla stretta al petto come se fosse un peluche.

Sentii che mi stava per scappare una risata e feci di tutto per rimanere seria. Ma vedere quel sempliciotto sempre pieno di energia e allegria ridotto ad uno straccio era troppo buffo e surreale. Era davvero un pessimo attore, pensai. 

Anche se la prima volta che lo avevo visto giocare mi aveva lasciato un’ottima impressione, durante i primi giorni di prova come manager Bokuto non mi era andato molto a genio: quella sicurezza spavalda che trapelava da ogni parola e gesto, quel suo essere sempre solare e pieno di energie anche alle 6 di mattina o alle 10 di sera, dopo ore di massacranti servizi, per altri poteva essere qualcosa da ammirare, ma per me, miss pigrizia fatta persona, io che nei giorni di vacanza dovevo mettermi la sveglia perché ero capace di dormire 12 ore di fila, era qualcosa di inconcepibile e a tratti irritante da vedere.

Ma quando entrava in campo era come se si trasformasse, catturando del tutto la mia attenzione e diventando fino in fondo quel giocatore forte e sicuro di sé che era stato uno dei motivi che mi aveva spinto ad entrare in squadra. Dall’impegno che metteva in ogni battuta e salto all’attenzione che imprimeva in ogni azione, dalla premura verso i suoi compagni alla sua incrollabile fede nell’essere l’asso della squadra, tutto questo lo rendeva davvero il punto di riferimento per ogni membro della Fukurodani ai miei occhi.

Perciò vederlo ora, spogliato di quella pompa magna ed aura era uno spettacolo piuttosto strano, a tratti grottesco. 

Prima che mi potessi rendere conto di quello che stavo facendo mi diressi verso di lui, decisa a capire il motivo di tanto scombussolamento.

Lui non parve accorgersi di me, tanto che quando lo chiamai sobbalzò e mi guardo come se avesse visto un fantasma, cosa che mi costrinse a reprimere nuovamente le risate, con molta fatica aggiungerei.

“Bokuto-senpai, va tutto bene?” 

Ecco la parolina magica che ero sicura lo avrebbe costretto a deporre le armi: sapevo che tutti gli studenti del terzo anno, e lui in modo particolare, si scioglievano come ghiaccioli al sole quando venivano chiamati così dai loro kohai.

Lui ovviamente si comportò come da copione.

“Sh-Shikako-san!” esclamò bloccandosi come se avesse ricevuto una scossa

Sembrava stesse lentamente assimilando la mia frase, parola dopo parola, ma poi sbarrò gli occhi come se una rivelazione importante lo avesse colpito.

“Lo sapevo! Era impossibile che non ti potessi piacere!” esclamò con sicurezza, ritornando in sé 

“Akaashiiiii, avevi ragione! Nori-san mi ha chiamato senpai e mi ha chiesto come stavo! Non le sto antipatico!!” urlò all’altro lato del campo per farsi sentire dal vice-capitano

Sentii le guance surriscaldarsi mentre tutti i membri della squadra si giravano a guardarci.

Ecco, forse era meglio se seguivo il consiglio di Akaashi e lo lasciavo in pace invece di ficcarmi in una situazione simile. Ma volevo capire meglio cosa intendesse Bokuto con quella frase.

“Cosa vuol dire che non mi stai antipatico?” chiesi, cercando di ignorare gli sguardi curiosi degli altri puntati nella nostra direzione

“Bè, ho notato che non mi dai molta corda quando parliamo… per questo mi ero fatto l’idea che non ti andassi molto a genio” disse lui scrollando le spalle come a voler affermare l’ovvio

Quindi era questa l’impressione che avevo dato inconsapevolmente? Effettivamente durante le prime settimane ero stata abbastanza sulle mie, limitandomi a parlare con Yukie e Kaori di questioni relative al club, e a volte con Akaashi, durante i momenti di pausa tra una lezione e l’altra, ma sempre di argomenti di scuola o sciocchezze.

Quell’innocente frase detta da Bokuto mi aveva messo davanti ad una realtà scomoda: non riuscivo ancora a dare davvero confidenza alle persone che mi stavano accanto. Nell’ultimo anno mi ero isolata molto, chiudendomi in me stessa, ma quella persona non ero io e lo sapevo. Per questo avevo deciso che una volta arrivata in Giappone mi sarei impegnata per ritornare a essere la persona positiva, spensierata e amichevole che ero sempre stata, ma che ora mi appariva come una sconosciuta.

Non volevo essere così, non volevo essere vista come una ragazza fredda e sulle sue, distaccata e silenziosa. 

No. 

Volevo essere in grado di sostenere e accogliere le attenzioni degli altri e non di temerle. 

Alzai lo sguardo, incontrando gli occhi di Bokuto, accesi e letteralmente spalancati sul mondo, occhi che non temevano nulla, o quasi, che andavano incontro a tutto quello che il destino gli riservava senza mai dubitare o lasciarsi sopraffare, sempre affamati e pronti ad abbagliare tutti e tutto.

Dovevo cambiare. 

Volevo cambiare. 

E per farlo dovevo abbassare le mie difese, il muro di dubbi e domande che avevo costruito negli anni, e far entrare la luce.

“Hai ragione… effettivamente a volte tendo a stare sulle mie e a dare l’impressione sbagliata. Mi spiace che tu ti sia fatto quell’idea, ma non ho nulla contro di te…” dissi distogliendo lo sguardo ma senza fermarmi “Anzi mi farebbe piacere poterti conoscere meglio, insieme al resto della squadra, così da potervi fornire il miglior supporto possibile. E voglio che anche voi riusciate a conoscermi per la persona che sono davvero” esclamai, stringendo i pugni tesa, trovando finalmente il coraggio di sostenere il suo sguardo

Bokuto sembrava essere rimasto colpito dalle mie parole e dalla mia reazione, e stava riflettendo su quanto avevo appena detto, glielo leggevo in faccia.

“Shikako-san, in questa squadra nessuno si deve sentire in dovere di scusarsi o dare spiegazioni. Devi essere semplicemente te stessa, questo è tutto quello che conta! Ricordati che essere un team significa sostenersi sempre, in campo e fuori dal campo” disse, sorridendo sicuro e comprensivo

Quelle parole mi colpirono come un soffio di vento tiepido, che creava scompiglio ma allo stesso tempo dava conforto. Vederlo così serio e maturo mi fece pensare a quante sfumature potesse avere il suo carattere, e a come ero stata superficiale nel giudicarlo così frettolosamente. 

Aveva appena detto ciò che avevo bisogno di sentire, le parole che per anni avevo atteso dalla mia ex-squadra, da mio padre. 

Percepii un senso di leggerezza e sollievo che non provavo da tanto, troppo tempo.

Come se mi trovassi al posto giusto, al momento giusto.

Capii che stavo sorridendo, un sorriso vero, non forzato, ma spontaneo e incontrollabile. 

Lo stesso sorriso del capitano di fronte a me.

“In ogni caso puoi chiamarmi Nori… “ dissi, affrettandomi ad aggiungere –san per evitare ulteriori incomprensioni

“Nori-chan! Nori-chaaaan! Nooriii-chaan! Sì mi piace!” esclamò felice come un bambino sovrastando le mie parole

Decisi di lasciarlo fare e sentii il mio sorriso allargarsi, fino a scoppiare in una risata liberatoria. 

 

*

 

I giorni seguenti apparvero più luminosi a Nori, come se un velo prima invisibile si stesse pian piano sollevando, rivelando colori nuovi e inaspettati. Cominciò a parlare di più con le sue compagne di classe, e nelle pause pranzo aveva preso l’abitudine di cercare Akaashi, che era solito pranzare con Bokuto, e così iniziò a passare sempre più tempo con loro due. 

Durante gli allenamenti si ritrovò spesso a chiacchierare con Yukie e Kaori, e non solo di questioni tecniche legate al club. Voleva conoscerle meglio e così scoprì quanto erano diverse: Yukie era fidanzata da anni con un ex-compagno delle medie, anche se negli ultimi tempi litigavano spesso, e aveva una passione smisurata per tutto ciò che fosse commestibile; Kaori invece aveva una sorella e due fratelli più piccoli, a cui faceva spesso da baby-sitter appena libera dagli impegni della scuola e dagli allenamenti, visto che i genitori gestivano un piccolo emporio ed erano sempre occupati. Entrambe avevano pochi momenti liberi, ma cionostante riuscirono a organizzarsi per vedere assieme gli ultimi ciliegi in fiore rimasti e fare un piccolo pic-nic il sabato seguente.

 

*

 

Quel venerdì pioveva a dirotto e tirava un vento fortissimo, tanto che mi trascinai verso l’entrata con una mano sulla gonna e l’altra impegnata a tenere in vita l’ombrello, o quel che ne restava, cercando di non bagnarmi del tutto. Arrivai in classe piuttosto zuppa e nel raccogliermi i capelli in una treccia notai che la punta gocciolava. Pensai al picnic organizzato l’indomani mattina e sbuffai sconsolata, accasciandomi sul banco. Vidi Akaashi salutarmi con un cenno dall’uscio della classe, ovviamente completamente asciutto a differenza della sottoscritta.

“Tutto bene Nori-san? Hai per caso dimenticato l’ombrello?” mi chiese avvicinandosi  

“No, diciamo solo che l’ombrello che mi ha prestato stamattina mia nonna ha visto tempi migliori e che se mi fossi messa la cartella in testa forse mi sarei bagnata meno”

“Mi dispiace. In caso, per evitare che ti prenda un raffreddore, puoi usare le docce degli spogliatoi del club e metterti la tuta finché l’uniforme non si asciuga completamente.” suggerì lui, pragmatico come sempre

Non era una cattiva idea in fondo, ma ero troppo pigra anche solo per prenderla in considerazione.

“Non ti preoccupare, ho preso acquazzoni peggiori quando ero in Canada. Diciamo solo che adesso sto invidiando i tuoi pantaloni, che scambierei volentieri con questa gonna inutile” esclamai piccata

Lo vidi sorridere e arrossire leggermente.

“Spero solo che domani il tempo non sia così brutto!” aggiunsi per cambiare argomento “Ho visto che le previsioni mettono nuvoloso con sole a tratti, ma era previsto sole anche oggi quindi forse non ci azzeccheranno neanche domani. Che peccato, chissà quando riusciremo a trovare un altro weekend in cui sia Yukie e Kaori sono libere…” dissi sovrappensiero

“Capisco, allora è fissato per questo weekend il pic-nic di cui parlavate in questi giorni durante gli allenamenti?
 Mi resi solo allora conto della gaffe che avevo appena fatto: non era stato molto carino parlarne di fronte a lui, in fondo avremmo anche potuto invitarlo, visto che era sempre stato disponibile e gentile nei miei confronti, e negli ultimi giorni avevamo passato sempre più tempo assieme.

“Se ti fa piacere sarebbe bello se ti aggiungessi anche tu! Sempre se il tempo migliora” dissi sperando che non lo vedesse come un invito forzato

“Va bene, cosa devo portare?”

 

*

 

La mattina dopo per fortuna il cielo si era rischiarato e alcuni timidi raggi di sole facevano capolino tra la distesa di nuvole che aleggiava sopra i tetti di Tokyo. 

Nori uscì di casa stringendo a sé una sacca di tela ripiena di snack, onigiri, un thermos di tè verde, alcuni egg sandwich e anche una scatola di mochi ripieni di burro d’arachidi, i suoi preferiti.

La metro era piena zeppa di famiglie e coppie che come lei sembravano intenzionati ad approfittare della bella giornata. Guardò sbadatamente il telefono e solo allora si accorse che lo aveva lasciato in modalità aereo dalla notte prima, per non consumare la batteria. Vide un paio di messaggi non letti e alcune chiamate perse da parte di Kaori e Yukie, ed ebbe un brutto presentimento.

Ascoltò i messaggi che le avevano lasciato in segreteria: a quanto pare Yukie aveva litigato per l’ennesima volta con il fidanzato e non se la sentiva proprio di uscire, Kaori invece si era svegliata con qualche linea di febbre e preferiva rimanere a casa a riposare.

Insomma era proprio destino che quell’uscita dovesse saltare, pensò imbronciandosi, le dispiaceva molto dover rimandare quel pic-nic che attendeva da tanto. Ma doveva almeno avvisare Akaashi. La prossima fermata era la sua, Yoyogi-Koen Station, quindi tanto valeva scendere e dirglielo di persona.

Il parco di Yoyogi era per lei un luogo ricco di ricordi felici, sua nonna l’aveva spesso portata lì quando era piccola e trascorreva ancora le estati in Giappone. Ricordava i primi dango dalle tonalità pastello che si era fatta comprare da sua madre, le prime timide pedalate sulla bicicletta rossa comprata da nonno Shouta, che aveva conosciuto solo per poco tempo.

Non si accorse che mentre era persa nei suoi pensieri aveva oltrepassato l’ingresso, il punto d’incontro fissato con gli altri, e si trovava ora vicino al piccolo santuario Meiji che precedeva l’area protetta del parco dedicata ai volatili e agli appassionati di birdwatching. Stava per ritornare sui suoi passi quando riconobbe delle voci familiari.

“Bokuto-san il cartello dice che qui ci sono solo diversi tipi di anatre e passerotti, non gufi”

“Akaashiiii, un vero gufo sa riconoscere i suoi simili! Sono sicuro che se stiamo qua e ci vedono arriveranno a stormi!” disse Bokuto appoggiandosi alla ringhiera di legno che delimitava l’area, gli occhi che brillavano per l’eccitazione

Nori rimase a guardarli incerta sul da farsi, indecisa tra ridere per la scemenza detta da Bokuto e farsi avanti per salvare Akaashi dal passare l’intera mattinata a osservare uccelli. Alla fine optò per la seconda opzione.

“Ehi per fortuna vi ho trovato! Con tutta questa gente temevo che non saremmo riusciti a incrociarci!” disse avvicinandosi alle spalle dei due ragazzi

“Oh Nori-san!” c’era del sollievo nella voce di Akaashi? “Perdonami, Bokuto ha sentito del pic-nic e si è auto invitato, spero non sia un problema” aggiunse, quasi a scusarsi della presenza del bambinone che affianco a lui mimava molto sgraziatamente quello che doveva essere il verso di un gufo.

“No figurati, in effetti ero venuta ad avvisarti che sia Yukie che Kaori hanno avuto un contrattempo e non riescono a raggiungerci… ma visto che siamo in tre e ho dietro un sacco di cibo sarebbe un peccato se andasse sprecato, giusto?”

 

*

 

Mi sdraiai sulla coperta di pile portata da Akaashi, sospirando soddisfatta: dopo quella mangiata mi sentivo in pace con il mondo, l’aria era piacevole e tiepida, priva del gelo dei giorni precedenti, e c’era un silenzio e una tranquillità stupendi, l’atmosfera ideale per un piccolo riposino…

“Noooriii-chaaan! Ho portato la palla! Ci aiuteresti a fare qualche schiacciata?” 

Vidi la faccia di Bokuto oscurarmi la visuale, le guance arrossate per il riscaldamento che aveva appena fatto, e ancora un po’ sporche della polvere dei mochi mangiati prima

Sapevo che se gli avessi detto di no gli avrei solo fornito l’occasione di diventare ancora più molesto, e in ogni caso ogni proposito di riposarmi sarebbe stato praticamente impossibile con lui attorno.

“E va bene, ma giusto un paio di tiri e senza esagere… sono troppo piena per correre in giro a recuperare la palla” lo avvertii

Ovviamente le mie furono parole al vento: Bokuto aveva deciso di mettersi in mostra obbligando Akaashi ad alzargli la palla ed esibendosi in alcune schiacciate che avevano attirato subito un piccolo gruppo di bambini incuriositi, per la sua felicità.

Vedendoli occupati con quella nuova schiera di piccoli fan, e ancora provata dal pranzo di prima, decisi di riposarmi qualche minuto. 

Mi ricordai solo allora della fotocamera dimenticata sul fondo della borsa di tela, tra i tovaglioli di carta e le lattine di ramune. Pregai che non si fosse bagnata o sporcata, ma per fortuna era integra e anche carica visto che sin dal mio arrivo a Tokyo l’avevo preparata per un’eventuale tour fotografico. Ma tra il maltempo delle ultime settimane, il club e il mio cercare di mettermi in pari con il programma accademico giapponese, non avevo avuto molte occasioni libere per girovagare nella mia nuova città.

“Non sapevo che ti interessassi di fotografia” disse Akaashi facendomi sobbalzare, allungandosi per bere un sorso di te dal thermos

“Diciamo che non sono un’esperta, ma mi piace fare foto ai posti che più mi colpiscono. E poi ho una memoria orribile, almeno così posso fare affidamento sulle foto!” risposi, nascondendo il mio imbarazzo, visto che non mi era mai capitato di parlare a qualcuno di quella mia nuova passione

“Allora devi portarla alle prossime partite, posso farti da modello!” esclamò Bokuto sbucando alle spalle di Keiji 

“Grazie ma il mio soggetto preferito sono i paesaggi, urbani e naturali. La mia idea sarebbe quella di esplorare Tokyo e cercare di fare qualche scatto decente, ma non saprei proprio da dove iniziare” sospirai rimettendo la mirrorless dentro la borsa

“Per quello non c’è problema, possiamo aiutarti noi… vero Akaashi? Possiamo portarla in quel tempio strano che abbiamo trovato l’ultimo volta che siamo andati a mangiare yakiniku con la squadra!” disse, cominciando ad esaltarsi all’idea

“Penso che Nori-san preferisca vedere i posti più famosi della città, che forse non ha mai visitato…”

“In realtà fino all’età di 10 anni ho trascorso tutte le mie estati qui a Tokyo, a casa dei miei nonni materni, ma è passato tanto tempo ed effettivamente mi farebbe bene una bella rinfrescata dei luoghi più turistici. E ora che ci penso ci sarebbe un tempio in particolare che mi piacerebbe vedere, il Senso-ji!”

 

*

 

Nori scorse le foto scattate quel pomeriggio ad Asakusa mentre aspettava fuori da un coschietto di melon-pan che i ragazzi tornassero con il bottino. Si era davvero divertita, e anche se ci era voluto un po’ per arrivare lì da Yoyogi Park, avevano passato il tempo in metro a parlare di manga e film. A quanto pare anche Akaashi era un appassionato, e oltre a possedere una vasta collezione di fumetti, aveva anche visto parecchi film cult occidentali. Bokuto si era limitato ad ascoltarli, visto che non conosceva neanche la metà dei titoli che avevano menzionato, tanto che Nori decise di fargli una lista delle pellicole che doveva assolutamente recuperare. Una volta arrivati al tempio aveva scattato un sacco di foto, e in qualcuna aveva incluso anche Kotaro, che insisteva nel suo definirsi fotogenico. Si era anche lasciata convincere da lui nel farsi predire la fortuna da un omikuji, ottenendo come risultato una piccola benedizione.

“Noori-chaaan! Ce l’abbiamo fatta!” esclamò Bokuto raggiante porgendole un melon-pan fumante

Erano anni che non ne mangiava uno ma il sapore era esattamente come se lo ricordava, fragrante e dolcissimo.

“Sei riuscita a scattare delle belle foto?” le chiese Akaashi offrendo metà del suo panino a Bokuto, che aveva già finito il suo e lo fissava con aria implorante

“In realtà sì… devo ancora prenderci la mano visto che non è da tanto che possiedo questa fotocamera, ma posso ritenermi soddisfatta! Mi piacerebbe riuscire a visitare un quartiere diverso ogni weekend, impegni scolastici e club permettendo. Magari potrei chiedere a Yukie e Kaori di accompagnarmi, sperando di riuscire ad organizzare di nuovo un’uscita assiem-“

Non fece in tempo a finire la frase che il forte boato di un tuono li fece sussultare mentre il cielo cominciava a diventare sempre più scuro, presagendo lo scoppio di un forte temporale di lì a pochi minuti.

“Sarà meglio dirigersi verso la metro prima che il tempo peggiori” disse Keiji, scrollandosi Bokuto dalle spalle, a cui si era ancorato per lo spavento improvviso

Nori riuscì a tornare a casa proprio quando le prime gocce di pioggia iniziarono a bagnare l’asfalto.

“Sono a casa!”

“Nori! Per fortuna sei qui, quando ho visto quei nuvoloni mi sono preoccupata! Hai fame?” chiese sua nonna abbassando il volume del televisore

“No grazie, credo che per oggi non toccherò altro cibo” le rispose lei, accoccolandosi sotto il kotatsu tiepido

Sentì il telefono vibrare e vide i messaggi che sia Bokuto che Akaashi le avevano mandato: il primo conteneva la gif di un animale buffo che saltellava dentro una pozzanghera, accompagnata da una fila di emoji che terminavano con una frase: Alla fine mi sono bagnato lo stesso, ma non dirlo ad Akaashi! Ci vediamo a scuola Nori-chin!; mentre il secondo un semplice Spero che tu sia riuscita a tornare a casa in tempo.

Sorrise pensando a come due ragazzi tanto diversi potessero essere diventati amici: da una parte Keiji, silenzioso ma attento, premuroso e intelligente, all’apparenza maturo ma non perfetto come si potrebbe pensare, sempre presente e sempre pronto a rassicurare la squadra con la sua incrollabile pazienza; dall’altra Kotaro, irruente e impaziente, rumoroso e testardo, ma sempre generoso e disponibile a supportare i suoi compagni come capitano e amico, un concentrato di energia, a tratti infantile, ma capace di tirare fuori saggezza e maturità quando il gioco si faceva duro. 

Come lo ying e lo yang: due persone con caratteri diversi, quasi opposti, ma che sapevano bilanciarsi e che insieme erano davvero, come dicevano tutti, la forza della Fukurodani.

 

*

 

Era arrivata la Golden Week, una settimana in cui avrei finalmente potuto riposarmi, recuperare le ore di sonno perdute a causa degli allenamenti e continuare i miei giri turistici per la città. 

Magari avrei anche scritto a Kaori e Yukie per proporre loro un’uscita assieme per provare quel nuovo karaoke bar che avevano aperto vicino scuola, in cui Bokuto aveva più volte provato a trascinare la squadra dopo gli allenamenti, ma senza successo.

Sentii il telefono vibrare e vidi che, fatalità, la persona che mi stava chiamando era proprio lui.

“Nooooriiii-chaaan! Ho appena scoperto che Akaashi sarà a Nara per le vacanze, deve dare una mano nel ryokan dei suoi nonni o qualcosa del genere… ma mi aveva promesso che ci saremmo allenati per la partita di qualificazione al torneo del Kanto!” strepitò, e anche se non lo potevo vedere, sentendo il suo tono lamentoso, mi immaginai il suo mega broncio

“Bokuto-san, penso che se Akaashi è dovuto partire così all’improvviso sarà stato per via di un’emergenza o qualche altra questione familiare. Puoi sempre allenarti con Konoha e gli altri no?” risposi, trattenendo uno sbadiglio, la voce ancora impastata di sonno nonostante fosse ormai pomeriggio inoltrato

“Se Akaashi non può venire allora andrò io da lui… domani! Anzi, verrai anche tu! In due saremo più forti e potremmo convincerlo a tornare!” esclamò sicuro di se e del piano che si era immaginato

Avevo capito bene? Voleva andare a Nara e voleva che io lo accompagnassi? 

Stavo per rispondergli che non se ne parlava ma una vocina dentro di me si chiese se fosse davvero il caso di mandarlo da solo, e subito mi vennero in mente i possibili danni e guai che avrebbe potuto fare una volta arrivato lì alla ricerca del suo alzatore. 

Lo dovevo anche ad Akaashi in fondo, almeno se fossi andata con lui avrei potuto contenerlo e tenerlo sotto controllo convenni.

“E va bene ti accompagno, ma a patto che saremo di ritorno entro sera!” dissi, pensando a come mia madre e mia nonna avrebbero reagito se avessi detto loro che andavo fuori città con un ragazzo, soprattutto un senpai che giocava nella mia squadra di pallavolo.

Si sarebbero fatte strane, stupide, idee di sicuro.

Ma non avrei corso nessun pericolo se fossi riuscita a tornare a Tokyo entro sera.

O almeno questo era quello che pensavo.

 

 

 

 

- - -
 
N O T E
 

Grazie per essere arrivati fin qui!

Allora, intanto ringrazio chi ha voluto dedicare del tempo a questo mio esperimento, davvero, grazie!

Poi vorrei cogliere l'occasione per spiegare il motivo dietro alla scelta di alternare prima e terza persona (visto che la cosa ha scombussolato e colto di sorpresa alcuni di voi): la prima persona mi serve per essere introspettiva, per far parlare Nori, senza filtri, cercando di far trasparire il suo modo di ragionare e vedere le cose, se avessi scritto tutto secondo il suo POV penso che sarebbe risultato un po' pesante, un po' troppo monologo / flusso di coscienza / diario; la terza persona mi serve invece per spaziare, per prendere in prestito il POV di altri personaggi (e nei prossimi capitoli lo farò spesso) e anche per rendere la storia più oggettiva possibile. E' una scelta stilistica che ho deciso di adottare anche per sperimentare un po' visto che non scrivevo da anni, e posso dire che come espediente mi ha aiutato molto.

Se avete altri dubbi sono a disposizione!

Ancora grazie e a presto! 

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Capitolo 3
*** Maggio ***


M A G G I O

皐月

 

 tracks n°6-7-8  
chapter pic: 

Nori 1 ; 2 ; 3


La vista delle colline fiorite di Nara inondò i finestrini dello shinkansen mentre la cittadina si stagliava all’orizzonte, sempre più vicina e abbagliante, illuminata da un sole tiepido che donava un bagliore dorato al paesaggio e alla natura circostante.

Nori si tolse le cuffie e frugò nella tracolla alla ricerca della sua mirroless, decisa ad immortalare quello spettacolo da cartolina prima che il treno si immergesse nell’ennesima galleria.

Il russare sommesso del ragazzo seduto accanto a lei la fece voltare: Bokuto era crollato pochi minuti dopo la loro partenza da Tokyo e anche dopo il cambio del treno a Kyoto, e per tutte le ore di viaggio seguenti non si era mosso di un millimetro, il telefono abbandonato in grembo aperto sulla registrazione di una partita della squadra risalente all’anno scorso. 

Non si era svegliato neanche quando un bambino si era messo a piangere e a correre avanti e indietro saltando sui sedili e nemmeno quando Nori si era messa le cuffie con la musica al massimo volume per cercare di restare sveglia e non fare la sua stessa fine.

Lei infatti, a differenza di Kotaro, non riusciva proprio a dormire sui mezzi pubblici: da una parte temeva di non svegliarsi in tempo e di non scendere così a destinazione, dall’altra era rimasta traumatizzata quando alle elementari, al ritorno da una gita, si era addormentata sul bus con la bocca spalancata di fronte a tutta la classe e alcuni bambini le avevano scattato delle foto orribili di lei con un rivoletto di bava che le scendeva sul mento.

La stessa espressione beata e serena dipinta sul volto di Kotaro, intento a sonnecchiare placidamente. Vederlo in quello stato le fece venire un’idea e così, senza indugiare oltre, si chinò su di lui, decisa a scattargli qualche foto e a immortalare quel raro momento di calma che lo vedeva protagonista, lui, che non era mai capace di stare fermo o di trattenere le sue reazioni esagerate di fronte a qualsiasi cosa.

Stava per ritrarsi, quando la voce metallica che annunciava l’arrivo del treno presso la stazione di Nara la fece sussultare e finire addosso a lui. Cercò di tirarsi su ma Bokuto, che continuava a dormire imperterrito, la strinse al petto inconsciamente, sempre senza smettere di russare rumorosamente. Nori si sentì mancare il fiato da quanto vicino a sé l’aveva stretta e gli diede una piccola ma decisa gomitata che finalmente lo fece svegliare.

“Oh? Nori-chan? Che è successo?” le chiese sbadigliando e cominciando a stiracchiarsi “Uhm, ti eri addormentata su di me per caso? In effetti sono molto comodo come cuscino, non è vero?” aggiunse, guardandosi le braccia muscolose con aria compiaciuta

Lei fece finta di non averlo sentito e prese un respiro profondo, domandandosi come avrebbe fatto ad arrivare a sera senza perdere la pazienza con lui. 

 

*

 

Lo spiazzo di fronte al tempio Todaiji era gremito di gente, osservai mentre ero intenta a non perdere di vista Bokuto, che mentre parlava, anzi urlava, al telefono con Akaashi, gesticolava e si spostava in continuazione come una trottola impazzita.

Finalmente lo vidi chiudere la telefonata, sbuffando e incrociando le braccia al petto, lo sguardo infuocato, ma quella reazione durò giusto qualche secondo perché l’istante dopo lo intravidi sprofondare nel baratro di disperazione di cui ero stata testimone per la prima volta qualche settimana fa, la sua famosa modalità emo.

“Noooriiii-chaaan! Akaashi ha detto che non può proprio raggiungerci né tornare a Tokyo prima della partita di domenica perché deve aiutare i suoi nonni con il ryokan. A quanto pare hanno riaperto da poco dopo mesi di ristrutturazione, e lui essendo l’unico nipote non ha potuto dirgli di no” mi riferì dopo avermi raggiunto, la voce strascicata e lamentosa “Ma non è giusto! Mi aveva promesso che ci saremmo allenatiii” 

“Bokuto-san sono sicura che non è una decisione che è dipesa da lui, e poi hai ancora domani e dopodomani per andare in palestra e allenarti con gli altri. Puoi sempre chiedere ad Anahori-san di alzarti la palla e poi…” mi morsi le labbra consapevole del guaio in cui mi stavo cacciando, ma proprio non riuscivo a vedere e tollerare Bokuto in quelle condizioni, non se ci aspettava un viaggio di ritorno di 3 ore e mezza

“E poi…?” ripeté lui, guardandomi in attesa

“… se ti fa piacere ti lancerò io la palla, okay?” dissi tutto d’un fiato prima di poter cambiare idea

Bokuto sgranò gli occhi, guardandomi sorpreso, destandosi così dallo stato catatonico in cui era piombato, per poi sciogliersi in un sorriso soddisfatto mentre lanciava un pugno in aria con aria vittoriosa.

“Yattaaaa, grazieee Nori-taaaan!”

Pericolo scampato.

Lo guardai abbozzando un sorriso di riflesso, consapevole di come fosse facile comprarlo con poco.

Lanciai poi una veloce occhiata allo schermo del telefono per vedere l’ora: erano le due di pomeriggio ed eravamo ancora digiuni, forse facevamo in tempo a mangiare qualcosa al volo e a vedere il famoso parco dei cervi, l’unica attrazione che non volevo assolutamente perdermi. L’importante era riuscire ad arrivare in stazione in tempo per prendere il treno per Kyoto senza perdere la coincidenza con l’ultimo treno che da lì arrivava a Tokyo, che se non sbaglio era quello delle 18:30… o delle 18:45?

“Bokuto-san ti sei segnato gli orari del treno come ti avevo chiesto vero?” gli chiesi sospettosa

“Certo Nori-chin! Ho fatto la foto con il cellulare, puoi stare tranquilla! Ma ora non ci pensare, anche se Akaashi non ci può raggiungere non ho intenzione di sprecare questa giornata! Ti faccio fare un giro della città, ma prima andiamo a cercare qualcosa di buono da mangiare, sto morendo di fame!!” disse afferrando la mia mano e trascinandomi con sé

“Da che parte stiamo andando?” urlai, cercando di farmi sentire sopra il vociare della folla attorno a noi e il chiasso delle strade del centro, mentre tentavo con tutte le mie forze di stare al passo con quel tornado umano

“Ho sentito un profumino e sono sicuro che da quella parte ci sono dei banchetti di cibooo!”

Sospirai lasciandomi guidare da lui, sperando davvero che avesse ragione

 

*

 

Quando Nori aveva immaginato il suo incontro con i cervi di Nara si era fatta l’idea che si sarebbe trattato di qualcosa di molto carino, coccoloso e fotogenico, ma la realtà questa volta aveva superato ogni fervida immaginazione. 

Sì i cervi erano carini e coccolosi, ma erano anche aggressivi e affamati come lupi a digiuno si rese ben presto conto.

Per fortuna avevano deciso di pranzare nella via di banchetti di street food che Bokuto aveva letteralmente fiutato completamente a caso, e si erano abbuffati di yakisoba, senbei, spiedini di yakitori, cartocci di patate dolci e castagne bollenti e buonissime.

Non contento Kotaro, una volta arrivati al famoso Nara Park, si era pure comprato dello zucchero filato, che aveva insistito per far assaggiare a Nori, oltre ad un pacchetto di noccioline, con cui aveva tentato di attirare i cervi per aiutarla così a scattare qualche bella foto, finendo invece per venire assalito e accerchiato dagli animali.

“Resta fermo così, sì esatto proprio così!”

“Nori-chan sei sicura che i cervi non siano carnivori vero?” le chiese Bokuto, mentre cercava di non muoversi e spaventare i piccoli cerbiatti intenti a leccargli i resti di zucchero filato dalle mani appiccicose 

Lei scattò qualche altra foto, per poi rialzarsi.

“Beh dipende se ti trovano saporito” rispose scherzando, per poi scoppiare a ridere alla reazione drammatica ed esagerata di Bokuto, che fece scappare gli animali in un lampo

“Fammi vedere le foto che hai scattato!” le chiese, avvicinandosi

Le guardò da sopra la sua spalla, strabuzzando gli occhi sul piccolo schermo, sorridendo compiaciuto del risultato.

“Wow Nori-chan sono venute davvero bene! Ma se le scatti sempre tu non avrai mai una tua foto, no?”

“Perché dovrei volere una mia foto? So come è fatta la mia faccia” 

“Lo sai oggi, ma tra qualche anno scommetto che vorrai ricordare la tua versione liceale, giovane e spensierata!”  

“Intendi dire che tra qualche anno sarò già piena di rughe e decrepita?” rispose, stando allo scherzo, mentre lui nel frattempo si chinava a sfilarle di mano la fotocamera, per poi allontanarsi e cominciare a scattarle una foto dopo l’altra

“Bokutoooo! Che stai facendo!? Verranno tutte mosse così! Fermati subito!” esclamò Nori imbarazzata, cercando di acciuffarlo, mentre lui le saltellava intorno, sfuggendole 

“Te la restituisco solo se ti metti in posa e ti fai fare una foto” le disse, alzando la mirrorless sopra la sua testa mentre lei cercava di afferrarla 

“E va bene!” sospirò Shikako infine, mentre lui dall’alto dei suoi 185 cm di altezza sorrideva trionfante

 

*

 

Il parco aveva cominciato a riempirsi di frotte di turisti e gruppi di bambini scalmanati e rumorosi, per questo motivo decisi di ritenermi soddisfatta delle foto fatte e lasciai scegliere a Bokuto cosa fare dopo. Conosceva un po’ la città perché ci era già stato durante una gita alle medie, così finì per guidarmi attraverso un veloce giro turistico tra templi e vecchie stradine risalenti al periodo Edo, dove vie trafficate e ricolme di locande e caffetterie si mescolavano a zone più antiche e tranquille dove sorgevano statue buddhiste e santuari.

Stremati e nuovamente affamati ci fermammo nel quartiere di Higashimuki, dove si concentravano la maggior parte dei negozi della città, e ci mettemmo alla ricerca di qualche souvenir.

Tra le miriadi di oggetti a forma di cervo in vendita trovai una tazza molto carina per mia madre e un grembiule con le corna molto spiritoso per mia nonna, mentre a Yukie e Kaori presi due piccoli cerbiatti di stoffa fatti a mano e una cartolina che raffigurava un acquerello della città. Mi voltai per farla vedere a Bokuto ma mi accorsi che lo avevo perso di nuovo: continuava a fermarsi ad ogni banchetto comprando gli oggetti più stupidi e inutili che potesse trovare. Avevo cercato soprattutto di fermarlo dall’acquistare due cerchietti con le corna per Konoha e Akaashi e in cambio avevo dovuto accettare di farmi trascinare in una cabina di purikura, con risultati imbarazzanti.

“Noriiii-taan! Non ti vedevo più! Sono tornato indietro e ho deciso di prendere anche la felpa con quei cerbiatti molto carini per il coach Yamiji!” disse Kotaro con un’espressione felice e compiaciuta in viso, le braccia cariche di sacchetti colorati

Decisi che forse era meglio cominciare ad avviarci verso la stazione, per fermarlo così dal fare altri danni.

Ma poco prima dell’uscita dal distretto commerciale ci si parò davanti un enorme sala giochi, di fronte alla cui entrata troneggiava una gigantesca macchinetta ricolma di peluches. 

Non mi servì voltarmi per sapere che gli occhi di Bokuto stavano brillando per l’eccitazione, e che non ci saremmo scollati da lì per un po’.

Venti minuti e venti tentativi dopo lo stavo letteralmente pregando e strattonando per cercare di trascinarlo via da quell’aggeggio infernale.

“Solo un altro tentativo Norii-chaan, uno soltanto! Sono sicuro che questa è la volta buona” disse, poco prima di perdere di nuovo 

Lo vidi stringere i pugni e sbuffare esasperato, per poi imbronciarsi tutto d’un tratto, e fissare il pavimento con aria sconfitta. 

Ahia. Si metteva male.

“Bokuto-san mi è rimasto ancora un gettone, perché non proviamo a prendere un gashapon?” gli dissi, cercando di tentarlo e di catturare la sua attenzione

Lui sembrò darmi retta e si diresse verso la fila di macchinette contenenti i più disparati tipi di gadget, dagli animaletti più buffi ai personaggi delle serie anime e manga più famose, fermandosi non appena vide quello che gli interessava.

“Ehi Nori-chan, qua c’è scritto che si può trovare anche un portachiavi con un cervo dorato tra quelli disponibili! Te lo voglio regalare!!” disse inserendo il gettone e girando la manovella con decisione

Mi porse la pallina di plastica uscita, sorridendomi.

“È proprio perfetto per te, Shikako-chan (nda: “Shikako” vuol dire cervo in Giapponese)

La aprii, un po’ colpita da quel gesto inaspettato, per ritrovarmi in mano il cerbiatto più buffo che avessi mai visto, intento a sgranocchiare delle patatine, non certo la versione dorata a cui aspirava Bokuto.

“È dolcissimo” dissi ridendo divertita 

“Ma non è quello dorato, mi dispiaceeee!” esclamò lui, il tono abbattuto e contrito, lo sguardo basso

“È molto più bello, ti ringrazio” e per sottolineare quanto mi era piaciuto, lo attaccai subito alla tracolla che indossavo

Lui sembrò colpito da quella mia reazione e mi sorrise contento, senza aggiungere altro.

“Aaaah è tardi, sarà meglio avviarci verso la stazione!” esclamai, ricordandomi improvvisamente del viaggio di ritorno che ci attendeva “Fammi controllare un secondo gli orari del prossimo treno per Kyoto” aggiunsi voltandomi verso di lui, chinandomi sullo schermo del suo cellulare, aperto sulla foto del tabellone delle partenze fatta quella mattina

Scrutai l’immagine attentamente, sentendo il panico crescere sempre più, mentre mi rendevo lentamente conto della situazione in cui ci eravamo cacciati.

“Nori-chin tutto bene? Sei diventata pallida!”

“B-Bokuto-san, gli orari che hai fotografato e che mi hai detto stamattina sono quelli per i giorni feriali” dissi cercando di non perdere la calma

“Sì e allora?”

“Oggi è giovedì ma siamo durante la Golden Week quindi è festivo, e secondo questo tabellone l’ultimo treno di oggi diretto a Kyoto, e che ha la coincidenza per Tokyo, è partito mezz’ora fa” conclusi mentre sentivo la disperazione salire

Ero davvero rimasta bloccata a Nara con Bokuto?!

 

*

 

L’insegna del ryokan Mikasa, incisa su una tavola di legno verniciata di fresco e illuminata dalla flebile luce di alcune lanterne colorate, diede il benvenuto ai due liceali che sostavano in attesa davanti all’entrata. 

Dopo qualche istante la porta scorrevole si aprì alle loro spalle, facendoli sussultare.

“Oh siete arrivati, venite pure dentro” disse Akaashi scrutandoli, sorpreso da quello strano silenzio, soprattutto da parte di Bokuto, che si limitò a seguirlo dentro il locale senza proferire parola

Nori rimase un po’ indietro, ripensando alla telefonata di poco prima con sua madre, sentendosi in colpa per la bugia che si era dovuta inventare.

“In che senso sei a Nara? Nori va tutto bene? Stamattina quando sei uscita presto pensavo che andassi a fare uno dei tuoi soliti giri per i quartieri! Cosa ci sei andata a fare e perché non torni stasera?” la voce di sua madre tradiva una nota di preoccupazione, visto che non era da lei prendere un treno e farsi 500 km senza avvertire nessuno

“Te l’ho detto, mi ha chiamato una delle altre manager del club di pallavolo chiedendomi se volevo raggiungerla in giornata, visto che lei è qua dai nonni, non ho controllato bene gli orari e ho perso la coincidenza per Tokyo… così mi ha proposto di fermarmi a dormire da lei! Domani prendo il primo treno per tornare, non preoccuparti” le rispose, cercando di essere credibile e pregando che sua madre non insistesse oltre

“Non mi convince molto questa storia... però per questa volta va bene, ma che non ricapiti più che non mi dici dove vai signorina! Tua nonna aveva pure preparato il tonkatsu che ti piace tanto! Vedi di non prendere freddo e domani fatti sentire appena prendi il treno!”

“Va bene, buonanotte” 

Shikako aveva chiuso la chiamata tirando un sospiro di sollievo, per poi incantarsi a fissare lo schermo, sovrappensiero: da quando si erano trasferite sua madre le aveva lasciato molte libertà, limitandosi a tenerla d’occhio da lontano, uno sguardo vigile, sempre presente e sempre pronto ad intervenire. Questo perché sapeva che dopo l’esperienza con suo padre, e con la sua morbosa disciplina e ferreo controllo, Nori aveva bisogno di respirare e di crearsi i propri spazi, e di riprendere così in mano quella vita che per troppo tempo aveva messo da parte.

E di questo lei gliene era grata.

Bokuto si voltò a guardarla Shikako, mentre Akaashi li guidava tra i corridoi e le stanze del ryokan.

Si sentiva ancora terribilmente in colpa per la situazione che aveva creato: era sempre il solito sbadato che non riusciva a combinarne mai una giusta. Anche se si era scusato con lei e aveva subito pensato ad una possibile soluzione, il pensiero di averla delusa non lo aveva abbandonato un istante, tormentandolo come un chiodo fisso.

Si diede ancora dell’idiota pensando che l’unica cosa buona che era riuscito a fare era stata quella di chiamare Akaashi, come sempre. 

Ricorreva sempre a lui quando c’era un problema, anche fuori dal campo sembrava incapace di farcela da solo. Questa considerazione lo intristì ancora di più, come anche il pensiero che quando qualcosa sfuggiva dal suo controllo era solo capace di arrabbiarsi con sé stesso o deprimersi; ma in quel caso non gli sembrava corretto starsene zitto ed autocommiserarsi, si sentiva in dovere di dire o fare qualcosa, ma non sapeva cosa.

Voleva parlare con Nori e farle capire quanto fosse dispiaciuto, non tanto per l’incidente degli orari di cui si era già enormemente scusato, quanto di aver finito per rovinare la bella giornata trascorsa assieme, quelle ore spensierate che gli avevano dato modo di continuare a conoscerla sotto una luce diversa, che andava oltre ai fugaci momenti e alle poche parole che si scambiavano durante gli allenamenti, e che gli avevano permesso di vederla per la persona che era davvero e che sembrava voler tenere nascosta agli occhi degli altri. Era come se si stesse impegnando con tutta se stessa a non lasciar trapelare quello che in realtà era il suo carattere, come se se ne vergognasse o avesse timore a rivelare apertamente.

Non sapeva spiegarselo ma di una cosa era certo: voleva continuare a conoscerla e riuscire a tirare fuori quella luce che sembrava celare, e che aveva intravisto quel pomeriggio, spiragli nascosti tra i sorrisi e le risate che era riuscito a strapparle.

“Purtroppo essendo in piena Golden Week siamo al completo ma, Nori-san, puoi usare la mia stanza per stanotte, mentre io e Bokuto staremo nel piccolo alloggio che di solito usa il personale quando si ferma a dormire qua, stasera è vuoto quindi non è un problema” disse Akaashi aprendo la porta scorrevole davanti cui si erano fermati “Nell’armadio c’è un futon pulito e altre coperte se dovessi avere freddo, mentre per quanto riguarda lo yukata e i geta mia nonna dovrebbe portarteli a breve. I bagni invece sono in fondo al corridoio, prima porta a destra” concluse, trascinando Kotaro fuori dalla stanza e lasciando Shikako da sola, per la prima volta da quella mattina

 

*

 

Strinsi al petto il piccolo asciugamano, o meglio, il piccolo pezzo di stoffa che mi copriva, mentre aprivo titubante la porta dei bagni femminili e venivo avvolta da una nuvola di vapore e umidità. Sia gli spogliatoi che le postazioni dei bagni erano stranamente deserte, ma effettivamente era ora di cena e forse in quel momento gli ospiti del ryokan erano tutti nelle loro stanze, intenti a gustarsi i manicaretti della locanda. A quel pensiero sentii il mio stomaco gorgogliare, ma poco importava, ora la mia attenzione era solo per il bollente bagno caldo che mi stava aspettando. 

Mi lavai velocemente e dopo aver ripiegato l’asciugamano su uno sgabello vicino, mi diressi verso lo specchio d’acqua fumante che si trovava alle estremità opposta della stanza. Mi immersi con cautela nell’acqua bollente, sentendomi sciogliere centimetro dopo centimetro, i pensieri e ogni nodo del mio corpo che scivolavano via come gocce di umidità, mentre percepivo la testa annebbiarsi come la nuvola di vapore che mi circondava.

Non ero mai stata alle terme, nemmeno in Canada, ma avevo sempre sognato di provare quest’esperienza prima o poi. E ora sapevo che l’attesa ne era valsa la pena: mi sentivo completamente in pace con il mondo, come quando mi addormentavo sotto il tepore del kotatsu alla massima temperatura.

Cercai di tenere gli occhi aperti, anche se sentivo la stanchezza prendere sempre più il sopravvento, e notai che la vasca in cui mi ero immersa proseguiva fino ad uscire dagli interni del ryokan, terminando in una recinzione in legno di bambù che la proteggeva dalla vegetazione circostante.

Con le palpebre sempre più pesanti ed il corpo sempre più leggero, provai finalmente a rilassarmi. 

 

*

 

“Bokuto-san se non ti decidi ad entrare in acqua finirai per prenderti un raffreddore” disse Akaashi, posizionandosi sotto uno dei getti di acqua calda che usciva dalle rocce che costeggiavano l’immensa vasca

Kotaro gli lanciò l’asciugamano che gli circondava la vita, centrandolo in pieno, e con parecchi schizzi si immerse nell’acqua bollente.

Vedendolo stranamente taciturno Keiji lo osservò più attentamente, mentre diverse ipotesi gli attraversavano la mente.

Sicuramente si sentiva in colpa per quello che era successo con Nori, però, più che essere depresso come al suo solito, era assorto e silenzioso, come assorbito dai suoi stessi pensieri, cosa abbastanza preoccupante per qualcuno come Bokuto, abituato a dire sempre qualsiasi cosa gli passasse per la testa, per quanto idiota o senza senso potesse essere.

Il Bokuto che conosceva bene ora avrebbe sbuffato e si sarebbe lamentato, lo avrebbe disturbato e implorato di dargli una mano, ma sembrava che non sarebbe stato così quella volta.

Decise di tastare il terreno e provare a strappargli di bocca qualche indizio su ciò che lo tormentava.

“Spero che Nori-san si stia godendo le terme, a quest’ora la maggior parte degli ospiti starà cenando quindi avrà la vasca tutta per sé”

“Vuoi dire che oltre la recinzione di bambù ci sono i bagni femminili?” chiese Bokuto guardandosi intorno

“Sì, e mi pare di averla vista entrare negli spogliatoi poco prima di noi”

“Allora provo a chiamarla magari mi sente! Nooriiii-chaan!”

La voce di Kotaro riecheggiò tra i pannelli di legno che ricoprivano la parte interna della stanza, per poi perdersi nel cielo scuro e nebbioso.

“Forse se n’è già andata o si sta ancora lavando”

“O forse non vuole parlarmi…” rispose lui, sospirando pesantemente

“Bokuto?” la flebile voce di Nori li raggiunse pochi istanti dopo, un eco lontano e quasi impercettibile

Kotaro si avvicinò alla recinzione che divideva le due vasche, intravedendo l’ombra della sua schiena nuda appoggiata alla palizzata, la testa che ciondolava sul petto e sfiorava la superficie dell’acqua

Non sapeva cosa dirle così si limitò a darle la schiena, appoggiandosi al divisorio che li separava.

Shikako si voltò leggermente, avendo notato l’ombra che la sagoma alle sue spalle aveva proiettato di fronte a lei. Si sentiva un po’ in colpa per il trattamento del silenzio che aveva riservato a Bokuto, in fondo non era da lei reagire così, e non voleva certo rovinare il ricordo di quella giornata e dei bei momenti trascorsi insieme, eppure si era intestardita nel non cadere subito vittima del suo umore altalenante. Aveva notato la sua titubanza e lo sguardo basso che ogni tanto cercava il suo, ma non poteva farlo sempre vincere, voleva lasciarlo soffrire un po’, solo un altro po’, prima di perdonarlo come ormai si era abituata a fare.

Era così vicino che il suo sospiro caldo le arrivò sul collo, facendola rabbrividire.

Si immerse completamente, sentendo la pelle bruciare, anche se i brividi non sembravano comunque volerla abbandonare.

Faceva troppo caldo, tanto che le sembrò di essere sul punto di sciogliersi, il vapore che la circondava sempre più soffocante e denso, tanto da toglierle il fiato e annebbiarle la vista.

Bokuto si voltò di scatto sentendo che qualcosa non andava, e intravide il vuoto dove prima c’era la schiena di Shikako.

“Akaashiii! Non vedo più Nori-chan, era qui un secondo fa!” esclamò, allarmando Keiji, che lo raggiunse per cercare di capire il perché di tanto chiasso

“Che vuoi dire?”

“Ti giuro che era qui, l’ho vista davvero! E ora non c’è più, forse si è sentita male!”

“Bokuto-san l’hai spiata? Sei davvero un pervertito” il rimprovero di Akaashi non sembrò scalfirlo minimamente

“Fammi salire sulle tue spalle così vedo cos’è successo” disse Kotaro avvicinandosi a lui

“Sei impazzito? Non intendo appoggiarti stavolt-“

“Akaaashii per favoreee” lo supplicò lui

“Non se ne parla, ma se ci tieni tanto vado a chiamare mia nonna e le chiedo di andare a controllare”

 

*

 

“Lasciatela respirare, su! Poverina ha bevuto un bel po’ d’acqua ed era ridotta ad un cencio quando l’ho tirata fuori dalla vasca” disse una voce femminile che non conoscevo alle mie spalle

Sentivo il corpo intorpidito e rigido, la gola secca e gli occhi bruciarmi, ma mi sforzai lo stesso di aprirli.

“Noriii-chaan! Ti sei ripresa!” urlò Bokuto, svegliandomi del tutto

“Che mi è successo? Dove sono?” cercai di dire, portandomi una mano al collo per il fastidio che parlare mi arrecava

“Tieni cara, questo ti aiuterà a tirarti un po’ su” disse quella che riconobbi come la nonna di Akaashi

Presi dalle sue mani la piccola tazza di ceramica bianca che mi porgeva, contenente un liquido trasparente all’apparenza caldo che buttai giù in un sorso, rendendomi solo in quel momento conto di quello che avevo appena trangugiato.

Vidi Akaashi osservarmi leggermente sconcertato.

“Nori-san sei svenuta dentro la vasca termale, ma per fortuna Bokuto se ne è accorto e mia nonna ti ha recuperato in tempo” tentò di spiegarmi, senza smettere di scrutarmi 

Sentii le guance bollenti, sia per l’imbarazzo, sia per il sake appena bevuto, mentre mi sforzavo di voltarmi verso Bokuto, decisa a ringraziarlo. Ma quel piccolo movimento mi provocò delle vertigini tali da obbligarmi ad aggrapparmi alla prima cosa che mi si parò davanti, in quel caso il braccio teso di Kotaro.

“Hey, hey, hey, Nori-chin! Stai attenta, devi riposarti!” mi disse, aiutandomi a stendermi per poi avvicinare pericolosamente la sua fronte alla mia

“Akaashiii, mi sembra calda, non è che ha la febbre?”

“Bokuto-san è stata appena tirata fuori da una vasca a 40 gradi, sarebbe preoccupante se non lo fosse” gli rispose lui per poi alzarsi e trascinarlo con sé “Nori-san cerca di riposarti un po’, torniamo dopo con qualcosa da mangiare” 

Annuii e chiusi gli occhi, sentendo i primi effetti dell’alcool cominciare a fare effetto sul mio corpo indolenzito.

 

*

 

La stanza era buia e silenziosa quando Nori si destò da quello che le era sembrato un sonno lunghissimo. Guardò il cellulare e si rese conto che non era neanche mezzanotte, eppure si sentiva meglio, ogni minima traccia di stanchezza come svanita. 

Si rialzò con cautela, massaggiandosi la testa che le pulsava; il fastidio alla gola e le vertigini di prima in compenso sembravano essere scomparse, lasciando al loro posto un senso di piacevole mollezza.

Notò il piccolo vassoio laccato adagiato vicino al futon e vista la fame ne divorò il contenuto in pochi minuti, senza lasciare nemmeno un singolo chicco di riso. 

Non voleva né si sentiva in grado di riaddormentarsi, così si alzò, e dopo essersi stiracchiata, uscì nel corridoio deserto, decisa a prendere una boccata d’aria.

Aveva intravisto dei giardini dalla vasca degli onsen ma non sapeva minimamente come raggiungere il cortile del ryokan. 

Stava per tornare sui suoi passi, quando sentì delle voci attutite provenire da una stanza alla sua sinistra.

“Bokuto-san abbiamo rivisto il filmato dell’ultima partita dell’Itachiyama abbastanza per oggi, forse è meglio se andiamo a dormire”

“Ma Akaashiii, Kuroo mi ha detto che sia Sakusa che Komori gli hanno dato del filo da torcere l’ultima volta che hanno giocato assieme… devono essere migliorati dallo scorso semestre!” 

Nori sorrise, sollevata nel saperli ancora svegli, e aprì leggermente la porta scorrevole attenta a non fare rumore.

“Posso farvi compagnia?” chiese, sentendosi stranamente attiva e piena di energia, qualcosa di relativamente strano per lei, soprattutto vista l’ora

“Ehi Nori-chan! Ti sei ripresa alla grande!! Mettiti pure qua!” disse Bokuto, facendole spazio sul futon su cui erano seduti

Lei annuì, avvicinandosi, mentre la sua attenzione veniva catturata dal video che Kotaro stava osservando avidamente. Cominciò subito a subissarlo di domande e a reagire in modo entusiasta, presa dal ritmo della partita.

“Wow i jump serve di quel giocatore, Sakusa, sono davvero potenti! È riuscito a fare 3 punti di fila nonostante il break, pazzesco!”

“Sìì hai visto!? Per fortuna io e Konoha siamo riusciti a rompere il ritmo altrimenti gli avremmo regalato il set point!”

“E invece questo è il famoso Komori, il miglior libero liceale!”

“Ha fermato un sacco di miei ace, lui e Sakusa sono davvero una coppia fortissima, non vedo l’ora di affrontarli di nuovo!”

Akaashi li guardava in disparte, troppo stanco per dar loro corda, colpito dallo strano atteggiamento di Shikako che normalmente non era solita alimentare l’entusiasmo di Bokuto. Aveva intuito che fosse un’appassionata di pallavolo, altrimenti non si sarebbe potuto spiegare lo sguardo rapito e concentrato con cui osservava ogni loro mossa durante gli allenamenti e le partite: non come Yukie e Kaori che li scrutavano più per dovere, ma come se il gioco la prendesse sul serio.

Eppure non l’aveva mai vista così su di giri e partecipativa, ma forse era perché si conoscevano ancora da poco tempo, e lui era stato troppo frettoloso nel giudicarla.

“Nori-chin ti va di guardare anche la registrazione di quando abbiamo stracciato il Nekoma 3-0? È una partita del primo anno, una delle prime contro Kuroo… ma sapessi come si arrabbia quando la nomino!” disse Bokuto ghignando tronfio

“Cert-“

“Forse è meglio se proviamo tutti a dormire un po’ visto che sono quasi le due, e domani avete un treno da prendere in mattinata” propose Akaashi per evitare di sorbirsi altre due ore di urla e schiamazzi da parte di quella strana coppia di esaltati

“E dai Akaaashiiii, altri 5 minutiii” lo pregò Bokuto

“Sì altri 5 minuti Akaashi-kun” aggiunse Nori

Keiji, preso in contropiede, si vide costretto a lasciarli vincere, ormai sempre più sorpreso dalla piega che aveva preso la situazione, oltre che dal comportamento di Shikako. 

Era abituato a gestire Bokuto, ma gestirne due era troppo anche per lui, convenne sospirando.

“Brrr ma in questa stanza si congela o sbag-“ disse Nori, terminando la frase con un piccolo starnuto

“Nori-tan devi aver preso freddo, tieni, mettiti la mia felpa” le rispose Bokuto allungandogliela, per poi aiutarla ad infilarsela vedendola impacciata

Lei lo assecondò volentieri, sentendo il corpo improvvisamente pesante, i movimenti come rallentati, senza capirne il motivo. 

Stava per ringraziarlo, quando lo sentì sfiorarle la nuca nel tentativo di spostarle le ciocche di capelli rimaste incastrate nel cappuccio, un tocco bollente che la fece sussultare.

Lui allontanò la mano nel vederla sobbalzare, ma lei gliela afferrò prontamente e prima di potersi rendere conto di ciò che stava facendo se la portò sul viso, appoggiandosela sulla guancia.

“Sei davvero bollente… sei sicuro di non essere tu ad avere la febbre?” disse sorridendogli

Kotaro si immobilizzò all’istante, incapace di sfilarsi da quel tocco, come se avesse dimenticato come muoversi. Per la prima volta forse in vita sua, era in una situazione dove la sua incrollabile sicurezza e determinazione sembravano averlo momentaneamente abbandonato.

Akaashi guardò entrambi, preso dal panico, non sapendo su chi intervenire prima: da una parte c’era Nori che, ora ne aveva avuto la certezza, sembrava stesse smaltendo ancora i postumi del sake offertole prima da sua nonna, e che andava fermata prima che iniziasse a fare qualcosa di cui a mente lucida si sarebbe sicuramente pentita; dall’altra c’era Bokuto, che sembrava come essersi rotto, preso completamente in contropiede dal gesto di Shikako. Vederlo ridotto così, senza parole e incapace di reagire, era davvero un avvenimento più unico che raro, pensò Keiji, trattenendo un sorriso, visto che non aveva mai visto il suo capitano in condizioni simili. 

“Ehm, Nori-san forse è meglio se ti accompagno nella tua stanza” suggerì Akaashi, guardandola rialzarsi ubbidiente

Si rimise in piedi sentendo dopo qualche istante le vertigini assalirla di nuovo, facendole perdere l’equilibrio, ma prima che potesse cadere sentì due braccia afferrarla prontamente: Bokuto pareva essersi ripreso, anche se sembrava evitare il suo sguardo. 

“S-se vuoi, p-posso portarti in braccio…” le suggerì, dandole la schiena e inginocchiandosi, pronto a caricarsela sulle spalle

Lei acconsentì senza fiatare, sentendo improvvisamente tutta la stanchezza accumulata piombarle addosso come un macigno.

Akaashi li guardò senza sapere cosa dire, facendosi da parte e continuando a osservarli fino a che non lì vide scomparire nel buio del corridoio. 

Era davvero imbarazzo quello che aveva letto nello sguardo sfuggente e nella voce tremante di Bokuto?

 

*

 

Non ricordavo come ero ritornata nella stanza di Akaashi, e come ero finita sotto le coperte del futon caldo.

La notte precedente mi tornava in mente sotto forma di ricordi spezzati e confusi: io che riprendevo conoscenza dopo essere svenuta alle terme, io che mi svegliavo da un lungo sonno e cenavo da sola nella stanza, io che vagavo per il ryokan silenzioso. Poi in modo ancora più vago ricordavo le riprese di una partita, le urla e l’entusiasmo concitato di Bokuto, la sua mano bollente sfiorarmi, la sua schiena, e poi il suo sguardo preoccupato e la buonanotte sussurrata poco prima di perdere conoscenza e addormentarmi.

Mi convinsi che probabilmente stavo mescolando sogno e realtà, ma quando mi decisi a tirarmi su, e ad abbandonare il caldo tepore delle lenzuola, notai la felpa che indossavo sopra lo yukata e alcuni dubbi cominciarono ad assalirmi. 

Cercai di ricordare meglio cosa fosse successo esattamente, ma sentii la testa pulsare flebilmente: sicuramente erano i postumi del sake bevuto ieri, non amavo ne tolleravo molto l’alcool, e questo forse poteva spiegare i ricordi confusi della notte scorsa. 

Pregai mentalmente di non aver fatto niente di particolarmente imbarazzante, ricordavo ancora cosa era successo l’anno prima del mio ritiro dalla squadra di pallavolo: una sera, dopo gli allenamenti, alcune delle ragazze più grandi avevano portato di nascosto alcune lattine di birra per festeggiare la qualificazione alle interregionali, costringendoci tutte a berne un sorso, e la serata era finita con me che mi rotolavano nella neve in shorts, prendendomi così la peggior influenza della mia vita.

Ripiegai la felpa di Bokuto con un sospiro, sperando che ne lui ne Akaashi provassero a tirare fuori l’argomento a colazione.

 

*

 

La stazione di Kyoto cominciava a scomparire sempre più dal finestrino dello shinkansen su cui Nori era appoggiata, mentre il paesaggio davanti a lei si trasformava rapidamente, passando da case e palazzi a colline e foreste, schizzi di colori che illuminavano il cielo grigio e terso.

Bokuto la osservava sovrappensiero, lo sguardo che scivolava dai suoi capelli lunghi e scompigliati, così soffici e vaporosi, alle sue mani, con cui stava giocherellando nervosamente. 

Gli piaceva guardarla in quei momenti in cui sembrava abbassare la guardia, persa in pensieri lontani o semplicemente annoiata, gli sembrava di cogliere un suo lato intimo e nascosto. 

Distolse lo sguardo non appena si accorse che si era voltata nella sua direzione lanciandogli un’occhiata interrogativa.

“Bokuto-san, va tutto bene? È da stamattina che sei strano” 

“Strano?”

“Sei preoccupato per la partita di domenica?”

“Mmm sì esatto! Sarà meglio che ripassi gli schemi e riguardi le ultime partite che mi ha passato Yukippe” disse lui cercando di concentrarsi sullo schermo che teneva in mano

“Va bene, allora io provo a chiudere gli occhi per qualche minuto, se mi addormento svegliami subito” 

Lui annuì, lanciandole un’ultima occhiata prima di tornare con la mente all’incontro che aveva messo in pausa.

Dopo qualche istante si accorse che si era addormentata davvero, le labbra leggermente schiuse, un’espressione serena sul viso. 

Decise di non svegliarla e vedendo la testa ciondolarle in avanti si avvicinò con delicatezza a lei, fino a quando Nori finì per appoggiarsi alla sua spalla, sospirando soddisfatta nel sonno. 

Kotaro tornò a concentrarsi sulla partita sullo schermo, sentendosi stranamente di buon umore.

 

*

 

“Nori-chin, siamo quasi arrivati!” la voce di Bokuto, così vicina, mi colse di sorpresa, facendomi aprire gli occhi di scatto  

Mi ero addormentata davvero, pensai con una punta d’ansia, maledicendo il ragazzo che rideva di fianco a me, mentre mi asciugavo le labbra leggermente umide di saliva.

“Scusami Nori-chan non volevo spaventarti!”

“Avevi promesso che mi avresti svegliata” dissi guardandolo malissimo

“Ma sei così carina quando dormi, hai pure un rivoletto di bava… guarda qua” disse girando lo schermo del cellulare che teneva in mano e mostrandomi una foto di me che dormivo beatamente appoggiata a lui. 

“Non vedo l’ora di farla vedere a-“

“Bokuto. Cancellala. Subito.” scandii, tentando di mascherare la nota di supplica nascosta in quella mia richiesta, mentre sentivo le guance andarmi letteralmente a fuoco “Se non la cancelli immediatamente mostrerò a tutta la squadra un video di te che russi!” lo minacciai, sperando di suonare convincente

“Oh fai pure, tanto mi hanno visto in condizioni peggiori. E poi io non russo!” aggiunse sbuffando, anche se la situazione sembrava divertirlo

Cercai di sostenere il suo sguardo, per poi decidere di optare per la mia tecnica preferita: l’indifferenza.

“E va bene, mostrala pure a chi vuoi, tanto non mi importa”

“Oh okay, allora intanto la mando ad Akaashi e poi sul gruppo, e li saluto anche da parte tua. Ecco fatto!” esclamò soddisfatto

Non ci era cascato. 

Aveva davvero mandato la mia foto sulla chat della squadra?! 

Non avevo detto niente a Kaori e Yukie di quella gita fuoriporta, ora ero sicura che mi avrebbero ucciso, tartassandomi di domande, ne ero certa.

Ci avrei pensato dopo, conclusi sospirando, cercando di ignorare Kotaro, vedendo finalmente comparire i contorni della periferia della capitale dal finestrino. 

Sembrava come se mancassimo da giorni. 

Eppure ero contenta di averlo seguito in quella strana avventura: quei momenti insieme erano stati come una boccata d’aria fresca per me, e di questo gliene ero grata. 

La me di un anno fa probabilmente non avrebbe accettato la sua proposta, ma la me di un anno fa non conosceva Bokuto e la sua cocciutaggine, pensai sorridendo.

Non sapevo come spiegarlo ma stargli vicina mi faceva venire sempre più voglia di uscire dalla mia confort zone, di buttarmi a capofitto nel mondo e di seguirlo nelle idee fuori di testa che gli passavano per la mente.

Nonostante lo conoscessi da poco, stare in sua compagnia mi faceva sentire bene, mi dava sicurezza, come se mi trovassi al posto giusto, al momento giusto.

Mi voltai per guardarlo di sottecchi mentre con sguardo concitato seguiva l’ennesimo replay, e dentro di me pensai che volevo davvero conoscerlo meglio: volevo osservare da vicino tutte le sfaccettature del suo carattere, le sfumature che avevo intravisto e che desideravo vedere ancora. 
  

 

 

 

- - -
 
N O T E
 

Grazie per essere arrivati fin qui!

Ringrazio sempre chi ha voluto dedicare del tempo a questo mio esperimento, davvero, grazie!

Vorrei fare giusto due piccole precisazioni.

Bokuto chiama Nori “Nori-chin”, “Nori-chan” o “Nori-tan” allo stesso modo in cui storpia sempre il nome di Akaashi e chiama Yukie “Yukippe”: adora dare nomignoli a tutte le persone che conosce, inoltre questi suffissi, -chan/-chin/-tan vengono usati spesso come vezzeggiativi, mentre –san è il suffisso che normalmente si usa tra conoscenti o anche amici, attaccato al cognome, visto che in Giappone chiamarsi per nome è qualcosa di molto intimo, fatto solo tra familiari o in una coppia.

Mi scuso per eventuali errori di grammatica o di formattazione, in questi primi capitoli ero più che mai arrugginita XD

Quando ho pensato al nome del ryokan dei nonni di Akaashi ho deciso di dargli un nome legato alla pallavolo, Mikasa ovvero uno dei marchi produttore di palle più famoso e usato in ambito professionale e non, non pensavo potesse esistere davvero un posto con questo nome a Nara, e invece esiste eccome ed è esattamente quell’immagine di ryokan tradizionale che avevo in mente.

Se c’è qualche passaggio poco chiaro indicatemelo pure, ho cercato di fare delle ricerche per ricreare fedelmente un’ambientazione nipponica, non so se è necessario che inserisca delle note per ogni termine giapponese inserito ma in caso provvedo volentieri.

Grazie e a presto J

Mel

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Capitolo 4
*** Giugno ***


G I U G N O

水無月

 

 tracks n°9-10-11  
chapter pic

Nori 1 ; 2 ; 3

 

L’estate stava finalmente arrivando anche a Tokyo, pensò Nori, grata delle ultime giornate di sole dopo settimane di piogge e tediose nuvole, sfilandosi la divisa scolastica e appoggiandola sulla sedia della scrivania.

Le sembrava strano essere a casa quel pomeriggio: il club aveva sospeso gli allenamenti per un paio di giorni visto che i membri del terzo anno erano in gita scolastica, e dato che erano rimasti solo in quattro il coach aveva deciso di concedere loro qualche giornata di pausa. In fondo, dopo il torneo del Kanto conclusosi a inizio mese e le ultime amichevoli, avevano tutti bisogno di riposarsi un po’ prima di buttarsi a capofitto negli allenamenti pre-qualificazioni per l’Interhigh e i Nazionali.

Si lanciò sul letto, pregustando le ore di libertà e relax che la attendevano, quando sentì il cellulare vibrare.

“Mamma? Tutto bene?” rispose, stranita dal fatto che sua madre la chiamasse dal lavoro

“Nori sei già tornata a casa? Era oggi che mi avevi detto che non dovevi andare al club giusto?”

“Sì, perché?” 

Quella strana richiesta cominciò a insospettirla.

“Oh bene, perfetto! Senti, mi faresti un favore? Nello sgabuzzino vicino alla mia camera c’è uno scatolone con i miei vecchi attrezzi e materiali dei tempi dell’università. Se guardi bene dovresti trovare una sacca di tela con alcuni pennelli… me li porteresti per favore?”

“Intendi ora? A scuola da te?” 

Nori cominciò a farsi prendere dal panico, vedendo sfumare il suo pomeriggio libero.

“Sì, sono ancora in aula insegnanti e ne avrò fino a stasera, non riesco proprio a passare da casa prima. Dai, in fondo non hai impegni, no? Ti mando la posizione dell’istituto così non hai scuse per fare tardi! Ti aspetto qui pigrona!”

Nori sospirò, incassando la sconfitta, scorrendo le indicazioni che l’avrebbero portata alla Nekoma High.

 

*

 

Strinsi a me la tracolla a cui avevo legato la sacca di tela carica di pennelli, mentre mi avviavo verso la palestra dove mia madre mi aveva dato appuntamento. 

Avevo cercato di evitare una situazione simile da mesi, da quando una sera, poco dopo il nostro arrivo a Tokyo, mi aveva candidamente raccontato di come avesse accettato di diventare l’insegnante di riferimento del club di pallavolo della sua nuova scuola. 

L’idea che avrei potuto imbattermi in lei in quella cornice era fin troppo imbarazzante da poter accettare, così, quando Kaori aveva proposto a me e Yukie di dividerci le presenze alle amichevoli con le altre 3 squadre che facevano parte del Fukurodani Academy Group, mi ero subito offerta volontaria per coprire le partite contro la Shinzen, ed evitare così di incontrare il Nekoma. 

Ma sapevo che era solo questione di tempo e che non avrei potuto rinviare ancora per molto quel momento, e così infatti era successo.

Ero quasi arrivata a quella che mi era stata indicata come la palestra del club di pallavolo, quando intravidi un gruppo di ragazzi capeggiati da mia madre, che una volta accortasi della mia presenza cominciò a chiamarmi a gran voce, facendo voltare tutti i presenti nella mia direzione.

Cercai di raggiungerli, sforzandomi di nascondere il mio crescente imbarazzo, sperando di non inciampare proprio in quel momento, mentre sentivo addosso gli occhi di tutti.

“Per fortuna ce l’hai fatta! Ragazzi, lei è mia figlia, Shikako Nori, ed è stata così gentile da prestarsi come volontaria per aiutarvi a finire di imbiancare la palestra! Visto che vi siete offerti di finire i lavori entro oggi per poter riprendere al più presto gli allenamenti, ho pensato che due braccia e qualche pennello in più vi avrebbero fatto comodo!” esclamò lei, avvicinandosi per sfilarmi la sacca di tela che le avevo portato, per poi distribuire gli attrezzi ai presenti, che ancora non avevano smesso di fissarmi

Io rimasi immobile, sentendo il sangue gelarsi nelle vene: mi aveva incastrato ancora una volta e io ci ero cascata in pieno. Come avevo potuto essere così ingenua?!

“Shikako-sensei, la ringraziamo per il suo supporto, entro oggi riusciremo sicuramente a finire le ultime due facciate esterne così da poter riaprire il club già domattina” disse un ragazzo che riconobbi essere Kuroo Tetsuro, il capitano della squadra, di cui Bokuto mi aveva lungamente parlato in diverse occasioni

“Ottimo! Bene, vi lascio Nori, non strapazzatemela troppo mi raccomando!” concluse ridacchiando, prima di congedarsi e scomparire in direzione dell’edificio principale

La fulminai con lo sguardo, pensando tra me e me al modo in cui gli avrei fatto scontare questa infida trappola in cui mi aveva cacciata.

“Shikako-san! È un piacere conoscere finalmente un’altra persona con origini straniere! Sono Haiba Lev e sono per metà russo, tu sei mezza canadese vero? Come mai hai lo stesso cognome di tua madre Shikako-sensei?” disse un ragazzo alto, dagli occhi azzurri e dai lineamenti chiaramente non giapponesi

“Lev, è appena arrivata e hai già cominciata a importunarla?!” disse un ragazzo più basso, mollandogli una ginocchiata piuttosto potente negli stinchi

“Ma Yaku-san! Volevo solo essere amichevole!” 

“Così la farai scappare! Non sai parlare con le ragazze?!”

“Bè, a quanto pare neanche tu ci sai parlare visto che non hai mai avuto una fidanzata, o sbaglio?” disse Lev, rispondendogli per le rime

“Brutto id-“

“Su, su, ragazzi smettiamola di dare spettacolo, perché non andate a prendere i barattoli di vernice e il resto dei pennelli così iniziamo a darci da fare?” esclamò Kuroo, intromettendosi tra i due, nascondendo un velo di minaccia dietro un sorriso condiscendente 

“Shikako-san, se vuoi possiamo prestarti una tuta, altrimenti finirai per macchiarti i vestiti” proseguì, indicando con un cenno la palestra alle nostre spalle

Annuii, lasciandomi guidare verso gli spogliatoi.

“A proposito, sono Kuroo Tetsuro, ma forse questo lo sai già” disse, sfoderando un sorriso sornione

“In effetti sì, Bokuto non la smette mai di nominarti…” ammisi

“Bene, bene, la mia fama mi precede” replicò annuendo, sottolineando quanto la cosa gli facesse piacere 

“Ecco qua, dovrebbe essere della tua taglia. Ti aspettiamo fuori, raggiungici pure quando hai fatto” 

Lo guardai andarsene, ripensando a tutte le volte in cui lo avevo sentito nominare: da come me ne aveva parlava Bokuto mi ero fatta un’idea di Kuroo molto diversa, più simile ad un rivale spocchioso e irritante, oltre che forte, con cui quel baka non perdeva mai occasione per attaccare briga; ma dalle sue parole era trapelata anche una certa dose di confidenza e velata ammirazione, frutto di un’amicizia consolidata da anni, cosa che mi aveva confermato anche Akaashi. 

Eppure a vederlo così la prima impressione che avevo avuto di lui era quella di una persona che sapeva il fatto suo, sicura di sé e anche piuttosto matura.

Forse era Bokuto che semplicemente esasperava chiunque alla lunga, convenni sorridendo.

Mi infilai felpa e pantaloni, entrambi di un rosso acceso, e dopo essermi rimboccata le maniche raggiunsi il resto della squadra, decisa a darmi da fare per riuscire a tornare a casa il prima possibile e recuperare così le ore di riposo perdute. 

Li vidi già intenti a preparare la vernice e andai loro incontro, ma quando mi avvicinai un ragazzo con una strana cresta si immobilizzò nel vedermi e mi indicò, gli occhi sbarrati.

“Shikako-san! Così sembri proprio una manager del Nekoma!” esclamò, sembrando quasi sul punto di scoppiare a piangere

Un coro di approvazione si sollevò in risposta, mentre gli sguardi di tutti si fissavano nuovamente su di me, che in quel momento avrei volentieri voluto sotterrarmi.

“Ehm, ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiesi, stupita da quelle strane reazioni

“Assolutamente no, è che… vedi, il Nekoma non ha una manager da anni e questa cosa ci ha sempre pesato un po’. Avere una presenza femminile come te in squadra, anche se solo per qualche ora, è strano ed emozionante allo stesso tempo per noi, ci devi scusare!” disse Kuroo, scrollando le spalle per cercare di alleggerire l’atmosfera, mentre un sorriso quasi divertito si faceva largo sul suo viso “Non fare caso a Yamamoto, lui in questo momento è il più agitato di tutti” aggiunse, accennando al ragazzo che prima mi aveva indicata con aria sconvolta 

“Oh capisco, beh se posso esservi utile fate pure affidamento su di me… per oggi intendo!” risposi, cercando di ringraziarli per le loro attenzioni mostrandomi almeno educata 

“Grazie Shikak-“

“Ah! Se per voi non è un problema chiamatemi pure Nori-san, così non vi confonderete con mia mamma” aggiunsi, cercando di smorzare un po’ la formalità dei loro modi 

“Grazie Nori-saaan!” mi risposero in coro

Sorrisi, pensando a come apparissero teneri e gentili dal vivo, quando ero ben consapevole di quanto mostruosamente bravi e temibili fossero in campo, essendomi sorbita i video di tutte le loro ultime partite grazie a Bokuto e Yukie.

 

*

 

La prima parete era finita, ed erano stati anche piuttosto veloci, pensò Nori, sedendosi qualche istante per riprendere fiato. 

Non era così in forma come pensava se dei lavoretti simili la sfinivano così facilmente: la verità era che dopo aver lasciato la sua vecchia squadra in Canada la sua pigrizia aveva rapidamente ripreso il sopravvento, rendendola reattiva al pari di un bradipo. 

E per fortuna si era iscritta al club di pallavolo! 

Stare dietro alla squadra, e dietro a Bokuto in modo particolare, era davvero un lavoro a tempo pieno. Mai avrebbe pensato che anche il ruolo di manager potesse essere stancante a modo suo.

Sentì il telefono vibrare e vide che Kotaro le aveva mandato un altro messaggio, l’ennesimo di quella giornata.

Era infatti da tutta la mattina che la inondava di email e foto. Non era una novità per lei essere tempestata da sue notifiche o dalle sue attenzioni in generale: nelle ultime settimane avevano passato sempre più tempo assieme, non solo durante gli allenamenti e le partite, ma anche fuori dal campo, visto che sia lui che Akaashi l’accompagnavano spesso durante le sue esplorazioni fotografiche della città o a provare qualche nuovo strano locale o bistrot con Yukie, appena erano liberi. 

Ma se doveva essere sincera con sé stessa, non poteva non ammettere di aver notato uno strano cambiamento nel comportamento di Bokuto negli ultimi tempi. 

Dopo la loro piccola avventura a Nara c’erano stati diversi momenti in cui aveva pensato che la stesse evitando o che ce l’avesse con lei, visto che quando si trovavano assieme le parlava a malapena ed evitava di incrociare il suo sguardo. 

Poi, di punto in bianco, era cambiato nuovamente, trasformandosi nell’essere più appiccicoso e bisognoso di attenzioni che avesse mai incontrato. Aveva anche preso l’abitudine di accompagnarla a casa per un pezzo di strada, anche se abitava in un quartiere completamente opposto al suo, con la scusa di parlarle degli schemi e degli ultimi miglioramenti della squadra. Non che le dispiacesse stare con lui, tutt’altro, ma erano le vagonate di messaggi e chiamate, anche nei momenti meno opportuni, che la preoccupavano.

Quando durante una pausa pranzo se l’era lasciato scappare con Akaashi lui l’aveva guardata con uno sguardo di piena comprensione, dicendole di farci l’abitudine e di scusare Bokuto per la sua totale mancanza di privacy e tatto. 

Alla fine ci aveva davvero fatto il callo, ma le cose erano peggiorate con l’avvicinarsi della gita per le classi del terzo anno: quando durante un allenamento Konoha gli aveva fatto notare che sia lei che Akaashi non avrebbero preso parte al viaggio visto che erano del secondo anno, Bokuto era come caduto dalle nuvole e aveva fatto una super scenata, culminata con lui che si chiudeva negli spogliatoi a deprimersi e lamentarsi, senza rivolgere più la parola a nessuno per il resto della giornata.

Sia lei che Keiji si erano convinti che avrebbe passato l’intera gita in modalità emo, e avevano entrambi tirato un sospiro di sollievo al pensiero che per una volta si sarebbero risparmiati quello spettacolo, pregustano i giorni di pace che li attendevano.

Ma quella stessa mattina Kotaro aveva distrutto ogni loro ingenua illusione, tempestando sia Nori che Akaashi di messaggi. Persino Yukie aveva scritto loro, dicendosi esasperata per il comportamento di Bokuto e preoccupata per i giorni assieme che li attendevano. Keiji l’aveva pregata di non ucciderlo nel sonno, visto che alla squadra serviva vivo per arrivare ai Nazionali, e Nori temette che fosse serio nel dirlo.

Guardò lo schermo sbuffando, e vedendo che era quasi scarico optò per rispondergli una volta tornata a casa. 

Poi si rialzò, notando due occhi felini fissarla.

“Oh, Lev-san giusto? Hai bisogno di me?”

“Ehm, Nori-san, visto che qui abbiamo finito sto raccogliendo i pennelli per andarli a lavare prima di iniziare la prossima parete” le rispose, abbassando lo sguardo, leggermente imbarazzato

“Certo, prendi anche il mio allora, grazie mille!” 

Vedendolo impacciato decise di accompagnarlo e di dargli una mano.

“A proposito, prima non sono riuscita a risponderti: sì sono metà canadese, anche se mio padre è di origini francesi... si è trasferito con la famiglia in Quebec quando era al liceo, e qualche anno dopo è andato a studiare a Vancouver… è lì che ha conosciuto mia madre, ed è lì che sono nata io qualche anno dopo. Per quanto riguarda il cognome… bè, devi saper che mio padre ha accettato di prendere quello di mia mamma quando si sono sposati, è stata una richiesta di mio nonno… a quanto pare aveva sempre sognato di avere un erede maschio” disse, voltandosi a guardarlo, sperando di non aver parlato troppo ed essere risultata pesante

“Oooh capisco!” le rispose, sorridendole entusiasta, soddisfatto dalla spiegazione esaustiva

Continuarono a parlare per un po’: lui le raccontò di come fosse cresciuto in Giappone e di quanto gli fosse sempre dispiaciuto non conoscere la lingua di sua madre; lei invece, di come da piccola avesse sempre passato le estati a Tokyo, di cui conservava dei bei ricordi, e di come avesse covato per anni il desiderio di trasferirvisi, prima o poi.

Una volta lavati i pennelli ritornarono dagli altri, intenti a diluire la vernice, pronti per iniziare l’ultima parete rimasta. 

Non appena Yaku intravide Lev chiacchierare con Nori sbuffò sonoramente, guardandolo torvo.

Anche Yamamoto sembrava non approvare e lanciò uno sguardo omicida in direzione del compagno di squadra.

“Nori-san! Spero che Lev non ti abbia disturbata!” disse Morisuke, senza smettere di scrutare con aria intimidatoria il ragazzo che torreggiava sopra di lui

“Oh nient’affatto, Yaku-senpai, ma grazie per esserti preoccupato!” 

Lui si immobilizzò, come se qualcuno gli avesse appena lanciato un secchio di acqua ghiacciata, boccheggiando e arrossendo visibilmente. Una reazione che scatenò le risate dei ragazzi, in modo particolare di Kuroo e Lev.

Nori non riusciva proprio a capire come una semplice parola potesse mandare tanto in brodo di giuggiole i ragazzi più grandi, ma era una tattica che la divertiva spesso usare, soprattutto per togliersi d’impiccio da alcune situazioni scomode.

“Ehi Kuroo, hai visto Kenma per caso? Gli avevo chiesto di andare a buttare i secchi di vernice vuoti ma è scomparso da un po’…” chiese Kai Nobuyuki, il vicecapitano della squadra, guardandosi attorno sovrappensiero

“Mmm penso di sapere dove si è andato a nascondere…”

Nori sentì il cellulare vibrare per l’ennesima volta, ma non fece in tempo a tirarlo fuori dalla tasca che vide lo schermo spegnersi davanti ai suoi occhi, la batteria ormai completamente scarica. 

“Per caso sapete dirmi dove posso mettere sotto carica il telefono per un po’?” 

Aveva assolutamente bisogno di usare il navigatore per ritornare a casa, visto che non conosceva affatto quella zona della capitale, e non voleva certo passare le ore successive a cercare sua madre per tutta la scuola dato che con ogni probabilità si sarebbe trattenuta a lavorare fino a tardi come al solito.

“Certo, puoi lasciarlo negli spogliatoi, sto proprio andando là se vuoi seguirmi” le propose Kuroo, facendole strada

 

*

 

Gli interni della palestra erano impregnati dell’intenso odore della vernice fresca appena stesa, tanto forte da coprire persino il persistente profumo di cera per pavimenti che rivestiva i parquet consumati del campo, osservai, mentre seguivo Kuroo dentro l’edificio.

“Sono contento che Shikako-sensei oggi non abbia potuto aiutarci, altrimenti non avremmo avuto modo di fare finalmente la tua conoscenza, Nori-san” disse ad un certo punto, voltandosi verso di me con un sorriso sghembo “Bokuto mi parla di te da mesi e sinceramente ero davvero curioso di vedere con i miei occhi la famosa nuova manager della Fukurodani. Non posso dire di non invidiarlo un po’, a questa squadra manca davvero un po’ di tocco femminile. È davvero un peccato che tu non abbia deciso di iscriverti qui… ma avremo modo di dimostrartelo meglio quando scenderemo in campo” concluse, aprendo la porta dello spogliatoio con uno scatto deciso

Lo guardai leggermente colpita: in quanto a sicurezza e a livelli di autostima, abituata alle uscite di Bokuto, non mi sarei aspettata nulla di meno dal capitano del Nekoma.

“Kenmaaa, ti avevo detto che se fossi scappato ancora ti avrei sequestrato la consolle. Su, dammela e torna di là a darci una mano o domani mattina non potremmo riaprire il club”

Guardai in basso, dove un ragazzo dai capelli a caschetto tinti di biondo ci guardava con aria scocciata, accovacciato contro la parete.

“Scommetto che puntavi a quello vero?” aggiunse Kuroo con un ghigno

“Non è vero”

“È vero”

“Non è vero”

“Lasciamo stare… dai, andiamo di là, ci manca ancora l’ultima parete, e non possiamo certo lasciar fare tutto il lavoro sporco a Nori-san!” 

Kenma sospirò, rialzandosi e allungandogli la consolle che nascondeva in tasca, per poi bloccarsi.

“Oh, aspetta. Fammi almeno salvare, ho finalmente sbloccato il finale segreto e ho quasi la batteria scarica”

Riuscii a scorgere lo schermo, da cui lampeggiava un gioco che mi sembrò di conoscere.

“Vuoi dire che hai finito tutte le route dei sette personaggi principali e sei arrivato al finale nascosto alternativo?!” esclamai, sinceramente stupita, riconoscendo finalmente il titolo con cui stava giocando e non riuscendo a trattenere la mia curiosità

Lui mi guardò con aria interdetta, sbarrando gli occhi per qualche secondo, per poi annuire impercettibilmente.

“Nori-san, a quanto pare parli la stessa lingua di Kenma! Non ti facevo un’appassionata!” esclamò Kuroo, leggermente colpito

“Bè, ho giusto qualche titolo di quella serie… mi piacciono i giochi di ruolo ma non me la cavo benissimo ad essere sincera” dissi, omettendo il fatto che fossi una vera schiappa, visto che mi bloccavo sempre a metà route e finivo puntualmente per perdere la pazienza e la voglia di continuare dopo pochi e falliti tentativi

Dopo aver lasciato il mio cellulare sotto carica, ritornammo dagli altri per finire l’ultima parte di lavoro rimasta prima che facesse buio. I ragazzi erano ancora stranamente pimpanti, mentre io non vedevo l’ora di farmi una bella doccia e lavarmi di dosso l’odore penetrante della vernice, ormai così forte da nausearmi quasi. 

Stavo anche morendo di fame, e mentre riflettevo su questo mi venne in mente che prima di arrivare al Nekoma avevo notato un konbini poco distante: avrei potuto farci un salto e prendere qualcosa al volo! Magari anche qualcosa per la squadra visto che ormai avevamo praticamente finito.

 

*

 

Nori appoggiò le buste cariche di snack e lattine a terra e si voltò per chiamare i ragazzi a raccolta, i quali, dopo aver realizzato cosa aveva fatto per loro, la guardarono con un misto di devozione, gratitudine e stupore che la fece arrossire. 

Avevano davvero disperatamente bisogno di una manager, si ritrovò a pensare.

“Nori-san ha comprato questo cibo per noi, lo ha fatto davvero!” esclamò Yamamoto, gli occhi lucidi e commossi

“Non sapevo cosa potesse piacervi così ho preso un po’ di tutto” disse lei, chinandosi per afferrare un umaibo al gusto takoyaki tra quelli rimasti

“E se facessimo una foto di gruppo? Chissà quando ci ricapita di avere una ragazza in squadra!”

“Ottima idea Inuoka-kun. Che ne dici, Nori-san?” le propose Kuroo

Lei annuì, in fondo non le costava nulla, e poi erano stati davvero gentili con lei, sarebbe stato scortese rifiutare, per quanto non fosse un’amante dei selfie. 

“È venuta benissimo, tutto merito di Nori-san!”

“Ovvio, non certo grazie a te e alla tua altezza da gigante!” 

“Non è colpa mia se sono così alto e spicco nelle foto, mi spiace che tu questo non lo possa capire Yaku-san”

“Prova a ripeterlo se ne hai il corag-“

“A chi la stai mandando Yamamoto?” 

“Voglio vedere la faccia di Tanaka quando riceverà la foto e penserà che abbiamo una nuova manager!!!”

“Ma non puoi vedere la sua faccia, che idiota…”

“Taci Kyaanmaaa! Almeno gli farò provare un po’ della stessa invidia che ho provato io quando ho visto Shimizu-san la scorsa volta!” 

Nori sorrise, pensando a come anche il Nekoma fosse una squadra piuttosto caotica dove non ci si annoiava mai: era abituata ad assistere a siparietti simili tutti i giorni, anche se nel suo caso il bambino di turno era principalmente uno, Bokuto. 

Stare lontana dalla Fukurodani e sperimentare quello che sarebbe potuto essere il suo destino se davvero avesse deciso di iscriversi alla Nekoma High, cosa che non aveva fatto per non dover convivere con sua madre anche a scuola, era stata per lei una sorta di rivelazione. 

Certo, non era una prospettiva così brutta e, da quanto aveva potuto vedere dalle registrazioni delle loro partite, il Nekoma era una squadra piuttosto forte e da non sottovalutare, però… c’era un però. 

Non le sembrava la stessa cosa, era come se essere lì stonasse con quello che sentiva essere il posto in cui voleva davvero stare e appartenere. 

Non lo aveva mai davvero ammesso a sé stessa ma le piaceva essere diventata manager del Fukurodani, la appassionava vedere la sua squadra, e soprattutto Bokuto, giocare tutti i giorni, e nonostante il carattere altalenante e a tratti infantile di Kotaro, l’entusiasmo e la passione che imprimeva in ogni cosa che faceva era lo spettacolo che la ripagava di tutta la pazienza che stargli accanto richiedeva. 

Nonché il motivo principale che l’aveva spinta ad accettare quel ruolo in primo luogo.

Inizialmente aveva pensato che dover convivere con una persona così diversa da lei, con un modo di fare abbastanza estremo e agli antipodi dal suo, sarebbe stato difficile e pesante. 

Invece, fatta eccezione per le prime settimane, non solo ci si era abituata ma aveva anche permesso che questo la cambiasse sempre di più, giorno dopo giorno. Vedere il suo capitano mettere sempre il 100% in tutto quello che faceva, da una schiacciata potente ad un complimento sincero verso un compagno di squadra, le aveva trasmesso la voglia di imitare questo suo atteggiamento: lei che cercava sempre il modo più semplice per affrontare le sue giornate e di cavarsela facendo il minimo indispensabile, ora provava, o almeno si sforzava, ad uscire dalla sua confort zone; lei che adorava dormire appena aveva del tempo libero a disposizione, ora si ritagliava dei momenti per leggere qualche libro, rivedere e studiare le partite delle squadre avversarie, o per uscire e perdersi tra i quartieri di Tokyo con la sua fidata fotocamera.

Erano passati solo 3 mesi eppure tante cose erano cambiate e stavano continuando a cambiare.

 

*

 

Aprii la porta di casa sfilandomi con sollievo le scarpe da ginnastica sporche di vernice, sognando una doccia bollente e di affondare finalmente tra le meritate coperte.

Dalla cucina arrivava un odore intenso e speziato, sicuramente nonna aveva preparato il suo famoso curry piccante.

“Sono a casa obaasan!”

“Bentornata cara, Midori è con te?”

“No, mamma ha detto che possiamo pure cenare perché è impegnata fino a tardi con alcune commissioni dopo scuola” le risposi, avvicinandomi ai fornelli e infilando un cucchiaio nella salsa scura che sobbolliva sul fuoco

“Mmm è buonissimo!”

“Non ho ancora messo su il riso, sarà pronto tra una ventina di minuti”

Ne approfittai per lavarmi e cambiarmi, e una volta in pigiama presi finalmente il telefono in mano e aprii i messaggi che fino a quel momento avevo evitato di leggere.

Bokuto me ne aveva inviati una caterva, ma ciò che mi insospettii di più furono alcune chiamate perse e un messaggio da parte di Yukie: aprii quest’ultimo e vidi che diceva solamente di richiamarla appena potevo.

Preoccupata lo feci, non sapendo cosa aspettarmi.

“Nori-chaaan! Finalmente! Ho provato a chiamarti, ma prima avevi il telefono spento e poi eri irraggiungibile… dov’eri finita?” esclamò Yukie, senza nascondere una punta di curiosità nel tono stranamente allarmato

“Ero in metro fino a mezz’ora fa, perché? È successo qualcosa?”

“Cosa non è successo vorrai dire! Tu ne sai niente di una certa foto che ti ritrae insieme alla squadra del Nekoma al completo? Cosa hai combinato?!” mi chiese, mettendo da parte ogni possibile preoccupazione per lasciare spazio al tono indagatore e malizioso che sfoderava spesso quando aveva bisogno di carpire qualche informazione importante

Cercai di non farmi prendere dal panico e pensai a come era potuta arrivare la mia foto nelle mani di Yukie e di…

“Bokuto è impazzito non appena l’ha vista, è venuto da me strepitando peggio del solito, dicendo che gliela aveva appena mandata Kuroo e che gli aveva anche scritto di come la divisa del Nekoma ti stesse meglio di quella della Fukurodani. Ho dovuto sequestragli il telefono ad un certo punto perché non la smetteva più di mandare messaggi a te e ad Akaashi, e gli insegnanti stavano cominciando a spazientirsi. L’hai combinata grossa stavolta Nori-chan!” aggiunse, ridacchiando, non nascondendo più il divertimento che in fondo quella strana situazione le suscitava

“M-ma se non ho fatto niente!” cercai di difendermi, per poi decidermi a raccontarle brevemente il motivo dietro a quell’assurdo malinteso

“Bè, sarà dura tentare di spiegarlo a Bokuto ma ci posso provare, vedrai che ora di domani mattina ti avrà già perdonata!”

La salutai al volo, visto che le sue compagne la stavano chiamando per andare a cena, e con un filo di voce mi scusai per il disturbo che le avevo arrecato inconsapevolmente. 

Lanciai il telefono sul cuscino, sbuffando spazientita: non sapevo se prendermela più con Kuroo per quella stupida provocazione, che non trovavo per nulla divertente, o con quell’idiota di Bokuto che se la prendeva subito per qualsiasi cosa.

Decisi che ci avrei pensato dopo e scesi a cena, maledicendo tra me e me il genere maschile.

 

*

 

Nori si gettò sul letto, massaggiandosi la pancia soddisfatta: almeno il cibo non delude mai, pensò, tornando con la mente al piccolo disastro in sospeso con Bokuto.

Da una parte voleva dormirci su e lasciare a Kotaro il tempo di dimenticare la cosa, conoscendolo avrebbe trovato presto il modo di distrarsi. 

Ma una parte di lei voleva anche rimediare in qualche modo a quella sciocca incomprensione, come se si sentisse un po’ in colpa per l’accaduto.

“Ma in colpa di che?” disse a voce alta, prendendo il primo cuscino a portata di mano e lanciandolo con foga sulla parete di fronte a lei

Si ricordò in quel momento che non aveva più letto i suoi messaggi, e allungandosi verso il comodino afferrò il telefono per scorrerli:

> Nori-chin, siamo appena stati a Gion e abbiamo incontrato alcune geishe! Konoha dice che sono solo delle turiste che hanno noleggiato un kimono e non delle vere geishe, ma secondo me lo ha detto perché non si sono volute fare una foto con lui!

> Nori-chan, abbiamo trovato il miglior nishin soba di Kyoto! Yukippe ne ha mangiato quattro ciotole intere e ha detto che ora le è venuta voglia di ramen! Abbiamo scommesso chi tra noi due riesce a mangiarne di più in 30 minuti!!!

> Nori-tan, siamo al Kiyomizudera! Washio non vuole farmi fare il tradizionale salto dalla terrazza del tempio, che, non so se lo sai, permette a chi lo fa di vedere esaudito il suo desiderio più grande! Yukippe dice che è vietato, ma in realtà ce l’ha con me perché prima l’ho battuta per un pelo! Vorrà dire che mi impegnerò per diventare il migliore asso del Paese senza l’aiuto di nessuna benedizione!

Nori lesse i messaggi uno dopo l’altro, mentre un sorriso sempre più ampio le spuntava in viso, fino a che si ritrovò a ridere immaginandosi le scene che Bokuto le aveva descritto.

Scorse rapidamente le immagini e le file di emoji che riempivano la chat, fino ad arrivare all’ultimo messaggio che le aveva inviato qualche ora prima.

> Nori-chan, Kuroo mi ha appena mandato una tua foto con la tuta del Nekoma!!! Non te ne vorrai mica andare?! Prometto che da settimana prossima cercherò di comportarmi meglio e non ti obbligherò più a rimanere in palestra fino a tardi! E non ti farò andare più al konbini ogni volta che mi viene fame durante gli allenamenti! E ti giuro che non ti farò più foto di nascosto e non giocherò più con i tuoi capelli! Lo prometto! Ma non puoi lasciare la Fukurodani! Non puoi abbandonarci… e se lo farai non ti parlerò più!

Il messaggio era poi accompagnato da tre righe di faccine che piangevano, a rimarcare la drammaticità della situazione.

Sempre il solito esagerato, pensò Nori sorridendo. 

Eppure, dietro a quelle sue continue ricerche di approvazione e attenzione lei non vedeva solo il suo lato più infantile e insicuro, ma anche una certa tenerezza e ingenuità, due delle ragioni per cui continuava a sopportare e tollerare i suoi attacchi da drama queen e a cercare di venire incontro alle sue richieste. Fino ad un certo punto ovviamente.

Guardò lo schermo tentennando: sapere che lui l’avesse pensata e si fosse depresso vedendo quella foto sotto sotto era piacevole, dovette ammettere a sé stessa. 

Ma non voleva tirare troppo la corda: torturare Bokuto era divertente ma non voleva rovinare la gita e la serata ai ragazzi del terzo anno, Yukie glielo avrebbe rinfacciato per settimane. 

Quindi, attinse all’ultima riserva di energia rimasta da quella giornata, che le sembrava ormai infinita, e si obbligò a rispondergli.

Guardò il soffitto soppesando le parole e continuando a cancellare quello che scriveva: lei che raramente perdeva la calma, che sembrava sapere sempre cosa dire, era rimasta a secco di parole. Una cosa che le capitava spesso quando c’era di mezzo Bokuto. 

Il suo comportamento imprevedibile e lunatico la scombussolava, mettendo a soqquadro il suo sangue freddo e quelle che credeva essere le sue certezze. 

Come un soffio di vento che si insinua nello spiraglio di una finestra socchiusa, fino a spalancarla, rovesciando e facendo volare via tutto ciò che trova sulla sua strada.

Alla fine optò per qualcosa di semplice, diretto, e soprattutto sincero.

> Baka, non vado da nessuna parte! Tu piuttosto pensa a divertirti, e non stressare troppo Yukie e gli altri!

Trattenendo il respiro aggiunse un’altra frase, obbligandosi a premere invio senza rileggere quanto aveva scritto, così da non dare spazio ad alcun ripensamento.

> In fondo oggi un po’ mi sei mancato. Ti aspetto. Buonanotte

Spense la luce e si infilò sotto le coperte, decisa a dormire e a smettere finalmente di pensare.

 

*

 

Yukie sentì il telefono di Bokuto vibrare nella tasca della felpa, e lo prese, incuriosita. Quando lesse il nome di Nori sullo schermo per poco non gli scivolò di mano.

“Che stai guardando?” la voce di Kaori la fece sussultare “Piuttosto, sei pronta per andare ai bagni? Tra poco è il nostro turno, i ragazzi hanno già finito”

“Uhm okay, arrivo” le rispose alzandosi, decisa a compiere una buona azione per quella volta

Nei corridoi incontrò Washio e Sarukui, freschi di onsen, avvolti negli yukata del ryokan.

“Bokuto? Penso che sia ancora in camera. Konoha ha provato a distrarlo e a farlo riprendere, ma da quando ha letto il messaggio di Kuroo non si è mosso dal futon… forse si è addormentato!” le rispose Saru

Yukie sbuffò, tentata dal fare retrofront e dimenticarsi di quello stupido, almeno per una sera. L’assenza di Akaashi si faceva sentire prepotentemente in questi momenti, pensò, mentre si dirigeva con aria rassegnata verso la camera di Kotaro.

“Yukie! Per fortuna sei arrivata! Mi dai il cambio?” 

Konoha non attese neanche una sua risposta e appena la vide entrare nella stanza se la diede a gambe levate, sorridendole grato.

“Yukippeee, sei venuta a dirmi che vuoi lasciare anche tu la Fukurodani?” biascicò Kotaro da sotto la pila di coperte in cui si era avvolto, che lo facevano assomigliare ad un burrito umano

“Baka, tirati su, Nori ti ha mandato un messaggio” gli disse lei sbrigativa, non avendo tempo per le solite moine che tirava fuori quando aveva bisogno di risollevargli il morale e farlo tornare in sé 

“Eh? Nori-chan?”

Lei per tutta risposta gli lanciò il telefono, centrandolo in pieno, per poi uscire dalla stanza, così da risparmiarsi ulteriori scenate, diretta verso il meritato bagno caldo che la aspettava, nonostante la forte curiosità di scoprire il contenuto del messaggio inviato da Shikako. Bè, poco importava, glielo avrebbe chiesto appena si fossero riviste, concluse con una scrollata di spalle raggiungendo Kaori.

Bokuto afferrò il telefono senza uscire dal bozzolo in cui si era avvolto e lesse il messaggio, temendo il peggio. 

Ma quando lo finì si costrinse a leggerlo altre cinque volte, così da essere sicuro di aver capito bene.

Gli aveva davvero scritto che le mancava? Nori-chan?

Agitò un pugno in aria, assaporando il momento di gloria, mentre sentiva le guance sempre più calde e il respiro mozzarsi in gola. 

Strano, non erano esattamente queste le emozioni che provava quando in campo i suoi colpi andavano a segno. 

Si emozionava, quello sì, ma non allo stesso modo in cui si sentiva ora.

Sentì la pancia contorcersi, una sensazione che non aveva mai provato prima di quel momento, ma che aveva già letto da qualche parte.

Preoccupato, compose il numero di Akaashi senza indugiare oltre.

“Akaashiiii!”

“Bokuto-san che è successo? Come mai mi hai chiamato a quest’ora?” 

La voce di Keiji suonò come un sussurro in confronto alla sua: lo aveva forse svegliato?

“Non mi sento molto bene, penso che la soba o il ramen di oggi fossero avariati!”

“Mmm? Che vuoi dire?” 

Akaashi faticava a seguirlo, e il fatto che lo avesse appena buttato giù dal letto non aiutava certo.

“Sì insomma, mi sento i brividi e ho le guance calde, forse ho la febbre! Ma soprattutto mi sento la pancia strana. È come in quegli shojo manga che leggono Komi e Konoha, ecco… mi sento le farfalle nello stomaco!” disse Bokuto, il tono di voce seriamente angosciato

“Ah.”

“Akaashi ci sei? Devo preoccuparmi? Pensi che forse c’erano dei bruchi nel cibo che ho mangiato?”

“Bokuto-san…” 

Questa volta Keiji si trovava davvero in difficoltà, perché di tutte le idiozie che Bokuto gli aveva confidato in quegli anni quella sicuramente finiva dritta nel podio.

“Allora!?”

Fissò lo schermo, non capendo se Kotaro si aspettasse davvero una risposta seria da lui, ma dal suo tono allarmato capì che voleva davvero un consiglio.

“Deve essere il clima di Kyoto, in fondo fa sempre un po’ più freddo rispetto a Tokyo. Sicuramente avrai preso un colpo d’aria” rispose, sentendolo subito calmarsi

Per ora aveva salvato la situazione evitando altri inutili isterismi, ma sapeva che era solo questione di tempo prima che le cose si sarebbero ingigantite, diventando così ingombranti da non poter essere più ignorate. 

Ma non era quello né il momento, né il modo adatto per prendere quell’argomento con Bokuto. 

Presto si sarebbero resi tutti conto, Kotaro compreso, di quello che stava succedendo. 

Molto presto.

 

 

 

 

- - -
 
N O T E
 

Grazie per essere arrivati fin qui!

Ringrazio sempre tutte le persone che mi stanno supportando nel corso dei capitoli, chi mi ha lasciato una parola di incoraggiamento, un consiglio, un’opinione, chi legge e basta e chi continuerà (spero) a farlo <3

Davvero grazie, io sono felicissima di sapere cosa ne pensate e di leggere il vostro punto di vista, anche critico, perché no? Tutte le opinioni sono valide e importanti <3

Detto questo dico solo che questo è un capitolo di transizione, a differenza del precedente più corposo, ma ugualmente importante, che anticipa un capitolo davvero di vitale importanza (ma diciamo che dal prossimo le cose si faranno serie per un po’ di capitoli, si arriverà al climax e poi alla seconda parte della storia!).

Questo è stato anche un capitolo Nekomacentric come avete potuto leggere XD, perché sentivo di voler dedicare a questa bellissima squadra almeno un capitolo e anche di staccare un po’ dalla Fukurodani. Spero di avergli reso giustizia e vi anticipo che alcuni personaggi ritorneranno presto.

Per quanto riguarda l’uscita di Bokuto sulle farfalle nello stomaco spero di non aver esagerato XD ma la trovo una cosa che sarebbe capace di dire non so XD Volevo che si avvicinasse alla consapevolezza di essersi preso una cotta in modo molto ingenuo e graduale, in ogni caso vi dirò di più nei prossimi capitoli!

Non l’ho scritto prima ma volevo dire che i capitoli sono già stati scritti da mesi, devono solo essere riletti e corretti grammaticalmente (e se qualcosa continua a scappare perdonatemi XD) ma posso assicurarvi che riuscirò a pubblicare abbastanza puntualmente ogni 2 settimane.

Grazie ancora e alla prossima!

Mel

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Capitolo 5
*** Luglio ***


L U G L I O

文月


 tracks n°14-15-16-17  
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Nori 1 ; 2 ; 3 

 

L’aria della palestra quella mattina era pesante e afosa, irrespirabile. Kaori aprì tutte le finestre per far arieggiare il campo mentre i ragazzi erano fuori per il riscaldamento. L’impianto di ventilazione infatti aveva dato qualche problema nelle ultime settimane, e a questo si era unita l’umidità tipica della stagione delle piogge, fattori che avevano contribuito non poco a rendere gli allenamenti di quei giorni più stancanti e stressanti del solito. 

Avevano tutti bisogno di staccare la spina e cambiare letteralmente aria per un po’, ma la settimana del ritiro annuale della squadra sembrava comunque lontana. 

“Ancora non ci credo che non ci sarai, Nori-chan” disse Yukie, avvicinandosi alla ragazza che stava allineando le borracce appena riempite sulla panchina di fronte a lei

“Già, ci tenevo tanto a venire. Ma mio padre è libero proprio l’ultima settimana di luglio e la prima di agosto, e non me la sentivo di rifiutare dopo tutti i tentativi di mia madre di venirgli incontro” le rispose, ripensando a come sarebbe stato strano ritornare in Canada anche se per poco tempo

Dopo il divorzio dei suoi aveva sentito suo padre solo in poche occasioni, ma si era comunque impegnata a tenerlo informato sulla sua vita scolastica, e ora era arrivato il fatidico momento di rivederlo. 

Non era sicura di come si sentisse al riguardo, non era mai stata una persona che serbava rancore in fondo: non era mai arrivata ad odiarlo davvero per quello che era successo, ma si era invece semplicemente limitata a prendere le distanze da lui dopo il suo ritiro dalla squadra. Per questo la decisione di mettere un oceano tra loro le era sembrata la soluzione migliore per lasciarsi alle spalle lui, il suo passato e tutto quello che era determinata a dimenticare.

Persa nei suoi pensieri non si accorse del piccolo lago che aveva creato ai suoi piedi mentre era intenta a riempire le ultime borracce per la squadra.

“Nori-chan ultimamente sei più sbadata del solito!” esclamò Yukie porgendole un asciugamano “A cosa pensi? O meglio, a chi pensi?” aggiunse maliziosa

Shikako la ignorò, come aveva ignorato tutti i commenti e le frecciatine con cui l’aveva tempestata da quando era tornata dalla gita a Kyoto. Non capiva proprio dove volesse andare a parare.

Il vociare dei ragazzi le fece voltare: erano tornati dai giri di riscaldamento, boccheggiando già per il caldo afoso. 

“Bokuto ha detto che vuole correre ancora un po’, ci raggiunge tra qualche minuto” disse Akaashi afferrando la borraccia che Nori gli porgeva

Si scambiarono un veloce sguardo d’intesa: sapevano entrambi il perché di quel comportamento.

“Tra il caldo e l’umidità non penso che oggi mi rimarranno ancora forze per tollerare i capricci di quell’idiota” sospirò Yukie, esternando quello che pensavano tutti i presenti

Keiji si passò l’asciugamano fresco sulla faccia bollente e sudata, e dopo averne afferrato un altro si diresse da Kotaro, deciso a sacrificarsi, come sempre, per il bene della squadra.

Lo trovò vicino alle fontanelle, la testa china sotto il getto d’acqua ghiacciata, che rialzò con uno scatto improvviso inondandolo di goccioline. 

“Ti stiamo aspettando per iniziare con le battute, vieni?” 

“Uhm” sospirò Bokuto, afferrando al volo l’asciugamano lanciatogli

“Ti avverto che oggi non sei l’unico ad essere nervoso, con questo caldo sono tutti stanchi e tesi”

“Non sono nervoso” disse, cercando di trattenersi dall’imbronciarsi come suo solito

Non era colpa sua se si sentiva così, gli dispiaceva passare sempre per il bambino fastidioso e bisognoso di attenzioni, ma non era proprio capace di fingere, di tenersi dentro quello che gli passava per la testa, quello che sentiva di provare.

“Akaashiii, come fai?”

“A fare cosa?”

“A rimanere sempre così tranquillo, a non perdere mai la calma insomma!”

Keiji lo guardò, soppesando le parole con cui poter rispondere a quella domanda.
 “Non sono calmo, semplicemente riesco a nascondere meglio di te quello che penso. A volte riflettere prima di agire e lasciarsi scivolare addosso le cose può andar bene, ma prima o poi bisogna passare all’azione o si finisce per rimane intrappolati nei propri pensieri. Molte volte vorrei essere più impulsivo, come te Bokuto-san” 

Kotaro sgranò gli occhi non riuscendo a immaginarsi una versione di Akaashi diversa da quella che stava di fronte a lui in quel momento, da quella a cui era ormai abituato da tempo.

Era lui che semmai lo invidiava molte volte: il suo sangue freddo, il suo modo di capire le persone e metterle a loro agio, la sua capacità di adattarsi ad ogni situazione. Se solo fosse stato un po’ più come lui ora non si sarebbe sentito così, preda di una frustrazione e tensione che sembravano non abbandonarlo mai ultimamente. 

Alla fine decise di provarci, di tentare di dire a parole quello che sentiva, perché se c’era qualcuno che poteva capirlo ed aiutarlo quello era Akaashi.

“Non è giusto che Nori non venga al ritiro, non lo accetto!”

“Questo lo hai già detto abbastanza in questi giorn-“

“E non capisco perché mi dia così fastidio…. lo so che deve tornare da suo padre per le vacanze… ma non riesco comunque a farmelo andare giù!”

Keiji lo osservò: l’espressione concentrata e tesa, i pugni chiusi, le guance arrossate e imperlate di sudore. Sapeva benissimo perché non riusciva ad accettare la cosa, e forse anche Bokuto era giunto a quella conclusione, o ci sarebbe arrivato presto. 

Ma ormai era inutile continuare a rinviare quella discussione. 

Era finalmente arrivato il momento di metterlo di fronte ai fatti, di fargli capire quello che stava succedendo.

“Bokuto-san, penso che tu abbia una cotta per Nori” disse, alzando la testa per incontrare il suo sguardo, curioso di vedere la sua reazione 

Kotaro sgranò gli occhi di fronte alla solita schiettezza e brutale onestà di Akaashi, che lo colpì come uno schiaffo in pieno volto. 

Ma aveva davvero colto nel segno? 

Non poté fare a meno di pensare a Shikako, e di tornare con la mente ai momenti che avevano passato insieme negli ultimi mesi: i primi allenamenti in palestra, dove si era impegnato per farla sentire a suo agio, vedendola impacciata e sulle sue; la prima uscita assieme durante il pic-nic a cui si era autoinvitato, e in cui aveva cominciato a conoscerla al di fuori del club; la loro avventura, a tratti disavventura, a Nara, che li aveva in qualche modo portati ad avvicinarsi e che aveva coinciso con l’inizio dei suoi strani comportamenti, a cui non aveva saputo dare una spiegazione; poi la gita a Kyoto, in cui non aveva fatto altro che tornarle in mente, un pensiero fisso che aveva accompagnato quei pochi giorni trascorsi lontani. 

E nel mezzo: tutte le giornate e le ore passate insieme con la squadra; le emozioni e le tensioni condivise durante le amichevoli e ad ogni partita ufficiale; gli allenamenti la mattina presto e il pomeriggio dopo scuola, che si concludevano sempre tardi, e che terminavano spesso davanti al konbini più vicino, dove si dividevano un panino alla yakisoba o un nikuman bollente.

Quindi era per questo che si sentiva e si comportava così

Era per questo che aveva sempre voglia di vederla, di parlarle, di tormentarla giocherellando con i suoi capelli e affibbiandole strani e buffi nomignoli? 

Era questo il motivo che lo portava a temere il momento in cui dovevano salutarsi a fine giornata, tanto da portarlo a supplicarla di fargli compagnia fino a tardi in palestra, così da avere una scusa per accompagnarla a casa?

Akaashi sembrò leggergli nel pensiero, tanto che annuì di fronte a quella muta domanda e allo sguardo perso e stranito di Kotaro.

Bokuto, in fondo, non aveva mai davvero riflettuto su queste cose, e nemmeno si era mai preso seriamente una cotta in vita sua, se si escludeva qualche leggera infatuazione per l’idol o il personaggio di un’anime di turno quando era più piccolo. E anche quando Kuroo o Konoha gli facevano notare le ragazze carine che c’erano a scuola, o che facevano il tifo per lui alle partite, si era sempre limitato ad annuire compiaciuto e a sorridere tronfio, imitandoli. 

Ma il pensiero di una ragazza non l’aveva mai sfiorato tanto a lungo da portarlo a comportarsi così, e per questo non capiva perché ora fosse successo.

La frase di prima lo aveva davvero scosso, forse anche troppo, si ritrovò a pensare Keiji.

Era il caso di intervenire, altrimenti Bokuto sarebbe stato capace di passare l’intera mattinata a rimuginarci su, perché quando si fissava su qualcosa finiva sempre per dimenticare tutto il resto, perdendo di vista tutto ciò che lo circondava.

 

*

 

Mi stiracchiai, appoggiandomi stancamente alla porta semi-aperta della palestra, da cui usciva un flebile soffio di aria fresca. Allungai uno sguardo sulla squadra stremata: si erano sdraiati a terra per rinfrescarsi un po’ durante un momento di pausa, in attesa del ritorno di Kaori che era corsa al konbini a fare rifornimento di ghiaccioli garigari kun, i preferiti di Yukie.

Mi voltai sentendomi osservata e incontrai lo sguardo concentrato di Bokuto, che per tutto il giorno non aveva messo di scrutarmi, come se mi stesse studiando. Avevo anche provato a chiedergli più volte il motivo del suo, ancor più strano del solito, comportamento, ma ogni volta che provavo ad avvicinarmi a lui indietreggiava o trovava una scusa per piantarmi in asso e svignarsela.

Proprio non lo capivo, ma stranezze del genere erano all’ordine del giorno ormai e faceva troppo caldo anche solo per provare a pensare, conclusi, socchiudendo gli occhi per qualche secondo.

Li riaprii qualche istante dopo, quando sentii qualcosa di ghiacciato e bagnato appoggiarsi sulla mia guancia.

“Ehi pigrona, vedo che batti la fiacca!” disse Yukie togliendomi il ghiacciolo dal viso e addentandolo 

La guardai malissimo e mi diressi sbuffando verso il sacchetto del konbini in cui stava frugando Sarukui. 

“Coosaa?! Hai un appuntamento per Tanabata?! Con una ragazza?!” esclamò Komi, fissando sorpreso Konoha

“Gli piacerebbe! Deve accompagnare sua sorella!” gli rispose Saru, scoppiando a ridere di fronte all’imbarazzo dell’amico

“Aoi-chan si è fatta grande… va alle medie giusto? Potrebbero scambiarla davvero per la tua ragazza!”

“Smettila Komi, non mi pare che qui nessuno sia uscito dal club dei single o sbaglio?”

“Parla per te, io ho una mezza cosa in sospeso con una kohai del primo anno!”
 “Stai parlando di Nanase? Quella con il caschetto in classe con Onaga? Toglitela dalla testa Saru, è troppo per te!”

Decisi di allontanarmi, sentendomi d’impiccio, lasciandoli così ai loro battibecchi. 

Mi ero completamente dimenticata di Tanabata! E pensare che quando ero piccola adoravo la storia d’amore di Orihime e Hikoboshi e me la facevo raccontare ogni estate da mia nonna, e spesso arrivavo anche ad obbligare mia mamma a comprare qualche ramoscello di bambù, che riempivo di cartoncini colorati, carichi dei desideri più strampalati. Il pensiero che per la prima volta avrei potuto festeggiarlo per davvero, andando magari ad un matsuri a vedere uno spettacolo di fuochi d’artificio, mi sollevò subito il morale.

Avrei chiesto a Yukie e Kaori se erano libere e magari avrei tirato fuori lo yukata che mi aveva regalato nonna un paio di anni fa, sempre se ci entravo ancora.

Trotterellai verso le ragazze sedute sulla panchina, eccitata da quella prospettiva. 

 

*

 

“Bokuto-san, stai evitando Shikako per caso?” la voce di Akaashi destò Kotaro dai suoi pensieri, facendolo sussultare

“N-no, perché?” gli rispose, evitando il suo sguardo indagatore

Invece l’aveva ignorata eccome, o almeno ci aveva provato. 

L’affermazione di Keiji si era davvero insinuata nella sua testa come un tarlo, senza dargli tregua. Aveva finito per passare l’intera giornata nel tentativo di dare una risposta alle domande che gli erano sorte spontanee: Perché Nori? Perché ora? Perché io

Ma più si forzava di pensarci più le cose sembravano non avere senso, e sentiva la testa ormai sul punto di scoppiargli.

Intravide Akaashi sedersi sulla panca accanto a lui e guardarlo assorto come era solito fare prima di prendere una decisione, fuori e dentro al campo.

“Bokuto-san, non penso che arrovellarti sul perché di questa situazione sia la mossa migliore. Certe cose accadono senza che ce ne accorgiamo, e spesso non possono essere controllate o fermate. Non credi?”

Kotaro annui leggermente, ritrovandosi nella saggezza e nella verità di quelle parole.

Eppure di una cosa credeva di essere certo: non era stato un colpo di fulmine, come quello che aveva visto spesso nei film. No, quando aveva incontrato Nori per la prima volta non aveva provato altro che curiosità ed entusiasmo, e l’aveva trattata come un qualsiasi nuovo membro della squadra che non vedeva l’ora di conoscere. Poi, notando il suo interesse verso la pallavolo, il modo in cui prendeva appunti e studiava gli schemi delle partite, si era fatto l’idea di aver trovato un’appassionata come lui, con cui poter parlare liberamente senza temere di risultare pesante. 

Ma era stato il vederla fuori da scuola, in un contesto diverso, a farla diventare ancora più interessante ai suoi occhi: gli piaceva la sua compostezza nel non lasciarsi davvero abbattere da nessun problema; la sua pazienza nel sopportarlo senza farglielo pesare; la sua curiosità verso tutto ciò che la circondava, che si impegnava a catturare con la sua fidata fotocamera; il fatto che conoscesse tanti libri e film, di cui lui ignorava completamente l’esistenza, e si ricordasse sempre di consigliargliene qualcuno, anche se lui se ne dimenticava puntualmente; e poi la sua dolcezza, che trattava al pari di una debolezza, e che si impegnava a tenere nascosta; il suo sorriso, che a volte sembrava celare i suoi veri pensieri e altre, invece, sembrava capace di sciogliere ogni nodo e tensione; la sincera preoccupazione che trapelava dai suoi occhi quando lo vedeva abbattersi o disperarsi per ogni sciocchezza. 

Queste erano le cose che gli venivano in mente quando pensava a lei e che in quel momento, al solo immaginare, gli facevano attorcigliare lo stomaco, facendolo sentire strano e confuso.

“E ora che cosa dovrei fare Akaashi?” disse ad alta voce, quasi più a sé stesso che all’amico seduto accanto a lui

“Bè, non che sia un esperto in queste cose, ma di norma il passo successivo è la dichiarazion-“

“Dovrei dirgli che mi piace?!” strepitò Kotaro, sentendo il panico montare

Keiji lo guardò allarmato, grato del fatto che fossero rimasti soli nello spogliatoio.

Non sapeva bene come rispondergli, conoscendolo qualsiasi cosa gli avesse detto avrebbe potuto portare a conseguenze catastrofiche, e non solo per lui ma per tutta la squadra. 

Non era qualcosa da poter prendere alla leggera, anzi.

Gli scenari possibili erano tre, rifletté. 

Il primo: Bokuto confessa i suoi sentimenti a Nori e lei li accetta, ricambiandolo. Questa era l’unica delle tre opzioni che avrebbe potuto avere dei risvolti positivi, visto che se Bokuto si fosse davvero messo con Shikako i suoi sbalzi d’umore si sarebbero potuti ridurre significativamente. 

Secondo scenario: Kotaro si confessa ma Nori non ricambia i suoi sentimenti, ergo Bokuto cade nel peggior crollo emotivo a cui la squadra avesse mai assistito e addio ritiro estivo, visto che con ogni probabilità Kuroo che non lo avrebbe lasciato solo un secondo, punzecchiandolo e tormentandolo giorno e notte. 

Infine, terzo scenario: Bokuto non fa nulla e aspetta a dichiararsi, scelta saggia ma che avrebbe portato Kotaro a diventare sempre più impaziente e intrattabile. 

Però il ritiro all’orizzonte poteva essere l’occasione perfetta per lui per distrarsi e calmarsi, almeno per un po’.

“Forse dovresti aspettare a dirglielo. In fondo c’è sempre la possibilità che lei non provi la stessa cos-“

“Stai dicendo che io non le piaccio?!” 

“Sto dicendo che potresti piacerle solo come amico

La faccia che fece Bokuto si sarebbe potuta inserire in un dizionario sotto la voce friendzone, convenne Akaashi, sforzandosi di rimanere serio.

“Non è possibile…“ biascicò Kotaro, accasciandosi melodrammaticamente sulla panca

“Non lo sappiamo ancora con certezza. In ogni caso, per ora la scelta più saggia è aspettare e tastare il terreno… fare piccoli passi in poche parole” disse Keiji, non sapendo cos’altro aggiungere

In fondo nemmeno lui era tanto più esperto di Bokuto in fatto di ragazze. 

Per quanto analizzasse sempre le persone che gli stavano attorno, per Akaashi l’universo femminile risultava ancora di difficile comprensione. I suoi compagni di classe, i membri della squadra, e soprattutto il suo capitano, erano di facile lettura per lui, perché le loro azioni rispecchiavano quasi sempre i loro pensieri. 

Mentre le ragazze… beh per loro valeva un discorso diverso, ammise. 

“Piccoli passi hai detto? Quanto piccoli?” bofonchiò Kotaro, il viso nascosto nella felpa

Akaashi sospirò: si prospettavano settimane lunghe e impegnative.

 

*

 

Posai la penna, esausta, socchiudendo gli occhi stanchi di fronte ai fogli fitti di appunti e schizzi. Avevo ancora alcuni esercizi di algebra da finire, ma almeno ero riuscita a mettermi in pari con gli schemi e le note prese durante le ultime partite di qualificazione per l’Interhigh e i Nazionali del mese scorso. 

Il fatto che svolgere le attività del club, come rimanere agli allenamenti fino a tardi e alzarmi presto la mattina per i riscaldamenti, mi pesasse sempre meno, mi aveva dato modo di riflettere su quanto erano cambiate le cose negli ultimi mesi, e su quanto ero cambiata io. Certo, ero sempre la stessa pigrona che aspettava il weekend per recuperare le ore di sonno arretrate e che passava nottate intere a vedere un film dopo l’altro appena ne aveva il tempo, ma quando si trattava della pallavolo non sentivo più lo stress e la tensione che avevano accompagnato i miei anni da giocatrice. 

Forse stare troppo a contatto con Bokuto e la sua inesauribile energia e passione mi stava influenzando davvero.  

Sentii il collo teso e dolorante, così mi allungai verso la borsa del club per prendere la crema per le contratture che portavo sempre agli allenamenti, quando il telefono abbandonato sul letto cominciò a vibrare.

“Pronto?“ dissi senza neanche controllare chi fosse, avevo già i miei sospetti in fondo

“Hey, hey, hey, Nori-chaaan!” la voce di Kotaro rimbombò per la stanza, tanto che controllai di non aver messo il vivavoce per sbaglio

“Bokuto-san sono le 11, lo sai questo vero?” gli risposi, sdraiandomi sul letto, curiosa di sapere quale fosse il problema stavolta

Aveva di nuovo finito per rivedere le ultime partite del Campionato della V. League e ora non riusciva a dormire perché era troppo su di giri? Oppure si era messo a guardare qualcuno dei film che gli avevo suggerito, e dopo 10 minuti aveva cominciato a non capirci più niente e voleva che gli spiegassi la storia? O invece-

“Fai qualcosa per Tanabata?” 

“Cosa?” quella richiesta mi prese completamente in contropiede “Bè, in realtà io, Yukie e Kaori pensavamo di andare allo Shitamachi matsuri ad Asakusa, e credo che anche il resto della squadra bazzicherà lì quella sera… in ogni caso avevo intenzione di proporlo anche a te e Akaashi” ammisi

In effetti mi ero completamento dimenticata di avvertire entrambi, la solita sbadata.

“Oh ok…” lo sentii borbottare, il tono distante, come sovrappensiero

“Allora che fai? Vieni?”

“Certo che vengo!”

 

*

 

L’aria profumava dei tanti banchetti di cibo che costeggiavano le strade brulicanti di persone, lanterne e decorazioni colorate, mentre il rumore dei tamburi e le grida festanti degli artisti di strada coprivano ogni altro suono, trasformando il quartiere di Asakusa in una sorta di antico villaggio dell’epoca Edo, nonostante bastasse alzare lo sguardo sui palazzi e i fili elettrici intrecciati tra le antenne e i pali della luce per rendersi conto di essere ancora nella moderna Tokyo.

Nori si appoggiò alla fredda parete alle sue spalle per cercare di non essere trasportata via dalla folla, mentre con una mano lisciò lo yukata nuovo. Alla fine quello che le aveva regalato sua nonna un paio di anni prima le stava corto e leggermente stretto sui fianchi, così aveva chiesto a sua madre di accompagnarla a comprarne un altro, e lei, amante dello shopping qual era, non se l’era fatto ripetere due volte.

“Nori-chan! Ti abbiamo trovata per fortuna!” la voce di Kaori la fece voltare

“Per fortuna ci hai mandato la posizione, con questa calca stasera sarà impossibile ritrovarci tutti” aggiunse Yukie, addentando uno spiedino di odango dalle tinte pastello

“Ehi, potevi aspettarmi! Avevamo deciso che avremmo fatto un tour dei banchetti assieme!” protestò Shikako

“Mmm mi spiace ma questi dolcetti sembravano chiamarmi, non ho saputo resistere!”

“Nori per caso hai sentito tu Akaashi e Bokuto?” le chiese Kaori, intenta a farsi aria con un piccolo ventaglio di carta decorato con motivi floreali

“Sì, mi hanno detto che sarebbero arrivati a momenti“

“Oh, credo di vederli! Sono loro?” esclamò Yukie, indicando due ragazzi poco più avanti

Keiji le intravide e fece loro un cenno, avvicinandosi, mentre Kotaro si sbracciò, aumentando il passo per raggiungerle.

“Akaashi-kun non ti avrei fatto tipo da yukata!” disse Kaori, ammirando la veste blu scuro da lui indossata

“L’ho costretto io! Hai visto come sta bene, Kaorin?”

“Concordo, state entrambi benissimo!” disse Nori sorridendo e tirando fuori dalla piccola sacca di seta stretta al polso il cellulare “Sarebbe un peccato non scattarvi una foto!” aggiunse, gli occhi che le brillavano. 

Anni e anni di drama storici, una passione tramandatagli da sua nonna, l’avevano resa un po’ una fanatica degli abiti tradizionali, soprattutto di quelli maschili, e per questo motivo non poteva certo lasciarsi scappare un’occasione simile.  

Bokuto a quella richiesta si voltò verso di lei, bloccandosi qualche secondo per osservarla meglio. Aveva sempre avuto un debole per le ragazze in yukata e vederla indossarne uno lo fece imbambolare per qualche istante: i capelli leggermente raccolti sulla nuca lasciavano il collo scoperto, e sembrava avere qualcosa di diverso anche in viso, le guance erano più rosee e le sue labbra…

“Ehi Nori, hai mangiato i takoyaki? Hai le labbra tutte lucide e appiccicose!“

“Che idiota, si chiama lucidalabbra, Bokuto-san!” disse Yukie, ridendo divertita 

Nori si inumidì le labbra, pensando di averne messo troppo, e poi li fece mettere in posa, nascondendo il sorriso che le era nato spontaneo dietro lo schermo.

Erano venuti bene, pensò guardando lo scatto, pochi istanti prima di sentirsi afferrare per le spalle da Kotaro, che la trascinò verso di loro, prendendole il telefono di mano e cominciando a scattare un selfie dietro l’altro, mentre lei borbottava contrariata. Ma dopo poco si arrese, decisa a stare al gioco pur di farlo contento.

“Oh, mi ha appena scritto Saru, ha detto che lui e Komi si sono fermati ad un banchetto di yakitori e si stanno ingozzando di spiedini, volete che li raggiungiamo?“ chiese Kaori, guardandoli in attesa

“Penso che sia una domanda abbastanza retorica” disse Akaashi, indicando le facce eccitate di Bokuto e Yukie

 

*

 

Ero piena come non lo ero mai stata. Uscire con non uno, ma ben due persone con un stomaco senza fondo voleva davvero dire fermarsi ad ogni singolo stand di street food possibile. Solo la vista di altre mele caramellate e banane ricoperte di cioccolato, o l’odore dell’olio che sfrigolava nelle griglie strabordanti di spiedini e polpette, mi faceva salire la nausea.

Spostai dal viso la maschera da volpe che mi ero comprata e che mi oscurava la visuale, rendendomi solo allora conto di essere rimasta sola. Come avevo fatto a perdere di vista gli altri?

Mi guardai intorno, forse erano ancora nei paraggi, ma l’unica cosa che notai furono i capelli di Bokuto che spuntavano da un gruppo di bambini accovacciati vicino ad una bancarella di giochi a premi.

Per fortuna non ero l’unica ad essere rimasta indietro, pensai sollevata, raggiungendolo.

Kotaro era inginocchiato su una vasca ricolma di pesciolini che guizzavano come saette colorate, e che sfuggivano puntualmente ai suoi movimenti bruschi e ai suoi tentativi di cattura avventati.

“Così li farai solo scappare” dissi, chinandomi su di lui

“Oya? Nori-chin!” esclamò, alzando il viso per guardarmi felice “Allora non mi sono perso!”

Sorrisi, sentendomi subito più tranquilla per averlo trovato.

“Dai qua” dissi sfilandogli di mano il retino di carta di riso che era sul punto di rompersi “Mia nonna è stata una campionessa di karuta al liceo, e quando ero piccola mi ha insegnato un po’ a giocare, soprattutto a prendere le carte con un movimento secco ma morbido, come se dovessi sfiorarle” aggiunsi, facendogli cenno di avvicinare la piccola ciotola che teneva in mano, dove feci scivolare un pesce di un arancione acceso

“Wooow! Nori-chan sei fantastica!!!” esclamò, guardando quel piccolo premio con aria entusiasta 

Mi rialzai, lisciando lo yukata, provando un’insolita riconoscenza verso gli interminabili pomeriggi estivi passati a tentare, inutilmente, di battere sul tempo mia nonna.

“È merito tuo no?” disse Bokuto, porgendomi il sacchetto di plastica ricolmo d’acqua dove il venditore aveva messo il pesce vinto

“Sei sicuro? Non sono molto brava con gli animali domestici” risposi, guardandolo preoccupata per la responsabilità che mi stava affidando

“Bè, sei sai badare a me e alla squadra forse non te la cavi tanto male!” esclamò, sorridendomi

Ricambiai il sorriso, prendendo tra le mani quel piccolo premio e infilandolo nella pochette stretta al polso, e nel farlo urtai il cellulare.

“Che strano, non ho nessuna chiamata persa… possibile che gli altri non si siano accorti della nostra assenza?” dissi, guardando stupita lo schermo privo di nuove notifiche “Provo a chiamarli…”

Niente, né Yukie né Kaori sembravano sentire la mia chiamata, forse c’era troppa confusione. 

Non restava che tentare con Akaas-

“Akaashi non mi risponde!” esclamò Bokuto, aggrottando le sopracciglia

Non sapevo proprio come avremmo potuto rintracciarli, e mancava anche meno di mezz’ora all’inizio dello spettacolo pirotecnico, che non volevo assolutamente perdermi!

“Nori-chin non dovrebbero cominciare tra poco i primi fuochi d’artificio?”

“Sì esatto, perché?”

“Allora sarà meglio che troviamo al più presto un posto da dove vederli, appena inizieranno diventerà praticamente impossibile muoversi e da qui non vedremmo un bel niente!”

Non aveva tutti i torti, ma non conoscendo bene il quartiere non avevo la minima idea di dove saremmo potuti andare.

“Lascia fare a me, vieni!” esclamò, prendendomi per mano e guidandomi con sicurezza tra la folla

 

*

 

“Sei sicura che abbiamo fatto bene a lasciare Nori da sola con Bokuto?” chiese Kaori, voltandosi per guardare preoccupata Yukie

“Certo! Quei due sono davvero due pesci lessi, ma sono certa che se messi assieme qualcosa di buono potrebbe uscirne” le rispose, soddisfatta della decisione presa “In fondo non c’era bisogno che Akaashi ci rivelasse della cotta di Bokuto, avevo già intuito da settimane che quel baka stava covando qualcosa”

Keiji le osservò, sollevando un sopracciglio, perplesso: non sapeva ancora perché avesse acconsentito allo strano piano proposto da Yukie, ma sperò in cuor suo che Bokuto non combinasse l’ennesimo disastro, almeno per quella sera.

 

*

 

Lanciai una veloce occhiata allo schermo, l’unica luce visibile nel buio in cui eravamo immersi, e notai che mancava solo un quarto d’ora all’inizio dei primi fuochi. Cercai di rilassarmi, anche se dentro di me sentivo crescere una certa tensione che non sapevo spiegare. 

Mi guardai attorno, cercando di scorgere nell’oscurità che ci avvolgeva il profilo illuminato del tempio Senso-ji e, poco più in basso, le bancarelle e le vie decorate a festa dove eravamo stati fino a qualche minuto prima, ora semplici puntini colorati come le persone che le affollavano.

Ero felice di dove mi trovavo in quel momento, non solo quella stessa sera, ma anche nella mia vita. Percepivo finalmente quel senso di spensieratezza e leggerezza che avevo provato così poco negli ultimi anni. 

Eppure sentivo qualcos’altro agitarsi dentro di me: era malinconia o paura?

Erano questi i sentimenti che provavo quando tornavo con la mente al viaggio in Canada che mi attendeva da lì a poche settimane. 

L’unica nuvola grigia in una giornata assolata. 

Ma non potevo fare a meno di notarla, non potevo chiudere gli occhi o cercare di dimenticarne l’esistenza. 

Dovevo affrontare la cosa, era finalmente arrivato il momento.

“Nori-chan, va tutto bene?” mi chiese Bokuto, agitandomi una mano davanti agli occhi per attirare la mia attenzione

“Sì, scusami ero sovrappensiero”

Lui mi guardò poco convinto, inclinando la testa per studiarmi con aria preoccupata.

“Non sono molto bravo con le parole ma se ti va puoi parlarmene!”

Lo fissai indecisa, consapevole che una parte di me voleva davvero potersi liberare di quei pensieri e condividerli con qualcuno. 

Ma ero sicura di voler affidare proprio a lui questo peso, che mi portavo dietro da mesi e che ero riuscita a tenere nascosto fino a quel momento? 

Sapevo che di Bokuto mi potevo fidare ma non volevo farlo preoccupare, e non ero nemmeno sicura di come avrebbe potuto reagire. 

Ma la voglia egoistica di scoprirlo fu più forte di ogni incertezza, e decisi di raccontargli tutto.

Del mio passato come giocatrice in Canada, di mio padre, del suo desiderio di spingermi sempre più in alto, fino a superare i miei limiti, per sfruttare un talento che alla fine non possedevo, e che invece mi aveva portato a vedere la pallavolo non come una passione, quella che leggevo negli sguardi dei miei attuali compagni di squadra quando scendevano in campo, ma come un mero dovere, un compito che non avevo mai sentito mio ma che avevo dovuto portare a termine. Ad ogni costo.

Di fronte alla sua faccia sempre più sorpresa e colpita sentii il bisogno di giustificarmi, di aggiungere ogni dettaglio possibile, per poter fargli capire quello che davvero avevo provato, e provavo ancora in parte.

“Non so perché non te l'ho detto prima, né perché adesso non sento più alcuna voglia di tornare in campo… ma di una cosa credo di essere sicura. Quando ti ho visto giocare per la prima volta ho sentito un'emozione molto simile a quella che provavo quando le cose andavano bene in squadra, quando i miei colpi andavano a segno. È stata una sensazione anche più forte, come se finalmente la pallavolo mi avesse presa davvero. Ho sentito dentro di me un interesse che non pensavo di poter possedere” dissi, cercando di controllare il tremolio nella mia voce “E ora che ci rifletto davvero credo di sapere il perché. Tu e il resto della squadra mi avete dato la possibilità di vedere e vivere la pallavolo sotto un punto di vista che non avevo mai conosciuto, nè credevo possibile. Come una passione vera, non contaminata dalla paura, che vive nel presente. Quello che pensavo di essere arrivata ad odiare oggi mi piace, mi fa stare bene, anche se non gioco più. Vedo finalmente la pallavolo come una delle mie passioni più grandi, non più come l’unica strada da percorrere o come l’unico destino assegnatomi. Perché penso che si possa amare una cosa in modi diversi e con punti di vista differenti, senza doverne sminuirne alcuno. So che per te è difficile da capire, perché tu pensi che bisogna sempre dare il 100% e non hai vie di mezzo. Ma non può andare bene per tutti questo discorso. L’amore, la passione per qualcosa o qualcuno, possono avere sfumature più o meno intense, non è sempre tutto bianco o tutto nero. Capisci cosa voglio dire?”

Bokuto mi guardò socchiudendo gli occhi, perso nel mio ragionamento, a tratti forse troppo contorto.

Avevo la gola secca da quanto avevo parlato, ma sentivo di non riuscire più a fermarmi, come se avessi atteso quel momento da sempre: l’occasione giusta per potermi finalmente liberare di tutte le parole e i pensieri che avevo inghiottito e sepolto nella mia memoria negli ultimi anni.

“Quello che voglio dire…“

“Credo di capire quello che intendi. La passione può avere forme diverse, è vero, e nessuno può giudicarti per come decidi di viverla. Sei stata onesta con te stessa e questo non è da tutti. Ma su una cosa ti sbagli. Parli come se tu non ti fossi mai impegnata, ma in realtà sei arrivata a raggiungere i tuoi limiti, anzi, quasi a superarli! Non ti sei arresa fino alla fine, non hai semplicemente detto che non faceva per te, ma al contrario non ti sei tirata indietro finché non hai dato il 100%, anzi, il 120%!” disse con tono concitato, guardandomi negli occhi “Se il tuo momento con la pallavolo è arrivato solo ora devi afferrarlo e assaporarlo senza farti altre domande, senza chiederti come sarebbe stato se fosse arrivato prima. Non importa il numero di partite vinte o perse ma solo schiacciare l’avversario che abbiamo davanti! E penso che tu lo abbia fatto. Accettando di diventare manager, hai davvero dimostrato fegato e coraggio da vendere, arrivando a disintegrare i dubbi e le paure che ti portavi dietro da tempo, ho ragione?”

Annuii, sentendo gli occhi pizzicare, la vista sfocata.

“L’unica cosa importante ora è andare avanti, non rimpiangere o rivangare il passato. Solo vivere e pensare a quello che puoi fare adesso!” proseguì, senza smettere di sorridermi

“Hai ragione. A volte penso ancora a quello che sarebbe potuto succedere e a quello che avrei potuto dare in condizioni migliori, con un atteggiamento diverso e più libertà. Ma ciò che sono diventata, la persona che sono oggi, mi piace e quindi se tutto quello che ho vissuto mi ha portato qui, in questo esatto momento, allora mi va bene così. Ora voglio solo andare avanti”

Cercai di sorridere anch’io e alzai lo sguardo per ricacciare indietro le lacrime e allontanare quel velo di malinconia che era sceso su di noi.

Sentii Bokuto prendere la mia mano e stringerla, una stretta tiepida, simile ad una scossa, che mi fece voltare verso di lui, decisa a cercare il suo sguardo nonostante l'oscurità in cui eravamo immersi.

Ma in quel momento la scintilla iniziale di un timido fuoco d'artificio rischiarò il suo volto, e notai le guance arrossate e i suoi occhi dorati, che si fissarono nei miei per un secondo che mi sembrò interminabile. 

Il rumore dello spettacolo pirotecnico che andava aumentando, tra le grida emozionate delle persone in lontananza, mi destò, facendomi abbassare lo sguardo. 

Sentii la sua mano sudata nella mia, ma non la lasciai andare. 

Alzai lo sguardo un'altra volta, incontrando i mille colori del cielo sopra di noi e perdendomi nel momento che stavo assaporando, ignorando le domande che pian piano si sollevavano e si accumulavano nella mia mente, lasciandomi investire dalle nuove emozioni che si irradiavano nel mio corpo come cariche elettriche.

"Anche a me piace la Nori di adesso. La Nori che ho incontrato tre mesi fa e ho visto sorridere per la prima volta senza che ancora la conoscessi. E ancora di più mi piace quella seduta qui vicino a me e che mi sorride ora"

Avvampai, presa in contropiede. Ero abituata alla sua schiettezza ma sentirmi dire quelle parole mi colpì lo stesso, lasciandomi incapace di rispondergli.

Strinsi la sua mano nella mia, annuendo, cercando di scacciare ogni traccia di imbarazzo e nervosismo dalla mia voce.

"Grazie, Kotaro"

Avrei voluto aggiungere qualcos'altro, ma i pensieri che si accavallavano nella mia testa erano confusi, indefiniti. 

Anche io ero felice di averlo incontrato, come lo ero di aver conosciuto Yukie, Kaori, Akaashi, Konoha, Saru, Komi e il resto della squadra. 

Ma con lui era diverso. Sentivo di non poterlo mettere sullo stesso piano degli altri, su questo dovevo essere sincera con me stessa e ammetterlo. Ma non sapevo ancora come inquadrarlo. 

Era davvero solo un semplice compagno di squadra e amico? 

A volte sentivo come se gli stessi affidando, giorno dopo giorno, pezzi e parti di me. 

E lui, allo stesso tempo, mi dava la possibilità di cogliere sempre nuove sfumature di sé. 

Non vedevo più solo il capitano della squadra, l'asso della Fukurodani, un giocatore forte e ambizioso, uno studente rumoroso e sbadato, un compagno di scuola lunatico ed emotivo. 

Lui era tutto questo ma anche molto di più, perché ogni giorno una sua frase o gesto me ne rivelavano un lato nuovo: la sua spensierata sincerità, la sua acerba dolcezza, la sua ingenuità a tratti infantile, l'entusiasmo che metteva in ogni cosa che faceva, la curiosità per il mondo e coloro che lo circondavano, la voglia di superarsi sempre, spesso scambiata per egoismo e boria, ma che altro non era che il desiderio di diventare ogni giorno la sua versione migliore.

Per ora non ero in grado di mettere nero su bianco i tanti pensieri che affollavano la mia mente, ancora non potevo aggiungere altro a quel semplice ma sincero grazie

Avrei messo da parte queste emozioni, le avrei fatte crescere e maturare, aspettando il momento giusto, il giorno in cui avrei saputo riconoscerle e chiamarle per nome.

E nel frattempo avrei assaporato questo momento di pace, in cui mi sentivo così leggera e svuotata, finalmente consapevole di non essere più incapace di reagire o cambiare, decisa a crescere e a trovare la mia strada, il mio posto nel mondo. Pronta a vivere il presente in attesa del domani.

"Nori-chan, se vuoi puoi chiamarmi anche Kocchan…"

Sospirai, scuotendo la testa.

Il momento di pace non era destinato a durare a lungo a quanto pareva, pensai, trattenendo una risata.

 

*

 

La mensa dello Shinzen High era piuttosto silenziosa quella mattina: tutte e cinque le squadre riunite per il ritiro estivo stavano finalmente cominciando ad accusare un po’ di stanchezza dopo i primi giorni di amichevoli.

Bokuto sbadigliò sonoramente, allungando le braccia sul tavolo per spostare il vassoio della colazione ormai vuoto, sentendo le palpebre pesanti.

“Dovevi proprio allenarti fino a tardi ieri sera? Se continui a perdere ore di sonno finirai per indebolirti” disse Akaashi, seduto di fianco a lui

“Non è colpa mia Akaaaashiii! È quel ragazzo alto del Karasuno, Megane-kun! Dovevo metterlo un po’ in riga e mostrargli come si gioca seriamente!” borbottò stancamente

“Uhm, se quello per te era giocare seriamente…” lo punzecchiò Kuroo, stiracchiandosi sulla sedia vicino a lui “Mi hai lasciato bloccare ogni attacco”

“Te l’ho concesso solo perché volevo metterlo alla prova, mi sono semplicemente trattenuto! Ricordati che ieri vi ho stracciati!”

“Se vincere per tre punti lo chiami stracciare…”

“Vorrà dire che oggi vi batteremo ancora!”

“Te lo lascerò credere”

“Bokuto-san, Kuroo-san, Akaashi-san, buongiorno!” esclamò Hinata Shoyo, studente del primo anno del liceo Karasuno, prendendo posto di fronte a loro

“Ehi, Chibi-chan!” 

Bokuto lanciò l’ennesima occhiata spazientita verso il cellulare appoggiato di fianco a lui, cosa che non passò inosservata a Keiji, che conosceva bene il motivo dietro a quel gesto.

In quel momento lo schermò si illuminò, facendo saltare sulla sedia Kotaro per l’emozione.

“Yattaaa!! Nori-chin mi ha finalmente risposto, cominciavo a preoccuparmi!” esclamò felice

“Bokuto-san ti ricordo che ci sono 17 ore di fuso orario, forse Nori-san stava ancora dormendo” gli ripeté Akaashi per l’ennesima volta, ma lui parve ignorarlo, troppo preso a risponderle

“Oi, oi, oi non dirmi che stai importunando Nori-chan?” chiese Kuroo, un sorriso malizioso in viso

Nori-chan? È la tua fidanzata, Bokuto-san?” chiese ingenuamente Hinata, tra un boccone di riso e l’altro

Akaashi per poco non si strozzò con la zuppa di miso che aveva appena buttato giù, mentre Kuroo iniziò a sghignazzare senza ritegno di fronte alla faccia pallida e abbattuta di Kotaro.

“Gli piacerebbe!” disse Tetsuro, dandogli una pacca sulla schiena

“È una delle nostre manager che non è potuta partecipare al ritiro, tutto qui” spiegò Keiji a Hinata, che li osservava confuso

“Non demolitemi così!” protestò Kotaro, per poi alzarsi in cerca di un po’ di privacy, lontano dallo sguardo inflessibile di Akaashi e dalle battute provocatorie di Kuroo

 

*

 

Il vibrare del telefono che tenevo in mano mi fece sussultare e rigirare nel letto.

Aprii il messaggio per leggere la risposta di Bokuto, che come al solito non si era fatta attendere molto, trattenendo uno sbadiglio nonostante le 12 ore di sonno alle spalle. 

Dovevo ricordare a Yukie di sequestrargli per un po’ il telefono vista la velocità con cui mi rispondeva sempre, pensai, mentre scorrevo la chat carica di foto e di messaggi chilometrici, zeppi dei racconti esaustivi di tutte le partite vinte finora durante il ritiro, oltre che dei commenti su tutte le nuove leve delle altre quattro squadre, in particolare sui primini del Karasuno.

Finalmente arrivai alla fine, e lessi la sua risposta al mio buongiorno e in bocca al lupo: Nori-chin qui manchi tantissimo a tutti, soprattutto a me! Vedi di tornare presto!! Ti aspetto!!!

Sempre il solito esagerato: non si ricordava che sarei tornata tra poco più di una settimana? Neanche mancassi da mesi!

Ma in fondo le sue parole mi avevano fatto piacere, ammisi a me stessa sorridendo, sentendo le guance stranamente calde.

Sarà sicuramente il calore delle coperte, conclusi prima di chiudere gli occhi, lasciandomi cullare dal ricordo di un sorriso tronfio che conoscevo molto bene e di cui sentivo davvero la mancanza. 
 
 

 

 

 

- - -
 
N O T E
 

Grazie come sempre per essere arrivati fin qui!
Vi confesso che sono un po’ tesa, un po’ come Nori in questo capitolo, perché ora le cose, come potete aver intuito, prenderanno una certa piega e vi anticipo che i prossimi due capitoli porteranno al climax e poi alla seconda parte della storia, ma credetemi se vi dico che questa è solo la punta dell’iceberg XD Spero di essere riuscita a tratteggiare bene le diverse emozioni di Shikako e Bokuto (e per quanto riguarda Kotaro di essere rimasta IC). Ho adorato scrivere di Akaashi e Bokuto e amo la loro dinamica basata sull’essere l’uno la spalla dell’altro! Da multishipper adoro tantissimo la bokuaka ma credo anche che non ogni ship debba essere romantica e che ci sono così tante sfumature nelle relazioni che è riduttivo ridurre sempre tutto all’amore. Rispetto, amicizia, fratellanza, ammirazione, sono solo alcune sfumature che mi piace vedere in loro e che vedrete approfondite nei prossimi capitoli. Ovviamente questi sono solo i miei 2 cents, nulla di più XD (e io continuo a leggerli e shipparli comunque a livello fanon eh sia chiaro <3)

Grazie di cuore per il vostro supporto, visibile o invisibile (ma se volete metterlo per iscritto mi fate felicissima!) e vi aspetto per il prossimo capitolo. Parole chiave? Gufo, Karaoke, Compleanno!

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Capitolo 6
*** Agosto ***


A G O S T O

葉月 

 

 tracks n°18-19-20-23-24  
chapter pic

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Sentii le cuffie sfilarsi mentre mi stiracchiavo sotto il sole tiepido, i rumori e le voci del parco intorno a me ora più nitidi. Era quasi ora di pranzo e i prati di Beacon Hill Park erano affollati di famiglie e bambini rumorosi. Guardai nervosamente lo schermo del cellulare abbandonato in grembo, chiedendomi se mi avrebbe trovata, qui, come tanti anni fa.

“Sei sempre la solita pigrona abitudinaria!” disse una voce che pensavo di aver dimenticato, facendomi sussultare

“Ero sicura che fossi qui, Nora!” 

Mi voltai e incontrai il volto sorridente di Sadie, pieno di lentiggini e di sole, le lunghe ciocche ribelli racchiuse dentro due grosse trecce, da cui sfuggiva qualche riccio.

“Era da tanto che qualcuno non mi chiamava così” dissi, alzandomi per andarle incontro

“È il tuo modo per dirmi che ti sono mancata?”

“Forse” risposi sorridendole

L’ultimo giorno delle mie due settimane in Canada era finalmente arrivato, e ancora non mi sembrava possibile che il tempo fosse passato così velocemente. E pensare che inizialmente ero terrorizzata all’idea di dover sacrificare metà delle mie vacanze lì, in un posto che sentivo quasi di aver dimenticato, bloccata con mio padre, con cui non parlavo seriamente da mesi.

Invece le cose erano andate bene, tutto sommato.

Certo, le prime mattine erano state un po’ tese, ma poi pian piano avevo percepito il suo silenzioso senso di colpa e la sua muta richiesta di essere perdonato, e avevo deciso di andargli incontro. 

Non sentivo nessun rancore verso di lui in fondo, e penso di non averne mai davvero provato. 

L’unica persona verso cui avevo riversato la mia frustrazione e insofferenza era sempre stata me stessa. Quegli ultimi mesi me lo avevano reso chiaro, e mi avevano anche fatto capire che non è da tutti avere la forza di staccarsi dal passato, e di perdonare sé stessi. 

Mio padre non ne era stato in grado e aveva, così, ingenuamente riversato i suoi stessi errori su di me. Ma a differenza sua io sentivo di essere riuscita a lasciar andare quella parte di me e del mio passato, non dimenticandola ma accettandola e facendola mia. 

Come un terreno che cambia cultura e ritorna fertile dopo anni, pronto ad accogliere nuovi frutti.

Sì, sentivo di aver davvero voltato pagina, sentivo di essere pronta ad abbracciare nuovi inizi.

O almeno era quello che stavo tentando di fare.

Così quelle settimane erano passate tra giri in bici fino ai giardini Butcharts, dove arrivavo sempre carica di tutti quei libri che durante l’anno tra impegni scolastici e del club non avevo potuto leggere, e passeggiate lungo la colorata Johnson Street, dove avevo finalmente scattato delle foto decenti. Poi la sera volava via tra maratone di film e serie tv, anche queste in arretrato, munita di tutti quegli snack che a Tokyo mi erano mancati, insieme a piatti su piatti di poutine, l’unica ricetta che mio padre era in grado di preparare senza far scattare l’allarme antincendio.

Ma nonostante tutti gli impegni con cui mi tenevo occupata, la mia mente non poteva fare a meno di tornare a quello che avevo lasciato a Tokyo, e che ero certa mi stesse aspettando.

Nonostante Victoria fosse la città che mi aveva vista crescere sentivo di non appartenere più a quel luogo, come se non avesse più nulla di nuovo da dirmi o mostrarmi.

“Quando ti ho vista davanti casa di tuo padre ti ho scambiata per un fantasma, una visione!” disse Sadie, ridestandomi dai miei pensieri

“Avrei potuto dire lo stesso di te, in fondo anche tu sei tornata qui solo per le vacanze, no?” le risposi, mordicchiando la cannuccia che galleggiava nel bicchiere mezzo pieno di frappè davanti a me

“Sì ma c’è una bella differenza tra il trasferirsi a Chicago e l’andare a vivere a Tokyo! A proposito come ti trovi?” mi chiese, sporgendosi per richiamare l’attenzione del proprietario del piccolo bistrot in cui ci eravamo sedute

“Molto bene, mi sembra strano dirlo ma a volte mi dimentico che sono lì solo da pochi mesi… eppure il tempo sembra essere volato!”

“Già, però devo dire che tu non sei cambiata affatto. O quasi. Ti sei lasciata crescere i capelli vedo!”

“Sì, dopo aver lasciato la squadra ho smesso di tagliarli…” 

“Bè, hai fatto proprio bene, ti donano un sacco!” disse lei, scacciando quel leggero velo di malinconia che sembrava avvolgermi ogni volta che con la mente tornavo a qualche anno prima

Non avevo raccontato tutto a Sadie, in fondo era stato subito dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti che avevo cominciato a giocare a pallavolo, e nonostante i nostri tentativi di mantenerci in contatto, dopo pochi mesi avevo smesso di rispondere ai suoi messaggi, troppo presa dagli allenamenti.

Ma nonostante tutto il tempo che avevamo passato lontane lei sembrava conoscermi ancora bene, e capiva quando c’era qualcosa di cui non avevo voglia di parlare.

“A proposito, ho rivisto Noah un paio di giorni fa!” disse, mescolando il tè freddo che il cameriere le aveva portato “Anche lui non è cambiato per niente. Gioca ancora a hockey a quanto pare! Ti ricordi quanto ti piaceva a scuola? Scommetto che hai ancora un debole per gli sportivi scalmanati, ammettilo!”

Arrossii, facendola scoppiare a ridere divertita.

Sportivi scalmanati, quella definizione mi faceva tornare in mente qualcuno, pensai sorridendo.

Qualcuno che non aveva smesso di riempirmi di messaggi e chiamate da quando ero arrivata.

Qualcuno che mi ero ritrovata a pensare spesso in quelle due settimane.

Come in risposta ai miei pensieri sentii il telefono vibrare nella tasca frontale della salopette in cui lo avevo infilato. Sadie mi fece segno di rispondere e si alzò, diretta verso la vetrina di dolci del locale.

“Hey, hey, hey, Nori-chin!” mi salutò la voce esaltata di Bokuto 

“Bokuto-san saranno appena le 6 a Tokyo, non dovresti strafare con l’Interhigh alle porte!” lo sgridai, sentendo il suo respiro pesante, segno che aveva già finito i soliti giri di riscaldamento prima degli allenamenti mattutini

“È proprio per questo che devo darci dentro!” 

Sospirai: era inutile provare ad avere ragione con lui quando si trattava di pallavolo, solo Akaashi era capace di zittirlo.

“A che ora mi avevi detto che arrivi stasera?”

“Baka, l’aereo lo prendo stasera ma arrivo domani mattina visto che sono 12 ore di volo!” gli ripetei per l’ennesima volta

“Oh giusto! Allora io e Akaashi possiamo passare a prenderti dopo gli allenamenti!”

“Non ti preoccupare, non sono molto carica, posso sempre prendere un taxi appena scendo dal Narita expres-“

“Non se ne parla! Oh, devo andare, Yukippe non sa che ho scoperto dove mi nasconde il telefono! A domani Nori-chan!” disse, ridacchiando come un bambino che raccontava la marachella fatta, prima di chiudere la telefonata senza darmi alcuna possibilità di controbattere 

Guardai lo schermo sovrappensiero: queste sue attenzioni mi avevano sempre fatto piacere ma ultimamente, soprattutto dopo la notte di Tanabata, sentivo di provare anche qualcos’altro quando si trattava di Kotaro.

Un misto di tensione e smarrimento, che si mescolava alla felicità che sentivo nel ricevere i suoi messaggi, fitti di emoji, dove sproloquiava di strategie e schemi, e a cui allegava puntualmente tonnellate di foto e selfie a tradimento con Akaashi e Konoha.

Un insieme di emozioni che mi rendeva stranamente silenziosa durante le nostre telefonate quotidiane.

Proprio quando avevo iniziato a fidarmi davvero di lui, e ad affidargli parte dei miei pensieri e paure, sentivo ora inconsciamente il bisogno di volerlo allontanare, senza comprenderne il motivo.

E il pensiero che domani mattina lo avrei rivisto non aiutava molto.

 

*

 

Midori Shikako sbadigliò guardando la pila di fogli accatastata sulla sua scrivania, che sembrava davvero non esaurirsi mai. Quando i suoi colleghi le avevano detto scherzando che non esistevano vacanze per gli insegnanti lei aveva semplicemente pensato che stessero esagerando, ma si era dovuta ricredere. E in fretta.

Si sporse sulla scrivania ingombra per afferrare il registro di classe nuovo, che avrebbe dovuto compilare prima della ripresa delle lezioni, e lanciò un’occhiata distratta all’orologio della sala insegnanti.

Quello che vide la svegliò del tutto.

Si alzò di scatto, tanto da far cadere a terra la sedia, cosa che le attirò le occhiate stranite di alcuni colleghi, e con un balzo atletico non da lei si precipitò verso gli impianti sportivi del Nekoma High.

Come aveva fatto a dimenticare che quella mattina Nori sarebbe tornata a Tokyo?

Ieri era riuscita a chiamarla qualche minuto prima che si imbarcasse da Vancouver, e l’aveva sentita strana, distratta, anche più del solito. Per questo quella mattina si era ripromessa di finire di sistemare le ultime scartoffie in tempo per poterla andare a prendere in stazione.

Ma come al solito le era passato di mente.

Si appoggiò alla porta aperta della palestra 2 cercando di riprendere fiato.

Vide la squadra di pallavolo intenta a provare i servizi, e aguzzò la vista in cerca del coach Nekomata.

“Midori-chan! Sei passata a salutarmi?” disse lui comparendo alle sue spalle

“Oh, buongiorno Nekomata-sensei, avrei bisogno che mi prestasse uno dei suoi ragazzi per un piccolo favore!” 

 

*

 

Akaashi osservò Bokuto camminare impaziente su e giù per la banchina, e fermarsi ogni tanto per sbuffare o controllare il tabellone degli arrivi sopra di lui.

“Non è che se lo continui a fissare il tempo scorre più velocemente” gli disse ad un certo punto, cominciando a spazientirsi pure lui

Keiji si sentiva nervoso quanto Kotaro, se non di più: da quando Nori era partita aveva sopportato gli sbalzi d’umore del suo capitano giorno dopo giorno, vedendolo diventare sempre più lunatico e irrequieto. Il pensiero che il ritorno di Shikako potesse in qualche modo mettere un freno a questa sua inquietudine, soprattutto ora che l’Interhigh si avvicinava sempre più, era l’unica cosa che riusciva a consolarlo. Almeno in parte. 

Perché sapeva che quella situazione si stava sempre più ingarbugliando e la pazienza di Bokuto aveva un limite. 

Non sapeva ancora quanto tempo sarebbe passato prima che quella strana bolla, che sembrava avvolgere lui e Nori, sarebbe scoppiata, cambiando il loro rapporto, nel bene o nel male. 

Ma di una cosa era sicuro: Kotaro non aveva la minima idea del casino in cui si stava andando a cacciare. Anzi, non aveva la minima idea di quello che stava succedendo.

L’unica cosa che voleva era rivederla.

“Oya, non sapevo che avessimo un appuntamento!” esclamò una voce a loro familiare, facendoli voltare entrambi

“Bè, che c’è? Il gatto vi ha mangiato la lingua?” disse Kuroo, sorridendo divertito di fronte alle loro facce stupite

“Kuroo-san, come mai sei qui?” chiese Akaashi sospettoso

“Credo per il vostro stesso motivo” rispose lui, per poi dirigersi verso Bokuto e mettergli un braccio intorno alle spalle 

“Sei qui per Nori anche tu?” mormorò Kotaro collegando finalmente i pezzi

“A quanto pare Shikako-sensei ha avuto un contrattempo a scuola, così ha chiesto se qualcuno della squadra poteva farle il favore di raggiungere Nori ed aiutarla con i bagagli. E la scelta non poteva che ricadere sull’affidabile e maturo capitano, ho ragione?” esclamò, indicandosi “Non sarai mica geloso, vero?” 

Bokuto si sfilò dalla sua presa guardandolo male, stranamente serio.

“Tsk, come se potessi cascarci!” disse, sorridendo dopo qualche secondo, facendogli una linguaccia

“Fossi in te non abbasserei la guardia. Non lo sai che mi piacciono le ragazze con i capelli lunghi?” continuò imperterrito Tetsuro, senza smettere di stuzzicarlo

Akaashi li guardò punzecchiarsi e scherzare come erano soliti fare ogni volta che si trovavano assieme, decidendo poi di lasciarli perdere e controllare il cellulare.

Ma in quel momento sentì una voce metallica annunciare l’arrivo del treno e una folata d’aria scompigliargli i capelli.

La banchina, non molto affollata, in pochi secondi si riempì di pendolari, coppie e turisti. Dopo qualche minuto videro spuntare anche Nori, che arrancava trascinandosi dietro un grosso trolley che le arrivava quasi all’altezza della vita.

“Nori-chaaan! Bentornataaa!” urlò Bokuto, sbracciandosi non appena la vide, per poi andarle incontro e afferrare la maniglia della valigia così da poterle togliere un peso

Quel piccolo e fugace tocco la fece sobbalzare, come se si fosse scottata.

“G-grazie m-ma ce la faccio!” disse prontamente, abbassando lo sguardo

Raggiunsero Akaashi e Kuroo che erano rimasti ad aspettarli poco più in là.

“Kuroo-san?! Che cosa ci fai qui?” chiese Nori, sinceramente stupita dalla sua presenza

“Beh tua madre a quanto pare voleva farti una sorpresa, ma è rimasta bloccata a scuola… quindi ho deciso di fartela io” le rispose, facendole l’occhiolino

Lei lo guardò diffidente: non gli aveva ancora perdonato il piccolo casino di qualche mese prima, quando si era ingenuamente prestata ai suoi giochetti. Da quel giorno aveva capito che Kuroo non era così mansueto e innocente come pensava.

“Certo non mi immaginavo che avessi già una scorta personale ad attenderti!”

“Nori-san non badare a lui, piuttosto, è andato bene il volo?” le chiese Akaashi, ignorando volutamente le frecciatine di Tetsuro

“Sì, stranamente ho dormito per quasi tutto il viaggio. Ah, ho recuperato anche quel film di Bong Joon-Ho che mi hai consigliato, davvero terrificante! E anche l’ultima serie di Shonen jump mi sta piacendo, hai fatto bene a farmela iniziare!” disse Nori, sollevata di poter avere finalmente una discussione normale

E anche di poter ignorare Bokuto, che non sembrava intenzionato a smettere di lanciarle occhiate imploranti e di scrutarla con espressione interrogativa.

 

*

 

“Siamo arrivati!” dissi loro, fermandomi davanti all’uscio di casa e appoggiandomi stancamente alla porta di legno consumato “Bè, vi ringrazio per avermi aiutato con la valig-“

Ma non feci in tempo a terminare la frase perché la porta dietro di me si aprì con uno scatto, facendomi perdere l’equilibrio.

“Nori sei tornata! Ho sentito delle voci e ho subito pensato che foste tu e Midori!” disse mia nonna, sbucando dall’uscio

“Mamma non è riuscita a venire, ma mi hanno accompagnata loro” le risposi, alzando lo sguardo per farle notare i tre ragazzi che la fissavano incuriositi

“Lei deve essere la obasaan di Nori!” disse Kotaro, avvicinandosi e facendo un veloce inchino per salutarla

“Finalmente mi presenti i tuoi amici! Bè, che aspettate? Su venite, lasciatevi almeno offrire un tè per il disturbo” esclamò, facendoli entrare in casa senza ulteriori indugi

“Era da tanto che non si vedevano dei giovanotti qua dentro!” aggiunse poi, facendomi l’occhiolino

La seguii, sentendomi sprofondare, e con la scusa di darmi una veloce rinfrescata mi chiusi in camera per riprendere fiato. Ma dopo qualche minuto sentii bussare.

“Nori-chin ti ho portato la valigia, tua nonna mi ha detto che eri qui” sentii dire Bokuto

“Ok grazie” dissi sovrappensiero, sperando che se ne andasse, continuando a togliermi gli abiti sciupati dal viaggio

Ma in quel momento la porta si aprì e vidi Kotaro entrare indisturbato trascinandosi dietro il trolley.

Mi paralizzai, stringendo a me la maglietta che mi ero sfilata.

“Baka, non ti ho mica detto che potevi entrare!” esclamai, sentendo finalmente la voce tornare

“Eh?” lui mi guardò, preso in contropiede, arrossendo leggermente ma senza smuoversi di un millimetro

“La smetti di fare il pervertito ed esci da qui?” gli chiesi, sentendo le guance in fiamme

“Non capisco perché ti agiti tanto, tu mi vedi sempre a petto nudo e poi una volta sei pure entrata negli spogliatoi mentre mi stavo cambiando!“

“Sì ma solo perché mi avevi detto che eri vestito!” 

“Beh avevo le mutande, non ero mica nudo no?” controbatté, sorridendomi con aria divertita, per nulla turbato “Oh, tua nonna ha detto di portare di là quei biscotti che ti aveva chiesto di comprarle. Che biscotti sono?” 

Lo guardai allibita: come faceva a essere così svampito?

Niente, dovetti spingerlo fuori e chiudergli la porta in faccia, mentre sbuffava contrariato, per tornare ad avere un po’ di privacy.

 

*

 

“Ohh quindi questi sono i genitori di Nori-chan da giovani, Obaasan?” chiese Bokuto, chinandosi incuriosito su una delle foto sparpagliate sul tavolino ingombro di tazze da tè vuote e briciole

“Sì, questa me l’ha mandata la mia Midori qualche mese dopo aver scoperto di essere incinta” gli rispose Hiyori Shikako, lasciandosi trasportare dai ricordi “Mentre questa…” proseguì, afferrando un altro scatto “…è di quando si sono conosciuti, qualche anno prima, durante una delle ultime partite di Gilbert”

“Cosa? Una partita?” chiese Kuroo interessato

“Il padre di Nori ha giocato fino al college come centrale, e proprio durante un’amichevole ha conosciuto Midori, che quel giorno era lì solo per accompagnare un’amica fidanzata con il libero della squadra. Dopo averlo visto fare 3 ace di fila ha giurato a sé stessa che gli avrebbe parlato e così ha fatto” concluse sorridendo

“Bokuto-san stai facendo cadere tutte le foto!” disse Akaashi, afferrando gli scatti che erano scivolati dalle mani di Kotaro

“Obaasan, questa è Nori-chin vero?” domandò lui, indicando una bambina dai capelli corti e le ginocchia sbucciate, sorridendo divertito

“L’hai riconosciuta subito vedo! All’epoca era molto più maldestra e distratta, e ogni estate che veniva a trovarmi tornava a casa sempre piena di cerotti o con qualche nuova piccola cicatrice” gli rispose lei, pescando dalla scatola di legno laccata altre foto “Poi si è fatta più carina, e invece di giocare con i gatti di strada ha cominciato a diventare più posata e tranquilla, e a chiedermi di accompagnarla in libreria e al cinema invece che al parco. Ma la mia preferita è questa…” disse mostrando loro la foto di una bambina di poco più di 6 anni avvolta in un kimono rosa pesca, che le stava evidentemente troppo grande

“Wooow che carina che era!” esclamò Bokuto addossandosi su Kuroo per vedere meglio

“Ah sì? Perché ora come sarei?” disse una voce alle loro spalle, facendoli sussultare

“Nonna la devi smettere di tirare fuori quelle foto ogni volta che viene a trovarci qualcuno, non interessano a nessuno…” brontolò Nori, mentre cercava di raccogliere i capelli in una treccia morbida

“A me interessano!” esclamò Kotaro allungandosi sulla scatola prima che lei potesse afferrarla

“Bokuto non ti facevo un lolicon-” 

“Kuroo-san, non penso che Bokuto sappia cosa vuol dire quella parola” gli rispose Akaashi, smorzando quella provocazione sul nascere 

Nori sbuffò esasperata, e si chinò per prendere uno degli ultimi biscotti allo sciroppo d’acero rimasti dal vassoietto che aveva offerto loro, una piccola parte della scorta che sua nonna le aveva chiesto di portarle come souvenir, e che con ogni probabilità avrebbe offerto anche alla squadra l’indomani mattina visto quanto erano stati apprezzati.

“Beh sarà meglio che mi incammini, ho ricevuto il permesso dal coach Nekomata di usare la palestra anche oggi pomeriggio e non vogliamo certo battere la fiacca” disse Kuroo alzandosi e guardando Kotaro con un ghigno 

“Akaaashiii andiamo anche noi allora!!” esclamò Bokuto strattonando Keiji 

“Bokuto-san non abbiamo avvisato la squ-“

“Non importa, li chiameremo per strada! Nori-chan ti aspettiamo in palestra!”

“Ma almeno il coach Yamiji lo sa?” tentò di dire lei, seguendoli fino all’entrata

Avevano passato l’intera mattinata ad allenarsi e già stavano programmando di ritornare a scuola quello stesso pomeriggio, un sabato pomeriggio per di più, e durante le ultime settimane di vacanze estive!

“Obaasan grazie per il teee!” urlò Bokuto dall’ingresso

“Nori-san, scusa per il disturbo” disse invece Akaashi facendo poi un veloce inchino verso Hiyori, imitato da Tetsuro

Lei si appoggiò allo stipite di legno e li salutò sbadigliando, cominciando a risentire degli effetti del fuso orario. Eppure da quando era atterrata non aveva chiuso occhio un secondo, anzi si era pure fatta un giro tra i negozi dell’area arrivi poco prima di andare a prendere il Narita Express…

Negozi. Aereoporto. Quelle due parole le fecero tornare in mente qualcosa.

“Bokuto-san!!” urlò un secondo prima di vederlo svoltare in fondo alla via

Lui si voltò, guardandola sorpreso, staccandosi da Kuroo e Akaashi per raggiungerla.

“Mi hai chiamato, Nori-chin?” disse appoggiandosi alla porta per riprendere un po’ fiato dopo quello scatto

Lei arrossì per l’improvvisa vicinanza e indietreggiò, precipitandosi velocemente verso camera sua per recuperare qualcosa, decisa a sfruttare quel momento in cui erano soli e lontani da occhi indiscreti.

“Non sono brava a fare i regali, né tanto meno a comprare souvenir, ma mentre aspettavo il treno in aeroporto ho visto dei gashapon carini e quando mi è uscito questo ho deciso di volertelo regalare…” disse lei, facendo scivolare sul palmo aperto di Bokuto un portachiavi.

“Ohh ma è un gufo!” esclamò lui, colpito da quel gesto inaspettato

“Sì, insomma mi hai ripetuto un sacco di volte che vuoi che la squadra si chiami così dopo la partita 3 contro 3 con Kuroo al ritiro. E poi… beh mi sembra adatto a te no, Bokuto-san?" (nda: il termine “Bokuto” indica una tipologia di gufo in Giapponese) farfugliò Shikako, lanciando un’occhiata al buffo portachiavi che Kotaro stava ammirando mimando la stessa espressione sorpresa dell’animale disegnato

“Sei uguale!” disse, scoppiando a ridere

“Non è veroooo! Io sono più bello!” le rispose, fingendosi offeso per qualche secondo, per poi sorriderle divertito

La osservò ridere spensierata e sentì una voglia irresistibile di toccarla, tanto che affondò due dita nelle sue guance morbide, punzecchiandole.

“Nori-chan, te l’ho mai detto che hai una bellissima risata?”

Lei alzò lo sguardo su di lui, bloccandosi, come le succedeva ogni volta che Kotaro le faceva un complimento, spesso senza nemmeno rendersene conto, come un bambino abituato a dire sempre la verità, senza filtri.

“Beh sarà meglio che vada, a più tardi Nori-chin!” esclamò Bokuto d’un tratto, staccandosi da lei “E grazie per il portachiavi, mi piace tanto!” aggiunse, lanciando con enfasi un pugno in aria in segno di vittoria e aumentando il passo, fino a scomparire dalla sua visuale.

Lei sospirò, rimanendo ancora qualche istante imbambolata sull’uscio, sfiorandosi le guance sovrappensiero.

 

*

 

“Akaaaashiii avevi detto che mi avresti alzato la palla!”

“Bokuto-san stai disturbando gli allenamenti!”

“Ma-“

“Ho detto che lo avrei fatto dopo che tutta la squadra avrà finito di fare pratica con le battute”

“Eh?! Non è giustooo!!!”

Anche senza essere lì, dalle voci che mi arrivavano dalla porta aperta della palestra, mi immaginavo benissimo il broncio che in quel momento Kotaro aveva dipinto in faccia: le sopracciglia aggrottate, lo sguardo vuoto e abbattuto, gli occhi ridotti a due fessure, e il tono lamentoso che lo faceva assomigliare ad un vecchietto brontolone.

Mi chinai per prendere la bottiglietta di tè al limone dalla macchinetta, sorridendo a quel pensiero.

“Sto morendo di fame! Stasera sembrano proprio instancabili!” sospirò Yukie al mio fianco, finendo con un risucchio rumoroso il suo brick di latte alla fragola

“Già” mormorai, riprendendo fiato dopo aver vuotato tutta la bottiglietta in un sorso solo

“Ma non avevamo avanzato alcune confezioni di senbei al sesamo dalla spesa al konbini dell’altro ieri?” chiese Kaori, stiracchiandosi stancamente

“Magari! Konoha e Bokuto hanno scoperto dove le avevo nascoste e hanno fatto piazza pulita!” 

“Cosaa? Di nuovo?! Non dura niente quando ci sono loro!”

“I maschi sono davvero degli animali, vero Nori-chan?”

“Uhm?”

“Ultimamente sei sempre sovrappensiero!” disse Yukie, allungandosi verso di me e dandomi un leggero pizzicotto “Soprattutto da quando sei tornata dal Canada… non è che hai incontrato qualche vecchia fiamma?” mi chiese, sorridendo allusiva

“Ma va, cosa vai a pensare!” mi difesi, pregando di non arrossire

“Mmm, non me la racconti giusta… insomma, non ti lamenti più per gli allenamenti fino a tardi, sorridi senza motivo, hai sempre la testa tra le nuvole, ti lasci pure mettere i piedi in testa da Bokuto e spesso gli dai anche corda… non ti riconosco più!” 

“Dai non esagerare, Nori a volte è troppo buona tutto qua, non vedere sempre doppi sensi ovunque!” la ammonì Kaori

“Dici? Perché a me la situazione sembra piuttosto semplice…” replicò lei, avvicinandosi pericolosamente “… non è che per caso ti sei presa una cotta per Bokuto?” mi chiese senza tanti giri di parole, finendo con un rumore secco il brick che teneva in mano, senza staccare gli occhi dai miei, pronta a cogliere la mia reazione

Era sicura che sarei andata nel panico, e lo credevo anche io, ma al contrario quelle parole mi infusero una strana calma, come una voce fuori campo che in poche semplici frasi metteva chiarezza in una storia ingarbugliata.

Mi ero resa conto anche io che il mio atteggiamento verso Kotaro era mutato nelle ultime settimane: stare in sua presenza non era la stessa cosa di qualche mese fa, e anche se non avevo mai seriamente formulato quell’ipotesi non potevo negare che quel pensiero mi avesse sfiorato ben più di una volta.

“F-forse…” mi sentii rispondere, la voce ridotta ad un sussurro

Yukie per poco non si strozzò con l’ultimo goccio di latte che aveva bevuto.

“Forse? Che vuol dire forse? Pensavo che ti saresti messa a ridere o che non mi avresti neanche risposto per l'assurdità che avevo detto! Quindi sei seria?”

“Non lo so, non so più cosa mi passa per la testa ultimamente…” ammisi, decidendo di essere sincera per una volta

“Penso che passino tante immagini del nostro capitano condite da cuoricini e musiche di sottofondo romantiche!” aggiunse lei, palesemente divertita e compiaciuta dalla piega che aveva preso la situazione

Scossi la testa, sospirando pesantemente, e allontanandomi con aria spazientita: sapevo benissimo dove sarebbe andata a parare quella conversazione in fondo. 

Forse sarebbe stato più saggio parlarne prima con Kaori, che almeno possedeva un po' di tatto e serietà in più rispetto a lei. Non che ci volesse molto.

“Ti sei davvero presa una cotta per Bokuto! Per Baka-to!” mi canzonò Yukie, scoppiando a ridere sotto lo sguardo carico di rimproveri di Kaori

Le diedi le spalle, decisa a non darle corda.

Quindi era così? Mi piaceva davvero?

Cercai di mettere ogni imbarazzo da parte e riflettere sul significato che quelle parole celavano.

In quei mesi sentivo che Kotaro non era cambiato molto dal nostro primo incontro: continuava a comportarsi spesso da idiota, mettendo a dura prova la pazienza mia e della squadra, combinava disastri, ed era sempre il solito smemorato, ingenuo e permaloso che sfruttava ogni occasione buona per mettersi in mostra e divertirsi. 

Ma quando pensavo a lui non erano queste le prime cose che mi venivano in mente.

No, erano la passione che metteva in ogni cosa che faceva, la sua dedizione, il suo non arrendersi mai, la forza che sembrava possedere e trasmettere inconsciamente a chiunque gli stesse intorno.

Il suo viso che, come un libro aperto, tradiva ogni tensione e pensiero, passando dall’illuminarsi con il più sfrontato dei sorrisi al rabbuiarsi con il più infantile dei musi lunghi.

Quel suo essere semplicemente sé stesso, sempre e comunque, era qualcosa che mi rassicurava, che mi faceva sentire bene. 

La sicurezza che trapelava dalle sue parole e dai suoi gesti sembrava avere effetto anche su di me, facendo evaporare tutti i miei dubbi e le mie incertezze.

Ci conoscevamo da poco, quello era vero, ma ogni giorno che passavamo insieme davo sempre più per scontata la sua presenza nelle mie giornate, una costante a cui mi ero ormai abituata ma su cui raramente mi ero soffermata a riflettere.

Sentivo anche di essere cambiata e che stare in sua presenza ora mi faceva sentire inquieta, tesa, perennemente nervosa. Ma allo stesso tempo ricercavo sempre più la sua compagnia: come aveva detto Yukie non mi lamentavo più degli allenamenti che si prolungavano fino a tardi, non arrivavo più in modalità zombie la mattina in palestra e ultimamente non mi lasciavo scivolare addosso le sparate di Kotaro, anzi, gli rispondevo spesso e a volte ero io stessa a punzecchiarlo. 

Perché?

Stavo finalmente uscendo dal guscio che mi ero costruita in questi ultimi anni?

“Ehi Nori-chin! Non dirmi che ti sei offesa!” esclamò Yukie, destandomi dai miei pensieri

Mi voltai per farle una linguaccia, e farle così capire che l’avevo già perdonata. 

“A proposito, manca poco al tuo compleanno vero?” proseguì, appoggiando la testa sulla mia spalla e alzando lo sguardo su di me “C’è qualcosa che vorresti?”

La vidi abbozzare un sorriso malizioso e le scoccai un’occhiataccia: ormai la conoscevo bene.

Agosto era davvero volato, pensai. Mancava poco anche alla fine delle vacanze estive.

In effetti c’era qualcosa che volevo.

Delle risposte.

 

*

 

Le giornate avevano ripreso pian piano ad accorciarsi di nuovo, e quando Bokuto entrò in palestra vide che avevano già ricominciato ad accendere le luci anche la mattina presto.

Si tolse la tracolla dalla fronte e prima di dirigersi verso gli spogliatoi andò a salutare il coach e le manager.

“Yukippe! Kaorin! Buongiornoo!” esclamò pimpante nonostante l’ora “Oya? Ma Nori-chin non è ancora arrivata? Ultimamente è sempre puntuale!” 

“Baka, oggi è il suo compleanno non lo sai?” gli rispose Yukie trattenendo uno sbadiglio, china sul quaderno degli schemi che teneva in mano

Il silenzio di Kotaro la insospettì così alzò lo sguardo, incuriosita.

“Sì esatto, oggi Nori viene solo agli allenamenti del pomeriggio visto che il coach le ha suggerito di prendersela comoda e di festeggiare con la sua famiglia” proseguì Kaori notando lo sguardo perso del loro capitano
 “Aspetta, non dirmi che te ne sei dimenticato!” esclamò Yukie, divertita da quella situazione

Era sempre il solito idiota, non ricordarsi nemmeno del compleanno della ragazza che gli piaceva, che testa, pensò cercando di non scoppiare a ridere.

“Oh, buongiorno”

La voce di Keiji sembrò scuotere Bokuto dallo stato catartico in cui era piombato dopo lo shock di quella rivelazione.

“Akaaashiiiii” sbraitò, voltandosi verso di lui “Perché non mi hai ricordato che oggi è il compleanno di Nori-chan?!”

“Bokuto-san, ho cercato di parlartene la settimana scorsa ma mi hai subito fermato dicendo che non te lo saresti certo potuto dimenticare…” gli rispose, sospirando di fronte al suo sguardo stupito e colpevole

Kotaro afferrò la tracolla abbandonata a terra e si diresse con passo strascicato verso gli spogliatoi, sospirando sconsolato e maledicendo la sua pessima memoria. Sentì il cellulare vibrare nella tasca della tuta e si obbligò a rispondere.

“Oi, oi, oi, indovina cosa ho appena fatto!” 

“Kuroo non sono dell’umore oggi…” 

“Eh? Che vorresti dire? Oggi non è il compleanno di Nori-chan? Non dirmi che le hai fatto un regalo orribile!” 

Quelle parole fecero sentire ancora più in colpa Bokuto che sospirò pesantemente, affranto.

“Ah, quindi c’è di peggio… non te ne sarai mica dimenticato?” esclamò Tetsuro sorpreso, per poi scoppiare in una risata sguaiata

“Sto per mettere giù!” lo minacciò Kotaro, per nulla divertito

“No, no okay la smetto” disse lui cercando di ricomporsi “Dai, non c’è bisogno di farne un dramma, sei ancora in tempo per farle gli auguri e rimediare in qualche modo. Io glieli ho appena fatti a proposito…” aggiunse con tono provocatorio

Ma dal silenzio di Bokuto capì che quella volta la faccenda era davvero seria.

“Okay, ho capito. Ti darò una mano”

“Uhm? E perchè mi vorresti aiutare?” gli chiese Kotaro sospettoso 

“Lo sai no? Sono una brava persona in fondo!” 

 

*

 

Per fortuna ero quasi arrivata, pensai sollevata: tra la borsa frigo e la tracolla mi sentivo davvero impacciata e in più per la fretta mi ero dimenticata di legarmi i capelli, e ora sentivo la schiena umida e bollente per il caldo che quel giorno non accennava a diminuire.

Dalla palestra arrivava il solito vociare, anche se più tranquillo del solito stranamente, notai varcando la soglia.

“Ciao a tu-“

“Oh, Nori-chan! Buon Compleanno!” mi accolse Yukie, venendomi incontro e gettandomi le braccia al collo

La squadra si voltò verso di noi e tutti iniziarono a farmi gli auguri, uno dopo l’altro: Kaori, Akaashi, Saru, Konoha, Komi, Anahori, Onaga, Washio e… Bokuto?

Kotaro rimase in disparte a guardarci da lontano, per poi finalmente decidersi ad avvicinarsi quando vide le occhiate stranite che gli lanciavo.

“A-auguri Nori-chin!” esclamò tutto d’un fiato senza aggiungere altro e tornando in campo

“Ma che gli prende?” chiesi, seguendolo con lo sguardo

“Bè, parliamo di Bokuto, forse è meglio non saperlo” mi rispose Kaori sorridendo e trascinandomi verso le panchine

“Oh, a proposito ho portato una torta, posso chiedere al coach se-“

“Cosaaa? Una torta? E perché non lo hai detto subito?” esclamò Yukie, gli occhi che le brillavano

Anche quell’anno avevo deciso di portare avanti quella sorta di tradizione che accompagnava da tempo i miei compleanni. Non mi piaceva cucinare, o meglio, preferivo mangiare piuttosto che perdere ore in cucina per un piatto che in cinque minuti facevo sparire. E mia madre purtroppo era uguale a me in questo, anzi forse era anche peggio, visto che era capace di digiunare per giorni pur di non doversi trascinare a fare la spesa. Per fortuna c’era nonna Hiyori, altrimenti penso che avremmo seriamente finito per vivere di onigiri e dorayaki.

Ma c’era una sola cosa che mi piaceva preparare con le mie mani: le torte. Quelle comprate, soprattutto in Giappone, erano troppo dolci per i miei gusti e mi lasciavano sempre un retrogusto stucchevole e artificiale. Per questo sin da piccola avevo deciso che la torta del mio compleanno l’avrei fatta da sola, e tra tutte la mia preferita era sempre stata la lemon meringue pie: avevo sempre adorato la parte in cui bisognava bruciare la crosta di meringa con la fiamma del cannello, fino a farla dorare e caramellare.

“Ma è buonissima, Nori-san! Potevi dircelo prima che sapevi cucinare!”

“Saru quella è la seconda fetta che ti vedo prendere!”

“Eeeh? Perché rimproveri me, Komi? Yukie-san è alla terza!”

“Yukippe non è giusto! Così non potrò fare il bis!!”

“Non è colpa mia se siete lenti a mangiare!”

Li guardai azzannarsi sull’ultima fetta, mentre Akaashi e Kaori osservavano la scena scuotendo la testa, ma in fondo non c’era nulla da fare, quando si trattava di cibo Bokuto e Yukie diventavano irrecuperabili.

Quel pomeriggio volò senza che me ne accorsi, soprattutto perché Kotaro non spiccicò quasi parola per tutta la durata degli allenamenti, limitandosi a lanciare strane occhiate a Keiji ed evitandomi in tutti i modi possibili.

Non era la prima volta che si comportava così: l’ultima volta che era successo era stato lo stesso giorno in cui mi aveva chiamato per chiedermi cosa facessi a Tanabata.

Stava forse architettando qualcosa?

Scossi la testa e tornai a concentrarmi sul quaderno di appunti di gioco che mi aveva passato Kaori.

“Nori-chan! Stasera festeggiamo vero?” mi chiese Yukie, appoggiando la testa sulla mia spalla

“Uhm? Che vuoi dire?”

“Insomma è il tuo compleanno! Dobbiamo fare qualcosa!”

“Ma è già quasi buio e poi non ho pensato a niente…”

“Non ti preoccupare, la sottoscritta ha già un’idea in mente!”

Mi voltai per guardarla incuriosita, e anche leggermente preoccupata, e notai così lo strano sorriso divertito che le increspava le labbra.

E che non prometteva nulla di buono.

 

*

 

L’insegna del karaoke Molten brillava ipnotica, spiccando tra le luci della via piena di negozi e locali, in contrasto con le sfumature pastello del cielo, dove il sole era da poco tramontato.
 “Ta-daaan!” esclamò Yukie, parandosi di fronte alle due amiche e indicando l’entrata alle sue spalle “Allora sei contenta? Era da mesi che volevamo andarci!”

Nori sorrise, colpita da quella loro piccola ma bellissima sorpresa. Sentiva che tutto quello di cui aveva bisogno era proprio staccare la testa per qualche ora e divertirsi.

Voleva davvero mettere a tacere quel pensiero fisso che negli ultimi giorni non l’aveva abbandonata e non rimuginare più sul comportamento indecifrabile di Bokuto, che quel pomeriggio in particolare non aveva fatto altro che distrarla con quegli strani silenzi e prese di distanza. 

Non voleva ammettere a sé stessa di esserci rimasta un po’ male, ma in fondo sapeva che era così.

Si diressero verso la reception ma Nori non fece in tempo ad aprire bocca che Yukie l’anticipò.

“Abbiamo prenotato la stanza 20!”

“Oh, siete quelli della party room! Bene, vi aspettavamo… la sala è in fondo al corridoio!”

Quella frase stranì Shikako, che guardò interrogativa le sue amiche, che nel frattempo l’avevano presa a braccetto e la stavano trascinando quasi a forza.

Una volta arrivate di fronte alla porta della stanza 20 si voltarono a guardarla, facendole capire che toccava a lei aprirla.

Nori non aveva mai particolarmente amato le sorprese, preferiva farle piuttosto che riceverle: stare al centro dell’attenzione la faceva sempre sudare freddo e sentire tesa come una corda di violino.

Prese un respiro profondo e con uno scatto girò la maniglia, perché se c’era qualcosa che sopportava ancora meno era temporeggiare. 

La stanza era buia e calda, le luci soffuse, quasi spente. 

Un’atmosfera tanto silenziosa da sembrare surreale visto il contesto. 

Ma non appena la porta si richiuse alle loro spalle le luci si accesero, accecandole per qualche istante, e un coro di voci si alzò, facendo quasi tremare le pareti.

“BUON COMPLEANNOOO!” 

Nori riconobbe la squadra del Fukurodani al completo, che la fissava con aria soddisfatta per l’espressione di sorpresa che aveva stampata in viso, e tra loro intravide anche alcuni membri del Nekoma, tra cui Kuroo, Lev, Yaku e Yamamoto.

Ma tra tutti spiccava Bokuto, che in prima fila le sorrideva compiaciuto ed esaltato, e che iniziò a cantare, anzi urlare, Happy Birthday seguito a ruota dagli altri.

Shikako si trattenne dal ridacchiare per la pronuncia inglese sgangherata e storpiata, ma non poté fare a meno di arrossire e sorridere, tanto che le guance cominciarono quasi a farle male.

Kotaro si avvicinò pericolosamente tenendo il microfono in mano, fino a quando le fu davanti.

Lei si coprì il volto con le mani, avendo intuito le sue intenzioni, limitandosi ad applaudire una volta che la canzone fu finita.

Ma Bokuto non aveva intenzione di cedere e Nori intravide tra i palmi delle mani dischiusi che le stava davvero porgendo il microfono.

Sapeva quanto poteva essere testardo e in più sentiva addosso gli sguardi di tutti i presenti.

Non poteva proprio tirarsi indietro.

“G-GRAZIE A TUTTIII” urlò, afferrando il microfono e attingendo a tutta la sua riserva di coraggio

La stanza sembrò tremare di nuovo, questa volta per le risate dei ragazzi, sinceramente colpiti da quel gesto, a cui si aggiunse, qualche minuto dopo, il vociare e gli schiamazzi dei presenti che avevano subito cominciato a contendersi le prime canzoni.

Nori sentì le ginocchia cedere e scivolò sul divanetto più vicino, grata che l’attenzione su di lei si stesse pian piano dissolvendo.

 

*

 

“Don't stop me, don't stop me! Don't stop me, hey, hey, hey! Don't stop me, don't stop me! Ooh, ooh, ooh, I like it!!” 

Bokuto e Kuroo avevano nuovamente monopolizzato i microfoni, ma sinceramente, dopo aver sentito per la terza volta di fila l’opening di Evangelion, richiesta da Komi e Saru, ero contenta che avessero cambiato genere e avessero optato per un pezzo di rock classico.

Guardai il menù indecisa se prendere la terza limonata della serata, ma sentivo la gola secca e in più l’aria della stanza era diventata davvero irrespirabile, sempre più umida e calda.

“Ehi festeggiata, dopo tocca a te cantare!” esclamò Yukie, lasciandosi cadere stancamente sul divanetto accanto a me

“Cosa?! Sei pazza?!” le risposi prontamente, nascondendomi tra le pagine del depliant che tenevo in mano

“Ma è il tuo compleanno!”

“Non se ne parla, io non canto da sola neanche sotto tortura!”

“Neanche se io e Kaori ti facciamo da spalla?”

Alzai lo sguardò per vedere se faceva sul serio.

“O cantiamo insieme o niente” le dissi con un tono che non ammetteva repliche

“Uff, e va bene testona! Ma niente canzoni straniere, lo sai che l’inglese non è il mio forte!”

Kaori recuperò il tablet, approfittando di un momento di distrazione di Bokuto, e me lo porse.

Scorsi le migliaia di canzoni divise per generi, sperando di riconoscerne qualcuna.

Alla fine la vidi, una melodia che avevo ascoltato per caso anni fa e che mi era rimasta impressa.

Lemon di Yonezu Kenshi? È piuttosto famosa ma non pensavo la conoscessi” disse Yukie, regolando il microfono nell’attesa che le parole della canzone comparissero sullo schermo 

Presi un profondo respiro e mi concentrai sul testo, cercando di non pensare all’improvviso silenzio che aveva sostituito il vociare intorno a noi, scandito solo dalle note dalla musica che aveva invaso la stanza.

Sentii le parole scivolarmi addosso, fino a che non arrivai ai versi prima del ritornello, e per qualche secondo percepii il respiro morirmi in gola mentre leggevo i kanji di fronte a me:

 

戻らない幸せがあることを

Modoranai shiawase ga aru koto wo 

Alla fine, sei stato tu ad insegnarmi

最後にあなたが教えてくれた

Saigo ni anata ga oshiete kureta 

Che esiste un tipo di felicità che non ritornerà più

言えずに隠してた昏い過去も

Iezu ni kakushiteta kurai kako mo 

Anche il mio passato oscuro, che ho nascosto senza poterlo raccontare

あなたがいなきゃ永遠に昏いまま

Anata ga inakya eien ni kurai mama

Sarebbe rimasto per sempre oscuro se non ti avessi incontrato

 

Come in un film la mia mente si annebbiò di flashback e ricordi, mentre mi lasciavo docilmente trasportare alla notte di Tanabata, a quando avevo letteralmente aperto il mio cuore e messo a nudo quel passato che mi trascinavo come un peso da troppo tempo, e che aveva finito per farmi perdere di vista tante cose: il mio presente, il mio futuro, me stessa.

Bokuto non mi aveva giudicato, ma si era limitato ad ascoltarmi, riuscendo a illuminare con la sua luce quei ricordi macchiati di tristezza e rimpianto, mostrandomeli con occhi diversi, facendomi capire che non avevo sbagliato niente e che dovevo smetterla di incolparmi, ed iniziare invece ad essere consapevole degli sforzi che nascondono i fallimenti.

È vero, esiste un tipo di felicità che non ritorna più e spesso quando ce ne accorgiamo quel momento è già passato. Ma lui aveva saputo avvertirmi, dicendomi che farsi troppe domande non serve a nulla a volte, e che invece dobbiamo impegnarci solo nel cogliere quell’attimo che ci fa sentire vivi, e farlo nostro senza interrogarci oltre.

 

あの日の悲しみさえ あの日の苦しみさえ

Ano hi no kanashimi sae ano hi no kurushimi sae 

Anche la tristezza di quei giorni, anche il dolore di quei giorni

そのすべてを愛してた あなたとともに

Sono subete wo aishiteta anata to tomo ni 

Sono riuscita ad amarli con te al mio fianco

胸に残り離れない 苦いレモンの匂い

Mune ni nokori hanarenai nigai remon no nioi 

Nel mio cuore sento l’aspro profumo di limone che non va più via

雨が降り止むまでは帰れない

Ame ga furiyamu made wa kaerenai 

Non potrò tornare a casa finché non smette di piovere

今でもあなたはわたしの

Ima demo anata wa watashi no hikari

E ancora adesso tu sei la mia luce

 

Se ora mi trovo qui, circondata dai miei compagni, dalle mie nuove amiche, in fondo è in parte merito suo. 

Certo, avevo deciso io diventare manager, di dargli confidenza e di aprirmi di più con le persone che mi circondavano. 

Ma anche il fiore più forte ha bisogno di luce per sbocciare.

Quando per la prima volta lo avevo visto giocare non erano state tanto le sue capacità come giocatore a colpirmi, quanto la passione e l’energia che filtrava da ogni suo gesto, da ogni sorriso.

Come una forza incontrollabile che finisce per travolgere tutto ciò che la circonda.

Ed è proprio quando conosci il sole e il suo tepore che non puoi più fare a meno di ricercarlo sempre e comunque.

Senza fare nulla di speciale aveva saputo ritagliarsi uno spazio nel mio cuore, facendosi largo nei miei pensieri, spiazzandomi con la sua ingenua semplicità, la sua disarmante onestà, il suo entusiasmo irruente.

Mi aveva fatto capire che a volte basta semplicemente mettere le cose in prospettiva e vederne il lato positivo, cogliendo le opportunità che abbiamo davanti a noi, senza pensare troppo agli sbagli che potremmo commettere, ma semplicemente divertendoci.

E immersa in tutti questi pensieri in cui mi ero rifugiata non mi ero accorta che a cantare l’ultima strofa ero rimasta solo io.

“Meno male che non ti piace cantare da sola, eh?” mi canzonò Yukie dandomi una leggera gomitata

“Vado a prendere una boccata d’aria” le risposi, sentendomi improvvisamente accaldata e sudata come non mai

Mi diressi verso la porta, che aprii con uno scatto deciso, accorgendomi solo allora di Kuroo, che stava rientrando proprio in quel momento, con cui finii per scontrarmi.

“Oya? Tutto bene Nori-san?”

“Sì, voglio solo uscire a prendere un po’ d’aria…”

“Oh, ha appena iniziato a piovere, ti consiglio di usare l’uscita sul retro che da su un cortile riparato” disse, indicandomi una porta poco più in là

 

*

 

“Ehi, chi ha richiesto All Star degli Smash Mouth?” chiese Konoha, voltandosi verso il resto della squadra alle sue spalle

“Bokuto-san, non l’avevi prenotata tu?”

“Sì, ma non trovo Nori-chan, me l’aveva consigliata lei e vorrei che la cantassimo assieme! Akaashiii, sai dov’è?”

“Se cerchi la festeggiata è nel cortile sul retro a prendere una boccata d’aria” gli rispose Kuroo, stiracchiandosi sul divanetto di fronte a loro “Fossi in te la raggiungerei…” aggiunse con un sorriso malizioso 

Bokuto lo osservò con aria pensierosa e meditabonda per qualche istante, per poi alzarsi di scatto e dirigersi verso la porta.

“Oi, oi, oi aveva lo stesso sguardo concentrato di quando cerca di sfondare il mio muro” disse Tetsuro commentando la scena

“Akaashi-kun, che cosa ha intenzione di fare Bokuto?” domandò Komi, scambiandosi occhiate allusive e preoccupate con Sarukui e Konoha

Keiji non rispose, in quel momento neanche lui aveva ben chiaro che cosa passasse per la testa del loro capitano. Anche durante le partite, per quanto riuscisse a leggere e interpretare i suoi movimenti e le sue intenzioni, capitavano dei momenti così, in cui l’asso si lasciava guidare dall’istinto e non dalla sua squadra, spesso ribaltando le sorti della partita.

Ma questa volta non avrebbe saputo dire se in meglio o in peggio.

Kotaro si richiuse la porta cigolante alle spalle, inspirando a pieni polmoni l’odore di pioggia che riempiva l’aria, cercando con lo sguardo Shikako.

La vide pochi metri più avanti, al limitare della tettoia che li riparava dal temporale estivo da poco scoppiato: appoggiata alla parete dietro di lei, gli occhi socchiusi, i capelli sciolti raccolti da un lato, che lasciavano la spalla sinistra scoperta, su cui erano scivolate alcune gocce di pioggia. 

Trattenne il respiro indeciso sul da farsi, sentendo il cuore scoppiargli nel petto, lo stesso suono che tuonava nel cielo, così forte da sovrastare ogni suo pensiero.

Se c’era una cosa che non gli era mai riuscita era essere paziente. 

Aveva sempre voluto tutto e subito: nella pallavolo, in amicizia, a scuola.

L’attesa lo snervava e lo portava ad annullare inutili distanze, formalità e schemi.

Quando si trovava di fronte al suo obiettivo sentiva la mente come svuotata, ogni fibra del suo corpo tesa e pronta ad ascoltare cosa gli suggeriva l’istinto o, in questo caso, il cuore.

Si mosse verso di lei con passo felpato, deciso a non spaventarla, guidato solo dal desiderio di annullare ogni distanza tra loro, letteralmente.

Un ultimo passo e sarebbe stato di fronte a lei, che ancora sembrava non essersi accorta della sua presenza.

Voleva farle aprire gli occhi su di lui e sui sentimenti che in quelle settimane aveva goffamente nascosto e messo da parte, nell’attesa del momento giusto, dell’istante che avrebbe potuto cambiare tutto.

Con uno slancio si parò su di lei, le braccia tese sopra le sue spalle, inchiodandola così tra lui e il muro, un gesto che ricordava di aver visto molte volte in qualche sceneggiato romantico in tv.

In quello stesso istante un fulmine squarciò il cielo con un boato che fece sussultare entrambi.

Nori aprì gli occhi di scatto, ancorandosi d’istinto alla prima cosa che trovò davanti a sé, in quel caso il petto di Bokuto, a cui si appigliò per qualche secondo, il tempo necessario per riprendersi da quello spavento improvviso e per rendersi conto della situazione in cui si trovava, realizzazione che le fece mollare la presa dalla camicia di Kotaro e tentare di sottrarsi dalla sua presa.

Ma lui non si voleva arrendere, e notando il poco impegno che aveva messo in quei tentativi si chinò ancora di più su di lei, fino a sentire la sua frangia solleticargli la fronte, e il suo respiro sfiorargli il collo fino a farlo rabbrividire.

Nori

Il suo nome scivolò dalle sue labbra come un sospiro, perdendosi nel silenzio che vi seguì, un silenzio carico di premesse, simile agli attimi di quiete che anticipano una tempesta.

Ma il rumore della porta del locale, che si aprì di scatto, distrasse entrambi, rompendo quella bolla nella quale sembravano essere sprofondati.

“Oh. A-avete visto Lev?” chiese Yaku, visibilmente imbarazzato per la scena che si gli si era parata davanti, pentendosi subito di quella richiesta e optando per ritornare dentro e lasciarli nuovamente soli

Bokuto si voltò verso Shikako, che nel frattempo aveva approfittato di quel momento di distrazione per allontanarsi da lui, e la vide raggiungere la porta a grandi falcate, fino a scomparire dalla sua vista, inghiottita dal locale.

 

 

 

 

- - -
 
N O T E
 

Grazie a chi continua a leggermi e a seguire questa storia!

Questo è uno dei capitoli a cui sono più affezionata, nonché uno dei più corposi e intensi. Vi anticipo che il prossimo chiuderà un po’ il cerchio e ci darà modo di affrontare nuovi temi e sviluppi importanti. Non vedo l’ora! 

Vi spiego brevemente la questione del nome Nori/Nora: in pratica la scelta è ricaduta su “Nori” perché l’alga nori (quella che si trova nel sushi e negli onigiri) era l’unico cibo che non provocasse nausea a Midori durante la gravidanza, inoltre era simile al nome scelto da suo padre, “Norah”, un tributo alla cantante Norah Jones, le cui canzoni sono state il sottofondo musicale del primo appuntamento dei genitori di Nori. Ancora oggi suo padre e alcuni suoi vecchi amici canadesi la chiamano Nora.

Come per il ryokan Mikasa qui abbiamo il karaoke Molten XD, due, per chi non lo sapesse, dei marchi più celebri di palloni di pallavolo. 

E che ne dite del riferimento alla canzone della celeberrima canzone dei Queen “Don't Stop Me Now”? Penso che sia azzeccatissima con Bokuto e inoltre mi sono lasciata ispirare da questo bellissimo video di cui vi consiglio la visione.

Per la canzone scelta da Nori vi dico solo che l’ho trovata cercando le canzoni più gettonate ai karaoke giapponesi e che non appena ho letto il testo (la traduzione ovviamente XD) ho subito pensato che fosse perfetta per lei e per la storia! Ho scelto di inserire sia una cover che l’originale, perché è stupenda in entrambe le versioni e magari sentendola cantata con una voce femminile vi riuscite a immaginare meglio la scena che ho descritto.

La mossa finale di Kotaro è il kabedon XD 

Volevo troppo inserirlo, spero non sia risultata una mossa eccessiva ma comunque IC (oddio spero XD)

Fatemi sapere che ne pensate, qualsiasi opinione è ben accetta e mi farebbe felicissima <3

A presto,

Mel

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Capitolo 7
*** Settembre ***


S E T T E M B R E

長月

 

 tracks n°27-28-29-30-31  
chapter pic

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Lo spogliatoio maschile della palestra 3 quella mattina era più rumoroso del solito, ma, stranamente, quella volta il capitano della squadra sembrava non centrare nulla. 

Non direttamente almeno.

“Cosaaa?! Sei sicuro Komi??” 

“Assolutamente! Conosco Yaku, non inventerebbe mai balle del genere” rispose Haruki Komi, libero della squadra, passandosi un asciugamano sul viso sudato “Ha davvero visto Bokuto e Shikako appartati”

Konoha si voltò a fissarlo, ancora scioccato per quella rivelazione, mentre in sottofondo il resto dei ragazzi avanzava ipotesi e scenari.

“Ma non è tutto…” proseguì Haruki “…Bokuto era appoggiato al muro in una posa molto particolare… il kabedon!” disse, lasciandosi finalmente scappare una risata

Konoha e Sarukui scoppiarono a ridere, imitandolo, mentre il resto della squadra non si trattenne dal sorridere divertito nel pensare al loro capitano in una situazione simile.

“Aspetta… vuoi dirmi che oggi era ridotto ad uno straccio perché…” tentò di dire Konoha, riprendendo fiato

“Nooo! Non vorrai dirmi che lo ha rifiut-“

“Ehm, ehm…” tossì Akaashi comparendo alle loro spalle, cercando di catturare l’attenzione della squadra

Kotaro apparve dietro di lui, simile ad un’ombra, in viso un’espressione tetra e assente.

I compagni lo seguirono con lo sguardò finché non lo videro trascinarsi riluttante verso le docce, dove scomparve avvolto in una nuvola di vapore.

Dopo mezz’ora abbondante, Keiji, l’unico rimasto ad aspettarlo, preoccupato e spazientito, decise di andare a recuperarlo.

Sapeva che Bokuto aveva bisogno di tempo per elaborare quanto successo la sera prima, e che una volta che lo avesse fatto lo avrebbe cercato per sfogarsi e chiedergli un consiglio. 

Si era sempre comportato così da quando lo aveva conosciuto, eppure quella volta le cose sembravano diverse.

“Bokuto-san, è tardi e dobbiamo chiudere la palestra…” disse Keiji, osservando distrattamente lo schermo del cellulare, destandosi quando sentì finalmente il getto della doccia interrompersi

Kotaro uscì afferrando al volo l’asciugamano che Akaashi gli porgeva, dirigendosi con passo strascicato verso gli armadietti, dove cominciò a vestirsi meccanicamente, senza proferire parola.

Keiji continuò a fissarlo pensieroso, indeciso su come comportarsi: era una situazione nuova anche per lui in fondo. 

Non stavano parlando di pallavolo, di partite, competizioni o squadre avversarie, no, si trattava di questioni molto più delicate, dove il suo intuito e i suoi ragionamenti perdevano quel potere su cui aveva sempre fatto affidamento in campo.

Sapeva come consolare Bokuto dopo una sconfitta, anche se per sua fortuna era successo di rado, ma in questo caso si sentiva inutile e inesperto, tanto quanto il capitano che si deprimeva davanti a lui.

In fondo il concetto di sconfitta è labile nello sport: prima o poi si presenterà sempre un’occasione per i perdenti di diventare vincitori, e viceversa, in un universo di sfide continue dove nessuno scrive mai davvero la parola fine.

Ma nelle relazioni è diverso, a volte non ci sono seconde possibilità.

“Vuoi fermarti al konbini a prendere qualcosa da mangiare?” propose Akaashi, deciso a non mollare la presa e a cercare il modo giusto per farlo parlare, una volta che ebbero chiuso la palestra

Bokuto si limitò ad annuire e a seguirlo, senza aggiungere altro per tutto il tragitto fino al negozio.

“Oh, ci sono i nikuman in offerta… ti va se-“

Ma Kotaro stava fissando lo scaffale degli onigiri, lo sguardo perso e distante.

“Stai pensando a Nori-san, non è vero?” (nda, Nori in giapponese significa alga, la stessa che compone gli onigiri) gli chiese Keiji, voltandosi e scrutandolo accigliato

Bokuto sussultò, come sempre colpito dalla sfacciata e brutale onestà dell’amico, che non si faceva mai troppi problemi a toccare i suoi nervi scoperti e a dire le cose per come stavano.

“Sì… sono davvero stupido non è vero?” rispose, ridacchiando nervosamente, consapevole di come spesso fosse un libro aperto per le persone che gli stavano accanto, soprattutto per Akaashi

“No, non lo sei” rispose semplicemente lui, catturando la sua attenzione “O almeno, non sempre. È vero a volte esageri e sbagli, ma il coraggio, la sventatezza che guida le tue azioni, non è sempre una brutta cosa. A volte è meglio convivere con i rifiuti piuttosto che essere sommersi dai rimpianti e dai dubbi”

In questo Keiji lo ammirava: possedeva un coraggio che lui poteva solo aspirare a fare suo un giorno. 

La sua forza aveva tante e diverse sfaccettature, e tra queste comprendeva la capacità di non tirarsi mai indietro di fronte alle sfide, fossero queste sportive o meno.

Certo, non sapeva ancora affrontare le sconfitte e far fronte ai problemi, ma con il tempo era sicuro che sarebbe riuscito a superare anche questi limiti, e a crescere.

“Che cosa dovrei fare ora secondo te?” gli chiese Kotaro, sbuffando, tirando finalmente fuori il solito tono lamentoso con cui lo assillava quando le cose non andavano secondo i suoi piani e non sapeva più dove sbattere la testa

Ecco, ora lo riconosceva, il suo capitano e amico, un bambino travestito da liceale, che alla fine finiva sempre per cercare il suo aiuto e appigliarsi alla sua saggezza.

Non capiva come con il tempo avesse finito per porre tutta questa fiducia in lui e nella sua capacità di giudizio, in fondo era pur sempre un suo kohai. Eppure questo lo lusingava e lo spingeva ad impegnarsi per essere davvero quella spalla di cui lui aveva bisogno.

“Se ci tieni davvero a lei, se vuoi ancora starle accanto… dovrai imparare a farlo come amico” disse, esternando le uniche certezze che gli apparivano chiare “Devi sforzarti e cercare di accettare la sua decisione, i suoi sentimenti. Sei in grado di farlo?”

Bokuto alzò lo sguardo al soffitto, come a fissare un punto indefinito, concentrandosi su quella domanda.

“Lo sai, nulla è impossibile, ma questo non vuol dire che non sarà difficile” gli rispose, tornando a guardarlo, sorridendo come per farsi forza

Akaashi lo fissò interdetto, stupendosi di come a volte riuscisse a tirare fuori tanta maturità.

Forse stava già crescendo e lui non se ne era accorto.

 

*

 

Il rumore della sveglia mi arrivò ovattato e distante dal rifugio di coperte e cuscini sotto cui ero sepolta.

Sentivo i brividi attraversarmi il corpo a ondate, mentre allo stesso tempo una sensazione di caldo insopportabile mi faceva desiderare di strapparmi il pigiama di dosso.

Sapevo che sarebbe stata solo questione di tempo prima che il raffreddore e il mal di gola non curati, che non mi avevano dato tregua nell’ultima settimana, avrebbero portato ad un simile epilogo. 

Il temporale scoppiato la sera del mio compleanno continuava a mietere danni a quanto pareva.

Feci appello a tutta la mia forza di volontà per alzarmi finalmente dal letto e trascinarmi fino al cassetto delle medicine in camera di mia nonna, dove recuperai una tachipirina e un termometro.

Mi misurai la temperatura pensando nel frattempo al da farsi: mamma era a scuola da ore e non si sarebbe fatta viva prima di sera, chiamarla sarebbe stato inutile, e nonna era a Tottori da sua sorella e sarebbe tornata nel weekend.

Avevo 38 e mezzo, come sempre ero la solita idiota che finiva per ammalarsi d’estate, pensai, starnutendo per l’ennesima volta.

Dopo aver preso la tachipirina mi rintanai sotto le coperte, decisa a dormire nell’attesa che la pillola cominciasse a fare effetto. Ma quando stavo per prendere nuovamente sonno il pensiero degli allenamenti saltati mi fece venire in mente che avrei dovuto avvisare qualcuno della mia assenza.

Decisi di scrivere ad Akaashi, in questo modo avrebbe potuto avvertire sia la classe che la squadra, visto che proprio non me la sentivo di tornare a scuola, nemmeno nel pomeriggio.

Poggiai il cellulare sul comodino e mi rituffai sotto le lenzuola, sforzandomi di svuotare la mente.

Ma il sonno sembrava essere passato del tutto, e aveva lasciato il posto ai soliti pensieri che da una settimana a questa parte non facevano che assillarmi.

Il mio compleanno, il karaoke, Bokuto, la pioggia, le parole non dette che erano rimaste sospese tra noi, e da cui ero scappata.

Avevo rovinato tutto, ero stata codarda e ora ne pagavo le conseguenze.

Vedere Kotaro starci male era doloroso, ma vederlo reagire e cercare di superare la cosa, tornando a parlarmi ma senza quella luce e quelle attenzioni che negli ultimi mesi mi aveva sempre dedicato, era ancora peggio.

Ora me ne rendevo conto, di tutte le cose che avevo dato per scontato e che ora sembravano perse per sempre. 

Aveva smesso di cercarmi, di assillarmi con i suoi commenti sulle partite, di mostrarmi i suoi miglioramenti in campo, di giocare con i miei capelli, di autoinvitarsi alle mie uscite con Yukie o Akaashi, di intromettersi nei miei discorsi o di programmare qualcosa assieme.

Sembrava che si stesse impegnando nel lasciarmi i miei spazi, nel dimostrarsi maturo e rispettoso nei miei confronti. Quando in realtà sentivo di non meritarmi il suo impegno per come mi ero comportata.

Ero scappata da lui, dai miei e dai suoi sentimenti, e avevo finito per incrinare la nostra amicizia.

Non sapevo perché ma quella sera proprio non ce l’avevo fatta ad accettare tutto quello che stava accadendo: erano successe troppe cose e troppo in fretta, e questo mi aveva spaventata.

Perché sì, io avevo paura.

Paura che se avessi continuato ad avvicinarmi troppo a lui avrei finito per scottarmi.

Ma forse era questo quello che volevo davvero. 

Non mi bastava più lasciarmi scaldare dalla sua presenza, dalla sua luce, e tenerlo a distanza. 

Ma era giusto comportarsi così? 

Essere egoisti e seguire i propri sentimenti? 

Ascoltare e dare voce a tutti i pensieri e a tutte le parole non dette che avrei voluto confessargli, che come fili invisibili mi attiravano verso di lui, anche a costo di gettare all'aria tutti i piccoli passi che ci avevano avvicinato in questi mesi?

Avevo paura. 

Di quello che avrei potuto fare, e di come tutto sarebbe potuto cambiare di conseguenza. 

Dopo tanto tempo mi sentivo finalmente in pace con me stessa: provavo quel piacevole senso di tranquillità che aveva preso il posto delle domande e dei dubbi che mi accompagnavano la notte prima di dormire. 

Perché rinunciare a tutto questo? Perché far crollare di nuovo tutte le mie certezze e lanciarmi nel vuoto, verso qualcosa che non conoscevo ma che mi attirava come una falena verso la luce? 

Una luce che avrebbe finito per bruciarla, per farle male. 

Avevo paura. 

Ma sentivo che c’era qualcosa di più forte della paura, qualcosa che si faceva prepotentemente largo dentro di me, mettendo a tacere tutte queste domande, cullandomi con dolci illusioni, dipingendo i miei pensieri di colori nuovi. 

Ed era la voglia di scoprire cosa mi aspettava dopo questo salto nel vuoto.

Dicono che innamorarsi è un atto di fede, un azzardo, perché non sai davvero a cosa stai andando incontro.

E allora l’unica cosa che puoi fare è arrenderti, e avere fiducia.

Deporre le armi e metterti a nudo, esporti in tutte le tue debolezze, e sperare che la persona davanti a te ti accetti e si abbandoni allo stesso modo.

Sì ho paura è vero, ma ho anche tanta voglia di strappare questo velo tra noi. 

Voglio prendere in prestito un po' di quel coraggio, che irradi senza rendertene conto, e provare a lasciarti per una volta senza parole. 

Voglio ringraziarti per tutti i sorrisi, le parole, le risate e la forza che hai saputo regalarmi.

Voglio andare avanti e scoprire dove tutto questo potrebbe portarmi.

Le parole che volevi dirmi quella sera, voglio ascoltarle.

Rimedierò al mio errore, e non commetterò più passi falsi.

 

*

 

Nori aprì gli occhi lentamente, mentre i contorni della stanza intorno a lei diventavano sempre più nitidi

Sentiva le palpebre pesanti ed il corpo molle e senza forze, ma la gola secca la spinse a svegliarsi del tutto e a cercare a tentoni il bicchiere d’acqua che lasciava sempre sul comodino.

Era fresco, eppure non si ricordava di averlo riempito prima.

Bevve avidamente sentendosi subito meglio, e dopo neanche qualche secondo scivolò nuovamente nel dormiveglia.

“Nori-chaaaan!”

Quella voce… chi la stava chiamando?

Aprì gli occhi, scocciata dall’essere stata disturbata, e stropicciandosi il viso cercò di mettere a fuoco l’ombra davanti a sé, sperando in cuor suo che non si trattasse di un episodio di paralisi del sonno.

Bokuto la stava chiamando con tono preoccupato, scrutandola accigliato.

“Allora è vero che se non ti svegliano sei capace di dormire per ore!” esclamò una volta che la vide restituire il suo sguardo, sorridendole sollevato

Nori lo fissò stralunata, non capendo se stesse ancora sognando: chi lo aveva fatto entrare?

Kotaro allungò una mano per tastarle la fronte e quel breve contatto scacciò via ogni possibile dubbio: era davvero lì, era reale!

“C-che ci fai qui? E come sei entrato?” biascicò, tirandosi su a sedere

“Oh è stato semplice! Yukippe mi ha detto dove nascondi la chiave di riserva!” le rispose con espressione soddisfatta “Comunque non sembri calda, ma Kaorin mi ha raccomandato di farti prendere un’altra medicina prima di tornare agli allenamenti! Però devi mangiare qualcosa… scommetto che non ti sei alzata dal letto da stamattina e sei digiuna, vero?” 

Il gorgogliò della sua pancia vuota rispose al suo posto, facendo scoppiare a ridere Kotaro.

Le porse una busta del konbini carica di onigiri al tonno e maionese, i suoi preferiti, mochi al burro d’arachidi e alcune lattine di tè al latte e le disse che non se ne sarebbe andato finché non l’avesse vista mangiare tutto.

Lei borbottò come una bambina, fintamente offesa da quei rimproveri, ma in realtà stava morendo di fame e conoscendosi sarebbe stata davvero capace di non alzarsi dal letto fino al ritorno di sua madre.

“Ti piacciono davvero tanto i musical, eh Nori-chin? E questi quaderni sono diari? Wow, hai un sacco di manga… quasi quanto Akaashi! Ah, questo l’ho letto anche io, forte eh? E quanti dvd! A proposito, ne ho ancora un paio da restituirti… scusami!” blaterò Bokuto mentre curiosava e gironzolava per la sua stanza

Lei per quella volta lo lasciò fare, la bocca troppo impegnata per rispondergli, il corpo troppo debole per permetterle di alzarsi e trascinarlo via dalle sue cose.

Quando Kotato la vide spazzolare via anche l’ultimo mochi e bere l’ultimo sorso di tè, le allungò la tachipirina e le rimboccò le coperte.

“Bene, ora pensa solo a riposarti, perché devi tornare al più presto agli allenamenti! Non dirlo a Yukippe, ma i tuoi appunti di gioco sono i migliori!!” le disse, prima di chinarsi per prendere la tracolla abbandonata a terra

“Aspetta!” esclamò Shikako, sporgendosi dal letto per afferrare un lembo della sua felpa 

Lui si voltò, guardandola interrogativo.

“G-grazie, per essere venuto. Davvero!” disse, cercando di mettere ordine tra i pensieri che affollavano la sua testa in quel momento “Io… volevo scusarmi con te. Mi dispiace per quella sera…” iniziò, sperando che capisse la sua allusione

“Hey, hey, hey, Nori-chin! Non ti devi preoccupare, va tutto bene! Ti verrà anche il mal di testa se continui a sforzarti così!” si intromise lui, cercando di alleggerire l’atmosfera pesante scesa tra loro “Ti lascio qui anche i quaderni di Akaashi con gli appunti delle lezioni di oggi, ma ora non ci pensare e promettimi che ti riposerai, ok?” disse, tendendole un pugno chiuso a cui lei rispose, imitandolo

Lo vide scomparire oltre la porta e solo allora chiuse gli occhi, addormentandosi dopo pochi istanti.

 

*

 

Il fischio del coach Yamiji riecheggiò per il campo e fu un seguito da un coro di sospiri ed esclamazioni stanche, a cui si aggiunsero presto le proteste di Bokuto, intenzionato a voler andare avanti ancora un po’.

“Eh? Un altro set?! Ma è tardissimo e sto morendo di fame!” esclamò Konoha, afflosciandosi sul pavimento, cercando di riprendere fiato dall’amichevole appena conclusa

“Ma non si stanca mai?!” brontolò Komi, afferrando al volo la borraccia lanciata da Kaori

“Ah, lascialo perdere, lo sai che dopo che giochiamo con il Nekoma rimane su di giri per giorni” disse Sarukui, prendendo l’asciugamano che gli porgevo

Guardai Kotaro, impegnato a fare stretching e a tormentare Akaashi, e avvertii una fitta al petto.

Erano passate due settimane da quando mi ero ammalata: il giorno dopo la mia assenza Bokuto aveva ripreso a comportarsi normalmente, tanto che pensai di essermi sognata tutto, comprese le parole con cui avevo tentato di scusarmi e di farmi perdonare da lui.

“Ehi, oggi vi vedo proprio a pezzi… forse ho esagerato?” esclamò Kotaro, trotterellando su di giri verso il resto della squadra che al contrario lo guardava in cagnesco “Oh Yukippe! Sono rimasti ancora quei deliziosi taiyaki che hai comprato l’altro giorno?” chiese, voltandosi verso di lei

“Mi prendi in giro?! Te li sei sbafati tutti tu ieri mattina! E hai pure osato dire che non era vero con la faccia tutta sporca di marmellata anko!” sbraitò lei, sbattendogli il quaderno degli schemi in testa “Non sono neppure riuscita ad assaggiarne uno!”

“Neanche io!!”

“Bokuto-san, sei sempre il solito!!!”

Aggiunsero Komi e Konoha, guardandolo con aria torva e risentita.

“Se volete faccio un salto al volo e ne prendo qualcuno…” proposi, cercando di risollevare un po’ l’umore della squadra

“Nori-chan! Dici davveroo??” 

Yukie mi guardò con gli occhi che le brillavano: quando si trattava di cibo si lasciava davvero comprare con poco, pensai sorridendo.

Mi misi la felpa e afferrai la tracolla, ma quando stavo quasi per uscire dalla palestra mi sentii chiamare.

“Aspetta! Portati dietro anche Bokuto così non ti dovrai caricare troppo!” esclamò Kaori, mentre alle sue spalle Akaashi e Sarukui spingevano un indispettito Kotaro, che brontolava contrariato per essere stato allontanato dal campo

Nel breve tragitto fino al konbini cercai di intavolare qualche discorso ed evitare così quell’insopportabile silenzio che era calato di recente tra noi. Mi resi conto che i ruoli si erano comicamente invertiti e quella che ora blaterava cose senza senso ero diventata io, mentre Bokuto si limitava a rispondermi, ma senza quell’enfasi e quella vivacità che lo avevano sempre caratterizzato. Sembrava come se si stesse trattenendo, tanto che a volte mentre parlava si interrompeva senza motivo, come se si fosse accorto di aver detto qualcosa di troppo, di essersi spinto troppo oltre.

“Oya? Nori-chin, ci sono i panini alla yakisoba in offerta! E guarda questa mega confezione di senbei alla salsa di soia! Waah, queste caramelle gommose all’uva sono buonissime, me le ha fatto assaggiare Anahori tempo fa!” esclamò Kotaro arrivando verso di me come un tornado, le braccia cariche di snack

“Li posso prendere??” mi chiese con sguardo supplichevole

Lo guardai trattenendo una risata, domandandomi se il ragazzo di fronte a me fosse davvero un liceale di un metro e 85 e non un bambino sotto mentite spoglie.

“Non possiamo prenderli tutti! Scegline solo uno, quello che ti piace di più” gli risposi, stando al gioco e comportandomi come una mamma severa

“Solo uno?!” protestò, per poi mettersi a fissare tutti i prodotti che teneva in mano, il volto concentrato e teso per la difficile decisione da prendere

“Allora scelgo questo i panini alla yakisoba in offerta 2x1!” esclamò dopo qualche minuto, orgoglioso come se avesse risolto la più difficile equazione matematica esistente

Gli sorrisi, osservandolo rapita: era da tanto che non vivevamo momenti semplici e spensierati come questi, e mi mancavano terribilmente, come mi mancava lui, in tutte le sue sfaccettature.

“Sei sicuro che vuoi portare tutto tu? Almeno la mia tracol-”

“Non ti preoccupare Nori-chin, non pesano nulla per me!” 

Lo guardai scuotendo la testa, sapendo che era inutile insistere.

Eravamo quasi arrivati di fronte all’ingresso della palestra, quando mi accorsi delle luci spente e della squadra al completo poco più avanti, in attesa del nostro ritorno.

“Oh, eccovi qua finalmente! Ce ne avete messo di tempo!” esclamò Yukie, dirigendosi verso Bokuto e tuffando una mano nelle borse che stava reggendo per prendere il proprio taiyaki fumante, imitata a ruota da tutti gli altri

“Akaashi ha avuto proprio un’ottima idea! Allontanare Bokuto con una scusa e approfittare della sua assenza per chiudere la palestra… geniale! Non so come faremmo senza di te!” scherzò Komi, dando una pacca sulla spalla al suo kohai

“Cooosaaaaa!?” urlò Kotaro, sbuffando offeso per il tradimento subito

“Bene, allora ci vediamo domani!” 

“A domani!”

Nemmeno il tempo di metabolizzare quanto era appena successo che ci ritrovammo nuovamente soli.

E affamati.

“Ehi, ti va se ci fermiamo nel parco che c’è prima della fermata della metro? Sto morendo di fame!” gli proposi, cercando di ingoiare ogni possibile nervosismo

Bokuto si limitò ad annuire, seguendomi mentre facevo strada verso l’altalena dove tante volte quell’estate ci eravamo fermati a mangiare un gelato dopo gli allenamenti insieme agli altri: ricordi felici che conservavo gelosamente e che in quel momento mi apparivano più che mai distanti.

Mi dondolai sovrappensiero mentre con una mano facevo scivolare via le briciole rimaste impigliate nella divisa, per poi alzare la testa verso il cielo, improvvisamente nuvoloso.

“Mi sa che tra un po’ inizierà a piovere…” dissi, sentendo nell’aria il tipico odore di pioggia che procedeva un acquazzone

Ormai sembrava che il mal tempo mi perseguitasse, osservai, sospirando seccata.

“Cosa?” chiese Bokuto, mentre cercava per l’ennesima volta di mettersi in piedi sull’altalena “Che strano… non c’era una nuvola fino a poco fa!” aggiunse poi, osservando il cielo con il naso all’insù, perdendo nuovamente l’equilibrio ed evitando di cadere per un pelo

“Forse è meglio se ci avviciniamo alla metro...” dissi, mordendomi il labbro

Non avevo assolutamente voglia di tornare a casa, di passare un altro giorno in una situazione di stallo che non riuscivo più a tollerare.

Volevo sistemare le cose, ma non sapevo da dove iniziare.

In quel momento sentii una goccia bagnarmi la punta del naso, seguita a ruota da altre che mi scivolarono sulle guance, finché pian piano non cominciò a piovere copiosamente e finimmo per inzupparci da capo a piedi in pochi secondi.

“Corriamo!!” esclamò Bokuto, voltandosi verso di me con uno scatto, afferrandomi una mano mentre con l’altra si copriva il viso per cercare di orientarsi 

Non opposi resistenza e mi lasciai guidare da lui mentre ci avvicinavamo sempre di più verso la nostra destinazione, scansando passanti e pozzanghere, quest’ultime con meno successo, per il divertimento di Kotaro, che nonostante tutto sembrava apprezzare quell’inconveniente.

“Ah, aspetta! Quell’autobus passa vicino casa mia! Forse riusciamo a prenderlo!” esclamai, notando la fermata poco distante da noi

“Sei sicura? Così ci metteremmo una vita ad arrivare! Ormai siamo quasi vicini alla-“

Ma non lo lasciai finire, e stringendo la presa sulla sua mano aumentai il passo fino a raggiungere le porte appena aperte del bus davanti a noi, fortunatamente vuoto.

Anche io sapevo essere testarda quando volevo, e quella sera non sarei tornata a casa finché non fossi riuscita a fare qualcosa per sistemare la situazione in cui mi ero cacciata con le mie stesse mani.

Bokuto si abbandonò allo schienale del sedile di fianco a me, sospirando pesantemente.

Lo osservai con la coda nell’occhio, mentre cercavo di tamponarmi il viso bagnato con un fazzoletto: i capelli gli erano ricaduti sul volto e le ciocche, umide e spettinate, ora scendevano fino agli occhi, dandogli un’aria completamente diversa, quasi più adulta, tanto che mi sembrò di trovarmi assieme ad un’altra persona.

La mia mano si mosse da sola, e con tocco incerto gli spostai quella nuova frangia, cercando il suo sguardo.

Sentii un brivido lungo la schiena, senza riuscire a capire se fosse per la pioggia fredda che ci aveva sorpresi o per qualcos’altro.

“Nori-chan, hai la pelle d’oca! Non puoi mica ammalarti di nuovo!” esclamò Kotaro, sfilandosi la felpa della tuta e appoggiandomela sulle spalle

“Neanche tu puoi permetterti di prenderti un raffreddore!” cercai di protestare 

“Eh? Il sottoscritto non si è mai ammalato una volta negli ultimi tre anni! E non ha neanche mai saltato una partita o un allenamento come titolare!” mi rispose, gonfiando il petto, orgoglioso per quel record imbattuto

Sorrisi, appoggiandomi al finestrino e osservando le goccioline di pioggia rincorrersi veloci sul vetro.

File di negozi e insegne colorate passavano rapide davanti ai miei occhi, finché non ci fermammo ad un semaforo rosso e il mio sguardo fu catturato dalla vetrina di una pasticceria dove cupcake, crostate e torte erano esposte in bella vista.

Quell’immagine mi fece tornare in mente qualcosa che fino ad allora avevo completamente ignorato.

“Il prossimo weekend è il tuo compleanno!” esclamai, voltandomi di scatto

“Oya! È vero! Non ci avevo proprio pensato!” mi rispose, un’espressione sinceramente stupita sul viso

“Che cosa farai?” gli chiesi con tono fintamente distratto, infilandomi la felpa appoggiata sulle spalle

“Uhm… non saprei. L’anno scorso dopo gli allenamenti, con Akaashi e i ragazzi siamo andati alla sala giochi dietro il konbini, e dopo anche al ristorante dello zio di Komi, che cucina degli yakiniku pazzeschi e ci fa sempre un sacco di sconto!” mi rispose con tono concitato ed entusiasta “Ecco, ora mi è venuta di nuovo fame! Oh, ci sono ancora i panini allo yakisoba ora che ci penso!”

Si mise a frugare nella tracolla bagnata finché non estrasse un sacchetto schiacciato ma asciutto.

“Non sembrano molto invitanti ma ne vuoi uno?” 

Annuii, colpita da quel gesto, visto che né lui né Yukie erano molto generosi quando si trattava di cibo.

Mandai giù un boccone e mi feci coraggio.

“Stavo pensando… visto che quest’anno mi hai organizzato una sorpresa per il mio compleanno, ecco… forse dovrei ricambiare. Anche se ora che te l’ho detto non è più una sorpresa…”

Bokuto smise di masticare e mi guardò incuriosito.

“Se potessi scegliere un posto… dove ti piacerebbe andare?” gli chiesi a bruciapelo

“Un posto dici? Uhm, ce ne sono tanti, ma se ne dovessi sceglierne uno...” lo vidi concentrarsi, con quell’espressione corrucciata che aveva spesso in campo quando non capiva lo schema della squadra avversaria 

“Il mare! Sceglierei il mare!” disse infine, lo sguardo già rapito dai colori e dalle atmosfere che quella semplice parola evocava

Anche io avrei voluto vederlo in effetti. Era la prima estate in cui non passavo neanche un giorno in spiaggia. Mi mancava affondare i piedi nella sabbia calda e respirare a pieni polmoni l’aria salmastra, mentre la brezza mi scompigliava i capelli, lo sciabordio delle onde e il richiamo dei gabbiani come unico sottofondo. Non mi piacevano molto le spiagge affollate: quando ero più piccola con i nonni andavano spesso in una pensione vicino a Kamakura, e ci alzavamo sempre all’alba pur di trovare quel silenzio e quella calma che solo l’oceano a volte sa infondere. E anche quando abitavo a Victoria adoravo allungare la strada dopo la scuola e gli allenamenti per ammirare gli ultimi raggi di sole scomparire nelle pieghe del mare, e godermi la tranquillità e la pace delle spiagge svuotate dalle folle di famiglie e di turisti.

Sensazioni e atmosfere di cui ora sentivo davvero la mancanza.

“Andiamoci!” dissi in un soffio, sorridendogli

Bokuto mi guardò come se volesse aggiungere qualcosa, glielo leggevo in faccia, eppure non disse nulla, limitandosi ad annuire e a ricambiare il mio sorriso.

“Adesso che ci penso il 20 cade di domenica, dovremmo trovare un posto da poter raggiungere in giornata… questa volta per davvero!” commentai, lanciandogli uno sguardo allusivo che lo fece ridacchiare

“So dove possiamo andare! Onjuku Beach dista da Tokyo solo un’ora e mezza di treno se prendiamo la Keiyo line! Ci vado spesso e mi piace molto, e in questo periodo non è neanche affollata! Avremo la spiaggia tutta per noi!”

“È nella prefettura di Chiba giusto? Non ci sono mai stata…”

“Potremmo dirlo anche ad Akaashi, Konoha e-”

“Oppure no…” mi lasciai scappare, arrossendo non appena mi accorsi di averlo davvero detto ad alta voce

Kotaro mi guardò inclinando la testa, le labbra leggermente schiuse, che si curvarono sempre più fino a scoppiare in un sorriso e poi una risata, non quella spocchiosa e piena di sé che seguiva un tiro andato a segno, no, una risata dolce e sincera che mi fece avvampare ancora di più.

 

*

 

Il grigio della città lasciò presto il posto al verde dei campi, che dopo tante attese sfumò nell’azzurro, anzi, in tante sfumature di azzurro, sempre più intense, fino a che il cielo sembrò mescolarsi al mare e diventare un solo colore, che sapeva di libertà, di felicità.

“Nori-chan, si vede l’oceano!” indicò Bokuto, sporgendosi verso il finestrino semi aperto, da cui usciva una leggera brezza che profumava di salsedine

La piccola stazione di Onjuku era deserta e silenziosa quando scesero dal treno, così diversa da quella di Tokyo da cui erano partiti qualche ora prima.

Il cielo fortunatamente era sereno, nessuna nuvola minacciosa in vista, anche se tirava un po’ di vento, constatò Shikako, posando una mano per fermare la gonna leggera.

“Questa volta sarà meglio che gli orari li guardi io” disse, lanciando un’occhiata ironica a Kotaro “A proposito, ci conviene informarci su come raggiungere la spiaggia, online non ho trovato nient-“

“Ah, non ti preoccupare! A quello ci ho pensato io! Sta per arrivare il nostro autista!” esclamò, puntando i pollici in alto e sorridendole entusiasta

Autista? Che vuoi dire?” 

Ma non fece in tempo ad indagare oltre, perché il rumore di una sterzata fece voltare entrambi.

Una macchina sportiva nera fiammante si diresse a tutta velocità verso di loro, fino a fermarsi con un rumoroso stridio di freni proprio davanti al piazzale dove stavano sostando. Dallo sportello del guidatore uscì una donna bellissima, la chioma argentea raccolta in una coda alta, che indossava un completo sportivo aderente e dei guanti da guida in pelle.

“Hey, hey, hey fratellinooo! Non vieni ad abbracciare la tua sorellona preferita?” disse, abbassando i ray-ban scuri e rivelando due iridi dorate e vivaci

Le stesse di Bokuto, che si lanciò verso di lei per abbracciarla e farsi strapazzare.

“Kocchan sei cresciuto un sacco da inizio anno! Hai le spalle sempre più muscolose!”

“Invece tu sei diventata più morbida Onee-chan! A che mese sei? Tra poco diventerò zio vero?”

“Baka, sono appena al quarto mese! Ho preso solo un paio di chili!”

Nori li guardò esterrefatta mentre si punzecchiavano a vicenda, scherzando e facendo il doppio del casino a cui era abituata con Bokuto.

“Tu devi essere la famosa Nori-chan! Kotaro mi ha raccontato tutto di te! Hai del fegato per continuare a sopportarlo!” disse avvicinandosi a lei “Io sono Michiko, la sorella maggiore di questo testone, piacere di conoscerti!”

“Piacere mio!” esclamò Nori, ricambiando il saluto e presentandosi, per poi entrare in macchina vedendola far loro cenno di salire

“Ah, scusate il disordine! Sono venuta direttamente dall’aeroporto cambiandomi al volo” disse spostando il borsone e le pile di documenti sul sedile del passeggero accanto al suo e facendoli sedere dietro “È meglio se vi allacciate le cinture, questa bestiolina è nuova di zecca e non è stata ancora rodata a dovere!” disse loro, sistemando lo specchietto retrovisore e accendendo il motore

Dopo qualche minuto Nori sentì di essersi un po’ abituata alla guida sportiva, e spericolata, di Michiko e tentò di sporgersi verso Kotaro, che con la testa fuori dal finestrino osservava il panorama completamente a suo agio, nonostante la velocità pazzesca a cui stavano viaggiando.

Dovette tirargli ripetutamente la manica della felpa per attirare la sua attenzione, visto che la musica a tutto volume che usciva dalla radio rendeva impossibile parlare ad un tono di voce normale.

“Perché non mi hai mai detto che avevi una sorella?” gli chiese, chinandosi verso di lui per farsi sentire

“Oh, beh diciamo che da quando Michiko si è sposata e si è trasferita per lavoro a Chiba, e Satsuko è andata a vivere a Okinawa dopo l’università, mi sento come se fossi figlio unico!” le rispose sogghignando

“Cosaaa? H-hai due sorelleee?!” strepitò Nori, stupita da quella rivelazione

“Ehi piccioncini, mi spiace interrompervi ma siamo arrivati!” urlò Michiko frenando bruscamente e indicando con un cenno la spiaggia che si estendeva dinanzi a loro “Vi passo a prendere più tardi e vi porto a mangiare l’anguilla più buona di tutta Chiba! Mi raccomando fate i bravi, capito Kocchan?” 

Bokuto sorrise, allungandosi verso di lei per salutarla con il pugno chiuso.

Il mare era un po’ agitato: le onde si alzavano e scontravano sulla spiaggia pallida e tranquilla spezzando il silenzio di quell’ultima mattina d’estate con sciabordii lenti e costanti, una melodia che Nori si fermò ad ascoltare, socchiudendo gli occhi.

Kotaro l’aveva già superata, correndo come un pazzo verso le onde irrequiete, lanciando le scarpe sulla sabbia umida e immergendo i piedi nell’acqua fredda dell’oceano.

“Waaah che voglia di tuffarmiii!!” le urlò, voltandosi verso di lei, impegnata a slacciarsi i sandali

“Sei pazzo? Ti prenderesti una bronchite come minimo!” esclamò lei di rimando, consapevole che se avesse abbassato la guardia anche solo un istante lo avrebbe visto lanciarsi in acqua senza alcuna esitazione “Non ci pensare neanche, non ti vengo a salvare se ti viene un crampo o se finisci per affogare!”  

“In quanto manager dovresti pensare a salvare l’asso in ogni modo possibile” la stuzzicò, ridacchiando

“Mi spiace ma non ho intenzione di immolarmi per te, e poi non so nuotare!” gli rispose, facendogli una linguaccia, raggiungendolo finalmente

Shikako immerse i piedi con lentezza, sentendo gli schizzi dell’acqua gelida arrivarle fino ai polpacci e alle cosce, mentre la gonna si sollevava ritmicamente seguendo l’umore del vento.

Intercettò Bokuto avvinarsi a lei e capendo le sue intenzioni cominciò ad indietreggiare.

“Se ci provi sei un asso morto” lo minacciò, mentre lui alzava arreso i palmi delle mani, facendo scivolare tra le dita l’acqua che aveva raccolto

Poi lo vide chinarsi su di lei e si irrigidì, non capendo le sue intenzioni. 

Ma quando le fu vicino, il viso che la sovrastava, lo sguardo malizioso, notò le guance gonfie e sbuffò, per niente divertita, schiacciandole con entrambe le dita finché non lo vide deglutire.

“Nori-chin, ricordati che oggi è il mio compleanno…”

“…e quindi?”

“Quindi posso chiederti qualsiasi cosa!” disse sorridendole

“Oh è così?” rispose lei, sentendo il sorriso di Kotaro crescere sotto le dita che teneva ancora premute sul suo volto

Ma in quel momento il garrito acuto di un piccolo stormo di gabbiani li fece sussultare, mentre gli uccelli planavano, fermandosi a pochi passi da loro.

Nori si chinò, facendo attenzione a non spaventarli, ed estrasse con delicatezza e senza far rumore la mirrorless dalla tracolla, iniziando a fare un vero proprio set fotografico agli ignari pennuti.

“Ehhh?!” esclamò Bokuto, offeso nel vedersi rubare la scena “Nori-chan io sono più interessante!! Guarda!”

E con un balzò si diresse correndo in direzione del piccolo stormo di volatili, facendoli fuggire e tuffare tra le onde spumeggianti e irrequiete, imitando il loro stridulo verso.

Nori si trattenne dallo scoppiare a ridere e continuò a scattare, cercando di catturare ogni dettaglio di quella scena: le onde che schiumavano sulla battigia, i gabbiani che planavano sul filo dell’acqua alla ricerca della tranquillità perduta, i sorrisi di Kotaro che sguazzava in quel semplice divertimento come un bambino. 

Poi chiuse gli occhi e provò a registrare nella sua memoria tutto ciò che non poteva fotografare: la risata contagiosa e rumorosa di Bokuto, che cozzava con il ritmo ora placido delle onde, il sibilare fievole del vento, il rumore ovattato della sabbia umida sotto i suoi piedi, e i versi degli uccelli, che volteggiavano sopra le loro teste.

“Nori-chin, sai far rimbalzare i sassi?” 

Lei lo osservò inginocchiarsi sul bagnasciuga, lo sguardo che saettava alla ricerca della forma perfetta.

“No, ma ho sempre voluto imparare” gli rispose, riponendo la fotocamera e aiutandolo nella ricerca

Si riempirono le tasche di piccole pietre, e anche di qualche frammento di conchiglia e di vetro colorato, e si avvicinarono di più all’oceano.

“Okay, ora mettiti di fianco, esatto, così! Adesso devi semplicemente curvare il polso all’indietro, e poi lanciare il sasso come fosse una molla, piegando le gambe quando ti senti pronta”

“Tutto qua? Mi sa che la stai facendo troppo facile… ho letto che bisogna imprimere al lancio la giusta velocità e rotazione, e calibrare anche l’angolazione”

“Oya, non lo sapevo! A me è sempre venuto naturale!”

Nori alzò lo sguardo su di lui, scoccandogli un’occhiataccia ironica. Sempre il solito spaccone, pensò, scuotendo la testa.

Ma in quel momento un rumore strano, simile ad un risucchio, la fece voltare verso il mare, dove intravide un’onda più alta e minacciosa delle precedenti avvicinarsi a loro.

Non fece in tempo a reagire che si sentì sollevare da terra, le braccia di Bokuto strette e salde nel sorreggerla, mentre l’onda anomala si abbatteva con furia alle loro spalle, inondandoli di schizzi e goccioline.

Il mare sembrò calmarsi subito, ritornando a ritmi più lenti. 

Ritmi così diversi da quelli che ora scuotevano il petto di Shikako, stretta tra due cuori, il fiato corto e la testa svuotata, o meglio, inondata da tutti quei pensieri che pensava di aver messo a tacere per un po’, ma che alla prima scossa era tornati prepotentemente a galla.

Kotaro la fece scendere sulla sabbia con insolita delicatezza, lo sguardo assente, perso anche lui nel flusso di pensieri che credeva di aver addomesticato.

Il rifiuto che aveva letto nella sua fuga, quella sera di un mese fa, e di cui aveva avuto conferma una settimana dopo, lo aveva scosso a sufficienza, tanto da convincerlo che ormai che nulla potesse più fargli male.

Pensava che dopo le scuse che Nori gli aveva mormorato, preda della febbre, nulla potesse più scalfirlo e ferirlo.

Ma si sbagliava, eccome se si sbagliava.

Vederla tutti i giorni e dover fingere che nulla fosse cambiato; volerla sfiorare, annullando le inutili distanze che li separavano, e doversi ricordare del ruolo da amico che doveva recitare; dover ingoiare quelle parole che non aveva potuto confessarle quella notte, e sentire il rimorso e il peso delle fantasie che non avrebbe potuto realizzare faceva davvero male, ora lo sapeva.

Non era da lui rimpiangere qualcosa: tutto ciò che voleva se lo era sempre preso in un modo o nell’altro. 

L’idea di una sconfitta senza rivincita era qualcosa che non conosceva, ma che ora aveva imparato a comprendere.

Una consapevolezza che bruciava come una ferita aperta, come anche il pensiero di non aver potuto darle tutto sé stesso, il 120% che imprimeva in ogni gesto, in ogni azione, in ogni sua scelta. 

Aveva dovuto trattenersi, farsi da parte, tutto pur di poter continuare a starle vicino.

“La sera del mio compleanno… cosa… cosa volevi dirmi?” 

La voce di Shikako gli arrivò come l’eco di un sogno, mentre sentì le sue mani impigliarsi e serrarsi sulla sua felpa, immobilizzandolo e costringendolo a guardarla mentre alzava con lentezza i suoi occhi improvvisamente risoluti su di lui.

“Voglio sentirlo… voglio sentire quello che volevi dirmi quella sera”

Lui le restituì lo sguardo, sentendo il panico montare, non sapendo se cadere in quella trappola oppure continuare a fingere.

“Ti prometto che non scapperò più!” disse Nori, la voce sempre più concitata “Mi sono comportata come una stupida in queste settimane, lo so, ma proprio non ce l’ho fatta ad accettare tutto! Mi è sembrato che stesse andando tutto troppo velocemente, mi sentivo travolta, avevo appena realizzato di essermi innamorata di te e tu-“

Shikako si bloccò, sentendo il peso delle parole appena pronunciate cadergli in testa come un macigno. Si sentì anche leggera, come non le accadeva da tempo, ma allo stesso tempo non poté fare a me di desiderare che una voragine si aprisse sotto i suoi piedi, inghiottendola.

Il coraggio che l’aveva guidata fino a quel momento sembrò evaporare, mentre abbassava lo sguardo, incapace di reagire.

“Io… ti piaccio, Nori-chin?” Bokuto scandì quelle parole, cercando di tenere a bada l’emozione che sentiva gonfiargli il petto

Lei si staccò da lui, sforzandosi di riprendere il controllo del suo corpo, e con l’ultima traccia di temerarietà rimastale incontrò lo sguardo di Kotaro, annuendo impercettibilmente, sforzandosi di imprimere in quel gesto tutto ciò che a parole non aveva la forza di confessare.

Poi, come quando dopo un brutto temporale i timidi raggi del sole spazzano via le ultime nuvole grigie, così sul viso di Bokuto sembrò tornare il sereno, ed il suo sorriso, che fino a quel momento si era impegnato a trattenere, riaffiorò prepotentemente, scacciando ogni incertezza, ogni dubbio, dal suo cuore.

Nori si sentì sollevare di nuovo, questa volta con una forza e impeto che le mozzarono il respiro, mentre intorno a lei la visuale cominciava ad apparire sfocata per la velocità con cui Kotaro la stava facendo girare.

“Baka, mettimi giù!” gli urlò, stringendo la presa sulle sue braccia tese e impegnate a sostenerla

Lui la poggiò a terra dopo varie proteste e con un balzo raggiunse il mare alle loro spalle, mettendosi a correre tra le onde, sollevando schizzi tutt’intorno a sé.

Poi si fermò, come per riprendere fiato, e voltandosi verso l’oceano che si estendeva davanti a loro si mise a urlare, con tutta la voce che aveva in gola.

“Shikakoo Noriii mi piaci tantooo!”

Lei lo guardò senza parole, sentendo la faccia andarle a fuoco.

“Ma sei scemo? Ti potrebbe sentire qualcuno!” borbottò, strattonandolo per la felpa dopo averlo raggiunto

Ma non c’era alcuna traccia di rimprovero in quelle parole, solo un’emozione che la investiva a ondate e che sembrava sul punto di traboccare.

Lui si voltò a guardarla, ridendo di fronte al suo imbarazzo, fiero del rossore che ora le imporporava le guance.

Si mossero contemporaneamente, cercando l’uno la mano dell’altro, le dita che scivolavano nei palmi sudati, emozionati.

E allora la percepirono: una lieve scossa, il rumore di un meccanismo che si metteva in moto.

Il suono di un incastro perfetto.
 
 

 

 

 

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N O T E
 

Eccoci, uno dei capitoli a cui più tenevo è finalmente stato pubblicato <3

Mi sono emozionata a scrivere la scena della spiaggia e mi sono sentita leggera come Nori dopo averla conclusa XD

Per il discorso sull’innamorarsi detto nel POV di Nori mi sono lasciata ispirare da un video bellissimo, che vi consiglio davvero tanto <3

In questo capitolo trovate linkate ben 5 tracce della playlist della ff, questo perché più di tutti questo capitolo convoglia tanti sentimenti sia da parte di Nori che di Bokuto, e a me la musica aiuta sempre tantissimo a metterli nero su bianco. Tra queste vi segnalo “Nuits d’eté” (qui la traduzione se come me non conoscete, purtroppo, il francese), il cui testo ho trovato davvero a pennello per il POV di Nori; “Golden”, famosissimo singolo di Harry Styles, il cui testo, per parole ed emozioni evocate, ho spesso associato al personaggio di Bokuto: questa luce che emana (“I know you were way too bright for me”) è una sensazione a cui ho attinto per la storia; e infine “Dandelions” che mi ha conquistata sin dal primo ascolto.

Per quanto riguarda la dichiarazione di Bokuto devo essere sincera e ammettere che in italiano non rende bene come in giapponese, ma quel “mi piaci tanto” è la traduzione di “Daisuki da / 大好きだ che è la forma più usata in Giappone per esprimere i propri sentimenti, e che non è il “ti amo / Ai shiteru” ovviamente, visto che ci troviamo di fronte a due adolescenti nella fase iniziale e acerba della loro storia. E il semplice “suki da / mi piaci” non sembrava forte abbastanza per un personaggio esuberante, sopra le righe, emotivo e dal cuore grande come Bokuto. Spero di essermi spiegata XD

Per quanto riguarda la sorella, anzi le sorelle, di Bokuto mi sono presa qualche licenza nell’immaginarmele e nel dar loro un volto e un nome visto che secondo il manga sappiamo solo che ha due sorelle maggiori ma nulla di più. Così ho scelto due nomi che contenessero l’ideogramma “ko” come in Kotaro e mi sono orientata su quelli che mi ispiravano di più. Ah, per chi non lo sapesse “Onee-chan” sta per “sorella maggiore/sorellona” in giapponese <3

Come vi anticipavo negli scorsi capitoli, con questo si conclude una sorta di prima parte della storia e si passa a nuove sfide, situazioni, sviluppi e… problemi! Niente di grave ci mancherebbe, ma questa storia è soprattutto uno slice of life e quello che vedrete raccontato nei prossimi capitoli è sì l’evolversi di una relazione appena nata, ma anche la crescita di due adolescenti e la loro presa di coscienza, che li porterà a maturare e a imboccare le strade che il destino ha in serbo per loro.

Spero che fino ad ora quello che ho scritto vi sia piaciuto e vi assicuro che la seconda parte della storia è ancora più ricca e interessante, o almeno spero J

Scusate per queste note lunghissime XD

Vi ringrazio di cuore e a presto!

Mel

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Capitolo 8
*** Ottobre ***


O T T O B R E

神無月 

 

 tracks n°32-33-34-35-36-37  
chapter pic

Nori 1 ; 2 ; 3

 

La campanella era suonata da un pezzo, eppure la classe non appariva intenzionata a ritornare ai propri posti, troppo presa da un’euforia palpabile che sembrava riempire la stanza, e che si mescolava alle chiacchere e alle urla più accese e vivaci del solito.

Nori si stiracchiò sulla sedia, guardandosi intorno: l’ora di studio individuale sarebbe iniziata tra poco ma quel giorno sapeva, come tutti i suoi compagni, che le cose sarebbero andate diversamente.

Cercò con lo sguardo Akaashi, seduto un paio di file dopo di lei, e lo vide chino sul libro di storia giapponese, intento a sistemare gli appunti presi l’ora prima.

Si sporse verso di lui, cercando di attirare la sua attenzione, ma in quel momento Fujiwara Endo, capoclasse della 2-6, si diresse verso la cattedra, cominciando a riempire in silenzio la lavagna dietro di lui.

“Sapete tutti che abbiamo solo un’ora per decidere, quindi vi chiedo di prendere posto così da poter dare inizio alla prima assemblea del Festival della Cultura!” disse con tono solenne, voltandosi verso i compagni che nel frattempo avevano cominciato a tornare ai propri banchi

Era finalmente arrivato quel periodo dell’anno: il mese che anticipava la festa del Bunkasai, quella parentesi scolastica tipicamente giapponese che Shikako non aveva mai vissuto ma di cui era sempre stata affascinata.

“Come potrete ricordare, l’anno scorso abbiamo tenuto una mostra fotografica dove, insieme alle foto scattate assieme, abbiamo anche esposto alcune tavole realizzate durante l’ora di arte, grazie al supporto della professoressa Harada e di alcuni club. Ma quest’anno le cose saranno diverse… dobbiamo puntare in alto!” esclamò, scrutando con sguardo infuocato le file di studenti davanti a lui “Inizieremo con il raccogliere le proposte per poi passare alla fase di votazione. Ueda-san segnerà le idee sulla lavagna e conterà i voti raccolti” concluse, scambiando uno sguardo d’intesa con Ueda Sayuri, vice-capoclasse, che nel frattempo aveva preso posto vicino a lui 

Dopo pochi istanti le prime timide mani si levarono, rompendo la momentanea tensione scesa tra i banchi, e dopo appena una decina di minuti il chiasso aveva ripreso a regnare sovrano, con gli studenti che avevano cominciato a commentare e urlare le proprie proposte mentre Fujiwara e Ueda tentavano di tenerli a bada e stare al passo con quello che veniva detto.

“Potremmo fare un banchetto di crepes e waffle! Attirano sempre un sacco di ragazze!!”

“Matsuda-san, sei sempre il solito pervertito! E poi lo fa già ogni anno la classe 2-4!”

“E se allestissimo uno stand di divinazione? Potremmo leggere i tarocchi e predire il futuro alle coppie!”

“Mmm l’anno scorso Matsumoto-sensei ce lo aveva sconsigliato perché si creano troppe file…”

“Ci sono! Un maid cafe! A tema fantasy o cosplay magari!”

“Lo fa già una classe del terzo anno! Piuttosto, se creassimo degli stand fotografici kawaii dove potersi scattare delle foto ricordo?”

“Arimi-chan, così sarebbe troppo simile a quello che abbiamo fatto l’anno scorso!”

Nori tentò di ascoltare tutte le proposte avanzate, sentendo dentro di sé farsi sempre più forte la voglia di intervenire, cosa che le capitava molto spesso ultimamente. Aveva smesso di lasciarsi scivolare addosso tutto ciò che le succedeva attorno, e aveva cominciato, invece, ad osservare con maggior attenzione i suoi compagni, le dinamiche della classe, le coppie e i gruppi che si erano formati. 

Era come se fosse tornata dall’estate da poco trascorsa con la voglia di impegnarsi ancora di più per uscire dalla sua bolla, dalla sua comfort zone.

“Un musical!” si sentì dire, la mano tesa, i volti di tutti che, uno dopo l’altro, si voltavano a fissarla, sorpresi

“Shikako-san, ti ringraziamo per la proposta ma non penso sia fattibile, l’anno scorso abbiamo dovuto scartare l’opzione dell’esibizione live proprio perché nessuno sapeva ballare o cantare. Però possiamo segnare la tua idea come recita” le rispose Fujiwara

Akaashi le scoccò un’occhiata leggermente stupita, per poi alzare la mano, attirando gli sguardi sempre più confusi da parte dei compagni, colpiti nel vedere i due studenti più taciturni della classe così propositivi.

“Anche io voto per il musical”

“Akaashi-san, come ho già detto non possiamo seguire questa strada, ma registreremo anche la tua proposta come recita” replicò Endo, facendo cenno a Ueda-san di segnare i due voti

“Anche io propongo la recita!”

“Sì! Così sbaraglieremo sicuramente la concorrenza delle altre classi!!”

“Potremmo portare in scena una storia d’amore!”

“Io e Hidemi possiamo prendere in prestito i materiali del club di arte e fare le scenografie!”

“Posso occuparmi dei costumi! Ho già realizzato diversi cosplay!”

“E se scegliessimo una storia di samurai ispirata al teatro No?”

La proposta avanzata da Nori, e poi supportata da Keiji, aveva catturato subito il favore e l’approvazione di tutti. Tanto che dopo pochi minuti le votazioni vennero chiuse e all’unanimità si decise di mettere in scena uno spettacolo.

“Bene, ora che la questione legata alla scelta dell’attività è conclusa possiamo discutere dell’opera da rappresentare” disse Endo, cercando di riportare un po’ di silenzio e ordine nell’aula

Di fronte a quella scelta la classe esplose nuovamente, e tra il baccano generale Nori captò i nomi di alcune famosissime opere che aveva visto adattare fino alla nausea e pregò che nessuno osasse proporre cose come Cenerentola o…

“Romeo e Giulietta!” esclamò Arimi, mentre la maggioranza delle ragazze in aula si profuse in applausi e gridolini, sotto gli occhi esterrefatti e arresi dei ragazzi

Shikako si abbandonò sullo schienale della sedia con un sospiro: proprio non capiva l’ossessione per una storia tanto triste, soprattutto quando c’erano così tante opere interessanti tra cui scegliere.

“Scusate, ma lo scorso anno la sezione 3-1 ha portato in scena Cappuccetto Rosso, e ha riempito la sala solo perché la parte del lupo era stata affidata al capitano della squadra di calcio. Secondo me se quest’anno vogliamo davvero spiccare tra tutte le classi dobbiamo proporre qualcosa di interessante e insolito!” disse la ragazza seduta di fronte a Nori, Kaneko Ume

“E che cosa proponi, Kaneko-san?” le chiese Fujiwara, mentre la classe sembrava schierarsi dalla parte di Ume, commentando eccitata il suo intervento

“Bè, non penso di essere io la persona più adatta per rispondere a questa domanda. Ma so chi può darci una mano…” rispose, voltandosi verso Shikako e sorridendole

“Ehhh?!” esclamò quest’ultima, non appena ebbe realizzato dove Ume volesse andare a parare

“Nori-san?!”

“In effetti ogni settimana si porta dietro un libro o un manga diverso!”

“L’altro giorno l’ho sentita parlare di film con Akaashi-san e sembrava che se ne intendesse davvero!”

“Forse potrebbe creare una storia originale per la nostra recita!”

Nori ascoltò le voci dei compagni che nel frattempo si erano girati a fissarla, in attesa di una sua reazione, ma sentì che il coraggio che poco prima l’aveva spinta ad intervenire l’aveva ora abbandonata, lasciandola come paralizzata.

Prese un respiro profondo e tentò di scacciare il panico che l’aveva impossessata.

“P-posso provare a buttare giù qualche idea...” si sforzò di dire, alzando lentamente lo sguardo sui volti che la scrutavano in attesa

La classe esplose in un boato di approvazione, mentre Akaashi si voltò verso di lei e senza aggiungere nulla le fece la V di vittoria, consapevole di quanto quella frase le fosse costata, e anche Ume le sorrise, alzando i pollici festante.

Quel pomeriggio mantenere la concentrazione durante gli allenamenti fu più dura del previsto per Nori.

Inciampò nel cesto dei palloni, si rovesciò una borraccia non chiusa bene addosso e venne persino richiamata dal coach Yamiji per essersi quasi presa una palla in faccia, nonostante i ripetuti avvertimenti, venendo salvata in extremis da Komi.

“Sbaglio o oggi sei più tra le nuvole del solito?” esclamò Yukie con un ghigno divertito stampato in viso, prendendo posto sulla panchina accanto a lei “Pensavo che ora che tu e Bokuto state finalmente ins-“ 

“Shhh sei pazza!? Ti ricordo che mi hai promesso che non ne avresti parlato qui!” esclamò Shikako arrossendo, sporgendosi per tapparle la bocca

“Eeeh? Ma dai timidonaaa, tanto erano settimane che scommettevamo su chi di voi due tonni si sarebbe fatto avanti per primo! Io e Kaori ci eravamo anche messe d’accordo per chiudervi negli spogliatoi e farvi parlare, visto che non ce la facevamo più a vedervi così mogi e depressi!”

Nori gli diede le spalle sbuffando, fingendosi offesa.

“Daiii, racconta alla tua senpai che cosa è successo… tanto lo sai che ti faccio sputare il rospo in un modo o nell’altro!” la stuzzicò, toccandole i fianchi e facendola sobbalzare

“Yukippeee! Lascia stare Nori-chin!” esclamò Bokuto, approfittando di un momento di pausa per allontanarsi dal campo e capire cosa stesse succedendo

“Sennò che cosa fai?” lo stuzzicò lei, stringendo a sé Shikako, mentre Kotaro sbuffava e si lamentava contrariato

Nori si sfilò dall’abbraccio soffocante di Yukie, lasciandosi alle spalle il loro diverbio infantile e dirigendosi verso Akaashi.

“Penso di essermi cacciata in un bel casino…” borbottò, abbassando lo sguardo e appoggiandosi stancamente alla rete

Lui si voltò a guardarla, togliendosi l’asciugamano sudato dal viso e riflettendo sulla scena di quella mattina.

“No, penso invece che tu sia stata coraggiosa. Può sembrare una sciocchezza ma so che per te l’aver accettato una responsabilità simile è un bel passo avanti, Nori-san”

“Dici? In fondo mi sembrava davvero brutto rifiutare… e in più devo ammettere che l’idea mi incuriosisce un po’. Certo, non ho mai seriamente scritto nulla di mio, ma mi è sempre piaciuto studiare e analizzare le sceneggiature dei film che vedevo. Però da qui a doverne scriverne una, anche se parliamo sempre di una recita scolastica, c’è un abisso ed io… ecco, ho paura di non essere all’altezza delle aspettative della classe” confessò finalmente 

Keiji la fissò, soffermandosi su quelle parole, leggermente spiazzato da quell’inaspettata confessione: in fondo sapeva bene che cosa voleva dire non sentirsi all’altezza, non avere fiducia nelle proprie capacità e perdersi in continui paragoni e paranoie.

Eppure sentire Nori mettere nero su bianco quelle sensazioni, che per anni lui stesso aveva provato e continuava tuttora a provare, gli fece piacere, lo fece sentire grato della confidenza e della fiducia che ora riponeva in lui, e gli sottolineò ancora una volta i passi avanti e le prese di consapevolezza che la ragazza conosciuta solo qualche mese prima stava compiendo, giorno dopo giorno.

“Se può esserti d’aiuto puoi contare su di me per la fase di revisione, una volta che avrai pensato a cosa scrivere”

“Davvero? Sarebbe perfetto! Anzi, se per te va bene pensavo di organizzare un pomeriggio di brainstorming a casa mia. Buttare giù qualche idea non è un problema, ma ho bisogno di qualcuno che sappia frenarmi e indicarmi cosa sia fattibile o meno. Anche Kaneko-san si è resa disponibile, a quanto pare è una fan del teatro Kabuki e del Takarazuka!”

Akaashi annuì, per poi trasalire nel vedere la faccia di Bokuto spuntare alle spalle di Shikako.

“Nori-chan, di cosa state parlottando? Oggi continui a ignorarmi!” mugugnò Kotaro, facendola sussultare

Lei si voltò a guardarlo, divertita dalla sua solita impazienza e drammaticità, per poi avvicinarsi pericolosamente a lui, che di fronte a quella mossa imprevista si paralizzò, arrossendo sempre più.

“Stiamo parlando del Festival della Cultura, baka, e dato che vogliamo evitare che si sparga la voce io e Akaashi non diremo nulla a nessuno, te compreso, ok?” gli sussurrò ad un centimetro dalla sua faccia

Anche Bokuto aveva i suoi punti deboli, anzi, secondo Keiji ne possedeva addirittura 37. Ma ce n’era uno che Shikako aveva scoperto da poco: si imbarazzava moltissimo quando veniva preso in contropiede, soprattutto quando lei reagiva diversamente dal solito di fronte alle sue richieste e scenate. Bastava avvicinarsi e abbassare il tono della voce ad un sussurro per farlo sciogliere come un cubetto di ghiaccio al sole. 

Lo lasciò riprendersi e tornò a rivolgersi ad Akaashi, che aveva seguito la scena senza fiatare, colpito nel vedere Kotaro imbambolarsi per così poco.

“Allora è deciso, ne parlo anche con Kaneko e ti scrivo appena decidiamo il giorno!” 

 

*

 

Sistemai ancora una volta i cuscini e controllai di aver messo abbastanza penne e quaderni sul tavolino, tutto pur di placare l’ansia che mi tormentava. E per evitare di controllare e rileggere per l’ennesima volta il fitto blocco di appunti abbandonato sulla mia scrivania, che nei giorni precedenti avevo riempito di idee e frasi sparse, presi in mano il telefono, scorrendo lo schermo distrattamente, finché non iniziò a vibrare.

“Hey, hey, hey Nori-chaaan!” 

“Bokuto? Non dovevi vederti con Kuroo oggi?” risposi, sdraiandomi sul letto, contenta di poter staccare per un po’ la testa e allontanarmi dai miei pensieri

“Sì, ma alla fine gli ho dato buca perché pensavo che ci saremmo visti...” bofonchiò lui, con voce abbattuta e lamentosa

“Eeeh? Ma te l’ho ripetuto cento volte che oggi pomeriggio io, Akaashi e una nostra compagna di classe ci siamo messi d’accordo per buttare giù alcune idee per la nostra recita! Oggi era l’unico giorno possibile visto che tra gli allenamenti e le amichevoli dei prossimi weekend non avremo altri fine settimana liberi per un po’!” 

“Lo sooo, ma tra i preparativi per il festival, gli allenamenti e gli impegni a scuola non ti ho vista per niente ultimamente!”

“Ci vediamo tutti i giorni in palestra!” gli risposi, sorridendo all’idea del broncio che doveva avere in viso

“Quello non conta! Io intendo da soli!!” esclamò concitato

Sentii il viso diventare bollente, mentre annaspavo alla ricerca delle parole giuste per rispondergli. Effettivamente era dal suo compleanno che non eravamo riusciti a vederci al di fuori del club e della scuola, fatta eccezione per quei pochi momenti rubati durante il tragitto verso casa e la pausa pranzo. Non ero capace di essere onesta come lui e confessarglielo, ma anche io fremevo dalla voglia di riprendere le cose da dove le avevamo lasciate.

“Ma ci sentiamo tutte le sere, no? Ieri notte mi hai tenuto sveglia fino all’una per parlare di quegli stupidi video che ti ha mandato Konoha!” borbottai, cercando di cambiare argomento e di mascherare l’imbarazzo nella mia voce

“Ma al telefono non vale, anzi è peggio! Sentire la tua voce mi fa venire ancora più voglia di vederti! È una tortura!!” brontolò esasperato

Allontanai lo schermo dal viso, sentendomi avvampare: come faceva a scombussolarmi sempre così? 

Ma quella volta non volevo lasciar cadere la cosa, e decisi quindi di stare al gioco.

“E sentiamo, che faresti se ora fossi qui con me?” lo stuzzicai, trattenendo il respiro

“Eh?! B-Bè…” balbettò, la voce che tradiva un crescente imbarazzo

Avevo forse esagerato?

“Stavo scherzando Kot-“

“… ti abbraccerei tenendoti stretta stretta, e poi affonderei il viso nei tuoi capelli e…”

“Noriii, sono arrivati i tuoi compagniii!” sentii mia nonna urlare dall’ingresso

Caddi dal letto come una pera cotta, sentendo il respiro morirmi in gola, accorgendomi solo dopo qualche istante che per lo spavento avevo chiuso il telefono in faccia a Bokuto. Mi toccai le guance roventi e tentai di darmi una calmata: come era venuto in mente a quell’idiota di dire certe cose? 

Ma in realtà, sotto sotto, sapevo che una parte di me moriva dalla voglia di conoscere il resto di quella frase.

“Va tutto bene? Tua nonna ci ha detto di salire” disse Akaashi guardandomi con sguardo interrogativo, entrando in camera

“Eh? Oh sì va tutto bene!” risposi prontamente, cercando di darmi un contegno e di mettere da parte certi strani pensieri

“Nori-chan! Che bella la tua stanza!” esclamò Kaneko, facendo capolino dietro Keiji

Passammo le ore successive ad analizzare una ad una le idee che mi erano venute in mente e che mi ero segnata nei giorni scorsi: volevamo cercare di fare qualcosa che accontentasse tutta la classe, che fosse romantico ma non sdolcinato, ricco di avventura e azione ma con una trama facile da seguire. Una storia che potessero conoscere e comprendere tutti, ma che allo stesso tempo fosse in grado di stupirli. 

Un’impresa tutt’altro che semplice insomma.

“Bene, togliendo anche questa proposta rimaniamo con due alternative” dissi, sospirando e allungandomi sul tavolino per finire l’ultimo sorso di te, ormai freddo, rimasto

“Quindi, da una parte una rivisitazione di Alice nel Paese delle Meraviglie ambientata in epoca Meiji, con protagonisti i personaggi del folclore giapponese, e dall’altra una versione di Romeo e Giulietta che si intreccia alla leggenda dei due sfortunati innamorati che si trasformarono in alga marimo sul lago Akan, diventando un simbolo di amore eterno” riassunse Akaashi, sistemando gli appunti presi

Avevamo deciso di comune accordo che riprendere e riadattare un classico era la strada migliore da seguire, perché per quanto l’idea di scrivere qualcosa di completamente originale mi affascinasse stavamo comunque parlando di una recita scolastica: portare qualcosa di troppo azzardato e originale era rischioso. 

Inoltre non avevo mai scritto nulla di serio, se escludiamo gli svariati diari che avevo tentato di portare avanti negli anni, e le note e le indicazioni che a volte mi capitava di prendere dopo l’ennesima maratona di film o serie tv.

Scrivere in fondo mi aveva sempre incuriosito, ma tra la pallavolo e la scuola il tempo per poter approfondire questo interesse era sempre stato praticamente nullo. La fotografia, al contrario, era più semplice da portare avanti: non dovevo metterci la testa, era qualcosa di più istintivo, quasi uno sfogo.

Un modo per prendere le distanze dalla realtà che vivevo, uno strumento per scivolare oltre la quotidianità che mi vedeva protagonista, e mettere a fuoco qualcosa di diverso, nuovo ed eccitante.

Non era altro che una fuga, un breve ma piacevole passatempo attraverso cui racchiudere attimi di felicità e momenti destinati a diventare presto preziosi ricordi.

Nulla di più, nulla di meno.

Ma sentivo che non mi bastava: avevo bisogno di uno stimolo più forte per colmare il vuoto che gli anni di pallavolo avevano lasciato in me. 

Ed ero pronta a mettermi alla prova per scoprire se la scrittura potesse essere la risposta che cercavo.

“Io voto per la prima opzione!” esclamò Kaneko, afferrando un senbei dal piattino di fronte a me, distogliendomi dal mio flusso di pensieri

“Concordo con Kane-, emh, Ume-chan!” risposi, vedendola sorridere compiaciuta

Era strano come non avessimo mai avuto modo di parlare in tutti quei mesi nonostante fossimo sedute così vicine. In effetti, tra le attività come manager con Yukie e Kaori e le pause pranzo con Akaashi e Bokuto, passavo poco tempo con i miei compagni di classe, limitandomi a qualche chiacchiera di circostanza durante le ore di studio individuale e i momenti di pulizia collettiva. Eppure Ume mi aveva sempre incuriosito: la vedevo spesso leggere pile di manga, o guardare video che la facevano scoppiare a ridere ed attirare gli sguardi confusi della classe, e mi aveva come dato l’impressione di essere una persona spigliata, divertente e che non si faceva troppi problemi a dire quello che pensava. 

“Se devo essere sincero anche io propendo per la prima proposta, ha tutte le caratteristiche che ci siamo posti, eccetto la storia d’amore…” suggerì Akaashi, alzando lo sguardo dal quaderno 

“Uhm, e se Aiko decidesse di seguire la volpe bianca Kitsune perché lo vede nella sua forma umana e se ne innamorasse a prima vista?” proposi, immaginando l’evolvere della trama nella mia testa

 “Oh sì! E magari alla fine lui potrebbe accorgersi di ricambiare i suoi sentimenti e salvarla dalla Yuki-Onna, la regina degli yokai!” esclamò Kaneko, battendo le mani emozionata all’idea

“Sì, potrebbe funzionare” disse Akaashi, segnandosi le ultime idee che avevamo discusso

Era ormai sera quando sospirammo soddisfatti dei progressi compiuti: avevamo buttato giù la trama a grandi linee, fatto una lista dei personaggi corredata da una breve descrizione, e scelto, dopo lunghe discussioni, il titolo dello spettacolo.

Ora toccava a me: avrei scritto il copione nelle prossime settimane, poi lo avrei passato ad Akaashi, che si sarebbe occupato della parte di revisione e di editing del testo, mentre infine Ume avrebbe dato un giudizio sincero sulla sceneggiatura prima di sottoporla alla classe.

Li accompagnai alla porta sbadigliando stanca, ma anche sorridendo felice per quel pomeriggio produttivo. Le ore mi sembravano come volate e non vedevo l’ora di mettermi al lavoro e scrivere le prime battute e scene.

Non feci in tempo a salire in camera che il campanello suonò, facendomi tornare indietro controvoglia.

“Vado io, obaasan!” esclamai, sporgendomi per aprire la porta

Certo non mi aspettavo di trovarmi di fronte il volto corrucciato e mogio di Bokuto.

“E tu che ci fai qui?” dissi, sorpresa nel vederlo

“Bè, mi sono preoccupato quando mi hai chiuso il telefono prima, così ho chiesto ad Akaashi di scrivermi non appena avevate finito… ed eccomi qua!” mi rispose con un sorriso tirato, tradendo però un certo imbarazzo

Mi ero completamente dimenticata di quel dettaglio: effettivamente poteva aver pensato di aver detto qualcosa di sbagliato e che ci fossi rimasta male.

Sorrisi, provando un misto di tenerezza e dolcezza verso quel bambinone così emotivo e suscettibile.

Mi infilai le scarpe e afferrai la tracolla appoggiata a terra.

“Nonna esco un secondo, ti serve qualcosa?”

“Se passi dal konbini prendi un po’ di carne, stasera volevo fare il katsudon!”

Mi chiusi la porta alle spalle e solo allora, con passo incerto, mi sporsi verso di lui, nascondendomi tra le sue braccia, che dopo qualche secondo di stupore si chiusero intorno a me.

Lo sentì ghignare e alzai leggermente il viso per scoccargli un’occhiataccia.

“Perché ridi?”

“Forse dovrei farti arrabbiare più spesso!” esclamò, sorridendo divertito, stringendo la presa su di me e chinando la testa, fino ad affondare il viso tra i miei capelli

“Baka, non sono mica arrabbiata…” borbottai 

Capii che stava ridacchiando quando avvertii il suo respiro insinuarsi sul mio collo e un brivido mi fece arretrare di scatto, mentre nella mia testa echeggiava la frase che mi aveva detto qualche ora prima.

“Nori-chin!!” brontolò, indispettito dalla mia fuga

“Su, accompagnami a fare la spesa” dissi, dandogli le spalle per non incrociare il suo sguardo, e con uno sforzo allungai una mano, tesa nella sua direzione

“Sei arrossita Nori-chan? Che cariiinaaa!” esclamò, intrecciando le mie dita ghiacciate nelle sue bollenti, mentre si chinava per guardarmi in viso

“Se non la smetti non chiedo a nonna il permesso di farti fermare a cena” lo minacciai

“Eeeh?! Ma non è giusto! Sai che adoro il modo in cui cucina la carne! Il tonkatsu del tuo ultimo bento era suuupeeer!” protestò, preso dal panico

“Dai muoviti zuccone, o non ne troveremo più in offerta!” lo strattonai, sforzandomi di non scoppiare a ridere

Da quel giorno la mia mano prese a scivolare sempre più spesso in quella di Kotaro non appena eravamo soli: nel tragitto verso casa, in metro, o semplicemente in alcuni momenti rubati durante le nostre giornate sempre troppo piene.

Era un gesto semplice, quasi banale, eppure divenne il mio modo per tenere a bada la sua irrequietezza, per calmarlo e ricordargli che ero lì con lui, nonostante tutti i nostri impegni e doveri. Anche se dentro di me sapevo che era tutta una scusa per mascherare la mia crescente voglia di tenerlo vicino a me appena potevo.

 

*

 

“Finalmente un po’ di calma e silenzio!” sussurrò Shikako tra sé e sé, stiracchiando i muscoli del collo teso e fissando la pagina bianca che aveva davanti

Le ultime settimane erano davvero volate tra i preparativi per il festival culturale, gli allenamenti della squadra e i restanti impegni scolastici, e ora le rimanevano solo pochi giorni per ultimare il copione dello spettacolo, ma quell’ultima scena d’amore proprio non c’era verso di riuscire a scriverla.

Cercare di ritagliarsi un momento per pensare e riflettere era sempre più difficile tra il caos che regnava a tutte le ore in classe, dove ognuno cercava di darsi da fare tra scenografie e costumi o ripassando costantemente la propria parte, e la tensione dei momenti passati in palestra dietro alla squadra, senza mai un istante libero per poter ritornare con la mente alla storia che le frullava in testa e che attendeva di essere conclusa.

Ma quel pomeriggio avevano stranamente finito le prove in largo anticipo, e per non lasciarsi sfuggire quella ghiotta occasione, più unica che rara, Nori si era subito offerta di mettere in ordine la classe pur di rimanere un’oretta sola con i suoi pensieri.

Dopo le pulizie le erano rimasti tre quarti d’ora scarsi per concentrarsi sul finale prima di fiondarsi agli allenamenti pomeridiani, e non aveva intenzione di sprecarne uno di più.

Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, cercando di svuotare la mente.

Ascoltare la musica la distraeva più che aiutarla, perché era del silenzio che aveva bisogno per poter entrare in quello stato di concentrazione assoluta che le permetteva di materializzarsi dentro la storia che aveva in testa, e di viverla in prima persona.

Dopo qualche istante la penna cominciò a muoversi rapidamente sul foglio, e il rumore dell’inchiostro che si imprimeva sulla carta, riga dopo riga, si mescolò al vento che batteva lievemente sui vetri, diventando l’unica melodia a fare da sottofondo ai suoi pensieri.

Staccò la testa dal quaderno solo quando si rese conto di avere davvero terminato l’ultima scena che le mancava, e soddisfatta si lasciò sprofondare sulla sedia sospirando pesantemente.

“Nori-chiiin! Allora eri davvero in classe! Mi hai fatto preoccupare!!”

Shikako si voltò di scatto, sussultando per quel brusco ritorno alla realtà.

“Cosa? Bokuto che ci fai qui? Oddio no, non dirmi che…” esclamò, scattando in piedi e lanciando uno sguardo alla finestra alle sue spalle, allarmata

“Ma è già buio?! Non ci credo, sono le sette! Ho perso gli allenamenti!” urlò guardando esterrefatta l’orologio sopra la cattedra, per poi afflosciarsi sulla sedia con aria sconfitta, sentendosi tremendamente in colpa

Kotaro si avvicinò osservando incuriosito quella serie di reazioni, secondo lui davvero comiche, cercando di trattenersi dal ridere per evitare di peggiorare le cose.

“Devo andare a scusarmi con il coach Yamiji e Yukie! Non posso crederci che ho finito per saltare gli allenamenti, sono un’idiota!” disse Nori dopo qualche istante di riflessione, rialzandosi risoluta e superando Bokuto a grandi passi, diretta verso la porta

Kotaro fece appena in tempo ad afferrarle il polso e tirarla a sé, ma non si rese conto che in questo modo le aveva fatto perdere l’equilibrio, così si sporse istintivamente in avanti frenando la sua caduta letteralmente di petto.

“Ehi, non sono mica una palla!” borbottò lei, per poi staccarsi da lui “Mi spieghi perché non mi vuoi lasciare andare?” 

“Perché sono già andati tutti via! Akaashi mi ha detto che ti avrei trovata qui così sono venuto a prender-“

“Cosaaa?! Allora devo provare a chiamare almeno Kaori e scrivere un messaggio al coach e-“

“Hey, hey, hey! Non ti devi preoccupare! Oggi abbiamo finito prima visto che siamo tutti stanchi e impegnati con il festival, tu compresa! Akaashi ci ha spiegato che avevi bisogno di lavorare alla vostra recita e sia il coach Yamiji che Yukie hanno insistito per non disturbarti e lasciarti scrivere in pace, capito?” le disse, senza staccare gli occhi da lei per non perdere la sua attenzione

La sentì calmarsi sotto la sua presa, anche se il viso tradiva ancora un’espressione sconsolata e colpevole.

Vederla così lo intenerì, e con un leggero colpo di polso l’attirò nuovamente a sé, circondandole la schiena con il braccio libero.

“Non ti devi sentire in colpa per aver fatto qualcosa che ti rende felice… perché è così che ti stai sentendo ora, vero?”

Lei si limitò ad annuire impercettibilmente, nascondendo poi il viso tra le pieghe della sua divisa.

“Quando trovi qualcosa che ti appassiona così tanto da farti perdere la cognizione del tempo, e che ti riesce anche bene, tutto quello che puoi fare è cogliere quel momento e metterci tutta te stessa!” le disse, ripetendo quelle stesse parole che lo avevano sempre guidato in tutti quegli anni di vittorie e sconfitte “Il 120%, ricordi?” aggiunse, sorridendole

“Non sai neanche se quello che sto scrivendo è una schifezza o meno…” gli rispose lei ironica, smorzando il suo tono stranamente maturo e saggio

“Bè, in effetti hai ragione!” disse lui, con un’espressione esageratamente sorpresa dipinta in viso

“Eh?! Ma non dovresti mica rispondere in questo modo! Dopo quello che mi hai appena detto dovresti dire che hai fiducia in me e cose così!” sbuffò Nori, fingendosi offesa

Lui la strinse più forte a sé, appoggiando il mento sulla sua spalla, ridacchiando per quella reazione.

“Ti impegni sempre in tutto quello che fai… nel prendere appunti durante le competizioni, nell’organizzare gli schemi di tutte le partite, nel convincere qualcuno a guardare i tuoi film preferiti, nel trovare l’inquadratura perfetta per una foto, nell’essere sempre gentile e disponibile verso tutte le persone che ti circondano… perché questa volta dovrebbe essere diverso?” le chiese, con un tono così disarmante che ogni dubbio e incertezza le sembrò improvvisamente sciocco e fuori luogo

Ancora non riusciva a capire come riuscisse a trovare ogni volta le parole giuste per calmarla, per farle ritrovare quella sicurezza e forza di cui aveva spesso disperatamente bisogno.

Non era tanto il contenuto di quelle frasi a stupirla, quanto il tono leggero e allo stesso tempo solenne con cui le rispondeva, come se per lui non ci fossero altre verità possibili al mondo.

Ricambiò la stretta e chiuse per qualche secondo gli occhi, assaporando quel raro momento in cui poteva averlo solo per sé, sentendo la stanchezza e la tensione accumulata in quelle lunghe settimane sciogliersi come neve al sole.

“Visto che sei qua… c’è un’ultima cosa che vorrei fare prima di tornare a casa…” gli disse, staccandosi lentamente da lui

Si diresse verso il suo banco, dove aveva abbandonato gli appunti e le battute dell’ultima scena dello spettacolo scritti quel pomeriggio.

“Mi aiuteresti a rileggere il finale della storia? L’ho steso di getto senza correggerlo e poterlo sentire letto ad alta voce mi aiuterebbe molto” gli chiese, allungandogli alcuni fogli e indicandogli le parti da recitare

“Oya! Ma ci sono un sacco di parole difficili! Questo kanji come dovrei leggerlo? Anzi aspetta… mi è venuta un’idea per calarmi nella parte! Chiudi gli occhi!” esclamò eccitato

“Ehh? Che cosa hai in mente?” domandò lei sospettosa

Ma lui ridacchiando le prese le mani e gliele appoggiò sul viso, costringendola a non seguirlo con lo sguardo mentre si dirigeva verso gli scatoloni che ingombravano la cattedra.

“Okay, ora puoi aprirli” le disse dopo qualche minuto, tornando da lei

Nori batté le palpebre più volte non capendo come reagire di fronte a ciò che le si parò davanti, ma dopo pochi istanti di esitazione scoppiò a ridere fragorosamente, incapace di fermarsi.

“Eeeehiii! Nori-chin!! Non dovresti ridere!!! Vorresti dire che non sto bene così?” sbuffò lui sentendosi preso in giro, afferrando per un pelo la parrucca da geisha in cui aveva tentato di infilare le ciocche ribelli e che continuava a scivolargli

Ma lei non riusciva a staccare gli occhi dalla visione grottesca di Bokuto in versione maiko: si era persino imbrattato il viso con il cancellino sporco di gesso preso dalla lavagna e colorato le labbra e le guance con il burrocacao alla ciliegia che lei teneva sempre nell’astuccio.

Kotaro si limitò a fingersi offeso, senza smettere di atteggiarsi, con molta convinzione, a grande attrice consumata, cosa che rese ancora più difficile smettere di ridere per Shikako.

“Non ce la faccio, devo toglierti questa cosa di dosso altrimenti non riesco a essere seria!” gli disse, tenendosi la pancia, che aveva cominciato a dolerle per le troppe risate, e avvicinandosi a lui per sfilargli la parrucca

Prese poi un fazzoletto dalla tasca della divisa e glielo passò delicatamente sul viso, rimuovendo quella sorta di trucco con cui si era pasticciato la faccia. Fu solo quando sentì il suo sospiro caldo solleticargli le guance che si rese davvero conto della poca distanza che li separava: un brivido la percorse, mentre una strana e piacevole sensazione di tepore l’avvolse, facendole scivolare lo sguardo sulle labbra di Bokuto, rosee e lucide per il burrocacao.

Se avesse voluto sarebbe bastato così poco per cancellare quel misero centimetro che li separava e sentire in bocca il sapore dolce e leggermente acidulo di ciliegia.

“Sarà meglio sbrigarsi, devo ancora riportare alcuni scatoloni nella stanza del club di arte!” esclamò, dandogli improvvisamente le spalle, dirigendosi a grandi passi verso il copione abbandonato sul banco nel tentativo di nascondere il rossore che aveva iniziato a imporporarle le guance

Per quanto lo desiderasse, voleva che quel momento fosse davvero speciale, senza fretta, dubbi o rimorsi, ed era sicura che prima o poi l’occasione perfetta si sarebbe presentata.

O almeno lo sperava.

 

*

 

Mi morsi le labbra e, facendo leva sull’ultimo briciolo di forza rimastomi dopo una notte agitata e insonne, feci scivolare la porta con uno scatto, entrando finalmente in classe. 

Venni accolta dalle chiacchere concitate e disordinate dei miei compagni, che saettavano da una parete all’altra presi dagli ultimi ritocchi o intenti a ripassare ancora una volta le loro battute, mentre le file di banchi, addossati verso il fondo dell’aula, pullulavano di cartelle, borsoni, costumi, trucchi, parrucche e oggetti di scena: il primo giorno del festival culturale era finalmente arrivato e con esso anche il fatidico momento del nostro debutto.

Sentii le ginocchia sul punto di cedermi, ma mi costrinsi a raggiungere la cattedra dove Akaashi e Ume stavano discutendo di alcune modifiche dell’ultimo minuto con Fuwijara e Ueno, i due capoclasse.

“Nori-chan, era ora! Aspettavamo te per consegnare l’ultima versione del copione ad Harada-sensei, visto che a quanto pare devono tenerne una copia in aula insegnanti e approvarla prima dello spettacolo” esclamò Ume, venendomi incontro con aria pimpante

“In che senso? Non l’avevamo già consegnata al professor Takeda?” le risposi, sentendo il panico montare

“Sì ma vogliono avere la versione definitiva, comprese le ultime modifiche che abbiamo fatto ieri. Giusto per poterla inserire nell’archivio della biblioteca una volta concluso il festival” mi spiegò Akaashi con tono come sempre calmo e imperturbabile

Sospirai, cercando di tranquillizzarmi: invidiavo la pace e la spensierata allegria dei miei compagni, ma in situazioni come questa per me era proprio impossibile rilassarmi, era come se mi aspettassi che da un momento all’altro saltasse fuori un problema insormontabile capace di rovinare tutto.

Sentii il telefono vibrare nella tasca della giacca e quasi saltai in aria per quanto ero tesa.

Bokuto non demordeva, da quella mattina non aveva fatto che scrivermi e supplicarmi di passare dalla sua sezione per vedere lo stand che avevano allestito. Sapevo che ci teneva molto visto che nelle scorse settimane si era impegnato duramente per non rivelarmi nulla, uno sforzo non da poco per lui che non sapeva minimamente cosa volesse dire la parola segreto, ma ciononostante non mi sentivo abbastanza tranquilla all’idea di lasciare la classe in questi delicati ultimi momenti di preparativi.

“Ehi Nori-chan, Akaashi-kun, pronti per il grande giorno?” urlò Yukie, appoggiata allo stipite della porta dell’aula, mentre Kaori alle sue spalle le dava una gomitata per farla calmare

“Oh, b-buongiorno!” balbettai vedendole venirci incontro

“Non so come, ma si è sparsa la voce che avete in programma qualcosa di grosso! Ho persino sentito alcuni gruppi di primini organizzarsi per prendere per tempo i posti migliori! Sono sicura che farete il pienone!!” esclamò festante Yukie, dandomi una pacca sulla spalla

Ma quella rivelazione invece di lusingarmi mi fece sprofondare ancora di più nel baratro di ansia e paranoie in cui sguazzavo già da giorni.

“Nori-san va tutto bene? Sei piuttosto pallida” chiese Akaashi con tono preoccupato, sporgendosi per guardarmi meglio

“Eh? Non dirmi che soffri da ansia da prestazione, bakaaa! Allora ho io la soluzione per te! Le tue senpai ora ti portano a fare un bel tour completo del festival così ti distrai un po’!” 

“M-ma devo rimanere… p-potrebbe succedere qualcosa!”

“Cosa vuoi che succeda, ormai la tua parte l’hai fatta! Ora devi pensare a calmarti altrimenti non riuscirai a goderti lo spettacolo!” 

“Ha ragione, Nori-chan! Ti sei sempre resa disponibile a tutte le ore, senza risparmiarti mai, ora pensa a divertirti un po’ prima della recita! In fondo per te è la prima volta, no?” aggiunse Ume sorridendomi, mentre al suo fianco anche Keiji sembrò annuire

“Allora è deciso! Ve la riportiamo presto non preoccupatevi!” strepitò Yukie, prendendomi a braccetto e trascinandomi a forza verso il corridoio pieno di festoni e decorazioni

Passammo le successive ore ad esplorare piano per piano, aula per aula, tutte le installazioni, le mostre e le attività proposte quell’anno dalle diverse classi dell’Accademia Fukurodani, facendoci largo tra le frotte di studenti, insegnanti e genitori che affollavano la scuola.

Ovviamente Yukie si era lasciata il meglio per ultimo, ovvero i banchetti di street food: file e file di stand colorati riempivano il cortile solitamente spoglio della scuola, alternando dolce e salato, mettendo in bella mostra prelibatezze come takoyaki, crepes, waffles, taiyaki, banane ricoperte di cioccolato, mele caramellate e molto altro ancora.

Arrivammo all’ora di pranzo già sazie, nonostante avessi cercato di non mangiare troppo per non dovermene pentire nel pomeriggio.

“Bene, direi che è finalmente arrivato il momento di andare a vedere cosa ha preparato la sezione del nostro capitano, anche se qualche idea ce l’ho già…” disse Kaori, strattonando Yukie nel tentativo di allontanarla dalla macchina dello zucchero filato 

Ero stata talmente presa dai preparativi per lo spettacolo che non mi ero nemmeno soffermata a riflettere su quale potesse essere la famosa sorpresa che Bokuto non aveva smesso di menzionare, e a tratti di lasciarsi scappare, negli ultimi giorni.

“Vedrai, ti piacerà un sacco!” mi disse Yukie prendendomi per mano e aumentando il passo

L’entrata della classe 3-2 era incorniciata da una ghirlanda di rose di carta dai toni pastello e poco oltre la porta intravidi anche un tavolino sul quale era appoggiato un cartellone che riconobbi essere un menù.

“Oh, quindi sono loro la sezione delle terze che ha deciso di fare un caf-“

Ma non riuscii a terminare la frase perché quello che vidi una volta superata la soglia dell’aula mi lasciò senza parole.

“N-non ci posso credere!” mormorai dopo qualche istante di stupore, strabuzzando gli occhi 

Eppure era tutto vero: c’erano davvero una ventina di ragazzi vestiti da neko maid, con tanto di orecchie da gatto e coda, di fronte a me!

Sembrava di essere in uno di quei locali molto kawaii che avevo spesso visto a Shinjuku ma in cui non avevo mai avuto il coraggio di entrare.

“Nori-chin! Alla fine sei venuta!!” 

Mi voltai e mi ritrovai davanti Bokuto, stretto in un completo da maid di qualche taglia troppo piccola, le mani infilate in soffici guanti pelosi simili a delle zampe, al collo un grosso fiocco rosa legato ad una piccola campanella che non smetteva di dondolare.

“Allora? Ti piace, nyan?” mi chiese, avvicinandosi furtivamente e facendo una piroetta per mettere in mostra il suo buffo travestimento

Sentii che non sarei riuscita a trattenermi oltre: indietreggiai con un balzo e, nascondendomi dietro Kaori, scoppiai finalmente a ridere, seguita a ruota da Yukie. 

“Oya? Non ti piaccio? Ero convinto che i gatti ti piacessero! Ho provato a proporre un costume da gufo ma nessuno mi è stato a sentire…” mugolò Kotaro con sguardò afflitto e sconsolato

Non era proprio il caso che Bokuto entrasse in emo-mode in pieno festival, pensai, dovevo assolutamente fare qualcosa per evitare il peggio!

“Oi, oi, oi a quanto pare ti sei arreso alla supremazia felina, eh?” disse una voce a noi familiare, facendoci voltare

Un gruppetto di studenti del Nekoma capeggiato da Kuroo aveva appena fatto il proprio ingresso nella stanza, ridendo e lanciando occhiate allusive ai tavoli affollati di ragazze. Guardando meglio notai altri volti conosciuti fare capolino alle spalle di Tetsuro, tra cui quello di Lev, Yaku e Yamamoto.

“Kuroo? Che ci fai qua? Non siete occupati con il vostro festival?” chiese Kotaro, sinceramente sorpreso di vedere l’amico lì

“Bè, diciamo che pur di vederti conciato così ho sacrificato volentieri la pausa pranzo” rispose lui con un ghigno divertito, cominciando a scattargli una foto dopo l’altra

Kotaro non appena lo vide tirare fuori il cellulare stette subito al gioco, mettendosi nelle pose più buffe ed equivocabili possibili.

Mi aggrappai nuovamente a Kaori nel tentativo di soffocare l’ennesima risata.

“Oh, Nori-chan, non ti avevo vista! Perché ti nascondi? Tranquilla, non ho alcuna intenzione di rubarti Bokuto!” disse Tetsuro, sorridendomi malizioso

Feci un passo avanti, lanciandogli la peggior occhiataccia possibile.

“Ehi Kuroo! Lascia in pace Nori-chin!! Non deve agitarsi, questo pomeriggio la sua classe ha uno spettacolo da portare in scena!” esclamò Kotaro, parandosi tra di noi 

“Oh! Non lo sapevo… che peccato, mi sarebbe piaciuto poterlo vedere!” esclamò, mostrandosi sinceramente sorpreso “Bè, ti auguro buona fortuna!”

Lo guardai sospettosa, sforzandomi di non cedere a quell’improvvisa dimostrazione di gentilezza.

“Bè, sarà meglio che cominciamo a prendere posto e ad ordinare visto che abbiamo i minuti contati e un bel pezzo di strada ad attenderci al ritorno!” aggiunse poi, voltandosi per alzare la gonna a Bokuto ed attirare così la sua attenzione

“Ehi così mi rovini il costume! E comunque non posso aiutarti, tra poco comincia la mia pausa e non vedo proprio l’ora di togliermi questo vestito aderente di dosso!” gli rispose lui

“A-aspetta… prima di toglierlo… p-posso farti una foto anche io?” borbottai imbarazzata

In fondo un’occasione del genere non mi sarebbe più capitata… forse.

Bokuto mi guardò con gli occhi che gli brillavano, un’espressione compiaciuta e al contempo stupita stampata in viso, mettendosi subito in posa senza farselo ripetere due volte.

Dopo quel breve siparietto Yukie e Kaori ci salutarono e tornarono verso le loro rispettive sezioni, mentre invece il gruppetto del Nekoma prese posto nel maid cafe e si preparò ad ordinare.

Decisi così di aspettare in corridoio che Kotaro si cambiasse e mi raggiungesse.

Lanciai un’occhiata veloce al telefono, scorrendo i messaggi per accertarmi che stesse filando tutto liscio.

Hey, hey, hey, Nori-tan sei pronta per un giro completo del festival con il sottoscritto?” esclamò Bokuto, spuntando alle mie spalle

“Veramente ho già visto tutti gli stand e le attività delle classi prima di venire qui, anche se…” gli risposi, tirando fuori il dépliant dell’edizione di quell’anno per controllare se avessi saltato qualcosa “…in effetti c’è un posto che ancora mi manca…”

“Sì? Quale?”

“La casa infestata della sezione 1-4”

“Ah”

“Non ti va?”

“C-certo che mi va! Su andiamoci!!” 

Ma quell’entusiasmo mi apparve subito forzato, in fondo ormai sapevo bene quanto Bokuto fosse un pessimo attore.

Aveva forse paura dei fantasmi?

“Se ti spaventi ti puoi attaccare a me, va bene Nori-chin?” mi disse, gonfiando il petto, quando dopo qualche minuto di fila i ragazzi all’ingresso ci fecero segno di poter entrare

Non appena la tenda ricadde alle nostre spalle, e il buio completo ci avvolse, gli afferrai la mano senza alcuna esitazione, perché non mi vergognavo affatto a mettere in chiaro quanto fossi fifona.

Lui ricambiò la mia stretta ridacchiando, ma dopo qualche istante il primo di una serie di urli raccapriccianti squarciò il surreale silenzio che ci circondava, facendoci saltare entrambi in aria. 

Ma a spaventarmi maggiormente furono le grida terrorizzate di Kotaro, che per lo spavento si appiccicò come una ventosa a me, impedendomi di muovermi e rifiutandosi di andare avanti.

“Ma non possiamo rimanere qui! Dobbiamo uscire!!” gli dissi, cercando di convincerlo

Alla fine, dovetti trascinarlo a peso morto per la restante parte del percorso, mentre i suoi strilli acuti mi perforavano i timpani e le sue braccia non la smettevano di stritolarmi e arpionarsi alla mia povera schiena.

“Potevi dirmelo prima che avevi paura, baka!” strepitai, scollandomelo finalmente di dosso una volta raggiunta l’uscita

Ma lui sembrò non sentirmi, lo sguardo spiritato, il volto pallido e provato.

Lo lasciai riprendere e ne approfittati per dare l’ennesimo occhiata al cellulare.

Ma quello che vidi mi fece accapponare la pelle più di tutti i fantasmi e i mostri che mi ero appena lasciata alle spalle: dieci chiamate perse di Ume e tre di Akaashi.

Sentii il cuore in gola mentre con mano tremante tentavo di richiamarli. 

“Nori-chin?! Dov’eri finita?! È successo un disastro! Sato-san, la nostra volpe bianca, è chiuso in bagno da mezz’ora e sembra non essersi ancora ripreso! Suzuki-chan mi ha detto che lo ha visto ingozzarsi di takoyaki in pausa pranzo e ora penso proprio che sia fuori gioco!” mi rispose con tono seriamente allarmato Kaneko-san, facendomi rabbrividire

Non c’era altro tempo da perdere, dovevo tornare da loro e pensare subito ad una soluzione.
 “Mi dispiace ma devo proprio scappare, ho un’emergenza!” urlai a Bokuto prima di scattare come un fulmine in direzione della mia classe, pregando di non incappare in qualche professore pignolo proprio in quel momento

Una volta arrivata mi aggrappai allo stipite della porta nel tentativo di riprendere fiato, mentre con lo sguardo cercavo di individuare Akaashi nel caos che regnava nell’aula. Lo vidi intento a discutere con Fujiwara e Ueno e con un ultimo sforzo li raggiunsi, sperando che la situazione si fosse nel frattempo risolta.
 “Nori-san, Kaneko-san ti ha già avvertito? Purtroppo ha dovuto accompagnare Sato in infermeria, si è preso una brutta indigestione” mi riferì Keiji, intento a sfogliare con aria apparentemente assente il copione, negli occhi lo stesso sguardo che aveva in campo quando cercava di individuare la strategia migliore da proporre alla squadra

E nel vederlo così concentrato improvvisamente mi apparve chiara la decisione da prendere.

“Mi sa che dobbiamo proprio sostituirlo… almeno per oggi!” esclamò Fujiwara, sospirando spazientito

“Sì, dobbiamo trovare qualcuno che possa interpretare e rendere giustizia al nostro co-protagonista, qualcuno che conosca bene il personaggio e la storia, e sappia già le battute a memoria…” dissi, voltandomi verso la persona che avevo in mente, la sola di cui in quel momento mi fidavo per una responsabilità simile

Quel qualcuno che più di tutti mi aveva aiutata e supportata nello scrivere lo spettacolo.

Akaashi alzò finalmente lo sguardo, incontrando i miei occhi risoluti e imploranti, con cui cercai di trasmettergli tutta l’ansia, la tensione e l’aspettativa che provavo in quel momento. Una muta supplica in cui mi sforzai di imprimere quanto lo stimassi e confidassi in lui.

Lo vidi prendere un respiro profondo e soffermarsi a riflettere per qualche istante prima di rivolgersi a tutti con una decisione e risolutezza che raramente gli avevo visto, ma che ero sicura gli appartenesse.

“Lo farò… sostituirò Sato-san nel ruolo della volpe bianca. Non posso permettere che gli sforzi di tutti vadano sprecati. Quindi vi chiedo di fidarvi di me, mi impegnerò per non deludervi!” disse con determinazione, fissandomi, un accenno di sorriso sul viso

Non mi restava che credere a quelle parole: allo stesso modo in cui Bokuto e la squadra gli avevano sempre affidato le sorti delle loro partite, così io gli affidai la mia storia, quelle sudate pagine in cui avevo riposto gli sforzi e le speranze delle ultime settimane.

 

*

 

“Muoviti Kagome! Rischiamo di non riuscire a prendere i posti in prima fila!!”

“Spero che Satsuko sia riuscita ad accaparrarsene qualcuno anche per noi! Sarà la nostra ultima occasione per ammirare Akaashi-sama!!”

“Shhh non dirlo a voce troppo alta! So che ha già un fan club agguerritissimo, meglio non farsi sentire!”

Le due ragazze si lasciarono andare a qualche ultimo gridolino e risata prima di scomparire in direzione dell’auditorium, superando così Nori, che, con meno energia e fretta, si stava dirigendo verso la saletta dietro le quinte, per un ultimo check prima dello spettacolo finale.

Era andato tutto bene, anzi, era andata anche meglio.

Non che non ci avesse sperato, ma mai avrebbe anche solo sognato un simile successo.

Avevano persino dovuto aggiungere delle repliche, perché dopo il debutto si era sparsa velocemente la voce che la recita della sezione 2-6 aveva ricevuto una lunghissima standing ovation dopo la scena finale. Qualcosa che raramente era accaduto nella storia dei festival dell’Accademia Fukurodani.

Tutti volevano vedere con i propri occhi quel tanto chiacchierato spettacolo: insegnanti, genitori, e persino gli studenti delle scuole limitrofe erano accorsi alla replica successiva, ma erano troppi, e così la classe aveva deciso di andare in scena anche il giorno successivo.

Le ultime ore del festival per Nori passarono davvero velocemente, tra un salto sul palco insieme al resto dei compagni per ricevere i meritati complimenti al termine della loro ultima esibizione, e le ore di pulizia e riordino che la tennero occupata fino a che il cielo non divenne buio, rischiarato appena dalle ancora flebili braci del falò che di lì a poco avrebbe preso vita nel cortile dell’istituto.
 “Eh? Non vieni fuori? Tra poco inizierà la cerimonia di chiusura del festival, non puoi perdertela!” disse con voce emozionata Ume

“Ho dimenticato il mio blocco degli appunti sul banco, torno subito!” le rispose lei, per poi dirigersi a grandi passi verso la loro classe

I corridoi le apparvero irriconoscibili così vuoti e silenziosi, spogliati dei festoni e delle decorazioni colorate che fino a qualche ora prima avevano adornato l’edificio.

Entrò in classe senza fare troppo rumore, nonostante fosse sola.

Il quaderno era infilato sotto il banco, dove lo aveva lasciato quel pomeriggio prima di dirigersi verso l’auditorium. 

Sentiva ancora l’emozione e gli attimi di felicità vissuti quando il sipario era calato su di lei e i suoi compagni dopo l’ultimo giro di applausi. 

Non aveva mai provato qualcosa di simile: qualcosa di così forte e appagante, qualcosa che l’aveva resa fiera di sé stessa e che era stato in grado di spazzare via ogni traccia della fatica e dell’ansia che l’avevano tormentata per giorni.

Era questo che succedeva quando si dava il massimo? Quando si conquistava la vittoria?

Ma non era tanto il successo a renderla orgogliosa, quanto la consapevolezza di avercela fatta, di essere riuscita a tenere fede alla promessa fatta alla classe, ma soprattutto a sé stessa.

Aveva creato qualcosa e, cosa ancora più importante, lo aveva portato a termine, nel migliore dei modi a cui potesse auspicare.

Quella sensazione di completezza, di chiusura, aveva risvegliato in lei qualcos’altro, un sentimento altrettanto forte, ed era la voglia di rifare tutto da capo. 

Di scrivere, di riprovarci, di mettersi ancora alla prova e vedere dove tutto ciò avrebbe potuto portarla. 

Era come se avesse aperto lo spiraglio di una porta su cui non si era mai soffermata, che aveva finito quasi per non notare. E ora da quella semplice apertura scorgeva un mondo di possibilità infinite, pronte per essere afferrate, senza più dubbi e paranoie a frenarla, ma solo parole, immagini e colori che aspettavano di essere catturati.

Così, con un gesto ormai sempre più automatico, tirò fuori una penna dall’astuccio e liberò quel flusso di pensieri, che non aspettava altro che il momento giusto per risvegliarsi e travolgerla. 

Non sapeva bene cosa stesse scrivendo, ma sentiva il bisogno di mettere per iscritto tutte le idee e gli spunti che le erano venuti in mente da quando aveva assistito al primo spettacolo: vederlo animarsi davanti ai propri occhi, osservare i personaggi prendere vita, era stata come un’illuminazione per lei, che le aveva permesso di notare i punti deboli della trama, i passaggi meno chiari da approfondire e le scene che potevano essere migliorate.

C’era ancora tanto da fare, era certa di aver appena imboccato quel nuovo sentiero, ma questo non la spaventava affatto, anzi, al pensiero di tutto ciò che l’aspettava, di tutti i progressi che avrebbe potuto fare, di tutte le storie che avrebbe potuto immaginare e creare, avvertiva le mani fremere e un guizzo di emozione attraversarla, facendola sorridere come una stupida.

 

*

 

Bokuto sbadigliò sonoramente, guardandosi attorno tra le aule deserte dell’Accademia.

Anche l’ultimo festival si era concluso, e come tante altre cose sarebbe finito tra i ricordi della sua vita da liceale che presto si sarebbe lasciato alle spalle.

In fondo non era triste all’idea di abbandonare tutto ciò che negli ultimi tre anni aveva fatto parte della sua quotidianità. L’unica cosa che lo turbava era il pensiero che gli rimanevano sempre meno incontri e momenti per giocare con i suoi compagni, per la stessa squadra, condividendo emozioni e fatiche. 

E presto sarebbe arrivata anche l’occasione ufficiale per uscire di scena, per dirsi addio. 

Ripensandoci non avrebbe potuto chiedere di meglio: l’interhigh primaverile in fondo era la cornice perfetta per concludere il loro viaggio insieme.

Era soddisfatto di tutte le scelte prese, di tutti i passi avanti compiuti, ma anche di tutte le sconfitte incassate, perché lo avevano portato lì, dov’era ora.

Ogni anno in quella scuola gli aveva regalato qualcosa: la passione per la pallavolo, il suo migliore amico, e ora lei.

Si fermò davanti alla porta della sua sezione, dove era sicuro l’avrebbe trovata.

Sforzandosi di non fare rumore entrò nella classe semibuia e finalmente la vide, china sul suo banco, completamente indifferente a tutto ciò che la circondava, il volto concentrato ed un sorriso radioso a incresparle le labbra.

Era la stessa espressione che aveva visto sul suo stesso volto durante le registrazioni di qualche vecchia partita: quel misto di tensione, passione e curiosità che è propria di chi guarda avanti, di chi non vede l’ora di afferrare il futuro teso davanti a lui.

Glielo aveva già detto, ma ora più che mai ne ebbe la conferma: era arrivato il suo momento, il momento per Nori di lanciarsi verso quel destino che si era fatto troppo attendere.

“Stai scrivendo un’altra storia?” si lasciò sfuggire, mentre la osservava scribacchiare da sopra la sua spalla

Shikako sussultò, facendo volare la penna che stringeva in mano per lo spavento.

“M-ma sei pazzo? Mi hai fatto venire un infarto, baka!” lo sgridò, alzandosi per recuperarla

Si tirò su e dopo averlo guardato male, gli diede nuovamente le spalle, intenta a mettere vie l’astuccio e il quaderno.

Kotaro ridacchiò e cogliendola nuovamente di sorpresa si sporse verso di lei per abbracciarla.

“Sei stata bravissima, Nori-chin!” le sussurò, stringendola sempre di più, come se avesse paura di vederla nuovamente scomparire dalla sua vista, come era successo in quei due ultimi, frenetici giorni

“Me lo hai già detto… Kotaro” mormorò lei, sentendo le guance in fiamme

Sì, glielo aveva già detto quando l’aveva raggiunta in lacrime alla fine del primo spettacolo, mugolando di quanto fosse orgoglioso di lei e di come gli fosse piaciuta la storia. E poi non aveva fatto altro che piagnucolare sulle sue spalle e addosso ad Akaashi, mormorando quanto fosse fiero dei suoi kohai.

Sorrise e chiuse gli occhi, percependo tutto il suo calore investirla a ondate, mentre i pensieri che fino a qualche minuto fa l’avevano rapita e distratta si dissolsero temporaneamente, venendo sostituiti da altri, altrettanto forti.

“Scusami se in questi giorni sono stata poco presente… ma da quando ho iniziato a lavorare al copione della recita sento come se la scrittura mi avesse completamente assorbito. È qualcosa che non ho mai provato prima, ed ora che ho scoperto che posso farcela, che posso davvero creare qualcosa con le mie mani, non riesco più a smettere di pensarci!” gli disse con voce emozionata 

“Te l’ho già detto, non ti devi scusare di fare ciò che ti rende felice… devi semplicemente assaporare questo momento! Il momento in cui vieni ripagata di ogni goccia di sudore, di ogni lacrima versata, di tutto l’impegno che hai impresso. Il momento in cui la tua passione traccia finalmente la strada verso il tuo destino!”

Shikako ripercorse quelle frasi nella sua mente: anche quella volta era riuscita a stupirla, a lasciarla a bocca aperta, attraverso quei rari momenti in cui l’esperienza, e la forza che da essa derivava, lo guidava, permettendogli di illuminare la strada a chiunque lo circondasse, di abbattere ogni resistenza e difficoltà, come il muro più alto e resistente, e di sfondare ogni difesa e ostacolo con poche, semplici, ma potenti parole.

Anche fuori dal campo sapeva risplendere e comportarsi come un asso, la colonna portante della squadra. 

E ora anche la sua.

“Non so ancora se è questo il mio destino, però… non vedo l’ora di scoprirlo!” gli rispose lei, la voce addolcita da quella prospettiva, da quel futuro che non le faceva paura ma la affascinava soltanto

“Ma c’è un’altra cosa che voglio scoprire… ora” 

E senza più alcuna incertezza, senza quei dubbi che fino a prima avevano rallentato ogni suo movimento, si voltò verso di lui, perdendosi nei suoi occhi per un ultimo istante prima di annullare quei pochi centimetri che li separavano. 

Lo aveva finalmente capito che non esistevano momenti perfetti ma solo momenti che possono diventarlo.

Per quanto credesse nel destino, c’era qualcosa di più forte in cui ora credeva, ed era la convinzione che le occasioni migliori sono quelle che ci creiamo da soli, che non aspettiamo che ci piovano addosso, ma che cerchiamo e inseguiamo perché lo vogliamo davvero.

Si staccò da lui per riprendere fiato e aprendo gli occhi si rese conto che il falò era finalmente iniziato.

Si perse nel soffermarsi sui giochi di luce che il fuoco, riflesso nelle finestre, disegnava sul viso di Kotaro, prima di chiudere nuovamente gli occhi, sentendo le sue labbra avvicinarsi per catturare i suoi sospiri. 
 
 

 

 

 

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N O T E
 

EEEEED ECCOCI <3

Questo è uno dei capitoli più intensi e corposi, ma devo ammettere che tra i precedenti e quelli che devono arrivare forse neanche tanto XD

Allora, il giro di boa è stato fatto, siamo entrati nella seconda parte della storia, quella dedicata al consolidarsi dei sentimenti di Nori e Bokuto e al loro maturare come adolescenti, tesi verso un futuro sempre più vicino. Ho sempre amato quegli shojo che esplorano la “vita di coppia” invece di concentrare tutte le attenzioni sul corteggiamento e sul mettersi assieme, magari allungando il brodo con nuovi personaggi e una sfilza di ostacoli assurdi che mi facevano spesso sbattere la testa contro il muro per la disperazione XD 

Diciamo che ho cercato di mantenere la storia il più realistico possibile, certo siamo sempre nell’universo narrativo di Haikyuu, ma ho voluto non scadere in cliché banali, e attingere invece a diversi luoghi comuni (come possono essere il festival culturale, San Valentino, il Natale, etc) per esplorarli cercando di metterci del mio. Spero di esserci riuscita e che il risultato per ora vi piaccia!

Per quanto riguarda la nuova passione di Nori per la scrittura spero non sia risultato troppo un fulmine a ciel sereno, anche se un po’ è quello l’effetto che ha suscitato in lei: mi piace pensare che a volte un talento nascosto può venire fuori anche dopo anni e in modo molto casuale, sorprendendoci e aprendoci nuove prospettive.

In ogni caso ho cercato di seminare qualche indizio negli scorsi capitoli (i diari, l’interesse per i film etc) ma il tutto verrà esplorato un po’ di più nei prossimi capitoli, essendo uno dei temi principali di questa seconda parte della storia.

Comunque la storia di Alice/Aiko nel Paese delle Meraviglie/degli Yokai (Demoni) me la sono inventata dopo svariati tentativi e devo ammettere che è qualcosa che mi piacerebbe scrivere (magari sempre a tema Haikyuu, un po’ come successo in un puntata di Host Club per chi lo conosce).

Penso di aver detto tutto, almeno credo, scusate la lunghezza di queste note infinite XD

Ringrazio di cuore chi legge e chi commenta, mi riempie di felicità leggere la vostra opinione sulla storia, a volte bastano anche due parole per farmi saltare di gioia, quindi grazie! <3

A presto,

Mel 

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Capitolo 9
*** Novembre ***


N O V E M B R E

霜月

 

 tracks n°44-45  
chapter pic

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Era una domenica stranamente calda, il cielo limpido e di un azzurro pastello in contrasto con i colori accesi e autunnali dei numerosi alberi che circondavano la palestra cittadina del quartiere di Sumida.

Nori si tirò su la zip della felpa e dopo aver preso un respiro profondo fece ritorno dentro la palazzina, pronta per riprendere i suoi doveri da manager.

La prima partita di qualificazione per il torneo primaverile si era appena conclusa, e non appena aveva sentito il fischio dell’arbitro alla fine del secondo set, ne aveva subito approfittato per prendere una boccata d’aria e scaricare così tutta la tensione accumulata dagli spalti. 

Ormai si era quasi abituata a tenere a bada l’ansia che l’attanagliava durante ogni competizione ufficiale. Ma il discorso era completamente diverso quando a scendere in campo contro il Fukurodani era il Nekoma: tra tutte le scuole di Tokyo era la squadra che più la rendeva nervosa, e non solo perché sua madre era l’insegnante di riferimento, che, per fortuna, per intercessione del coach Nekomata era riuscita ad evitare di presenziare ad ogni incontro visto il suo sacro amore per il weekend, ma anche per l’affiatamento e la rivalità che da anni intercorreva tra Bokuto e Kuroo.

Quella strana ma solida amicizia l’aveva sempre incuriosita, portandola spesso a chiedersi come due caratteri così forti come i loro non arrivassero mai a cozzare completamente ma riuscissero a coesistere in un rapporto a tratti quasi fraterno. A differenza della relazione basata sul legame tra kohai e senpai che Kotaro aveva con Akaashi, l’amicizia con Tetsuro si fondava su qualcosa di diverso, ma molto vicino al rispetto e al riconoscimento del valore reciproco.

Era soprattutto durante le partite che li vedevano avversari che lo notava maggiormente: adoravano punzecchiarsi prima di scendere in campo, ma quello che realmente quelle battute nascondevano era un muto incoraggiamento per spingere l’altro a tirare fuori il meglio di sé, così da poterlo battere in modo onesto e leale, senza risparmiarsi.

E questo tacito accordo che da anni li legava, spingendoli a migliorare e superarsi costantemente, era ciò che più l’affascinava quando li vedeva insieme, ed anche l’unica cosa che le permetteva di perdonare le assurdità e le idiozie che sparavano fuori dal campo.

“Nori-chan! Non ti vedevo più sugli spalti, tutto bene?” le chiese Yukie, appoggiata alla parete davanti alla porta degli spogliatoi maschili, vedendola arrivare

“Sì tranquilla, ho solo un po’ di mal di testa. Hai visto Kaori? Le ho lasciato i miei appunti subito dopo la fine del secondo set…” 

“L’ho intravista prima mentre parlava con il coach Yamiji vicino ai distributori, mentre per quanto riguarda il tuo quaderno te l’ho messo nella tracolla” disse lei, avvicinandosi poi con sguardo sospettoso “Ma non fa un po’ caldo per tenere la felpa tutta chiusa?” 

“Ehm… ho un po’ di mal di gola!” le rispose Shikako indietreggiando

“Mmm è da un po’ troppo tempo che usi questa scusa, Nori-chan…” le disse con tono malizioso, allungando le mani verso la cerniera, trattenendo a stento un ghigno

Ma in quel momento la porta degli spogliatoi alle loro spalle si aprì di scatto, facendole voltare.

“Oya? Nori-chin! Dov’eri finita? Non ti vedevo bene dal campo!!” esclamò Bokuto, trotterellando verso di lei

“Forse è meglio così! Non oso immaginare quali altri danni avresti potuto fare se ti fossi distratto ancora di più…” borbottò lei di rimando

“Eeehi! Non sgridarmi anche tu! I ragazzi mi hanno appena fatto una lavata di capo, speravo che almeno tu potessi consolarmi!” piagnucolò, afflosciandosi sconsolato su di lei

“Baka, così mi schiacci! Mi vuoi spiegare come diavolo hai fatto a dire che ti eri dimenticato come schiacciare in diagonale, per poi uscirtene con un tiro del genere dopo pochi minuti?” esclamò lei, tentando di sorreggere il suo peso morto

Ancora faticava a credere che una cosa del genere fosse davvero possibile, ma, come le aveva già spiegato in precedenza Akaashi e come aveva potuto vedere lei stessa in diverse occasioni, una tra le tante debolezze di Kotaro era quella di focalizzarsi sulle azioni di gioco che gli riuscivano bene e dimenticarsi nel frattempo di tutto il resto.

Quando aveva visto il muro di Kenma e Kuroo bloccare i suoi tiri lungolinea e la prontezza di Yaku su quelli diagonali aveva davvero temuto il peggio, ma per fortuna ci aveva pensato Keiji a rimettere in carreggiata il loro sbadato capitano e a svoltare le sorti della partita, portandoli in finale. 

Era fortunatamente riuscita a seguire il loro primo set contro il Nekoma, ma dopo aver visto con che velocità avevano conquistato il set point, ed essersi rassicurata grazie all’intervento di Akaashi, aveva deciso di darsi il cambio con Kaori e seguire la partita che nel campo opposto aveva per protagonisti il Nohebi e l’Istituto Itachiyama, i loro prossimi avversari.

“Nori-tan, ci sarai tu in panchina durante la finale dopo?” le chiese Bokuto, il viso appoggiato sulla sua spalla

“Lo sai che Kaori e Yukie hanno la precedenza su di me in quanto senpai, e poi ti ricordo cos’è successo l’ultima volta che è capitato, durante i quarti di finale dei Nazionali del mese scorso!” gli rammentò lei, imbarazzandosi al solo pensiero

Per fortuna non succedeva quasi mai che lei prendesse posto in panchina accanto al coach durante una competizione ufficiale, ma quella volta, per una serie di imprevisti, era andata così.

Non solo era rimasta tesa e distratta per tutta la durata del set, perdendosi nel seguire l’azione e dimenticandosi così di prendere appunti e di preparare le borracce in vista dei break, ma aveva anche contribuito non poco a distrarre Kotaro.

Era noto a tutti i membri della squadra, lei compresa, quanto Bokuto si esaltasse all’idea che una ragazza del pubblico lo osservasse, ma le cose erano ben diverse quando a guardarlo era la sua ragazza, e ad una distanza tanto ravvicinata! 

Inizialmente la cosa lo aveva gasato moltissimo, ma poi, complice la voglia di mettersi in mostra ancora più del solito, aveva finito per commettere una marea di errori grossolani, uno dopo l’altro, che non solo avevano portato gli avversari a trarne vantaggio, ma lo avevano lentamente spinto in un baratro di disperazione in cui aveva trascinato tutta la squadra.

“Ma Nori-chin!! Ti prometto che questa volta mi concentrerò di più!” le disse con tono lamentoso e supplichevole

“Non se ne parla! E poi è già stato deciso che ci sarà Kaori!” gli rispose lei, irremovibile

“Oi, oi, oi state forse litigando? Ops, non volevo disturbarvi!” esclamò Kuroo, sorridendo sornione, uscendo dalla porta dello spogliatoio antistante, trascinandosi dietro un imbronciato Lev “Vi prego continuate pure… anche se forse aspetterei la finale prima di lasciarlo, altrimenti saresti davvero crudele, Nori-chan!”

Lei si limitò a guardarlo male, ignorando come al solito le sue frecciatine, cosa che invece non seppe fare Kotaro

“Ehi Kuroo! Non provare a scherzare su queste cose!!” borbottò, afferrando Nori per un braccio e attirandola a sé per rimarcare la sua posizione

“B-baka!” esclamò lei, arrossendo vistosamente, presa in contropiede, mollandogli una gomitata e svincolandosi dalla sua stretta, cosa che fece scoppiare a ridere tutti i presenti

“Vedo che qui vi state divertendo, eh?” disse Daisho Suguru, capitano della Nohebi, spuntando alle loro spalle “Non sapevo ti fossi trovato la ragazza, Bokuto-san. Quindi l’unico capitano sfortunato in amore rimani solo tu, galletto!” aggiunse, voltandosi a fissare Kuroo

“Tsk, detto da uno che è stato appena mollato non è molto credibile, lo sai serpe?” 

“Ti ho già detto che l’ho lasciata io!”

“Figurati se ci credo, anche Mika-chan avrà capito quanto sei scarso!”

“Prova a ripeterlo, gattino!”

Ma in quel momento un leggero colpo di tosse li fece fermare, mentre Sakusa Kiyoomi passava loro a fianco, degnandoli appena di uno sguardo, come sempre indecifrabile e distante.

“Oggi lui e Komori sono in ottima forma, buona fortuna se pensate di strappargli la finale” commentò Daisho una volta che lo videro scomparire oltre il corridoio

“Questo lo vedremo!” esclamò Kotaro, lo sguardo eccitato e proiettato verso la partita che avrebbe avuto inizio di lì a poco

Nori lo guardò sovrappensiero, sperando davvero che avesse ragione.

 

*

 

La folla di studenti e tifosi dell’Istituto Itachiyama esplose in un ruggito festante, che fece tremare gli spalti, quando sentirono l’arbitro fischiare e validare il terzo ace di fila per la squadra, opera del loro famoso e rinomato asso.

“Non ci voleva proprio… con questa nuova formazione finiremo per rimanere schiacciati dai jump serve di Sakusa!! Devono cercare di spezzare il loro ritmo o rischiamo di perdere anche questo ultimo set!” mormorai senza staccare gli occhi dal campo, mordicchiando la penna che tenevo in mano

“Di questo passo la prossima cosa ad essere spezzata sarà il mio polso, Nori-chan!” mi rispose Yukie, ridacchiando e indicandomi con lo sguardo la salda presa con cui la stavo stritolando

“Oh! S-scusa non me ne ero accorta!” esclamai liberandola da quella morsa, fissando gli appunti che tenevo sulle ginocchia, sforzandomi di concentrarmi

“Devi cercare di darti una calmata, se continui così non arriverai sana di mente all’interhigh di gennaio”

“Lo so, ma è più forte di me… quando li vedo in difficoltà mi sembra di impazzire, e non poter fare nulla per aiutarli è davvero snervante!” confessai, sospirando pesantemente

“Capisco quello che vuoi dire, ma quella che hai davanti agli occhi è la migliore formazione che l’Accademia Fukurodani abbia mai avuto. Non solo Bokuto, ma anche Akaashi, Konoha, Komi, Sarukui, Washio… sono oggi dei titolari forti e solidi, che hanno vissuto sulla propria pelle anni di sforzi e anche di sconfitte. Tu sei fortunata, hai incontrato la squadra nel suo momento di massimo splendore, ma quando sono entrata io, ormai quasi tre anni fa, non era questo il loro livello di gioco. Ne hanno passate tante per arrivare dove sono ora, per questo tutto quello che possiamo fare è fidarci di loro e delle loro capacità!” mi rispose sorridendomi, mettendomi un braccio intorno alle spalle

“Wow, a volte sai davvero essere saggia… senpai!” le dissi in tono scherzoso, ricambiando il sorriso

“Eeeh? È questo il rispetto dei kohai di oggi?!” esclamò, stringendo la presa e scompigliandomi i capelli

Il fischio dell’arbitro che anticipava la prossima battuta ricatturò la nostra attenzione.

Questa volta la seconda linea era riuscita a intercettare la palla ed evitare un ace, rimettendo la squadra in gioco; ma nonostante gli sforzi di Konoha e Akaashi vidi che davanti a loro si parava un’altra pericolosa minaccia, ed era la ricezione di Komori Motoya.

“Quel libero è davvero una scheggia! Mi ricorda molto uno dei piccoletti della Karasuno…” commentò Yukie senza staccargli gli occhi di dosso

“Bokuto sembra non dare cenno di riprendersi, e siamo ormai quasi a metà set!!” esclamai mordendomi le labbra, sentendo il panico montare

“Da come stanno parlottando Kaori e il coach penso che a breve chiameranno il time-out”

“Dici? Sono davvero curiosa di sapere come pensano di risolvere la cosa…” 

Yukie si voltò verso di me, scoccandomi uno strano sguardo.

“Hai ancora mal di testa?”

“Sì, perché?” le risposi, non comprendendo il motivo di quella domanda improvvisa

“Dovrebbero esserci delle aspirine nella tasca laterale del borsone delle borracce. Le portiamo sempre visto che il coach Yamiji soffre spesso di emicrania”

La guardai, continuando a non afferrare il perché di quelle frasi.

“Ti consiglio di andarle a prendere… adesso!” aggiunse, lanciando uno sguardo verso il campo, dove Kaori si era alzata per comunicare all’arbitro la richiesta del break

Finalmente capii dove voleva andare a parare e con uno scattò mi lasciai alle spalle gli spalti, dirigendomi verso le panchine proprio mentre l’arbitro fischiava per segnalare la pausa richiesta.

“Oh, Nori-chan! Tutto bene? Mi hai spaventata!” disse Kaori vedendomi arrivare con il fiatone

“Sì, scusami, ho ancora mal di testa e Yukie mi ha detto che ci sono delle aspirine…” le risposi mentre con lo sguardo intercettai la squadra avanzare verso di noi, stremata e fiacca

“Dovrebbero essere in fondo al borsone” mi rispose lei, mentre si chinava per raccogliere le borracce e porgerle ai ragazzi

Le diedi una mano passandogliele, rimanendo poi accucciata vicino alle borse per non disturbare il coach impegnato a discutere con Akaashi e gli altri; mi allungai solo un po’ per poter individuare Kotaro, ma quando lo vidi per poco non persi l’equilibrio e non caddi in avanti.

Se ne stava in disparte, gli occhi incollati al pavimento, in un atteggiamento che purtroppo conoscevamo tutti fin troppo bene.

“Dobbiamo cercare di coprire meglio la seconda linea e sviare l’attenzione di Sakusa da Bokuto, almeno finché non rompiamo il loro ritmo” spiegò Keiji 

“Aaakaaaashiiii, non sono neanche riuscito a sfondare il muro di Iizuna con i tiri diagonali che prima mi venivano così bene!” mugolò Kotaro, facendoli voltare “Penso che se provassi a tirare i miei lungolinea verrei bloccato subito…” aggiunse con tono lamentoso e abbattuto

Strinsi i pugni, sentendo montare la voglia di andare lì e scuoterlo fino a farlo ritornare in sé: non era da lui arrendersi ancora prima di provare, per quanto fosse sempre stato così emotivo e sensibile in campo ora stava davvero esagerando, soprattutto dopo tutti i mesi di allenamenti passati a perfezionare le sue schiacciate. 

Sapevo che poteva farcela e doveva capirlo anche lui.

Prima che potessi fermarmi mi tirai in piedi, voltandomi nella sua direzione.

“Il tuo vero avversario non è Sakusa, baka! Non oggi! Quindi vedi di dare il massimo come sempre!” gli urlai, incapace di trattenermi oltre

Era stato lui a dirmi che bisognava impegnarsi sempre, senza mai risparmiarsi, indipendentemente dall’esito della partita. 

Schiacciare l’avversario che si ha davanti, è questo che ripeteva spesso, ma a volte il nostro peggior avversario siamo noi stessi, i nostri limiti, contro cui dobbiamo sempre lottare, fino a poterli superare.

Anche se il secondo posto garantiva comunque l’accesso al torneo primaverile, questo non voleva dire che poteva arrendersi così facilmente: anche a costo di perdere, doveva metterci tutto sé stesso, imprimere il suo 120%. 

Sentii le guance bruciare ma sostenni il suo sguardo stupito, mentre il resto della squadra ridacchiava e annuiva. Lo vidi fare un passo verso di me ma il fischio dell’arbitro lo fece fermare, e si voltò per tornare in campo, non prima di essersi girato un’ultima volta, ed avermi lanciato uno sguardo infuocato e deciso, come a dirmi che aveva recepito il messaggio.

Alla fine non vincemmo, ma Bokuto diede del filo da torcere a Sakusa e Komori fino alla fine del set, diminuendo lo scarto che ci separava, tanto che finimmo per perdere per soli tre punti.

Nel tragitto verso casa mia Kotaro non proferì parola e io la lasciai in pace, perché sapevo che in quel momento tutto ciò che gli interessava era ripetere nella sua testa tutte le azioni delle partite giocate qualche ora prima, e fiondarsi a casa per recuperare le registrazioni di quella giornata.

Mi azzardai solo a far scivolare la mia mano nella sua, che lui prese e strinse senza esitazione, per poi non aggiungere altro.

“Vedi di riposarti e di non passare tutta la notte a rivedere i replay di oggi…” gli dissi una volta arrivati “Oh, a proposito, ho visto che hai la felpa scucita, se domani me la lasci la faccio aggiustare da mia no-“

Ma non riuscii a terminare la frase che le sue braccia mi cinsero, attirandomi a lui.

“Grazie Nori-chin… per prima” lo sentii dire contro la mia spalla, la voce stranamente pacata e seria, così diversa dal tono esagitato ed euforico con cui dopo la finale aveva scherzato con Kuroo e Yaku, prima di lasciare la palestra e salutarli

“Sei stato tu a dirmi quanto sia importante dare tutto noi stessi, sempre e comunque. Io te l’ho solo ricordato” gli sussurrai, ripensando a quelle parole, che prima di incontrarlo avevo sempre ritenuto sterili e superficiali, ma che adesso sentivo sempre più vere e sincere, ed anche più mie

Lo sentii annuire e mi immaginai il sorriso che doveva avere stampato in viso, mentre affondavo e mi perdevo nel suo abbraccio.

 

*

 

L’ennesimo sibilo del vento contro i vetri della finestra fece rigirare Shikako nel letto, che, sbuffando contrariata, si allungò per afferrare la coperta caduta a terra, per poi stendersela addosso, nascondendosi in essa.

Le cuffie si stavano scaricando e cominciava ad avere anche un po’ di fame, ma c’era troppo freddo per prendere anche solo in considerazione l’idea di uscire dal bozzolo in cui si era avvolta.

Era una delle poche domeniche che passava finalmente a casa, dopo le partite e gli allenamenti intensivi che l’avevano occupata le scorse settimane, e aveva tutta l’intenzione di gustarsela.

Sua madre aveva organizzato una piccola riunione con le sue compagne del liceo e avrebbe fatto sicuramente tardi, mentre sua nonna era stata chiamata a fare da lettrice ad una competizione di karuta del quartiere e non sarebbe tornata prima di sera.

Aveva la casa tutta per sé, non poteva chiedere di meglio.

Se non fosse che quel giorno lei avesse già preso degli impegni.

Il telefono vibrò per l’ennesima volta, costringendola a mettere in pausa la musica e a rispondere.

“Hey, hey, hey, Nori-chin! Pronta per vedere i migliori aceri rossi di tutta Tokyo?” esclamò Bokuto con tono entusiasta, svegliandola del tutto

Avevano programmato quell’uscita da tanto, ma poi, tra il festival scolastico, i Nazionali, le qualificazioni per l’interhigh e i loro soliti impegni quotidiani, il tempo era volato e ora rimanevano solo pochi giorni per godere del foliage autunnale che aveva adornato e trasformato la capitale e i suoi colori, prima che l’inverno, ormai prossimo, sopraggiungesse. 

Nori adorava l’autunno: camminare sui tappeti di foglie secche che scricchiolavano sotto i suoi piedi; il chai latte alla cannella e la torta di zucca, che quando viveva in Canada erano la sua merenda preferita in quel periodo dell’anno; vestirsi e coprirsi con mille strati tra cappelli, maglioni e sciarpe soffici e colorate; ma soprattutto, adorava passeggiare con la sua macchina fotografica alla ricerca dei posti e delle vedute migliori per ammirare quella che in Giappone veniva chiamata momiji, la fioritura autunnale.

C’era solo una cosa che non amava di quella stagione, ed era il freddo.

E quel giorno tirava davvero un vento gelido, non proprio la situazione ideale per uscire secondo lei.

“Mmm veramente stavo pensando che, visto il tempo, non è proprio la giornata adatta…” cominciò a dire, cercando una scusa credibile per camuffare la sua solita pigrizia

“Eh? Ma non mettono pioggia, è solo un po’ nuvoloso!” le rispose lui sulla difensiva “Nelle ultime settimane farti uscire sta diventando un’impresa… sembri quasi un animale pronto per andare in letargo da quanto sei apatica ultimamente! Aspetta… l’ho detto giusto, vero?”

Lei si trattenne dallo scoppiare a ridere: adorava quando lo sentiva usare certi termini per lui inusuali.

“Sì, baka! Comunque non ci vedo niente di male a volersi riposare un po’… non possediamo tutti le tue inesauribili riserve di energia, sai?”

Ma lui non le rispose, e Nori riconobbe in quel silenzio la calma che precedeva sempre qualche sua strana proposta, scemenza o…

“Ho un’idea!!” urlò, facendola sussultare

“E sarebbe?”

“È una sorpresa! Ci vediamo tra poco! Non ti muovere da lì, mi raccomando!”

“Che vuoi dire? Kotaro aspetta!! Mi vuoi spiegare che hai in mente?!” provò a chiedergli, ma lui aveva già riattaccato

Si sdraiò sulla pila di cuscini che ingombrava il letto e socchiuse gli occhi, pregando che non ne combinasse una delle sue.

Non si rese conto di essersi assopita fino a quando il campanello all’ingresso non la svegliò, facendola alzare controvoglia.

Si infilò al volo una felpa sopra la t-shirt larga e gli shorts che le lasciavano le cosce scoperte, cosa che le fece venire in mente che forse era ora di tirare fuori il pigiama invernale, e ciabattò fino alla porta d’ingresso.

“Scommetto che ti eri addormentata!” le disse Bokuto, sfilandosi le scarpe ed entrando in casa

Nori lo guardò ancora scombussolata dal brusco risveglio, rabbrividendo per il freddo che si era portato dietro.

“Che cos’hai lì?” gli chiese poi, notando il sacchetto di carta che cercava malamente di nascondere dietro la schiena

Ma lui non le rispose, limitandosi a farle una linguaccia e dirigendosi poi verso camera sua, precedendola.

“Chiudi gli occhi e non aprirli finché non te lo dico io!” le fece promettere dopo che la vide entrare nella stanza e sedersi sul letto, senza smettere per un solo istante di guardarlo sospettosa

Lei alzò le spalle sbuffando, ma obbedì.

Si sforzò di non sbirciare anche quando cominciò a sentire degli strani rumori, come degli scricchiolii, e qualcosa che assomigliava a della carta che veniva strappata… o era forse dello scotch?

“Okay… ora puoi guardare!” esclamò lui, la voce emozionata, voltandosi ad osservarla

Quello che vide la lasciò per qualche secondo senza parole, incapace di muoversi, mentre i suoi occhi saettavano e si perdevano ad ammirare lo spazio intorno a lei, come incantati.

Kotaro aveva ricoperto le pareti della sua stanza di decine di foglie variopinte che, complice il tramonto sempre più in anticipo in quei pomeriggi quasi invernali, sembravano risplendere come piccole lingue di fuoco, grazie ai caldi raggi di sole che filtravano dalla finestra.

“Visto che non volevi uscire ho deciso di portare l’autunno da te!” le disse, sorridendo orgoglioso della reazione che aveva suscitato in lei, sedendosi al suo fianco

I colori divennero sempre più accesi con l’intensificarsi della luce che si riversava nella stanza, tanto che tutto sembrò tingersi momentaneamente di rosso, giallo ed arancione, e di tutte le loro mille ed infuocate sfumature.

Nori si lasciò scivolare sul letto per ammirare meglio quel gioco di luci e colori da cui non riusciva a staccare gli occhi, imitata da Bokuto, che con la sua solita grazia si sdraiò accanto a lei facendo tremare il materasso.

“Sei ghiacciata” le disse, sfiorandole le cosce mentre cercava la sua mano 

Lei sentì un brivido scuoterla e si avvicinò lentamente a lui, nel tentativo di afferrare quel calore che il suo corpo sembrava emanare costantemente. Appoggiò la testa nell’incavo della sua spalla, inspirando l’odore che ormai associava a lui, un misto di bagnoschiuma alla vaniglia, gel per capelli, profumo di bucato, e poi qualcosa di più intenso, che arrivava dalla pelle scoperta del collo e che l’attirava come una sorta di incantesimo.

“Vuoi infilarti sotto la mia felpa?” le chiese ridacchiando, notando la sua pelle d’oca

Nori ne afferrò i lembi, ma invece di infilarvisi sotto la sollevò, fino a che non riuscì a sfilargliela.

Sì accoccolò sul suo petto nudo, scosso da battiti sempre più irregolari, sentendolo bollente sotto le sue dita che, come mosse da fili invisibili, cominciarono a scivolare sulla sua pelle, tracciando disegni indefiniti, sfuggendo al suo controllo.

Avvertì le mani di Kotaro risvegliarsi e cingerle la schiena per avvicinarla maggiormente a sé, per poi risalire fino a incontrare il groviglio di capelli che le copriva la nuca, che sciolse, liberando le sue ciocche indomabili, con cui prese a giocherellare.

Nori alzò il viso, decisa a cercare i suoi occhi, che in quel momento le parvero come pozze profonde, di una sfumatura d’oro incandescente, in cui decide di abbandonarsi per qualche secondo, prima di venire rapita dalle sue labbra impazienti. 

Si perse in quel bacio, smarrendo la cognizione di tutto: del tempo, del luogo in cui si trovava, della felpa che Bokuto le stava sfilando, dei centimetri di pelle nuda e bollente che andavano aumentando, dei sospiri che tagliavano l’aria e che si mescolarono ai sussurri incomprensibili che scivolavano dalle loro bocche.

Prima di lasciar evaporare dalla sua mente annebbiata l’ultimo barlume di lucidità rimastole, e abbandonarsi completamente a quella frenesia famelica che sembrava ormai possederla, pensò ad una sola cosa soltanto, e cioè che in fondo il freddo non era poi così male se voleva dire potersi perdere nel calore e tra le pieghe del corpo del ragazzo chino in quel momento su di lei.

 

*

 

Fissavo lo schermo senza comprendere se le immagini che mi passavano davanti agli occhi fossero reali o frutto della mia immaginazione. Mi sentivo ancora scombussolata, come se mi fossi improvvisamente svegliata dopo un bel sogno.

Eppure era tutto vero, era successo davvero, come il mio corpo indolenzito e piacevolmente stanco poteva testimoniare.

Aumentai il volume del televisore per far sì che le voci e le musiche del film che avevamo messo potessero coprire i miei pensieri, che in quel momento non avevo la forza di affrontare.

Avvertivo l’irrequietezza di Kotaro seduto accanto a me, ma nonostante le sue occhiate furtive e le sue mani inquiete, che tormentava e con cui giocherellava, mi sforzai di ignorarlo, sentendo il mio corpo completamente paralizzato dall’imbarazzo che provavo.

Lo vidi finalmente farsi coraggio ed aprire bocca, voltandosi verso di me.

Ma in quel momento, come nel più classico dei film horror, la luce andò via, lasciandoci completamente al buio.

Sforzandomi di non urlare, gli afferrai di getto il polso per la paura, sentendolo sussultare al mio tocco.

“N-Nori-chan, m-mi hai spaventato!!” esclamò, la voce tesa e stridula

“Forse è solo un guasto momentaneo della via, proviamo ad aspettare che torni” suggerii, cercando di fargli coraggio, sapendo che era più terrorizzato di me

Restammo così per qualche minuto, le mani intrecciate, incapaci di proferire parola.

“Mmm ora che ci penso il primo giorno che ci siamo trasferite qui nonna mi ha mostrato uno sgabuzzino con il quadro elettrico vicino all’ingresso, forse dobbiamo semplicemente riattivare la corrente da lì…” mormorai, ricordandomi improvvisamente di quel particolare “Hai il cellulare? Io l’ho lasciato in camera” aggiunsi, voltandomi verso il suo profilo, nascosto dall’oscurità

Lui lo estrasse, attivando la torcia e puntandomela addosso.

“Su fammi luce ed accompagnami” gli dissi, alzandomi e tirandolo per la manica della felpa

“O-okay!” 

Quella situazione era diventata improvvisamente comica, pensai, mentre procedevo a piccoli passi con Bokuto incollato a me, il suo fiato a solleticarmi il collo: avevo capito che fosse un fifone dopo la nostra disavventura nella casa infestata al festival della cultura, ma non pensavo certo a questi livelli.

Finalmente arrivammo al ripostiglio, e dopo aver tirato su la leva dell’impianto elettrico la luce fortunatamente tornò.

Lo sentì sospirare drammaticamente e senza più riuscire a trattenermi oltre scoppiai a ridere, percependo la tensione accumulata fino ad allora svanire completamente.

“Ehi Nori-chin!! Non starai ridendo di me, vero?” disse lui, mettendo su un broncio esagerato

“Avevi una faccia terrorizzata troppo buffa!” confessai, tra una risata e l’altra

Lui mi guardò fingendosi offeso ma dopo qualche secondo si chinò su di me, sfiorandomi i fianchi.

Capii subito cosa aveva intenzione di fare.

“Ora ti faccio ridere io!” esclamò iniziando a farmi il solletico, uno dei miei punti deboli, facendomi tremare per le risa incontrollate

“Basta Kotaro, mi arrendo! Dai smettilaaa… o te la faccio pagare, baka!” gli urlai, sentendomi arrivata al mio limite di sopportazione

Lui finalmente si fermò, ghignando, per poi afferrarmi al volo quando vide le ginocchia cedermi e farmi perdere l’equilibrio.

Mi prese in braccio e sorridendo mi riportò in casa, mentre cercavo di riprendere fiato.

“Pensavo di averti fatta arrabbiare… di aver fatto qualcosa di sbagliato… prima” mi sussurrò con tono preoccupato, cosa che mi fece sentire inspiegabilmente in colpa

Effettivamente non gli avevo rivolto parola dopo quello che era successo, rimanendo nascosta nel suo abbraccio per assaporare e metabolizzare gli istanti appena trascorsi, staccandomi da lui solo per rivestirmi, finendo poi per proporgli di vedere un film per smorzare quella strana tensione che era scesa su di noi.

Ero felice e sentivo che i miei sentimenti per lui crescevano e diventavano più forti ogni giorno che passavamo insieme, ma avevo tenuto quei pensieri per me, facendolo così sprofondare in un vortice di paranoie e dubbi che conoscevo molto bene.

Così, misi da parte l’orgoglio e ogni possibile imbarazzo e glielo confessai.

“Tutto quello che fai e che hai fatto fino ad ora... mi rende felice, Kotaro. Sempre. Anche se non te lo dico ogni volta… capito?” gli dissi, sfiorando con la punta del naso l’incavo del suo collo, sentendo le guance surriscaldarsi

Lui si fermò di punto in bianco e chinando la testa verso di me mi strappò un bacio, senza smettere mai di sorridere.

 

*

 

“Nori? Sei a casa?” chiese Hiyori Shikako, togliendosi il cappotto, rabbrividendo infreddolita mentre si chiudeva la porta alle spalle

Si massaggiò le gambe stanche per la giornata passata in piedi e poi si diresse sbadigliando verso il salotto, intuendo dai rumori della tv accesa che la nipote stesse guardando un film come era solita fare spesso a quell’ora.

Lanciò uno sguardo distratto, la mente rapita dal pensiero della cena da preparare, ma quello che intravide la fece fermare e tornare sui suoi passi.

Il kotatsu era stato spostato dal centro della stanza e al suo posto si ergeva uno strano e instabile fortino fatto di cuscini e coperte.

“Nori?”

La diretta interessata sbucò da sotto quella bizzarra costruzione, in viso un’espressione imbarazzata e sorpresa, la stessa che sua nonna le aveva spesso visto fare da piccola, quando tornando a casa scopriva che aveva finito per divorare tutta la confezione di gelato comprata da poco.

“Buonasera obaasan!” disse Bokuto spuntando a sua volta, facendola sussultare

“Oh, Bokuto-kun, non ti avevo visto! Nori, potevi dirmelo che veniva, non ho cucinato nulla per stasera!” brontolò, guardando male la nipote, per poi fiondarsi con aria trafelata in direzione dei fornelli

Shikako la seguì con lo sguardo, scuotendo la testa, pensando che stesse esagerando come al solito, voltandosi poi quando si sentì tirare per la manica da Kotaro, che la guardava con occhi imploranti.

Sapeva cosa voleva dire quella sua muta richiesta.

“Va bene, puoi andare a darle una mano!” gli disse, sbuffando esasperata da questa nuova abitudine che aveva preso di recente

Lui si alzò di scatto, e dopo averlo schioccato un veloce bacio sulla fronte, saltellò in direzione della cucina chiamando a gran voce Hiyori.

Nori cercò di tornare a concentrarsi sullo schermo di fronte a lei, mentre in sottofondo sentiva Bokuto e sua nonna ridere e andare d’amore e d’accordo. Non sapeva perché, ma Kotaro a sua nonna piaceva molto: le chiedeva sempre di lui e a volte arrivava anche a darle qualche porzione di cibo più generosa nel bento, sapendo che pranzavano quasi sempre assieme. Quando glielo aveva chiesto le aveva risposto che dopo tutti quegli anni sentiva la mancanza di un uomo in casa e che lei e suo nonno Shota avevano sempre desiderato un nipote, e per questo avevano più volte pregato sua madre Midori di regalarle un fratellino.

Alla fine si decise a mettere in pausa il film e con un sospiro si alzò in piedi, trascinandosi spazientita verso la cucina: non sapeva come ma quei due erano capaci di farle apparire divertente anche cucinare, pensò, sorridendo e aumentando il passo per raggiungerli.

 

*

 

“Bene, con oggi concludiamo il capitolo dedicato alla vita e alle imprese di Toyotomi Hideoshi, chiudendo così la parte del programma dedicata ai tre unificatori dell’era Sengoku” disse Matsumoto-sensei, alzando gli occhi dal libro di testo e guardando i suoi alunni “Mi aspetto che integriate questi appunti al resto del materiale delle ultime settimane e che cominciate seriamente a studiare… gli esami di fine trimestre sono sempre più vicini!” esclamò con tono fintamente minaccioso, a cui la classe rispose con un coro di lamenti e mormorii

La campanella finalmente si decise a suonare, e gli studenti si alzarono dai banchi sospirando di sollievo per quell’agognata pausa che sembrava non arrivare più.

“Metterci ansia ormai è diventato il suo passatempo preferito!” commentò Ume-chan, voltandosi verso Nori 

“Già…” le rispose lei, scrutando pensierosa le note prese a lezione, immaginandosi già i pomeriggi di studio che l’attendevano fino al prossimo mese

Sospirò sconsolata, appoggiando la testa sui libri, alzando lo sguardo solo per lanciare un’occhiata fugace in direzione del banco di Akaashi, dove lo vide chino su un volume che non sembrava per nulla scolastico.

“Ah! Vedo che hai preso l’ultimo numero di Shonen Jump! Io devo ancora leggerlo!” esclamò, arrivandogli alle spalle e facendolo sussultare

“Nori-san! Se vuoi dopo te lo presto” le disse, ormai abituato a quella loro consuetudine

“Grazie mille! Oh, a proposito, questo weekend a Roppongi Hills inaugurano la mostra dedicata alle nuove serie uscite quest’anno e pensavo proprio di farci un salto… ti va di andare assieme?”

“Va bene, possiamo metterci d’accor-“ le rispose Keiji, per poi fermarsi improvvisamente, sentendosi osservato

Nori seguì il suo sguardo, accorgendosi così di Bokuto, che dalla soglia dell’aula li spiava in modo molto poco furtivo

“Non c’è bisogno che ti nascondi, ti abbiamo visto” disse lei, facendolo uscire allo scoperto

“Ho sentito che stavate parlando di manga e non volevo disturbarvi…” borbottò lui, strascicando i piedi e raggiungendoli

“Veramente stavamo discutendo di una nuova mostra di Shonen Jump a cui vorremmo andare…” gli spiegò Akaashi

“…se vuoi puoi venire anche tu” aggiunse Nori, notando i suoi occhi brillare all’idea di accompagnarli “Allora se non ci sono obiezioni prendo i biglietti per domenica, sabato ho già promesso a nonna di accompagnarla a fare alcune commissioni” continuò poi, con fare pratico

“Per me va bene” rispose Keiji

“Aspetta! Intendi proprio questa domenica?! Dovevamo andare a Disneyland, ricordi? Mi avevi detto che saresti venuta quando avrebbero messo le luci di Natale, e l’accensione è proprio questo weekend! Ci sarà anche una nuova parata, non possiamo perdercela!!” esclamò Bokuto con tono melodrammatico

Nori lo guardò boccheggiando: si era completamente dimenticata di averglielo promesso.

Non poteva tirarsi indietro, non con quei suoi due occhi da gufo spalancati su di lei, non con quell’espressione implorante e ferita con cui la stava supplicando.

“Va bene, vorrà dire che prima andremo alla mostra e poi a Disneyland!” disse infine, pensando già ai giorni di fuoco che l’aspettavano quel fine settimana e alle ore di sonno e nullafacenza che vedeva ormai andare in fumo

Kotaro si lasciò andare ad un’esclamazione di gioia che fece voltare tutti gli studenti, nonostante fossero ormai abituati alla sua presenza, che lo videro alzare i pugni in aria e ridere sguaiatamente.

Shikako lo guardò scuotendo la testa, sorridendo divertita da quella sua rumorosa ma genuina reazione. Akaashi sospirò, tentando di far calmare Kotaro, senza successo ovviamente.

“Possiamo prendere la metro per raggiungere il Parco, sia la Hibiya che la Keiyo line…” mormorò con aria assorta Nori, scorrendo lo schermo del cellulare

Keiji si voltò verso di lei, osservandola con attenzione: era davvero cambiata da quando l’aveva conosciuta, la Nori di qualche mese fa non sarebbe mai stata così propositiva e accondiscendente, mentre la ragazza che gli stava ora davanti era ormai una persona capace di afferrare le occasioni che le si presentavano dinanzi, di disegnare il proprio destino, seguendo le proprie passioni, senza più alcun timore o dubbio a frenarla.

Ed era convinto che Bokuto centrasse qualcosa in questo cambiamento, che l’avesse in qualche modo ispirata e indirizzata, senza rendersene conto.

Come aveva fatto con lui, e come continuava a fare con tutte le persone che incontrava sulla sua strada.

 

*

 

Strinsi a me il sacchetto di carta carico di stampe e tankobon nuovi di zecca mentre la metro raggiungeva con un piccolo sussulto la stazione di Maihama, la nostra fermata.

Ci accodammo alla folla di gruppi e coppie come noi diretti verso l’ingresso principale del parco divertimenti, di cui cominciammo a scorgere in lontananza l’immenso palazzo in stile vittoriano da cui saremmo entrati, e, poco più avanti, i profili colorati e sognanti delle attrazioni e degli edifici.

Lanciai uno sguardo a Bokuto che davanti a me saltellava e strepitava per arrivare, peggio dei bambini che lo circondavano, e ad Akaashi, al suo fianco, che lo osservava arreso ma allo stesso tempo felice di vederlo così contento ed eccitato. 

E pensare che neanche un’ora fa aveva provato a lasciarci soli con una scusa inventata sul momento, come se fossi così masochista da voler passare le ore successive a fare da sola da baby-sitter a Kotaro in giro per Disneyland!

“Akaaashiiii, Noriii-chaan! Si vede il castello! Andiamo sulle Splash Mountains? Oh, ma quello è davvero Topolino!?” lo sentimmo esclamare, mentre si dirigeva a tutta velocità verso una piccola folla di bambini

Ecco, lo avevamo perso.

Due ore, sette attrazioni, tre waffles, e centinaia di foto dopo eravamo finalmente pronti per vedere la famosa parata natalizia, pigiati tra la folla in attesa delle accensioni delle luci che di lì a poco avrebbero illuminato a festa il castello e la via principale, per poi raggiungere tutte le zone del Parco.

Mi raddrizzai le orecchie da Minnie che Kotaro mi aveva costretto a indossare, per essere così coordinata a quelle di Topolino che aveva preso per lui e Akaashi, e sbadigliando stanca aprì la tracolla per prendere la mirrorless.

Con un tuffo al cuore mi accorsi che non c’era, e presa subito dal panico cominciai a ripercorrere mentalmente tutto il tragitto fatto fino a quel momento per capire dove potessi averla lasciata.

“Nori-san, tutto bene?” chiese Akaashi, seduto accanto a me, vedendomi interdetta

“Non trovo la macchina fotografica! L’unico posto in cui ci siamo fermati è lo stand di waffles vicino Main Street, forse devo averla appoggiata da qualche parte quando ho tirato fuori il portamonete…” dissi, pregando con tutta me stessa di non sbagliarmi “Faccio un salto veloce per vedere se è ancora lì, torno subito!” gli urlai mentre mi facevo largo tra le famiglie e le coppie accalcate attorno a noi

Corsi tra la folla cercando di ripetere lo stesso percorso di prima, fino a quando individuai il chioschetto dove ci eravamo fermati a fare merenda. La ragazza dietro il bancone fu molto gentile e disponibile e mi disse che aveva portato la mia mirrorless all’ufficio oggetti smarriti, che si trovava proprio vicino all’ingresso del Parco.

Seguii le sue indicazioni, non trovando fortunatamente fila, e dopo qualche minuto la mia amata fotocamera tornò finalmente tra le mie mani.

Uscii dall’edificio sentendo tre chili in meno di ansia pesarmi sullo stomaco, accorgendomi solo allora che nel frattempo si era fatto buio, e file e file di luci colorate ricoprivano ora ogni centimetro e via del Parco, trasformando l’aspetto di ogni attrazione e negozio. Tirai fuori il cellulare per scrivere a Bokuto e Akaashi ma mi accorsi che si era spento, forse il gps aveva dato il colpo di grazia alla batteria, indebolita dopo anni di utilizzo. Sospirai, cercando di non farmi prendere dal panico, e decisi di seguire a ritroso la strada fino al castello, dove magari li avrei trovati ancora.

Ma ai miei occhi la piantina che avevo memorizzato quel pomeriggio appariva completamente diversa ora, in quel miscuglio di oscurità e colori accecanti, e dopo qualche minuto di giri in tondo dovetti ammettere a me stessa di essermi davvero persa.

Il pensiero di essere da sola e senza alcuna possibilità di chiamare qualcuno mi fece sudare freddo, mentre una sensazione che non provavo da tanto, ma comunque familiare, mi mozzò il respiro, facendomi perdere per qualche secondo l’equilibrio. 

Mi appoggiai ad un lampione, cercando di tranquillizzarmi, sentendo la mente sempre più succube di quel senso di panico che aveva lentamente preso possesso del mio corpo, centimetro dopo centimetro, immobilizzandomi in una morsa fatta di palpitazioni, calore e sudore.

Erano anni che non vivevo un episodio simile.

L’ultima volta che avevo avuto un attacco di panico risaliva al mio ultimo ingresso in campo, alla mia ultima partita, la goccia che aveva fatto traboccare un vaso colmo da troppo, troppo tempo.

Ma non fu quello il ricordo a venirmi in mente in quel momento, no, ciò che mi tornò davanti agli occhi fu un pomeriggio di dieci anni fa, quando per la prima volta sperimentai sulla mia pelle questa subdola e orribile reazione.

Era una sera d’estate piuttosto ventosa, i miei genitori mi avevano portato ad un concerto durante il festival estivo che ogni anno si teneva a Victoria, presso la Galleria Bateman.

Ricordo che le sale del museo erano affollate e che dopo l’esibizione, mentre i miei si erano fermati a parlare con una coppia di amici, mi ero allontanata, attratta dai colori di un quadro che sembravano quasi chiamarmi dall’altro lato della sala.

Non so bene cosa successe ma finii per perdermi e per lo spavento mi misi a correre fino a quando non imboccai l’uscita di sicurezza, trovandomi così a pochi metri dalle acque dell’oceano, su cui si affacciava l’edificio. 

E lì, immersa nell’oscurità di quella notte senza luna, con uno specchio nero e profondo a osservarmi, lontana dai miei genitori, e incapace di orientarmi in quel luogo a me sconosciuto, lì sperimentai il mio primo, bruttissimo, attacco di panico.

Negli anni avevo imparato a convivere con la mia ansia, e con queste sensazioni così forti e frastornanti, ma anche se sentivo di essere cresciuta e di essere ora più forte, quella sera mi resi conto che a volte anche i muri più alti e all’apparenza più solidi possono nascondere spiragli nascosti, da cui può insinuarsi ancora la paura.

Scossi la testa per scacciare quei pensieri: non ero più la stessa persona di un anno fa, quella ragazza che aveva chiuso in un cassetto tutte le sue insicurezze e paure insieme alle proprie speranze e ambizioni, perché non aveva la forza di affrontare le prime, né il coraggio di interrogarsi sulle seconde.

Ora possedevo qualcosa in più, qualcosa che quando giocavo a pallavolo non avevo, e su cui ora, che quel cassetto ero riuscita ad aprirlo e porvi ordine, potevo contare.

Ed era la consapevolezza: di me stessa, di quello che volevo fare e diventare, di chi ero, di cosa mi mancava e di quali invece erano i miei punti di forza; ma soprattutto, era la certezza di sapere che il buio è solo ciò che ci permette di individuare la luce, l’oscurità solo ciò che consente al sole di splendere così tanto, fino ad abbagliarci.

E fu allora che riuscii a regolarizzare il mio respiro, che sentii il battito arrestare la sua accelerata.

E quando una testa è libera da pensieri e distrazioni vede le cose con lucidità, con chiarezza.

Sapevo cosa fare, e così mi mossi, dirigendomi verso l’unico posto dove avesse senso andare in quel momento.

“Siete i suoi genitori? Avete perso una bambina di nome Nori-chan, ho capito bene?”

“Esatto! Ha i capelli lunghi e soffici, gli occhi color miele, le orecchie di Minni rosa e-“

“Bokuto-san! Dobbiamo dirgli che non è una bambina che stiamo cercando!”

Sorrisi nel vedere quella scenetta, soprattutto nel constatare lo stato pietoso in cui sguazzava Kotaro, la faccia accartocciata in un’espressione di terrore mista a panico, le mani artigliate al povero braccio di Keiji, che cercava di calmarlo e allo stesso tempo di rispondere all’addetta al banco informazioni che li guardava interrogativa.

“Ehi, sono qui bak-“ 

Ma non riuscì a terminare quella frase che sentii due braccia serrarsi attorno a me, mentre la mia visuale veniva coperta dalla maglietta umida di Bokuto.

“Nooooriiiiii-chaaaan!!!” ululò, facendomi sussultare e stringendomi ancora di più a sé, togliendomi così ogni possibilità di movimento “Ti abbiamo cercata ovunque… ero così preoccupato!!”

“Mi dispiace, non volevo farvi stare in ansia, ma avevo il telefono scarico e ad un certo punto mi sono pure persa…” ammisi, sentendolo tirare su col naso, per poi staccarsi da me e guardarmi negli occhi

E solo allora lessi la stessa apprensione che anni fa avevo intravisto sui volti dei miei genitori, quando dopo un’ora mi avevano finalmente ritrovata mentre piangevo e vagavo per il porto.

In quello sguardo scorsi qualcosa che non avevo mai associato a Kotaro, ed era la paura. 

Mi sentii una sciocca per aver giudicato con tanta leggerezza la sua emotività, lui che più di tutti aveva saputo offrirmi un sostegno, lui che mi aveva guidato nel comprendere i fantasmi che mi portavo dietro, ispirandomi nell’imboccare la strada su cui ora mi trovavo.

Dietro quella spavalderia e cieca fiducia in sé stesso, dietro quel sorriso capace di spazzare via ogni incertezza, dietro quel muro possente e smisurato, c’era altro. 

C’erano degli spiragli.

Vedere sempre il lato positivo, capire che qualcosa non è impossibile ma solo difficile, sono lezioni che può dare solo chi si è trovato faccia a faccia con le proprie debolezze e ha deciso di accettarle.

Mi resi conto che Kotaro non era tanto diverso da me, e che la sua forza, che tanto gli ammiravo, nasceva dall’esperienza, da delle lezioni di vita che aveva vissuto sulla sua pelle, e che lo avevano reso il ragazzo che ora mi guardava con occhi spalancati e allarmati, velati di ansia.

Occhi che volevo solo rassicurare.

“Ora che ti ho trovato non ho intenzione di lasciarti andare, ok?” gli dissi, sorridendogli e stringendo le sue mani, cercando di imprimere in quella frase un significato che andasse ben oltre la circostanza in cui ci trovavamo

Lo vidi sciogliersi, ogni traccia di tensione scivolare lentamente via di fronte alla sicurezza che trapelava dalle mie parole, mentre il viso si rilassava in un ghigno soddisfatto e leggermente sorpreso.

È vero, ogni muro ha degli spiragli, ma sta a noi decidere se utilizzare quelle fessure per lasciar entrare la luce o altra oscurità, altra paura.

E io come lui avevo fatto la mia scelta, pensai, lasciandomi guidare dalla sua stretta su quelle strade che non mi sembravano più tanto ostili ora che sapevo dove andare.

“Mi raccomando, non lasciare mai la mia mano, Nori-chin! Anche se devi andare in bagno o…”

“Bokuto-san, non starai esagerando?”

“Certo che no, Akaashii!! Non possiamo più correre rischi, vero Nori-tan?”
 “Va beneee!” 

Gli risposi con una smorfia fintamente esasperata, assecondandolo divertita, sollevata nel vederlo tornare ai toni leggeri e ai modi spensierati a cui ormai ero abituata.

E mentre ero circondata dai suoni ovattati e dai colori, ora pastello ora vivaci, di quell’atmosfera tanto surreale, pensai a come ogni giorno dal mio ingresso nella palestra della Fukurodani avessi scoperto e compreso sempre più parti di me stessa, tasselli che incastravo e facevo combaciare fino a comporre il disegno che pian piano prendeva vita nella mia mente, e che ormai non includeva più soltanto me.

 

 

 

 

- - -
 
N O T E
 

Ciao a tutti!

Perdonate questa super pausa estiva ma ci voleva davvero!

Volevo aggiornare da tanto, troppo, tempo e anche se i restanti capitoli sono già scritti c’è qualcosa che come sempre mi blocca e mi porta a procrastinare, ovvero la fase di rilettura e betaggio. Ecco, sappiate che io odio con tutta me stessa rileggere/correggere quello che scrivo sin dai tempi della scuola quando insistevo con i professori per voler consegnare il mio tema/versione con largo anticipo. Si vede che sono del Leone XD Il problema è che per quanto rileggo trovo sempre dei micro errorini e questo mi da sui nervi ahahah soprattutto quando magari pubblico il capitolo e rileggendolo ormai online mi accorgo di alcune cosine che APRITI CIELO XD

Ma chiudiamo questa digressione, spero che il capitolo vi sia piaciuto, come sempre è bello corposo! Dopo il primo bacio passiamo ad un altro tipo di prima volta che, lasciatemi dire, è stata qualcosa di molto delicato e difficile da immaginare, visto che non sono pratica nello scrivere certe scene (per ora!). Il mio obiettivo era appunto quello di creare qualcosa di unico e delicato, un po’ diverso dal solito, fatemi sapere che ve ne pare. Per creare l’atmosfera mi hanno aiutato molto due delle canzoni soundtrack del capitolo: “Stay Right Where You Are” di Ingrid Michaelson e “Hostage” di Billie Eilish, ve le consiglio di cuore se non le conoscete.

In questo capitolo tocchiamo anche temi che sento molto vicini, e per questo ci sono particolarmente affezionata. Questa storia mi ha davvero aiutata ad esternare tanti pensieri consolidati nel tempo, e il POV di Nori mi è infatti servito tantissimo.

Non vedo l’ora di accompagnarvi verso i prossimi sviluppi e, visto che l’ultima volta vi era piaciuto tanto, vi do le tre parole chiave del prossimo capitolo: algebra – pigiama – mandarino

Ah, ultimissima precisazione e poi chiudo: se notate che mancano dei punti alla fine delle frasi del discorso diretto, o subito dopo, è una mia scelta stilistica, so benissimo che è sbagliato ma non sono una fan della punteggiatura puntigliosa nel discorso diretto, perdonate questa mia fisima XD

Un abbraccio e alla prossima,

Mel

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Capitolo 10
*** Dicembre ***


D I C E M B R E

師走

 

 tracks n°49-50-51  
chapter pic

Nori 1 ; 2 ; 3


Mancavano pochi minuti alla fine della pausa pranzo: il vociare nei corridoi dell’Accademia Fukurodani si intensificò, mentre frotte di studenti cominciarono a riversarsi nelle rispettive aule, dove si respirava la tensione e lo stress del periodo degli esami, a cui si mescolava anche una punta di eccitazione per le ormai sempre più vicine vacanze invernali.

“Nooo, non ci credo che mi hai battuta!!” esclamò Ume, fissando con sgomento lo schermo del telefono che teneva in mano, per poi sollevare lo sguardo sulla sua avversaria, che sorrideva soddisfatta di fronte a lei

“Credimi, non ho fatto nulla di diverso dal solito! Di solito faccio pena nelle corse multiplayer!” si giustificò Nori, finendo con un sorso il brick di latte avanzato dal pranzo

“Mmm, allora forse oggi è il tuo giorno fortunato! Sicuramente il test di algebra di stamattina ti deve essere andato bene!”

“Magari… spero almeno nella sufficienza, era la materia che più temevo tra tutte…” 

“Fossi in te non mi lamenterei! Negli esami dello scorso semestre non te le sei mica cavata male, no? E poi hai la fortuna di saper parlare l’inglese così bene! Che invidia!!” strepitò Kaneko, affondando la mano nel pacchetto di caramelle gommose riverso sul banco su cui erano appoggiate

In quel momento la porta dell’aula si aprì e un gruppetto di ragazze entrò nella stanza parlottando tra loro, solo una di loro ad un certo punto si staccò, come se avesse appena ricordato qualcosa di importante.

“Shikako-san! Ti ho riportato gli appunti di inglese che mi hai prestato l’altro ieri! Sono stati utilissimi, spero di poter fare del mio meglio nel test di domani!” disse Arimi, avvicinandosi a Nori e Ume

“Figurati, mi fa piacere che ti siano stati d’aiuto. Se sei riuscita a studiare tutto il programma sono sicura che non avrai problemi” le rispose lei, ricambiando il sorriso

“Eh?! Non è che li presteresti anche a me?” le chiese Ume guardandola con occhi adoranti non appena furono di nuovo sole

“Certo, tanto l’esame di inglese è proprio l’ultimo dei miei pensieri…” disse, allungandole il quaderno

“Beata te! A proposito, come mai oggi Bokuto-san non è venuto a trovarti come al solito? Anzi è da un po’ che non si fa vedere ora che ci penso…”

“Quello scemo si è ridotto come sempre a studiare tutto all’ultimo minuto, così Akaashi ha deciso di bloccarlo per tutte le pause pranzo per fargli una sorta di ripasso accelerato visto che non ne vuole sapere di sacrificare gli allenamenti” le spiegò Nori, scuotendo la testa “E questo pomeriggio sono finalmente riuscita a convincerlo a non andare in palestra e a ripassare con me matematica, il suo tallone d’Achille, visto che sono fresca dal test di oggi”

“Ooooh! Andrai a casa sua?” le domandò, guardandola con occhi sognanti

“Sì, i suoi si sono trasferiti a Chiba per qualche mese visto che sua sorella maggiore è entrata nell’ultimo trimestre di gravidanza”

“Oh! Quindi sarete soli soletti, eh?” la stuzzicò, facendola arrossire 

“Non farti strane idee, devo assolutamente farlo mettere sotto con l’algebra o rischia l’ennesima insufficienza!” strepitò Nori, cercando di scacciare gli sporchi pensieri che trapelavano dallo sguardo malizioso dell’amica

“Uhm, stai attenta che non sia lui a mettere sotto te…”

“UME-CHAN!” 

Nori si sporse in avanti per zittirla, sentendo le guance bollenti, finendo però per far scoppiare a ridere l’amica, che continuò a punzecchiarla fino a quando non sentirono il suono della campanella raggiungerle e richiamare la classe all’ordine.

 

*

 

Fissai i quaderni disposti sul tavolo, lanciando poi un’occhiata di sfuggita all’orologio sopra il letto.

Le prime ore erano praticamente volate e Bokuto si era dimostrato più attento e disciplinato di quanto mi aspettassi, forse Akaashi e Yukie esageravano nel dire che era un caso perso.

Lo guardai scribacchiare con espressione concentrata, le folte sopracciglia tese e corrucciate, gli occhi rapiti dal movimento frenetico della sua mano sulla pagina.

“Finito!” esclamò, porgendomi il foglio che teneva in mano, sorridendo con aria soddisfatta

Lo scorsi tutto d’un fiato, sentendo il mio ottimismo scemare sempre più, riga dopo riga.

“K-Kotaro… perché ti sei bloccato a metà espressione? E perché hai invertito l’ordine delle parentesi? Te l’ho spiegato mezz’ora fa! E… oddio sono palloni Mikasa questi che hai disegnato qui sotto?” esclamai scioccata mentre cercavo di decifrare la sua scrittura, sentendo tutto l’impegno speso quel pomeriggio andare completamente in fumo

“Ma Nori-chin, non riuscivo più ad andare avanti! Così ho deciso di pensare ad altro ed aspettare che mi venisse in mente quello che mi avevi insegnato!” mi rispose candidamente “E poi lo dice anche il coach che se qualcosa non ti viene durante gli allenamenti può riuscirti bene durante la partita!”

“Ma non stiamo parlando di pallavolo, baka!” gli dissi, guardandolo esasperata “Non lo capisci che se non finiamo questa parte del programma non riusciremo ad arrivare all’argomento dell’esame di domani??”

Lui mi guardò finalmente preoccupato, allarmato dal tono agitato della mia voce.

“Oddio non ce la farò mai, vero? Sono un disastro totale e domani fallirò sicuramente il test! Neanche con gli appunti di Kuroo e con il tuo aiuto sono riuscito a capirci qualcosa!” mugolò, l’espressone tronfia di prima improvvisamente mutata in una maschera di teatrale disperazione e abbattimento

Ecco. Ci mancava solo questa.

“Non ti buttare giù così! Non puoi assolutamente permetterti di essere bocc-, ehm, di perdere!” 

Forse c’era un modo per convincerlo ad impegnarsi.

“Pensa all’esame di domani come all’ultimo muro da abbattere per poter raggiungere il torneo primaverile! Ogni equazione giusta è una palla colpita correttamente, dentro la linea. Immagina l’espressione della squadra quando gli dirai che contro ogni previsione sei riuscito a prendere la sufficienza! Guarderanno a te come ad un asso fuori e dentro al campo!” gli spiegai con tono concitato, cercando di risultare convincente e imprimendo in quelle parole gli ultimi residui di pazienza e speranza rimasti 

Lui mi guardò a bocca aperta, sinceramente colpito dall’immagine che avevo evocato nella sua mente, gli occhi rapiti da quell’epilogo vittorioso e trionfante che ora sentiva di volere a tutti i costi.

“Hey, hey, heyyy! Ce la posso fare, ce la devo fare! Forza Nori-chan, alzami tutti gli esercizi che vuoi!” 

Alzami?” ripetei, trattenendo una risata, ma afferrando al volo quella preziosa occasione per sfruttare la sua rinnovata concentrazione e fiducia in sé stesso

Due ore, cinque pause e tre pacchetti di Pocky dopo mi lasciai scivolare sul tappeto, stremata ma finalmente rincuorata nel vedere dei miglioramenti: ero riuscita a fargli risolvere tutti gli esercizi di esempio del libro di testo e ora dovevo solo fargli completare un ultimo mini-test riassuntivo per vedere se aveva davvero capito tutto.

Mi tirai su, prendendo un respiro profondo, pronta per quell’ultimo round.

“Nori-chin, ti sono cresciuti un sacco i capelli da questa estate!” disse Bokuto, allungandosi stancamente sul tavolo che ci separava per sfiorare le ciocche che mi ricadevano sul petto

“Kotaro torna a concentrarti” lo ammonì, afferrando la sua mano al volo e riportandola sul quaderno

“Ma ho finito! Per davvero questa volta!” si difese lui con tono innocente

Gli sfilai il foglio di mano e lo scorsi, aggrottando le sopracciglia e aguzzando la vista alla ricerca del minimo errore, la penna rossa stretta in mano, pronta per essere usata.

“Hai davvero delle ciglia lunghe, sai? Proprio come quelle di Akaashi…” sussurrò, facendomi voltare e notare così la distanza che aveva cancellato mentre non lo stavo guardando 

“Allora? Ce l’ho fatta? Ho vinto??” mi chiese dopo qualche minuto con occhi trepidanti, in attesa del mio verdetto finale 

“Mmm c’è ancora qualche passaggio sbagliato… ma sicuramente hai oltrepassato il livello per la sufficienza” gli riferii, facendolo esultare “Ehi questo non vuol dire che domani sarà una passeggiata! Gli esercizi che ti ho fatto fare era piuttosto basilari in fondo…”

Ma non mi stava minimamente ascoltando, troppo preso dalla bella notizia che gli avevo dato.

“Ehi Nori-chan, visto che sono stato bravo mi merito un premio, giusto?” mi chiese ad un certo punto, guardandomi con aria divertita, come se stesse architettando qualcosa

Lo vidi avvicinarsi pericolosamente, bloccandomi con una mano il polso libero, il suo viso sempre più vicino, fino a che sentii il suo respiro solleticarmi le guance.

Feci appena in tempo a far scivolare il foglio che tenevo in mano tra le nostre labbra, placcando così il suo maldestro tentativo di baciarmi, cosa che lo prese in contropiede e mi diede il tempo di svincolarmi dalla sua presa.

“V-visto che non è ancora così tardi posso aiutarti a ripassare per l’esame di inglese… non mi avevi detto che era dopo domani?” gli chiesi, tentando di regolarizzare il mio respiro e nascondere il mio imbarazzo

Lui si voltò a guardarmi frastornato, con l’aria di chi aveva appena ricevuto una bella botta in testa.

“Oya? Ho un test di inglese?” mi rispose dopo qualche istante, con aria sinceramente sorpresa

“Vuoi dirmi che non hai minimamente aperto i libri? Ti ricordi almeno gli argomenti del programma del terzo anno?” gli domandai, sentendomi sempre più in ansia per lui

“Mmm no, sinceramente non penso di avere neanche preso appunti nelle ultime settimane… ogni volta che sentivo Furoba-sensei fare i dettati finivo sempre per addormentarmi!” ammise ridacchiando

Scossi la testa, inspirando a fondo: proprio non capivo come facesse a essere tanto tranquillo!

“Nori-tan non ti preoccupare per me! Me la sono sempre cavata no? E poi così ho la scusa per chiederti di aiutarmi a studiare anche domani, non sei contenta?”

Lo guardai con aria sconfitta, non sapendo più che altro aggiungere, mentre le parole di avvertimento di Akaashi rimbombavano nella mia mente, come anche il “Te lo avevo detto” con cui Yukie mi avrebbe accolto quando le avrei raccontato tutto.

“Sono stanchissimo e sto morendo di fame! Vado a farmi un bagno intanto!” esclamò alzandosi e dirigendosi con aria pimpante verso la porta, mentre io ne approfittavo per lasciarmi scivolare sui cuscini sparsi sul pavimento, sospirando stremata

“Vuoi venire anche tu?” mi chiese tornando sui suoi passi, senza la minima traccia di malizia nella sua voce, come se mi stesse proponendo la cosa più naturale del mondo

Mi voltai verso di lui, giusto il tempo per prendere la mira e centrarlo con un cuscino mentre lo vedevo scattare per mancarlo.

Alla fine convenni che il pavimento era troppo scomodo per la mia povera schiena e decisi di mettermi sul suo letto, nonostante mi sentissi un po’ a disagio nel farlo.

Eppure l’ultima volta che ero stata nel mio con Bokuto accanto la cosa non mi aveva minimamente imbarazzato, ammisi a me stessa, ripensando a come nelle ultime settimane avevamo finito per cancellare sempre più ogni possibile confine personale, scoprendoci come per la prima volta ma da un punto di vista diverso. Avvertii le guance surriscaldarsi e afferrai il primo cuscino sottomano per coprire lo stupido sorriso che mi era spuntato in viso.

“Nori-chaaan!” lo sentii urlare dal bagno “Metti un po’ di musica?”

“Eh?” esclamai rotolando giù dal letto, e avvicinandomi per capire cosa volesse dire

“Ho lasciato il cellulare vicino all’astuccio, le casse bluetooth sono sul comodino… Graaaziee!”

Feci come mi aveva chiesto, pensando a come non riuscisse a stare calmo neanche durante un bagno caldo, e mi ritrovai a scorrere la sua libreria musicale.

Conoscevo gran parte dei gruppi j-rock che seguiva, GRANRODEO, Burnout Syndromes, SPYAIR, come anche molte hit di alcune delle idol più famose degli ultimi anni, ma a stupirmi fu il vedere spuntare tra le playlist anche alcuni singoli dei Black Eyed Peas, Maroon 5 e Green Day, insieme ad altri titoli pop e rap piuttosto trash che mi fecero scoppiare a ridere mentre schiacciavo play su Yellow dei Coldplay e optavo per qualcosa di più tranquillo e a me familiare.

Sorrisi pensando che probabilmente Kotaro non conosceva neanche metà della traduzione di quelle canzoni, certa del fatto che doveva esserci lo zampino di Kuroo e Konoha dietro quella strana influenza musicale.

Chiusi gli occhi e per qualche istante mi sembrò di tornare ai miei anni delle scuole medie e alle lunghe passeggiate dopo le lezioni, gli unici momenti in cui ero libera dagli allenamenti di pallavolo e dallo studio, che passavo con le cuffie incollate alle orecchie, il volume al massimo, per cercare di cancellare ogni pensiero e perdermi nelle note che mi rimbombavano in testa.

Li riaprii quando sentii che la musica era finita, accorgendomi solo allora della presenza di Kotaro, che, avvolto solo da un misero asciugamano dalla vita in giù, si tamponava i capelli bagnati, lanciando goccioline in giro.

Boccheggiai guardandolo gironzolare tranquillamente mezzo nudo per la stanza, aprendo i cassetti e lanciando vestiti in aria con assoluta nonchalance.

Cercai quindi di concentrarmi sui suoi capelli per evitare che lo sguardo potesse scendere oltre, sforzandomi di non dare peso a quella stupida sensazione che mi faceva rabbrividire e accaldare allo stesso tempo. 

“S-se non li asciughi al più presto ti prenderai un raffreddore” gli dissi, alzandomi per prendere l’asciugamano che aveva abbandonato sul letto, per poi tentare di tamponargli le punte ancora traboccanti d’acqua

Lui chinò la testa per facilitarmi le cose, lasciandosi accarezzare e massaggiare la cute, sorridendo compiaciuto.

“Perché non provi per una volta a non mettere tutto quel gel che usi sempre?” gli sussurrai

“Uhm? Davvero ti piacciono? Al naturale? Sono anni che non lo faccio… ho sempre invidiato Kuroo che ce li ha così appena si sveglia!”

Davvero ammirava i suoi capelli sparati? Quella strana cresta? Erano davvero troppo simili quei due… per certi versi.

Mi passò il phon e poi si zittì non appena lo accesi, sedendosi sul letto, aspettando che facessi lo stesso. Quel rumore ipnotico e rilassante ci cullò per qualche minuto, mentre le mie dita scivolavano tra le sue ciocche morbide nel tentativo di domarle e dar loro una forma, finché non fui soddisfatta del risultato. Ora capivo perché Kotaro amasse così tanto giocare con i miei capelli, intrecciandoli o semplicemente accarezzandoli, pensai, mentre la mia mano passava ancora una volta tra quella chioma ora soffice e voluminosa.

Bokuto inclinò la testa all’indietro, finendo per appoggiarla all’altezza del mio ventre, lanciandomi poi uno sguardo teso e serio, in attesa di una mia mossa.

Sorrisi, e mi chinai su di lui, sfiorando con le mie labbra prima la sua fronte, poi le guance, arrivando infine alla sua bocca, che sentì schiudersi e rapirmi, mentre ogni suono, rumore e colore sembrò evaporare, lasciandoci soli in balia dei nostri corpi.

 

*

 

“Sono pronti questi pop-corn?” esclamò Nori, mettendo per l’ennesima volta in pausa il film, sprofondando ancora di più nel divano

“Nori-chin scusamiii! È successo di nuovo!!” lo sentì urlare di rimando, mentre un forte odore di bruciato la raggiungeva

Shikako si alzò con uno scatto, dirigendosi a grandi falcate verso la cucina, dove trovò Bokuto avvolto da una nube di spesso fumo grigio.

“Li hai bruciati ancora?!” 

“Non è colpa mia! C’è scritto di spegnere il microonde solo quando non si sente più nessuno scoppiettio, ma io lo sentivo ancora!” si giustificò lui con aria mortificata

“Sì ma questo non vuol dire che puoi farli cuocere per 5 minuti! Tra poco facevi partire l’allarme antincendio, baka!” lo rimproverò Nori, prendendo uno strofinaccio e buttando nel cestino il cartoccio incandescente carico di pop-corn carbonizzati 

“Ma io ho fameee! Andiamo al konbini? Ho finito le scorte di cibo che mi avevano lasciato i miei!”

“Mmm ci metteremo una vita tra fare la spesa e cucinare, mi sa che facciamo prima se ti invito a cena da me, tanto nonna quando fa il manzo al curry ne cucina sempre un sacco…”

“Perché non me lo hai detto prima!? Nessuno batte nonna Hiyori quando si tratta di carne! Oh, eccetto gli yakiniku della locanda dello zio di Komi!”

“Questo fossi in te non glielo direi” scherzò lei

Recuperarono i cappotti e gli zaini e si avviarono verso la fermata della metro più vicina, la mente ormai proiettata verso la deliziosa cenetta che li attendeva.

Faceva piuttosto freddo quella sera, l’aria profumava di neve anche se le previsioni mettevano pioggia per quella notte.

Nori soffiò un po’ di fiato caldo nelle mani gelide, maledicendo il suo stupido cappotto senza tasche. Bokuto lo notò, e senza dire nulla le prese una mano e se la infilò nella tasca della giacca spessa.

“S-sai già se i tuoi torneranno per Capodanno?” gli chiese lei, sentendo le guance scaldarsi, come la mano stretta tra la sua presa

“In realtà mi hanno chiesto di raggiungerli visto che Michiko soffre ancora di nausee e mal di schiena e mamma non se la sente di allontanarsi…” le rispose, mentre piccole nuvole di vapore caldo si formavano fuori dalla sua bocca “Non ho ancora deciso cosa fare… di solito gli altri anni festeggiavamo tutti assieme e poi la mattina dopo mi trovavo con Akaashi, Konoha e gli altri per andare al tempio. Se andrò a Chiba voglio cercare di essere di ritorno in tempo per raggiungerli… e poi questa volta ci sarai anche tu, non posso certo mancare!” concluse sorridendole 

Shikako ricambiò il suo sorriso sovrappensiero, persa nei progetti e nelle atmosfere evocati da Bokuto, che improvvisamente le parvero più vicini che mai. 

Non ci aveva ancora riflettuto su molto ma quell’anno avrebbe trascorso per la prima volta le festività lontana dal Canada, senza suo padre, seguendo nuove tradizioni che non aveva mai sperimentato, ma che l’avevano da sempre incuriosita e affascinata.

Sorrise, alzando gli occhi verso il cielo scuro e terso, sperando in cuor suo che la neve non si sarebbe fatta attendere troppo a lungo.

 

*

 

“Come hai fatto a ridurti a dover comprare il regalo più importante di tutti proprio alla vigilia di Natale?” esclamò incredula Yukie, trascinandomi a braccetto tra le vie affollatissime e illuminate a festa di Shibuya

“Te l’ho detto, tra gli esami e gli ultimi allenamenti della squadra prima delle vacanze invernali non ho avuto tempo!” mentii, scoccando un’occhiata alle vetrine colorate che superavamo, senza capire dove eravamo dirette

In realtà avevo finito, come sempre, per rimandare quel momento giorno dopo giorno. 

Non era il dover fare un regalo a Bokuto a stressarmi, quanto tutto il significato che quel gesto, in quel determinato giorno, comportava.

Proprio non capivo quest’usanza esclusivamente giapponese di dover festeggiare Natale come un secondo San Valentino… come se uno non fosse già sufficiente!

Le feste, le occasioni speciali e gli appuntamenti mi avevano sempre fatta sentire a disagio: preferivo i momenti spontanei, la quotidianità, i gesti e le parole di tutti i giorni, capaci di mostrare i propri sentimenti senza l’artificiosità che caratterizzava tutto ciò che era organizzato, premeditato e atteso.

“È inutile che sospiri, tanto siamo quasi arrivate!” disse lei, fermandosi poi dopo qualche minuto di fronte ad una fila chilometrica di ragazze in coda davanti ad un edificio rosa pastello

Quando lessi l’insegna rabbrividii e indietreggiai istintivamente, cercando in tutti i modi di svincolarmi dalla ferrea presa di Yukie.

“Ti prego, tutto, TUTTO, ma non Victoria’s Secret…” mugolai, guardandola supplicante “Forse sono ancora in tempo per recuperare quel peluche a forma di gufo gigante... e poi passeranno ore prima di entrare!” dissi disperata, cercando di convincerla

“Tranquilla sciocchina, non ti ho trascinato qui per farti comprare qualcosa! Ho semplicemente bisogno di un consiglio per trovare il completino più adorabile possibile, così da lasciare a bocca aperta Makoto!” esclamò lei, guardandomi divertita mentre riprendevo finalmente a respirare sollevata “Però se nel frattempo trovi qualcosa di carino potresti farci un pensierino, no?” aggiunse facendomi l’occhiolino

Dopo mezz’ora riuscimmo finalmente ad entrare e da quel momento in poi ebbe inizio il mio lungo pomeriggio di agonia, che passai trascinandomi da una parte all’altra del negozio con le braccia cariche di intimo pastello e sottovesti di pizzo, fino a quando Yukie non decise di comprare il primo set che aveva provato, ma ero troppo stanca per lamentarmi, quindi mi limitai a essere grata che quella lunga punizione avesse finalmente avuto fine.

O quasi.

“Eeeh?! C’è quasi più fila alle casse che all’ingresso!” protestò Yukie guardando il fiume di gente davanti a noi “Forse possiamo provare ad usare quelle vicino al reparto pigiami se ci fanno passare!”

La seguii senza fiatare, sperando davvero che avesse ragione, quando ad un certo punto un articolo esposto attirò la mia attenzione, facendomi fermare.

“Ehi, ti avevo perso di vista! Uhm? Che cosa hai preso?” chiese Yukie quando mi vide raggiungerla alle casse, non più a mani vuote

“N-niente!!” risposi prontamente, cercando di nascondere maldestramente l’oggetto in questione dal suo sguardo indagatore

“Non dirmi che gli vuoi regalare quello? Bè, in effetti è qualcosa di molto adatto sia a te che a lui!” aggiunse ridacchiando 

Quando finalmente ci lasciammo alle spalle quell’atmosfera opprimente fui quasi grata di ritrovarmi nell’aria frizzante e caotica di Shibuya, senza tutti quei poster provocanti di donne bellissime a guardarmi e a farmi sentire in soggezione.

“Beh dai, alla fine abbiamo fatto presto! A che ora devi vederti con Bokuto?”

“Uhmm… in realtà tra qualche minuto, gli avevo detto che ci saremmo trovati davanti alla statua di Hachiko” le risposi, lanciando una veloce occhiata allo schermo del cellulare

“Allora farai meglio a sbrigarti, oggi sicuramente sarà ancora più affollata del solito!”

Annuii e la salutai, non prima di averle promesso che le avrei raccontato tutto una volta tornata a casa quella sera.

Per fortuna riuscii ad arrivare in tempo e nell’attesa di veder spuntare Kotaro mi misi ad osservare le coppiette felici che mi circondavano, intente a passeggiare mano nella mano, le braccia cariche di sacchetti colorati.

Sentivo che l’acquisto appena fatto non fosse ciò che volevo davvero regalargli, quanto piuttosto qualcosa che mi aveva fatto pensare a lui e che per questo mi aveva spinto a comprarlo. 

Mi piaceva fare regali, pensare attentamente a ciò che avrebbe fatto felice chi li avesse ricevuti, indipendentemente da occasioni speciali o feste particolari, ma allo stesso tempo, negli ultimi anni mi ero resa conto che la cosa più preziosa che si possa donare non è tanto qualcosa di materiale ma ciò che più ricerchiamo e che finiamo per dare spesso per scontato, fino a quando ci accorgiamo di non averne più a sufficienza: il tempo.

Presto queste giornate trascorse sempre insieme, questa routine che ci permetteva di vederci tutti i giorni tra scuola e allenamenti, avrebbe avuto fine e nessuno poteva sapere dove ci avrebbero portati i prossimi mesi, i prossimi anni.

Per questo motivo volevo approfittare di ogni occasione, di ogni istante passato assieme, e assaporare così ogni abbraccio, ogni risata, ogni battuta e parola detta, per non svegliarmi un giorno piena di rimpianti.

Sapevo cosa potevo regalargli, pensai, prendendo il cellulare dalla borsa per fare una veloce telefonata, che chiusi giusto in tempo per sentire la risata di Kotaro raggiungermi tra la folla.

“Hey, hey, hey Nori-chan!” disse la voce di Bokuto alle mie spalle, mentre sentivo le sue braccia circondarmi e racchiudermi in un caldo abbraccio

Sorrisi e aumentai la stretta, sentendo il suo naso solleticarmi il collo.

“Kaori mi ha detto che oggi andava a pattinare sulla pista che hanno installato davanti al Tokyo Skytree, vuoi che proviamo ad andarci?” gli chiesi mentre ci avvicinavamo alla stazione di Shibuya

“Veramente ho già in mente dove portarti!” mi rispose euforico, stringendo la presa sulla mia mano e guidandomi verso l’entrata della metro

Prendemmo la Yamamoto line, per poi cambiare linea e salire sulla Rinkai, che per un tratto passava sopra l’oceano, ma per tutto il tragitto Kotaro non volle rivelarmi nulla sulla nostra destinazione, anche se si lasciò scappare come al solito qualche indizio, grazie al quale riuscii a intuire che il posto dove eravamo diretti avesse in qualche modo a che fare con la mia macchina fotografica, visto che mi chiese più volte se l’avessi con me.

Finalmente arrivammo nel quartiere di Odaiba, e tra grattacieli futuristici e le mille luci riflesse nelle acque della baia che ci circondava capii finalmente dove eravamo diretti.

“Sei davvero riuscito a prendere i biglietti per il teamLab Borderless?!” esclamai quando ci fermammo davanti all’entrata del Mori Building Digital Art Museum

“Akaashi mi ha detto che gliene hai parlato un sacco di volte, così ho pensato che fosse il regalo perfetto per Natale! Insieme a questo…” disse, tirando fuori dal sacchetto che teneva in mano una piccola busta colorata

La aprii emozionata e sorrisi senza riuscire a trattenermi quando vidi cosa conteneva: due taccuini carinissimi che ritraevano un cervo e un gufo.

“Grazie, sono bellissimi!” sussurrai sfogliandoli rapita, colpita da quanto quel pensiero così semplice mi avesse toccato

“Non ho saputo scegliere così li ho presi entrambi… e poi avevo notato che stavi per finire quello che avevi utilizzato per la recita del festival e non volevo che rimanessi senza! Devi continuare a scrivere e a inventare storie bellissime, Nori-chin!!” 

Lo guardai riconoscente, e sentirlo tifare per me, vedere quelle piccole attenzioni, mi fece sentire felice come non lo ero mai stata.

“Su, rischiamo di non riuscire a vedere tutte le sale se non ci sbrighiamo!” esclamò, afferrandomi la mano e trascinandomi verso l’ingresso dell’esposizione

Passammo così l’intero pomeriggio circondati di luci, colori e illusioni ottiche, ridendo e lasciandoci trasportare da quelle atmosfere così eteree e magiche, visitando un’installazione dopo l’altra, sempre senza smettere di scattare foto su foto, per la gioia mia e della mia mirrorless, che non toccavo da mesi.

Quando uscimmo dalla mostra il cielo era completamente buio, rischiarato solo dalle tante illuminazioni natalizie che ricoprivano ogni edificio, negozio, e strada, riflettendosi nelle acque della baia intorno a noi come piccole stelle, trasformando l’oceano in una sorta di piccola, bellissima galassia.

“Sto morendo di fameee! Dovrebbe esserci un KFC qui vicino se non sbaglio…” esclamò Bokuto stiracchiandosi e lanciando un’occhiata ai locali intorno a noi

“Veramente ho già prenotato per stasera…” dissi, facendolo voltare con aria sorpresa “Ho chiamato Komi e gli ho chiesto se suo zio avesse posto per noi alla locanda… per fortuna mi ha detto che ci avrebbe riservato un tavolo…”

Kotaro mi guardò spiazzato, gli occhi che brillavano al pensiero della carne che avrebbe mangiato, un’espressione famelica e allo stesso tempo commossa che mi fece scoppiare a ridere.

“Oh, prima che mi dimentichi… questa è l’altra parte del regalo!” aggiunsi, allungandogli il sacchetto contenente l’acquisto fatto qualche ora prima

Lui lo scartò subito, incuriosito, e con un ghigno divertito estrasse il pigiama gigante, fatto a tuta, con un cappuccio a forma di testa di gufo che non avevo resistito dal comprargli.

“In teoria è un modello da donna ma ho voluto prendertelo lo stesso…”

“È bellissimoooo Nori-chaan! Non vedo l’ora di metterlo e di farlo vedere anche ad Akaashi e Kuroo!!”

Dovetti convincerlo a non provarselo subito, in mezzo a tutta la gente che ci fissava, ricordandogli che avevamo una cena di carne all-you-can-eat ad aspettarci, cosa che lui non si fece certo ripetere due volte.

Mi lasciai prendere per mano, e iniziai a correre per riuscire a stare dietro al suo passo veloce, mentre l’aria fredda ci sferzava il viso, mozzandoci il fiato, la mente completamente libera da ogni pensiero, concentrata solo sul calore delle nostre dita intrecciate.

 

*

 

Le note del programma televisivo in sottofondo si intensificarono mentre sullo schermo una nuova band iniziava la sua esibizione. 

Kaori si chinò sul tavolo ingombro di bucce di mandarini e si mise a impilare i contenitori di legno laccato ormai svuotati delle pietanze che avevano appena finito di mangiare.

“Ehi, quello non toglierlo, sento tra poco che mi verrà ancora fame” disse Yukie, allungandosi per prendere il piatto di spiedini di gamberi cosparsi di salsa di soia che non avevano ancora toccato

“Ma non ti sazi mai? Guarda che mia nonna ha detto che tra poco ci porta la soba di Capodanno, e quella va mangiata entro mezzanotte altrimenti porta sfortuna!” la ammonì Nori, tirandosi su stancamente dalla pila di cuscini su cui si era sdraiata

“Non ti preoccupare, lo sai che quando si tratta di mangiare non ho rivali!” 

“Eccetto il nostro capitano vorrai dire” scherzò Kaori

“Mmm penso che potrei benissimo batterlo in una competizione!” le rispose, sorridendo divertita al pensiero

“Ti prego non mettergli strane idee in testa, a Natale ha quasi scandalizzato mia mamma per quante portate ha fatto fuori…” disse Nori, accoccolandosi sotto il kotatsu tiepido  

“Eh?! Questa non la sapevo! Non ci hai più raccontato nulla di quello che è successo dopo la Vigilia!!” strepitò Yukie, facendole segno di vuotare il sacco

“Bè, ve lo avevo già detto che dopo la cena assieme gli avevo proposto di venire a pranzo da me il giorno dopo, no? Non mi andava di lasciarlo solo a Natale… e poi volevo che sperimentasse un po’ le tradizioni canadesi tipiche di questo periodo” spiegò loro “Così, visto che anche per nonna era un po’ una novità, io e mia mamma ci siamo messe ai fornelli e abbiamo cucinato di tutto, dal tacchino ripieno al purè di patate, fino alle verdure arrosto… sono persino riuscita a trovare la salsa di mirtillo rosso al konbini!”

“Mi stai facendo venire di nuovo fame! Ma almeno Bokuto ha apprezzato?”

“Ti dico solo che ha mangiato così tanto che si è fatto venire un mal di pancia coi fiocchi! Stava quasi per mettersi a piangere perché gli ho proibito di assaggiare la torta di panna e fragole che aveva portato, quel baka!” 

Kaori e Yukie scoppiarono a ridere, immaginandosi la scena, mentre Nori scuoteva la testa sorridendo al ricordo di quel giorno.

“E tu e Makoto invece? Siete davvero andati in quello strano love hotel che avevi visto a Kabuki-cho?”

“Alla fine quell’idiota si è tirato indietro perché temeva che scoprissero che siamo minorenni!”

“Te lo avevo detto anche io!” esclamò Kaori, stranamente infervorata “Non puoi mica rischiare di rovinarti il curriculum scolastico a pochi mesi dal diploma!”

“Lo so benissimo, infatti volevo solo vedere se quell’idiota aveva il coraggio di rischiare per me, tutto qua!”

“Vuoi dire che lo hai messo alla prova?” le chiese Nori, guardandola stupita “E se avesse accettato che avresti fatto?”

“Tsk, lo avrei mollato, no? Non posso mica mettere a rischio il mio futuro per un pervertito! Tanto mi ha già detto che dopo il liceo si trasferisce a Sendai per ereditare il negozio di suo nonno, non ha nemmeno intenzione di provare il test di ammissione alla Toho come mi aveva promesso!”

Le due amiche la guardarono, scambiandosi poi uno sguardo complice: sapevano che l’argomento Makoto era sempre un tasto delicato e decisero perciò di distrarla.

“A proposito di università, hai deciso a quale corso iscriverti?” le domandò Shikako cercando di cambiare discorso, trattenendo l’ennesimo sbadiglio

“Devo ancora parlarne bene con Arada-sensei ma vorrei specializzarmi nel campo della nutrizione! Tutto ciò che ha a che fare con il cibo mi interessa in fondo, quindi sono sicura che potrei esserci portata, no?”

“Mmm in effetti potrebbe funzionare… e tu Kaorin?”

“Non ho ancora in mente un lavoro specifico ma mi piacerebbe molto poter rimanere nel mondo dello sport…” confessò con un po’ di imbarazzo, in fondo era la prima volta che lo rivelava a qualcuno 

“Wow! È un bellissimo progetto! Sono certa che te la caverai benissimo!”

“Parli come se dovessimo dirci addio per sempre! Ricordati che abbiamo intenzione di rimanere a Tokyo, quindi non ti libererai facilmente di noi!” disse Yukie, avvicinandosi furtivamente a Nori e stritolandola in uno dei suoi soliti abbracci soffocanti “E poi ci devi tenere costantemente aggiornate sulla squadra! Sono curiosa di scoprire come se la caverà Akaashi nel ruolo di capitano!”

“Già, quante cose cambieranno presto…” mormorò lei, sentendosi improvvisamente malinconica

“Su, non ti preoccupare, sono sicura che continuerai a fare uno splendido lavoro come manager e sarai un ottimo supporto per Akaashi, e insieme riuscirete a tenere alto il nome della squadra!” la incoraggiò Kaori, sorridendole fiduciosa

“Certo che sì! In fondo hai potuto imparare dalle migliori, o sbaglio?” la stuzzicò Yukie, dandole una leggera gomitata per farla reagire

Nori ricambiò i loro sorrisi, lasciandosi rincuorare dalle parole delle sue senpai, decisa a mettere da parte per ancora un altro po’ quei pensieri e a godersi quegli ultimi momenti spensierati assieme.

Rimasero così tutta la sera, in attesa della mezzanotte, mangiando soba bollente e parlando dell’anno passato e di quello che sarebbe iniziato a breve.

“Oh no! Ho lasciato il volume della tv talmente basso che non ci siamo neanche accorte del countdown! È mezzanotte passata!!” esclamò ad un certo punto Nori, ormai quasi sul punto di addormentarsi

“Eh?! Bel modo di iniziare! Auguri pigrona!” le rispose Yukie, dandole un pizzicotto che la svegliò del tutto

Decisero di rimanere alzate ancora un altro po’, giusto il tempo di mandare qualche messaggio di auguri e finire gli ultimi mandarini rimasti, nonostante le proteste di Nori che non perse occasione di ricordare loro la levataccia mattutina che le aspettava di lì a poche ore, visto che si erano messe d’accordo con il resto della squadra per andare insieme al tempio per la visita di Capodanno.

“È inutile che te la prendi con noi, se non fosse stato per Bokuto saremmo potuti andare adesso a visitare il Sensoji! A proposito, sbaglio o non ti ha riempito di messaggi per tutta la sera?”

“Già, l’ho sentito poco prima del vostro arrivo e mi ha detto che gli si stava scaricando il cellulare…”

“Sempre il solito sbadato… a proposito, a che ora torna da Chiba?”

“Ha detto che avrebbe festeggiato con i suoi fino a tardi ma che avrebbe comunque preso il primo treno per Tokyo… penso che ci raggiungerò direttamente lì suppongo” rispose Nori, sbucciando l’ennesimo mandarino

Nonostante i vari tentativi di Yukie di proporre una maratona di film horror per restare sveglie fino all’alba, Kaori spalleggiò Shikako e insieme la convinsero ad andare a dormire, visto che entrambe non riuscivano più a tenere gli occhi aperti.

Nori si addormentò per prima, rannicchiata nel futon improvvisato sul pavimento della sua stanza, visto che alla fine aveva deciso di cedere il letto alle sue senpai, circondata dal profumo delle bucce dei tanti mandarini mangiati, sognando la neve e le campanelle del tempio che tra qualche ora avrebbe sentito suonare per la prima volta.

Ma quello che in realtà sentì fu la vibrazione del cellulare che aveva appoggiato sotto il cuscino, che finì per svegliarla. Aprì gli occhi a fatica e guardò con aria confusa fuori dalla finestra, rendendosi conto che il cielo era ancora buio e immerso in un silenzio quasi surreale, per poi estrarre il telefono e fissare lo schermo sbadigliando.

Era un messaggio di Bokuto, piuttosto strano a dire il vero, visto che al posto delle mille emoji che le inviava solitamente le diceva solo e semplicemente di scendere.

Scendere? Nori non capiva che cosa intendesse dire, ma si costrinse ad alzarsi e a scendere le scale fino all’ingresso, cercando di non fare rumore.

Afferrò il cappotto e si infilò le scarpe, sperando in cuor suo che non si trattasse di uno scherzo, altrimenti questa volta gliela avrebbe seriamente fatta pagare.

La prima cosa che la colpì quando mise piede fuori di casa fu la neve, che scendeva copiosamente come soffici ciuffi di cotone; poi notò come la via e il quartiere avessero cambiato forma e colore, diventando una sorta di cartolina in bianco e nero, dove a risaltare erano solo la neve e il cielo, che da soli sembravano inghiottire ogni cosa.

Infine lo vide, stretto nel capotto pesante e avvolto in una sciarpa spessa, mentre sorrideva assonnato e felice per l’espressione di sorpresa che aveva suscitato in lei.

“C-che cosa ci fai qui?” esclamò Shikako, presa in contropiede dalla sua presenza, sentendosi finalmente del tutto sveglia e lucida

Quando aveva letto il messaggio e aveva ciabattato fino all’ingresso era convinta di stare ancora dormendo, di essere ancora in quel sogno così simile alla scena che stava vivendo ora.

“Te lo avevo detto che avrei preso il primo treno, no?”

“Sei impazzito?! È ancora notte! Potevi venire più tardi, senza fretta, e raggiungerci direttamente al tempio!” esclamò lei, colpita da quel gesto che non si sarebbe mai nemmeno sognata di fare, pigra com’era

Kotaro sembrò ignorarla e le si avvicinò lentamente, fino a quando poté cingerla e abbracciarla, affondando così la testa, e i capelli pieni di brina e nevischio, nella sua chioma morbida e arruffata.

Lei sbuffò, e nel sentirlo per la prima volta freddo lo strinse più vicino, cercando di infondergli un po’ del calore del kotatsu rimastole addosso.

“Auguri Nori” le sussurrò

“Auguri Kotaro” rispose lei, colpita nel sentirlo pronunciare il suo nome correttamente, senza vezzeggiativi e storpiature

Poi si staccò leggermente da lui, cercando prima i suoi occhi e poi le sue labbra.

Intorno a loro la città sembrava essersi come fermata, ogni rumore inghiottito dal leggero sibilo di vento che faceva ondeggiare i fiocchi fino al suolo.

Un’atmosfera ovattata e surreale, che a Nori ricordò le palle di neve che da piccola amava collezionare.

Bokuto appoggiò la fronte alla sua, formando tante piccole nuvole di vapore mentre cercava di riprendere fiato.

“Sai di mandarino!” le disse, tornando a guardarla, accorgendosi che aveva chiuso gli occhi e che sembrava come addormentata

Ma Nori sorrise, arrossendo per quelle parole, per poi nascondere il viso nel suo collo, che aveva finalmente riacquistato il suo solito calore, mentre intorno a loro le prime luci dell’alba cominciavano a rischiarare quella notte tanto buia e lunga, quasi infinita.

Se l’anno nuovo era iniziato così forse non sarebbe stato tanto terribile come credeva.

Forse.  

 

 

 

- - -
 
N O T E
 
 
Ciao! Scusate se ho aggiornato ora dopo tutto questo tempo ma la voglia di non rileggere e correggere ha avuto ancora la meglio XD 

Finalmente mi sono obbligata, letteralmente, a metterci la testa e a pubblicarlo anche se, ad essere sincera, non sono ancora del tutto convinta di questo capitolo. Sarà che ho dei dubbi su alcune frasi e che è meno corposo dei precedenti ma boh non sono del tutto soddisfatta stavolta. Ma forse voi che lo leggete per la prima volta mi farete ricredere <3

Detto questo, la storia procede verso gli ultimi capitoli, ne mancano solo altri quattro e non mi sembra vero! Ma le cose non saranno tranquille per molto, vedrete prossimamente XD

Come avrete notato anche in questo capitolo i luoghi comuni della cultura giapponese pullulano a non finire: dal Natale-San Valentino con tanto di appuntamento e cena con il pollo di KFC (sì, è veramente una tradizione non chiedetemi perché XD), all’ultimo dell’anno festeggiato a casa guardando le esibizioni delle band più in voga e mangiando mandarini e soba <3 Ho cercato di metterci anche qualcosa di occidentale viste le radici canadesi di Nori, spero di essere riuscita ad amalgamare bene il tutto XD

Direi che comunque pubblicare ora con Halloween alle spalle ha reso questo capitolo dall’atmosfera natalizia ancora più calzante <3

Halloween è una festività che non ho incluso nella storia visto che in Giappone non è così diffuso come in America, cioè lo è più a livello commerciale che di festività, però se volete avere un assaggio di Bokuto e Nori in questa veste vi invito a dare un’occhiata al mio profilo Instagram XD

Dopo questo capitolo piuttosto tranquillo e di transizione preparatevi ad entrare nel cour finale della storia! Le parole chiave di Gennaio saranno: Video - Torneo – Contrattura e vi anticipo che incontreremo per la prima volta i membri di una squadra non ancora menzionata <3

Grazie davvero per il vostro supporto pazzesco e alla prossima!

Mel

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Capitolo 11
*** Gennaio ***


G E N N A I O

睦月

 

 tracks n°52-53-54-55  
chapter pic

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Asakusa risplendeva sotto i raggi di un timido e pallido sole, che in poche ore aveva sciolto tutta la neve caduta nella notte, facendo brillare ancora di più gli edifici e i monumenti della città che appariva come tirata a lucido in occasione del nuovo anno.

Anche la pagoda e i tetti colorati del tempio Sensō-ji sembravano scintillare più del solito quel giorno. O almeno questo era quello che le migliaia di visitatori sembravano pensare, mentre per file ordinate accalcavano la piazza di fronte all’entrata del tempio, senza mai staccare gli occhi dal panorama festivo che li circondava.

Nori si lasciò scappare l’ennesimo sbadiglio mentre cercava di non perdere d’occhio Yukie e Kaori, che, a qualche passo da lei, si guardavano attorno, scrutando la folla circostante.

“Mi sa che non siamo le uniche che si sono date appuntamento davanti alla Porta del tuono…” disse sovrappensiero Shikako, sistemandosi la sciarpa di lana spessa

“Oh! Non ci posso credere… ma quelli non vi sembrano Bokuto e Konoha?” esclamò Kaori indicando due ragazzi che poco più in là stavano scendendo da un risciò

“Sì, sono senza dubbio loro… sempre a farsi riconoscere!” commentò Yukie, scuotendo la testa

“E quelli lì dietro penso siano gli altri! Vedo Komi che gli sta girando un video, Sarukui che se la ride tranquillo, e Akaashi… che come al solito sta cercando di frenare Kotaro e le sue assurde trovate! Perché scommetto che l’avrà proposta lui questa genialata…” aggiunse Nori osservando la scena, lasciandosi scappare un sorriso

Decisero di raggiungerli, chiamandoli per attirare la loro attenzione, mentre si facevano largo tra i numerosi gruppi di turisti e famiglie diretti verso il santuario.

“Purtroppo Anahori è dovuto andare da alcuni parenti a Osaka con la sua famiglia” spiegò loro Onaga, dopo che tutti si furono scambiati gli auguri di buon anno

“Vorrà dire che chiederemo una benedizione anche per lui visto che non è potuto venire!” esclamò Bokuto con convinzione

“Non penso che funzioni così, sai? Si può fare una sola richiesta agli dei, e tu hai detto che avresti pregato per un po’ di fortuna per il torneo primaverile, o sbaglio?” gli disse Nori

“In realtà non è consigliato fare richieste così specifiche alle divinità, ma è meglio limitarsi a chiedere una benedizione generale o a ringraziarli per l’anno passato. Soprattutto durante l’hatsumode, la prima visita al tempio dopo Capodanno” si intromise Akaashi, voltandosi verso di loro “Se si cerca un tipo di fortuna in particolare è meglio affidarsi ad un oroscopo, un omikuji”

“Oooh! Akaaashiii sei proprio come un libro aperto!!!”

“Grazie Bokuto-san, ma non penso che sia la frase corretta in questo caso… forse volevi dire che parlo come un libro?” lo corresse Keiji, guardandolo interrogativo

“Oh esatto! Wow, mi hai letto nel pensiero!” gli rispose lui, sorridendo per la gaffe commessa

“Semmai sei tu che sei come un libro aperto!” aggiunse Shikako, trattenendo una risata 

Le voci e i richiami di Yukie e Konoha li raggiunsero, obbligandoli ad affrettare il passo e a ricongiungersi al gruppo in attesa, mentre intorno a loro il clima di festa sembrava attirare sempre più persone.

Dopo un’ora di fila per la preghiera fu finalmente il turno di Nori, che, essendo alla sua prima hatsumode, decise di imitare i gesti di Kotaro, più che felice di farle da guida.

Quella gestualità antica, gli inchini, lo stringere la corda ruvida della campana tra le dita, il rumore secco delle mani che battevano per rispetto agli dei, i momenti di silenzio e raccoglimento: tutto di quell’atmosfera le piaceva, ed evocava nella sua mente ricordi sepolti di estati lontane, di quando era solita accompagnare sua nonna al piccolo tempio dietro casa nell’afa del pomeriggio.

In quei brevi istanti di preghiera le sembrò come se la mente volasse lontana, verso un futuro distante ma anche stranamente vicino, mentre un brivido, o meglio un formicolio, la percorreva. 

La stessa sensazione che le capitava di provare quando si trovava davanti ad una pagina bianca, pronta per essere riempita di parole e idee: era l’emozione che precedeva ogni nuovo inizio, ora ne era sicura.

Mentre passeggiava tra le statue di pietra e i piccoli bonsai che circondavano gli edifici sacri, la sua attenzione fu catturata dalla fila di biglietti di carta annodati che ricopriva una parete del piccolo tempietto antistante la grande pagoda, lo stesso dove poco prima aveva comprato l’omikuji per il nuovo anno. Era infatti usanza intrecciare le predizioni più infelici ad alcune sbarre di legno di pino, per evitare che queste si avverassero.  

Vedere così tante sfortune abbandonate lì, nella speranza che il proprio destino potesse prendere una direzione diversa da quella predetta dalle divinità, era al contempo emozionante e triste, si ritrovò a pensare.

“Che cosa hai trovato? A me questa volta è andata bene, una mezza benedizione!” disse la voce squillante di Kaori alle sue spalle, facendola sobbalzare

“Non mi posso lamentare, una piccola benedizione!” le rispose, sorridendo

“Eeeh? Tutto qua? Dal sorrisetto che ti ho vista fare pensavo in qualcosina di più!” aggiunse Yukie, avvicinandosi a loro e guardandola con aria sorpresa

“In realtà il monaco che me l’ha venduto ha detto che sono le piccole gioie quelle che ci rendono più felici, e anche le più facili da poterci capitare… quindi mi va bene così” rispose Shikako

“Uhm, non penso che Bokuto la pensi come te visto che si sta lamentando per la sua misera e semplice benedizione” aggiunse Yukie, facendole voltare in direzione di Kotaro, che sembrava impegnato a tartassare Konoha e Sarukui di domande sul verdetto ricevuto

“Oh! Prima che mi dimentichi, i miei fratelli mi hanno chiesto di comprare un nuovo omamori come souvenir, mi accompagnate?” chiese loro Kaori

Così si mescolarono nuovamente alla folla che passeggiava lungo la Nakamisedori, la via piena di banchetti e bancarelle colorate che affollavano l’ingresso al tempio, finché non trovarono lo stand che stavano cercando.

“Akaashi mi ha appena scritto che ci aspettano vicino all’ingresso della stazione di Asakusa, poco più avanti” esclamò Nori, leggendo il messaggio appena arrivato, guidandole fuori dalla calca dei banchetti e verso il punto di ritrovo del gruppo

Bokuto si sbracciò non appena le vide comparire, il viso sporco della polvere di mochi che aveva appena finito di divorare.

“Non vi si può lasciare soli un attimo che vi fiondate subito sul cibo” borbottò Yukie, guardandolo male

“Detto da te non è molto credibile, sai? Comunque è quasi ora di pranzo, e se non sbaglio qua vicino dovrebbe esserci una locanda che fa uno shabu shabu buonissimo” suggerì Kaori

“Ottima idea! Potremmo approfittarne per festeggiare Capodanno tutti assieme visto che a Natale qualcuno ha pensato bene di sabotare la mia proposta di Christmas party…” disse Konoha, lanciando occhiate allusive al resto della squadra

“Penso che tu saresti stato il primo a paccare se avessi avuto un’alternativa migliore…” bisbigliò Komi, ridacchiando

“Non credo che tu possa avere voce in capitolo visto che sei stato rifiutato proprio alla vigilia di Natale!” 

“Non è vero! Arimi-chan deve aver capito male l’orario dell’appuntamento, non mi ha scaricato!”

“Mi sembra piuttosto strano che abbia sbagliato ora, luogo e data, no?” aggiunse Sarukui, girando il coltello nella piaga e facendo scoppiare a ridere Konoha, cosa che fece infuriare ancora di più Komi

“Se il club dei single ha finito di battibeccare come galline in calore ci diamo una mossa che sto morendo di fame?” esclamò ad un certo punto Yukie, facendoli sobbalzare

“Ah, aspettate! Mi sono appena ricordata che ho promesso a mio padre di fare una videochiamata insieme visto che è a cena dai miei nonni paterni! E in più mia mamma mi ha chiesto di aiutarla con le pulizie per il nuovo anno, e non mi ha lasciato molta scelta… quindi mi dispiace ma devo salutarvi ora!” disse Nori in tono sommesso

“Coosaaa? Ma Nori-chiiin!” protestò Bokuto, colto di sorpresa 

E nonostante i vari tentativi per convincerla a restare, alla fine dovette rassegnarsi all’idea, cosa che non gli impedì di sbuffare e rimanere imbronciato per tutto il tragitto fino all’ingresso della metro di Asakusa, dove la salutarono, per poi seguire le indicazioni di Kaori fino ad un piccolo ristorantino dall’aria vissuta ma promettente, lontano dalla calca e dalle rumorose frotte di turisti.

“Hai intenzione di tenere il muso ancora per molto?” chiese Yukie, mentre aspettavano che la carne e le verdure cuocessero nel piccolo fornello posto in mezzo a loro

“Lascialo stare, in fondo era da tanto che non tirava fuori questo suo lato. Ultimamente grazie a Nori-san i suoi soliti sbalzi d’umore erano quasi scomparsi!” esclamò Konoha, dando una gomitata a Kotaro per farlo innervosire ancora di più

“Hai ragione! Se non contiamo le partite di qualificazione per l’Interhigh…” aggiunse Komi, ridacchiando

“Akaaaashiiii” urlò di rimando Bokuto, punto sul vivo, intensificando il broncio che oscurava il suo volto corruciato “Non gli dici niente?!”

Keiji sollevò lo sguardo dal piatto sentendosi tirato in causa, sospirando di fronte alla muta, si fa per dire, richiesta da parte del suo capitano di essere difeso.

“Bokuto-san, mi dispiace ma hanno detto la verità stavolta” gli rispose, suscitando le risate e i ghigni soddisfatti del resto della squadra, insieme alle rumorose proteste di Kotaro, che sembrò calmarsi solo quando Kaori gli porse una ciotola piena di carne appena tolta dal fuoco

“Credo che mi mancherà tutto questo” sussurrò Konoha dopo che tutti ebbero finito di mangiare, sfiorandosi con aria soddisfatta la pancia piena

“Che intendi?” chiese Komi, sbadigliando e stiracchiandosi stanco

“Bè, gli allenamenti, le partite, ma soprattutto i momenti così con voi… comprese le scenette di quel baka che ora dorme come un bambino” gli rispose, lanciando uno sguardo in direzione di Bokuto, assopito sulla spalla di Keiji

“Non ti facevo un tipo così sdolcinato e melodrammatico!” lo punzecchiò Yukie “In ogni caso, se c’è qualcuno che forse potrebbe non rimpiangere il nostro capitano e le sue uscite da prima donna quello è Akaashi, vero?” aggiunse, voltandosi verso il diretto interessato

Keiji alzò gli occhi dal bicchiere di te che aveva in mano, sentendo tutti gli sguardi dei compagni puntati su di lui, e decise di mettere da parte il crescente imbarazzo per riflettere seriamente sullo scenario futuro che quella frase evocava, ovvero una Fukurodani senza Bokuto.

Certo, capitava anche a lui di perdere la pazienza di fronte alla sua ennesima richiesta o scenata, ma il pensiero che presto non lo avrebbe più visto davanti a sé in campo, che non avrebbe più avuto le sue spalle e la sua schiena a dargli forza e sicurezza durante le partite e gli allenamenti, infondeva in lui un senso di smarrimento e vuoto che a volte pensava che non sarebbe stato in grado di colmare.

E insieme al pensiero di quella necessaria perdita arrivava anche quello legato all’eredità che avrebbe presto dovuto raccogliere.

Come nuovo capitano e punto di riferimento per la squadra, per la Fukurodani.

Quella corona che per anni gli avevo visto indossare, non sembrava fatta per la sua testa, aveva paura che sarebbe scivolata, infrangendosi in mille, irrecuperabili, pezzi.

Tutti avevano sempre pensato e dato per scontato che Bokuto senza di lui non avrebbe saputo sopravvivere, ma solo Keiji poteva sapere quanto poca verità nascondesse quell’affermazione. Perché se agli occhi degli altri lui era sempre apparso forte e padrone della situazione di questo doveva ringraziare solo e soltanto Kotaro. 

Era stata la sua presenza, la sua luce, a illuminare il percorso che lo aveva portato a diventare vice-capitano e a fargli scoprire le sue potenzialità come giocatore, aiutandolo a sbocciare nel pallavolista e nella persona che era ora.

Se quel lontano pomeriggio di tre anni fa non lo avesse visto giocare, se il suo primo giorno alla Fukurodani non gli avesse chiesto di alzare per lui, oggi non si troverebbe lì, tra i compagni che ora lo circondavano e avevano imparato a fidarsi di lui e del suo intuito, destinato ad afferrare il testimone che il suo capitano, e migliore amico, gli avrebbe affidato a breve.

“In realtà devo solo ringraziare Bokuto-san… se non lo avessi conosciuto, e se non mi fosse stato così addosso negli ultimi anni, probabilmente non avrei potuto migliorare e maturare nell’alzatore che sono diventato. Se non lo avessi visto giocare con i miei occhi probabilmente non mi sarei neanche appassionato così tanto alla pallavolo, fino a spingermi a dare tutto me stesso per meritare il ruolo di capitano che a breve raccoglierò. Quindi non posso dire che non mi mancherà” ammise Akaashi, cercando per una volta di essere onesto con sé stesso, come lo era sempre stato Bokuto con lui e con la squadra

Il silenzio che scese nel gruppo era denso di significato e sottintesi: tutti in cuor loro la pensavano come Keiji, tutti in qualche modo erano cambiati grazie all’incontro con Kotaro, che, per quanto infantile, scalmanato e borioso, li aveva sempre spinti a dare il massimo, ad imitarlo, e a giocare sempre senza dubbi o rimpianti, rincorrendo un sogno che sembrava ora ormai giunto ad una conclusione. 

Ma ogni fine porta con sé un nuovo inizio.

Una pagina bianca che presto ciascuno di loro avrebbe riempito seguendo le proprie inclinazioni, sogni o ambizioni, tracciando così le basi del futuro che li attendeva.

 

*

 

La casa era immersa in una strana quiete, quel momento della notte in cui ogni rumore sembra momentaneamente inghiottito dal sonno più profondo, in quegli ultimi minuti che precedono l’alba e il lento risveglio di una città incapace di addormentarsi davvero.

Anche io non riuscivo a prendere sonno: sentivo che la tensione e l’adrenalina per la giornata che sarebbe iniziata tra qualche ora, il cui pensiero non mi aveva fatto chiudere occhio, erano troppo forti per prendere davvero in considerazione l’idea di riaddormentarmi. 

Mi rigirai nel letto per l’ennesima volta, mentre la mente scivolava ancora in quel turbine di pensieri che nelle ultime settimane erano stati le mie principali preoccupazioni: il torneo primaverile, l’ultima partita della squadra con la formazione attuale, la fine del terzo trimestre, le ultime chiacchiere negli spogliatoi con Yukie e Kaori, le ultime risate con Konoha e Komi… l’ultima volta che avrei visto Bokuto scendere in campo come numero 4 della Fukurodani.

Presi un respiro profondo cercando di spezzare quei fili che mi stavano lentamente intrappolando, togliendomi l’eccitazione e l’emozione che invece avrei dovuto provare, come mi succedeva ogni volta in cui mi lasciavo vincere dall’ansia e dalle paranoie.

No, questa volta sarebbe stato diverso, non sarebbe stata la fine, ma semplicemente il punto di arrivo di un viaggio, un sipario che calava su una storia che avrebbe presto lasciato il posto a nuove voci e nuove parole, nuovi inizi.

Chiusi gli occhi e mi lascia cullare da quella considerazione, fino a quando la suoneria del cellulare infilato sotto il cuscino, con il volume impostato al massimo per non perdere le diverse sveglie messe, non mi fece quasi urlare per lo spavento.

Maledii me stessa per non aver messo la modalità aereo e borbottando lo presi, immaginandomi già chi potesse essere il pazzo che mi chiamava a quell’ora.

“Nori-chin? Stai dormendo?” sentii Bokuto sussurrare attraverso lo schermo

“Se ti rispondo evidentemente no, baka”

“Ho già fatto due docce e anche colazione, non riesco a stare fermo! Akaashi non mi risponde e sento che devo fare qualcosa, proprio non ce la faccio a riaddormentarmi, pensavo di andare a correre e-“ disse lui tutto d’un fiato

“Sei pazzo!? Non sono neanche le 5, è troppo presto per girare per strada… con questo freddo poi!” lo interruppi, sentendo la sua agitazione palpabile anche attraverso lo schermo 

“Ti va di venire con me? Ti passo a prendere e andiamo nel parco che hai dietro casa, okay?” chiese imperturbabile, ignorando completamente quello che gli avevo appena detto “Allora ci stai?”

Allontanai il telefono, fissando lo schermo leggermente scioccata, domandandomi se avessi sentito bene.

Davvero mi aveva appena chiesto di andare a correre a quell’ora della notte? 

A me, che già era tanto se ero riuscita ad abituarmi agli allenamenti mattutini nel gelo e nel buio delle giornate invernali senza sole? 

Io, che mi lamentavo se al ritorno da scuola mi proponeva di allungare la strada a piedi per passare dal konbini o dalla sala giochi?

Stavo per rispondergli che se lo poteva proprio scordare quando il pensiero di lasciarlo vagare da solo per le vie di Tokyo, a poche ore dall’inizio dell’Interhigh, mi raggiunse in pieno, bloccandomi. 

E se si fosse perso? E se avesse finito per fare tardi all’appuntamento fissato dal coach? E se avesse preso freddo?

Non potevo certo rischiare che l’asso della squadra non fosse in perfetta forma per le partite che ci attendevano, così decisi di sacrificarmi.

“E va bene, ti accompagno” dissi, stupita dalle mie stesse parole e da quell’inaspettata dose di coraggio

“EH? DICI SUL SERIO?” esclamò lui, ancora più scioccato di me

“Ma se me lo hai chiesto tu!!”

“Sì, ma non pensavo che mi avresti detto di sì! Okay, ti scrivo quando sono sotto casa tua, non cambiare idea eh, arrivo!” urlò, prima di chiudermi il telefono in faccia

Fissai lo schermo un’ultima volta, sospirando con aria sconfitta, prima di trascinarmi verso il bagno e cambiarmi.

Dopo cinque minuti ero pronta, stretta nella tuta scolastica, battendo già teatralmente i denti per il freddo che ero sicura avrei provato a breve.

Socchiusi gli occhi per godermi quegli ultimi istanti di pace, lasciandomi scivolare sotto il kotatsu tiepido ed accogliente.

Non so quanto tempo passò, ma ad un certo punto sentii il cellulare vibrare insistentemente nella tasca della felpa, e alla vista delle chiamate perse e della sfilza dei messaggi di Kotaro non letti mi prese un colpo.

Con uno scattò mi fiondai verso la porta, che, dopo essermi infilata le scarpe da ginnastica, mi richiusi con un sonoro tonfo alle spalle, giusto in tempo per vedermelo spuntare davanti agli occhi.

“Buongiorno Nori-chan! Pronta per una bella sudata?”

E in quel momento desiderai con tutta me stessa che una voragine mi risucchiasse o che la sveglia suonasse, facendomi realizzare che era stato tutto un brutto, bruttissimo, sogno.

Ma mi limitai ad annuire, alzando il pugno in aria, imitandolo con scarsa convinzione.

Bokuto non ebbe la minima pietà e mi fece fare non so quanti giri dell’isolato e intorno al parco del quartiere, il tutto mentre cercavo di schivare i pali della luce e i cassonetti dell’immondizia che ogni tanto perdevo di vista quando le palpebre mi si chiudevano per il sonno e la stanchezza.

“Vuoi un te caldo o freddo?” mi chiese con tono allegro, una volta che riuscii a convincerlo a fare una pausa e a fermarci vicino al distributore di bevande più vicino

“Freddo, grazie” rantolai, sentendo la gola andarmi a fuoco

“Oh, a proposito, hai i pantaloni infilati al contrario, non te ne eri accorta?” mi chiese con aria innocente, mentre si chinava a raccogliere la lattina

Lo guardai strabuzzando gli occhi, non sapendo se ridere o arrabbiarmi.

“E perché me lo dici ora, scemo!” protestai imbarazzata

Lui scoppiò a ridere, avvicinandosi per appoggiarmi la lattina ghiacciata sulle guance bollenti, cosa che mi fece brontolare ancora di più mentre mi cingeva in un abbraccio per soffocare le mie lamentele e farsi perdonare.

“Sarà meglio se torniamo, tra poco sarà l’alba” sussurrai

Lo sentii annuire, il suo fiato caldo a solleticarmi il collo, mentre assorbivo il calore del suo corpo ancora per qualche istante, prima di seguirlo nuovamente nella brezza gelata, sotto un cielo che cominciava a rischiararsi sempre più.

 

*

 

“Ancora, Yukippe! Mettila ancora una volta!”

“Sarà la quindicesima volta che rivediamo la partita di oggi, dobbiamo ancora studiare gli appunti che ha preso Nori sulla Matsuyama Nishi Shōgyō High che affronteremo domani… e poi tra poco rimandano il servizio sul torneo in tv, non è da te perdertelo!”

“Oh, veramente l’ho già scaricato e visto una ventina di volte e ho anche già sbirciato gli schemi di gioco che avete preparato per la partita di domani!” 

“Nori-chan!”

“Non guardare me, mi ha praticamente costretta a rivelarglieli subito dopo aver visto contro chi avremmo giocato!”

“Bè, io vado a prendere una boccata d’aria”

“Aspetta Bokuto-san…”

Nori osservò Akaashi seguire Kotaro nel piccolo cortile su cui affacciava l’hotel dove alloggiavano, rendendosi conto solo dopo averli visti sparire che Bokuto aveva dimenticato di prendere con sé la giacca della divisa, nonostante l’aria gelida di quella sera.

L’afferrò al volo, pronta a raggiungerli, quando Yukie la fermò.

“Lascialo perdere, un po’ di freddo gli farà bene per calmare i suoi bollenti spiriti”

“Ma così rischia di ammalarsi!”

“Credimi, in tre anni che lo conosco non lo ho mai visto starnutire una volta, penso che persino i batteri preferiscano non avere niente a che fare con lui” concluse ridacchiando

Shikako sorrise, tornando a sedersi tra Kaori e Komi, mentre sullo schermo di fronte a lei scorrevano le immagini dei set che avevano vinto qualche ora prima. 

Non aveva potuto seguire direttamente la prima partita contro l’Eiwa High School, ma forse era stato un bene, visto quanto gli aveva raccontato Yukie. Ancora non capiva come dopo tutta l’esperienza accumulata in quegli anni e le vittorie che aveva alle spalle, Bokuto potesse ancora comportarsi in modo così irrazionale e infantile. Sospirò, scuotendo la testa: ormai sapeva che questa sfaccettatura faceva parte del suo carattere e, come gli altri membri della squadra che avevano visto scenette simili da ben più tempo di lei, stava imparando anche lei a lasciarsi scivolare di dosso queste sue reazioni esagerate e melodrammatiche.

“Ehi Saru togli la registrazione, il servizio dovrebbe partire adesso!” esclamò Konoha, facendo segno a Sarukui di mettere il notiziario sportivo locale

Nori osservò ancora una volta le immagini delle diverse partite che avevano avuto luogo quel giorno, stupendosi nuovamente del numero elevato di squadre che avevano preso parte all’Interhigh, la competizione a livello nazionale più ambita e conosciuta tra tutte le gare sportive scolastiche. 

Riconobbe il Nekoma, che aveva vinto 2-0 contro la Kiyokawa High School, e non poté non notare come il loro livello di gioco fosse migliorato ancora dopo il loro ultimo scontro alle eliminatorie di Novembre: sentiva come se l’armonia tra i giocatori fosse sempre più salda e palpabile, e nelle veloci inquadrature che li riprendevano notò che quella nuova sintonia era data soprattutto dalla sicurezza che sembrava emanare il loro centrale più giovane, Lev, così diverso dall’incerto giocatore che aveva visto l’ultima volta.

Poi il servizio parlò dell’incontro che più aveva fatto discutere la squadra, soprattutto Bokuto, ovvero il match tra Karasuno e Inarizaki High. I famosi gemelli Miya erano stati battuti da quelli che Kotaro definiva gli interessanti primimi della Karasuno, tra cui spiccava Shoyo Hinata, il suo celebre discepolo, che tanto aveva sentito nominare. 

Effettivamente avevano giocato bene, sembravano un team interessante e ricco di potenzialità, così si ripromise di seguire il loro prossimo match, che li avrebbe visti scontrarsi proprio contro il Nekoma, una partita che si preannunciava a dir poco avvincente.

“Nori-chan, vuoi far vedere ora il video che hai preparato? È già tardi e i bagni dell’hotel chiudono tra un’ora” le chiese Kaori, facendola sobbalzare

“Oh, certo! Vado a chiamare Bokuto e Akaashi, arrivo!” esclamò prima di scattare in piedi e dirigersi verso di loro come un fulmine

Tra le partite e tutti i task da manager che le erano stati affidati dalle sue senpai la giornata era davvero volata, tanto da farle dimenticare della piccola sorpresa che aveva preparato, pensò, arrossendo all’idea.

“Vi stiamo aspettando dentro, c’è una cosa che dovete vedere!” disse, aprendo con uno scatto la portafinestra, cercando di riprendere fiato, mentre i due ragazzi di fronte a lei annuivano con aria interrogativa

Prima di tornare dalla squadra strinse un’ultima volta la chiavetta usb con cui aveva giocherellato fino a quel momento, prendendo un respiro profondo, e ingoiando l’imbarazzo e la tensione che l’avevano improvvisamente assalita.

“E-ero sicura che sareste riusciti ad arrivare al secondo giorno del torneo, e so che potete arrivare molto più in là…” esclamò, cercando di farsi coraggio e di apparire risoluta “Per questo ho voluto fare qualcosa che possa ricordarvi ora, come anche domani, quanto… i gufi della Fukurodani possano volare alto!” disse terminando la frase tutto d’un fiato, facendo segno a Yukie, che fece partire il video alle sue spalle

Nella stanza riecheggiarono le note di Unstoppable cantata da Sia, mentre le immagini e le riprese delle partite e degli allenamenti dell’ultimo anno si mescolavano tra loro, accordandosi al ritmo concitato della canzone, a cui si unì un coro prima di sorpresa, e poi di approvazione, della squadra, tra cui spiccava la voce su di giri di Bokuto.

 

I'm unstoppable

I'm a Porsche with no brakes

I'm invincible

Yeah, I win every single game

I'm so powerful

I don't need batteries to play

I'm so confident

Yeah, I'm unstoppable today

 

Quando per caso le era capitato di ascoltare quella canzone, alcune settimane prima, la prima cosa che le era venuta in mente erano state le riunioni pre-partita con la sua vecchia squadra di pallavolo, dove non si limitavano a discutere degli schemi di gioco o a studiare la squadra avversaria, ma passavano il tempo a spronarsi e a caricarsi a vicenda, cantando e mettendo musica a tutto volume fino a qualche secondo prima di scendere in campo. 

Un ricordo che le era rimasto come indelebile, era quello di un pomeriggio poco prima del loro match di qualificazione ai regionali, la sua prima partita come titolare, in cui una delle sue compagne più grandi aveva mostrato loro un video fatto da lei, che altro non era che spezzoni delle loro partite montati su una canzone degli Imagine Dragons. Non era niente di professionale, anzi, eppure non si sarebbe mai dimenticata l’eccitazione e le urla concitate ed emozionate che avevano scosso le pareti degli spogliatoi, e che le avevano portate verso una vittoria schiacciante, tanto da far diventare quella canzone il loro inno per il resto del campionato, il loro rito personale in cui anche lei, per pochi istanti, si era sentita parte del gruppo.

Uno scenario simile a quello che le si parò davanti in quel momento, in cui vide i suoi attuali compagni di squadra esultare a ritmo della canzone, applaudendo e ridacchiando nel rivedersi con emozione sullo schermo, felici di vedere celebrati i loro traguardi e trepidanti per le prossime vittorie che erano sicuri, ora più che mai, avrebbero presto conquistato.

Si voltò a osservare quei volti festanti, soffermandosi su quello di Kotaro, che più di tutti sembrava pronto a scoppiare come un fuoco d’artificio per la carica di adrenalina che lo aveva investito, e gli sorrise, imprimendo in quello sguardo e in quel sorriso tutta la fiducia che ormai sentiva di aver riposto, mese dopo mese, giorno dopo giorno, in lui.

E lui sembrò capirlo, sembrò comprendere quello che le parole non avrebbero saputo spiegare ma che i loro occhi sembrarono dirsi senza problemi.

 

*

 

Sprofondai nell’acqua bollente della vasca comune con un sospiro soddisfatto, sentendomi come rinascere in quella bolla di calore e vapore in cui ero immersa.

“Aaah, abbiamo fatto proprio bene a insistere con il coach per prendere un albergo quest’anno!” disse Yukie, posizionandosi sotto il getto di acqua calda con espressione beata

“Già, questa volta concordo con te! Un’altra levataccia come l’anno scorso non sarei riuscita ad affrontarla!” le diede corda Kaori, immergendosi fino al mento, mugolando felice

“Cosa?! Vorreste dirmi che per voi stamattina non era presto l’orario di ritrovo?” sussurrai colpita

“Credimi se ti dico che se l’anno scorso siamo riuscite a dormire cinque ore in tre giorni è dir tanto!” mi rispose Yukie, avvicinandosi “Bè, hai visto che alla fine la tua sorpresa ha avuto un super successo? Io te lo avevo detto che sarebbe piaciuta, ti fai sempre troppe paranoie, baka!” disse, dandomi un leggero pizzicotto

“Già” concordai sorridendole 

Ero davvero felice che quel mio piccolo gesto fosse stato tanto apprezzato, soprattutto da Kotaro, che, dopo che il coach si fu congedato e il resto della squadra aveva cominciato a tornare in stanza, mi era venuto a cercare per chiedermi di tradurgli la canzone e per farmi i complimenti per l’idea che avevo avuto.

Ma non era stato quello a colpirmi, quanto quello che aveva detto subito dopo, con un tono completamente diverso, più serio, proiettato verso un futuro che fino ad allora non avevamo mai davvero discusso.

“Promettimi che mi farai dei video così anche quando giocherò come professionista, eh Nori-chin?”

Così aveva detto, con un misto di sicurezza e solennità che mi aveva spiazzato.

Certo, avevo sempre dato per scontato che dopo il liceo avrebbe continuato a giocare, ma sentire quelle parole pronunciate per davvero, aveva immediatamente reso tutto più reale, facendomi realizzare quanto quel futuro non fosse così distante e indefinito come pensavo, ma sempre più prossimo a raggiungerci.

E Bokuto lo aveva capito, nonostante non avessimo mai toccato quell’argomento seriamente, con quella semplice frase aveva messo in chiaro che quella sarebbe stata la strada che avrebbe percorso e imboccato molto presto.

Sentivo che in lui qualcosa era cambiato, ma non sapevo dire con esattezza cosa.

Era come se la sua presenza in campo fosse diventata ancora più forte, quasi come se stesse cercando di imprimere in quelle ultime partite la sua essenza di asso in modo ancora più indelebile: un ultimo canto del cigno come capitano della Fukurodani, prima di dire addio alla squadra e a coloro che erano stati i suoi compagni in quel viaggio lungo tre anni.

Prima di ricominciare un nuovo capitolo, una nuova storia.

“Ehi, vedi di non svenire come l’altra volta, ci servi anche domani!” scherzò Yukie, ridestandomi dai miei pensieri

“Spiritosa” le risposi, schizzandola, per poi immergermi un’ultima volta prima di uscire dalla vasca

Quella notte dormii stranamente come un ghiro, un sonno lungo e profondo, senza sogni, come non mi capitava da tempo. Mi risvegliai riposata e di buon umore, anticipando persino di qualche minuto la sveglia, evento più unico che raro.

E fu un bene, vista la giornata decisamente lunga e impegnativa che mi aspettava.

“Se hai finito di mettere in ordine gli appunti delle partite di ieri posso dire al coach che siamo pronte per parlare degli schemi del prossimo incontro con il Matsuyama Nishi Shōgyō High” mi disse Kaori, chinandosi per appoggiare le borse cariche di borracce e asciugamani puliti

“Ehi, avete visto Akaashi e Bokuto? Non li vedo da un po’… eppure glielo avevo detto di non allontanarsi senza dircelo!” esclamò Yukie, sbuffando spazientita

“Bè, penso che sappiamo tutti dove possano essere, no?” si intromise Konoha, intento a fare un po’ di stretching “In fondo è l’unico match che il nostro capitano non si perderebbe per nulla al mondo!”

Alzai gli occhi dai fogli che avevo in mano per riflettere su quella frase: tra una cosa e l’altra mi ero quasi dimenticata della partita tra Nekoma e Karasuno, la famosa battaglia della discarica, come l’aveva chiamata Kotaro quando mi aveva raccontato dell’accesa rivalità che da sempre era intercorsa tra le due squadre.

“Nori-chan, andresti a chiamarli e a dirgli che stiamo per iniziare il riscaldamento e la riunione pre-partita? In fondo penso che a quest’ora l’incontro potrebbe essere già finito” disse Kaori, prendendo al volo i quaderni che le porgevo

“E vedi di non perderti come ieri mattina, o di non rimanere imbambolata a fissare il gioco anche tu, mi raccomando!” sentii Yukie aggiungere mentre mi mescolavo alla folla tra gli spalti

Il Tokyo Metropolitan Gymnasium era uno degli edifici più imponenti tra tutti quelli che avevamo avuto modo di visitare durante le competizioni dello scorso anno, e tra i tanti studenti, familiari e curiosi che affollavano le tribune, e le numerose squadre che occupavano i tre diversi campi del corpo principale, era facile capire l’importanza che questo torneo rivestiva non soltanto a livello scolastico ma anche nazionale.

Non avevo mai visto così tanti giornalisti e cameramen, nemmeno in Canada, e la cosa rese ancora più chiaro ai miei occhi quanto queste occasioni ufficiali fossero considerate come trampolini di lancio per i futuri giocatori che aspiravano a diventare professionisti o, perché no, le nuove promesse dalla Nazionale.

Vedere tutti quei ragazzi e ragazze, divisi solo dai colori scintillanti delle loro divise e uniti dalla stessa voglia di vincere, superare i propri limiti e gareggiare per l’onore e il buon nome della propria scuola e squadra, mi fece realizzare quanto alta fosse la posta in gioco per cui tutti stavano lottando.

Quanti destini si sarebbero incrociati per l’ultima volta tra queste mura?

Quante scommesse e rivincite sarebbero state saldate tra queste reti?

Quante lacrime e ricordi avrebbero portato tutti a casa nelle prossime ore o nei prossimi giorni, quando sarebbe calato il sipario sull’ultimo evento sportivo di quest’anno scolastico?

Non si trattava solo di conquistare il set, arrivare al prossimo match o di vincere la finale, no, c’era ben altro sotto quelle espressioni tese e sfrontate, sotto quei sorrisi di sfida e di incoraggiamento, qualcosa di più profondo e viscerale, che li avrebbe accompagnati anche negli anni a venire.

Perché le vittorie e le sconfitte sarebbero state dimenticate, lavate via dal tempo, ma le emozioni provate assieme ai propri compagni sarebbero rimaste come marchi indelebili nelle memorie di ciascuno.

Di questo ne ero sicura.

“Ehi, ti sei persa per caso?” 

Mi voltai, sussultando per il tocco sulla spalla che aveva accompagnato quella voce sconosciuta, trovandomi di fronte due ragazzi che indossavano una divisa nera che non riconobbi, identici ad eccezione del colore di capelli, l’unico elemento che li differenziava.

“Tsumu la smetti di importunare le ragazze? Soprattutto quelle che non ti si filano per niente…” disse quello con i capelli color cenere

“Taci Samu! Non vedi che stavo cercando di essere gentile e di aiutarla?!” gli rispose per le rime l’altro, dalla chioma quasi dorata

“Non è una tattica che ti ha portato molto successo finora, o sbaglio?”

“Sempre meglio di te che non hai neanche il coraggio di rivolgere la parola a qualcuna!”

“Questo lo dici tu-“

“Ah, scusate ma non mi sono persa… comunque grazie per l’interessamento!” esclamai, intromettendomi per porre fine a quello strano diverbio in cui mi sentivo tirata in ballo, prima di sgattaiolare via, preoccupata per il ritardo accumulato e per i rimproveri che Yukie mi avrebbe riservato

Decisi di dirigermi verso il tabellone del campo centrale per avere una visuale migliore ma dopo pochi passi finii per imbattermi proprio in Akaashi e Bokuto, che sembravano di ritorno dalla partita.

“Ah, per fortuna siete qui! Vi stiamo aspettando per iniziare il riscaldamento e ripassare gli schemi di gioco del prossimo incontro! A proposito, come è finito il famoso match tra Karasuno e Nekoma? Mi sarebbe proprio piaciuto vederlo!”

“In realtà sono ancora 1-1, è appena iniziato il terzo set, e penso che lo scontro decisivo comincerà proprio adesso” mi rispose Keiji

“Ehi, va tutto bene?” chiesi, voltandomi verso Kotaro che sembrava intento a fissare con aria concentrata un punto indefinito alle mie spalle, lo sguardo corrucciato e tirato, simile all’espressione che precedeva i suoi famosi musi lunghi
 “Chi erano quei due ragazzi con cui stavi parlando?” borbottò con un tono strano, quasi forzatamente disinteressato, ma che, conoscendolo, tradiva tutt’altro che disinteresse ai miei occhi

“Uhm, non vorrei sbagliarmi ma penso proprio che fossero i gemelli Miya…” gli risposi, ripensando alla registrazione della partita vista ieri e collegando finalmente i loro volti

“Cooosaaa?? Non è giusto, anche io volevo incontrarli! Volevo troppo parlare con Atsumu visto che non abbiamo avuto modo di giocare assieme quest’anno!!” brontolò, imbronciandosi 

“Su, su, sono sicura che se è destino in qualche modo le vostre strade si incroceranno di nuovo” gli dissi, trascinandolo a forza per fargli capire di darsi una mossa “Ora però vedi di pensare al prossimo match, scommetto che vedere giocare Kuroo e i tuoi famosi discepoli ti ha fatto venire ancora più voglia di dare il massimo, vero?”

“Già!” esclamò con tono eccitato, sciogliendosi in un sorriso tronfio

“Ricordati che se vinciamo finiremo per scontrarci con uno dei tre migliori assi del Paese” aggiunse Keiji, cercando di riportarlo con i piedi per terra ma provocando invece la reazione opposta

“Hey, hey, hey, vi state forse dimenticando che avete di fronte colui che diventerà il migliore tra gli assi?” dichiarò lui, con la sua solita sicurezza e sbruffonaggine, che sapevo nascondevano una sconfinata fiducia nelle proprie capacità e in quelle della squadra, sempre pronta a supportarlo e a seguirlo in ogni sua mossa e decisione

Scossi la testa lasciandomi scappare un sorriso, lanciando poi una veloce occhiata d’intesa ad Akaashi, i cui occhi brillavano della stessa emozione e voracità che avevo letto nello sguardo di Bokuto.

Le partite dei prossimi giorni sarebbero state impegnative e ricche di soddisfazioni, ne ero sicura, ora più che mai.

Qualunque cosa sarebbe successa ero certa che saremmo arrivati lontani, che il Fukurodani avrebbe volato alto ancora una volta.

 

*

 

La palestra era silenziosa quella sera: le finestre ancora aperte per lasciare arieggiare la stanza dopo gli allenamenti, le borracce svuotate e allineate sulle panchine sgombre, mentre una luna pallida illuminava i pavimenti di linoleum appena tirati a lucido.

Nori si chinò sul borsone abbandonato a terra, frugando tra le tasche finché non trovò quello che stava cercando.

“Sto arrivando, dammi un secondo!” borbottò sovrappensiero, in risposta ai richiami lamentosi che sembravano provenire dagli spogliatoi

“Sei ancora qui? Pensavo te ne fossi già andata” esclamò Yukie sbadigliando, comparendo alle sue spalle “Ci pensi tu a chiudere allora? Io sto crollando dal sonno”

“Sì, tranquilla, Bokuto ha le chiavi” le rispose tirandosi su e rassicurandola

“Okay, a domani allora… e vedete di non approfittarvene troppo visto che siete soli soletti, eh piccioncini?” aggiunse, lanciandole un ultimo sguardo allusivo prima di scomparire oltre la porta di ingresso

Shikako si lasciò scivolare addosso quelle parole senza battere ciglio, ormai abituata alle frecciatine della sua senpai e della squadra, e comunque troppo stanca per controbattere.

Si stiracchiò, assaporando l’insolito silenzio che aleggiava quella sera, così diversa dalle atmosfere concitate e rumorose che quelle pareti avevano ospitato fino a qualche settimana prima, nei giorni precedenti al torneo primaverile.

Ma l’Interhigh era passato, chiudendo così un cerchio per lei, ma soprattutto per tutti gli studenti del terzo anno, che avrebbero presto detto addio alla squadra, e anche alla pallavolo in alcuni casi.

Proprio per questo motivo gran parte dei ragazzi aveva cominciato a bazzicare meno la palestra o, come Sarukui e Komi, a passare solamente per fare qualche tiro e per un saluto veloce, presi ormai dagli ultimi impegni scolastici prima del diploma o dal cercare di fare chiarezza sul futuro che li attendeva dopo il liceo. 

Altri invece continuavano a venire agli allenamenti con più o meno la stessa assiduità, come Konoha e Washio, che puntavano a portare avanti la loro passione sportiva di pari passo alla carriera professionale che avevano scelto di intraprendere.

Ma se c’era qualcuno che invece non era cambiato di una virgola quello era Bokuto, che aveva continuato ad allenarsi imperterrito, senza concedersi una minima tregua dopo il torneo, anzi, a volte arrivando anche a strafare, come se si stesse impegnando per approfittare di ogni ultimo istante a disposizione per giocare assieme ai compagni di sempre, e sentirsi ancora parte di quella squadra che presto si sarebbe lasciato alle spalle.

Nori aprì la porta degli spogliatoi maschili, trattenendo a stento una risata di fronte all’esagerata smorfia di dolore dipinta sul viso di Kotaro, che, sdraiato a pancia in giù sul materasso in fondo alla stanza la guardava con aria supplichevole.

“Ecco cosa succede a voler esagerare, testone” mormorò lei, schiacciando il tubetto della crema per le contusioni sulla sua schiena nuda

“Ahi, ma è fredda!” brontolò lui, sorpreso

“Magari vorresti pure che te la scaldassi, eh?”

“Sì graziee-”

Lei si chinò su di lui per lanciargli un’occhiataccia che non ammetteva repliche, zittendolo all’istante.

“Fai pianooo” mugugnò lui quando senti la sua mano cominciare a stendere la pomata

Shikako sospirò, armandosi come al solito di pazienza, sforzandosi di essere più delicata.

Era sempre il solito bambinone per certi versi, ma questa cosa un po’ la rassicurava, le faceva credere che nonostante tutto non sarebbe mai cambiato, rimanendo sempre il solito ragazzo testardo, lunatico, pieno di energie e bisognoso di attenzioni che era sempre stato.

Perché in fondo lei sapeva che quando la situazione lo richiedeva sapeva trasformarsi in un capitano sicuro di sé e affidabile, capace di prendere le redini della squadra e guidarla verso la vittoria.

E questo lo aveva dimostrato tante volte, soprattutto durante le ultime partite che aveva giocato all’Interhigh, dove era riuscito a stupire lei e i suoi compagni ancora una volta.

Quando aveva visto Akaashi vacillare ed essere sostituto durante il match contro il Mujinazaka High aveva temuto il peggio, perché mai avrebbe potuto dubitare del suo sangue freddo e della sua capacità di analisi di gioco, eppure era successo; ma Bokuto, a differenza degli altri, non si era lasciato toccare da quell’inaspettato inconveniente, e aveva tenuto alto il morale della squadra nell’attesa che il suo vicecapitano tornasse in sé.

Aveva saputo dargli il tempo di calmarsi e realizzare i propri sbagli senza fretta, senza pressioni, rispettando quella vulnerabilità uscita improvvisamente allo scoperto, che per troppo tempo aveva tenuto nascosta. E infatti quando Nori dagli spalti aveva finalmente visto Keiji tornare in campo, all’inizio del secondo set, aveva subito capito che era riuscito a fare chiarezza sui dubbi che lo avevano deconcentrato, apparendole come più consapevole del suo ruolo nella squadra: tutto merito di Bokuto, e della fiducia che aveva da sempre riposto in lui, la sua incrollabile spalla, che per una volta si era lasciata sorreggere da quella stessa forza che in tutti quegli anni si era impegnato ad alimentare e sostenere.

E per tutto il resto del match Kotaro non aveva fatto altro che continuare a stupire tutti: dal coach al pubblico, dai suoi compagni a lei, che non gli aveva staccato un secondo gli occhi di dosso per tutta la durata di quei tre lunghissimi set.

Aveva giocato benissimo, anche più del solito, dimostrando agli spalti in estasi la sua caparbietà, la sua incrollabile voglia di andare avanti, la sua inesauribile forza di volontà ed energia, doti che gli avevano permesso di spazzare via con facilità ogni ostacolo sul suo cammino, ogni muro sulla sua traiettoria di tiro.

Quella stessa sera non le aveva fatto chiudere occhio e l’aveva inondata di commenti post-partita: sull’asso della squadra avversaria, Kiryu Wakatsu; su Akaashi e su come fosse riuscito per una volta ad avere l’ultima parola con lui; su l’attenzione e l’affetto del pubblico che era stato in grado di catturare in campo. 

Aveva parlato senza sosta, gli occhi che brillavano per l’emozione, proiettati già verso la prossima partita, verso la prossima vittoria.

Occhi che non avevano smesso di guardare avanti nemmeno dopo la sconfitta nella finale contro l’Ichibayashi, e che non avevano ceduto nemmeno quando tutta la squadra si era sciolta in lacrime durante gli abbracci finali al termine del torneo.

Anche Nori aveva pianto, e molto, forse più di tutti, e non riusciva a capire perché.

Le era bruciata quella sconfitta, ma non era solo questo, era come se non volesse che tutto questo finisse, come se non fosse ancora pronta a lasciar andare quella che era stata la sua realtà e quotidianità negli ultimi mesi.

“Ehi, non ti sarai mica addormentata?” le chiese Bokuto, voltandosi a guardarla 

Lei in tutta risposta riprese a massaggiargli la schiena, sentendolo mugolare sotto i suoi tocchi decisi ma energici, pronti ad affondare nei suoi punti più tesi.

Kotaro non aveva mai dato segni di cedimento durante l’Interhigh, nemmeno dopo quella sconfitta.

Nemmeno per un istante.

Era rimasto saldo nella sua posizione di asso, incassando ogni colpo senza arretrare di un millimetro.

Senza versare una lacrima.

Shikako si lasciò scivolare sulla sua pelle nuda, appoggiando la guancia all’altezza delle sue scapole, facendolo sussultare, fino a quando non riuscì a sentire il suo battito, sempre più accelerato.

“Come fai… a non crollare mai?” gli sussurrò, sentendolo rabbrividire

Lo vide prendere tempo, come se avesse capito tutto ciò che quella domanda, all’apparenza semplice, nascondesse in realtà.

“Non posso. Come asso e capitano lo devo alla squadra. Spetta a me inspirare i miei compagni, abbattendo ogni muro, colpendo ogni singola palla, senza mai cedere, mostrandomi sempre sicuro. È il mio dovere, e la strada che ho scelto di percorrere!” le rispose, con una voce pregna di quella saggezza che spesso sfoggiava, e che spiazzava sempre chi lo ascoltava 

Nori capì cosa intendesse dire con quelle parole, ma quella risposta la colpì lo stesso, scolpendosi nella sua mente, mentre la sua mano scivolava verso le spalle tese di Bokuto: spalle che portavano il peso delle aspettative e degli sforzi di tutti i suoi compagni, spalle che non potevano essere piegate da nulla ma che dovevano mostrarsi sempre all'altezza della fiducia riposta, senza mai poter cedere, o spezzarsi.

Spalle che erano diventate lo scudo e il simbolo per quella squadra che aveva deciso di affidare le proprie speranze, ambizioni e sogni al suo asso, senza mai esserne delusa o doversene pentire.

Ma l’esperienza le aveva insegnato che spesso le persone più forti sono quelle che soffrono di più, che anche i muri più alti e solidi nascondono fessure che ne rivelano la fragilità.

Bokuto non era forte e invincibile, ma aveva scelto di esserlo, o meglio, di volerlo diventare.

Lo aveva capito in quegli ultimi mesi passati assieme quanto tutta quella sfrontatezza e sicurezza nascondessero in realtà le stesse incertezze che tormentavano lei, Akaashi o chiunque altro.

Lui aveva semplicemente scelto di non crogiolarvisi e di andare avanti, di non lasciarsi intrappolare dal passato, ma di vivere il presente con occhi spalancati e pronti ad afferrare tutto ciò che si sarebbe profilato all’orizzonte, senza farsi troppe domande ma pensando solo a vivere, o meglio, come diceva sempre, a divertirsi, dando sempre il massimo.

Eppure anche lui, ora che ci pensava, era umano e capace di crollare, di scendere da quel piedistallo che si era costruito da solo negli anni.

E di questo ne era stata testimone quando, il giorno dopo la finale, si era presentato a casa sua senza proferire parola, costringendola a passare tutto il pomeriggio stretti in un abbraccio fatto solo di silenzi, cosa che l’aveva inizialmente fatta preoccupare, ma che poi aveva capito essere il suo modo di mostrarle quel lato fragile e infantile che ogni tanto usciva prepotentemente, obbligandolo a fermarsi, anche solo per un po’.

Giusto il tempo di riprendere le forze, prima di spiccare nuovamente il volo verso nuove vette.

Nori si tirò su a sedere, osservando ancora una volta le spalle e la schiena di Kotaro, che fino a quel momento non avevano fatto altro che addossarsi il peso di ogni scelta, vittoria o sconfitta, curvandosi per proteggere ogni singolo membro della Fukurodani, offrendo loro quella visuale capace di ispirarli e spingerli a oltrepassare sempre i propri limiti.

“Ecco allora perché sei così teso e pieno di contratture” disse, affondando un dito su quella pelle gonfia, facendolo involontariamente urlare per il dolore

E mentre lo vide voltarsi per guardarla con aria offesa, lamentandosi per quel colpo basso, sentì le labbra curvarsi in un sorriso, mentre un’improvvisa realizzazione si faceva largo in lei.

Nessuna vittoria avrebbe potuto sostituire o battere tutta la forza di volontà e il supporto che in quegli anni Bokuto aveva saputo offrire alla squadra, e che fino al suo ultimo giorno come capitano non avrebbe esitato a dare.

Quello sarebbe stato il miglior ricordo che avrebbe lasciato loro.

Ne era sicura, perché in fondo lei per prima sapeva di aver imparato tanto da lui, che l’aveva spinta a riscoprire parti di sé che non pensava nemmeno di possedere, accompagnandola su strade che non credeva avrebbe mai percorso.

E capì che tutto quello che ora le restava da fare era continuare in quella direzione, seguendo il vento che ogni giorno sembrava trascinarla verso nuovi traguardi e scoperte, senza dimenticarsi mai di provare a essere coraggiosa, come il ragazzo di fronte a lei. 

 

 

 

- - -
 
N O T E
 
 
Buon anno a tutti! Non pensavo che questo capitolo sarebbe arrivato in modo tanto azzeccato ma ci siamo nuovamente sincronizzati con la storia, yay! Questo capitolo mi ha preso e dato tanto, ci sono molto affezionata perché mi ha dato modo di chiudere un cerchio sul Bokuto giocatore, e lasciato un altro po’ di spazio (che dedicherò nei prossimi ultimi capitoli) per dedicarmi al Bokuto ragazzo/studente/giovane uomo etc. Nella prima parte ho cercato di imprimere quanto più potevo l’atmosfera di inizio anno nipponica, purtroppo frutto di tante ricerche e non di un’esperienza personale (per ora! Quest’anno vorrei che fosse FINALMENTE l’anno in cui riesco a mettere piede in Giappone! XD). Poi ho dedicato il giusto spazio all’Interhigh, che nel canon ha moltissima importanza, attingendo alle partite giocate e infilando qualche sorpresina (i Miwa ritorneranno, o meglio, Atsumu ritornerà!). L’ultima parte è la mia preferita, in cui ho cercato di inquadrare ancora di più il personaggio e le relative sfaccettature di Bokuto <3

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi faccio ancora tanti auguri per un anno più sereno e fortunato (ce lo meritiamo!).

A presto <3

Mel

 

P.S. L’ispirazione per usare nella storia la canzone di Sia me l’ha data questo video stupendo che vi consiglio tantissimo.

 

 

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Capitolo 12
*** Febbraio ***


F E B B R A I O

如月

 

 tracks n°58-60-61
chapter pic

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Aveva di nuovo fatto lo stesso sogno.

Un sogno strano, che a tratti le evocava ricordi che pensava sepolti ormai da tempo.

E ogni volta che lo faceva si aggiungeva un dettaglio nuovo, un tassello enigmatico che la lasciava confusa al risveglio.

È in una foresta, la stessa in cui da piccola i suoi genitori erano soliti portarla nei weekend, appena fuori Vancouver, ma è più spoglia di come la ricordava, come se fosse sopravvissuta a stento al più gelido degli inverni.

Non ci sono suoni o colori, solo una piccola macchia lontana, che pian piano prende forma, fino ad assumere le sembianze di un cervo, dallo sguardo gentile ma malinconico.

Ad un certo punto un vento improvviso inizia a scuotere gli alberi circostanti e sulla radura compare per un’istante l’ombra indefinita di un uccello, subito seguita da una sfera di luce, che cattura l’attenzione del cervo, che, incuriosito e spaventato allo stesso tempo, inizia a seguirla, fino ad oltrepassare i confini della foresta, arrivando sulle sponde di un mare calmo.

Dalle acque emerge un Tori rosso fuoco, a cui l’animale si avvicina, fino ad attraversarlo.

E quando succede le piccole corna cominciano a crescere fino a diventare rami rigogliosi, carichi di fiori variopinti.

Ed è in quel momento che l’uccello di prima ricompare, rivelando finalmente il suo aspetto: un gufo, che plana sulle corna del cervo, fino a appollaiarvisi in cima, illuminato dai raggi di un sole sempre più luminoso e caldo.

Sempre lo stesso sogno, ma quella notte era stata diversa.

Per la prima volta non era più spettatrice di quella scena, ma ne era lei stessa protagonista.

Era lei il cervo.

“Nori-chan ci sei? È la terza volta che ti chiamo, non ti senti bene?” 

Nori si voltò verso Ume, che la guardava con un misto di preoccupazione e curiosità, e scosse la testa.

“Non è niente, stanotte ho solo dormito poco… e male” le rispose, trattenendo a stento l’ennesimo sbadiglio

“In effetti sei un po’ pallida! Ah, pensavo di andare alle macchinette prima che finisca l’ora di studio individuale, vuoi che ti porti qualcosa da bere?”

“Sì grazie, del te al latte per favore”

La seguì con lo sguardo finché non la vide scomparire oltre la porta in fondo all’aula, per poi tornare a fissare il suo riflesso sulla finestra più vicina, persa ancora in quelle atmosfere oniriche che non sembravano volerla abbandonare, riempiendole la testa di domande e ipotesi.

Senza perdere altro tempo si chinò ad afferrare il piccolo quaderno, regalatole da Bokuto, nascosto tra i libri che ingombravano la cartella abbandonata a terra, decisa a mettere nero su bianco i pensieri che le affollavano la mente.

“Hai avuto un’idea per una nuova storia, Nori-san?” la voce di Akaashi le arrivò lontana, come un flebile eco, tanto era concentrata nella scrittura, ma si obbligò comunque ad alzare la testa dal foglio per rispondergli

“Mmm non so ancora di cosa si tratta, ma avevo voglia di mettere per iscritto alcuni appunti…”

“Capisco, ha a che fare con il sogno che mi hai raccontato la settimana scorsa?”

“Sì… come hai fatto a capirlo?”

“Diciamo che ti si legge in faccia che non hai chiuso occhio ieri notte” ammise, come al solito senza tanti giri di parole

“Non sei il primo a farmelo notare e in effetti sto proprio morendo di sonno” rispose lei, stiracchiandosi e lanciando un’occhiata sovrappensiero alla finestra alle spalle di Keiji

“Ma sbaglio o i vetri si sono ghiacciati? Non faceva così freddo stamattina!” esclamò, rabbrividendo all’idea del gelo che avrebbe dovuto affrontare tra poche ore

“In realtà è da un po’ di giorni che dicono che questo weekend nevicherà, forse già da stasera”

“Davvero?”

Che strano, non aveva nevicato per tutto Gennaio e proprio quando sembrava che la primavera stesse arrivando in anticipo le temperature si erano abbassate di nuovo.

Sentì la campanella suonare e con un sospiro ripose il quaderno nel ripiano sotto il banco, in attesa della prossima pausa.

La giornata volò con la stessa velocità con cui i fiocchi di neve cominciarono a cadere ed attecchire al suolo, ricoprendolo in poche ore di uno spesso manto bianco, senza accennare a smettere.

Nori si trascinò controvoglia verso la palestra 3, stringendosi nel cappotto pesante nel tentativo di proteggersi dal vento gelido che aveva cominciato ad alzarsi, e che stava trasformando quell’innocua nevicata in una fastidiosa tormenta.

“Ehi, c’è nessuno?” esclamò, chiudendosi con uno scatto la porta alle spalle, fissando la sala illuminata ma deserta

“Nori-chan, siamo qui! Per fortuna sei venuta almeno tu!” sentì Bokuto urlarle in risposta, vedendolo uscire dagli spogliatoi insieme ad Akaashi

“Che ci fate qua?! Non avete ricevuto il messaggio di Kaori? Il coach ha detto che la scuola ha sospeso le attività dei club fino a domani vista l’allerta meteo prevista nelle prossime ore” disse lei, sfilandosi la sciarpa “Ho visto le luci accese e sono venuta a controllare se ci fosse qualcuno… non ditemi che avete intenzione di allenarvi lo stesso!” aggiunse, vedendoli già cambiati e pronti per il riscaldamento

“Nori-san, ho provato a spiegarglielo, ma lo conosci… sarebbe venuto lo stesso anche se non lo avessi accompagnato, quindi…” le rispose Akaashi, scrollando le spalle

“Immaginavo che sarebbe finita così” borbottò, guardando male Kotaro, che in risposta le sorrideva con aria innocente

Sapeva quanto inutile sarebbe stato insistere, l’unica alternativa era quindi quella di rimanere con loro, in modo da potersi accertare che Bokuto non combinasse altri danni, perché se Yukie li avesse scoperti sapeva già chi si sarebbe beccata una bella lavata di capo.

“E va bene, ma al massimo per le 7 si torna a casa, o rischiamo di rimanere bloccati qui” concesse alla fine, dirigendosi verso gli spogliatoi, morendo dalla voglia di togliersi la gonna fradicia e gelida e infilarsi i pantaloni caldi e asciutti della tuta

Dopo essersi cambiata decise di approfittarne per sistemare lo sgabuzzino, cosa che Kaori le aveva chiesto spesso ma che tra un impegno e l’altro aveva sempre finito per rimandare.

Si tiro su le maniche della felpa e cominciò a svuotare e riordinare i registri e i vecchi quaderni del club, per poi passare al rimettere a nuovo i palloni sgonfi e malandati che erano stati abbandonati tra le scope e i secchi dell’acqua, e infine si concesse una piccola pausa, sprofondando con un tonfo sul vecchio materasso impolverato che occupava gran parte dello stanzino.

Chiuse gli occhi per qualche secondo, sentendo la stanchezza accumulata piombarle addosso come un macigno, mentre dalla finestra che dava sui campi di calcio dell’Accademia il vento sibilava come una ninna nanna, riempiendo i vetri opachi di neve e brina.

“Nori-chin? Nori-chin!”

Possibile che non poteva riposarsi neanche cinque minuti?

“Nori-chin sono le 9!”

“Eh!?”

Shikako si tirò su di botto, finendo quasi per scontrarsi con la fronte di Bokuto, che si era chinato su di lei nel tentativo di svegliarla.

“In che senso sono le 9? Ho dormito così tanto?! Perché non mi hai svegliata??” esclamò lei presa dal panico, prendendo il telefono per controllare l’orario, sperando in cuor suo che Kotaro si stesse sbagliando

“Avevi un’espressione così tranquilla e beata che abbiamo deciso di lasciarti dormire! Akaashi mi ha detto che ieri notte non hai chiuso occhio, è vero?” le chiese, aiutandola a tirarsi su dal materasso

Nori cercò di darsi una calmata, convincendosi che forse sarebbe riuscita a tornare a casa lo stesso ad un orario decente se avesse preso la Chiyoda Line invece della Yamanote Line, ma in quel momento si accorse che sua madre le aveva scritto, cosa insolita visto che a quell’ora di solito non era ancora a casa.

“Nori-chan va tutto bene? Sei bianca come un lenzuolo!”

“M-mia mamma mi ha appena scritto per chiedermi dove sono visto che hanno momentaneamente bloccato la metro e gli autobus per alcuni guasti provocati dalla neve…”

“Eh?? Dici sul serio?! Allora Akaashi ha fatto bene ad andarsene un’ora fa…”

Lei lo guardò spiazzata, prendendo un respiro profondo e attingendo a tutte le ultime riserve di pazienza rimaste per sfuggire alla tentazione di lanciarlo fuori dalla finestra.

Poi, dopo aver recuperato la tracolla e il cappotto, si diresse a grandi falcate verso l’ingresso della palestra mentre alle sue spalle Bokuto cercava di raggiungerla.
 “Ti sei arrabbiata Nori-tan? Ho fatto qualcosa di male?” le chiese saltellandole attorno per attirare la sua attenzione, il viso contratto in un’espressione interrogativa e preoccupata

Lei decise di ignorarlo ancora un po’, e con uno scatto aprì la porta che aveva davanti, venendo così investita da un cumulo di neve che le ricoprì le scarpe, bagnandole le caviglie.

“Woah, ha davvero nevicato un sacco!” esclamò Kotaro, distratto dalla vista della distesa bianca che aveva coperto e trasformato gli edifici e i campi della scuola, completamente nascosti da uno spesso strato di neve compatta e gelida

“Non ci voleva, ho pure il telefono scarico!” brontolò Shikako, indecisa sul da farsi, fissando la tormenta che imperversava attorno a loro, come ipnotizzata

Bokuto le sfilò il cappotto di mano appoggiandoglielo sulle spalle ghiacciate, circondandola con le sue braccia per cercare di proteggerla dai rivoli di vento freddo che tagliavano l’aria.

“Possiamo tornare dentro e aspettare che smetta di nevicare oppure-“

“Mettono neve fino a domani mattina non possiamo mica rimanere qui tutta la notte, baka!”

“…puoi fermarti da me” 

Nori alzò lo sguardo su di lui notando che era serio e per nulla in imbarazzo, al contrario di lei che sentì un brivido percorrerle la schiena all’idea che quella frase evocava nella sua mente.

“A piedi ci mettiamo poco, anche con questa neve. Tanto te l’ho detto che i miei rimarranno a Chiba ancora per un po’, no? Da quando mia sorella ha partorito mia mamma non fa che parlare di quanto adori la sua nuova nipotina, si è completamente dimenticata di avere un figlio e una casa a Tokyo!” aggiunse, sorridendole

“Va bene” mormorò lei dopo qualche minuto, cercando di tenere a bada l’emozione che le incrinava la voce

“Dici sul serio??” 
 “Cos’è quella faccia sorpresa? Me lo hai chiesto tu, no?”
 “Sì ma non pensavo che mi avresti detto subito di sì! Ero convinto che avrei dovuto convincerti un po’ di più!”

“E sentiamo, cosa mi avresti detto per farmi accettare?”

“Beh… diciamo che ho diversi assi nella manica!” le rispose, ghignando soddisfatto per quel gioco di parole “Aspetta… l’ho detto giusto vero?”

“Sì, sì…” disse Nori, sorridendogli, sentendosi improvvisamente più tranquilla, rassicurata dalla sua stretta

Forse la primavera non sarebbe arrivata a breve come desiderava, ma in fondo anche quell’hanami non era affatto male, pensò, osservando la neve cadere come petali intorno a loro, inghiottendo ogni rumore.

 

*

 

Non mi sembrava vero di essere finalmente arrivati a casa di Bokuto, al caldo e all’asciutto.

Eravamo entrambi zuppi, visto che nessuno dei due aveva pensato bene di recuperare un ombrello: Kotaro soprattutto, i capelli pregni di candido nevischio, assomigliava proprio ad un buffo gufo delle nevi.

“Ah, torno subito!” esclamò dopo essersi tolto in fretta le scarpe, mollando a terra la sacca sportiva e lanciandosi alle spalle il cappotto, che tentai di afferrare al volo

Mi guardai i capelli fradici e frugai nella tracolla alla ricerca di un fazzoletto, ma in quel momento sentii qualcosa posarsi sulla mia testa e rialzando lo sguardo mi accorsi dell’asciugamano che Bokuto mi aveva appoggiato sulle ciocche umide.

“È meglio se ti cambi subito quei vestiti bagnati o finirai per ammalarti! Forse è rimasto qualcosa di Michiko e Satsuko tra gli scatoloni in soffitta…” disse trotterellando verso le scale

Mi sentivo frastornata e stanca nonostante le ore di sonno recuperate, così mi lasciai scivolare sul tatami, ricordandomi solo in quel momento che non avevo più risposto a mia madre.

“Nori-chiiiin!” mi sentii chiamare dal piano di sopra

Tentennai ancora qualche secondo, fissando lo schermo incerta, per poi decidermi a premere invio e a raggiungere Kotaro.

Alla fine avevo optato per la verità, non volevo nascondermi dietro l’ennesima scusa improvvisata, non dopo tutto questo tempo. Ero sicura che anche lei la pensasse come me e che avrebbe capito la situazione senza fare storie. 

Ma a preoccuparmi in realtà non era mia madre, ma mia nonna piuttosto.

“Ti ho preparato un bagno caldo! Ah, se l’acqua è troppo bollente dimmelo!” esclamò Bokuto quando lo ebbi raggiunto in bagno

Quando finalmente realizzai ciò che quel gesto implicava cominciai a sentire le guance andarmi lentamente a fuoco, ma mi imposi di mandare giù il mio sciocco imbarazzo, soffermandomi su quelle sue piccole attenzioni, che come sempre mi spiazzavano. Ancora una volta mi accorsi di quanto era cambiato: davanti a me non vedevo più il giocatore coccolato e viziato dalla sua squadra ma un ragazzo ormai maturo, attento alle persone che lo circondavano e desideroso di meritare la fiducia che riponevano in lui.

“G-grazie” risposi infine

Lo guardai sorridermi compiaciuto, per poi rialzarsi e dirigersi verso la porta per lasciarmi sola, e mi accorsi allora della felpa completamente bagnata e delle ciocche incollate al viso arrossato: avevamo chiuso la palestra in fretta e furia, e non aveva avuto neanche il tempo di togliersi i vestiti sudati per l’allenamento e di farsi una doccia. 

Anche la persona più sana avrebbe potuto rischiare di ammalarsi in condizioni simili e non volevo che corresse questo rischio, non ad un mese dal diploma, non in un momento tanto delicato per il suo futuro.

“Aspetta!” esclamai, facendolo voltare “Rischi di prenderti come minimo un raffreddore se non ti togli quei vestiti, dovresti farti un bagno caldo anche tu e non aspettare che finisca io-“ dissi, per poi bloccarmi dopo aver realizzato quello che implicitamente avevo detto  

Bokuto mi guardò con aria interrogativa, per poi aprirsi in un sorriso entusiasta quando finalmente capì cosa gli stavo proponendo tra le righe.

Senza ulteriori indugi lo vidi spogliarsi con nonchalance, gettando alla rinfusa i vestiti sul pavimento del bagno, per poi posizionarsi sotto il getto della doccia giusto il tempo di insaponarsi e sciacquarsi, prima di immergersi, mugolando felice, nell’acqua limpida e bollente della vasca.

Cercai di riprendermi da quel piccolo shock, colpita dalla velocità che aveva impiegato per prendermi in parola, e, imponendomi di non lasciarmi vincere dal crescente imbarazzo che quella situazione mi provocava, cominciai a sfilarmi la tuta. 

Una piccola parte di me era tentata di dare le spalle a Bokuto, che mi osservava in attesa, o di chiedergli di chiudere gli occhi, ma in fondo, dopo gli ultimi mesi, dopo quello che avevamo trascorso, dopo quanto mi ero messa a nudo davanti a lui, e non solo fisicamente parlando, perché avrei dovuto vergognarmi di mostrarmi ai suoi occhi?

“Non stai troppo stretto?” mormorai dopo aver preso posto nella vasca, sentendo finalmente ogni fibra del mio corpo sciogliersi nel calore e nel vapore che ci circondava

Lui scosse la testa, continuando a guardarmi con aria assorta, senza ancora smettere di sorridere.

“Che c’è? Perché mi fissi?” chiesi, mettendomi a giocherellare con alcune ciocche di capelli per sfuggire a quello strano sguardo indagatore

“Sei davvero bella Nori!” mi rispose candidamente, allargando il suo sorriso, prendendomi come sempre in contropiede

Alzai gli occhi su di lui, sentendo un brivido attraversami nonostante l’acqua bollente in cui ero immersa, e, stando attenta a non perdere l’equilibrio, mi avvicinai, per poi dargli le spalle e scivolare sul suo petto, sentendo subito le sue braccia avvolgermi, il suo battito irregolare sulla mia schiena nuda.

Negli ultimi mesi mi ero fatta l’idea di essere abbastanza brava con le parole, ma in quel momento mi resi conto quanto questa mia supposizione fosse in parte errata: certo, mi piaceva scrivere e sentivo che quando lo facevo i concetti che mi frullavano in testa divenivano improvvisamente più chiari, ma senza una pagina bianca da riempire la mia sicurezza veniva subito meno, lasciandomi spaesata e incerta, preda di continue paranoie. 

Ma se c’era un'altra cosa che il tempo e l’esperienza mi avevano insegnato era che ci sono momenti in cui le parole risultano superflue, dove anche la più bella frase impallidisce di fronte al coraggio di un gesto, di un passo avanti. 

E con Bokuto era così: sentivo che qualsiasi cosa avrei potuto dirgli non sarebbe stata mai abbastanza, solo un semplice eco rispetto alla profondità dei sentimenti che giorno dopo giorno sentivo di provare per lui. 

Così avevo deciso di mettere da parte le parole, e di lasciar parlare, invece, le mie azioni.

Chiusi gli occhi, smettendo finalmente di pensare quando sentii la mano di Kotaro accarezzarmi la nuca e perdersi nei miei lunghi capelli, fino a scendere sulla schiena, facendomi rabbrividire ancora una volta e perdere così l’ultimo briciolo di lucidità rimastomi.

 

*

 

“Pensavo che almeno Satsuko avesse lasciato qualche pigiama, ma in soffitta non ho trovato niente, solo alcuni vecchi yukata!” dichiarò con aria sconfitta Bokuto, lasciandosi cadere con un tonfo sul letto 

Nori strinse ancora più a sé il lenzuolo per coprire la pelle nuda, cominciando finalmente a provare un po’ di freddo, sentendo la mancanza del calore del ragazzo di fronte a lei.

“Sicura che non riesci a dormire così? Io dormo sempre in mutande, e d’estate a volte anche se-“

“Non sono mica una stufa ambulante come te, baka!” esclamò lei, arrossendo

“È vero, in effetti sei sempre ghiacciata” disse, voltandosi e cominciando ad avvicinarsi

“È perché a differenza di te ho il sangue freddo, letteralmente…” rispose, bloccandosi quando lo vide chino su di lei, un sorriso strano a increspargli le labbra

“Ah, e se mi prestassi quella?” disse Shikako, indicando una t-shirt azzurra abbandonata sulla sedia della scrivania, scegliendo così di cedere alla proposta di Kotaro di mettersi qualcosa di suo pur di distrarlo

Ma si accorse solo dopo che lo vide alzarsi per prendergliela di quale maglietta si trattasse in realtà. Non aveva scelto una maglia qualsiasi infatti, ma proprio il famoso cimelio che dal torneo primaverile del secondo anno Bokuto non aveva mai smesso di indossare come portafortuna tra un allenamento e l’altro.  

“S-sei sicuro? Ci sei molto legato in fondo…”

“Non ti preoccupare Nori-chin, solo perché sei tu posso fare un’eccezione e prestartela” scherzò, porgendogliela “Ma non avrai freddo solo con questa?”

Shikako scosse la testa e se la infilò, rituffandosi subito sotto le coperte, per poi allungarsi verso il comodino per spegnere la luce.

“Buonanott-“

“Ah, aspetta! Vuoi già dormire? Io non ho per niente sonno, e poi…”

“Cosa?”

“Di solito dormo con una luce accesa”

“Stai scherzando?” chiese lei girandosi per guardarlo stupita
 “Però se ti tengo stretta stretta forse posso farcela a dormire senza!” le rispose afferrandola e intrappolandola in un abbraccio soffocante

“Così non respiro però…” cercò di dire Shikako, imprigionata sul suo petto, nascondendo un sorriso divertito

Per qualche istante Bokuto sembrò calmarsi, così Nori ne approfittò per chiudere finalmente gli occhi, percependo quanto il calore del bagno di prima avesse davvero fatto effetto sul suo corpo teso e stanco, ora più che mai pronto ad abbandonarsi ad un meritato e agognato riposo.

Ma non passarono neanche cinque minuti che lo sentì rigirarsi tra le lenzuola, sbuffando impaziente.

“Nori sei sveglia?”

“Mmm”

“Non riesco a dormire se prima non ti dico una cosa, non ce la faccio a tenerla segreta anche a te!” 

“Di cosa stai parlando?” disse lei, svegliandosi del tutto, e guardandolo in attesa

“Beh il coach mi ha promesso di non dirlo a nessuno, nemmeno a te o ad Akaashi, ma…”

“Se ti ha detto così ci sarà un motivo, quindi forse non è il caso che ne parliamo…”

“Lo so, ma non ce la faccio più! È tutto il giorno che muoio dalla voglia di parlartene!! Se oggi pomeriggio non fossi arrivata in palestra proprio in quel momento probabilmente avrei finito per dirlo anche ad Akaashi!”

“E va bene, sentiamo questa cosa così impellente!” disse infine Nori, appoggiandosi su un gomito per osservarlo meglio

“Il coach Yamiji non mi ha ancora voluto dire tutti i dettagli, però mi ha rivelato che qualche settimana dopo l’Interhigh la scuola ha ricevuto diverse chiamate da alcune squadre professionali e che già a Marzo potrei fare dei provini!” esclamò, lasciandosi finalmente andare all’emozione e all’eccitazione che aveva dovuto nascondere e trattenere fino a quel momento

“Ma è fantastico!! Cioè, me lo aspettavo visto che il torneo è un evento molto seguito dai talent scout sportivi, però non pensavo che questo momento arrivasse così presto!” gli rispose lei, sentendo un’ondata di felicità e orgoglio investirla

Stava davvero accadendo tutto così in fretta, però era quello che voleva per lui, era quello che Kotaro si meritava: una porta aperta su un futuro che non vedeva l’ora di rincorrere.

Mancava ormai solo un mese al diploma, e tutti sembravano proiettati verso il loro prossimo capitolo: Konoha e Yukie avevano cominciato a studiare assieme per i test di ingresso alla Keio University; Kaori aveva chiesto il supporto del coach e di alcuni insegnanti per creare un curriculum che avrebbe poi mandato a diverse squadre ed associazioni sportive; persino Komi, che aveva spiazzato tutta la squadra annunciando la sua scelta di diventare attore, si era lanciato anima e corpo nel cercare un corso di recitazione adatto alle sue ambizioni.

Vederli impegnarsi così tanto le aveva messo addosso la stessa voglia di buttarsi a capofitto su un nuovo progetto, un piccolo passo verso quello che sentiva essere il destino che voleva perseguire.

Guardò Bokuto giocherellare con le trecce che le aveva fatto prima, un’espressione beata e serena dipinta sul viso, ora che si era tolto quel peso dal cuore, gli occhi che brillavano della stessa luce che gli aveva spesso visto negli istanti che precedevano il suo ingresso in campo, la sua entrata in scena.

“Anche io volevo dirti una cosa che non ho ancora detto a nessuno” si lasciò scappare, fissando la sua reazione incuriosita 

In realtà non ci aveva ancora riflettuto su a lungo, eppure sentì che parlargliene avrebbe reso tutto più reale, obbligandola così a non cambiare idea e spingendola a rischiare.

“Ho trovato un concorso per sceneggiatori e scrittori amatoriali, non è niente di che, però vorrei provare a partecipare…” sussurrò 

“Wow!! Ma è bellissimo Nori-chin!!! Sono sicuro che vincerai sicuramente! Gli manderai il nuovo racconto che hai cominciato a scrivere?” le chiese lui, tirandosi su e fissandola su di giri

“Non mi interessa molto vincere… ora come ora la più grande vittoria per me sarebbe quella di riuscire a scrivere qualcosa di mio e di finito, anche se non sono ancora sicura della nuova storia che ho buttato giù in queste ultime settimane…”

“Ti brillano sempre gli occhi quando ne parli, è impossibile che non sia bellissima! Ma non vuoi proprio raccontarmela un po’? Ti prometto che non ti interromperò e non farò troppe domande come l’ultima volta!” disse Kotaro con tono concitato, guardandola con aria supplichevole

Nori sospirò, pensando che vista la piega che aveva preso la serata poteva ormai scordarsi di dormire, e cedette così alla sua richiesta, lasciandosi trasportare dalle parole della storia che in quelle ultime settimane l’aveva tenuta incollata al suo ormai inseparabile quaderno degli appunti.

Rimasero così fino a tarda notte, accoccolati tra le coperte, a parlare di tutto ciò che venne loro in mente: come dei progetti futuri e dei sogni del passato che li avevano accompagnati negli anni, plasmando le loro scelte e il loro carattere nel tempo. 

Bokuto le raccontò di quando da piccolo voleva fare il pompiere o il bagnino perché gli piaceva l’idea di salvare le persone ed essere visto come un eroe, cosa che aveva fatto subito scoppiare a ridere Nori, che proprio non se lo immaginava in certe situazioni di pericolo, impaziente e impulsivo per com’era; poi Shikako si era messa a parlare di film, e di quante estati aveva passato a rivedere le vhs che suo padre aveva collezionato fino al college, e di come per alcuni anni il suo sogno più grande era stato quello di possedere un cinema tutto suo, così da poter vedere tutte le pellicole che voleva in anteprima. Kotaro la ascoltava rapito, sommergendola di domande, interrompendola e reagendo come al suo solito nel modo più rumoroso ed esagerato possibile, anche a quell’ora della notte, senza dare segni di cedimento, al contrario di Nori, che era tutt’altro che un animale notturno come lui, e che ad un certo punto crollò come un ghiro, obbligando così Bokuto a calmarsi e a dormire.

 

*

 

Le note di Fantasy di Mariah Carey riempirono la stanza, facendomi sussultare.

Mi allungai verso il comodino, cercando di svincolarmi dalla presa ferrea delle braccia di Kotaro intorno alla mia vita, riuscendo a disattivare la sveglia per un pelo.

Sospirando mi lasciai ricadere sul cuscino, stropicciandomi gli occhi, voltandomi poi per fissare Bokuto che nel frattempo non aveva smesso minimamente di ronfare, un’espressione serafica in viso.

Per fortuna almeno non russava più, pensai, scivolando ancora di più sotto le coperte, avvicinandomi a lui per carpire un po’ del calore del suo corpo, sentendo il freddo mattutino insinuarsi tra le lenzuola.

Akaashi e Konoha mi avevano raccontato spesso di quanta fatica facessero ogni volta per svegliarlo, anche durante i ritiri per le partite ufficiali: niente sembrava scuoterlo, tanto che alcune volte dovevano ricorrere a metodi estremi come secchiate d’acqua in estate o strappandogli coperte e futon d’inverno, cosa che spesso neanche funzionava visto che era capace di dormire pure sui sassi secondo Komi.

Sorrisi vedendolo ghignare, probabilmente stava sognando qualcosa di bello, e senza accorgermene mi avvicinai per sfiorare i contorni delle sue labbra con un dito, che poi feci scivolare sul mento, e fino al petto, per poi risalire sulle sue braccia, stranamente tese, e sulle vene in rilievo delle mani, chiuse intorno alla mia vita, da cui provai a scioglierle.

Stavo morendo di sete e anche di fame, dato che la sera prima, vista l’ora e la stanchezza, ci eravamo accontentati di qualche onigiri stantio dimenticato nel frigorifero da Kotaro, che come al solito si era scordato di fare la spesa e aveva già finito le scorte di avanzi lasciate dai suoi.

Alla fine riuscii a staccare anche le ultime due dita ancorate sui miei fianchi e senza ulteriori indugi provai a sgattaiolare fuori dal letto, la mente già proiettata verso l’unico pensiero che ogni mattina mi dava la forza di alzarmi, ovvero la colazione.

“Nori-chan” mugugnò Bokuto, allungandosi per afferrarmi e ritrascinandomi così di nuovo nel letto 

“Kotaro è tardi, sto morendo di fame e devo tornare a casa prima che mia nonna mandi la polizia a prelevarmi!” cercai di spiegargli, vedendolo ancora assopito, anche se con un’espressione corrucciata e leggermente infastidita questa volta, che nel complesso gli donava un’aria davvero buffa e infantile

“Ancora cinque minuti” biascicò, appoggiando la testa sul mio petto, riprendendo dopo qualche istante a dormire come se nulla fosse

Sospirai, scuotendo la testa, conscia del fatto che quei cinque minuti non sarebbero mai stati davvero cinque minuti, e io lo sapevo bene visto che ero un’esperta nell’arte del rimandare la sveglia.

Chiusi gli occhi anche io, ormai arresa, assaporando quegli ultimi attimi di pace e silenzio, la mente ancora svuotata dopo il sonno senza sogni della notte appena trascorsa, le mani abbandonate tra la soffice chioma di Kotaro, le dita impegnate ad accarezzare ritmicamente quelle ciocche ribelli.

 

*

 

“Nori! Questa è la terza pentola che bruci, vuoi farmi fuori l’intero servizio?” si lamentò Hiyori Shikako, guardando ormai spazientita la nipote intenta ad armeggiare davanti ai fornelli

“Su mamma, lasciala stare… com’è che diceva quel vecchio film? Una ragazza felice in amore brucia il soufflé ma una infelice si dimentica di accendere il forno… è un buon segno quindi, no?” esclamò Midori, spingendola via dalla cucina 

“Sì ma il problema è che qui il dolce neanche ci arriva in forno visto che tua figlia continua a rovinare l’impasto” borbottò prima di scomparire oltre la porta

La colpevole in questione sbuffò per l’ennesima volta, tentata dal lanciare fuori dalla finestra padelle, mestolo e cellulare, che proprio in quel momento cominciò a squillare.

“Ehi, sono davanti alla porta!” disse la voce squillante di Yukie

“E cosa aspettavi a suonare?” si lasciò scappare Nori con tono innervosito, avendo ormai esaurito anche l’ultimo briciolo di pazienza, evento più unico che raro nel suo caso

“Ho sentito le urla di tua nonna e mi sono un tantino preoccupata… posso entrare o rischio di finire nel pieno del conflitto?” scherzò lei, divertita dal tono furente della sua kohai

Shikako le chiuse il telefono in faccia sentendola scoppiare a ridere, e si diresse verso l’ingresso dove le aprì la porta con uno sguardo corrucciato.

“Non voglio più vedere, mangiare o sentir parlare di cioccolato!” esclamò con un tono che non ammetteva repliche

“Beh è San Valentino, cosa pensavi di regalare? Marshmallows?” le rispose Yukie, superandola, e appoggiando le sporte cariche di ingredienti sul pavimento, sospirando per quella piccola fatica

“E Kaori?” 
“I marmocchi ieri notte hanno fatto fuori tutte le tavolette di cioccolato che aveva comprato per oggi pomeriggio ed è da stamattina che vomitano. Non se la sentiva di lasciarli soli visto che i suoi genitori oggi finiranno per chiudere il negozio più tardi del solito”

“Oh, mi dispiace… però così non ce la caveremo mai!”

“Ah, hai così poca fiducia nelle doti della tua senpai? Ricordati che hai di fronte a te una futura nutrizionista!”

“Appunto, non sei mica uno chef stellato o un pasticcere, saper mangiare e saper cucinare sono due cose diverse… e io l’ho capito sulla mia pelle!” le disse mostrandole le dita bruciate e incrostate di strati su strati di cioccolato, a testimonianza dei diversi tentativi falliti

“Credimi sono due anni che preparo con Kaori i cioccolatini per la squadra e nessuno si è mai lamentato!”

“Mi sentirei comunque più sicura se ci fosse anche lei… e se facessimo una videochiamata e la mettessimo in vivavoce?”
 “E va bene hai vinto tu! Sempre super paranoica, eh?”

“Diciamo solo che preferisco andare sul sicuro per una volta” le rispose, indicando con un cenno il lavandino ingombro di pentole e padelle incrostate di cioccolato bruciato

“Ma allora sei proprio un caso perso!” esclamò Yukie, trattenendo a stento le risate

Shikako la ignorò, componendo il numero di Kaori, sperando che almeno lei potesse aiutarle a creare qualcosa di commestibile.

A poca distanza da loro, Midori si stiracchiò pigramente sotto il kotatsu, sentendo arrivare dalla cucina le risate e le chiacchiere ovattate delle ragazze. Si alzò, sbadigliando rumorosamente, cosa che attirò lo sguardo di disapprovazione di sua madre Hiyori, intenta a guardare una replica di un vecchio sceneggiato televisivo ambientato nel periodo Edo, che ormai conosceva a memoria, e a sgranocchiare alcuni senbei.

“Non è da te passare i tuoi preziosi giorni liberi a casa…” disse, guardando la figlia di sottecchi, una punta di sospetto nascosto in quell’innocua domanda

“Mamma è inutile che provi a indagare... te l’ho già detto, no? Non mi va di girare per negozi proprio alla vigilia di San Valentino! E poi stasera esco a bere con Megumi, contenta? E no, non voglio che mi organizzi un altro miai, non ho intenzione di risposarmi” le rispose, sfogliando distrattamente una delle riviste che ingombravano il parquet

Vedendola sbuffare e prepararsi al contrattacco Midori decise di svignarsela finché era ancora in tempo, e così si alzò, lasciandosi alle spalle sua madre e le sue solite ramanzine, dirigendosi improvvisamente affamata verso la cucina, seguendo la scia di profumo invitante che sembrava provenire dalla porta socchiusa.

“Allora sono pronti questi cioccolatini? Mi offro come cavia per la fase di assaggio!” esclamò, facendo sussultare Nori e Yukie

“È inutile che ci provi, se ne sono salvati talmente pochi che è già tanto se basteranno per la squadra… se vuoi però puoi leccare il mestolo!” le rispose sua figlia, porgendoglielo con un sorriso divertito

“Pensavo che il talento ai fornelli avesse saltato una generazione, ma visto che sei una frana come me mi sa che è la nonna ad essere l’eccezione della famiglia!” 

“Beh, diciamo che non è proprio un talento che ci tengo ad avere… anche se oggi mi avrebbe proprio fatto comodo in effetti” mormorò Nori, intenta ad asciugare le stoviglie che Yukie le porgeva

“Ah allora posso mangiare questo cioccolato avanzato?” 

“No! Quello mi serve!” 

“Ancora? Guarda che tua nonna non ci metterà molto a tornare e a reclamare la cucina non appena le finisce il drama…”

Yukie si sporse per fissare la ciotola colma di impasto e lo stampo a forma di cuore nascosto dietro, molto più grande rispetto a quello che avevano usato per fare i biscotti, e intuì quello che Nori aveva in mente.

“Pensavo che quello sdolcinato fra voi due fosse Bokuto, ma anche tu non sei certo da meno!” le sussurrò dandole una gomitata, facendola arrossire

 

*

 

Quel pomeriggio era quasi impossibile staccare gli occhi dal cielo: il cumulo di nuvole dei giorni precedenti era scomparso lasciando dietro di sé tonalità pastello sempre più calde, che sfumavano dall’ocra al rosa, diventando sempre più intense via via che l’ora del tramonto si avvicinava.

Mi stiracchiai ispirando a pieni polmoni quell’aria stranamente tiepida, gustandomi quei meritati attimi di pace che ero riuscita miracolosamente a ritagliarmi, in quella che era stata una giornata davvero impegnativa e infinita.

Dal tetto, in cui mi ero nascosta approfittando dell’ora di studio individuale, mi arrivavano le chiacchiere e le risate provenienti dalle finestre aperte delle aule sottostanti, smorzate solo dal lieve vento che ogni tanto mi scompigliava i capelli. 

Quel giorno più che mai la scuola sembrava in fermento: i corridoi, di solito abbastanza tranquilli, non smettevano di affollarsi appena la campanella suonava, accogliendo le urla scalmanate e i gridolini delle ragazze dell’Accademia, ansiose di approfittare di ogni momento di pausa per concretizzare le proprie fantasie, seguire i propri sentimenti ed essere così coraggiose, quel giorno più che mai.

Sorrisi, tornando a concentrarmi sui fogli che tenevo in grembo, sentendomi nuovamente catturare dalle ultime parole che avevo scritto, la mente che scivolava sempre più lontana dai rumori che mi circondavano, mentre mi immergevo ancora una volta nelle atmosfere che la storia che stavo scrivendo evocava.

Ero così concentrata che mi accorsi della presenza di Akaashi solo quando lo sentii scivolare sulla parete su cui ero appoggiata, e sedersi accanto a me.

“Sei riuscito a scappare anche tu dagli occhi vigili di Fujiwara-san?” gli chiesi, ridacchiando al pensiero del nostro capoclasse

“Sì, mi sono offerto di consegnare il registro in aula insegnanti visto che Ueda-san oggi non c’è”

“Ah già, Ume mi ha detto che ha la febbre! Mi dispiace, sapevo che aveva in mente di dichiararsi a qualcuno del terzo anno per San Valentino…”

“Capisco”

“Alla fine hai scoperto chi ti ha lasciato quel pacchetto di Pocky nell’armadietto?” gli chiesi, alzando gli occhi dal quaderno per guardarlo incuriosita

“No, il biglietto non era firmato, ma penso che si tratti della stessa persona dell’anno scorso…”

“Davvero? Wow! Beh non lo sapremo mai, sei diventato piuttosto popolare dopo il festival scolastico in fondo…” gli dissi con tono allusivo e divertivo, facendolo arrossire

“Non è qualcosa a cui aspiro sinceramente… non so come faccia Bokuto a sopportare di essere sempre al centro dell’attenzione ovunque vada!” 

“Già, questo me lo chiedo anche io…” 

“A proposito… ora che ci penso oggi è il primo anno che non lo vedo arrivare a fine giornata di umore tetro. Di solito si monta sempre la testa pensando di trovare l’armadietto pieno di cioccolatini o di ricevere tonnellate di dichiarazioni, ma la verità è che per quanto sia l’asso della squadra di pallavolo qui a scuola conoscono tutti il suo carattere particolare e le ragazze gli girano spesso al largo. Così ad ogni San Valentino finisce per ricevere solo il cioccolato di cortesia di Yukie e Kaori, e a rinchiudersi nello sgabuzzino a lamentarsi e piagnucolare fino a fine allenamenti. Fa così dal primo anno, me lo ha confermato Konoha”

“Dici davvero? Questo non me lo aveva mai raccontato… in effetti anche durante le partite la tifoseria sembra non stupirsi più di tanto quando lo vede uscirsene con una delle sue, però non pensavo che la voce si fosse sparsa tanto tra gli studenti!”

“Per fortuna quest’anno grazie a te le cose sono andate diversamente…”

“…se non contiamo la piccola scenata di gelosia di stamattina, quando si è reso conto che i biscotti che avevo portato non erano tutti per lui! Almeno sono riuscita a salvare la situazione in extremis tirando fuori la scusa della torta al cioccolato che lo aspettava a casa!” aggiunsi, sorridendo a quel ricordo, imitata da Keiji

Socchiusi gli occhi, mentre i raggi del sole si riversavamo sul mio viso, accecandomi per qualche istante.

“Sei riuscita a superare il blocco creativo degli ultimi giorni?” sentii Akaashi chiedermi

“Diciamo di sì, anche se sono ancora indecisa su alcuni sviluppi… puoi dare un’occhiata a queste due ultime pagine? Ho provato a chiedere a Bokuto cosa ne pensasse, ma i suoi consigli sono completamente inutili visto che dice sempre che gli piace tutto quello che scrivo” dissi, porgendogli il quaderno 

Mi fidavo del suo giudizio, le sue correzioni e i suoi appunti fino a quel momento si erano sempre rivelati validi e sensati, e nei mesi che avevano seguito la recita questo nostro piccolo scambio di opinioni era diventato ormai quasi una sorta di rito, di cui ora non potevo più fare a meno. 

Certo, Bokuto era stato tra i primi a spronarmi a scrivere e a seguire questa mia nuova inclinazione, ma dovevo ringraziare Akaashi se anche nei momenti più difficili e snervanti, in cui non riuscivo a scrivere nemmeno una singola riga e in cui tutto quello che avevo creato mi appariva improvvisamente stupido e illeggibile, non avevo posato la penna abbandonando così ogni mio proposito.

Il suo supporto costante, le sue critiche dirette ma mai aspre e il suo punto di vista sempre fresco e interessante erano stati capaci di motivarmi e guidarmi, dandomi la sicurezza di cui avevo bisogno per continuare a scrivere e seguire così la mia passione.

Lo guardai leggere con aria assorta i fogli che gli avevo porto, una piccola ruga sulla fronte solitamente distesa, un’espressione sempre più corrucciata sul viso stranamente pallido.

“Ehi, va tutto bene?” chiesi, preoccupata da quell’insolita reazione

“Sì, scusami oggi sono solo un po’ distratto” mi rispose passandosi una mano sul volto

Non era proprio da lui essere distratto.

Lui, che era in grado di cogliere qualsiasi sfumatura delle persone che lo circondavano.

Lui, sempre attento a tutto quello che succedeva dentro e fuori dal campo.

Lui, capace di mettere nero su bianco ogni situazione, senza alcuna difficoltà, affrontando di petto i problemi e analizzando qualsiasi contesto senza mai lasciarsi prendere dal panico.

“Sono sicura che qualsiasi cosa ti turbi troverai il modo di risolverla, e se non dovessi farcela… beh sappi che sono qua se ti va di parlarne!”

“Grazie, Nori-san”

Il cielo si era ormai completamente tinto del rosso più accesso: gli ultimi istanti in cui al sole era concesso splendere prima di uscire di scena.

“Non vedo l’ora che le giornate ricomincino ad allungarsi…” dissi sovrappensiero, realizzando dopo qualche istante cosa quelle parole implicassero

Presto l’inverno avrebbe lasciato il posto ad una nuova primavera e sarebbe stato tempo di addii e nuovi inizi, per noi e per tutte le persone che conoscevamo.

“E se non ce la facessi? Se non riuscissi ad essere all’altezza?” disse Keiji in un soffio impercettibile, tanto che per qualche istante pensai di essermelo immaginato

Allora era questo che lo turbava, il timore di non riuscire a raccogliere l’eredità di capitano che Bokuto si sarebbe presto lasciato alle spalle.

Che sciocca, in tutte quelle settimane avevo sempre pensato a tutti coloro che se ne sarebbero andati, e nemmeno per un istante a chi invece sarebbe rimasto. 

Non ero l’unica a dare voce ai dubbi e alle domande che da tempo mi rincorrevano, incertezze che mi facevano titubare del futuro che stavo inseguendo, ma anche Keiji sembrava preda di quegli stessi pensieri.

Akaashi, che a miei occhi era sempre apparso sicuro di sé, metodico e dal sangue freddo, mi stava ora mostrando il suo lato più sensibile e fragile, dove si nascondevano quelle stesse insicurezze che lo avevano accecato nella partita contro la Mujinazaka High School durante lo scorso torneo primaverile. 

In quel caso era stata la forza e la fiducia di Kotaro a permettergli di rialzarsi, ma ora, a pochi mesi dalla cerimonia di diploma che lo avrebbe presto allontanato da noi, doveva fare i conti con la prospettiva di dover affrontare quelle stesse paure e debolezze da solo, nella nuova e ingombrante posizione di capitano.

Era un trono davvero scomodo e pesante da ereditare, di questo ne ero consapevole anche io, nulla di paragonabile al ruolo di manager che avrei presto ricoperto, senza più nessuna senpai a coprirmi le spalle e a perdonare i miei piccoli errori di distrazione.

No, quello che Keiji si accingeva a ricoprire non era un semplice ruolo quanto più un simbolo, l’emblema su cui tutti gli occhi si sarebbero presto posati, pesanti e inflessibili come le responsabilità che a breve sarebbero ricadute sulle sue spalle, che in quel momento mi parvero più che mai fragili.

Ma riconoscere la paura, dare un nome ai dubbi che ci assillano, è la più pura forma di coraggio, ben più nobile della sconsideratezza di chi si getta incontro ai problemi senza riflettere, senza una solida strategia a sostenerlo.

E se c’era qualcuno in grado di trovare la tattica adatta per poter superare quella situazione quello era Akaashi, ed ero sicura di non essere la sola a pensarla così.

In fondo c’era un motivo se Bokuto lo aveva scelto come vicecapitano: aveva sicuramente visto in lui la stessa forza di volontà e intelligenza che fino ad oggi avevano permesso a Keiji di guidare la squadra da dietro le quinte, e a lui di splendere come l’istintivo asso che era.

Non sapevo come rispondere alla sua domanda, che ancora aleggiava tra noi, sospesa tra i dubbi che entrambi sentivamo di avere.

Quello di cui però ero certa era che con quelle parole Akaashi non chiedeva di essere contraddetto e corretto, no, tutto quello che voleva era essere ascoltato e magari compreso.

E se c’era qualcosa che potevo fare per alleggerire quel peso che presto si sarebbe posato sulle sue spalle era fornirgli lo stesso supporto che per anni lui era stato in grado di donare alla squadra, e soprattutto a Kotaro.

Forse non ce l’avrei fatta, forse avrei finito per causargli ancora più problemi, ma non volevo fasciarmi la testa ancora prima di provare, no, per una volta volevo essere coraggiosa ed espormi.

“Non so cosa succederà nei prossimi mesi, ma sono sicura che troverai il modo di costruirti la tua strategia come capitano, di disegnare una strada solo tua, che ti permetterà di guidare la squadra e lasciare un segno che appartenga solo a te” gli risposi finalmente, imprimendo in quelle parole tutta la fiducia che io, come gli altri, sentivo di avere per lui

Lo vidi sgranare leggermente gli occhi, colpito, per poi sospirare pesantemente e alzare gli occhi sul cielo sopra di noi, dove gli ultimi stralci di sole brillavano come braci di un incendio domato.

“Almeno non sarò da solo” disse, un’ombra di sorriso a increspargli il viso, ora più sereno

Lo imitai, alzando gli occhi per fissare lo stesso punto indefinito che aveva catturato il suo sguardo, salutando il sole ormai prossimo a tramontare, curiosa di scoprire cosa la prossima alba avrebbe avuto in serbo per noi.

 

 

 

- - -
 
N O T E
 
 
Ciao a tutti! <3

Mi stupisco ancora di come stia riuscendo a pubblicare i capitoli seguendo lo stesso ordine temporale della storia XD Colpa della mia super pigrizia che fa dilatare i tempi di rilettura e correzione! 

Bene, come avrete intuito si stanno chiudendo molti cerchi: in questo capitolo è stata la volta di Nori e Akaashi, con un accenno ai loro futuri e storyline; il prossimo ovviamente sarà dedicato a Bokuto e conterrà un pochetto di angst perché ve lo avevo detto che non tutto tutto sarebbe filato liscio… e un po’ di angst nel finale non ce lo vogliamo mettere? Poco poco, giusto per bilanciare la troppa zuccherosità (?) di questo capitolo XD E a proposito di questo capitolo: il sogno di Nori (cervo) che ho riportato all’inizio se non si è capito è una metafora della sua storia e del suo cambiamento e lento sbocciare (fiori sulle corna) una volta arrivata in Giappone (Tori) e dopo aver conosciuto Bokuto (gufo). Mi piace credere che i sogni siano sia premonitori sia rielaborazioni inconsce del nostro vissuto che la nostra coscienza elabora nel tempo. Nori prenderà spunto dal sogno, ricordatevelo per i futuri sviluppi ;)

I capitoli inoltre si stanno accorciando perché la storia è ormai agli sgoccioli, il prossimo sarà infatti il penultimo, poi sarà la volta dell’epilogo e vi dico solo preparatevi perché io non amo molto i finali aperti XD

Per l’immagine di questo capitolo ho scelto una fanart che ho commissionato ad un’artista che mi piace molto, purtroppo ultimamente il tempo per disegnare scarseggia :(

Ah! La famosa maglietta che Bokuto presta a Nori (di cui vi ho linkato il capitolo del manga) appare anche nell’anime. Mi piace molto perché riassume in tre frasi (1. La tua schiena deve essere d’ispirazione per i tuoi compagni; 2. Abbatti ogni muro sulla tua strada; 3. Ogni palla deve essere schiacciata) i principali tratti di Kotaro, come giocatore e soprattutto come persona.

Spero come sempre che questo capitolo vi sia piaciuto e che siate curiosi di scoprire la continuazione e il finale di questa storia. 

Vi ringrazio di cuore per il vostro prezioso sostegno <3

A presto!

Mel 

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Capitolo 13
*** Marzo ***


M A R Z O

彌生

 

 tracks n°63-64-65-66-69

chapter pics   

chapter video

Nori 1 ; 2 ; 3

 

La pioggia tamburellava sui vetri impolverati della palestra senza accennare a smettere, mentre le poche nuvole in cielo sembravano inghiottire gli ultimi barlumi di luce rimasti in quella tetra giornata. 

E di tetro quel giorno non c’era solo il tempo, purtroppo.

“Dove si è nascosto questa volta?” chiese Nori, seguendo Yukie tra i corridoi che conducevano agli spogliatoi maschili

“Komi ha detto che quando lui e Saru se ne sono andati era ancora in doccia. E pensare che questa volta mi ero organizzata in anticipo, chiudendo a chiave tutti gli sgabuzzini!” le rispose con aria affranta, per poi stringere i pugni, spazientita

“Su, non ti preoccupare, ora ci penso io a tirarlo fuori da lì!” disse Shikako, cercando di tranquillizzarla

“Ero sicura che dopo San Valentino avessimo ormai scansato definitivamente il pericolo di Bokuto in emo-mode! Mi ero completamente dimenticata del White Day!! Ma questa volta Konoha me la paga!!!” sbuffò, aprendo di scatto la porta degli spogliatoi, facendo così sussultare Akaashi, intento a rivestirsi

“Mi dispiace, ma la persona che stai cercando se n’è appena andata, l’hai mancata di poco” le disse Keiji vedendola guardarsi attorno con aria torva e intuendo subito il motivo di tanto affanno

“Ha fatto bene, ma non mi potrà sfuggire a lungo! Anzi, forse riesco ancora a raggiungerlo e a obbligarlo a comprarmi qualche dozzina di melon pan per farsi perdonare… sarebbe il minimo!” esclamò, prima di salutarli distrattamente e lasciarli soli

Nori la seguì con lo sguardo per poi decidersi ad affrontare la situazione di petto, senza ulteriori indugi. Così, prese un respiro profondo e si diresse verso la zona delle docce, sperando con tutta sé stessa di riuscire a risolvere la cosa senza trascinarla ancora per le lunghe, visto che tra il mal di testa, la pioggia che non accennava a smettere, e le scenate di Kotaro, ne aveva abbastanza per desiderare di infilarsi sotto le coperte al più presto.

“Bokut-“

“Nori-chan non venire! Ti avverto che sono nudo!!”

“Lo sai vero che ti vedo le scarpe e gli scaldamuscoli da qui?”

Lo sentì brontolare e ne approfittò per avvicinarsi, fino ad arrivare davanti alla lastra semitrasparente su cui lo intravide appoggiato.

“Hai intenzione di startene rinchiuso lì dentro ancora per molto? Te lo ripeto per l’ultima volta: a me sono piaciuti molto i cioccolatini che hai fatto, ok?” gli disse, massaggiandosi le tempie con aria stanca

“Anche se Konoha ha detto che invece che a dei gufi assomigliavano più a dei pipistrelli in sovrappeso?” lo sentì piagnucolare in risposta

“Sì”

“Anche se ti ha detto che avevi tutte le ragioni del mondo per non volerli assaggiare?”

“Sì”

“Anche se ho finito per sbagliare l’ordine degli ingredienti e mettere più sale che zucchero?”

Shikako sorrise al ricordo della smorfia che aveva fatto pochi minuti prima, quando ignara di quel piccolo ma importante dettaglio li aveva divorati in un sol boccone, pur di farlo felice e distrarlo dalle risate del resto della squadra. 

“Sì, te l’ho detto, il sale si è mescolato al caramello e quindi alla fine è come se avessi fatto dei cioccolatini al cioccolato bianco e caramello salato. Come primo esperimento direi che puoi ritenerti più che soddisfatto, no?” gli rispose, confidando nel potere delle bugie dette a fin di bene

“Sicura?” bofonchiò Kotaro, sbucando lentamente dalla porta semiaperta della doccia, fissandola imbronciato 

Lei annuì, prendendolo per mano e trascinandolo con risolutezza fuori da lì, mentre lui si lasciava guidare senza obiettare, come un cane ubbidiente con la coda tra le gambe.

“Il coach ti sta cercando, a proposito. Mi ha detto di riferirti che ti aspetta in aula insegnanti, non so il motivo ma sembrerebbe urgente” gli riferì, lasciandolo sulla soglia della palestra, per poi dirigersi verso la panchina ingombra di asciugamani e borracce che aspettavano di essere messi in ordine

“Ah, aspetta!”

Nori si voltò, guardandolo interrogativa.

“Mi prometti che mangerai anche la seconda scatola di cioccolatini che ho portato? Yukie e Kaori non li hanno nemmeno toccati…” la implorò, abbassando lo sguardo, sconsolato

Certo che se neanche Yukippe ha voluto assaggiarli forse due domande dovrei farmele, si ritrovò a pensare Shikako. Ma vederlo in quelle condizioni era per lei insopportabile: non riusciva a non cedere alle sue richieste, per quanto assurde potessero essere, e ogni volta finiva per rimanere vittima della tenerezza che quell’infantile e melodrammatica versione di Kotaro le ispirava. Un copione che conosceva ormai a memoria e che si ripeteva puntualmente, purtroppo.

“E va bene… però ora muoviti o ti prenderai una lavata di capo!” gli rispose infine, facendolo esultare

Il sorriso che istantaneamente gli illuminò il viso era per lei l’unica ragione che la spingeva ad assecondarlo ogni singola volta: una sorta di ricompensa, assolutamente meritata, per l’infinita dose di pazienza che stargli accanto richiedeva.

“Sta piovendo, prendi almeno un ombrello…” cercò di dirgli prima di vederlo scattare in direzione dell’edificio principale, saltellando allegramente da una pozzanghera all’altra, noncurante della pioggia che lo inzuppava sempre più

Si limitò a scuotere la testa stancamente e a socchiudere per qualche secondo gli occhi, sentendo la pressione alle tempie aumentare vertiginosamente, per poi richiudersi la porta alle spalle con un sospiro, confidando nella meritata sgridata del coach Yamiji da cui quella volta non lo avrebbe certo salvato.

 

*

 

Guardai l’orologio che troneggiava al centro della palestra vuota per l’ennesima volta, stringendo a me la tracolla con aria impaziente, mentre le ciocche con cui avevo giocherellato fino ad allora ricadevano mollemente sulle mie spalle.

“Sei sicura che non vuoi che rimanga io ad aspettarlo e a chiudere?” mi chiese Akaashi, intento a passeggiare distrattamente intorno alla panchina su cui ero seduta, come me in attesa del ritorno di Bokuto

“No, tranquillo, ormai sono proprio curiosa di sapere perché il coach lo abbia trattenuto tanto…” risposi distrattamente, cercando di trattenere l’ennesimo sbadiglio

Non vedevo l’ora di tornare a casa e dormire, ma la voglia di conoscere il motivo dietro quel ritardo superava di gran lunga qualsiasi mal di testa, ore di sonno arretrate e meteoropatia.

Come in risposta alla nostra impazienza sentimmo la porta principale della palestra aprirsi di scatto e ci voltammo all’unisono, vedendo così un Bokuto insolitamente sovrappensiero venirci incontro.

Lo fissammo in attesa di una spiegazione, ma lui sembrava completamente assorto nei suoi pensieri, tanto che dovetti andargli incontro e tirarlo per una manica per attirare finalmente la sua attenzione.

“Allora? Ci vuoi dire che cosa è successo?” gli chiesi, sentendo la stanchezza prevalere e vincere anche sulla mia inesauribile pazienza 

“Oh, già!” disse, ridestandosi finalmente “Beh, avevo detto ad entrambi che alcune squadre si erano fatte avanti dopo l’Interhigh, no? Oggi il coach mi ha finalmente rivelato i nomi…”

“E…?” lo incalzammo io e Keiji, trattenendo il fiato

“Si tratta dei Tachibana Red Falcons e degli MSBY Black Jackals” esclamò, alzando lo sguardo su di noi, accennando finalmente un sorriso soddisfatto

Lasciai scivolare a terra la tracolla per la sorpresa, fissandolo senza parole, per poi ricambiare il suo sorriso, trattenendo a stento l’emozione: conoscevo quelle squadre solo di nome e per la fama che le accompagnava, ma il fatto che entrambe appartenessero alla prima divisione della V. League era un’informazione più che sufficiente per spiegare lo sgomento che quella notizia provocò in noi.

Mi voltai a guardare Akaashi e lessi nei suoi occhi lo stesso stupore e la stessa felicità, sentendo il mio sorriso allargarsi sempre più, incontenibile.

Stavo per andare incontro a Bokuto per congratularmi con lui per quella bellissima notizia, ma quello che vidi quando incrociai il suo sguardo mi destabilizzò per qualche secondo, immobilizzandomi di colpo.

All’inizio non ci avevo fatto troppo caso, complice prima la spossatezza di fine giornata e poi la confusione che le sue parole avevano provocato, ma c’era qualcosa che non quadrava: era stranamente posato e calmo, e non aveva mostrato per un solo istante un briciolo della scalmanata ed incontrollabile euforia che di solito tirava fuori anche per la battuta più stupida.

“Non sei contento?” mi azzardai a chiedergli, non capendo il perché di quell’insolita reazione controllata, per niente da lui

“Certo, come potrei non esserlo!!!” esclamò lui sulla difensiva, sfoderando un sorriso forzato che non mi convinse minimamente

“Ma…?” lo convinse a proseguire Akaashi

“Ma pensavo che almeno una delle due offerte provenisse da una squadra estera…” si lasciò scappare infine, ponendo fine a quella farsa durata anche troppo a lungo, e sostituendo il finto sorriso di prima con il suo solito e ormai iconico broncio

Era davvero un pessimo attore.

Non potei fare a meno di roteare gli occhi, esasperata da quella sua uscita: dovevo aspettarmelo in fondo, stavamo pur sempre parlando della stessa persona che si era lamentata di non giocare nel campo principale durante il primo giorno del torneo primaverile; che se non era circondata da abbastanza pubblico non si sentiva completamente motivata a dare il massimo; che era in grado di lasciare che la propria prestazione di gioco venisse influenzata dal livello degli avversari che aveva di fronte.

Per lui era sempre così, o tutto o niente.

Ma questo gioco degli estremi, questo suo lasciarsi guidare dalle sue emozioni e ambizioni, spesso fuori portata o irrazionali, non poteva continuare ancora a lungo, non così almeno.

Ogni eccesso finisce sempre per diventare nocivo e pericoloso se non viene tenuto sotto controllo e arginato.

E dopo questi mesi, dopo tutte le partite affrontate, sapevo che lui era in grado di farlo, sapevo che poteva controllarsi e non lasciarsi destabilizzare da questi pensieri fuorvianti e controproducenti.

Per questo quella sua risposta mi fece arrabbiare tanto: dopo tutto quello che era successo, dopo quanto lo avevo visto cambiare e maturare, osservarlo perdersi in un bicchiere d’acqua mi fece esaurire completamente ogni possibile pazienza, come non mi succedeva da tanto.

“Personalmente penso che entrambe le squadre siano un ottimo trampolino di lancio per iniziare una carriera professionale, Bokuto-san...” sentii Akaashi rispondergli, il tono lucido e controllato

Così pacato rispetto a quello che avrei usato io se non mi fossi trattenuta dall’aprire bocca, preferendo andarmene per evitare di dire cose di cui avrei potuto pentirmi.

“Nori-chan dove vai??”

Bokuto mi corse dietro mentre mi dirigevo a grandi falcate verso la porta principale sforzandomi di ignorare la valanga di domande con cui stava tentando di rallentarmi, prima con tono sorpreso e poi sempre più lamentoso, finché non aprii l’ombrello per immergermi nella la pioggia che cadeva scrosciante, inghiottendo ogni suono, compresa la sua voce, che cercava di raggiungermi invano dalla palestra.

 

*

 

Akaashi estrasse il cellulare dalla tasca indeciso sul da farsi, ma dopo qualche istante di tentennamento optò per concedere a Bokuto ancora qualche minuto prima di decidersi a chiamarlo.

Si dondolò distrattamente sull’altalena arrugginita del parco vicino al konbini, quello dove erano soliti fermarsi dopo gli allenamenti e dove si erano messi d’accordo per incontrarsi, visto che negli ultimi giorni Yukie aveva deciso di chiudere la palestra prima del solito, a costo di scacciarli in malo modo, con la scusa che quelle ultime settimane prima del diploma voleva viverle senza ulteriore stress e problemi. E non aveva tutti i torti.

Così avevano deciso di vedersi lì, ma quando Keiji era uscito dalle docce aveva intravisto Kotaro rincorrere il coach Yamiji e dirigersi con lui verso il piccolo ufficio adiacente agli spogliatoi, e intuendo il ritardo che sicuramente avrebbe accumulato, aveva preferito anticiparlo e aspettarlo direttamente in quel loro punto di ritrovo abituale.

Sentì il telefono vibrare nella tasca della divisa, ma a chiamarlo non era il suo capitano, ma bensì Nori.

“Ehi, scusami se oggi sono scappata a casa senza salutare, ma stasera è il compleanno di mia madre e le avevo promesso che le avrei preparato una torta delle mie…” disse Shikako, il tono affannato, mentre in sottofondo si sentivano smorzati i rumori di uno sbattitore elettrico

“Figurati, non preoccuparti”

“Volevi dirmi qualcosa? Ah, cavoli la bilancia ha le pile scariche! Scusami ma qui sto combinando un casino, non sono proprio dell’umore per fare dolci…”

“Tu e Bokuto non avete più parlato dopo quello che è successo l’altro giorno?” le chiese senza giri di parole, sperando di non essere stato troppo diretto come suo solito

“No… o meglio, io no, lui non demorde e ignorarlo sta diventando sempre più difficile. Credimi, non vorrei essere così dura, ma te l’ho detto… se non riesce a prendere una decisione tanto importante da solo non imparerà mai a cavarsela davvero, lo deve capire… e anche tu dovresti capirlo. Non dovresti aiutarlo, non questa volta” gli rispose, la voce tesa ma decisa, ferma nella presa di posizione che negli ultimi giorni l’aveva vista assumere

“Lo so, hai ragione. Non sarà facile farglielo comprendere, ma la penso come te… spero solo che prenda la decisione giusta”

“Lo spero anche io… ah, ti devo lasciare, è appena arrivata mia mamma e sono indietrissimo con l’impasto! A domani!”

Keiji fissò lo schermo sovrappensiero, soppesando ancora una volta le parole usate da Nori: come lei anche lui era dell’idea che questa volta Bokuto dovesse risolvere quella questione da solo, mettendo da parte emozioni e istinto, tirando fuori quella lucidità e maturità che aveva già dimostrato di possedere.

Ad averlo colpito era stato soprattutto ciò che Shikako gli aveva rivelato durante la pausa pranzo all’indomani del White Day: lei credeva in lui ed era convinta che Kotaro possedesse già le capacità per prendere una decisione tanto importante da solo, perché lo aveva già fatto altre volte, come quando aveva assunto il comando della squadra durante l’Interhigh, mettendo da parte la propria emotività e istintività per impersonare quell’immagine di asso e capitano capace di meritare la fiducia e il rispetto dei propri compagni.

Ora si trattava solo di completare quel percorso, quella trasformazione.

Doveva dimostrare di essere maturato sia dentro che fuori dal campo.

Non poteva più permettersi di nascondersi dietro un muso lungo o un broncio infantile, né di fare ancora affidamento sulla pazienza di chi lo circondava, non quando la posta in gioco era così alta, non quando ad essere messo in discussione era il suo stesso futuro.

Era per questo che Nori aveva deciso di prendere le distanze da lui, e di ignorare così le sue pressanti richieste di spiegazioni ed interminabili domande: voleva dargli tempo e modo di arrivare ad una possibile soluzione da solo, senza suggerimenti o spinte, senza influenzarlo. 

Akaashi sapeva bene quanto tutto ciò pesasse ad entrambi, non solo a Bokuto, ma anche a Shikako, che aveva paura di dimostrarsi troppo dura e fredda nei confronti di Kotaro, ma che continuava imperterrita nel seguire quella strategia, a costo di soffrirne lei stessa.

E anche Keiji non poteva fare a meno di starci male: vederli entrambi feriti da quella situazione, senza sapere come comportarsi o quanto esporsi, era davvero snervante, e non solo per lui ma anche per il resto della squadra, che, dopo qualche innocente battutina iniziale, aveva presto capito quanto la questione fosse ben più complessa di come apparisse, e per evitare ulteriori problemi aveva deciso di farsi da parte e rispettare i sentimenti di entrambi.

Persino Yukie e Konoha, dopo aver provato inutilmente a sondare il terreno, avevano deciso di non intervenire, evitando di stuzzicare eccessivamente i diretti interessanti.

Ma per Keiji era diverso, prendere le distanze non era così facile, non dopo tutti gli anni passati ad essere l’ombra e il confidente di Kotaro, ormai del tutto abituato a fornirgli quel supporto e quelle risposte che lui tanto spesso gli chiedeva.

Sospirò, estraendo il cellulare per l’ennesima volta, pronto a mandargli un messaggio, preoccupato da quel ritardo eccessivo anche per i suoi standard.

“Akaaaashiiii!” si sentì chiamare in quel momento

Bokuto lo raggiunse con il fiatone, lasciandosi cadere con la sua solita poca grazia sull’altalena di fianco a lui, inspirando pesantemente mentre cominciava a dondolarsi.

“Va tutto bene? Ti ho visto entrare nell’ufficio del coach e ho preferito aspettarti direttamente qua”
 “Ah sì! Il coach Yamiji voleva parlare delle due offerte… mi ha detto che devo prendere una decisione entro la cerimonia del diploma visto che il periodo di recruitment sportivo termina sempre entro aprile” gli rispose, lo sguardo distante e assente, come catturato da un flusso di pensieri più grandi di lui

Akaashi si torse le mani, quella situazione cominciava davvero a pesargli: vedere Bokuto in quelle condizioni, così spento e perso, gli faceva rimpiangere l’asso scalmanato e lunatico che era sempre stato. 

“Hai visto Nori?” gli chiese Kotaro, alzando gli occhi su di lui, in attesa

“Sì, di sfuggita. Mi ha detto che oggi doveva tornare a casa prima visto che era il compleanno di sua madre”

“Oh… capisco”

Il silenzio che seguì fu anche peggio, tanto che Keiji dovete seriamente trattenersi dall’alzarsi e prendere per le spalle Bokuto per scuoterlo fino a farlo tornare in sé, così da poter riempire quell’assurda e irreale quiete con le risate rumorose e le battute idiote con cui Kotaro era solito tormentarlo.

“Akaashi?”
“Sì, Bokuto-san?”

“Mi dici che cosa ho fatto di male?” 

“Vuoi che te lo elenchi in ordine alfabetico o cronologico?”

“Akaaashiiii!”

“Va bene, va bene… ti riferisci al comportamento di Shikako, giusto?”

“Sì! Ogni volta che mi vede trova il modo di evitarmi, ha sempre un impegno o una scusa pronta… risponde ai miei messaggi per monosillabi e mi guarda spesso in modo strano… come se volesse dirmi qualcosa, ma senza mai rispondere alle mie domande o cedere alle mie suppliche. Non so che cosa ho sbagliato l’altro giorno ma da quel momento non ha fatto che allontanarsi da me… e questa situazione mi sta facendo impazzire!” esclamò con tono sempre più concitato, puntando i piedi e smettendo così di dondolarsi, per poi voltarsi a cercare lo sguardo di Keiji, in attesa di una risposta, o meglio, del suo solito consiglio

Akaashi lo osservò, soffermandosi su quell’espressione determinata che tante volte gli aveva visto fare quando un problema che non capiva lo faceva innervosire e perdere così del tutto la poca pazienza che possedeva.

Ma questa volta non stavano parlando dell’ultimo test di algebra o di un’amichevole contro il Nekoma.

No, questa volta il quesito era di tutt’altra natura e lui sentiva di non essere così esperto come Kotaro credeva.

Ma ciononostante decise di provarci, quella in fondo poteva essere una delle ultime volte in cui avrebbe potuto essergli utile, l’ultima occasione per assolvere ai suoi doveri di vicecapitano e amico prima di vederlo proseguire verso quel futuro che lo attendeva impaziente.

“Ti ricordi cosa hai detto a me e alla squadra durante l’Interhigh? Sull’asso che saresti diventato?”

Bokuto annuì, fissandolo con aria interrogativa, non capendo dove volesse andare a parare.

“Quelle parole, quella dichiarazione di intenti che hai fatto davanti a tutti, ha reso chiaro a chiunque i progressi che come giocatore e capitano hai compiuto in tutto questo tempo. Sei stato in grado di dire quelle frasi perché sei riuscito finalmente a riconoscere i tuoi punti deboli, e a capire che puoi migliorare e crescere. Rendersi conto dei propri sbagli è il primo passo verso il cambiamento, un percorso che non si può compiere in un giorno solo e che non è fatto solo di parole ma soprattutto di azioni” disse Akaashi, continuando a sostenere lo sguardo di Bokuto, che vide trasformarsi sotto i suoi occhi, diventando sempre meno smarrito e sempre più consapevole

“Lo hai dimostrato in quella partita, ora devi continuare a metterlo in pratica, anche fuori dal campo” concluse, sperando di essere stato abbastanza chiaro e che il messaggio che quelle parole nascondevano, e in cui sia lui che Nori credevano, gli arrivasse con la stessa intensità e forza che lui aveva dimostrato loro quando si era definito solo un semplice asso

Kotaro fu il primo a distogliere lo sguardo, completamente assorbito dalla risposta esaustiva e saggia che Keiji, come sempre, era stato in grado di dargli. 

Finalmente i tasselli del puzzle che avevano ingarbugliato la sua mente negli ultimi giorni cominciarono ad avere un senso: gli sguardi carichi di muti rimproveri e i pesanti silenzi di Shikako gli apparivano ora sotto una luce diversa, non più come modi per farlo sentire in colpa ma come gesti che volevano solo farlo riflettere.

“Sai sempre dire la cosa giusta, Akaashi… non so come fai, ma lo fai sembrare così facile. Io… non lo so, a volte mi sento così stupido!”

“A volte lo sei davvero”

“Akaashiii! Non lo faccio apposta, ma spesso non riesco a tenermi dentro niente e agisco senza riflettere sulle conseguenze delle mie azioni… sono così sbagliato e senza speranze?”

“No, te l’ho già detto, non devi per forza vederla come una brutta cosa. Tu sei semplicemente più impulsivo. Ma le parole come le azioni possono avere un potere smisurato, devi ricordartelo e agire di conseguenza, cercando di mantenere sempre fede alle promesse che fai. Sono sicuro che Shikako la pensa come me, e che una volta che avrai capito cosa fare riuscirai a risolvere anche le cose con lei. Le sfide ti sono sempre piaciute in fondo, no?”

“Hai ragione, in quello sono bravo, vero?” rispose, un timido sorriso a increspargli finalmente il viso

“Come giocatore sì, ma ricordati che una relazione non è come una partita di pallavolo. Non importa quanti punti accumuli, ogni tiro è come il set point che può ribaltare la situazione e farti perdere. Ogni azione ha un peso, devi imparare a calibrare la tua forza per poter durare anche nei set successivi”

“E quanti set ha una relazione?”

“Che domanda stupida è questa?”

“Sei tu che hai fatto il paragone con la pallavolo, no?”

“Era solo un esempio creato sul momento per aiutarti a capire meglio le cose, non devi mica prenderlo alla lettera!”

“Oh, capisco! Beh, sei proprio bravo in queste cose, Akaashi!!”

“Semplicemente mi piace osservare le persone che mi circondano e analizzare quello che mi accade intorno, tutto qua”

“Wow, a me scoppierebbe la testa!”

“Non ti preoccupare, tu continua a essere te stesso, senza esagerare, e sono sicuro che le cose con Shikako andranno sempre bene”

“Uhm okay, mi aiuterai quando farò un altro casino, vero?”

“Certo, Bokuto-san, ci sarò, non ti preoccupare”

Anche Keiji finalmente sorrise, perdendosi nel volto ora disteso e spensierato dell’amico seduto accanto a lui, mentre il silenzio scendeva di nuovo tra loro, interrotto solo dal cigolio ritmico delle altalene.

Ma questa volta si trattava di un silenzio diverso, fatto di propositi e progetti che si mettevano lentamente in moto, di idee e parole che non vedevano l’ora di essere pronunciate e concretizzate.

 

*

 

La camera era un completo disastro ma non avevo la benché minima voglia di alzarmi dal letto o muovere un dito, non quella sera.

Il vento batteva sui vetri delle finestre con una violenza insolita per il clima mite di Tokyo, tanto che se socchiudevo gli occhi mi sembrava di tornare al cielo irrequieto e ai temporali violenti di Vancouver, alle notti passate a contare i tuoni e i fulmini cercando di prendere sonno.

Mi rigirai sotto le coperte sospirando per l’ennesima volta, obbligandomi poi ad alzare lo sguardo dai cuscini per guardare sconsolata i fogli sparsi sulla scrivania ingombra, su cui troneggiava il mio quaderno degli appunti, che sembrava come chiamarmi, anzi supplicarmi.

Erano settimane che non riuscivo a scrivere, dal White Day a voler essere precisi.

Indossare quella maschera fatta di silenzi e distanze davanti a Bokuto era stato facile all’inizio, ma più passava il tempo e più mi rendevo conto di quanto quella situazione mi stesse lentamente soffocando.

Ma se lo stavo facendo era perché lo volevo far reagire.

Questa volta volevo vederlo rialzarsi da solo, perché sapevo che era in grado di farlo. Ne ero assolutamente certa.

Come lui aveva saputo illuminarmi la strada da seguire senza forzarmi, ora toccava a me restituire il favore e permettergli di spiccare il volo con le sue sole forze.

Mi ero domandata spesso se stessi facendo la cosa giusta a comportarmi così, ne avevo persino parlato con Akaashi, l’unico a conoscere davvero i fatti, ma lui non aveva fatto altro che confermare i miei pensieri, supportando quella mia scelta.

Ma per quanto la mente si muova lucida nel prendere certe decisioni, il cuore non sempre riesce a reggere quel ritmo e fatica spesso a stargli dietro.

E io mi sentivo proprio così: dilaniata tra la volontà di dare a Kotaro il tempo di capire i propri sbagli e rialzarsi, e il desiderio di correre da lui e cancellare quell’espressione abbattuta e ferita dal suo volto, nascondendomi tra le sue braccia per potergli sussurrare che sarebbe andato tutto bene.

Strinsi forte il cuscino al petto ricacciando indietro le lacrime, cercando di allontanare quei pensieri e sforzandomi di concentrarmi su altro.

Mi costrinsi finalmente ad alzarmi dal letto e a trascinarmi fino alla scrivania.

Anche una riga, anche una sola frase, ma dovevo sforzarmi di scrivere qualcosa, di uscire da quel blocco creativo che mi stava consumando da ormai troppo tempo.

Avevo un disperato bisogno di distrarmi, di perdermi tra le pagine di una storia che non era la mia, tra la calma e l’ordine che a volte solo le parole sanno donare.

Chiusi gli occhi e sentii che al vento si era sostituita la pioggia, che lenta e incessante iniziò a lavare via tutto il rumore e il superfluo, regalandomi la quiete di cui avevo bisogno.

Lasciai che la penna scivolasse sul foglio, prima cauta, poi sempre più veloce, come un fiume che si ingrossa fino a straripare: così il flusso aggrovigliato di pensieri che mi portavo dentro iniziò a sgorgare ad un ritmo sempre più incontrollabile, riempiendo una riga dopo l’altra.

Era da tanto che non pioveva di notte, quasi un mese.

L’ultima volta che avevo visto la pioggia rigare i vetri scuri delle finestre era stato dopo l’ultima grande nevicata che mi aveva obbligato a passare la notte fuori casa: notte che avevo trascorso tra le braccia di Bokuto, che ormai addormentato non si era nemmeno accorto che aveva smesso di nevicare e che un piccolo temporale minacciava di spazzare via la tanta neve accumulata, insieme al suo proposito di fare un pupazzo l’indomani mattina.

Ricordo che la cosa mi aveva fatto sorridere, portandomi a riflettere su quante cose, piccole e grandi, avevamo condiviso in quei mesi lui ed io. Avevo ripensato anche ai discorsi che ci avevano tenuti svegli fino a qualche ora prima, ai progetti e alle ambizioni che ci eravamo confidati a vicenda, nella speranza di renderli più reali, più vicini.

Quella notte avevo davvero offerto tutta me stessa a quel ragazzo che, giorno dopo giorno, aveva scavato il suo posto nella mia vita, nella mia mente, e nel mio cuore. 

Non ero mai stata così in intimità con una persona, non avevo mai confessato a nessun altro le mie paure e paranoie, i miei sogni e segreti più imbarazzanti, i miei ricordi e desideri. 

Era come se fosse riuscito a scavalcare, passo dopo passo, ogni barriera che negli anni avevo finito per innalzare per proteggermi da me stessa e dagli altri.

E lo aveva fatto con una naturalezza che mi spiazzava sempre, come se per lui si trattasse davvero della cosa più semplice al mondo. 

Come se fosse nato per abbattere ogni muro che gli si parava davanti.

Ma soprattutto, lo sapeva fare senza mai smettere di sorridere.

Era questo che più di tutto mi piaceva di lui: il saper prendere ogni mia preoccupazione e sbriciolarla, facendomi capire che ogni problema era in realtà una sfida, che ogni ostacolo in realtà nascondeva un’occasione.

“A volte vorrei vedere il mondo come lo vedi tu” avevo mormorato, stretta al suo petto

“Davvero? Beh è semplice, basta fare così…” mi aveva risposto, prendendomi il viso tra le mani fino a farlo aderire al suo, naso contro naso, occhi contro occhi

“Ma così vedi solo me, baka”

“Esatto, ed è la cosa più importante!” mi aveva risposto soddisfatto

“Sei sempre il solito sdolcinato” avevo detto sbuffando, rituffandomi tra le sue braccia per nascondere quell’incontrollabile sorriso che mi era spuntato in viso

Alzai la penna dal foglio osservando le ultime parole scritte, ripetendole tra me e me, per capire se combaciassero, se stessero bene insieme.

Sentii il telefono vibrare e mi allungai per prenderlo.

Era Bokuto, ma a differenza delle solite fila di emoji c’era un semplice messaggio, fatto di poche ma potenti parole.

> Augurami buona fortuna Nori-chin! A domani!

Domani.

Un brivido mi percorse la schiena, mentre si faceva largo in me la consapevolezza che presto avrei davvero scritto la parola fine su un importante capitolo della mia vita, quale era stato il mio secondo anno di liceo.

Domani.

La cerimonia di diploma di Kotaro e di tutti i ragazzi del terzo anno, i saluti ai senpai, le ultime foto e risate assieme, prima di un arrivederci urlato tra sorrisi e lacrime.

Certo, ci saremmo ancora visti tutti, ma qualcosa si sarebbe spezzato per sempre, quell’atmosfera fatta di battute, sospiri, fatica, speranze condivise e obiettivi comuni non sarebbe più tornata.

Ma avremmo sempre avuto i nostri ricordi: frammenti di vita che ci avrebbero riscaldato anche nelle notti più gelide, anche nei momenti più duri; si sarebbero fatti largo tra le difficoltà che avrebbero riempito il nostro futuro, strappandoci sempre un sorriso.

Fissai lo schermo, sentendo farsi largo prepotentemente in me la voglia di rispondergli.

Ma la sua non era una vera e propria richiesta, quanto una dichiarazione, un invito ad aspettarlo, ancora un altro po’.

Sapevo che ce la stava mettendo tutta e che presto quegli sforzi avrebbero dato i loro frutti, ne ero sicura.

E io desideravo non essere da meno: volevo essere coraggiosa come lui e continuare a lottare le mie battaglie senza lasciarmi rallentare dai miei soliti dubbi, sforzandomi di dare sempre il massimo e imprimendo in ogni parola e azione tutta me stessa, senza rimpianti e paure, senza mai smettere di sorridere.

L’improvviso silenzio calato nella stanza mi fece voltare verso la finestra, da cui vidi fare capolino una timida luna: aveva smesso di piovere e il cielo brillava come nuovo, simile ad una pagina bianca costellata di parole lucenti che avrebbero presto illuminato nuove storie.

 

*

 

“Fammene un’altra, Nori-chan! Mi sa che non ti stavo guardando!”

Shikako alzò gli occhi al cielo, fingendosi esasperata, ma finendo per sorridere di fronte all’ennesima richiesta di Yukie.

“Ehi, ricordati che rimango sempre una tua senpai! Anche se non sarò più qui a tormentarti tutti i giorni verrò a trovarti quando meno te lo aspetti!” le disse, avvicinandosi per allungarle un pizzicotto a tradimento

“Yukippe sei sempre la solita, anche se ti sei appena diplomata sono sicuro che non cambierai mai di una virgola!” ridacchiò Komi, per poi nascondersi dietro Kaori per sfuggire alla sua vendetta

“Dai ragazzi, almeno per oggi cercatevi di comportare da persone adulte!”

“Disse quello che ha appena finito di importunare delle kohai del secondo anno… senza successo per giunta!”

“Eh?! Non è vero!! Volevano farsi delle foto con me… ancora non vi è entrato in testa che sono piuttosto popolare?!” si difese Konoha, arrossendo offeso

“Sì certo, continua a crederci… l’unico ragazzo davvero popolare qui è Akaashi, non dimenticartelo!” gli rispose Haruki, facendo un cenno verso Keiji 

“Abbassa la voce Komiyan, se ti sentisse Bokuto finirebbe per fare una scenata delle sue!” si intromise Sarukui

“A proposito, ma che fine ha fatto? L’ho visto aggiungersi al resto della sua classe poco prima dell’inizio della cerimonia…”

"È sempre il solito ritardatario, fino alla fine!”

Nori alzò gli occhi dalla mirrorless ricordandosi di quel dettaglio: anche lei lo aveva intravisto arrivare trafelato prima di scomparire tra le fila di studenti del terzo anno, e da quel momento in poi lo aveva completamente perso di vista.

Era così sovrappensiero che il vibrare del telefono nella tasca della divisa la fece sussultare.

Lesse il messaggio sgranando leggermente gli occhi, ma decise di non farsi troppe domande.

“Ah, ho dimenticato il copriobiettivo in palestra, torno subito!” esclamò, lasciandosi alle spalle il gruppetto che le lanciò occhiate interrogative

La porta dell’edificio era aperta quando arrivò: il parquet, tirato a lucido e splendente, scricchiolò mentre entrava nella stanza inondata di sole.

“Ho letto il tuo messaggio… ma non vorrai farmi credere che hai intenzione di allenarti pure oggi, vero?” disse, osservando la figura in controluce davanti a lei, per poi ripararsi il viso dai raggi riflessi dalle finestre circostanti, che la accecarono per qualche istante

Quando riaprì gli occhi vide che Bokuto si era avvicinato, e la guardava ora in attesa, un sorriso soddisfatto e tronfio a illuminargli il volto, che tanto le era mancato ammirare.

Distolse lo sguardo, allargando la sua visuale, rendendosi finalmente conto di cosa lo stesse facendo sorridere tanto, e la sorpresa fu così grande per lei che non riuscì a fare altro che rimanere a bocca aperta, non avendo il coraggio di muoversi o di dire qualcosa.

“Hey, hey, hey, ti piace la mia nuova maglia?” 

Sentì gli occhi pizzicarle e la vista annebbiarsi per qualche secondo, ma scacciò indietro le lacrime concentrandosi sui colori che brillavano davanti a lei: oro e nero, su cui spiccava a grandi lettere il numero 12, bianco e splendente.

I colori degli MSBY Black Jackals.

Kotaro aprì le braccia e Nori non se lo fece ripetere due volte, andandogli incontro senza alcuna esitazione, nascondendo il viso nel suo petto. La conosceva troppo bene ormai.

“Scusami” mormorò Shikako dopo qualche istante, una volta riacquistata maggior lucidità e calma “Per tutte queste settimane, per averti ignorato… o almeno averci provato. Ma volevo lasciarti il tempo e lo spazio per riflettere… per prendere una decisione che spettava solo a te prendere. Ero sicura che ce l’avresti fatta!” 

“La prossima volta però potresti trovare un modo meno doloroso per farlo? Ad un certo punto ho pure pensato che volessi lasciarmi” le rispose con voce commossa, tirando su rumorosamente con il naso e facendola sorridere

“Che scemo, volevo solo che imparassi una lezione… tutto qua”

“Ok, lezione imparata Nori-sensei! Ora sono perdonato, vero? Vero??” 

“Non ti devo perdonare nulla, baka. E ora corri a cambiarti, qualcuno potrebbe vederti e non penso che sarebbe il caso di far iniziare la tua carriera professionale con un mini scandalo mediatico”

“Ricevuto!” esclamò, sciogliendo l’abbraccio “La prossima volta che mi vedrai indossarla sarò un giocatore professionista… non vedo l’ora!” aggiunse con tono emozionato, un’espressione di trepidazione dipinta in viso, i pugni e i muscoli tesi per quella felicità che sentiva attraversarlo da capo a piedi

Nori lo osservò orgogliosa, non potendo fare a meno di lasciarsi investire da quella carica di adrenalina e gioia che Kotaro sembrava sprigionare, e prima di rendersene conto si mosse verso di lui: gli prese il volto fra le mani, asciugandogli le lacrime sfuggite dagli occhi lucidi, specchio dei suoi, cercando di imprimere nella sua memoria ogni dettaglio di quegli istanti, prima di annullare ogni distanza e rubargli un veloce bacio.

“Su, gli altri ci aspettano… Komi ha detto che per festeggiare suo zio ci offrirà il pranzo!” disse con tono deciso, spingendolo verso gli spogliatoi, quando lo vide chinarsi nuovamente su di lei

Quella notizia a quanto pare fu abbastanza allettante da convincerlo, e farlo correre come una saetta a cambiarsi.

Lo guardò scomparire oltre la porta che dava sui corridoi, lasciandosi scappare un sorriso liberatorio, mentre con la mentre ripercorreva tutti gli ostacoli superati, le sfide affrontate, i musi lunghi, le sfuriate, le incomprensioni e le risate che avevano portato a quel preciso momento. All’istante che aveva riconfermato tutte le speranze che da sempre aveva riposto in lui: lui che ancora una volta si era comportato come il semplice asso che era sempre stato e il capitano che tutti avevano sempre ammirato, che per quei tre anni aveva saputo guidare gli animi di tutta la squadra, indipendentemente dal risultato delle partite che avevano giocato.

Ed era questo quello che contava, più di ogni vittoria.

L’aver saputo mantenere fede, fino alla fine, a quella tacita promessa accettata nel momento stesso in cui aveva fatto sua la maglia numero 4 della Fukurodani.

L’essere stato fino all’ultimo quel giocatore che quasi un anno fa aveva saputo catturare il suo sguardo spento e distratto, spingendola ad uscire da quella bolla che si era costruita con le sue stesse mani, ispirandola ad accettare di entrare nuovamente in quel mondo che pensava non le appartenesse più e verso cui ora provava solo gratitudine.

Tu non lo sai ma quel giorno è cambiato tutto.

Non me ne ero accorta ma per tanto, troppo tempo, avevo trattenuto il fiato, sommersa da ondate di dubbi, da abissi di domande e paranoie.

Ma sono riuscita a trovare la forza di riemergere: tutto per poter tornare a sentire il calore del sole sulla mia pelle, per poter vedere di nuovo quella luce accecante di cui ora non posso più fare a meno.

 

*

 

“Vuoi abbassare la musica?? Finirai per attirarti già l’antipatia dei vicini, baka!” dissi, anzi urlai, allungandomi verso lo stereo da cui usciva a tutto volume Lay all your love on me degli ABBA

“Ma è una delle tue canzoni preferite, no? Ti avevo promesso che avresti scelto tu la musica se mi avessi aiutato con il trasloco!” esclamò lui sulla difensiva, interrompendo il suo balletto improvvisato

“Sì, ma senza dover fracassare i timpani a nessun-“ cercai di rispondere, prima di venir interrotta e sollevata di peso tra gli scatoloni in cui ero immersa

Bokuto iniziò a farmi roteare per la stanza, cercando di canticchiare, a modo suo ovviamente, il ritornello, in una lingua che tutto sembrava fuorché inglese.

“E tu saresti voluto andare in una squadra estera? E come avresti comunicato, sentiamo!” gli chiesi, guardandolo con aria divertita, le braccia ancorate al suo collo per evitare di scivolare nonostante la sua presa ferrea

“Beh, è naturale! Con il linguaggio del corpo ovviamente!! E poi ho una faccia così espressiva… senza contare che sto simpatico a tutti!”

“Mmm certo, non smettere mai di essere così ottimista, ti servirà tutto questo entusiasmo quando domani incontrerai finalmente i tuoi futuri compagni di squadra” gli risposi, approfittando della fine della canzone per scendere dalle sue braccia e riprendere quello che stavo facendo

“Aaah domani è già lunedì?! Il weekend è davvero volato!! Non puoi proprio rimanere un’altra notte? In fondo puoi sempre prendere il primo Shinkansen domattina ed essere a Tokyo in nemmeno 3 ore!”

“Non se ne parla proprio! Se rimango ancora un altro giorno a Osaka mia nonna mi disereda, e tu sei sempre più vicino a finire sulla sua lista nera…” lo minacciai, cercando di non scoppiare a ridere “Inoltre io e Akaashi abbiamo una riunione importante con il coach in mattinata. Senza contare che tra pochi giorni comincerà il nuovo anno scolastico e dobbiamo lavorare ad una strategia d’attacco efficace per reclutare un sacco di nuovi giocatori visto che la squadra si è praticamente svuotata!” aggiunsi, fissando divertita la smorfia di sofferenza che Kotaro aveva dipinta in viso

“Almeno verrai a trovarmi ogni fine settimana come mi hai promesso?” piagnucolò, guardandomi supplichevole

“Beh, vediamo… tra la scuola e il club sarà dura e poi presto inizierà il nuovo Campionato della V. League e sarai occupato anche tu con…” mi fermai, vedendolo quasi sul punto di scoppiare a piangere, sempre calato nella solita parte di attore melodrammatico “Va bene, va bene, vedrò di fare il possibile, ok? E ora muoviamoci che mancano ancora un sacco di scatoloni… meno male che ti avevo suggerito di farti spedire solo il necessario!”  

Lui finalmente si sciolse in un sorriso vittorioso, allungandosi per stritolarmi in un abbraccio, per poi tornare a spacchettare la tonnellata di scarpe, scaldamuscoli, palloni, peluches e vecchi dvd che aveva finito per portarsi dietro, nulla in confronto al resto degli acquisti che aveva già provveduto a fare, come la collezione di merchandise dei Black Jackals che troneggiava in mezzo alla stanza. 

Sospirai stanca, stiracchiandomi e allungando uno sguardo al cellulare, accorgendomi che era quasi ora di pranzo.

“Scendo a fare un salto al konbini qui vicino per prendere qualcosa e no, non c’è bisogno che vieni anche tu, altrimenti ci metteremmo ore a decidere cosa mangiare. A dopo!” esclamai, afferrando la tracolla e infilandomi le scarpe il più in fretta possibile, per non dare così il tempo a Bokuto di raggiungermi

Le strade del quartiere di Ohasuhigashi erano piuttosto tranquille e silenziose, così diverse dal caos di rumori e persone che caratterizzavano ogni via di Tokyo. Non ero mai stata ad Osaka ed ero contenta che il destino di Kotaro lo avesse portato qui, nonostante la prospettiva di dover affrontare una relazione a distanza non facesse sprizzare di gioia neppure me.

Ma non volevo che quei pensieri negativi offuscassero la felicità che entrambi stavamo provando, che rovinassero la luce di quel momento. 

Volevo fidarmi di lui e di me stessa, e lasciare che la mia mente venisse distratta solo dai propositi che mi attendevano nei prossimi mesi: l’ingresso nel mio terzo e ultimo anno di liceo, le responsabilità come manager della squadra, la nuova Fukurodani che avrei visto e contribuito a far nascere, l’inizio della carriera professionale di Bokuto e le partite che presto avrebbe giocato. Tutti piccoli passi che mi avrebbero avvicinato sempre più al destino che avevo deciso di intraprendere e fare mio.

Ero quasi arrivata a destinazione, quando un oggetto di un rosso acceso attirò la mia attenzione, facendomi fermare.

Non me ne ero resa conto ma nella tracolla avevo ancora la sceneggiatura, ormai conclusa, che avevo realizzato per il concorso di scrittura a cui mi ero iscritta lo scorso mese.

La estrassi, osservandola un’ultima volta prima di decidermi ad imbucarla di getto nel portalettere di fronte a me, mettendo a tacere ogni dubbio e ripensamento, spinta solo dalla voglia di chiudere quella storia per poter dare spazio alle prossime che ero sicura non avrebbero tardato ad arrivare.

 

 

 

- - -
 
N O T E
 
 
Hola <3

Non avete idea di quanto sono felice di poter pubblicare questo capitolo sofferto! XD L’ho riletto talmente tanto che ne ho la nausea ahaha però il peggio ormai è alle spalle, spero che le nottate passate a sistemarlo siano valse a qualcosa <3 

Siamo alla fine, ormai la storia è praticamente conclusa, il prossimo capitolo sarà un breve epilogo con un salto temporale (come nel manga, cosa che ho adorato, anche se avrei dato qualsiasi cosa per poter avere più capitoli prima della conclusione ufficiale TT__TT). 

Come vi avevo anticipato ho aggiunto un po’ di angst e pepe alla nostra coppia prima di “lasciarli in pace” XD , anche se a ripensarci non è stato niente di tragico, ANZI avrei potuto fare mooolto peggio. Ma volevo rimanere realistica, non mi piacciono i dramma inutili e visto il percorso di maturazione sia di Nori che di Bokuto non potevo neanche fargli fare chissà quanti passi indietro. Mi scuso poi per le parti troppo dolcine ma sono giovani e alle prime armi, perdonateli XD

Ho adorato il dialogo tra Bokuto e Akaashi: ho voluto che fosse quest’ultimo a guidarlo verso la risoluzione dei problemi con Nori perché in fondo loro sono amici da più tempo e in più caratterialmente Nori è davvero testarda e poco comunicativa quando si arrabbia (crescerà anche lei XD).

La soundtrack di questo capitolo è bella corposa, come i precedenti del resto XD, e tra tutte la canzone che più ho sentito vicina è “Stars Are on Your Side” di Ross Copperman per il richiamo alle stelle, che nel manga poi è anche una tra le immagini che Akaashi usa per descrivere Bokuto <3

Spero che la storia di Nori e Bokuto vi sia piaciuta quanto a me è piaciuto scriverla, se avete dubbi, critiche e consigli sapete che mi farà sempre piacere leggerli.

Alla prossima, vi lascio con la ending della fanfiction che ho creato per concludere la storia <3

Mel

P.S. Visto che ho menzionato “Mamma Mia!” (uno dei miei musical preferiti) volevo confidarvi che Sky e Sophie un pochino mi ricordano Nori e Bokuto lol, e sì Nori è davvero una patita di musical, mi piaceva inserire nuovamente questa chicca <3

 

 

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


E P I L O G O

始め 

 

 tracks n°70-71-72-73-74-75

chapter pics♡   

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Era stato un mese insolitamente caldo, un Marzo quasi estivo più che primaverile.

Le finestre dell’Accademia, comprese quelle della palestra 3, erano spalancate e tra i corridoi e i cortili dell’istituto le voci festose dei diplomati si mescolavano alle risate e alle urla degli altri studenti, felici alla prospettiva delle vacanze che li attendevano.

Anche i sakura quell’anno sembravano splendere più del solito, rigogliosi nelle loro moltitudini di boccioli pastello, che dal rosa viravano al bianco, incantando tutti i presenti.

“Okay, e con questo possiamo chiudere il registro di quest’anno. Lo metto nello scaffale qui in alto, va bene? Oh, ora che ci penso siamo a corto di fogli! Dovrai ricordarti di ordinare qualche risma in più il mese prossimo… ehi su, Chizu-chan, non è il momento di piangere! Vedrai che ce la farai!” disse Nori, tentando di consolare la ragazza del primo anno che tra qualche settimana avrebbe ereditato il suo ruolo insieme alle responsabilità di manager della squadra

“Oh, siete qua. Vi stavamo cercando per fare una foto… va tutto bene?” chiese Akaashi, facendo capolino nello stanzino

“Sì, arriviamo subito! E vedi di dire a Fukuda che se lo vedo ancora usare la mia mirroless senza chiedermelo gli faccio fare una brutta fine. La carica di vicecapitano gli ha montato troppo la testa…” borbottò Shikako, porgendo un fazzoletto a Chizuru, per poi prenderla sottobraccio e accompagnarla verso il cortile antistante la palestra, dove il resto della squadra li stava aspettando

“Ah, Nori-san, penso che sia arrivato” disse Keiji dopo che ebbero terminato di scattare una dozzina di foto e l’ultima campanella della giornata finì di suonare i suoi rintocchi

“Cosa?! Gli avevo detto di mandarmi un messaggio… è sempre il solito!” sbuffò, per poi congedarsi dai suoi kohai, che la guardarono con occhi lucidi e commossi salutandola per l’ultima volta, e dirigersi verso il cancello di ingresso dell’Accademia, seguita a ruota da Akaashi

Non fu difficile per loro individuarlo: una piccola folla di curiosi, e probabilmente fan, lo circondava, alternandosi nello scattarsi selfie e chiedergli autografi.

“Eppure il coach glielo ripete sempre di mantenere un profilo basso quando è in pubblico…” sospirò Nori, scuotendo la testa, ormai abituata ad assistere a scene simili

Finalmente parve accorgersi di loro, e dopo aver salutato e liquidato velocemente il piccolo gruppo di ammiratori li raggiunse con aria festante.

“Non avevi detto di avere un meeting con uno sponsor oggi e che non saresti riuscito a venire?” chiese Shikako, con aria di finto rimprovero e un broncio forzato

“Beh sì, ma non potevo perdermi il vostro diploma per nulla al mondo!” le rispose Kotaro, afferrandola per i fianchi e sollevandola, sorridendo con aria compiaciuta

“È tua quella moto, Bokuto-san? Non mi ricordavo ne avessi una…” chiese Keiji, osservando la motocicletta nera e ingombrante che troneggiava dietro di loro, vicino al cancello

“Ah no, è di Inu-san! Me l’ha prestata per fare prima, se la porta sempre dietro quando abbiamo impegni a Tokyo! E comunque sono riuscito a saltare l’incontro, mi copre Tsumu con il coach!” spiegò loro, soddisfatto del piano che aveva architettato

“Allora, se davvero non vuoi che lo venga a sapere, avresti almeno potuto evitare di fare tutte quelle foto con i fan, non ti pare?” gli disse Shikako, una volta che la rimise finalmente giù

La faccia improvvisamente pallida e colpevole di Bokuto fece scoppiare a ridere sia lei che Akaashi, facendoli quasi tornare indietro di un anno, a quando episodi del genere erano per loro all’ordine del giorno.

“Sei pronta?” le chiese Kotaro, allungandole un casco, mentre prendeva posto in sella alla motocicletta sempre più scalpitante e rumorosa

“A cosa?”

“A salutare la Fukurodani!” aggiunse, indicando con un cenno l’edificio alle loro spalle, che brillava incandescente catturando le ultime luci del tramonto

“Lo sai che non mi sono mai piaciuti gli addii… e poi, nessuna porta si chiude mai veramente”

Scivolarono nelle luci e nel caos delle strade della capitale, tra clacson, insegne al neon e pubblicità colorate e accecanti, mentre la mente di Nori metabolizzava quello che era successo e che si era appena lasciata alle spalle.

Erano passati due anni da quel lontano pomeriggio in cui aveva trovato posato sul suo banco uno strano volantino che la invitava ad incontrare la squadra di pallavolo maschile dell’Accademia, spingendola a riavvicinarsi a quel mondo che credeva non le interessasse più, con cui pensava di aver troncato ormai ogni rapporto.

Eppure, se non fosse stato per Akaashi, e poi per Bokuto, non avrebbe mai avuto la possibilità di dare una seconda chance alla pallavolo, e di risvegliare così un interesse che credeva sopito, fornendole l’occasione di chiudere finalmente un capitolo lasciato incompleto da tanto, troppo, tempo.

Di mettere così la parola fine ad una parte importante della sua vita.

E che forse in qualche modo avrebbe continuano a portare con sé per ancora molto tempo.

 

*

 

Aprii lentamente gli occhi, disturbata dalla luce che filtrava dalle tende mosse dal vento, e, rabbrividendo per l’aria frizzante, scivolai ancora di più sotto le coperte.

Avevo sognato la mia cerimonia di diploma, il mio ultimo giorno alla Fukurodani, da cui ormai erano passati più di cinque lunghissimi anni.

Erano successe così tante cose.

Ero cambiata così tanto.

Ma non subito almeno.

Finite le superiori ero infatti rimasta a Tokyo, dove avevo frequentato un corso universitario specializzato in scrittura creativa per il cinema e la televisione, scelta che mi aveva spesso portata a dubitare delle mie capacità e delle mie aspirazioni visto il mondo altamente competitivo verso cui mi stavo lanciando.

Ma avevo tenuto duro, e subito dopo la laurea mi ero buttata a capofitto alla ricerca di un qualsiasi ingaggio, per quanto sottopagato e minuscolo che fosse: tutto pur di iniziare a lavorare davvero e cominciare a farmi conoscere nell’ambiente.

Dopo diversi tirocini in varie emittenti televisive, prima locali e poi nazionali, la fatica accumulata e le notti insonni sembravano finalmente star producendo i loro sudati frutti.

La gioia più grande la provai quando per la prima volta lessi il mio nome nei titoli di coda di un piccolo cortometraggio: lì, nel buio della sala di un vecchio cinema di quartiere, sentì sgorgare qualcosa dentro di me, un sentimento caldo e confortante che dava nuova luce e spessore alla fatica e alle paranoie accumulate nei mesi precedenti. 

Qualcosa capace di spazzare via ogni dubbio e tentennamento, lasciando spazio ad una fame creativa senza pari. 

Volevo e potevo farcela.

Gli anni successivi erano letteralmente volati, divorati dalla frenesia dei progetti che si accavallavano, costellati da piccoli ma sempre più frequenti consensi che andavo collezionando. 

Avevo finalmente visto realizzare le mie prime sceneggiature ed ero riuscita a farmi notare, sia nel panorama televisivo che in quello cinematografico, riuscendo a lavorare con molti dei nomi che pensavo irraggiungibili e che per anni avevo solo ammirato e studiato da lontano.

Eppure, sembrava come se fosse successo tutto in un lampo a ripensarci bene.

Tutto l’impegno profuso, le porte in faccia, le nottate al computer, le crisi di identità e i pianti, oltre che i curriculum mandati in ogni dove, sembravano come ricordi di una vita lontana se paragonati a quella che era diventata oggi la mia quotidianità, fatta di budget da stilare, copioni da rivedere e approvare, casting da presidiare, telefonate e riunioni da organizzare, oltre che eventi e interviste a cui partecipare. 

Un mondo nuovo e scintillante che aveva teso verso di me i suoi cancelli dorati, ma che nascondeva anche molte ombre, tante quante le stelle che lo illuminavano.

Ma questo non mi spaventava, non più ormai.

Beh, a voler essere sinceri, le notti in bianco e qualche lacrima qua e là continuavano ad esserci, pensai stropicciandomi gli occhi stanchi e contando mentalmente quante ore di sonno ero riuscita a racimolare.

Quattro? No, forse quattro e mezzo.

Guardai l’orologio sul comodino e decisi finalmente di alzarmi.

La me stessa di cinque anni fa probabilmente si sarebbe girata dall’altro lato e avrebbe ripreso beatamente a dormire, ma se c’era una cosa che avevo cercato disperatamente di smussare negli ultimi anni era la mia inesauribile pigrizia.

O almeno ci provavo.

Ma c’era un minuscolo e al contempo ingombrante dettaglio che ostacolava i miei tentativi di essere mattiniera e puntuale, ed era la persona che russava puntualmente accanto a me, e che si ostinava a tenermi prigioniera con i suoi abbracci stritolanti che limitavano ogni mia possibilità di movimento.

L’esperienza pregressa mi aveva fortunatamente portato ad imparare qualche piccolo trucchetto indispensabile, che mi permetteva di ritagliarmi ogni mattina una via di fuga.

Trattenni così il respiro, cominciando a sfilare lentamente le braccia ancorate sulla mia vita.

“Mmm no, ancora 5 minutiii…”

Sospirai, questa volta sembrava ancora più ostinato del solito.

Presi così il mio cuscino, e stando attenta a non fare movimenti bruschi lo feci scivolare al mio posto, mentre nel frattempo sgattaiolavo quatta quatta fuori dal letto, raggiungendo il bagno in punta di piedi.

Sentendolo continuare a ronfare tirai finalmente un sospiro di sollievo e cominciai a spogliarmi, aprendo con attenzione l’acqua della doccia, smorzando ogni possibile rumore.

Stavo per infilarmi nella nuvola di vapore che mi aspettava invitante quando mi ricordai di una cosa.

Fissai l’anello che da qualche giorno aveva preso posto sul mio anulare sinistro, indecisa se sfilarlo o meno, quando in quel momento sentii qualcosa di peloso sfiorarmi le caviglie nude, accompagnato da un miagolio che conoscevo fin troppo bene.

“Niku, è inutile che vieni ad elemosinare altro cibo, hai la ciotola piena! No, smettila con questa farsa da attrice consumata, non avrai altri croccantini finché non finisci prima quelli di ieri” sussurrai, cercando di farla uscire

“Niku-chaaan!” 

Le urla di Bokuto mi raggiunsero, facendomi alzare gli occhi al cielo: non sentiva sveglie o terremoti ma le suppliche della sua adorata gatta lo smuovevano subito.

Presi in braccio la colpevole in questione, decisa a raggiungerlo.

“Ecco qua, viziala pure come fai sempre! E meno male che eri quello che voleva un cane!” 

“Shhh, non dire queste cose davanti alla bambina, sai che si offende facilmente!”

“Kotaro, la smetti di trattarla come la regina della casa? Ti ricordo che l’altro giorno ha vomitato sul mio copione fresco di stampa e mi ha riempito la giacca nuova di peli!”

“Non ascoltarla Niku-chan, la mamma la mattina è sempre molto irascibile e lunatica, vieni da papà!” disse, allungandosi verso di lei mentre quasi gli lanciavo in faccia quella palla di pelo adorabile ma capricciosa

Sbuffai, dirigendomi a grandi falcate verso la doccia, facendomi scivolare addosso quelle accuse infondate. Sentirmi dare della lunatica e irascibile dalla stessa persona che per anni era stata la primadonna della Fukurodani era davvero comico, non vedevo l’ora di raccontarlo ad Akaashi e Yukie.

“Ehiii! Non mi aspetti? Arrivo anche io!” lo sentii dire, mentre con un tonfo secco mi chiudevo la porta del bagno alle spalle, girando la chiave nella serratura per sicurezza

“Non ci provare, oggi ho un casting importante e non posso permettermi di fare tardi! E la stessa cosa vale per te! Atsumu-san mi ha detto che oggi dovete registrare un’intervista con un’emittente televisiva nazionale, e non ho intenzione di sentirmi dire un’altra volta da Omi-san che arrivi sempre in ritardo per colpa mia!!” gli risposi, prima di infilarmi sotto il getto bollente dell’acqua, che per fortuna coprì e inghiottì ogni sua lamentela e rimbrotto

Emersi dai vapori del bagno più lucida che mai, la mente proiettata sull’agenda della giornata, decisa ad ignorare gli sbuffi e i sospiri di Bokuto che arrivavano dalla camera da letto.

Mi annodai l’asciugamano sul petto, sentendo i suoi occhi puntati sulla schiena, mentre cercavo di trovare in fretta un outfit decente. Il suo sguardo imbronciato continuò a seguirmi anche mentre mi vestivo e truccavo, fino a quando mi vide afferrare la borsa e sciogliermi i capelli ormai quasi asciutti.

Sapevo ormai bene che la migliore tattica con Kotaro era quella di non alimentare le sue scenate con ulteriori attenzioni fino a farlo arrivare all’esasperazione, momento in cui crollava e cedeva, passando alla seconda fase: la supplica finale.

“Nori-chaaan” mugolò, avvicinandosi a gattoni all’estremità del letto dove mi ero seduta in attesa del taxi, intenta a controllare le prime e-mail arrivate in mattinata

“Sì?” gli risposi, fingendomi distratta

“Sei bellissima” sospirò sul mio collo, spostando di lato alcune ciocche per appoggiare le sue labbra sulla mia spalla destra

Ecco che se ne usciva con il suo asso nella manica: smancerie e colpi bassi.

“Devo proprio andare, l’auto che ho chiamato arriva tra due minuti esatti! A proposito, dopo pranzo mi vedo con Yukie, mentre oggi pomeriggio raggiungo Akaashi in redazione per discutere del mio prossimo progetto e penso che ne avremo per un bel po’…” dissi, mascherando il mio crescente imbarazzo dietro un fiume di parole, cercando di non lasciarmi distrarre e lasciarlo così vincere “Però non dovrei fare troppo tardi, quindi vedi di aspettarmi per cena e di non ordinare come al solito tonnellate di cibo da asporto o di improvvisare esperimenti culinari, ok? A stasera!” 

Ma prima che potessi rialzarmi lo sentii afferrarmi per i fianchi e ritrascinarmi tra le lenzuola sfatte.

“Devo andare!!”

“Prima voglio un bacio…” mormorò, il tono ancora fintamente offeso

Alzai gli occhi al cielo, dandogliela finalmente vinta, nascondendo il mio sorriso compiaciuto e divertito annullando i pochi centimetri che ci separavano.

 

*

 

Nori sorseggiò il tè appena arrivato cercando di prendere tempo, mentre sentiva gli occhi dell’amica seduta di fronte a lei puntati addosso.

“Allora? Sto aspettando! Non mi hai ancora raccontato per filo e per segno come ha deciso di fare la proposta quel baka! Sono settimane che attendo che trovi un buco nella tua super agenda per vedere la tua vecchia senpai, e tu continui a tirarla per le lunghe!!” esclamò Yukie, ormai esasperata da quell’attesa snervante

“Ma te l’ho già detto per telefono, no? Non c’è altro da sapere!” tentò di difendersi Shikako

“See come no, mi hai liquidata in due parole dicendo che eri impegnata con le riprese e che ne avremmo parlato meglio un altro giorno. Quindi non tirare fuori altre stupide scuse e raccontami tutto senza tralasciare niente!” concluse, addentando con foga la fetta di torta che il cameriere le aveva appena portato

“E va bene, se insisti… anche se ti avverto che non c’è molto da raccontare…” esclamò Nori con aria sconfitta, sforzandosi di ignorare l’occhiataccia dell’amica “Come già sai, circa due settimane fa Bokuto è stato contattato dal comitato sportivo per ufficializzare il suo ingresso nella Nazionale giapponese, in vista delle prossime Olimpiadi. È sempre stato il suo sogno, ed era da mesi che mi faceva una testa così e passava le notti in bianco per vedersi tutte le registrazioni delle partite degli scorsi anni. Insomma, il giorno della firma del contratto mi invia un selfie con la nuova maglia, dicendomi che avremmo festeggiato dallo zio di Komi, e fin qui nulla di strano visto che ci andiamo almeno una volta al mese…”

“…e poi?”
 Nori riprese fiato, finì in un ultimo sorso quel che era rimasto del tè ormai tiepido ordinato, e cercò di ritornare con la mente a quella strana ma intensa serata di qualche settimana prima.

Era successo tutto così in fretta, tanto in fretta da non lasciarle nemmeno il tempo e la possibilità di riflettere davvero su quanto accaduto, o di metabolizzare come in una sola sera avesse dato una svolta alla sua vita, violando uno dei pochi ma importanti tabù che da sempre si era posta.

 

“Furuya-kun, ho mandato le ultime e-mail di conferma alla produzione. Il copione è in revisione dal comitato ma penso che per lunedì sarà già stato approvato, quindi puoi avvisare la troupe che le riprese possono iniziare senza ulteriori ritardi o intoppi”

O così almeno sperava.

“Li avviso subito, Shikako-san!”

Heiji Furuya era il nuovo stagista di Nori, un liceale fresco fresco di diploma, nonché nipote di uno dei produttori più facoltosi del nuovo film a cui stava lavorando. Nonostante le premesse si stava inaspettatamente rivelando un ottimo assistente, preciso e puntuale. Sapeva che tra qualche mese l’avrebbe lasciata per iscriversi all’università ma questo non le avrebbe impedito di rimpiangere il suo supporto, o di affezionarcisi.

“Ah, ha ricevuto alcune chiamate mentre era in riunione. Questa volta sembravano piuttosto urgenti ma-“

“Ma?”

“Ho resistito e non ho risposto!” disse fiero

Ovviamente non c’era bisogno di specificare di chi fossero le chiamate.

Solo due persone sapevano essere insistenti come Bokuto, ma entrambe, sua madre e sua nonna, erano alle Hawaii da alcuni giorni per festeggiare una piccola somma vinta al pachinko.

Nori sospirò scuotendo la testa, sapeva bene il perché di quelle telefonate. 

E sì, quella volta si trattava davvero di qualcosa di urgente. 

Non capitava tutti i giorni di diventare uno dei giocatori della nuova formazione della Nazionale di pallavolo. 

“Non ti preoccupare, questa volta me la vedo io…” sospirò drammatica, anche se un sorriso orgoglioso le increspava le labbra

“È sicura? Posso fare qual-“

“Non ti preoccupare, Heiji-kun, per oggi può bastare. Rivedi le note che ti ho condiviso e stampa i nuovi copioni per domattina. Buona serata!” disse con un cenno, chiudendosi la porta dell’ufficio alle spalle e dirigendosi con finta calma verso gli ascensori

Uno dei lati negativi del suo nuovo stagista era l’ammirazione viscerale per Kotaro. Neanche a farlo apposta aveva giocato come libero per tutti gli anni delle medie e delle superiori, ed era da anni un grande fan dei Black Jackals. Il primo giorno che vide Bokuto venire a prenderla in ufficio dopo una trasferta per poco non gli svenne davanti.

Sorrise a quel ricordo, oltrepassando le porte scorrevoli dell’ingresso, sentendosi come più leggera, mentre i rumori familiari delle vie trafficate di Ginza si mescolavano ai colori accesi di quel pomeriggio di inizio estate, accecandola per qualche istante.

Si diresse verso il primo distributore automatico di bibite nei paraggi e prese una bottiglietta di te verde sovrappensiero, mentre osservava l’elenco di chiamate perse di Bokuto.

Ma non furono quelle a catturare la sua attenzione, quanto un messaggio piuttosto singolare.

“Incontriamoci dove non ci sono gufi e dove hai scattato la tua prima foto”

Un’unica enigmatica frase, non proprio nello stile di Kotaro che alla brevità preferiva sproloqui e cornicette di emoji.

Eppure, il mittente era proprio lui.

Decise di stare al gioco e con andatura sicura si diresse verso l’entrata della metro più vicina: direzione Yoyogi Park.

Lì dove tutto era iniziato.

Mentre si lasciava cullare dall’oscillare della metro non poté fare a meno di sorridere, ripensando a quel pomeriggio di tanti anni prima, quando per la prima volta lei, Kotaro ed Akaashi si erano visti fuori dalle mura della Fukurodani. Per la ragazza introversa e chiusa che Nori era all’epoca, quel gesto voleva dire tanto: era un altro passo fuori dalla sua confort zone, verso un nuovo capitolo della sua vita che stava scoprendo giorno dopo giorno.

L’annuncio della sua fermata la scosse da quei ricordi nostalgici, che fece fatica a scrollarsi di dosso del tutto mentre seguiva sovrappensiero la folla di pendolari verso l’uscita.

Era da tempo che non metteva piede a Yoyogi Park: di solito, quando si avventurava in quelle zone, si limitava a girovagare tra Omotesando e Harajuku, che pullulavano di cafe colorati e atelier eclettici, e dove i liceali e gli universitari passeggiavano la domenica e il sabato pomeriggio sfoggiando gli outfit più particolari e variopinti.

Superò la piazza dell’orologio, meno affollata del solito, e si diresse verso il luogo che quella frase all’apparenza enigmatica nascondeva: l’area del parco dedicata al birdwatching. 

Si guardò attorno ma non vide nessuno oltre a lei e qualche anatra che sonnecchiava all’ombra di una grossa quercia. Ma proprio quando stava per tornare sui suoi passi intravide qualcosa luccicare alla luce del sole: una foto era stata malamente nascosta dietro il cartello che elencava le specie di uccelli ospitate nel parco. 

Ma non era uno scatto qualunque, era una foto di Bokuto davanti al tempio Sensoji di Asakusa: ricordava quanto l’avesse pregata di fotografarlo vicino ad uno dei tanti risciò che stazionava in quella zona, pronti a far scorrazzare i turisti avanti e indietro per le vie trafficate e cariche di banchetti di street food e souvenir. Kotaro aveva anche provato a chiedere ad uno di loro di poter provare a tenere il risciò ma si era dovuto accontentare di una semplice foto vicino alla carrozza, foto che Nori aveva scattato con piacere, trattenendo a stento le risate per la bizzarra scenetta a cui aveva dovuto assistere.

Quante volte Bokuto l’aveva fatta sorridere? 

Quante volte l’aveva spiazzata con il più semplice e buffo dei gesti, cancellando per un momento ogni pensiero, esitazione o ansia dalla sua mente?

Tante, troppe volte per poterle contare o ricordare.

Rigirò la foto sovrappensiero, notando solo allora una piccola scritta a mano: “Qui, dove tra melon pan e fuochi d’artificio puoi trovare i migliori omamori. Oggi ne avrò davvero bisogno!”

Il giorno della loro prima gita fuoriporta avevano effettivamente mangiato melon pan ad Asakusa, ma cosa c’entravano i fuochi d’artificio? 

Poi improvvisamente ricordò: vicino al Sensoji si trovava il Parco di Sumida, che si affacciava proprio sulle sponde dell’omonimo fiume, dove durante il loro primo Tanabata assieme Bokuto l’aveva portata ad ammirare i fuochi d’artificio, lontano dalla calca e dalla confusione, in quello che aveva chiamato il suo “posto speciale”.

E fu lì che si diresse, non senza prima fare una breve sosta per recuperare un omamori, un portafortuna, come Bokuto le aveva chiesto in quel secondo strano messaggio. 

Scese la scalinata che dal marciapiede portava al prato che costeggiava il fiume, mentre un filo di vento le accarezzava i capelli e il suo sguardo veniva rapito dal cielo: i tramonti di Tokyo sapevano essere unici e inaspettati, capaci di colorare il cielo di rosa, fucsia e magenta e incendiarlo, ma anche di virare alle tinte più tenui e pastello, ma senza mai deludere i suoi spettatori che, ovunque si trovassero, non potevano non staccarsi almeno per un istante dalla frenesia che li circondava per alzare gli occhi e il naso all’insu e lasciarsi incantare da quei magici colori.

Quando frequentava la Fukurodani non aveva mai avuto molti momenti in cui soffermarsi sulla bellezza che la circondava. Le lezioni iniziavano sempre troppo presto e gli allenamenti con la squadra terminavano sempre a buio inoltrato; ma ogni tanto, quando accompagnava Yukie a riempire le borracce nella fontanella del cortile o quando il coach decideva di fare il riscaldamento all’aperto, anche lei si lasciava ammaliare dalle delicate luci dell’alba, o dalle sfumature cangianti e accese dei tramonti che preannunciavano la sera. 

Piccoli attivi rubati duranti anni frenetici, che erano volati in un soffio e sembravano ora così lontani.

Un brivido la scosse, e la vibrazione del telefono abbandonato in tasca la fece sussultare. 

Un nuovo messaggio di Kotaro:

“Ti ricordi i colori della notte in cui gli amanti si incontrano?”

E subito dopo sullo schermo comparve il selfie scattato in quella stessa cornice alcuni anni prima: lei schiacciata tra Yukie e Kotaro, Kaori e Akaashi alle sue spalle, mentre le ultime scie e scintille dei fuochi d’artificio da poco sparati illuminavano il cielo di Tanabata, l’unica notte dell’anno in cui, secondo la leggenda, Hikoboshi e Orihime riescono a incontrarsi e a festeggiare il loro amore eterno.

Quella era stata una notte speciale anche per lei e Bokuto: stretta nel suo yukata nuovo, comprato per l’occasione, sforzandosi di sostenere lo sguardo rassicurante di Kotaro e di inghiottire l’ansia che l’attanagliava, aveva finalmente deciso di aprirsi con lui, di renderlo partecipe del suo passato.

Si era sentita subito più leggera, ma anche più esposta, più vulnerabile.

Ma Bokuto aveva saputo prendere tutte le sue debolezze per mano: aveva cancellato con un semplice gesto i suoi dubbi, i suoi incubi e le sue paure, restituendole una forza e un coraggio che non pensava di possedere. E l’aveva sempre fatto con un sorriso sulle labbra, senza forzarla mai, standole semplicemente accanto tutte le volte che ne aveva avuto bisogno.

Quella come tante altre volte. 

“Ora però l’omamori serve a te: se hai coraggio canta!” 

Un altro messaggio, un altro luogo, un altro ricordo che si faceva largo nella sua memoria.

Nori sorrise: questa caccia al tesoro si stava facendo sempre più interessante.

Poche fermate della metro Ginza e si ritrovò nella calca e nelle luci di Ueno, in cui i negozi dalle insegne scintillanti e invitanti si mescolavano ai banchetti del mercato caotici e affollati di turisti; dove il vociare dei venditori di street food e i jingle delle sale giochi si univano alle risate dei salary men appostati a bere tra i tanti izakaya che inondavano il quartiere tutte le sere. E proprio tra quei locali, Nori riconobbe un’insegna a lei familiare: quella del karaoke Molten, dove molti anni prima aveva festeggiato il suo primo compleanno in Giappone.

Entrò nel locale con aria tentennante: erano passati secoli dall’ultima volta in cui era entrata di sua spontanea volontà in un karaoke. Da sobria almeno.

“Salve, sono Shikako Nori, per caso qualcuno ha lasciato un messaggio per me?” chiese alla ragazza all’ingresso, rendendosi conto di quanto quella richiesta potesse suonare strana

Fortunatamente lei parve capire perché le sorrise divertita.

“Benvenuta! La stavamo aspettando, il suo ragazzo ha prenotato per lei la stanza numero 4, la prima nel corridoio a destra” le rispose, senza smettere di sorriderle

Nori seguì le sue indicazioni e si ritrovò presto nella penombra ovattata e calda di una saletta composta principalmente da un divanetto di pelle nera dall’aria vissuta, e uno schermo gigante che sembrava come osservarla in attesa, pronto ad animarsi ai suoi comandi e ad accogliere le sue richieste.

Scorse velocemente il catalogo, sicura della sua scelta.

Le note di Lemon di Yonezu Kenshi invasero le pareti della stanza, mentre si chinava a prendere il microfono senza perdere di vista le parole che cominciarono ad apparire sul display davanti a lei.

Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quella melodia che evocava un capitolo della sua vita completamente diverso da quello che si trovava a vivere ora.

Se usava la sua immaginazione le sembrava quasi di sentire la voce di Yukie, la risata di Kaori, il chiacchiericcio caotico e disordinato della squadra tra cui spiccavano sempre Konoha e Komi; e poi il Nekoma, le battute taglienti e ironiche di Kuroo, la presenza silenziosa di Kenma e quella ingombrante di Lev, Taketora e Yaku.

E infine, ancor più distintamente sentiva: Akaashi, e il suo esserci sempre ma con discrezione, e Bokuto, un tornado di energie incapace di passare inosservato.

Riaprì gli occhi, la canzone era finita.

Anche se non l’aveva davvero cantata come l’ultima volta, aveva vissuto il ricordo di quella sera di tante estati prima come se non fosse trascorso un solo giorno da allora.

Una sera fatta non solo di canzoni, schiamazzi e risa, ma anche di pioggia, sospiri, sussurri, parole non dette e amori acerbi.

Se chiudeva nuovamente gli occhi riusciva a sentire ancora il muro freddo alle sue spalle, il lento ma incessante gocciolio dell’acquazzone da poco iniziato, lo sguardo di Bokuto fisso su di lei, il suo fiato caldo solleticarle la fronte, e le ciocche di capelli bagnati incollate alle guance bollenti.

In quella cornice improvvisata e inattesa Kotaro aveva addomesticato i battiti frenetici del suo cuore impazzito e aveva provato a renderla partecipe del suo presente: dei suoi sentimenti appena sbocciati e delle cose nuove che stava imparando a riconoscere e chiamare per nome. 

Proprio come il suo, “Nori”. Un sussurro capace di sconvolgerla e farla fuggire dalla realtà che evocava.

Lo squillo del telefono interno della saletta la destò dai suoi ricordi, scuotendola, come il risveglio improvviso da un sogno che non si è ancora pronti ad abbandonare.

“Stiamo per portarle la bevanda che ha ordinato!”

“Ma io non ho ordinato n-“

Non fece in tempo a finire la frase che la porta si aprì e la ragazza minuta dell’ingresso fece capolino assieme ad un vassoio che posò di fronte a lei, sorridendole prima di scomparire e lasciarla nuovamente sola.

Ma ad attirare l’attenzione di Nori non fu la bevanda sul vassoio quanto il biglietto attaccato sotto al bicchiere:

“Ora sarai stanca e senza voce, bevi un sorso di te! Ti aspetto al solito vecchio posto” lesse mentre sorseggiava il te freddo al limone

Quindi era arrivata alla parte finale di quella caccia al tesoro. 

Chissà se ad attenderla ci sarebbe stato anche un premio?

Il cielo era ormai scuro quando si lasciò l’insegna del karaoke alle spalle: l’aria densa di profumi speziati e invitanti, e pregna di un’umidità che annunciava l’arrivo ormai prossimo del caldo estivo e della stagione delle piogge.

Decise di camminare un po’, la sua destinazione in fondo non era troppo lontana.

La strada la conosceva bene, l’aveva percorsa per due lunghi anni: sotto la neve e il sole cocente; sotto una tempesta di petali di ciliegio e una cascata di foglie di acero rosso; con gli occhi rossi carichi di sonno e la mente rapita da impegni, compiti, scadenze, sogni, progetti; con il cuore a volte pesante, a volte leggero.

La sagoma scintillante del Tokyo Skytree la seguiva ad ogni passo, spuntando tra gli incroci deserti e le vie silenziose che costeggiavano il quartiere di Sumida, illuminando il suo tragitto e facendola subito sentire a casa.

Pochi passi e finalmente il profilo familiare dell’Accademia Fukurodani comparve dinanzi a lei: il cancello era socchiuso nonostante la tarda ora, segno che alcuni club si stavano ancora allenando. Ebbe un tuffo al cuore quando vide le luci della palestra 3 ancora accese.

Ma la sua meta non era quella, anche se la tentazione di avvicinarsi e sentire ancora una volta il rumore della palla rimbalzare contro i pavimenti di linoleum tirati a lucido era davvero forte.

Proprio vicino al suo vecchio liceo si trovava un conbini che aveva salvato più volte le sue giornate di studentessa e manager della squadra. Era davvero minuscolo ma era sempre riuscito a soddisfare le richieste di tutti, e soprattutto a placare gli attacchi di fame improvvisa e gli stomaci senza fondo di Yukie e Bokuto.

D’inverno facevano sempre le corse per accaparrarsi i nikuman caldi appena fatti o i dorayaki ripieni di marmellata anko; mentre invece d’estate era diventata una loro tradizione terminare gli allenamenti con un ghiacciolo Gari-Gari kun super rinfrescante che scoppiettava in bocca, o con un gelato soft serve al matcha.

E proprio a pochi passi dall’ingresso del minimarket si trovava un piccolo parco giochi semiabbandonato, rischiarato appena dalla luce pallida di un lampione stanco, composto solo da un’altalena cigolante e da uno scivolo a forma di arcobaleno stinto.

In quella penombra riconobbe subito la sagoma che stava rincorrendo da ore.

La stava aspettando, dondolandosi appena, proprio su quella stessa altalena dove anni prima lei aveva attinto a tutto il suo coraggio pur di non perderlo: dove aveva fatto il primo vero passo verso il futuro che avevano iniziato a vivere assieme da allora.

“Non ci hai messo molto a trovarmi, Nori-chan!”

La sua voce limpida ed entusiasta la investì come un’ondata di calda felicità, facendola sorridere incontrollabilmente.

Non lo vedeva solo da quella mattina, ma nonostante in passato avessero vissuto anche diversi mesi senza incontrarsi, per motivi di lavoro e studio, in quel momento le parve che le fosse mancato terribilmente. Quella mancanza fisica che solo un abbraccio può colmare.

“Devo ammettere che è stata una caccia al tesoro divertente, ma piuttosto facile” rispose, prendendo posto sull’altalena accanto a lui

“Una caccia al tesoro? Quindi pensi che sia stata tutta una caccia al tesoro?”

“È un modo gentile per dirmi che non ho vinto nessun premio?”

“Nessun premio oltre al sottoscritto, vorrai dire!”

Kotaro ghignò, stando al gioco, per poi alzare gli occhi al cielo, la sua espressione improvvisamente distesa, composta e solenne.

“Sai, quando ti ho chiesto di prendermi un omamori al Sensoji ero serio sul fatto che oggi mi servisse tanta fortuna…”

Nori non smise di fissarlo un secondo, rapita da quel cambio di tono insolito, il respiro sospeso, come in attesa.

“L’ultima volta sei stata tu ad essere coraggiosa. Proprio qui. Ora capisco quanto quell’invito ti sia costato” disse, ridacchiando appena, come per smorzare la tensione palpabile scesa tra loro “Se non lo avessi fatto, non so se saremmo qui a parlarne. O forse sì. Forse in un modo o nell’altro uno dei due avrebbe fatto qualcosa per farci riavvicinare. Non lo sapremo mai, vero?”

I cigolii si fermarono improvvisamente. Kotaro si era alzato e ora era di fronte a lei: fece per inginocchiarsi, fino a quando i loro occhi furono alla stessa altezza, le loro guance pericolosamente vicine e calde, le loro labbra incapaci di muoversi, come per timore di quello strano incantesimo sceso tra loro.

“Nori, il mio sogno più grande è sempre stato quello di giocare per la Nazionale Giapponese, questo lo sai bene. Ma da quando ti ho incontrata ho capito che quando avrei raggiunto quell’obiettivo avrei dovuto trovare un nuovo sogno da rincorrere e custodire per tutta la vita. E quel sogno sei tu.”

Una piccola stella sembrò prendere vita tra le mani di Bokuto: per un breve istante Shikako pensa di esserselo immaginato, ma poi lo vede davvero, un piccolo anello che brilla timido nel palmo teso verso di lei.

Non sa cosa fare, e improvvisamente sente caldo, come se una bolla la inghiottisse, spazzando via ogni rumore e sensazione.

Aveva sempre pensato che tutto questo non sarebbe mai capitato a lei: agli altri sì, prima o poi capita, ma a lei? 

Lei, che aveva perso fiducia in quella parola, “matrimonio”, ancora prima di conoscerlo, quando le liti dei suoi genitori erano l’unica ninna nanna concessa prima di chiudere gli occhi.

Lei, che aveva sempre avuto paura di prendere decisioni importanti, perché temeva che i “se” e i “ma” l’avrebbero perseguitata sempre;

Lei, che aveva smesso di credere nei sogni.

Ma poi lo aveva incontrato: aveva lasciato che quel tornado umano fatto di energia pura ed entusiasmo incrollabile spazzasse via tutte le sue certezze, che facesse a pezzi i suoi muri, che le mostrasse che le crepe che ci portiamo dentro non sono solo ferite che non rimargineranno mai, ma spiragli da cui lasciar entrare la luce, che prima o poi avranno la forza di cicatrizzare.

E lei aveva fatto tesoro di quegli insegnamenti, diventando la donna di successo, testarda e sicura di sé che era ora. 

Quindi perché non fidarsi anche questa volta?

Perché non lasciare che Kotaro la prendesse per mano ancora una volta e le mostrasse le cose da una prospettiva diversa, migliore, come aveva sempre fatto e come solo lui era capace di fare?

Tese la mano sinistra verso la sua, sorridendo, sentendo improvvisamente gli occhi lucidi e pesanti, ma nonostante le lacrime che le offuscavano la vista non voleva perdere nemmeno un fotogramma di quel momento.

Voleva che quel ricordo di loro due sull’altalena, protagonisti di quella tenera e inaspettata proposta, rimanesse indelebile nella sua memoria.

Una nuova tappa di una caccia al tesoro che era certa sarebbe durata ancora per molto, molto tempo.

“Alla fine ho vinto davvero un premio” sussurrò Shikako, ammirando l’anello che aveva preso posto sul suo anulare sinistro

Kotaro rise, una risata liberatoria che contagiò anche lei, mentre l’aiutava a rialzarsi dall’altalena.

“Forse a questo punto merito un premio anche io…” sospirò chinandosi sul suo collo scoperto, che baciò con dolcezza, prima di risalire verso le sue labbra, invitanti e calde.

Nori perse ogni contatto con la realtà che la circondava quando lo sentì annullare i centimetri che li separavano. Prima con delicatezza e calma, poi con voracità e impazienza.

Come se anche lui avesse percepito il suo stesso bisogno fisico di perdersi nei suoi abbracci, nelle pieghe del suo corpo e negli angoli delle sue labbra.

I suoi baci si fecero sempre più frenetici: si susseguivano in scie di sussurri e sospiri, senza lasciarle scampo. Il suo fiato umido e caldo le fece venire freddo mentre le ginocchia cedevano, giusto in tempo per essere afferrate dalla sua presa salda che la sospinse con non troppa delicatezza contro la rete metallica che circondava il parco, mentre le mani, ora libere, scivolavano tra i diversi strati dei suoi vestiti, accarezzando lembi di pelle e tessuto, facendole perdere ogni minima traccia di lucidità. Ma con uno slancio di energia inaspettato si incollò saldamente al suo petto, intrecciando le dita ai lembi della canotta, da cui intravide i suoi muscoli turgidi e tesi, una patina di sudore a illuminarli, creando una scia che arrivava fino al lampo di colore dei boxer che uscivano dai pantaloni della tuta allentata.

“Questo di solito è il momento in cui cerchi di fermarmi” scherzò Kotaro, staccandosi leggermente da lei così da osservarla meglio, un lampo di sfida e divertimento negli occhi

Nori arrossì, sorridendo compiaciuta, e decise di stare al gioco

“Questa volta a quanto pare ci hai pensato tu” osservò, mentre un tiepido alito di vento le solleticava la nuca e le ciocche sudate incollate alla schiena

“Non ho mai detto di volerlo fare…” ghignò lui, reprimendo una risata, calandosi nuovamente sul suo collo, mentre le sue mani riprendevano possesso del suo corpo

Ecco, forse questa parte della proposta non l’avrebbe raccontata a nessuno.

 

“Oh mio dio!” urlò Yukie, facendo voltare alcuni clienti del locale e facendo imbarazzare a morte Nori, che le lanciò un’occhiata quasi assassina “E meno male che non c’era molto da raccontare! Sembra la scena di un film!!”

“Bokuto tende sempre ad esagerare, questo lo sai, ma ti assicuro che questa volta non è tutta farina del suo sacco…”

“Che vuoi dire??”

“Beh, Il giorno dopo dovevo vedermi con Akaashi e dopo qualche minuto l’ho fatto subito confessare: è stato lui a indirizzarlo verso quel piano, perché tra le idee che erano venuta in mente a quello scemo c’erano quella di nascondermi l’anello dentro il mio dvd preferito o di improvvisare la proposta durante la diretta di una partita…”

Yukie scoppiò a ridere di gusto, sentendo le lacrime salirle nell’immaginarsi quella scena.

“Ricordami di ringraziarlo alla prossima riunione di classe, come minimo gli offro un giro di birra!”

Nori sorrise, scuotendo la testa, ancora grata a Keiji per averla salvata dall’umiliazione pubblica di vedere la sua faccia esplodere per l’imbarazzo in diretta televisiva.

“E così avete finalmente ufficializzato le cose… dopo tutti questi anni di convivenza mi pare proprio il minimo!” aggiunse Yukie dopo essersi ripresa dall’emozione

“Già, ed è tutto merito suo. Se fosse dipeso da me probabilmente avremmo continuato a frequentarci per il resto della nostra vita senza mettere mai la testa a posto, come dice sempre mia nonna, che per la cronaca è stata anche più felice di me quando gliel’ho raccontato!”

“Scherzi?”

“Per niente! Lo sai che non ho mai creduto molto nel matrimonio… ma visto che Kotaro ci tiene così tanto ho deciso di dargli una seconda possibilità…”

In fondo non era la prima volta che Bokuto l'aveva fatta ricredere su qualcosa.

E sicuramente non sarebbe stata l’ultima.

 

*

 

“Etciù!”

“Ehi, vedi di metterti la mano davanti quando starnutisci, non voglio rischiare di finire in panchina con il Campionato alle porte!” esclamò Atsumu Miya, allontanandosi teatralmente

“Bokuto-san, ti sei ammalato?” chiese Hinata Shoyo, voltandosi a guardarlo con aria seriamente interessata

“Eh? Ma figurati, il qui presente…”

“… non si è mai ammalato in tutti questi anni, sì lo sappiamo, lo dici ogni santa volta… ma arriverà il giorno in cui ti vedremo ammalarti come un comune mortale, Bokkun!”

“Non credo che succederà mai, Tsum-Tsum! Oh, Omi-kun, il coach ha detto che dopo tocca a te e a Inu-san, puoi pure usare il mio microfono se vu-“

“Non osare avvicinarti di un solo millimetro, e allontana quell’oggetto carico di microbi e batteri dalla mia vista!” gli rispose Sakusa Kiyoomi, estraendo dalla tasca della felpa il suo immancabile spray disinfettante, tirandosi su la sua fedele mascherina e lanciandogli un’occhiata minacciosa di avvertimento

“Non vorrai dirmi che hai paura di un semplice starnuto!? Sarà stata la polvere, non vedi che sono sano come un pesce? Guarda qua che muscoli!” disse Bokuto, avvicinandosi sempre più, mentre Sakusa continuava ad arretrare fino ad iniziare a correre per sfuggire all’insistenza di Kotaro, che non sembrava intenzionato a mollare la presa 

“Levatemelo di dosso! Non voglio essere contaminato!” lo sentirono urlare con tono isterico prima di vederlo scomparire oltre il corridoio dello studio televisivo, seguito a ruota da Bokuto che aveva colto la palla al balzo per divertirsi alle spese del compagno di squadra

Hinata e Atsumu scoppiarono a ridere non riuscendo più a trattenersi, abituati ormai a siparietti del genere e soprattutto alle scenette con cui Kotaro non mancava di farli divertire ogni giorno

“Se penso che quell’idiota l’anno prossimo si sposa mi sale il nervoso!” commentò sbuffando Miya, stringendo i pugni per quella che secondo lui era una vera ingiustizia

“E non sei felice? A te Nori-san sta simpatica, no?”
 “Certo che sì ed è proprio questo che mi dà fastidio! Certe persone hanno tutte le fortune del mondo… sposarsi addirittura prima del capitano, che rabbia!”

“Io non vedo l’ora, i matrimoni mi sono sempre piaciuti! E visto che mi sono perso quello di Tanaka e Shimizu quando ero in Brasile, sono davvero contento di essere stato invitato a questo!”

“Spero almeno che quell’idiota abbia la decenza di chiedermi di fargli da testimone!!”

“Mmm penso che quel ruolo spetti già a qualcun altro…”

“Eh?! E a chi?”

 

*

 

“Akaashi! Scusa il ritardo, c’è sempre un traffico pazzesco a quest’ora!” dissi, lasciandomi scivolare nella confortevole poltrona di fronte alla sua scrivania
 “Tranquilla, sono uscito proprio ora da una riunione con il capo-redattore e Tenma-san” rispose lui, sfilandosi gli occhiali e massaggiandosi le tempie con aria stanca

“Oh bene! Sei riuscito a convincerlo a cambiare quella sottotrama?”

“Forse… stiamo cercando di fargli capire che deve chiudere alcuni snodi narrativi se vogliamo lanciare la nuova serie sportiva in occasione del prossimo anniversario di Shonen Jump”

“Wow, non vedo l’ora di leggerla! So che è ancora materiale top secret quindi non ti chiederò altri dettagli… però sono davvero felice per questo vostro nuovo progetto! E anche io ho una bella news da darti!” esclamai, estraendo dalla borsa il copione ritirato qualche ora prima

“Abbiamo finalmente un produttore e sia lui che il regista hanno firmato la versione finale dello script. E io ho fatto il tuo nome come co-sceneggiatore…” aggiunsi, porgendogli il plico di fogli e sorridendogli entusiasta, non riuscendo più a trattenermi per l’emozione

“Cosa?! Stai scherzando? Lo sai che in questi anni ti ho sempre dato il mio parere con piacere, ma non sono così esperto a livello cinematografico da poter essere accreditato come professionista” tentò di protestare, sgranando gli occhi per quella notizia inaspettata

“Sei fin troppo modesto, il tuo nome ormai non circola solo nell’industria dei manga e so bene che hai rifiutato la direzione di diversi live-action… ma questa volta sarà diverso! Scriveremo a quattro mani e poi lo sai che il tuo è l’unico giudizio di cui mi fido… devo forse ricordarti cosa è successo l’ultima volta che abbiamo creato qualcosa assieme?”
 “Se ti riferisci alla recita del secondo anno di liceo non mi sembra un precedente valido, per quanto successo possiamo aver avuto si trattava pur sempre del festival scolastico”

“Lo so e questa è proprio l’occasione che ci serve per capire se possiamo scrivere qualcosa di altrettanto bello ma più ambizioso… e ti conosco abbastanza da sapere che stai tirando fuori tutte queste scuse per nascondere il tuo entusiasmo, quindi non sprecare altro tempo e dimmi che accetti!”

“Non mi sembra che tu mi stia lasciando molte alternative…”

Lo vidi sorridere, segno che ormai aveva ceduto e che potevo ritenermi vittoriosa.

“Alla fine hai deciso che titolo dare a questo film?”

“Ma certo, The Deer & The Owl

“Lo stesso del racconto con cui sei arrivata quarta a quel concorso, cinque anni fa?

“Esatto, ma questa volta le cose andranno diversamente… in fondo ogni storia merita una seconda possibilità, non credi?”

Sì, questa volta sentivo che sarebbe stata la volta giusta, pensai, prima di sciogliermi nello stesso sorriso emozionato che vedevo illuminare il volto di Keiji.

 

*

 

Ci sono storie che non possono essere cambiate, o aggiustate.

Non importa il numero di cancellature e riscritture, per quanto possiamo impegnarci il finale non cambia.

In questi casi la cosa migliore da fare è abbandonarle, accettare la sconfitta e ricominciare.

Ci sarà sempre una nuova pagina bianca ad attenderci, l’inizio di un nuovo capitolo, di una nuova storia.

È vero.

Ma ci sono anche storie che meritano di essere riscritte, che se riprese a distanza di anni, con sentimenti nuovi e prospettive diverse, sanno regalarci finali e risvolti inaspettati.

È per questo motivo che esistono le seconde occasioni.

Chance che pensiamo di dare agli altri ma che in realtà diamo a noi stessi, per dare alla vita il potere di cambiarci e di farci ricredere, e di trasformare ogni delusione in una lezione, ogni sconfitta in un punto di partenza.

Ricordandoci sempre che la parola fine è un potere che spetta solo a noi avere.

E a nessun altro.

 

 

 

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N O T E
 
 
Chiudere una storia è sempre difficile, soprattutto per me che di storie (così lunghe) nella mia vita non ne ho mai chiuse davvero. Però mi sentivo troppo in debito con questa fanfiction per non darle il finale che meritava. 

Questo capitolo era pronto da più di un anno e mezzo, lo avevo scritto insieme al resto dei capitoli precedenti, ma gli mancava qualcosa o forse non avevo ancora la forza e gli strumenti per concluderlo del tutto. E infatti, rileggendolo a distanza di anni ho avuto modo di vederlo sotto una luce diversa e di trasformarlo in qualcosa di nuovo (che è proprio uno dei messaggi principali della mia storia). L’ho così trasformato in un viaggio nel viaggio, un salto temporale dentro un salto temporale, un modo per ripercorrere tutti gli avvenimenti successi finora e incastrare e far combaciare tra loro passato, presente e futuro. E con questo posso finalmente dire di aver messo la parola fine e concluso degnamente la storia di Nori e Bokuto! E ne sono davvero soddisfatta, perché anche se le cose possono essere sempre fatte in mille modi diversi e migliori, sono contenta di aver trovato il coraggio di mettere per iscritto questa fantasia e aver dato spazio ai miei pensieri e alle mie riflessioni.

Anche se la storia principale è conclusa non nego che mi piacerebbe tornare su questi due baka, magari scrivendo un sequel composto da una raccolta di brevi one-shot e drabble (non ho la forza e il tempo di impegnarmi in un’altra long lol). Quindi mai dire mai!

Per ora vi ringrazio tutt* per la fiducia e il tempo che mi avete dedicato.

E se vorrete sprecare due parole per dirmi la vostra dopo questo viaggio fatto assieme sarò davvero felice di leggervi!

P.S. Piccola curiosità: i kanji che ho usato come sottotitolo di questo capitolo (“始め”) sono gli stessi che ho usato nel primo, il prologo, ed in entrambi i casi significano “inizio”. Questo perché, anche se si tratta di un epilogo, la fine di una storia è sempre l’inizio di un’altra per come la vedo io. Sempre in tema circolarità, l’inizio del primo capitolo e la fine dell’ultimo sono speculari, infatti uso (quasi) le stesse parole, ma nell’epilogo le ho approfondite e spiegate.

P.P.S. Quando ho iniziato a scrivere questa storia sognavo perdutamente il Giappone, un sogno che rincorrevo da una vita intera, e ora a distanza di quasi 2 anni posso dire di averlo realizzato non una ma ben due volte (e spero anche di tornarci presto)! Ho avuto la fortuna e la possibilità di visitare tutti i luoghi che ho menzionato nella fanfiction ed è stata un’emozione unica a dir poco! Questo epilogo contiene anche una piccola dichiarazione d’amore a Tokyo, spero l’abbiate colta e di non avervi annoiato con le mie descrizioni, ma al contrario, di avervi incuriosito e spinto a visitarla prima o poi.

Grazie, 

Mel

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