Una sola primavera

di Ombrone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un vicolo a San Lorenzo ***
Capitolo 2: *** Un drink in salotto ***
Capitolo 3: *** Un caffè sotto l’ufficio ***
Capitolo 4: *** Una visita inattesa ***
Capitolo 5: *** Un po’chiacchere e cinque cadaveri ***
Capitolo 6: *** Il Dossier ***
Capitolo 7: *** Jogging mattutino ***



Capitolo 1
*** Un vicolo a San Lorenzo ***


Art 2 Comma 1 . Il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio dei ministri, dal Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (CISR), dall’Autorità delegata di cui all’articolo 3, ove istituita, dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), dall’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e dall’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI).

“Ma che idea scema hai avuto, ma complimenti per la stronzata! Cazzo”
La voce di Caterina scende di una buona ottava, mentre impreca e il cazzo finale suona basso e minaccioso come un ringhio.
Potrebbe sembrare tutto come un normale e banale litigio tra marito e moglie se non fosse che la Beretta 92S che Caterina ha nella fondina è ancora senza sicura e col colpo in canna e che il divanetto posteriore della mia Giulietta nuova di pacca è fottutamente zuppo di sangue. 
Comunque, tanto per tranquillizzarvi e iniziare col piede giusto, né Caterina né io abbiamo ammazzato nessuno e tutto quel sangue viene dal naso rotto di un ragazzo che non avevo mai visto prima di un’ora fa (incredibile quanto sangue può uscire da un naso rotto, e, no, per inciso, il naso non glielo abbiamo rotto noi), insomma è, al solito, una storia lunga.
Certo potrei ribattere e zittirla, sono pur sempre il suo superiore gerarchico, e Caterina non mi sparerebbe: ha la fama di avere il sangue freddo di un serpente e di essere una ottima tiratrice ed è pure dannatamente veloce (per questo l’avevo fatta venire con me questa sera del resto), ma sta nella mia cordata e conta su di me per far carriera. Il che è un’assicurazione migliore dell’affetto che può portarmi come occasionale amante, il cameratismo dovuto all’esserci salvati la pelle a vicenda più di una volta e la gratitudine per averla tirata fuori dalla merda alcuni anni fa.
Potrei ribattere, ma il punto è che, in fin dei conti, ha ragione.
“Fare il semplice bravo cittadino e chiamare i Carabinieri, magari? No? Eh?”
Ecco appunto ha ragione, teoricamente.
“Non sarebbero arrivati in tempo.” Ribatto stancamente, annusando la sconfitta in partenza.
“E  ? Dovevi fregartene, o stavolta te le sei dimenticate tu le procedure operative?” Il tono si rialza e mi arriva un pugno sul tricipite. È incazzata, nera.
“Oh sto guidando”. Ribatte nello stesso respiro con lo scontato vaffanculo.
“Tu cazzo invece ti metti a fare il pistolero Western! Ed entri nel vicolo dei Nigeriani pistola in mano manco fossi l’Uomo col Cappello Nero, ci mancava solo Morricone come colonna sonora”, da qui in poi non ripeto, per non annoiare, i “fanculo” e i “cazzo”, ma voi fate conto ci siano e dateli per scontati da qui in poi. Caterina quando è arrabbiata non è propriamente signorile, ma ha anche dei difetti.
“E se erano armati?” continua, aggiungete adeguata profanità a fine frase mi raccomando. “Drogati lo erano, e se erano pure armati??”
“C’eri tu a coprirmi.” 
“Grazie al ****“ ok lo sapete “due contro cinque! Alla pelle ci tengo pure io sai? Manco fosse ‘na ragione di servizio, ma per salvare tre bambocci che cercavano pillole con gli stronzi sbagliati. No!”
“Coglione”, così, gratuitamente.
“Dai comunque è andata” provo a calmare le acque “a parte che mi hanno rovinato la macchina” indico il divanetto dietro, proviamo ad alzare un po’ di cortina fumogena.
“Sì, se quegli spacciatori Nigeriani non ti cercano per farti pagare la strizza che hanno avuto… Comunque sto *** di Pronto Soccorso ti avrà preso la targa con le telecamere di sorveglianza.” 
Una pausa, armeggia con la pistola e sento scattare la sicura, finalmente. E si accende una sigaretta. Nella mia macchina nuova. Stronza, sa che io so che lei sa che mi conviene starmi zitto. All’improvviso ghigna guardando dietro.
“Comunque voglio proprio vederti a spiegare cosa è successo al lava macchine bangladino”. Ride, ha preso l’amo, per fortuna. Trattengo un sospiro di sollievo.
Nemmeno a sperarci. Caterina Russo, chiamata, ma mai in faccia, la Vipera, non solo è brava con la pistola (ve lo ripeto), non solo è ben addestrata, ed è un ottimo operativo, no è pure dannatamente intelligente e non manca il punto. Quello vero. 
“Li conoscevi”. Non è una domanda. Rimango in silenzio, mentre imbocco la tangenziale in direzione Salaria.
“La ragazzina più carina, quella con gli occhioni, l’hai chiamata per nome. La conosci.”
Rispondo con un monosillabo.
Caterina mi guarda in attesa che continui, quando non lo faccio, aggrotta le sopracciglia mi tira un altro pugno sul braccio.
“Allora? Chi è?”
“In ufficio” Rispondo
“In Ufficio? Come?”
“E’ una dei neoassunti in Fintecna, l’ho conosciuta là.”
“Oh cazzo ti sei giocato la copertura? Sa dove lavori?” Quasi mi stappa le orecchie talmente alza la voce. “Sono dieci anni che reggeva.”
Fermo un attimo tutto e mi spiego, se no, vi perdete. Mi chiamo Andrea Casiraghi, ho 48 anni, lavoro nell’ufficio Relazioni Istituzionali e Corporate di una delle infinite controllate di quel labirinto societario para-pubblico che è la Cassa Depositi e Prestiti. Ovviamente questo, se siete solo un attimo svegli, non spiega né il perché Caterina sia armata, né perché mi ritrovo con i dannati interni sportivi in vera pelle con impuntura a contrasto totalmente rovinati.
La Cassa Depositi e Prestiti, come altre grosse aziende italiane a controllo statale, non si tira indietro quando il governo gli chiede un favore, ad esempio nel caso specifico di assumere qualcuno senza badare troppo a quante volte timbra il cartellino o quanto frequenta l’ufficio. In fin dei conti lo fanno per decine di raccomandati politici, uno in più per la sicurezza del paese può essere gestito.
Quindi il Gruppo CdP ha tra i suoi dipendenti, il sottoscritto, il che è un'ottima copertura per il mio ruolo presso il mio reale datore di lavoro, ovvero l’AISI, che è al momento il nome più aggiornato di uno dei servizi segreti italiani, il vecchio SISDE per capirci.
Sono in CdP ormai da dieci anni e passa, è un'ottima copertura con infinite occasioni di viaggiare, anche all’estero, senza destare sospetti o meraviglia. Devo dire che al ruolo mi sono affezionato: Andrea è un simpaticone, zitellone impenitente, amico con tutti, appassionato di macchine e vela, universalmente considerato una pietra al collo sul lavoro, ma ottimo per organizzare gite in barca o degustazioni enogastronomiche. Un adorabile fancazzista ultra-raccomandato.
“Non è detto”, mi sbilancio.
Caterina se la ride. “Perché tu gli hai detto di non farsi domande?” Abbassa il tono di voce un po’ ad imitarmi, un po’ a sfottermi. “È una curiosità che è meglio non abbiate!” infierisce “manco un film di mafiosi di terz’ordine.”
“No.” rispondo “Perché due di loro nemmeno mi conoscono e potrei essere chiunque, senza tener conto che quello che è successo stasera non è cosa di cui andarsi a vantare in giro. Elena è un problema diverso,” storco la bocca, mentre Caterina mi fissa “ma posso inventarmi qualcosa.” Il mio cervello frulla “Sa che c’è qualcosa di strano, ok, ma l’importante vero e che non sappia COSA c’è di strano. DIGOS, Anti Mafia, Servizi di tutti i tipi, pentiti… cazzo in Italia c’è più gente sotto copertura che con i nomi veri, basta che non sappiano per chi lavoriamo veramente.”
“E cosa ti fa pensare che starà zitta? La tua simpatia o gli offri il caffè tutte le mattine?”
“Non parlerà in giro, posso controllarla e poi cosa dovrebbe andare a raccontare pure lei? Volevo comprare delle pillole da degli spacciatori nigeriani, stava finendo male, ma poi è arrivato il tipo delle Relazioni Corporate che ha tirato fuori la pistola e mi ha salvato? Dai su!” 
Caterina grugnisce un quasi assenso. 
“Avrà dubbi”
“E se li tiene” ribatto “Ci sono migliaia di storielle credibili che posso rifilarle, anche senza mettere in mezzo l’AISI.  Anche se sai…,“ sbuffo, “ al peggio mi fanno passare per un altro imbecille dell’AISI che si brucia una copertura inutile. Non è che sia una novità, no? L’importante è che non si sappia che lavoro facciamo. Cioè non dico non sarebbe un problema, il direttore mi ammazzerebbe, ma possono trovare una copertura alternativa e anche se saltasse pure fuori l’AISI, non è un disastro mortale, no? Il nostro sistema funziona cosi”
Caterina sembra quasi convinta: una delle cose che ci unisce è una certa profonda antipatia per molti dei miei colleghi dei Servizi, io e lei lavoriamo per l’AISI, anche se per una sezione ultrariservata e che dovrebbe occuparsi di attività contro terrorismo, attività talmente sporche che i servizi “ufficiali” vogliono poter sentirsi liberi di negare. 
Siamo un paio di centinaia di persone, per lo più sotto copertura, per la maggior parte, per pura comodità organizzativa, nelle varie società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti.
Tra noi ci chiamiamo semplicemente l’”Ente”, quelle rare volte che ci chiamiamo. Se lo cercate, l’Ente lo trovate per davvero e pure facilmente: bastano le pagine gialle. 
Ente Eventi Speciali - EnES Srl. E’ una vecchia partecipata statale, inglobata da tempo nella CdP tramite Fintecna (ve lo dicevo è un labirinto). Dovrebbe occuparsi di Eventi Istituzionali appunto. Conferenze, seminari, simposi, mostre, discorsi. Eventi, speciali.
Vi sembra un posto splendido per lavorare poco tra cocktail e cesti dei fornitori, il paradiso del dipendente para-pubblico ultra-raccomandato? Ottimo, è quello che deve sembrare: la raffigurazione perfetta dell’Ente inutile in cui stipare raccomandati che hanno bisogno di uno stipendio di prima fascia. Paese meraviglioso l’Italia per creare coperture, nessuno si meraviglia se in realtà non fai il lavoro per cui ti pagano. E’ la normalità.
In verità l’EnES lavora e molto, da lì si coordinano e si organizzano tutte le nostre attività particolari, tutti quegli eventi appunto “speciali”, e il fatto che sembriamo perfettamente inutili è la migliore testimonianza della nostra efficienza.
Quella sera, io e Caterina eravamo in giro per lavoro. Niente di fantasmagorico. Era in città il direttore del nostro equivalente polacco. Non era venuto per noi, ma per incontrare i Servizi Vaticani, ma un gesto di cortesia verso gli ospiti italiani era doveroso e avevamo organizzato un appuntamento informale.
Il nostro direttore aveva mandato me. Come responsabile della sezione Operazioni Bianche avevo rango e ruolo sufficiente, e io come scorta mi ero portato Caterina. Adesso, non perdiamo tempo per i dettagli: la situazione di Caterina è simile alla mia. Lavora in un'altra delle società del gruppo CdP (gli operativi di solito non stanno in EnES), contro copertura con l’AISI, lavoro vero per l’Ente.  Ufficialmente io è lei ci siamo conosciuti a un corso per Sommelier, siamo diventati scopamici e ci frequentiamo. Semplice e pulito. Un sacco di scuse per incontrarci.
Il Polacco in teoria lo aveva conosciuto lei, e lo avremmo “casualmente” incontrato a San Lorenzo.
Serata inutile, piccole chiacchere, diciamo pure pettegolezzi tra servizi segreti, e lo scambio di qualche informativa non troppo preziosa, ma nemmeno volgarmente scontata. Vino decente, tagliere di bassa qualità. 
Ci eravamo lasciati e passeggiavamo verso la macchina, mentre Caterina si fumava l’ennesima sigaretta, quando avevo visto Elena, con un abito leggero dai colori vivi, la gonna poco sopra il ginocchio, capelli neri sciolti sulle spalle e un’espressione non troppo felice sul viso. Con lei c’erano un ragazzo e una ragazza che non conoscevo, ma entrambi con l’aria di studenti fuorisede, loro sembravano allegri e su di giri, e con loro camminavano cinque extracomunitari, di colore, tipi enormi, brutte facce, con l’aria evidente di spacciatori, mafia nigeriana così ad occhio. Soprattutto prostituzione, ma a San Lorenzo gestiscono anche parte dello spaccio, secondo le ultime informative che avevo letto. Gente brutta e pericolosa.
Posso dire che non mi piacevano? Non mi piaceva che fossero in cinque, un po’ troppi per vendere delle pillole a dei pischelli e non mi piaceva l’espressione delle loro facce, non era quella di qualcuno che deve chiudere un affaruccio, avevano un’aria di aspettativa, di eccitata aspettativa. Li avevo seguiti, erano entrati fino in un vicolo poco illuminato come da normale procedura per uno scambio di dosi. Ma le cose mi sembrava stessero andando un po’ per lunghe, e mi ero affacciato. Tempismo perfetto, il mio: vasta esperienza in rogne e casini. Il ragazzo con l’aria da fuori sede stava a terra in posizione fetale con il naso fracassato ed Elena e la sua amica stavano per fare una ovvia brutta fine.
Ero intervenuto senza nemmeno pensarci, davvero un po’ troppo da pistolero, come diceva Caterina, ma aveva funzionato: i Nigeriani affrontati di sorpresa da due tipi armati dall’aria decisa avevano mollato l’osso.
Avevo caricato in macchina i tre e ce ne eravamo andati il più velocemente possibile. Per chiudere la serata li avevo scaricati al Pronto Soccorso del Policlinico, le ragazze a parte un po’ di shock, dei lividi sui polsi e qualche graffio stavano bene, ma il naso del ragazzo ne aveva urgente bisogno (e secondo me aveva pure qualche costola rotta, se non una commozione celebrale). Prima gli avevo intimato di non dire niente e di dimenticarci.
Grassa speranza, vero? Dovevo veramente farci una pensata seria. Caterina aveva un po’ di ragioni per essere incazzata.
Caterina butta la cicca fuori e chiude il finestrino.
“Portami alla mia macchina, che chiudiamo qua la serata”
Peccato non sale da me, l’ho fatta troppo innervosire. Caterina è sempre una esperienza atletica interessante. È sui trenta ormai tendenti agli ‘anta, viso regolare, capelli che ho sempre visto in varie tonalità di biondo, ma che al naturale suppongo dovrebbero essere castano chiaro, un personale elegante e slanciato, con delle gran belle gambe. Tra le corse e gli allenamenti atletici di cui è appassionata il fisico è asciutto senza un filo di grasso superfluo. Un po’ troppo muscoloso, forse, per i miei gusti, ma decisamente sensuale.
Faccio un cenno di assenso, e prendo l’uscita della Salaria.
“Te la porti a letto, vero? Per questo sei sicuro che starà zitta.”
Unisci il sesto senso femminile all’addestramento di un operativo e crei dei mostri.
Lo ammetto.
“Che porco pedofilo! Quanto ha? Vent’anni?”
“Ventiquattro” ribatto
“Girolimoni” mi sfotte tirandomi una pacca “Così la tua bella hai salvato! Che sorpresa che il Capo Bianco ha dei sentimenti! Ecco perché hai fatto sto casino. Romanticissimo!!!”
Bingo, strike, ha colpito il punto, ma al momento se la gode troppo per approfondire.
“L’ho sempre detto che tu hai il cuore di un bambino di cinque anni...”
“…sulla scrivania in un vasetto di formalina” completo io interrompendola “E’ vecchia”
È così felice di avermi incastrato che nemmeno se la prende.
“Comunque la ragazzina è carina” o beh grazie per l’approvazione, you make my day “dai non sei stato neppure troppo male, nel vicolo, non sei ancora da pensionare dietro una scrivania, avevi un’aria seria e professionale”. 
Dopo un attimo, quasi il pensiero l’abbia colpita all’improvviso, si volta verso di me con un sorriso pericoloso sfarfallando le ciglia come una cretina.
“Ma arriveresti anche per me, pistola spianata, come un principe azzurro, se dei negroni volessero abusare di me?” Il tono è irridente, ma c’è qualcosa che si nasconde sotto.
La mia risposta è quella che immagino Caterina si aspetta.
“Certo che interverrei. Per salvare i poveri negroni.”
Ride, ma è strana. Non faccio il diplomatico.
“Ma che sei gelosa?”
“MA NON DIRE CAZZATE” Ops, punto mio stavolta: è gelosa. Sorrido dentro di me. Divertente, anzi interessante, forse utile, potenzialmente pericoloso.
Arrivo nella zona dove ha parcheggiato, faccio un paio di giri inutili, giusto per controllare che nessuno ci segua, e mi fermo vicino alla sua macchina con le 4 frecce.
“Conto sulla tua riservatezza, sono cose che non è necessario che si sappiano, quello che è successo stasera e neppure il resto”
Mi fa l’occhiolino “Certo Capo, i tuoi segreti muoiono con me” E ognuno di loro vale un bel favore da ricambiare aggiungo io mentalmente. “Di stasera nessuno saprà nulla, e comunque chi se ne fregherebbe della tua amichetta? Finché non inizi a ragionare troppo con la punta del pisello, nessuno te ne chiederà conto. Pure il Direttore non credo che si scandalizzi.”
Ecco appunto il direttore.
“Meglio che non lo sappia”
Caterina alza le spalle “Come ti pare, comunque è un uomo di mondo e ti porta in palmo di mano, sei il suo braccio destro”
Sì, è un uomo di mondo, più di quanto tu immagini, ma proprio perché mi conosce bene potrebbe farsi domande su quello che è successo stasera e c’è il rischio che le risposte non gli piacciano e allora sarebbero guai seri. 
Ci sono cose che neppure tu sai Caterina. Che non puoi sapere e non devi sapere
In fin dei conti vivo di questo: segreti che nascondono bugie, che coprono menzogne, che schermano falsità che a loro volta proteggono inganni.
Ci sono talmente tanti strati su strati che se ne potrebbe perdere il conto. Il mio lavoro, la mia vita è questo: raccontare bugie e celare verità. Fumo e ombre. 
Le mie non sono coperture, maschere. Andrea della CdP, l’agente dell’AISI, il dirigente dell’Ente sono persone vere e vive, tutte quante e non ci sono solo loro, ce ne sono e ce ne sono state tante altre. Come un perfetto metodo Stanislavskij, non interpreto un personaggio. Io sono, in contemporanea, tante persone: è l’unico modo per fare funzionare tutto quanto, per non sbagliare. È quello che devo fare per sopravvivere. Gli sbagli nella vita che faccio sono fatali.
Non è facile, potrebbe sembrare sfiorare la pazzia e forse lo è. Ma sono bravo in questo. 
È tanto tempo che gioco questa partita, e ho intenzione di giocarla ancora a lungo se posso. 
Non che abbia molte alternative del resto.

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Capitolo 2
*** Un drink in salotto ***


Art 3  Comma3. Il Presidente del Consiglio dei ministri è costantemente informato dall’Autorità delegata sulle modalità di esercizio delle funzioni delegate e, fermo restando il potere di direttiva, può in qualsiasi momento avocare l’esercizio di tutte o di alcune di esse.


Lascio la macchina in garage e salgo a casa. Ho, Andrea Casiraghi ha, un bel appartamento al Nuovo Salario, in un complesso affondato nel verde. Il punto forte è uno splendido terrazzo, affacciato sul giardino interno, ottimo per delle cenette quando il tempo lo permette. Gli amici del circolo della vela, ci scherzano dicendo che è uno scannatoio perfetto per uno scapolo. Mi ci trovo bene, è confortevole.
In salotto, mi verso due dita di Lagavulin. È quello che farebbe Andrea della CdP e pure l’agente dell’AISI. È nel ruolo. Mi siedo sulla poltrona preferita da Andrea Casiraghi, non è rivolta verso la televisione (ben poco usata), ma verso la grande portafinestra che dà sul terrazzo e da lì sul giardino interno. 
Il salotto è la parte di casa su cui mi sono concentrato, anche più della camera da letto. Mobili in stile moderno scelti con cura, ma soprattutto alle pareti è appesa una discreta collezione d’arte.
Tre stampe originali di Dudovich e una di Cambellotti, tutte risalenti a prima della guerra, e due dipinti, un luminoso astratto tridimensionale di Peeta e, a totale contrasto, una delle stupende rose iperrealistiche Passini. 
Ho fatto una cazzata questa sera e più passano le ore più sono stupefatto e orripilato da me stesso. Ho visto Elena e sono intervenuto in quel dannato vicolo. 
Caterina, pur con tutta la sua esperienza, ha sottovalutato la cosa. Lei pensa che io sia intervenuto di istinto senza pensare alle possibili conseguenze. Si sbaglia, le avevo valutate, era bastato un attimo per capire il disastro che avrei potuto combinare, le avevo valutate e me ne ero fregato.
Mi passo un sorso di whisky da un lato all’altro della bocca, apprezzando il suo aroma sulla lingua.
Mi figuro il ragionamento mentale di Caterina: non c’è niente di sbagliato nel fatto stesso, nell’aiutare un amico, non c’è niente di particolarmente sbagliato ad…ad affezionarsi, non siamo macchine, siamo esseri umani e ogni tanto è semplicemente umano afferrarsi a qualcosa o a qualcuno. I danni probabilmente sono minimi, facilmente controllabili, un evento perdonabile nella prassi operativa. 
Il Direttore, lui, potrebbe avere opinioni diverse, per questo è decisamente meglio che non lo sappia.
Rifletto, tentando di capire me stesso. Mando giù un altro sorso di whisky. Sento freddo dentro. Mi sembra di rivedere Elena, in questo stesso salotto, la prima sera che era salita fin qui, nello scannatoio. L’avevo portata in un locale dove facevano musica dal vivo e si ballava e, con l’aiuto di un paio di drink, il suo atteggiamento da gattamorta iniziava a cedere. È in piedi accanto allo stereo, ride, gli occhi le brillano e mi guarda di sottecchi, mentre fa finta di osservare una delle stampe di Dudovich (una delle pubblicità per il lancio della Rinascente), e anch’io faccio solo finta di spiegare, in verità guardo lei: indossa un abito intero di color nero, lucido, la gonna le arriva poco sopra il ginocchio, collant scuri, tacco ma non eccessivo. L’avrei baciata da lì a qualche minuto e lei avrebbe iniziato a ridire, scostandosi leggermente, mi avrebbe fissato, quasi a prendermi in giro, per poi abbracciarmi, baciarmi a sua volta e non staccarsi più. Giovane, carina, molto carina, ma non capisco come quella ragazza abbia potuto combinare un disastro simile. Non è certo la più bella o la più interessante che abbia mai incontrato. Di gran lunga no.
Impallidisco, inutile nascondersi dietro un dito: Andrea della CdP può innamorarsi, è perfettamente nel suo personaggio, per Andrea dell’AISI sarebbe una imprudenza, una discreta mancanza di professionalità, ma volendo comprensibile. Io ho sbagliato.
Non ho amici. Gli amici sono di Andrea Casiraghi, non miei. Andrea Casiraghi è uno strumento, che uso. Tutto quello che lo circonda è, a sua volta, uno strumento. Gli strumenti, si usano, si sfruttano, li si può abbandonare, a volte distruggere. Dipende. Dipende da cosa conviene.
È la prima lezione, quella che ho dimenticato di applicare. Non hai amici, perché nessuno ti conosce veramente. Sono strumenti solo strumenti. 
Una relazione va bene, anzi è ottima, è uno strumento ottimo per simulare una vita normale, ma è uno strumento.
È semplice, è la regola. E le regole vanno rispettate, quando violi le regole, quando improvvisi, metti a rischio tutto. 
La regola era semplice e chiara: ignorala, non l’hai vista. Al massimo prendi il cellulare e chiama il 113. Sei solo un impiegato, che altro vorresti fare? Meglio anzi, se prosegui dritto. Poi il giorno dopo leggerai sul giornale quello che è successo, e sarai molto triste e dispiaciuto, perché sai recitare bene, è il tuo lavoro fingere. 
Non potevo sopportarlo, non questa volta. E avevo violato la regola. E sentivo che lo avrei rifatto, fosse stato necessario.
L’unica persona di cui potrei fidare completamente, a cui potrei dire tutto, che sa tutto, che potrebbe capirmi, è il Direttore, ma proprio lui è l’ultimo che voglio che sappia questo. 
Forse potrebbe passare sopra il mio errore, magari me la caverei e tutto passerebbe sotto silenzio. È un operativo, come me: la teoria è teoria, ma sul campo, quanto ci si scontra con la pratica, ci si aiuta a vicenda. 
Ma se avesse dubbi sulla tenuta del mio stato psicologico (e francamente io li avrei, fossi al suo posto), potrebbe richiedere un approfondimento e se i risultati fossero negativi Andrea Casiraghi sparirebbe e io mi troverei passato ad altro incarico. Altra sorsata di whisky. Non sarebbe il massimo per lo stato di servizio, ma niente di grave, sono incidenti che succedono, non è quello che mi preoccupa.
Fantastico un attimo sulla mia possibile uscita di scena. Il metodo classico è trasferirsi di città o paese, man mano ci sia allontana da chi si conosceva, si risponde sempre meno ai messaggi e alle mail, si diventa un ricordo, del passato. 
Se invece bisogna agire in fretta e in maniera definitiva, il classico è simulare un tragico incidente. Di macchina magari.
Il problema è Elena. Cosa potrebbe succedere? Risposta banale. Verificare i rischi per la sicurezza. Ci fossero dubbi sulla mia affidabilità ci sarebbero dubbi su cosa può sapere lei. Le possibili fughe di notizie vanno neutralizzate. Lei non sa niente, e non sarebbe assolutamente una minaccia. Nessuno è propenso ad eccessi di violenza, ma qualcuno potrebbe capire male, o valutare che è molto meglio essere sicuri, veramente sicuri.
Guardo nel vuoto. So bene come si fa, quando è necessario.
Una macchina con la targa rubata, una telefonata al cellulare per creare un attimo di distrazione, un corpo che vola come una bambola di pezza. Il corpo umano è fragile. Ci sono tanti pirati della strada.
Oppure, un cadavere in un vicolo. Un po’ di pillole addosso, un po’ troppa droga nel sangue, questi ragazzi di oggigiorno, nessuno se lo sarebbe mai immaginato! Sento lo stomaco torcersi.
Oppure, ottimo, omicidio/suicidio. La giovane amante lo lascia, lui la uccide in un raptus di follia e sparisce, la macchina abbandonata su qualche scogliera, sicuramente suicida. Due piccioni con una fava. L’ipotesi di femminicidio incontra sempre il favore di tutti: media e inquirenti. Fa scena. È coerente con lo spirito dei tempi.
No. Molto meglio tacere, Elena non sa nulla, non è un rischio, non c’è stata nessuna reale violazione dei protocolli di sicurezza. Posso gestire la situazione, non è una situazione critica. 
Scuse tutte scuse. Me ne rendo conto perfettamente. 
Tacere, un altro strato di segreto. Segreti che nascondono bugie, che coprono menzogne, che schermano falsità che a loro volta proteggono inganni. Sono stanco ora.

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Capitolo 3
*** Un caffè sotto l’ufficio ***


Art 1  Comma 1 Al Presidente del Consiglio dei ministri sono attribuiti, in via esclusiva:
a) l’alta direzione e la responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza, nell’interesse e per la difesa della Repubblica e delle istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento;
b) l’apposizione e la tutela del segreto di Stato;
c) la conferma dell’opposizione del segreto di Stato;
d) la nomina e la revoca del direttore generale e di uno o più vice direttori generali del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza; 
e) la nomina e la revoca dei direttori e dei vice direttori dei servizi di informazione per la sicurezza;
f) la determinazione dell’ammontare annuo delle risorse finanziarie per i servizi di informazione per la sicurezza e per il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, di cui dà comunicazione al Comitato parlamentare di cui all’articolo 30.




Cammino lungo uno dei corridoi nella sede centrale di Fintecna. Sto violando la regola numero uno della vita di ufficio, porta sempre con te una cartellina, così sembra tu stia lavorando, ma Andrea se la può permettere una eccezione.
Giro l’angolo e, come speravo, alla macchinetta del caffè vedo Elena, che come sempre è con Anna. Anna è un'altra neoassunta in apprendistato. Elena ha occhi e capelli neri, mentre Anna è una biondina, dai capelli color miele scuro, esile come un giunco, ma in ufficio le chiamano le gemelle siamesi, perché solitamente non si allontanano mai l’una dall’altra più di un metro e mezzo. In pratica respirano all’unisono da quando sono state assunte.
Nel caso specifico, però, vedo Elena che parla velocemente all’orecchio dell’amica. Anna mi guarda con un sorriso malizioso e uno sguardo saputo che dice: “io lo so cosa c’è tra di voi, la mia amica mi dice tutto” (e spero che si sbagli) e si allontana. Elena mi viene incontro e, salutandomi, mi tocca il braccio, l’inizio di una azione che non può completare, non qui.
“Me lo offri un caffè? Magari al bar.” 
 Io, Andrea, sorrido gigione, allargando le braccia un po’ teatrale.
“È un piacere! E un onore!”
Usciamo e ci allontaniamo dai tornelli. Siamo senza cappotto, una delle cose belle e piacevoli di Roma è il clima, e almeno questo è una delle poche cose che non peggiora con il tempo. 
Preciso la mia non è una critica da cronaca contemporanea, a mio parere Roma peggiora all’incirca dai tempi di Porta Pia.
Elena rompe il silenzio mentre attraversiamo Via Veneto, giusto di fronte all’ambasciata degli “alleati” americani.
“Possiamo parlare di ieri?”
Le faccio cenno di sì senza dire niente. Dopo un attimo sembra riprendere fiato e continua.
“Grazie per ieri sera. Ho avuto davvero paura”
Annuisco guardandola ancora in silenzio. 
“Mi sono sentita persa, ho pensato che ero proprio nei guai grossi”
Su questo ribatto.
“Si eravate, davvero nei guai grossi, Ele, finiva molto molto male”
Non aggiungo altro. La tua foto finiva sul servizio di apertura del TG, piccola mia, penso senza dirlo. Non so perché mi viene in mente la inevitabile polemica politica sui media, sulle ultime innocenti vittime causate dalla immigrazione senza regole. Ho una lieve sensazione di nausea.
“Poi però sei arrivato tu!”
 Sorrido un po’ storto. “Un caso molto fortunato, ti è andata bene. Non ci conterrei sempre.”
Gli occhi le brillano, più del solito, non credo abbia realmente sentito la mia risposta.
“Tu c’eri.”
“Fortuna, solo fortuna.”
“Di quello che vuoi, io avevo bisogno, e tu c’eri!” un respiro, “grazie.”
In un attimo, prima che possa fare alcun che, mi getta le braccia al collo e mi bacia. A due isolati dall’ufficio.
Non è la cosa più furba del mondo, ma le sue labbra sono morbide e calde e c’è la passione, ricambio. Ci separiamo dopo un momento. Nessuno in vista. Nessuno che ci conosce. Colpo di culo.
“Grazie” ripete, gli occhi le brillano e quel sorriso splendido che mi ha attratto il primo giorno le illumina il viso.
Permettetemi di soffermarmi un attimo per parlarvi di Elena.
Come vi dicevo è una dei neolaureati che sono stati assunti per portare un po’ di sangue giovane nel gruppo, me l’avevano presentata a un evento aziendale in cui, proprio io tra tutti, avevo dovuto fare un breve discorsetto motivazionale per le giovani leve e poi avevamo rotto il ghiaccio quando l’avevo incontrata di nuovo, alcuni mesi dopo, a un corso di formazione sul nuovo sistema di gestione del personale, e in cui, al contrario, era lei a fare lezione a noi vecchi dinosauri.
Avevano selezionato parecchie delle giovani leve come Ambassador e promotori dei nuovi progetti e li avevano spediti a fare propaganda e formazione. Mossa psicologica furba devo dire, se era stata pensata: prendeva così deliziosamente sul serio il ruolo che le avevano assegnato e c’era un tale impegno e una tale passione in lei che nessuno di noi ingrigiti e cinici burocrati aveva avuto il coraggio di deludere tanta adorabile dedizione e ci eravamo seriamente impegnati a seguire le sue spiegazioni.
Ero rimasto affascinato a guardarla mentre si concentrava sul sistema, lo sguardo fisso e serio sullo schermo, le labbra leggermente serrate, per poi alzare lo sguardo e aprirsi in un sorriso che lasciava abbagliati.
Non me l’ero tolta di testa: grandi occhi neri brillanti di luce propria, un naso sbarazzino un filo schiacciato, quelle labbra che sembravano fatte per sorridere ed essere baciate, capelli neri di media lunghezza leggermente mossi.
Tutto ciò, confesso, è banale: è esattamente il tipo di viso che di solito mi attrae, ho un po’ di esperienza e sono cosciente dei miei impulsi. Se dovessi sfogliare i volti delle donne che mi sono realmente piaciute in vita mia, parecchie di loro avrebbero visi simili. 
Come fisico, questo lo approfondii in fase successiva, ovviamente, era ben fatta, ma tutt’altro che eccezionale. Non altissima, con seni piccoli, ma capezzoli deliziosi, fianchi non troppo larghi, le gambe erano molto italiane, non lunghissime, però ben modellate e ben tornite, sedere, anche lui italiano, diciamo da sei e mezzo, facciamo sette, ma è un voto sfacciatamente partigiano. La parte del suo corpo che non riuscivo a smettere di ammirare, per quanto vi possa sembrare strano, era la sua schiena, il profilo di quelle scapole delicate come le ali di un uccello, mi lasciava incantato. Comunque, a vent’anni la gioventù e la freschezza coprono tutti i possibili difetti e a volte li trasformano in pregi.
Era intelligente, molto, sveglia e con un piacevole senso dell’umorismo, e aveva uno spiccato senso del dovere sul lavoro, che Andrea Casiraghi trovava estremamente divertente. Non posso, poi, non parlarvi della sua voce. Raramente la alzava, il suo tono era leggermente più basso da quello che ci si potrebbe aspettare per una ragazza della sua età, leggermente, squisitamente, roco. Sensuale, ma non troppo da essere sfacciato. Da impazzire. 
Riprendiamo a camminare, nella approssimativa direzione di uno dei Bar vicini all’ufficio.
Un paio di cose, con lei, vanno chiarite.
“Che stavate facendo ieri Ele?”
“Giorgio cercava delle pillole, diceva che quelli li conosceva”
Emetto un monosillabo, che è in realtà una domanda.
“Una sciocchezza ho fatto, lo sai che io quella roba non la uso, ma loro volevano caricarsi per andare a ballare, e io pensavo che sapessero quello che stavano facendo, che cretina”
La guardo, mi aveva parlato solo di normali occasionali canne, così ad occhio mi sembra sincera, non credo di auto ingannarmi, già la situazione è delicata, mi ci mancherebbero dei casini di droga.
“Capisco, Ele” mi fermo, serio “Ele, quello che ho detto ieri, è importante, dimenticate che io ieri ero lì.”
La vedo deglutire. “Ho capito, tranquillo. Giorgio e Maria, … gli ho detto che sei un amico di famiglia che sta in polizia.” Ottimo, furba la bambina, la prima regola per un vero segreto è far finta che non sia un segreto inventando una balla verosimigliante. “Non lo andranno certo a dire in giro, mica possono dire quello che stavano facendo, no?” Corretto anche questo.
Si interrompe e poi continua.
“Io, non ti chiederò niente e non dico niente, giuro.” Respiro breve, poi continua senza mettere spazi tra le parole che si accatastano. “Ci continuiamo a vedere, vero?”
C’è un tale tono di aspettativa che devo per forza sorridere.
“Sì,” è una sola sillaba, ma la vedo riprendere a respirare, “dimentica tutto, Ele.”
Scuote un attimo la testa.
“Non era niente di cui devi preoccuparti,” le dico, “niente di... Illegale." Sottolineo, solo un filo anticostituzionale e, magari, a volte, in violazione dei diritti umani di qualche disgraziato, penso dentro di me.
“No, non è questo... mi fido di te e che io non voglio dimenticare, non voglio dimenticare che tu c’eri. Ma non ne parlerò mai. Con nessuno.”
Di solito quando qualcuno ti promette che non parlerà della cosa con nessuno, per Nessuno intende il suo miglior amico, quello molto fidato che non lo dirà a Nessuno, che a sua volta è… lo avete capito, e nel giro di un paio di mesi lo sanno tutti. 
Ma per il momento è un accettabile controllo del danno. Elena, seppur giovane, è una donna innamorata, per cui per definizione una mina vagante, ma dovrei riuscire a gestirla.
In fin dei conti il sole splende, il cielo è di un azzurro intenso, il suo profumo arriva lieve alle mie narici e lei mi guarda con quegli occhi neri, quei dannati occhi neri. Chiudiamola qui. Le risorrido e allungo istintivamente una mano sfiorandole i cappelli sulla spalla, un attimo solo e la ritiro. Sì, siamo d’accordo.
Sarà. Comunque, mi annoto mentalmente, a questo punto un background check della ragazza devo farlo fare. Non dall’Ente vista la situazione, ma meglio chiederlo all’AISI. Non credo proprio sia una rondinella dei Servizi Russi, ma forse è il caso di controllare che non ci siano storie strane sotto.
Arriviamo al bar, ci sono svariati colleghi, si spettegola.
Io ed Elena insieme non siamo niente di sospetto, è una vista comune quella delle neoassunte che pompano consigli, informazioni e magari appoggi dai colleghi più anziani, nella gran parte dei casi basta uno sbattere di ciglia e una vaga speranza, per riuscirci. La lussuria è un gran bel peccato capitale, ma la vanità, la vanità la batte di gran lunga come popolarità.
Niente di più normale quindi che Elena, se è sveglia, faccia gli occhi dolci a un navigato veterano, specie se ultraraccomandato come me (nessuno sa di preciso da chi, ma l’ipotesi che va per la maggiore in ufficio è Opus Dei). Fosse, che fosse che può darle una spintarella di sponda per essere confermata? Una linea di pensiero che devo pubblicamente incoraggiare, penso.
Torniamo verso l’ufficio
“Ci vediamo stasera?” mi fa.
Come rifiutare? Perché rifiutare?
“Certo! Cena fuori? Ti passo a prendere?”
Scuote la testa “No, dai prendo io la macchina e vengo da te, ordina qualcosa e fattelo portare.”
“Vabbé dai allora cucino io!”
“No, non perdere tempo, non è importante.”
Ah! Però! Non posso fare a meno di sorridere. Elena se ne accorge, si rende conto e arrossisce all’improvviso. Adorabile. Absolument Adorable.
Fatto trenta, a quel punto si fa trentuno.
“Se ti va mi fermo da te a dormire.” Mi fa.
“Sarebbe bellissimo.”
“Ok allora a mio padre dico che dormo da Anna.”
Ahhh! La scusa per il papà della morosa. Sono tornato ad avere sedici anni. Perfetto direi.

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Capitolo 4
*** Una visita inattesa ***


Art 7 Comma1 È istituita l’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), alla quale è affidato il compito di ricercare ed elaborare nei settori di competenza tutte le informazioni utili a difendere, anche in attuazione di accordi internazionali, la sicurezza interna della Repubblica e le istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento da ogni minaccia, da ogni attività eversiva e da ogni forma di aggressione criminale o terroristica.


L’urlo di spavento di Elena mi sveglia all’improvviso. Un incubo penso. Al caldo, abbracciati, si è finalmente aperta e mi ha confessato quanto fosse terrorizzata dal rischio che aveva corso, se ne è realmente resa conto ora passato lo shock. La sento che mi stringe e apro gli occhi.
Nella camera c’è un’ombra. È troppo tardi, lo so già mentre allontano Elena e mi allungo verso il comodino, è disperatamente troppo tardi, afferro il calcio della pistola (sì ho una pistola carica nel comodino, proprio come nei film, vi assicuro può servire).
Una voce conosciuta mi blocca.
“Calma, sono io.”
Lascio la pistola e accendo la luce.
“Certo, che ormai hai un sonno proprio troppo profondo: si è svegliata prima lei. Devi rimediare sai. Visto il sistema di sicurezza di merda che tieni, almeno è il caso ti svegli.”
 Caterina mi guarda dai piedi del letto, un sorrisetto che meriterebbe di essere cancellato a calci in bocca.
“Che cazzo ci fai dentro casa mia??”
“Dovevo parlarti.” M. de Lapalisse si accomodi, prego.
“Il cellulare magari? Quello di servizio non lo paghi nemmeno sai?”
“Sono cose da non dire su un cellulare, scramblato o meno. E visto che c’ero ho messo alla prova i tuoi sistemi di sicurezza. Sono decisamente bocciati.”
Si ricorda all’improvviso di una cosa.
“Scusate, comunque, non volevo disturbarvi.” guarda Elena “Scusami cara non sapevo che fossi qui, non volevo spaventarti a morte.” Le sorride. “Comunque io sono Caterina.” si presenta.
Un sorriso spietato da predatore. Se non fosse lei, mi affretterei a riprendere la pistola nel cassetto. Dato che è lei so che non sarei abbastanza rapido.
Elena ha, giustamente gli occhi sbarrati, e probabilmente il cuore in gola. L’altra sera ha rischiato la vita, ora questo. Una settimana di memorabili emozioni. La abbraccio e la sento tremare.
La mia prima reazione è tranquillizzarla e ri-abbracciarla, incurante dell’occhiata mezza ironica, mezza di compatimento di Caterina (con grande soddisfazione noto anche un pizzico di gelosia). 
Non riesco a trattenere uno sbadiglio. “Che ore sono… Cristo le sei! Ma che vuoi alle sei di mattina?”
“Abbiamo problema.” M. de Lapalisse parte II la vendetta.
“Cioè?”
“Cinque cadaverini.”
“O cristo, di chi sono ‘sti cadaveri?”
“I cinque negretti simpatici che volevano fare la festa alla tua giovane amichetta qui.”
Intontito dal sonno e dal risveglio improvviso non riesco a mettere perfettamente a fuoco e nemmeno a incazzarmi per aver definito Elena “la mia giovane amichetta” di fronte a lei.
“E chi li ha ammazzati?”
Mi guarda, guarda Elena, mi fissa, giustamente tace, ancora stordito dal sonno scuoto la testa cercando di schiarirmi le idee. 
Scosto il piumino leggero, la sera fa ancora piacere, e mi alzo. Perfettamente nudo.
“Andiamo di là ho bisogno di un caffè.” 
Qualche osso scricchiola mentre mi metto dritto: i ringraziamenti che Elena mi ha fatto durante la notte per averle salvato la vita, sono stati spettacolari, ma hanno lasciato il segno, beata gioventù, che non ci sei più.
Caterina mi guarda sorpresa, come se fosse volesse fingere che è la prima volta che mi vede nudo…
“Scuso se turbo la tua virginale innocenza,” le dico, “tanto se non ricordo male l’hai persa verso i 15 anni no?”
Ghigna “Errato sedici, ma voi uomini non ci state mai ad ascoltare, badate solo a guardare le tette.”
Va verso la porta, io afferro i pantaloni della tuta e una maglietta e giro intorno al letto. Mi chino su Elena.
“Scusa, piccola mia. Lo so non è un bel risveglio.” Le dico baciandola. “Tranquilla, rimani ancora un po’ a letto, ti preparò un caffè anche per te?” Le risfioro le labbra con le mie delicatamente. Il fatto che in tutta questa operazione sono piegato a novanta puntando il mio glorioso deretano nudo proprio in faccia a Caterina non è propriamente casuale.
In cucina accendo la macchinetta espresso e mi appoggio al tavolo e la guardo pensieroso. Mi gratto il mento che raspa un po’.
“Allora ricapitoliamo: punto uno, come cazzo avresti fatto a forzarmi l’allarme?”
L’aria di profondo disprezzo con cui mi Caterina mi guarda mi fa immediatamente pentire della domanda.
“Ma certo che sei proprio imbecille.” La sua non è una affermazione apodittica. “Ho usato le chiavi che mi hai lasciato, no?” afferra la borsetta e le me le dondola davanti. “Mi sono inventato una stronzata, per non far venire strane idee alla tua amichetta di là. Che gli dicevi, che mi hai lasciato le chiavi per dar da mangiare al gatto che non hai?” Poi il coup de grace alla Caterina. “D’accordo che per venire a letto con te probabilmente mica è tanto sveglia.”
Grugnisco e faccio finta di controllare la macchinetta espresso e provo a cambiare argomento.
“Invece dimmi dei i miei amichetti nigeriani che sono morti e, soprattutto, chi li ha fatti fuori?”
Mi risponde con una innocenza e una allegria fanciullesca. 
“Ho chiesto io a Tommaselli delle Operazioni Nere di farli eliminare da una delle sue squadre di fuoco.” 
“Che cazzo hai fatto????” Sbotto.
“Come temevo ti avevano preso la targa della macchina e avevano ricostruito chi eri e dove trovarti. Volevano venire a ricambiarti la tua gentilezza di ieri sera.” Sorride. “Ma tranquillo, io, la tua fidata wingwoman, li ho tenuti d’occhio, l’ho scoperto in tempo e come al solito ti ho coperto spalle e culo.” 
“Quindi stavano venendo qui?”
“Era la loro intenzione, si erano procurati un bel arsenale. Visto come stai messo qua ti avrebbero pure beccato facile.”
“Come hanno fatto a trovarmi?”
“Hanno, beh avevano, un amichetto in magistratura che ha fatto la ricerchina per loro.”
Alzo un sopracciglio
“Gli passavano la coca, e occasionalmente qualche bel pisellone negro.”
“Annotiamocelo, può essere utile.”
“Annotato, annotato, e appena posso controllo e documento QB.”
Brava la Caterina, quando dal problema riesci a tirar fuori una opportunità.
“L’operazione è andata bene?” Torno sull’argomento
Storce un po’ la bocca.
“Come ti ho detto avevano un arsenale, piombo ne è volato tanto, uno dei ragazzi di Tommaselli è andato giù, ma sembra non sia niente di grave. Nessun danno collaterale. Domani i giornali faranno le solite storie sui regolamenti di conto tra bande di spacciatori e di come San Lorenzo sia invivibile. Tutto ok insomma.”
Annuisco. Ne ho viste di peggio.
“Perché Tommaselli però? Non c’era qualche altro asset meno compromettente da usare?”
“E chi? Contro una banda della mafia nigeriana armata come quella? Mica c’è ancora la Banda della Magliana purtroppo, ormai sono tutti scalzacani e non volevo coinvolgere l’AISI, avrebbero fatto un casino.”
Riannuisco, non posso negare che se questi sono i fatti, Caterina ha organizzato bene la cosa.
“Cosa hai detto a Tommaselli?”
“Ecco questo è il punto” uh-oh, ecco il bigolo “Io gli ho detto solo che era una richiesta urgente tua e adesso lui vuole parlarti direttamente. Conviene che lo becchi e ti inventi qualcosa di verosimigliante prima che veda il direttore domani mattina se vuoi tenere la cosa in silenzio.”
Cazzo, cazzo, cazzo!

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Capitolo 5
*** Un po’chiacchere e cinque cadaveri ***


Art 7 Comma2-3 Spettano all’AISI le attività di informazione per la sicurezza, che si svolgono all’interno del territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia.
È, altresì, compito dell’AISI individuare e contrastare all’interno del territorio nazionale le attività di spionaggio dirette contro l’Italia e le attività volte a danneggiare gli interessi nazionali.


È molto presto, ma di tornare a dormire non è proprio il caso. Certo, con Elena ancora in camera, nel mio letto, che mi guarda, i capelli scompigliati sparsi sul cuscino, rimettersi a far l‘amore ci starebbe, e molto, ma Caterina non da nessuna indicazione di voler levare le tende. 
“Muoviti che ti accompagno io, che ho la macchina sotto.”
Lo so che ha ragione: Tommaselli è molto mattiniero ed è meglio beccarlo prima che inizi la giornata, è importante che il damage control inizi subito prima che ci siano problemi ulteriori, è fondamentale che il nome Elena non esca nemmeno lontanamente in questa vicenda.
Tommaselli sarebbe fin troppo felice di riuscire a farmi uno sgambetto e provare a sostituirmi nelle grazie del direttore. Operazioni Bianche e Operazioni Nere sono le due unità operative dell’Ente e c’è sempre stata una tutt’altro che cameratesca rivalità.
Operazioni Bianche è la mia vice-direzione. Noi sistemiamo tutte quelle faccende che è possibile chiudere senza attirare troppo l’attenzione, non necessariamente usando forza letale, la parola chiave della frase è “necessariamente”, se non lo avete capito. Voi non sapete nulla delle nostre operazioni. Nulla. Se siamo bravi e abbiamo culo, almeno.
Operazioni Nere, la dirige Tommaselli. Il loro lavoro è sistemare tutte quelle situazioni in cui c’è veramente bisogno dell’artiglieria pesante e al diavolo il casino.
Noi Bianchi riteniamo che loro siano dei rozzi pistoleri buoni solo a sfasciare le cose, i Neri ricambiano ritenendoci delle pappemolli perfettine che loro devono venire a tirar fuori dai guai quando il gioco si fa duro.
Alla fine, decido di lasciare ad Elena un mazzo di chiavi e gli dico di prendersela comoda, mi lavo, mi vesto e mi incravatto e per poterla salutare devo chiudere la porta della camera da letto in faccia al sogghigno di Caterina, ringhiandole di preparare un altro caffè visto che c’è.
Sono nervoso e a disagio. Non è solo la presenza incombente della vipera che se la sta godendo da morire. Sono le domande che Elena vorrebbe fare, le vedo nei suoi occhi, e a cui non potrei dare risposta. È un silenzio che si può affogare in un bacio, ed è quello che faccio, ma non per sempre.
__________

L’aria nel centro di Roma è fresca, se non pulita, la mattina deve ancora veramente cominciare per la maggior parte dei romani, ed è l’ora perfetta per godersi il centro storico. È uno dei vantaggi di questo lavoro, godersi il centro di Roma.
Dietro Piazza della Chiesa Nuova, in un vicolo tra Piazza Navona e il Tevere c’è una porta. È piccola, una porta appunto, non un portone. Anonima. C’è solo una targa in bronzo dorato 30 per 30, con caratteri elaborati. Ente Eventi Speciali (Gruppo Cassa Depositi e Prestiti). C’è un video citofono. Non molto visibili, due telecamere di sorveglianza. 
Quando entri, da quell’anonima porta, resti sorpreso. Non sei in un androne. Sei in un chiostro, le antiche arcate sono chiuse da vetrate e al di là si vede un piccolo giardino in mezzo al quale svetta un leccio, la volta a botte è a doppia altezza.
A destra la via è chiusa dal gabbiotto della sorveglianza. Si può andare solo dritto, a destra le arcate e il giardino a sinistra il muro, le finestre all’incirca all’altezza della testa di un uomo. A questo punto i ragazzi della sicurezza, un rilevatore di oggetti metallici e un sistema di riconoscimento faciale hanno già deciso se sei ok o meno, e preso provvedimenti.
Sono poco più di 20 metri, in fondo a destra c’è un'altra porta e le scale, il mio ufficio è al piano superiore. Ma non sono diretto lì. 
Gli uffici sono quasi vuoti, ma qualcuno è già a lavoro e osserva meravigliato il Vicedirettore delle Operazioni Bianche, che, senza guardare né a destra né a sinistra va dritto alla porta del suo parigrado delle Operazione Nere e bussa leggero prima di entrare senza aspettare risposta.
Tommaselli alza gli occhi, un’ombra di irritazione, pronto a fustigare l’impudenza di un subordinato. MI riconosce, e il viso cambia, sorride e mi fa un cenno amichevole.
“Oh Casiraghi!”
“Tommaselli, carissimo! Come stai?”
Smancerie e finte professioni di amicizia e di cameratismo, ci annusiamo entrambi il sedere come due cagnoni prima di saltarci alla gola.
Vado io al punto, prima che inizi lui. Meglio mantenere il controllo della conversazione per quello che posso.
“Grazie mille per ieri sera, eh?”
“Ma di niente caro mio, anche se così all’ultimo secondo! Che diavolo è successo?” mi sorride sempre amichevole, falso come un giuda. Lo ricambio di cuore.
“Ma nulla di che” e parto con la balla, spero abbastanza verosimigliante, che mi sono inventato con Caterina. 
Tommaselli ci mastica un po’ su, ma sembra inghiottirla. È un reticente miscuglio di mezze verità e presunte incompetenze ed errori di noi della Bianca che lui deve trovare molto gustoso.
Si lascia andare sullo schienale.
“Mamma che casino, beh hai fatto benissimo a farci chiamare per dare un taglio netto. Rischiava di finire fuori controllo.”
Allargo le braccia e poi decido che è il momento di cambiare argomento e mostrare un cuore. Quello sotto formalina che tengo nel cassetto della scrivania.
“Ma ho saputo che uno dei tuoi è stato ferito? Come sta?”
“Ah Sartor! Niente di grave, niente di grave, un po’ di ospedale, ma conto che ce lo ridanno come nuovo!”
“Per fortuna!”
Annuisce “Ma sì, in fin dei conti” risorride “come fai a dirti dei nostri se non hai mai beccato una pallottola in corpo no??” Che simpaticone da camerata.
Quindi Caterina aveva ragione, e la cosa non si ferma qui. Se c’è un ferito, da procedura Tommaselli dovrà comunque relazionare il Direttore. Una cosa quasi formale a questo punto spero.
“Beh quando ne parli al Direttore, fammi sapere magari, che se c’è bisogno gli relaziono la cosa” Rischioso, ma preferisco essere io al volante se devo schiantarmi.
“Ma sì, tanto è solo un rapporto di contatto. Se la prossima settimana c’è Staff Meeting glielo mando.”

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Capitolo 6
*** Il Dossier ***


Art 1 Comma 2-3 . Ai fini dell’esercizio delle competenze di cui alle lettere b) e c) del comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri determina i criteri per l’apposizione e l’opposizione del segreto ed emana le disposizioni necessarie per la sua tutela amministrativa, nonché quelle relative al rilascio e alla revoca dei nulla osta di sicurezza.
3. Il Presidente del Consiglio dei ministri provvede al coordinamento delle politiche dell’informazione per la sicurezza, impartisce le direttive e, sentito il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, emana ogni disposizione necessaria per l’organizzazione e il funzionamento del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica.


Raggiungo nel mio ufficio, la mia segretaria, Luisa, ancora non è arrivata. Essere mattiniera non è tra i suoi pregi, ma è silenziosa, e fidata. Abbastanza intelligente da capirmi quanto basta, ma non abbastanza da capire tutto.
Digito il codice di sblocco della porta. Appendo la giacca e accendo il computer. Apro con la chiave il cassetto superiore della mia scrivania, e ne tiro fuori, no, non il famigerato cuore in formalina, ma i faldoni dei casi aperti.
La documentazione delicata è tutta su carta, in copia numerata. Nel nostro campo la digitalizzazione non ha ancora sfondato. Per ottime ragioni.
Sul computer apro invece il sistema delle presenze. Quello che mi illustrò Elena, proprio lei, il giorno in cui notai per la prima volta che razza di occhi aveva. Questo in elettronico si può gestire, anzi è comodo. Servizi o non servizi, segreti o non segreti, gli straordinari sono tutti molto veloci a conteggiarli, e sta a me autorizzarli. La maggior parte del mio lavoro in verità e routine. Il resto è comunque più che sufficiente per rendere la mia vita fin troppo interessante.
È il telefono a interrompermi, dopo una decina di minuti. È un numero che conosco bene.
“Il Direttore vorrebbe vederla, Signore.”
Ad ordine ubbidisco, riprendo la giacca, richiudo la porta alle mie spalle, riattraverso i corridoi che iniziano a riempirsi. 
Scambio un paio di cortesie con la segretaria del Direttore. Altra regola fondamentale della vita d’ufficio: le segretarie di direzione vanno sempre trattate con i guanti bianchi. Sempre.  
Sono atteso, entro.
L’aspetto del Direttore (la maiuscola è sempre lì e si sente sempre) è all’incirca quello di che ci aspetterebbe dal casting di un nonno giovanile e bonario per una pubblicità con target familiare.
Immagino che quella faccia paciosa, baffi folti e grigi, guance rosee, sempre perfettamente rasate, occhialetti tondi, abbia ingannato infiniti avversari, innumerevoli colleghi, e tanti tanti sottoposti. Un errore che sicuramente è stato mortale per parecchi.
“Signor Direttore.”
“Casiraghi, buongiorno.” Mi squadra, nulla di bonario in quegli occhi. “Non stia sempre sull’attenti. Si sieda.”
Ubbidisco, e mi allunga una cartellina.
“Dia un’occhiata a questa. Credo che la situazione sia ancora tale da permettere un intervento di voi della Bianca, senza sfasciare tutto. Mi dica la sua opinione.”
Sfoglio il rapporto, soffermandomi qua e là. Sospiro, questa cartellina puzza di sangue e zolfo, e pure di molto sangue. Sento il suo sguardo esaminarmi.
“Sì, credo siamo ancora in tempo. Prima che la cosa esploda.”
“Ottimo, se ne occupi lei allora. Immagino non ci sia tempo da perdere.”
Mi alzo, ancora prima che apra bocca.
“Può andare, Casiraghi.”
“Signore.”
Torno a controllare gli straordinari.

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Capitolo 7
*** Jogging mattutino ***


Art 4 Comma 4. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 118-bis del codice di procedura penale, introdotto dall’articolo 14 della presente legge, qualora le informazioni richieste alle Forze di polizia, ai sensi delle lettere c) ed e) del comma 3 del presente articolo, siano relative a indagini di polizia giudiziaria, le stesse, se coperte dal segreto di cui all’articolo 329 del codice di procedura penale, possono essere acquisite solo previo nulla osta della autorità giudiziaria competente. L’autorità giudiziaria può trasmettere gli atti e le informazioni anche di propria iniziativa.

Ormai ansimo e sono coperto di sudore. Non posso reggere ancora a lungo: sto per arrendermi.
Caterina, invece, malgrado sia una fumatrice, continua a mantenere il ritmo di una locomotiva.
La giornata è un po’ uggiosa e c’è poca gente di mattina così presto a fare jogging per Villa Borghese, ottimo per parlare in pace.
“Forza, dai, ritmo.” Mi richiama. “Puoi fare meglio.” Manco fosse il mio Personal Trainer. “Quindi Tommaselli, dovrebbe essere più o meno sotto controllo. Ottimo. Sono contenta. Dal direttore dovrebbe essere una formalità solo per quel poveraccio finito in chirurgia a questo punto”
Le faccio un cenno di assenso senza parlare, per risparmiare il fiato. Ci fermiamo.
“Ah”, ecco gli “ah” improvvisi di Caterina sono sempre forieri di rogne. “Una cosa volevo dirti.” Va avanti senza aspettare una risposta. “Ho fatto fare un background check della tua amichetta.”
“Cosa?” ma come si permette? Ma non ho il fiato di alzare la voce.
“Dai, tanto dovevi farlo prima o poi! E se l’ho chiesto io, il tuo nome non appare, non mi dire che non ho pensato giusto?”
Giusto e cosi ti puoi fare i cacchi miei alla perfezione, ‘ccitua.
“A chi lo hai chiesto?” grugnisco
“La Peruta, all’AISI, favore personale,” aggiunge, “niente di ufficiale, tanto sono mesi che sbava sognando il mio culo e farebbe di tutto.” Qualcosa nella sua voce sta ad insinuare che i sogni di La Peruta non si basano solo sull’immaginazione, ma su memorie di qualcosa che ha visto e magari toccato. Vuole vedere se mi ingelosisco, le brucia, e come se le brucia.
“Ok quindi?”
“Ho il file da darti, ma in breve se vuoi ti racconto.”
“Vai avanti.”
“Allora tanto per darti una buona notizia ogni tanto, direi che la tua amichetta è davvero una passerottina dolce e zuccherosa senza troppi segreti: è nata Roma, ha 24 anni, ma questo lo sai, vive ancora con i genitori, che tenera,” un commento ce lo doveva mettere per forza,” ha un fratello e una sorella più piccoli entrambi universitari. Il fratello gioca a pallanuoto, semiprofessionista. Spalle impressionanti, direi.” Sorride un filo lasciva.
“I genitori hanno un negozio di articoli di arredo bagno. Fedina penale pulita entrambi, niente dai file della Digos o della Politica. Benestanti direi, nessun problema economico o fiscale.”
Mentre parla fa stretching e la seguo.
“Laurea in economia aziendale a Roma 2. Bravina,” sorrisetto,” anche lei fedina penale pulita, mai nemmeno fermata, un paio di multe per sosta vietata, niente droghe sembra. Nessuna attività politica. Attiva in un paio di associazioni studentesche, ma niente di politico appunto. Scambi internazionali, formazione, festicciole, sta roba qua. Fa parte di un coro.”
“Un coro?” Questa mi risultava nuova.
“Un coro” ripete “Non lo sapevi?” Ghigna. “Bene mi sembra giusto che anche lei abbia qualche segreto, Mister Sincerità! Giro di amici abbastanza pulito, a parte qualche canna o qualche pillola, ma piccola roba, che a questo punto intuivamo pure da soli, no?”
Piegamenti sulle gambe.
“Sui social è legata a Natalie Becker, che è la figlia maggiore di un dirigente del BND tedesco, ma onestamente credo che sia niente di che. Ho controllato ed erano in Erasmus insieme, a Londra. Questa è l’unica cosa che potrebbe suonare strana. Il resto è tutto ok sembra.
Ah sì, molto attiva su Instagram. Non ti far fare troppe foto se no, ti sputtani davvero, lo sai come sono ‘ste ragazzine con internet.”
Saggio consiglio in effetti, ma è già una mia regola avere meno foto possibili in giro.
Caterina essendo Caterina però non può comunque negarsi una chiosa delle sue.
“Non ho informazioni di quanti uomini si sia portata a letto con quel musetto carino, ma ovviamente se ti interessa, indago, li conto e ti faccio sapere.”
“Fottiti va!” ma sorrido. Sono buone notizie.
Stronza e puttana, pure spinosa e arrogante. Certo. Ma dannatamente efficiente ed efficace. Brava la mia Caterina. Dovevo veramente fare una bella pensata su di lei per vedere cosa farle fare e come darle soddisfazioni. Non ci sono rose senza spine in fin dei conti.
 

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