Sweet Home Baker Street [Traduzione di Liriel4444 e T'Jill]

di All_I_Need
(/viewuser.php?uid=1183824)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Ciao a tutti. Con la sua traduzione di “Dog Days”, T’Jill mi ha fatto scoprire All_I_Need, così ho cercato altre sue storie e ho scoperto “Sweet Home Baker Street”, che mi è piaciuta molto. Presa da un’euforia entusiastica e incosciente, ho pensato che fosse carino condividere questa storia con chi stesse apprezzando “Dog Days”. Ed ora, ecco a voi la mia prima traduzione. Non temete, però. Malgrado tutto quello che sta traducendo, non so come faccia, T’Jill ha accettato di farmi da beta. Se, malgrado l’aiuto della mia fantastica beta, dovessero esserci degli errori, sappiate che sono tutti miei.

Per chi volesse apprezzare la versione originale, “Sweet Home Baker Street” è reperibile al seguente link: https://archiveofourown.org/works/22653697/chapters/54144166

Grazie ad All_I_Need per le sue meravigliose storie e per avermi concesso di tradurre questo racconto.

Spero che vi piaccia.

 

 

Baker Street, dolce casa

Capitolo 1

 

Questa storia ha molti inizi e, come con qualsiasi serie complessa di eventi, non potremo mai essere abbastanza sicuri di quale sia il vero principio. Quindi proviamone un paio.

Tutto iniziò in una piovosa mattina di febbraio, quando John Watson e la sua fidanzata, Mary, andarono all'ufficio del Registro per chiedere una licenza di matrimonio. Avevano un appuntamento con una certa signora Humperdinck, che sorrise e parlò in tono mieloso, mentre li salutava e prendeva i loro documenti e indicava quali moduli compilare, intanto che lei faceva una ricerca standard sui loro nomi con il computer.

Sia il sorriso sia il tono sdolcinato scomparvero, come se qualcuno avesse premuto un interruttore.

"Mi dispiace, ma non posso concedervi la licenza."

John e Mary si scambiarono uno sguardo: "Scusi?"

La signora Humperdinck fece un’imitazione piuttosto gelida del suo sorriso precedente: "Non permettiamo la poligamia in questo paese."

"Sì, ne siamo consapevoli. – ribatté John con impazienza – Non vedo come questo possa interessare noi."

La donna increspò le labbra: "Sembra, dottor Watson, che lei sia già sposato."

John la guardò, sbattendo le palpebre: "Come?"

"Qui dice – e girò lo schermo in modo che John potesse vederlo – che lei è già sposato."

"Ascolti, deve esserci un qualche tipo di errore. –  le disse John – Sono sicuro che mi ricorderei, se mi fossi sposato. Non è qualcosa che uno si dimentichi."

"Posso assicurarle che, se lo dice il nostro archivio, è così. – lo rimbeccò la signora Humperdinck, senza nascondere di essere stata un po’ ferita nell’orgoglio – Sto proprio guardando il suo certificato di matrimonio e sembra perfettamente in ordine."

"Mi faccia vedere," sbottò John, dimenticando momentaneamente ogni accenno di cortesia.

La donna girò lo schermo del computer e sia lui sia Mary si sporsero in avanti per guardare ciò che senza dubbio era un certificato di matrimonio per un certo Dr. John Watson e…

"Sherlock? – domandò Mary, sconcertata – Hai sposato Sherlock?"

John fissò il certificato, che riportava quelle che erano inequivocabilmente le firme sue e di Sherlock e che creava una realtà del tutto nuova, di cui non era mai stato a conoscenza: "Io… io… non lo so."

"Bene. – intervenne la signora Humperdinck, chiaramente combattuta tra pensare che John fosse un idiota e chiedersi se lui potesse veramente non sapere – Dovrà divorziare, prima di poter sposare la qui presente signorina Morstan."

"Io… – John aggrottò la fronte, osservando il certificato – Ma questo è stato rilasciato tre anni fa! Lui... è morto quattro mesi dopo."

L’espressione della signora Humperdinck si addolcì: "Oh, mi dispiace terribilmente, mio caro. Avrebbe dovuto dirlo! Se può fornire un certificato di morte di suo marito, possiamo…"

John, turbato dal fatto che qualcuno si riferisse disinvoltamente a Sherlock come suo "marito", scosse la testa: "No... no, non è morto. Non proprio, voglio dire. Ha inscenato la propria morte, capisce?"

"Allora... adesso è vivo?" A giudicare dalla confusione nella sua espressione, la signora Humperdinck era una delle poche persone che non aveva letto la notizia.

"Sì, naturalmente."

"Allora il certificato è perfettamente valido. – ribatté con fermezza la signora Humperdinck – A meno che lei non possa presentare un autentico attestato di morte, dovrà ottenere il divorzio, prima di sposarsi."

 

*****

 

O forse la nostra storia inizia quattro mesi prima, in una giornata fredda, ma sorprendentemente soleggiata di inizio novembre, quando John andò a visitare il 221b di Baker Street, dopo due lunghi e dolorosi anni di vita altrove, per dire alla signora Hudson che si sarebbe sposato.

"Beh, sto programmando di farlo. Farò la proposta presto."

"Sposarti? – fece eco la signora Hudson – Così presto dopo Sherlock?"

Col senno di poi, forse quella domanda aveva avuto un significato un po' più complesso di quanto John avesse notato in quel momento. E forse c'era stata una ragione per la totale incredulità della signora Hudson, quando John le aveva ricordato ancora una volta che lui e Sherlock non erano mai stati una coppia. Forse era perché l’anziana donna era stata uno dei testimoni, che avevano firmato il certificato di matrimonio, anche se pensava che non fosse delicato menzionarlo proprio in quel momento, quando John aveva finalmente deciso di andare avanti. E per quale motivo avrebbe dovuto ricordarglielo? Sherlock era morto e non c'era ragione di richiamare alla mente ricordi dolorosi.

Anche se la signora Hudson avesse pensato di parlarne, John sarebbe comunque finito al Landmark quella notte, indossando un abito scomodo, con quei baffi atroci, con un cofanetto porta anelli nella tasca e un odioso cameriere francese appiccicato al gomito, proprio nel momento sbagliato.

"Cosa interessante, uno smoking. Conferisce anonimato ai camerieri e distinzione ai vecchi amici."

John lo fissò. Lo fissò e fissò e fissò e per quanto si sforzasse non riusciva a comprendere chi avesse davanti a sé. Non aveva un ricordo chiaro degli  eventi del resto della serata. Si rammentava solo di aver spinto Sherlock a terra, con le mani intorno al collo e un sacco di urla, poi ricordava di essersi scagliato addosso a lui attraverso un tavolo e aveva decisamente presente di avergli dato una testata in faccia. A quel punto, loro non erano più al Landmark e non gli importava molto di sapere come avevano lasciato quel posto.

Sherlock, essendo Sherlock, tentava di giustificarsi, ma dava tutte le spiegazioni sbagliate sulla metodologia dell’inganno e nessuna sulle sue motivazioni, così John ne aveva avuto abbastanza molto in fretta.

Nel suo stato di shock, non notò lo sguardo disperato negli occhi di Sherlock, il modo rigido in cui teneva il corpo, le rapide occhiate che lanciava a Mary.

Invece, John chiamò semplicemente un taxi e se ne andò.

Non parlò più con Sherlock per i successivi quattro mesi.

 

*****

 

Ovviamente, se si volesse essere molto precisi, gli eventi che hanno portato John alla scoperta del proprio matrimonio si erano effettivamente messi in moto tre anni prima. Era marzo, quattro mesi prima della presunta morte di Sherlock, che aveva passato la settimana a lavorare su un caso che coinvolgeva varie vittime di rapine in casa con una perdita di memoria limitata nel tempo. Il caso era un solido 9 e Sherlock era più felice del Grinch a Pasqua.

Era riuscito a indagare su otto scene del crimine, aveva fatto scoppiare in lacrime tre persone e John era già intervenuto due volte per impedire a chiunque di prenderlo a pugni in faccia. Difficilmente il caso avrebbe potuto diventare più interessante.

Inoltre, Sherlock aveva passato l'intera notte completamente sveglio, in cucina, con la sua vasta attrezzatura chimica, mentre John dormiva al piano di sopra, indisturbato e ignaro di quello che sarebbe accaduto.

Il dottore si svegliò alle otto e mezza, barcollò giù per le scale ed entrò in bagno con un: "’Giorno," farfugliato al suo coinquilino, che grugnì un saluto e prontamente accese il bollitore in modo che il tè fosse pronto quando John ne avesse voluto un po'.

Esattamente dodici minuti dopo, John tornò da una delle sue efficienti docce in stile esercito, sembrando po' più sveglio e indirizzando a Sherlock un sorriso compiaciuto, quando scoprì che lo aspettava una tazza di tè appena fatta e a debita distanza dall'attrezzatura da laboratorio di Sherlock.

Col senno di poi, si potrebbe dire che John avrebbe dovuto immaginarlo. Si potrebbe suggerire che lui avrebbe dovuto essere diffidente, avrebbe dovuto sapere di non toccare nessuna bevanda che Sherlock gli avesse preparato senza la sua stretta supervisione.

Ma questo significherebbe incolpare la vittima e, francamente, nessuno dovrebbe stare attento al fatto che il tuo coinquilino e migliore amico non decida di mettere alcune sostanze chimiche nel tuo tè mattutino. In effetti, il nominato coinquilino e migliore amico avrebbe dovuto imparare ormai che non era una cosa da fare.

Per sfortuna, Sherlock non aveva ancora raggiunto il punto in cui "per il caso!" era battuto da “buona educazione di base".

E così John bevve la sua tazza di tè senza apparenti problemi. Aveva il sapore del tè, conteneva la giusta quantità di latte e niente zucchero, ed era tanto ordinaria quanto una tazza di tè potrebbe sperare di essere.

Fu quindi una vera sorpresa quando, tre anni dopo, John venne a sapere che il tè, in realtà, conteneva qualcosa in più e che lui era riuscito a dimenticare tutto quello che era accaduto quel giorno, senza nemmeno rendersi conto che c’era un vuoto nella sua memoria.

Per quanto ne sapeva John, era sceso, aveva preso una tazza di tè e Sherlock aveva annunciato che il caso era stato risolto.

E sarebbe dovuto essere così, se solo quel mercoledì dimenticato non fosse mai successo.

Questo, quindi, è stato il vero inizio. Una giornata che era accaduta solo in teoria, ma le cui conseguenze avevano gettato la vita di John fuori dal corso stabilito e in acque inesplorate.

Il giorno in cui aveva sposato Sherlock Holmes.

 

 

NdT

E non ditemi che Sherlock non sappia come fare danni.

Chi sia curioso di sapere che cosa succeda, può tornare qui mercoledì prossimo.

Ciao ciao

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

NdT Dopo il primo capitolo, che potremmo definire un prologo per contestualizzare la particolare situazione su cui ruoterà questa storia, ecco il vero inizio di “Sweet Home Baker Street”.

Buona lettura a chi prosegua.

 

Titolo: Sweet Home Baker Street

Autore originale: All_I_Need

Traduttrice: Liriel4444

 

Baker Street, dolce casa

Capitolo 2

 

Come chiedi il divorzio a un marito che non hai mai saputo di avere, se non gli parli da quattro mesi?

La soluzione di John, sebbene non raccomandata dagli esperti, fu di mandare Mary a casa, con la promessa di risolvere subito questo pasticcio, saltando su un taxi e dirigendosi al 221b di Baker Street (un posto in cui, in teoria, si era ripromesso di non mettere mai più piede), per varcarne la soglia come una furia che sarebbe stata torreggiante, se solo lui fosse stato più alto di almeno quindici centimetri.

Il corridoio sembrava più o meno lo stesso, il che non aiutò lo strano senso di vertigine che investì John, al solo pensiero di tornare a ciò che era stata (e se fosse stato del tutto onesto con se stesso era ancora)... casa.

Tuttavia, gli diede solo uno sguardo di sfuggita nella sua corsa furiosa su per le scale e un attimo dopo irruppe nel soggiorno, dove Sherlock, che era in piedi sul divano, intento ad appuntare dei fogli sul muro, lo guardò, perse l'equilibrio e cadde all'indietro. Il consulente riuscì a controllare la caduta prima di sbattere la testa sul tavolino da caffè, ma non a evitarla e John si sporse d’istinto in avanti per prenderlo, come avrebbe fatto tre anni prima.

Si bloccò giusto in tempo e Sherlock finì col sedere sul pavimento, fissandolo come se John fosse un miraggio, gli occhi spalancati per la sorpresa e qualcosa che assomigliava in modo sospetto alla gioia. Nel proprio profondo, John sentì un po' di rabbia affievolirsi alla vista di Sherlock. Dio, gli era mancato quel pazzo bastardo.

"John." Era stato meno di una parola e più un sussurro e c'era un'onesta sorpresa sul viso di Sherlock. Per una volta nella sua vita, John lo aveva colto alla sprovvista.

Il dottore deglutì, stringendo le dita intorno ai fogli che aveva in mano: "Sherlock."

Dio, erano davvero passati quattro mesi? Si sorprese a fissare Sherlock, ancora seduto sul pavimento e in apparenza non ancora pronto ad alzarsi. Il tumulto spettinato dei riccioli scuri, gli occhi iridescenti, gli zigomi abbastanza affilati da tagliare. Aveva perso peso e c'erano borse scure sotto i suoi occhi. Non dormiva o mangiava abbastanza. Aveva un’ombra di barba ispida sul mento? John aveva visto solo una volta Sherlock non rasato e quella era stata una scelta deliberata, per un caso. Questa, però... questa sembrava trascuratezza. Ciò gli causò una strana fitta.

John stava per passarsi una mano sul viso, ma il gesto gli ricordò le carte che aveva stretto da quando era uscito dall'ufficio del Registro.

"Io, uh... come stai?" domandò Sherlock.

John sbatté le palpebre. Conversazione spicciola? Da Sherlock? "Molto arrabbiato, cazzo," ribatté.

Sherlock abbassò lo sguardo: "Ti ho detto che mi dispiace, John."

Quella sera, a un certo punto, l'aveva fatto, ma adesso non aveva importanza.

"Non per quello. – sospirò John. E, quando Sherlock lo guardò, aggiunse in fretta – Beh, non solo per quello."

Finalmente Sherlock si alzò a fatica, in modo piuttosto sgraziato: "Allora perché sei qui? Vuoi urlarmi contro ancora un po'? O prendermi a calci nei denti, forse?"

L’osservazione fece sussultare John. La violenza lo travolgeva sempre troppo in fretta: "No. Sto... senti, mi dispiace per quello. Ero…"

"Arrabbiato. – terminò Sherlock per lui – Eri arrabbiato. Lo capisco, John."

John scosse la testa: "Sì, ma non è una giustificazione. Non avrei dovuto picchiarti. Non è stato... giusto."

"Non ho mai voluto né avuto bisogno delle tue scuse. – gli disse Sherlock – Non posso certo affermare di essermi comportato nel miglior modo possibile. Allora, perché sei qui? – il consulente fece una pausa e qualcosa cambiò nel suo tono –Stai... tornando a casa?"

Oh.

John deglutì. Non gli era passato per la mente che Sherlock potesse pensare che lui tornasse a Baker Street. Che Sherlock potesse volerlo. Dopotutto, sembrava che per due anni se la fosse cavata benissimo anche senza di  lui.

"Io, uh... no. – si strofinò la nuca con la mano libera, sentendosi all'improvviso a disagio – Oggi, Mary ed io siamo andati all'ufficio del Registro."

Sherlock sembrò confuso: "Ah sì?”

"Per ottenere la licenza di matrimonio," spiegò John, sperando che Sherlock capisse da solo.

La sua espressione rimase imperscrutabile: "Devo congratularmi con te?"

John sbuffò: "Non me lo aspetto, ma sarebbe carino, però."

"Congratulazioni," mormorò Sherlock, suonando come se non lo intendesse sul serio.

John sospirò: "Sì, va bene lo stesso. Non possiamo sposarci."

Sherlock sbatté le palpebre.

"A quanto pare, – continuò John, ritrovando un po' della rabbia che provava quando era arrivato – non posso sposarmi perché lo sono già."

A queste parole, sembrò che Sherlock fosse diventato un po' più pallido, ma era difficile da dire con certezza. Era bianco come qualcuno che non uscisse da settimane.

John fece un passo verso lui. "A quanto pare, – riprese con voce più bassa – un certo giorno, circa due anni e mezzo fa, ti ho sposato."

Forse fu il modo in cui Sherlock sussultò o il modo in cui si rifiutò di incontrare lo sguardo di John, che alla fine gli fece comprendere in pieno l’enormità di ciò che era accaduto.

"Ti ho sposato! – ripeté John, mezzo sorpreso e mezzo furioso – Ci siamo sposati! E non ne ricordo un solo secondo. Non i voti, non la cerimonia, non gli anelli. Quindi, puoi immaginare la mia sorpresa, quando la signora dell'ufficio del Registro mi ha mostrato un certificato di matrimonio con sopra entrambi i nostri nomi! Hai niente da dire al riguardo?"

Sherlock aprì la bocca, esitò e la richiuse.

John annuì bruscamente. "È quello che pensavo. Ecco."

Tese le carte e Sherlock allungò la mano e le prese: "Che cosa sono?"

Si stava comportando deliberatamente da stupido? Di solito non gli ci voleva così tanto per capire, giusto?

"Sono i documenti per il divorzio, – ribatté John – E tu li firmerai."

Sherlock fissò i fogli e poi li lasciò cadere sul tavolino da caffè.

"No."

 

*****

 

"No? – gli fece eco John – Che cosa intendi dire con no?"

"Voglio dire esattamente quello che ho detto. – Sherlock incrociò le braccia – No."

"Sherlock..."

L'esasperazione nella voce di John, sul suo viso, erano familiari in modo doloroso. Sherlock lo avrebbe sfidato con piacere, se solo avesse potuto guadagnarsi un ulteriore minuto o due della presenza di John, che gli era tanto mancata.

"Non firmo."

"Perché?" chiese John e Sherlock si rese conto di avere una lunga lista di ottime ragioni, ma di non poterne, in ogni caso, pronunciare nemmeno una.

Invece, si limitò ad alzare le spalle.

John sospirò: "Senti... se questa è una sorta di vendetta contro di me, perché non ti parlo da quattro mesi, ti dirò che ero perfettamente giustifi…"

"Non lo è," lo interruppe Sherlock, anche se una parte di lui non poteva fare a meno di pensare che lo fosse. Stare via per due anni interi era stata una tortura, e non solo in senso figurato, ma questi ultimi quattro mesi, in cui John aveva rifiutato qualsiasi contatto, lo avevano logorato.

"Entri qui, non dico con un ‘come va?’, ma senza nemmeno salutare, e inizi a darmi ordini come se fossi una specie di scimmia ammaestrata. Quindi no, non firmerò nulla. Non sei nella posizione per chiedermi qualcosa, John. Ho già fatto anche troppo per te e non ci ho guadagnato nulla. Quindi perdonami se non voglio continuare su questa strada."

"Per me? – ripeté John e nei suoi occhi c'era quel luccichio che Sherlock aveva sempre amato provocare – Quando, esattamente, hai mai fatto qualcosa per me? Perché ricordo che te ne sei andato per due anni e che mi hai fatto credere di essere morto."

"È quello che pensi sia successo? – chiese Sherlock, lasciando cadere le spalle – Due anni e quattro mesi e non ti sei mai chiesto...? "

"Chiesto che cosa?"

Sherlock scosse la testa, sentendo che la gola gli si chiudeva. No, adesso non poteva parlare. Non aveva dormito una notte intera nemmeno una volta, da quando era tornato, non aveva intenzione di portare tutto alla luce del giorno: "Dimenticatelo."

John incrociò le braccia: "Va bene. Lo farò... se firmi i documenti."

Sherlock lo fissò a lungo, osservando la posizione di John, il volto familiare. Almeno si era rasato via quegli orribili baffi.

Alla fine era venuto. Era tornato a Baker Street e non sarebbe rimasto. Dopo quattro interminabili mesi, che lui aveva trascorso senza John, come non avrebbe dovuto succedere, alla fine era tornato da lui, solo per andarsene per sempre. Non poteva sopportare che accadesse. Non in questo modo, non con così tante cose non dette.

"In tal caso, – disse a bassa voce – spero che non ti dispiaccia restare deluso."

 

 

 

NdT

Ops. Si prospetta un divorzio difficoltoso. Chissà se i nostri due amati personaggi daranno un nuovo significato alla lotta per la separazione. O se troveranno un qualche tipo di accordo.

Curiosi? Spero proprio di sì!

Grazie a T’Jill, Himeko82, arcobaleno2014, garfield73 e amy holmes_JW per le bellissime recensioni lasciate al primo capitolo. Sono un bell’incoraggiamento a continuare nella traduzione.

A mercoledì prossimo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Baker Street, dolce casa

Capitolo 3

 

John se n'era andato di nuovo, era corso fuori come una furia senza dire un’altra parola.

Sherlock rimase in soggiorno, con il rumore della porta sbattuta che ancora gli rimbombava nel cervello, e si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto affinché John tornasse.

Guardò le carte sul tavolino da caffè.

John aveva appena scoperto del loro matrimonio e già voleva il divorzio. Beh, forse  non avrebbe dovuto essere così sorpreso. Ma poi di nuovo, nel profondo del proprio essere, aveva sperato che John lo avesse ricordato. Dopotutto, non era come se lui lo avesse obbligato a sposarlo.

Notò che la firma di John sui fogli era piuttosto malferma. Doveva averli firmati  subito dopo che erano stati stampati o durante il viaggio in taxi fino al 221b. Quindi - o in un momento di rabbia o mentre il veicolo era in movimento, come se non valesse nemmeno la pena di prendersi il tempo per firmare in modo corretto. Solo una stupida formalità. Sherlock tentò di non farsi ferire da questa circostanza e fallì.

Certo il fatto che John non riuscisse nemmeno a ricordare il loro matrimonio era un po' deludente, lo era stato fin dall'inizio, ma Sherlock non aveva mai pensato di parlarne nemmeno in seguito. Erano sposati e vivevano insieme e questo gli bastava. Solo dopo la sua presunta morte aveva compreso che aveva bisogno che fosse qualcosa di più e aveva passato due anni a vivere per il momento in cui avrebbe potuto tornare a casa da suo marito e chiedigli di essere proprio questo: suo marito. Invece, era tornato per trovare John che stava per fare la proposta di matrimonio a una donna noiosa e scelta a caso.

Nessuno gliene aveva mai parlato? Né Mycroft, né la signora Hudson? Come era possibile che John fosse riuscito a non scoprire del loro matrimonio per così tanto tempo?

Ci fu un colpo alla porta e un attimo dopo la signora Hudson infilò dentro la testa: "Hoo-hoo, Sherlock caro. Stai bene? Ho sentito sbattere la porta e qualcuno che correva per le scale e ho pensato che avrei fatto meglio a vedere come stessi. Non vogliamo che si ripeta ciò che è successo con il tuo ultimo cliente arrabbiato."

"Sai, quello che ti ha picchiato fino a farti perdere i sensi," lei non lo aggiunse, ma lo pensarono entrambi.

Sherlock trasalì: "Non era un cliente, signora Hudson. Era... era John."

La donna si portò una mano alla bocca: "John?! Dio! E non mi ha nemmeno detto ciao.”

"Non ha detto ciao neanche me, se la fa sentire meglio, – mormorò Sherlock, sprofondando nel divano – O arrivederci."

La signora Hudson si sedette accanto a lui e gli posò una mano sulla schiena. Lui non avrebbe accettato un simile gesto prima, ma in questi giorni l'affetto della signora Hudson era stato tutto ciò che gli aveva permesso di arrivare alla fine delle giornate: "Oh, il mio povero ragazzo. Pensi che tornerà?"

"Di sicuro, – sospirò Sherlock – non ho firmato."

"Firmato che cosa? Perché John dovrebbe volere che tu firmassi qualcosa?"

Sherlock indicò il tavolino da caffè: "Beh, vuole il divorzio."

La signora Hudson prese i documenti: "Un divorzio?! Beh, è un po' inaspettato, non credi? Sono passati due anni e mezzo. Certo, sei stato morto per la maggior parte del tempo, ma sul serio. Sono sicura che potrai parlargli quando tornerà. Il divorzio! Be’, che mi venga un colpo!”

Sherlock chinò la testa: "Temo che sia una situazione abbastanza senza speranza, signora Hudson. Lui lo vuole così potrà sposare quella sua ridicola fidanzata, – tirò su col naso – Non... non si ricordava nemmeno che ci fossimo sposati dopotutto."

La signora Hudson, in uno dei suoi soliti momenti di empatia, lo abbracciò.

 

*****

 

John chiuse dietro di sé con un sospiro la porta dell'appartamento suo e di Mary e si appoggiò al legno per un momento. Due anni e quattro mesi dopo la sua morte, lui e Sherlock avevano avuto la più bizzarra conversazione nella storia della loro amicizia, se si poteva ancora chiamarla così.

Entrambi avevano detto cose di cui John non era soddisfatto. Avrebbe potuto gestire meglio la situazione, questo era certo. Doveva aspettarsi che Sherlock sarebbe stato sulla difensiva e contrario.

"John? Va tutto bene?"

Giusto. Mary.

Si tolse le scarpe e la giacca ed entrò nel salotto, dove Mary era seduta sul divano, guardandolo in attesa.

"È tutto ok."

Lei sorrise: "Quindi l'hai risolto, allora?"

"Io... no. Non ancora. Si è rifiutato di firmare."

Il sorriso le sparì dal viso: "Davvero?"

"Ha detto che non ero nella posizione di pretenderlo, – le spiegò John, sprofondando sul divano accanto a lei – Ammetto che avrei potuto comportarmi in modo diverso. Quindi lo lascerò sbollire per un po' e tra un giorno o due firmerà i documenti."

Mary non sembrò convinta: "Ma non può tenerti in ostaggio in questo modo."

John sbuffò: "Non è così. Non mi sta certo tenendo in ostaggio, Mary."

"Beh, ti sta tenendo alla sua mercé e non ti lascerà andare. In quale altro modo lo definiresti?"

John pensò al lampo di gioia apparso sul viso di Sherlock per la sua apparizione nell'appartamento e non poté evitare di pensare che avrebbe potuto essere molte cose, ma alla mercé di Sherlock non era una di queste: "Li firmerà, – ripeté, più sicuro di quanto si sentisse in realtà – Non è una persona cattiva. Farà la cosa giusta. A volte gli ci vuole solo un po' per capire quale sia."

E con molta enfasi non pensò: "A volte gli ci vogliono due anni.” Perché non voleva aspettare altri due anni affinché Sherlock si comportasse come un essere umano decente. Non voleva di certo aspettare altri due anni prima che lui e Mary potessero sposarsi. Aspettare non si confaceva al vorticoso romanticismo della loro relazione. Aspettare poteva costringerlo a fermarsi e a pensare, il che era qualcosa che John aveva evitato di fare da quando Sherlock era morto.

"Beh, amore, tu lo conosci meglio, – ribatté Mary, prendendogli la mano e intrecciando le loro dita – Forse dovresti... non so... provare a essere di nuovo suo amico? Sono sicura che una volta che avrà visto quanto siamo felici, firmerà i documenti per te. È tuo amico, giusto? Di sicuro lui vorrà che tu sia felice."

"Sì, – mormorò John – Forse questo funzionerà."

Lei gli appoggiò la testa sulla spalla, sollevando le gambe sul cuscino del divano: "Come è successo, comunque? Che vi siate sposati, voglio dire."

John sbatté le palpebre: "Io... non lo so. Non lo ricordo affatto. Ma lui non sembrava sorpreso, quindi deve averlo saputo."

"Non l'hai chiesto?"

"Ero troppo occupato a convincerlo a firmare i documenti del divorzio per pensare molto al motivo per cui ne avevo bisogno in primo luogo. Suppongo che dovrò chiedere, prima o poi. Perché diavolo non riesco a ricordare?"

"Non pensi che ti abbia costretto a farlo, vero? Che ti abbia somministrato il GHB, ti abbia reso suggestionabile e poi..." Mary si interruppe, ma lui sapeva che cosa intendesse e odiava quella conclusione. Gli fece scorrere un brivido freddo lungo la spina dorsale e tutto il suo essere si ribellò contro di essa. Sherlock era molte cose, ma non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

"No, – ribatté – Non so che cosa sia successo, ma sono sicuro che non avrebbe fatto una cosa così."

"Ma avresti detto la stessa cosa se qualcuno ti avesse suggerito che lui avesse simulato la sua morte per due anni, – disse Mary a bassa voce – Forse non lo conosci bene come ti piace pensare."

Aveva ragione e quel pensiero gli diede una stretta al cuore.

"Gli parlerò di nuovo domani, – stabilì – Forse hai ragione e tornare ad essere amici potrebbe fargli prendere la decisione giusta.”

 

 

NdT

Le posizioni sono proprio contrapposte, ma non ci si può aspettare altro, dato il punto di partenza. La fiducia tradita è una brutta bestia, ma quanto colpisce qualcuno che ha sempre avuto grossi problemi ad avere fede nel prossimo, allora la sfiducia diventa uno scudo praticamente insormontabile e indistruttibile.

 

Grazie a chi stia leggendo questa traduzione e ad arcobaleno2014, garfield73, T’Jill (la mia fantastica Beta) e amy holmes_JW per le recensioni.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Baker Street, dolce casa

Capitolo 4

 

John tornò il giorno successivo. Questa volta, Sherlock si era preparato per l’eventuale visita e si era lavato, rasato e aveva indossato un vestito pulito. Il modo in cui il giorno prima John aveva aggrottato la fronte al suo mento ispido non era sfuggito alla sua attenzione. Ben poche cose l’avevano mai fatto.

Anche se l'aveva prevista, sperata, aspettata, la vista di John sulla soglia fece ancora trattenere il fiato a Sherlock e la speranza gli si dispiegò nel petto. Provò a cacciarla giù, ricordando a se stesso di essere cauto. John era testardo quanto lui stesso: non avrebbe cambiato idea così facilmente e sarebbe stato stupido pensare in modo diverso.

Tuttavia, l'umore era differente oggi, lo capì subito dalla postura di John.

"Buongiorno, – salutò John, ondeggiando in modo goffo sulla soglia della cucina – Speravo che potessimo parlare."

Sherlock sbatté le palpebre, cercando di trovare una risposta adeguata.

Quando divenne chiaro che non ne sarebbe arrivata nessuna, John si sforzò di fare un mezzo sorriso e alzò una mano, in cui stringeva un sacchetto di carta marrone: "Hai mangiato? Ho portato dei croissant."

Non c’era neanche bisogno di dirlo: i croissant erano ancora caldi e Sherlock poteva sentirne il profumo. Ciò fece brontolare il suo stomaco e cercò di ricordare quando fosse stata l’ultima volta in cui aveva mangiato. Ricordò in modo vago una fetta di pane tostato, ma non poté essere sicuro di quando fosse stato o se qualcosa l'avesse accompagnata.

"Fai come se fossi a casa tua," mormorò, allontanando dal tavolo con il piede la sedia di fronte a sé.

John sorrise, posò la borsa e andò a caccia di piatti e tazze.

Prima di rendersene conto, Sherlock si ritrovò a preparare il tè. La gente aveva sempre fatto delle sciocche supposizioni su loro due e quella che aveva irritato di più Sherlock era che tutti pensavano che fosse John a preparare il tè. O il caffè. O, in effetti, qualsiasi bevanda riscaldata, dalla cioccolata calda al vin brulé. Tutto questo era sempre stato appannaggio di Sherlock e quando lui non preparava il tè ma il tè era inspiegabilmente presente, doveva essere successo qualcosa perché sicuro come l'inferno non era stato fatto da John.

Caddero con facilità nella loro vecchia routine, muovendosi l'uno intorno all'altro in quella cui Sherlock pensava ancora come alla ‘loro’ cucina come se fossero trascorsi solo due giorni invece che più di due anni dall'ultima volta che avevano vissuto insieme a Baker Street. Era una sensazione agrodolce e notò il momento esatto in cui se ne accorse anche John, a metà del sedersi a quella che ora era una tavola apparecchiata per una colazione tardiva. John esitò e in qualche modo il suo piede si aggrovigliò a una delle gambe del tavolo, facendolo quasi cadere sulla sedia.

Sherlock senza dire una parola spinse una tazza di tè nella sua direzione. Se John voleva parlare, poteva parlare.

"Grazie. Hai un caso?" chiese John, indicando il fascicolo su cui Sherlock si era sfinito e che ora era stato quasi spinto giù dal tavolo.

"Lestrade lo ha portato ieri sera, – mormorò Sherlock – È appena un cinque, ma gli devo un favore. Lo ricompenserò risolvendo il caso entro questo pomeriggio."

"Certo che lo farai," mormorò John e la cosa suonò affettuosa in modo inspiegabile.

"Aiuta a passare il tempo."

John lo guardò e inarcò un sopracciglio: "Mi stai dicendo che non hai niente da fare?"

Sherlock scrollò le spalle, fingendo di essere molto impegnato a spalmare marmellata di fragole sul suo croissant: "In realtà negli ultimi tempi non sono dell’umore giusto per risolvere i casi. Non è la stessa cosa."

"Tu non sei qui."

Le parole rimasero sospese nell'aria tra di loro, non dette e per questo ancora più fragorose.

John abbassò lo sguardo: "Sì, beh. Sono sicuro che ritornerai dell’umore giusto. Hai solo bisogno di un caso adeguato, tutto qui."

"No, – ribatté Sherlock, decidendo di affrontare questa situazione di petto – Ho bisogno di qualcuno che lavori sui casi con me."

"Lestrade…"

"Lestrade ha già abbastanza da fare," lo interruppe Sherlock.

John si agitò per un momento: "Be ', sono sicuro che Molly sarebbe..."

"Molly si sposerà il mese prossimo, – lo troncò Sherlock, parlandogli proprio sopra – Cosa che sapresti, se ti fossi preso la briga di restare in contatto con lei. O con chiunque, in realtà. La signora Hudson è piuttosto irritata con te. Ieri non ti sei nemmeno fermato a salutarla."

Ci fu un tintinnio quando John posò la sua tazza, in modo piuttosto energico: "Senti un po’ da che pulpito."

"Davvero? – chiese Sherlock – Sai che loro non ti direbbero mai nulla di loro spontanea volontà. Io sono il solo disposto ad affrontarti anche quando sei di cattivo umore. Credimi, ormai sono più che abituato al fatto che tu sia arrabbiato con me. Non vedo perché qualcun altro debba scontrarsi con la tua incapacità di accettare di essere rimproverato per i tuoi errori."

John lo guardò a bocca aperta: "I miei errori? I miei? Che cosa mi dici di te, allora, eh? Saltare giù da quel tetto, facendo pensare a tutti..." Si interruppe e deglutì.

Sherlock bevve un sorso di tè, ma tenne gli occhi su John osservandolo da sopra il bordo della tazza: "Non è stato un errore, – disse con calma – È stata una decisione consapevole e volontaria. Questo non rende il risultato migliore, ma credimi quando dico che non ne ho tratto gioia. Nel caso te lo stessi chiedendo."

Non poté evitare l'amarezza che gli aleggiò nella voce. Rinunciare alla propria vita in ogni possibile senso del termine e poi essere punito per questo non era qualcosa che si che si era aspettato che accadesse.

Prima che John potesse approfondire l’argomento, Sherlock aggiunse: "Comunque, volevi parlare. Quindi parla."

Ci fu un momento di silenzio mentre John pensava a ciò che voleva dire. Sherlock mangiò un altro pezzo di croissant, dentro di sé stupito da quanto fosse calmo. John era qui e sarebbe tornato anche se se ne fosse andato infuriato.

"Volevo scusarmi per ieri, – esordì John e Sherlock evitò per un pelo di soffocarsi con la colazione – Non avrei dovuto fare irruzione o parlarti in quel modo. Era fuori luogo."

Sherlock sbatté le palpebre: "Va bene. Scuse accettate."

John sembrò davvero sorpreso: "Sul serio?"

"Certo. Nessuno di noi due ha dato il meglio di sé ieri. Da allora abbiamo avuto entrambi il tempo di calmarci."

John si accigliò, chiaramente sospettoso. Era giusto - tra loro due, era raro che Sherlock fosse quello ragionevole in queste cose. Eppure eccoli qui.

"Allora... – John esitò, si leccò le labbra. Sherlock si costrinse a non indugiare con lo sguardo – Ciò significa che firmerai..."

"No," si limitò a dire Sherlock.

"Ma hai appena detto…"

"Non ho detto niente del genere, – precisò Sherlock, cercando di mantenere quella calma che aveva fatto tanta fatica a trovare – Ho solo accettato le tue scuse e ho convenuto che nessuno di noi sia stato irreprensibile ieri. Non cambia ciò che è stato detto, anche se il tono usato ti ha fatto pensare di poter ottenere quello che desideri."

"Non firmi i documenti del divorzio, – ripeté John, come se fosse ancora incredulo – Perché?"

Sherlock lo guardò a lungo: "Perché io non lo desidero."

John lo fissò a bocca aperta.

"Non ci guadagno nulla, – aggiunse Sherlock prima che John potesse comprendere il reale motivo dietro al ragionamento – Sono passati quattro mesi e queste carte sono l'unico motivo per cui sei venuto a parlare con me. Forse per te è facile  buttare via tutto ciò che avevamo solo per tenere il broncio, ma io mi rifiuto di partecipare. Ti ho dato tempo, ho mantenuto le distanze. Ho aspettato che tu venissi da me così che potessimo parlare. Nell’attimo in cui firmerò quei documenti, te ne andrai e non ti vedrò più."

"Non puoi saperlo," ribatté John, piuttosto debolmente.

Sherlock inarcò un sopracciglio, sentendo l'angolo della sua bocca arricciarsi in un sorriso amaro: "Non posso? Dimmi, John: se non avessi avuto bisogno della mia firma, se non avessi saputo del nostro matrimonio, saresti mai tornato di nuovo qui?"

John non rispose. Sherlock bevve metà del suo tè per nascondere quanto questo lo ferisse.

"Esatto," constatò.

"Allora vorresti... che cosa? Il mio perdono per quello che hai fatto in cambio della firma? – chiese John – Bene. Ti perdono. Ecco. Sei felice adesso?"

"Una volta eri più convincente quando mentivi, – ribatté Sherlock e distolse lo sguardo – Hai davvero così tanta fretta di non vedermi mai più?"

"Dopo tutto quello che hai fatto? – domandò John – Perché non dovrei?"

Sherlock si strinse nelle spalle: "Poiché il mio presunto crimine è stato quello di lasciarti indietro, non vedo come il tuo stare lontano ora non sia altro che una ulteriore punizione per entrambi."

Alzò la testa per guardare di nuovo John dritto negli occhi: "Non volevo andarmene, John. Di certo non volevo lasciarti indietro. Se non puoi accettare che non mi sia stata lasciata un’altra scelta in quella circostanza, allora non so cos'altro dirti. È la verità, che tu scelga di crederci o no."

 

*****

 

John osservò attentamente il suo ex migliore amico, ma non riuscì a trovare alcun accenno di menzogna sul viso di Sherlock. Oh, era sempre stato un bravo bugiardo, ma per lo più funzionava se non lo conoscevi o se non ti aspettavi una bugia. John era diventato abbastanza bravo a capire quando Sherlock lo stava raggirando, o almeno gli piaceva pensarlo. Questa volta, non c'era traccia di malizia sul volto di Sherlock. Più che altro, sembrava che si stesse davvero trattenendo dal dire troppo.

John voleva disperatamente sapere che cosa fosse. Le parole "che cosa è accaduto su quel tetto?" erano incastrate in gola ma non riusciva a tirarle fuori, non riusciva a costringersi a chiedere, temendo quale potesse essere la risposta. Temendo di essere di nuovo trascinato nella vita che gli mancava così tanto da fargli male. Sapeva, in fondo, che non sarebbe stato in grado di sopportare di perdere Sherlock in quel modo per la seconda volta. Era meglio restare distaccato.

"Parlami del nostro matrimonio, – disse invece – Come è successo? E, ti prego dimmi, perché non ne ricordo un solo momento?"

A quelle parole Sherlock sembrò a disagio.

"Ah," bofonchiò con quel tono che aveva quando davvero desiderava che John non affrontasse un argomento. Ebbene, era troppo tardi per quello.

“Sherlock..."

Lui sospirò: "Stavo indagando su quella serie di rapine in cui tutte le vittime soffrivano di una perdita di memoria. Ricordi?"

John annuì: "In modo vago. Era un nove, giusto? Ricordo soprattutto che non dormivi e facevi esperimenti su vari composti per scoprire come i ladri avessero causato la perdita di memoria..."

Si interruppe quando il suo cervello fece un ‘clic’: "Non l'hai fatto!"

"Beh, che cosa altro avrei dovuto fare?" domandò Sherlock, come se questo fosse in qualche modo un motivo giustificabile.

"Letteralmente qualsiasi altra cosa, dannazione! – scattò John – Ne avevamo già parlato, Sherlock. Nessun dannato esperimento su di me. Nessuno!"

Si alzò e camminò su e giù attraverso la loro... attraverso la cucina: "Non ci credo. Mi hai drogato! E dopo, che cosa, mi hai costretto a sposarti?"

"No! – Sherlock quasi gridò la parola, gli occhi selvaggi – Non ti avrei mai… non ti ho costretto a fare niente. Non ero nemmeno sicuro che funzionasse. John, ho controllato e ricontrollato e ti giuro che non c'era alcuna sostanza che alterasse la mente, niente che ti avrebbe fatto agire in modo diverso da come avresti fatto normalmente. È stata una semplice cancellazione della memoria. So che la mia parola non significa molto per te, ma ho ancora il composto. Puoi inviarlo a qualsiasi laboratorio, confermeranno tutto quello che ti ho appena detto. Ho preso io stesso un composto diverso e quello non ha avuto il benché minimo effetto.”

Era stato impetuoso in modo sorprendente. Ma ecco ancora, John lo aveva quasi accusato di avere utilizzato una droga da stupro su di lui. No, quello non era per nulla lo stile di Sherlock quando voleva qualcosa. Proprio come suo fratello, preferiva una manipolazione sottile piuttosto che drogare le persone. E John non aveva molta voglia di avere a che fare perfino con l'idea di Mycroft in quel momento. Così la sua mente si bloccò nell'unica parte di questo resoconto cui sentiva di poter ribattere.

Seppellì il viso tra le mani: "Tu... Sherlock, ne abbiamo già parlato. Non puoi semplicemente prepararti le droghe tu stesso. O prendere quelle fatte da qualcun altro, se è per questo! Quante volte abbiamo avuto questa discussione?"

"È stato determinante per il caso, – ribatté Sherlock – E, come ho detto, non ha avuto alcun effetto su di me. Ricordo ancora tutto quello che è successo. Forse io ero immune al composto a causa del mio passato. Ad ogni modo, ti giuro che non ti ho in alcun modo costretto a sposarmi."

John sospirò e abbassò le braccia: "Ed io dovrei crederci, vero?"

"Sì, – ribadì Sherlock, sembrando un po’ ferito all'idea che John non accettasse la sua parola – Ma se hai dei dubbi, puoi chiedere alla signora Hudson e a mio fratello."

"La signora Hudson e Mycroft? Che cosa c'entrano con questa storia?"

Sherlock lo guardò come se fosse stupido: "Beh, qualcuno doveva farci da testimone, no? Mi stai dicendo che non hai nemmeno guardato bene il certificato di matrimonio? L'hanno firmato entrambi."

John si fermò nel suo camminare avanti e indietro. Non gli era nemmeno venuto in mente di controllare e ora si sentì un po' sciocco: "Ma... nessuno dei due mi ha mai detto niente, – proferì – Non nei giorni o nelle settimane dopo, nemmeno dopo che tu…" Si interruppe, ancora incapace di dirlo, anche con Sherlock seduto proprio lì, vivo e vegeto che in quel momento stava mangiando un terzo croissant, come se non se ne rendesse conto. John si chiese quanto tempo fosse trascorso da quando Sherlock aveva fatto un pasto vero e proprio.

"Non sono sicuro del motivo per cui Mycroft non ne abbia mai parlato, – ribatté Sherlock tra un morso e l'altro – Dovrai chiederlo a lui stesso. Ma quando ho capito che non ricordavi, ho detto alla signora Hudson di non fare storie al riguardo perché ti avrebbero causato dell’imbarazzo."

"Imbarazzo? – gli fece eco John – E che cosa ne dici riguardo al mio essere in imbarazzo quando ho scoperto di essere già sposato, nel momento in cui ho portato la mia fidanzata all'ufficio del Registro? E se tu non fossi mai... andato via? Ne avresti mai parlato ancora?"

Sherlock si strinse nelle spalle: "Ho pensato che sarebbe tornato utile se uno di noi due fosse mai stato ricoverato in ospedale a causa di una ferita o per qualche altro problema di salute. Considerando il nostro tipo di lavoro, sembrava solo una questione di tempo. Immaginavo che avresti preferito avere lì me piuttosto che tua sorella, ammesso che lei fosse abbastanza sobria da venire."

John sussultò al ricordo di Harry, ma non poté controbattere alla spiegazione: "E non hai pensato di parlarne con me in un qualsiasi momento?"

"Ho pensato che avresti potuto dare di matto e chiedere il divorzio per nessun motivo diverso da quello che sposarsi non è qualcosa che le persone fanno per capriccio. – dichiarò Sherlock – Il che ci avrebbe riportato al punto di partenza per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri. Quindi ho scelto di non parlarne. E poi la decisione è stata tolta dalle mie mani."

Sospirando, John tornò alla sua sedia e si sedette di nuovo. Si ricordò del suo tè raffreddato e prese la tazza come un uomo che sta annegando si attacca a una scialuppa di salvataggio. Aveva l’identico sapore che ricordava del tè di Sherlock da Prima.

"Non c'è niente in questa tazza, vero?" chiese con cautela, anche se un po' in ritardo.

Sherlock alzò gli occhi al soffitto: "No, John. Tè, acqua calda, latte. Proprio come piace a te."

Aveva ragione, ovviamente. Il tè era davvero perfetto. Molto meglio della roba che faceva Mary, pensò John in modo colpevole.

"Allora che cosa è successo? – domandò, posando la tazza – Mi hai fatto scivolare nella tazza qualunque cosa fosse da sperimentare e poi che cosa? Hai dato suggerimenti ridicoli per vedere se avevano un qualche effetto?"

Sherlock sussultò. "Perché dovrei fare una cosa del genere? Il punto era vedere se ti saresti ricordato ciò che era accaduto. Sarei stato benissimo a godermi una giornata normale con te."

"Allora come siamo finiti a sposarci? – insisté John, sporgendosi in avanti – Visto, come so da esperienza personale, che non puoi semplicemente entrare nell'ufficio del Registro e sposarti in un batter d'occhio… – fece una pausa quando gli venne in mente l'ovvia spiegazione – Oh no. Mycroft? Davvero?"

"Come ho detto, – mormorò Sherlock – avevamo bisogno di testimoni."

"E tuo fratello... ha semplicemente... lasciato che tu mi sposassi, – disse John, scuotendo la testa incredulo – Perché mai lo avrebbe fatto?"

Sherlock scrollò le spalle, gli occhi fissi sul piatto: "Pensava che mi avrebbe reso più... stabile, suppongo. Probabilmente pensava che avresti avuto una buona influenza. O forse pensava che io avessi bisogno di scopare. Ho pensato che fosse prudente non chiedere."

John si strozzò con la propria stessa saliva.

Gli ci vollero tre minuti buoni per riprendersi e convincersi che non stava morendo. Quando si asciugò le lacrime involontarie dagli occhi, Sherlock lo stava guardando con lieve preoccupazione.

John si schiarì la gola, chiedendosi se la sua faccia fosse davvero in fiamme: "Allora, uhm... a proposito di quello..."

Sherlock lo guardò, la sua espressione imperscrutabile: "Riguardo a che cosa?"

"Non abbiamo...?" La voce di John in verità si spense.

Sherlock sbatté le palpebre e, con infinita sorpresa di John, un rossore rosa chiaro gli si diffuse sugli zigomi: "No."

"Oh, grazie a Dio," mormorò John.

"Non preoccuparti. Sei ancora esattamente eterosessuale oggi come lo eri tre anni fa, John." Sherlock sembrava un po' seccato e John pensò all'improvviso che essere grato di non avere scopato con qualcuno e dirglielo in faccia non era proprio una cosa carina.

"Non intendevo questo, – sospirò – Ti sei visto allo specchio, sono sicuro che tu sappia già che potresti scegliere chiunque tra la folla, se solo lo desiderassi."

Diavolo, le persone probabilmente avrebbero formato una coda disordinata se Sherlock avesse anche solo accennato di volere una scopata.

"E lui ha sposato me. pensò John, improvvisamente stupito da quel fatto – È stato perché sarebbe una valida ragione per rifiutare se qualcuno diventasse troppo insistente?"

Non osava pronunciarla ad alta voce, ma ora che la domanda era lì, non riusciva a smettere di pensarci.

Sherlock non rispose al commento di John e lui decise di lasciare cadere l'argomento.

"Allora che cosa faremo adesso?" chiese.

"Dipende tutto da te," gli rispose Sherlock, ancora calmo in modo inquietante, anche se il rossore era svanito dal suo viso come se non fosse mai stato lì. John sarebbe stato quasi disposto ad accettare di esserselo immaginato, se Sherlock non avesse ancora evitato il contatto visivo diretto.

"Da me?"

"Ti ho già detto la mia posizione, – gli ricordò Sherlock – Non ho alcun incentivo a firmare quei documenti e molte ragioni per non farlo. Fino a quando e a meno che ciò non cambi, siamo in una posizione di stallo."

John sospirò: "Che cosa vuoi che faccia?"

"Parla con me, – ribatté subito Sherlock – Dammi una possibilità di spiegare."

John non si aspettava che Sherlock avesse una risposta subito pronta. Si agitò un po' prima di rispondere: "Io... io non lo so. Te ne sei andato, Sherlock. Ti sei ucciso e mi hai costretto a guardare. Non sono sicuro che ci sia una qualche spiegazione che potresti fornirmi che sarei disposto ad ascoltare o in grado di credere."

A queste parole poté vedere in modo molto chiaro il lampo di dolore sul viso di Sherlock, ma perfino l'idea di doverlo ascoltare mentre raccontava di quel giorno era troppo da sopportare.

"Lavora con me, allora, – propose Sherlock – Torna di nuovo a lavorare sui casi con me finché non sarai pronto ad ascoltare quello che ho da dirti. Aiutami a risanare  la nostra amicizia."

"E firmerai i documenti se lo faccio?" domandò John, desiderando che quella condizione fosse scolpita nella pietra.

Sherlock lo fissò a lungo prima di annuire: "Lo farò. Dopo."

John aprì la bocca per protestare, ma Sherlock aveva già pronta una contro-argomentazione: "Non mi fido che tu non te ne andresti, altrimenti."

Non c'era niente che John potesse ribattere a questo.

 

 

 

NdT

Ed ecco il patto. Sherlock riesce a costringere John a trascorrere del tempo con lui.

Che cosa non si fa per amore!

Grazie a chi stia leggendo. E grazie a garfield73, arcobaleno2014 e T’Jill per le recensioni al capitolo precedente.

 

A mercoledì prossimo.

 

Ciao ciao.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Baker Street, dolce casa

Capitolo 5

 

John non si fermò molto più a lungo dopo che Sherlock aveva ribadito la propria posizione. La sua partenza non fu una sorpresa e Sherlock si consolò sapendo che almeno avevano fatto una colazione tardiva insieme ed erano riusciti ad avere un'intera conversazione e John non aveva gridato più di una volta.

Almeno adesso avevano un accordo.

John lo avrebbe accompagnato di nuovo nelle indagini. Non era molto, ma era comunque più di quello che aveva avuto dal suo ritorno. Poteva essere paziente. Lo era già stato prima e avrebbe continuato ad aspettare se ciò significava che avrebbero avuto la possibilità di ricostruire quella fiducia che entrambi avevano perso: John quando aveva scoperto che Sherlock aveva simulato la propria morte e Sherlock quando era tornato e aveva appreso che John non voleva più avere a che fare con lui.

Entrambi avevano bisogno di tempo per adattarsi alla nuova realtà in cui vivevano. E forse, se Sherlock avesse giocato bene le sue carte, John avrebbe dimenticato la richiesta di divorzio e la sua fidanzata e sarebbe tornato a casa.

Il telefono squillò per l’arrivo di un messaggio, facendolo uscire dai propri pensieri. Lanciò un'occhiata allo schermo e sospirò.

Un altro litigio domestico evitato? MH’

Sherlock fece una smorfia al telefono, ma chiamò comunque il fratello.

"Vedo che mi stai ancora spiando, – proferì non appena Mycroft rispose – Non ti annoi mai?"

"Al contrario, le cose stanno diventando di nuovo interessanti, – ribatté Mycroft – Questa è stata la seconda volta che John è venuto a trovarti in due giorni. Si può solo presumere che ciò che lo ha spinto a tornare di nuovo sia stato uno sviluppo importante."

Sherlock alzò gli occhi al soffitto: "Si potrebbe presumere di sì. Tu, d'altra parte, dovresti saperlo per certo, dato che ieri John è andato all'ufficio del Registro appena prima di venire qui. Un bambino potrebbe capire la connessione, per favore non fingere di non averlo fatto. Non potrei sopportare di essere imparentato con un deficiente."

Mycroft sbuffò: "E li hai firmati?"

"Firmati cosa?"

"Anch'io non potrei sopportare di essere imparentato con un deficiente, anche se a volte fai del tuo meglio per comportarti come tale," replicò Mycroft.

Sherlock ringhiò e si alzò, attraversando il soggiorno per gettarsi sul divano: "Certo che non li ho firmati, Mycroft. Perché mai dovrei farlo?"

"Correttezza?"

"Che motivo avrei per comportarmi in modo corretto?"

"Una giusta osservazione, – ammise Mycroft – Anche se questo non ti ha fermato in passato. Hai almeno stabilito i termini per il tuo divorzio?"

Sherlock sospirò e premette il viso contro lo schienale del divano prima di rispondere: "Lui mi accompagnerà di nuovo quando mi occuperò dei casi finché non sarà pronto ad ascoltare la mia spiegazione riguardo al motivo per cui ho simulato la mia morte. Dopo che avremo ristabilito una fiducia reciproca e ripreso la nostra vecchia amicizia, firmerò i documenti."

"Lo farai?" domandò Mycroft.

Sherlock fissò la pelle screpolata e invecchiata del divano, ricordando le molte volte in cui aveva visto John seduto lì: "Non lo so. – deglutì – Ho accettato di farlo. Gli ho detto che l'avrei fatto. Non voglio perdere di nuovo la sua fiducia."

"No, – gli mormorò Mycroft all'orecchio – No, non pensavo che l'avresti fatto. Preferiresti spezzare il tuo cuore piuttosto."

"Se sceglie di mantenere la sua promessa di sposarla, non ne avrò comunque bisogno, – ribatté Sherlock – Perciò che importanza ha?"

Sapevano entrambi che ne aveva moltissima, ma Mycroft fu così gentile da non dirlo.

"Stai attento, fratellino," concluse invece e riattaccò. Era meglio così, perché Sherlock non era dell'umore giusto per mentirgli.

 

*****

 

Un caso apparve appena tre giorni dopo. Fedele alla sua promessa, John accettò di seguirlo. Non poté fare a meno di sentire un lieve fremito di eccitazione e non poca nostalgia mentre si chinava per passare sotto al nastro.

"Eccoti, Sherlock, – esclamò Lestrade, voltandosi – Ti piacerà questo… John! Accidenti!"

John sogghignò: "Ehi, Greg. Come va?"

"Maledizione, amico, questa è una sorpresa! – esclamò Lestrade, dandogli una pacca sulla schiena e sorridendo raggiante di felicità – Non pensavo che ti avrei visto di nuovo in giro. Avete sistemato tutto, vero?"

"Uh... non proprio, – rispose John – Si potrebbe dire che è una specie di prova. Chiamalo un esercizio di costruzione della fiducia."

"Ah. – il DI annuì, voltando la testa per guardare Sherlock, che gli era passato accanto e stava già esaminando il corpo – Non sarà facile, immagino. Ha davvero fatto un brutto scherzo a tutti noi, vero?"

"Non l'ho ancora perdonato per questo – gli confidò John – Ma lui... beh. Ha esposto delle buone argomentazioni."

"Ci scommetto, – mormorò Lestrade – Comunque, sono contento. Non è stato in gran forma di recente, te lo dico io. Sarà bello riaverti, se non altro per tenerlo d'occhio."

La sua espressione era cupa e ansiosa. Fece subito preoccupare John: "Cosa vuoi dire?"

Il DI si passò una mano sulla fronte: "Non lo so. È solo... diverso. Non ha voluto parlare di quello che è successo mentre era via, sembra ancora più pallido di prima. Ha anche perso peso… sono sicuro che tu l’abbia notato. E ora sussulta quando sente rumori forti."

John aveva notato la perdita di peso. E Sherlock aveva sussultato un bel po’ durante le loro recenti conversazioni, anche se non erano state particolarmente rumorose. John aggrottò la fronte: "Non ho davvero trascorso molto tempo con lui. Io... io lo terrò d'occhio. Grazie per l’avvertimento."

"Sì, non saltagli fuori da dietro le spalle, – continuò Lestrade – Ha atterrato uno dei nostri agenti con un braccio dietro la schiena in due secondi netti. Aveva un’espressione anche un po’ feroce, e poi si è scusato davvero quando si è reso conto di quello che era successo. Qualunque cosa abbia combinato, non può essere andata bene."

Questa era una nuova informazione per John e guardò i poliziotti che si aggiravano sulla scena del crimine con occhi nuovi. Era vero che la gente stava lasciando un ampio spazio a Sherlock e che tutti facevano molta attenzione a non passargli troppo vicino da dietro la schiena. Era molto evidente che Donovan si era posta in diagonale di fronte a lui con le braccia incrociate, lanciando sguardi ammonitori a chiunque gli fosse andato troppo vicino.

John sbatté le palpebre. La sergente non era mai stata particolarmente amichevole nei confronti di Sherlock, ma questo comportamento era davvero protettivo. Era chiaro che qualcosa fosse cambiato a un certo punto.

"Grazie per l'avvertimento," mormorò di nuovo a Greg e si avvicinò al corpo, assicurandosi di avvicinarsi a Sherlock di lato, il che gli valse un cenno del capo da parte di Donovan e un leggero ammorbidimento del suo cipiglio.

"Ah, John, – lo salutò Sherlock – Potresti dare un’occhiata alla sua gola per me?"

John si accovacciò accanto a lui e lo fece, inclinando con cautela la testa della vittima per avere una buona visuale. Usò le dita coperte dai guanti per fare leva con cautela sulla bocca dell'uomo e sbirciarci dentro: "Interessante. Sembra quasi che qualcuno lo abbia tenuto fermo con una mano sulla mascella e gli abbia infilato qualcosa in bocca e giù per la gola con l'altra."

Senza una parola Sherlock tenne una torcia alla giusta angolazione per illuminare la bocca della vittima.

"Sembra che una parte di questo qualcosa possa essere ancora lì, – osservò John – Non voglio rischiare di tirarlo fuori qui, ma sono sicuro che sarà facile estrarlo durante l'autopsia. Sembra che… – socchiuse gli occhi – sì, sembra una specie di giocattolo per bambini."

Si voltò e vide Sherlock che lo guardava, un sorriso compiaciuto sul viso. John non poté fare a meno di ricambiare il sorriso.

"Vedi? – dichiarò Sherlock rivolto a Lestrade, indicando il corpo – Te l'avevo detto che il caso sarebbe stato un gioco da ragazzi."

John non avrebbe potuto smettere di ridacchiare per tutto l’oro del mondo, nemmeno quando Lestrade gemette e seppellì il viso tra le mani per quella che avrebbe potuto essere la peggiore barzelletta che avesse mai sentito.

 

*****

 

Ovviamente le cose non continuarono così bene.

Dopo appena cinque minuti, Sherlock finì di esaminare la scena del crimine e si alzò, togliendosi i guanti con uno schiocco.

"La vittima ha poco più di trent'anni, forse una specie di ingegnere informatico a giudicare dallo stato del palmo della mano destra. Vive da qualche parte nel sud di Londra, molto probabilmente a Lambeth, e ha almeno..."

"Aspetta aspetta aspetta aspetta, – lo interruppe Lestrade – Che cos’è quello?"

Sherlock chiuse di scatto la bocca con uno schiocco: "Che cosa è cosa?"

"Quello! – il DI indicò la mano di Sherlock – Che cos’è quello?"

Gli occhi di tutti andarono subito alla mano sinistra di Sherlock. John si costrinse a non restare a bocca aperta, anche se vide quella di Donovan spalancata per lo shock.

Sherlock sbatté le palpebre: "È un anello, – rispose in modo lento, come se pensasse che Lestrade fosse un po’ tardo – Dovresti saperlo, ne hai uno tu stesso. O lo hai avuto."

Lestrade aggrottò la fronte: "Sì, ma lo indossi alla mano sinistra. All'anulare."

"Sì, certo. – ribatté Sherlock con calma – Mi è stato detto che è qui che per tradizione vanno le fedi nuziali. In quale altro luogo lo dovrei mettere?"

Il silenzio che seguì a questa affermazione fu assordante.

"Tu… – iniziò Lestrade incredulo – Tu sei sposato?"

Sherlock alzò il mento: "Perché sei così scioccato? Sei deluso di apprendere che ti sei perso qualcosa?"

Questo gli valse una serie di risate da parte degli agenti che si erano lentamente avvicinati, desiderosi di non perdere lo spettacolo.

Lestrade alzò gli occhi al cielo: "Ah. Ah. Ah. Deluso che tu non abbia pensato di invitarmi, più che altro."

Si rivolse a John e John notò con qualcosa a metà fra il panico e il divertimento il modo in cui lo sguardo del DI cadde sulla sua mano nuda: "Tu ne sapevi qualcosa, John?"

"Sì, è saltato fuori durante le nostre recenti conversazioni, – rispose John in tono allegro, cercando di mantenere un’espressione seria – È stata una sorpresa anche per me.”

Era l'eufemismo dell'anno, ma non poteva fare altrimenti. Sherlock sembrava assolutamente deliziato.

"Sono proprio stupita che una qualsiasi donna sia stata disposta a trascorrere abbastanza tempo con te da arrivare ad affrontare l'argomento del matrimonio," intervenne Donovan.

Sherlock girò la testa e le lanciò uno dei suoi sguardi: "È il 2018, Sally. Non sposerei una donna nemmeno se il mondo stesse finendo. So che hai un cervello, cerca di usarlo qualche volta."

"Allora chi…"

"Non sono affari tuoi, – la interruppe subito Sherlock – Ora, come stavo dicendo della vittima…"

 

*****

 

John ascoltò Sherlock che snocciolava le sue deduzioni con affetto a malapena celato. Era passato molto tempo in effetti ed era felice di scoprire che Sherlock aveva ancora la capacità di stupirlo.

E, beh, fu di sicuro piuttosto divertente guardare i poliziotti che cercavano di stargli dietro quando erano ancora tutti alle prese con nuova realtà appena scoperta nella quale Sherlock Holmes sembrava essersene andato e ritornato sposato senza che nessuno di loro lo sapesse.

Tuttavia, per quanto fosse senza dubbio divertente, John non poté fare a meno di chiedersi come questo avrebbe influenzato il loro accordo. Se Sherlock andava in giro a proclamarsi sposato (il che era effettivamente corretto) come aveva intenzione di spiegare il suo divorzio? D’altro canto, se le persone facevano fatica a credere che qualcuno lo avesse sposato, non avrebbero avuto problemi a credere che avesse divorziato.

John fu sorpreso di scoprire che questo pensiero lo infastidiva. Perché qualcuno non dovrebbe volersi sposare con Sherlock? Era brillante e stupendo e, se era di buon umore, inaspettatamente gentile. Era anche involontariamente divertente, il più delle volte. Nonostante tutti i suoi numerosi difetti, non era noioso.

John poteva ammettere con se stesso che, se non avesse saputo che il marito misterioso era lui stesso, non avrebbe trovato difficile credere che Sherlock fosse sposato. Sherlock era leale, anche se era molto attento a nasconderlo agli altri. Era ovvio che il matrimonio lo avrebbe attirato, se mai si fosse abbassato a entrare in rapporto con chiunque. Anche adesso, nonostante la loro fiducia vacillante, John sapeva che Sherlock era leale a lui e alla loro amicizia. Tutto ciò che Sherlock aveva detto e fatto di recente lo aveva dimostrato.

Tuttavia, John non si fidava di lui. Forse lo avrebbe fatto in futuro, se fossero riusciti a salvare la loro amicizia dalle rovine fumanti di tutto ciò che era accaduto. Ma davvero, come si potrebbe essere amico di qualcuno che hai sposato in modo accidentale, del tutto inconsapevole? Come si poteva essere amico della persona da cui si vorrebbe divorziare? Questo sarebbe sempre stato tra di loro, anche se il loro matrimonio era esistito solo sulla carta.

Ore dopo, dopo che John fu tornato a casa nell'appartamento che condivideva con Mary e si fu messo a letto, incapace di dormire, si ritrovò a pensare che sembrava un peccato che questo matrimonio non avesse mai avuto una possibilità di esistere.

Non appena il pensiero gli attraversò la testa, si alzò e andò in cucina in cerca di qualcosa da bere. Questo era un modo di pensare pericoloso, malsano all'estremo, e non avrebbe sprecato altro tempo su di esso.

Compì i gesti di preparare il tè per dare alle sue mani qualcosa da fare e per tenersi alla larga dal whisky che sapeva essere nascosto in fondo alla credenza. Naturalmente, quando si portò la tazza alle labbra, ricordò perché era sempre stato Sherlock a preparare il tè nel loro appartamento. Il suo sapore non fu altro che delusione.

Beh, quella era la vita che aveva scelto, no? Lontano da Sherlock e pieno di deludenti tazze di tè. Sapeva, nel profondo, che poteva semplicemente buttarlo nello scarico, mettersi le scarpe e prendere un taxi per Baker Street e Sherlock gli avrebbe preparato una buona tazza di tè e non gli avrebbe fatto domande.

John sospirò e bevve il suo tè.

 

 

NdT

Un capitolo pieno di piccole rivelazioni. In primo luogo l’anello di Sherlock. Quella fede nuziale che tanto farà riflettere John. E poi, ragazze, mettiamoci il cuore in pace. Sherlock ha detto chiaro e tondo che le donne non sono il suo ambito di competenza.

John, caro: chi ha orecchie per intendere, intenda.

Grazie a chi stia leggendo questo racconto. All_I_Need è veramente un’autrice fantastica che sa sviscerare i personaggi.

Grazie ad arcobaleno2014, garfield73, amy holmes_JW e T’Jill per le recensioni.

E sempre un enorme grazie alla mia Beta, T’Jill.

 

Ciao ciao.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Baker Street, dolce casa

Capitolo 6

 

Quando due giorni dopo John tornò al 221b per una rapida visita, si premurò di andare a trovare la signora Hudson prima di uscire. Il commento di Sherlock sul suo comportamento negligente che aveva fatto preoccupare la ex padrona di casa aveva colpito a fondo.

La signora Hudson, come al solito, fu felicissima di vederlo e lo rimproverò solo un po' per non essersi fatto sentire così a lungo.

"Siediti e prendi una tazza di tè, – ordinò dopo, indicando una sedia – So che non riusciresti a fare una tazza di te decente neanche se ne andasse della vita."

John fece come gli era stato detto e accettò il tè con un mormorio di ringraziamento.

"Oh, è così bello rivederti di nuovo qui, – disse lei, sedendosi di fronte a lui – Ammetto che stavo iniziando a preoccuparmi. Sei stato via per così tanto tempo."

"Io sono stato via per molto tempo? – domandò John – Sherlock è stato morto per due anni!"

"Ed io ti ho a malapena visto in questi due anni e quattro mesi, – ribatté lei con calma – Almeno Sherlock è tornato a casa appena ha potuto. Lui sa a quale luogo appartenga."

John aprì la bocca per dire che lo sapeva anche lui, ma ci ripensò. La signora Hudson non sarebbe mai stata d'accordo, comunque.

Scelse invece di cambiare argomento: "Sherlock ha detto che lei è stata uno dei testimoni al nostro matrimonio."

Il viso della signora si illuminò al ricordo: "Esatto! È stato così adorabile da parte vostra, ragazzi, chiedermelo! È stato tutto molto improvviso, certo, non avevo idea che fosse cambiato qualcosa fino a quando non sei sceso e mi hai chiesto di venire con te, John. Sembravi così felice ed eccitato."

John sbatté le palpebre. Non si accordava affatto con ciò che si aspettava di sentire. Era, tuttavia, una ulteriore prova che Sherlock non lo aveva costretto in nessun modo.

Con la signora Hudson felice di parlare del loro matrimonio, forse avrebbe potuto ottenere maggiori informazioni in merito a quel giorno, ricostruire che cosa fosse successo senza cercare di tirarlo fuori a Sherlock e rischiare un’altra discussione nel caso in cui avesse perso la pazienza.

"Che aspetto aveva Sherlock?" chiese.

La signora Hudson ci pensò un momento e poi sorrise: "Sopraffatto, suppongo."

Di nuovo, non era quello che si era aspettato: "Sa…"

Il suo telefono squillò.

Imprecando dentro di sé, John lo tirò fuori dalla tasca. Il viso di Mary illuminò lo schermo ma in quel momento proprio gli era difficile essere contento di sentire la sua fidanzata. Se solo avesse aspettato altri cinque o dieci minuti, avrebbe potuto saperne di più.

"Mary, – rispose – Ciao, come va? È tutto a posto?"

"John, amore, dove sei?"

“Ancora a Baker Street, – ribatté – Perché?"

“Dovevamo andare ad assaggiare le torte nuziali, ricordi? Abbiamo un appuntamento tra un'ora e sai quanto tempo ci vuole per attraversare mezza città."

"Merda. Sto arrivando, – promise – Scrivimi l'indirizzo e vediamoci lì."

Riattaccò e si alzò: "Devo andare, signora Hudson. Grazie per il tè e per le chiacchiere."

Lei sorrise e lo abbracciò: “Torna presto, John. Sherlock è così solo senza di te."

John non sapeva che cosa rispondere, quindi si limitò ad annuire e se ne andò.

 

*****

 

"Li ha già firmati? – chiese Mary alcuni giorni dopo, a colazione – Sono passate quasi due settimane,ormai."

"Non ancora, no, – sospirò John – Te l’ho detto, abbiamo raggiunto una specie di accordo."

"Hai detto che lo avresti assistito nei casi e che avrebbe firmato quei maledetti documenti, – insisté Mary, con un’espressione accigliata e tesa sul viso – Sei andato con lui la settimana scorsa, hai mantenuto la tua parte dell'accordo."

"Non è così semplice, – ribatté John, desiderando di poter alzare gli occhi al cielo. Glielo aveva già spiegato, ora stava facendo la stupida apposta. Non poteva nemmeno biasimarla. Non doveva essere facile voler sposare qualcuno solo per scoprire che era già sposato con qualcun altro, anche se non lo sapeva. Tuttavia, il fatto che lui e Sherlock fossero di nuovo amici era stato anche un suo suggerimento.

"Li firmerà, – ribadì John invece di ripetere i termini dell’accordo – E chissà, forse è stato meglio così. Ero furioso con lui, lo sono ancora un po', ma almeno parliamo di nuovo. Mi piacerebbe riavere il mio migliore amico. Vorrei che fosse il testimone al nostro matrimonio ."

"Quando finalmente accadrà," mormorò Mary, ma si addolcì un po'.

Finirono la colazione in un tranquillo silenzio e John la salutò con un bacio e andò al lavoro. In seguito, sarebbe andato di nuovo a trovare Sherlock, solo per il gusto di farlo, e il tempo scorreva lento mentre continuava a guardare l'orologio, aspettando che il suo turno finisse.

Lui e Sherlock non avevano fatto alcun piano, ma era sicuro che avrebbero trovato qualcosa da fare, anche se fosse stata solo un'altra ridicola conversazione. Tendevano ad averne tutto il tempo, uno strano mix di battibecchi e un generale tentativo di primeggiare l’uno sull’altro che li intratteneva bene.

Tuttavia, non avevano parlato di cose realmente importanti. Non avevano parlato del loro matrimonio o del loro divorzio, non avevano nemmeno alluso all'anello che Sherlock ora indossava di continuo alla mano sinistra, e di certo non si erano avvicinati all'argomento della sua presunta morte.

Invece, avevano parlato dei casi e degli esperimenti di Sherlock e dei pazienti di John e della signora Hudson molto impegnata nelle pulizie di primavera che avevano portato allo sradicamento delle erbacce preferite da Sherlock nel cortile.

Dentro di sé, John era stupito di se stesso. Due settimane prima, non avrebbe nemmeno preso in considerazione l'idea di mettere piede al 221b e parlare di nuovo con Sherlock. Ora, non vedeva l’ora. Erano passati un paio di giorni dall'ultima volta in cui si erano visti e li sentiva come un dolore.

Era sempre stato così, se voleva essere del tutto sincero. Sherlock aveva sempre avuto questo effetto su di lui, gli faceva venire voglia di stargli vicino, lo attirava come una falena era attratta da una fiamma anche se la bruciava. Sherlock poteva essere quello che aveva detto di voler ricostruire la loro amicizia, ma John era abbastanza onesto da ammettere che lo voleva anche lui. Semplicemente non era stato abbastanza coraggioso da alzarsi e fare qualcosa al riguardo. E ora l'universo stesso aveva risolto in modo elegante il problema sbattendogli in faccia un problema ancora più grande.

Tuttavia, il loro accordo lo preoccupava. A un certo punto, avrebbe dovuto sedersi e ascoltare e avrebbe scoperto che cosa fosse successo e perché Sherlock se ne fosse andato e non era ancora sicuro di volerlo sapere. Non era sicuro di voler sentire quanto fosse valsa la pena lasciarlo così, quali avventure Sherlock avesse vissuto senza di lui. Due anni erano un tempo molto lungo per affermare che lui aveva voluto tornare a casa ma non aveva potuto farlo.

Faceva ancora male. Era un tipo di dolore diverso dall'accecante agonia di perdere Sherlock, di pensarlo morto. Questo faceva male in un modo differente e contorto: "Mi ha lasciato indietro di sua volontà."

Proprio per questo, si ritrovò a temere quella visita. E se Sherlock avesse voluto parlarne adesso? Per un momento, John pensò di mandargli un messaggio per annullare, di inventare una qualche scusa, qualsiasi scusa, per non andare.

Non lo fece.

Prima che se ne rendesse conto, il suo turno di lavoro era finito e aveva preso la metropolitana per Baker Street. Sbloccò l’uscio con la sua vecchia chiave di scorta con l’autopilota e tornò in sé stesso sbattendo le palpebre solo mentre varcava la soglia dell'appartamento.

"Sherlock?"

Non ci fu risposta. Il soggiorno e la cucina erano deserti e silenziosi.

John stava per voltarsi e andarsene di nuovo, ma il cappotto di Sherlock era appeso al solito posto, proprio accanto alla sciarpa. Faceva troppo freddo perché fosse uscito senza nessuno dei due.

Qualcosa di gelido gli corse lungo la spina dorsale e la paura lo colpì come un forte pugno nello stomaco.

"Sherlock?" chiamò di nuovo, questa volta più forte, e rimase in attesa di una risposta.

Pensò di aver sentito qualcosa e si addentrò di più nell'appartamento. Il salotto non mostrava segni di attività recente, ma questo non significava nulla. Anche una tazza di tè avrebbe potuto essere lì da due ore o da due giorni.

John si avviò lungo il corridoio. La porta del bagno era aperta e la luce era spenta. La porta della stanza di Sherlock non sembrava chiusa nel modo corretto. John barcollò in avanti, diviso fra il bisogno di vedere Sherlock in quel preciso istante e la paura di quello che avrebbe potuto trovare se avesse aperto la porta.

Il bisogno vinse, come sempre, e percorse a grandi passi il corridoio e spalancò la porta, cercando di convincere se stesso che Sherlock stava bene.

"Sherlock, stai…?"

Si interruppe mentre osservava la scena.

Sherlock era lì e respirava, il che fece sciogliere di sollievo diversi organi di John. Per sfortuna, le buone notizie si fermavano lì.

Sherlock era disteso sul letto, a braccia e gambe spalancate, con le coperte spinte ai piedi del letto. I capelli e i vestiti erano incollati al corpo e il viso era arrossato e luccicante di sudore. Inoltre, non aveva reagito all'ingresso di John.

"Merda."

Due passi portarono John accanto al letto e la sua mano sulla fronte di Sherlock. "Merda merda merda."

Si allontanò, entrò in bagno e afferrò tutti gli asciugamani che riuscì a trovare, aprì il rubinetto e lasciò che l'acqua fredda li impregnasse. Si prese a malapena la briga di eliminare l'acqua in eccesso, giusto quel tanto che bastava per essere sicuro che il costoso materasso di Sherlock non si ammuffisse, e tornò in fretta nella stanza.

Sherlock non si era ancora mosso.

Emise un piccolo suono quando John gli alzò la testa e spinse il primo degli asciugamani freschi sotto il collo e la nuca, piegandone un'estremità per coprire la fronte. Gli altri asciugamani li mise intorno ai polsi e alle caviglie.

"Sherlock? Sherlock, mi senti?"

Ricevette un gemito sommesso in risposta, il che non era esattamente promettente.

"Dai, parlami."

Sherlock non lo fece.

John sospirò e tornò in bagno per cercare il termometro. Lo risciacquò rapidamente, sperando che di recente non fosse stato usato in nessun brutto esperimento, e tornò a misurare la temperatura di Sherlock. 42,1 ° C.

"Maledetto stronzo, – sbottò John e tirò fuori il telefono – Sono il dottor John Watson. Mi trovo al 221b Baker Street, NW1 5RT, con un paziente con piressia acuta. Ha la temperatura oltre 42 ° C e non è reattivo."

Non c'erano medicine nell'appartamento, niente che potesse aiutare con la febbre. Non riusciva nemmeno ricordare se Sherlock fosse mai stato malato da quando lo conosceva. Non gli sembrava. Non si poteva trovare neanche un maledetto paracetamolo in quel posto e John maledisse sia Sherlock sia se stesso per questa trascuratezza mentre aspettava l'arrivo dell'ambulanza.

Aveva appena riattaccato che il telefono squillò di nuovo. Non riconobbe il numero, ma non ne aveva bisogno.

"Ciao Mycroft."

"Dimmi che cosa sta succedendo." Probabilmente Mycroft l’aveva inteso come un ordine, ma sembrava troppo preoccupato per darne davvero uno.

John sospirò: "Sono venuto a trovare Sherlock dopo il lavoro e l'ho trovato svenuto sul letto, con la febbre alta. Non c'è proprio niente di utile nel suo armadietto dei medicinali, quindi lo sto facendo ricoverare nell'ospedale più vicino."

Sherlock rabbrividì nel letto, cosa che John prese come un buon segno: "Quando gli hai parlato per l'ultima volta? Sai quando abbia lasciato l'appartamento per l'ultima volta? Non lo vedo da un paio di giorni. Aiuterà se saremo in grado di individuare da quanto tempo sia in questo stato."

"Ora controllo, – ribatté Mycroft e John sentì il ticchettio di qualcuno che digitava rapidamente – La signora Hudson è andata a trovare sua sorella tre giorni fa. Sherlock l'ha accompagnata e l'ha aiutata a salire in macchina. In quel momento sembrava normale. È tornato in casa e da allora non è più uscito, tranne che per aprire la porta per ritirare una consegna di cibo dal suo ristorante cinese preferito alle 20:30 due giorni fa."

John annuì tra sé: "Che cos’ha ordinato?"

Mycroft non si diede la pena di fingere di non averne idea: "Involtini primavera e una specie di zuppa."

"Contenente pollo?"

"Sì."

"Ecco qua, – affermò John – Stava iniziando a sentirsi male in quel periodo, allora. Probabilmente ha pensato che gli stesse venendo un raffreddore e ha deciso di somministrarsi la famigerata ricetta casalinga del brodo di pollo. È chiaro che non è stata d’aiuto."

Pizzicandosi il ponte del naso, guardò la figura semicosciente nel letto: "Idiota, perché non mi hai chiamato quando hai capito che stavi peggiorando?"

Sherlock, ovviamente, non rispose.

Il suono delle sirene gli giunse alle orecchie: "Mycroft, l'ambulanza è qui. Sono sicuro che non avrò bisogno di dirti dove lo porteranno. Non preoccuparti troppo, starà bene. Ho già adottato delle misure per abbassare la febbre, voglio solo un controllo approfondito e alcuni farmaci adeguati una volta che avremo appurato quale sia il problema."

Riattaccò prima che Mycroft potesse rispondere e andò ad accogliere i medici per portarli al piano di sopra.

In cinque minuti, Sherlock era stato caricato sull'ambulanza e stavano cercando di chiudere le porte davanti a John.

"Vengo con voi," disse lui con fermezza.

"Signore, non può…"

E John, percependo l'ironia in ogni osso del proprio corpo, affermò: "Sono suo marito."

 

*****

 

"Vedo che hai già scoperto i vantaggi che Sherlock senza dubbio ti ha sottolineato nelle vostre conversazioni recenti," esordì Mycroft.

Erano rimasti entrambi seduti in silenzio accanto al letto di Sherlock negli ultimi venti minuti, a guardare il costante salire e scendere del suo petto. La febbre era già scesa da 42,1 a 41,9, con molto sollievo di John, ma il dottore era stato irremovibile nel voler sottoporre Sherlock a un ciclo di antibiotici ed eseguire alcuni test solo per essere sicuri. Forse ciò era dovuto alla breve conversazione che Mycroft aveva avuto con il personale medico al suo arrivo in ospedale.

Sherlock sembrava pallido in modo spaventoso nel bianco letto dell'ospedale e John era grato di avere una scusa per distogliere lo sguardo.

"Ebbene, cos'altro avrei dovuto fare? È la verità."

"Per ora,” ribatté Mycroft con calma. Non era cambiato molto dall'ultima volta in cui John l'aveva visto, al finto funerale di Sherlock. Alcune delle linee sul suo viso erano più profonde e poteva aver aggiunto un capello grigio o due, ma questo era tutto.

"Si è svegliato almeno una volta?"

John scosse la testa: "Ha provato a parlare quando ho cercato di scuoterlo nell'appartamento, ma era troppo fuori di sé. Dovremo aspettare che si svegli."

Prese fiato e si costrinse a porre la domanda: "Perché non me l'hai detto?"

"Era una missione segreta, John. Dirtelo avrebbe fatto fallire lo scopo di…"

"Non quello, – scattò John – Il nostro matrimonio. Perché non mi hai mai detto che eravamo sposati?"

"Ah. – Mycroft si agitò sulla sedia – Devo ammetterlo, non volevo doverti dare la notizia, John. Ho visto che cosa ti stava facendo la morte di mio fratello. Non volevo peggiorare le cose."

"E dopo che è tornato..."

"Mi era passato di mente, – dichiarò Mycroft, cosa che John trovò molto improbabile – Semplicemente non pensavo alla cosa come rilevante. Lui era vivo, il vostro matrimonio era legalmente valido, non sembrava esserci motivo di sconvolgere lo status quo."

"Beh, c'era, – gli ricordò John, incrociando le braccia – Non dirmi che non sapevi che io fossi fidanzato."

Mycroft inarcò un sopracciglio: “Considerando il tuo curriculum, non credevo che sarebbe diventato un problema."

Prima che John potesse dare voce alle molte risposte che subito gli erano venute in mente, Mycroft continuò: "E come sta la signorina Morstan?"

"Sta bene," rispose John in modo secco.

"Davvero? È che non posso fare a meno di notare che siamo qui da diverse ore, sono quasi le 22 e non hai guardato il tuo telefono nemmeno una volta, per non parlare del fatto che non hai inviato un messaggio o fatto una telefonata."

"Merda! – esclamò John, la rabbia dimenticata all'istante e sostituita dal senso di colpa – Scusami per un minuto."

Tirò fuori il telefono in corridoio e trovò un angolo tranquillo in una delle aree di attesa, dove fece la chiamata ignorando il cartello che avvertiva in modo chiaro che i telefoni cellulari non erano ammessi.

"Mary?"

"John! Finalmente stavo cominciando a pensare che ti fossi perso."

"Mi dispiace, avrei dovuto chiamare prima."

"Dove sei?"

"Sono in ospedale e…"

"Che cosa? Stai bene?" la preoccupazione nel suo tono lo fece sentire ancora più colpevole.

"Sto bene. Ho dovuto portare Sherlock in ospedale. Quando sono arrivato era incosciente con la febbre a più di 40 gradi. Adesso è stabile, ma... beh, vorrei tenerlo d'occhio."

"Oh, John, amore. Certo che devi farlo. Quando torni a casa?"

John esitò: "Non lo so. Probabilmente starò qui ancora un paio d'ore nel caso in cui abbiano altre domande o lui si svegli."

Mary rimase in silenzio a lungo. Quando finalmente parlò, sembrava che si stesse sforzando molto di sembrare solidale, ma non riuscisse a nascondere del tutto l'amarezza strisciante: "Certo. Beh, una chiave ce l’hai. Cerca di non svegliarmi quando torni a casa."

"Va bene, – mormorò John, trasalendo – Buona notte."

Lei riagganciò senza ricambiare.

 

 

NdT

Ed ecco che iniziano seriamente i guai in paradiso. Anche se chiamare paradiso il rapporto fra John e Mary mi sembra un po’ troppo. Con Sherlock in pericolo, direi che il nostro caro dottore non abbia impiegato più di mezzo secondo a. a sfruttare il proprio grado di parentela e b. a dimenticarsi della propria cara fidanzata.

Grazie ad arcobaleno2014, garfield73, amy holmes_JW e T’Jill per le recensioni e grazie a chi stia leggendo e seguendo il racconto.

Ciao ciao.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Sweet Home Baker Street

Capitolo 7

Qualche minuto dopo che John era tornato dalla telefonata a Mary e aveva reclamato il proprio posto accanto al letto di Sherlock, Mycroft si alzò.

"Temo che il lavoro non possa aspettare più a lungo. John, sono sicuro di potermi fidare di te per tenere d'occhio mio fratello."

Suonava come "Farai meglio a non tradire questa fiducia o dovrò ingaggiare qualcuno per romperti le gambe."

"Certo," ribatté John. Non aveva intenzione di tornare a casa presto, visto che Mary era arrabbiata e non aveva ancora avuto il tempo di sbollire la rabbia. E, beh, Sherlock avrebbe potuto avere bisogno di lui: "Ti chiamo se dovesse esserci un qualsiasi cambiamento."

Sapeva che era un'offerta piuttosto inutile, dato che probabilmente Mycroft avrebbe potuto fare inoltrare al proprio cellulare le letture delle apparecchiature mediche o qualcosa del genere, se avesse voluto, ma l'uomo annuì comunque e se ne andò rivolgendo un ultimo sguardo al fratello.

Una volta che la porta si fu chiusa, John sospirò e si sistemò più comodamente sulla sedia. Sherlock non si era mosso da quando l'avevano portato qui, ma John sapeva che gli antibiotici stavano facendo il loro lavoro e che sarebbe migliorato ancora, ora che stava finalmente riposando. Sherlock sembrava incredibilmente fragile in quel letto e un po' più magro di quanto fosse stato anche all'inizio della loro amicizia. John guardò la linea affilata della clavicola di Sherlock e decise che lo avrebbe portato fuori a cena, non appena fosse stato in grado di farlo. Era evidente che l'idiota avesse bisogno di nutrirsi.

Si guardò intorno e notò il comodino, dove qualcuno aveva appoggiato una piccola borsa con chiusura lampo con i pochi averi di Sherlock. Essendo arrivato in pigiama, non ce ne erano molti. Solo il suo orologio da polso e la scintillante fede nuziale. Argento, pensò John e allungò la mano verso la borsa prima di riuscire a fermarsi. Estrasse con cura l'anello e lo esaminò.

Non argento, – pensò, sorpreso – titanio.'

Ovviamente aveva senso. Aveva più o meno lo stesso aspetto, ma era molto più durevole, era meno probabile che si graffiasse durante il Lavoro.

Era stata una scelta sensata, nella misura in cui Sherlock faceva scelte sensate. Ma perché mai avrebbe dovuto volere un anello in primo luogo? John gli aveva consegnato i documenti del divorzio e la risposta di Sherlock era stata mettere un anello. Per quale motivo? Era un tentativo di fargli un dispetto? Di attirare un'attenzione non necessaria sulla loro situazione? No, sembrava sciocco. Sherlock non avrebbe detto a tutti che si era sposato solo per divorziare un paio di settimane dopo. Non aveva senso.

Pensieroso, John rigirò l'anello tra le mani, ma si fermò quando sentì qualcosa di irregolare.

Socchiudendo gli occhi e inclinando l’anello, notò che all’interno c'era un'incisione. Era una specie di codice numerico.

John aggrottò la fronte: "XXIX-I?"

Era molto probabile che fossero numeri romani. Se ci fossero stati più numeri, avrebbe pensato che fosse una data. Sapeva che il loro matrimonio era stato all'inizio di marzo ed era chiaro che l’incisione non  lo riguardava. Forse era una sorta di codice binario? In tal caso, John non aveva idea di che cosa potesse significare.

Perché Sherlock aveva voluto incidere qualcosa nella sua fede nuziale? Sembrava quasi qualcosa di sentimentale, ma non se ne era mai interessato.

Quindi, una fede nuziale superflua con un'incisione in apparenza inutile. Non sembrava nemmeno nuova. In ottime condizioni, sì, ma non come se fosse stata acquistata e incisa solo negli ultimi due giorni. Conclusione: Sherlock aveva questo anello già da un po'.

John deglutì. Dall’inizio? L'aveva avuto al loro matrimonio? Lo aveva infilato lui stesso al dito di Sherlock? Sembrava inimmaginabile. Pensava di non averlo mai visto prima, ma ovviamente c’era sempre la questione della perdita di memoria.

Passando lo sguardo dallo sconcertante anello al viso addormentato di Sherlock, per la prima volta John si sentì come se avesse davvero perso qualcosa.

Ripose con cura l'anello nella borsa e poi la fissò accigliato. Forse era un cimelio di famiglia? Ciò avrebbe spiegato la strana incisione. In ogni caso, non sembrava una buona idea lasciarlo sul comodino, dove chiunque avrebbe potuto prenderlo. Lo avrebbe tenuto lui stesso fino a quando Sherlock non fosse uscito dall’ospedale, lo avrebbe tenuto al sicuro per lui. Annuendo, John si ficcò in tasca la piccola borsa.

Si addormentò mezz'ora dopo e non si svegliò finché non arrivò l’infermiera del turno del mattino, giusto in tempo per mandare un messaggio a Mycroft con un aggiornamento delle condizioni di Sherlock, per poi andarsene di corsa e per arrivare al lavoro in tempo.

*****

Pochi minuti dopo che John se n'era andato, il DI Greg Lestrade e Sally Donovan varcarono le porte dell'ospedale e riuscirono a strappare il numero della stanza di Sherlock a un’indaffarata infermiera, che lanciò un rapido sguardo ai loro distintivi da poliziotti e indicò loro come raggiungerla.

Arrivarono nella stanza e trovarono Sherlock da solo, addormentato e troppo pallido per stare bene.

"È passato un po' di tempo dall'ultima volta in cui l'ho visto in condizioni così cattive, – commentò Lestrade a bassa voce – Lui sembra sempre invincibile."

Donovan si strinse nelle spalle: "Ho sempre pensato che non fosse soggetto a tutte le cose che accadono a noi mortali, – disse – Ma se può sposarsi, suppongo non sia impossibile che possa anche ammalarsi."

"Sposato, – borbottò Lestrade, incrociando le braccia e fissando Sherlock – E non ci ha nemmeno invitati, il maledetto segaiolo. Comunque, non dovrebbe avere un marito preoccupato incollato al suo fianco?"

Come a un segnale, la porta si aprì ed entrambi si voltarono, speranzosi e curiosi. Le loro aspettative furono deluse.

"Oh, è un po' presto per l'orario di visita, – esordì un'infermiera, chiaramente sorpresa di trovare qualcuno nella stanza. Guardò i loro distintivi – Uh, agenti. C'è qualche problema?"

"Cosa...? Oh, no, siamo solo venuti a trovare un collega, – ribatté Lestrade in tono allegro – Sa come siano i turni di lavoro e come non sia sempre possibile rispettare l'orario di visita. Ci siamo molto preoccupati, quando abbiamo saputo che era stato ricoverato in ospedale."

Lei annuì: "Oh sì, suo marito l'ha portato qui ieri sera. Un uomo dolce e caro, e molto angosciato. È stato seduto al suo fianco per tutta la notte. Beh, non posso biasimarlo. Con una febbre oltre i 42 gradi, chiunque sarebbe stato preoccupato."

"Sembra che se ne sia già andato," notò Lestrade, guardandosi intorno.

L'infermiera annuì, chiacchierando in modo spensierato mentre cambiava la flebo di Sherlock: "Oh sì, doveva andare a lavorare, credo. Dovete averlo mancato di poco. Comunque, ho delle cose da fare, quindi se voleste per favore scusarci... potete tornare più tardi."

E li cacciò fuori dalla porta prima che potessero protestare.

"Beh, è ancora vivo, – si consolò Donovan – Non sembrava che stesse troppo male, vero? Non sembrava nemmeno in terapia intensiva e tutto il resto. Pare che ci sia persino qualcuno che si prenda cura di lui."

Greg strascicò i piedi: "Sì. Immagino di sì. Solo... non ti sembra strano?"

"Che cosa?" chiese Donovan, svoltando lungo il corridoio verso l'ascensore.

"Tutto questo, – ribatté Lestrade, gesticolando verso la stanza di Sherlock – Finge la propria morte e torna dopo due anni, senza una parola di spiegazione, e poi mesi dopo ci fa scoprire per caso che è sposato? E John, con cui non parla da mesi, si presenta sulla scena di un crimine con lui e afferma di saperlo?"

"Forse è lui," suggerì Donovan sorridendo.

"Sally, per favore."

"Sì, sì, lo so. Quello che sto dicendo è che, se lui e Sherlock non si sono davvero parlati e prima di questo Sherlock era dio sa dove, lui si è sposato o mentre era via o prima ancora di partire. Non pensi che avrebbe dovuto accennare a quello ad un certo punto? O che John avrebbe parlato di un marito che si intrufolava nel loro piccolo appartamento?"

"Sì, probabilmente."

"Quindi, deve essere successo dopo la sua finta morte, – concluse Sally, scrollando le spalle – Sei solo ferito perché lui non ti ha invitato al matrimonio."

"E se anche fosse? – domandò Lestrade, piuttosto sulla difensiva – Lo conosco da otto anni, l'ho trascinato di persona fuori dalla fogna. In senso letterale."

"Forse non volevano fare un gran chiasso, – suggerì lei, la sua voce si addolcì – Sono sicura che per una volta non aveva intenzione di offenderti."

"Ah. Non ci ha nemmeno presentato il ragazzo, né ci ha detto il suo nome o altro. Nemmeno una dannata foto."

Sally sospirò: "Hai intenzione di lamentarti di questo per il resto della settimana?"

Lestrade ci pensò su: "Probabilmente sì."

*****

John tornò in ospedale dopo il lavoro, solo per vedere come stesse Sherlock, e fu contento di trovarlo sveglio.

Sherlock sembrò sorpreso e altrettanto contento di vederlo: "John. Che cosa ci fai qui?"

"Sono venuto a controllarti, – disse John con disinvoltura, riappropriandosi  della propria sedia – Ti ricordi come sei arrivato qui?"

Sherlock scosse la testa, con la fronte aggrottata, così John gli raccontò tutto.

"Non me lo ricordo affatto, – mormorò Sherlock – Non ricordo che fosse giovedì. Mi ricordo che avevi detto che saresti passato giovedì sera. Devo aver perso la cognizione del tempo."

Sembrava deluso dalla circostanza e John scrollò le spalle, non sentendosi troppo indulgente, mentre ricordava la propria perdita di memoria: "Sì, beh, una forte febbre può avere questo effetto. Eri incosciente quando ti ho trovato e non sono riuscito a trovare niente per abbassare la febbre. Mycroft è stato con te per ore."

Sherlock sbatté le palpebre: "Mycroft?"

"Sì, è arrivato in ospedale appena cinque minuti dopo di noi. È rimasto per quasi tre ore, ha guardato a malapena il suo telefono per tutto il tempo."

Sherlock si accigliò e distolse lo sguardo, giocherellando con il bordo della coperta mentre elaborava l’informazione.

"Immagino che stiate andando più d’accordo in questo periodo," disse John in tono dolce, sperando di non sembrare troppo invadente.

"Suppongo, – ammise Sherlock – È stato... molto coerente nel suo comportamento mentre ero… – si fermò e si schiarì la gola – È venuto a tirarmi fuori. Alla fine. È venuto per riportarmi a casa. Certo c'era un caso, ma mi piace pensare che non potesse…" si interruppe di nuovo.

E, oh, c'erano cose che non stava dicendo, John ne era sicuro. All'improvviso, voleva sapere, ma quando aprì la bocca per chiedere, la porta si aprì ed entrò una dottoressa più anziana dei due uomini.

"È ancora sveglio, signor Holmes! Molto bene! Ora le farò solo un rapido controllo, –disse in tono vivace – Pensa di riuscire a sedersi? E magari il suo amico potrebbe aspettare fuori?"

"Questo è mio marito, – ribatté Sherlock – E lui stesso è un medico."

"Ah. Beh, in questo caso, spero che mi lascerà proseguire con la visita, signore. So come possiamo diventare noi medici di professione quando i nostri cari sono malati. Mia moglie mi prende sempre in giro per questo motivo, ma le assicuro che sono davvero qualificata per fare il mio lavoro."

"Non mi è mai passato per la mente di dubitarne, – la rassicurò John – Mi siederò qui e farò finta di non esserci. Sherlock, sii collaborativo, per favore."

Sherlock gli fece una smorfia, ma si sforzò comunque di mettersi seduto e permise alla dottoressa di controllare i suoi riflessi facendogli brillare una luce negli occhi.

****

Si sedette dando le spalle a John in modo da non dover vedere la sua faccia mentre veniva strapazzato dal medico. Quando si era seduto era sembrata una buona idea, ma poi lei si era tolta lo stetoscopio dal collo e all'improvviso non lo era più.

"Sto solo controllandole il cuore e i polmoni. Non vogliamo che si intrufoli un'infezione, – disse, in un tono allegro quasi irritante. Beh, questo sarebbe finito molto presto – Potrebbe togliersi la t-shirt per me? O almeno spingerla in su."

L'ospedale non si era attrezzato con quei camici inconsistenti che sembravano essere un punto fermo nei programmi televisivi americani sugli ospedali e Sherlock ne era grato, anche se in questa occasione non avrebbe fatto la differenza. Con riluttanza, si alzò la maglietta sopra la testa e sentì la dottoressa aspirare l’aria fra i denti in modo profondo. Tutti i suoi muscoli si tesero.

Lei non disse una parola, tranne che per: "Potrebbe essere un po' freddo" e proseguì con il suo compito. E dietro di loro, sembrava che John non stesse respirando ed era silenzioso, silenzioso, silenzioso.

La dottoressa terminò in modo rapido, assicurando a entrambi che i polmoni e il cuore stavano bene, e Sherlock con gratitudine si rimise la maglietta.

John non disse una parola.

Non era così che Sherlock voleva che lo scoprisse. La possibilità che accadesse non gli era nemmeno passata per la mente. Se lo avesse fatto, avrebbe potuto chiedere a John di andare a cercare un distributore automatico e portargli uno spuntino o qualcosa del genere. Ora era troppo tardi.

Beh, non era mai stato uno che evitava una situazione scomoda. Sherlock prese fiato e si risistemò finché non fu di nuovo coricato.

John si sedette sulla sedia e lo fissò e lo sguardo che aveva sul viso... Sherlock abbassò gli occhi: "John..."

Non ci fu risposta e alzò di nuovo gli occhi per vedere una miriade di espressioni che gli tremolavano sul viso.

John si leccò le labbra e aprì la bocca: "C... – fece una pausa, si schiarì la gola, riprovò – Che cosa è successo."

Non riusciva nemmeno a ottenere abbastanza inflessione nella voce da renderla una domanda.

Sherlock tentò di parlare con leggerezza, ma non ci riuscì. Sentì la propria voce che si spezzava: "Ho scoperto che ai S-serbi non piace quando ti infiltri nelle loro organizzazioni criminali.”

Trascorsero diversi secondi in un terribile silenzio. Poi John saltò dalla sedia e iniziò a camminare su e giù accanto al letto: "Sherlock..."

"Che cosa vuoi che dica? – chiese piano – Te l'avevo detto, John. Beh, ci ho provato. Non è mai stato divertimenti e risatine."

"Avresti dovuto portarmi con te, - affermò John, mezzo arrabbiato e mezzo disperato – Avrei potuto…"

"Non avresti potuto fare niente, – lo interruppe Sherlock – Ti avrebbero ucciso e mi avrebbero costretto a guardare e poi avrebbero ucciso me per buona misura. Non credere che non ci abbia pensato. Non credere che non abbia escogitato sette modi diversi per farti uscire di nascosto dal paese e farti venire con me. L'ho fatto, John. Lo volevo. Ma volevo di più che tu rimanessi vivo."

Si fissarono l'un l'altro, John ai piedi del letto di Sherlock. Lui si tirò di nuovo faticosamente a sedere: "Ne è valsa la pena, – affermò con forza, anche se la sua voce si stava incrinando mentre diceva quelle parole – Ne è valsa la pena per tenerti in vita. Lo rifarei in un batter d'occhio."

Sostenne lo sguardo di John, desiderando di potergli ficcare le parole nel cervello e fargliele ricordare per sempre, fargli capire che cosa stesse davvero cercando di dire.

John scosse la testa: "Non c’è nulla che valga quello," dichiarò con voce roca, indicando Sherlock.

"La tua vita lo vale, – ribadì Sherlock – Non sminuirti, John. Non farlo mai. È solo un trasporto, ricordi? Posso vivere con un paio di cicatrici sulla schiena. Non potevo vivere sapendo che eri morto e che avevo avuto la possibilità di impedirlo e non l'avevo colta."

John aprì la bocca, probabilmente per protestare, e Sherlock insistette: "Guardami negli occhi e dimmi che non avresti fatto lo stesso, se i nostri ruoli fossero stati invertiti due anni fa. Se fosse stata in pericolo la mia vita invece della tua."

"Lo era! – John scattò – Era la tua vita. E sei morto. Pensavo che tu fossi morto, Sherlock. Due maledetti anni e poi torni e..."

Si interruppe e si coprì il viso con le mani: "Dio."

Ci fu un breve silenzio e Sherlock chiuse gli occhi, incapace di guardare John in quello stato. Dopo un minuto o due, sentì dei passi: John stava tornando alla sua sedia. Poteva o sedersi di nuovo o prendere la sua borsa e la giacca e andarsene.

Sherlock aspettò, sperando nella prima possibilità e aspettandosi la seconda.

Così, quando John fece due rapidi passi verso il letto, ebbe a malapena il tempo di aprire gli occhi prima che John si chinasse su di lui e lo abbracciasse con tutta la sua forza.

 

 

NdT

Finalmente stanno iniziando a parlare e John sta ponendosi le giuste domande, anche se farle a voce alta potrebbe procurargli qualche piccolo problema.

Grazie ad arcobaleno2014, garfield73, amy holmes_JW e T’Jill per le recensioni e grazie a chi stia leggendo e seguendo il racconto.

Piccola informazione di servizio: questo capitolo non è stato betato dalla mia bravissima Beta, T’Jill. Tutti gli errori sono solo miei.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Sweet Home Baker Street

Capitolo 8

John poté sentire Sherlock irrigidirsi per un lungo, terribile momento prima di abbandonarsi all’improvviso tra le sue braccia, esalando un sussulto di sorpresa mentre le sue mani si agitavano.

"John."

"Zitto," mormorò John tra i capelli dell’amico e lo strinse un po’ di più.

Dio, avrebbe potuto perderlo. Sherlock sarebbe potuto morire in missione e John non avrebbe mai saputo che aveva sempre avuto intenzione di tornare, non avrebbe mai saputo che Sherlock non avrebbe voluto andare via, che Sherlock lo aveva protetto. Non avrebbe mai saputo di averlo quasi riavuto indietro per miracolo.

Nonostante la rabbia che aveva provato per il tradimento subito, non era mai riuscito a fingere di non essere contento di sapere che Sherlock fosse vivo. Entusiasta, in realtà. Sopraffatto dalla gioia e in ogni caso incapace di gestire tale felicità insieme alla rabbia che provava per l'intera faccenda. E per tutto quel tempo, questo era ciò che Sherlock aveva sopportato. A John doveva essere permesso di abbracciarlo per questo, cavolo. Così lo fece.

Dopo un attimo di esitazione, le braccia di Sherlock si alzarono per ricambiare l'abbraccio, con le mani che si avventuravano con cautela sulla schiena di John come se non fossero sicure di essere le benvenute. John capì di non poterlo biasimare. Non dopo tutto quello che era successo tra loro.

Passò un momento, e un altro, e poi Sherlock si lasciò sfuggire un sospiro tremante e la sua presa si strinse intorno a John fino ad essere quasi dolorosa.

"John..."

"Sei vivo, – mormorò John – Sei vivo, sei vivo, sei vivo."

"Sì, – balbettò Sherlock contro il suo collo – Sì sì sì."

John non capì per quanto tempo si tennero stretti l'uno all'altro, quattro mesi in ritardo rispetto a quando avrebbero dovuto farlo.

Ma in quel momento non importava. Non importava perché alla fine si erano guardati negli occhi, comprendendosi di nuovo, finalmente. Dopo due anni e quattro interminabili mesi di separazione, loro erano infine ancora insieme. Null’altro aveva importanza.

Alla fine, John lasciò la presa e si alzò in piedi, allontanandosi con cautela dal letto. Le mani di Sherlock caddero inerti di colpo sul materasso, come se avessero perso tutta l'energia.

"Io, uh, probabilmente dovrei andare," disse John, sentendosi all’improvviso a disagio. Aveva la strana sensazione che non avrebbe dovuto abbracciare Sherlock, anche se era sposato con lui. O forse proprio per questo. Non avrebbe dovuto dare una sensazione così bella: "Non torno a casa da ieri. Mary sarà preoccupata."

Pensò di aver visto un lampo di delusione sul viso di Sherlock, ma era sparito troppo in fretta. Sherlock tirò su col naso: "Certo. Non possiamo permetterlo."

John si morse il labbro: "Riposati, va bene? Verrò a trovarti di nuovo domani e speriamo che ti lascino tornare a casa presto."

Sherlock annuì, guardando in cagnesco le coperte: "Bene. Non lasciare che la porta ti colpisca mentre esci."

La secchezza del tono fece alzare gli occhi al cielo a John: "Non c'è bisogno di usare quel tono con me. Ci vediamo domani."

Afferrò le sue cose e andò alla porta. Poco prima di uscire, pensò di aver sentito Sherlock dire: "Perché disturbarsi?".

*****

A Sherlock fu permesso di tornare a casa il giorno dopo il successivo, una volta che i dottori si furono convinti che la febbre non sarebbe tornata. Da parte sua, Sherlock era certo che lo avessero trattenuto più a lungo del necessario perché Mycroft era una terribile piattola ansiosa e aveva instillato in loro la paura di ciò che avrebbe potuto far loro.

Anthea, a un certo punto, aveva fatto una rapida apparizione e gli aveva portato un cambio di vestiti. Sherlock li indossò in modo piuttosto lento, sentendosi più esausto di quanto ricordasse di essere mai stato da lungo tempo. Infilò il pigiama nella borsa e si guardò intorno in cerca di altri suoi effetti personali, ma non trovò nulla. Il suo telefono, che gli aveva portato sempre Anthea, era già al sicuro nella tasca della giacca. Non vedeva l’orologio da nessuna parte, nemmeno nel cassetto del comodino dell'ospedale, il che significava che doveva averlo lasciato sul comodino a casa.

Abbassò lo sguardo sull’anulare vuoto, sentendosi preso un po' alla sprovvista nel vederlo nudo. L'anello doveva essere sul comodino insieme all’orologio. L'avrebbe indossato appena arrivato a casa e poi si sarebbe sentito di nuovo a posto.

Era mezzogiorno quando riuscì a trascinarsi fuori sulle proprie gambe. John aveva un turno alla clinica e così era solo quando salì sull’auto che Mycroft gli aveva mandato. Si accasciò sul sedile mentre il conducente chiudeva la portiera dietro di lui, allacciò la cintura di sicurezza e sonnecchiò per tutto il viaggio di ritorno a Baker Street, dove l'autista dovette scuotergli una spalla per svegliarlo.

"Grazie Rob," mormorò Sherlock, mentre l'uomo gli portava la borsa su per le scale.

"Non c’è di che, signore. Mi è stato detto di informarla che la signorina Anthea ha rifornito il frigorifero e che non deve accettare alcun lavoro per un paio di giorni."

Sherlock riuscì a rispondere con un vago mormorio. Il lavoro era l'ultima cosa che aveva in mente: "Può dire a mio fratello che dovrebbe prendere in considerazione una carriera come bambinaia a tempo pieno, – mormorò – Ho sentito dire che potrebbe perfino tenere il suo ombrello."

Rob riuscì in modo credibile nel tentativo di mascherare una risata con un colpo di tosse: "Lo riferirò di sicuro, signore. Arrivederci signore."

"Arrivederci," ricambiò Sherlock con uno sbadiglio da slogare la mascella e incespicò verso la camera da letto. Notò in modo vago che qualcuno aveva cambiato le lenzuola durante la sua assenza. Quando la sua testa si posò sul cuscino, stava già dormendo.

*****

Sherlock si svegliò diverse ore dopo, disorientato, ma leggermente più energico di quanto non fosse stato. Si mise a sedere e allungò un braccio verso il proprio orologio, che aveva un suo punto designato sul comodino. La mano toccò il legno nudo.

Il detective si accigliò e voltò la testa per guardare. Niente. Dove avrebbe dovuto esserci il suo orologio, non c’era nulla. Se lo era levato per fare un esperimento in cucina o per una doccia e lo aveva lasciato in bagno? Non riuscì a ricordare. L’assenza lo lasciò con un vago senso di disagio.

Andare in bagno gli sembrò comunque una buona idea, così si alzò, si recò al gabinetto e poi condusse una ricerca approfondita sul lavandino e nella zona doccia. Nessun orologio.

Ora, un po' preoccupato, si diresse in cucina. Sul tavolo non c’era nulla e le superfici di lavoro apparivano pulite in modo sospetto. Era chiaro che la versione di Anthea di "rifornire il frigorifero" doveva essere tradotta in "qualcuno è venuto a pulire l'intera cucina." Lanciò un'occhiata sotto il lavandino e scoprì che si era persino sbarazzata del promettente fungo che stava coltivando lì. Peccato.

Tuttavia, l’orologio non c’era. Controllò il soggiorno solo per essere sicuro e alla fine dovette arrendersi al fatto che il suo orologio da polso fosse sparito. Non era un grosso problema, davvero. L'orologio era funzionale e non troppo grande, con un design ottimo per il Lavoro.

Il vero problema, ovviamente, era che se aveva avuto addosso l'orologio quando l'avevano portato in ospedale, aveva indossato anche il suo anello.

Alla fine permise che il pensiero giungesse all’inevitabile conclusione: la sua fede nuziale era scomparsa.

Sherlock si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, fissandosi l’anulare vuoto.

“Bene, John. Immagino che non dovrai strapparmelo di dosso, dopotutto,” mormorò e sentì che la disperazione lo inghiottiva completamente.

*****

John arrivò a Baker Street quella sera dopo il suo turno: "Sherlock? Mycroft mi ha mandato un messaggio per dirmi che ti hanno dimesso. Come…"

Entrò e trovò Sherlock rannicchiato nella sua poltrona, le braccia avvolte intorno alle gambe e un'espressione di abissale infelicità sul viso: "Sherlock?"

La sua testa si alzò di scatto: "Oh. John. Scusa, non ti ho sentito entrare."

Perfino la sua voce sembrava svogliata.

John aggrottò la fronte: "Va tutto bene? Sembri un po'..." Agitò la mano impotente, cercando di indicare tutto Sherlock.

"Sono spariti, – mormorò Sherlock – Qualcuno deve avermeli tolti all'ospedale. E non me li ha restituiti o li ha persi o qualcuno li ha presi e così sono spariti."

"Di che cosa parli?" chiese John, confuso.

"Del mio orologio, – ribatté Sherlock – E del mio anello. Li hanno presi, John, e non me li hanno restituiti."

I suoi occhi erano spalancati e la sua espressione era completamente devastata.

John deglutì. Non si era reso conto che Sherlock fosse così attaccato a quegli oggetti. Beh, almeno poteva aiutarlo per quanto riguardava la loro ubicazione.

"Oh, è tutto qui? – si frugò nella tasca della giacca e tirò fuori la borsa con chiusura a zip – Ecco qui."

La porse a Sherlock, che fissò la borsa per un paio di secondi come se John avesse appena eseguito un trucco magico incomprensibile prima di strappargliela di mano e capovolgere il contenuto nella propria mano. Indossò con cura l'orologio e poi fece scivolare di nuovo l'anello al dito, fissandolo con un'espressione imperscrutabile: "Come hai fatto?"

"La borsa era sul comodino dell'ospedale, – spiegò John, sedendosi sulla sua poltrona – Ho pensato che non fosse molto sicuro: chiunque poteva entrare e prenderla ed è un orologio costoso anche se a prima vista non sembra. Quindi ho deciso di tenerlo al sicuro finché tu non fossi tornato a casa."

Sherlock lo guardò e poi abbassò lo sguardo sulla mano sinistra, facendosi roteare pigramente l'anello intorno al dito. "Grazie."

John scrollò le spalle: "È un bell'anello. Sarebbe stato un peccato che fosse andato perso. Dove l'hai preso?"

"Hm? Oh, da un gioielliere, – rispose Sherlock in modo distratto – Avevo bisogno di qualcosa che non si danneggiasse a causa del Lavoro. Il titanio sembrava l'opzione migliore."

John annuì a se stesso: "Un gioielliere" pensò. Probabilmente Garrard (dubitava che Sherlock si sarebbe preso la briga di mettere piede in un qualsiasi altro negozio a meno che non fosse per un caso) il che significava che quell'anello probabilmente valeva più della metà di tutto il contenuto dell’appartamento messo insieme. Ciò rendeva ancora più sconcertante perché Sherlock si fosse preso la briga di comprarlo in primo luogo.

Aprì la bocca per chiederglielo, ma Sherlock uscì dal suo stato d'animo contemplativo e disse: "Hai mangiato?"

John scosse la testa: "Uh, no. No, sono venuto qui direttamente dal lavoro. Hai davvero fame?"

"Questo è di solito il motivo per cui le persone fanno questa domanda, – affermò Sherlock, scrollando le spalle – Non ho voglia di uscire. Credo di non averne l'energia, davvero. Ma stavo pensando che potremmo ordinare?"

Sembrava allettante, in realtà. Una serata confortevole mangiando cibo da asporto davanti alla televisione con Sherlock? Quelle erano le notti preferite di John, prima.

"Certo, – ribatté – Di che cosa hai voglia?"

Stabilirono di prendere la cena da Angelo e mezz'ora dopo John guardò con gioia Sherlock che mangiava il cibo con gusto.

"Non capisco come gli ospedali riescano a rimuovere tutto il sapore reale dal cibo e sostituirlo con quello di un antisettico, – disse Sherlock tra un morso e l'altro – Questo scoraggerebbe chiunque dal mangiare, davvero."

John rise: "Lo dici a me. Però tu non hai mai provato le razioni dell'esercito in zona di guerra, altrimenti sapresti quanto sia veramente delizioso il cibo dell’ospedale."

Sherlock sbuffò: "Ti sfido a guardarmi negli occhi e a dirmi che quelle razioni non ti sono mancate per tutto il tempo in cui ti stavi riprendendo dalla ferita da arma da fuoco."

Aveva ragione, John dovette ammetterlo. Potendo scegliere, avrebbe preferito le razioni piuttosto che essere bloccato in ospedale tutto il giorno. Aprì la bocca per dirlo, ma vide dallo sguardo di Sherlock che lui aveva capito e seppe di non dover dire una parola.

Finirono il loro pasto in un silenzio confortevole, che si ravvivava solo per fare qualche occasionale commento su questo e quello e lasciando la TV accesa come sottofondo, prima con le notizie e le previsioni meteorologiche e poi (dopo avere fatto un po’ di zapping fra i canali) con un vero documentario sul crimine che aveva fatto alzare loro gli occhi al cielo diverse volte e aveva provocato una filippica di Sherlock di 10 minuti sulla corretta conservazione della scena del crimine da parte dei primi soccorritori.

Era stata una serata piacevole, tutto sommato, e John era dispiaciuto che dovesse finire. Però alla fine accadde perché doveva tornare a casa.

Dopo aver gettato i contenitori da asporto e aver ammucchiato i piatti nel lavandino per un veloce risciacquo, salutò e si diresse verso la porta. A metà strada verso la soglia si fermò, incapace di trattenere la domanda più a lungo.

"Sherlock?"

"Sì?"

"Perché ci siamo sposati?"

Sherlock si bloccò, la mano con il telecomando ancora tesa. Abbassò con cautela il braccio e si appoggiò indietro, lanciando a John una lunga occhiata, come se cercasse qualcosa sul suo viso.

Alla fine, sembrò aver trovato qualunque cosa cercasse. Si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo.

"Perché lo hai voluto."

John lo fissò e non vide nient'altro che cruda onestà sul suo viso. Annuì una volta: "Buona notte, Sherlock."

"Buona notte."

John si voltò e se ne andò e non si permise di pensare alla risposta di Sherlock finché non fu al sicuro a casa sua e di Mary.

 

 

 

NdT

Sono in ritardo, ma è ancora mercoledì. Chi pensa che in vacanza ci sia più tempo per fare le cose, ci ricreda. Io ero in ritardo e lo sono tutt’ora.

Per chi non lo sapesse, come me, Garrard & Co progetta e produce gioielli di lusso e in argento. La gioielleria è stata fondata nel 1735 e la sede centrale si trova in Albermarle Street a Mayfair – Londra. Giusto per inquadrare bene quello che pensa John e nel caso in cui qualcuno volesse farsi fare un anello in titanio. La cosa importante è che non addebitiate la spesa a me!

John inizia finalmente a porre le giuste domande alle giuste persone, però non è ancora pronto per le risposte. Per spezzare una piccola lancia in suo favore, John è un uomo di parola e ora è molto combattuto fra le promesse matrimoniali fatte a Sherlock (che però non ricorda minimamente) e la promessa di matrimonio fatta a Mary (che invece ricorda benissimo e che pesa come un macigno). Per John non è facile decidere con chi stare.

Sherlock, invece, lo sa benissimo.

Grazie a chi stia leggendo e segnando la storia.

Grazie a Himeko82, garfield73, arcobaleno 2014 e T’Jill per le recensioni.

Anche per questo capitolo tutti gli errori sono miei. Arrivo talmente in ritardo con la traduzione, che per aggiornare puntuale, non riesco a spedire il capitolo alla mia fantastica Beta.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

Sweet home Baker Street

Capitolo 9

'Perché ci siamo sposati? - Perché l'hai voluto.

Una domanda semplice. Una risposta semplice.

Continuavano a ripetersi nella testa di John, vorticando in allegri circoli come bambini in un girotondo.

Fissò nell'oscurità il soffitto della camera da letto di Mary e sua e cercò di dare un senso a quelle parole. Accanto a lui, Mary dormiva profondamente. Non aveva detto una parola sul suo rientro a casa in ritardo o sul suo annuncio che aveva già cenato con Sherlock. Aveva a malapena detto qualcosa, pensandoci bene. Non riusciva a ricordare se si fossero scambiati il bacio della buonanotte. Probabilmente no.

Perché lo hai voluto.

Come era stato possibile? Perché mai avrebbe voluto...? No, quella era la domanda sbagliata da porre. Il John Watson che era due anni e mezzo fa avrebbe di sicuro sposato Sherlock Holmes in un baleno. Dio, l'avrebbe fatto davvero. Non era poi così inverosimile, ora che ci rifletteva.

Era scattato qualcosa, fra loro due, e si erano incastrati l’uno all’altro come una di quelle collane dell’amicizia da quattro soldi che si potevano comprare ovunque. Sherlock era brillante, straordinario ed era molto divertente stargli intorno, aveva dato a John cento motivi per vivere e un centinaio in più per divertirsi a farlo. Lui rendeva tutto migliore con la sua semplice esistenza e lui aveva avuto, anche allora, paura di che cosa avrebbe voluto dire perdere Sherlock. Certo che lo avrebbe sposato, semplicemente per avere una qualche sicurezza che sarebbe riuscito a mantenere quel meraviglioso pazzo nella propria vita.

Naturalmente, alla fine, nemmeno un certificato di matrimonio era stato sufficiente per tenere Sherlock con lui, ma quella era un'altra storia.

La cosa davvero sorprendente di tutta questa rivelazione era che Sherlock aveva semplicemente accettato. John lo aveva voluto e Sherlock l'aveva fatto accadere, a quanto pareva si era legato a lui senza esitazione. John doveva ammettere che aveva difficoltà a credere a quella parte. Dopotutto, non aveva niente da offrire in cambio. Eppure... beh, Sherlock doveva avere ottenuto qualcosa dalla loro amicizia. Era stato disposto a morire per questo ed era stato molto irremovibile al riguardo in ospedale. John non avrebbe sminuito il suo sacrificio affermando che era ingiustificato.

Dio, le sue cicatrici.

John le aveva viste solo di sfuggita dietro alla dottoressa e al suo stetoscopio in ospedale, ma quello sguardo era stato sufficiente. Se Sherlock aveva affermato che era valsa la pena soffrire per questo, allora John lo avrebbe accettato.

Perché l'ho voluto. – pensò di nuovo – L'ho voluto e lui ha solo... accettato. Certo che l'ha fatto. Lui non è mai stato un tipo convenzionale, giusto? Facile accesso l’uno all’altro negli ospedali, prendere decisioni sulle cure mediche... ci sono tantissime ragioni per sposarsi da un punto di vista del tutto pratico. Certo che l'avrebbe fatto.’

E Mycroft, per qualche motivo, aveva permesso che accadesse.

John ricordò il suo primo incontro con il maggiore dei fratelli Holmes: ‘Dovremo aspettarci un lieto annuncio entro la fine della settimana?’ aveva chiesto. Beh, c’era voluto un po' di più di una settimana, ma alla fine l'aveva ottenuto, no? Mycroft aveva pianificato tutto questo sin dall'inizio? Lo sperava? Un guardiano per Sherlock, qualcuno legalmente obbligato a stargli accanto?

E questo a cosa li aveva portati ora, con John che chiedeva il divorzio? Non era come se volesse scappare da Sherlock (non più). Ma, beh, non avrebbe potuto sposare Mary se era già sposato con qualcun altro. Il governo disapprovava la poligamia.

Voltò la testa e guardò la sua fidanzata, addormentata accanto a lui che gli volgeva la schiena. Beh, se lo era davvero meritato. Doveva essere difficile per lei. Un momento stava chiedendo una licenza di matrimonio e quello successivo la sua intera vita era stata ribaltata da quel matrimonio di John finora sconosciuto. Forse avrebbe dovuto cercare di rimediare con lei in qualche modo. Portarla fuori a cena, dimenticare per un po’ tutta quella stupida faccenda.

John annuì a se stesso. Sì, poteva farlo. Una relazione aveva bisogno di un po' di lavoro, non poteva aspettarsi che andasse tutto a posto da solo e rimanesse tale dopo un così grande scossone. Avrebbe portato Mary fuori a cena e non avrebbe pensato a nulla relativo al matrimonio con Sherlock e si sarebbe concentrato invece solo su loro due. Forse avrebbe potuto attirarla pianificando la loro luna di miele, qualcosa cui non avevano ancora pensato molto.

Soddisfatto di se stesso, per il momento, John finalmente chiuse gli occhi e lasciò che il sonno lo accogliesse.

*****

Tenendo fede alla decisione cui era giunto la notte precedente, John prenotò per quella sera il ristorante preferito da lui e da Mary e la portò a fare shopping per trovare un bel vestito nuovo da indossare per l'occasione.

"Allora, di che cosa si tratta?" chiese lei mentre si aggiravano nel negozio ‘Mark and Spencer’.

John scrollò le spalle e le sorrise: "Mi sono reso conto di essere stato un po’ impegnato a causa di tutto ciò che è accaduto di recente. Ricostruire la mia amicizia con Sherlock, cercando di convincerlo a firmare i documenti del divorzio, prendermi cura di lui quando si è ammalato... non abbiamo avuto un solo giorno per noi due da un po’ e ho pensato che ti meritassi delle coccole. Considera tutto questo come un modo per scusarmi per quanto sia diventata pazza la nostra vita all'improvviso."

Lei ricambiò il sorriso timidamente: "Non voglio dire che sia stato facile, John. Sentire che eri sposato... beh, questo farebbe impazzire chiunque, suppongo. Mi ha aiutato un po' sapere che non ne eri a conoscenza, e che è stato del tutto involontario. È un po' come in quei romanzi romantici in cui le persone si svegliano sposate a Las Vegas."

John rise: "Sì, è un po' così, vero? Ma sono abbastanza contento della fidanzata che ho, grazie tante."

Il sorriso di lei si allargò di più: "Va bene, allora. Finché ne siamo coscienti entrambi."

Lei prese John sottobraccio e lo trascinò via: "Dai, controlliamo il reparto dell'abbigliamento formale. Non riesco a credere che tu sia riuscito a trovare un tavolo nel nostro ristorante preferito con un preavviso così breve."

"Sono solo stato fortunato, – disse John felice – Non me l'aspettavo, ma a quanto pare avevano appena avuto una cancellazione. Credo che sia meglio non guardare in bocca a caval donato in queste occasioni."

Era una filosofia che aveva adottato per affrontare la costante paranoia che una certa persona che occupava una posizione minore nel governo s'intromettesse nei suoi affari personali. Almeno questa volta John era abbastanza sicuro che Mycroft non avesse avuto assolutamente nulla a che fare con la disdetta della prenotazione.

Mary fu di ottimo umore per tutto il giorno e soddisfatta in modo evidente dell’attenzione ricevuta. Lui la guardò provare vestiti per due ore e alla fine pagò ciò che lei aveva scelto, un abito di un bel celeste che metteva in risalto i suoi occhi. Lasciarono il negozio a braccetto, tornarono a casa per riposarsi un po' e per cambiarsi e andarono al ristorante.

Trascorsero lì una serata davvero incantevole, parlando senza imbarazzo e in modo allegro di questo e di quello, discutendo per il momento di potenziali destinazioni per la luna di miele e soffermandosi sul dessert.

Tutto sommato, John era abbastanza certo che fosse stato il giorno più felice che lui e Mary avessero mai trascorso insieme.

*****

Sherlock non vide John nemmeno di sfuggita per un'intera settimana. Tentò di non permettere che ciò lo annientasse. Erano adulti e John aveva una vita tutta sua: un lavoro, un appartamento, una fidanzata... era ovvio che fosse troppo occupato per prendersi la briga di andare a trovarlo ogni giorno. Tuttavia, Sherlock non poteva fare a meno di preoccuparsi. Era sembrato che stessero facendo progressi.

Quell'abbraccio in ospedale era rimasto dentro di lui, come se il suo corpo non potesse lasciar andare il ricordo del calore di John e delle sue braccia forti che lo avvolgevano, tenendolo stretto.

La conversazione che avevano avuto in seguito e John che gli aveva restituito l'anello erano sembrati l'ennesimo segno che le cose stavano migliorando. Sapeva, o almeno sospettava, che John non fosse contento dell'esistenza dell’anello al dito di Sherlock. Ma quando aveva avuto la possibilità di farlo sparire, invece glielo aveva restituito. Di sicuro doveva significare qualcosa, giusto?

E quando John aveva finalmente posto la domanda che Sherlock stava aspettando, lui aveva risposto onestamente. Ma le domande successive, che aveva sperato lui facesse, non erano mai arrivate e invece John si era allontanato ancora una volta. Da allora non lo aveva più visto.

Voleva trascorrere del tempo con lui, voleva vedere John entrare dalla porta con un sorriso sul viso e quella luce negli occhi che era sempre stata lì prima.

Ma John non era venuto.

L'unica conclusione cui Sherlock poteva giungere era che John non fosse stato contento della sua risposta. O lui non gli aveva creduto o gli aveva creduto e non era sicuro di come affrontarlo. Significava che sarebbe tornato di nuovo con le carte del divorzio in mano e non gli avrebbe lasciato altra scelta che firmarle?

Il pensiero gli fece venire una leggera nausea.

Era abbastanza sicuro che non avrebbe perso John, almeno non dall’oggi al domani, ma lo avrebbe visto sempre meno. E naturalmente lo avrebbe perso in un certo senso. L’unica possibilità che gli era rimasta era concentrarsi solo su come tenere John lontano dalle grinfie di Mary.

Non era un pensiero gentile e Sherlock suppose che avrebbe dovuto sentirsi in colpa per questo, ma non ci riusciva. Era egoista, nel profondo, e per quanto volesse che John fosse felice, preferiva che fosse felice con lui piuttosto che con Mary.

Dopo tutto, che cosa poteva offrire Mary per rendere felice John? Oltre a riscaldare il suo letto, non sembrava che in lei ci fosse altro di attraente che Sherlock potesse dedurre. In base al miglior giudizio di Sherlock, lei era una noiosa, comune donna la cui idea di avventura era prendere un treno da Londra per andare alla scoperta della campagna durante il fine settimana. Il crimine non aveva alcun ruolo nella sua vita, né per risolverlo né per commetterlo, e Sherlock dubitava che anche piccoli brividi come il bungee jumping o il paracadutismo fossero qualcosa in cui si sarebbe impegnata volentieri. In che modo John si sarebbe mai divertito se questo fosse stato ciò che doveva affrontare a casa?

Era cambiato così tanto da quando lui se n'era andato? No, non poteva essere così. Uno come John aveva bisogno di avventura ed eccitazione e questo era stato evidente ogni volta che lui aveva accompagnato Sherlock nei casi negli ultimi giorni. John era tornato in vita quando avevano dato la caccia ai criminali nei vicoli bui e sui tetti di Londra.

Allora perché avrebbe dovuto tornare da Mary più e più volte e insistere per lasciarsi Sherlock alle spalle?

Non aveva alcun senso. Niente di tutto ciò aveva senso e Sherlock aveva troppa paura per chiedere, troppa paura di quale avrebbe potuto essere la risposta.

Troppa paura per mostrare le sue carte ed essere respinto per sempre.

Per ora almeno aveva la compagnia di John, ma se John avesse mai capito quanto significasse per lui, quanto Sherlock avesse bisogno di lui, tutto ciò che avevano ricostruito con così grande fatica poteva essergli strappato via in un colpo solo. Non poteva rischiare.

E così Sherlock si rassegnò ad aspettare, prendendo tempo nella speranza che qualcosa potesse cambiare e dare un senso a tutto quel pasticcio.

Non fu facile.

Si dimenticò di nuovo di mangiare e sapeva che la signora Hudson era preoccupata. Lei iniziò a lasciargli zuppe e stufati e panini nell'appartamento e quando tornava li trovava intatti.

Lui non dormiva nemmeno bene, troppo perso nella propria mente e nel continuo alternarsi di dubbi e speranze che giravano e giravano nella sua testa.

E ancora John non scrisse, chiamò o andò a trovarlo.

Sherlock aveva troppa paura per tendere la mano, temendo che John gli avrebbe detto "No". C'era un limite a quanto poteva sopportare.

Invece tormentò Lestrade per i casi e tentò di perdersi nel lavoro, risolvendo tutti quei piccoli problemi che il DI gli presentò. Non lo tennero occupato per molto tempo, ma almeno gli fornirono un diversivo sufficiente per tenere lontano dalla mente il pensiero della cocaina. Quello era il meglio che potesse sperare per il momento. Era il meglio che anche tutti gli altri potessero sperare.

La sua unica benedizione, fino a quel momento, era che Mycroft non aveva cercato d'interferire o, se lo aveva fatto, era stato così sottile che Sherlock non se n'era accorto, il che si riduceva alla stessa cosa.

 

 

NdT

Sono di nuovo in ritardo, ma anche stavolta è ancora mercoledì. La settimana prossima tornerò al lavoro. Chissà che io non riesca a recuperare il ritardo. Sarebbe assurdo, lo so, ma non si sa mai.

Mi aspetto una valanga di disapprovazione per il mio caro John e una miriade di coccole e parole dolci per Sherlock. Come darvi torto alla vista di ciò che accade in questo capitolo? John sembra senza cuore, nei confronti di Sherlock e interessato solo a rendere felice Mary.

Io credo che lo strano comportamento di John sia spiegato in questa singola frase: “Naturalmente, alla fine, nemmeno un certificato di matrimonio era stato sufficiente per tenere Sherlock con lui, ma quella era un'altra storia.”

Grazie a chi stia leggendo e segnando la storia. Grazie a Himeko82, garfield73, arcobaleno 2014 e amy holmes_JW per le recensioni allo scorso capitolo.

Anche in questo capitolo tutti gli errori sono miei, ma se li vedrete corretti, sarà per merito della mia fantastica Beta, T’Jill.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

Sweet home Baker Street

Capitolo 10

Due giorni dopo, Lestrade ne aveva avuto abbastanza.

"Hai un aspetto davvero orrendo, – disse al suo unico e solo consultante investigativo, mentre guardavano Donovan che faceva salire con attenzione il loro ultimo bottino nel retro di un'auto della polizia – Quando è stata l'ultima volta che hai dormito un po'?"

"Non lo so. Potrei aver dormito più o meno per un'ora ieri?"

"Risposta sbagliata. – dichiarò il DI – E riguardo al cibo? Hai mangiato? Potresti tagliare qualcuno con quei tuoi zigomi affilati."

"Solo se mi schiaffeggiano. – ribatté Sherlock – In tal caso sono un meccanismo di difesa perfettamente funzionale."

"Di nuovo risposta sbagliata. Andiamo, ti porto a cena."

Afferrò Sherlock per un braccio, fece un cenno a Donovan e riuscì a comunicare con un qualche piccolo gesto che avrebbe portato il loro geniale ospite al più vicino pub. Lei rispose con un pollice in alto e ricambiò il saluto.

"Non puoi andartene, – cercò di protestare Sherlock, perfino mentre si lasciava trascinare via – Ci sono le scartoffie."

"Domani saranno ancora lì, – disse Lestrade – Ho fatto gli straordinari, il mio turno è terminato. E comunque non te ne importa niente delle scartoffie. Ora stai zitto e lascia che qualcuno si prenda cura di te per una volta, per l'amor del cielo."

Sherlock non disse un'altra parola finché non furono arrivati al pub e non trovarono un angolo tranquillo nel retro, lontano dai pochi clienti. Stavano suonando della musica, ma con così poche persone ad ascoltarla, per fortuna era tranquillo e potevano parlare a bassa voce, senza doversi sforzare per sentirsi l’un l’altro.

Greg prese una pinta per sé e un sidro per Sherlock, perché poteva non essere un genio, ma prestava attenzione alle persone. Si sedette e mise il menu davanti al viso di Sherlock: "Ecco, scegli qualcosa. Ti è consentito un antipasto o un dessert solo se prendi anche un piatto principale."

Sherlock tentò di guardarlo torvo, ma era davvero troppo stanco e finì per assomigliare più a un gattino infangato che a qualcosa di veramente minaccioso. Il Signore sapeva che avrebbe potuto essere spaventoso, se avesse voluto, addirittura terrificante. In quei giorni, minacciava solo di svenire sul colpo.

Alla fine ordinò un'enorme patata al cartoccio con fagioli, che Lestrade considerò una vittoria.

"Bene, – esordì non appena Sherlock tornò dal bar e gli restituì la carta di credito – Adesso dimmi che cosa sta succedendo."

"Non sta succedendo niente," mentì Sherlock.

Lestrade inarcò un sopracciglio: "Davvero? Allora perché ha l’aria di un cadavere? Non dormi, devo usare la forza per alimentarti e francamente mi sembri qualcuno cui abbiano appena investito il cane."

"Io non ho un ca…"

"Cristo, è solo un modo di dire, – lo interruppe Lestrade – Ascolta, potrò non essere brillante come te, ma io so dire quando qualcosa non va. Non sei stato bene da quando sei tornato da ovunque diavolo tu sia stato in questi due anni, ma ora sta peggiorando. Avevo sperato che il tuo sfuggente marito potesse migliorare le cose, ma comincio a pensare che il problema qui sia lui."

Notò come Sherlock si era irrigidito alla parola 'marito' e il suo stomaco si rivoltò.

Ammorbidì la voce: "Sherlock... ti sta... ti sta trattando bene, vero? Tu, uh, lo sai che se lui facesse mai qualcosa che ti ferisse, puoi semplicemente andartene, giusto? Hai degli amici. Se lui è in qualche modo… – esitò, non volendo dire 'abusante'. La gente tendeva a rifuggire la parola, perché questo genere di cose succedeva solo alle altre persone.

Sherlock sbatté le palpebre e aggrottò la fronte "Tu... pensi che mio marito sia abusante," disse in modo lento.

"Avrei dovuto sapere che non ci avrebbe girato intorno" pensò Lestrade. "Beh, sì. Che altro vuoi aspettarti che pensi? Un marito misterioso che nessuno di noi ha mai visto, non vuoi dirci il suo nome, non vuoi mostrarci una foto, non vuoi dirci altro che lui esiste e ora eccoti qui, con l'aspetto di uno che in realtà non ha un marito premuroso che si prende cura di lui. Con il mio tipo di lavoro, certo che presumo che il problema sia tuo marito."

Sherlock scosse la testa: "No, no, lui... non lo farebbe mai. – Si fermò, esalò un respiro tremante – Non lo farebbe mai."

Nel profondo, Lestrade pensò che fosse una bugia, ma quasi certamente una che Sherlock diceva a se stesso. Nessuno voleva credere che il proprio partner fosse capace di matrattamenti, eppure accadeva troppo spesso. Il Signore sapeva che aveva visto la sua giusta parte di risultati.

Prima che potesse interrogare Sherlock più a fondo, arrivò il cibo: "Dacci dentro, –disse Lestrade – Il resto può aspettare un po’, ma sembra che tu stia per svenire."

Per una volta, Sherlock fece come gli era stato detto. Non gli ci volle molto per spazzolare la maggior parte del proprio piatto e Lestrade lo osservò con un curioso miscuglio di soddisfazione e crescente preoccupazione. Sherlock era un tipo schizzinoso, lo sapeva da anni di osservazione. Di solito non ci dava dentro a meno che non avesse raggiunto un punto in cui il corpo aveva avuto la meglio su quel suo grande cervello.

Alla fine, aveva raccattato l'ultimo dei fagioli e anche ripulito il resto della salsa con un pezzo di pane e sembrava un po' meno morto rispetto a venti minuti prima.

"Non era poi così male adesso, vero? – chiese Lestrade, cercando di sembrare più allegro di quanto si sentisse – Adesso dimmi… se mi sbaglio e sei così tanto felice nel tuo matrimonio, che cosa sta succedendo?"

"Non felice," ribatté Sherlock a bassa voce, fissando il piatto.

Lestrade sbatté le palpebre: "Che cosa? Hai appena detto..."

"Ho detto che lui non era abusante. Non ho detto che io ero felice," precisò Sherlock, il che non chiarì molto le cose.

"Allora cosa...?"

Ma Sherlock scosse la testa e rimase in silenzio, fissando il tavolo con lo sguardo di qualcuno che stesse lottando per trovare le parole per qualcosa con cui non aveva alcuna esperienza. Lestrade decise di lascialo stare.

Arrivò un barista e portò via i piatti e loro restarono ancora seduti in silenzio. Il DI bevve un sorso di birra. Sherlock avrebbe parlato quando fosse stato pronto.

Lestrade era oltre la metà della sua pinta e stava valutando se fosse il caso di ordinarne un’altra o per quella sera fermarsi ad una, quando Sherlock parlò.

"Lo sto perdendo."

"Scusa?"

"Lo sto perdendo, – ripeté Sherlock – Me lo sento scivolare tra le dita, sempre più distante, e non c'è niente che io possa fare per trattenerlo."

Lestrade sbatté le palpebre, osservando l'espressione di Sherlock. Sembrava... perso. Perso e triste, che era il modo più vulnerabile in cui Lestrade lo avesse mai visto. Anche sotto l’effetto di qualche sostanza o in astinenza rimaneva sempre ferocemente ostinato e contrario. Adesso non c'era più niente di quello in lui.

"Sherlock, questo è... non so cosa dire."

"Non c’è niente che tu possa dire, – Sherlock scrollò le spalle – Niente che tu possa fare, anche. Nemmeno tu hai i migliori precedenti con i matrimoni."

Non lo aveva detto in modo pungente e aveva ragione, quindi Lestrade scelse di non commentare: "Ho ottenuto anche un po' di esperienza nel cercare di far funzionare le cose," disse invece.

"Mph."

Rimasero di nuovo in silenzio per un po', ma questo era stato il massimo che avesse mai sentito dire a Sherlock riguardo al suo elusivo marito (o riguardo a qualsiasi altra cosa relativa alla sua vita privata) ed era curioso.

"Allora che cosa ti fa pensare che si stia allontanando? Forse sta pianificando una sorpresa, cercando di tenertela nascosta? Dio sa quanto sia difficile nasconderti qualsiasi cosa."

Sherlock scosse la testa, gli angoli della bocca si piegarono ancora più in basso. Sembrava un cucciolo preso a calci e ciò ferì Lestrade da qualche parte nel profondo dell'anima. Dio sapeva che Sherlock Holmes non fosse un uomo facile da conoscere, ma di sicuro non meritava di sentirsi così, in una delle rare occasioni in cui si era abbassato a provare qualcosa in primo luogo.

"Sta spingendo per il divorzio."

"Oh. – Greg si appoggiò allo schienale. Era stato piuttosto inaspettato – Ha detto perché? Hai fatto qualcosa? Ha lasciato degli esperimenti nella vasca da bagno o altro?"

Sherlock scosse la testa: "Di quello non gliene è mai importato. No, lui... vuole sposare qualcun altro." Voltò la testa verso il muro, sbattendo in fretta le palpebre. Lestrade sentì un bisogno improvviso e intenso di trovare suo marito e inculcargli un po' di buon senso.

"Mi dispiace, amico, – mormorò – Questo è duro."

Sherlock sospirò: "Il fatto è che... non credo che lo voglia davvero. Dice di sì, ma penso che lo voglia fare perché crede di doverlo fare, non perché lo desidera sul serio. Quindi mi sono tirato indietro."

"Ti sei tirato indietro? – fece eco Lestrade – Come fai... a tirarti indietro riguardo a questo?"

"Mi sono rifiutato di firmare i documenti. – A suo merito, sembrava sentirsi in colpa per questo – Speravo che, se avesse dovuto frequentarmi di più, si sarebbe accorto di avere già tutto ciò che poteva desiderare."

“Vorrei che funzionasse così, – mormorò Greg – Dovrai lasciarlo andare alla fine, Sherlock. È chiaro che non sta funzionando. Vuoi davvero stare con qualcuno che vorrebbe essere altrove? Questo non è giusto per nessuno dei due. E comunque, pensavo che ti amasse? Certo suonava così, quando ho parlato con la tua infermiera."

Sherlock sbatté le palpebre: "Quale infermiera?"

"In ospedale, quando ci hai spaventato tutti l'altra settimana. Ha detto che tuo marito aveva appena lasciato il tuo fianco, che era restato sveglio tutta la notte accanto al letto per farti compagnia. Ha detto che era molto preoccupato."

Un'emozione indescrivibile balenò sul viso di Sherlock a quella notizia, qualcosa di simile alla speranza, che veniva rapidamente schiacciata. Le sue spalle si abbassarono e dopo un altro momento il detective si ricompose in modo visibile: "Non cambia niente. Non mi odia, Lestrade. Semplicemente... non vuole essere sposato con me."

"Mi chiedo perché ti abbia sposato in primo luogo, – ribattè Lestrade – Voglio dire, non fraintendermi, ma non sei davvero la prima scelta di molte persone, giusto? Quindi deve aver visto qualcosa in te per fargli desiderare di fare quel passo, giusto? Ed è chiaro che tu abbia provato lo stesso, se hai accettato di farlo. Non riesco davvero a vederti mentre fai la proposta a qualcuno, ad essere sincero."

"No, – concordò Sherlock – Nemmeno io. È stata tutta una sua idea, in realtà. L'ha suggerito, un giorno all’improvviso."

"Ma tu lo volevi," sondò Lestrade in modo gentile.

Alla fine Sherlock incontrò il suo sguardo con assoluta onestà: "Più di qualsiasi altra cosa."

E non importò quanto Lestrade si sforzasse, non riuscì a ottenere un'altra parola sull'argomento.

*****

Parlare con Lestrade era stato liberatorio in modo bizzarro, se non altro perché Sherlock aveva bisogno di un orecchio amico. Il DI era molte cose ed essere un buon ascoltatore era con sorpresa in cima alla lista. Di fatto non lo aveva aiutato in modo misurabile e di certo non aveva cambiato nulla della sua situazione, ma Sherlock si sentiva ancora un po' più leggero. Forse c'era qualcosa in questo condividere le esperienze, dopotutto.

Era riuscito a dormire davvero tutta la notte successiva, anche se sarebbe potuto essere per la piacevole sonnolenza indotta dal primo pasto completo di quella settimana.

Per la prima volta dalla visita di John, Sherlock sentì di poter affrontare di nuovo il mondo. Guardando indietro, poteva ammettere di essersi lasciato un po' andare dall'ultima volta che John se n'era andato. Ma chi avrebbe potuto biasimarlo?

John aveva finalmente chiesto il perché e, quando Sherlock aveva risposto, se ne era soltanto andato, senza dare alcuna indicazione se sarebbe tornato o che cosa pensava della sua risposta. Quando avrebbe finalmente chiesto che cosa fosse successo? La risposta di Sherlock era stata sufficiente per farglielo capire? Era per questo che da allora John non l'aveva più contattato?

Sherlock si girò l'anello intorno al dito, chiedendosi quanto tempo gli fosse rimasto prima che John gli chiedesse di firmare infine i documenti e di toglierlo per sempre. Beh, se John voleva che lui si levasse quell’anello, avrebbe dovuto toglierglielo lui stesso dal dito e Sherlock lo avrebbe combattuto fino alla fine.

Rabbrividì e cercò di allontanare il pensiero. John non gli avrebbe mai fatto questo. Erano amici.

Come a un segnale, sentì il rumore della porta d'ingresso che si apriva, seguito da quello dagli inconfondibili passi di John sulle scale. Sherlock si raddrizzò e cercò di fingere di non essere preoccupato. Ma poi John fece irruzione nella stanza, un po' senza fiato e sorridendo e Sherlock si rilassò.

"Ehi, – esordì John in tono allegro – Speravo che fossi qui. Ascolta, Mary è andata a trovare alcuni dei suoi amici per il fine settimana e ho visto questo annuncio sulla metropolitana. Il Museo della Scienza ha allestito una nuova mostra e ho pensato che potremmo vederla. Vuoi venire?"

Sherlock sbatté le palpebre. Non era quello che si era aspettato e gli ci volle un momento per il cambio marcia mentale: "Io… sì, certo, John."

John gli sorrise raggiante: "Grande."

Si fermò, grattandosi la nuca e sembrando piuttosto dispiaciuto: “Scusa se non mi sono fatto sentire questa settimana. Cercherò di mandare più messaggi… è solo che sono stato molto impegnato in clinica."

Sembrava tormentato e ora che Sherlock si prendeva il tempo per guardarlo davvero, poteva vedere i segni dello stress e dei lunghi turni in clinica. John stava dicendo la verità.

Sherlock si rilassò un po' di più e gli sorrise in risposta: "Va tutto bene, John. Non mi devi delle spiegazioni."

Riuscì persino a trattenere l'amarezza dalla voce e si alzò prima che potesse sfuggirgli qualcosa: "Fammi vestire e possiamo andare."

Scomparve nella propria camera da letto e si cambiò il più in fretta possibile, sentendosi non poco eccitato all'idea di poter alfine passare un po' di tempo da solo con John. Beh, fuori in pubblico, ma comunque. Avrebbe potuto quasi essere considerato un appuntamento.

Scuotendo la testa, Sherlock represse il pensiero. No. Non sarebbe andato su quella strada. John aveva a malapena cominciato a parlargli di nuovo e non dava segno di voler voltare le spalle alla strada su cui stava sfrecciando, quella che si allontanava sempre di più da Sherlock stesso.

Sapeva che oggi avrebbe dovuto procedere con cautela. Non poteva stare troppo vicino o dire la cosa sbagliata o anche dare l'impressione sbagliata (o meglio: giusta). Se qualcuno avesse fatto un commento e li avesse scambiati per per una coppia, sapeva che John avrebbe negato con veemenza l'ipotesi e poi si sarebbe rintanato così in fondo nel suo guscio che ci sarebbero volute settimane per tirarlo fuori di nuovo. E Sherlock sapeva di non avere settimane.

Non si erano dati una data di scadenza, forse in modo consapevole. Nessuno dei due voleva mettere ulteriore pressione sulla loro amicizia. Lo sforzo era già troppo per loro da sopportare con facilità. L'ultima cosa che entrambi volevano era stabilire una tabella di marcia. ‘Entro martedì della prossima settimana dobbiamo essere di nuovo amici. Due settimane dopo dovremmo poterci definire a vicenda di nuovo il nostro migliore amico senza dover mentire. E poi Sherlock firmerà i documenti del divorzio.'

Sherlock rabbrividì. Anche questa ridicola sequenza temporale immaginaria non conteneva alcun punto etichettato come ‘qui è dove Sherlock si rifiuta di firmare di nuovo e John perde la pazienza e alla fine chiede di sapere il vero motivo di tutto ciò.'

Il solo pensiero lo fece sentire un po' male e fuggì in bagno per guadagnare un'altra manciata di minuti, così da potersi rimettere in sesto prima di dover affrontare di nuovo John.

Quando finalmente tornò in salotto, John stava solo esaminando Billy sulla mensola con quella che Sherlock pensava fosse un'espressione un po' malinconica. Tuttavia si voltò quando lo sentì entrare e gli sorrise, il che allontanò subito l’ansia da Sherlock.

Si ritrovò a ricambiare esitante il sorriso : "Pronto?"

"Pronto," disse John e si diressero insieme verso le scale.

Sembrava come ai vecchi tempi, quando si precipitavano insieme al piano di sotto per fermare un taxi e scivolare sul sedile posteriore, deliziati dalla reciproca compagnia. Il viaggio in taxi verso il museo fu troppo veloce e presto uscirono e si unirono alla fila di persone desiderose di entrare alla mostra.

"Brulicante di turisti, ovvio, – sospirò John – Ma ho pensato che sarebbe stato più facile entrare durante la settimana che nel weekend, quando avremmo anche metà di Londra e un po' di gente dalla campagna circostante che vogliono istruire i propri figli."

"Va tutto bene, – disse Sherlock, scrollando le spalle – La coda si sta muovendo in fretta, a questo ritmo saremo dentro in meno di dieci minuti."

Ce la fecero in sette, con sua compiaciuta sorpresa.

"Non c'è bisogno di comprare un biglietto, – affermò Sherlock con noncuranza – Ho un abbonamento. E mi permette di fare entrare un ospite alle mostre."

John sembrava sorpreso. "Davvero?"

"Ovvio, oggigiorno è una clausola standard nella maggior parte degli abbonamenti che..."

Ma John stava scuotendo la testa: "No, volevo dire... hai un abbonamento?"

Sherlock aggrottò la fronte: "Certo, John. È il Museo di Storia Naturale e della Scienza. Certo che ho un abbonamento. Trascorrevo ore qui."

"Non l'hai mai detto."

Sherlock alzò le spalle: "Non è mai venuto fuori. Ma sì, ho un abbonamento da circa un decennio. Penso che i miei genitori me lo abbiano regalato una volta e dopo io ho continuato a rinnovarlo. Dobbiamo sostenere ovunque possiamo gli ultimi bastioni di conoscenza accessibile. Dio sa che i media e Internet stanno facendo del loro meglio per abbassare il QI della gente, il minimo che possiamo fare è assicurarci che i musei e le biblioteche rimangano aperti in modo che le persone possano istruirsi almeno un po'."

John rise e passarono una buona mezz'ora a raccontarsi dei musei che frequentavano da bambini. Sherlock fece piegare John in due dalle risate con una storia di come si era fatto rinchiudere apposta nella British Library e poi si era lamentato di essere stato trovato la mattina, quando lui non aveva ancora finito con il suo libro.

"La mamma era mortificata, certo, ma anche piuttosto orgogliosa, considerando la mia scelta del materiale da leggere. Era un trattato sulla matematica antica."

"Certo che lo era," disse John, sogghignando.

Vagarono per la mostra, fermandosi a tutto ciò che sembrava interessante e attirando l'attenzione reciproca sui nomi scientifici ridicoli. Una volta che lasciarono la mostra ed entrarono nel museo principale, Sherlock, decidendo che dovesse essere consentito scherzare un po', trascinò John alla sezione minerali.

"Se vuoi divertirti con i nomi scientifici, – affermò – controlla insetti e rocce."

Tirò avanti John finché non trovò l'unico oggetto che stava cercando e lo fece girare verso la vetrina: "Ti sfido a battere quello."

John impiegò un momento per identificare quale delle rocce in mostra intendeva Sherlock e poi iniziò a ridere: "Cummingtonite? – ansimò – Davvero?"

Sherlock sorrise: "Pensavo che l'avresti apprezzato."

John stava ridacchiando, quella risatina acuta che faceva la sua comparsa solo quando avevano fatto qualcosa di estremamente ridicolo. Il cuore di Sherlock sussultò. Era la prima volta da anni e anni che sentiva quel suono e lo lasciò stordito.

"Adagio," ricordò a se stesso e affidò alla memoria la vista e il suono di John perfino mentre si univa alla sua risata.

"Andiamo, – disse infine John – Ora voglio controllare gli insetti perché sono del tutto sicuro che non riuscirò a trovare una roccia più divertente."

Sherlock fece un sorrisetto, accettando la propria momentanea vittoria nel gioco dei nomi: "Fai strada.”

 

NdT

Piccoli passi avanti. E i malintesi fanno sempre danni.

Grazie a chi stia leggendo e commentando.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

Baker Street, dolce casa

Capitolo 11

John doveva ammettere che andare al museo con Sherlock era stata un'idea un po' istintiva, ma una che aveva dato i suoi frutti. Il viso del suo amico si era illuminato al suggerimento ed era rimasto così durante la loro intera gita. Non aveva visto Sherlock così felice e spensierato da... beh, da prima che lui morisse.

Avevano cercato tra gli insetti nomi altrettanto divertenti e ne avevano trovati diversi, ma niente poteva competere con la suprema ilarità di Sherlock Holmes che gli mostrava una roccia chiamata 'Cummingtonite'. Non era affatto il solito tipo di umorismo di Sherlock, il che lo rendeva ancora più divertente agli occhi di John.

E nel frattempo, Sherlock aveva riso, parlato e sorriso più di quanto John lo avesse mai visto. Gli aveva ricordato il loro primo caso insieme e il suo post sul blog sulla sua prima impressione di Sherlock. ‘Era affascinante.’

Lo era ancora, illuminato dall'interno dalla gioia per la loro uscita, fornendo ulteriori informazioni sulla maggior parte dei pezzi esposti e ridendo così forte che dovette sedersi quando John gli raccontò di una gita scolastica al museo che si era conclusa con lui che aveva fatto scattare per errore l'allarme antincendio e provocato l’evacuazione dell'intero edificio.

Solo guardarlo in quel modo rendeva John automaticamente felice e non riusciva a ricordare quando fosse stata l'ultima volta che aveva trascorso una giornata così piacevole.

Cenarono fuori dopo il museo, in un piccolo ristorante vietnamita che avevano scoperto durante uno dei loro casi e in cui non erano andati da un po'. Il cibo era delizioso come John ricordava ed era contento di vedere Sherlock mangiare davvero dando prova di godersi il pasto.

Prima che se ne rendesse conto, il sole era tramontato e si stava facendo tardi. Tornarono a Baker Street e si fermarono davanti alla porta di casa, non ancora del tutto disposti a mettere fine alla giornata. John si sentiva in modo ridicolo come un adolescente ad un appuntamento con la sua prima cotta.

Sherlock si morse il labbro e la mossa lo fece sembrare come se non avesse più di quindici anni: "Vuoi venire su? Prendiamo una tazza di tè, guardiamo un po' di tv spazzatura?”

John esitò. Dio, lo voleva. Lo voleva sul serio. Amava guardare la tv spazzatura con Sherlock. Ma erano già quasi le nove di sera.

"Non posso – disse con rammarico – Si sta facendo tardi e devo tornare a casa. Domani devo lavorare. – E poi si ricordò della sua fidanzata – E Mary sarà preoccupata, naturalmente."

"Certo," ribatté Sherlock, in un tono un po' più freddo. All'improvviso, l'atmosfera amichevole tra di loro sembrava essersi trasformata in qualcosa di imbarazzante e scomodo.

"Bene, allora è meglio che tu vada – ribadí Sherlock, voltandosi verso la porta – Mi mandi un messaggio quando arrivi a casa?"

"Sì, certo, – mormorò John, colto alla sprovvista dal brusco cambiamento di umore di Sherlock – Ehi, sono stato benissimo oggi, va bene? E spero che potremo farlo di nuovo, presto."

Sherlock si ammorbidì visibilmente: "Ogni volta che vuoi, John. Basta solo che lo dici. Buona notte."

"Buonanotte," mormorò John e guardò Sherlock scomparire all'interno. Sospirando, si voltò e iniziò a camminare verso la metropolitana.

Non poté fare a meno di fermarsi di nuovo, però, e voltarsi ancora una volta verso quella casa familiare. Nel profondo, non voleva andarsene. Questa era casa, era sempre stata casa, e ogni parte di lui gridava contro la decisione di allontanarsi da lì.

Le finestre al piano di sopra erano ancora buie: Sherlock non si era preso la briga di accendere una luce? Forse John avrebbe dovuto tornare indietro, controllare se stava bene, assicurarsi che quel pazzo bastardo non fosse caduto dalle scale al buio.

Non essere sciocco, Watson.’ Scosse la testa e si voltò risolutamente verso la stazione di Baker Street. Sherlock sarebbe stato bene.

Una volta che fu sulla metropolitana e diretto verso casa, John si concesse di rilassarsi e ripensare alla giornata. Tutto sommato era andata abbastanza bene. Si erano divertiti molto e avevano condiviso un buon pasto e fino a quando erano arrivati davanti alla porta, tutto era stato perfetto. ‘Almeno finché non ci siamo ricordati che non vivo più lì,’ pensò John e poi si sentì immediatamente in colpa per questo.

Mary – ricordò in modo severo a se stesso – Vado a casa da Mary, il posto a cui appartengo.’

Ma il dolore profondo nel petto non si attenuò nemmeno un po’.

*****

Sherlock chiuse la porta d'ingresso dietro di sé e vi si accasciò contro. Sollevò una mano tremante al viso e non fu affatto sorpreso quando lo trovò leggermente sudato. Un respiro tremante e un altro e un altro.

Respira – ricordò a se stesso – Respira.'

Ma non ci riusciva. Il petto era troppo stretto e sembrava che tutta l'aria fosse stata risucchiata fuori dal corridoio e che non ci fosse abbastanza ossigeno e prima che se ne rendesse conto il mondo gli stava girando intorno, macchie nere gli danzavano davanti agli occhi e le gambe si rifiutavano di sostenere il suo peso.

Ormai conosceva i segnali e così si lasciò scivolare sul pavimento e abbassò la testa tra le ginocchia, sperando che l'attacco di panico passasse.

Si permise di passarci attraverso, tremante, cercando di rimuovere la propria mente cosciente da ciò che accadeva e concentrandosi solo sul respiro, nel tentativo di ottenere abbastanza ossigeno nei polmoni.

Ci vollero dieci minuti interi prima che sentisse di poter sollevare la testa e altri sette prima di riuscire a rialzarsi con l'aiuto del pomello della porta.

Fu proprio in quel momento che notò la signora Hudson in piedi sulla porta del suo appartamento.

"Oh, povero caro, – proferì – Un altro?"

 Lui scrollò le spalle: "Sembra così, signora Hudson."

"Che cosa lo ha causato questa volta? Oh, no, non rispondere. Dimentica persino che lo abbia chiesto. Che stupida."

Fece un passo in avanti e gli prese il viso tra le mani: "Oh, mio caro ragazzo. Dai, ti faccio una tazza di tè. Non osare discutere."

Sherlock non aveva né l'energia né la volontà per fare una cosa del genere, quindi si limitò a seguire la padrona di casa nel suo appartamento e le permise di guidarlo verso una sedia al tavolo della cucina.

Bastò una leggera spinta per farlo sedere in modo pesante e appoggiò i gomiti sul tavolo e si nascose il viso tra le mani, ascoltando i suoni rassicuranti della signora Hudson che preparava una decente tazza di tè mentre lui aspettava che il suo corpo smettesse di tremare.

Non era la prima volta che la signora Hudson lo coglieva nel bel mezzo di un attacco di panico e lei aveva avuto solo bisogno di essere avvisata un'unica volta che toccarlo mentre era nel mezzo di un attacco non era una buona idea. I suoi riflessi, affinati da due anni di fuga da varie organizzazioni criminali, non erano adatti per un tocco casuale mentre la sua mente era spenta. Si sentiva ancora in colpa ogni volta che pensava a quanto fosse livido il polso di lei nel punto in cui l'aveva afferrata.

Il leggero tintinnio della porcellana sul legno lo distolse dai suoi pensieri mentre la signora Hudson gli metteva davanti una tazza di tè fumante: "Ecco qua, mio caro. Due cucchiaini di zucchero, proprio come piace a te."

Riuscì ad alzare la testa e a farle un debole sorriso: "Grazie, signora Hudson. A volte davvero non so che cosa farei senza di lei."

Lei sorrise e gli accarezzò la mano: "Bazzecole. Adesso bevi il tuo tè e calmati un po'. E poi puoi raccontarmi che cosa è successo. Non pensare che io non abbia notato che John è passato di qua prima e che voi due siete saliti su un taxi."

Sherlock sorrise di nuovo: "Non avrei mai pensato una cosa del genere. Se lei non l'avesse visto di persona, sono sicuro che la signora Turner le avrebbe raccontato tutto. Ha preso un nuovo cuscino per il davanzale? Senza di quello le farebbero male le braccia."

"È per il suo gatto, quante volte te lo devo dire?" protestò la signora Hudson senza troppa convinzione.

Sherlock la guardò: "Oh, per favore. Non ho mai visto il suo gatto sedersi su quel cuscino da quando lei lo ha messo lì. È lì solo perché così può appoggiarci le braccia mentre guarda che cosa succeda in strada. E inoltre, il suo gatto è morto due mesi fa."

La signora Hudson non poteva ribattere su questo. Invece, si limitò a spingere un piatto di biscotti verso di lui e bevve un sorso di tè. I suoi occhi erano gentili e pazienti mentre lo osservava e Sherlock si rilassò sotto il suo sguardo fermo.

Alla fine, quando la tazza fu mezza vuota, lui riuscì a raccontarle tutto del viaggio suo e di John al museo e della cena.

"Oh, che bello! – batté le mani deliziata lei – Sono così felice che andiate di nuovo d'accordo, è stato terribile non averlo qui e vederti così giù."

Sherlock fissò la tazza, gli angoli della bocca si abbassarono: "Sì. È venuto qui più spesso e ci stiamo scambiando dei messaggi, quindi suppongo che sia qualcosa. È solo che... non è abbastanza, signora Hudson. Eravamo proprio fuori da questa porta e gli ho chiesto se volesse venire a prendere un tè e a guardare un po' di tv spazzatura, non mi guardi così, non lo intendevo come un eufemismo, potevo dire che lo voleva. E tutto quello che lui ha detto è stato che gli sarebbe piaciuto, ma che doveva tornare a casa da Mary."

La voce si spezzò su quel nome e lo detestò.

La signora Hudson sospirò e gli prese la mano: "Oh, Sherlock. Non gliel'hai ancora detto?"

Il detective rise e fu inorridito nel rendersi conto che suonava un po' umido: "E dire che cosa, esattamente? Lui non vuole sapere nulla di tutto ciò. L'altro giorno mi ha persino chiesto del nostro matrimonio . Voleva sapere perché ci siamo sposati e quando gli ho detto che era perché l'aveva voluto lui, ha annuito e se ne è andato e da allora non ne ha più parlato. È come se stesse evitando di proposito il problema e non so dire se lo faccia perché sa e non vuole che io lo dica ad alta voce, o perché non lo sa e ha paura di scoprire qualcosa che potrebbe mettere in crisi la sua idea ben precisa di chi siamo."

La signora Hudson gli strinse la mano: "Beh, è sempre stato davvero molto testardo, il nostro John. Ma io penso che dovresti dirglielo comunque."

"E poi cosa? – chiese Sherlock – Nel peggiore dei casi se ne andrà di nuovo e io non avrò nemmeno questo relitto di amicizia che è rimasto. Nella migliore delle ipotesi cercherà di deludermi in modo gentile e superfluo, e vederlo sarà assolutamente insopportabile. Dovrò firmare quei maledetti documenti e probabilmente anche partecipare al suo matrimonio perché se non lo facessi, tutti chiederebbero perché il suo presunto migliore amico non ha potuto farlo. Non che dovrebbero domandarselo, perché il numero di persone in questa città che potrebbero essere rimaste con un dubbio di alcun genere al riguardo si riduce esattamente ad uno. E quello è John stesso."

Fece un respiro tremante: "Non posso farlo, signora Hudson. Non posso dirglielo. Tutto quello che posso fare è prolungare il più possibile ciò che ho, fino a quando alla fine lui perderà la pazienza e mi costringerà a firmare i documenti. Poi si girerà subito e... e la sposerà come se questo non avesse importanza, perché non ne ha, per lui. E lui si aspetterà che io sia lì e io ci sarò. Ci sarò, al suo matrimonio, perché non posso dirgli che preferirei buttarmi giù dal St. Bart, questa volta sul serio, senza dirgli il perché."

Abbassò la testa e chiuse gli occhi. Dio, quanto faceva male. Solo il pensiero faceva male e lui non riusciva nemmeno a decidere quale di tutti questi scenari fosse il peggiore.

La signora Hudson si alzò, girò intorno al tavolo e lo abbracciò forte: "Oh, Sherlock. Mio povero, caro ragazzo. Non meriti di farti spezzare il cuore in questo modo."

Sherlock cercò di trarre un respiro, ma a metà si trasformò in un singhiozzo soffocato e rabbrividì tra le sue braccia, avvolgendole le proprie intorno alla vita e premendo il viso contro il suo stomaco, tentando in modo vano di nascondere le lacrime. Era così stanco di fingere che non gli facesse male.

"Non tornerà mai più indietro, – sussurrò una volta che riuscì a ritrovare la voce – Se n'è andato e non posso riportarlo a casa, qualunque cosa faccia."

"Shhh, – mormorò la signora Hudson, cullandolo come se fosse un ragazzino – Lo so che fa male, mio caro. Ma ti prometto che supererai tutto questo. E lui tornerà in sé. Potrà essere testardo come un mulo, ma non è un completo idiota. Non potresti mai amare un deficiente."

Sherlock ridacchiò e tirò su con il naso: "Sto cominciando a dubitarne, in realtà."

Tuttavia, si sentiva meglio; anche solo parlarne e sfogarsi un po’ e avere il conforto della signora Hudson l'aveva aiutato.

"Vedrai, – disse la signora Hudson, premendogli un bacio sulla sommità della testa – il nostro John tornerà a casa. Sa a quale luogo appartenga, anche se non lo ammetterà ancora, nemmeno a se stesso. Alla fine ci arriverà. E una volta che sarà a casa, avrai tutto il tempo del mondo."

 

 

NdT

E anche in questo capitolo, Sherlock dimostra tutta la propria disperazione alla persona sbagliata. La signora Hudson dà pure il consiglio giusto, ma i nostri sono due salami incorreggibili.

Spero di non avere fatti errori. Mi ero dimenticata che fosse mercoledì.

Grazie a chi stia leggendo e commentando.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Baker Street, dolce casa

Capitolo 12

La signora Hudson ebbe ragione, almeno in parte. Le cose migliorarono.

Sherlock e John trascorsero del tempo insieme quasi ogni giorno durante la settimana successiva, soprattutto grazie a un nuovo caso che Lestrade portò loro la mattina dopo che li tenne occupati per quattro giorni interi prima che prendessero l'assassino. Ci fu il buon vecchio lavoro di gambe, interrogando i sospetti, parlando con potenziali testimoni, non meno di tre autopsie, una delle quali eseguita su un pappagallino e, infine, un inseguimento senza fiato attraverso i cantieri navali e un labirinto di container e di attrezzature per caricare le navi fino a quando John infine atterrò il sospetto con una mossa degna della TV che avrebbe indotto diverse squadre di rugby a prendere in considerazione di ingaggiarlo, se solo lo avessero visto.

Erano entrambi di ottimo umore, quando tornarono a Baker Street con cibo da asporto celebrativo e una bottiglia di vino che di sicuro non era adatta al cibo cinese che avevano preso, ma che sarebbe stata bevuta lo stesso.

Era stata una settimana perfetta come avrebbe potuto essere in una realtà in cui John non viveva a Baker Street e Sherlock cercò di scacciare dalla mente i pensieri su tutto ciò che mancava e di concentrarsi su ciò che aveva.

John aveva saltato due turni in clinica per questo caso e avevano fatto una tirata di una notte intera al 221b insieme, cercando di trovare le prove di cui avevano bisogno nella corrispondenza digitale della vittima.

Pertanto, quando salirono le scale, Sherlock aveva tutte le aspettative di trascorrere una meravigliosa serata con l'unica persona che desiderava vedere.

Non fu quindi affatto contento di entrare nel salotto e trovare Mary Morstan in piedi al centro dell'appartamento.

Aveva l'aria di una governante severa e lui pensò che quell'aspetto non le donasse per nulla. I suoi occhi si restrinsero alla vista di lui, che rimase molto confuso. Di sicuro lei avrebbe dovuto aspettarsi che lui si presentasse a casa propria?

Poi lei guardò John dietro di lui e l’espressione accigliata fu cancellata e sostituita da un sorriso quasi smagliante che era così falso da far rabbrividire Sherlock. Come John potesse sopportare di essere nella stessa stanza con lei, figuriamoci in una relazione, era un mistero per lui.

"John, eccoti! Stavo cominciando a pensare che non saresti mai più tornato a casa," esordì lei e il sarcasmo era così denso, che si sarebbe potuto usarlo come cappotto invernale.

"Mary! – John sembrava sorpreso quanto Sherlock – Ci dovevamo incontrare qui?"

"Una donna non può semplicemente andare a trovare il proprio fidanzato, se lui non si è fatto vedere per due giorni nonostante viva con lei?"

Lui ridacchiò e si fece avanti per baciarla. Sherlock si voltò prontamente verso la cucina per depositare i contenitori da asporto sul tavolo, in modo da non essere costretto a vederlo.

"Certo che puoi, – ribatté John, anche se Sherlock pensava che suonasse un po' forzato – Siamo appena tornati da Scotland Yard."

"Beh, chiaramente avete avuto il tempo di prendere qualcosa da mangiare lungo la strada, – disse Mary – Buono a sapersi che trovi il tempo per mangiare, anche se non riesci a mandare dei messaggi."

"Questo è successo perché il suo telefono è attualmente una prova, in realtà, – si intromise Sherlock, prendendo i contenitori rimanenti dalle mani di John senza trovare resistenza – Succede piuttosto spesso."

"Questa volta non è stato distrutto, – aggiunse John, sorridendo – Lestrade ha detto che potrò riaverlo indietro domani, una volta che avranno terminato di esaminarlo."

Mary non sembrava molto addolcita, ma chiaramente non riusciva a trovare una ragione per continuare a essere arrabbiata con lui per non averla contattata: "Avete almeno catturato il vostro criminale del giorno?"

"Mmh-hhm. Certo. E sarà uno splendido post sul blog, non credi, Sherlock?"

"Se per una volta riesci a scriverlo in modo corretto," disse Sherlock, sforzandosi di mantenere la voce leggera e un’espressione amabile, anche se tutto in lui urlava per far uscire Mary dall'appartamento. Questa era a dir poco un'intrusione nel suo territorio e lo faceva arrabbiare nel profondo. La voleva fuori di lì.

"Quindi questo significa che tornerai a casa stasera?" chiese Mary.

"Sì, certo, – rispose John, sembrando sorpreso – Stavo solo per mangiare qualcosa prima. Ci vuole un po' di tempo per tornare a casa in metropolitana e non abbiamo mangiato dalla colazione."

"Oh, avete fatto colazione insieme, allora?" domandò lei in tono malizioso.

Sherlock sentì ogni muscolo irrigidirsi a causa del tono di lei: "Se vuoi chiamarla così. Lestrade ha mandato uno stagista da Tesco per prendere il loro pasto e abbiamo mangiato un mucchio di panini mediocri che abbiamo dovuto contenderci con mezza Scotland Yard. Non esattamente quello che chiameresti nutriente."

Era la verità, ma lo disse soprattutto perché sapeva che era imperativo che il tempo, che loro trascorrevano insieme suonasse il meno romantico possibile. Mary chiaramente sospettava già che lui fosse una minaccia per lei, non doveva versare olio sulle fiamme.

"Penso che la sergente Donovan mi abbia dato una gomitata allo stomaco, – affermò John, trasalendo al ricordo – Ma credo di averle pestato un piede per rappresaglia, quindi siamo pari."

"No, quello che hai calpestato era il piede di Dimmock, – lo corresse Sherlock in modo distratto – Ma hai strappato l'ultimo panino al prosciutto e formaggio proprio da sotto la mano di Donovan, quindi siete decisamente in pari."

John scrollò le spalle: "Beh, tu devi mangiare tutte le calorie che puoi ottenere, – dichiarò – So che è meglio non provare a darti niente che contenga anche solo una traccia di insalata, quando sei su un caso."

Sherlock riuscì a nascondere un sussulto a quelle parole. Erano troppo familiari, troppo simili a qualcosa che facesse parte di una relazione. Per quanto volesse sentirle, non era il genere di cose di cui Mary avrebbe dovuto essere testimone.

"Apprezzo il tuo spirito combattivo, – enunciò – Indipendentemente dal ragionamento. Ora siediti e prendi delle bacchette prima che si raffreddi tutto. – fece un respiro e riprese – Mary?"

Lei sembrò sorpresa che le fosse stato offerto un paio di bacchette: "Oh. Sto bene, grazie. Mangiate voi ragazzi."

Sherlock scosse la testa: "Compriamo sempre troppo e c'è un limite a quanti avanzi io possa mangiare. Per favore, prendine un po'."

Ciò che voleva davvero era che lei si scusasse di nuovo e se ne andasse, ma naturalmente lei non lo fece. Con un piccolo sorriso e un "Vabbè, se sei sicuro", Mary accettò le bacchette e si sedette a tavola con loro.

La sua presenza smorzò notevolmente l'umore e Sherlock sapeva di non essere il solo a provare quel tipo di sentimenti. Che lei lo sapesse o no, Mary non si stava solo intromettendo nel suo territorio, ma anche in una parte della vita di John in cui non avrebbe dovuto avventurarsi. Dalla conversazione tesa e dal lungo silenzio che seguirono, Sherlock capì che John non era felice, il che fece sentire molto meglio lui riguardo all'intera situazione.

Mary, percependo chiaramente l'imbarazzo, iniziò a chiacchierare di questo e quello, raccontando a John ciò che aveva combinato mentre lui era stato coinvolto nel caso. A Sherlock non sfuggì che lei lo aveva escluso dalla conversazione in modo deliberato, e nemmeno l’espressione accigliata sul viso di John, quando lui stesso notò la cosa.

E poi Sherlock prese un altro involtino primavera e Mary si interruppe a metà parola: "Che cos'è?"

Sherlock sbatté le palpebre: "È un involtino primavera, Mary. Ne hai già mangiati due. Ti assicuro che sono perfettamente commestibili."

Lo fissò: "Non il cibo. Sulla tua mano."

Oh. Si era onestamente dimenticato dell'anello in quel momento. Era solo un'altra parte di lui.

"È un anello, – ribatté in modo lento – Un esempio della grande varietà di gioielli a disposizione degli esseri umani."

"Be', toglitelo," affermò lei.

Sherlock vide la porzione di riso fritto di John cadere dalle bacchette a causa della sua mano divenuta all’improvviso fiacca.

Tornò a fissare Mary, chiedendosi se avesse perso la testa: "No."

"Voglio che tu te lo tolga, – ribadì lei, la voce tremante di rabbia – Non hai il diritto di indossarlo."

Lui sentì la propria rabbia salire subito in superficie e scelse in modo deliberato di mantenere la voce calma. Lasciare che lei apparisse fuori di testa, non le sa3rebbe giovato. Lui si sarebbe comportato in modo corretto.

"Ne ho tutto il diritto, – sostenne – In primo luogo, posso indossare tutti i gioielli che mi piacciano, su qualsiasi parte del corpo mi piaccia. Se domani volessi farmi forare un capezzolo, non c'è nessuno su questa terra che potrebbe fermami, e di certo nessuno mi impedirà di indossare qualcosa di semplice come un anello. In secondo luogo, sei l'ultima persona da cui verrò per un consiglio sui gioielli."

Era così impegnato a guardare le parole colpire nel segno che gli ci volle un momento per rendersi conto che John si era soffocato con il boccone successivo e stava tossendo, con le lacrime agli occhi.

Mary aprì la bocca per protestare di nuovo, ma Sherlock si limitò a fissarla, calmo e più perfettamente composto che riuscì a mantenersi.

Lei ricambiò lo sguardo: "Non iniziare con me uno scontro che non puoi vincere," sibilò.

Lui sbatté le palpebre: "Beh, di sicuro non ho intenzione di togliermi questo anello solo perché l'hai detto tu," puntualizzò.

"È mio, – sputò fuori lei tra i denti stretti – E tu non puoi averlo."

"Mary!" esclamò John, scandalizzato, anche se Sherlock si costrinse a non battere ciglio. Le parole lo avevano colpito a fondo: lei sapeva esattamente dove mirare. Spinse da parte il dolore e arricciò le labbra in un’espressione di assoluta commiserazione.

"Penso che sia ora che ve ne andiate, – dichiarò, notando che John chiaramente non avrebbe mangiato più niente – È stato un piacere vederti, John. Grazie per il tuo aiuto in questo caso. Mi metterò in contatto."

"Sì, – affermò John, alzandosi dalla sedia – Mary, perché non vai di sotto e trovi un taxi, devo parlare di qualcosa con Sherlock. Ti raggiungerò tra un minuto."

Lei se ne andò con un'ultima occhiata velenosa in direzione di Sherlock e lui la osservò fino a quando la porta non si fu chiusa con uno scatto dietro di lei.

Prima che avesse il tempo di godersi questa piccola vittoria, John lo aggredì: "Che cos'era quello?"

Sherlock indietreggiò: "Per cosa mi stai attaccando? È evidente che ha iniziato lei."

"Non mi interessa chi abbia iniziato cosa, – scattò John – Non voglio che tu ti metta contro alla mia fidanzata in quel modo."

"Si sta inimicando da sola, – ribatté Sherlock – Tutto ciò che stavo tentando di fare era cenare in pace. Non l'ho invitata io qui. Di certo non ho chiesto la sua opinione."

John sospirò e si sgonfiò: "Hai ragione. Mi dispiace. So che non avrebbe dovuto entrare qui e fare richieste. Ma avresti potuto gestirla meglio."

Sherlock incrociò le braccia davanti al petto: "Avrei potuto informarla che ho tutto il diritto di indossare questo e persino che ho un certificato di matrimonio che lo dice. Avrai notato che non l'ho fatto."

Per un momento, sembrò che John volesse discutere il punto, ma poi si arrese: "Bene. Comunque, parlerò anche con lei di questo."

Sospirò e si strofinò gli occhi: "Ascolta, voglio che voi due andiate d'accordo. Tu sei importante per me e sto per sposarmi con lei. Non voglio che il resto delle nostre vite sia riempito da queste discussioni e che voi due vi azzanniate l'un l'altro per tutto il tempo."

Ci volle tutto l'autocontrollo di Sherlock per non sussultare a quelle parole. O, peggio, per non rannicchiarsi sul pavimento e urlare.

"Non preoccuparti, – affermò, quando fu abbastanza sicuro che la voce non gli si sarebbe spezzata – Posso di certo prometterti che dopo il tuo matrimonio non discuterò affatto con lei."

Non aveva intenzione di mettere piede a meno di mezzo miglio da John se Mary fosse stata nelle sue vicinanze, ma non era qualcosa che avrebbe mai detto ad alta voce.

John sospirò di nuovo e si rilassò un po': "Grazie. E grazie per aver chiamato per il caso, è stato uno di quelli buoni."

Sherlock sorrise, sollevato per essere tornato su un terreno più sicuro. "Lo è stato davvero. Ti chiamerò se dovesse arrivare qualcosa di buono. Ora vai, prima che lei decida di tornare su."

Fece un cenno verso il corridoio e John sorrise: "Giusto."

E poi si fece avanti e lo abbracciò, rapidamente ma con fermezza: "Buonanotte, Sherlock."

Sherlock riuscì a malapena ad alzare le braccia in tempo per ricambiare l’abbraccio, troppo preoccupato dalla vicinanza improvvisa di John: "Buonanotte, John."

John fece un passo indietro, gli rivolse un altro sorriso e se ne andò. Sherlock lo fissò, incerto su come sentirsi.

*****

"Era davvero necessario?" chiese John a Mary mentre la raggiungeva nel taxi.

Lei incrociò le braccia e guardò fuori dal finestrino, ma non rispose.

Lui sospiro: "Litigare con lui non lo convincerà a fare in modo più rapido quello che vogliamo che faccia. L'opposto, è probabile. Lui è il peggior bastian contrario che una persona possa essere."

Mary girò la testa per fissarlo: "Comincio a chiedermi se anche tu vuoi che lui firmi quei dannati documenti. È passato più di un mese, John, e non è cambiato nulla."

"Sì, – la rassicurò – Ma voglio anche salvare la nostra amicizia e se gli faccio firmare quei documenti con la forza, andrà tutto in fumo. Questo è importante per me, Mary."

Lei si ammorbidì un po': "È solo difficile non chiederselo, capisci? Eccomi qui, con un fidanzato che è sposato con il suo migliore amico, che non vuole firmare i documenti del divorzio. E non sono stupida, John. lo so quello che tutti pensano di voi due. O pensavano."

John gemette: "Beh, possono pensare quello che vogliono, ma io non sono gay. E Sherlock non è... lui semplicemente non sente le cose in quel modo. È un'ipotesi ridicola da fare. Sherlock e io non abbiamo mai avuto una relazione o addirittura discusso la possibilità di averne una."

"Siete ancora sposati! – gli ricordò – Deve significare qualcosa, giusto?"

"È stata una decisione sensata e strategica. Con il tipo di guai che eravamo soliti avere con i casi, l'essere coniugi ci avrebbe impedito di dover rilasciare dichiarazioni in tribunale che avrebbero potuto metterci nei guai in modo reciproco e noi avremmo avuto accesso l’uno all’altro in ospedale, se mai ne avessimo avuto bisogno. Non che l'abbiamo mai fatto."

"Non ti ricordavi nemmeno di essere sposato, – ribadì Mary – Come puoi sapere che queste erano le ragioni?"

"Perché lui le ha elencate, – ribatté John – E poiché sono l'unica spiegazione sensata. È stato per ragioni di convenienza e ora lui lo sta usando per sottolineare quanto ci eravamo allontanati. È giusto e lui ha ragione. Sono più felice da quando siamo riusciti a riallacciare la nostra amicizia. Sono più felice quando riesco a lavorare sui casi con lui e parlare di tv spazzatura e mangiare terribili piatti da asporto. – le afferrò una mano – Ma questo è ciò cui servono gli amici e dovrai accettare che lui è mio amico e che questo è ciò che noi facciamo. Non significa che voglio costruire tutta la mia vita con lui.”

Ma perfino mentre lo diceva, non poté fare a meno di provare una leggera fitta di desiderio. In passato la sua intera vita era stata costruita intorno a Sherlock ed era stata scintillante. Ma era tutto nel passato e non aveva senso soffermarsi su cose che erano scomparse da tempo.

Mary sorrise alle sue parole e girò la mano per intrecciare le loro dita: "Bene, finché noi tutti ne siamo consapevoli... "

"Non preoccuparti, – ribadì John – Lasciami fare a modo mio e ti prometto che Sherlock firmerà i documenti e che noi due ci sposeremo abbastanza presto."

 

 

 

NdT

Non so perché, ma mi aspetto una valanga di apprezzamenti nei confronti di Mary. Sono sicurissima che tutt/ abbiate gradito la gentile e cortese richiesta che ha fatto a Sherlock di togliersi l’anello. Che poi, vorrei sapere, perché ha collegato subito l’anello con il matrimonio con John? Un anello è un gioiello e potrebbe pure non avere nulla a che fare con John. Ok. Lo so che Mary è una donna intelligente e che ha capito tutto. Molto meglio e di più di John. Sic. Sigh. Però, un po’ di diplomazia non sarebbe guastata. Oppure sa che John ha il prosciutto sugli occhi? Già. Siate gentili con lui (John). Prima o poi mangerà quel prosciutto.

Grazie a chi stia leggendo. Grazie per le recensioni ad arcobaleno2014, garfield73 e T’Jill.

Un enorme grazie alla mia fantastica Beta, che, tra una sua traduzione e un’altra, riesce a ripassare e ripulire pure i miei capitoli.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

Baker Street, dolce casa

Capitolo 13

L'atmosfera pacifica non durò a lungo.

Solo due settimane dopo, la pazienza di Mary stava per finire.

"Hai trascorso pochissimo tempo con me, di recente. È sempre Sherlock, Sherlock, Sherlock. Mi ha stancato, John. Si è divertito e ovviamente siete di nuovo amici quindi per favore, vai a fargli firmare quelle dannate carte."

John sapeva che non aveva senso discutere. Mary aveva ragione. Era andato avanti abbastanza a lungo. Lui aveva fatto tutto ciò che Sherlock aveva chiesto e aveva del tutto adempiuto alla propria parte del loro accordo. Ora tutto quello che restava era che Sherlock rispettasse la sua parte.

Tuttavia, prima che potesse sollevare l'argomento con Sherlock, furono chiamati per un nuovo caso e trascorsero i due giorni successivi a Soho e impedirono un atto di sabotaggio ai danni di un teatro.

Mentre stavano concludendo i dettagli del caso a Scotland Yard, quella sera tardi, John si scusò perché doveva andare in bagno. Aveva appena finito di asciugarsi le mani quando sentì la voce di Lestrade fuori e si fermò.

"Allora, com'è la situazione del marito?" domandò il DI.

"Invariata." Quello era Sherlock e John sbatté le palpebre sorpreso; non sapeva che Sherlock avesse parlato al DI dei loro problemi.

"Sai, mi piacerebbe davvero incontrare questo ragazzo, – ribatté Lestrade – Solo per potergli inculcare un po’ di buon senso."

John si rilassò un po'. Era chiaro che Greg non ne aveva idea. Bene, allora era tutto a posto. Si preparò a uscire in corridoio, ma poi Sherlock parlò di nuovo.

"Non farebbe differenza, Lestrade. È... molto saldo nelle proprie decisioni."

Il DI sospirò e John lo sentì inserire diverse monete nel distributore automatico fuori dai bagni: "Sì, hai detto che vuole sposare qualcun altro. È ancora così?"

"Sì."

"Mi dispiace, amico."

"Non è colpa tua," affermò Sherlock, mentre Lestrade, a giudicare dai suoni, pescava qualcosa dalla macchinetta, imprecando e brontolando.

"No, ma fa schifo lo stesso. In primo luogo, perché ti ha persino sposato, allora?"

Questo bloccò John sul posto. Perché l'aveva fatto?

Ci fu una pausa più lunga e poi Sherlock rispose, con voce morbida e stranamente vulnerabile: "Non lo so."

Lestrade gli diede una pacca sulla schiena in modo udibile: "Beh, ci dev'essere stato un motivo. Coraggio, ragazzo. Hai pensato di parlarne con John? Potrebbe avere un'idea migliore su ciò che potresti fare."

"Temo che questo vada oltre la capacità di John di aiutare,” ribatté Sherlock, che John pensò fosse una risposta molto diplomatica. Aiutare con che cosa, comunque? Non c'era bisogno di aiuto. Tutto quello che Sherlock doveva fare era firmare quei maledetti documenti e farla finita.

"Sì, beh, provare non può far male. Dio sa che non mi dirai niente al riguardo."

"Sai più della maggior parte delle altre persone, – gli ricordò Sherlock – Dai, voglio concludere il caso e tornare a casa prima di mezzanotte, per cambiare."

"Ciò detto dall'uomo che non dorme mai, – borbottò Lestrade – Va bene, vieni allora. Credo che John sia andato alla caffetteria per una tazza di tè. Aspettiamolo nel mio ufficio."

I loro passi scomparvero lungo il corridoio e John rilasciò un respiro, una volta che se ne furono andati. Incontrò il proprio sguardo confuso nello specchio. Di che cosa si era trattato? Non sapeva che Sherlock e Lestrade parlassero di altre cose oltre al lavoro, ma quella era stata una conversazione decisamente amichevole sulla vita privata di Sherlock, cosa che John non gli aveva mai visto fare. Diavolo, Sherlock parlava a malapena con lui di ciò, anche quando erano stati coinquilini!

Tuttavia, le parole di Sherlock continuavano a tornargli in mente: 'Non lo so.'

Non aveva senso: lui doveva saperlo! Era l'unico dei due ad avere ogni ricordo del giorno del loro matrimonio, dopotutto. Non era possibile che non sapesse perché John avesse apparentemente deciso di sposarlo. Avevano giocato a un gioco? Fatto uno stupido scherzo che si era trasformato in qualcosa di serio? C'erano infinite possibilità. Di sicuro non erano usciti e l'avevano fatto senza almeno un qualche motivo?

Ma c'era stato qualcos'altro nel tono di Sherlock, qualcosa che tormentava John.

Era il modo in cui era suonato, così stranamente perso, come se la sua mancanza di conoscenza non fosse limitata ai motivi di John, ma includesse la domanda sul perché qualcuno dovrebbe volere essere sposato con lui. Come se lui ci avesse pensato e rimuginato e non fosse stato in grado di trovare la minima ragione. L’idea stessa fece a John delle cose che non poté descrivere e scosse la testa prima di potersi perdere nei propri pensieri.

Si lavò di nuovo le mani, tanto per fare qualcosa, raddrizzò le spalle e annuì a se stesso. Avrebbe trovato un modo per mostrarlo a Sherlock. Per fargli sapere che c'erano un milione di ragioni perché una persona dovrebbe volerlo sposare.

"Perché – ragionò John, del tutto ignaro dell'ironia dei propri pensieri – chi non vorrebbe sposare Sherlock?

*****

Sherlock era confuso. Negli ultimi due giorni, John era stato... diverso. Non c'era davvero altra parola. Comunicativo? Di certo anche quello. Gli aveva sorriso molto e gli aveva fatto più complimenti che perfino all'inizio della loro amicizia tanti anni prima, quando sembrava che ogni singolo pensiero che Sherlock avesse avuto fosse sorprendente.

Ma questo era diverso.

Negli ultimi quattro giorni, John si era complimentato con lui per la sua intelligenza, il suo umorismo, i suoi capelli, la sua abilità nel fare il tè e una dozzina di altre cose che Sherlock aveva accuratamente archiviato nel proprio palazzo mentale.

Non sapeva che cosa stesse succedendo o perché, ma era di sicuro bello essere apprezzato in quel modo e così Sherlock aveva optato per essere perplesso, ma anche contento.

Stavano giusto ripulendo, dopo aver invitato la signora Hudson a cena, e al momento stavano lavando i piatti uno accanto all'altro. Lei aveva cercato di partecipare, ovviamente, per ringraziarli dell'adorabile sera, e Sherlock l'aveva informata in modo aspro che la sua serata sarebbe stata più adorabile ancora se lei non avesse iniziato a fare nessun lavoro adesso e si fosse rilassata. La signora Hudson l'aveva tradotto con 'vada di sotto e si faccia una canna' e l'aveva prontamente fatto, lasciandolo del tutto solo con John.

Cosa che, ammettiamolo, probabilmente aveva voluto fare in ogni caso. Ora che Sherlock ci stava pensando, aveva ceduto con fin troppa facilità.

E ora erano soli e stavano lavando i piatti, come due perfetti casalinghi. Non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui avevano fatto qualcosa insieme che richiamava così tanto il tempo in cui vivevano insieme. E di certo avrebbe preferito che qualcuno gli sparasse piuttosto che attirare sulla cosa l'attenzione di John.

"Ti rendi conto che aiuti in modo automatico la signora Hudson ad alzarsi dalla sedia ogni volta che si alza?" domandò John.

Sherlock si voltò verso di lui, sorpreso sia dalla dichiarazione sia dal fatto che sembrava che John avesse notato qualcosa del genere: "Davvero?"

"Sì. Sei... gentile e premuroso con lei, in modo spontaneo. – John fece una pausa – Certo, fai ancora uno sforzo cosciente per essere il più pungente possibile, ma non ti sento scattare con lei da anni."

Sherlock si strinse nelle spalle. "Sì, beh, non posso davvero permettermi di farla arrabbiare con me, ora, giusto?"

Si morse il labbro prima di poter aggiungere: "Se lo facessi, non avrei più nessuno nella mia vita."

John aveva idea di quanto Sherlock si fosse addolcito grazie a lui? Quanto era cambiato come persona semplicemente perché John esisteva?

"Beh, ci stiamo avvicinando a Pasqua, sarebbe orribile se lei decidesse di revocare il tuo privilegio per i biscotti, – scherzò John – Tu e il tuo debole per i dolci sareste persi senza di lei."

Sherlock sorrise, decidendo di andare avanti con la battuta: "Sì, beh, Natale e Pasqua sono le uniche volte dell'anno in cui mi sembra di ingrassare."

"Hmm, credo davvero che questa sia l'unica ragione per cui non sei ancora collassato. Eri magro in modo spaventoso, quando ci siamo incontrati per la prima volta. Mi piace pensare che mangi di più in questi giorni."

"Penso che sia perché non ho davvero scelta, – ribatté Sherlock – Continui ad apparire e a fare in modo che io mangi a pranzo, a cena, a colazione e quant'altro e la signora Hudson mi riempie sempre di pasticcini in questi giorni. Penso che lei creda che se mi tiene nutrito, non sparirò ancora."

John sbuffò: "Beh, spero che abbia ragione. Non voglio affrontarlo mai più."

Sherlock sospirò, sentendo il peso di tutto ciò che aveva fatto: "John... sai che sono dispiaciuto, vero? Perché lo sono. Se ci fosse stato un altro modo..."

"Lo so, – lo interruppe John – Lo so. Ne abbiamo parlato, ricordi? Lo capisco, anche se io non potrò mai dire che mi piaccia. Ma ti sono grato per tutto quello che hai fatto e sono oltremodo felice che tu sia di nuovo qui con me. D’accordo?"

Sherlock annuì, un piccolo nodo in gola. Deglutì, cercando di allentarlo: "Anch'io sono contento di essere tornato qui con te, John."

Si sorrisero l'un l'altro e Sherlock si chiese se stesse immaginando il modo in cui sembrava che l'aria si fosse addensata tra di loro, se era solo la sua fantasia a far sembrare che fossero più vicini l’uno all’altro di quanto non fossero stati un attimo prima.

Un bicchiere scivolò dalla mano di John e cadde nel lavandino con un tonfo, spaventandoli entrambi. Sherlock sbatté le palpebre e voltò la testa, concentrandosi di nuovo sull'asciugatura dei piatti.

"Mi sei… mancato. Mentre ero via, – si sforzò di dire – L'unica cosa che mi ha fatto andare avanti in questi due anni è stata la consapevolezza che tu fossi al sicuro e che ti avrei rivisto, se solo fossi sopravvissuto a quella missione. Era tutta la motivazione di cui avevo bisogno."

Decise di non menzionare quanto dolore gli avesse procurato la reazione di John e la conseguente mancanza di comunicazione.

Forse qualcosa nella sua espressione o semplicemente il suo silenzio sull'argomento lo tradirono, perché John si asciugò la mano destra e gli strinse il braccio.

"Mi dispiace. So che la mia reazione non è stata... beh, non è stata buona. Mi sono fermato sulla tua tomba e ti ho chiesto di tornare indietro e poi quando l'hai fatto, ti ho quasi ucciso io stesso. Non è andata bene. E non è stato giusto tagliarti fuori per così tanto tempo. Tu hai provato a spiegare che cos'era successo ed io avrei dovuto ascoltarti. Ma ero così arrabbiato e così ferito... non hai idea di come sia stato, pensare che tu fossi morto. Niente aveva più senso, il mondo intero era diventato grigio e inutile. Ed io allora... riaverti è stato esaltante, ma anche terrificante. Lo è ancora, se devo essere onesto. Ho bisogno che tu ti prenda più cura di te stesso, Sherlock. Perché non posso affrontarlo di nuovo."

Quella era più onestà e decisamente più conversazione sui sentimenti di quanto Sherlock fosse abituato.

"Lo prometto, – affermò, assicurandosi di incrociare lo sguardo di John questa volta – Prometto che non ti farò mai più provare quel dolore, in modo deliberato. Sappiamo entrambi che non possiamo evitare i pericoli del lavoro, ma è davvero molto più sicuro per me averti lì al mio fianco. Mi sono abituato ad avere dei rinforzi. Mi hanno quasi catturato due volte, mentre ero via, perché avevo dimenticato che tu non eri lì a guardarmi le spalle. Ma ce l'ho fatta. E sono tornato a casa. Questo è tutto ciò che conta."

John annuì a scatti: "Sì, sì lo è."

Sherlock annuì in risposta: "In ogni caso, non me ne andrò mai più, John. Sarò sempre qui, a Baker Street. E sarò sempre…"

Si fermò e scosse la testa, trattenendo le parole che sapeva che John non avrebbe voluto sentire.

"Sempre che cosa?" chiese John.

Sherlock scosse di nuovo la testa: "Non importa. Sarò sempre qui, è questo il punto. Quindi ogni volta che tu avrai bisogno di me, saprai dove trovarmi."

John sorrise: "Va bene. Lo apprezzo, davvero. Io, uh, non credo di avertelo davvero detto, ma sono contento che tu sia a casa. Sono contento che siamo di nuovo amici."

Sherlock ricambiò il sorriso, sollevato: "Anch'io, John."

Ci fu una pausa, mentre continuavano con i piatti, finché non li ebbero lavati tutti e a lasciato uscire l’acqua dal lavandino.

"Me lo racconterai?" domandò John.

"Raccontarti che cosa?"

"Del tempo che sei stato via, – ribatté – Avrei dovuto chiederlo quando sei tornato. Volevo chiedertelo da tanto tempo, ma avevo così paura di quello che avrei potuto sentire. Ma ho... ho visto le cicatrici sulla tua schiena e tu continui a menzionarne alcune parti e io... voglio sapere. Se me lo racconterai."

Sherlock esitò. Non si aspettava che succedesse quella sera. Ma d'altra parte, quando sennò?

"Non sei obbligato, ovviamente, – disse John in fretta, notando la sua esitazione – Quando sei pronto."

"No. – Sherlock fece una pausa, deglutendo – No, hai ragione. Io... vorrei raccontartelo. Ma non è una bella storia e potrebbe volerci un po' di tempo."

John gli fece un mezzo sorriso e indicò il salotto: "Ho tempo."

Così si sedettero nelle rispettive poltrone e Sherlock finalmente gli raccontò tutto.

Quando il suo racconto fu arrivato alla fine, erano passate le due del mattino e John decise di dormire sul divano.

Sherlock lo guardò sistemarsi con il vecchio afgano avvolto per bene intorno al corpo compatto, e affidò l’immagine alla memoria. John, tornato al luogo a cui apparteneva, anche se solanto per una notte. Come avrebbe dovuto essere.

 

 

 

NdT

Evviva!! Hanno finalmente parlato. E di ciò dobbiamo ringraziare Lestrade, per l’aiuto involontario.

Grazie a chi stia leggendo. Grazie per le recensioni a garfield73 e T’Jill.

A mercoledì prossimo.

Ciao ciao.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

Baker Street, dolce casa

Capitolo 14

Due giorni dopo, John affiancò Sherlock per un caso di un cliente privato. Di solito erano meno divertenti di quelli per lo Yard, ma tendevano a pagare bene. Poiché Sherlock aveva sempre insistito per spartirsi ciò che guadagnavano da questi clienti, John lo seguì, pensando che gli avrebbero fatto comodo i soldi extra per il matrimonio e la luna di miele. Di sicuro Mary sarebbe stata contenta se avessero potuto concedersi di spendere un po’ di più per la loro vacanza, la cui destinazione non avevano ancora deciso.

Questa particolare cliente li aveva invitati a una sorta di serata di raccolta fondi privata perché temeva che qualcuno stesse sottraendo dei capitali dal suo ente di beneficenza.

Era un'accusa seria e non sarebbe stato un caso troppo difficile da risolvere, quindi Sherlock era stato felice di accettarlo e John si era lasciato convincere con facilità.

Tuttavia, si pentì in fretta di quella decisione quando Sherlock emerse dalla propria stanza avvolto in uno smoking che era stato chiaramente fatto su misura per lui.

John, che indossava lui stesso il suo completo migliore, perse subito il filo dei propri pensieri.

L'abito sembrava aderire al corpo di Sherlock in tutti i punti giusti e i capelli gli ricadevano sulla fronte in un certo modo e John lo fissò e pensò: "Oh Dio, voglio baciarlo."

Barcollò un po' dove si trovava, quasi fisicamente colpito dall'idea, e fuggì in fretta in cucina per un bicchiere d'acqua prima che Sherlock, che si stava sistemando il papillon, potesse notarlo.

"Datti una calmata – si ordinò John – Non è il momento."

No, il momento era stato tre anni prima, prima che Sherlock morisse, al tempo in cui John aveva appena iniziato a rendersi conto di quanto quell'uomo significasse per lui.

Adesso non c'era alcuna possibilità per quello, ed era ridicolo pensare che ci sarebbe mai stata. Se lui e Sherlock erano riusciti a sposarsi senza che fosse mai accaduto nulla tra di loro, non c'era alcuna possibilità che accadesse qualcosa ora, quando John era dannatamente fidanzato, maledizione, non dimenticarlo.

Sospirò sommessamente tra sé, buttò giù il bicchiere d'acqua e spinse via tutti quei pensieri ridicoli. Erano amici. Era tutto quello che c'era, tutto quello che ci sarebbe mai stato. Questo era solo nervosismo prematrimoniale. Prima lo superava, meglio era.

*****

Arrivarono all'evento al momento previsto e anche se Sherlock era così bello che John aveva problemi a distogliere gli occhi da lui, riuscì a mettere su un sorriso convincente e chiacchierare con sconosciuti ricchi in modo disgustoso, mentre si mescolavano con gli altri ospiti.

A un certo punto, John si scusò per andare in bagno. Sulla via del ritorno si fermò all'open bar per prendere un altro bicchiere di vino per entrambi e poi andò alla ricerca di Sherlock.

Alla fine lo trovò dopo essersi fatto strada fra due persone che avrebbero potuto essere promotori finanziari; lui era in piedi in fondo alla stanza e stava parlando animatamente con un bell'uomo della sua stessa età. In un primo momento, John pensò che lui stesse interrogando l'uomo in modo sottile e quindi rimase indietro, non volendo interrompere la conversazione nel caso in cui Sherlock la stesse guidando in una direzione particolare.

Ma presto si rese conto che il linguaggio del corpo dell'altro uomo era del tutto sbagliato. Non sembrava qualcuno che fosse interrogato, non importa quanto sottilmente, da Sherlock. Sembrava qualcuno che aveva visto un bell'uomo e voleva godersi ancora per un po' la sua compagnia.

Ciò fece torcere qualcosa nello stomaco di John in un modo che non riusciva a spiegare del tutto. Pensò che potesse essere gelosia e il pensiero non gli piacque. Non aveva il diritto di essere geloso. Dopotutto, Sherlock non gli apparteneva. E lui aveva Mary, cazzo. L'unico motivo per cui era lì in quel momento era per il denaro extra per il loro matrimonio. Se Sherlock voleva flirtare con qualcuno, aveva tutto il diritto di farlo.

Be', quello era solo un altro motivo per restare indietro, no? John rimase fermo e bevve un sorso del suo vino, tenendo d'occhio i due. L'uomo aveva un bell'aspetto: alto, spalle larghe, con un sorriso disinvolto sul viso. E Sherlock stava ricambiando il sorriso, gli stava ancora parlando di solo Dio sapeva cosa.

John ignorò il modo in cui il petto gli si stringeva alla vista. Non spettava a lui interferire.

E poi l'uomo fece la propria mossa. Per John, che aveva trascorso gran parte della sua vita a flirtare con le persone, questo era evidente. Riuscì quasi a leggere le parole dalle labbra dell'uomo. 'Vogliamo vederci una sera per un drink?' o qualcosa del genere.

Sherlock esitò. Si morse il labbro. E poi fece un piccolo sorriso di rammarico e indicò la propria mano sinistra e l'anello su di essa.

Chiaramente questo non disturbò più di tanto il suo ammiratore. Sollevò semplicemente un sopracciglio e John già sapeva che stava suggerendo che quello poteva essere un motivo, ma non un deterrente.

Sherlock scosse la testa e fece mezzo passo indietro.

John lo prese come il suo segnale per interferire, dopotutto. Tentò di non chiedersi perché la possibilità di agire lo riempiva di sollievo.

Diversi rapidi passi lo portarono al fianco di Sherlock: "Ecco il tuo vino, – disse, porgendo Sherlock il suo bicchiere e assicurandosi che le loro dita si sfiorassero, mentre lo faceva – Chi è il tuo amico?"

Gli occhi dell'altro si spalancarono leggermente per il suo arrivo e si affrettò a riorganizzare la propria espressione in qualcosa di molto meno civettuolo: "Oh, non sono nessuno. Stavo solo chiedendo a suo marito se avete fatto molto per la beneficenza."

 "Un bel po', – ribatté John, il sorriso tagliente – Solo la scorsa settimana ho aiutato un tizio a imparare come tenere le mani a posto, a tutto vantaggio della sua salute personale."

"Giusto, – proferì l'uomo – Beh, se volete scusarmi..."

E scomparve tra la folla senza nemmeno preoccuparsi di cercare di trovare una scusa.

"Non ci ha nemmeno parlato dei suoi sforzi per la beneficenza, – dichiarò John con finto disappunto – Che peccato."

Alla fine si voltò a guardare Sherlock e lo trovò che lo fissava con uno sguardo imperscrutabile sul viso: "Che cosa?"

Sherlock sbatté le palpebre e l'espressione scomparve: "Niente. Grazie per l'interruzione."

"Avrei potuto farlo un po' prima, ma non ero sicuro se volevi che lo facessi. Sembravi abbastanza felice di parlare con lui."

Una scrollata di spalle: "Era gentile. Una delle poche persone in questa stanza che non sono qui per nutrirsi della propria importanza, il che già lo distingue dalla massa."

John annuì: "È una cosa positiva, no? Forse avresti dovuto accettare la sua offerta."

"E tu che cosa puoi sapere delle offerte che ha fatto?" chiese Sherlock.

John rise. "Andiamo. Posso non essere in grado di dedurre le persone come te, ma riconosco il flirtare quando lo vedo. Ti ha chiesto di uscire."

"Sì, – confermò Sherlock – E io ho detto di no."

"Sì, ho visto. Ecco perché sono venuto a interferire, sembrava che fosse un po' troppo insistente."

"Avrei potuto gestirlo io," disse Sherlock, scrollando le spalle.

Probabilmente aveva ragione su questo. Diverse parole ben scelte sarebbero state sufficienti per fare andare via l’uomo di corsa, John ne era sicuro. Eppure... "Perché hai detto di no?"

"Scusa?"

"Quando ti ha chiesto di uscire. Perché hai detto di no?"

Sherlock sbatté le palpebre, confuso: "Sono sposato, John."

John sospirò: "Sì, lo so. Se volevi il mio permesso, lo avresti avuto. Io non posso proprio parlare, no? Puoi scopare chi vuoi, Sherlock. Se ti piaceva, vai a prendere il suo numero e vedi che cosa succede. Chissà, potrebbe venirne fuori qualcosa."

"Non succederebbe, – dichiarò Sherlock con fermezza – E non voglio scopare nessuno che…"

Si interruppe di nuovo, chiaramente frustrato.

John decise di fare marcia indietro: "Va bene. Davvero. Non sto dicendo che devi. Sto solo dicendo, se tu lo volessi, potresti farlo."

Sherlock scosse la testa: "Io non faccio scappatelle, John. Sono un uomo di pochi principi, ma questo è uno di quelli. Io non prendo nessun voto alla leggera, motivo per cui m'infastidisce così tanto quando ogni dannato caso sembra finire per girare intorno all'adulterio in qualche forma. Non posso sopportare la slealtà."

Era il discorso più lungo che John avesse mai sentito da lui sull'argomento e fissò il suo amico, a bocca aperta: "Va bene. Mi dispiace di averlo suggerito. Ma continuo a pensare che dovresti prendere il suo numero. Potresti chiamarlo una volta che il nostro divorzio sarà definitivo."

La faccia di Sherlock divenne di pietra: "No, grazie. Merita di meglio che essere usato come rimpiazzo. Adesso andiamo, dobbiamo parlare con la nostra cliente, credo di aver scoperto chi si è appropriato dei fondi della sua fondazione benefica, mentre lei non stava guardando."

Se ne andò prima che John potesse dire un'altra parola.

John lo guardò allontanarsi e si costrinse a non fissarlo: 'Non posso sopportare la slealtà' aveva detto Sherlock e aveva ragione. John era fidanzato, bazzicare lontano dalla sua fidanzata era qualcosa che Sherlock non gli avrebbe perdonato. Per non parlare del fatto che John non voleva, dannazione. Lui amava Mary. Era solo... difficile da ricordare, a volte.

*****

Sherlock si tolse lo smoking non appena arrivò a casa. Lo cambiò con il suo solito vestito, nel caso dovesse uscire di nuovo nonostante fosse sera tardi.

L'uomo, Alexander, era ancora nella sua mente, così come la reazione di John all'intero episodio. Come era possibile che John non avesse ancora la più pallida idea? Come se Sherlock volesse prendere in considerazione l'idea di portarsi qualcuno a casa mentre aveva ancora quell'anello al dito. Come se avesse mai pensato di farlo una volta che quell'anello fosse sparito.

Non sapeva come fosse riuscito a non sbottare con John quando aveva tirato fuori di nuovo il dannato divorzio. John lo conosceva davvero così poco? Era lui ad essere così bravo a nascondersi o era John ad essere proprio così inconsapevole? O forse semplicemente non voleva vedere.

Ma John aveva passato la settimana precedente a complimentarsi con lui in ogni occasione, dicendogli quanto fosse meraviglioso, quanto gentile, intelligente, quanto bello fosse. A Sherlock non era sfuggito che John aveva trascorso una buona parte della notte semplicemente a fissarlo, abbeverandosi alla sua vista in smoking. Forse avrebbe dovuto indossarne uno più spesso.

Be', la prossima opportunità probabilmente sarebbe stata al dannato matrimonio di John e Mary. Gli sarebbe servito a molto, allora.

E avrebbe preferito cucirsi la bocca piuttosto che dire a John perché non avrebbe mai...

Scosse la testa, frustrato, e riprese a camminare su e giù per il soggiorno. Tutta quella energia repressa in lui, nata dalla rabbia e dalla frustrazione e da un cuore spezzato che non voleva ammettere, aveva bisogno di uno sfogo e se ciò significava che avrebbe dovuto camminare fino alle prime ore del mattino, l'avrebbe fatto. Comunque non c'era nessuno che lo vedesse comportarsi come un animale in gabbia, quindi perché preoccuparsi di fingere?

Forse sarebbe stato ancora intento a farlo quando John sarebbe tornato l'indomani. Se fosse tornato. Beh, probabilmente l'avrebbe fatto. Avevano ricevuto un assegno molto generoso per il loro disturbo, sebbene fosse stato poco più che una faccenda di osservazione. Sapeva benissimo che cosa voleva fare John della sua metà di quel pagamento e aveva cercato di non pensarci troppo. Una piccola, meschina parte di lui aveva preso in considerazione di rifiutare il lavoro, solo per mettere in difficoltà il programma del matrimonio di John. Ma sapeva che non era giusto e John l'avrebbe scoperto. E alla fine, la sua stessa filantropia aveva interferito. Per quanto la maggior parte della gente lo infastidisse, Sherlock aveva un debole per aiutare dove poteva. Anche se significava aiutare un ente di beneficenza a trovare un malfattore al costo di aiutare John a finanziare il suo matrimonio.

Ma il modo in cui John l'aveva guardato non gli sarebbe uscito dalla mente. L'onesto apprezzamento nel suo sguardo quando l'aveva visto nello smoking e l'asprezza nel suo tono quando aveva sfidato Alexander. John era anche solo consapevole di averlo fatto? Aveva capito di essersi comportato come un marito geloso che sta reclamando il proprio diritto?

Sherlock non poteva negare il brivido che gli aveva attraversato la schiena, all’idea di essere rivendicato da John. Forse non era stato molto nel quadro generale delle cose, certamente irrilevante considerando le parole dette da John in seguito, ma l'episodio gli aveva ricordato la notevole gelosia di John tanti anni prima, quando Irene Adler aveva incrociato il loro cammino. A quel tempo, Sherlock aveva ancora la speranza che alla fine avrebbero risolto la situazione, che se lui fosse stato paziente solo per un po' più a lungo, alla fine John si sarebbe reso conto di cos'aveva proprio davanti alla faccia.

Forse quell'idea aveva avuto un ruolo importante nel suo dire di sì quando John aveva suggerito di sposarsi.

Distolse la mente da quel ricordo. Non era un giorno cui potesse pensare con qualsiasi tipo d'imparzialità e in quel momento era già troppo sconvolto per voler aggiungere altro turbamento.

Sherlock iniziò a camminare più in fretta, costringendosi a pensare solo all’oggi.

Che John avesse avuto il coraggio di dirgli di andare a scopare chi voleva! Come se quello fosse così facile. Forse lo era per lui? Ma Sherlock non era fatto in quel modo, non riusciva nemmeno a capire come le persone potessero semplicemente guardare un estraneo a caso e scegliere di portarselo a letto, in modo facile come fare la spesa.

Perfino la sua attrazione per John era stata una sorpresa e il fatto che quasi cinque anni non fossero stati abbastanza per lui per superarlo parlava da solo. Come aveva detto oggi a John: non sarebbe successo.

Non avrebbe mai guardato nessun altro e si sarebbe sentito in quel modo. Era stata proprio una fortuna che John non lo stesse guardando. Almeno era riuscito a trattenersi prima di poter dire qualcosa del genere ad alta voce. Però c'era andato vicino: ‘Non voglio scopare nessuno che non sia tu’ era stato sulla punta della sua lingua e non era sicuro di come John non l'avesse ancora capito. Non poteva onestamente credere che Sherlock fosse rimasto fedele al loro matrimonio per principio, no?

Possibile che John fosse davvero così ignaro? Che potesse essere geloso delle attenzioni di altri uomini verso Sherlock, ma dirgli comunque di andare a corrergli dietro senza rendersi conto della contraddizione di pensiero e azione? Che potesse passare tutta la serata a fissare con aperto apprezzamento l’aspetto di Sherlock e poi tornare a casa dalla sua fidanzata che diceva di amare?

Sherlock non aveva abbastanza esperienza di come le altre persone sentissero queste cose per sapere se ciò fosse possibile. Forse lo era. L'emozione umana si era rivelata più complicata di come l’aveva prevista in ogni singola occasione in cui l'aveva incontrata. Sicuramente questo doveva significare che tutto fosse possibile.

Ma ciò significava che lui aveva ancora una possibilità? Significava che poteva, se avesse avuto abbastanza tempo, in qualche modo far capire a John che non aveva affatto bisogno di Mary? Dio, lo sperava.

L'unica domanda allora era, come? Quando John era così immerso nella negazione, come avrebbe potuto Sherlock raggiungerlo? Non voleva nutrire le proprie speranze, nel caso in cui John avesse finito per allontanarsi ancora di più. Non sarebbe stata la prima volta che Sherlock sbagliava tutto mentre cercava di gestire qualsiasi tipo di emozione.

Sulla base dell'esperienza odierna, il modo migliore per attirare John sarebbe stato flirtare con qualcun altro e sembrare assolutamente meraviglioso mentre lo faceva. Sfortunatamente, poiché aveva già detto a John di non volere qualcuno, era improbabile che lui ci cascasse. Pertanto, avrebbe dovuto limitarsi a sembrare più bello che poteva. John si era complimentato per i suoi capelli l'altro giorno, quindi si sarebbe assicurato di mostrarli al meglio. La maggior parte delle persone guardava i ricci e provava un bisogno immediato toccarli - su quello poteva contare.

Sarebbe stata solo una seduzione lenta e attenta, fatta del tutto incidentalmente. Non ci sarebbe stato flirtare e nessun contatto e niente che potesse allarmare John o fargli pensare che Sherlock stesse cercando di adescarlo. Onestamente non pensava di poterlo fare, anche se ci avesse provato.

No, lui avrebbe gridato al mondo che era presente e disponibile e poi avrebbe solo dovuto sperare che John ricevesse il messaggio e si lasciasse trasportare.

E poi cosa? E se John avesse abboccato alla proverbiale esca, detestando come Sherlock avesse penetrato perfino la sua mente? E se John avesse deciso che lo voleva, dopotutto?

Ricordò lo sguardo negli occhi di John quella mattina, il modo in cui il suo sguardo si era trascinato sul suo corpo dalla testa ai piedi e di nuovo indietro. Persino in retrospettiva, Sherlock rabbrividì, le terminazioni nervose che prendevano vita in risposta allo sguardo evidente.

Forse John avrebbe potuto essere indotto a fissarlo di nuovo in quel modo. Preferibilmente proprio lì, nella privacy di casa dove non c'erano persone intorno che potessero interrompere. La signora Hudson aveva smesso di venire al piano di sopra quando c'era John, a meno che non fosse esplicitamente invitata a farlo, solo per non interrompere qualcosa in modo accidentale. Non aveva detto così tanto, ma Sherlock la conosceva abbastanza bene da indovinare il suo ragionamento.

Sarebbero stati del tutto indisturbati. Solo loro due. Ciò avrebbe dato a John ampie opportunità di fissarlo. E poi chi sapeva cosa sarebbe potuto succedere se Sherlock avesse inclinato la testa in un certo modo o avesse incrociato il suo sguardo per troppo tempo.

Rabbrividì di nuovo e dovette interrompere bruscamente il passo per afferrare la mensola del caminetto: "Cazzo."

Non era quello il piano. Ma, beh, c'era tutta quell'energia repressa, tutta quella tensione che voleva essere rilasciata. Lanciò un'occhiata alla finestra. Aveva iniziato a piovere, condizioni non proprio ideali per una passeggiata nell'oscurità.

Allora perché non restare in casa, invece? Perché non restare qui e pensare allo sguardo di John e alla gelosia di John e a John che lo rivendica?

Era tardi, le porte dell'appartamento erano chiuse e la signora Hudson era andata a letto almeno un'ora prima. Poteva abbandonarsi un po'. Forse se lo avesse tolto dal suo organismo ora, avrebbe potuto mantenere una compostezza migliore la prossima volta che avrebbe incontrato John di persona.

 

NdT

Chiedo scusa a tutti quelli che stanno lasciando commenti, cui non rispondo, ma che apprezzo tantissimo. È un periodo complicato, perché sto cambiando lavoro, quindi sono assorbita da tante cose. Prometto che risponderò a tutte e che farò del mio meglio per aggiornare regolarmente.

Spero di non avere scritto troppi orrori. In tal caso, chiedo venia.

Se non sto facendo scappare via tutti da questa storia, che meriterebbe un trattamento migliore, ma la vita reale sa essere molto invadente, vi aspetto mercoledì prossimo, per un altro capitolo.

Ciao ciao.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

Baker Street, dolce casa

Capitolo 15

John arrivò a casa con il cuore pesante. Le sue stesse reazioni di quella sera gli avevano fatto capire che tutta quella situazione stava andando fuori controllo. Era stato così preso dal ricostruire la propria amicizia con Sherlock, che aveva completamente dimenticato di prendere in considerazione lo strascico di altre emozioni che lui associava al proprio migliore amico.

Doveva porre un freno alla cosa prima che Sherlock avesse la possibilità di accorgersene - o peggio, Mary. Non era giusto neanche per lei, e John sapeva di aver già stabilito la propria strada. Aveva bisogno di qualcuno che fosse suo, qualcuno sicuro, qualcuno le cui possibilità di morire e di lasciarlo indietro non erano minimo al 30 per cento in ogni dato giorno.

C'era un limite al tempo in cui poteva illudersi e dopo il piccolo sfogo di Sherlock di quella sera, non aveva senso lasciarsi scivolare più a fondo in quella particolare tana di coniglio.

"Devo andare a trovare Sherlock domani, – annunciò a Mary non appena si fu tolto il cappotto e le scarpe – per risolvere alcune questioni in sospeso."

"L'hai visto proprio stasera, – protestò Mary – È davvero necessario?"

"Temo di sì. E potrò anche ritirare l'assegno", rifletté John, ricordando improvvisamente il motivo per cui aveva accettato di accompagnare Sherlock in quell’indagine.

Ciò suscitò l'interesse di Mary: "Quale assegno?"

Lui sorrise e si sedette accanto a lei sul divano, circondandola con un braccio e ricordando con fermezza a stesso che questo era ciò che desiderava: "Stasera abbiamo avuto un cliente privato. Di solito sono abbastanza noiosi, ma pagano bene. Abbiamo ottenuto un assegno davvero generoso che di solito dividiamo a metà. È più che abbastanza perché tu ed io possiamo avere una luna di miele assolutamente splendida. Quindi stavo pensando che forse potremmo dare un'altra occhiata a quell'hotel di cui mi hai accennato l'altro giorno."

Mary alzò la testa per guardarlo, con gli occhi lucenti: "Davvero? Oh John!"

Lo baciò e lui sorrise, deliziato dalla sua gioia: "Sì, davvero. Dai, prendi il tuo computer portatile. Andiamo a dargli un altro sguardo."

Trascorsero la serata accoccolati insieme sul divano, scorrendo i siti web degli hotel e provando a decidere quale preferivano. E, anche se andarono a letto abbastanza presto, ci volle molto tempo prima che si addormentassero davvero.

E John cercò di non pensare affatto a Sherlock.

*****

Il giorno dopo vide John arrivare a Baker Street poco prima di mezzogiorno, sorridente e felice del proprio posto nel mondo. Era una bella giornata, la sua fidanzata era felice, la sua amicizia con Sherlock era tanto solida quanto poteva sperare, la pioggia della notte era cessata ed era deciso a non permettere alla propria stupidità di ostacolarlo ancora. Certe cose era meglio che rimanessero sepolte, dove non potevano fare danni.

Fece le scale a due a due e trovò Sherlock in piedi accanto al caminetto, che si esaminava allo specchio con uno sguardo piuttosto critico. Indossava uno dei suoi completi più belli e una camicia che John non gli aveva mai visto indosso, che risaltava in modo impressionante contro la sua pelle pallida.

"Devi uscire?" chiese John, indicando l'insieme.

Sherlock lo guardò sbattendo le palpebre e gli rivolse un sorriso smagliante: "Oh, John! Appena in tempo, volevo la tua opinione su una cosa."

"La mia opinione?"

"Sì. Il mese prossimo è il compleanno di mia madre e per l'occasione sta organizzando un grande evento. Di solito non sono il mio forte, come ben sai. – fece una smorfia – Essere gettato nella stessa stanza insieme a tutti quei familiari, che si vorrebbero evitare, è a dir poco una tortura."

John rise: "Non saprei dire. A cosa ti serve la mia opinione, allora?"

"Ho bisogno di sembrare straordinario, – disse Sherlock – E intendo... come dicono i giovani? Bello da morire. Assolutamente sbalorditivo, è quello a cui sto puntando, John."

John sbatté le palpebre: "Va bene..."

"Ho bisogno che tu mi dica quale di queste camicie mi sta meglio, – spiegò Sherlock – Questa? – fece un gesto riferito a se stesso – O un’altra che ho nell’armadio."

"Uh..." John esitò. Se gli avessero chiesto la sua sincera opinione, avrebbe dovuto dire che Sherlock sembrava sempre bello da morire. Non importava di che colore fosse la camicia che indossava. Ma ovviamente non poteva dire qualcosa del genere ad alta voce. Avrebbe rivelato troppo. E peraltro, non era una cosa da farsi: "Ti rendi conto che non sono per niente esperto di moda, vero? Voglio dire, ti lamenti piuttosto spesso dei miei maglioni."

Sherlock accantonò l'obiezione con un cenno: "Sì, sì, ma almeno tendi ad apprezzarla negli altri."

John non poteva discutere: "Va bene, sì. Fammi vedere l'altra."

Sherlock gli sorrise e balzò in piedi: "Dammi cinque minuti. Oh, e il tuo assegno è sul tavolo da cucina, serviti."

Scomparve in fondo al corridoio e nella sua camera da letto. Scuotendo la testa, John intascò l'assegno senza nemmeno guardarlo e si mosse per sedersi sul divano. Sembrava che fosse incappato per caso in una sfilata di moda. Non riusciva a ricordare che Sherlock avesse mai chiesto apertamente la sua opinione sul suo aspetto tranne per un motivo, che di solito era più sulla falsariga di ‘pensi che io assomigli abbastanza a una persona che è stata appena picchiata o dovrei aggiungere altro sangue finto?'. La moda non aveva mai giocato un ruolo nella cosa, fino a ora.

Be', poteva assecondare Sherlock in questo e poi tornare alla ragione originale per cui era venuto.

E poi Sherlock tornò in salotto e disse: "Bene, che cosa ne pensi di questa qui?" e John alzò lo sguardo e perse il filo dei pensieri proprio come aveva fatto il giorno prima.

Sherlock indossava uno smoking nero che aveva un leggero luccichio sui risvolti e sotto portava una camicia color prugna simile a quella che aveva anni prima. La riempiva molto meglio, ora, e sembrava assolutamente stupendo.

John rimase a bocca aperta: "Uh..."

Sherlock si girò una volta e John scoprì che il suo sguardo si era abbassato un po' prima di rialzarlo frettolosamente alla testa di Sherlock: "O è meglio l'altra? – chiese Sherlock, sembrando insicuro – La mamma ama così tanto mettermi in mostra, solo il cielo sa perché, e voglio che sia contenta."

John deglutì: "Beh, se ti mette in mostra con questo vestito qui, probabilmente avrete gente che formerà una coda disordinata, - riuscì a dire – Quel tizio della raccolta fondi di ieri avrebbe avuto un attacco di cuore."

Sherlock arrossì: "La pensi così?"

"Sono convinto al 100%. – lo rassicurò John e cercò di placare il disagio nel proprio stomaco a quel pensiero – Non potresti essere più mozzafiato neanche se ci provassi."

Con sua sorpresa, il rossore di Sherlock si fece più intenso. "Devi saperlo, – ribadì John, consapevole di stare camminando su un ghiaccio molto sottile – Voglio dire, possiedi un specchio. Devi sapere che sei bellissimo."

Sherlock scosse la testa: "John, ho la faccia più strana del mondo."

John rise: "Davvero, non capisci proprio. Sono sicuro che alcune persone non sarebbero d'accordo con me, ma chi cazzo se ne frega di loro? Tua madre sarà assolutamente deliziata, se ti presenti vestito così."

"Grazie, – disse Sherlock dolcemente – Mi assicurerò di indossare questo, allora."

"Sì," disse John, lasciando che il suo sguardo vagasse di nuovo su Sherlock. Ebbene, l'uomo l'aveva praticamente invitato ad ammirarlo, giusto? Dio, era spettacolare: "Sì, per favore."

Beh, presto qualcuno avrebbe notato che Sherlock era stupendo e avrebbe fatto uno sforzo per riuscire a conoscerlo e scoprire quanto fosse davvero fantastico. Forse per il momento in cui John sarebbe tornato dalla sua luna di miele, Sherlock avrebbe trovato qualcuno che lo apprezzasse nel modo giusto. Ma d'altra parte, lui aveva già detto che non lo voleva, no?

Il pensiero dei potenziali ammiratori di Sherlock gli ricordò il motivo per cui era lì. John si prese un momento per spingere in basso quella gelosia irrazionale.

"Comunque," iniziò, e poi esitò.

"Oh sì, – disse Sherlock, voltando le spalle allo specchio in cui si era esaminato di nuovo in modo critico – Di che cosa volevi parlare?"

John si schiarì la gola: "Mi stavo solo chiedendo se non pensi che sia giunto il momento."

"Il momento per che cosa?" chiese Sherlock e c'era qualcosa nel suo tono che John non riuscì ad analizzare.

"Il momento che tu firmi i documenti, – ribatté John, perché non c'era altro modo di esprimerlo. Non riusciva quasi a costringersi a guardare Sherlock mentre parlava – È ovvio che siamo riusciti a salvare la nostra amicizia e sono sicuro che non andrò da nessuna parte. Tu hai già promesso lo stesso. E Mary sta diventando impaziente, a dirti la verità. Speravamo in un matrimonio estivo in modo da poter sfruttare al massimo il beltempo britannico e il tempo sta per scadere."

Silenzio.

John alzò lo sguardo e trovò Sherlock che lo fissava, il viso completamente inespressivo.

"Devi essere d'accordo che è ben oltre il tempo, – dichiarò, quando divenne chiaro che Sherlock non avrebbe detto nulla – È ridicolo trascinarlo più a lungo."

"Davvero?" domandò Sherlock, la voce atona.

John aggrottò la fronte: "Sì, è stato ridicolo dal momento in cui ho scoperto l'intera faccenda, Sherlock! I migliori amici non si sposano a caso per scherzo!"

Gesticolava in modo furioso con le braccia mentre parlava, sperando che Sherlock non vedesse le sue mani tremare.

"No, – disse Sherlock – Suppongo di no."

John annuì: "Bene. Sono contento che tu sia d'accordo. Quindi per favore firma quei dannati documenti così che io possa riavere la mia vita in ordine e iniziare a pianificare il mio vero matrimonio."

Sherlock fece un mezzo passo indietro e intrecciò le mani dietro la schiena: "John, davvero non capisco perché tu sia così risoluto a sposarla."

"Perché, – ribatté John adagio, misurando attentamente ogni parola – voglio essere sposato con qualcuno che mi ama."

Sherlock aprì la bocca, ma John era troppo concentrato nel trovare le parole per notarlo: "Qualcuno che io possa ricambiare."

Passarono tre secondi. Poi cinque. Poi Sherlock si voltò bruscamente dall'altra parte.

Entrò in cucina, con la schiena dritta come un fuso, e tirò fuori i documenti del divorzio da un cassetto, che John era abbastanza sicuro che contenesse anche diversi abbassalingua e una manciata di scovolini.

Sherlock prese una penna da qualche parte e, con completo sbalordimento di John, firmò in modo rapido. E poi, ancora stranamente senza parole, entrò nella propria camera da letto e si chiuse la porta alle spalle in modo abbastanza fermo da mettere in chiaro che non aveva intenzione di tornare fuori.

John lo segui con lo sguardo, stupefatto. Era stato più facile di quanto aveva pensato che sarebbe stato.

Si alzò, entrò in cucina e prese i fogli. Eccola lì: l’inconfondibile firma di Sherlock, un po' irregolare a causa della rapidità con cui aveva firmato, ma proprio riconoscibile come la sua.

John sospirò e schiacciò giù la strana sensazione che aveva nel petto a quella vista.

Arrotolò i fogli, li mise nella tasca interna della giacca e se ne andò. E poi trascorse l'intero viaggio in taxi chiedendosi perché avere ottenuto l'unica cosa che aveva desiderato negli ultimi due mesi o giù di lì non lo rendesse felice.

 

 

 

NdT

Beh, John caro, come direbbe Gigi Marzullo, visto che ti fai la domanda (finalmente quella giusta), datti pure la risposta (possibilmente altrettanto giusta).

So che la situazione appare abbastanza (molto) disperata e che John sembra così deciso ad andare dritto per la propria strada, da fare quasi venire voglia di sbattere la sua testa (accidentalmente) contro il muro, in modo che impari a vedere e a capire. In modo che comprenda che non si deve lasciare guidare solo dalla paura di soffrire ancora, ma che deve avere fiducia in Sherlock, perché Sherlock lo ama. Esattamente come lui (John) ama Sherlock.

Abbiate fede. All_I_Need non ama Mary. Adora John e Sherlock. Insieme.

Grazie a garfield73 e a T Jill per le loro bellissime recensioni.

So che sono sempre in arretrato con le risposte e vi chiedo scusa, anche per il ritardo nella pubblicazione del capitolo. Dire che è un pessimo periodo è un eufemismo, ma non voglio interrompere questa traduzione perché è un raggio di sole in un momento pieno di nebbia grigia.

Se avessi pubblicato il capitolo nel giorno giusto, ne avrei approfittato per fare gli auguri a Martin Freeman, che mercoledì 8 settembre 2021 ha raggiunto il mezzo secolo.

Non prometto più di aggiornare in un giorno preciso e mi scuso perché non è da me, ma non posso proprio fare diversamente. Prometto, però, di portare a termine la traduzione di questa storia, perché lo meritate tutti quanti.

Ciao ciao.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

Baker Street, dolce casa

Capitolo 16

Nella testa di Sherlock non c'era altro che un vuoto abbagliante.

Riuscì a malapena a non crollare finché non sentì John andarsene prima di barcollare attraverso la porta del bagno e iniziare a vomitare. Vomitò e vomitò fino a quando non gli rimase più nulla nello stomaco, fino a quando il suo corpo non corrispose al vuoto che aveva nella testa e il respiro gli sfuggì in brevi raffiche disperate.

Era arrivato così vicino... così dolosamente, angosciosamente vicino.

"Voglio essere sposato con qualcuno che mi ami," aveva detto John e Sherlock, senza pensarci, aveva aperto la bocca... e poi John aveva continuato: "Qualcuno che io possa ricambiare."

Certo. C'era quello. Si era sinceramente dimenticato, o si era permesso di dimenticare, o almeno aveva messo da parte il pensiero, che John non lo amava, che John poteva apprezzarlo e trovarlo piacevole e considerarlo bello, ma ancora non lo amava. Perché non era così e non era mai stato così e Sherlock era stato stupido a pensare che lo fosse, o che mai avrebbe potuto esserlo.

E pensare che per un momento aveva creduto che John avrebbe detto che aveva cambiato idea. Che era ora di smetterla con quella farsa e ammettere che il sentimento era reciproco e che lui non voleva davvero Mary, dopotutto.

I complimenti, lo sforzo che John aveva fatto per passare del tempo con lui, ogni sguardo e ogni parola gentile che aveva detto... era stato tutto un mezzo per raggiungere un fine. E lui era stato davvero così stupido da pensare che John avesse mai voluto altro che lui firmasse quelle dannate carte. 'Che sciocco da parte sua.'

Cercò a tentoni il telefono e al secondo tentativo riuscì a sbloccarlo. Ci volle tempo prima che lui riuscisse a costringere le proprie mani tremanti a scrivere un messaggio e poi si limitò a fissare lo schermo per un po' prima di ricordarsi che doveva anche inviarlo.

Alla fine lo fece.

E poi si accasciò contro il muro e cercò intensamente di non pensare e in modo ancora più disperato di non provare sentimenti.

*****

John arrivò nell'appartamento che condivideva con Mary un'ora dopo, con una sensazione di malessere nello stomaco. Sapeva di aver in qualche modo ferito Sherlock con la propria insistenza sul divorzio, sebbene Sherlock davvero non avrebbe dovuto essere sorpreso. Sapevano entrambi che sarebbe successo. Entrambi erano d'accordo che erano amici e che avrebbero continuato a essere amici, quindi quale era il problema?

Sherlock non poteva onestamente pensare che John sarebbe stato felice di andare avanti come stavano facendo, giusto? Anche se lui lo fosse stato, Mary sicuro come l’Inferno non lo era. E lui l'avrebbe sposata. Ora lui poteva sposarla.

Il pensiero avrebbe dovuto riempirlo di gioia e felice anticipazione, ma tutto ciò che provava era una sorta di vuoto che non era del tutto in linea con ciò che supponeva che avrebbe dovuto provare. Ma chi lo sapeva? Forse tutte le persone si sentivano così, quando stavano per sposarsi. Forse era solo nervosismo.

John sbuffò a se stesso.

No, era ora di affrontare i fatti: lui non voleva sposare Mary. Non voleva tornare in quell’appartamento e doverlo chiamare casa.

Sposare accidentalmente il proprio migliore amico era stato ridicolo, ma almeno aveva avuto un senso. C'era stato un processo di pensiero logico lì e una solida base di amicizia reciproca. Ciò era molto di più rispetto alla maggior parte dei matrimoni. Non voleva che il suo matrimonio con Mary finisse per essere come la maggior parte dei matrimoni. Voleva che non succedesse.

Quando raggiunse la porta di casa, aveva deciso di parlarne con lei quella sera. Sì, era un cambio di rotta un po' brusco, ma John non era il tipo di persona che si fermava una volta che aveva preso una decisione. Era così che era finito in quel pasticcio in primo luogo, con la sua proposta frettolosa, alimentata da sentimenti feriti. Quella non era una base appropriata per un matrimonio e lui avrebbe sistemato la cosa.

Salì le scale ed entrò silenziosamente nell'appartamento. Mary era andata a sdraiarsi con un’emicrania, quando era andato via, e stava di sicuro sonnecchiando. Si tolse le scarpe senza far rumore, sollevò il proprio cappotto e si bloccò. C'era già una giacca sul gancio. E non era sua.

Qualcosa di freddo gli corse giù lungo la schiena.

Percorse in punta di piedi il corridoio verso la camera da letto, prese due respiri di incoraggiamento e spalancò la porta con un solo colpo secco.

Mary e il suo amante caddero quasi dal letto.

John li fissò senza parlare, mentre si affrettavano a coprirsi, l'uomo che sembrava sorpreso e imbarazzato e poi spaventato e Mary che appariva come se la sua vita stesse deragliando davanti ai suoi occhi.

John annuì una volta, bruscamente: "Non datevi la pena di alzarvi. Non vorrei interrompere. Prenderò solo alcune delle mie cose e mi aspetto che ve ne siate andati quando tornerò a casa. Puoi lasciare il tuo anello sul tavolo della cucina. dato che non ne avrai più bisogno."

Mary ritrovò la voce: "Oh, non ti azzardare a fare lo sprezzante con me, John! Pensi che mi sia piaciuto sapere che uscivi e ti scopavi quel tuo strambo marito ogni volta che ne avevi la possibilità?"

John rise, aspro e privo di senso dell'umorismo: "Vedi, non l'hai mai capito, vero? Non l'ho mai baciato. Non abbiamo scopato. È solo il mio migliore amico. Il cielo sa perché ci siamo sposati, ma comincio a pensare che sia stato un matrimonio migliore di quello che il nostro avrebbe potuto sperare di essere. – fece una pausa – Aveva firmato, a proposito. Non che importi adesso. In realtà stavo per dirti che avrei annullato il nostro matrimonio. Addio, Mary."

E si voltò e tornò dritto fuori dalla porta.

*****

Lestrade irruppe dalla porta quarantacinque minuti dopo che il messaggio di Sherlock era arrivato sul suo telefono: "Sherlock? Sherlock, dove sei? Ma che cazzo, se sei andato da qualche parte…"

E poi entrò in bagno, ancora senza fiato per la folle corsa su per le scale: "Merda. Sherlock? Riesci a sentirmi?"

Occhi vuoti lo fissarono, ma Sherlock respirava e sbatté le palpebre finché non rimise a fuoco lo sguardo.

Greg cadde in ginocchio accanto a lui: "Va bene, va bene. Che cos'hai preso? Quanto? Rispondimi!"

Dio, aveva sperato di non dover mai più trovare Sherlock in quelle condizioni.

"Niente," gracchiò Sherlock dopo troppo tempo.

"Niente, – ripeté Lestrade, la voce piatta per l'incredulità – Non hai preso niente?" "Non avevo niente," ribadì Sherlock. Alzò le braccia e Lestrade dovette prima slacciare i gemelli e i bottoni in modo da poter spingere indietro le maniche della giacca e della camicia. Nessun segno di ago. Beh, nessuno nuovo, solo le cicatrici di anni prima. Sherlock era così pallido che si stagliavano a malapena contro la pelle.

"Che cosa diavolo è successo?"

Sherlock lasciò ricadere svogliatamente le braccia e non sussultò nemmeno quando il suo polso ossuto sbatté contro le piastrelle del bagno: "Ho firmato."

Lestrade aggrottò la fronte: "Bene. Non faremo questa conversazione sul pavimento del tuo bagno. Andiamo. Su, alzati."

Sollevò Sherlock e gli avvolse un braccio intorno alla vita, felice di scoprire che lo stronzo allampanato era almeno in grado di stare in piedi da solo, anche se tremava. Riuscì a riportare Sherlock nella sua stanza e lo depose sul letto: "Bene. Parla con me. Che cos'hai firmato?"

E Sherlock lo guardò con occhi troppo grandi per il suo viso. Sembrava perso e dolorosamente giovane: "I... i documenti del divorzio. Ho firmato i documenti del divorzio."

Greg lo fissò: "Che cosa? Pensavo che non volessi farlo? Lui, non lo so... ti ha costretto? Perché francamente, devi allontanarti da un tizio che…"

"No, – lo interruppe piano Sherlock – No, non mi ha costretto. Solo... mi ha fatto capire che non c'era motivo di resistere."

Lestrade si sedette sul bordo del letto. Bene, cazzo. Che cosa avrebbe dovuto farci con quello? Ma nel profondo non poteva fare a meno di gonfiarsi di caldo orgoglio. Che Sherlock avesse contattato lui, tra tutta l'altra gente, gli faceva pensare che forse questa amicizia non fosse del tutto unilaterale, dopotutto.

"Va bene, – disse – Quindi hai appena firmato i documenti per il divorzio che non volevi firmare. Che cosa ti ha fatto cambiare idea?"

Sembrava che Sherlock stesse per piangere, il che era più orribile di quanto Lestrade potesse mettere in parole in modo semplice: "Lui... lui ha detto che voleva essere sposato con qualcuno che lo amasse."

Lestrade sbatté le palpebre: "Ma io pensavo…"

Sherlock parlò proprio sopra di lui, con un pericoloso tremolio nella voce: "E poi ha detto che voleva essere sposato con... con qualcuno che lui... avrebbe potuto ricambiare."

Bene, – pensò Lestrade – Merda.'

All'improvviso, la tentazione di imbrogliare e cercare quello che ora era l'ex marito di Sherlock era quasi troppa. Voleva trovare quel bastardo e scambiarci una parola o due. Ma prima doveva prendersi cura di Sherlock.

*****

John era rintanato in un pub vicino all'appartamento suo e di Mary – beh, ex appartamento, ora – fissando in modo cupo il bicchiere mezzo vuoto, quando gli squillò il telefono.

Per un momento, pensò di ignorarlo, ma poi si rese conto che era Lestrade. Avrebbe potuto esserci un caso. Proprio la cosa giusta per distrarlo ora.

"Sì?"

"John, hai un'ora o giù di lì? Dobbiamo parlare. È importante."

Lestrade sembrava teso, con la voce più roca del solito.

Ciò mise subito John in allarme: "Certo. Che cos'è successo?"

"Si tratta di Sherlock."

John mollò la pinta non finita.

*****

"John, è bello vederti," esordì Lestrade, dandogli una pacca sulla spalla quando John raggiunse il tavolo nel pub in cui Lestrade aveva chiesto di incontrarlo. Aveva già due pinte davanti che lo aspettavano.

John non poté fare a meno di sorridere alla vista: "Lo stesso è per me, Greg. E anche un tempismo fantastico. Sto avendo un giorno infernale."

Greg fece una smorfia: "Spero di non averti allontanato da niente di importante."

"Nah. Stavo per annegare i miei dispiaceri. Tanto vale farlo in compagnia, eh? Che sta succedendo? Sherlock sta bene?"

Non si era permesso di provare paura durante il tragitto – se fosse stato qualcosa di serio, una situazione di vita o di morte, Lestrade non avrebbe chiesto di incontrarlo in un pub.

Il DI sospirò: "Lui... davvero davvero non sta bene. John... quanto ne sai di questo suo marito? Dell'intero matrimonio, in realtà."

John aggrottò la fronte. Non era quello su cui aveva pensato che sarebbe stata quella conversazione: "Io… non molto, ad essere sincero. Per quanto ne so, è un matrimonio di convenienza. Non è... non è quello che tu o io ci aspetteremmo che un matrimonio dovrebbe essere. – fece una pausa, riflettendo – Non credo che sia mai stato... beh, consumato, suppongo. Perché me lo chiedi?"

Lestrade sembrava cupo: "Mi ha mandato un messaggio circa tre ore fa."

Tese il telefono per mostrare a John lo schermo. Sherlock aveva inviato una sola parola.

"Paladino? Che cosa dovrebbe significare?"

"È un codice, – disse Lestrade, mettendo in tasca il telefono – Gli ho fatto promettere di usarlo se stava per avere una ricaduta. L'ha usato solo una volta, anni fa, e quando sono arrivato sono riuscito a impedirgli di andare in overdose. Quindi puoi immaginare la mia reazione quando l'ho ricevuto oggi. Onestamente non so proprio come ho fatto ad arrivare a Baker Street senza avere un incidente."

Il sangue di John si raggelò a quelle parole: "Sta bene?"

"Fisicamente, sta bene, – lo rassicurò Lestrade in fretta – L'ho trovato sul pavimento del bagno. Era stato molto male, ma penso che sia stata più una reazione emotiva che qualcosa di fisicamente sbagliato con lui. All'inizio era del tutto catatonico, mi ci è voluto un po' per convincerlo a parlare con me. Ma non aveva preso niente. Ha detto che non aveva niente nell'appartamento, che onestamente credo sia l’unico motivo per cui non l'ho trovato con un ago nel braccio."

La sensazione di malessere che John aveva portato con sé per tutto il giorno si intensificò: "Greg..."

Lestrade si pizzicò il ponte del naso e sospirò: "Quindi, ovviamente, gli ho chiesto che cosa diavolo fosse accaduto e ha risposto che aveva appena firmato i documenti del divorzio."

John si bloccò.

Lestrade lo guardò in faccia, vi lesse sorpresa e la fraintese: "Sì. Anche io ero sorpreso. So che non voleva. Me l'aveva detto lui stesso. Ne abbiamo parlato due volte. Immagina questo, convincere Sherlock a parlare della sua vita privata due volte di seguito. E a me, tra tutte le persone. – scosse il capo – Comunque, sapevo che non voleva. Quindi, naturalmente, quando ha detto che aveva firmato, mi sono preoccupato. Ho pensato che potesse essere stato costretto, nel qual caso, sai, tanti saluti al ragazzo, non lasciare che la porta ti colpisca mentre esci. Ma Sherlock ha negato, ovviamente. Ha detto che non era stato così."

"Allora perché ha firmato?" chiese John, perché ormai se lo stava chiedendo da ore.

"A quanto pare il suo caro marito, – Lestrade sputò la parola come se fosse veleno – gli ha detto che voleva stare con qualcuno che amava. Immaginalo! Guardare il tuo maledetto coniuge e dirgli in faccia che non solo non lo ami, ma anche che vuoi qualcun altro invece. Lui è... beh. Sono sicuro che puoi immaginare."

John sbatté le palpebre. Non poteva essere vero.

"Pensavo... pensavo che fosse per comodità, – riuscì a dire – Lui non… non ha mai detto..."

Lestrade scosse la testa: "Maledizione, davvero non te ne ha mai parlato? Beh, immagino che lui non abbia voluto affrontare qualcosa di così pesante, mentre stavate ancora ricostruendo la vostra amicizia. John, il povero stronzo è perdutamente innamorato. Lo è da un bel po' di tempo, se me lo chiedi. E non sta gestendo bene tutto questo."

John fissava e fissava e fissava: "No, – gracchiò infine – Non può essere."

Il DI gli lanciò uno sguardo: "John, conosco Sherlock da otto anni ormai. Potrei non sapere molto su di lui, ma è... è molto diverso dalla persona che era. E ammetto di essere rimasto sorpreso quando ho saputo di questo suo matrimonio. – sorrise in modo storto – Ho sempre pensato che ci saresti stato solo tu, a essere onesti."

John lo fissò con aria ottusa. Si sentiva come se fosse stato ripetutamente bastonato sulla testa: "Che cosa?"

"Beh, era abbastanza ovvio, no? Devi averlo saputo, – ribatté Lestrade – Dio, il modo in cui era solito guardarti. Non sono Sherlock Holmes, ma posso dedurre quando qualcuno si è innamorato, John. Quindi sentire che se n'era andato e si era sposato con chi cazzo sa chi è stata un po' una sorpresa. Scoprire che in realtà ama il tizio, ancora di più. Non ha mai guardato due volte chiunque non fossi tu. Perché pensavi che tutti credessimo che voi due steste insieme? Diavolo, anche Anderson se n'era accorto. Sherlock era davvero così evidente riguardo a quello, John."

John scosse la testa: "Questo è... cazzo."

Lestrade gli lanciò uno sguardo di pietà: "Ascolta, so che non ti sono mai piaciute queste speculazioni, ma non erano così del tutto infondate. Quindi suppongo di capire perché non ti abbia parlato di suo marito, a causa della vostra storia, o meglio a causa della mancanza di essa. Ma sta soffrendo davvero molto. Ed io non posso aiutarlo a superarlo. Ha bisogno di te."

John sollevò in modo molto lento la propria pinta, ne inghiottì la maggior parte in diversi lunghi sorsi e poi abbassò la testa sugli avambracci.

"Ti giuro, Greg, che sono l'ultima persona in assoluto che lui vuole vedere in questo momento."

 

 

NdT

Capitolo pieno di sorprese, in cui Gregory Lestrade fa la parte del leone.

Spero che nessuno pianga l’uscita di scena di Mary.

Greg, invece, è pieno di umana comprensione e di sorprendenti rivelazioni.

Finalmente!

 

Grazie per le recensioni. Vi garantisco che sono di grande incoraggiamento.

 

Ciao ciao.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

Baker Street, dolce casa

Capitolo 17

Quella mattina, Greg Lestrade aveva pensato che avrebbe trascorso un sabato davvero noioso. Non doveva lavorare, quindi aveva dormito fino a tardi, aveva fatto una colazione molto tardiva che conteneva all'incirca due vitamine che si aggrappavano l'una all'altra, piangendo in modo sommesso perché erano tutte sole, e bevuto mezza tazza di caffè.

Aveva appena riflettuto sui meriti comparati di rimanere a guardare la televisione tutto il giorno contro uscire e fare qualcosa che non avrebbe reso il suo giorno libero uno spreco completo, quando era arrivato il messaggio di Sherlock e lo aveva spinto a correre attraverso la città.

Di certo non si era aspettato di trascorrere la giornata come gestore della crisi per un consulente investigativo malato d'amore.

Ma nemmeno nei suoi sogni più sfrenati avrebbe potuto immaginare di stare seduto in un pub con John Watson e ascoltare una storia contorta che coinvolgeva un intero matrimonio, di cui uno dei partecipanti non sapeva nulla, un'amicizia in rovina e una discussione di sei settimane tra una coppia di fidanzati relativa a dei documenti di divorzio che era finita con la sua fidanzata che aveva una relazione. Tutto ciò era culminato qui, in questo pub, proprio di fronte agli occhi attoniti di Lestrade, mentre l'intera storia si riversava da John nel corso di una pinta di birra, un sidro e un grande bicchiere d'acqua.

"... e onestamente non ne avevo idea, – concluse John – Non ha mai detto una parola."

Lasciò ricadere la testa sulle braccia e Lestrade non sapeva se provare pietà o rabbia.

Decise di affrontare le cose in ordine cronologico: “Così Sherlock ti ha drogato e convinto a sposarvi?"

John scosse la testa, ma non la sollevò, la voce attutita dalla manica mentre parlava: “Io... non proprio? Ci ha drogati entrambi e poi io ho suggerito di sposarci e lui ha accettato. Lui ha giurato e spergiurato che non c'era nulla che alterasse la mente, oltre a ciò che avrebbe cancellato i nostri ricordi. Solo il suo non ha funzionato. Ma non c'era niente lì dentro che mi avrebbe reso vulnerabile ai suggerimenti o altro. Ha detto che ha ancora le formule e i campioni, se voglio che uno scienziato indipendente li esamini. Gli credo. So che non era giusto, ma francamente non è certo fuori dal personaggio per il tipo di persona che era a quei tempi e ho fatto pace con questo molto tempo fa. Inoltre, credo che abbia imparato la lezione."

Greg dovette ammettere che aveva ragione su ciò. Il che lo riportò al risultato di questa sfortunata situazione.

"E onestamente non hai mai sospettato che cosa provava?"

"Mai, – sospirò John – L'intera faccenda sarebbe andata in modo molto diverso, se l'avessi fatto. Ma lui ha fatto un ottimo lavoro fingendo che fosse stato un matrimonio di convenienza e niente di più."

Greg si prese un momento per digerirlo.

"Dio, sei un deficiente, – fu quello che alla fine concluse – Cristo, John! Sapevo che tu fossi più o meno ignaro di quanto il nostro ragazzo genio fosse del tutto partito per te, ma non pensavo fino a questo punto."

"Siamo in due, – mormorò John nella manica – L'ho rovinato completamente, non è vero? E pensare che stavo davvero per chiedergli di essere il mio testimone."

Lestrade trasalì: "Quel maledetto idiota avrebbe pure detto di sì, se l'avessi fatto, anche se ciò lo avrebbe ucciso."

Fissò l'ammasso d'infelicità di fronte a sé: "Beh, almeno questo ha più senso di lui che sposa un misterioso sconosciuto."

A se stesso, poteva ammettere quanto questo lo avesse disturbato. Otto anni erano un tempo lungo per imparare a conoscere qualcuno, anche qualcuno così pungente e poco cortese come il fottuto Sherlock Holmes, e Lestrade era rimasto turbato nel profondo all'idea che l'uomo in questione si fosse casualmente innamorato e avesse sposato uno sconosciuto che nessuno di loro aveva mai visto.

Scoprire che si era trattato di John fin dall'inizio aveva un po’ più di senso da un punto di vista emotivo e a livello logico, ma era ancora quasi incomprensibile nel contesto della storia di John.

"E davvero non lo sapevi? Del matrimonio, intendo?"

"Non un dannato indizio, – ribatté John, sedendosi finalmente di nuovo dritto. Sembrava che fosse stato colpito da un camion – Non puoi immaginare la mia sorpresa."

Lestrade scosse la testa. Non ci riusciva davvero: "E non hai mai pensato di chiedergli perché?"

John scrollò le spalle: "Ci ho provato. Ma finivamo per litigare, ogni volta che ci avvicinavamo all'argomento. E onestamente non potevo sopportare di pensarci. All'inizio ho creduto che fosse stata una sua idea e che lui mi avesse costretto a farlo, ma ho capito subito che era una cazzata. Fa molte cose incasinate, ma non ne farebbe mai una del genere. Ed era davvero inorridito quando l'ho suggerito. Ha detto che era stata una mia idea. Il che non ha molto senso, perché all'improvviso avrei suggerito di sposarci?”

Scosse la testa: “Ma questo è tutto ciò che so al riguardo. So che è stata una mia idea e che lui è stato d'accordo. Ha affermato che al momento lo ha fatto perché era ragionevole, ha elencato tutti i vantaggi come l'ospedale, le visite e così via, e non mi sono preoccupato di interrogarlo ulteriormente. Suppongo che avrei dovuto saperlo che c’era di più. Ma, parlando con onestà, non sembrava poi così strano che avesse detto di sì sulla base di questo solo ragionamento."

Lestrade dovette ammettere che John aveva ragione. Non era davvero difficile immaginare che Sherlock facesse qualcosa solo perché era la cosa logica da fare. Tuttavia, l'immagine andò in pezzi nel momento in cui aggiunse John all'equazione.

"Allora che cos'hai intenzione di fare adesso?" chiese con attenzione.

John sospirò: "Dov'è Sherlock adesso?"

"Sempre a Baker Street. L'ho lasciato con la signora Hudson, le ho detto di non perderlo di vista. Penso che lei sappia."

"Certo che lei lo sapeva – mormorò John – Era una dei testimoni, a quanto pare. E non mi ha mai detto neanche una parola al riguardo. Perché nessuno in questa città mi dice mai le cose e basta?"

Lestrade si strinse nelle spalle: "John, non per intromettermi o altro, amico, ma tu tendi a non reagire bene alle sorprese. E hai sempre odiato quando le persone parlavano della tua relazione con Sherlock. O pensavano che ce ne fosse una."

John sospirò: "Sì, suppongo sia giusto. Avrei davvero potuto gestirlo meglio. Ma come avrei potuto saperlo? Nemmeno una volta lui ha anche solo suggerito… – s'interruppe e scosse la testa – Senti, quando ci siamo conosciuti, mi ha detto che era sposato con il suo lavoro. Così ho lasciato perdere ed è andato tutto bene. Lui non ha mai detto di provare... niente, davvero. Sapevo che gli piacevo e sapevo di essere importante per lui. Eravamo amici, quindi era un po’ scontato. Non ho mai pensato di metterlo ulteriormente in discussione. E poi lui è morto ed è stato... beh, ti ricordi."

Lestrade lo fece e desiderò di poter dimenticare: "Sì, – bevve un sorso del proprio drink – Non voglio mai più tornare a quello, se per te è lo stesso."

John annuì: "Nemmeno io. Bene, è meglio che vada. Proverò a sistemare questo casino prima che tutti soffriamo ancora."

Greg annuì in risposta: "Che cos'hai intenzione di fare?"

John sorrise cupo: "Ho causato io questo disastro, quindi sarò io a sistemarlo. È stato bello vederti, Greg. Forse la prossima volta potremo parlare di qualcosa che non cambi la mia intera vita, va bene?"

Lasciò una banconota da dieci sterline sul tavolo e se ne andò.

Lestrade fissò i soldi, sospirò e ordinò un whisky. Almeno non poteva affermare di avere sprecato il suo giorno libero. E una volta che tutto questo casino fosse stato sistemato, avrebbe preso John da parte e gliene avrebbe dette quattro. Ma in quel momento, Sherlock aveva bisogno di John più di quanto lui avesse bisogno che Greg lo rimproverasse. Quello era giusto. Lui poteva aspettare.

*****

John arrivò a Baker Street mezz'ora dopo, con il cuore in gola, ma con le mani e il respiro sicuri.

Incontrò la signora Hudson nel salotto del 221b, dove lei sedeva sulla poltrona di John con una bella tazza di tè. Lo guardò, appoggiò il tè, si alzò, gli si avvicinò e gli diede uno schiaffo. Forte.

"Me lo sono meritato," constatò John dolcemente, massaggiandosi la guancia.

"Dannazione se è vero, giovanotto – sibilò lei – Ferire il nostro ragazzo in quel modo. A che cosa stavi pensando, John?"

"Non stavo pensando, – ribatté lui – Ascolti, le racconterò tutto più tardi, se vuole. Ma per ora devo sistemare tutto questo. Lui dove è?"

"Nella sua camera da letto, – rispose e c'erano lacrime nei suoi occhi gentili – Oh, John, è distrutto. Devi stare molto attento con lui. Se non sei qui per sistemare le cose, puoi girarti e andartene via subito, prima che ti butti fuori a calci io stessa."

John azò le mani in un gesto di pacificazione: "Può crederci o no, ma in realtà non sapevo che cosa stesse succedendo. Non si è mai chiesta perché non ho detto nulla sul nostro matrimonio? Non avevo letteralmente idea che fosse successo fino a quando Mary ed io non abbiamo provato a chiedere la licenza per il nostro. E quando sono venuto qui ad affrontarlo, lui non ha detto nulla su che cosa provava al riguardo, ovviamente. Non eravamo... beh, noi non ci parlavamo nemmeno, perché diavolo mi avrebbe detto qualcosa che avrei potuto usare contro di lui?"

John scosse la testa e le prese le mani: "Sistemerò le cose, signora Hudson. Glielo prometto."

Lei doveva aver visto qualcosa nei suoi occhi, perché annuì: "Va bene. Vado al piano di sotto. Grida se hai bisogno di qualcosa e farò in modo che nessuno venga a disturbarvi."

Lui annuì: "Grazie, signora Hudson."

Lei gli strinse le mani in modo leggero e lo lasciò solo nell'appartamento.

Con Sherlock.

 

 

 

 

NdT

Tutto quello che avete pensato di dire o di fare al povero John, è stato messo in opera in questo capitolo o da Lestrade o dalla signora Hudson. Capisco che tutte parteggiate per Sherlock, il consorte abbandonato, ma abbiate un pochettino di comprensione anche per John. Poverino, non aveva proprio idea dei sentimenti di Sherlock, ha qualche problema di fiducia (e non potete affermare che non abbia qualche ragione), che non sappia osservare è un mantra che lo stesso Sherlock gli ripete allo sfinimento e che non abbia proprio una grande autostima non lo scopriamo certo ora.

Come sempre, grazie a chi stia leggendo e per le recensioni.

Ciao ciao.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

Baker Street, dolce casa

Capitolo 18

John rimase in soggiorno per cinque minuti buoni, cercando di prepararsi per qualunque cosa sarebbe accaduta dopo.

Non riusciva a ricordare un momento in cui si era sentito così male per se stesso e per le proprie azioni. Ma poteva rimediare.

Prendendo un ultimo, profondo respiro per calmarsi, finalmente si tolse le scarpe e la giacca e vagò in fondo al corridoio fino alla camera da letto di Sherlock.

Non ci fu risposta quando bussò, ma non se ne aspettava una. Lentamente, spinse la porta per aprirla e poi rimase in piedi per un po', fissando la figura sul letto mentre il cuore gli si stringeva dolorosamente nel petto.

Sherlock era sdraiato con le spalle rivolte verso di lui, raggomitolato stretto, ancora del tutto vestito con il bellissimo abito che stava indossando prima. Nonostante fosse tanto alto, sembrava incredibilmente piccolo. Respirava in modo molto lieve e John non era nemmeno sicuro che fosse sveglio.

Come era riuscito a farlo senza rendersene conto? Com'era riuscito a guardare Sherlock e dire cose così orribili e non rendersi conto di quanto gli stesse facendo del male?

Incapace di fissarlo più a lungo, lasciò che il suo sguardo vagasse per la stanza. Atterrò sul comodino, che era quasi del tutto vuoto. A parte la lampada e un libro sui funghi, c'era appoggiata sopra solo una cosa: la fede nuziale di Sherlock.

John si fece avanti e la raccolse, rigirando l'anello ancora e ancora nella sua mano. L'iscrizione era ruvida sotto le dita e la lesse di nuovo. XXIX-I.

Il suo respiro tremolò.

29-1.

Avrebbe dovuto sapere subito di che cosa si trattava. Il giorno in cui si erano conosciuti. Era stato proprio lì, per tutto il tempo. Avrebbe dovuto capire subito, fino dall'ospedale, quando l'aveva visto per la prima volta.

"Prendilo."

Sorpreso, alzò lo sguardo. Sherlock non si era mosso per niente e i suoi occhi erano ancora chiusi. Il suo corpo era teso. La sua voce era orribile: "Non lo voglio più."

John scosse la testa e rimise a posto l'anello: "No."

Tutto il corpo di Sherlock s'irrigidì ancora di più al suono della sua voce e John fu sorpreso nel rendersi conto che non lo aveva riconosciuto dai passi. Dio, questo non andava bene.

"E adesso? – chiese Sherlock – C'era qualcos'altro che volevi?"

Dalla propria posizione proprio accanto al letto, John poteva vedere con quanta forza le mani di Sherlock erano serrate attorno a un angolo del piumone. Le sue nocche erano bianche.

"No, – ribatté in tono dolce – Solo te."

Sherlock avvicinò le ginocchia al petto, facendosi ancora più piccolo: "Per favore, non essere crudele."

La sua voce era appena un sussurro e il cuore di John si spezzò in due a quelle parole.

Prima di sapere che cosa stesse facendo, salì sul letto e trascinò Sherlock verso di sé. Lui non oppose resistenza, chiaramente troppo sorpreso per elaborare ciò che stava accadendo, e John riuscì ad avvolgerlo tra le braccia e tenerlo stretto, premendogli il viso nello spazio tra le scapole.

"Mi dispiace. Dio, mi dispiace tanto, non ne hai idea."

Sherlock non si mosse, immobile e rigido tra le braccia di John. Il suo respiro arrivava a raffiche superficiali, il suo cuore martellava sotto la mano di John, troppo veloce per un corpo apparentemente a riposo.

John sospirò: "Non hai mai detto una parola. Io... io non sono bravo in questo, Sherlock. Sei sempre stato così tanto riservato, che quando mi hai parlato di te ti ho creduto sulla parola. Cos'altro avrei potuto fare? Non mi è mai nemmeno venuto in mente, per quanto possa sembrare folle. Suppongo di non essermi mai considerato un buon partito. Come avrei mai potuto presumere che tu, fra tutte le persone, saresti stato in disaccordo?"

Sherlock fece un respiro tremante e per un momento John pensò che avrebbe parlato, ma lui rimase in silenzio. Stava ascoltando, però, e questo era sufficiente.

"Non ho mai avuto intenzione di ferirti, – sussurrò John – Ho bisogno che tu lo sappia. Non ho mai voluto nemmeno una volta ferirti in questo modo. Non sapevo di poterlo fare, a essere sincero. Quando ho saputo del nostro matrimonio, ero sorpreso. Anche costernato. Voglio dire, suppongo che tu possa indovinare come mi sembrava. Sposato a mia insaputa, sposato sotto l'influenza di un qualche composto chimico. Certo non ero felice. E hai elencato tutti quei motivi, e quanto fosse stato logico e quanto avesse avuto senso fatto in quel momento e non ho mai pensato di farti ulteriori domande. Non ho mai pensato nemmeno una volta di presumere che tu avessi un interesse emotivo in esso. Dio sa che a volte posso essere abbastanza lento ad assimilare."

Sherlock non rispose neanche a questo, ma John pensò di sentirlo rilassarsi un po'.

"E sono stato così stupido, – continuò – Dopo che sei morto e ho incontrato Mary, mi sono aggrappato a lei come una persona che sta annegando si aggrappa a un tronco galleggiante. Lei era tutto ciò che mi faceva andare avanti. Quindi quando sei tornato, è stato uno shock. Ed è stato terrificante. E se tu fossi sparito di nuovo? E se mi avessi lasciato di nuovo dietro? Sapevo che non avrei potuto passarci ancora. Te l'ho detto l'altro giorno e volevo dire sul serio: io non posso perderti di nuovo, Sherlock. Così ho cercato di mantenere le distanze per pura autoconservazione, perché sapevo che se ti avessi permesso di entrare di nuovo e tu te ne fossi andato, non sarei stato in grado di farcela. Immaginalo. Stare lontano per evitare di perderti. Che mucchio di stronzate."

Scosse la testa tra sé: "Ero così felice di avere una scusa per rivederti, per parlarti ancora. Per lasciare andare tutta la rabbia, il dolore e la paura. Ma non potevo lasciarmi andare del tutto. E ho continuato a usare Mary come uno scudo. Non era giusto per lei. Non era giusto né per te, né per me stesso. E lei continuava a spingere e spingere ed ero riluttante a parlare del divorzio perché, nel profondo, sapevo di essere felice di avere una scusa per non sposarla. Ma lei continuava a insistere ed io avevo finito i motivi per rimandare. Lei aveva ragione, dopotutto. Era durato abbastanza. Mi sentivo rivoltare lo stomaco, quando sono tornato a casa prima. Le carte sembravano un macigno nel mio cappotto. Non volevo tornare a casa. Non volevo dirglielo."

Sherlock era completamente silenzioso tra le sue braccia, teso in un modo un po’ diverso. John poteva quasi sentire l’incredulità che s'irradiava da lui.

Dalla gola di John uscì una piccola risata: "Ricordi quel tizio alla raccolta fondi che stava flirtando con te? Vederti sorridergli mi ha ferito più di quanto avrei voluto ammettere con me stesso. Ma quando sono tornato a casa oggi, avevo già deciso di annullare il matrimonio e ho trovato Mary a letto con uno sconosciuto, non ho provato nient'altro che sollievo."

Lui scosse la testa: "Quanto è fuori di testa una cosa del genere? Mi ci è voluto così tanto tempo per rendermi conto che le volevo bene solo per lo scudo che mi forniva piuttosto che come persona. Non hai bisogno di legno a cui aggrapparti, quando hai di nuovo un terreno solido sotto i piedi. Non posso credere che mi ci sia voluto così tanto tempo per capirlo. Io sapevo, in fondo, che non avrebbe funzionato. Suppongo che sia per questo che ero così riluttante a fare pressione sulla questione del divorzio, una volta che tu ed io stavamo parlando di nuovo come si deve. Più tempo trascorrevo con te, meno la volevo. Sembrava un’incombenza, come se stessi solo svolgendo il mio dovere fino a quando non avessi potuto tornare da te. Odiavo chiederti di firmare quei documenti, ma sapevo che dovevo farlo. Era giusto. Era ciò che ci si aspettava, anche se lo odiavo. Sono molto bravo a mentire a me stesso, come avrai notato."

Sherlock allora fece un piccolo rumore, uno che John non aveva mai sentito prima e che non avrebbe mai voluto sentire ancora. Strinse le braccia intorno a lui: "Quindi ho una proposta per te e voglio che tu mi dia una risposta sincera, va bene? E se dirai di no, andrà bene e lo accetterò e resterò qui e sarò tuo amico se ancora vuoi che lo sia. Ma se sei disponibile, se pensi di potere avere abbastanza fiducia in me per questo, io voglio dare una possibilità al nostro matrimonio. Voglio portarti fuori a cena ed essere scandalosamente civettuolo e tenerti la mano e chiamarti mio marito. Voglio farlo funzionare."

John prese fiato e alla fine si permise di ammetterlo ad alta voce: "Voglio che funzioni perché ti amo e non voglio perderti mai più."

Sherlock fece di nuovo quel rumore e si voltò bruscamente, seppellendogli il viso nel petto, mentre le sue dita lasciavano andare il piumone per afferrargli invece il maglione.

Non c'era niente da fare per John se non avvolgerlo strettamente con le braccia e tenerlo stretto, seppellendo la faccia tra i capelli di Sherlock e respirarvi dentro. Era come tornare a casa.

Ricordava come Sherlock si fosse aggrappato a lui all'ospedale tante settimane prima, quando l'aveva abbracciato, con quanta forza Sherlock l'aveva tenuto stretto. La desolazione sul suo viso, quando aveva pensato che qualcuno avesse rubato la sua fede nuziale. La sua gioia per la loro uscita al museo, la luce nei suoi occhi ogni volta che lo guardava. Dio, come aveva potuto essere così cieco? Guardando indietro, era evidente.

Era chiaro dalla reazione di Sherlock che era al di là delle parole, che non poteva convincersi a parlare anche se sapeva che cosa dire. Si teneva semplicemente stretto e ci vollero cinque minuti interi prima che John si rendesse conto che Sherlock stava piangendo. Il suo cuore si spezzò di nuovo.

"Mi dispiace tanto, – sussurrò di nuovo – Vorrei che me lo avessi detto. Vorrei essere stato più coraggioso e più onesto con me stesso. Farò di tutto per trattenerti, Sherlock. Di tutto. Ma solo se tu vuoi che io rimanga. Se questo è troppo, se non puoi farlo di nuovo, non ti biasimerò per questo. Me ne andrò, se me lo chiederai."

Questo ottenne una reazione. Sherlock gettò una gamba sopra quelle di John, incastrando i loro corpi il più vicino possibile, e scosse la testa.

John sorrise: "Va bene. Va bene, amore."

E rimase semplicemente dov'era e si tenne stretto.

 

 

 

 

NdT

Sorpresa!! Non potevo lasciarvi in sospeso per due settimane e ho fatto di tutto per riuscire a pubblicare oggi. Nonostante ciò, non riuscirò a rispondere alle vostre recensioni, ma sappiate che sono sempre graditissime, soprattutto perché siete fantastiche.

Venendo a questo capitolo… che dire? John finalmente? Beh… ha capito tutto con “solo”… 14? 15? capitoli di ritardo, ma è John Watson, mica Sherlock Holmes! E, comunque, la dichiarazione vale l’attesa, non credete? Inoltre, che gusto ci sarebbe stato se la storia fosse stata di 5 capitoli invece che di 21?

Grazie a chi stia ancora leggendo. Grazie a garfield73 e alla mia infaticabile Beta T’Jill per le recensioni al capitolo precedente.

Ciao ciao.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

Baker Street, dolce casa

Capitolo 19

A un certo punto doveva essersi addormentato. Sherlock arrivò a quella conclusione perché si era appena svegliato.

Gli faceva male la testa e la gola era dolorante e gli occhi erano sabbiosi. Conosceva quei sintomi e immediatamente aggrottò la fronte. Perché aveva pianto?

Il ricordo tornò un attimo dopo.

John.

John, che aveva scatenato il caos nelle sue emozioni, facendolo a pezzi e rimettendolo insieme nello spazio di qualche ora. Non era sicuro di quali parti dell'intera giornata fossero state reali e quali fossero state un'allucinazione particolarmente assurda.

Ma quando riaprì gli occhi, si ritrovò a fissare l'inconfondibile motivo a trecce del maglione preferito di John.

Sherlock sbatté le palpebre diverse volte in rapida successione, ma lo schema rimase. Così fece il braccio solido che poteva sentire avvolto intorno alla propria vita, che lo teneva stretto. C'era una mano premuta contro la sua schiena, cinque dita che formavano perfetti punti di calore, che s'irradiavano attraverso il tessuto sottile della sua camicia. La sua gamba era gettata sopra quella di John e le sue dita erano aggrovigliate nel maglione di John, probabilmente sgualcendo la lana in modo irreparabile.

Tutto ciò era meglio delle sue fantasie più sfrenate. Questo era il profumo di John nel suo naso e lana ruvida contro la sua guancia e il respiro gentile di John nei suoi capelli e John nel suo letto. Questo era reale.

E John aveva detto... John gli aveva detto tante cose adorabili. Un intero discorso, solo per lui. Era più sentimento di quanto Sherlock gli avesse mai sentito ammettere. Alla faccia di tutti quelli che affermavano che Sherlock fosse riservato, di sicuro non avevano mai provato a convincere John ad aprirsi sui propri sentimenti. Era chiuso in modo più ostinato di qualsiasi ostrica. Eppure eccolo qui, dopo avere fatto a Sherlock un discorso abbastanza incredibile, che era culminato in... inspirò e chiuse gli occhi.

No, non poteva essere vero.

Ma John era proprio lì, aggrappato a lui tanto strettamente quanto lui era aggrappato al suo maglione. Non avrebbe permesso a John di avvicinarsi così tanto se non avesse detto o fatto qualcosa di significativo.

E la fantasia di Sherlock non era abbastanza buona per immaginarlo mentre lo diceva. Non quelle tre parole che aveva desiderato sentire per così tanto tempo.

Gli echeggiarono nella mente e lasciò che lo annegassero, del tutto sopraffatto.

'Ti amo. Ti amo. Ti amo.'

La voce di John, le parole di John. John, proprio qui, che lo abbracciava.

Come si adattava all'altra cosa che John aveva detto prima?

Il dubbio fece capolino nella sua mente e Sherlock si irrigidì, diviso tra il desiderio di mettere un po' di distanza tra loro e restare lì per sempre. Il riflesso della fuga vinse.

Si sedette di scatto.

"Sh'lock? – John borbottò e aprì gli occhi. Sorrise. Quindi notò l'espressione sul viso di Sherlock e il sorriso si trasformò in qualcosa di più serio – Ehi. Che cosa sta succedendo?"

"Hai detto… – Sherlock deglutì. Il ricordo di quel dolore – Hai detto che volevi essere sposato con qualcuno che amavi."

"Oh. – anche John si raddrizzò a fatica – In realtà, ho detto che volevo essere sposato con qualcuno che io potessi amare."

Sherlock sussultò e John fece una smorfia: "Mi dispiace. Non è ciò che intendevo. Volevo dire... volevo dire che io volevo qualcuno che fosse sicuro per me amare. Qualcuno che avrei potuto amare ed essere sicuro di essere ricambiato. Non so perché io abbia pensato che Mary andasse bene, ma è così. Non mi è mai venuto in mente che tu lo facessi. Greg ha dovuto dirmelo in faccia."

Sherlock aggrottò la fronte: "Greg?"

"Lestrade, – chiarì John – Mi ha chiamato e ha chiesto di incontrarmi dopo averti lasciato alle cure della signora Hudson. Voleva chiedermi quanto sapessi di questo tuo matrimonio, voleva un consiglio. Mi ha detto del tuo messaggio e di come ti ha trovato e che tu… – deglutì – … che tu amavi tuo marito. E prima che me ne rendessi conto, gli ho raccontato l'intera storia. Sinceramente, non avevo la minima idea finché non me l'ha detto."

Scosse la testa, chiaramente arrabbiato con se stesso, e prese le mani di Sherlock: "Sul serio non lo sapevo. Non osavo sperare, davvero. Mi dispiace che mi ci sia voluto così tanto."

Sherlock fissò le mani di John sulle proprie, meravigliandosi della sensazione che coprissero le sue: "Io... io volevo dirtelo. L'ho quasi fatto, un paio di volte. Ma ogni volta che pensavo che avrei avuto una possibilità, tiravi fuori di nuovo il divorzio, o Mary, o entrambi. Non mi sono illuso nemmeno per un attimo di credere che la nostra amicizia potesse sopravvivere, se te lo avessi detto."

"Ma... ci siamo sposati, – ribatté John – Tu… tu dovevi sapere che a un certo punto l'avrei scoperto. Devi aver pensato a come avrei reagito."

"L'ho fatto, – concordò Sherlock – All'inizio, non credevo che te ne saresti davvero dimenticato. Drogarti senza che tu lo sapessi o senza il tuo consenso è stato sbagliato e mi dispiace, ma non mi sarei mai aspettato che cancellasse sul serio la tua memoria. Sapevo che c'era una possibilità, ma ha davvero colpito il segno solo la mattina dopo, quando ti sei comportato come se non fosse accaduto niente. E poi ho pensato che andasse bene. Potevamo continuare come avevamo sempre fatto. Non era cambiato nulla. E poi è successo Moriarty ed ero sicuro che lo avresti scoperto, allora. Ero sicuro che qualcuno te l'avrebbe detto e ho pensato che non avesse importanza perché io comunque non avrei potuto vedere la tua reazione. Ma poi sono tornato ed eri furioso, ma non l'hai mai menzionato. Non una volta. E poi non mi hai parlato affatto, quindi non ho avuto la possibilità di dirtelo anche se ci avessi pensato. Onestamente, c'erano cose più importanti nella mia mente. – scosse la testa, ricordando quei primi mesi dopo il suo ritorno, solitari e senza John – Volevo solo vederti. Mi sono reso conto che non ne avevi ancora la più pallida idea quando ti sei presentato di nuovo quattro mesi più tardi con le carte del divorzio."

Anche adesso, l'ondata di sollievo alla vista di John e la dolorosa consapevolezza del motivo per cui era venuto erano difficili da esprimere a parole: "Sapevo che se avessi firmato i documenti allora, te ne saresti andato e non ti avrei rivisto mai più. Non potevo farlo, John. Ho suggerito il primo accordo che mi è venuto in mente, sperando che se avessimo trascorso abbastanza tempo insieme, avresti rinunciato a questa illusione di volerla sposare, sperando che tu tornassi a casa. Ammetto di essere stato un po' troppo ottimista."

Abbassò lo sguardo: "E devo ammettere che non ho mai avuto intenzione di firmare. Mi dava la sensazione di firmare per buttare via la mia anima. Volevo così disperatamente che tu rimanessi. Ho visto il modo in cui mi guardavi alla raccolta fondi. Ho visto la tua gelosia quando Alexander ha flirtato con me. Mi ha dato la speranza che forse, se io avessi giocato bene le mie carte, ti saresti accorto che non avevi bisogno di lei per renderti felice. Hai passato così tanto della scorsa settimana facendomi dei complimenti, che avevo iniziato a pensare che lo stessi finalmente comprendendo. Non puoi immaginare come mi sia sentito quando mi hai chiesto di nuovo di firmare. Volevo rifiutare, lo volevo davvero. E poi hai detto quello e ho capito che non avevo mai avuto alcuna possibilità. Che mi ero illuso per tutto quel tempo. Io... io onestamente non ricordo che cosa sia successo dopo che ho firmato quei dannati documenti. Sono sbalordito di non avertelo semplicemente urlato in faccia. Continuavo a pensarlo, sai? 'Non farmi questo, io ti amo, ti amo, ti amo'. " La sua voce si spezzò e non riuscì a trovare il coraggio di guardare John negli occhi più a lungo di un secondo.

"Non hai detto una parola, – dichiarò John in tono dolce – Nemmeno una parola."

Si leccò le labbra, sempre segno che era a disagio, ma determinato ad andare avanti: "Ma ti sento ora. Ti ho sentito, Sherlock. E ti amo anch'io."

*****

Lo sguardo sul viso di Sherlock a quelle tre parole era incomparabile, qualcosa di insopportabilmente dolce e vulnerabile, il tutto avvolto in uno spesso strato di incredulità.

John non poteva biasimarlo per questo. Dopo tutto quello che era successo, sarebbe stato più sorpreso se Sherlock avesse semplicemente accettato le sue parole e fosse andato avanti.

Esitò: "Tu... non mi hai mai risposto."

Sherlock sbatté le palpebre, gli occhi spalancati: "John... certo che lo voglio. È tutto quello che ho sempre voluto."

Sembrava che metà delle Alpi gli venissero sollevate dal petto. John inspirò, poi espirò, poi inspirò di nuovo, e tentò di impedire che il sorriso sciocco gli si diffondesse sul viso. Non ebbe molto successo.

Incapace di fermarsi, lasciò andare una delle mani di Sherlock e allungò la mano per prendergli il viso, accarezzando con il pollice quello zigomo impressionante: "Allora è esattamente quello che otterrai."

Guardò l'orologio: "Dopo che avremo dormito ancora un po'. È notte fonda. Vieni su, sdraiati di nuovo. Abbiamo avuto una giornata stressante, puoi riposarti un po'."

Sherlock annuì contro la mano di John: "Hai ragione. Ma magari non con questi vestiti. Dammi un minuto."

Districò le loro mani con visibile riluttanza, afferrò il proprio pigiama e scomparve nel bagno. John dovette ammettere che era una mossa intelligente e decise di seguirne l'esempio. Non aveva lasciato abiti a Baker Street, ovviamente, ma si tolse comunque il maglione e i jeans e rovistò nell'armadio di Sherlock per rubargli un paio di pantaloni del pigiama di flanella.

Quando Sherlock tornò dal bagno, si fermò di colpo per un momento, fissando John come se stesse vedendo un miraggio.

John sorrise: "Vedi qualcosa che ti piace?"

Sherlock deglutì, ma ricambiò il sorriso: "Decisamente."

Si rimise a letto e scivolarono insieme sotto le coperte, voltandosi l'uno verso l'altro e riprendendo la loro precedente posizione come per un tacito accordo.

Sherlock sospirò: "Non mi abituerò mai a questo."

"Non ti senti a tuo agio? – chiese John, preoccupato – Possiamo spostarci se…"

"No, voglio dire... questo. Non mi abituerò a questo. Averti qui con me. Non lo darò mai per scontato, John."

"Oh."

John sorrise e non riuscì a trattenersi dal premere un bacio sui riccioli scuri di Sherlock: "È tutto a posto. Comunque sarò qui. Possiamo essere piacevolmente sorpresi ogni giorno per il resto della nostra vita insieme."

"Sì, – mormorò Sherlock, stringendo leggermente la presa su di lui – Facciamolo."

Stavano quasi dormendo quando John se ne ricordò: "Oh, aspetta!"

Sherlock emise un suono vagamente incuriosito quando John accese di nuovo la luce e si allungò verso il comodino: "Dammi la mano. No, l'altra."

A quel punto, Sherlock comprese ciò che John voleva: "John..."

"Per favore, lasciamelo fare. Lascia che lo aggiusti."

In silenzio, Sherlock tese la mano. John la tenne dolcemente, e altrettanto delicatamente alzò l'altra, impugnando la fede nuziale in titanio di Sherlock.

"Sherlock Holmes, sei l'uomo migliore e più gentile che abbia mai incontrato. Il più brillante e bello, pure. Non ti merito e non ti ho dato abbastanza amore e adorazione, certamente non tanto quanto ne meriti. Ma mi farò perdonare se me lo permetterai. Quindi, nei giorni buoni e in quelli cattivi, sulle scene del crimine interessanti e nelle serate noiose a casa... vuoi essere mio?"

Sherlock lo fissò, gli occhi scintillanti. Gli ci vollero due tentativi per trovare la voce: "Sì."

John sorrise e fece scivolare di nuovo l'anello al dito, al posto cui apparteneva.

*****

Circa sei ore dopo, la signora Hudson, preoccupata dal continuo silenzio che veniva dal piano di sopra, decise per portare la colazione ai suoi ragazzi. Sperava anche di trovare John ancora presente nell'appartamento, ma era ben consapevole che lui avrebbe potuto essere andato via a un certo punto della notte.

Quando entrò in cucina, l'appartamento era silenzioso. Trovò il cappotto e le scarpe di John dove erano solite essere e sorrise tra sé, mentre appoggiava il vassoio. E poiché era la signora Hudson e non aveva alcuna vergogna, sgattaiolò lungo il corridoio per sbirciare attraverso la serratura della porta nella stanza di Sherlock, solo per assicurarsi che i suoi ragazzi stessero bene.

Erano rannicchiati nel letto di Sherlock, vestiti in modo abbastanza chiaro e altrettanto chiaramente addormentati. Lei colse il modo in cui i loro arti erano intrecciati, notò l'anello sulla mano sinistra di Sherlock e il suo sorriso si allargò. I suoi poveri cari, ne avevano passate troppe perché chiunque potesse sopportarle. Era contenta che si fossero finalmente ritrovati.

Sempre sorridendo, tornò in punta di piedi lungo il corridoio, scarabocchiò un breve biglietto e lo appoggiò contro il piatto pieno di panini che aveva preparato e se ne andò silenziosamente come era venuta.

Nella camera da letto, Sherlock e John continuarono a dormire, ignari della loro visitatrice, ma nella certezza che, per ora, non sarebbe potuto accadere loro nulla di male. Non mentre avevano l’un l’altro cui aggrapparsi.

 

NdT

Sono leggermente in ritardo, ma ieri mi è stato proprio impossibile aggiornare. Sono teneri i nostri due novelli sposi, non trovate? E la mitica signora Hudson è tutti noi!

Grazie a Himeko82, garfield73, T Jill e Alicia05xxx per le recensioni.

Ciao ciao.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


NdT: Ding dong, sì, sono T'Jill e sì, l'ho fatto di nuovo. La nostra Liriel4444 aveva un po' troppo da fare al momento e mi ha generosamente concesso il permesso di mettere la cigliegina sulla sua torta, terminando la sua traduzione di questa bella storia. E potevo perdere l'occasione di postarla proprio oggi? Oggi che è il 29 gennaio, la data incisa nell'anello di Sherlock? 🥰 Ovviamente no, e quindi eccoci qui. Enjoy 😘



Baker Street, dolce casa

Capitolo 20

Quando John si svegliò la mattina dopo, non fu affatto sorpreso di trovare una mezza dozzina di messaggi di Lestrade che lo aspettavano sul suo telefono.

"Buona fortuna amico."

'Come sta lui?'

'Scrivi se hai bisogno di qualcosa.'

'È tutto a posto?'

"John, sono passate le 15, se non rispondi verrò io"

Quest'ultimo era stato inviato mezz'ora prima. Sospirando, John digitò una risposta frettolosa. "Tutto bene, dacci un po' di tempo" e premette ‘invio’.

"Che cos'era questo?" mormorò Sherlock contro il suo petto.

"Lestrade è preoccupato per te. Gli ho detto che stiamo bene e di concederci un po' di tempo."

Sherlock mugolò. "È un ascoltatore sorprendentemente buono."

Questo fece sbuffare John. "È un ispettore di polizia. È ovvio che sa ascoltare. Fornire un orecchio comprensivo mentre le persone ti dicono per filo e per segno perché erano perfettamente giustificati nell'assassinare il loro vicino di casa è una parte principale della descrizione del lavoro.”

"Hm, vero. Non avrei mai pensato che l'avrebbe usato su di me, però."

"Gli hai mandato un messaggio," gli ricordò gentilmente John. "A proposito, sono contento che tu non abbia preso niente. Non dev'essere stato facile."

Sherlock fece una mezza scrollata di spalle. "In realtà è stato solo perché non avevo nulla in casa. Avrei potuto farcela ad attraversare tutto l'appartamento ma di certo non ad arrivare fuori casa e fino allo spacciatore più vicino. Una bella fortuna, anche. Sinceramente non sono certo che non avrei sbagliato la dose.”

John rabbrividì. "Non... ti prego, non dirlo. Non pensarci nemmeno. Se ti avessi perso di nuovo..."

"Lo so," mormorò Sherlock. "Ora lo so. Ma ieri non lo sapevo. Meno male che è un punto irrilevante."

John annuì adagio. "Sì. Ed è meglio che rimanga in questa maniera, anche."

"Lo prometto," disse dolcemente Sherlock. "Non ne ho più bisogno."

Rimasero entrambi in silenzio per un po', accoccolati insieme nel grande letto di Sherlock, godendosi semplicemente la reciproca compagnia.

Alla fine, Sherlock parlò di nuovo, con voce molto sommessa. "John... è reale?"

John sorrise. "Sì. Sorprendentemente, lo è. Più reale di qualsiasi altra cosa che abbia mai fatto o provato in vita mia. E il cielo sa che ho visto un sacco di vere stronzate, come dicono i ragazzi."

Sherlock ridacchiò. "Hmmm. È così che dicono i ragazzi, allora? Come chiamerebbero quello che stiamo facendo?"

"Coccole," disse John, con un sorrisetto. "Lo chiamano coccolarsi."

In risposta ricevette un brontolio arrabbiato, ma non lo prese sul serio perché Sherlock non si mosse per allontanarsi da lui. "Sai, penso che preferirei un altro termine."

John sorrise. "Certo che sì. E quale termine vorresti usare, invece?"

Sherlock si avvicinò. "Pomiciare?"

C'era qualcosa di esitante ma pieno di speranza nella sua voce che fece stringere il cuore di John.

"Oh," mormorò. "Oh, sì. Posso baciarti, Sherlock?"

Sherlock annuì, con gli occhi che brillavano. "Per favore."

Così John gli cullò la guancia, accarezzando con un pollice quello zigomo affilato che aveva ammirato così spesso. Gli occhi di Sherlock erano spalancati e fissi su di lui.

John sorrise dolcemente prima di chiudere il divario tra loro e premere insieme le loro bocche.

Sherlock sospirò contro di lui, rispondendo quasi all’istante, e John mosse un poco le labbra, afferrando il labbro superiore pieno di Sherlock tra le proprie labbra e succhiandolo leggermente. Sherlock gemette e aprì maggiormente la bocca, accalcandosi più vicino.

John aveva pianificato di iniziare adagio, di baciarlo piano, con dolcezza, calorosamente, fino a quando Sherlock non fosse stato davvero bene e fosse stato davvero baciato fino all'oblio, ma naturalmente Sherlock doveva essere così reattivo, doveva rispondere a ogni movimento con un sospiro o un morbido gemito. I suoi occhi si erano già chiusi e John si ritrovò prontamente ad approfondire il bacio molto prima di quanto avesse intenzione di fare, tirando Sherlock più vicino con una mano sulla schiena.

Obbedientemente, Sherlock aprì ancora un po' la bocca e John leccò l'interno, affamato di più di questo e cercando di dire a se stesso di andare piano, di essere gentile. Per quanto ne sapeva, Sherlock non aveva mai baciato nessuno prima di allora. Meritava che fosse fatto bene.

Sherlock gemette, afferrò due manciate della t-shirt di John e si girò sulla schiena, trascinando John con sé. Non era affatto quello che John aveva avuto intenzione di fare, ma ora che era lì, trovava difficile ricordare il perché.

Era difficile ricordarsi di andare piano quando Sherlock giaceva sotto di lui, ansimando nella sua bocca e aggrappandosi a lui, flessibile e desideroso. La sua bocca era così calda e John non voleva essere da nessun'altra parte, non ricordava nemmeno di aver mai voluto essere da nessun'altra parte o di fare altro che baciare Sherlock per ore e ore.

Lo baciò, lo baciò e lo baciò, finché entrambi si dimenticarono com'era non farlo, finché non notarono a malapena le piccole pause per il respiro di cui avevano bisogno.

John non riusciva a ricordare l'ultima volta che aveva passato così tanto tempo a baciare qualcuno, esplorando la bocca di un partner con così tanta attenzione ai dettagli, o così tanta ansia di sapere ogni piccola cosa. Non voleva perdere un momento di tutto questo.

Alla fine si allontanò, respirando affannosamente.

Sherlock aprì gli occhi e lo fissò, con un'aria stordita e meravigliosamente arrossata. La sua bocca era rossa e gonfia per i loro baci e il suo respiro giungeva in ansimi morbidi e irregolari.

"John ..."

"Ti è piaciuto?" chiese John, dovette chiedere. Era importante.

Sherlock si leccò le labbra e annuì. "Io... sì. Di più?"

John mugolò in assenso e si abbassò per baciarlo di nuovo, cullandogli il viso con entrambe le mani in modo da potergli inclinare la testa come voleva, far combaciare le loro bocche in modi sempre nuovi finché Sherlock si mise a piagnucolare sotto di lui, le dita aggrappate alla maglietta di John. John si sentì un po' compiaciuto per questo. Baciare era una cosa in cui sapeva di essere bravo, e ne era orgoglioso. Era bello sapere che Sherlock non ne era affatto immune.

"Oh," disse dolcemente Sherlock. "John..."

Afferrò John per il colletto della maglietta e lo tirò di nuovo giù, la bocca che cercava la sua, le labbra urgenti, e John gemette in risposta all'improvviso cambiamento del loro bacio, l'urgenza e la fame in più che provenivano da Sherlock. Dio, era bello essere desiderati. Una voce insidiosa nella sua mente sussurrava che baciare Mary non era mai stato così. La spinse via. Non era importante ora. Solo Sherlock contava. Sherlock sotto di lui, la lingua curiosa di Sherlock che gli leccava la bocca, saggiando le acque.

John rispose con gioia, gemendo piano mentre il loro bacio si intensificava di nuovo, e lasciò che la fame sfuggisse di un altro centimetro dal suo guinzaglio.

Era la perfezione.

Non sapeva quanto tempo fosse trascorso quando finalmente si separarono di nuovo, ma pensava che sarebbero potute passare ore. Sherlock respirava pesantemente ei suoi occhi erano semichiusi e scuri, il battito del cuore troppo veloce per qualcuno a riposo.

John sorrise e gli fece scorrere entrambi i pollici sugli zigomi. "Dio, la tua bocca. Volevo farlo da secoli."

Sherlock sbatté le palpebre. "Davvero?"

E, oh, l'insicurezza nella sua voce, quella vulnerabilità nei suoi occhi, trafissero John come un coltello.

"Sì," ammise. "Più di quanto avrei voluto ammettere anche a me stesso. Ma è sempre stato vero, anche quando ero impegnato a negarlo. Una parte di me lo ha sempre voluto.”

Sherlock gli sorrise. "Tutto di me lo voleva,” confessò. "Fin quasi dall'inizio."

John non era sicuro se il suono che aveva fatto fosse una risata o un singhiozzo e si chinò per attutirlo contro le labbra di Sherlock. "Vorrei averlo saputo prima."

Ma dio, aveva ottenuto così tanto adesso: la bocca di Sherlock sulla sua, il corpo di Sherlock sotto il proprio... John si spostò un po', cercando di trovare una posizione più comoda.

Sherlock boccheggiò e sussultò quando la gamba di John sfiorò la sua evidente erezione. Era troppo presto per quello, lo sapevano entrambi. “Scusa,” mormorò John. "Lasciami..."

Rotolò di lato, trascinando Sherlock con sé finché non furono stesi fianco a fianco, fissandosi l'un l'altro. "Piano," disse John a bassa voce. "Andremo piano, vero?"

Sherlock si morse il labbro inferiore gonfio di baci e annuì. "Sì. Voglio andare piano, ma temo anche di non volerlo sul serio."

John rise. "È giusto. Ma terremo a mente gli obiettivi a lungo termine qui, sì? La gratificazione istantanea sarà piacevole per il momento, ma entrambi meritiamo qualcosa di meglio.”

Sarebbe dovuto essere uno sciocco per non notare il sollievo negli occhi di Sherlock, anche se mescolato con la delusione. John empatizzava completamente. "Vieni qui."

Attirò Sherlock di nuovo più vicino, avvolgendo le braccia intorno a lui e unendo le loro gambe finché non furono intrecciati quanto più potevano esserlo mentre erano ancora vestiti.

Premette una serie di baci su qualsiasi parte del viso di Sherlock potesse raggiungere in quella posizione. "Va tutto bene. Rilassati. Andrà tutto bene. Abbiamo tutto il tempo del mondo per fare nient'altro che questo."

Sherlock annuì. “Non voglio fare nient'altro che questo,” mormorò. "Voglio tutto, John. Voglio baciarti il ​​collo e il petto. Voglio scoprire che sensazione danno i tuoi capezzoli nella mia bocca e se c'è qualche differenza tra di loro. Voglio assaporare la tua pelle e il tuo sudore e il tuo sperma, se me lo permetterai."

John gemette al quadro che Sherlock stava dipingendo nella sua testa. "Oh, dio, sì. Puoi avere tutto questo, amore. Tutto questo e altro ancora. Ma non tutto in una volta. Non vorrei sopraffare quel tuo bel cervello. E lo farà, te lo prometto."

Sherlock annuì di nuovo, molto seriamente questa volta. "Sì, potrei dirlo proprio ora. Baciarti mi spegne il cervello meglio di quanto non abbia mai fatto la cocaina."

John rise. "Ne sono lieto. La prossima volta che tutto diventa troppo, puoi semplicemente venire da me e sarò felice di baciarti finché non dimenticherai del tutto a cosa stavi pensando."

"Grazie," mormorò Sherlock. "Farò in modo di ripagare il favore in qualsiasi momento."

"Ti prendo in parola," disse John, sorridendo. "Di solito non ho bisogno di spegnere il cervello, ma posso già dire che dovrò baciarti un sacco."

Gli venne in mente un pensiero. "A proposito di... ti ho almeno baciato al nostro matrimonio?"

Sherlock esitò e poi annuì una volta, a scatti. "L'hai fatto. Niente del genere, però. Niente di simile a questo. Ho... cercato di non pensarci."

"E' giusto," disse piano John. "Avrei dovuto baciarti come si deve. Avrei dovuto baciarti fino a mandarti fuori di testa."

"Penso di essermi sentito abbastanza fuori di testa comunque, in quel momento," ammise Sherlock.

John si sentì male per l'implicazione. "Vorrei ricordarlo," disse piano. "Me lo racconterai finalmente? Hai detto che è stata una mia idea, ma non ho mai capito bene come sia successo o perché. Suppongo di non averlo chiesto."

Ci fu un'altra esitazione, ma sembrava meno perché Sherlock non era disposto a parlare e più un caso in cui raccoglieva i pensieri.

"Be', sai già che ti ho rifilato quel composto per vedere se avrebbe indotto un blackout. Ne ho preso un'altra versione perché sembrava più facile controllare solo due opzioni allo stesso tempo. Ho preso appunti dettagliati per me stesso, così sarei stato in grado di controllare in seguito nel caso in cui fossi io quello colpito. La giornata è stata perfettamente normale per un paio d'ore. Stavi sfogliando il tuo blog e leggendo le tue e-mail o cose del genere. Penso che tu abbia ricevuto una e-mail da un compagno dell’esercito perché hai menzionato Bill Murray in una divagazione. E poi per un po' sei diventato molto pensieroso. All'epoca pensavo che ti stessi ricordando del tuo tempo in Afghanistan, quindi ho scelto di lasciarti stare. Ho suonato il violino, qualcosa di rassicurante, sperando che ti aiutasse a mantenere la calma. Brahms, credo. E poi ti sei seduto dritto e hai detto: ‘Pensi che dovremmo sposarci?’ Ero nel mezzo del secondo movimento e di solito non interrompevi la mia sonata a meno che non fosse importante.”

Sherlock sorrise. "Ho quasi lasciato cadere il violino."

John ridacchiò. "Be', non sono sorpreso. Dev'essere venuto fuori dal nulla."

"Forse se avessi visto l'e-mail, saprei cosa aveva detto che ti ha portato a quel punto. Dev'essere stato in qualche modo correlato al matrimonio, ma non conosco i dettagli. Tutto quello che posso fare è speculare, a meno che tu non abbia ancora quell'e-mail da qualche parte." Sospirò. “Sono rimasto così sorpreso che in realtà mi sono del tutto dimenticato del mio esperimento su entrambi. Mi è tornato in mente la mattina dopo.”

"Quindi cosa è successo poi?" chiese John. "Devi aver pensato che fossi pazzo."

"Ti ho chiesto perché," ricordò Sherlock. "E mi hai fornito un elenco di ragioni perfette. Che dovevamo avere accesso l'uno all'altro se uno di noi fosse stato ricoverato in ospedale, che avremmo dovuto avere una sorta di protezione legale contro l'essere usati come testimoni l'uno contro l'altro - mi hai ricordato il tassista cui avevi sparato come ottimo esempio, e dato che stavamo già condividendo le nostre vite, le nostre finanze e tutto il resto, aveva senso.”

John deglutì. "Non riesco a credere di aver fatto niente di tutto questo." Scosse la testa. "Voglio dire, ti credo quando dici che l'ho fatto, ma anche se ne andasse la mia vita non riesco a capire cosa deve avermi posseduto."

Sherlock scrollò le spalle. "Onestamente ero troppo sorpreso per mettere in discussione le tue motivazioni. E avevi ragione. Aveva senso. All'epoca non mi ero reso conto di quanto disperatamente volessi sposarti, ma nel momento in cui l'hai detto, l'ho capito. E ho accettato, perché il tuo ragionamento era solido e ho pensato che sarebbe... che sarebbe stato per me un modo per trattenerti. Per impedirti di uscire dalla porta, se mai si fosse arrivati ​​a questo." Sorrise tristemente. "Suppongo di aver avuto ragione su questo. E sono felice di aver detto di sì. Non ti avrei mai più visto altrimenti, non dopo che mi hai detto così esplicitamente dove potevo infilarmi le mie scuse per averti lasciato indietro."

Senza parole, John carezzò il braccio di Sherlock prima di sporgersi in avanti e premergli un altro bacio all'angolo della bocca. "Sono così spiacente."

"Non esserlo," mormorò Sherlock. "Quello che è stato fatto è fatto. Ho sottovalutato la tua rabbia e il tuo dolore. Avevo pensato che saresti stato così felice di vedermi che il perdono sarebbe stato inevitabile. Non mi era venuto in mente quanto a fondo fossi ferito. Suppongo di non essermi reso conto che a modo tuo, anche tu mi avevi sposato perché volevi tenermi. E me ne sono andato comunque."

Il suo sorriso era piuttosto fragile. "Semmai, questo mi ha insegnato che anche essere sposato non sarebbe stato abbastanza per farti restare. Che avere un documento firmato non era altro che un modo per rallentarti mentre te ne andavi. Ma allora non la vedevo in quella maniera. Ti ho interrogato sulle tue motivazioni quando l'hai suggerito per la prima volta, ma eri irremovibile sul tuo ragionamento e non avevo motivo di non crederti. Avrei potuto dirlo se mi avessi mentito. Ma ovviamente stavi mentendo anche a te stesso sulle tue vere motivazioni e ti eri completamente convinto. Così abbiamo deciso di farlo in fretta perché il prossimo caso pericoloso avrebbe potuto essere dietro l'angolo e non c'era motivo di perdere tempo. Hai chiamato Mycroft. Ti ho detto che se l’avessi fatto io, non sarebbe mai stato d'accordo e lo avrebbe considerato uno scherzo, ma tu non eri il tipo per uno scherzo di quel genere. Ha comunque richiesto la mia conferma e tu gli hai detto tutte le nostre ragioni per farlo. Mycroft non tiene in grande considerazione il sentimento: ai suoi occhi, era l'accordo perfetto.”

Qui, Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Pensava che sarebbe stato splendido avermi 'sistemato'. Sperava che tu potessi avere una buona influenza su di me. Gli piaceva l'idea di avere qualcuno legalmente obbligato a stare dalla mia parte contro il resto del mondo, come ha detto. Non ti è stato difficile convincerlo ad accelerare il processo per noi. E poiché eri tu a chiederlo, non aveva motivo di credere che fosse un mio piano. Sembrava... contento."

John sospirò. "Ci scommetto. Ricordi quando mi ha rapito, il giorno dopo che ci siamo incontrati al St. Bart? Ha chiesto se poteva aspettarsi un lieto annuncio entro la fine della settimana. La mia telefonata per organizzare il nostro matrimonio per lui dev’essere stato come se il Natale fosse arrivato in anticipo."

Sherlock sorrise. "Non me l'hai mai detto."

"Non sembrava rilevante in quel momento,” disse John. "Ero troppo distratto dall'essere stato rapito da quello che pensavo fosse il tuo acerrimo nemico e molto probabilmente un boss mafioso o qualcosa di simile."

Questo gli valse uno sbuffo. "Ah. No, Mycroft odierebbe tutto il lavoro sporco e la forza bruta. Usa anche quelli, non fraintendermi, ma preferisce trovare modi per far sì che la legge faccia il suo gioco in modo elegante e sottile piuttosto che infrangerla. Quello manca di eleganza."

John sogghignò. "Be', per Mycroft, come sappiamo, è tutta una questione d’eleganza."

Sherlock rise. "Decisamente." Si schiarì la gola. "Comunque, questo è quello che è successo. Ci siamo resi conto che avremmo avuto bisogno di testimoni. Mycroft era scontato. Hai deciso di chiedere alla signora Hudson perché aveva senso che la nostra padrona di casa sapesse che eravamo sposati nel caso fosse successo qualcosa a uno di noi due. Inutile dirlo, era felicissima. Non credo che si sia bevuta nemmeno per un momento nessuna delle nostre ragioni. Ai suoi occhi, era davvero un... un matrimonio d'amore.”

"Mmmh," mormorò John, premendo un bacio sulla mascella di Sherlock. "Suppongo che la signora Hudson sia stata l'unica che non solo ha visto, ma anche osservato, allora."

Sherlock gemette piano e la sua voce tremava leggermente mentre continuava. "P... pensi? Comunque, Mycroft aveva tutte le carte pronte entro un'ora. Ripensandoci, e date le tue parole, penso che le abbia avute pronte dal giorno in cui ti sei trasferito qui. Ha fatto hackerare dai suoi subalterni i sistemi dell'ufficio del registro e li ha ingannati nel pensare che avessimo un appuntamento di vecchia data che in qualche modo si erano persi. Siamo andati lì, tutte le nostre carte erano in regola, hanno deciso che doveva essere stata una loro svista e ci siamo sposati. Ci è voluta meno di mezz'ora. Dopo, siamo tornati a casa e abbiamo cenato e guardato qualcosa in televisione e alla fine sei andato a letto. Sono rimasto sveglio tutta la notte e quando sei sceso al piano di sotto la mattina dopo, non avevi alcun ricordo di quello che era successo. E sai già perché ho scelto di non dirtelo.”

John annuì. Doveva ammettere che non era così che avrebbe immaginato un suo matrimonio. Eppure, viste le circostanze, anche lui non avrebbe potuto immaginare nient'altro per loro. Be', non per il modo in cui erano stati allora.

*****

John rimase in silenzio per molto tempo dopo che Sherlock ebbe finito di raccontare il giorno del loro matrimonio. Sembrava pensieroso e un po' triste e Sherlock si sentì rincuorato dal fatto che John gli teneva ancora la mano con la sinistra e gli accarezzava distrattamente il petto con la destra. Altrimenti avrebbe potuto essere un po' preoccupato. Così com'era, era felice di lasciargli semplicemente elaborare queste informazioni.

In effetti, Sherlock si ritrovava decisamente felice della sua situazione nella vita, per una volta. Le sue labbra erano un po' doloranti per tutti i baci, che era di sicuro una sensazione piacevole, anche se non familiare. I suoi nervi formicolavano ovunque John lo toccasse e qualcosa di innocente come una mano che gli accarezzava su e giù per il braccio gli faceva venire i brividi lungo la schiena.

Non riusciva a ricordare di essere mai stato così incredibilmente felice. Solo per questa volta, aveva tutto ciò che voleva.

Condividere finalmente la storia del loro matrimonio, per quanto privo di sentimento fosse stato, aveva anche tolto un enorme peso dal suo petto. Avrebbe voluto dirlo prima a John. Avrebbe voluto averglielo semplicemente detto senza aspettare che John glielo chiedesse. Forse allora lui avrebbe capito. O forse avrebbe insistito per il divorzio molto prima di quanto avesse fatto alla fine.

No, decise Sherlock. Tutto sommato, le cose erano andate come ci si poteva aspettare. Certo, avrebbe potuto fare a meno della dolorosa discussione di ieri, ma alla fine ce l’avevano fatta. E John adesso era qui. John lo aveva baciato. John aveva detto che voleva dare una possibilità a questo matrimonio. Sherlock avrebbe fatto qualsiasi cosa per assicurarsi che non se ne pentisse.

Alla fine, dopo quasi un quarto d'ora di silenzio, John sospirò e lo attirò a sé, premendogli l'orecchio sul petto e ascoltando il battito del suo cuore. Sherlock fu contento di lasciarglielo fare, chiedendosi se poteva sentire il suo nome nel ritmo. No, forse era un pensiero troppo fantasioso. Ma lo desiderava comunque.

Avvolse il braccio intorno a John per tenerlo stretto e gli sfiorò le tempie con le labbra, stupito che ora gli fosse consentita una cosa del genere.

Affetto. Com'era strano. Com'era strano finalmente poterlo mostrare così facilmente, mostrarlo senza esitazione, senza paura di essere rifiutato.

Per molto tempo, non aveva saputo di volerlo. E quando l'aveva fatto, era già troppo tardi. Ora, però, non c'era niente che lo trattenesse. Non solo, ma John stava ricambiando ogni tocco, stringendolo a sé e tenendolo ancorato.

Sherlock sospirò e si rilassò. Avrebbe potuto rimanere così per ore ed essere perfettamente soddisfatto. Nessun esperimento o crimine avrebbe potuto essere più coinvolgente di questo: tenere stretto John ed essere stretto in cambio.

Dopo diversi lunghi minuti di questa confortante vicinanza, John si mosse un po' e si appoggiò allo schienale abbastanza da guardare Sherlock in faccia.

"Sherlock..."

"Sì?"

"Il nostro matrimonio... non sembra essere stato molto bello," disse debolmente John.

Sherlock scrollò le spalle. "Eravamo io e te. Non ho bisogno di nient'altro."

Questo gli valse un’occhiata tenera e affettuosa. "No," concordò John. "Ma tu meriti di meglio. Quindi stavo pensando... dovremmo rifare tutto quanto. Una vera cerimonia di nozze. Invitare i nostri amici e i tuoi genitori a mangiare una torta o qualcosa del genere e trascorrere una bella giornata. Qualcosa che valga la pena ricordare . Perché voglio ricordarlo, Sherlock. Voglio ricordare di averti infilato un anello al dito e di aver pronunciato i miei voti e di aver ascoltato i tuoi. Voglio avere un anello sulla mano e voglio che sia tu quello che lo mette lì, e voglio che tutti quelli che contano per noi ti vedano farlo.” Prese fiato e guardò direttamente negli occhi di Sherlock. "Sherlock Holmes... mi sposerai di nuovo?"

Sherlock lo fissò.

E lo fissò.

E lo fissò.

E poi balzò in avanti, schiacciando insieme le loro bocche con tutta la disperazione di qualcuno che voleva dire un sacco di cose e non aveva la più pallida idea di dove cominciare. Invece lo riversò tutto dritto in quel bacio, baciando John e baciandolo e baciandolo ancora un po' finché non rimasero entrambi senza fiato, i cuori che martellavano nel petto, le mani che tiravano l'un l'altro vicino.

"Sì. Oh, John, sì!"

Qualcosa di bagnato colpì la guancia di John e Sherlock impiegò un tempo imbarazzantemente lungo per rendersi conto che era una lacrima e che stava piangendo. Quando era successo?

Le sue mani tremavano e il suo respiro era affannoso - certo questo poteva essere dovuto al baciarsi - e c'erano altre lacrime da dove era venuta la prima.

Seppellì la faccia nel petto di John, lasciando che l'evidenza del proprio sentimento impregnasse il tessuto morbido della sua maglietta.

"Ehi, ehi, ehi," mormorò John, accarezzandogli con delicatezza la schiena. "Shhh, va tutto bene, Sherlock. Va tutto bene, amore."

Sherlock tirò su col naso e si tenne più stretto, respirando l'odore di John e crogiolandosi nel suo calore, nel suo corpo proprio lì, il battito costante del suo cuore sotto il proprio orecchio, le sue braccia forti avvolte strettamente intorno a lui.

"Ti amo," riuscì finalmente a tirar fuori, e si chiese se si sarebbe mai abituato a dirlo ad alta voce.

"Ti amo anch'io," disse John e gli baciò la fronte.

Sherlock pensò che avrebbe potuto morire di felicità.

 




NdT: Chi si unisce a me nell'augurare buon anniversario (e buon secondo matrimonio, già che ci siamo 😄) a John e Sherlock? *alza il calice di champagne* 🥰

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Traduttrice: T'Jill


Baker Street, dolce casa

Capitolo 21


Rimasero rintanati nell'appartamento tutto il giorno, riluttanti a essere più lontani l'uno dall'altro della stanza accanto e detestando l’idea di ammettere qualsiasi compagnia nella piccola bolla che si erano creati.

Quando entrarono per la prima volta in cucina, trovarono il piatto di panini che la signora Hudson aveva lasciato, insieme a un biglietto che diceva "Bentornato a casa, John. Tienitelo stretto".

"Quella donna," sospirò John. "Suppongo che non avremmo dovuto essere così ingenui da pensare che le avremmo tenuto nascosto qualsiasi cosa anche solo per un solo giorno."

"Volevi farlo?" chiese Sherlock.

John rise. "No. Ma suppongo che sarebbe stato molto carino essere quello che dice a lei che siamo innamorati, piuttosto che il contrario."

Sherlock lo guardò, un'espressione curiosamente morbida sul viso.

"Che cosa?" chiese John.

Sherlock sorrise e si avvicinò. "Hai detto che siamo innamorati."

"Lo siamo", disse John, perplesso. "Non hai prestato attenzione?"

"Mi piace solo sentirtelo dire," ammise Sherlock, in qualche modo ancora più vicino ora, anche se John onestamente non ricordava di averlo visto muoversi. "Mi piace sentirtelo finalmente ammettere."

"Mi piace poterlo finalmente ammettere," disse piano John, mettendo le mani sulla vita di Sherlock e tirandolo a sé. "L'ho combattuto per così tanto tempo. Ero così convinto che non sarebbe mai potuto accadere, ho pensato che sarebbe stato meglio negare di averlo mai provato".

"Be’, ho sempre detto che eri un idiota," mormorò Sherlock e il suo tono diceva che non diceva per niente sul serio.

John sorrise. "Giustissimo."

Tirò giù Sherlock e lo baciò, ed entrambi gemettero di sollievo nel momento in cui le loro bocche si incontrarono.

Il respiro caldo di Sherlock sul suo viso, nei suoi polmoni, i morbidi capelli arricciati intorno alle sue dita mentre John cercava di inclinare la testa di Sherlock per un migliore accesso... dio, era inebriante.

Quando finalmente si separarono, erano sul divano. O meglio, lo era John. Sherlock era inginocchiato sopra di lui, seduto sul suo grembo, le mani intrecciate intorno alle sue spalle.

Entrambi respiravano pesantemente, le bocche a pochi centimetri l'una dall'altra, e John poteva sentire Sherlock tremare debolmente nei punti in cui gli teneva le mani appoggiate sul fianco e sulla schiena.

"Cazzo," sussurrò. "Sei brillante."

Sherlock sorrise e chinò la testa. "Solo perché tu mi fai brillare, John."

Una dichiarazione come quella meritava un altro bacio, ovviamente, e ci vollero diversi minuti prima che riuscissero a separarsi ancora una volta, con riluttanza.

"Questo... non è conduttivo per andare piano," ansimò Sherlock contro la gola di John mentre lui se lo stringeva più vicino.

"No," concordò John. "Ma possiamo semplicemente attenerci a questo per tutto il tempo che vogliamo. Sarei più che felice di baciarti a morte per ore e ore."

"Be’," disse adagio Sherlock. "Abbiamo tutto il giorno e assolutamente nessun piano."

Alla fine si alzarono e mangiarono i panini che la signora Hudson aveva lasciato per loro, soprattutto perché lo stomaco di John aveva iniziato a ringhiare in modo piuttosto insistente finché Sherlock non era staccato da lui per prenderlo in giro. Dopodiché, fecero scorrere distrattamente i canali televisivi prima di lasciare qualche documentario sulla natura a ronzare in sottofondo mentre oziavano sul divano, raggomitolati vicini, la testa di Sherlock appoggiata sul petto di John e le mani di John tra i suoi capelli, che accarezzavano pigramente. L’altra sua mano era intrecciata con quella di Sherlock, giocherellando con l'anello al dito.

“Non posso credere che tu abbia preso e ti sia procurato un anello,” mormorò. "E lo hai fatto incidere, anche."

"È il giorno in cui ci siamo incontrati," disse dolcemente Sherlock. "Il giorno in cui tutta la mia vita è cambiata, anche se all'epoca non lo sapevo."

John sorrise. "Non solo la tua. Quando l'hai preso?"

"Eh? Oh, l'anello. Il giorno del nostro matrimonio, in realtà. C’era un gioielliere che mi doveva un favore."

"Certo che c’era," disse John con affetto. "E non ne hai preso uno per me?"

"Non sei il tipo da gioielli", fece notare Sherlock. "Un anello potrebbe impigliarsi in ogni sorta di cose. Sei un dottore. Pensavo che un anello ti sarebbe stato d'intralcio."

"Non se sei tu a mettermelo al dito", disse John. "Anche se suppongo che sia stato un bene. Immagina se mi fossi svegliato senza alcun ricordo del nostro matrimonio ma con un anello al dito. Penso che allora avrei avuto un bel po' di domande."

"Vero," concesse Sherlock. "Quindi alla fine è andato tutto per il meglio.”

“Non ti ho mai visto indossarlo,” mormorò John. "Non fino a dopo che abbiamo discusso dei documenti per il divorzio quella prima volta."

Sherlock scrollò le spalle e trasalì appena al promemoria. "Sapevo che avresti fatto domande se l'avessi visto prima di allora. A volte, quando ero solo nell'appartamento o nella mia stanza, lo indossavo solo per ricordare a me stesso la sensazione che dava. Ma non è mai stato paragonabile ad avere te che me lo infilavi. L'ho dato in custodia a Mycroft quando... me ne sono andato. È stata l'unica cosa che gli ho chiesto indietro immediatamente dopo il mio ritorno, perfino prima che accettassi di lasciare che qualcuno si occupasse delle mie ferite."

“E tu affermi che il sentimento non fa per te”, mormorò John. "In fondo sei un gran vecchio romanticone."

"Mi sento offeso per il 'vecchio'," disse Sherlock, con un sorriso nella voce.

John ridacchiò e gli accarezzò ancora i capelli, godendosi il dolce suono di felicità che ciò sembrava trarre da Sherlock.

"Ne voglio uno," disse infine.

"Che cosa?"

"Una fede nuziale. Ne voglio una. Titanio, proprio come la tua, con la stessa data e tutto il resto. E voglio che tu me la metta al dito quando rinnoviamo i nostri voti. Siamo già sposati. Possiamo dire ai nostri amici che siamo non siamo mai riusciti ad avere una cerimonia come si deve e vogliamo rinnovare semplicemente i nostri voti e poi fare una festa privata in seguito. Tutto quello che vuoi. Ma voglio un anello."

Sherlock alzò la testa. "Sei sicuro?"

"Assolutamente."

Sherlock annuì. "Va bene. Fissiamo una data e diciamolo a Lestrade e così via. I miei genitori saranno felicissimi."

John sorrise. "Mandiamo loro un invito vero e proprio, eh? Tua madre lo adorerà, ne sono certo."

Il pensiero fece illuminare Sherlock. "Sì! Sarà assolutamente insopportabile, spero che tu lo sappia. E perderà la testa quando si renderà conto che è solo un rinnovo dei voti e che in effetti siamo sposati da un bel po' di tempo. Faremo meglio a tenerci pronta una spiegazione per l'inevitabile raffica di domande."

"Dille semplicemente la verità", disse John. "Non inizierò la mia relazione con la mia nuova suocera raccontandole delle bugie.”

Si fermò quando si rese conto di ciò che aveva appena detto.

"Oh mio dio! Ora ho dei suoceri!"

Sherlock rise. "Sì, John."

John fece un sorrisetto. "Adesso tu hai una cognata. Harry andrà fuori di testa quando lo saprà."

Questo gli valse una smorfia. "Deve?"

"È mia sorella. La inviteremo alla cerimonia e potrà vantarsi di averlo sempre saputo e così sia."

"Se lo dici tu." Sherlock non sembrava convinto, ma lasciò perdere e cambiò argomento. "Ok, quando vuoi che avvenga questa cerimonia, allora?"

"Presto," disse immediatamente John. "Abbiamo aspettato abbastanza a lungo, non credi? Possiamo abusare di Mycroft per affittare un bel posto con breve preavviso e organizzare lì la festa. Qualcosa all’aperto, se possiamo, o una bella sala da qualche parte. Onestamente non m’importa purché ci sia tu e possa contenere le persone che vogliamo avere lì con noi.”

Sherlock annuì. "Va bene. Posso fare una mia proposta, allora?"

"Naturalmente."

Sherlock esitò, improvvisamente timido. "Io... voglio una vera notte di nozze."

John era abbastanza sicuro che il suo cervello si fosse spento per un momento lì. "Una... cosa?"

"Una notte di nozze," disse Sherlock, a voce bassa. "Avevamo detto che saremmo andati piano. Ecco a te, allora. Organizziamo una data per la cerimonia e sarà quella. Ci tratterremo fino ad allora."

"È un tentativo di farci rallentare?" chiese John.

Sherlock fece un sorrisetto. "Non proprio. In realtà ha lo scopo di farci fissare questa data il prima possibile."

Ciò strappò a John una risata. "Dio, ti amo. Vieni qui."

E tirò Sherlock un po' più su così da poterlo baciare di nuovo.


*****

Un mese dopo


 Il giorno del rinnovo dei loro voti sorse luminoso e mattiniero, anche se nessuno dei due se ne accorse. Erano già svegli da un'ora, oziando nel letto e pomiciando in quel morbido, caldo bozzolo di pace che si erano creati. L'intera giornata sarebbe stata assolutamente folle, quindi erano felici di godersi quest’oasi di calma finché durava.

"È consuetudine che gli sposi non si vedano prima del matrimonio," aveva borbottato John in tono di protesta priva di convinzione la sera prima.

Sherlock gli aveva rivolto uno sguardo incredulo. "John, siamo sposati da anni. Mi rifiuto di passare una sola notte lontano da te senza una ragione adeguata e le usanze della società non sono una buona ragione. La società spesso sbaglia le cose."

John aveva ceduto all’istante, soprattutto perché era stata comunque solo una protesta simbolica e nemmeno lui aveva intenzione di passare la notte lontano da Sherlock.

Si erano abituati a dormire nello stesso letto, anche se era tutto ciò che facevano, a parte il baciarsi e le occasionali sessioni di pomiciate che rendevano l'aria calda e pesante intorno a loro.

Onestamente non sapeva come fossero riusciti a superare il mese senza saltarsi addosso a vicenda: tra tutti e due avevano sicuramente avuto un'ampia provocazione e una quantità più che sufficiente di desiderio accumulato.

Tuttavia, si erano trattenuti e John pensava che fosse principalmente perché a entrambi piacevano lo stuzzicarsi e l’anticipazione. Ora, con Sherlock caldo e ancora rilassato dal sonno tra le braccia, non poteva fare a meno di pensare che quella notte non sarebbe mai potuta arrivare abbastanza presto. Perfino la sua pelle sembrava dolere per il bisogno di toccare ed essere toccata.

Sherlock fece un pigro mormorio e intrappolò una delle gambe di John tra le proprie, dondolandogli lentamente i fianchi contro la coscia.

John gemette piano. "Dio, Sherlock."

"Diciotto ore rimaste, circa," mormorò Sherlock contro la sua bocca. "Forse venti, se i festeggiamenti durano inaspettatamente a lungo."

John sogghignò. "Sedici, e se pensi che non ti allontanerò di soppiatto dal nostro ricevimento di nozze, ti sbagli di grosso."

Girò la testa quel tanto che bastava per poter raggiungere la gola di Sherlock e premere un bacio persistente sulla morbida pelle lì, premendo un po' più forte la gamba contro il bacino di Sherlock. "A meno che tu non abbia cambiato idea sull'attesa?"

Sherlock gemette e scosse la testa. "No. Lo faremo per bene. Non voglio che tu mi corrompa prima che tutti i nostri amici e le nostre famiglie abbiano sentito che t’impegni con me per sempre."

"Tecnicamente l'ho già fatto," mormorò John contro il suo battito troppo rapido. "Ma capisco cosa intendi. E voglio che sia chiaro che non ti disonorerò finché non ti sarai impegnato con me allo stesso modo. Non vorrei che ci fosse uno squilibrio tra noi."

"Ti prometterò me stesso e tutto ciò che sono, John, e non accetterò niente di meno in cambio," mormorò Sherlock nel suo orecchio. "Non ci saranno squilibri. Abbiamo finito con quelli.”

Dondolò di nuovo i fianchi e John gemette. "Tranne ovviamente per qualsiasi nostra passeggiata sbilanciata da parte tua,” aggiunse Sherlock, con un sorrisetto. "Farai meglio ad alzarti e farti una doccia adesso, a meno che tu non voglia metterti in imbarazzo. Ti do altri cinque minuti prima che la signora Hudson salga le scale per svegliarci e insistere sul fatto che dobbiamo iniziare a prepararci."

“Donna impicciona,” borbottò John. "Va bene. E ti prometto di fare in fretta perché sono abbastanza certo che anche tu avrai bisogno di quella doccia."

"Hmm, solo per ripulire," rispose Sherlock, uno scintillio provocatorio negli occhi.

Rotolò sulla schiena e John poté sentire una delle mani di Sherlock scivolare tra i loro corpi, intenta a finire ciò che avevano iniziato.

Gemette di nuovo e si tirò a sedere. "Dio, sei un provocatore. Non vedo l'ora di ripagarti per questo stasera."

Sherlock lo fissò con gli occhi socchiusi. "Fidati di me, John, sono tutto ansiosa anticipazione."

"Cazzo." John si alzò dal letto e fuggì quasi in bagno prima di finire per far deragliare all'ultimo minuto il loro piano di attesa.

Nessuno dei due lo faceva al fine di aderire alle consuetudini. Avevano semplicemente convenuto di aspettare perché Sherlock aveva chiesto una notte di nozze vera e propria e John gli avrebbe dato tutto ciò che desiderava, se fosse stato possibile. Questo era possibile, anche se era stato irritante per entrambi continuare a stuzzicarsi a vicenda senza mai spingersi troppo oltre.

Due settimane prima, si erano ascoltati mentre si masturbavano nel buio e lui era quasi spirato dalla pura lussuria solo per aver sentito i suoni che Sherlock aveva emesso.

"Cerca di controllarti, Watson," mormorò tra sé mentre entrava nella doccia. "Devi solo superare oggi e dopo puoi averlo.”

Il pensiero, unito al ricordo del corpo di Sherlock premuto contro il proprio, era quasi sufficiente da solo e ci vollero solo un paio di colpi per farlo crollare.

Fece la doccia il più accuratamente possibile, si rase con altrettanta cura davanti allo specchio del bagno e si ispezionò con attenzione.

Si sarebbe sposato oggi. ‘Fanculo a tutta questa cosa del ‘rinnovo dei voti’ che stavano spargendo in giro. Sia lui che Sherlock sapevano che oggi era qualcosa di più di quello. Questa volta, avrebbe ricordato ogni singolo momento. Non vedeva l'ora di stare davanti a Sherlock e dire i suoi voti, non vedeva l'ora di baciarlo davanti ai loro amici e alle loro famiglie - correzione: la loro famiglia, singolare - e sapere che Sherlock era veramente suo.

C'era voluto così tanto tempo per arrivare a questo punto e ora che finalmente l'avevano raggiunto, non era davvero in grado di spiegare perché ci avessero messo così tanto tempo. Forse non aveva molta importanza, alla fine, perché adesso erano qui e questo era tutto ciò che contava.

*****

Sebbene John si fosse ripromesso di ricordare ogni momento, l'intera giornata quella sera sembrò consistere in una serie d’istantanee nella sua mente.

La visione di Sherlock nello smoking più sbalorditivo del mondo, con un piccolo mazzo di nontiscordardime infilato nell'asola del bavero e uno scintillio negli occhi che suggeriva che sapesse esattamente cosa pensava John di quella particolare scelta di fiori.

Il sorriso sul viso di sua sorella, più ampio di qualsiasi altro avesse visto da lei in almeno dieci anni mentre sedeva in prima fila.

Le lacrime negli occhi della signora Hudson e della madre di Sherlock e il modo in cui le avevano asciugate, per niente di nascosto, con i fazzoletti.

L'espressione insolitamente compiaciuta di Mycroft e qualcosa che avrebbe potuto quasi, quasi essere un sorriso, anche se ovviamente era stato immediatamente cancellato quando aveva sorpreso John a guardarlo.

Il sorriso altrettanto compiaciuto di Lestrade, anche se John non capiva come quell'uomo fosse riuscito a sorridere mentre era seduto accanto a Mycroft.

Ma più che altro c’era solo Sherlock.

La luce nei suoi occhi e il modo in cui il suo labbro inferiore aveva tremato quando John aveva pronunciato i suoi voti. Il sospetto scintillio di lacrime e il lieve tremito nella sua voce quando aveva pronunciato i propri.

Il modo in cui le sue dita si erano curvate attorno a quelle di John e le avevano tenute strette e il modo in cui le sue mani non avevano tremato affatto quando avevano messo sul dito di John l'anello di titanio inciso, una corrispondenza perfetta con il suo.

Il calore delle sue labbra quando John l’aveva baciato proprio lì davanti a tutti i loro amici e familiari finché non erano stati entrambi senza fiato e leggermente instabili sui piedi.

Lo sguardo di beatitudine sul suo viso quando John l’aveva imboccato con un pezzo della torta Foresta Nera che la signora Hudson aveva preparato per loro.

E, soprattutto, il puro amore nei suoi occhi mentre ballavano, le braccia avvolte l'uno intorno all'altro, i volti così vicini che i loro nasi quasi si toccavano.

“Dio, ti amo”, gli mormorò John. "Hai idea di quanto ti amo?"

"Spero almeno quanto ti amo io," sussurrò Sherlock in risposta. "Ma puoi farmelo vedere più tardi. Sarò felicissimo che tu lo dimostri a lungo."

John ridacchiò e costrinse la sua mente su un argomento diverso prima di poterli mettere in imbarazzo entrambi sulla pista da ballo.

"Nontiscordardime?" chiese piano, giocherellando con i fiori sul bavero di Sherlock.

"Sembravano appropriati," disse Sherlock, scrollando le spalle. "Mi sono assolutamente assicurato che oggi non ci fossero sostanze chimiche da nessuna parte vicino ai nostri drink e ho fatto in modo che Mycroft ne registrasse ogni singolo secondo per i posteri, da più angolazioni, in alta definizione. La sua inclinazione per la sorveglianza torna utile nei momenti più strani."

John scoppiò in una risata, lasciando cadere la testa sulla spalla di Sherlock. "Sei un pazzo bastardo e io ti amo."

"Ora non dimenticartelo," disse Sherlock e gli fece l'occhiolino.

 

 

~ Fine ~




NdT: E così siamo arrivate a mettere la parola fine a un'altra storia favolosa 💗 Ok, dal mio punto di vista di amante dello smut avrei tanto voluto che questa fic comprendesse anche la prima notte (e forse è solo per questo motivo che inizialmente non l’avevo rivendicata per me 😅), ma rimane il fatto che All_I_Need è sempre un’autrice straordinaria, che questa è una storia adorabile e con un "E vissero per sempre felici e contenti" classico e delizioso.

Un bacio grosso e un grazie a Liriel4444, che s’è fatta la maggior parte della fatica, e a tutte quelle che ci hanno seguito in quest’avventura, vi lovviamo un sacco! 🥰

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3980438