Always in my mind

di ConsueloRogue
(/viewuser.php?uid=31193)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Punto di svolta - Turning point ***
Capitolo 2: *** Merry-Go-Round ***
Capitolo 3: *** Cloverfield ***
Capitolo 4: *** Still water ***
Capitolo 5: *** Ink and Pages ***
Capitolo 6: *** Labyrinth ***
Capitolo 7: *** No escape from reality ***
Capitolo 8: *** The polar bear and the bell ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo: Punto di svolta - Turning point ***


Turning Point - Punto di svolta

 

 

Certe volte gli esseri umani si vedono, si sfiorano, si toccano, ma è come se non lo facessero. Sono incontri brevi, effimeri, che accadono senza alcun motivo apparente. Sono sguardi scambiati senza attenzione, impalpabili come il passaggio di un momento, se ne vanno senza che nessuno li percepisca davvero, sono mani che si sfiorano in metropolitana, seguite da un affettato scusa. Sono due persone che passano attraverso le porte scorrevoli di un edificio nello stesso momento, senza nemmeno accorgersene.

Alcune volte è vero e quelle vite che si sfiorano non hanno alcun motivo per farlo. Altre volte un motivo c'è davvero, ma gli esseri umani non prestano sufficiente attenzione per accorgersi di quella piccola occasione sfumata, quella svolta del destino che avrebbe potuto salvarli a pochi passi dalla tragedia, o condurli alla rovina senza appello e senza che loro sappiano neanche il perché o il per come.

Le persone si muovono come ragni su una tela. Come treni su rotaie ben oliate, le loro vite imboccano svolte per lo più inaspettate, a volte nemmeno cercate, mentre loro procedono inconsapevoli, affannandosi e arrabattandosi come piccole formichine sull'ampio arazzo dell'esistenza.

A volte il disegno del destino è meraviglioso, altre volte terribile. Alcuni fili dell'Arazzo su cui si muove la vita delle persone sono brevi come stoppini, altri lunghi come gomitoli.

Ogni filo ha un tempo, ed ogni tempo è prestabilito, solitamente. Sempre che il proprietario di quel filo non prenda una svolta inaspettata e il filo si recide all'improvviso, oppure si allunga come per magia.

In ogni caso ci sono sempre delle conseguenze, perché come scrisse Turing "Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l'uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza".

E' così che funziona l'Arazzo, ma a volte il libero arbitrio degli esseri umani lo sconvolge.

 

 

Taehyung si infilò una mano nella tasca del bomber grigio, facendosi rotolare tra le dita le monetine, mentre contava mentalmente quante fossero. L'aria di Seoul era già gelida, nonostante fosse appena novembre e la strada bagnata rifletteva le luci giallastre dei lampioni.

Data l'ora tarda in giro non c'era quasi nessuno e le strade erano curiosamente silenziose. Oltre a Taehyung, in quella stretta via semi pedonale, c'era solo una donna con l'ombrello giallo ed il cappotto invernale grigio, una spessa sciarpa bianca avvolta attorno al collo le intrappolava i capelli neri e lunghi.

"Ah... avrei dovuto ricordarmi almeno il portafoglio." pensó il ragazzo, continuando a camminare a passo svelto.

In quel periodo aveva i capelli di un caldo castano scuro, leggermente più lunghi e solito, abbastanza perché le punte si arricciassero in piccoli boccoli. Le piccole onde balzellavano al ritmo delle sue ampie falcate, finendogli fastidiosamente negli occhi a mandorla, scuri e leggermente asimmetrici, ogni volta che la suola delle sue scarpe colpiva l'asfalto.

Il rumore dei suoi passi risuonava nella via pedonale lungo la quale si era incamminato dopo il litigio che aveva avuto con Jin, nemmeno una decina di minuti prima, e che lo aveva convinto ad uscire di casa nonostante l'ora così tarda.

Normalmente sarebbe andato a farsi consolare dal suo migliore amico, ma questa volta Jimin aveva deciso di non schierarsi dalla sua parte. In realtà aveva deciso di non schierarsi affatto e si era limitato ad assistere al battibecco, standosene neutrale, svaccato sul divano, mentre mangiava patatine come se fosse davanti ad un drama.

Anche per quello Taehyung aveva deciso di uscire. Il comportamento di Jimin lo aveva leggermente deluso e lui aveva bisogno di stare un po' da solo per pensare e sbollire il nervoso che gli era salito nel discutere con il suo hyung. Aveva ragione e niente poteva distoglierlo da quell'idea, nemmeno il fatto che Jin fosse più grande di lui. Non tollerava il fatto che l'anzianità potesse interferire in questioni lavorative come quella per cui avevano discusso.

Estrasse la mano dalla tasca del giubbotto, fermandosi un secondo in mezzo alla strada deserta per contare le monete. Nel tentare di stimare quanti soldi avesse, così alla cieca, continuava a perdere il conto e finiva per ricontare sempre le stesse monete, che sembravano infinite..

"Sono quasi 4.000 won... abbastanza per un ramen con l'uovo e del soju." Fece una smorfia insoddisfatta, facendo schioccare la lingua per esprimere tutto il suo disappunto e si rimise le monete in tasca, riprendendo a camminare. "Potevi almeno prendere il portafoglio prima di uscire Tae, no?"

Superò anche il secondo minimarket aperto ventiquattr'ore su ventiquattro per allontanarsi ancora di più dal dormitorio e continuò a camminare, risistemando il caldo berretto di lana nera che aveva in testa per riuscire a tenere i capelli lontani dagli occhi. Per ironia del destino quel berretto glielo aveva regalato proprio lo hyung ed era uno dei suoi preferiti. Si grattò la punta del naso, proprio dove aveva un piccolo neo, mentre inclinava il capo, irritato a quel pensiero.

Un gatto miagolò rumorosamente all'angolo della strada, attirando la sua attenzione, e la donna con l'ombrello giallo svoltò in una traversa, scomparendo alla sua vista mentre da un incrocio poco lontano comparivano due tizi ubriachi e decisamente rumorosi.

"Chissà se hanno bevuto per festeggiare o perché è stata una pessima giornata." pensó incuriosito, seguendoli con lo sguardo mentre i due caracollavano attraverso l'incrocio per poi scomparire oltre l'angolo di un palazzo. Per un attimo ebbe l'istinto di seguirli, fantasticando su cosa potesse essere loro successo durante quella giornata per farli ridurre così, poi scrollò le spalle mentre scuoteva la testa e proseguì per la sua strada.

Sbuffò nella mascherina nera che si era ricordato di indossare, nonostante la rabbia che aveva provato nell'uscire di casa, e il suo fiato caldo e umido gli scaldò per un attimo le guance gelide. Si fermó davanti al Seven Eleven, sbirciando l'interno illuminato per controllare se ci fossero altre persone. Non era mai arrivato così lontano dal dormitorio per prendersi una ciotola di ramen, e non aveva idea di quanto giro di clienti potesse avere quel minimarket a quell'ora.

"Perfetto." considerò quando vide che il Seven Eleven era completamente deserto.

L'unica persona presente era una commessa dai capelli neri, raccolti in una coda, con la mascherina bianca a coprirle la parte inferiore del viso. Se ne stava seduta dietro il bancone, con il capo chino su di un libro, inclinato leggermente di lato e una guancia poggiata sulla mano in una posa sonnolenta. Reggeva una penna con la mano sinistra che sbatteva ritmicamente contro il tavolo per poi interrompersi, di tanto in tanto, per scrivere qualcosa sul libro che aveva davanti. Non riusciva a vederle bene il volto, coperto com'era da mascherina e frangia, e per un attimo si perse a fantasticare su che vita potesse avere quella ragazza, seduta là all'una del mattino.

Taehyung rabbrividì, quando una folata di vento gelido penetrò attraverso il bomber. Affondò il capo nel colletto della giacca e sbatté un paio di volte gli scarponi in terra, come per scrollare della neve immaginaria, poi entró nel negozio, facendo tintinnare la campanella appesa al portone d'ingresso.

«Benvenuto.» cinguettò felicemente la commessa al bancone. Il suo tono squillante strideva terribilmente col fatto che non avesse nemmeno alzato lo sguardo da quello che stava facendo.

"Deve essere proprio interessante quel libro, magari ha un esame? Forse il SAT o magari è già una studentessa universitaria." pensò Taehyung, guardando per un secondo i lucidi capelli castano scuro della commessa.

Ora che li vedeva più da vicino si accorse che non erano esattamente neri come gli era sembrato pochi istanti prima, da fuori la vetrina, ma di un castano così scuro da sembrare nero, con dei vaghi riflessi rossastri che si intravedevano sotto la luce al neon che la illuminava. Non riusciva a capire se fossero lisci per genetica o perché la ragazza si era preoccupata di acconciarli per il turno di lavoro, o magari perché nel pomeriggio, prima di presentarsi al discount, aveva avuto un qualche tipo di impegno importante per cui voleva essere carina.

Scrollò le spalle, abbandonando le sue fantasticherie sulla vita di quella ragazza ignota e con la quale comunque non avrebbe mai parlato ed iniziò ad aggirarsi tra le corsie, studiando gli scaffali alla ricerca dei dispenser di ramen.

Si girò alla ricerca del distributore di acqua calda e del microonde, individuandolo in un angolo del negozio e tornò a studiare le varie ciotole di ramen ordinatamente disposte sullo scaffale. Non aveva la resistenza al piccante di Jimin, quindi tutte quelle scatole erano automaticamente escluse dalle sue possibili scelte, ma era terribilmente indeciso su cosa volesse mangiare.

La commessa alzò lo sguardo per un attimo a guardarlo, mentre lui sospirava dubbioso e si accarezzava il mento con una mano, poi lei chinò nuovamente lo sguardo sui libri facendo spallucce.

Taehyung allungò una mano, optando per il più classico dei ramen . Aveva voglia di uovo e l'unico in cui stava bene era quello. Passò dal frigorifero e prese una bottiglia di soju alla fragola, poi si avviò alla cassa. Posò la sua spesa sul bancone e la cassiera alzò di nuovo lo sguardo. Aveva la frangia scura che le ricadeva fino alle sopracciglia, coprendole la fronte e gli occhi erano grandi e quasi rotondi, come quelli di un cerbiatto. Dallo sguardo che gli rivolse a Taehyung sembrò particolarmente stanca. La ragazza prese la ciotola e la bottiglia e passò gli articoli senza dire nulla.

«Sono 2.700 won.» disse poi in tono professionale, allungando garbatamente una mano fasciata in un guanto di silicone blu per ricevere il denaro.

«Ah... anche un uovo.» disse a bassa voce Taehyung, aggiustandosi la mascherina in un gesto abituale, senza che ve ne fosse veramente la necessità.

«Con l'uovo fanno 3.200 won, le trovi subito a destra dei microonde, ci sono sia quelle fresche che quelle sode. C'è scritto sopra comunque.» spiegò la cassiera indicando due piccole ceste intrecciate piene di uova, poggiate accanto agli elettrodomestici in un angolo del piccolo discount.

«Grazie.» Taehyung contò le monetine e le allungò alla ragazza, facendole cadere nella mano tesa di lei. Le sue dita sfiorarono per un secondo la piccola mano della donna ed il campanello all'ingresso annunciò l'arrivo di un altro cliente, facendolo girare di riflesso per controllare quante persone fossero entrate.

«Grazie a lei.» rispose frettolosamente la ragazza, ritraendo la mano di scatto mentre si sollevava per sbirciare oltre la spalla di Taehyung. «Benve... ah, oppa sei tu.» sbuffò in un modo palesemente scocciato e tornò a rivolgere la sua attenzione alla cassa, depositandovi i soldi.

Taehyung mantenne lo sguardo basso e afferrò ramen e bottiglia, poi fece un piccolo inchino di saluto e si avviò verso la zona degli elettrodomestici per cuocere il tutto. Incrociò il ragazzo che la cassiera aveva chiamato "oppa" e lo squadrò per un secondo. Doveva avere poco più di una ventina d'anni, anche se era difficile dirlo con certezza, imbacuccato com'era nel giubbotto nero. Al collo portava una voluminosa sciarpa blu elettrico e stava sbuffando, mentre litigava con un casco bianco da moto.

Si fermò davanti ai macchinari, cercando di capire come si utilizzassero. Non c'erano solo i microonde, c'era anche un dispenser di acqua bollente per il ramen, quindi decise di usare quello, mentre seguiva annoiato lo scambio di battute dei due.

«Sei in ritardo di un'ora. Io domani mattina ho lezione.» sbuffò la cassiera in tono scontroso, mentre il ragazzo sollevava il bancone per passare. Anche se lo aveva chiamato "oppa" non stava usando alcun tipo di onorifico per rivolgersi a lui, quindi doveva avere un legame abbastanza stretto da permettersi di ignorare le formalità.

«Oh, ma quanto la fai lunga.» sbuffò lui, mentre la ragazza chiudeva il libro con un gesto secco e infastidito. Il ragazzo aprì la porta sul retro, scomparendo alla vista di Taehyung, che interruppe l'acqua e richiuse la ciotola, fermando la pellicola con le bacchette in attesa che i noodle si cuocessero.

«Se tu fossi arrivato in orario avrei potuto prendere la metro per rientrare.» si lamentò lei, affacciata alla porta. I capelli scuri erano legati in una bassa coda sulla nuca ed erano più lunghi di quanto Taehyung avesse pensato. Erano perfettamente lisci, a parte delle morbide onde che le arricciavano le punte e le arrivavano circa alle scapole. Afferrò un uovo sodo e iniziò a pelarlo mentre il ragazzo borbottava qualcosa dallo stanzino sul retro che Taehyung non riuscì a comprendere.

«Certo, c'è sempre traffico quando devi venire a lavoro. Adesso il motorino lo prendo io.» recriminò lei, appoggiata allo stipite, come se quello fosse un discorso che facevano spesso, subito prima di spostarsi per permettere al moro di uscire.

«E io come torno a casa domani?!» si lamentò quello, infilandosi la giacca blu e gialla del mini market.

Taehyung si spostò e recuperò un uovo sodo, incuriosito e divertito da quello scambio di battute. Spesso si faceva dei film mentali sulle persone che gli stavano attorno, inventandosi vite immaginarie ed interessantissime da quel poco che vedeva o percepiva. In quel momento, per esempio, aveva deciso che il nome della cassiera era Haneul e quello del fratello maggiore doveva essere Hajoon. Lei era una studentessa universitaria di una qualche materia umanistica, forse sociologia, mentre lui era il fratello maggiore apparentemente scansafatiche che in realtà si era sacrificato per permetterle di frequentare l'università.

«In metro, come avrei fatto io se tu fossi arrivato puntuale. Il mio turno finiva a mezzanotte.» ribatté lei piantandogli un dito sul petto. Il ragazzo sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

«Che spina nel fianco che sei.»

«Te ne approfitti solo perché sono tua sorella e non dico al capo che arrivi sempre tardi. Dammi il motorino o smetto di coprirti.» minacciò lei in tono vagamente lamentoso.

«Ah va bene, va bene. Fai come ti pare e prendi quel maledetto motorino.» si arrese il ragazzo alzando le mani prima di infilarsi una mascherina bianca e coprirsi il volto. «Le chiavi sono nel mio armadietto! Prendi anche i guanti, è freddo.» aggiunse quello, alzando la voce mentre quella scompariva sul retro.

Taehyung finì di spellare l'uovo e riaprì la scatola del ramen. Glielo fece scivolare dentro, stando attento a non schizzarsi con il brodo rovente, poi la richiuse e la afferrò per i bordi, diretto al piccolo bancone bianco con gli sgabelli affacciato ad una delle vetrine del negozio. Poggiò la ciotola e si appollaiò sullo sgabello azzurro polvere, poggiando un gomito per sostenersi il capo, mentre la sua mente tornava con noia al litigio che lo aveva fatto uscire.

"Dovrò scusarmi con Jin-hyung quando torno, ma anche lui dovrebbe scusarsi con me." pensó con uno sbuffo, abbassandosi la mascherina per respirare meglio. "Chissà se i cinque minuti sono passati." rifletté, fissando la ciotola.

Si tolse il berretto nero, liberando i capelli e vi passò una mano in mezzo per ravvivarli, in un gesto che compiva sempre. Si infilò la berretta in tasca, poi aprì la bottiglia di soju, recuperando un bicchiere di plastica dal dispenser accanto a lui e se ne versò un po' prima di prendere un sorso ed assaporarlo con calma. "Ah... è dolce."

Spezzò le bacchette per separarle e aprì il contenitore che aveva di fronte, iniziando a rimescolare i noodles. L'aria calda e umida che saliva dalla ciotola gli entrò nelle narici e Taehyung inspirò profondamente il profumo del ramen mentre iniziava a salivare, affamato. Vide con la coda dell'occhio la ragazza uscire dalla stanza sul retro, ancora borbottando, poi quella alzò il bancone per uscire, sotto braccio aveva lo stesso casco bianco con cui era arrivato il fratello che le aveva dato il cambio.

«Ci vediamo domani.» disse la ragazza, incamminandosi con passo deciso verso l'uscita, mentre Taehyung prendeva una bacchettata di ramen per soffiarvi sopra prima di infilarsela in bocca.

«Sappi che domattina vengo a riprendermi il motorino, quindi non pensarci nemmeno a usarlo per andare in università.» rispose quello che per Taehyung ormai era ufficialmente Hajoon, al bancone.

«Eeeh.» rispose lei, dietro le spalle di Taehyung. La sentì fermarsi per un secondo a trafficare con qualcosa, poi sentì un piccolo tonfo sordo seguito da uno scivolio, come se qualcosa le fosse caduto dalle mani mentre trafficava.

Taehyung guardò in terra, incuriosito. Sotto lo sgabello vuoto accanto a lui c'era un cellulare dalla cover verde con disegnato sopra un buffo ananas con la faccia, che se ne stava seduta sotto una palma a bere con la cannuccia da una noce di cocco.

 

Stop.

 

Taehyung abbassò il capo ed i capelli, senza che ci fosse nulla a trattenerli ora che si era tolto il berrettino, gli finirono negli occhi, facendogli sbattere più volte le palpebre a causa del fastidio. Se li spostò per poter guardare il cellulare dalla cover verde che scivolava sotto la sedia di ruvida plastica color azzurro polvere accanto a lui.

Nello stesso istante la cassiera rialzò il viso, immerso in una sciarpa di lana borgogna, per seguire con lo sguardo il tragitto del suo stesso telefono, che pochi istanti prima le era scivolato dalle mani mentre lei litigava con la cinghia del casco bianco di suo fratello.

Nessuno dei due si accorse che la stringa rossa che la ragazza aveva attaccato al telefono, con in fondo un piccolo orsetto polare e un campanellino, si era staccata, rompendosi.

 

Go.

 

Taehyung fissò per un attimo la cover, divertito dal buffo disegno dell'ananas. Lasciò andare le bacchette, lasciandole scivolare dentro la ciotola di ramen e si chinò, trattenendosi il giubbotto grigio contro il fianco, per recuperare il telefono che era scivolato sotto la sedia accanto a lui. Si rialzò con un vago lamento, per poi alzarsi in piedi e girarsi verso la cassiera. Aprì leggermente di più gli occhi, sorpreso nel vederla coi lunghi capelli castani, sciolti e arruffati attorno al viso arrossato. Fece qualche passo, controllando lo schermo spento ma privo di crepe, e glielo porse.

«Ah... grazie.» balbettò lei con un mezzo inchino frettoloso. Recuperò il telefono con entrambe le mani, una era già fasciata da un guanto di lana dello stesso colore della sciarpa.

«Di niente, per fortuna non si è rotto.» rispose Taehyung con voce vellutata prima che i suoi occhi si posassero su un mazzo di chiavi. «Oh? Quelle sono le tue?» chiese, indicandole alla ragazza. Lei si girò con un'espressione stupita su quel volto rotondo e dalle guance leggermente paffute e terribilmente arrossate. Si chinò a raccoglierle in fretta, in un movimento buffamente goffo che fece trattenere una mezza risata a Taehyung.

«Oh, sì grazie, sono le mie. Grazie ancora.» La ragazza fece l'ennesimo profondo inchino, evitando lo sguardo di Taehyung, che le fece uno dei suoi classici sorrisi quadrati.

Tornò a sedersi tranquillo, per ricominciare a mangiare il suo ramen, mentre lei usciva velocemente dal mini market con le guance in fiamme. Taehyung prese un altro sorso di soju, per mitigare leggermente il calore dei noodle con i quali si era appena bruciato la punta della lingua. Infilò una mano in tasca in cerca del suo cellulare e quando la estrasse gli cadde una monetina.

Ne seguì il percorso con lo sguardo, sbuffando, prima di chinarsi nuovamente a raccoglierla sotto il bancone, trovandosi faccia a faccia con un piccolo orsetto bianco attaccato, assieme ad un campanello, ad una stringa rossa che sembrava essersi spezzata. Afferrò la monetina e l'orsetto e infilò entrambe le cose in tasca, poi tornò a mangiare il suo ramen.

 

 

Forse, se Taehyung in quel momento avesse ignorato il telefono, la ragazza non si sarebbe accorta che le chiavi del motorino le erano scivolate fuori dalla tasca, quando aveva estratto il cellulare per mandare un messaggio a sua madre e avvisarla che stava per tornare a casa. Sarebbe uscita dal minimarket, si sarebbe infilata il casco, come in effetti ha fatto, mettendosi a posto la sciarpa per non congelarsi le guance rosee mentre tornava a casa, poi lo avrebbe agganciato. Sarebbe salita sulla sella del motorino e lo avrebbe tolto dal cavalletto, mentre con le mani affondate nelle tasche cercava le chiavi, senza trovarle. Allora avrebbe imprecato tra i denti, avrebbe rimesso il motorino sul cavalletto e sarebbe rientrata di corsa nel negozio a cercarle, convinta di non averle prese dall'armadietto in spogliatoio. Le avrebbe trovate solo tornando indietro, scrutando il pavimento di piastrelle bianche per trovarle incastrate sotto il bordo di uno scaffale, poco sotto le caramelle gommose. Le avrebbe raccolte, salutando di nuovo il fratello e Taehyung l'avrebbe fermata chiedendole se l'orsetto che aveva raccolto quando gli era scivolata la moneta fuori dalla tasca fosse stato il suo. Lei lo avrebbe ringraziato per poi correre fuori e rifare gli stessi gesti che aveva fatto prima, finendo col mettere in moto in motorino e tornare a casa.

Sarebbero stati appena cinque minuti e sarebbero stati più che sufficienti a far prendere agli eventi di quella sera una piega decisamente diversa da quella che in realtà hanno preso quando Taehyung ha fatto notare alla cassiera che aveva appena perso le chiavi.

Ma questo Kim Taehyung non potrà mai saperlo.

 

 

 

------

Angolo Autrice

Eccoci al primo capitolo di questa nuova storia su Kim Taehyung! Non vedo l'ora di leggere le vostre recensioni, se vorrete lasciarle, e sapere cosa ne pensate di questo prologo.
Intanto ringrazio anche AryaFreya che mi ha fatto da beta reader e che mi ha scritto quella meravigliosa sinossi che ho messo in descrizione!
Aggiornerò ogni due settimane questa storia moooolto soft e spero che questo assaggio abbia acceso la vostra curiosità.

Buona giornata e buona lettura!

ILYSM, BORAHE!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Merry-Go-Round ***


Merry-go-round - Giostra

 

 

"Luna park.
Odore di caramelle e zucchero filato.
La tua pelle che vibra sulle giostre
.
E certi sorrisi dal sapore di un Ti voglio."
F. Caramagna

 

 

Minjae si guardò le dita, controllando le unghie. Non erano curate, ma aveva sempre cercato di mantenere in uno stato più o meno dignitoso, per quanto i suoi infiniti lavoretti part-time le permettessero.

Sembrava che quel giorno avesse deciso di tenere i capelli sciolti, visto che le cadevano sulle spalle in onde morbide che sembravano quasi naturali. Le ricadevano attorno al volto rotondo e dalle guance paffute, su cui aveva steso un leggero blush color pesca che le ravvivava l'incarnato pallidissimo.

"Spero che non venga a piovere." alzò lo sguardo verso il cielo azzurro, mentre una delicata brezza primaverile le scompigliava leggermente i capelli.

Nell'aria c'era un vago odore di popcorn e zucchero filato che le fece immediatamente venire l'acquolina in bocca, ma guardandosi attorno non riuscì a scorgere la fonte di quel profumo. What is love delle Itzy cominciò a risuonare tutto attorno a lei, ad un volume alto ma non fastidioso.

Si guardò nello specchio che aveva davanti e soffocò una risata. Alzò le braccia verso il cielo terso e le agitò, studiando il suo riflesso buffamente distorto. Indossava una delle sue camicette preferite, di stoffa sottile in un pallido giallo pastello. L'aveva abbinata ad un paio di pantaloncini a vita alta blu dai bottoni dorati che le ricordavano vagamente le uniformi scolastiche. Ai piedi indossava le sue scarpe da ginnastica bianche, straordinariamente pulite rispetto al solito.

"Sono altissima!" scoppiò a ridere, divertita dalla vista del suo corpo allungato prima di passare davanti allo specchio successivo. "No, no, no! Oh cielo, sono rotonda!" agitò scompostamente le braccia per mandare via l'immagine del riflesso dalla sua testa e si girò per guardarsi nuovamente attorno.

Si trovava di fronte ad una lunga e disordinata serie di specchi distorcenti, al centro di un largo quadrivio di viottoli dai mattoni rossicci. All'incrocio erano presenti degli alti pali rossi e bianchi che ricordavano i bastoncini di zucchero natalizi, ma sui cartelli posti in alto non riuscì a scorgere alcuna indicazione. I pannelli erano bianchi e vuoti, a parte la cornice nera e Minjae aggrottò le sopracciglia, confusa.

"Chi diavolo mette dei cartelli senza scriverci niente sopra?"

Alla sua sinistra uno dei quattro viottoli, che ora erano solo tre, conduceva ad una gigantesca ruota panoramica bianca e rossa. Era ferma e le cabine tutte vuote. Eppure Minjae sentiva delle risate, oltre alla canzone che continuava a suonare in sottofondo. Erano risate di bambini, gioiose e spensierate, eppure Minjae era da sola a quel quadrivio che era diventato un trivio.

Si avviò verso la gigantesca ruota panoramica bianca e rossa, scalciando sassolini immaginari sul selciato rossiccio e perfettamente pulito.

"Forse sono in una zona chiusa del parco." si guardò attorno, le aiuole erano piene di profumatissime petunie e il sole allo zenit non sembrava bruciarle la pelle come faceva di solito.

Continuò a camminare nel vialetto alberato, ma la ruota panoramica rimase là, immobile, alla stessa distanza. La voce delle Itzy venne sostituita da quella di Pharrel Williams che cantava Happy e Minjae si ritrovò al quadrivio da cui era partita.

«Ma cosa... » si guardò attorno, sempre più perplessa. Gli specchi distorcenti erano dove li aveva visti prima, alla sua destra, ma sulla sua sinistra era comparso un piazzale. Al centro vi era una gigantesca giostra dall'aspetto fiabesco, di un delicato rosa. Quella funzionava. I cavalli bianchi, marroni, nocciola e neri continuavano a fare su e giù, seguendone il movimento.

Tutto attorno a lei era gremito di bambini che scorrazzavano in qua e in là, gridando felici. Indossavano tutti dei cappellini da baseball di un giallo vivido, con una buffa margherita sorridente disegnata sopra.

"Forse è un asilo in gita." rise nel vederne un piccolo gruppetto che si rincorreva in quel modo così spensierato. Si girò nella direzione da cui era arrivata, ma il vialetto era scomparso. Quel posto era terribilmente sbagliato, ma era anche allegro e divertente e Minjae si sentiva spensierata. Una giornata da sogno in un parco divertimenti che non aveva mai visto.

Fece spallucce e iniziò a passeggiare in una direzione casuale. Scansò una bimba coi codini e i pompon, che quasi le pestò i piedi senza scusarsi. Fece un versetto, seguendola con lo sguardo, ed i suoi occhi neri e lucidi si posarono su quello che pareva essere l'unico adulto in quegli stradini strani pieni di bambini dai cappellini gialli.

Minjae rimase per un secondo immobile a studiare la figura slanciata del ragazzo, in ginocchio davanti a un bambino in lacrime.

Aveva i capelli mossi e scuri, decisamente troppo lunghi a giudicare dal modo in cui continuava a spostarseli dagli occhi. Li sollevava leggermente col dorso della mano perché non gli finissero negli occhi, in un gesto che sembrava quasi più un tic. Aveva un profilo incredibilmente perfetto. Il naso dal ponte elegante ed alto non era né troppo grande né troppo piccolo, le labbra né troppo sottili né troppo piene ed un incarnato caldo che le ricordava vagamente il caramello. Indossava una camicia larga di un azzurro spento su un paio di larghi pantaloni marroni ed inginocchiato com'era, con la schiena dritta, sembrava uno di quei principi sui libri di favole che chiedono la mano della principessa di turno.

Sì, sembrava proprio il Principe Azzurro.

Minjae scalciò un sassolino immaginario, che rotolò via con un rumore metallico, come di una moneta che cade in terra. Quasi si girò a cercarla, perplessa, prima di scuotere il capo ed incrociare le dita dietro la schiena, mentre si guardava attorno ancora un secondo. Alla fine si decise e si avviò verso la giostra per avvicinarsi al ragazzo.

«Guarda, non è successo niente, dammi la mano.» il ragazzo parlò con una voce particolarmente profonda e vellutata che le fece vibrare la cassa toracica.

Prese una delle manine del bimbo che aveva di fronte e gli fece un sorriso dolce e buffamente quadrato. Il piccolo aveva una maglietta a larghe righe gialle, alternata a righe più strette di un blu profondo, ed un paio di pantaloncini di jeans sopra i sandali marroni da cui si intravedevano dei calzini bianchi.

Il ragazzo mostrò al bimbo il suo stesso palmo, poi ci soffiò sopra con fare solenne, prima di spolverarlo con una carezza e mostrarglielo, come se avesse appena compiuto una magia.

«Ecco, ora non hai più niente! Visto? Non c'è più la bua.» esclamò, inclinando il capo.

Minjae si avvicinò ulteriormente, incuriosita dal modo in cui il bimbo sembrava essere rimasto incantato a causa di quel prodigio, e si chinò leggermente in avanti.

«Sei bravo con i bambini.» la voce le uscì inaspettatamente dalle labbra. Si rialzò di scatto, portandosi sorpresa una mano alla bocca. Quando il ragazzo si girò a guardarla, incuriosito e divertito, sentì le guance andare a fuoco. Rimase senza parole e senza fiato a fissare i lineamenti perfettamente cesellati del moro.

Taehyung si girò, sorpreso nell'udire una voce cristallina, decisamente femminile quanto inaspettata. In piedi accanto a lui c'era una ragazza sulla ventina, dalla pelle bianca e le guance pienotte e arrossate come mele su un volto ovale incorniciato da lunghi capelli mossi. Indossava una camicetta dal colletto rotondo, con le maniche a tre quarti, di un leggero giallo pastello. Era infilata in un paio di pantaloncini color blu scuro che gli ricordavano la marina militare americana degli anni cinquanta e i lunghi capelli castani avevano dei piacevoli riflessi quasi ramati sotto la luce del sole primaverile.

Si rimise in piedi, prendendo per mano il bimbo che aveva di fronte. Quello si girò a sua volta a guardare la ragazza, smettendo immediatamente di piangere.

«Sì, mi piacciono i bambini.» rispose con un sorriso, girandosi di nuovo a guardare il bimbo, sul cui volto si aprì un ampio sorriso quadrato così tanto simile al suo. «Mi piacciono tanto, così tanto che ne voglio almeno cinque.»

«Oh cielo, scusa, credevo di averlo solo pensato!» Minjae si coprì il volto con una piccola mano, visibilmente in imbarazzo, facendolo scoppiare in una risata profonda. Il bimbo gli fece eco, come un gemello in miniatura.

«Beh, sì, può essere.» rispose Taehyung in tono vago. Studiò divertito il volto interdetto di lei, che aveva le sopracciglia vagamente aggrottate sui profondi occhi neri come l'onice.

"Mi piace." le sorrise, girandosi a guardare la giostra da fiaba che continuava a girare, vuota nonostante tutti i fanciulli presenti in giro. Non aveva idea di cosa ci facesse quella tizia, lì, nel suo sogno, ma era carina e lo incuriosiva.

"Forse l'ho vista in agenzia? Una delle impiegate degli uffici, magari."

«Scusa ma... dove sono i genitori di tutti questi bambini?» la ragazza si guardò attorno mentre arricciava le labbra in un'espressione buffa e tenera che le gonfiò le guance tonde.

«Non lo so, forse a casa loro.» Taehyung scrollò le spalle, tranquillo, inclinando la testa di lato per poterla studiare meglio. «Hai fame?» chiese di punto in bianco, continuando a stringere la mano del bimbo. Non aveva idea del perché, ma sapeva che quella tizia sconosciuta aveva fame. Anche lui l'aveva.

«Ah, sì, come fai a saperlo?» Minjae si rigirò a guardarlo, perplessa e lo stomaco le brontolò. L'odore di popcorn si fece più intenso e Shake it off di Taylor Swift soppiantò Happy.

«Boh, così... io ho fame.» rispose lui con un'altra scrollata di spalle.

Si sollevò sulle punte per guardare oltre la moretta, anche se non ne aveva assolutamente bisogno dal momento che lei non doveva essere alta più di un metro e cinquanta. Il suo sguardo si illuminò di allegria e iniziò a camminare tranquillamente, quasi saltellando, verso un camioncino colorato.

Era parcheggiato esattamente dove poco prima c'erano gli specchi distorcenti, tutto dipinto di un arancione sgargiante e dalla sua direzione proveniva uno scoppiettio invitante insieme all'odore intenso dei popcorn.

«Ma c'era quello prima?» chiese Minjae con voce carica di sconcerto. Indicò la vettura, mentre fissava meravigliata i pop-corn che esplodevano dentro una semisfera di vetro lucido e trasparente.

Taehyung arricciò le labbra alzando le sopracciglia e si strinse nelle spalle. "Quante domande. Io di solito non mi faccio così tante domande."

«Direi di sì, forse non lo hai visto.»

Minjae si accigliò nuovamente. Lui era stranamente calmo, eppure le cose attorno a lei non avevano senso, nemmeno per sbaglio.

«Ma ci sono passata prima, sono sicura che non ci fosse.» ribatté, seguendolo mentre attorno a loro i bambini continuavano a correre ed urlare festanti.

Taehyung si girò a darle un'occhiata giocosa e si strinse nelle spalle.

«Importa davvero?» si sporse oltre il bancone lucido del camioncino. Non c'era nessuno al bancone, ma i popcorn scoppiettavano come per magia. Afferrò un sacchetto marroncino dalla grande scritta blu e lo passò alla ragazza accanto a lui.

«Non capisco.» ammise Minjae fissando i pop-corn. Erano piacevolmente tiepidi e profumavano di sale e burro caldo. Iniziò a salivare, prendendone uno tra le dita per studiarlo. «Mi piacciono quelli al caramello però.» obiettò in tono quasi deluso, lasciando ricadere il pop-corn nel sacchetto prima di sollevare lo sguardo su Taehyung.

Sgranò gli occhi e si portò una mano alla bocca spalancata, per coprirla mentre lui liberava una bassa risata profonda che le rimbombò di nuovo nella cassa toracica, facendola vibrare in un modo stranamente gradevole. Sembrava quasi che quella voce le toccasse delle corde invisibili, come una mano che pizzica una chitarra.

«Oh no! L'ho fatto di nuovo!» si lamentò. Fu travolta dall'imbarazzo e tornòa guardare i popcorn per evitare gli occhi scuri e scintillanti di Taehyung, così belli nel loro essere un po' asimmetrici. Improvvisamente i pop-corn, da bianchi che erano, avevano preso una piacevole sfumatura dorata e un odore dolciastro le invase le narici.

«Sono al caramello.» Taehyung sorrise, prendendo un bastoncino di soffice zucchero filato rosa a forma di elefantino da uno degli espositori del carretto. Guardò tutte le soffici e delicate nuvolette zuccherine. Ce n'erano di ogni forma e colore. Una giraffa verde dondolava al ritmo della musica accanto ad un ippopotamo giallo. «Chissà come fanno a dargli questa forma. Forse hanno gli stampi, no, impossibile, come farebbero a fare lo zucchero filato in stampi.» mormorò, staccando un orecchio dell'elefante prima di metterselo in bocca con un sorriso e chiudere gli occhi soddisfatto, mentre assaporava quella nube appiccicosa al gusto di fragola.

«Continuo a non capire.» ammise Minjae, squadrandolo. Si infilò un pop-corn in bocca. Era salato e dolce allo stesso tempo, appiccicoso per via del caramello, ma ancora croccante, proprio come piaceva a lei. «Oh... è buonissimo. Ma il bambino che avevi per mano?» indicò il posto in cui prima c'era il bambino. Era rimasto improvvisamente vuoto.

«Sarà corso via con gli altri.» rispose Taehyung prima di affondare il volto nell'elefantino e staccare un grande pezzo. Si era dimenticato del bambino e prevedibilmente quello era scomparso.

"Quante domande che fa."

«Ah sì, ha senso in effetti. Dove siamo?» chiese Minjae, sinceramente confusa. Non riusciva a tenersi i pensieri in bocca e provava una sensazione di surrealtà, di quelle che si hanno nei sogni. Eppure sentiva benissimo il sapore dei pop-corn.

«Ah, siamo... beh, è evidente, siamo in un parco giochi.» Taehyung rispose lentamente, tranquillo, mentre si guardava tutto attorno.

Anche se era primavera gli alberi erano stranamente spogli e poteva vedere le attrazioni tutto attorno a loro. Riportò lo sguardo sulla ragazza in piedi di fronte a lui, attirato dal ciondolo a forma di cuore che aveva al collo e le sorrise di nuovo.

"E' proprio carina." pensò prima di inclinare il capo, studiandola ancora.

«Credo che... sì, credo che questo sia un appuntamento.» annuì convinto, mentre continuava a staccare batuffoli rosa dal morbido elefantino di zucchero che sembrava non finire mai.

Minjae indicò sé stessa, poi lui e infine mosse rapidamente l'indice tra loro, stupita.

«Ma... ah, intendi... io e te?»- chiese.

«Sì, io e te. Ci siamo solo noi qui, e i bambini, ma non credo di essere qui per loro se sei qui.» il moro sorrise, alzando le sopracciglia. Ammiccò come faceva sempre sul palco, solo per vedere che tipo di reazione avrebbe avuto lei. Come aveva sperato arrossì furiosamente.

Minjae osservò come intontita il volto perfettamente rilassato di Taehyung e sbatté un paio di volte le palpebre, mentre continuava a infilarsi in bocca i popcorn con gesti quasi automatici, sopraffatta dall'imbarazzo.

«Ma Taehyung-ssi noi non ci conosciamo neanche e io... non ricordo neanche come ci sono arrivata qui.» mormorò appena, mentre si guardava attorno carica di perplessità.

Taehyung si lasciò andare in una bassa risata e le si avvicinò di un passo, facendola retrocedere, poi si fermò allargando le braccia. Non c'erano più i bambini dai cappellini gialli a gridare tutto attorno a loro.

«Neanche io, ma che importa?» chiese allegramente, un sorriso talmente ampio che aveva gli occhi quasi chiusi. «Mi piace moltissimo questo posto e poi... la senti la musica?» chiese indicando i dintorni, proprio mentre una melodia iniziava ad uscire dagli altoparlanti tutto attorno a loro, sembrava che provenisse da ovunque e da nessun luogo in particolare.

Minjae non si era nemmeno resa conto che la musica si era interrotta mentre loro parlavano, troppo concentrata nel cercare di capire quella conversazione assurda. Appena Taehyung aveva accennato alla musica però quella era ripresa, istantaneamente. Era diversa da prima, non era una canzone commerciale.

«Straordinario, sembra una colonna sonora.» bisbigliò ammirata, puntando lo sguardo sugli altoparlanti da cui fuoriusciva la melodia. Erano lucidi e rossi, come un sacco di altre cose in quel posto strano. Se ne stavano là, con quell'aspetto da cartone animato, piazzati in cima ad alti pali identici a quelli delle indicazioni. Anche quelli avevano un aspetto quasi irreale, sembravano bastoncini di zucchero natalizi, ma molto più alti.

Taehyung le si avvicinò con un sorriso furbo. La prese per mano, facendola di nuovo arrossire furiosamente. Era calda e morbida, talmente grande che chiudeva la sua quasi del tutto. La mano di Minjae sembrava quella di una bambina, a confronto della sua. Alzò le loro mani unite tra loro, come a farle vedere che lo stava facendo davvero.

«Dai, andiamo!» la trascinò verso la giostra saltellando, allegro.

All'improvviso la giostra era appena a pochi passi da loro e sembrava attendere solo loro due per partire. Le finiture rosa erano diventate di un delicato color panna.

Minjae lo seguì e Taehyung salì su un cavallo bianco, con un sorriso talmente ampio da ridurre i suoi occhi scuri in due strette mezzelune.

«Mi piace tantissimo questa canzone, forse è per questo che la stanno suonando.» rise, mentre Minjae prendeva posto sul cavallo nero accanto al suo e si guardava attorno spaesata. Taehyung inclinò il capo per guardarla, incuriosito dalle reazioni così sincere della ragazza, era come leggere un libro aperto.

«Credo di averla già sentita da qualche parte, possibile?» Minjae si picchiettò il mento con un dito, mentre arricciava le labbra rosee in modo carino.

«Sei carina.» Taehyung emise una leggera risatina compiaciuta vedendola arrossire per l'ennesima volta. Era incredibile la rapidità con cui quelle guance tondine e paffute le si imporporavano ogni volta che la guardava o diceva qualcosa di sconsiderato. «Viene da Il Castello errante di Howl, credo che si chiami... Merry-Go-Round of Life

«Sei così carino quando parli inglese.» di nuovo le parole uscirono dalla bocca di Minjae senza nemmeno che lei lo volesse. Staccò la presa dal palo del cavallo e si coprì le guance. Erano roventi e aveva caldo per tutto l'imbarazzo che stava provando. «Oh... oh io...» tentò di giustificarsi, in un gemito disperato, ma anche i suoi pensieri erano così confusi che dalle labbra non le uscì nulla.

«Non è il mio forte, ma ci provo. Mi impegno molto anche se ho una pronuncia terribile secondo i miei insegnati.»- Taehyung si sfiorò il collo, imbarazzato. Non gli era mai piaciuto studiare e l'inglese ancora meno. Decise di cambiare discorso, perché preferiva vedere lei in imbarazzo. «Arrossisci così facilmente!» si finse meravigliato, mentre lei si girava dall'altro lato per non farsi guardare.

Minjae si premette ancora di più le mani fresche sulle guance roventi, cercando di placare il rossore e sobbalzò perplessa.

«Ma io non avevo dei popcorn in mano?» si girò incerta a guardarlo. Lo stupore le aveva placato immediatamente il rossore e la sua pelle era tornata quasi normale, solo vagamente più rosea del solito.

Taehyung scoppiò a ridere. "Sei buffa, se fossi la mia ragazza davvero credo che mi divertirei un sacco con te."

«Non li hai più.»

«Ma non ha senso, non ricordo di averli buttati.» ribatté lei, sistemandosi sul cavallo. «Questa situazione è assurda.»

«In effetti è divertente.» ammise Taehyung massaggiandosi il mento. Stiracchiò le gambe, mentre il suo cavallo continuava a fare su e giù. «Insomma, siamo in un sogno e continui a stupirti di quello che succede, come se fosse tutto vero.»

Gli occhi onice di Minjae si velarono di una leggera delusione, mentre ruotava la testa per osservarsi attorno. Come aveva fatto a non accorgersene prima di essere in un sogno?

«Ah... sì, in effetti... Poteva succedere solo in un sogno di avere un appuntamento con te.» le uscì in tono molto più deluso di quanto non avrebbe voluto e le guance le divennero di nuovo paonazze, ma rimase col capo ostinatamente girato per evitare che Taehyung la vedesse.

«Non sono irraggiungibile. So che lo sembro, ma non sono irraggiungibile.» il ragazzo strinse la presa attorno all'asta lucida che trafiggeva la schiena del cavallo su cui era seduto, leccandosi le labbra.

Minjae si girò di nuovo e lo guardò interdetta per un attimo, poi il suo sguardo fu catturato da una figura vestita che stonava terribilmente contro l'atmosfera dle parco di divertimenti. C'era un uomo in nero, seduto su di una staccionata di legno che circondava la giostra. Era un ragazzo alto, col cappotto di pelle lungo fino ai polpacci, in contrasto totale con l'aria piacevole che si respirava in quel luogo e il clima inadatto a quel tipo di indumento. Teneva le mani raccolte in grembo, fasciate in lucidi guanti di pelle, e aveva i capelli ossigenati tirati all'indietro sul di un bel volto ovale dagli occhi felini, di un azzurro così chiaro da essere inquietante. L'uomo in nero scosse la testa, fissandola dritto negli occhi con un'espressione seria sul volto felino, e Minjae alzò un dito per indicarlo a Taehyung.

«E lui chi è?» chiese e l'incertezza le fece tremare leggermente la voce.

«Chi?» Taehyung seguì il dito, Minjae, incuriosito.

Lei lo seguì per un attimo con lo sguardo, mentre quello si girava, perdendo d'occhio il ragazzo inquietante e così stranamente fuori luogo, poi tornò a puntare gli occhi nel punto in cui aveva visto il tizio strano, spalancano la bocca in preda alla confusione. Non c'era più, né lui né la staccionata su cui era appollaiato come un avvoltoio.

«Ah, c'era... una staccionata con un tizio seduto sopra.» balbettò, incerta. «L'ho visto, non me lo sono immaginato, sono sicura.»

Taehyung si rigirò a guardarla perplesso, poi arricciò le labbra.

«Ah, ti credo. Che strano...» mormorò, pensieroso. «Ma anche tu sei strana, quindi non credo sia un problema.» sorrise poi spensierato. Chissà perché aveva infilato un tizio nel suo sogno, magari era Jimin.

«Io sono strana? Sei tu quello strano Taehyung-ssi!» ribatté lei offesa, facendolo di nuovo scoppiare a ridere. «Oh no, è successo di nuovo.» si nascose il viso tra le mani e Taehyung si sporse per spostargliele dal viso, facendole l'occhiolino.

«E' vero, io sono strano, me lo dicono tutti. Però non è male essere strani sai? Va bene. Di che anno sei?» tornò ad aggrapparsi all'asta del suo cavallo.

Era curioso di sapere che strana proiezione avesse creato la sua mente. Magari stava sognando il suo grande Amore, quello con la A maiuscola. Forse erano i suoi angeli gli stavano suggerendo che la conosceva già, ma perso com'era non se ne era mai accorto.

«Del '96. Come fai a cambiare discorso così in fretta?» chiese Minjae stranita. Taehyung continuava a saltare di palo in frasca in un modo così repentino che la lasciava confusa e a tratti stordita.

«Ah, allora io sono più grande e visto che questo è il nostro appuntamento... credo che tu possa chiamarmi Oppa, ti va?» propose Taehyung, glissando sulla domanda che aveva posto lei e rilassandosi mentre passava a parlare in registro informale.

Minjae si aggrappò saldamente al cavallo, anche se la giostra continuava a girare a tempo con quella musica che le pareva essere una specie di valzer, sembrava quasi di essere sempre fermi nello stesso posto. Forse erano davvero fermi, lì tutto funzionava in modo strano.

«Non ti da fastidio? Insomma non ci conosciamo nemmeno e...» chiese, inclinando il capo prima di rialzare lo sguardo incredula. Tutte le luci della giostra si erano accese e all'improvviso la forte luce del primo pomeriggio aveva lasciato spazio ad un cielo di un blu intenso carico di stelle.

«No, perché dovrebbe, nessuna mi ha mai chiamato Oppa a un appuntamento, mi chiamano così solo le fan. No, forse a scuola qualcuna delle ragazze con cui sono uscito ma, beh non credo che conti. Dai, prova!» la esortò Taehyung girandosi a guardare meravigliato le luci della giostra e quelle del parco attorno a loro. Era un appuntamento, quindi era giusto che fosse notte. Gli appuntamenti notturni erano più romantici, più intimi. Gli era sempre piaciuta l'idea di un appuntamento al parco giochi.

«Ma non era giorno fino a un istante fa O...» tentennò Minjae. «Ma siamo davvero a un appuntamento dici?» chiese ancora, le guance di nuovo roventi.

«Abbiamo mangiato i pop corn e lo zucchero filato e ora siamo su una giostra, di notte, solo io e te, con la musica in sottofondo. A me sembra un appuntamento, no?» rispose lui appoggiando la testa contro l'asta ritorta della sua cavalcatura e Minjae studiò il suo volto perfetto, con quel piccolo neo sul bordo del labbro, ammutolita.

«Lo sembra proprio Oppa...» mormorò prima di portarsi di nuovo la mano davanti alla bocca e girarsi dall'altra parte. «Oh cielo, ma perché continua a succedere?!» chiese in tono lamentoso e Taehyung scoppiò di nuovo a ridere.

«Non lo so, ma lo trovo carino quindi non credo ci sia alcun problema.» rispose prima di chinarsi verso di lei e scrutarla incuriosito. Minjae si ritrasse e Taehyung iniziò a passarsi le dita sulle labbra, pensieroso. «Non mi hai detto cosa fai.»

«In che senso?» chiese lei, ritraendosi sulla sella scivolosa.

«Sì, nella vita, cosa fai?» insistette Taehyung.

«Ah io sono iscritta all'università, stu-»

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cloverfield ***


 

"Ma tu chi sei che nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?"

W. Shakespeare

 

Minjae agitò i piedi nudi nell'aria fresca e umida della notte. Arricciò le dita divertita prima di pestare meravigliata l’erbetta fresca e morbida, bloccando un piccolo risolino che le stava sgorgando in fondo alla gola. Si sentiva curiosamente gioiosa, senza che vi fosse un motivo preciso. Forse era proprio per l’odore estivo di notte ed erba che la rendeva così allegra. Sul ginocchio aveva una sbucciatura leggera, che le pizzicava in modo non troppo spiacevole nell'aria frizzante della notte. Non ricordava come se lo fosse fatto, ma sembrava una di quelle sbucciature che collezionava da bambina, quando imparava ad andare in bicicletta e suo fratello maggiore la prendeva in giro ogni volta che, cadendo, scoppiava disperatamente a piangere. Era un bel ricordo, perché suo padre arrivava sempre a darle un bacio sulla guancia e dirle quanto fosse coraggiosa. 

Si strinse nelle spalle, gli occhi scuri rivolti al grande albero di noce che svettava, solitario, a pochi metri di distanza. Corse tra l’erba fresca, inspirando il profumo dei fiori di campo impregnati di rugiada, godendosi la sensazione dell’aria fresca sul viso. C’era un’altalena appesa a quel maestoso albero che le stava accanto e lei non riusciva proprio a resistere alle altalene, anche se dentro di sé si diceva che fosse una cosa terribilmente infantile ma lì, in quello sterminato campo d’erba fresca, c’era solo lei. Nessuno avrebbe riso nel vederla dondolarsi come una bambina. 

Strinse le mani attorno alle corde ruvide e puntellò i piedi in terra, l’erba dolce aveva lasciato il posto al terreno friabile e sabbioso. Veniva usata spesso quell’altalena. Si sistemò la seduta sotto il sedere e dopo una piccola rincorsa staccò i piedi da terra. Si librò in aria con una risata di pura felicità e cominciò a dondolare su quella strana altalena appesa nel nulla, con la sensazione che il terreno fosse diventato improvvisamente distante. Non rischiava più di sfiorarlo con la punta dei piedi ad ogni dondolio.

I capelli sciolti le ondeggiavano attorno al viso rotondo ad ogni colpo di reni. Andava sempre più veloce, sempre più in alto e per un secondo Minjae ebbe l'illusione di poter afferrare quella luna così candida e gigantesca che si stagliava luminosa contro il cielo notturno e carico di stelle. Non aveva mai visto un cielo del genere, non aveva neanche mai pensato che fosse possibile che esistesse una notte così tanto luminosa. Era un ossimoro.

Una ciocca di capelli ondulati le si incastrò tra le labbra socchiuse e Minjae iniziò a ridere di gusto, assaporando l'odore fresco dell'erba medica che cresceva tutto attorno a quel luogo tranquillo, magico e silenzioso. Gli unici rumori erano la sua stessa voce, il frinire ininterrotto dei grilli e il richiamo ritmico di un gufo. Quei suoni, insieme, avevano un’armonia tale da sembrare un improvvisato concerto.

Taehyung sollevò il capo di colpo, distogliendo l'attenzione dal libro con la copertina verde che aveva in grembo. Non lo stava davvero leggendo, perché non riusciva a distinguere le parole che gli si incrociavano curiosamente davanti agli occhi. Non ricordava nemmeno che libro fosse, se doveva essere onesto. Si guardò attorno, incuriosito dalla risata delicata e femminile che era esplosa all'improvviso da qualche parte alle sue spalle. Era squillante e allegra, come il suono di un sonaglio. Si alzò lentamente, lasciando che il libro scivolasse sull'erba accanto a lui. La copertina si chiuse con un piccolo tonfo ovattato, come se pesasse quintali e non pochi grammi. Si sostenne alla corteccia rugosa del gigantesco albero a lui così familiare. Era calda, come se quella pianta possedesse un cuore pulsante e vivo. Gli ricordava Nonna Salice, di Pocahontas, anche se era un noce. 

La risata argentina si alzò di tono e Taehyung si riscosse. Ogni tanto gli capitava di perdersi in quel modo. Gli capitava spesso. Si incamminò per aggirare quel tronco colossale, deciso a scoprire la fonte di quel suono cristallino che si armonizzava in maniera così perfetta con i rumori di quella notte soave dal sapore d'estate. Forse nemmeno con tutti gli altri sarebbero riusciti ad abbracciare quel Nonno Noce. Ne accarezzò la corteccia con la punta delle dita, come a volerlo coccolare e un po’ era proprio così. 

Sbirciò oltre il tronco e i suoi occhi si posarono su di una figura femminile dall’aspetto etereo, intenta a volare su di un'altalena di legno e corda. Sembrava una fata, una strana creaturina dei boschi. Forse viveva nell’albero. Indossava un abitino bianco ed estivo, dall'aspetto impalpabile, che le si gonfiava dietro la schiena come una morbida vela ogni volta che volava in alto, contro la luna. Sembrava quasi che avesse le ali, delle ali bianche, come quelle di una colomba in volo. 

Soffocò una mezza risata profonda per non disturbare la ragazza in quel suo salire e scendere che la divertiva così tanto e si avvicinò lentamente, con le mani affondate nelle tasche dei suoi bermuda preferiti, color verde oliva. Si addossò al tronco e rimase a osservare il movimento ritmico delle gambe nude della ragazza. Da quella prospettiva sembrava davvero che l'altalena fosse appesa direttamente al cielo. La sconosciuta dai lunghi capelli scuri e ondulati aveva le caviglie sottili come giunchi e la pelle perfettamente candida, dall’aspetto così delicato da ricordargli l’alabastro. Su un ginocchio leggermente gonfio vi era una sbucciatura vermiglia, dall'aspetto doloroso, proprio al centro di un livido violaceo. 

«Sto volando Jack!» Minjae urlò la propria gioia contro la notte. Esplose nell’ennesima risata cristallina, sospesa in quel momento in cui l'altalena, al picco massimo del suo percorso ascendente, rimane immobile nell'aria per un lungo istante, mentre l'inerzia scompare e la gravità la riporta giù, in una discesa rapida. Continuò a dondolare le gambe, sempre più forte, per aizzare quel moto e mantenere l'altalena in movimento. 

Taehyung la guardò per un secondo, sorpreso da quel grido di gioia così infantile, prima di scoppiare a ridere sonoramente. Si nascose il volto con una mano, mentre cercava di mascherare il divertimento. 

Minjae sgranò gli occhi spaventata e si girò a guardarlo quasi nel panico. La voce profonda di lui l’aveva colta di sorpresa le faceva vibrare la cassa toracica.

«Ma tu quando sei arrivato?!» la voce le uscì stridula e strozzata. Cercò di rallentare il dondolio per riuscire a fermarsi di botto, appesa alle corde. Taehyung continuò a ridacchiare, incapace di fermarsi, mentre staccava la schiena dal tronco tiepido per avvicinarsi a lei.

«Sono sempre stato qui. Ero solo dall'altra parte.» rispose tranquillo, seguendola con lo sguardo man mano che lei rallentava.

«Dall’altra parte?» Minjae gli lanciò un’occhiata confusa, finalmente il terreno era tornato a una distanza consona e lei poteva immergere di nuovo i piedi nudi nella fine sabbia giallastra della zona priva di erba, ai piedi dell’altalena.

«Dall’altra parte del tronco.» Taehyung inarcò un sopracciglio, con un sorrisetto spavaldo a incurvargli le labbra mentre accennava divertito al noce.

«Ah… ah. Avresti dovuto palesare la tua presenza.» Minjae brontolò, in imbarazzo. Gonfiò le guance arrossate e girò il capo per impedirgli di guardarla, in un tentativo di nascondersi dietro la coltre dei capelli scuri.

«Avresti potuto farlo tu. Io non sapevo che fossi qui, pensavo di essere solo.» Taehyung si staccò dal tronco e colmò in un paio di passi la distanza che li separava. Posò la mano sulla corda ruvida, a pochi centimetri da quella piccola e candida di lei. C’era qualcosa di familiare in quelle gote arrossate, voleva guardarle per bene perché gli piacevano, senza che ci fosse un motivo. 

«Come facevo a sapere che ci fossi, pensavo di essere sola!» ribatté Minjae,  abbassando maggiormente il volto per nascondere le guance imporporate e l'espressione corrucciata. Con un gesto nervoso si sistemò la frangia, i capelli le si erano spettinati a causa della brezza mentre volava su quell’altalena. 

Taehyung inclinò il capo, le iridi scure che scivolavano sulla curva morbida della clavicola nuda della piccola sconosciuta delicata.

«Stavo leggendo.» rispose in tono vago, appendendosi alla corda. Distolse lo sguardo da quel collo esile per guardare in lontananza, oltre lo sconfinato prato d’erbetta ordinata. Una casetta scarsamente illuminata si intravedeva grazie all'abbacinante luce lunare che imbiancava il paesaggio bucolico. 

Minjae risollevò lo sguardo incuriosita, e lui tornò a guardarla, attratto come una falena alla fiamma. Gli occhi di lei erano così neri e profondi da sembrare due pietre d'onice, lucide, liscie e perfettamente rotonde, due gemme incastonate in un volto ovale dai tratti delicati e le labbra rosee come petali di rosa.

«Cosa?» chiese Minjae con voce squillante.

«Peter Pan.» rispose con sicurezza Taehyung, appoggiando la fronte contro la corda. Non era riuscito a leggere il titolo del libro dalla copertina verde, ma era certo che fosse quello. 

Sfoderò il suo sorriso quadrato e vagamente timido. "È carina." pensò studiandola, mentre lei lo fissava con espressione incantata. 

«Mi piace Peter Pan, peccato che sia così triste.» Minjae distolse lo sguardo dal volto perfetto del moro e puntò lo sguardo sulla maglietta verde oliva di Taehyung per non guardarlo negli occhi vivaci. C’era qualcosa, nello sguardo di lui, che le faceva accelerare il battito cardiaco.

«Perché triste? Mi piace il fatto che lui non voglia crescere. Anche io a volte ho desiderato rimanere un bambino, proprio come Peter.» Taehyung volse nuovamente lo sguardo verso il campo di trifoglio davanti a loro. Dall’erba si erano levate migliaia di piccole luci, gialle e intermittenti. Erano uscite dal fogliame umido e odoroso, sincronizzate come in una danza, e in quel momento illuminavano il campo come piccole faville incandescenti, volando disordinatamente tutto attorno a loro. 

Minjae si girò, seguendo lo sguardo sognante del moro e per un attimo rimase senza fiato per lo spettacolo che si trovò davanti.

«Ero piccola l'ultima volta che ho visto le lucciole.» bisbiglió incredula, prima di sentire la mano calda e vellutata del moro che le prendeva la mano.

«Quanto piccola?» Taehyung strinse la mano della sconosciuta. Era morbida, liscia e piacevolmente minuscola nella sua.

«Molto piccola. Forse cinque o sei anni, ero in campagna dagli zii prima che… » sospirò, la stretta della mano di Taehyung da un lato la metteva a disagio, dall’altro la rassicurava in un modo alieno e che non riusciva a spiegarsi. 

«Che?» insistette, abbassandosi per poter entrare nel campo visivo di lei.

«Che i miei divorziassero.» finì Minjae in un sussurro.

«Ah.» Taehyung si risollevò, lo sguardo rivolto alle lucciole che continuavano a danzare tutto attorno a loro. Nell’aria riconobbe le note di Goodbye dei Secondhand Serenade. Non sapeva da dove provenisse, ma le lucciole sembravano seguire la melodia in una scena del tutto irreale. 

Anche Minjae riconobbe la canzone e tese l’orecchio stupita, non c’erano pali o altoparlanti e la musica arrivava lontana e ovattata, come se qualcuno a centinaia di metri da lì la stesse suonando ad altissimo volume.

Taehyung scrutò l’ombra che aveva offuscato il brillio in fondo agli occhi neri della fanciulla. “Voglio sentirti ridere ancora.” scrutò il prato illuminato, improvvisamente era un declivio e lui aveva voglia di correre.

«Non hai le scarpe.» constatò quasi stupito, prima di stringersi nelle spalle con un sorriso e iniziare a correre verso l'erba, la presa salda attorno alla mano fresca di lei. 

«No non le ho!» esclamò Minjae, sorpresa. Lo seguì nell'erba, in una corsa forsennata e liberatoria, in mezzo a tutte quelle migliaia di lucciole, brillanti come piccole stelle. La musica sfumò e l’oppressione che provava nel petto nel ripensare a suo padre le scivolò di dosso, come stoffa leggera rubata dalla brezza. 

«Guarda!» esclamò Taehyung con una risata, l'aria estiva gli scompigliava i capelli neri e ricci mentre correva nel prato. «Siamo come Peter e Wendy quando volano nel cielo!»

Minjae esplose in una risata argentina. Seguì Taehyung, rafforzando la presa sulla mano di lui, i polmoni che lavoravano rapidi, incamerando l'aria profumata della notte in quella corsa forsennata, con l'erba fresca e umida che le frustava le gambe nude in modo delicato e piacevole, come una carezza bagnata. 

I piedi di Taehyung percorsero rapidi il prato, sembrava infinito e l'inclinazione del terreno era cambiata ancora. Era molto più scosceso di prima. Accelerò, aumentando il ritmo delle falcate. Aveva spalancato le braccia come se fossero ali e in quel momento gli sembrava davvero di volare. Il suono di un flauto ruppe il frinire dei grilli e vi si mescolò, mentre trascinava con sé la ragazza e la sua voce squillante e argentina.

«Ma è la canzone del Titanic!» Minjae rise ancora. Era tutto così assurdo, quel posto, le lucciole, la musica che arrivava da ovunque e in nessun posto. Taehyung che le stringeva la mano.

«Every night in my dreams… I… mmmh… I feel you!» Taehyung iniziò a cantare, inventandosi le parole che non ricordava affatto solo per sentirla ridere ancora.

Giunse alla fine del declivio e rallentò, il petto che si alzava e abbassava in fretta a causa della corsa e delle risate. Minjae gli finì addosso, scontrandosi contro la sua schiena con un urlo sorpreso che li fece finire entrambi a rotolare nell'erba fresca. Finirono distesi uno accanto all'altro, con Taehyung che le teneva ancora la mano. 

Minjae guardò il cielo punteggiato di stelle, la cassa toracica che si muoveva rapida mentre lei tentava di riprendere fiato. Il sudore le imperlava la pelle e piccole gocce brillavano lucide anche sul volto di Taehyung, che la stava guardando con gli occhi leggermente asimmetrici carichi di gioia. La brezza si levò improvvisa, portando con sé l’odore pungente del disinfettante mescolato a quello dei fiori. Le si rizzarono i peli sulle braccia e rabbrividì. Quell’odore era così fuori posto in quel prato di campagna. Si sollevò sui gomiti e si girò verso Taehyung, confusa, il ragazzo aveva portato un braccio a nascondergli il volto e il fiato corto proprio come lei.

«Lo hai sentito anche tu?» chiese perplessa, guardandosi attorno. Come era arrivato l'odore era scomparso, sostituito di nuovo da quello dell'erba.

«Cosa?» chiese Taehyung, ansante, scostando il braccio per poterla guardare. Sorrise, con quei capelli scompigliati sulle guance rosee sembrava proprio una Biancaneve dagli occhi a mandorla.

«L'odore… Non hai sentito niente?» Minjae studiò l'espressione incerta del ragazzo, che le lasciò andare la mano e si girò su un fianco con un largo sorriso. Sollevò il mento e chiuse gli occhi, mentre annusava l'aria come un grosso cane.

«Sono i fiori.» rispose Taehyung ridacchiando. Sembrava così ansiosa, eppure quella sera era perfetta. Fece una smorfia infastidita quando una nota della canzone risuonò in modo acuto e cacofonico, poi la musica si interruppe di botto. 

Minjae trasalì e scosse il capo, lasciandosi nuovamente ricadere all'indietro, i capelli disordinatamente sparsi nell'erba.

«Non avevo sentito odore di fiori, ma devo essermelo immaginato.» commentò fra sé e sé, traendo un profondo respiro. Le sembrava ancora di sentire quell’odore pungente. «Ah che fastidio.» si sfregò il naso col palmo della mano e Taehyung le bloccò il polso, avvicinandosi per farla smettere.

«Dai, è solo suggestione. Come quando ti convinci di aver sentito un rumore ma non è vero, però continui a sentirlo.» ridacchiò, vedendo l’espressione poco convinta di lei e si lasciò ricadere sul prato a guardare le stelle. La sua mano scivolò sull’avambraccio liscio della ragazza e Taehyung le avvolse la mano, esplorandola con le dita.

«Perché dici che è triste Peter Pan?»

«Perché i Bambini Sperduti sono bambini morti o mai nati, è… è macabro. Non è che non vogliono crescere, è che proprio… beh, non possono.» rispose Minjae in tono tranquillo, lo sguardo che vagava alla ricerca di quelle poche costellazioni che conosceva. In quel cielo notturno sembrava che tutte le stelle fossero al posto sbagliato e si sentì per qualche istante disorientata. L’unica cosa che le dava certezza era la mano grande di lui e le dita lunghe intrecciate con le sue.

Taehyung mugugnò pensieroso, steso accanto a lei. «Non ci avevo mai pensato, ma non credo sia triste. Hanno trovato un altro mondo.» rispose dopo qualche istante di silenzio. Si girò verso di lei e le sorrise, il respiro ormai che tornato a regolarizzarsi nel petto e il cuore stava lentamente rallentando il battito, prima frenetico e martellante. 

Rimasero in silenzio per quella che sembrò un'eternità, scrutandosi negli occhi come a volersi leggere dentro. La ragazza emetteva un leggero e buffo sibilo ad ogni respiro, come se fischiasse tra le labbra appena dischiuse e Taehyung cominciò a ridere, rotolando sul fianco.

«Sei buffa.» disse dopo un po', quando riuscì a calmare la risata. Anche lei aveva ricominciato a ridere, presa dal suono basso e vibrante della risata di Taehyung. 

Ci misero tantissimo tempo a placare le risate, perché ogni volta che tornavano a guardarsi uno dei due ricominciava, trascinandosi dietro l’altro. Quando finalmente riuscirono a smettere, con le lacrime che imperlavano loro gli angoli degli occhi, Minjae si sollevò a sedere per studiare i dintorni e vedere dove fossero arrivati dopo quella corsa infinita. 

Con sua sorpresa l'albero di noci si stagliava maestoso contro il cielo, a pochi metri da loro, come se non si fossero mai allontanati. Anche il lungo e dolce declivio era scomparso. L'altalena dondolava leggermente, sospinta dalla brezza che faceva stormire le foglie con un rumore frusciante e piacevole.

«Taehyung-ssi dove siamo?» chiese confusa. Taehyung le si sedette accanto, poggiando i gomiti sulle ginocchia mentre incrociava le gambe, la schiena dritta.

«Quella è casa di mia nonna.» con un sorriso indicò la casupola illuminata in lontananza, con gli occhi che iniziarono ad inumidirsi. «È morta tempo fa, non così tanto a dire il vero ma… lo sembra. Questo posto mi ricorda lei, è un bel ricordo.» spiegò, la voce addolcita dal ricordo e gli occhi scintillanti di commozione.

«Anche la mia nonna è morta, ma abitava in montagna, in un hanok tra i boschi in un paesino di poche centinaia di anime.» Minjae raccolse le ginocchia al petto per abbracciarle, mentre poggiava la guancia su un avambraccio nudo. Saltellò leggermente, avvicinandosi al ragazzo, come se la sua vicinanza potesse blandire in qualche modo il dolore di lui.

«Mi manca mia nonna, era la mia migliore amica e aveva lo spirito vivace di una bambina.» sospirò Taehyung in tono malinconico, lo sguardo distante di chi era immerso in un bel ricordo capace di rievocare dolcezza e conforto. Minjae fissò le luci della casetta che si accendevano e spegnevano a un ritmo lento e regolare. 

«Magari è con Peter e Wendy e i bambini perduti e ti guarda dall'Isola che non c'è.» sorrise, mentre il moro si girava a guardarla con un mezzo sorriso che gli illuminava il volto.

«Mi piace.» decretò alla fine lui, soddisfatto, mentre squadrava Minjae e le sue ciglia scure su quegli occhi d'onice. «Mi piace l'idea che sia coi bambini. Le piacevano, sembrava nata apposta per fare la nonna.» 

Minjae gli rivolse un sorriso che le addolcì lo sguardo e Taehyung rimase per un attimo imbambolato. Non aveva mai pensato che degli occhi del genere, così scuri e simili a due piccoli buchi neri, come se fossero capaci di assorbire tutta la luce che avevano attorno, potessero riempirsi di così tanta dolcezza. Fissò incantato il profilo regolare della ragazza, che si rigirò a guardare la casupola.

“Dove ho già visto quegli occhi?” seguì con lo sguardo la linea delicata del naso di lei e le scostò i capelli dietro un orecchio per poterla guardare meglio. Non sapeva nemmeno da dove arrivava quella spavalderia. Allargò gli occhi, quando un ricordo gli passò per la mente rapido come un lampo.

«Eravamo assieme quel giorno al luna park, vero?» chiese speranzoso. Minjae rialzò il capo stranita e si coprì la bocca socchiusa dalla sorpresa con una mano.

«Oh! Sì! Ecco perché mi sembrava di averti già parlato!» esclamò, battendosi una mano sulla fronte, col tono di chi finalmente afferra un pensiero effimero e sfuggente dopo ore che ha smesso di cercare di ricordarlo. 

Taehyung scoppiò di nuovo a ridere, stendendosi di nuovo tra il fogliame gravido dell'umidità della notte e la cassa toracica di Minjae vibrò come un diapason al suono della sua risata.

«Ora ricordo! Hai detto che fai l'università, ma poi sei corsa via.» Taehyung strappò un trifoglio, divertito, e se lo mise tra le labbra. 

Minjae si chinò a raccogliere un fiorellino viola, staccò un piccolo petalo a tubo e lo succhiò, chiudendo gli occhi. Il sapore zuccherino le invase la bocca e lei fece schioccare le labbra.

«Non sono io che sono corsa via, sei tu che lo hai fatto.» ribatté, quasi offesa, poi rialzò lo sguardo, succhiando un altro petalo dolce. «Sicuramente non te lo ricordi, ma mi sembrava di avertelo detto prima che te ne andassi, studio sceneggiatura, è il mio sogno. Fare la sceneggiatrice come Kim Eunsook.» rivelò con un sorriso e gli occhi di Taehyung brillarono di interesse.

«Oh! Oh! Ma i suoi drama sono i miei preferiti! Devi avere un sacco di fantasia! Mi piacerebbe leggere qualcosa di tuo.» disse meravigliato ed eccitato. «Hai già scritto qualcosa?» chiese, sollevandosi su un gomito per osservare meglio il modo in cui le labbra di lei si chiudevano attorno a quei piccoli fiorellini di trifoglio. Ogni volta emetteva un piccolo risucchio, seguito da un versetto soddisfatto.

«Sì ma niente di ché, sono… sono solo al primo anno.» Minjae arrossì, pescando un altro fiorellino dal prato.

«Non importa a che anno sei. Mi piacerebbe leggerlo comunque. Io… io scrivo canzoni.» Taehyung arrossì quando lei gli rivolse uno sguardo perplesso per poi mettersi a ridere. 

«Lo so chi sei Taehyung-ssi.» Minjae scosse la testa e tornò a dedicarsi al trifoglio, divertita.

«Cosa stai facendo?»- chiese Taehyung per uscire dall’imbarazzo, incuriosito da quel persistere della ragazza che continuava a strappare petali per metterseli in bocca e scartarli dopo poco.

«Ah, non hai mai assaggiato i fiorellini del trifoglio? Sono buonissimi, sanno di zucchero! Prova!» lo esortò lei entusiasta, allungandogli un fiore da succhiare, le gambe incrociate coperte dall'ampia gonna bianca di stoffa leggera. 

Taehyung le prese il fiore dalle dita, sfiorando quelle bianche di lei con la punta delle sue e per un secondo rialzò gli occhi, guardandola arrossire a quel contatto casuale e innocente, prima di concentrarsi a replicare i gesti di lei. "È proprio carina." pensó di nuovo. La imitò e il sapore dolce del miele gli invase la bocca, mentre succhiava concentrato i petali del fiore. Rialzò lo sguardo sulla ragazza, meravigliato, lei si stava premendo le mani piccole sulle guance paffute e arrossate. In effetti era tutta piccola, quando l'aveva vista in piedi accanto a lui gli arrivava a stento al mento. 

«E che altro fai oltre all'università?» chiese curioso, andando in cerca di un altro fiore.

«Ah ho diversi lavoretti part-time.» rispose lei con un sorriso, sfiorando delicatamente con una mano le foglie fresche attorno a lei mentre arricciava le dita dei piedi in maniera buffa. «Lavoro in un bar e-» si bloccò ed una smorfia di dolore le contraesse i lineamenti delicati. 

Taehyung si sollevò in fretta, preoccupato. Si rimise a sedere, avvicinandosi ulteriormente a lei, che sollevò un braccio lasciandosi sfuggire un piccolo lamento sommesso. Entrambi rimasero a fissare per un secondo l’escoriazione che le era comparsa sul braccio, poi lo sguardo cadde su una grande macchia rossa fiorita sul bianco vestitino estivo di lei. 

Taehyung le scoprì svelto il ginocchio, studiando con sguardo preoccupato la sbucciatura che le risaliva sulla coscia, mentre lei cercava furiosamente di ricomporsi.

«Cosa stai facendo?!» chiese Minjae nel panico. Nessun ragazzo si era mai avvicinato così tanto a guardare le sue gambe nude dai tempi delle medie.

«Ma… ma non ti fa male? Non mi sembrava che tu fossi caduta.» mormorò Taehyung, sfiorando delicatamente la pelle tumefatta. Stranamente quella ferita non sembrava sanguinare, anche se brillava, umida, alla luce della luna e le aveva impregnato il vestitino.

«No io… non me ne sono accorta. Non… non fa male, brucia solo un po’.» si affrettò a dire Minjae, sottraendosi imbarazzata a quel contatto così intimo.

«Eppure sembra così doloroso… Come te lo sei fatto?» chiese Taehyung mordendosi un labbro. Fece per sfiorarle nuovamente il ginocchio, ma lasciò le dita sospese a qualche millimetro dalla pelle livida di lei, improvvisamente in imbarazzo.

«Non ricordo, forse sono caduta.»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Still water ***


Still water - Acque ferme


 

“Chiare fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna.”

Petrarca



 

Taehyung studiò il suo stesso riflesso nel piccolo specchio sgangherato che aveva davanti, i bordi macchiati da rose di ruggine scabra. Il viso era un po' più infantile, la mandibola meno affilata e squadrata, la pelle olivastra come al solito, forse solo più abbronzata e con i segni del tempo meno evidenti. Il piccolo neo che aveva sulla rima inferiore dell’occhio destro, solitamente nascosto tra le ciglia folte e scure, era coperto da uno strato di kajal nero leggermente sbavato che gli dava un’aria da bad boy. I capelli ramati andavano in ogni direzione, come se si fosse appena svegliato, o gli avesse passato le mani nel mezzo fino a renderli un casino. Addosso aveva un'ampia canottiera bianca che lasciava scoperte le braccia toniche, ma decisamente più sottili di quanto non fossero in realtà, e dei pantaloni da basket neri e larghi. Il tutto era completato da dei calzettoni bianchi e un paio di pantofole. Non avrebbe mai indossato dei vestiti del genere adesso.

Il bagno era esattamente come lo ricordava. Piccolo, angusto, a tratti claustrofobico. Le piastrelle bianche, piccole, rettangolari e separate dalle fughe ingiallite, gli davano un'aria sciatta. La doccia era ingombra di decine di flaconi semi utilizzati, alcuni erano addirittura vuoti, ma nessuno si occupava mai di gettarli e ingombravano il piatto doccia scheggiato. Ogni volta, per riuscire a fare la doccia, doveva andare in cerca di un ultimo schizzo di sapone da uno di quei flaconi incrostati di calcare. La piccola luce al neon che illuminava l'ambiente continuava a sfarfallare in modo fastidioso, proiettando ombre scure tutto attorno a lui. Più scure e profonde di quanto Taehyung ricordasse.

Sulla piccola mensola sopra al lavello bianco e squadrato a cui si stava aggrappando senza neanche accorgersene c'erano più spazzolini di quanto fosse sensato piazzarne in un bagno di quelle dimensioni. Il water, con la tavoletta perennemente alzata, era talmente stretto tra la parete e la doccia che per sedersi bisognava incastrarcisi sopra o aprire l'anta di plexiglass. Se non ricordava male a un certo punto qualcuno aveva anche scardinato la tavoletta pur di non doverla pulire una volta all’anno, probabilmente Namjoon. Fece una smorfia schifata al ricordo di quel posto così terribilmente scomodo. Non aveva mai capito perché non avessero piazzato direttamente un sifone in un angolo del pavimento, senza aggiungere il piatto doccia.

Si leccò le labbra secche e si girò, intenzionato ad uscire. Vedeva le pareti di quello spazio angusto curavarsi, come se si stessero richiudendo attorno a lui e sentì il bisogno impellente di spostarsi in uno spazio più grande e meno claustrofobico. Gli mancava l’aria, non c’era nemmeno una dannata finestra in quel bagno del cazzo, solo l’odore pesante dei deodoranti spry per ambienti.

Appesi alla porta dal legno leggermente rigonfio, in basso, c'erano decine di accappatoi colorati, molti più di quanti avrebbero dovuto essercene anche nella realtà. Era come una coloratissima montagna morbida. Taehyung vi infilò con sicurezza una mano per andare alla ricerca del pomello e sbloccare la serratura, le pareti continuavano a curvarsi come se stesse guardando il tutto attraverso una specie di strano caleidoscopio e lo sfarfallio della luce faceva sembrare quel posto ancora più stretto, le ombre ancora più nere.

Ruotò il pomello gelido a destra e sinistra, il clack di sbloccò arrivò solo dopo un paio di tentativi. Sbuffò, era sempre stata difettosa quella cazzo di serratura. A volte quel dannato pomello non girava proprio, lo ricordava bene. Per un attimo gli sembrò che il metallo si facesse viscido e d’istinto ritirò la mano, schifato. Doveva uscire da quel bagno. Rituffò la mano nella spugna e per raggiungere di nuovo la maniglia dovette lottare contro quella miriade di strati di accappatoi che sembrava sempre più spessa, come se si fossero riprodotti senza che lui se ne accorgesse. Fece per ruotare nuovamente il pomello, ma quello ruotò a vuoto. Ritrasse la mano, con un verso di stupito disappunto e un’improvvisa accelerazione del battito cardiaco che durò a malapena qualche istante.

Un’ombra alle sue spalle oscurò per un attimo la luce, come se qualcuno stesse torreggiando su di lui. Taehyung si girò di scatto verso lo specchio, ritrovandosi di nuovo a guardare sé stesso. Non era più il Taehyung del debutto, era il Taehyung di BE e di Blue and Gray, con un peso diverso negli occhi neri. Era il Taehyung del presente. Crescendo la mascella si era fatta più ampia e squadrata, abbastanza perché facesse fatica a riconoscersi, di tanto in tanto. Sul mento e sul labbro superiore aleggiava, leggera, l’ombra della barba non rasata da qualche giorno e i capelli scuri gli ricadevano negli occhi in morbide onde. 

Prese un respiro profondo per allontanare la sensazione di nervosismo che gli dava l'essere chiuso lì dentro. Soccombette al suo tic e sollevò una mano magra, chiusa leggermente a coppetta, per alzare la frangia e togliersela dagli occhi senza però rovinare la piega delle stylist. “Devi farti la barba Tae, se no chi le sente quelle.” Fece una smorfia, inclinando il capo per guardare la linea affilata della mascella e con la coda dell’occhio colse un movimento inquietante tra gli accappatoi alle sue spalle, come se qualcosa di serpentino si stesse muovendo in modo nervoso. Sussultò dallo spavento, improvvisamente aveva il cuore in gola e il respiro affannato.

Si controllò per non girarsi di scatto a guardare quel mare di spugna di colori diversi. Lo fece lentamente, un occhio ancora puntato sullo specchio, solo quando ebbe finito di torcere il busto girò la testa di scatto. Affilò lo sguardo e colse un altro movimento appena accennato, ma questa volta fu certo di averlo visto e non di esserselo solo immaginato. Si addossò al lavabo freddo e rimase a studiare la massa di soffice spugna, i colori si stavano mescolando tra loro, strisciando uno contro l’altro. 

Dal nulla, tutto attorno a lui, una musica a 8-bit che ricordava vagamente quella di un vecchio videogioco da sala giochi iniziò a martellargli i timpani. Trattenne il respiro, spaventato. “Queste sono le monete di Super Mario.” Sotto i suoi occhi gli accappatoi iniziarono a gonfiarsi in modo ritmico, come corpi che respiravano a ritmo con quella fastidiosissima melodia confusa a 8-bit. Si guardò attorno in cerca di un’altra via di fuga me non era comparsa nessuna finestra o porta da cui scappare. Gli accappatoi presero a muoversi a scatti, agitandosi come anguille con le convulsioni al ritmo mescolato del cuore che batteva, come impazzito, nel petto di Taehyung e della voce femminile e metallica che pronunciava parole incomprensibili su quella musica convulsa. 

Hi

Scars will heal soon

The dregs in us spent the earth down

Better than drowning in a burlap sack

Taehyung si fece indietro, cercando di allontanarsi da quella massa informe che si agitava sempre di più davanti a lui ma andò a sbattere contro il lavello gelido. Sobbalzò, spalancando la bocca. Non aveva fatto nemmeno un passo e ricordava che poteva farne tre. Tre passi tra la porta e il lavabo. ll volume della musica si fece più alto. Di fronte a lui le maniche degli accappatoi si sollevarono e lo guardarono, vuote e flaccide, come orbite oscure e terrificanti. Si protesero verso di lui per afferrarlo e il volto gli si distorse per l'orrore, proprio lui che era uno dei pochi a non spaventarsi per l’horror, a differenza degli altri Bangtan.

I live

As Alice

I die

L’acqua della doccia si aprì di scatto, proprio mentre le cinture iniziavano a levarsi nell'aria come serpenti pronti all’attacco. Il vapore uscì dalla doccia come un efetto speciale e l’aria di quello spazio claustrofobico si fece improvvisamente umida, calda e pesante come una cappa di piombo, come l’Agosto di Seoul.

Children shouldn’t play with dead things

Foaming crows

Tear at their wings

Taehyung iniziò ad ansimare, il fiato corto intrappolato in gola. La voce femminile continuava a strillare parole tra il suono delle monetine di Super Mario e il rumore campionato degli spari di Metal Slug. Le cinture iniziarono a sibilare come teiere dimenticate sul fuoco, o come cobra imperiali in procinto di sputare il loro veleno. Anche l'acqua del lavello iniziò a scorrere con un rombo improvviso, talmente calda che Taehyung fu costretto a mollare il lavabo quando uno schizzo gli colpì il braccio, incandescente come olio rovente. 

Sad eyes cries crimson blood

Drop it it’s dead

Wheels won’t turn won’t turn the birdy’s head

«Porca troia.» sibilò, gli occhi calamitati da quel mare mobile di spugna con occhi vuoti e terribili tentacoli in attesa di colpire. La tavoletta era scomparsa dal water ma Taehyung ci si arrampicò sopra, tastando le piastrelle imperlate di gocce fredde in quel caldo insopportabile. L'aria si era fatta ancora più umida e irrespirabile. Aveva bisogno di uscire per tornare a espandere la cassa toracica per incamerare ossigeno e placare il battito impazzito del cuore.

Sad eyes sad eyes like sharpened daggers.

You will never walk only staggered

Sad eyes quite cryptic

Bye

Le cinture scattarono contro di lui con un movimento fulmineo che Taehyung non fece in tempo a processare. Con uno strillo strozzato sollevò un polso e una cintura fradicia, viscida e gelida come gli si avvolse attorno al polso. Quella massa informe di tessuto spugnoso dai colori fin troppo brillanti aveva l’orrenda consistenza delle alghe morte sulla battigia dopo una mareggiata, ma l’odore di muffa di un indumento umido dimenticato in un borsone. Le maniche flosce e vuote lo fissavano, e la massa inspirò, gonfiandosi di aria umida. Come nella materializzazione di un orrore Lovecraftiano Taehyung soccombette all’abbraccio asfissiante delle maniche vuote, le cinture che lo strattonavano implacabili. 

«Aiuto!» la voce gli uscì stridula e ovattata. Agitò le braccia in una lotta disperata, cercando di liberarsi dalla presa ferrea e viscida della creatura spugnosa, ma altre cinture gli si avvinghiarono addosso, altre maniche lo trascinarono in quel garbuglio di accappatoi che respiravano come una creatura viva, sempre più umidi e pesanti. Lottava disperatamente per riemergere da quell’incubo multicolore, una cintura gli si avvolse attorno al collo abbastanza strettamente da togliergli il fiato e soffocare un altro grido di aiuto.

“Nessuno, non mi sente nessuno.” la disperazione lo trascinò a fondo insieme a quella trappola spugnosa dall’odore ammuffito e la consistenza lubrica della gelatina. Scalciò, la voce intrappolata in un muto urlo. Il tempo sembrava non passare e il fiato era sempre più corto e affannato. Un peso insostenibile gli bloccava il petto, come un macigno. “Urlo e non mi sente nessuno.” Gli occhi scuri gli si riempirono di lacrime calde, così in contrasto con quella gelatina quasi solida e gelida che lo avvolgeva come il terrore che lo aveva invaso. Si agitò in quell'ammasso bagnato, pesante e vischioso. 

“Qualcuno… qualcuno… qualcuno mi ascolti…” Un singhiozzo strozzato gli scosse il torace, in quell’orgia di stoffa vedeva ancora i colori. Non aveva senso. “Dovrebbe essere buio.” Non aveva alcun senso che degli accappatoi stessero cercando di fagocitarlo e schiacciarlo. "Devo svegliarmi, devo svegliarmi!" Realizzò l’impossibilità di quello che stava accadendo, senza essere capace di frenare il terrore con tutta quella morbida spugna umida e fredda gli si stringeva attorno. "Se trovo la porta mi sveglio." 

Agitò le mani alla ricerca del solido legno, sempre più disperato e terrorizzato. Ormai stava respirando in modo così irregolare che i polmoni gli bruciavano e aveva paura che se avesse chiuso gli occhi non sarebbe mai più stato in grado di riaprirli. Continuando ad agitarsi in quel modo non avrebbe fatto altro che intrappolarsi ancora di più, ma non riusciva a stare fermo, sopraffatto dal panico. Sembrava che quel bozzolo soffocante non avesse una fine e le sue mani non trovavano nessuna porta, per quanto stesse scavando a fondo.

Le sue dita sfiorarono qualcosa di caldo e morbido in mezzo a tutta quella spugna umida e fredda. Non poteva essere la porta, ma qualsiasi cosa fosse era sempre meglio di quella prigione splendente e oppressiva. Scavò e fece spazio nella spugna, la cosa leggermente ruvida era solida e consistente, anche se piccola. Gli strisciò su per un braccio, graffiandolo, prima che quelle che erano senza alcun dubbio le dita di una mano gli afferrassero saldamente un polso. 

«Aiuto! Aiuto! Devo svegliarmi aiutami!» urlò, senza sapere con chi o cosa stesse parlando. Non riusciva a riemergere da quell'incubo. «Ti prego ascoltami, ascoltami!» 

Qualcos'altro, probabilmente un’altra mano, rispose alla sua preghiera. Gli artigliò la maglietta e strattonò in sincrono con la forza che gli tirava il braccio. Lo tirò più a fondo, in quell'ammasso umido di accappatoi di spugna che gli toglievano l'aria. Nonostante l’istinto impellente che gli urlava di ritrarsi verso il bagno, ovunque esso fosse, Taehyung scalciò come se stesse nuotando, per assecondarle il proprietario di quelle mani con la speranza di aprire gli occhi nel suo dormitorio di Hannam.

Le mani lo trascinarono con forza. Per un secondo la mano che gli stringeva il polso scivolò e quasi perse la presa, poi le unghie gli si piantarono nella carne. Istintivamente Taehyung cercò di liberarsi, inutilmente. Non riusciva più a respirare e i polmoni gli bruciavano. Un altro strattone gli graffiò a sangue la pelle e all'improvviso fu libero dalla sua prigione morbida e soffocante. 

Era sott'acqua, il sale gli bruciava i graffi e gli impediva di tenere gli occhi aperti. Ebbe appena il tempo di scorgere un’ombra chiara prima che l’ultima bolla di ossigeno gli scappasse dalla bocca. Nuotò verso l'alto con movimenti frenetici, pensando solo che quando avrebbe raggiunto la superficie finalmente si sarebbe svegliato da quell'incubo senza senso. 

Finalmente le sue dita ruppero la superficie dell'acqua. Le agitò nell’aria e con un’ultima spinta anche la testa emerse dalla piatta superficie del mare. Taehyung ritornò a respirare, col fiato corto e il cuore che gli martellava in gola. In un certo senso era come se fosse rinato. Si sollevò nell’aria fresca e piacevole e l’acqua gli si fermò poco sotto la linea dell’inguine. Mosse le dita dei piedi, scavando nella sabbia. Inspiegabilmente era in piedi, l’abisso era scomparso e Taehyung si fermò a prendere profondi respiri irregolari, mentre il battito cardiaco tornava lentamente a rallentare. 

Aprì gli occhi, terrorizzato e si guardò attorno. Il sole brillava alto sopra di lui e tutto attorno a lui c’era un mare cristallino e fermo, le onde lievi muovevano la superficie ad un ritmo talmente regolare da far sembrare quella distesa d’acqua una superficie quasi solida. Il mare era di un turchese abbagliante, costellato da piccoli punti di un profondo blu, altre zone erano screziate di un verde scuro e brillante. Strinse gli occhi, infastidito dal riverbero abbacinante del sole.

Per un attimo vide sé stesso dall'alto, come se fosse un gabbiano in volo, e la cosa lo lasciò del tutto intontito. Un'espressione sconvolta gli distorceva il volto e il petto gli si alzava e abbassava rapidamente. I capelli lunghi e scuri, leggermente arricciati, gli si erano appiccicati alla faccia e le ciglia lunghe erano imperlate di gocce d'acqua che brillavano come diamanti nel riflesso del sole. Si scostò i capelli bagnati dal viso, poi rientrò dentro di sé appena in tempo per sentire il rumore di qualcuno che riemergeva dall'acqua iniziando a tossire.

 

Si girò a guardare la figura che gli era comparsa accanto, ancora intenta a tossire. Era una ragazza con i lunghi capelli corvini, completamente fradici, che le coprivano il volto come la tenda di un teatro. Man mano che l’acqua defluiva dalle ciocche le si appiccicarono al volto. Si teneva una mano davanti alla bocca e continuava a tossire come se avesse appena rischiato di affogare, come lui. Eppure Taehyung aveva i piedi ben piantati nella sabbia morbida del basso fondale, la sentiva granulosa tra le dita. 

«Perché non sono sveglio?» il pensiero gli sfuggì dalle labbra, portandosi dietro ancora una punta di panico al ricordo di quell'ammasso terrificante di accappatoi.

«Non...» un altro colpo di tosse. «Non ne ho idea.» continuò a tossire, spostandosi i capelli dal viso, gli occhi strizzati e chiusi.

Taehyung studiò la ragazza, aveva un finissimo braccialetto di stoffa rossa avvolto più volte attorno ad un polso sottile. Arrossì nel vedere che lei indossava solo un bikini, il cui reggiseno bianco e blu lasciava davvero poco spazio all'immaginazione. Ad una prima occhiata i seni avrebbero potuto sembrare piccoli, ma guardando meglio non lo erano affatto. Erano alti e sodi e nel punto in cui si incontravano, sotto quelle sottili clavicole pallide che sembravano ali, disegnavano un dolce incavo, come una stretta vallata tra due colline perfettamente tonde. Sotto la stoffa bianca e bagnata riusciva a vedere, in trasparenza, il rilievo dei capezzoli e l’ombra scura dell’areola. Sembravano della misura perfetta perché le sue mani le accogliessero. 

Avvampò a quel pensiero così inconveniente e la scrutò meglio, approfittando del fatto che lei fosse ancora impegnata a cercare di liberarsi il volto dai capelli. Aveva l'impressione di averla già vista da qualche parte, anche se non avrebbe saputo dire né dove né come. E dire che avrebbe ricordato alla perfezione quella linea delicata del collo se l’avesse vista da qualche parte. La ragazza aveva la pelle talmente bianca che le si intravedevano le linee azzurre delle vene e, nonostante fosse leggermente piegata in avanti, era certo che se fosse stata dritta gli sarebbe arrivata appena al mento. Non sapeva da dove gli arrivava quella certezza, ma non ebbe tempo di riflettere.  

La ragazza gli afferrò un braccio nudo, agitando un braccio alla cieca. Si aggrappò a lui, come per evitare di scivolare di nuovo sotto il pelo dell'acqua anche se era talmente bassa che non c’era il rischio che potesse accadere. Si spostò le ultime ciocche di capelli dalla faccia, poi spalancò un paio di enormi occhi neri e lucidi come l'onice, carichi di preoccupazione. 

«Oppa stai bene? Ti ho sentito...» per un attimo le parole le morirono in gola, poi esalò l’ultima frase, giusto per non fare la figura della cretina. «… urlare.» 

In quell’azzurro abbagliante Taehyung se ne stava in piedi, la schiena dritta e gli occhi scuri puntati sul suo volto, come se volesse studiarlo, con uno degli sguardi più penetranti che gli avesse mai visto fare così da vicino. Si era tirato indietro i capelli scuri e umidi, che gli ricadevano fin quasi alle spalle in riccioli umidi e lucidi. Aveva la pelle piacevolmente ambrata sotto quel sole abbagliante, la lingua rosea che si muoveva lenta sulle labbra perfette. Seguì con lo sguardo il percorso di una goccia d’acqua che da un ricciolo ricadde sul collo e percorse veloce la pelle del collo, scavallando la vena pulsante per tuffarsi sulla clavicola nuda e perdersi nel petto ampio, muscoloso e nudo. Per un attimo non respirò, facendo vagare lo sguardo in cerca dei capezzoli scuri e turgidi a causa della brezza fresca che li colpiva entrambi, poi scese lungo la linea appena accennata degli addominali e alla leggera pancetta, fermandosi sulla linea di un paio di bermuda viola grandi ibiscus color giallo canarino. 

Arrossì violentemente quando si rese conto di averlo chiamato inavvertitamente "Oppa", non aveva così tanta confidenza con lui da poterlo chiamare in quel modo,  nonostante lui fosse più grande di lei. Si leccò le labbra e si sforzò di non fissargli il petto in modo troppo evidente, rialzando la testa e strizzando gli occhi come se quell’occhiata, che sperava non fosse durata davvero quanto le era sembrato, fosse passata inosservata.

Taehyung si spostò i capelli all'indietro, passandovi in mezzo le mani dalle dita affusolate ed eleganti, al polso sinistro portava un braccialetto rosso. Lei, chiunque fosse, lo aveva letteralmente mangiato con gli occhi. Normalmente la cosa gli avrebbe dato fastidio, era una cosa che apprezzava solo quando era sul palcoscenico e voleva essere guardato in quel modo. Con sua stessa sorpresa, però, si sentì lusingato.

«Cosa… io… non lo so. Sì? Tu?» chiese, l'espressione perplessa e sinceramente confusa. Ancora non capiva perché non si fosse svegliato. Allargò gli occhi, spalancando la bocca. «Tu… tu mi hai sentito?»

Minjae si controllò, arrossendo ancora nel vedere il modo in cui era vestita. Non aveva nessun segno, a parte il fastidio che provava alla gola dopo essere rimasta senza fiato. Tossicchiò ancora e si sfiorò la nuca, con la fastidiosa sensazione che vi si fosse incastrato qualcosa, poi si coprì il seno con un braccio. Era già stata così svestita davanti a un uomo, ma era passato così tanto tempo ed era successo così poche volte che ora, lì davanti a lui, si sentiva letteralmente nuda.

«Io… sì Taehyung-ssi, ti ho sentito urlare.» cercò di ignorare quella sensazione di nudità e si spostò una ciocca di capelli dietro un orecchio in un gesto timido e imbarazzato.

«Puoi chiamarmi Oppa.» ribatté Taehyung, di getto, facendole sgranare gli occhi, che divennero curiosamente tondi, mentre la pelle lattea delle guance tornava ad arrossire con violenza. Era talmente bianca che quando arrossiva in quel modo così piacevole si notava ancora di più. Fece un passo avanti

«Ah ma… » balbettò Minjae, incerta su cosa dire. 

Taehyung fece un passo avanti, invadendo il suo spazio vitale. Provava l’istinto inspiegabile di baciare quelle labbra per scoprire che sapore avessero oltre il sale di quel mare cristallino, ma la mora abbassò lo sguardo sul suo petto, nascondendo quei petali rosei.

Minjae spostò lo sguardo sul petto di Taehyung e immediatamente se ne pentì. Arrossì ancora di più, una lieve peluria gli increspava la pelle, le goccioline intrappolate brillavano come gioielli. Gli diede le spalle per coprirsi il volto con una mano e tenere al riparo il seno, fingendo di guardarsi intorno.

«Sei tu che mi hai salvato?» Taehyung si bloccò. Se non si fosse girata le avrebbe sollevato il mento e avrebbe assaggiato quel cuore quasi rosso. Osservò la schiena nuda della ragazza che aveva davanti, le piccole fossette di Venere subito sopra il fondo schiena rotondo e la curva morbida del fianco, tagliata dal pelo dell'acqua. Era talmente cristallina che poteva vedere le gambe di lei, buffamente distorte, come da una lente.

«Io… sì, stavo… stavo… ti ho sentito urlare, mi sono immersa.» balbettò Minjae, come se quella spiegazione avesse perfettamente senso. Si batté una mano sulla fronte, con la sensazione di aver perso l’uso della parola. Non era nemmeno coreano quello che aveva pronunciato nel caos. «Stavo nuotando e ti ho sentito urlare. Mi sono immersa e ti ho visto agitarti sul fondo, in mezzo alle alghe. Avevo paura che affogasti, così ti ho tirato a galla.»

Taehyung rimase in silenzio. Stava sognando di essere intrappolato in un ammasso di accappatoi ed era certo che anche quello fosse un sogno, ma non capiva cosa stesse succedendo, o perché non si fosse svegliato e invece fosse in quel mare paradisiaco a guardare la schiena nuda di una ragazza che voleva baciare disperatamente. La afferrò per un braccio, costringendola a girarsi per poterla guardare meglio.

«Ci siamo già visti prima?» chiese aggrottando le sopracciglia e mordendosi le labbra per frenare quell’impulso.

Minjae sbatté piano le palpebre, indecisa. Conosceva il volto del ragazzo, tutto il mondo lo conosceva, ed era sicura che non fosse la prima volta che lo sognava o che ci parlava.

«Io… sinceramente credo di sì, sai?» chiese perplessa, schiarendosi nuovamente la gola. Gli occhi scuri di lui la fagocitavano come pozzi oscuri e meravigliosi in cui avrebbe voluto tuffarsi per vedere dove l’avrebbero portata.

«Hai bevuto?» Taehyung si abbassò leggermente verso di lei, per vedere cosa avrebbe fatto. Se non si fosse ritratta l’avrebbe baciata, ma lei abbassò il volto, arrossendo furiosamente.

«No, cioè, sì ma… credo, credo di avere solo un po' di mal di gola.» ammise Minjae, cercando di ignorare le dita del moro ancora chiuse attorno al suo braccio e il modo in cui la pelle formicolava. Erano liscie e calde e terribilmente grandi, grandi abbastanza da poterle fare male se solo avesse voluto, invece la stava trattenendo con una delicatezza che non aveva mai provato e anche se la cosa la metteva in imbarazzo quel tocco le piaceva e le muoveva qualcosa nella pancia, all’altezza dello stomaco.

«Chi ha mal di gola in un sogno?» Taehyung si lasciò scappare una bassa risata che fece vibrare la cassa toracica di Minjae.

«Lo so, è vero.» ridacchiò Minjae, prima di trovarsi stretta tra le braccia muscolose e ambrate di Taehyung. La voce le morì in gola, mentre in lontananza la voce di John Travolta iniziava a cantare con Olivia Newton John la storia di un amore estivo, e le labbra di Taehyung le sfiorarono i capelli. 

«Pensavo che nessuno mi sentisse anche se chiedevo aiuto.» la voce di Taehyung riverberò contro il capo di Minjae e si spanse come una vibrazione lungo tutto il corpo della ragazza. Il cuore le batté con violenza nel petto e le gambe le si fecero molli, poi lui la lasciò andare. L’aveva sentita irrigidirsi, forse dalla sorpresa e non voleva spingere oltre. Minjae si allontanò di un mezzo passo, risollevando nuovamente lo sguardo sul volto ambrato e perfetto del ragazzo.

«Questo… questo era perché mi hai sentito. Lo so che è un… che sì insomma, è un sogno, ma pensavo di essere solo.» cercò di giustificarsi, una mano a grattarsi la nuca in modo imbarazzato e arrossì, sebbene in modo meno evidente di Minjae.

«Non sei… solo.» mormorò. Arrossì, nel vedere Taehyung lanciarle uno sguardo pieno di speranza con quegli occhi di un marrone incredibilmente scuro, tanto da sembrare neri come i suoi anche se non lo erano.

Per togliersi dall’impiccio e dall’imbarazzo si batté una mano sulla fronte. Un ricordo le aveva attraversato la mente nel momento in cui lui l’aveva guardata in quel modo. I ricordi si accavallarono l’uno sull’altro, lasciandola sconvolta

«Taehyung Oppa! Le lucciole! Ti ricordi le lucciole?» chiese in tono concitato, allargando i grandi occhioni neri. Nonostante tutto il sole e la luce abbacinante che normalmente l’avrebbe fatta andare in giro con gli occhi ridotti a fessure, era come se quella luce non fosse davvero lì. Riusciva a tenere gli occhi bene aperti e scorgere ogni cambiamento delle espressioni del moro.

Taehyung prese un profondo respiro e spalancò la bocca, poi la coprì con una mano quando realizzò dove avesse già visto quella ragazza minuta. Le immagini del loro primo appuntamento al luna park, di lei aggrappata ai cavalli della giostra rosa, la corsa nel campo di lucciole e la storia di Peter Pan. Tutto gli tornò in mente, vivido come se li avesse appena vissuti. "Come hai fatto a dimenticarti quegli occhi?" 

«Le lucciole, il campo di erba medica vicino a casa di mia nonna!» esclamò, annuendo in fretta. «E… e il luna park! Abbiamo avuto un appuntamento! Ma tu… tu… non ti eri fatta male?» abbassò lo sguardo alla ricerca della ferita che le aveva visto fiorire sulla pelle pallida prima che… che si svegliasse.

«Oh. Sì.» annuì Minjae. Incrociò le braccia sotto il seno, pensierosa, mentre guardava i suoi stessi piedi muoversi nella sabbia. Seguì lo sguardo di lui, che le spostò leggermente il braccio per controllare meglio. «Ah… sembra che io non abbia niente.» sollevò di nuovo lo sguardo su di lui e le labbra le si stirarono in un ampio sorriso luminoso nonostante la fitta alla nuca che le trapanò il cervello. Doveva asciugarsi i capelli o in quella brezza fredda le si sarebbe bloccato il collo.

“Come fai a essere così bella?” Taehyung ricominciò a ridere e scosse la testa. Era così assurdo che trovasse così bella una ragazza che continuava a incontrare in quel modo assurdo.

«È come un sogno a puntate. Che strano. Sai dove siamo?» chiese, guardandosi attorno, allegro. All'inizio gli era sembrato che ci fossero solo loro due, in quello sconfinato mare cristallino e turchese. In realtà in lontananza c'erano anche degli scogli e una spiaggia bianca attorniata da uno strapiombo roccioso, la canzone era quasi terminata, anche se non aveva idea di quale fosse la fonte.

Minjae seguì lo sguardo di lui. Ricordava di essere stata in un posto molto simile a quello quando era molto piccola, ma c'era qualcosa di strano e sbagliato. Non era esattamente il luogo che ricordava, era certa di non avere mai visto un mare così, forse solo nelle copertine delle riviste di viaggi o nei cartelloni pubblicitari.

La scogliera che circondava la spiaggia era di un cupo color grigio antracite e brillava, sotto il sole, con tante piccole pagliuzze argentate in una visione quasi eterea. Quella dei suoi ricordi, invece, era di un grigio molto più chiaro, inframmezzata da verdissime macchie di alberi ed erbe selvatiche. Quella che aveva di fronte, invece, era del tutto spoglia. A suo modo era bellissima e, se in qualsiasi altra occasione avrebbe trovato desolante la vista della roccia nuda, in quel momento gli sembrava solo perfetta come un quadro. Sembrava che sulla sommità di quella parete rocciosa ci fosse un qualche tipo di vegetazione. Per assurdo non era nulla di verdeggiante, solo altissima erba, dorata come il grano maturo, che si muoveva ondeggiando al ritmo del vento e rifletteva la luce del sole. Nel suo ricordo, invece, là in cima c'erano degli alberi.

Minjae si girò di nuovo verso Taehyung, che la guardava leccandosi le labbra, concentrato. Sembrava che l'avesse fissata per tutto il tempo. Il moro rialzò lo sguardo sui suoi occhi e Minjae, per un secondo, desiderò farsi più piccola. Rimase imbambolata a fissare quegli occhi di un caldo castano scuro, leggermente asimmetrici. L'occhio destro era più affilato, con un piccolo neo tra le ciglia, nella rima inferiore, mentre il sinistro leggermente più rotondeggiante e con la doppia palpebra. Taehyung si leccò le labbra leggermente screpolate e Minjae distolse lo sguardo, nuovamente confusa dall’ennesimo attacco di batticuore che le aveva fatto saltare un paio di battiti. 

«Di-di solito sei tu quello che… che, insomma, che sa dove siamo. Può essere che… sia il mio sogno?» balbettò, portandosi le mani al petto per coprirsi il seno, come se quel gesto potesse proteggerla da quella conversazione assurda e dal modo in cui lo sguardo di Taehyung la faceva sentire nuda. 

«Sì, credo… sì, di solito ero io a saperlo, è vero. Può essere che… » Taehyung tentennò leggermente nel risponderle, aggrottando le sopracciglia. La sensazione del corpo esile di Minjae stretto tra le sue braccia era ancora viva e gli faceva serpeggiare una strana sensazione sotto pelle, oltre a distrarlo in un modo terribile. «Sei davvero… piccina.»

«Eh?» Minjae si girò sorpresa a guardarlo, mentre lui allargava gli occhi, sorpreso quanto lei di essersi lasciato sfuggire quella cosa.

«No, scusa io… non sono… cioè di solito sono abituato a stare coi ragazzi e non vedo in costume le Noona che lavorano con noi e tu invece lo sei.» si ingarbugliò, cercando di dare un senso a quello che stava dicendo, e si coprì il viso quando la vide coprirsi platealmente il seno con uno sguardo di indignato rimprovero.

«Sei un pervertito?» chiese Minjae, allargando le narici a causa dell'indignazione. Se lui aveva passato tutto il tempo a guardarla in quel modo, e lo aveva fatto, allora aveva ragione a sentirsi nuda.

«No, no è… » balbettò Taehyung, scosse la testa con uno sbuffo infastidito e la superò, diretto verso la spiaggia. «Non ho così spesso l'occasione di vedere una donna in costume… soprattutto non una che vorrei baciare.» si bloccò di nuovo per coprirsi la bocca, sconvolto per essersi fatto scappare con così tanta leggerezza l’ultima frase. «Omo! Cosa sta succedendo? Perché tutto quello che penso mi esce di bocca?» la voce divenne ancora più profonda a causa dell’agitazione e si girò a guardarla con espressione sconvolta.

Minjae allargò gli occhi dallo stupore. “Taehyung mi… mi vuole baciare?!” La frase e il modo in cui la voce di lui le era risuonata lungo il corpo le aveva reso nuovamente le gambe molli come gelatina. Si abbassò nell'acqua finché quella non le raggiunse il naso. Gonfiò le guance in un’espressione di finta costernazione per mascherare l’imbarazzo e trattenne una risata d’incredulità. Il cuore le stava galoppando nel petto e per un attimo temette che lui potesse sentirlo rimbombare come un tamburo. Come a voler coprire il suono del suo muscolo cardiaco una musichetta anni ‘80 sostituì il pezzo di Grease ed una voce femminile iniziò a raccontare, in inglese, di un altro amore estivo. Sembrava una colonna sonora perfettamente piazzata da un qualche regista. 

Si immerse del tutto nella speranza che l’acqua fresca mascherasse il modo in cui le guance le si erano incendiate di un vivido rosso, poi riemerse spostandosi i capelli all'indietro con un braccio per evitare che le si appiccicassero alla faccia e liberò una risata che rimbombò contro la parete rocciosa, amplificandosi come in un cinematografico effetto dolby. 

«Pe-perché ridi? Non… non è divertente» le labbra di Taehyung si piegarono in un mezzo sorriso carico di imbarazzo. «Hai una risata bellissima… vorrei sentirti ridere per sempre.» di nuovo i pensieri gli scivolarono fuori dalla bocca, liquidi come l’acqua, provocando un’altra piccola risata di Minjae.

«Perché le altre volte ero io che mi lasciavo scappare di bocca tutto quello che pensavo e ora invece sei tu.» si buttò in acqua per cercare di smettere di ridere. Nessuno le aveva mai detto una cosa del genere, non pensava nemmeno di voler sentire una frase simile detta da qualcuno, ma se Kim Taehyung in un sogno lo stava facendo evidentemente lo aveva desiderato più di quanto non volesse ammettere nemmeno con sé stessa. Sbirciò da sotto le ciglia il ragazzo moro mettere un leggero broncio, poi lui scosse la testa e si lasciò andare in quella bassa risata imbarazzata che le fece risuonare la cassa toracica come un diapason.

«Dai Taehyung-ssi andiamo a vedere la spiaggia, magari troviamo un tesoro.» rise ancora, in un tentativo di toglierlo dall’imbarazzo. Si risollevò e iniziò a camminare sul fondo bianco e sabbioso, mentre lui ancora rideva alle sue spalle. Le faceva uno strano effetto la risata bassa e profonda di lui, abbastanza strano da lasciarla confusa.

«Un tesoro? Come quelli dei pirati?» chiese Taehyung curioso, gli occhi puntati sulle piccole fossette di Venere in cui avrebbe tanto desiderato affondare i pollici. «Chiamami Oppa, mi piace molto di più di Taehyung-ssi, soprattutto detto da te.» per un attimo incontrò gli occhi neri di lei, lucidi come pietre, che si era girata a guardarlo. La pupilla era quasi indistinguibile dall’iride color carbone. «E’ una fregatura, io adesso non so cosa pensi.» sbuffò e la raggiunse, con l'acqua che gli sciabordava attorno ai fianchi. Per assurdo non c'erano onde o scie dove passavano, era come se l'acqua non reagisse minimamente alla loro presenza. Provò a schiaffeggiarne la superficie ma non ci furono schizzi. «Che strana quest'acqua…»

«Sì, non è neanche salata. Cioè, lo era fino a qualche momento fa ma ora… Non dovrebbe essere salata l'acqua di mare?» chiese Minjae, scrutando la spiaggia deserta. Per fortuna erano usciti da quel loop di complimenti che mettevano in imbarazzo lui e a cui lei non sapeva esattamente come reagire, timida com’era.

«Ah… sì, dovrebbe ma è… dolce?» si bagnò un dito e la assaggiò, per poi rimanere perplesso a leccarsi le labbra bagnate. «Sembra acqua di rubinetto… L’altra volta hai detto che studi per fare la sceneggiatrice vero?» Taehyung saltellò sul fondo sabbioso, lo sguardo concentrato su quell’acqua totalmente imperturbabile. «Non ci sono più le onde. C’erano fino a un momento fa.» valutò con la voce carica di sorpresa.

«Sì, te lo ricordi?»

La musica cambiò  ed aumentò di volume, la voce di Justin Timberlake si sostituì a quella della donna sconosciuta in un testo abbastanza esplicito da far arrossire Minjae, con dubbio di chi dei due fosse il responsabile audio di quei sogni assurdi, come se fosse davvero possibile incontrarsi in quel piano onirico e assurdo in cui nulla funzionava come avrebbe dovuto.

«Sì, me lo sono ricordato insieme a tutto il resto, ma poi mi sono incantato a guardarti.» ammise Taehyung, ormai non si sentiva nemmeno più in imbarazzo. «Come sta andando l'università? Voglio sapere tutto di te.» la afferrò per un braccio e per un attimo Minjae si bloccò a guardare le dita ambrate di lui chiuse attorno al suo piccolo polso.

«Ah… perché è così lontana quella spiaggia?» si lamentò Minjae con un gemito, schiarendosi nuovamente la gola che continuava a farle male. Lo sbirciò da sotto le ciglia, talmente bello da essere più accecante del sole che brillava alto nel cielo, e frenò la tentazione di avvicinarsi per lasciare che lui la baciasse davvero.

«Non ti piaccio? E’ per quello che mi scappi?» il tono apprensivo di Taehyung le fece alzare di nuovo lo sguardo. Minjae si girò e riprese a camminare verso la rena immacolata.

«No è solo... » 

“Che mi mi piaci così tanto che quando mi tocchi mi sembra di avere un infarto. Vorrei baciarti ma è passato così tanto tempo che non so nemmeno se sono capace…” 

«Solo?» Taehyung insistette, continuando a seguirla nel loro percorso, i piedi che affondavano nel fondale ad ogni passo.

«Non… non mi conosci nemmeno e io… non sono poi così interessante.» balbettò Minjae con voce flebile. Taehyung la bloccò e la costrinse a girarsi verso di lui, aveva le gote rosee come pesche mature a causa dell’imbarazzo e quello gli bastò perché gli angoli della bocca gli alzassero in un sorriso quadrato.

«A me interessi, voglio sapere tutto. Tutto. Mi sei piaciuta subito, dal primo momento in cui ti ho vista al luna park.» se lei non avesse tenuto così ostinatamente il mento basso l’avrebbe già baciata, ma andava bene anche in quel modo. Avrebbe pazientato, lui che di pazienza non ne aveva mai quando c’era in ballo qualcosa che voleva. «Dai, dimmi della tua università…»

Minjae lo guardò negli occhi, il sorriso di lui e gli occhi stretti come fessure le fecero saltare qualche battito. Per qualche motivo non riusciva a ricordare come stesse andando la sua università. Si fermò a riflettere pensierosa e Taehyung ricominciò a guidarla verso la spiaggia. «Ho… consegnato un elaborato e sto aspettando la valutazione del prof, sono quasi a fine corso.» lo disse lentamente, dopo un attimo di attenta riflessione, come se stesse ricapitolando quello che succedeva nella sua vita. Un’altra fitta alla nuca le fece stringere gli occhi e si schiarì la gola. 

«Hey, tutto ok? Ma non era più vicina quella spiaggia?» Taehyung si fermò per riprendere fiato, stranamente l'acqua arrivava loro ancora alla vita.

«Ah, sì era più lontana.» ammise Minjae, fermandosi accanto a lui per guardarlo, mentre quello si leccava le labbra screpolate. Seguì il movimento della lingua rosea di lui, che si umettò le labbra, e arrossì violentemente.

«Ma non dovrebbero essere già finiti i corsi?» chiese Taehyung perplesso, riprendendo il cammino per risalire le strane scale solide e sabbiose che conducevano al bordo di quel mare piscina. 

«No, non sono finiti, siamo solo a inizio dicembre.» ribatté Minjae confusa. Riemerse e l’acqua le rotolò via dal corpo, lasciandola perfettamente asciutta salvo i capelli e il costume.

«Ma non sia-» iniziò Taehyung bloccandosi a metà frase. Anche la sua pelle era totalmente asciutta, ma i pantaloncini del costume erano ancora fradici. Non era stato quel dettaglio a interromperlo, e nemmeno il modo in cui gli occhi d'onice della ragazza davanti a lui stavano guardando con intensità il suo torace, mentre le guance le si imporporavano di un violento rosso, bensì la figura seduta su una sedia di legno rovinato e il modo in cui la musica si era interrotta di colpo, come se qualcuno avesse sollevato la puntina da un quarantacinque giri.

In mezzo alla spiaggia c'era un uomo dal volto felino, con i capelli platinati pettinati all'indietro, di un biondo talmente chiaro da sembrare quasi bianco. Aveva gli occhi felini e allungati, di un azzurro ghiaccio talmente chiaro e freddo che gli avrebbe dato i brividi anche senza il contrasto terribile con quel lungo cappotto di pelle nera che indossava. Se ne stava seduto con le gambe accavallate in una posa elegante e mascolina, come un modello davanti alle fotocamere, un gomito poggiato su un tavolino azzurro e rotondo, di legno rovinato come la sedia pieghevole su cui era accomodato all’ombra di un ombrellone di paglia che prima non c’era.

«Chi diavolo è quello?»

Il tizio fece una smorfia di disappunto, mentre si torturava il labbro inferiore con una mano guantata di pelle e si alzò, proprio mentre Minjae si girava a guardarlo confusa. 

«Io ti ho già visto… » mormorò accigliata, un’altra fitta alla nuca che le fece stringere gli occhi.

Il biondo la ignorò, gli occhi color ghiaccio dallo sguardo vagamente ostile puntati su Taehyung che istintivamente si mosse davanti alla ragazza, per nasconderla dietro di sé.

«Tu non dovresti essere qui.» il biondo si sistemò i guanti di pelle nera, rivolto a Taehyung. Gli occhi felini nascondevano una punta di preoccupazione dietro un velo di fredda indifferenza.

«Chi sei?» chiese Taehyung, sospettoso e ostile. Sfiorò un fianco nudo e morbido di Minjae per trattenerla dietro di sé. Lei gli afferrò un braccio per sporgersi e sbirciare quello sconosciuto inquietante che sembrava vestito come Neo in Matrix, non fosse stato per la mancanza di occhiali da sole. Il biondo avanzò verso di loro con passo calmo, nonostante l'espressione scocciata che aveva in viso.

«Non importa, tu non dovresti essere qui, Taehyung. Minjae, vieni.» si avvicinò ancora. Il tono secco che aveva usato nel rivolgersi al ragazzo si era improvvisamente addolcito, come lo sguardo impassibile, quando si era rivolto a lei.

«Minjae?» Taehyung si girò confuso a guardarla, mentre lei gli si aggrappava più strettamente al braccio. Non aveva mai sentito quel nome.

«Perché sai come mi chiamo?» la voce le uscì tremolante e spaventata. Quell'uomo la inquietava terribilmente ma non sapeva perché. Non aveva fatto nulla, a parte parlare come se la conoscesse e qualcosa, nel retro della sua mente, le urlava che lo conosceva e doveva stargli lontano.

«Minjae non fare così.» sospirò pazientemente lo sconosciuto, il tono dolce in netto contrasto con quell'aria fredda e inquietante. Taehyung si girò a guardarla, perplesso.

«Che idiota… non ti ho mai chiesto come ti chiami. mormorò, lasciandosi sfuggire quel pensiero dalle labbra. Ormai era accaduto così tante volte che non ci fece nemmeno più caso.

«Non ti interessa, perché tu non dovresti essere qui. Svegliati, Taehyung.» disse l'uomo in tono perentorio. 

Lo sconosciuto allungò una mano guantata e gli toccò il petto con la punta dell’indice. Taehyung ebbe appena il tempo di incontrare lo sguardo sconvolto di Minjae e perdersi per un secondo in quegli occhi neri e brillanti come l'onice, mentre lei iniziava a tossire, artigliandosi la gola come se stesse soffocando. Gli occhi le divennero lucidi di lacrime e la sentì rantolare, poi si ritrovò a fissare il soffitto chiaro della sua camera da letto.




-----
Angolo Autrice
Ebbene sì, questi due si incontrano davvero nei sogni e questo è lunghissimo rispetto agli altri, lo so. In origine non lo era ma rimaneggia e rimaneggia e rimaneggia alla fine lo è diventato per riuscire a contenere tutti i dettagli di cui avevo bisogno. Per la prima volta l'uomo che Minjae vede di sfuggita al Luna Park interagisce con loro.
Le canzoni di questo capitolo sono:
  • Alice Practice dei Crystal Castles;
  • Summer nights di Jhon Travolta e Olivia Newton Jhon, l'iconico brano di Grease;
  • Sweet summer lovin di Dolly Parton;
  • Summer love di Justin Timberlake.
Non vedo l'ora di leggere le vostre recensioni come al solito e spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
ILYSM - BORAHE!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Ink and Pages ***


Ink and Pages - Pagine e Inchiostro


“Nella mia religione ci insegnano che ogni essere vivente, ogni foglia, ogni uccello sono vivi solo perché contengono la parola segreta per la vita. È l'unica differenza tra noi e un grumo di argilla. Le parole sono la vita, Liesel. Tutte quelle pagine bianche le regalo a te per riempirle.”

Storia di una ladra di libri 



Minjae si premette i palmi sugli occhi e li strofinò con veemenza. Per qualche motivo le bruciavano, come le accadeva in ogni primavera quando l'allergia la tormentava e gli starnuti si susseguivano uno dopo l’altro senza darle tregua. Provava un fastidio alla gola che proprio non riusciva a mandare via, per quanto avesse provato a tossicchiare. Era come se ci fosse incastrato qualcosa, nel fondo della laringe, che proprio non riusciva a espellere. L'uomo dei sogni, come aveva deciso di chiamarlo, le sfarfallò davanti come un ologramma, illuminato da una luce che non corrispondeva affatto al luogo in cui si trovava Minjae. 

In quella specie di luogo-non-luogo non vi era alcun tipo di suono, a parte i versi rochi della gola di Minjae ogni volta che tossicchiava e il lento sibilo che le sfuggiva dalle labbra ad ogni respiro. In piedi, dritto davanti a lei, con la figura che appariva e scompariva come l’immagine disturbata di una televisione dalla ricezione scarsa, il tizio biondissimo col cappotto nero e gli occhi color ghiaccio continuava a parlare. Agitava le mani in modo concitato e le rivolgeva sguardi che sembravano volerle chiedere “capisci cosa ti sto dicendo?”, ma era come un film muto senza sottotitoli e l’immagine sfarfallava troppo perché lei potesse seguire il movimento delle labbra di lui e ricostruire un discorso di senso compiuto. 

Strizzò gli occhi e allungò una mano verso la figura. Per una ragione che Minjae non riusciva a spiegarsi non provava più l’ansia e il terrore che aveva provato alla spiaggia. “Forse perché non è… non è qui?” pensò, vedendo l’immagine riformarsi attorno alla sua mano, traslucida e semi trasparente. Era come un effetto cinematografico. Somigliava quasi all’ologramma della Principessa Leia in Episodio Quattro, quando Luke Skywalker assiste alla registrazione stivata nella memoria di R2D2. Vi agitò la mano nel mezzo, come se in quel modo l’ologramma potesse dissolversi in una nube di fumo. L’uomo in nero, in quella sua esistenza intermittente e muta, indicò qualcosa alle spalle di Minjae.

La ragazza fece un mezzo passo e per la prima volta si guardò davvero intorno. Era davvero un luogo-non-luogo quello in cui si trovava. Era un ambiente dalle indistinte pareti di un grigio carbone fiocamente illuminato da una luce fredda e soffusa. Non fosse stato per la totale mancanza di gradini o poltrone, a Minjae avrebbe ricordato un enorme cinema. Un enorme sala cinematografica in cui il suono della faticosa deglutizione di Minjae rimbombava tra le pareti insieme al rombo tonante del suo stesso flusso sanguigno. Più che un cinema sembrava una camera aneconica, di quelle che fanno impazzire le persone. Anche lei lo trovava snervante. e fece qualche passo avanti, in quel non luogo nero dell'illuminazione fioca. 

L’uomo in nero continuò a indicare qualcosa alle spalle di Minjae, sempre più intermittente e sempre più spazientito dal modo in cui lei continuava a studiarlo perplessa, il capo leggermente inclinato di lato, le sopracciglia aggrottate in un espressione concentrata e il labbro inferiore stretto tra gli incisivi bianchi con cui continuava a mordersi. L’uomo nero fece un gesto di stizza che Minjae interpretò come un “e allora fai quello che ti pare!” e finalmente lei si girò per guardare cosa le avesse indicato l’uomo fino a quel momento.

Nel punto in cui si sarebbe aspettata di vedere la parete bianca su cui, in un cinema, avrebbero proiettato il film, c'era un enorme cancello di ferro battuto nero dalle giunture dorate. Si stagliava, altissimo e arzigogolato con quell’intricata fantasia di foglie e riccioli, contro uno sfondo di pallida nebbia lattiginosa, talmente fitta da offuscare la vista della cancellata quando piccoli sbuffi vi passavano davanti per poi rientrare nel muro. Quella visione le ricordò Londra, sebbene non vi fosse mai stata, una Londra vittoriana e decadente in cui straccioni, prostitute e serial killer come Jack lo Squartatore si nascondevano agli angoli delle strade. Rabbrividì, perché quel luogo le faceva serpeggiare sotto pelle una strana inquietudine. “Devo stare lontana da lì.” 

La nebbia serpeggiò sul pavimento opaco, dello stesso carbone indefinito delle pareti, e si raccolse ai suoi piedi, lattiginosa e gelida. Minjae retrocedette, diede le spalle al cancello e si avvolse in un abbraccio, rabbrividendo un’ultima volta. Ignorò l'immagine sfarfallante dell’uomo biondo che continuava a indicarle con urgenza il cancello, passandovi in mezzo. “E’ inutile che insisti, non ti ascolto. Non ti voglio ascoltare. Devo andarmene da questo posto.” pensò con una certa urgenza. 

Fece qualche passo, incerta sulla direzione da prendere. Non vedeva spigoli in quella sala e non capiva nemmeno se le pareti fossero dritte o circolari. Con un piede colpì qualcosa e abbassò istintivamente lo sguardo. Sul pavimento c’era un libro sulla cui copertina era ritratto un fiore giallo dalle sfumature arancioni. Non riusciva a leggere il titolo, scritto in una lingua a lei sconosciuta, solo il nome dell’autore. Gabriel Garcia Marquez. “Non ho mai letto i suoi libri.” pensò perplessa. Lo aveva nominato uno dei suoi professori, a lezione, quello lo ricordava. Forse era per quello che la sua testa aveva piazzato lì quel libro. "Che sogno stupido." 

Raccolse il libro e sfogliò le pagine, mentre vagava in quella stanza dal silenzio più che assoluto e snervante. La nebbia continuava a lambirle, gelida, le caviglie nude. L’immagine sfarfallante dell’uomo in nero continuava a comparirle davanti e ripetere sempre gli stessi gesti, come una registrazione che si susseguiva a ripetizione. Studiò il libro, le pagine erano tutte fittamente compilate, ma quando apriva davvero il libro per tentare di leggere qualcosa e capire cosa stesse cercando di dirle il suo inconscio trovava solo la carta bianca, le parole che scomparivano come se fossero state scritte con l’inchiostro simpatico. Minjae sbuffò, snervata. Si strinse il libro al petto e decise di ignorare gli occhi di ghiaccio dell’uomo biondo. “Sono in un sogno, e se questo è un mio sogno - e di altri non può essere - allora posso uscire da questa maledetta stanza.”

Riaprì gli occhi e finalmente riuscì a distinguere lo stacco tra il pavimento e la parete, quasi impercettibile. Una luce verde brillava in un angolo della stanza, dove un’applique da parete rettangolare indicava, con una freccia bianca e la scritta “Exit”, una porta tagliafuoco dello stesso grigio carbone delle pareti. “Oh finalmente, santo cielo!” Diede una spinta decisa al maniglione antipanico rosso e la porta si aprì con un rumore quasi assordante in mezzo a quel silenzio così intenso. 

Una luce intensa e calda le colpì gli occhi, accecandola per qualche istante. Rimase immobile sulla soglia e il silenzio sparì, rimpiazzato da una musica distante e ovattata. Non aveva idea di che musica fosse, sembrava quasi una colonna sonora di un qualche film, ma Minjae non riuscì a ricordare dove l’avesse sentita. Il pavimento grigio lasciò posto ad un liscissimo finto parquet di gres porcellanato di una fredda tonalità di marrone chiaro. Fece una smorfia infastidita e lasciò che le sue pupille si adattassero nuovamente alla luce, nel “cinema” doveva essere più buio di quanto non avesse pensato. Minjae si guardò attorno sollevata, il libro dalle pagine a scomparsa ancora stretto tra le braccia. “Stavo impazzendo là dentro.”  Conosceva benissimo quel posto, era uno dei suoi luoghi preferiti in tutta Seoul, una delle più grandi biblioteche della città, la Starfield COEX Library. Nello spazio gigantesco che le si era aperto davanti una fila di comode sedie nere, ordinatamente allineate, occupava la zona centrale del salone, circondata da scaffali carichi di libri, talmente alti da dare l’illusione che i ripiani fossero infiniti. Delle scale mobili conducevano al piano superiore e le persone, in abiti primaverili, si aggiravano attorno ai tavoli da studio e agli espositori su cui erano disposti ordinatamente gli ultimi best-seller. 

Minjae si girò a guardare la porta da cui era uscita. Non vi era più alcuna parete dietro di lei, solo il corridoio trafficato della biblioteca che conduceva all’uscita. Aggrottò le sopracciglia infastidita quando un ragazzo biondo dal naso largo, labbra carnose e gli orecchini a pendente che tintinnavano ad ogni falcata corse nella sua direzione, ridendo sguaiatamente nel basso mormorio della biblioteca. “Ma sarà il modo di comportarsi qui dentro?!” pensò, stizzita, anche se nessuno aveva dato cenno di essersi accorto di quella risata tranne lei.

Il ragazzo continuò a ridere e la superò di slancio per poi fermarsi di botto e rotolare in terra.Minjae lo guardò ancora più stranita, nessuno sembrava badare al fatto che quel tizio stesse ridendo come un cretino mentre si rotolava in terra, vestito con una gigantesca tuta bianca tutta macchiata di colori sgargianti e freschi con cui stava imbrattando il pavimento..

«Ora la tua fidanzatina mi salva! Proteggimi Minjae!» il ragazzo balzò in piedi e le afferrò le spalle. Costrinse un’interdetta Minjae a girarsi verso le scale mobili in un modo che la lasciò stupita e interdetta, soprattutto quando si trovò a fissare un paio di occhi scuri piacevolmente asimmetrici.  

«Jimin-ah, ma che cazzo stai...» la voce profonda di Taehyung rimbombò nella biblioteca, mentre il ragazzo, con i capelli tirati indietro fermati da una fascia per capelli rossa, si fermò a fissare Minjae. «…dicendo.» finì in un sussurro meravigliato. Taehyung rallentò nel vedere la ragazza bassa dai lunghi capelli castano scuro che brillavano di riflessi ramati sotto la luce calda della biblioteca.  Lo fissava confusa, con quegli occhi color onice che gli ricordavano dei piccoli buchi neri. Indossava una maglietta a righe blu e crema ed un semplice paio di jeans sopra ad un paio di basse ballerine che riprendevano il crema della maglia. Anche vestita in quel modo semplice era bellissima.

«Minjae… ciao.» mormorò, rallentando il passo. Minjae arrossì e abbassò lo sguardo, mentre lui sollevava il buffo fucile col serbatoio che aveva in mano. Anche gli abiti di lui, una salopette color sabbia su una maglietta bianca, erano completamente imbrattati di schizzi di vernice colorata. 

«Ciao… oppa.» Minjae si coprì le guance arrossate con una mano e la risatina sciocca di Jimin, alle sue spalle, fece sì che lei si girasse verso il ragazzo che le si stava nascondendo dietro la schiena per lanciargli un’occhiata contrariata. Quello le rispose con un’occhiatina furba e un sorriso malizioso, poi si sporse verso Taehyung, usandola quasi come se fosse uno scudo umano.

«Taehyung-ah! Prova a prendermi!» urlò Jimin. Diede una leggera spinta a Minjae, che avanzò di un mezzo passo, e ricominciò a correre, ridendo. 

«Hey ma…!» sbottò Minjae contrariata. Taehyung lanciò un'occhiata perplessa al suo migliore amico, la  cui figura scomparve oltre la curva del corridoio della biblioteca. Immediatamente la risata cristallina di Jimin si interruppe, come una registrazione messa in pausa da qualcuno e la la biblioteca piombò di nuovo nel silenzio.

«Finalmente mi hai chiamato oppa.» Taehyung fece un sorrisetto compiaciuto e lusingato. Ci aveva messo un bel po’ di tempo a convincerla.

«Hai… hai detto che ti piace.» balbettò Minjae in imbarazzo, lo sguardo basso puntato sui suoi stessi piedi che all’improvviso erano così terribilmente interessanti.

«Sì, suona bene detto da te. Non ho avuto modo di dirti che hai un nome bellissimo.» fece un paio di passi verso di lei, che si strinse nelle spalle ancora più paonazza.

«Che stavi facendo?» Minjae cambiò discorso per uscire da quella situazione strana e imbarazzante. Indicò il fucile che Taehyung aveva puntato al soffitto.

«Stavo…» si fermò a riflettere, le labbra arricciate in un’espressione concentrata. «Stavo giocando a paintball con Jimin, nel bosco. Credo che ci fosse anche qualcun altro, ma non ricordo. Comunque non è importante. Non ricordo cosa sia successo, ma volevo scaricare tutto il serbatoio su Jimin e quello ha iniziato a scappare e… e all’improvviso non eravamo più nel bosco.» si strinse nelle spalle con un piccolo sbuffo divertito.

«Come hai fatto a passare da un bosco alla biblioteca?» Minjae lo guardò stranita, incapace di trovare la connessione logica tra i luoghi.

«Boh? Boschi, alberi, carta, libri, biblioteca?»rispose Taehyung in una domanda retorica mentre si grattava il mento, stranito. «Ma poi… importa davvero? Anche al luna park mi facevi delle domande strane.» iniziò a ridere al ricordo del loro primo appuntamento.

«Che domanda stupida…» mormorò Minjae, rivolta principalmente a sé stessa. A causa dell’imbarazzo che provava in quel momento allargò i grandi occhi neri, così tanto che divennero quasi tondi.

«No, non sono stupide, solo strane.»Taehyung si lasciò andare ad una bassa risata fece piacevolmente vibrare la cassa toracica di Minjae e si appoggiò il fucile in spalla. «Come mai qui?»-

«Non lo so. Ero in un posto strano e ho pensato che dovevo andarmene. Ho aperto una porta ed ero qui.» riassunse Minjae facendo spallucce. Non aveva voglia di parlargli del cancello nebbioso e dell’uomo in nero. Si fermò a guardarsi attorno, stranita dal silenzio che regnava nel luogo. Attorno a loro le persone continuavano a camminare e parlare ma non emettevano alcun rumore, come se ora che Taehyung lì era di fronte a lei i suoni ambientali non fossero più importanti..

«Quindi dove siamo?» 

«Alla Starfield, non ci sei mai stato?» Minjae lo guardò stupita, ma Taehyung scosse il capo divertito. 

«Intendevo… in che sogno siamo. Nel mio o nel tuo?» fece una bassa risata e Minjae aprì la bocca, interdetta.

«Perché faccio sempre la figura dell’idiota con te?» allargò nuovamente i grandi occhi neri, in preda allo sconcerto e Taehyung iniziò a ridere di gusto.

«Non ho mai pensato che tu fossi un idiota, Minjae. Penso solo che tu sia terribilmente carina quando ti lasci scappare queste cose. Come mai finisci sempre nei miei sogni?» chiese Taehyung, avvicinandosi alla ragazza, abbastanza da costringerla a sollevare il volto per poterlo guardare negli occhi scuri e asimmetrici.

«Io pensavo fosse… fosse il mio. Ho trovato questo libro e…» Minjae sollevò il tomo, mostrando a Taehyung la copertina dal fiore giallo e arancio. Il titolo era ancora scritto in una lingua sconosciuta. «Insomma, è sensato: trovo un libro e finisco in biblioteca. Almeno è più sensato del bosco.» borbottò, arricciando uno spigolo della copertina. 

Taehyung le rubò il libro dalle mani e lo sfogliò, le pagine risucchiavano l’inchiostro delle parole come spugne, per poi lasciar ricomparire la stampa appena cambiava pagina. Era come se potesse cogliere la loro esistenza solo con la coda dell’occhio. Inclinò il capo, stranito e le rese il libro.

«No, sinceramente credo che sia il mio sogno.» le fece un sorriso quadrato e rimasero fermi a fissarsi. Minjae sentì le guance avvampare, se le coprì con le mani per nasconderle allo sguardo del ragazzo che le stava di fronte e la studiava con quello sguardo imperscrutabile. Aveva le mani curiosamente gelide e se le premette contro le guance per riuscire a raffreddarle mentre distoglieva lo sguardo, abbassandolo sul torace ampio di lui. Il suo sguardo venne catturato dal braccialetto rosso che Taehyung indossava al polso sinistro. Allungò istintivamente una mano e girò la piccola placchetta rossa, proprio mentre lui le scostava delicatamente una ciocca di capelli dal viso, per poterla guardare meglio. 

«Oh?» Minjae sobbalzò al contatto inaspettato con la mano calda di Taehyung. Si scostò e si incamminò verso le scale mobili, liberando la domanda che le rotolava sulla lingua. «Come fai a essere sicuro che sia il tuo sogno?»

«Perché sto pensando una cosa e non mi scappa come è successo alla spiaggia.» Taehyung la seguì, divertito. In quei giorni si era fatto tutta una sua teoria su come funzionasse quella cosa strana dei sogni in comune. Jimin gli aveva detto che era assolutamente impossibile che potesse accadere qualcosa del genere, ma Taehyung aveva comunque insistito. 

Gli aveva spiegato che secondo lui Minjae non poteva essere assolutamente una rappresentazione del suo inconscio. C’era qualcosa di troppo dettagliato nella storia di Minjae perché potesse essere solo frutto della sua fantasia, ma ancora non sapeva abbastanza di lei da poterla cercare a Seoul, nella realtà.

«Non mi chiedi cosa stavo pensando?»

«Non è giusto che i pensieri scappino solo a me.» borbottò Minjae, una mano posata sul corrimano nero e lucido della scala mobile. Si girò a incrociare lo sguardo insistente del ragazzo e le sfuggì una mezza risata. «Va bene, cosa stavi pensado? Tanto vuoi che te lo chieda, lo so.»

«Pensavo che la prima volta che ti ho visto ho pensato fossi carina, ma non è vero, non sei carina, sei proprio bella.» affermò, guardandola compiaciuto mentre lei raggiungeva nuove sfumature di rosso che Taehyung non pensava nemmeno fosse possibile veder comparire sul volto di una persona. Gli era sembrata carina le prime volte che l'aveva vista, ma in realtà ora che la guardava così da vicino era proprio bella, soprattutto vestita in quel modo normale, da studentessa universitaria.

«Io non… non sono bella.» balbettò Minjae girandosi di nuovo per evitare il contatto visivo. «Tu lo sei.» si lasciò scappare dalle labbra. «Maledizione a me, perché mi scappa detto tutto quello che penso, di nuovo! Ah cielo è così frustrante che sono sempre io quella si lascia scappare tutto!» si lamentò, scendendo al secondo piano della libreria. Era talmente in imbarazzo che avrebbe desiderato scomparire da quel sogno il più in fretta possibile.

Taehyung si lasciò scappare una bassa risata vibrante e avvolse le spalle di Minjae in un abbraccio, portandosela contro il petto. Il fucile da paintball era scomparso, ma la sua felpa era ancora tutta colorata di vernice, anche se sembrava che a differenza di quella sugli abiti di Jimin la sua non potesse macchiare. Strinse l'abbraccio su di lei, stupendosi per l’ennesima volta di quanto fosse minuta e stranamente fredda, mentre lei si aggrappava al suo braccio, senza respiro. Le appoggiò il mento sul capo, divertito da quanto fosse bassa in confronto a lui. 

«Sono contento perché quando mi sono svegliato… mi sono ricordato tutto. Anche il tuo nome… Minjae.»

«Taehyung-ssi-»

«Oppa.» la corresse istantaneamente lui

«Sì…O-oppa…»  mormorò lei, immobile. Era la prima volta dopo molto tempo che un ragazzo la abbracciava in quel modo e, anche se era solo un sogno, da come parlava sembrava che quel ragazzo fosse proprio Kim Taehyung. La cosa la lasciava particolarmente confusa. «Perché continuo a sognarti io… io neanche ascolto le vostre canzoni. Cioè so-»  si bloccò, con le mani ancora strette attorno al polso di lui, che aveva iniziato a ridere, col petto aderente alla sua schiena, facendole rimbombare ancora di più la cassa toracica. 

«A volte sei un poi troppo onestà, sai?» chiese Taehyung, divertito. Abbassò il naso, chiedendosi se lei avesse un qualche tipo di profumo che avrebbe potuto ricordare in qualche modo una volta sveglio ma aggrottò le sopracciglia quando sentì l'odore pungente del disinfettante.

«Perché c'è il mio nome qui?» Minjae fece scorrere lo sguardo sulla piccola piastrina del braccialetto rosso avvolto attorno al polso di Taehyung. Era talmente sconcertata da quella piastrina che per un secondo dimenticò del tutto l'imbarazzo che stava provando nell'essere abbracciata in quel modo da lui.

«Uh?»Taehyung si sporse oltre la spalla di Minjae per poter vedere la piastrina che lei stava accarezzando con una punta del dito. Arricciò le labbra, perplesso, poi gli venne in mente che anche l'ultima volta che si erano visti alla spiaggia indossavano entrambi un braccialetto. Le prese il braccio destro e lo sollevò per guardare se anche lei lo indossasse ancora.

«Anche tu hai il mio nome.» constatò con un sorriso sornione. 

«Eh?» chiese Minjae stranita. Osservò il braccialetto, esattamente identico a quello di lui. Il suo nome era inciso in caratteri cinesi proprio al centro della piastrina. 

«Magari siamo anime gemelle.» sogghignò Taehyung, rafforzando la presa sulle spalle esili di lei che aveva iniziato ad agitarsi nel suo abbraccio come a volersi liberare.

«Figurati… Non esistono cose del genere.» borbottò lei, talmente imbarazzata da non sapere cosa fare.

«Come no? Certo che esistono! Vuoi fare la sceneggiatrice e non credi nelle anime gemelle?» Taehyung la lasciò andare per poterla guardare bene in faccia. Era talmente sorpreso dalla cosa che ne era quasi interdetto. 

Minjae si girò verso di lui e fece un paio di passi indietro per poter tornare a respirare, le guance ancora porpora e il fastidio alla gola ancora più insistente di prima. Si coprì il viso con una mano, evitando accuratamente lo sguardo di lui, poi si girò verso le copertine dei libri che aveva accanto, incapace di leggere i titoli.

«È proprio per quello che voglio fare la sceneggiatrice. rispose in un sussurro leggermente roco. «A volte è bello lasciar andare la fantasia e scrivere di storie impossibili.»

«Ah, allora non è che non ci credi, è che non ti è ancora successo nulla che te lo faccia credere.»-  rispose Taehyung annuendo, con la voglia improvvisa di toccarla ancora per accertarsi del fatto che lei fosse lì.

«Stai dicendo che non sono mai uscita con nessuno? Io… io sono uscita con qualcuno.» mormorò Minjae lanciandogli un'occhiata in tralice. Taehyung rise, con quella sua risata profonda e vibrante e lei iniziò a camminare lungo gli scaffali, offesa, per allontanarsi da lui.

«Non ho mai detto che non sei mai uscita con nessuno, ho detto che forse non hai mai incontrato nessuno che ti facesse credere all'anima gemella.» rise lui, seguendola allegro. «Hai il fidanzato?»

«No… no!» esclamò Minjae sconcertata, lanciandogli un'occhiataccia.

«Ah è vero, ne avevamo parlato al nostro primo appuntamento.»- rispose Taehyung, ancora più allegro. «Meglio, perché credo davvero che tu sia la mia anima gemella. E se lo sei, allora anche questo è un appuntamento.»

«Come quello del luna park?» chiese Minjae speranzosa, coi grandi occhi neri che si illuminavano di felicità. Non credeva nelle anime gemelle, ma le sarebbe piaciuto, per una volta, crederci davvero. «Oh no, non è… Oppa smettila, mi confondi! Siamo in un sogno non… non accadrà mai.» biascicò poi, scuotendo la testa.

«Ma io continuo a sognarti e tu continui a inciampare nei miei sogni. Vorrà pur dire qualcosa, no?» ribatté Taehyung in tono concitato. Le prese un braccio per fermarla visto che lei aveva improvvisamente accelerato in un tentativo di distanziarlo.

«Io… sono io che continuo a sognare te!» esclamò lei, in un tentativo di convincersi della cosa. Era talmente confusa che nemmeno lei sapeva cosa pensare di quello che stava accadendo. «Mi piacerebbe tanto che tutto questo fosse vero però.» si fermò fermandosi tra due scaffali e sbatté piano la fronte contro il legno della libreria.«Oh non sopporto di non riuscire a tenermi i miei pensieri per me.»

Taehyung iniziò a ridere rumorosamente e poggiò la spalla contro le copertine, un sorriso beffardo gli increspava le labbra.

«A me piace invece. Così posso conoscerti.»

«Non c’è un granché da sapere di me. Sono un’universitaria qualsiasi, con una storia qualsiasi che fa lavori part-time mentre studia.» riassunse in un tono più scontroso di quanto non avrebbe voluto. Doveva tirarsi fuori da quel discorso assurdo. «Puoi leggere le copertine?» chiese, scuotendo la testa in modo testardo. 

Taehyung fece un sospiro e roteò gli occhi al cielo. “Sii paziente, cederà. Assecondala e cederà, ci vuole già credere ed è il primo passo. Potrai chiederle come trovarla tra un po’.” Si girò per studiare i libri, tutti rilegati in copertine di cuoio bordeaux dalle eleganti finiture oro. Erano stranamente tutte uguali ma sulle costole c'erano solo scritte prive di senso, lettere ammucchiate a caso. Nemmeno i nomi degli autori erano distinguibili.

«No, non posso.» ammise.

«Te lo avevo detto, allora non siamo nel tuo sogno.»- ribatté ostinatamente Minjae.

«Perché, tu le puoi leggere?» chiese Taehyung confuso, osservando l'espressione stizzita e perplessa della ragazza.

«Ah… no.» ammise sconsolata Minjae.

«Te l’ho detto, è il mio sogno. C’è Jimin, che è il mio migliore amico, ci sei tu che non riesci a evitare di dire quello che pensi. E’ il mio sogno.» asserì Taehyung. Improvvisamente la risata starnazzante di Jimin invase l'aria silenziosa del luogo e in fondo alla corsia comparve il ragazzo biondo con ancora addosso la felpa macchiata. «Vedi?» indicò il ragazzo, che rideva in modo così felice che gli occhietti si erano ridotti in due minuscole mezze lune a causa delle guance morbide e gonfie. «L’ho pensato ed è tornato, era scomparso prima.»

«Io… io non capisco.» ammise Minjae, osservando il biondo. Si morse un labbro, infastidita. «Non ha senso… tutto questo non ha alcun senso. Perché sono nel tuo sogno e non nel mio? E perché continui a sognare me o… insomma perché continuiamo a incontrarci così?! Non è possibile una cosa del genere! E’ una bella storia, ma è impossibile.» la frustrazione le fece uscire la voce in un fastidioso verso gracchiante, come quello di una cornacchia. Tossì, col fastidio alla gola che non se ne andava e Taehyung le prese una mano, abbassandosi per guardarla in viso.

«Non mi interessa il perché. Ti sogno e mi piace, aspetto sempre di andare a dormire nella speranza di sognarti. Minjae, ti stai prendendo cura di te? Non è che ti sei ammalata?» le chiese sfiorandole la fronte, preoccupato. Le poggiò bene il palmo sulla fronte e Jimin li superò, continuando a galoppare allegro per le corsie. «Sei… fredda.» constatò sorpreso.

«E tu… tu sei caldo.» mormorò Minjae, talmente immersa nel calore di lui da ignorare quella domanda sul suo stato di salute. Il tocco di Taehyung era piacevole, così tanto che avrebbe voluto sfregarsi contro di lui e rimanere lì per molto tempo, abbandonata nel suo abbraccio. Allo stesso tempo era anche così imbarazzata che non capiva con che coraggio fosse ancora lì a lasciarsi toccare in un modo che per lei era così intimo.

«Non t… rla… jae… es… re qui!»

Una voce sconosciuta risuonò tra le corsie, troncando in modo brutale la musica di sottofondo a cui né Minjae, né Taehyung avevano dato alcuna importanza fino a quel momento. Era una voce maschile, disturbata e gracchiante come la trasmissione di una radio dalla scarsa ricezione. I due ragazzi alzarono lo sguardo, girandosi ognuno in una direzione diversa per riuscire a capire da dove provenisse. 

«...tana… ui. Min… iam… è il… tu… posto… sai.» di nuovo la voce risuonò. 

In fondo alla corsia, da entrambi i lati, era comparso l'uomo dai felini occhi di ghiaccio ed i capelli color platino. Il lungo cappotto di pelle nera sventolava gli attorno ai fianchi mentre incedeva verso di loro con passo deciso. Il rumore pesante degli stivali neri che sbattevano ritmicamente contro il gres del pavimento era disturbato e fuori tempo, leggermente in ritardo rispetto al movimento, così come le parole che aveva appena pronunciato.

«Di nuovo tu?! Ma cosa vuoi?» chiese Minjae in tono stridulo. Il fastidio alla gola era ancora più intenso e ora che l’uomo non era più un ologramma le faceva di nuovo paura.

«Si può sapere chi cazzo sei?» chiese Taehyung in tono decisamente ostile. Improvvisamente il suo battito cardiaco era schizzato a una velocità improbabile e sentiva la vena pulsare rapida sul collo, col cuore che batteva in modo così violento da fargli dolere il petto.

«… njae… tana… lui. Lo sa… detto… olte… non… uoi… re qui… biamo an… » continuò a parlare lo sconosciuto, ignorando del tutto la domanda di Taehyung. Si fermò a meno di un metro da loro e fissò Minjae con insistenza.

«Non lo so.» pigolò impaurita. 

Taehyung le si parò davanti e allargò le braccia per coprire in qualche modo entrambe le direzioni. Nascose la ragazza dietro la sua schiena, facendola addossare maggiormente allo scaffale. Non aveva modo di tenerla del tutto nascosta, dal momento che quel tizio inquietante era sia alla loro destra che alla loro sinistra,  poteva solo cercare di coprirla al meglio possibile. Minjae gli piazzò le piccole mani delicate sulle spalle e si aggrappò alla sua maglietta.

«Non so chi tu sia, ma devi smettere di seguirla.» ordinò, guardando un po' a sinistra e un po' a destra per tenere sotto controllo il tizio. L'uomo gli lanciò un'occhiata spazientita seguita da uno sbuffo e la sua bocca tornò a muoversi in fretta, muta.

«… ettere in… zo… jae non do… re qui… re co… dendo.Vie… obbia… dare… sto.» il suono arrivò con un ritardo di pochi secondi. L’uomo fissò insistentemente Minjae, decisamente spazientito, e le tese una mano in attesa che lei la afferrasse.

«Oppa! Oppa non voglio andare con lui! Non voglio!» esclamò Minjae con voce stridula, aggrappandosi al corpo solido di Taehyung, che le lanciò un'occhiata da oltre la spalla. Minjae lo guardava con i grandi occhi neri allargati e pieni di paura, vagamente lucidi. L'odore penetrante del disinfettante colpì le narici di entrambi e l'uomo fece un paio di passi avanti, riportando di scatto l'attenzione di Taehyung su di lui.

«...re così… pre… o… on ha… to te… o… Min… biamo and… »

«Non te la lascio portare via, non… non so nemmeno come trovarla e anche in quel caso no, non so chi sei e non mi interessa. Minjae sta con me.»Taehyung si spostò verso la copia alla sua sinistra. Gonfiò il petto e si impettì, alzandosi di qualche centimetro per apparire più alto nella speranza di intimorirlo. Con un ringhio gli diede un violento spintone che fece perdere l'equilibrio anche all'uomo alla sua destra, come se con quel gesto li avesse colpiti entrambi. Un gelo intenso gli colpì le mani, talmente freddo da fargliele bruciare come se le avesse immerse nella neve. Fece appena in tempo a sentire la voce di Minjae che urlava uno stridulo "Oppa" spaventato prima di aprire gli occhi al buio della sua camera da letto, con l’affanno che gli faceva alzare ed abbassare il petto a un ritmo serrato.





------
Angolo Autrice

Uhm... gli incontri di Taehyung e Minjae continuano. Di nuovo sono nel sogno di lui, di nuovo il tizio strano che cerca di parlare con Minjae. Chi è? Cosa sta succedendo con esattezza? Siamo esattamente a metà della storia, come avevo detto è molto breve ma spero la stiate vivendo con intensità.
La musica è una costante nei sogni e c'è un motivo, anche se questa volta né Taehyung né Minjae sembrano riconoscere o anche solo ascoltare le canzoni che passano in sottofondo. 
Non vedo l'ora di leggere cosa ne pensate anche di questo capitolo! Tutte le cose meravigliose che mi scrivete mi lasciano sempre felice in un modo che non potete nemmeno immaginare quindi grazie, grazie mille.
ILYSM, BORAHE!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Labyrinth ***


Labyrinth - Labirinto

“Mai ci siamo abbracciati, perché

eravamo per noi stessi un labirinto:

io non sapevo che fare accanto a te,

tu pure accanto a me eri smarrita.”

Kikuo Takano


La camera da letto era immersa nell’oscurità, il chiarore dei lampioni di Hannam Dong riflessi nell’ultima nevicata dell’anno rischiaravano lievemente l’ambiente oltre le spesse tende color panna. Il campanellino appeso alla sua bacheca delle curiosità tintinnò.

«… Minjae… Minjae… Minjae…»

Taehyung continuò a ripetere a bassa voce il nome della ragazza dei suoi sogni, come un mantra. Un inspiegabile senso di angoscia gli affossava la cassa toracica e il panico gli correva sotto pelle allo stesso ritmo martellante del suo battito cardiaco.

Strizzò gli occhi nella penombra, sforzandosi così tanto a tenerli chiusi che vide dei piccoli lampi di luce bianche esplodere contro le palpebre serrate. Appena aveva aperto gli occhi aveva controllato il telefono per sapere che ore fossero e con sollievo aveva scoperto di poter dormire altre quattro ore prima che la sua sveglia suonasse per la giornata. Era ufficialmente il giorno del suo compleanno e non voleva iniziarlo certo in quel modo.

Non sapeva se durante il brusco risveglio avesse urlato. Aveva aperto gli occhi di scatto, con la spiacevolissima sensazione di cadere nel vuoto. Un sonoro “pop” gli era risuonato nelle orecchie, come se ci fosse stato un terribile sbalzo di pressione che lo aveva fatto sobbalzare sotto il pesante piumone invernale. A differenza delle altre volte, in cui si svegliava con la sensazione di aver sognato qualcosa di confortante e dolce, ricordava alla perfezione tutto quello che era accaduto in sogno. Ricordava Minjae, con la sua maglietta blu, le righe color crema e gli occhi scuri come pozze di pece lucida. Ricordava anche quell'uomo inquietante dal cappotto di pelle e il suono asincrono.

Qualcosa nel retro della sua testa urlava con insistenza che doveva salvare Minjae da quella situazione, perché quell'uomo inquietante e sconosciuto era pericoloso. Glielo aveva sussurrato in un orecchio anche uno dei suoi angeli e lui lo aveva sentito distintamente nonostante la confusione che gli facevano in testa, mentre si svegliava di soprassalto dopo aver toccato il petto di quel tizio dagli occhi da gatto quando lo aveva spintonato con decisione per allontanarlo. 

Si rigirò sotto le coperte, a pancia in giù. Infilò un braccio sotto al cuscino e strinse tra le ginocchia quello che teneva tra le gambe. “Perché non mi riaddormento? No, non ci pensare Tae o non ti addormenti più.”

Riaprì gli occhi e in un fruscio di coperte allungò la mano verso il comodino per afferrare il telefono. Digitò rapidamente una nota anche se faticava a muovere le dita, intirizzite e rigide come tronchi d’albero. Imprecò mentalmente contro l’uomo biondo e riappoggiò il cellulare sul comodino, poi si strinse le mani al petto, sfregandole l’una contro l’altra. Vi alitò sopra per scaldarle, provava ancora un terribile gelo nel punto in cui aveva toccato il corpo di quel tizio e dei leggeri brividi lo scuotevano, come se fosse nudo in mezzo a una tormenta di neve e non al caldo delle coperte della sua camera da letto. 

Per un attimo, nella confusione del risveglio, aveva creduto di essersi scoperto agitandosi nel sonno, ma quando si era svegliato aveva scoperto di essere tutto raggomitolato tra le coltri, come una pallina. Aveva quasi caldo addosso, l’unica parte a cui sentiva freddo erano le dita, intirizzite come se le avesse tenute immerse nella neve così tanto da non riuscire più a muoverle. Non aveva mai toccato nulla di così freddo in tutta la sua vita. Neanche quando aveva giocato a mani nude con la neve su quel ghiacciaio in Nuova Zelanda aveva provato un gelo del genere. Poi il freddo gli era risalito su per le ossa come l’acqua risucchiata dalle radici di una pianta ed ora era lì a tremare per quel gelo infinito. Non sapeva più in che posizione stare per farlo passare.

Rimase abbozzolato tra le coltri come un gatto, scosso da brividi febbricitanti, gli occhi serrati mentre continuava a mormorare “Minjae” con la voce ridotta a un filo tremante. Stringeva le palpebre così tanto da farsi quasi male. Rimase a pensare a quel nome per un tempo che gli sembrava interminabile e lentamente smise di tremare. Non riuscì comunque a scivolare nuovamente nel sonno, perché l'ansia che provava all'idea di lasciare Minjae da sola con quell'uomo e che gli faceva battere il cuore nel petto come un tamburo era ancora viva e presente. Era terrorizzato all'idea che potesse succederle qualcosa mentre lui non c'era, anche se non sapeva esattamente che tipo di rischi avrebbe potuto correre in un sogno.

“Chissà se anche tu sei sveglia, da qualche parte qui a Seoul. Devo chiederti come trovarti, devo ricordarmi di farlo.”

Cercò di visualizzare Minjae, i suoi capelli castano scuro dagli incredibili riflessi ramati e le onde dolci con cui le si arricciavano sulle punte, i brillanti occhi color onice incastonati in quel volto piccolo e rotondo, le labbra rosee e carnose come petali e quel leggero profumo di vaniglia che si portava dietro che più volte gli aveva fatto venire la voglia di assaggiarla. 

«Taehyung-ssi! Oppa!» 

Taehyung si agitò nel buio delle coperte e si trascinò ancora più all’interno del piumone. La voce di Minjae che lo chiamava gli era giunta alle orecchie come un’eco distante e ovattata. Era prossimo a scivolare nuovamente nel sonno ma c’era ancora qualcosa che lo tratteneva fastidiosamente sveglio.

“Chiamami ancora, Minjae. Sto arrivando, Minjae, chiamami ancora e dimmi che stai bene, ti prego, dimmi che stai bene.”

«Oppa! Sto bene! Dove sei?! Non ti vedo! Ti sento ma non ti vedo!» Minjae urlò una risposta. Man mano che parlava la sua voce si faceva più distinta e limpida alle orecchie di Taehyung, il cui cuore saltò un battito in un lieve moto di vittoria.

Taehyung aprì lentamente gli occhi scuri e si guardò attorno. Si trovava in piedi, in pigiama azzurro e ciabatte, su di una stretta stradina di ghiaia immacolata, talmente bianca da essere quasi fastidiosa, in mezzo a due alte siepi dai grandi fiori candidi dalle screziature rosate. Si avvicinò ai petali ed il forte odore dolce della magnolia gli colpì le narici. Richiuse gli occhi e immerse il naso in una corolla, inspirando il profumo a pieni polmoni, prima di riaprirli e guardarsi attorno spaesato. Che lui sapesse le magnolie erano alberi, non certo arbusti da siepe.

Gli occhi di Taehyung si illuminarono di una luce vittoriosa, perché se quelle siepi erano davvero magnolie - e ne avevano tutto l’aspetto - allora significava che si trovava nuovamente in un sogno e se lo era, forse anche Minjae era là, da qualche parte, in mezzo a quelle siepi.

«Minjae! Minjae mi senti?!» urlò a pieni polmoni, con le mani a coppetta davanti alla bocca e il cuore che gli correva nel petto. La voce gli raspò il fondo della gola e tossicchiò.

«Oppa!» la voce sottile della ragazza gli rispose in lontananza. Taehyung riuscì a percepire distintamente la nota carica di sollievo con cui aveva pronunciato quel richiamo. «Taehyung-ssi sono qua!»

«Qua dove, Minjae?» ancora con le mani a coppetta attorno alla bocca Taehyung urlò di nuovo, il peso che si spostava a destra e sinistra facendo scricchiolare la ghiaia ai suoi piedi mentre girava su sé stesso.

«Qua… qua! Non lo so dove sono!»

«Cazzo.» imprecò sottovoce. «Minjae Continua a parlarmi!» 

Taehyung si girò ancora un paio di volte su sé stesso, indeciso su quale fosse la direzione corretta da prendere. Si fermò per un secondo a occhi chiusi, sperando che i suoi angeli gli dicessero dove andare ma sentì solo un marasma di sussurri confusi.

«Veloce. A sinistra.» una voce androgina arrivò alle orecchie di Taehyung come un sospiro nel vento. Non era una delle voci dei suoi angeli, ma a Taehyung non importò. Si girò verso la sua sinistra e iniziò a correre tra quelle assurde siepi cariche di grossi fiori di magnolia che pendevano dai rami come frutti maturi dal profumo fin troppo intenso. La voce vellutata di Lana Del Rey si sparse nell’aria, come a volerlo incitare.

Piedi non abbandonatemi adesso… 

«Minjae parla! Sei ancora lì Minjae?!» ansimò nella corsa. 

Non aveva idea di dove diavolo si trovasse, non aveva mai visto quel labirinto di siepi, sapeva solo che era notte e nel cielo la luna brillava come un faro, bassa e gigantesca come all'equatore. Brillava così tanto che le ombre dei rami più alti e disordinati delle siepi proiettavano a terra ombre taglienti e distinte sulla ghiaia candida. L’erba bassa ai lati della strada, sotto il fogliame verde pallido, era di un verde talmente scuro da sembrare quasi blu.

«Sì Oppa, sono ancora qui!»

«Sto arrivando Minjae!» corse, facendo tintinnare il piccolo campanellino argentato attaccato al sottile braccialetto avvolto attorno al suo polso. Il campanello era una novità, lo aveva già visto ma non riusciva a ricordare dove. «Dimmi cosa vedi, continua a parlare!»

«Io vedo… vedo delle siepi! C’è una pagoda con le colonne rosse, sembra… »

«Sembra?» la esortò Taehyung mentre continuava a svoltare attraverso le siepi. Le voci non gli avevano più detto dove svoltare e lui stava andando a tentoni.

«Ti sento! Sento che sei vicino!» urlò Minjae con una punta di panico nella voce. «Credo di essere al centro del labirinto!»

«La pagoda! Cosa sembra la pagoda?» Taehyung raggiunse un vicolo cieco e fece dietrofront con uno scricchiolio secco, agitò un piede per disfarsi di un paio di sassolini e riprese a correre mentre Minjae gli rispondeva.

«Sembra il padiglione accanto alla Namsan, ci sei mai stato Oppa?»

«Vienimi incontro!» urlò Taehyung in preda alla frustrazione quando dovette bloccarsi all’ennesimo vicolo cieco. Il campanellino d’argento continuava a tintinnare appeso al braccialetto rosso con il nome di lei scritto in caratteri cinesi.

«Non posso Oppa! Non posso!» la voce di Minjae fu spezzata da un singhiozzo strozzato e Taehyung sentì il cuore sprofondare nel petto. Era terribilmente angosciato. Quel labirinto infinito, tutti i vicoli ciechi contro cui continuava a sbattere, la voce di lei a tratti vicina e a tratti lontana, quel singhiozzo, tutto gli faceva provare un senso di intenso struggimento.

«Cosa vuol dire che non puoi?!» la voce gli uscì roca e graffiante, sentiva i piedi pesanti e le ombre del fogliame avevano preso a tremolare e muoversi, come vive.

«C’erano delle strade quando sono arrivata ma… ma non le trovo più.» urlò Minjae. Dalla voce strozzata era evidente che stesse piangendo. «Le siepi si sono chiuse.»

Un’altra imprecazione sfuggì dalle labbra secche di Taehyung. L’aria si era fatta opprimente e polverosa, l’odore delle magnolie talmente intenso da essere quasi nauseante e le ombre nere si erano fatte fisiche e gli intralciavano i passi, come tentacoli molesti di oscurità pulsante. 

«No! NO! Ho bisogno di vederti, ho bisogno di sapere come stai! Chi era quell'uomo?!»

«Non lo so Oppa! Non… non è qui adesso!» quella frase lo tranquillizzò e decise di cambiare argomento per riuscire a seguire la voce di lei.

«Le magnolie sono le tue? Sono il tuo fiore preferito?» chiese, sempre più frustrato ed esasperato dalla corsa.

«No! Io… il mio fiore preferito è la dalia!»

“Ti porterò le dalie quando ci vedremo.” pensò Taehyung. Arrivò a quello che gli parve l'ennesimo vicolo cieco e con un ringhio si schiantò contro quella parete di rami, foglioline verdeggianti e fiori pallidi e odorosi. Con un ringhio lottò contro l’arbusto. «Fammi passare! Fammi passare devo andare da lei!» Afferrò un ramo e lo spezzò con un sonoro crack che interruppe la musica di sottofondo, come se qualcuno avesse alzato la puntina da un disco. 

La magnolia si ritrasse di scatto, come una bestia ferita. Il legno gemette allo spostamento, offeso, e rivelò uno stretto passaggio tra le siepi, dove l’erba bassa era così scura da sembrare un mare di petrolio raggrumato in curiosi e alti ciuffi. Il volto di Taehyung, prima contratto dall’ansia, dalla frustrazione e dalla preoccupazione che gli aveva fatto aggrottare le sopracciglia e arricciare la bocca in una smorfia, si distese. Emise un sospiro di sollievo e rimase imbambolato a guardare quella strettoia. “Quindi il sogno è mio? Se è mio non ho bisogno di seguire il labirinto.” 

Si tuffò nel passaggio tra le siepi e ricomparve in un altro corridoio che ignorò. Le siepi davanti a lui si aprirono come velocemente, come se avessero paura che lui potesse aggredirle come aveva fatto con la loro sorella, dall’altra parte della strada.

«Minjae mi senti?»

«Sì Oppa credo… credo tu ci sia quasi!»

«Raccontami qualcosa Minjae, così posso seguire la tua voce.»

Altre siepi, altri rami che si impigliavano nel pigiama azzurro, altri fiori i cui petali si staccavano nell’irruenza del passaggio di Taehyung, che non aspettava mai che le siepi si scostassero del tutto prima di infilarsi nelle strettoie.

«Il mio compito, la storia! Lui… è per uno pseudo-drama. Lui è un ragazzo che sogna di fare l’avvocato ma viene messo incastrato per omicidio subito dopo aver passato i SAT… »

Il vento iniziò a spirare, violento, dalle spalle di Taehyung. Aveva superato altri arbusti e quello che aveva davanti si stava ritraendo con una lentezza esasperante, come se fosse riluttante a rivelargli la strada.

«Spostati, cazzo!»

«Lei è una poliziotta… Cioè, a dire il vero ha appena superato il test di ammissione all’accademia di polizia.»

Una pioggia di grandi petali bianchi  e rosati investì Taehyung. Alcuni rimpicciolirono volando e divennero grandi come petali di ciliegio. Gli si incastrarono nei capelli mossi e spettinati dalla corsa e dal vento, assieme a qualche rametto che gli graffiò il viso.

«Ma perché deve essere sempre tutto così assurdo?» gemette, col fiatone, proprio mentre capitombolava in un piazzale di erba fresca inciampando sulle sue stesse ciabatte. Una gli volò via e Taehyung quasi perse l’equilibrio. Allungò una mano in avanti, appoggiandosi a terra per frenare lo slancio ed evitare di finire con la faccia in terra, e sollevò lo sguardo per incontrare quello di Minjae. 

Rimase immobile in quella posa ridicola, ancora reclinato in avanti, a guardare il volto pallido e rotondo della ragazza. Era seduta sui gradoni di pietra grigia e luccicante di una pagoda di legno dalle colonne rosso cupo. Era leggermente in penombra, ma attorno alla struttura aleggiava una pallida luce calda e dorata che sembrava fagocitare quella gelida della luna.

Minjae indossava un paio di jeans neri ed una t-shirt dello stesso colore. Sopra indossava un bomber, anch’esso nero. Aveva i capelli legati in una bassa e morbida coda di cavallo e c’era qualcosa, in lei, che gli ricordava qualcosa. Era come un deja vu.

Ovviamente aveva già visto Minjae e i suoi splendenti occhi neri, era qualcosa nel vestiario di lei che lo lasciava perplesso. “Mezza Corea si veste così in inverno.” Scacciò il pensiero. La ragazza aveva le guance arrossate, così come gli occhi vagamente gonfi che gli confermarono che mentre parlava con lui doveva essere scoppiata in lacrime. In quel momento aveva portato entrambe le mani davanti alla bocca come a voler trattenere una risata. 

Taehyung le fece un ampio sorriso quadrato e si rialzò lentamente. Rimase fermo di fronte a lei, in una posa fiera nonostante avesse una ciabatta sola e il pigiama azzurro con i pantaloncini corti. I capelli castano scuro erano tutti arruffati e un rametto con qualche piccola fogliolina si era incastrato tra le ciocche. 

Minjae tirò il fiato per un istante, poi scoppiò in una sonora risata, incapace di trattenersi oltre. Tutta l’ansia che aveva provato nel correre all’interno di quell’assurdo labirinto di magnolie era evaporata nell’esatto momento in cui aveva visto la figura di Taehyung comparire dalla siepe di fronte a lei. Il ragazzo si guardò per un secondo poi si tolse il rametto dai capelli, ridendo con lei, con quella risata profonda che le faceva vibrare la cassa toracica.

«Non sono mai stata così contenta di vedere qualcuno nella mia vita.» rivelò lei quando le risate si spensero. Si asciugò le lacrime agli angoli degli occhi, il cuore le traboccava di sollievo e di un vibrante sentimento a cui temeva di dare un nome. Taehyung le rivolse un ampio sorriso quadrato e scalciò via anche l’altra ciabatta. Minjae si alzò, scese quei pochi gradini che la separavano dall’erba fresca, mentre lui si avvicinava.

«Scalzi, come la sera delle lucciole.» sorrise Taehyung, scoprendo i denti bianchi.

Si fermarono uno di fronte all’altra, a pochi passi di distanza, gli occhi dell’una incatenati in quella dell’altro. Taehyung annullò la distanza tra loro e le prese il volto tra le mani grandi che le coprirono quasi tutto il viso. Si abbassò per studiarla, visibilmente preoccupato.

«Stai bene?» le alzò il mento, avvicinandosi ulteriormente per scrutarla, poi fece un mezzo passo indietro. Le tastò le braccia per accertarsi che fosse tutta intera.

Minjae arrossì furiosamente, come ormai succedeva sempre quando il ragazzo si comportava in quel modo con lei, poi cercò di divincolarsi dalla stretta di lui.

«Io… sì credo di sì…» bofonchiò, sentendo la stretta di Taehyung rafforzarsi sulle sue spalle in modo che non potesse allontanarsi oltre. Improvvisamente si trovò avvolta nell'abbraccio del ragazzo e sgranò gli occhi neri, sorpresa da quel contatto piacevole che le faceva tremare leggermente le ginocchia.

«Meno male… non sai quanto io sia sollevato. Avevo paura… avevo paura che quel tizio potesse farti qualcosa di male.» Taehyung strinse tra le braccia il corpo esile di Minjae, la ragazza aveva le mani premute contro il suo petto, come se non sapesse esattamente dove metterle. Le accarezzò i capelli lisci e morbidi e lei si mosse nel suo abbraccio. Liberò le braccia e gliele passò attorno al torace per ricambiare con una stretta imbarazzata.

«Io… non capisco perché ti preoccupi tanto…» mormorò Minjae con la voce ovattata dal petto ampio del ricciolo.

«Perché…» tentennò, abbassando lo sguardo su di lei. 

Minjae lo stava guardando, seria, con le gote arrossate e le labbra rosee leggermente socchiuse e lui si perse in quei pozzi di onice nera e brillante. Rimasero a fissarsi e Taehyung poté sentire lo scalpiccio del cuore di lei contro il suo torace. Batteva a tempo col suo. 

«Avevo il terrore di perderti. Non volevo perderti proprio il giorno del mio compleanno…» lo disse con la voce bassa e roca, gli occhi fissi sulle labbra di lei, quelle labbra rosa e carnose che si chiedeva che sapore avessero. «Non voglio perderti e basta.»

«Taehyung…»

Le bloccò il mento e si abbassò lentamente, chiudendo gli occhi. La sentì irrigidirsi leggermente tra le sue braccia ma quando le sue labbra incontrarono quelle di lei, sfiorandole appena, Minjae strinse la sua maglietta tra le dita e Taehyung le fece scivolare una mano sulla nuca per inclinarle maggiormente il capo.

Mosse lentamente le labbra contro quelle di lei e quando la sentì ricambiare, abbandonata contro di lui, vi passò delicatamente sopra la punta della lingua. Sapeva quasi di albicocca. Sentì Minjae schiudere le labbra e le fece scivolare la lingua in bocca, stupendosi di quanto fosse piccola e piacevole, mentre le loro lingue iniziavano a scontrarsi quasi con timore. 

Minjae gli si aggrappò alle spalle, stringendo l'abbraccio timido con cui si era avvinghiata a lui e lasciò che Taehyung, con le dita lunghe che le sostenevano la nuca con una dolce pressione, la sorreggesse. Era così incredibile che stesse sognando una cosa del genere, eppure quel bacio sembrava così reale che sentiva distintamente il cuore schizzarle nel petto, come impazzito. Le martellava come un tamburo contro lo sterno, talmente forte da farla ondeggiare. Nelle orecchie le risuonò il suono di una campanella.

“Che tu sia davvero la mia anima gemella? Che sia per questo che mi sono… che mi sono innamorata di te?” avvampò per il pensiero e per la pressione dei denti di Taehyung che le mordicchiava il labbro prima di tornare a giocare con la sua lingua.

Si staccarono lentamente, come se nessuno dei due volesse interrompere quel bacio dolce e profondo, entrambi col fiatone. Minjae riaprì lentamente gli occhi e incontrò lo sguardo penetrante di Taehyung. Per un attimo ebbe paura che le ginocchia cedessero davvero quando vide il volto perfetto di lui aprirsi in uno dei sorrisi più caldi e belli che qualcuno le avesse mai rivolto, la mano di lui che le carezzava dolcemente una guancia. Nessuno l’aveva mai guardata in quel modo. 

«Oppa… » mormorò, sconvolta e ancora col fiato corto. Non riusciva a pensare e tra le mille domande assurde che le vagavano in testa, la prima ad abbandonare le sue labbra fu quella più stupida. «Quand'è il tuo compleanno?»

«Il trenta dicembre.» rispose Taehyung con un sorriso furbo. Si chinò nuovamente a sfiorare le labbra di lei. «E credo davvero che tu sia la mia anima gemella Minjae. Ho sentito una campanella suonare per tutto il tempo mentre ti cercavo… ha suonato anche quando ti ho baciata.» le scostò una ciocca di capelli scuri dal volto, incastrandola gentilmente dietro un orecchio arrossato di lei.

«Oh… anche… anche io.» mormorò Minjae abbassando lo sguardo, l’emozione le stava facendo tremare la voce anche se si chiedeva come fosse possibile che fosse già il trenta di dicembre. Le labbra morbide di lui, che le lasciò un bacio lieve e appena accennato, la distrassero dal pensiero. Sentiva ancora la campanella, le trillava in un orecchio con un suono cristallino e carico di felicità. Il cuore continuava a battere, impazzito, e Minjae richiuse gli occhi per sollevarsi sulle punte dei piedi. Voleva di nuovo baciarlo, sentire il sapore di cannella di lui. Incontrò le labbra di Taehyung e un intenso dolore al petto le fece strizzare gli occhi con forza. Per qualche motivo che non capiva si sentiva svenire.

Portata dal vento la voce di Lana del Rey ricominciò a intonare la preghiera per un ultimo bacio in una malinconica estate.

Taehyung rafforzò la stretta sul corpo di Minjae, sorridendo contro le labbra di lei mentre le esplorava di nuovo la bocca con la lingua in un bacio dolce ed esigente. “Voglio dartelo davvero questo bacio, non solo qui, nei sogni. Voglio assaporare sul serio questa piccola albicocca.” Si scostò lievemente per riprendere il respiro e tornò a mordicchiarle le labbra, la lingua piccola e calda di lei che si muoveva a ritmo, intrecciata alla sua in una lenta danza.

Taehyung sentì il corpo di lei farsi improvvisamente più pesante, la presa sulle sue spalle indebolirsi. La sostenne quando le gambe le cedettero. Riaprì gli occhi di scatto.

«Minaje stai bene?» chiese, appena prima che lei si abbandonasse del tutto tra le sue braccia. Era pallida, con gli occhi chiusi e il respiro pesante. Le labbra avevano assunto un colorito vagamente cianotico e il sudore le imperlava la fronte, come se lei fosse febbricitante.

«Minjae, rispondimi, ho bisogno che mi dici come trovarti, a Seoul. Devo dirti una cosa.» la scosse leggermente, una punta di urgenza e panico nella voce. La paura gli aveva fatto contrarre le viscere. Le braccia di Minjae gli scivolarono lentamente via dal collo e Taehyung fu costretto a inginocchiarsi per continuare a sostenere il corpo della ragazza, per non farla finire in terra.

Baciami prima di andartene fu l’ultima cosa che disse Lana del Rey prima che un suono gracchiante, come quello di un disturbo elettrico, la interrompesse assieme al trillo allegro della campanella.

Un costante beep, talmente forte, improvviso e violento da far sì che Taehyung portasse di scatto una mano all’orecchio, saturò l'ambiente.

«Minjae… Minjae!» lo sussurrò, nel panico, mentre le accarezzava i capelli e le baciava le labbra. Sentì il corpo perdere peso e la guardò, aspettandosi che si muovesse e riaprisse gli occhi, invece iniziò a vedere il contorno delle sue stesse mani attraverso la figura sempre più trasparente di lei. 

«No Minjae… no, dove vai? Resta! Resta Minjae, resta qui con me… » le lacrime, calde, abbandonarono gli occhi lucidi di Taehyung, attraversarono il corpo impalpabile della ragazza che ancora cercava di stringere tra le braccia e gli si schiantarono sui palmi aperti

Il pallido bagliore dorato che illuminava la base della pagoda svanì, assieme all’ultimo residuo della figura eterea di Minjae, lasciando Taehyung inginocchiato nell’erba sotto la luce gelida della luna.

«MINJAE!»

Taehyung urlò, la voce carica di disperazione, mentre strizzava gli occhi per liberarli dalle lacrime. Quando li riaprì si trovò di nuovo a fissare il soffitto in penombra di camera sua.



-----
Angolo Autrice
*coff coff* non mi sento di dire altro in proposito di questo capitolo, ma sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate voi.
Non è l'ultimo capitolo, comunque.
Grazie infinite per tutte le recensioni bellissime che mi avete lasciato.
Ci rileggiamo domenica con Blooming!
ILYSM, BORAHE!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** No escape from reality ***


No escape from reality - Nessuna fuga dalla realtà


 

Too late, my time has come,
Sends shivers down my spine, body's aching all
The time
Goodbye, everybody, I've got to go,
Gotta leave you all behind and face the truth
Mama, oooh
I don't want to die,
I sometimes wish I'd never been born at all.

Bohemian Rhapsody - Queen 




 

Nel piccolo monolocale il riscaldamento era acceso nonostante nessuno degli occupanti dovesse preoccuparsi della temperatura esterna. Una lunga giacca di pelle nera, come quella di Neo in Matrix, era appesa all’attaccapanni del minuscolo ingresso. Sotto di essa erano stati disposti ordinatamente un paio di alti anfibi dai lacci bianchi e sporchi. Un asciugamano volò attraverso la stanza e un uomo biondo a torso nudo sgusciò fuori dal bagno, grande poco più di uno sgabuzzino delle scope. Si fermò accanto al letto, passandosi una mano tra i capelli biondissimi, lo sguardo felino fisso sulla figura della ragazza distesa sul suo letto. Le passò accanto il più silenziosamente possibile e riempì il bollitore, lo mise sul fornello e accese la fiamma.

Si diresse al piccolo armadio a muro e cercò una maglia nera - tra le tante - e un paio di pantaloni neri - tra i tanti - e li indossò. Tornò dalla ragazza e le scostò i capelli scuri dal viso esangue con un altro sospiro stanco. 

Rimase a guardare la ragazza, pensando a cosa poterle dire una volta che si fosse svegliata. La seguiva da un sacco di tempo e quasi gli pareva incredibile che ormai lei avesse già ventiquattro anni. Ricordava perfettamente la prima volta che si era soffermato a guardarla. L'aveva vista di sfuggita un sacco di altre volte prima di quel giorno, in realtà. 

Minjae allora aveva tre anni. Era alta come un soldo di cacio, con i capelli sottili e più chiari di ora, com’è tipico per i bimbi di quell’età. Sua madre le aveva raccolto i capelli in due buffi codini e aveva qualche ciocca che rimaneva dritta, in qua e là, come setole di una scopa dall’aspetto particolarmente morbido. Stava giocando con la madre e il fratello maggiore in un piccolo parchetto poco lontano da casa loro. 

Minjae era la figlia più piccola dei vicini di Doyun ma allora lui non aveva mai badato troppo al vicinato o ai loro pargoli, al massimo lo annoiava udirne il pianto e i capricci la domenica mattina.

 

Quel giorno Doyun aveva appena rotto con la sua ragazza. L’aveva vista alla fermata dell’autobus nei pressi dell’università in cui l’aveva conosciuta abbracciata ad un altro ragazzo. Stava ridendo scioccamente, con un braccio di quel tipo che le circondava la vita. Lì per lì ne era stato infastidito, anche geloso, ma aveva preso un profondo respiro e si era avvicinato col petto gonfio e le spalle allargate, pronto a chiederle “cosa stai facendo”. Non ne aveva avuto bisogno, perché circa a metà strada le spalle gli si erano sgonfiate quando lo sconosciuto si era chinato a baciare la sua ragazza - la sua ex-ragazza - e lei aveva ricambiato prima di ridere e aggrapparsi a lui.

Le spalle di Doyun si erano sgonfiate e l’aria gli era uscita dai polmoni. «Chaeyoung-ah!» aveva pronunciato quel nome a voce alta e la sua ragazza - la sua ex-ragazza - si era girata di scatto. Aveva allargato gli occhi e si era coperta il viso con una mano.

«Doyun-ah! Posso spiegarti!» si era messa a correre verso di lui ed il ragazzo che si era lasciata alle spalle aveva rivolto a Doyun un ghigno di compiacimento mascolino, come a dirgli “hai visto bello? Adesso è mia”.

«Non serve. E’ finita.» Doyun le aveva dato le spalle e aveva trattenuto le lacrime. Si era incamminato a passo di marcia verso il punto da cui era arrivato, anche se avrebbe dovuto dirigersi in facoltà per fare lezione. In quel momento non gli importava troppo, dato che aveva appena beccato la sua ragazza - la sua ex - a tradirlo. Senza contare che da qualche settimana Doyun stava pensando di abbandonare gli studi e i suoi voti erano crollati. 

Aveva pensato di trovare lavoro come operaio o come cameriere, qualcosa per potersi emancipare dai suoi, magari avere un appartamento suo, da condividere con Chaeyoung. “Che idiota.” aveva pensato, strattonando il braccio a cui Chaeyoung si era appesa in un tentativo di richiamarlo. L’aveva mollata lì, in lacrime come meritava di essere e aveva trattenuto le sue per non darle la soddisfazione di vederlo piangere. Sulla via del ritorno a casa si era fermato in un salone e si era tinto i capelli di biondo platino.

Il giorno in cui si era fermato a studiare Minjae, quella indossava un paio di minuscole scarpine da ginnastica fucsia ed una tutina rosa con le ginocchia tutte macchiate di verde. Indossava un cappello da pescatore dello stesso fucsia delle scarpine ed era tutta intenta a gattonare, abbaiando come un cane al fratello maggiore.

«I cani non portano il cappello Jae!» aveva urlato il bambino di qualche anno più grande. Le si era avvicinato e le aveva rubato il morbido cappellino fucsia. Allora Doyun aveva visto quei buffi codini. Si era fermato a guardare i bambini giocare, appollaiato su una barriera metallica che separava il marciapiede dalla stretta strada a senso unico che correva accanto al parchetto, parzialmente nascosto da una delle auto posteggiate per evitare che la madre di Minjae lo vedesse fumare e lo riferisse a sua madre. I suoi genitori non sapevano che Doyun aveva il brutto vizio delle sigarette e lui non voleva stare a sentire prediche di nessun tipo, visto che entrambi fumavano. Doyun sapeva quanto fosse rischioso fumare una sigaretta lì, così tanto vicino a casa, ma lo aveva fatto lo stesso per sbollire il nervoso di quella giornata tutta storta.

La madre di Minjae era seduta su una panchina insieme ad altre due donne del vicinato. Sembrava tutta presa in un qualche tipo di discorso abbastanza animato, ma Doyun non stava ascoltando. I due fratelli, a pochi metri da lei, per un po’ si erano rincorsi, col maggiore che agitava il cappellino perché Minjae non riuscisse a prenderlo. Doyun si era aspettato che la bambina si mettesse a frignare e chiamasse la madre, invece aveva pestato i piedi sempre più stizzita, con un broncio particolarmente tenero ad aggrottarle tutto il piccolo viso. Doyun aveva riso.

«Minjoon ridai il cappello a tua sorella!» l’abbaio della madre di quei due aveva interrotto per un attimo il cicaleccio. Doyun aveva guardato la donna che si era chinata a togliersi una ciabatta e il più grande aveva lanciato il cappellino fuxia a Minjae con uno sbuffo spazientito.

«Adesso giochiamo a palla! Valla a prendere!» aveva esclamato poi, con la voce stridula di chi sta mascherando un capriccio con un ordine. Minjae si era rimessa il cappellino in modo goffo ed era corsa dalle signore. Doyun aveva spento la sigaretta sotto la suola delle scarpe di tela e ne aveva estratta un’altra dal pacchetto. Se l’era rigirata tra le dita ed era rimasto lì a guardare Minjae e Minjoon giocare a pallone, pensando a quanto fosse tutto più facile quando aveva ancora quell'età e quanto fosse triste il fatto che non ricordava quasi nulla di allora, di come ci si sentiva a scalciare spensieratamente una palla mentre la mamma guardava poco lontano. Era certo di averlo fatto, forse ne conservava ancora il ricordo da qualche parte, ma lì per lì non gli era venuta in mente nessuna scena particolare.

Si era acceso la sigaretta che aveva spiegazzato, agitandosi sulla ringhiera perché il sedere aveva iniziato a fargli male e si era dispiaciuto del fatto che le pile del mangianastri fossero scariche perché avrebbe ascoltato volentieri un po’ di musica. Si era anche chiesto cosa avrebbe urlato sua madre una volta che avesse visto i suoi capelli platinati da delinquente. 

D’un tratto Doyun aveva visto Minjoon prendere la palla con entrambe le mani e lanciarla in alto, sopra la testa di Minjae. La palla era azzurra, blu e rossa, con tutti e cinque i Power Ranger sopra. Doyun aveva seguito la parabola di quell’oggetto dai colori sgargianti e aveva inarcato un sopracciglio nel vedere la piccola Minjae girarsi nella sua direzione, con un sorriso gigantesco in quella facciotta tonda e paffuta. La palla aveva rimbalzato vicino ai limiti del parco, li aveva superati e aveva rimbalzato di nuovo sul marciapiede. La madre di Minjae aveva continuato a chiacchierare, ignara, mentre la figlia iniziava a correre verso la palla che stava rotolando tra due macchine parcheggiate, verso la strada. 

Doyun si era alzato di scatto dalla righiera e si era lanciato tra le due automobili parcheggiate, sbracciandosi nella direzione di Minjae senza badare al furgoncino che stava arrivando a tutta velocità dalla sua sinistra. 

«Torna nel parco!» Doyun lo aveva urlato.

Lo stridere delle gomme che scivolano sull’asfalto in una frenata. Un tonfo. Due. Il furgoncino che sobbalza con un rumore umido e dei secchi crack.

Doyun era rimasto in piedi a guardare negli occhi Minjae. Era caduta sul sedere ed era esplosa in un pianto disperato. Le donne avevano iniziato a urlare, si erano precipitate per strada e lui era rimasto lì a guardare, senza capire cosa fosse successo. La palla si era fermata contro il cerchione sporco di una ruota e non interessava più a nessuno.

Doyun si riscosse al fischio del bollitore e abbandonò il capezzale. Spense rapidamente il fornello e recuperò due tazze dallo scolapiatti, vi versò l'acqua bollente poi prese una bustina di tè nero ai frutti rossi e la mise in infusione, prima di estrarre una bustina di infuso allo zenzero e limone per sé. Non gli era mai piaciuto quel tè nero, troppo smaccatamente dolce per i suoi gusti, ma Minjae ne beveva dei litri e quando l'aveva recuperata era uscito apposta per comprarlo perché avesse qualcosa di familiare ad accoglierla.

Dal giorno della palla dei Power Rangers Doyun l’aveva seguita ovunque. 

Aveva assistito a tutto il percorso di Minjae attraverso l’asilo, l’aveva vista frequentare le scuole elementari e finirle, fiera, col massimo dei voti. Aveva visto lo spaesamento e la tristezza di lei quando i genitori avevano divorziato e lei faceva il secondo anno di scuole medie. Quello era stato un periodo particolarmente difficile per Minjae e a volte le aveva fatto trovare il suo snack preferito nell’armadietto. Le prime volte Minjae era rimasta confusa, poi aveva iniziato ad andare all’armadietto speranzosa di trovarci quella sorpresa inaspettata. Aveva sempre dato la colpa a un compagno troppo timido per confessarsi. Doyun aveva assistito in silenzio alle nottate che lei passava sveglia sui libri, alle medie, quando aveva iniziato a nutrire la sua passione per la lettura e la scrittura. Se ne stava immobile, in un angolo della stanza ad ascoltarla leggere e a volte sbirciava pure quello che scriveva. Era brava. 

Alle superiori era nascosto dietro il grosso gelso del cortile dove Minjae aveva ricevuto la sua prima dichiarazione d'amore. L’aveva accettata con timidezza, ma aveva rifiutato cortesemente il ragazzo che se ne era andato tutto abbattuto. Per settimane Minjae aveva chiesto al suo diario segreto se non fosse stata stupida a rifiutarlo, perché ripensare alla dichiarazione le faceva battere il cuore. Col tempo aveva capito che non era stato il ragazzo a farla emozionare, ma il gesto. All’inizio del penultimo anno delle superiori Minjae si era fidanzata e Doyun le era stato più vicino che mai. Si era sentito apprensivo perché Minjae era in quell’età in cui le ragazze, a volte, hanno le loro prime volte e lui non si sentiva pronto, proprio come un padre o uno zio apprensivo. Si era anche arrabbiato con il ragazzo quando finalmente era riuscito a cogliere l’innocenza di Minjae e aveva pianto come un’idiota, pensando “Sei diventata una donna Minnie”. 

Alla fine dell’anno scolastico successivo il ragazzo l’aveva lasciata dopo che il loro amore aveva vacillato e si era spento a causa di un’altra che - ironia del destino - si chiamava Chaeyoung. La sera della rottura Minjae si era rifugiata al parco vicino a casa sua, dove tutto aveva avuto inizio, per scrivere sul suo diario segreto, in lacrime. Doyun le aveva lasciato accanto il suo gelato preferito.

Era sempre stato con lei, ma si era fatto vedere di rado da Minjae ed ancora più di rado si era intromesso nella sua vita. Le poche volte in cui lo aveva fatto era sempre stato con cognizione di causa, memore del patto che aveva fatto con i piani superiori il giorno in cui era saltato davanti al furgoncino. 

Una volta quando Minjae era alle superiori le aveva fatto perdere il bus, costringendola ad andare a scuola a piedi per evitare che incontrasse Kim Taehyung troppo presto. Un'altra volta si era scontrato con lei, nella libreria in cui Minjae lavorava part-time, e le aveva fatto cadere tutti i libri. Si era scusato con cortesia ed era andato alla cassa, fermandosi alle spalle di Taehyung. Lei era stata costretta a fermarsi tra gli scaffali a raccogliere i libri e Kim Taehyung aveva pagato il libro che aveva acquistato come regalo di natale per Namjoon ad un altro commesso. Girava già tutto coperto da cappellino e mascherina per non farsi riconoscere.

L'ultima volta che Doyun avrebbe dovuto intromettersi nella vita di Minjae i suoi superiori glielo avevano impedito. Doyun aveva assistito al loro incontro impotente, pietrificato fuori dalla vetrina del Seven Eleven in cui lei lavorava part-time. Taehyung aveva pagato un pacco di ramen, una bottiglia di soju alla fragola e un uovo a Minjae, che avrebbe già dovuto essere a casa ma non lo era, perché suo fratello Minjoon aveva tardato come al solito.

“Sapevi che prima o poi sarebbe successo.” la voce femminile gli era risuonata direttamente nel cervello. 

Doyun quella sera aveva pianto.

 

Minjae si mosse nel sonno, prossima al risveglio, e Doyun girò una sedia e la sistemò accanto al suo capezzale nel minuscolo monolocale che occupava da qualche anno. Poggiò la tazza fumante di lei sul comodino e attese qualche attimo, prima che i suoi occhi color ghiaccio incontrassero quelli neri come l'onice di lei.

Minjae si mise a sedere di scatto, con un piccolo urlo strozzato e carico di spavento  nel vedere l'uomo dal volto felino e gli occhi di ghiaccio seduto su una sedia di legno, accanto a lei. 

«Minjae, ciao.» la voce gli uscì bassa, vibrante e stranamente tranquilla. 

Per Minjae quella voce era in qualche modo familiare, forse aveva anche una nota leggermente stanca. Lo guardò confusa e incerta, rifugiandosi contro la parete mentre lo sguardava con gli occhi allargati dalla sorpresa e dalla paura. 

«Tu sei l'uomo dei sogni sei… » chiese con voce stridula. Se quello era l’uomo dei sogni, allora era dentro un sogno e poteva svegliarsi in qualsiasi momento.

«Minjae… bevi il tuo the. Voglio solo chiacchierare con te, non ti farò nulla di male.» Doyun le allungò la tazza ma Minjae la guardò sospettosa.

«Dove siamo?»

«Nel mio appartamento.» rispose placido lui. Le fece un piccolo sorriso nervoso e incoraggiante allo stesso tempo e sollevò la tazza per invitarla ad afferrarla. «E’ il tuo preferito Minnie.»

«Come sai che è il mio preferito?! Mi hai rapita?» Minjae si rifugiò contro il muro, facendo vagare lo sguardo spaventato sul minuscolo monolocale in cerca di una via di fuga. 

Doyun esalò un sospiro e scosse il capo, chinando lo sguardo. Appoggiò la tazza fumante sul comodino e si sporse con uno scatto a prenderle la mano. Minjae allargò gli occhi, ma il tocco dell’uomo la calmò quasi istantaneamente. Il bisogno di scappare svanì al contatto con la pelle gelida e rigida di lui. Aveva l'impressione di aver tenuto quella mano un sacco di volte. Era solida, più grande della sua, con la pelle talmente liscia e fredda da sembrare quella di una statua di marmo.

«Non ti ho rapita.» sospirò di nuovo lui, scuotendo il capo con un mezzo sorriso triste che gli stirava le labbra sottili. Le lasciò la mano e recuperò nuovamente la tazza. Gliela mise in mano e Minjae rimase instupidita a guardarlo, mentre lui la guidava ad avvolgervi le dita attorno. «Ti ho inseguita per quasi due mesi Minnie, ma tu continuavi a scapparmi e dobbiamo… dobbiamo parlare.» 

«Io… ultimamente ti ho sognato spesso, possibile?» Minjae lo guardò con occhi vacui, vagamente instupidita dal potere calmante di lui. Si sentiva stupida a dire una cosa del genere ad un ragazzo che aveva circa la sua stessa età, che l’aveva rinchiusa in uno squallido monolocale dalle luci fredde e le macchie di umidità sul soffitto. Era sbagliato che lei fosse così calma, ma lo era.

«Sì, sì mi hai sognato più di quanto tu riesca a ricordare. In realtà… mi hai visto tante volte in sogno, e non solo. E’ successo molto più di frequente ultimamente però, è vero.» Doyun prese un profondo respiro, sebbene non ne avesse bisogno era un gesto che ancora lo aiutava a calmarsi. «Non ti ho rapita Minnie. Ci sono… ci sono tante cose che ti voglio raccontare, tante cose che ti devo dire e che devi sapere. Bevi il tuo the e ascoltami un attimo, poi potrai farmi tutte le domande che vorrai. Anche su Kim Taehyung, se vorrai.» Doyun cercò di usare la voce più dolce che gli riuscisse e riuscì anche a impedirsi di farla tremare troppo.

«Ma perché mi stai dicendo tutto questo, perché sono qui? E perché sono così calma adesso?» chiese Minjae, ancora più confusa.

«Partiamo da chi sono Minnie, ok?» 

 


 

Taehyung rientrò in dormitorio a passo di trotto, quasi galoppava. Lasciò aperta la porta alle sue spalle per permettere agli altri di rientrare mentre scalciava disordinatamente le scarpe slacciate nel largo ingresso. Lanciò la giacca pesante contro l’attaccapanni, preoccupandosi solo di recuperare gli auricolari wireless e il cellulare dalle tasche. Ignorò del tutto il fruscio morbido e ovattato che fece il cappotto quando scivolò in terra mentre urlava un “sono a casa!” rivolto a chi fosse già stato in dormitorio.

Provava la necessità estrema di farsi una doccia bollente per sciogliere i muscoli intorpiditi dall’allenamento e poi buttarsi nel letto, scavare una tana tra le coperte soffici e dormire. In realtà non era particolarmente stanco, più che altro si sentiva letargico e rallentato, anche un po’ intontito. Aveva bisogno di raggomitolarsi nel suo piumone e di chiudere gli occhi solo ed unicamente per sognare. Erano notti e notti che non faceva alcun sogno e la mattina si svegliava per andare in agenzia con una smorfia di disappunto e i capelli sparati in ogni direzione. 

Superò il salotto, ignorando la televisione accesa e la presentatrice del telegiornale che aggiornava la popolazione a proposito dell’ennesimo pirata della strada che era stato arrestato dopo aver investito qualcuno, un paio di mesi prima, e si infilò in bagno lasciando una scia di vestiti in corridoio. Erano passate più di due settimane dall’ultima volta che aveva sognato Minjae, il giorno del suo compleanno. Aveva ancora la sensazione delle labbra morbide di lei premute contro le sue e di quel caldo sapore di albicocche che gli aveva fatto maledire l’inverno. Doveva sognarla perché “Minjae che studia lettere e scrittura creativa” non era un’indicazione sufficiente a trovare una persona in una citta di dieci milioni di abitanti. 

Ricordava tutto di quella notte quando si era svegliato di colpo dopo aver allontanato l'uomo inquietante in biblioteca congelandosi le mani. Ricordava anche il sollievo che aveva provato nel vedere di nuovo Minjae, non appena si era riaddormentato. Quando l’aveva vista, sana e salva, era stato come se qualcuno gli avesse rimosso un peso dal petto e il senso di angoscia se ne era andato. Ricordava come il corpo di Minjae sembrasse così piccolo e delicato in confronto al suo, di come lei si fosse rifugiata nel suo abbraccio e avesse nascosto la testa contro il suo petto. Voleva incontrarla dal vivo perché ormai era certo che lei non fosse solo frutto della sua immaginazione. Voleva vedere se avrebbe provato le stesse sensazioni anche nella realtà, da sveglio, se lei era davvero così minuta e se sapeva sul serio di albicocche. 

Quando si era svegliato in preda all’inquietudine, urlando il nome di lei, aveva ancora sulle labbra la sensazione di averla baciata davvero, sulla lingua sentiva il sapore dolce e delicato delle albicocche. Si era svegliato nell'angoscia di saperla svenuta, scomparsa tra le sue braccia, con quel "beep" insistente che ancora gli trapanava le orecchie ed il cervello ed un dolore profondissimo al petto. Una sensazione quasi bruciante lo aveva colpito proprio mentre riapriva gli occhi e lo aveva fatto sobbalzare tra le coperte.

Da allora aveva cercato in tutti i modi di sognare Minjae ma quando chiudeva gli occhi si ritrovava solo nel buio e non riusciva a ricordare nulla la mattina successiva, se non lo sconforto di un'altra notte senza la risata cristallina di lei che gli colpiva le orecchie.

In tutti i sogni che aveva fatto con lei non era riuscito a fare due cose, dirle due cose importantissime.

La prima cosa che sentiva il bisogno di fare era chiederle in che modo avrebbe potuto trovarla per poterla incontrare e darle le dritte perché anche lei potesse contattarlo, un po’ perché ancora temeva che avrebbe fatto davvero la figura del cretino se avesse telefonato a un numero inventato dalla sua stessa testa, alla ricerca disperata di una persona inesistente che prendeva forma solo nei suoi sogni.

Era certo, comunque, che Minjae non fosse il frutto della sua immaginazione, il che lo portava alla seconda cosa che doveva dirle. Lo aveva detto solo una volta nella sua vita ed evidentemente lo aveva detto alla persona sbagliata, perché quel sentimento sincero era stato straziato da tre anni di noncuranza durante i quali la sua prima ed unica ragazza - ormai ex-ragazza - non aveva fatto altro che sfruttare la sua immagine e calpestare i suoi sentimenti. L’aveva scoperta a tradirlo e probabilmente lei lo aveva fatto per tutto il tempo. Non aveva idea se fosse davvero così, ma non aveva voluto chiederglielo quando l'aveva scoperta.

L'aveva beccata in un camerino con la sua bodyguard, proprio subito prima di una esibizione del gruppo di lei. Era passato a trovarla per farle una sorpresa e si era sentito pugnalare il petto nel vederla schiacciata contro il muro a chiedere di più, mentre l'uomo dietro di lei si spingeva ritmicamente dentro di lei. Lei lo aveva visto attraverso lo specchio ed immediatamente aveva finto di essere stata costretta a farlo. Era stata talmente brava che era riuscita addirittura a piangere. Lui era rimasto immobile e con lo sguardo sconvolto, l’aveva fissata senza nemmeno avere le forze di dire nulla. Il bodyguard era balzato via come un gatto caduto in una bacinella d’acqua e lei si era abbassata la gonna piangendo. Non appena aveva fatto cenno di volersi avvicinare a lui, Taehyung aveva balbettato un “devo andare” ed era corso via. Non si era nemmeno accorto che il bouquet di rose bianche e rosa che le aveva portato gli era scivolato dalle mani insieme al portagioie contenente un paio di costosi orecchini di Cartier. 

Appea aveva abbandonato il maledetto camerino era corso dall’unica persona che era certo non lo avrebbe mai tradito, Jimin. Insieme al suo migliore amico si era allontanato dagli studi, in cerca d'aria, mentre soccombeva alla delusione, al dolore e alla rabbia che gli avevano annebbiato la mente. Non si era nemmeno accorto che nel tragitto Jimin aveva abbaiato un insulto e dato uno spintone alla sua ex, facendola rotolare in terra.

Taehyung scacciò il ricordo di quella giornata scrollando la testa. Le goccioline gli schizzarono via dai capelli bagnati e colpirono le pareti della doccia. Passò una mano tra i capelli e li tirò indietro per poi uscire, mentre con un braccio recuperava l’accappatoio. Non sapeva chi fosse Minjae, conosceva solo il suo nome ma quel "ti amo" voleva dirlo a lei, alla ragazza dagli occhi brillanti e neri come l'onice che indossava il braccialetto rosso con inciso il suo nome sopra. Era certo che Minjae fosse la sua anima gemella, anche se lei non ci credeva. 

Si asciugò frettolosamente i capelli e trotterellò in camera, ignorando il via vai degli altri. Si infilò il pigiama, saltellando per la sua camera da letto e strisciò sotto le coperte fredde. Recuperò il cuscino e vi si avvolse attorno chiudendo gli occhi. Ormai non cenava nemmeno più prima di andare a dormire, perché il bisogno di sognarla era talmente impellente da essere diventato quasi un pensiero fisso durante le sue giornate, una specie di ossessione. 

Chiuse gli occhi e sperò con tutto sé stesso di rivederla almeno quella notte.



 

Minjae si sedette sul bordo del marciapiede, stringendosi nel bomber nero. Si era svegliata poco dopo mezzogiorno e aveva bevuto il suo the, mentre ascoltava Doyun. Lo aveva ascoltato per ore e ore, il giorno aveva lasciato spazio alla sera, poi anche quella si era trasformata in notte. A Seoul stava nevicando e doveva fare particolarmente freddo. In fin dei conti era pur sempre gennaio. Doyun le si sedette accanto e le passò un braccio attorno alle spalle, accarezzandole il capo. Alle loro spalle c’era la vetrina illuminata del Seven Eleven in cui lei lavorava part-time. 

«Ora… credo di averti detto proprio raccontato tutto. Hai deciso cosa vuoi fare, Minnie?» usò di nuovo un tono caldo e comprensivo e Minjae fu sopraffatta da un'altra ondata di singhiozzi che le scossero le spalle, poi si accasciò contro il ragazzo dai capelli platino che la ricambiò rafforzando la stretta.

«Io… devo vedere il posto, poi… voglio… dirlo a Taehyung in qualche modo.» sussurrò con la voce arrochita dal pianto e Doyun strinse la presa sulle sue spalle, tentando di confortarla mentre annuiva a labbra strette.






---------
Angolo Autrice
*coff coff* finalmente il nostro uomo in nero ha un nome e una storia. Non dirò altro perché voglio sapere direttamente cosa ne pensate voi.
Ci rileggiamo domenica con Blooming ;) vi ringrazio infinitamente delle recensioni che mi lasciate sempre! A volte la tentazione di darvi spoiler è davvero fortissima ma mi trattengo sempre!
ILYSM, BORAHE!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** The polar bear and the bell ***


 

L'orso polare e il campanellino



 

Taehyung stava cadendo. Agitava le braccia e le gambe nel vuoto, il volto distorto in una specie di muto urlo senza suono. Attorno a lui tutto era di un grigio uniforme, la luce proveniva da ovunque e da nessun posto in particolare. Vedeva il volto roseo e sano di Minjae a pochi centimetri dal suo. Aveva un sorriso pacifico e vuoto e lo guardava con un’espressione innamorata ma stranamente vacua. Allungò un braccio per afferrarla mentre continuava a cadere nel vuoto, terrorizzato, ma le sue dita non arrivarono nemmeno a sfiorarla. 

«Minjae!» la voce gli rimase intrappolata nel fondo della gola e le corde vocali grattarono in modo doloroso. Allungò di nuovo le mani ma per quanto cercasse di afferrarla non riusciva a prenderla, come se lei fosse costantemente pochi centimetri fuori dalla sua portata. La ragazza, che continuava a cadere con lui, rilassata e con un vago sorriso etereo a stirarle le labbra rosee, non cambiò espressione nonostante lo strillo disperato che gli era scappato e Taehyung fu certo che quella non fosse davvero Minjae.

Sbatté le palpebre con la voglia di mettersi a piangere e la gola chiusa ma si ritrovò seduto su di un motorino.

Si guardò, confuso. Indossava un casco aperto, un bomber nero ed un paio di guanti di lana borgogna dall’aspetto familiare. Era certo di averli già visti, ma non ricordava dove. Una spessa sciarpa dello stesso colore gli copriva il viso fin sopra il naso per ripararlo dal gelo. Era tarda notte e conosceva perfettamente la strada in cui si trovava anche se non aveva idea del perché fosse su uno scooter, non ne aveva mai avuto un. Nello specchietto retrovisore vide la sua stessa faccia confusa.

Il suo corpo si mosse senza che lui potesse impedirlo, come se non fosse altro che uno spettatore intrappolato nel corpo di qualcun altro. Taehyung allungò la mano ed accese lo scooter, perplesso. Si sistemò meglio la pesante sciarpa sulla bocca per evitare che l'aria gelida di Seoul gli tagliasse le guance arrossate e mise in moto. Con un colpo di reni tolse il motorino dal cavalletto. 

Taehyung si guardò attorno, girandosi di scatto, cercando di capire dove diavolo si trovasse. Ansimava leggermente, come se avesse appena finito di correre. Non appena la ruota anteriore aveva toccato l’asfalto il motorino era scomparso. Disorientato continuò a girare su sé stesso. Tutto attorno a lui non c’era nulla se non una fitta nebbia grigia e densa, poteva vederla arrotolarsi in volute effimere ogni volta che vi si muoveva nel mezzo. Improvvisamente si trovò faccia a faccia con un tenero orsetto polare di plastica bianca, alto quanto lui. Era seduto, come un orsetto gommoso, e le zampine erano leggermente rovinate dalla mancanza di vernice.

Taehyung si fermò a studiarlo per un secondo e spalancò gli occhi incredulo. Iniziò a girarci attorno, con la nebbia umida che gli entrava nelle narici. Conosceva quell’orsetto polare. Una sera di qualche mese prima ne aveva raccolto uno esattamente identico ad un Seven Eleven dopo che era uscito per andare a comprare una ciotola di ramen e calmarsi per via di un battibecco che aveva avuto con Jin. Non aveva idea di chi fosse, così lo aveva tenuto come ricordo e quando era rientrato in dormitorio lo aveva appeso con una puntina alla sua speciale bacheca delle curiosità.

Il suono squillante di un campanellino fece girare di scatto Taehyung verso una palla metallica poco più piccola dell’orso polare. Stava rotolando nella sua direzione e il metallo lucido e argentato rifletteva la luce soffusa che rischiarava l’ambiente. Il campanello si fermò tintinnando contro un fianco dell'orso polare. La gigantesca miniatura traballò per qualche istante, poi cadde su un fianco senza emettere alcun suono. Lo scampanellio cessò e Taehyung rimase solo nel silenzio a fissare gli occhi neri e vacui dell’orsetto.

"Cosa dovrei fare? Perché non trovo Minjae? Perché non trovo mai Minjae?" pensò in un moto di sconforto, le braccia abbandonate lungo i fianchi e il fiato che gli si condensava davanti in piccoli e densi sbuffi. Aggirò l'orso, indeciso su cosa fare, quando sull’anella metallica piantata nella testa dell’animaletto di plastica comparve come per magia una spessa corda rossa. Rimase a guardarla, interdetto, mentre quella legava assieme orsetto e campanello, poi si ritorse in un fiocco e proseguì, inoltrandosi nella nebbia. Taehyung afferrò la corda appesa all'orso, esattamente come la stringa del vero orsetto che aveva trovato quella sera di qualche mese prima, con entrambe le mani. Doveva essere grossa circa come un suo braccio e gli parve immediatamente pesante, molto più di quanto non dovesse essere, come se all’interno vi fosse del piombo. Vi si appigliò e tentò di agitarla, facendo tintinnare di nuovo il campanellino per un istante. Il suono argentino si sparse nell’aria, immediatamente seguito dall’eco che risuonò facendogli sollevare le sopracciglia in preda alla confusione. L’unica cosa che poteva fare era seguire quella corda rossa e pulsante lungo la strada asfaltata su cui si trovava. 

Taehyung si inoltrò nella nebbia, davanti a lui c’era solo l'asfalto che compariva man mano che il ragazzo procedeva seguendo quella spessa corda che pareva essere quasi viva. Continuò a camminare per un tempo che parve interminabile, sentendo le braccia che iniziavano a dolergli a causa della forza che gli era necessaria per sollevare la corda da terra man mano che la seguiva. Era terrorizzato all’idea di lasciarla andare, qualcosa nel retro della sua testa gli diceva che se solo avesse dovuto mollare la presa, allora la corda sarebbe scomparsa e lui si sarebbe perso in quel limbo grigio per sempre. 

Si girò per un istante, alle sue spalle l’orsetto ed il campanello erano stati inghiottiti nella foschia e ormai non ne distingueva nemmeno i bordi. Il sudore freddo prese a colare sulla fronte di Taehyung che continuò a marciare sempre più inquieto, finché i contorni sfocati di un’insegna e di una vetrina illuminata non gli diedero la spinta per aumentare la velocità con cui stava proseguendo. Si fermò con un leggero fiatone quando l'insegna illuminata del Seven Eleven divenne perfettamente visibile insieme alla vetrina dalle bande verdi. Fuori dal negozietto era parcheggiato un vecchio motorino blu, lo stesso che stava guidando prima mentre era curiosamente intrappolato nel corpo che non sapeva di chi fosse.

Taehyung alzò lo sguardo dalla ciotola di ramen, nuovamente confuso per l'improvviso cambio scena. Non era più all’esterno del Seven Eleven, bensì dentro, seduto su uno sgabello color azzurro polvere. Si chinò involontariamente a raccogliere un cellulare coperto da una buffa cover verde che ritraeva un ananas con la faccia seduta sotto una palma a bere con la cannuccia da una noce di cocco. 

«Oh.» ridacchiò. Ricordava quel momento, anche se in maniera molto vaga.

Si rialzò con un leggero lamento a causa dello sforzo: il telefono sembrava pesare tonnellate nel suo palmo. Si girò verso la cassiera a cui era scivolato di mano ed aprì leggermente di più gli occhi a causa dello stupore. Dietro di lui c’era una ragazza dai lunghi capelli castani dai riflessi leggermente ramati. Li portava sciolti ed erano tutti arruffati attorno al viso arrossato. Lei lo ricambiò guardandolo imbarazzata con quelle due lucide pietre d'onice che aveva come occhi.

«Minjae! Minjae se tu? Sei la ragazza di quella sera?» Taehyung la fissò incredulo mentre lei recuperava frettolosamente il cellulare dalle sue mani.

«Ah… grazie.» balbettò lei con un mezzo inchino.

Taehyung fissò la mano guantata e la sciarpa borgogna, sbattendo le palpebre neravigliato. Prima, sul motorino, era nel corpo di Minjae e trovò la cosa particolarmente curiosa. Il suo sguardo venne catturato dalla figura di un uomo dai capelli biondissimi e il lungo cappotto nero. Quel tizio inquietante se ne stava in piedi dietro Minjae, come se fosse la sua ombra, e negli occhi color ghiaccio e dallo sguardo felino era racchiuso tutto il dolore che pareva esprimere anche l’espressione afflitta che aveva in viso.

Taehyung fece per aprire la bocca e chiedergli cosa ci facesse lì, nel Seven Eleven, ma era nuovamente in mezzo al traffico di Seoul. Aveva la sciarpa borgogna premuta sul viso a causa del vento gelido della notte e il rumore costante del motore dello scooter gli riempiva le orecchie insieme al suono dello scarso traffico notturno. Il cellulare gli vibrava con insistenza contro il petto ma doveva essere una chiamata totalmente ignorabile perché il corpo in cui si trovava, e che ora Taehyung era certo non fosse il suo ma di Minjae, non fece nemmeno il gesto di accostare.

"Perché c'era l'uomo freddo? Perché sembrava che si stesse mettendo a piangere?" pensò Taehyung mentre superava sulla sinistra le poche macchine ferme ad un semaforo rosso in attesa che scattasse il verde. La strada era quasi deserta a parte le automobili che aveva appena superato e quelle ancora ferme all’incrocio, che iniziarono a circolare non appena il semaforo scattò, verde, per loro.

“Dove sto andando?” si chiese, incuriosito dalla situazione, mentre il corpo alla guida dello scooter infilava una mano nel bomber per estrarre il cellulare che, dopo una breve interruzione, aveva ripreso a vibrare. Sbirciò lo schermo, la chiamata proveniva da un numero sconosciuto. Con la coda dell’occhio vide l’uomo in nero fermo dalle strisce, guardava Minjae e aveva un cellulare in mano premuto contro l’orecchio.

«Ah… ma che problemi puoi avere se chiami uno sconosciuto all'una del mattino?» Taehyung mosse le labbra ma fu la voce di Minjae quella che gli uscì dalla bocca. "Ma perché questa volta sono… sono dentro di lei?" pensò Taehyung mentre il corpo di Minjae rifiutava la chiamata premendo il tasto di spegnimento dello schermo. Rimise in fretta il telefono in tasca sentendo tutta la noia che provava lei. Minjae aveva fretta di tornare a casa e provava un moto di pura irritazione nei confronti di suo fratello Minjoon e di quella sua stupida pessima abitudine di arrivare sempre tardi a lavoro. Taehyung sentì improvvisamente il calore invadergli le guance gelide e tutto fu sostituito da un profondo imbarazzo.

"Cielo… non avevo idea che fosse davvero così… bello, dal vivo."

Il pensiero di Minjae si infiltrò tra quelli di Taehyung che, se avesse potuto, in quell’istante avrebbe sorriso di soddisfazione e si sarebbe fermato a gongolare. Incapace di comandare quel corpo fu costretto a seguire i movimenti di lei. Le macchine avevano finito di sgomberare l’incrocio, rimasto deserto. Guardò il semaforo ancora rosso e con la coda dell’occhio intravide un camion che si avvicinava allo stop, alla sua destra. La vivida luce verde del semaforo brillò e Minjae diede immediatamente gas. 

L'odore pungente e fastidioso del disinfettante colpì le narici di Taehyung. Lo scooter era nuovamente scomparso ed ora Taehyung si trovava in piedi all'interno di un lungo corridoio bianco immerso nella penombra. Lungo le pareti candide le uniche macchie di colore erano i cartelloni che informavano gli utenti su come disinfettare le mani e su quale fosse il comportamento più adeguato da mantenere all’interno dell’ospedale. Le luci erano fredde e soffuse, più fioche di quanto Taehyung ricordasse come veritiero, ed in fondo al corridoio brillava una luce rossa. 

Taehyung si volse verso la luce cremisi, posando lo sguardo su di una scritta che recitava “emergenza in corso”. A quanto pareva doveva trovarsi in pronto soccorso. Il cuore gli sprofondò nel petto ma Taehyung non ebbe tempo di pensare ad alcunché perché una mano gelida gli artigliò un polso, facendolo sobbalzare violentemente. 

«Kim Taehyung, sono qui per conto di Lee Minjae.» la voce era ferma e decisa e Taehyung si girò di scatto ad incontrare le iridi color ghiaccio dell'uomo in nero. Se ne stava seduto su una delle sedie di legno fuori dalla porta a doppio battente della corsia delle emergenze e lo fissava intensamente, le labbra strette in un’espressione tesa. 

«Cosa sta succedendo? Dov'è Minjae?» chiese Taehyung, sentendo il gelo espandersi rapidamente dal punto in cui l'uomo lo tratteneva. Il cuore gli correva sempre più velocemente nel petto, così forte da fargli quasi male e dargli l’idea che da un momento all’altro gli avrebbe sfondato le costole per saltargli fuori dal petto.

L'urlo terrorizzato di una bambina seguito da un pianto disperato si liberò nell'aria immobile. Improvvisamente era di nuovo giorno, l’odore di disinfettante era sparito, sostituito dall’aroma polveroso di una Seoul primaverile. Taehyung era in piedi tra due macchine parcheggiate lungo una strada che non aveva mai visto prima di quel momento. Di fronte a lui l’uomo in nero lo tratteneva ancora per il polso con la sua mano gelida e marmorea e gli impediva la visuale sulla strada. Alle spalle dell’uomo Taehyung riuscì ad intravedere quello che sembrava un parco giochi.

«Dov’è Minjae?!» urlò di nuovo con la voce strozzata, mentre strattonava il polso per sfuggire a quel gelo incredibile che sembrava penetrargli nelle ossa. 

L'uomo in nero lo lasciò andare con un sospiro carico di sconforto poi si spostò leggermente permettendo a Taehyungi di vedere il corpo di un ragazzo dai capelli color platino riverso sull'asfalto. Il volto era a stento riconoscibile, la scatola cranica era stata oscenamente schiacciata ed una pozza di sangue si stava allargando, rapida, sotto di lui. Braccia e gambe erano piegate in un angolo del tutto innaturale e a pochi passi dal corpo c’era una bambina di tre anni al massimo, vestita con una tenera tutina fucsia.

«Io sono Doyun e questo è il momento in cui ho scelto di sacrificare il mio tempo per lei.» l'uomo in nero indicò la bambina mentre Taehyung fissava con orrore lo sguardo vitreo negli occhi castano scuro del ragazzo in terra. Aveva lo stesso volto dell’uomo in nero, colore degli occhi a parte. Nella pozza di sangue vermiglio biancheggiavano in modo inquietante dei frammenti di osso. Un piccolo grumo grigiastro galleggiò di qualche centimentro più in là, trasportato dal sangue che continuava a scorrere pigro.

“E’ il suo… il suo… cervello?” un conato scosse Taehyung che si accasciò contro il cofano della macchina blu parcheggiata accanto a lui. Si sostenne al metallo, con il corpo scosso dai conati e tentò di vomitare ma sentì solo il sapore acre della bile invadergli la bocca. L’uomo in nero gli batté una mano gelida e marmorea tra le scapole.

«Lo so, non è un bello spettacolo. Mi chiamavo Gwan Doyun e allora avevo ventun'anni. Minjae ne aveva tre e questa è stata la prima e ultima volta che io e lei ci siamo visti…» l'uomo in nero indicò la bambina, immobilizzata in un pianto disperato e con le mani sbucciate. La scena si era cristallizzata in quella diapositiva agghiacciante.

«Stai dicendo che sei morto?! Perché… perché sei qui?» Taehyung ansimò e diede le spalle al cadavere dell’uomo in nero, lo stomaco gli si stava contraendo in dolorosi crampi e sentiva il fiato venirgli meno. Era sempre più confuso e terrorizzato da quella situazione da incubo e i suoi occhi saettavano in ogni dove alla ricerca di una via di fuga da quel posto.

«Sì Taehyung, sono morto. Sono qui perché è giusto che tu sappia tutta la storia dall’inizio, me lo ha chiesto Minjae e… anche se non dovrei farlo non riesco mai a dirle di no.» le labbra di Doyun si stirarono in un mezzo sorriso, gli occhi color ghiaccio puntati sul suo stesso corpo riverso sull’asfalto. «Quel giorno Minjae stava inseguendo una palla in strada, mi gettai per impedirle di farlo e il furgoncino investì me al posto di lei.»

Taehyung sbarrò gli occhi, ancora fissi sul cofano blu metalizzato dell’automobile parcheggiata contro cui era appoggiato. Un brivido freddo gli percorse la schiena ma quando sollevò lo sguardo per guardare Doyun si ritrovò a guardare sé stesso intento a porgere a Minjae il cellulare, in piedi nella corsia del Seven Eleven in cui aveva trovato l'orsetto polare e lei. Un filo rosso simile a quello che aveva seguito prima, ma molto più sottile, legava i loro polsi e brillava di una pallida luce rosata. Taehyung sollevò la mano per guardare il braccialetto con la targhetta su cui era inciso il nome di lei in caratteri cinesi. 

«Perché mi stai dicendo questo? Dov'è Minjae?» chiese stupidamente, sentendo il panico serpeggiarli sotto pelle. Si voleva svegliare il più in fretta possibile ma qualcosa, nel retro della sua testa, gli diceva che doveva sentire fino in fondo quello che Doyun doveva dirgli.

«No, Taehyung, non ti farò svegliare, Minnie ti potrà parlare per poco tempo e vuole che tu sappia tutta la storia. E’ lunga, quindi devo farlo io per lei.» rispose Doyun.

«Perché?» la voce gli uscì in un sussurro strozzato e Taehyung sentì gli occhi riempirsi di lacrime mentre la visuale si faceva tremula e sfocata.

«Quel giorno in cui ho sacrificato il mio tempo ho fatto qualcosa che andava fuori dagli schemi del destino. Ho scelto di fare una cosa che non era stata prevista e questo tipo di scelte hanno sempre delle ripercussioni per i piani alti.» spiegò lentamente Doyun, abbassandosi per sedersi nel nulla. Sotto di lui ricomparve il cofano della macchina blu.

«Cosa c’entra Minjae?» Taehyung singhiozzò, incredulo all’idea che tutto quello stesse accadendo davvero e non fosse solo il frutto della sua immaginazione.

«Taehyung… quel giorno, quando mi sacrificai per Minjae, l’inviato di Yeomna fu costretto a prendere me al posto suo. Ero andato contro gli eventi pianificati e fu deciso che sia io che lei avremmo dovuto essere puniti. A quanto pare il sacrificio conta come suicidio, sai?» spiegò Doyun in tono piatto. 

Taehyung lo fissò, sempre più confuso e diffidente. «No…» mormorò, col cuore che gli sprofondava nel petto. Le lacrime iniziarono a solcargli il viso mentre osservava l'espressione addolorata del biondo, così in contrasto con quella voce atona e priva di sentimento.

«Non avresti mai dovuto incontrarla. Fu deciso che io e lei, per quanto Minjae fosse innocente, saremmo stati puniti. Minjae sarebbe sopravvissuta, ma Yeomna sarebbe tornato a reclamarla un giorno e io mi sarei dovuto occupare di portarla a giudizio.» disse Doyun in tono piatto, rialzandosi. 

«Dov'è Minjae?» la voce gli si incrinò e Taehyung si passò rapidamente una mano sul viso per riuscire a liberare gli occhi dalle lacrime e vedere con chiarezza. Il chiarore del giorno aveva lasciato lo spazio al cielo nero della notte, la luce rossa di un semaforo brillava sopra un vasto incrocio. Ai piedi di Taehyung, sull'asfalto, c'era un casco bianco solcato da una profonda crepa, parte della calotta si era staccata. 

«Tutti nasciamo con un’anima gemella. Minjae ha avuto l’inconsapevole colpa di provocare la mia morte anzitempo, barattando la sua vita con la mia. Ai piani alti non interessa il come sia successo, era una fatalità che non era stata prevista e questo li ha fatti arrabbiare. Col mio gesto ho rotto uno schema e hanno punito entrambi, anzi, hanno punito tutti e tre benché tu non c’entrassi nulla con quanto era accaduto. La tua storia era già decisa, la tua fortuna…» Doyun tentennò, leccandosi le labbra. «La tua fama intendo. Non avresti mai dovuto conoscerla e saresti stato comunque felice, invece hanno deciso che non appena Minjae avesse incontrato la sua anima gemella… allora il tempo che ha guadagnato grazie al mio sacrificio sarebbe giunto al termine.»

Il braccialetto di Taehyung rilucette di un pallido bagliore rossastro e gli occhi del ragazzo vennero calamitati da quel filo sottile che si dipanava dal suo polso. Non voleva guardare oltre quel casco rotto fermo davanti ai suoi piedi, ma sollevò comunque lo sguardo, incapace di resistere alla tentazione. A pochi metri di distanza da lui giaceva un corpo immobile dai lunghi capelli castano scuro, una sciarpa borgogna ne nascondeva il volto. Il filo rossastro conduceva là e brillava tenuamente attorno al sottile polso diafano, seminascosto dal bomber nero. In lontananza le sirene di un’ambulanza iniziarono a ululare.

Taehyung si accucciò in terra con le spalle scosse dai singulti. Tutto quello che gli stava raccontando Doyun non aveva senso. Si coprì il volto con le mani mentre scuoteva la testa, disperato, incapace di ripetere altro che non fosse "no". Non voleva sentire altro, voleva svegliarsi da quell'incubo terribile perché tra i singhiozzi faticava a respirare, ma l'uomo biondo si abbassò ad artigliargli una spalla. 

«Ho cercato di fare in modo che non vi incontraste mai quando sono riuscito a convincere Samsin a dirmi chi fosse l’anima gemella di Minjae. Purtroppo era scritto che doveste conoscervi ora che i piani erano cambiati. Non sono riuscito a tenerti lontano dal discount quella sera, mi dispiace. Mi dispiace così tanto Taehyung.» Doyun allentò la stretta e si limitò ad accarezzargli la schiena, il tono ora non era più piatto ma esprimeva tutto il rammarico che quella creatura - viva, morta o non-morta che fosse - stava provando. 

«Non è vero, questo è un incubo! Tu non esisti e lei sta bene. La mia Minjae sta bene…» la voce di Taehyung uscì talmente strozzata e spezzata che fu quasi difficile per Doyun capire cosa avesse detto. Lo guardò con il cuore carico di dolore per quel ragazzo innocente che era stato punito dal cielo in modo così ingiusto.

«No, Taehyung, vorrei che lo fosse, ma non lo è. Se non mi credi puoi cercare su internet: “Lee Minjae, pirata della strada”, la troverai immediatamente. Mi dispiace.»

Taehyung continuò a raggomitolarsi su sé stesso, l'odore del disinfettante era di nuovo pungente e i rumori dei macchinari invasero l'ambiente. Attraverso le lacrime vide Minjae stesa su un letto di ospedale, pallida e con gli occhi chiusi. Il volto era parzialmente tumefatto e non vedeva i suoi meravigliosi capelli scuri e ondulati a causa della fasciatura che le copriva la testa.

«Minjae voleva che ti spiegassi tutta la storia: non è colpa vostra, nessuno dei due avrebbe potuto evitarlo. Ho tentato di tenervi lontani il più possibile, per lei e per te, ma Yeomna aveva deciso e in un modo o nell’altro il destino trova sempre un modo. Minjae è stata in coma quasi due mesi dopo l’incidente. Vagava in giro senza rendersi conto di cosa stesse succedendo e ogni volta che mi vedeva scappava sempre più lontano dal suo corpo. Ha vagato così a lungo che si era persa e ogni tanto inciampava nei tuoi sogni.» Doyun strinse la presa sulla spalla del ragazzo, ancora scosso dal pianto. 

«No… no, Minjae…» pigolò Taehyung tra i singulti. Un dolore sordo al petto gli strozzava il respiro e gli rendeva quasi impossibile incamerare aria nei polmoni che avevano iniziato a bruciare. 

Si stropicciò il volto e cercò di tirare il fiato, improvvisamente si trovò seduto sul materasso, di nuovo avvolto tra le coperte della sua camera da letto, il polso intrappolato nella presa gelida dell'uomo. Cercò di allontanarsi quasi nel panico, col dolore che gli straziava il petto, ma Doyun lo strattonò per farlo stare fermo e la luce dell’abat-jour che teneva sul comodino si accese da sola, rivelando l'uomo biondo dagli occhi felini color ghiaccio seduto sul bordo del suo letto. 

«Taehyung, sssh… Sveglierai tutti così. Ascoltami bene, posso fartela incontrare un’ultima volta per pochissimo tempo.»

Taehyung scosse il capo, in lacrime. Non capiva se fosse sveglio o meno perché le lacrime che gli scorrevano sul volto sembravano davvero bagnate e le coperte gli facevano terribilmente caldo. 

«No, non mi bastano pochi secondi io…» continuò a singhiozzare e Doyun strinse la stretta sul suo polso. Il gelo si intensificò ed una strana sensazione di calma pervase Taehyung, che smise di agitarsi e rimase imbambolato a guardare il volto pallido dell'uomo in nero.

«Ascolta Taehyung, Minjae vuole dirti una cosa. È l'ultima volta che potrai farlo.»

«Cosa mi hai fatto?» nonostante la calma innaturale, la voce di Taehyung uscì profonda e strozzata.

«Ti ho calmato, perché posso farlo. Mi dispiace che il destino sia stato così crudele con te. Volevo evitare che voi due vi conosceste. In quel modo avrei potuto salvare Minjae e tu… tu non avresti dovuto convivere con tutto questo. Mi dispiace. Ora ti lascio andare, se devi chiederle o dirle qualcosa fallo adesso. È l'ultima volta.» disse Doyun allentando la presa. 

Taehyung fissò la mano gelida dell'uomo abbandonare il suo polso, dove il braccialetto rosso ancora riluceva di un tenue bagliore. Anche se era innaturalmente calmo, quasi catatonico, i suoi occhi continuavano a lacrimare perché il dolore al petto e l'incredulità non lo avevano abbandonato. Si sedette sul bordo del letto e improvvisamente sentì la mano piccola e delicata di Minjae spostargli i capelli dal volto.

Si girò a guardarla, indossava un bomber nero ed era vestita esattamente come l'aveva vista al discount, quando le aveva reso il cellulare con la cover verde e l'ananas, mancavano solo la sciarpa borgogna e i guanti. La visuale gli si appannò di nuovo quando lei gli accarezzò dolcemente una guancia per asciugargli le lacrime. Era fisica e reale e il suo tocco era ancora più bello di quando lo aveva sognato.

«Taehyung-ssi ciao.» la voce di Minjae uscì distante e ovattata, come se anziché essere seduta lì accanto a lui stesse parlando da un luogo molto lontano.

«Minjae, dimmi dove sei. Dimmi come trovarti, ti… ti prego.» Taehyung le prese il polso e la bloccò, guardandola in quegli occhi color onice dallo sguardo contrito e addolorato. 

Minjae scosse la testa e soffocò un piccolo singhiozzo mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «Mi dispiace tanto Oppa.»

«Non può essere ve-» iniziò Taehyung, ma Minjae gli si avvicinò in fretta, posò le labbra contro quelle di lui e strizzò gli occhi, lasciando che le lacrime le bagnassero le guance pallide. Quella sarebbe stata la prima e ultima volta che le loro labbra si sarebbero incontrate, almeno in quella vita.

Taehyung le circondò la vita sottile e se la strinse contro. Le labbra di lei non erano né calde né fredde, ma per la prima volta erano reali. Assaporò quel leggero sentore di albicocche che ricordava aver sentito nei sogni e lei gli mordicchiò dolcemente il labbro per poi fargli scivolare la lingua morbida e liscia tra le labbra. Gli si aggrappò alla maglietta del pigiama e Taehyung le immerse le mani tra i capelli soffici e setosi. Strinse la presa sulla nuca di lei e la baciò col terrore reale che lei potesse scomparire da un momento all'altro, come era successo un paio di settimane prima in sogno. Si strinsero l’uno all’altro, le guance bagnate di lacrime e i respiri che si confondevano, sempre più affannati man mano che il bacio si faceva più profondo. Il bacio rallentò e Taehyung guardò gli occhi neri di lei oltre il velo di lacrime che gli appannavano la vista, il dolore al petto talmente pesante che quasi faticava a respirare. 

«Ti amo…» la voce di Minjae fu solo un ovattato sussurro, ancora più distante di prima. Aveva già iniziato a perdere consistenza nonostante Taehyung stesse cercando di trattenerla il più possibile, faticando a incamerare aria.

«Ti amo Minjae, non te ne andare, ti prego… ti prego.» singhiozzò, vedendo il volto di lei perdere colore. Il panico lo investì quando iniziò a vedere i contorni del mobilio trasparire all’interno della figura di lei. 

«Mi dispiace. Ti aspetterò, giuro che ti aspetterò al di là del velo e ricominceremo insieme la prossima vita.» anche Minjae stava piangendo in forti e silenziosi singhiozzi che le scuotevano le spalle strette. 

«Ti amo.» fu l'ultima cosa che Taehyung le sentì dire, poi Minjae scomparve.

Il braccialetto brillò, rosso, per un istante e scomparve dal polso di Taehyung che si girò alla ricerca di Doyun. Aveva bisogno che lui gliela riportasse, ma l'uomo in nero era scomparso.

Taehyung emise un verso straziato e si accasciò tra le coperte, sopraffatto dalle lacrime e dai singhiozzi che gli impedivano di respirare in modo regolare. Voleva svegliarsi, voleva così tanto che tutto fosse solo uno stupido incubo che si lasciò sfuggire un lamento angosciante che rimbombò tra le pareti di camera sua. La porta si aprì di scatto e Jimin, in pigiama e con i capelli biondi e scompigliati dal sonno, un paio di pesanti occhiali in volto, si affrettò a raggiungerlo. 

«Tae cosa succede? Perché piangi? Hai fatto un incubo?» 

Taehyung affondò il viso contro il petto di Jimin, incapace di parlare da quanto i singhiozzi lo scuotevano in maniera violenta. Riuscì a recuperare il cellulare a fatica e aprì il browser, digitando il fretta quello che aveva detto lo strano essere che diceva di chiamarsi Doyun.

Immediatamente vide gli articoli di giornale.



-----------
Angolo Autrice

Che dire... lo so, speravate tutti in una storia a lieto fine, ma Doyun finalmente ha rivelato il suo ruolo a Taehyung e Minjae... è scomparsa.
Manca ancora l'epilogo della storia che uscirà mercoledì prossimo! Non vedo l'ora di leggere cosa ne pensate!
Ci rileggiamo domenica su Blooming!
ILYSM, BORAHE!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Epilogo ***


Epilogo


Dalie Viola - Purple Dhalia





Taehyung era seduto nel VAN a capo chino, la mascherina alzata sul volto e il petto che si muoveva in lenti respiri quasi impercettibili. Gli occhi coperti da un paio di scuri occhiali da sole dalla montatura rettangolare. Fuori dall’abitacolo la primavera era tornata anche quell’anno a caricare di morbidi boccioli rosati i rami degli alberi, ancora spogli dopo il lungo e gelido inverno particolarmente nevoso di quell’anno. Sollevò gli occhi dal telefono nel sentire il rumore del suo manager, che stava rimontando sul VAN con un meraviglioso mazzo di fiori in mano. 

Ventiquattro dalie color porpora.

Ventiquattro come gli anni di Lee Minjae.

Porpora perché l’avrebbe amata per lungo tempo.

«Taehyung-ssi, vanno bene?» chiese il manager passandogli il mazzo con l’accortezza di non stropicciare la sottilissima carta bianca che lo avvolgeva.

Il profumo delicato dei fiori si sparse nel piccolo ambiente ristretto e le labbra di Taehyung si inclinarono in un mezzo sorriso carico di tristezza mentre studiava i petali. Erano lunghi, arricciati e di un viola profondo che rendeva quasi violento il bianco dei bordi. Erano bellissimi e delicati, proprio come lo era stata Minjae.

«Sì, sono perfetti.» mormorò a bassa voce.

Si infilò una mano in tasca ed estrasse un piccolo cordino rosso. Scelse uno dei fiori più al centro, quello che ad un’occhiata approfondita gli parve essere quello più florido e rigoglioso. Legò la piccola cordicella allo stelo verdeggiante e nascose tra gli altri fiori le piccole targhette metalliche che vi erano appese. Sopra vi aveva fatto incidere il nome suo e quello di Minjae, scritti entrambi in caratteri cinesi, così come ricordava di averli letti nei sogni che gli avevano tenuto compagnia fino al suo compleanno. Accanto alle due targhette aveva appeso anche un minuscolo orsetto polare accompagnato da un campanellino.

Li fissò per un secondo e gli occhi gli si inumidirono, nascosti dalle lenti specchiate e scure degli occhiali. Non erano esattamente identici a quelli ancora appesi alla sua bacheca, ma erano comunque simili e sperava che Minjae, sempre che non se ne fosse già andata, apprezzasse quel piccolo gesto che ricordava la prima ed unica volta che le loro vite si erano sfiorate. 

Il volto gli si stirò in un sorriso triste e Taehyung rialzò lo sguardo mentre estraeva delicatamente la bustina bianca che conteneva il biglietto ancora immacolato. 

«Hai una penna?» chiese all’uomo seduto al posto di guida, ancora intento a mettere a posto borsa e portafoglio prima di ripartire per la loro ultima destinazione della giornata.

«Sì, un secondo.» il manager si affannò a cercare una biro nella tascapane che si portava sempre dietro e Taehyung ignorò l’occhiata affranta che gli rivolse. Non era un mistero dove fossero diretti, ma non voleva la compassione di nessuno. Non aveva voluto nemmeno quella di Jimin, che si era offerto di accompagnarlo e di cui aveva declinato l’offerta nel modo più delicato di cui fosse stato capace.

“Che stupido, proprio oggi me la sono dimenticata.” si biasimò Taehyung mentre seguiva con sguardo speranzoso la ricerca frettolosa del suo accompagnatore che scavava nelle tasche della borsa di ecopelle blu.

«Ecco Taehyung-ssi.» annunciò vittoriosamente l’uomo, girandosi verso di lui per passargli una semplicissima ed economica penna nera da discount. 

Taehyung morse il tappo di plastica rigida coi denti per rimuoverlo. Rimase per un secondo immobile a pensare cosa avrebbe potuto scrivere in quello spazio così ristretto e risicato, forse troppo per tutti i sentimenti che avrebbe voluto trasmetterle, poi iniziò a muovere la punta sulla carta bianca mentre continuava a tormetare il tappo nero con la punta della lingua, l’espressione concentrata nascosta dagli occhiali da sole. 

«Posso partire?» chiese il manager quando vide che Taehyung aveva finito di scrivere e stava rimettendo il tappo alla penna.

«Sì, ora sì.» rispose il moro, sistemandosi contro la seduta di morbida pelle del VAN.

«Se non troviamo traffico dovremmo metterci circa mezz’ora.» annunciò il suo autista, girando la chiave nel cruscotto. Il motore si avviò con un basso ronzio e Taehyung annuì prima di chiudere gli occhi con un sospiro. Avrebbe cercato di dormire fino a che non fossero giunti a destinazione nella speranza che il cuore smettesse di correre in quel modo nella sua cassa toracica.





 

Il van si fermò nel parcheggio sterrato con uno scricchiolio di gomme, una piccola nube di polvere bianca si era levata nel punto in cui erano passati. Il manager di Taehyung si girò per riscuoterlo, toccandogli con delicatezza un ginocchio. «Taehyung-ssi siamo arrivati.»

Taehyung mugugnò qualcosa e aprì lentamente gli occhi, sbattendo piano le palpebre mentre rimetteva lentamente a fuoco la visuale. Lanciò un’occhiata all’orologio dell’abitacolo, alla fine ci avevano impiegato più di mezz’ora. Con un sospiro si passò una mano sulla fronte per tirare indietro i capelli scuri e nasconderli sotto il cappellino nero, mentre l’uomo faceva per scendere dal mezzo.

«No, lascia stare per favore. Vorrei andare da solo. Puoi aspettarmi in macchina» rispose Taehyung con la voce resa bassa e roca dal lungo silenzio del viaggio. 

Afferrò con delicatezza il mazzo di fiori, controllando in modo quasi ossessivo che il biglietto fosse al suo posto e che in alcun modo potesse sfuggire. Si sistemò gli auricolari nelle orecchie e si isolò completamente dal mondo esterno facendo partire la playlist che aveva così faticato a mettere insieme durante quei mesi. Non ricordava alla perfezione tutte le canzoni che si erano susseguite durante i suoi incontri con Minjae e ci aveva messo del tempo per riconoscerne alcune. Anche per quello aveva atteso così tanto, voleva che quella visita, la prima di molte, fosse perfetta. 

Scese dal van e si incamminò lentamente verso l’ampio portale in ferro battuto, pronto a salire la scalinata che lo avrebbe condotto da lei, nelle orecchie la voce malinconica di Lana del Rey. 

Ignorò le pochissime persone presenti mentre vagava per i viottoli bianchi e ordinati. Le persone che lo circondavano erano troppo impegnate a badare ai loro affari per tentare di scoprire il volto di quel ragazzo col cappello da baseball, la mascherina nera e gli occhiali da sole, che procedeva per i viali seguendo le indicazioni che aveva appuntato su un foglietto di carta.

Salì diverse rampe di scale, cercando inutilmente di lasciarsi alle spalle la malinconia che lo avvolgeva da mesi e si fermò davanti a una grande parete di pietra grigia. Cercò con lo sguardo il numero che si era appuntato sul foglio, facendo avanti e indietro, finché non lo trovò. Sentì una leggera fitta al petto e si inginocchiò a fissare una piccola foto tondeggiante che ritraeva una ragazza dal sorriso infantile, i lunghi capelli dalle onde morbide le incorniciavano il volto ovale e, incastonati in quella pelle di alabastro, c’erano quelle due brillanti pietre d’onice che aveva come occhi. 

Sfiorò la foto, pulendola da un sottile strato di polvere, mentre si toglieva gli occhiali da sole per incastrarli sopra la visiera.

«Ciao Minjae.» mormorò con voce strozzata. «Mi dispiace essere venuto a trovarti così tardi.» sfiorò con la punta delle dita le lettere d’ottone in rilievo su quella piastrella di granito lucido, con la stessa tenerezza che avrebbe riservato alla guancia liscia di lei, se solo avesse potuto ancora farlo.


Lee Minjae

1996.02.14 - 2020.12.30


«Sono successe tante cose in questi mesi, c’è stata una quarantena e non sono potuto venire da te. Ho… » la voce gli si spezzò, mentre si sedeva a gambe incrociate davanti a tutto quello che gli rimaneva di lei. Appoggiò un auricolare alla pietra fredda e fece ripartire la loro playlist. «Ho trovato tutte le nostre canzoni, sai? Alcune… alcune sono state davvero assurde da trovare, ma ci sono riuscito.»




 

Minjae si asciugò le lacrime col dorso della mano e tirò su col naso mentre guardava la schiena incurvata di Taehyung che se ne andava con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni neri, di nuovo il berrettino calato in testa e gli auricolari nelle orecchie a separarlo dal mondo. Per tutto il tempo che era stato lì a parlare con lei, abbastanza perché il tramonto lasciasse spazio al cielo scuro della sera, era rimasta accucciata accanto a lui ad ascoltarlo. Gli aveva passato le dita tra i capelli soffici e profumati nonostante sapesse alla perfezione che lui non avrebbe mai e poi mai potuto sentire il suo tocco o le risposte che gli dava ogni volta che lui le faceva una qualche domanda. Nemmeno lei aveva potuto toccarlo davvero.

Taehyung le aveva raccontato che la notte in cui si erano incontrati per l’ultima volta, la notte in cui avevano potuto scambiarsi il primo, unico ed ultimo vero bacio della loro vita, avesse inizialmente rifiutato l'idea che fosse tutto vero. Era stato il suo migliore amico Jimin il primo a farlo muovere da quello stato di rifiuto totale.

«Se tutta questa storia è vera, Tae, allora la devi trovare.» 

Aveva continuato ad opporsi fermamente, ma Jimin aveva continuato a insistere senza permettergli di richiudersi nel silenzio come invece Taehyun avrebbe tanto desiderato fare. Lo aveva costretto a raccontargli tutto quello che era successo in quei sogni assurdi, lo aveva esortato a canticchiare le canzoni che ricordava e a sforzarsi di ricordare le melodie che proprio sembravano sfuggirgli ed era stato sempre Jimin a suggerirgli di creare una playlist. 

«Perché mi stai facendo tutto questo?!» gli aveva urlato Taehyung un giorno, sull’orlo di un litigio.

«Perché se è vero ti aiuterà ad andare oltre, Tae, e se non lo è almeno ti metterai il cuore in pace. Lo faccio perché sono il tuo amico e non ti lascerò solo.» gli aveva risposto Jimin con un cipiglio serio e la voce vellutata che usava quando voleva consolarlo. Taehyung le aveva raccontato che era stato quello che alla fine lo aveva fatto cedere e si vergognava di aver cercato di evitare la verità fino a quel momento.

Da quel giorno Taehyung non aveva fatto altro che cercare un modo di trovarla, sempre con la speranza che in realtà non le fosse accaduto nulla di male, che la Lee Minjae di cui parlavano i giornali fosse solo un’omonima e non la sua Minjae. Era partito con l’andare al suo vecchio posto di lavoro, il discount in cui il loro breve incontro aveva segnato i destini di entrambi, ed aveva parlato con il proprietario. Quello lo aveva messo in contatto con suo fratello maggiore Taehyung aveva dovuto faticare parecchio per ruscire a convincerlo ad incontrarsi per parlare di lei.

Le aveva raccontato che era rimasto sorpreso da quanto Minjoon le somigliasse, che la prima volta che li aveva visti al discount era rimasto divertito dal modo in cui li aveva sentiti battibeccare, che Minjoon aveva pianto quando le aveva parlato di lei. Si erano incontrati diverse volte, Taehyung e Minjoon, perché il fratello di Minjae sembrava avere così tante cose da raccontare che non sembrava nemmeno il resoconto di una vita di soli ventiquattro anni.

Taehyung le aveva raccontato tutto un po’ tra i sorrisi e un po’ tra le lacrime, ma in realtà Minjae non aveva affatto bisogno che lui le dicesse com’era andata. Doyun l’aveva nascosta nel suo piccolo appartamento in affitto e le aveva permesso di fermarsi un po' più del previsto per vegliare su Taehyung e decidere cosa fare una volta che avrebbe attraversato il Velo.

Minjae aveva seguito Taehyung per tutto il tempo, lo aveva visto andare alla ricerca di suo fratello ed era rimasta accanto a loro ogni volta che quei due si erano incontrati, poco prima che scattasse il lock-down. Aveva anche scoperto sentimenti di suo fratello dei quali non sarebbe mai entrata a conoscenza se non fosse stata nelle sue condizioni attuali. Se non fosse morta.

Era rimasta ad ascoltare Taehyung tutto il tempo, divisa tra il desiderio che quel momento fosse eterno e il rimorso di non poterlo toccare, di non potergli fare sapere che era lì, per lui, ad ascoltarlo. Del non potergli dire che non lo avrebbe lasciato solo. In alcuni momenti aveva anche riso, soprattutto quando Taehyung si era bloccato, in imbarazzo, sul fatto che alla fine di tutti quegli incontri con Minjoon si era fatto consegnare un piccolo album di sue fotografie che poi si era portato a casa per nasconderlo in un cassetto del comodino.

Minjae, comunque, lo sapeva. E sapeva anche che spesso Taehyung estraeva il piccolo album e rimaneva in silenzio a guardare le sue foto, prima di riporlo e spegnere la luce. Sapeva anche che nel portafoglio di Taehyung ora c’era anche una sua piccola foto insieme a quelle delle persone che riteneva speciali.

Doyun le posò una mano guantata sulla spalla e si chinò verso di lei, con un sorriso dolce su quel volto perfetto dalle labbra carnose e rosee, così in contrasto con quel lungo cappotto nero dall’aria intimidatoria che si sposava così bene con il ruolo che ricopriva. Anche lui sarebbe stato per sempre cristallizzato in quell’attimo e una cappa di tristezza calò sulle spalle di Minjae al pensiero che anche quello fosse involontariamente accaduto a causa sua.

«Minnie, sei pronta?» le chiese Doyun offrendole un fazzoletto bianco con le sue iniziali ricamate in piccolo in un angolo della stoffa. A quanto pareva la grande organizzazione che gestiva la Morte aveva una serie infinita di creature predisposte a occuparsi di ogni aspetto delle anime intrappolate nel ruolo di accompagnatori come lo era Doyun.

Minjae si girò a guardarlo. Prese quello scampolo di stoffa morbida per soffiarsi il naso e si rimise in piedi, singhiozzando ancora sommessamente. «Non lo so, credo… forse sì.» rispose con un pigolio acuto, asciugandosi le lacrime che continuavano a rigarle il volto contro la sua volontà. Non avrebbe voluto piangere in quel modo, ma quello che le aveva detto Taehyung subito prima di andarsene aveva abbattuto l’ultimo avanzo di volontà che le aveva impedito di piangere per tutta la durata del loro breve ma lungo incontro.

«Cercherò di vivere bene, Minjae. Diventerò una persona di cui andresti fiera e nella prossima vita ti troverò. A qualsiasi costo.»

Doyun le posò una mano sulla nuca e gliela massaggiò delicatamente per cercare di consolarla.

«Vuoi sapere cosa ha scritto nel biglietto?» chiese, nonostante conoscesse già la risposta, mentre indicava i fiori che Taehyung aveva disposto ordinatamente nel portafiori attaccato alla lapide lucida e fredda. Oltre quella lastra di pietra c’era tutto ciò che rimaneva delle ceneri della raggazza.

«Sì, grazie.» mormorò Minjae annuendo brevemente.

Il ragazzo accanto a lei si inginocchiò, spostando indietro il cappotto con un movimento elegante. Con delicatezza estrasse dalle dalie la bustina bianca. Lui, a differenza sua, non aveva perso la sua capacità di poter interagire con il mondo. Seguì i movimenti di Doyun in trepidante attesa, mentre quello estraeva il piccolo biglietto dalla bordatura color oro dalla piccola busta bianca indirizzata a lei.

Lo lesse e le labbra gli si incresparono in un piccolo sorriso mentre attorno a loro la fioca luce dei lampioni iniziava a calare rapidamente, come se qualcuno stesse spegnendo le lampade in sequenza. Una fitta nebbia biancastra iniziò ad ammucchiarsi ai loro piedi, muovendosi rapidamente e sollevandosi in volute agitate che lambirono loro le gambe. Doyun risollevò lo sguardo su Minjae che si guardava attorno spaesata e schioccò le dita. Con un sonoro crack un altro biglietto, in tutto e per tutto identico a quello che Taehyung aveva lasciato tra le dalie, gli comparve tra le mani e lui si chinò a riporre l’originale tra i fiori profumati, carichi dell’umidità della sera.

«Credo che… credo che dovresti tenerlo con te, Minnie.» disse sorridendole dolcemente prima di avvolgere la piccola mano di lei con la sua, fredda e guantata. 

«Perché?» chiese Minjae confusa, scrutando i grandi occhi azzurri di Doyun incastonati in quel volto pallido e triangolare.

«Perché…  mi sono affezionato a entrambi, ormai. Leggilo quando sarai dall’altra parte e dovrai decidere cosa fare. Non voglio più vederti piangere, ma spero che dopo aver letto deciderai di aspettarlo. Meritate un piccolo lieto fine, conceditelo tu visto che il Destino non lo ha fatto per voi.» le disse con voce vellutata mentre un sorriso triste gli increspava le labbra. Dopo ventidue anni di silenziosa veglia il suo compito stava giungendo al termine, finalmente anche lui avrebbe abbandonato quell’esistenza a metà.

«Grazie Doyun. Grazie di… beh, di tutto.» mormorò Minjae riconoscente, con le lacrime che si facevano di nuovo strada nei suoi occhi.

Si girò verso il cancello di ferro battuto che era comparso accanto a loro, decisa a fare finta di niente nonostante fosse evidente per entrambi che si fosse rimessa a piangere. Studiò i bottoni dorati e le volute arzigogolate dal gusto curiosamente rococò. Sembrava quasi il cancello di Versailles, come se qualcuno, ai piani alti, avesse avuto una strana passione per l’architettura europea di fine settecento. «E così è… è tutto qui?» chiese cercando ostinatamente di ignorare l’Oscurità assoluta che dimorava oltre.

«Sì, è tutto qui. Dobbiamo solo fare un passo e il mio lavoro sarà terminato.» rispose Doyun guardando quella porta così familiare.

Minjae annuì mordendosi le labbra, strinse un’ultima volta la mano di Doyun e si girò verso di lui con un piccolo sorriso. «Grazie Doyun. Spero che ti incontrerò ancora e che potremo essere amici nella prossima vita. Arrivederci?» chiese, incerta.

Lui non rispose, si limitò a rivolgerle un piccolo sorriso, poi con uno strattone deciso mosse un passo, tirandosela dietro. Entrambi oltrepassarono il cancello, inoltrandosi nell’oscurità con passo deciso.

Una luce abbacinante colpì gli occhi di Minjae, che alzò un braccio per coprirsi il volto. Era sola, la presa gelida e rassicurante di Doyun non c’era più. Provò un piccolo moto di sconforto, ma posò lo sguardo sul biglietto. Non le interessava guardarsi attorno, prima lo avrebbe letto.

Lo aprì trattenendo il respiro per abitudine, non aveva bisogno di farlo. Le mani le tremavano così tanto che dovette agitarle nell’aria per poter fermare il tremore. Finalmente i suoi occhi scuri si posarono sulla scrittura ordinata del suo alieno. 

 

“A te che amo pur non avendoti mai conosciuta.”

Kim Taehyung

 





Fine



---------
Angolo Autrice

NON STO PIANGENDO E' CHE C'è VENTO.
Ok, dopo letture e riletture credo di essere bene o male soddisfatta di questo epilogo. E' la mia prima storia (non one-shot) che si è conclusa ufficialmente e... niente. Spero che vi sia piaciuta e che vorrete lasciare un'ultima recensione al suo ultimo capitolo. A differenza delle altre storie 18+ questa fa... beh, fa solo male.
Grazie mille a chiunque l'abbia letto in silenzio o commentandola, ci rileggiamo su Blooming domenica.
As always ILYSM, BORAHE!

Consuelo

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3981239