Vento d'Australia

di Francyzago77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il ritorno di Abel ***
Capitolo 3: *** Incomprensioni ***
Capitolo 4: *** Confidenze ***
Capitolo 5: *** Il segreto di Eric ***
Capitolo 6: *** Sogni ***
Capitolo 7: *** Tenere sensazioni ***
Capitolo 8: *** Una grossa sorpresa ***
Capitolo 9: *** La proposta ***
Capitolo 10: *** Indecisioni ***
Capitolo 11: *** Daisy ***
Capitolo 12: *** I dubbi di Sophie ***
Capitolo 13: *** Nuove esperienze ***
Capitolo 14: *** Amore sconosciuto ***
Capitolo 15: *** A casa di Percy ***
Capitolo 16: *** Dissapori ***
Capitolo 17: *** Rosa e spine ***
Capitolo 18: *** Tempesta ***
Capitolo 19: *** Liti e chiarimenti ***
Capitolo 20: *** Questo matrimonio s'ha da fare! ***
Capitolo 21: *** In gabbia ***
Capitolo 22: *** Vento di burrasca ***
Capitolo 23: *** Mia madre, tuo padre ***
Capitolo 24: *** Un'estenuante ricerca ***
Capitolo 25: *** Ritorno al passato ***
Capitolo 26: *** Ricordi ***
Capitolo 27: *** Tutta la verità ***
Capitolo 28: *** Rinascita ***
Capitolo 29: *** Verso il domani ***
Capitolo 30: *** Volare via ***
Capitolo 31: *** Tre anni dopo ***
Capitolo 32: *** Festa di nozze ***
Capitolo 33: *** Inquietudine e tormento ***
Capitolo 34: *** Amore e morte ***
Capitolo 35: *** In famiglia ***
Capitolo 36: *** Il patto ***
Capitolo 37: *** Menzogne ***
Capitolo 38: *** Nascita ***
Capitolo 39: *** In viaggio ***
Capitolo 40: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 41: *** Cercando di dimenticare ***
Capitolo 42: *** Tornare indietro ***
Capitolo 43: *** Costruire e distruggere ***
Capitolo 44: *** Pensieri di una madre, pensieri di una donna ***
Capitolo 45: *** Il piccolo paziente ***
Capitolo 46: *** Scoperte ***
Capitolo 47: *** Rancore e perdono ***
Capitolo 48: *** Riconciliazione ***
Capitolo 49: *** Solitudini ***
Capitolo 50: *** Richiesta d'aiuto ***
Capitolo 51: *** Nuovamente insieme ***
Capitolo 52: *** Ricatto ***
Capitolo 53: *** Sospetti ***
Capitolo 54: *** Gioco perverso ***
Capitolo 55: *** Dramma ***
Capitolo 56: *** Resa dei conti ***
Capitolo 57: *** Decisioni importanti ***
Capitolo 58: *** La notte più lunga ***
Capitolo 59: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


-Mamma, quindi meglio il vestito azzurro di quello arancione? – domandò Sophie raggiungendo Georgie in cucina tenendo tra le mani i due abiti e osservandoli nuovamente con attenzione.
Georgie alzò la testa dal suo lavoro di ricamo e rispose sorridendo alla figlia:
-Certo cara, per la festa di questa sera l’azzurro è più adatto.
-Allora va bene così, con il nastro bianco fra i capelli è perfetto! – esclamò Sophie soddisfatta.
Posò entrambi gli abiti sulla sedia e preso il fiocco, se lo legò a una ciocca specchiandosi nel catino colmo d’acqua che era sul tavolo.
I suoi capelli erano lunghi, chiari e mossi e facevano da cornice a un viso regolare e decorato da diverse lentiggini sparse qua e là tra le guance. Il naso era piccolino e sottile ma ciò che spiccava certamente erano gli occhi, grandi e azzurri dello stesso colore del cielo quando è limpido e sereno.
Georgie la guardava divertita poi, con tono più serio affermò: 
-Ricorda che domattina hai promesso di venire con me alla stazione a prendere tuo padre che ritorna.
-Sicuramente – disse con gioia la ragazza – non vedo l’ora di riabbracciarlo…tre mesi che è stato a Melbourne mi son sembrati un’eternità!
-Quindi stasera – aggiunse Georgie – non farai troppo tardi?
-Non ti preoccupare mamma – rispose subito Sophie – Peter mi riaccompagnerà presto.
-Ah, vai con Peter anche oggi? – sorrise Georgie.
-Sì – arrossì Sophie – come sempre, ultimamente Eric non viene più alle feste, qualcuno dovrà pure accompagnarmi!
E presi gli abiti corse su per le scale rapidamente.
Georgie continuava a cucire ma dentro di sé pensava che Abel, al suo ritorno, avrebbe trovato una Sophie cresciuta e innamorata.
Suo marito era stato per tre mesi a Melbourne, mandato dal suo capo a seguire una squadra di giovani operai al cantiere navale e Georgie era rimasta sola con Sophie ormai adolescente, bella e sognatrice. Abel junior, divenuto ingegnere, si era stabilito ad Adelaide e viveva lì da circa due anni.
Georgie vedeva scorrere la sua vita negli occhi dei suoi figli pensando che per lei, oramai, non ci fosse più alcuna emozione da vivere pienamente. Era una donna serena e la felicità dei suoi ragazzi era la priorità assoluta.
Con Abel c’era l’amore di sempre, era l’uomo della sua vita e le difficoltà fino ad ora incontrate avevano cementato il loro rapporto ancora di più. 
E poi c’erano Arthur, Maria ed Eric, insieme erano tutti veramente una grande e bella famiglia, nonostante i problemi, le vicissitudini e le incomprensioni, lo erano.
Arthur aveva trovato in suo figlio un valido aiuto per la fattoria perché era un ragazzo serio, affidabile e volenteroso. Maria era sempre un’ottima insegnante e la scuola era un punto di riferimento per tutti i bambini delle campagne circostanti.
A Georgie sarebbe piaciuto che Sophie studiasse da maestra per poi lavorare assieme a Maria ma la ragazza aveva preferito imparare a cucire e aiutarla alla sartoria. Lei e Abel non avevano mai voluto imporre nulla ai loro figli ma accompagnarli e aiutarli nelle scelte importanti della vita.
E così Sophie stava diventando una brava sarta mentre Abel junior aveva continuato gli studi divenendo ingegnere anche grazie a nonno Fritz che aveva partecipato alle spese per la retta universitaria.
Il conte Gerald era ormai un politico stimato ed affermato, viveva ancora a Sydney e si occupava del settore agricolo, erano sue alcune leggi che avevano contribuito a migliorare l’economia del Paese.
Tutto sembrava tranquillo, come si osserva il mare quando è calmo e non ci s’immagina che all’orizzonte sta per arrivare la tempesta.
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Il ritorno di Abel ***


Alla stazione Georgie e Sophie attendevano il treno che riportava a casa Abel.
Era una bella giornata, madre e figlia erano sedute su una panchina e parlavano tra loro mentre la gente camminava in fretta portando valigie e bagagli.
Al sentire il fischio del treno si alzarono entrambe guardando in lontananza cercando di scorgere la locomotiva nera. Il treno giunse a destinazione tra il fumo e il vocio dei passeggeri.
Georgie, ogni volta che lo vedeva, non poteva non pensare all’inaugurazione della ferrovia, quella giornata di tanti anni fa ormai divenuta un dolce e simpatico ricordo.
Tante volte lo aveva raccontato a sua figlia, che lei Abel e Arthur avevano assistito a quell’evento importante, ma non le aveva mai menzionato Lowell come volesse tenere per sé tutta quella storia d’amore così lontana e così triste.
-Ecco papà! – urlò Sophie agitando il braccio.
Abel era sceso dal vagone e stava avanzando verso di loro con una valigia in mano.
-Le mie ragazze! – disse vedendole sorridendo.
Sophie gli buttò le braccia al collo proprio come una bambina e lui la strinse in un caloroso abbraccio. Poi baciò Georgie dolcemente. 
-Come stai? – gli chiese sua moglie.
-Il viaggio un po’ stancante – rispose – ma il lavoro è andato veramente bene, il capo sarà proprio soddisfatto. Come vi scrissi tempo fa ho collaborato con una squadra di ragazzi preparati ed efficienti.
-Andiamo subito al carro – propose Sophie – così arriveremo presto a casa e potrai riposare.
-Grazie signorina! – esclamò Abel divertito dalle premure della ragazza.
Salirono sul carro e partirono, durante il tragitto Abel raccontò loro di Melbourne, della città, del lavoro, dei suoi giovani colleghi. Georgie era felice di rivederlo sereno e soddisfatto.
-E tu Sophie – domandò ad un certo punto Abel – cosa mi racconti? Proprio non ci ripensi a seguitare gli studi e diventare una maestra?
-Oh no papà – rispose lei – preferisco lavorare alla sartoria della mamma. Realizzare abiti mi piace, non credo sarei stata una buona insegnante, non ho pazienza con tutti quei bambini! Invece ha fatto bene Beth, la sorella di Peter, ad andare a Sydney per studiare da maestra. Lei la vedo perfetta per quel lavoro!
-A proposito di Peter – esclamò Abel – ti ronza sempre attorno, vero?
Sophie arrossì di colpo, poi rispose imbarazzata:
-È il migliore amico di Eric e stiamo spesso insieme. Ultimamente mi ha accompagnato a delle feste. 
Georgie sorrise guardando Abel che disse:
-Sono un po’ geloso, lo ammetto, ma Peter mi piace e poi lo conosciamo da sempre.
Abitava in una fattoria limitrofa Peter, suo padre aveva spesso collaborato con Arthur e sua madre, a volte, vendeva la frutta e la verdura al mercato in paese. Gente semplice, onesta e laboriosa che amava la terra ed aveva un cuore grande.
Peter aveva frequentato la scuola di Maria e con Eric aveva legato fin dall’inizio, giocavano e studiavano insieme e con loro, di solito, c’era Sophie dato il rapporto indissolubile che esisteva fra i due cugini. Al trio si era unita poi Beth, la sorella di Peter, più piccola di due anni ma desiderosa di far parte di quel gruppo così allegro e spensierato.
E l’infanzia era passata velocemente tra corse nei prati, scorribande al fiume, litigi e riappacificazioni, esami scolastici e feste di compleanno. Poi arrivò il tempo delle scelte, Eric aveva ottenuto il diploma anche se infine si era dedicato al lavoro in fattoria, Sophie era un’apprendista sarta, Beth studiava da maestra e Peter aiutava suo padre. Nel tempo libero si frequentavano sempre, andavano al villaggio da altri ragazzi e ora Sophie scriveva spesso a Beth perché era in città e tornava qualche volte nei fine settimana.
Si intuiva che Peter provava qualcosa per Sophie, un sentimento sincero che tutti in famiglia avevano capito ed attendevano pazientemente l’evolversi della situazione. Abel soprattutto l’aveva notato da molto ma il lavoro a Melbourne l’aveva portato lontano e il ritorno lo preoccupava un po’, il timore di dover dividere la sua principessina con qualcun altro lo infastidiva. 
-Non avrai nulla in contrario – la voce di Sophie lo distolse dai suoi pensieri – se domani andrò in città con lui a trovare Beth, vero?
Abel fu colto alla sprovvista ma disse:
-Mi sembra già tutto deciso…tanto verrà anche Eric, giusto?
-No, Eric non verrà – rispose Sophie.
-Veramente – aggiunse Georgie seria – Eric è da un po’ di tempo che è strano, non esce più con i suoi amici, è diventato silenzioso e scostante. Maria si sta preoccupando seriamente.
-Eric? – domandò Abel stupito – Solitario e scontroso? Non ci credo!
-Invece è così – ribatté Georgie – lavora tutto il giorno alla fattoria e la sera si chiude in camera. A volte va al fiume o in paese ma sempre da solo. Neppure Peter ne sa nulla.
-È vero – continuò Sophie – anche se per me è per Beth che soffre.
-Ma se fosse così – domandò Georgie – domani dovrebbe venire con voi a trovarla.
-No – rispose Sophie – perché è Beth che è innamorata di Eric e lui non vuole illuderla!
-Questo perché è un ragazzo serio – affermò Abel che aveva sempre avuto una predilezione per il nipote. 
-Sì ma ora è sofferente – ripetè Georgie – ed io non posso vederlo così. Non credo sia per quella ragazza.
-Arthur che dice? – domandò Abel.
-È preoccupato come Maria, ma il ragazzo non si apre neppure con lui. Potresti parlarci tu Abel? – esclamò Georgie.
-Certo – rispose – forse vedendomi dopo un po’ di tempo magari con me si confiderà.
Georgie lo sperava vivamente stringendo forte il braccio di suo marito mentre il carro avanzava verso casa.
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Incomprensioni ***


Arrivarono a casa che era ora di pranzo, Georgie aveva preparato qualcosa di frugale, mangiarono poi Abel andò a riposare.
Nel pomeriggio ricevettero la visita di Arthur e Maria e il discorso cadde inevitabilmente su Eric.
-Se provo a parlarci – disse Arthur sorseggiando il tè – cambia argomento oppure mi dice che è stanco e non ha voglia di uscire.
-Con noi non viene più – continuò Sophie riferendosi a lei e a Peter – e neppure quando usciamo con gli altri ragazzi del villaggio.
-Se non è per una ragazza – affermò Georgie – non capisco proprio cosa gli stia passando per la testa.
Abel ascoltava con attenzione le opinioni dei suoi famigliari e osservava Maria che era silenziosa e in disparte, ma si vedeva che era sofferente, come solo una madre può esserlo.
Ad un certo punto, infatti, Maria scoppiò in pianto dicendo:
-Sono preoccupata, ho paura che Eric abbia una malattia seria e non voglia dircelo.
-Perché hai questo dubbio? – chiese Abel.
-Perché ho saputo – rispose lei – che va spesso in paese dal dottor Dewy. Cosa ci va a fare da un medico?
-Ma zia – esclamò Sophie incredula – è malato e non ci dice nulla? 
-Lo sai com’è Eric – sussurrò Maria – non vorrebbe mai darci un dolore.
-E allora – dichiarò Arthur preoccupato – se lui non parla, andrò io dal dottor Dewy. Così sapremo qualcosa in più, almeno spero.
-Sì – affermò Abel – è la cosa più giusta da fare. Magari con lui si è confidato, è sempre stato legato al dottore, fin da bambino.
-Tra poco dovrebbe essere qui – disse Arthur – l’ho mandato a vendere il formaggio in paese. Spero si fermi almeno per salutarti, l’ho avvisato del tuo ritorno.
Infatti, Eric arrivò dopo una mezz’oretta, era allegro e felice di rivedere lo zio.
Parlarono del più e del meno, Abel raccontò di Melbourne e il ragazzo era molto interessato e partecipe.
Non aveva assolutamente l’aria di un malato e Abel pensò che i suoi cari esagerassero un po’ con tutta quella storia.
-E a te come va Eric? – chiese al nipote per tastare il terreno.
-Non male – rispose laconico il ragazzo.
-Dai Eric – lo esortò Sophie passandogli il vassoio con i biscotti – domani vieni con noi a Sydney, ce la spasseremo in città, Beth ne sarà felice!
-Ancora con questa storia? – disse stizzito il ragazzo spingendo più in là il piatto – Ti avevo già detto che non vengo, non insistere!
-Ma perché? – replicò Sophie rattristata – Potresti passare una bella giornata in buona compagnia. 
-A sentire i vostri discorsi tutto il tempo? – rispose Eric ironico alzandosi – Con Beth che sogna di sposarmi e tu e Peter felici come due fidanzatini!
Sophie stava per ribattere immediatamente ma Georgie le fece cenno di non replicare, fu Maria invece che parlò a tono:
-Basta Eric, lei stava solo cercando di essere gentile. Ti farebbe bene uscire un po’ e non stare soltanto alla fattoria o al mercato per lavorare.
-Pensi sempre di sapere quello che sia giusto o sbagliato per me, vero? – disse con fermezza Eric guardandola negli occhi.
-Non ti permettere – tuonò allora Arthur – di rispondere in questo modo a tua madre! Chiedile scusa immediatamente.
Un po’ turbato il ragazzo si allontanò dalla tavola per avvicinarsi alla porta.
-La mia presenza non è molto gradita qui – disse – vado via! Ciao zio Abel.
E corse fuori a prendere il suo cavallo. Si capiva che era in lacrime.
-Vedi – disse Arthur al fratello – com’è cambiato? Non è sereno.
-Se vuoi – disse Abel – proverò a parlarci io ma tu vai comunque dal dottor Dewy, magari sa qualcosa che noi non sappiamo.
Arthur annuì, poi, più tardi, insieme alla moglie, tornò a casa alquanto preoccupato.
-Mamma, papà – sussurrò Sophie avvicinandosi loro sulla porta – io non volevo far scaturire un putiferio. Mi dispiace tanto che Eric sia diventato così scontroso e sofferente, è sempre stato bene con noi. 
-Certo – disse Abel serio – comunque tu e Peter vi comportate come due fidanzati? Non sarà piacevole per chiunque uscire con voi!
-Non è vero! – replicò subito Sophie imbarazzata – Eric non esce più neppure con tutti gli altri amici, non è venuto alle feste al paese, io non c’entro nulla!
-Fila in casa! – le ordinò Abel sorridendo.
Lei corse dentro, mentre Georgie sull’uscio era pensierosa.
-Mi dispiace per quel ragazzo – ammise Abel – ha qualcosa che lo tormenta dentro.
-Spero si risolva tutto – sospirò Georgie accanto al marito.
Stavano per rientrare quando videro un cavallo arrivare, era Peter che passava per comunicare a Sophie l’ora della partenza per Sydney.
-Bentornato signor Buttman – disse rivolgendosi ad Abel.
-Peter – esclamò lui andando a stringergli la mano – ti trovo bene.
Georgie e Sophie li raggiunsero, il ragazzo dopo averle salutate si rivolse a Sophie:
-Domani penso di partire per le sette, ti passerò a prendere a quell’ora.
Sophie annuì, Georgie disse:
-Salutaci tanto tua sorella, so che si trova bene a Sydney.
-Certamente – rispose lui – a domani allora!
Risalì sul cavallo e andò via, Sophie corse fino alla staccionata per vederlo ripartire. 
-Vedrai – disse piano Abel -quando Eric avrà trovato una ragazza risolverà tutte le sue angosce.
Ma Georgie era dubbiosa, per lei era altro che lo tormentava e non sapeva cosa.
 
 
 

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Capitolo 4
*** Confidenze ***


-Quindi Eric non è voluto venire? – domandò Beth a suo fratello e a Sophie mentre erano a passeggio per le vie cittadine.
-Io saranno giorni che non lo vedo! – esclamò Peter con rammarico – Ultimamente è cambiato, preferisce stare da solo. Gli avevo proposto di andare a pescare e non è venuto, alla festa di Paul non si è fatto vedere, esce per fare le commissioni per conto di suo padre e basta.
-Cosa gli sarà successo? – chiese allora Beth preoccupata.
-Non ne so nulla! – disse Peter – Ora fatemi entrare in quella pasticceria, ci mangeremo qualche dolcetto.
E portò con sé Tommy, il suo fratellino di otto anni che era andato con loro a trovare Beth in città.
Le due ragazze camminarono ancora finché si sedettero su una panchina in un giardinetto ad attendere, Sophie esordì:
-Ieri Eric ha discusso con i suoi genitori, erano a casa mia. Lui è scappato via, ti confesso che in famiglia siamo tutti molto preoccupati.
Beth s’intristì ancora di più mentre l’amica continuava:
-Mia zia ha paura sia malato, mio padre invece crede sia innamorato di qualcuna.
-Di chi? – chiese immediatamente Beth – Non dirmi che vuole tornare con quell’antipatica di Susan! Quando lui l’ha lasciata lei non l’ha mandata giù e ha continuato a fargli il filo per un sacco di tempo!
-Ma cosa dici! – s’intromise Peter che intanto era arrivato con un sacchetto pieno di pasticcini e caramelle- Fosse innamorato di una ragazza l’avrei saputo, ci siamo sempre detti tutto noi due su questo! 
Sophie sorrise immaginando a cosa Peter confidasse ad Eric di lei, dato che aveva capito da molto i sentimenti che provava il ragazzo anche se ancora non si era dichiarato.
Tommy aveva già preso il terzo dolcetto, Beth scartando il suo disse a bassa voce:
-Ormai ho capito che non ho speranze con lui, spero solo stia bene.
-Beth – cercò di rincuorarla Sophie – qui in città ci saranno dei ragazzi molto interessanti, vedrai che conoscerai qualcuno che ti farà battere il cuore più di Eric!
-È difficile trovarne uno meglio di lui – ammise lei con occhi sognanti – così gentile e dolce, affidabile e bello, bellissimo!
-Assomiglia a zio Arthur! – rise Sophie – Il mio adorato zio Arthur.
-Perché non gli interesso? – si domandò Beth a voce alta.
-È stato sincero con te – gli rispose il fratello – se era un altro ti avrebbe preso in giro divertendosi un po’ ma è il mio migliore amico e non si sarebbe mai comportato male nei nostri confronti.
-Mi considera come una sorella – replicò Beth con delusione.
-Ci conosciamo da quando eravamo bambini – affermò Peter – è normale sia così!
-Quindi – domandò subito Beth – anche Sophie è come una sorella per te? 
Peter le fece un cenno di disappunto poi si allontanò con Tommy per fargli sciacquare le mani alla fontanella senza dire una parola.
Le due ragazze scoppiarono a ridere.
-Eric sarà strano – disse allora Beth – ma mio fratello, se non si dà una mossa con te, diventerà ancora più strano di lui!
Sophie arrossì visibilmente, non aveva ancora capito se Peter fosse indeciso o soltanto timido. Comunque lei preferiva aspettare, non le dispiaceva essere corteggiata.
L’atmosfera era lieta, sarebbe stata veramente una bella giornata per i ragazzi quella, al contrario, alla fattoria, l’aria era tesa e piena di ansia.  
-  È andato in paese – comunicò Arthur a sua moglie – deve ritirare dei soldi e lasciare della merce al negozio dei signori Stones. Non tornerà a pranzo, così mi ha detto. 
-E dove andrà a mangiare? – domandò Maria – È mai possibile che non parli più con noi, ci evita e non si capisce cosa lo tormenti così! Io non sopporto più questa situazione, lo vedo sofferente e non so come aiutarlo.
-Con me non si vuole confidare – ammise Arthur con amarezza – a questo punto spero si apri con Abel.
-E con il dottor Dewy? – chiese allora Maria – Può aver parlato con lui, dato che va a trovarlo spesso, ma perché? Capisci che ho paura stia male.
-Ma no cara! – esclamò il marito tentando di rassicurarla – Se avesse una malattia seria il dottore ce lo avrebbe comunicato. Cerca di stare tranquilla, ti prego!
-Andrai da lui per saperne qualcosa in più? – la voce di Maria era tremula, non riusciva ad essere serena assolutamente.
-Se riesco stasera – rispose Arthur assorto – altrimenti domani. Devo andare nei campi e sono solo visto che Eric l’ho mandato a far quei giri in paese.
-Vai al più presto Arthur! – lo supplicò Maria – Dobbiamo capire cosa lo affligge, sta soffrendo ed è il nostro unico figlio!
-Ti ripeto di calmarti – disse lui – farò il possibile per capirci qualcosa. Questa situazione mi angoscia quanto te, cara.
-Davvero? – domandò sua moglie piccata – Non mi sembra!
-Perché affermi questo? – Arthur era turbato e desolato per quelle parole.
-Lo sai benissimo il perché! – replicò la donna – Mi correggo, per me è il mio unico figlio ma per te no, tu hai la tua bella principessina da proteggere!
-Maria non devi fare questi pensieri! – disse Arthur con decisione mentre lei entrava in camera chiudendovisi dentro a chiave.
-Non ritornare su quella storia, te ne prego – gridò lui battendo sulla porta.
Maria singhiozzava, Arthur sapeva che quando stava così lui doveva soltanto lasciarla stare.
Si avviò fuori per andare a lavorare nei campi, nei suoi pensieri c’erano suo figlio e sua moglie, loro e basta.
-Grazie di cuore – disse Eric al dottore nel salutarlo. 
Aveva subito concluso gli affari al negozio e poi si era diretto allo studio di Dewy, il quale, mentre chiudeva la porta lo richiamò:
-Eric, hai parlato con tuo padre?
Voltandosi, in imbarazzo, il giovane rispose tentennando:
-No, non ci riesco. Lui non può capirmi, non lo accetterebbe.
-Ti sbagli – continuò il dottore – Arthur è una persona comprensiva, almeno fai un tentativo.
Eric guardava in terra scuotendo la testa.
-Allora prova a confidarti con Abel – suggerì Dewy – se con lui riesci a parlare più tranquillamente.
-Sono tanto combattuto – furono le uniche parole che Eric riuscì a dire.
-Lo so figliolo – ammise il dottore – ma devi fare una scelta e non puoi pensare di rinunciare a tutto per paura di confidarti con tuo padre. 
         

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Capitolo 5
*** Il segreto di Eric ***


Georgie era già andata in sartoria, Sophie era partita presto con Peter per la città e Abel, essendo di riposo per tutta la settimana, pensò di raggiungere il fratello alla fattoria, poteva essere una buona occasione per parlare con Eric.
Trovò Arthur nei campi a lavorare la terra ma suo figlio non era con lui.
-L’ho mandato in paese a fare delle commissioni – disse con tristezza Arthur anche per la discussione avuta con Maria – meglio che non lo veda oggi. Mi ha detto che non tornerà a casa per il pranzo, faccia come vuole, io non lo capisco più! Comunque domani andrò dal dottor Dewy.
-Non ti ha confidato qualcosa ultimamente? – chiese Abel per riuscire a comprendere meglio la situazione – Si può essere innamorato di una ragazza, non deve per forza essere Beth ma forse al villaggio c’è qualcuna che gli interessa. Ricordi quando stava con la figlia del fornaio?
-Con me non parla di questi argomenti – ammise subito Arthur con amarezza – si è sempre aperto più con te su quel che riguarda l’amore.
Si appoggiò alla staccionata accanto al fratello e guardando in basso affermò:
-Ed io non ho assolutamente un bel ricordo delle mie prime esperienze.
Abel lo fissò atterrito pensando che le sofferenze di Londra non avrebbero mai abbandonato Arthur nonostante la serenità ritrovata in Australia accanto a Maria, nonostante un figlio, nonostante Georgie.
Non aveva dimenticato, e come mai avrebbe potuto, che suo fratello era stato con Georgie, anche se solo per una volta lei si era rifugiata tra braccia non sue, e forse proprio da quella passione fugace era nata Sophie.
Aveva promesso a se stesso di non parlarne più per il bene di tutta la famiglia e per l’affetto incondizionato che provava per il fratello il quale proprio grazie a Georgie era ritornato a vivere.
-Forse – continuò Arthur – non sono stato una buona guida per Eric.
-Adesso basta – urlò Abel strattonandolo – non è vero! Non dire sciocchezze. Eric è un ottimo ragazzo, sta solo attraversando un periodo difficile ma è un momento passeggero, ne sono certo, dobbiamo capire cosa lo tormenta.
Arthur annuì poi, senza dir nulla, riprese il lavoro nei campi.
Abel s’intristì, si mise ad aiutare il fratello e rimase a mangiare con lui e Maria alla fattoria.
In Eric si rispecchiava, gli ricordava se stesso da ragazzo quando, tormentato per non poter dichiarare a Georgie il suo amore, decise di imbarcarsi come mozzo su una nave.
-C’è di mezzo una ragazza – pensava Abel mentre col cavallo tornava a casa – non vedo altra spiegazione.
Decise di andare a cercare il nipote, non era tornato a pranzare forse era al fiume. 
Si ricordò che ad Eric piaceva quel posto, ci andava spesso fin da bambino a pescare ed infatti lo vide lì, sotto un albero intento a leggere all’ombra.
-Ciao – lo salutò Abel avvicinandosi – si sta bene qui!
Il ragazzo sorpreso nascose subito il libro tra l’erba mentre lo zio si sedeva accanto a lui. 
-Sono stato a pranzo dai tuoi – iniziò Abel – come è andata la vendita in paese?
-Bene – rispose Eric imbarazzato – tutto bene.
-Cosa leggi? – chiese Abel cordialmente.
-Nulla – rispose semplicemente il nipote.
Rimasero un po’ in silenzio, intorno si udivano solo i suoni della natura, poi Abel prese la parola con decisione:
-Senti Eric, sono tutti in ansia per te e anch’io. Al mio ritorno ti ho trovato irriconoscibile, scontroso, pensieroso e tormentato. I tuoi genitori sono molto preoccupati, cosa ti sta succedendo?
-Non posso aver voglia di stare da solo? – disse il giovane con impeto.
-Sì – ammise Abel – ma c’è dell’altro e si vede. Vorrei capire per aiutarti!
Il nipote non accennava risposta, Abel continuò imperterrito:
-Se è per una ragazza puoi tranquillamente confidarti con me, come sempre. Chi è? La conosco?
Allora Eric, perdendo la pazienza ma avendo anche voglia di parlare finalmente con qualcuno della famiglia, prese il libro che stava leggendo e lo scagliò contro Abel dicendo:
-Ecco cosa c’è, guarda! 
Abel prese in mano il tomo, era un corposo volume intitolato “Storia della medicina”.
-Quindi – disse guardandolo negli occhi – ha ragione tua madre, che malattia hai?
Eric rispose stupito:
-Ma cosa avete capito? Io le malattie voglio curarle. Vorrei studiare medicina, è un sogno che coltivo da un po’ anche se non potrò realizzarlo.
Abel non sapeva se ridere o se piangere, esclamò:
-Potevi dirlo! Ci hai fatto pensare alle peggiori ipotesi. Ora capisco molte cose, questo libro te l’ha prestato il dottor Dewy.
-Sì – rispose Eric più calmo – alcune volte vado da lui e mi racconta dei suoi studi, delle sue esperienze, mi piace ascoltarlo! Quando poi la sera leggo quelle pagine m’immergo in una materia che mi appassiona, mi coinvolge, mi affascina. Poi torno alla realtà e capisco che è solo un sogno chiuso in un cassetto.
-Ma perché? – domandò Abel con vigore – Sei sempre stato bravo negli studi, puoi riuscire.
-Zio – lo interruppe Eric – come posso andare all’Università io? E la fattoria? Mio padre conta su di me per portarla avanti. Gli studi di medicina sono lunghi e costosi, dovrei andare fuori e non hanno che me. Devo dar loro questo dolore?
Abel pensò che Eric era proprio come Arthur, sempre pronto ad anteporre il bene degli altri al proprio, gli disse con tenerezza: 
-Pensi non provino dolore nel vederti così insoddisfatto e triste tutti i giorni? Perché non parli con loro?
Eric aveva le lacrime agli occhi, Abel continuò:
-Devi parlare con i tuoi genitori ed esporre loro il tuo sogno, le tue ambizioni. È un lavoro nobile quello del medico, non possono che essere fieri di te.
-Ma la fattoria… - sussurrò Eric.
-Ci penseremo poi – rispose Abel – ora credi in te stesso e nel tuo sogno.
Eric si asciugò le lacrime e lo zio gli propose una galoppata lungo il fiume.
Presero i cavalli e corsero insieme fino alla prateria, superandosi a vicenda e gareggiando come due rivali agguerriti.
Giunti alla fattoria, Abel disse al nipote:
-Ci vediamo, io torno a casa!
-Come, te ne vai? – chiese Eric impaurito – Pensavo venissi con me.
-Devi affrontarli da solo – affermò Abel – a domani!
E riprese le redini in mano tornò verso casa sua.
Eric si diresse alla stalla, lasciò lì il cavallo e si avviò a parlare con i suoi genitori, il suo futuro si sarebbe deciso ora.
 
 
 

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Capitolo 6
*** Sogni ***


Era ormai il tramonto, Georgie preparava la tavola e Sophie, da poco rientrata dalla città, stava raccontando alla madre della giornata appena trascorsa.
Abel, in cortile, sistemava della legna quando vide arrivare Arthur sul cavallo velocemente.
Il fratello scese e corse verso di lui dicendo:
-Abel, devi aiutarmi, non so cosa fare con Eric.
-Ti ha parlato? – domandò lui con interesse.
-Sì – rispose Arthur ansioso- finalmente si è confrontato con me e Maria, su tuo consiglio.
Fece una pausa tenendo Abel in trepidante attesa poi continuò:
-Che faccio Abel, lui vorrebbe studiare e diventare medico io invece l’avevo sempre immaginato alla fattoria a prendere il mio posto.
-Non fermare il suo volo – disse Abel sicuro – è un ragazzo capace, intelligente, studioso. Vedrai non ti deluderà.
-Credevo gli piacesse il lavoro alla fattoria – disse Arthur con tristezza.
-Non lo disdegna infatti – rispose il fratello – ma è altro quello che sogna. Maria come l’ha presa? 
-È a casa che piange – sussurrò Arthur – è molto combattuta. Da una parte è fiera di lui, la professione di medico è nobile e impegnativa, implica studio e desiderio di aiutare il prossimo. Dall’altra però è preoccupata perché questa scelta porterebbe Eric a lasciare noi e la fattoria. Ed io concordo con lei, ho le sue stesse apprensioni.
Abel fissò il fratello, gli mise le mani sulle spalle e gli disse con convinzione:
-Dagli questa possibilità, per la fattoria ti aiuterò io, troveremo una soluzione. Posso darti una mano ogni qualvolta ne avrai bisogno e anche Georgie e Sophie lo faranno, ne sono più che certo. Poi, se non basterà, si può assumere un ragazzo nei periodi più carichi di lavoro, divideremo le spese.
Arthur si commosse davanti alla generosità di Abel.
-Grazie – rispose – l’ho visto così convinto e determinato che ho compreso il perché del suo malessere costante. Non voleva ferirmi ma non posso pretendere che rinunci ai suoi sogni. Stasera riparlerò con Maria e domani andrò dal dottor Dewy per capire dov’è una buona Università.
Si abbracciarono forte poi Arthur tornò al cavallo e Abel in casa.
Georgie aveva osservato tutta la scena dalla finestra ma aveva preferito non uscire per non intromettersi.
-Hanno parlato – esordì Georgie – Eric è riuscito finalmente ad aprirsi con loro?
-A quanto pare sì – rispose Abel sedendosi a tavola.
-Lo sapevo – disse Georgie con gioia – è stata la cosa migliore confidarsi con te.
-Quindi – chiese Sophie curiosa – Eric andrà all’Università? 
-Lo spero – chiosò Abel iniziando a mangiare.
La mattina dopo Arthur e Maria andarono dal dottore per parlare, uscendo dallo studio videro Georgie che si recava alla sartoria.
Maria la chiamò, aveva voglia di confidarsi con lei.
-Il dottore – esordì Arthur – ha detto che la migliore Università è a Melbourne. C’è un esame di ammissione molto selettivo, una volta superato si può usufruire di borse di studio e degli alloggi per gli studenti. Certo non sarà semplice, soprattutto per il figlio di un agricoltore.
L’espressione di Arthur era un po’ rassegnata, sapeva che all’Università andavano, prevalentemente, figli di medici, ingegneri o nobili.
Georgie, avendo intuito i suoi sentimenti, cercò di rassicurarlo dicendo:
- Eric è molto preparato e le borse di studio sono una buona soluzione. E Melbourne è una città neppure troppo distante.
-Ma è comunque lontana – sussurrò Maria.
-Ti comprendo – la consolò Georgie – anch’io non accettai subito la decisione di Abel junior di andare ad Adelaide. E Adelaide è dall’altra parte dell’Australia.
-Tu hai Sophie – furono le parole che gelarono Georgie e le fecero riaffiorare tutti i suoi sensi di colpa.
Intanto Eric continuava a lavorare alla fattoria, non furono giornate semplici quelle, né per lui e né per i suoi genitori.
Un pomeriggio Peter lo raggiunse nei campi. 
-Eric – disse a gran voce -allora ci abbandoni per andare a studiare in città? A me però potevi dirlo che avevi questo sogno, siamo amici da sempre!
-Non lo credevo realizzabile – rispose lui – e quindi non l’ho detto a nessuno. E comunque devo prima superare un esame.
-Lo supererai – disse Peter sicuro – sei sempre stato il migliore nello studio. Non ho dubbi su questo!
-Ti ringrazio per la fiducia – rispose Eric sorridendo.
-Mi dispiace solo per tutta questa terra – sospirò Peter – se tu diventi un medico chi se ne occuperà?
Eric guardò il campo, era molto vasto e ben coltivato, provava un sentimento misto tra malinconia e tristezza.
-Non sai – disse all’amico – quanto sono stato combattuto, una scelta implica comunque una rinuncia ma grazie anche all’aiuto della mia famiglia ho capito che dovevo inseguire il mio sogno. E il mio sogno è diventare un medico.
-Sono d’accordo – ammise Peter dandogli una pacca sulla spalla – sai invece qual è il mio di sogno?
Eric lo fissò dubbioso, lui disse con orgoglio:
-Sposare Sophie!
Risero entrambi, Eric propose:
-Bene, sposa Sophie e ti occuperai tu della fattoria. Lei per mio padre è come una figlia, abbiamo trovato la soluzione! 
Continuarono a ridere mentre il sole stava ormai tramontando.
Alcuni giorni dopo, inaspettatamente, arrivò Fritz da Sydney, era domenica e tutti erano a pranzo da Georgie.
-Come mai qui? – chiese sorpreso Abel – Non ti aspettavamo.
-Sono venuto a congratularmi con il futuro dottore – rispose Gerald rivolgendosi a Eric.
-Veramente – esordì il ragazzo imbarazzato – devo ancora superare l’esame di ammissione.
-Sono convinto che ce la farai – disse il conte sicuro – e voglio aiutarti con le spese della retta.
-No – disse subito Arthur – non posso permetterlo.
-Perché? – rispose Fritz – Eric è come se fosse mio nipote, l’ho visto nascere e crescere, non c‘è differenza per me fra lui e Sophie.
-Ti prego Arthur – sussurrò Georgie – accetta la proposta di mio padre, sono stata io a scrivergli e a spiegargli tutta la questione.
-Sì zio – aggiunse Sophie avvicinandosi a lui – ti prego!
Alle richieste della ragazza Arthur non sapeva dire di no, guardò Maria che annuiva con il capo.
-Grazie Fritz – disse – accetto la proposta perché so che viene dal profondo del cuore.
Il conte gli strinse la mano, Eric li raggiunse dicendo: 
-Prometto che non vi deluderò.
Ed infatti superò l’esame di ammissione con voti anche abbastanza alti.
Seguirono giorni di preparativi, di speranze, di sogni e di arrivederci e la mattina prefissata per la partenza infatti erano tutti alla stazione per salutarlo.
Quando salì sul treno con la valigia in mano Maria aveva gli occhi ancora umidi dal pianto.
Eric aveva baciato ed abbracciato tutti, si mise seduto ed attese la partenza.
Dal finestrino vedeva i suoi cari allontanarsi piano piano, era triste ma sapeva che li avrebbe rivisti e che andava incontro a una nuova vita.
-Mi mancherà – sospirò Sophie accanto a Peter mentre gli altri erano già saliti sul carro – siamo cresciuti insieme.
-Mancherà anche a me – esclamò Peter mettendole il braccio attorno alla vita – ma ci scriveremo spesso.
-Non è la stessa cosa – sussurrò lei mentre camminavano lentamente – mi sento più sola adesso.
-Ci sono io accanto a te – le disse Peter rassicurandola.
-Lo so – affermò Sophie guardandolo negli occhi.
Allora Peter fece una cosa che avrebbe voluto fare già da tanto tempo, la baciò sulle labbra, con dolcezza, lì, alla stazione, mentre tutti gli altri erano andati via ed erano rimasti loro due soli.
 
 

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Capitolo 7
*** Tenere sensazioni ***


Da allora il tempo passò in fretta, le giornate erano scandite dai rituali quotidiani e le lettere che arrivavano da Melbourne erano un appuntamento così dolce e intimo per tutta la famiglia che ognuno di loro le attendeva con gioia.
Eric scriveva almeno due volte al mese, si trovava bene in città, gli studi non erano semplici ma lui s’impegnava con dedizione e costanza.
Divideva la camera con un altro studente, aveva stretto nuove amicizie e soprattutto aveva capito che quella era la sua strada, diventare un medico.
Maria era orgogliosa di lui e teneva tutte le lettere che suo figlio scriveva in un cassetto del comò, nascoste gelosamente sotto dei fazzoletti ricamati.
Inizialmente tutti, in famiglia, erano preoccupati per lei, credevano non riuscisse a sopportare il distacco ed invece, complice il gran lavoro a scuola, era serena e più tranquilla.
Erano arrivati dei nuovi alunni che la impegnavano molto e anche fuori orario scolastico occupava il suo tempo preparando le lezioni con passione.
Arthur ne era felice, veder Maria lieta era la cosa più importante ora e se anche lui era preoccupato per la gestione della fattoria non lo dava a vedere.
Abel cercava di aiutarlo più che poteva e non c’era giorno che non tornava dal porto senza esser passato prima da suo fratello. 
Georgie e Sophie andavano alla sartoria ogni mattina e la ragazza, alcuni pomeriggi, si recava da Arthur alla fattoria per fare qualche piccolo lavoro.
La storia con Peter continuava tranquillamente e Sophie emanava dolcezza e bellezza ogni giorno sempre di più.
Era quasi ora di pranzo quel giorno e Sophie, con un cestino in mano, correva da Arthur nei campi.
Georgie gli aveva preparato qualcosa da mangiare perché sapeva che non sarebbe tornato a casa.
-Sono arrivata! – gridò Sophie vedendolo sotto il sole che si occupava del fieno.
Arthur, voltandosi e scorgendola da lontano, si spostò all’ombra e la attese accanto a un grande albero.
La presenza della ragazza lo riempiva di gioia ma anche di tanta malinconia.
-Non dirmi che mi hai portato il pranzo? – domandò sorridendo mentre si sedeva.
-Certo – rispose allegra lei – la mamma lo ha preparato perché sapeva che eri qui e zia Maria si è dovuta fermare a scuola più del previsto. Dai, mangiamo insieme!
Erano entrambi affamati, si divisero il cibo e all’ombra dell’albero gustarono il pasto in silenzio.
Arthur, delle volte, pensava a come poteva essere stata la sua vita se non avesse rinunciato a Sophie ma era un pensiero che scacciava subito dalla mente.
Sapeva che era stato giusto così, lei era molto felice e rivelarle una notizia di cui neppure loro avevano la certezza, sarebbe stato solo un grosso dolore.
-A che pensi? – gli chiese lei vedendolo assorto e silenzioso.
-Oh a niente – rispose Arthur mentendo. 
-Scommetto – disse Sophie entusiasta – che pensavi a Eric!
-Forse – rise lui – ci penso spesso.
-Alla fattoria ho un regalo per te – disse Sophie contenta – è una sorpresa!
Arthur rimase stupito mentre continuava a mangiare lentamente.
Sophie era così dolce e solare proprio come Georgie e aveva due occhi che ridevano di gioia.
Terminato il pasto si diressero verso casa, Sophie allungò il passo ed arrivò prima per entrare subito dentro l’abitazione.
Uscì tenendo un quadro in mano.
- Questo è per te – disse raggiungendo Arthur – l’ho dipinto io.
Era una tela non molto grande e raffigurava la fattoria.
Vi era rappresentata la casa con il fienile accanto, il cortile e il campo in lontananza.
I colori erano belli vivi, accesi, Arthur meravigliato esclamò:
-Ma sei bravissima, come nonno Fritz!
-Infatti – disse lei – ho ripreso i pennelli che mi regalò lui anni fa. È il mio primo quadro, ci tenevo a dartelo, se penso alla fattoria penso a te e ad Eric.
Arthur fissava il dipinto, era veramente ben fatto, poi guardò negli occhi Sophie, posò il quadro e l’abbracciò forte sussurrandole:
-Bambina mia, non sai quanto ti voglio bene!
Sophie rimase senza parole dentro quell’abbraccio, era un abbraccio così protettivo e rassicurante che la faceva sentire tranquilla e serena.
La sera, mentre era nel cortile di casa a parlare con Peter che, come sempre, passava a trovarla, le disse un po’ imbarazzata: 
-Sai, quando sto con zio Arthur ho la sensazione di essere in un’altra dimensione.
E poi aggiunse:
-Non riesco a spiegarlo ma lui per me è come fosse un padre. E io un papà ce l’ho ed è il migliore del mondo!
-Ma certo – ci scherzò su Peter – siete stati sempre insieme, anche Abel per Eric è come un secondo padre. E poi gli zii, a volte, sono meglio dei genitori, non ci rimproverano e ci perdonano quasi tutto, a differenza di loro.
-Sarà come dici tu – sospirò Sophie – ma io con zio Arthur ho un rapporto speciale, da sempre.
Il giorno dopo Arthur parlò con Georgie e le chiese di non mandare più Sophie alla fattoria ad aiutarlo, aveva paura di non riuscire più a tenersi dentro il segreto della paternità della ragazza.
Georgie, molto scossa, acconsentì ma non ne parlò con Abel per timore che quelle vecchie tensioni potessero riaffiorare.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Una grossa sorpresa ***


Ormai era trascorso quasi un anno dalla partenza di Eric, il ragazzo aveva superato i primi esami con buoni voti e sarebbe tornato dalla famiglia per le vacanze.
Alla fattoria c’era aria di festa, Maria stava preparando la stanza del suo figliolo assieme a Georgie che aveva ricamato delle lenzuola appositamente per quell’avvenimento.
-Domani staremo alla stazione per le dieci – ripeteva Maria sistemando il cuscino – mi ha scritto che arriverà con il treno delle dieci e trenta.
-Mi sembra di rivedere le stesse scene di quando Abel tornò dopo essersi imbarcato come marinaio – sospirò Georgie – in questa casa c’era lo stesso fermento di oggi.
-È normale – disse Maria con occhi sognanti –il ritorno di un figlio è sempre una grande gioia!
-Infatti – continuò Georgie – spero che Abel ed io riusciremo ad andare ad Adelaide dal nostro ragazzo, prossimamente.
-Te lo auguro con tutto il cuore – esclamò Maria con sincerità.
Si sentì un trambusto provenire dalla cucina, era Sophie che rientrava con la cesta piena di uova.
-Queste basteranno per la torta? – domandò alla madre posando il tutto sulla tavola. 
-Sì – rispose Georgie sorridendo – più tardi faremo il dolce preferito di Eric. Ora vai a prendere un po’ di latte nella stalla, per favore.
Sophie uscì di nuovo, era contenta anche lei di rivedere Eric, preparare la torta era un lavoro che faceva volentieri.
Vide una carrozza fermarsi davanti al cancello, pensò fosse il nonno e si avvicinò curiosa quando, con grande meraviglia, dalla vettura scese Eric sorridente.
-Sophie! – gridò lui – Bentrovata.
-Santo cielo! – esclamò lei allibita – Ma ti aspettavamo domani!
Gli corse incontro per abbracciarlo.
-Volevo farvi una sorpresa – disse lui baciandola – così ho prenotato il primo treno per Sydney di questa mattina, l’abbiamo preso, poi da lì abbiamo trovato una carrozza che ci ha condotto fin qua.
-Abbiamo? – domandò Sophie stupita mentre si accorse che dalla vettura era scesa una ragazza con un piccolo bagaglio in mano.
-Non sono venuto da solo – iniziò Eric con un po’ d’imbarazzo – vieni Sophie, ti presento Daisy, la mia fidanzata.
-La tua cosa? – esclamò lei ancora più incredula – Questa sì che è una sorpresa!
-Molto piacere – esordì la giovane timidamente – Eric mi ha parlato tanto di te.
Le due si strinsero la mano, Sophie era sbigottita e pensava alla faccia di sua madre e soprattutto di sua zia quando avrebbero visto quella ragazza. 
Era veramente bella e raffinata, proprio come le signorine di città, pensò Sophie.
Indossava un vestito di una stoffa elegante, un cappellino all’ultima moda ed aveva dei lineamenti dolci e delicati.
La carnagione chiara si contrapponeva ai capelli e agli occhi neri che erano però un po’ tristi e sfuggenti.
Doveva sentirsi tanto in imbarazzo, immaginò Sophie, ritenendo che Eric l’aveva combinata grossa conducendola lì senza un minimo di accenno nelle lettere di questa sua storia d’amore.
Quando scriveva raccontava loro dell’Università, degli studi, dei suoi compagni, dei professori, della città ma mai aveva menzionato questa ragazza, a nessuno, neppure a Peter.
La carrozza ripartì in fretta, Georgie e Maria uscirono da casa avendo sentito il rumore dei cavalli e quando videro Eric nel cortile che le salutava non capirono più nulla.
-Mammina! – urlò lui correndo ad abbracciarla.
Maria aveva sognato da sempre quel momento e non gli domandò nulla, se lo strinse forte come quando era un bambino e lo aveva sempre con sé. Georgie lo baciò subito dopo, con le lacrime agli occhi.
Passati quei primi attimi, si accorsero che nel cortile, accanto a Sophie, c’era una ragazza. Eric allora prese per mano sua madre e le disse:
-Ho voluto farvi la sorpresa di arrivare un giorno prima e di non venire da solo. Mamma, zia Georgie vorrei presentarvi Daisy, è una ragazza cui voglio molto bene, stiamo insieme da un po’ e ci tenevo a farvela conoscere.
Le due donne rimasero a bocca aperta, Maria abbozzò un sorriso e strinse la mano alla ragazza, Georgie si presentò poi disse subito: 
-Entriamo in casa, ci mettiamo seduti così chiacchieriamo un po’!
Si diressero tutti verso la porta, Georgie si avvicinò a sua figlia sussurrandole piano:
-Ne sapevi qualcosa?
-Giuro di no! – rispose Sophie – Né io né Peter sapevamo nulla.
Entrati in casa si sedettero attorno al tavolo e Georgie, tolta la cesta con le uova, iniziò a preparare un tè.
-La tua camera è pronta – disse Maria al figlio – e ora Georgie voleva cucinare il tuo dolce preferito.
-Grazie – rispose Eric – dopo aver bevuto il tè, sistemerò le mie cose poi andrò con Daisy in paese a cercarle un alloggio.
-Ma può stare da noi – esclamò prontamente Georgie – abbiamo una stanza libera, in poco tempo la pulirò e prenderò delle lenzuola nuove, non è un problema!
-Non vorrei disturbare – esordì Daisy timidamente e spaventata.
-Nessun disturbo – disse Georgie con un largo sorriso – così ci conosciamo!
-È una buona idea – aggiunse Sophie - sei la benvenuta.
I ragazzi, vista l’insistenza di madre e figlia, accettarono la proposta.
Intanto Maria aveva condotto Georgie in camera con la scusa di prendere le tovagliette da tè.
-Oh Georgie – sussurrò Maria chiusa la porta – che strana situazione! Non capisco perché ha portato qui quella ragazza, poteva aspettare o comunque scrivercelo! Grazie per ospitarla in casa tua. 
-Figurati – rispose lei – era la soluzione più ovvia. È molto graziosa, sono sicura che Eric ha scelto bene.
-Speriamo – disse Maria pensierosa – queste novità così inaspettate mi rendono tesa e nervosa.
Si guardarono rimanendo in silenzio poi Maria domandò quello che entrambe avevano pensato da prima:
-Sarà incinta?
Georgie, seppur rimanendo nel dubbio, tentò di rassicurarla:
-Ascolta, ha una ragazza e l’ha portata con sé per le vacanze. Andiamo a conoscerla e non facciamoci troppe domande.
E così, davanti ad una tazza di tè, iniziarono a parlare.
Eric e Daisy si erano conosciuti in biblioteca, lei studiava da infermiera e viveva in un convitto femminile per studentesse. Era di Melbourne, i suoi genitori erano morti quando lei era una bambina ed era stata cresciuta da una zia che l’aveva mandata a scuola e l’aveva aiutata come una mamma. Poi, alla morte della zia, Daisy aveva fatto diversi lavori finché, grazie alle borse di studio, aveva potuto iscriversi al corso per infermiere.
Maria si stava piano piano tranquillizzando, quella ragazza era veramente a modo, gentile, educata e soprattutto seria, doveva aver sofferto molto per la perdita dei genitori e un po’ le ricordava il dolore per aver perso i suoi, in circostanze altrettanto tristi. 
Erano così intenti a chiacchierare che non sentirono il rumore del carro di Arthur che rientrava.
Fu Eric ad accorgersene, allora Georgie uscì velocemente e, vedendo Abel e Arthur che s’incamminavano verso l’entrata, li chiamò gridando a voce alta:
-C’è una grossa sorpresa, venite in casa!
I due si guardarono incuriositi quando sull’uscio videro Eric che li chiamava. Il ragazzo li raggiunse subito e li abbracciò entrambi.
-Sono tornato prima – disse – non vedevo l’ora di essere qui!
-Ti trovo bene – gli disse suo padre con orgoglio.
-E noi – aggiunse Abel – morivamo dalla voglia di ritrovarti.
-Però – iniziò Eric – devo dirvi una cosa e non fate come mamma e zia che sono rimaste allibite. Sono venuto con una ragazza, la mia fidanzata.
Abel sorrise subito dicendo:
-Era strano se non l’avessi avuta una ragazza!
-È in casa? – domandò Arthur.
-Sì, venite – disse Eric aprendo la porta socchiusa.
Daisy era in piedi accanto a Sophie e a Maria, si voltò verso i due uomini che stavano entrando.
-Papà, zio, lei è Daisy – esclamò Eric.
Appena la ragazza incrociò lo sguardo di Abel sbarrò gli occhi spaventata mentre lui si fermò sulla soglia come pietrificato.
Arthur intanto le stringeva la mano dicendole che era la benvenuta in casa sua.
Abel le si avvicinò e la salutò con un cenno, lei abbassò il volto, fece un mezzo sorriso e si mise seduta.
-Daisy sarà nostra ospite – annunciò Georgie a suo marito mettendo una mano sulla spalla della ragazza – appena terminato di sistemare qui ce ne andremo a casa così potrò prepararle la stanza!
Nessuno dei due rispose, l’allegria di Georgie era in netta contrapposizione con il volto di Abel e della bella fanciulla mora.
Si era creata una gran confusione in casa con Eric che aiutava sua madre con i bagagli, Sophie e Arthur che cercavano di iniziare una conversazione con una sempre più imbarazzata Daisy e Georgie che rassettava la cucina. Abel, solo in un angolo, aveva lo sguardo di chi ha appena ricevuto una notizia funesta.  
Quando si stava ormai facendo sera, Georgie propose di andare a casa e salì sul carro con Abel portando Sophie ed anche Daisy.
Le due ragazze parlarono volentieri durante il tragitto, Georgie era molto contenta ma Abel era teso e silenzioso.
Madre e figlia prepararono subito la camera alla loro giovane ospite poi Georgie avviò la cena.
-Perché – le disse Abel – quella ragazza deve stare qui da noi?
-Non volevo mandarla in albergo! – rispose meravigliata lei – E non poteva certo dormire con Eric!
Abel rimase in silenzio, sua moglie gli domandò:
-Che c’è? Non ti piace?
-Neppure la conosciamo! – rispose lui andandosene.
Cenarono poi ognuno andò a dormire.
Era notte e Abel non riusciva a prender sonno.
Si alzò, Georgie era nel mondo dei sogni, lui scese le scale e passò accanto alla stanza della ragazza.
Si fermò, poi andò avanti, poi tornò indietro ed infine bussò alla porta.
-Chi è? – domandò lei nervosamente.
-Sono Abel, ti prego, posso entrare?
C’era silenzio, si sentì Daisy dire:
-E va bene, entra pure.
Senza fare alcun rumore Abel entrò nella stanza, la ragazza era alla finestra che osservava la luna.
-Daisy – sussurrò lui – non avrei mai pensato di rivederti e in queste circostanze.
Lei lo fissava con gli occhi umidi dal pianto:
-Eric non sa nulla – disse – e non deve sapere nulla!
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** La proposta ***


La mattina dopo Abel andò allo studio dell’ingegnere molto presto, quando Georgie si alzò era già partito per il porto, lei preparò la colazione per le ragazze perché sapeva che sarebbero andate con Eric e Peter a fare un giro al villaggio.
Avendo un ospite Georgie aveva apparecchiato con la tovaglia nuova e imbandito la tavola con dolci, biscotti, frutta e latte fresco.
Daisy apprezzò molto, non era loquace ma timida e ancora un po’ riservata, mangiò poi volle aiutare a sparecchiare e lavare le stoviglie. Georgie pensò che suo nipote avesse veramente scelto una brava e bella ragazza e non capiva perché Abel era così sospettoso e scontroso con lei.
Eric arrivò poco dopo, era già stato nei campi ad aiutare suo padre e raccontò a Georgie che la campagna e la fattoria gli mancavano tanto in città.
Lui, Sophie e Daisy partirono per andare a prendere Peter, Georgie era veramente felice nel vederli allontanarsi con il carro tutti insieme.
Andarono al villaggio, Peter fu sorpreso nel vedere il suo migliore amico con una ragazza di cui non sapeva nulla, ma superato l’imbarazzo iniziale fu tanto tanto felice per lui.
Al ritorno Eric e Daisy si fermarono dal dottor Dewy, lui voleva salutarlo e raccontargli dei suoi studi.
Peter e Sophie passarono alla sartoria poi, preso il cavallo di Georgie, tornarono verso casa.
-Vedi – le disse Peter giunti alla sua fattoria – quello è il terreno che ha comprato mio padre.
E le indicò un vasto campo recintato da una staccionata accanto alla sua abitazione. 
-Avevo capito fosse quello, è sicuramente stato un ottimo acquisto – ammise Sophie osservandolo attentamente.
-A mio padre – continuò Peter – non è parso vero riuscire a comprarlo dopo anni di sacrifici. È per questo che domani offrirà quel pranzo a voi tutti e agli altri agricoltori.
-Posso intuire la sua gioia – sussurrò Sophie conoscendo bene la fatica del lavoro.
Peter la abbracciò, le diede un bacio e un po’ timidamente iniziò a dirle:
-Ascolta, a me piace lavorare la terra, continuare l’attività di mio padre, ne ho già parlato con lui, su quel terreno possiamo costruire una casa, la nostra casa Sophie, se vorrai sposarmi, non ti farò mancare nulla.
Lei rimase senza parole, non si aspettava quella proposta, lui continuò:
-Tra circa un anno sarà pronto tutto, tu sarai la regina della casa Sophie, potrai continuare ad andare alla sartoria, se vorrai.  Se accetterai la mia proposta, sarò la persona più felice del mondo.
-Tra un anno? – balbettò lei.
-Sì – rispose subito lui – abbiamo tutto il tempo per i preparativi. Accetti?
Sophie lo guardò, era attonita perché con Peter non aveva mai affrontato seriamente l’argomento matrimonio, o meglio, lei lo vedeva come un qualcosa di ancora lontano e indefinito.
Eppure Peter era così dolce e affettuoso e Sophie ritenne che quella fosse la conclusione più ovvia per la loro storia d’amore.
-Sì, accetto – rispose piano. 
Peter non stava più nella pelle, la baciò nuovamente e poi le disse:
-Domani parlerò con tuo padre, non credo abbia qualcosa in contrario, ma voglio far le cose seriamente io!
Rimasero abbracciati senza più parlare, ascoltando solo il fischiare del vento che si era alzato inaspettato e fastidioso.
Quando uscì Tommy, il fratellino di Peter, ad avvisarlo che il pranzo era pronto, Sophie decise di tornare a casa sua.
Arrivò frastornata ma contenta, era sola, non c’era ancora nessuno, prese i pennelli e iniziò a dipingere.
Disegnare la rilassava, la proposta di Peter l’aveva un po’ sorpresa ma in fondo era felice, tra un anno sarebbe diventata sua moglie, non poteva chiedere di meglio.
Continuò il quadro che stava dipingendo per il nonno, era attenta alle sfumature e alla scelta precisa dei colori, seguiva con diligenza le indicazioni che Fritz le aveva dato.
Quelle pennellate la facevano star bene con se stessa e con il mondo circostante.
Quando suo padre tornò a casa la trovò ancora a dipingere, non le disse nulla, era silenzioso e pensieroso.
Sophie preferì non accennare niente riguardo la proposta di matrimonio, né a lui e né a sua madre.    
Non dormì quella notte, si rigirava nel letto pensando a Peter, al suo futuro, si addormentò soltanto alle prime luci dell’alba.
-Sveglia Sophie! – urlò Georgie dalle scale – È tardi, dobbiamo andare a pranzo da Peter, non ricordi?
Lo ricordava benissimo ma aveva dormito proprio poco. Quando scese, Abel stava sulla porta pronto per uscire:
-Sei pronta finalmente, principessa! – scherzò lui sorridendole.  
Era allegro, ne fu contenta, chissà come l’avrebbe presa, pensò Sophie, era sempre stato un po’ geloso ma Peter gli piaceva.
Lo osservava mentre guidava il carro, così sicuro di sé, con accanto sua madre, avrebbe voluto confidarsi con lei ma non ne aveva avuto né il tempo né il coraggio.
Arrivati alla fattoria di Peter trovarono lì anche altre due famiglie di agricoltori, Sophie era tesa perché pensava alla proposta di matrimonio davanti a tutta quella gente.
La madre di Peter aveva preparato una lunga tavolata all’aperto, erano circa una ventina di persone.
Erano arrivati anche Arthur e Maria mentre Eric e Daisy si erano fermati da un amico del ragazzo e avrebbero tardato un po’.
C’era anche Beth, tornata da Sydney per l’occasione.
-Cara Sophie – le disse accogliendola – mio padre è così felice per l’acquisto di questo terreno che ha voluto fare dei grandi festeggiamenti.
Lei annuì poi delicatamente iniziò a dirle:
-Lo sai che è tornato Eric, vero?
-Oh sì – rispose lei – ma tu non sai che in città sto frequentando un ragazzo?
-È un’ottima notizia! – esclamò Sophie pensando che tutto si stava sistemando per il meglio.
Quando giunsero anche gli ultimi invitati, dopo i saluti e qualche presentazione, iniziarono a prendere posto a tavola.
Peter si sedette fra Eric e Sophie, indossava la giacca buona, quella della festa e disse piano al suo amico:
-Qual è l’umore di tuo zio oggi?
-Non lo so - rispose l’altro sorpreso – lo vedo ora, perché?
-Perché devo chiedergli la mano di Sophie – aggiunse Peter tutto d’un fiato.
Eric sbarrò gli occhi e stupito gli disse: 
-E me lo dici così?
-Non sei l’unico che fa le cose in segreto – rispose prontamente Peter.
-E vuoi chiederglielo qui, davanti a tutti? – domandò Eric pensando che lui non l’avrebbe mai fatto.
-Certo – rispose – non potrà dirmi di no! E tu, amico mio, mi farai da testimone di nozze.
-Non vedo l’ora! – esclamò Eric contento.
Prima di iniziare il pranzo, il padre di Peter propose un brindisi per il nuovo terreno e allora suo figlio si alzò in piedi e cominciò a parlare. Sophie si sentì bruciare dalla testa ai piedi, le gambe le tremavano e non sapeva più dove guardare.
-Scusate un attimo – esordì Peter – volevo farvi partecipi di un mio progetto riguardante il nuovo terreno.
Si schiarì la voce poi continuò:
-Su quell’appezzamento vorrei costruire una casa, la mia casa, dove vorrei andare a vivere con Sophie quindi – e si rivolse ad Abel – signor Buttman le chiedo ufficialmente la mano di sua figlia.
Tornò seduto mentre Sophie era visibilmente arrossita, Eric faceva di tutto per non ridere e Abel, guardando prima Georgie poi suo fratello non sapeva cosa dire.
Allora Georgie gli diede una botta sulla coscia e sussurrò:
-Tocca a te, devi rispondere!
Abel si voltò verso Arthur che gli fece cenno con la testa, quindi si alzò dicendo: 
-Non ero preparato a questa domanda, comunque non vedo perché non dovrei concederti la mano di Sophie. Ti affido la mia principessa, Peter!
Ci fu un applauso generale, un brindisi ai futuri sposi e poi baci e abbracci.
Georgie andò a stringere forte la sua bambina dicendole:
-Perché non mi hai detto niente!
-Peter me l’ha proposto ieri mamma – fu la risposta.
-Congratulazioni Sophie! – esclamò Maria baciandola – Georgie, le cucirai un abito meraviglioso!
Tra i complimenti e l’entusiasmo generale tutti iniziarono a mangiare e a bere soddisfatti, Abel e il padre di Peter parlarono per tutto il tempo e stabilirono la data fra un anno esatto.
Dopo l’ultimo brindisi, si alzarono per assaggiare il dolce preparato dalla mamma di Peter.
Abel, con il piatto della torta in mano, si ritrovò accanto Daisy che gli disse:
-È molto fortunata Sophie ad avere un padre come te!
 
 
 

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Capitolo 10
*** Indecisioni ***


Nei giorni a seguire l’argomento principale in famiglia era solo uno, il matrimonio di Sophie e Peter.
Georgie e Maria, nonostante mancasse un anno all’evento, non facevano altro che parlare di corredo, abito da sposa, lista degli invitati e sistemazione della nuova casa che doveva ancora avere le fondamenta.
Abel era spesso dal padre di Peter per discutere di soldi e proprietà ed Eric, felice di aver visto passare la sua storia con Daisy in secondo piano, si divertiva a prendere in giro il suo amico con battute d’ogni genere.
Sophie, dal canto suo, sembrava farsi scivolare tutto addosso, la mattina andava in sartoria, il pomeriggio dipingeva e la sera vedeva Peter che le parlava della casa, del matrimonio e di figli.
Un pomeriggio ritornava dal fiume con una tela in mano, era stata a dipingere uno scorcio di natura e incontrò Arthur che, col carro, andava in paese.
-Vieni – le disse – come mai a piedi?
-Volevo passeggiare – rispose lei salendo – ho dipinto questo angolo di fiume.
-Sei sempre più brava – sorrise Arthur osservando il disegno – fai bene a coltivare questa tua passione.
-Finalmente – esclamò Sophie soddisfatta – qualcuno che non mi parla di corredo e di cerimonia nuziale! 
-È normale che ne parlino – rise Arthur – è la notizia della settimana!
Sophie stingeva forte i suoi pennelli ed aveva lo sguardo basso, lui capì che qualcosa la rendeva triste, dolcemente le sussurrò:
-Cosa ti angoscia cara?
Lei lo guardò con quei grandi occhi ormai pieni di lacrime:
-Nessuno si preoccupa di come sto, tutti invece mi dicono di cosa mi devo occupare… della futura casa, dell’abito da sposa, anche Peter non parla d’altro!
Arthur le accarezzò i capelli, le asciugò il viso poi le disse:
-Il matrimonio è un passo importante nella vita di una ragazza, se si vuole veramente bene all’altra persona non c’è niente di più bello che dividere le gioie e i dolori che ci riserverà il futuro. E tu sei convinta di fare questo passo Sophie?
-Certo – rispose con impeto – è questo che vi aspettate tutti da me!
-Ma non devi sposarti per fare un favore agli altri! – disse subito Arthur con rammarico – Nessuno ti obbliga.
-Non fraintendermi – lo supplicò lei –io voglio bene a Peter, è tutto il contorno che m’infastidisce.
-E allora – le spiegò Arthur con calma – parla con tua madre e dille di non intromettersi troppo.
Sophie continuava a guardarlo senza dir nulla.
-Non è solo quello, vero? – chiese lui – Non sono i preparativi che ti angosciano? 
-È successo tutto così in fretta – iniziò Sophie – devo solo abituarmi ma sono felice.
Arthur la guardava perplesso, sentiva in cuor suo che la ragazza non gli aveva confidato proprio tutto e forse c’era dell’altro che la turbava.
Giunti in prossimità dell’abitazione lei disse subito:
-Ora sono arrivata, scendo qui. Grazie del passaggio, a presto!
Saltò giù e corse verso casa salutandolo con la mano.
Arthur riprese il suo cammino e pensava:
-Mia piccola Sophie, farei di tutto per vederti felice, ho sempre seguito i tuoi passi nell’ombra, per non intralciare la tua vita serena ma sappi che se ti accadrà qualcosa di spiacevole sarò il primo a difenderti, come solo un padre può fare.
E frustato più forte il cavallo corse veloce verso il villaggio.
Arrivata a casa, Sophie trovò nonno Fritz che era passato a trovarli, stava in cucina che parlava con Abel e Georgie.
-Nonno – gridò vedendolo – guarda cosa ho dipinto al fiume!
Aveva infatti in mano la tela con i pennelli.
-Sophie - la chiamò lui – ma io devo farti le congratulazioni per il matrimonio.
-Ho utilizzato i tuoi pennelli – sussurrò la ragazza mostrandogli il dipinto con orgoglio.
Fritz lo osservò ma Georgie disse subito: 
-Il nonno dovrà partire, Sophie. Fra tre mesi s’imbarcherà per l’Europa e starà fuori per due anni.
-L’Europa? – domandò Sophie sbalordita – Per così tanto tempo …
-Il Governo mi rimanda a Londra – spiegò Fritz – ma per un breve periodo. Dopo dovrò viaggiare in Francia e in Italia, mi stabilirò a Roma. Sono rammaricato ma al tuo matrimonio proprio non potrò essere presente.
-A Roma – sussurrò Sophie – dall’altra parte del mondo.
-Ci scriveremo – disse il conte – e quando tornerò sono sicuro avrai già un bel bambino da presentarmi.
Sophie si era ammutolita, in quell’istante entrarono Eric e Daisy di ritorno dal villaggio.
-Il futuro dottore! – esclamò Gerald andando loro incontro.
-Nonno Fritz! – disse il giovane, poi rivolgendosi a Daisy – Per me lui è come un vero nonno.
Gli presentò la sua ragazza poi si misero a parlare tutti insieme, il conte era curioso di sapere degli studi e degli esami sostenuti da Eric durante il semestre.
Sophie li lasciò per andare in camera sua, Georgie avendo percepito che c’era qualcosa di strano salì e la raggiunse.
La trovò sul letto a piangere.
-Che succede? – le chiese preoccupata.
-Sono triste e nervosa – rispose. 
-Ma perché? – domandò Georgie – Hai ricevuto una proposta di matrimonio!
-Soltanto di quello sapete parlare! – gridò con le lacrime agli occhi – Anche il nonno … ad Eric ha chiesto degli studi e a me delle nozze.
-Tu non hai voluto continuare la scuola – la rimproverò Georgie – cosa mai avrebbe dovuto chiederti!
-Non ha neppure visto il mio disegno – sussurrò con delusione.
-Sophie – le domandò sua madre – non sei felice di sposarti?
Continuava a piangere, Georgie si preoccupò, le accarezzò la testa come quando era una bambina poi, vedendola un po’ più quieta, le richiese:
-Sei felice di sposarti?
-Sì, certo – rispose la ragazza a bassa voce.
-Vuoi che ti porti qualcosa di caldo da bere? – il tono era materno e rassicurante.
-No – rispose Sophie – sto meglio, sono solo molto stanca.
-Stanca di cosa? – le sussurrò Georgie con dolcezza.
-Mi state opprimendo – ammise la giovane – è passata solo una settimana dall’annuncio delle nozze e tutti parlate in continuazione soltanto di quello.
-È perché ne siamo felici – sorrise Georgie – ed io, come madre, voglio starti accanto in questo momento così importante per te.
-Lo so che mi volete bene – disse Sophie – forse sono solo spaventata. 
-Non devi aver paura – le disse sinceramente Georgie – e se ti dà fastidio cercherò di non ossessionarti più con i preparativi.
Sophie la guardava senza parlare, Georgie si alzò dal letto e aggiunse:
-Quando vuoi, scendi a salutare il nonno?
Sophie acconsentì, Georgie uscì dalla stanza per tornare dagli altri in cucina.
Mentre Fritz parlava con Eric della facoltà e degli esami, Daisy aiutava Georgie con le stoviglie per portarle nell’altra stanza.
Quando la ragazza entrò nella sala da pranzo per sistemare tazze e bicchieri fu raggiunta da Abel che a bassa voce le disse:
-Non hai proprio intenzione di dire tutto a Eric?
-Ma sei impazzito? – esclamò lei stizzita.
-E se lo verrà a sapere? – continuò lui piano.
-Non lo saprà – rispose la giovane con vigore – se tu starai zitto non lo saprà!
 
 
 

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Capitolo 11
*** Daisy ***


Salutato Fritz che ripartiva per Sydney, Abel si mise a riparare un pezzo di staccionata mentre Georgie si occupava della cucina.
-Sei qui? – gli domandò Eric vedendolo lavorare – Hai bisogno d’aiuto?
-No, ti ringrazio – rispose laconicamente Abel senza distogliere lo sguardo dal chiodo che penetrava nel legno con difficoltà.
-In due termineremo presto! – esclamò il ragazzo volendosi rendere utile ma Abel lo fermò prima che potesse prendere in mano gli attrezzi.
-Ho quasi fatto – disse ora guardandolo negli occhi – vai, non mi serve il tuo aiuto.
Eric rimase freddato da quel tono serioso ma non si mosse aggiungendo:
-Va bene, me ne starò fermo senza darti una mano ma almeno lascia che parli un po’ con te. È da quando sono tornato dall’università che non ne abbiamo mai avuto l’occasione!
-C’è sempre molto da fare – la buttò lì Abel, tanto per dire qualcosa.
-Capisco che l’annuncio del matrimonio di Sophie ti abbia colto impreparato – spiegò Eric – e che hai tanto da lavorare con la casa degli sposi da costruire ma un attimo per me puoi trovarlo?
Allora Abel posò il martello, lasciò l’ultimo pezzo di legno sul prato e sorrise al nipote:
-Scusami, hai ragione. Ho mille pensieri per la testa in questo periodo.
Si poggiò alla staccionata e disse al ragazzo:
-Ho seguito con apprensione il tuo percorso universitario, ogni lettera che arrivava dai tuoi veniva poi girata a me e a Georgie. Tua madre le ha sempre condivise con noi, hai visto come è fiera di te? E anch’io! 
-Sì, certo – lo interruppe Eric – ma non mi riferivo a quello. Vorrei un tuo parere su Daisy.
Abel tornò ad essere ombroso e si rivolse nuovamente con freddezza al giovane.
-Cosa vuoi che ti dica? – esordì – Che vuoi sapere da me!
-Come? – lo incalzò Eric deluso – Mi sono confidato sempre con te riguardo le ragazze di cui ero innamorato e ora che ho trovato la donna della mia vita non mi chiedi nulla!
-La donna della tua vita! – esclamò Abel con ironia – Non starai correndo troppo? Devi pensare allo studio, dato che hai scelto d’intraprendere una carriera alquanto impegnativa.
-Infatti mi sembra di non aver tralasciato gli studi – ribatté Eric piccato – l’hai affermato te che siete tutti soddisfatti del mio profitto.
-Le donne possono diventare una pericolosa distrazione – sentenziò Abel – e tu sei giovane, hai tempo per trovare quella con cui legarti per tutta la vita.
-Da quale pulpito provengono queste parole! – ora fu il nipote ad essere ironico – Non sei tu che fin da ragazzo hai sempre saputo che avresti sposato zia Georgie?
-La nostra era una situazione molto diversa – rispose immediatamente Abel, seccato e stanco.
-Certo, dite sempre così quando non sapete cosa rispondere voi adulti! – continuò Eric per poi aggiungere:
-E Peter e Sophie allora? – domandò con aria di sfida – Hanno la mia età e presto si sposeranno.
-Loro si conoscono che erano due bambini – disse Abel cercando di mantenere la calma – tu da quanto frequenti Daisy? Cosa sai di lei?
-So che la amo – il tono di Eric era fermo e deciso – e so perfettamente che prima dovrò laurearmi ma saprò aspettare. Comunque ho capito che Daisy non ti piace, me ne farò una ragione. Buon proseguimento di serata!
Si voltò dirigendosi verso l’abitazione lasciando Abel nel silenzio più assoluto.
-Devo convincerla – pensò l’uomo preoccupato – a parlargli altrimenti dovrò farlo io.    
Dopo non molto tempo vide Eric uscire a cavallo. Daisy era con lui.
Percorsero la strada che costeggiava il fiume, era quasi il tramonto, si fermarono sotto un albero e si sedettero sull’erba.
-Questo è il mio posto preferito – asserì il giovane sistemandosi con la schiena appoggiata al tronco – è il mio rifugio personale, quando voglio stare da solo vengo qui, da sempre!
-E allora – domandò la ragazza accoccolandosi fra le sue braccia – perché mi ci hai portata? Ora non sei da solo!
-Perché non ho segreti con te – rispose prontamente Eric spostandole una ciocca di capelli per scoprirle interamente il volto – e magari può diventare il nostro posto.
Iniziò a baciarla, adorava quelle labbra morbide e carnose che si schiudevano con passione.
Si lasciarono coinvolgere e trasportare dall’atmosfera quieta e solitaria del luogo, alternando carezze a baci, sorrisi a dolci parole finché Daisy sussurrò:
-Ti prego Eric basta, meglio fermarci!
-Tranquilla – la rassicurò lui – non avevo intenzione di andare oltre.
La strinse forte a sé dandole un semplice bacio sulla guancia dicendole:
-Non è il posto adatto e so bene che dovrò aspettare.
Lei distolse lo sguardo dal suo per osservare l’acqua del fiume che scorreva placidamente.
Eric non smise di tenerla stretta rimanendo in silenzio e prendendole la mano con delicatezza mentre Daisy tornò a guardarlo con quei grandi occhi scuri da cerbiatta.
-Rimaniamo un po’ così – disse la ragazza candidamente – più tardi mi riaccompagnerai a casa.
Lui annuì sorridendo ed entrambi non parlarono più finché, ad un certo punto, il giovane esclamò:
-Andiamo, zia Georgie avrà già preparato la cena!
Si alzarono, Eric le chiese:
-Come ti trovi a casa degli zii? 
-Molto bene – rispose subito Daisy – Georgie è simpatica, socievole ed è un’ottima cuoca! Insomma è ospitale, come anche Sophie.
-E zio Abel? – domandò il ragazzo con interesse.
La giovane arrossì e incamminandosi   verso il cavallo affermò:
-Oh non c’è quasi mai, è sempre al lavoro o a casa di Peter.
Eric, pensieroso, aggiunse:
-Sei capitata in un periodo frenetico per la nostra famiglia, lui in genere non è così solitario e scontroso ma affabile e generoso. Per me è sempre stato un punto di riferimento.
-È bello aver qualcuno su cui far affidamento nei momenti bui – ammise a bassa voce Daisy – una famiglia dovrebbe servire a questo. Tu hai dei genitori splendidi e poi degli zii e Sophie insomma devi ritenerti fortunato. Io sono sola.
-No – disse fermamente Eric – non più.
Non poté far a meno di baciarla di nuovo, prima di salire sul cavallo.  
Più tardi, era ormai sera inoltrata, Georgie bussò alla porta della stanza di Daisy.
La ragazza era seduta alla scrivania con un foglio in mano.
-La cena è pronta – esordì Georgie – vieni a tavola?
-Sì, grazie – rispose la giovane – finisco di rileggere la lettera e arrivo!
La donna annuì incuriosita, Daisy come se l’avesse letta nel pensiero, aggiunse:
-Ho scritto a Liv, la mia compagna di corso. Domattina andrò a spedirla, in paese.
Georgie sorrise nuovamente e la lasciò sola, richiudendo la porta.
Daisy si alzò, non voleva far tardi a cena, iniziò a leggere in fretta, dopo avrebbe apportato qualche correzione.

“Mia cara Liv,
riesco a scriverti soltanto ora. 
Avrei voluto raccontarti della vastità dei panorami che si vedono qui in campagna, della gentilezza con cui sono stata accolta dai familiari di Eric, della simpatia dei suoi amici e soprattutto della premura e delle attenzioni che il mio fidanzato mi rivolge.
E invece dovrò darti la più assurda delle notizie, la scoperta che mi sta portando ad angosciarmi da una settimana a questa parte.
Lo zio di Eric, il fratello di suo padre, sai chi è?
È Abel! Capisci…il “mio” Abel, non un altro.
Quando l’ho visto ed Eric me lo ha presentato ho creduto di impazzire!
Per giunta sono anche ospite in casa sua, elargisco sorrisi alla moglie e alla figlia.
Cerchiamo di evitarci a vicenda ma lui vuole assolutamente che parli con Eric.
Sarà la fine, per me.
Ricordi quando ti confidavo delle sensazioni che provavo stando accanto ad Eric?
Di come, fin dal primo giorno, lo sentivo parte di me?
Forse perché tutto mi riportava ad Abel.
Liv tu sei l’unica che conosce tutta la storia e comprenderai come mi posso sentire ora.
Perché? Proprio adesso che ero serena e felice!
Ho paura, non so cosa fare. Il peccato mi inseguirà per sempre?
Ti mando un forte abbraccio”.
Daisy
 
Ripose la lettera e si avviò a cena.
Abel era già seduto a tavola.
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** I dubbi di Sophie ***


-Ecco qua – disse Arthur portando in casa di Georgie l’ultima cassetta piena di verdura – con questa sono cinque e poi c’è la scatola con il formaggio ancora nel carro.
-Vado subito a prenderla, grazie – esclamò Georgie uscendo indaffarata.
-Ti aiuto a sistemarle? – domandò lui vedendola un po’ stanca.
-Non disturbarti – sorrise Georgie – quando Abel tornerà dal porto, ci penserà lui. Tu avrai da fare alla fattoria e Maria ti aspetterà per il pranzo.
-Oh no – rise Arthur – si è fermata al villaggio con Eric e Daisy, erano invitati dal dottor Dewy e sua moglie.
-Quindi – aggiunse Georgie – Maria si è tranquillizzata sul conto di Daisy, mi sembra le piaccia molto, non è vero?
-Sì – rispose Arthur – finalmente ha scacciato le sue paure e non è più così apprensiva.
-Daisy piace tanto anche a me – gli confidò Georgie – è graziosa, educata e qui in casa mia è discreta e poi è una bellissima ragazza. 
Stavano andando verso il carro, Georgie continuò:
-Secondo me, però, ha soggezione di Abel.
-E perché mai? – chiese Arthur ridendo.
-Ho questa impressione. E Abel invece non ha mandato giù il fatto che io l’abbia presa in casa. Non me l’ha detto ma l’ho capito da me.
-Georgie – disse allora Arthur –perché pensi questo?
-Non lo so ma mentre io e Sophie abbiamo immediatamente legato con la ragazza lui non ci è riuscito.
-Daisy sarà stata catturata dal fascino di Abel! – sentenziò divertito Arthur.
-Ma potrebbe essere suo padre! – ammise Georgie sbalordita.
-Sto scherzando – disse Arthur – sciocchina! Piuttosto Abel ha ben altro cui pensare in questo periodo, c’è la casa di Sophie da costruire.
-Già – ammise Georgie – è spesso dal padre di Peter per questioni economiche. Stasera saremo a cena da loro, Sophie ora è in sartoria ma dopo andrà subito lì.
Arthur era salito sul carro ma l’espressione di Georgie lo colpì, capì che non era serena.
-Sei preoccupata per Sophie? – le domandò.
-Non riesco a nasconderti niente Arthur – rispose – sì, sono un po’ in ansia per lei. Il matrimonio la spaventa, le ho promesso che non m'intrometterò più di tanto ma diverse cose devono essere organizzate da ora ed io voglio aiutarla. 
Arthur scese dal carro per tornare accanto a lei, le disse:
-Ascolta Georgie, Sophie secondo me vuole emergere, ha un potenziale dentro che deve esprimere. Hai visto com'è brava a dipingere, è quasi meglio di suo nonno!
-Nessuno le vieta di continuare a farlo – disse Georgie – è un bel passatempo.
-Potrebbe diventare un lavoro – le suggerì lui – è una brava sarta, unendo la sua dote del dipingere all’attività di realizzare abiti …
Georgie sembrava interessata, Arthur continuò:
-Sai, anch’io avevo sempre pensato che Eric volesse lavorare in fattoria poi, quando ho capito che le sue ambizioni erano altre, l’ho assecondato.
-Ma Eric è un ragazzo! – ammise Georgie – Sophie a cosa può ambire di più oltre che a sposarsi e a farsi una famiglia? Il lavoro di sarta può bastarle.
-Se ha talento deve coltivarlo – disse subito lui – parlatene.
Georgie pensò che Arthur riuscisse a comprendere Sophie meglio di chiunque altro, erano legati da un filo invisibile e indissolubile e, mentre lui si allontanava con il carro, lei rifletteva su ciò che le aveva appena detto.
Intanto Sophie era a lavorare alla sartoria, doveva riparare diversi abiti, rammendare e aspettare alcune clienti, poi sarebbe andata a casa di Peter.
Dovevano decidere dove tenere il pranzo di nozze e ne avrebbero parlato tutti insieme quella sera.
Delle volte aveva come l’impressione di sentirsi soffocata da tutto ciò che c’era intorno, sua madre le aveva detto di calmarsi, che lei l’avrebbe aiutata nella gestione di tutto ma la paura di Sophie era un’altra. 
Non aveva detto a sua madre che voleva bene a Peter ma quel passo la spaventava e non capiva dentro di sé se non era pronta oppure se non era veramente innamorata.
Quella strana sensazione l’accompagnava da giorni e la sera, alla cena, era distratta e poco partecipe mentre tutti discutevano delle sue nozze.
-Eric sarà il mio testimone – riferì Peter attendendo il pasto – assieme a Paul, sono i miei migliori amici!
-E tua sorella? – domandò suo padre meravigliato – Dovresti considerare anche lei.
-Sarà la testimone di Sophie – rispose di getto il ragazzo – vero cara?
Come stordita da torpore la giovane esordì:
-Devo ancora chiederlo a Beth, comunque penso di sì.
-Domenica tornerà a casa – aggiunse Peter – puoi dirglielo quel giorno, ma perché non l’hai avvisata subito?
Sophie parlava a fatica:
-Non credevo fosse così urgente!
-Infatti non lo è – s’intromise Georgie – ma sono certa che ti farà piacere confidarti con la tua amica, quando verrà. Io intanto ho scritto ad Abel junior per comunicargli la data delle nozze.
-Tuo fratello – disse Peter a Sophie – sarà l’altro tuo testimone.
La ragazza annuì, Georgie annunciò con gioia:
-Sarà un’ottima occasione per riunire tutta la famiglia! 
-Peccato – esordì la madre di Peter che era entrata con una pentola fumante – per il conte Gerald, non potrà esserci!
-Con il cuore sarà con noi – disse sorridendo Georgie che intanto osservava sua figlia così silenziosa e distaccata.
-Ma io – domandò allora Tommy – non sarò il testimone di nessuno?
-Sei troppo piccolo! – lo rimproverò scherzando suo padre.
-Tu porterai le fedi! – disse Peter accarezzandogli la testa.
Tutti risero, anche Sophie, ma la sua mente era altrove.    
-Potremo organizzare qui il pranzo – disse la madre di Peter servendo la zuppa – dopo la cerimonia in chiesa riceveremo gli ospiti sotto il porticato.
-È una buona idea – ammise Georgie – naturalmente contribuiremo tutti alla preparazione del banchetto.
-Che ne pensi Sophie? – le domandò Peter prendendole la mano.
Lei si sentì addosso gli occhi di tutti i commensali che attendevano una sua risposta.
-Veramente – iniziò tentennando – se devo scegliere un posto, mi piacerebbe tenere la festa di nozze alla fattoria di zio Arthur.
Ci fu un attimo di silenzio rotto da Georgie che disse:
-È originale ma mi piace! Bisognerà chiederlo ad Arthur ma non credo ci siano problemi.
-Non male! – esclamò il padre di Peter – C’è più spazio rispetto a qui.
-Come mai questa scelta? – chiese Abel con tono serio. 
-Perché – rispose Sophie – è il posto dove ho i più bei ricordi d’infanzia. Ci sono legata, era la fattoria dei nonni che non ho conosciuto ed è il luogo che sento mio più di ogni altro.
-Se questo è il tuo desiderio – le sussurrò dolcemente Peter – voglio realizzarlo. Domani chiederemo ad Arthur cosa ne pensa ma sono certo ne sarà entusiasta!
Sophie sorrise ma dentro era veramente piena di paure.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Nuove esperienze ***


-Sono in ansia per Sophie – disse Georgie a suo marito rientrati in casa, aprendo la porta della camera da letto.
-Perché? – domandò lui stupito – Cos’ha?
-La vedo così triste – rispose lei – insoddisfatta. Tu sei giustamente preso dalla costruzione della casa, dagli affari con il padre di Peter e spesso sei fuori. Invece io la osservo ogni giorno e la trovo scontenta e inappagata.
-Ma se deve sposarsi! – ammise Abel – E non è felice? Può essere agitata, preoccupata ma non triste.
-Non lo so – continuò Georgie – credo abbia voglia di realizzarsi come donna e non soltanto come moglie o madre. Ha del talento nella pittura, quando dipinge è serena. Ne parlavo proprio questa mattina con Arthur.
-Perché con Arthur? – chiese subito Abel con sospetto.
-Lui riesce sempre a comprendere Sophie – rispose Georgie – a parlarci con sincerità e lei lo ascolta.
-Molto meglio di me? – chiese lui stizzito. 
Abel – sospirò Georgie – è un rapporto diverso. Ti prego non tirare fuori quelle vecchie questioni.
-No, certo – disse lui in tono ironico – non posso mai dire nulla io! Sono anni che non dico niente per il bene di tutti ma sono io quello che l’ha cresciuta e non le ha mai fatto mancare qualcosa, mai! Però Arthur è quello buono, che dispensa consigli e la capisce a meraviglia, vero Georgie? E lei porta nel cuore la sua fattoria tanto da sceglierla come posto per le nozze.
-Basta! – replicò Georgie sconvolta – Non capisci che non ho bisogno ora delle tue gelosie!
Si mise seduta davanti allo specchio e iniziò a pettinarsi i capelli biondi. Abel seduto sul letto non diceva una parola.
-Vorrei proporre a Sophie – esordì Georgie più calma, continuando a sistemarsi con la spazzola – poiché nel disegno riesce bene, di realizzare degli abiti particolari, con delle rifiniture fatte da lei, alcune clienti me li hanno chiesti. Domani le suggerirò questa idea.
-Va bene – disse Abel ormai disteso sul letto – credo anche Peter sia d’accordo.
-Perché deve chiedere a lui il permesso? – esclamò Georgie inquieta – Io non ti ho mica chiesto se potevo fare la sarta, né tantomeno Maria ha avuto bisogno del consenso di Arthur per insegnare!
Abel aveva capito di aver detto una sciocchezza, si rigirò nel letto tentando di dormire mentre Georgie continuava a pettinarsi davanti allo specchio. 
La mattina seguente Abel si alzò tardi, Georgie già era uscita, in cucina trovò la colazione pronta e Daisy che stava mangiando seduta.
Erano soli e questo inquietò subito la ragazza mentre lui si sedette di fronte, quasi a sfidarla.
-Georgie e Sophie – esordì lei – sono andate alla sartoria. 
-Lo immaginavo – disse Abel a testa bassa- tu cosa farai oggi?
-Eric mi porta al fiume più tardi – rispose Daisy – arriverà fra un’oretta.
-Non ci pensi proprio – le chiese Abel fissandola ora negli occhi – a dichiarargli tutta la verità?
-Perché? – sospirò lei – È una verità che fa male.
Abel si alzò, non riusciva a stare fermo, si spazientì dicendo:
-Ci tengo troppo a quel ragazzo, non voglio che soffra!
-Soffrirà – disse lei – se saprà la verità.
-Hai ragione anche tu – sentenziò Abel uscendo di casa sbattendo la porta.
Intanto Georgie alla sartoria aveva fatto vedere a sua figlia delle nuove stoffe, le aveva ordinate una cliente, la signorina Banty e voleva confezionarci degli abiti esclusivi.
Sophie poteva occuparsi del lavoro, doveva andare dai Banty, selezionare le stoffe e creare dei vestiti su misura per la ragazza.
Georgie pensava che quella potesse essere per sua figlia una buona occasione per tirar fuori la sua creatività e le sue abili doti.
E così Sophie partì con il calesse portando con sé le stoffe, era contenta di iniziare questo nuovo lavoro e fare nuove esperienze. 
Olivya Banty era la figlia di un rappresentante dell’alta borghesia di Sydney, Sophie la conosceva bene perché la ragazza, da bambina, aveva vissuto con i nonni in campagna ed aveva frequentato per un anno la scuola di Maria.
Poi quando suo padre era tornato dall’Europa, lei si era trasferita in un ricco villino tra il porto e la città con i suoi genitori.
Sua madre si serviva sempre da Georgie per gli abiti, era una sua affezionata cliente perché amava il gusto e la grazia con cui realizzava i vestiti.
Olivya era sempre stata gentile con Sophie, ricordava con affetto l’infanzia passata insieme a scuola e poi, essendo Gerald un importante rappresentante del Governo e conte, teneva la ragazza in alta considerazione.
Sophie invece non amava questi ragionamenti, era stato proprio suo nonno ad insegnarle che le persone hanno stessa dignità e un titolo nobiliare non deve fare la differenza tra gli uomini.
Arrivò a villa Banty convinta di fare un buon lavoro e di farsi apprezzare per le sue capacità.
Olivya la accolse con entusiasmo, per un’ora visionarono le stoffe e parlarono degli abiti da realizzare.
-Fermati qui Sophie – la invitò Olivya gentilmente – tra poco arriveranno degli amici inglesi, passeremo il pomeriggio sorseggiando tè e leggendo versi e poesie, pomeriggi letterari si chiamano.
Sophie era in imbarazzo, non conosceva bene la letteratura ed aveva timore di sentirsi un pesce fuor d’acqua, comunque, per non deludere la sua cliente, decise di fermarsi.
Olivya l’accompagnò nel salottino, dove già vi erano due ragazze e tre ragazzi, tutti di Sydney, gli inglesi invece sarebbero arrivati fra poco. 
-Lei è Sophie – disse Olivya presentandola al gruppo – è la nipote del conte Gerald, il nostro deputato alla Camera.
-Sono Sophie Buttman – affermò con fierezza lei, mal sopportando quel voler sottolineare i titoli e lo stato sociale delle persone.
-Vieni a sederti – le disse Olivya invitandola e porgendole una sedia – ora la cameriera servirà tè e pasticcini.
Sophie era veramente pentita di essere rimasta lì, osservava l’ambiente e gli invitati sorridendo con cordialità e cercando di seguire qualche discorso.
Si parlava di letteratura inglese ma lei si limitava ad annuire senza commentare nulla.
Un ragazzo leggeva dei versi a voce alta, Sophie ascoltava senza troppo entusiasmo.
Era distratta, assaggiò un biscotto e non si accorse che erano entrati due ragazzi accompagnati da Olivya, uno di loro si sedette proprio davanti a lei e fu quando alzò lo sguardo che lo vide per la prima volta.
Era appoggiato al tavolo col braccio destro, nell’altra mano teneva un libro, aveva i capelli castani un po’ lunghi, quasi sulle spalle e due occhi azzurri che la guardavano intensamente.
-Sei qui per ascoltare? – le chiese con interesse.
Sophie non riuscì ad aprire bocca, talmente era presa da quella presenza così affascinante.
-La lettura! – ribadì lui mostrandole il libro.
Lei annuì ma non aveva ben capito, lui si alzò dicendole:
-Tocca a me, vado a declamare. 
Si posizionò al centro della stanza e iniziò a leggere dei versi di Lord Byron.
Sophie era presa dalla sua voce, dai suoi gesti, dai suoi occhi, non le era mai capitato di provare una sensazione così intensa.
Non era importante quello che leggeva ma come lo diceva.
In quegli istanti dimenticò tutto, nella sua mente vi era soltanto quel ragazzo sconosciuto mentre il cuore le batteva forte quasi al ritmo di quei versi poetici.
 Al termine ci fu un lungo applauso dei presenti, uno di loro disse:
-Bravo Percy, sei stato perfetto!
Percy, pensò Sophie, quello era il suo nome, lo osservava mentre parlava con un tizio dall’altra parte della stanza.
Poi vide che tornò indietro e si mise seduto di nuovo accanto a lei.
-Come sono andato? – le domandò con sicurezza.
-Benissimo – rispose tentennando lei – è stato coinvolgente.
-Conoscevi quei versi? – le chiese.
-Veramente no – balbettò Sophie – no.
-Tieni – le disse porgendole il libro – li trovi qua sopra, domani saremo di nuovo qui, ne riparleremo.
-Grazie – sussurrò lei senza guardarlo – ma io …
-Ci vediamo domani – la salutò lui accarezzandole la guancia.
Sophie rimase seduta, osservandolo nuovamente mentre camminava sicuro verso la finestra.

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Capitolo 14
*** Amore sconosciuto ***


Sophie tornò a casa al tramonto con il calesse pieno di stoffe e il cuore colmo di gioia.
-Finalmente! – esclamò sua madre quando la vide – Non è andato bene qualcosa dai Banty?
-No, no – rispose lei – tutto a meraviglia! Le stoffe mi serviranno anche domani, dovrò tornarci. Olivya mi ha offerto una merenda, c’erano dei suoi amici e mi sono trattenuta.
-Bene - sorrise Georgie – tra poco si cena, gli zii si fermeranno da noi ed anche Eric, dovresti aiutarmi con la tavola.
-Certo mamma – rispose serena – vado un attimo in camera.
Stava per salire le scale quando si girò e tornò in cucina.
-Zia – disse a Maria porgendole il libro che aveva in mano – conosci quest’autore?
Maria lesse la copertina ed esclamò:
-Lord Byron, certo! È un inglese, dove l’hai preso?
-Da Olivya Banty – rispose – si leggevano poesie e così me l’hanno prestato. 
-Byron, Shelly, Keats – esclamò Maria – le mie letture da ragazza, a Londra.
Quando si nominava l’Inghilterra, Maria aveva sempre lo sguardo malinconico, Sophie lo sapeva e non disse più nulla.
Andò in camera col suo libro, tenendolo stretto al petto.
-Che le è preso ora? – domandò Georgie incredula osservandola mentre saliva in fretta le scale.
-Non l’hai capito? – rise Maria – È innamorata! Hai visto i suoi occhi? E quelle sono poesie d’amore. Ah, fortunato Peter!
Georgie era perplessa ma felice, quel lavoro aveva fatto tornare il buonumore a Sophie.
Il giorno dopo tornò dai Banty, con la scusa dei vestiti aveva di nuovo l’occasione di rivedere Percy e poi doveva restituirgli il libro.
Aveva passato tutta la notte a leggerlo e a pensare a lui, a quel ragazzo sconosciuto che tanto le aveva fatto battere il cuore. Aveva dei sensi di colpa verso Peter ma dopo quel pomeriggio si sentiva viva, in fondo voleva solo riportargli il libro, ringraziarlo ed ascoltarlo declamare. E basta. Ed invece si ritrovò nel terrazzo dei Banty a parlare con lui, da sola.
Arrivata al villino di Olivya, si era subito messa a lavorare, prendendo le misure alla ragazza per poi iniziare a studiare come realizzare gli abiti.
In seguito, giunti gli ospiti, si era recata nel salottino, dove quel pomeriggio c’erano molte più persone rispetto al giorno precedente.
Aveva bevuto il tè e poi ascoltato la conversazione fra Percy e un altro ragazzo, rimanendo colpita dalla sua capacità dialettica e dal suo modo di argomentare.
Al termine si era timidamente avvicinata a lui con in mano il libro: 
-Scusa – esordì arrossendo un po’ – ti devo restituire questo, grazie.
Lui la fissò incuriosito e attento:
-Ah certo, il libro! Ne parlavamo ieri.
Si congedò dal giovane con cui stava conversando per intrattenersi con Sophie.
-Allora, cosa ne pensi? – le chiese con interesse riferendosi al libro.
-Mi è piaciuto – sussurrò lei – anche se non l’ho letto tutto.
Ed intanto, camminando, erano giunti sull’ampia terrazza dei Banty che dava su un immenso giardino assolato quel giorno.
-Non t’intendi molto di poesia, vero? – domandò lui facendole l’occhiolino.
-No – rispose Sophie in imbarazzo – cioè, io m’intendo di arte, io dipingo.
-È fantastico! – esclamò Percy interessato appoggiandosi alla balaustra – Una giovane pittrice.
Sophie sorrise poi, facendosi coraggio iniziò a dirgli:
-Mi piace dipingere soprattutto i paesaggi, la natura.
Fece una pausa, era ancora intimorita ma lui la stava ascoltando senza metterle fretta.
Non si sentì giudicata, anzi, capì che poteva aprirsi con tranquillità.
- Ecco, guarda quell’albero laggiù, - aggiunse - che foglie verdi, sono di un verde così splendente che mi dispiace non avere qui con me i pennelli per catturarle!
Lui la osservava senza toglierle mai gli occhi di dosso, lei si sentiva nuda sotto quello sguardo. 
-Sei un’ottima osservatrice – le disse – dove hai imparato a dipingere?
-Da nessuna parte – ammise lei – mio nonno era un pittore, da bambina mi divertivo con lui, tutto qui.
-È un dono, un talento il tuo – ammise Percy – spero mi farai vedere qualche tua opera uno di questi giorni.
Sophie rise sentendosi più rilassata:
-Non ho molte ambizioni e non ho realizzato chissà quanti dipinti!
-E invece – le disse lui con vigore – devi credere nelle tue capacità. L’arte va coltivata. Sempre.
Ora anche lei riusciva a guardarlo negli occhi e a perdersi in quell’azzurro chiaro.
-Grazie per il consiglio – gli disse a bassa voce.
-Non devi ringraziarmi – rispose lui – ma come ti chiami, non te l’ho chiesto, scusami.
-Sophie – disse timidamente – mi chiamo Sophie.
-Sei australiana? – le chiese di getto.
-Sì, sono nata qui ma mia madre è inglese – rispose più sicura.
-Anche i miei genitori sono inglesi – disse subito lui – ma io sono nato in Italia.
-In Italia? – esclamò Sophie estasiata – Deve essere un posto ricco di arte e di storia!
-Oh sì – iniziò lui – Roma, Firenze, Venezia … Un artista deve andare, almeno una volta nella vita, in queste città. C’è cultura, c’è il passato fra le rovine, le chiese, i monumenti. 
-Che meraviglia! – disse lei sognante – Deve essere bellissimo e tu ci sei nato.
-E l’ho girata in lungo e in largo – raccontò – non soltanto le grandi città ma anche i paesini, la bella campagna toscana piena di girasoli, il mare della Sicilia, le nevi delle Alpi, la tranquillità dei laghi … e poi invece sono venuto qui.
-Come mai? – chiese curiosa lei.
-Mio padre possiede una casa qua, c’era stato da ragazzo con mia madre ed io ero interessato di conoscere l’Australia.
-Non c’è molta storia – disse Sophie – ma ci sono delle praterie immense, il mare sconfinato e una natura varia e colorata.
-E delle ragazze bellissime come te – le sussurrò baciandole la bocca dolcemente.
Lei si ritirò subito arrossendo.
-Non ti piaccio? – domandò lui.
Sophie non sapeva cosa dire, avrebbe dovuto rivelarle che era fidanzata, anzi promessa sposa ma si perse in quello sguardo sicuro e coinvolgente.
Lui le scostò i capelli e la baciò di nuovo, questa volta lei si lasciò andare e provò l’emozione di quelle labbra morbide, dolci e allo stesso tempo sconosciute.
-Sei un incanto – le disse lui subito dopo – tornerai anche domani?
-No, non devo venire da Olivya – rispose ancora scossa.
-Verrai da me venerdì prossimo – le propose – il pomeriggio letterario è a casa mia e tu sei invitata.
E la baciò nuovamente, questa volta solo sulla guancia, con tenerezza. 
-Percy – disse allora Sophie – ma non ci conosciamo neanche un po’.
-Non ne ho bisogno – disse sicuro lui – so che sei la mia musa ispiratrice, bellissima e dolcissima.
A quelle parole Sophie non seppe resistere e si gettò in un altro bacio caldo e appassionato.
-Venerdì ti aspetterò – le sussurrò teneramente.
-Sì – disse lei – ma dove devo venire?
-Ah giusto – sorrise lui – hai ragione tu, non ci conosciamo! Bene, io sono Percy, Percy Gray, vieni alla residenza dei Gray, non è lontano da qui, ora ti spiego.
E, rientrando nel salone, le diede tutte le indicazioni.
Era il tramonto e Sophie tornava a casa.
Si sentiva scossa, strana, agitata e in colpa.
Verso Peter, verso i suoi genitori, verso tutti.
Ma quei baci le avevano fatto scoppiare il cuore e quel nome, Percy Gray, era dolce e malinconico come la musica di un carillon.
 
 

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Capitolo 15
*** A casa di Percy ***


Sophie – le chiese Georgie quel venerdì mattina, mentre insieme uscivano da casa – andrai dai Banty anche oggi?
Lei esitò un poco poi disse:
-Sì mamma, non aspettarmi a pranzo, andrò da loro direttamente dalla sartoria. Ho ancora molto da fare con quei vestiti.
Era una bugia e Sophie non era abituata a mentire a sua madre ma ancora non aveva il coraggio di confidarle il suo dolce segreto.
Erano trascorsi alcuni giorni dall’incontro con Percy e da quei baci sulla terrazza dei Banty, la ragazza non ne aveva parlato con nessuno, era silenziosa e si era dedicata a cucire e ricamare cercando di evitare i suoi cari, soprattutto Peter.
Voleva trovare dentro di sé la forza per lasciarlo, quel matrimonio non l’aveva mai convinta, ora più che mai. 
Intanto nel pomeriggio sarebbe andata alla villa di Percy, di nascosto. 
-Bene – disse Georgie salendo sul carro – io vado. Stasera ci sarà la festa del paese, sarai tornata a quell’ora!
Sophie annuì, si era dimenticata della festa, il desiderio di rivedere Percy la faceva distogliere da tutti gli altri pensieri.
Ogni anno, al villaggio, in quel periodo, si teneva una grossa fiera che attirava persone dalle città limitrofe e il fine settimana la festa culminava con musica e balli dal vivo. Sophie era sempre andata volentieri a quell’evento, da bambina con la sua famiglia, poi con i suoi amici e Peter ma ora non provava alcun interesse per quello che, una volta, la divertiva tanto.
Lavorò tutta la mattina alla sartoria con Georgie poi, mentre la madre tornava a casa per il pranzo, lei mangiò qualcosa al laboratorio e successivamente si diresse verso il palazzo dei Gray.
Aveva capito dov’era, lo conosceva bene perché delle volte c’era passata davanti andando al porto.
Arrivò lì, un maggiordomo la fece entrare, lasciò il calesse accanto al grande cancello e fu accompagnata nel salone delle feste.
Vi erano già dei ragazzi e delle ragazze, Olivya non c’era ma erano presenti i suoi amici di Sydney.
Accanto al muro era appoggiato un tavolino con diverse pietanze, alcuni invitati avevano iniziato a servirsi,
Percy non si era ancora visto e Sophie si sentiva smarrita.
Si avvicinò lentamente al buffet, prese qualcosa da mangiare e scambiò alcune parole con una ragazza.
Da quella conversazione capì che l’argomento del giorno erano i versi del poeta latino Catullo.
Sophie non conosceva quell’autore né tantomeno quella lingua, si sentiva veramente sperduta.
Si mise seduta sperando di veder arrivare Percy e intanto si guardava intorno incantata dai bei quadri appesi alle pareti e dai mobili antichi che arredavano perfettamente la stanza.
Ad un certo punto, finalmente, entrò Percy salutando tutti e dicendo che avrebbe iniziato lui a leggere i primi versi del pomeriggio.
Mentre parlava con i suoi ospiti, osservava Sophie che, in un angolo, lo attendeva emozionata e trepidante.
E Percy cominciò a declamare. 
Sophie non capiva nulla di ciò che diceva, ma il solo ascoltarlo e vederlo la rendeva felice.
Quelle parole avevano una musicalità particolare, era bello sentirsi trasportare dal suono della sua voce.
Al termine tutti andarono a congratularsi con lui tranne Sophie che rimase seduta.
La raggiunse immediatamente dicendole:
-Cosa ne pensi?
-Sei stato meraviglioso – gli sussurrò – anche se non comprendo il latino, ho capito che erano versi pieni di passione.
-Oggi pensavo a te mentre declamavo – disse prendendole la mano e portandola sul suo petto – sono contento che sei venuta.
La condusse fuori, tutti erano ancora nel salone a leggere e nel giardino, quindi, erano soltanto loro due soli.
-Ti piace qui, Sophie? – domandò lui passeggiando tra le aiuole colorate e ben curate.
-Molto – rispose – diverse volte sono passata davanti questa villa e, dalla strada, mi ero sempre chiesta come fosse dentro.
-Adesso lo sai – le sussurrò Percy piano.
Sentirono della musica provenire da lì vicino, Sophie si fermò incuriosita.
-Vieni – le disse – andiamo a vedere.
C’era una piccola dependance quasi tutta ricoperta di edera, all’interno un quartetto d’archi che suonava in maniera impeccabile. 
-Stanno provando per stasera – le spiegò Percy – intratterranno gli ospiti con brani d’autore. Sono bravissimi, questo è Mozart!
Con eleganza invitò Sophie a ballare, lei amava moltissimo la danza e si ritrovò fra le sue braccia a volteggiare al ritmo di quella meravigliosa musica.
Per Sophie era un sogno essere con lui, nel giardino tra i fiori e quelle note melodiose.
Giunti accanto al roseto iniziò a baciarla delicatamente.
Forse lei non aspettava altro perché si lasciò andare con tranquillità ma quando lui le tirò su i capelli e incominciò a baciarle il collo, si sentì tesa come una corda di violino.
Sophie – le propose lui – rimani con me stanotte.
-Ma come faccio? – domandò sorpresa – A casa mi aspettano, non sanno che sono qui!
-E allora torna domani, nel pomeriggio, quando vuoi! – la supplicò abbracciandola.
Ma Sophie si svincolò dicendo:
-Devo andare, devo scappare! – e corse via.
-Aspetta – gridò lui inseguendola – ricorda che non farò mai ciò che tu non vorrai.
Arrivata al calesse, salì sopra e si diresse verso casa velocemente.
Era sconvolta, non si aspettava quella proposta, si sentiva una bambina inesperta e inadeguata.
Quando entrò nel cortile di casa, vide Eric e Daisy che stavano uscendo, c’era la festa al paese e lei se n’era completamente dimenticata.
-Ti aspettavamo – le disse il giovane – dai preparati che andiamo a prendere Peter! 
Non aveva assolutamente voglia di uscire con loro e soprattutto con Peter ma pensò che se non fosse andata si sarebbero insospettiti tutti in famiglia e quindi si cambiò d’abito e partì.
Eric era di ottimo umore, lui e Daisy sembravano la coppia perfetta, Sophie e Peter invece iniziarono a discutere su tutto.
-Non dovresti lavorare così tanto – le ripeteva Peter – sei nervosa da quando vai tutti i giorni dai Banty.
-Amo quello che faccio – le rispondeva piccata lei –non devi decidere per me su ogni cosa.
Sophie era irascibile, nervosa, decise di non parlare più e di chiudersi nel silenzio più assoluto, passeggiava per i banchi fingendo di essere interessata alla fiera.
Eric e Peter vollero fermarsi al gioco del lancio del barattolo e decisero di partecipare per sfidarsi.
Avevano tre tiri a testa, Eric fu veramente bravo nel colpire al primo colpo un buon numero di barattoli ma con gli altri due non fu fortunato.
Peter, invece, al secondo tiro riuscì a buttare giù tutta la piramide vincendo il primo premio, una bambola di porcellana di quelle con un ampio abito e un cappellino con i fiocchi in testa.
-L’avevi sempre desiderata! – rise Eric prendendolo in giro.
-Questa è per Sophie – dichiarò Peter porgendola alla sua fidanzata – conservala per la nostra prima figlia, sono certo che sarà una bambina, bella come te!
E le diede un bacio. Sophie era fredda e distaccata, prese la bambola e la guardò mentre Eric e Peter riprendevano a camminare.
-Tieni – disse a Daisy – è tua. 
Sophie – esclamò l’altra incredula – ma è un regalo di Peter!
Non rispose, si addentrò di nuovo fra le bancarelle senza un sorriso.
Un banco vendeva cibo e bibite, comprarono qualcosa e si misero a mangiare su un tavolo predisposto.
Peter aveva iniziato a raccontare ad Eric della casa in costruzione, Sophie, stizzita, masticava in silenzio.
Mentre erano lì, passarono Abel, Arthur, Georgie e Maria e si misero seduti con i ragazzi.
Sophie era tormentata, non soffriva più quella situazione, avrebbe voluto correre da Percy e lasciare tutti lì ma ovviamente non lo fece.
Tra la confusione e la musica Sophie si avvicinò ad Arthur perché sapeva che era l’unica persona che poteva capirla, anche più di sua madre.
Era sempre stato così, verso Arthur sentiva un legame speciale e, infatti, gli disse:
-Come si capisce se una persona è quella giusta?
Lui rimase spiazzato, Sophie continuò:
-Come si capisce, aiutami!
Arthur le chiese subito:
-Perché questa domanda, non sei sicura di sposarti?
-No, non lo sono – affermò decisa.
Sophie – ora Arthur era fermo e serio – devi parlarne con Peter, se c’è qualcosa che ti ostacola meglio chiarirlo ora.
Gli avrebbe voluto confidare che si era innamorata di un altro e che l’altro era un perfetto sconosciuto, che forse stava facendo una pazzia, ma non riuscì ad aprirsi neppure con Arthur.
Mentre intorno tutti si divertivano lei sentiva un’inquietudine dentro che la tormentava.

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Capitolo 16
*** Dissapori ***


-È stata proprio una bella festa! – esclamò Maria togliendosi il cappellino rientrando in casa – Ogni anno gli organizzatori inventano sempre qualcosa di nuovo per farci divertire.
Arthur non rispose, accese il lume, chiuse la porta e buttò la giacca su una sedia mentre sua moglie costatava che Eric non era ancora rientrato.
-Farà tardi anche oggi! – sbuffò Maria – E ormai non posso più neppure rimproverarlo.
Tornò in cucina, dove Arthur si era seduto pensieroso e si capiva che non l’ascoltava affatto.
-Ma cos’hai? – domandò Maria sedendo accanto a lui – Per tutto il viaggio di ritorno non hai detto una parola! Eric non è rincasato, è sempre in giro da quando è tornato dall’università.
-Ha incontrato quei suoi amici alla festa – esordì Arthur infastidito – starà con loro e Daisy, non mi preoccupo minimamente di Eric è un ragazzo responsabile.
Si alzò nervoso poi aggiunse:
-È per Sophie che sono in ansia. 
Maria si voltò verso di lui incredula:
-Sophie! Perché cosa le è successo?
Arthur, un po’ titubante, iniziò a raccontarle ciò che gli aveva confidato la ragazza.
-Se non vuole più sposarsi – affermò Maria dopo aver ascoltato attentamente – è bene parli subito con Peter, è giusto quello che le hai consigliato di fare.
Ma Arthur continuava ad essere teso, sua moglie gli andò vicino dicendo:
-Non è più innamorata, quindi?
-Mi ha solo detto che non vuole sposarsi – rispose Arthur e poi aggiunse – Georgie pensava fosse impaurita e agitata, ma a questo punto credo non sia seriamente innamorata di Peter.
-Certo! – affermò con semplicità Maria – Se lo amasse veramente, non vedrebbe l’ora di sposarsi, io lo attendevo con gioia il nostro matrimonio, ricordi?
E prese le sue mani, vedendolo ancora turbato, gli disse:
-Se non se ne preoccupa Abel non vedo perché devi starci così male tu!
-Sophie ha bisogno d’aiuto – disse Arthur con impeto – è fragile e indifesa, lo è sempre stata, fin da bambina.
E mentre pronunciava quelle parole, gli occhi gli si riempirono di lacrime.
-Vuoi più bene a lei che a Eric! – esclamò Maria di fronte a lui – Non puoi nasconderlo.
Arthur, che fino allora era stato come assorto nei suoi pensieri, la fissò intensamente: 
-  Come puoi fare un’affermazione del genere! Non devi neppure pensarlo.
-È così – aggiunse Maria scoppiando a piangere – da sempre, da quando hai saputo che poteva essere tua figlia. L’hai messa davanti a tutto e a tutti, anche prima del nostro Eric e sai perché? Perché è di Georgie!
Era un fiume in piena, Arthur tentò di calmarla ma lei continuò gridando:
-Il tuo grande amore è stato Georgie, hai rinunciato a lei soltanto perché hai capito che amava Abel. Io sono venuta dopo, come un ripiego.
-No – disse allora con decisione Arthur – non è vero e lo sai benissimo! Il mio amore per Georgie appartiene al passato.
-Cosa credi sia stato facile per me? – continuò Maria – Vivere con Sophie accanto, vederla crescere era come vedere te e Georgie. A volte era come un’ossessione e te lo dissi anche. Eppure le voglio bene, è una cara ragazzina affezionata e dolce.
Arthur l’abbracciò, lei stremata si gettò in lacrime verso di lui che le disse:
-Ho sbagliato tutto, dovevamo andar via da qui, tu Eric ed io. In un’altra città potevamo ricominciare tutto da capo, noi tre da soli.
Maria lo guardava con quei grandi occhi, gli disse:
-Decidemmo insieme di rimanere, c’era la fattoria da ricostruire. Non ti avrei mai portato via dalla tua terra.
-Non dire più che sei stata un ripiego – sussurrò lui – sei l’unica donna che potevo amare per tutta la vita. 
Era ancora un po’ scossa Maria ma fra le sue braccia si stava tranquillizzando.
Decise di buttarsi sul letto mentre Arthur rimase in cucina, seduto accanto al camino.
-Ancora in piedi? – gli domandò suo figlio rientrando.
-Sì, non riuscivo a dormire – rispose lui e poi aggiunse – ti si fermato molto in paese.
-Ero con quegli amici che abbiamo incontrato alla festa, non ci vedevamo da un anno – sorrise Eric.
-Sei molto innamorato di quella ragazza, vero? – domandò inaspettatamente Arthur.
-Sì – rispose subito Eric – si vede?
-Si vede che sei felice – ammise suo padre.
Mentre rientravano nelle rispettive camere Arthur domandò a Eric:
-Hai riaccompagnato anche Sophie?
-No, era con Peter – rispose prontamente il ragazzo – discutono in continuazione, comunque l’ha portata lui a casa.
In quel momento Arthur capì che doveva aiutare Sophie ma per farlo era meglio parlare con Georgie e Abel, loro erano i suoi genitori, lui avrebbe fatto del tutto per non vederla soffrire.
 
 
 

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Capitolo 17
*** Rosa e spine ***


Arthur, l’indomani mattina, si dirigeva di corsa a casa di Georgie, doveva parlarle di ciò che Sophie gli aveva confessato la sera precedente.
Georgie era in cortile, fu sorpresa nel vederlo arrivare a quell’ora.
-Arthur, come mai qui? – gli chiese stupita – Dovresti essere alla fattoria.
-Georgie senti, – le disse trafelato – devo parlarti di Sophie.
Lei capì immediatamente l’importanza della questione e lasciò il lavoro che stava svolgendo per ascoltarlo.
-Ieri sera si è confidata con me – esordì Arthur – mi ha detto che non è sicura di sposarsi, non voglio faccia scelte sbagliate, dobbiamo aiutarla a capire.
-Ti ha proprio detto questo? – domandò Georgie rammaricata – Pensavo fosse solo nervosa e intimorita, credevo che il lavoro l’avesse aiutata, la vedevo più serena e invece … Arthur perché? Non ti ha detto altro?
-No – disse lui preoccupato – soltanto che non vuole sposarsi.
-Allora proverò a parlarci chiaramente – continuò Georgie – ora è in sartoria e pomeriggio andrà dai Banty, io tra poco ho un appuntamento con il rappresentante di stoffe ma stasera voglio che Sophie si confidi con me. 
-È la cosa migliore – annuì Arthur – sei sua madre ed è giusto parli con te di questo.
-Grazie Arthur – sussurrò Georgie stringendogli le mani.
In quel momento ritornò Abel, era stato dal padre di Peter sempre per la questione della casa.
-Abel – lo chiamò subito Georgie –c’è un problema molto importante da risolvere.
Arthur raccontò tutto, il fratello sembrò meravigliato.
-Non capisco – disse – perché ha accettato la proposta allora. Io credo sia solo spaventata.
-Non prendere la situazione alla leggera – disse con vigore Arthur – penso ci sia dell’altro. Povera piccola Sophie, non voglio che soffra, mai! La difenderò sempre.
-Per quello ci sono io! – lo interruppe Abel irritato – Tu preoccupati di Eric, piuttosto.
-Abel, che dici? – s’intromise Georgie rammaricata.
-Sei sicuro che Daisy sia la ragazza giusta per lui? – esclamò forte quasi a sfidare il fratello.
-Cosa c’entra Eric? – domandò Arthur con impeto- Sophie sta soffrendo, ha bisogno d’aiuto!
-Ci penso io a lei – sentenziò Abel – è mia figlia!
E, sottolineato quel mia, se ne andò verso casa.
Arthur non rispose, Georgie non sopportava quando quei rancori del passato riaffioravano impetuosamente. 
-Devo andare dal rappresentante – sussurrò ad Arthur che era rimasto accanto a lei – appena Sophie tornerà dai Banty le parlerò a cuore aperto.
Sophie, intanto, alla sartoria era presa dal suo lavoro, doveva tornare da Olivya e non sapeva se accettare l’invito di Percy di andare da lui nel pomeriggio.
Forse ne era innamorata ma non ne era sicura, però aveva capito che non amava Peter e che doveva troncare la relazione con lui al più presto.
Le dispiaceva perché si conoscevano fin da bambini, ma non se la sentiva di unirsi a lui per tutta la vita, era un buon amico ma sapeva che non poteva garantirle quella felicità sognata.
Quando giunse dai Banty, Olivya la ricevette nel salone e fu veramente soddisfatta degli abiti che Sophie le aveva portato.
-Sei proprio eccezionale, come tua madre – le ripeteva la ragazza – hai un gusto particolare, questi ricami poi, sono all’ultima moda.
Sophie la ringraziò poi, le chiese se aveva in programma di organizzare qualche altro pomeriggio letterario.
-Purtroppo no – rispose rattristata Olivya – i miei amici sono tornati a Sydney, riprenderanno gli studi e degli inglesi è rimasto solo Percy Gray.
-Lo so – disse Sophie – ieri ero da lui a palazzo Gray.
-È affascinante, non trovi? – le domandò subito l’altra – È colto, raffinato, s’interessa d’arte, di letteratura, di musica. È cresciuto in Italia, pensa che fortuna! Il nonno di suo padre è stato il nostro Governatore e sua madre invece, dicono, provenga da una nobile famiglia inglese decaduta. 
Sophie l’ascoltava in silenzio pensando intensamente allo sguardo di Percy che tanto l’aveva colpita.
-Sembra – continuò Olivya – che lui sia qui con suo padre per visitare l’Australia mentre sua madre sia rimasta in Italia con la sua sorellina. È un tipo tormentato, come tutti gli artisti, ma anche molto molto sensibile.
Sophie sentiva i brividi che le percorrevano tutto il corpo al solo ascoltare Olivya pronunciare il suo nome, parlare di lui ma soprattutto aveva una gran voglia di assaporare ancora il dolce profumo delle sue labbra.
Terminato il lavoro e presi nuovi accordi con la Banty, salì sul calesse e si diresse con decisione verso la residenza dei Gray.
Questa volta non fu il maggiordomo ad aprirle il cancello ma Percy stesso che appena la vide, esclamò:
-Allora sei arrivata, principessa!
Soltanto suo padre l’aveva chiamata principessa fino allora e sentire quel nome pronunciato da Percy, la rese serena e più sicura.
Lui l’accolse con calore e la condusse in un salottino, che non era quello del pomeriggio precedente ma un’altra stanza al piano superiore.
Le diede una rosa rossa, era una di quelle del suo giardino, dicendole intensamente:
-L’ho colta per te, speravo venissi.
E la fece sedere su un divanetto al lato della stanza.
Sophie rigirava quella rosa tra le dita, stando attenta a non pungersi con le spine.
La osservava toccando i petali rossi e morbidi mentre Percy, dopo aver chiuso la finestra, si sedeva accanto a lei. 
-Adoro le rose – sussurrò la ragazza guardandolo negli occhi – ma le spine mi infastidiscono. Non ho mai colto una rosa per timore di pungermi.
Lui sorrise, prese il fiore dalla sua mano e lo poggiò sul tavolino lì vicino, poi sfiorandole la guancia affermò:
- Non avere paura Sophie, se non rischi con le spine non avrai mai la rosa.
Iniziò a baciarla, il cuore le batteva all’impazzata, l’accarezzava dolcemente, si sentiva ancora intimorita, le disse:
-Ti prego Sophie, lasciati andare, non ti farò del male.
-Percy, è che io – balbettò lei – io non ho mai…
-Non importa – la zittì poggiandole delicatamente una mano sulla bocca – ma se non te la senti dimmelo, mi fermerò.
Non lo fermò, quelle erano per lei nuove sensazioni e quando lui le propose di andare nel letto nella stanza accanto, accettò.
Quando ormai si stava facendo sera, Sophie non provava più alcun imbarazzo nei suoi confronti osservandolo mentre giocava intrecciando fra le dita una sua lunga ciocca di capelli dopo un pomeriggio di calda passione.
-Proprio non puoi dormire qui stanotte? – le domandò rattristato.
-Non so cosa inventarmi con i miei! – rispose lei – Mi aspettano per la cena ed è già tardi.
-Tuo padre deve essere proprio geloso! – esclamò Percy ironico.
-Un po’ sì – sorrise la giovane – ma vedrai che conoscendoti gli piacerai!
-Sei impazzita! – rise lui – Non vorrai mica presentarmi alla tua famiglia?
-Perché? – bisbigliò Sophie delusa – Per quanto tempo pensi potrò venire qua di nascosto! Non lo trovo corretto.
Nascose il viso nel cuscino e si mise a piangere.
-Non fare così – le disse lui abbracciandola – è che ci conosciamo da poco e tu vuoi già presentarmi tuo padre!
-Per portarmi a letto però – singhiozzò lei – non era importante la poca conoscenza!
-Hai ragione, ho detto una sciocchezza- le sussurrò nell’orecchio – voglio farmi perdonare.
E ricominciò ad accarezzarla e a baciarla teneramente.
-Asciughiamo queste lacrime – le disse poggiandole la mano sulla guancia – è tardi, rivestiti e torna a casa, si staranno preoccupando.
Era quasi buio e Sophie capì che era meglio andar via.
-Dove abiti? – le chiese Percy accompagnandola al calesse.
-In campagna – rispose freddamente lei.
Sophie – disse lui determinato – io ho passato uno stupendo pomeriggio con te, vorrei non fosse l’ultimo.
-Percy, non mi stai prendendo in giro? – domandò lei.
-Principessa, non potrei mai! – ammise lui baciandola ancora – Verrò a conoscere tuo padre, se proprio ci tieni.
Sophie annuì più tranquilla dicendo: 
-Anch’io sono stata molto bene, Percy.
Si abbracciarono e si baciarono di nuovo poi lei salì sul calesse.
Mentre tornava a casa, preoccupata perché era tardi, sentiva dentro di sé una strana sensazione, era giunto il momento di parlare con Peter.
 

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Capitolo 18
*** Tempesta ***


Quando aprì la porta di casa trovò sua madre seduta ad attenderla in cucina e suo padre che girava nervosamente per la stanza.
Anche Arthur e Maria erano rimasti ad aspettarla.
Abel la rimproverò subito a gran voce:
-Dove sei stata tutto questo tempo? Stavo per venire dai Banty, eravamo in pena per te.
-Scusate – rispose con voce tremula Sophie – ho tardato per il lavoro e ora vengo da casa di Peter.
-Sei stata da lui! – disse Georgie turbata scambiandosi uno sguardo con Maria.
-Vado in camera, non ho fame – disse Sophie guardando la tavola imbandita e scappò su per le scale.
-Devi parlarle Georgie – la esortò Maria – hai visto com’è tesa! Sicuramente è successo qualcosa con Peter.
-Lasciamola un po’ per conto suo – consigliò Arthur – Georgie avrà tutta la serata per stare con lei.
-È da troppo che sta sulle sue – disse Abel per contraddire il fratello – ci nasconde sicuramente qualcosa. 
E si mise seduto prendendo il suo pasto ormai freddo.
-Noi andiamo – disse Arthur facendo cenno a sua moglie – Sophie è tornata sana e salva a casa, questo è l’importante.
Maria si alzò e andò ad abbracciare forte Georgie sussurrandole:
-Ci vediamo domani mattina, qualunque cosa sia accaduta con Peter sono certa che a Sophie faccia bene parlare con te!
-Lo spero! – esclamò Georgie sentendo dentro di sé ancora tanta ansia.
Salutarono Abel che stava mangiando malvolentieri una zuppa fredda, fece loro un cenno e nulla più.
Stavano per uscire quando sentirono bussare forte alla porta di casa.
-Aprite subito! – gridò una voce concitata e alterata dall’altra parte.
Arthur, che si trovava lì accanto, aprì la porta e, come una furia, entrò il padre di Peter seguito dalla moglie che cercava di calmarlo.
-Dov’ è? – urlò con gli occhi rossi dalla rabbia – Dov’è quella finta santarellina che ha distrutto la vita del mio Peter! Dov’è?
-Calmati – ripeteva la moglie – andiamo via!
Abel, alzandosi da tavola, disse con sospetto:
-Che è successo? Che cosa ha fatto Sophie?
-Ha lasciato il mio Peter, stasera, così su due piedi – iniziò a raccontare l’uomo con ira – li sentivo discutere fuori al cortile, non davo loro peso, ma poi il mio ragazzo è entrato disperato in casa, piangendo. È corso nella sua stanza mentre lei andava via. Ha fatto bene a scappare ma ora l’ho raggiunta, non ci si comporta così!
E mentre parlava, agitato, gesticolava e si guardava intorno.
-L’ha piantato per un altro – continuò – per uno ricco, colto, come se il mio Peter fosse una nullità. Dio solo sa quello che ho fatto per comprare quel terreno e ora mi ridarai tutti i soldi che avevo investito sulla casa, fino all’ultimo centesimo. 
Parlando guardava Abel, il quale, sempre più perplesso, cercava di capire qualcosa da quel racconto.
-Rivoglio tutti i soldi! – continuò l’uomo ora più calmo ma amareggiato.
-Sì – balbettò Abel – sono costernato, ti ridarò tutta la somma.
-Al più presto! – tuonò il padre di Peter.
-Basta – lo supplicava la moglie - andiamo via!
Poi la donna si rivolse a Georgie:
-Sophie ha detto a Peter di essere innamorata di un altro, è stato un colpo al cuore per lui.
- Mio figlio è distrutto – continuò il marito ora in lacrime – non meritava un trattamento simile, lui era sinceramente innamorato di Sophie mentre lei preferiva divertirsi con un altro.
Georgie non riuscì a proferire parola, talmente era rimasta stupita e allibita per quelle rivelazioni.
Il padre di Peter, ancora scosso ma forse più sollevato per lo sfogo, ripetè:
-Mio figlio è distrutto, ha visto crollare i suoi sogni in un attimo. È distrutto!
Era un omone alto e robusto ma non si vergognò di aver pianto davanti a tutti.
Voleva bene a suo figlio e continuava a ripetere che Peter non si meritava di soffrire così.
La moglie riuscì a condurlo verso l’uscita e i due se ne andarono nel silenzio più assoluto.
-C’è un altro di mezzo – disse Abel furioso che poi voltatosi verso Georgie domandò:
-Ne sapevi nulla?
-No, no – singhiozzò lei – non ne sapevo niente!
-Che razza di madre sei! – l’apostrofò con ira suo marito – Possibile che non sai niente di tua figlia!
Georgie tentò di replicare ma Abel si era già diretto sulla prima rampa di scale.
Sophie! – gridò – Vieni giù immediatamente. 
Georgie piangeva mentre Arthur e Maria erano un po’ in disparte.
-Sbrigati! – urlò di nuovo suo padre non vedendola scendere.
Dalle scale allora, lentamente, scese la ragazza intimorita e sconvolta.
-Hai sentito? – esclamò Abel – Era il padre di Peter che, giustamente, è venuto a chiedere spiegazioni. E noi siamo rimasti increduli. Cos’è questa storia, parla!
Georgie si alzò dalla sedia per avvicinarsi alla sua bambina.
-Ho lasciato Peter – sussurrò Sophie guardando di sfuggita Abel e andando accanto a Georgie.
-L’abbiamo capito – ribadì lui – suo padre era furioso e ora dovrò anche restituirgli al più presto l’anticipo della casa.
-Non potevo sposarlo, non ne sono innamorata – disse lei guardando ora Arthur e Maria.
-E l’altro chi è? – domandò subito Abel con irritazione.
-Non lo conoscete – balbettò Sophie – è inglese ma è venuto qua dall’Italia, l’ho incontrato da Olivya Banty.
-Quindi è da pochissimo che lo frequenti? – chiese Abel sconcertato – E tu mandi all’aria un matrimonio per uno che conosci da poco tempo?
Abel – ora fu Arthur a parlare – questo non vuol dire nulla.
-Non intrometterti! – lo zittì immediatamente il fratello. 
-Non ero comunque sicura del matrimonio – cominciò a dire Sophie – anche prima di conoscere Percy.
-Percy? – domandò Abel – Questo è il suo nome?
-Sì – disse lei a voce più alta – si chiama Percy Gray.
Quel cognome risuonò nella stanza rimbombando come un’eco.
-Gray? – ripeté Georgie incredula alzandosi dalla sedia.
-Sì mamma – disse Sophie – i Gray del palazzo del Governatore.
-È il figlio di Lowell, sicuramente – sussurrò Georgie – se viene dall’Italia …
-Lo conosci mamma? – domandò Sophie stupita.
-Il figlio di Lowell e di Elise – s’intromise Maria – mia cugina.
-Tua cugina? – chiese la ragazza sorpresa – Questa è proprio una coincidenza!
-Tu non lo vedrai mai più – tuonò Abel che era rimasto senza parole al solo sentire quel cognome – io non te lo permetterò.
-Ma papà, perché? – lo supplicò lei – Neppure lo conosci!
-Ho conosciuto suo padre e mi è bastato – disse con fermezza Abel e intanto guardava Georgie che non parlava più ma piangeva soltanto – non ti permetterò di frequentarlo Sophie, non ti sfiorerà neanche con un dito.
-Arrivi tardi papà – gli disse la ragazza con aria di sfida – molto tardi. 
-Cosa ti ha fatto? – urlò Abel accecato dalla gelosia.
-Nulla che io non volessi, papà – rispose lei fiera.
Allora Abel non ci vide più e le diede uno schiaffo sul viso, lei sconvolta scappò in camera mentre Arthur e Georgie intervenivano per fermarlo.
-Adesso basta Abel! – urlò suo fratello – Hai esagerato.
-Io ho esagerato? – gridò tra le lacrime – Ma l’hai sentita, non hai capito? Se l’è portata a letto, ma io lo ammazzo con le mie stesse mani.
-Abel ti prego calmati – piangeva Georgie – ti prego, ti supplico.
Sophie! – gridò lui avvicinandosi alle scale – Ascolta bene, domani andrò dal padre di Peter, gli dirò che ti sei sbagliata, che eri confusa e che vuoi tornare con lui. Anzi, anticiperemo le nozze, parlerò col prete e fisseremo una data più vicina.
Dalla camera provenivano i singhiozzi della giovane che piangeva sempre più forte.
-E si fa come dico io! – urlò Abel – Altrimenti ti sbatto in convento.
Ormai stremato, uscì in cortile seguito da Arthur.
Sophie, in camera, piangeva disperata, quello schiaffo faceva male, bruciava perché mai suo padre l’aveva trattata così, la sua principessa.
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 19
*** Liti e chiarimenti ***


Disperato in cortile Abel si bagnava la testa alla fontana mentre Arthur, preoccupato, lo raggiungeva.
-Non avresti dovuto picchiarla – gli disse – e non puoi costringerla a sposare chi non ama.
-Io non accetto questa situazione Arthur – disse Abel con foga – se non ama Peter imparerà ad amarlo, in fondo se stava con lui un po’ di bene gli voleva.
-Ma ha capito che non lo ama! È stato meglio così, avrebbe avuto un matrimonio infelice – esclamò Arthur con fermezza.
-E con chi sarà felice? Con quello? – gridò Abel – Non ha perso tempo, vedrai come la farà soffrire!
-Non far riaffiorare la tua gelosia per Lowell – gli consigliò Arthur – ormai appartiene al passato.
-Qua non si tratta del passato – affermò Abel – è un problema presente ed è meglio per tutti se sposi Peter.
-Non lo permetterò – disse bruscamente Arthur – sarà infelice! 
-Lascia fare a me! – sentenziò Abel – Agisco solo per il suo bene.
-Questo non è il suo bene – sottolineò il fratello – ma ciò che tu vorresti per lei. E non è detto sia la miglior cosa.
-Sono suo padre – continuò l’altro – so cosa fare!
-Basta Abel! – gridò Arthur spazientito – Cerca di ragionare, non puoi decidere tu sul suo futuro.
-E invece sì! Come padre pretendo di farlo! – fu la sua risposta.
-Ti ricordo – lo incalzò il fratello – che forse non sei tu il vero padre di Sophie.
Abel allora, ferito nell’orgoglio, buttò Arthur con le spalle al muro urlandogli in faccia:
-Tu rinunciasti a Sophie, io sono suo padre e basta! È mia figlia!
In quel momento si sentì il rumore di un cavallo, era Eric che rientrava con Daisy.
-Che succede? – chiese vedendoli lì, al buio.
I due inizialmente non risposero, poi Arthur disse a suo figlio:
-Niente, stavamo rientrando in casa.
I ragazzi entrarono e videro Georgie sconvolta che piangeva disperata sostenuta da Maria.
Eric si preoccupò e sua madre iniziò a raccontargli cosa era accaduto.
Anche Daisy ascoltava mentre Arthur, scosso per la discussione con il fratello, si era messo in piedi accanto alla finestra in silenzio.
-Provo a parlare con Sophie – esclamò Eric dopo aver sentito attentamente tutto il racconto di quella serata. 
E salì le scale velocemente. Bussò alla porta della camera.
Sophie – chiamò – sono Eric, mi fai entrare?
-Non voglio vedere nessuno – fu la risposta, fra i singhiozzi, della ragazza.
-Per favore, così ti sentirai male, fammi entrare – insistette lui.
Non sentendo più nulla si appoggiò pazientemente al muro, attendendo.
Dopo poco bussò nuovamente.
Tra le lacrime Sophie acconsentì ad aprire la porta ed Eric entrò.
La trovò rannicchiata sul letto, era così fragile e indifesa che lui s’intenerì subito.
Si mise seduto su una sedia, senza parlare, fu lei che, tirando su il volto, con gli occhi umidi gli disse:
-Cosa ti hanno detto?
-Tua madre nulla – rispose lui – piangeva! Mia madre mi ha raccontato cosa è successo.
-E mio padre? – chiese Sophie ancora scossa da quello schiaffo.
-Non l’ho visto, è fuori. Meglio non parlarci – ammise Eric.
Lei si calmò un poco, si asciugò le lacrime e fissò il cugino che intanto si era alzato e guardava fuori dalla finestra.
-Che vuoi fare? – le domandò lui.
Sophie non si aspettava quella domanda, dopo un iniziale tentennamento rispose.
-Non voglio sposare Peter ma papà ha detto che domani … 
-Sono d’accordo con te – la interruppe lui – anche se mi dispiace immensamente per il mio migliore amico, se non lo ami, è giusto così. E l’altro ragazzo?
-Percy? – sussurrò lei – Percy l’ho conosciuto da Olivya Banty e mi è entrato nel cuore, da subito. È stato come un uragano travolgente, impetuoso e inaspettato. Avevo dei forti dubbi sul mio matrimonio, già da prima d’incontrarlo ed ora voglio stare con lui.
Eric la guardò intenerito, le disse:
-Spero non ti faccia soffrire Sophie!
-Sembri mio padre – rispose piccata lei.
-Oh no – disse lui – tuo padre era fuori di sé, io sono calmo ma ti dico di non illuderti!
Poi, avendo visto che lei non rispondeva, continuò:
-Tuo padre non sopporta anche il fatto che Percy sia il figlio di Lowell.
-Ma chi è questo Lowell, tu lo sai? – gli chiese Sophie.
-È stato il primo amore di tua madre – le rispose tranquillamente Eric – così mi hanno detto.
-Questo spiega tutto – esclamò lei – ed io che ho sempre creduto che la mamma avesse amato soltanto il papà!
-E Percy è anche il figlio della cugina di mia madre – continuò Eric.
-Tu non ne sapevi niente? – gli domandò Sophie incuriosita. 
-No – rispose lui con rammarico – lo sai che mia madre non parla mai della sua famiglia. Ci sono abituato ormai, non le chiedo più nulla.
-Eric – disse Sophie decisa e seria – le colpe dei genitori non devono ricadere sui figli, non trovi?
-Penso tu abbia ragione – affermò lui – ma indipendentemente da questo non credo che il tuo Percy si sia comportato molto seriamente. E sai a cosa mi riferisco.
-L’ho voluto anch’io – disse prontamente Sophie.
Questa volta Eric non rispose, tornò seduto e pensò che Sophie non si sarebbe tolta facilmente dalla testa quel ragazzo.
Lei si alzò, gli andò vicino e sussurrò:
-Eric aiutami, mio padre vuol farmi sposare per forza Peter. Domani vuole andare dal prete per trovare una data disponibile più vicina, non l’ho mai visto così furioso, mi fa paura.
Lui la guardò, l’aveva sempre sostenuta e aiutata, fin da quando erano bambini e non se la sentì di abbandonarla proprio in quella circostanza così delicata.
-Ascolta – le disse – l’unica cosa che posso fare è andare a parlare con Peter. L’avrei comunque fatto perché immagino stia soffrendo e non lo merita. Cercherò di andare domattina presto da lui, prima di tuo padre, gli spiegherò tutto, vedrai non accetterà mai di sposarti contro la tua volontà. Sophie non sei stata sincera con lui e questo mi dispiace molto.
-Lo so, ho sbagliato – disse lei rattristata – avrei dovuto non accettare da subito la sua proposta di matrimonio.
Eric andò verso la porta. 
-Grazie – gli disse Sophie.
-Tu però – affermò lui girandosi – assicurati che quel Percy faccia sul serio, altrimenti darò man forte a tuo padre per distruggerlo.

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Capitolo 20
*** Questo matrimonio s'ha da fare! ***


-Abel – disse Georgie a suo marito – sei proprio deciso, vuoi andare dal padre di Peter? Permetteresti che Sophie faccia un matrimonio senza amore?
Era l’alba e Abel era appena rientrato dopo aver passato tutta la notte insonne in cortile, senza parlare con nessuno.
-Non voglio frequenti quel Percy – rispose lui ancora scosso – alla prima occasione se n’è subito approfittato. Lei è ingenua, sognatrice, è ancora una bambina!
-Alla sua età – puntualizzò Georgie – io ero già madre di tuo figlio.
-Questo è un paragone improponibile! – ribatté lui innervosito – Noi abbiamo vissuto degli eventi drammatici, io ero condannato a morte!
Abel – gli disse lei con decisione – non voglio che la tua sciocca gelosia verso Lowell rovini la vita di mia figlia.
-Non è solo per Lowell, Sophie è anche mia figlia – esclamò lui – e le decisioni che prendo sono per il suo bene.
-Non è certo che sia tua figlia – gli urlò addosso Georgie – e lo sai!
-Non mi stupisco allora che si butti nel letto del primo che passa – le disse Abel con veemenza – perché l’unica certezza qui è che è figlia tua! 
E se ne andò lasciandola impassibile in camera.
Scese in cucina poi uscì di nuovo in cortile, aveva bisogno di prendere aria, si appoggiò alla staccionata e pianse.
Il sole si stava alzando, Abel sapeva che tra poco sarebbe andato a casa di Peter, Sophie poteva essere felice con lui pensò, era un bravo ragazzo e le voleva bene, perché doveva buttarsi in quella storia col figlio di Lowell, perché?
Preso da questi pensieri, s’incamminò verso casa e sull’uscio vide Daisy che, con un catino in mano, si stava dirigendo alla fontana.
A differenza delle altre volte la sua presenza non lo infastidì anzi, gli fece piacere.
La raggiunse.
-Ti aiuto – le disse prendendole il catino – dai a me!
Lei si meravigliò di tutta quella gentilezza, da quando era arrivata lì, da parte di Abel c’era stata soltanto freddezza.
-Grazie – gli rispose senza guardarlo negli occhi.
Lui, prendendo l’acqua dalla fontana, ripensò a quando l’aveva vista per la prima volta, così bella, dolce e triste.
-Sono dalla tua parte – disse Daisy – fai bene a preoccuparti per Sophie, un padre dovrebbe sempre difendere la sua bambina.
Abel non parlò ma in silenzio le riconsegnò il catino per poi rientrare in casa.
Georgie si accingeva a preparare la colazione.
-Vado dal padre di Peter – dichiarò Abel – devo parlarci.
-E il mio parere non conta? – chiese Sophie entrando nella stanza all’improvviso.
-Decido io per te – rispose subito Abel irremovibile.
E uscì.
Non sapeva che anche Eric era diretto da Peter, aveva promesso a Sophie di aiutarla e quindi, molto presto, era partito con il cavallo per parlare con il suo amico.
Bussò forte alla porta ma, inaspettatamente, ricevette una pessima accoglienza.
-Nessun Buttman metterà più piede in casa mia! – aveva urlato il padre di Peter ancora scosso per la serata precedente.
La moglie invece aveva cercato di farlo ragionare ammettendo che Eric era totalmente estraneo alla faccenda e che, anzi, poteva essere un sollievo per suo figlio parlare con un amico.
Ma l’uomo fu irremovibile ed Eric rimase, su consiglio della donna, fuori in attesa di un buon momento per vedere Peter.
In casa la signora cercò di dialogare con il marito, di nuovo nervoso e irascibile.
-Che colpa ha Eric? È un buon amico per Peter, con lui poteva sfogarsi! – gli disse mentre gli porgeva la colazione.
-Non tollero che mio figlio sia stato lasciato per un altro da quella sgualdrina! – tuonò l’uomo mangiando voracemente un pezzo di pane.
-Ti è sempre piaciuta Sophie! Eri così contento che stessero insieme – lo ammonì la moglie. 
-Perché non conoscevo la sua vera natura – bofonchiò lui – ma avremmo dovuto capirlo, è come sua madre.
-Non tirare fuori quella vecchia storia! – urlò la donna.
Improvvisamente sentirono il nitrito di un cavallo, dalla finestra videro che era Abel, intento a bussare alla porta.
-Fallo entrare – ordinò il padre di Peter alla moglie che scandalizzata rispose:
-Ma come? Hai appena detto che nessun Buttman dovrà entrare in casa!
-Mi deve dei soldi – sentenziò l’uomo – apri quella porta.
La moglie, stufa e stanca, si spostò in un’altra stanza lasciandolo solo con Abel.
Pensò di andare da suo figlio e magari convincerlo a parlare con Eric, il ragazzo doveva essere rimasto nei paraggi ed invece scoprì che i due si erano già incontrati.
-Mi ha bussato alla finestra – raccontò Peter alla madre – avevo voglia di parlarci. Lui dice che Sophie non era sicura del nostro matrimonio, era tanto tesa e quell’altro le ha fatto perdere la testa.
-Suo padre è qui ora – gli sussurrò la donna – sarà venuto per restituirci la somma.
-Eric ha detto che Abel vorrebbe che io e Sophie ci sposassimo al più presto – ammise il ragazzo.
Peter – gli disse allora dolcemente sua madre – questo è quello che vuole suo padre ma lei non è più innamorata!
-E io la sposerei comunque – replicò lui piangendo – non mi arrendo. 
-Parli così perché sei deluso, distrutto, amareggiato – gli rispose la mamma – vedrai che passerà. Ci vorrà del tempo ma passerà.
Intristita, la donna tornò in cucina e notò che suo marito era fuori con Abel.
Al rientro l’uomo le disse ad alta voce:
-Chiama Peter, domani andrò dal prete per anticipare le nozze!
-Come è possibile? – domandò allibita la moglie – I ragazzi devono parlare, devono chiarirsi …
-Il matrimonio si farà! – disse lui felice – L’altro era una sciocchezza, è meglio per tutti che vada così!
-Ma se prima avevi detto … -balbettò la donna.
-No, no – la interruppe subito lui – queste nozze si faranno. Ricorda che suo nonno è un conte e deputato, fa comodo anche a noi.
La moglie non gli disse più nulla, andò via sbattendo la porta.
Lo stesso gesto fece Georgie dopo che Abel le aveva raccontato tutto il dialogo col padre di Peter.
-E se scappassi da casa? – domandò Sophie a Eric quella sera – Potrei andare da Percy.
-Ne sei davvero innamorata? – le chiese lui dubbioso – E lui ti ama? Tu sei molto confusa Sophie, su tutto.
-Come vorrei essere felice come te! – gli confessò con le lacrime agli occhi.
Era ormai tardi, Sophie non aveva mangiato nulla per tutto il giorno e non aveva sonno.
Con sua madre si era confidata ma suo padre le faceva paura, non le era mai accaduto, mai.
Uscì dalla sua camera per recarsi in cortile quando udì un rumore per le scale e vide un’ombra muoversi.
Sentì delle voci bisbigliare, scese un gradino e vide suo padre entrare nella stanza di Daisy.
-Cosa ci va a fare? – pensò esterrefatta – A quest’ora, di nascosto.
Passò lì davanti, avrebbe voluto socchiudere quella porta oppure fermarsi ad origliare ma non lo fece.
Scappò fuori e pianse, se lei aveva deluso suo padre ora era lui ad averla profondamente amareggiata.
 
 
 

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Capitolo 21
*** In gabbia ***


La mattina successiva Eric e Maria arrivarono presto a casa di Georgie.
-Ascolta Sophie – disse il ragazzo alla cugina dopo essere entrato nella sua stanza – parlerò con tuo padre e cercherò di convincerlo ad annullare il matrimonio. Ho tutta la giornata disponibile, lui andrà dal prete soltanto stasera.
Abel infatti doveva andare al porto, all’ufficio dell’ingegnere, Eric aveva espresso il desiderio di condurre Daisy a vedere le navi e quindi sarebbero partiti insieme. 
Georgie sarebbe andata con loro.
-Voglio ci sia anche tu – le aveva detto suo marito – quando proporrò al prete di anticipare le nozze.
Erano pronti per la partenza, Abel, avendo sistemato del materiale sul carro, stava preparando il cavallo, Eric e Daisy si avvicinarono.   
-Faremo prima un giro sulla spiaggia – annunciò Abel che poi rivolgendosi alla ragazza disse – ti piacerà quella parte di mare.
Sophie era nel cortile e osservava tutto ciò che accadeva.
-Tranquilla – le sorrise Eric – tuo padre è sereno, riuscirò nel mio intento!
E le diede un buffetto sulla guancia.
-Tu sei molto innamorato di Daisy? – domandò inaspettatamente Sophie. 
-Certo – rispose con convinzione lui – perché me lo chiedi?
Lei, ancora scossa da ciò che aveva visto la notte scorsa, sussurrò:
-Perché ti voglio bene.
Poi andò da sua madre.
-Mamma – iniziò – io non sposerò Peter, piuttosto scappo di casa.
-Sophie troveremo una soluzione – affermò Georgie – Eric proverà a parlare con tuo padre e anch’io cercherò di farlo ragionare.
Negli occhi di sua figlia la donna rivedeva l’ardore che aveva provato lei, tanti anni fa, per Lowell.
I quattro partirono al più presto, Sophie, rimasta a casa con Maria si sentiva come un uccellino in gabbia, era tesa e preoccupata.
-Scommetto – chiese alla zia – che è stato papà a farti venire qui stamattina. Devi farmi da guardiano?
-Ma che dici Sophie! – esclamò Maria risentita – Lo sai che quando non c’è scuola vengo ad aiutare tua madre se lei ha da fare fuori.
La ragazza accettò quella risposta ma non ci credette fino in fondo, si sentiva controllata come un prigioniero.
Maria allora le si avvicinò dicendole con dolcezza:
-Ascolta Sophie, mi dispiace per tutto quello che è accaduto. Comprendo le preoccupazioni di Abel e credo tu abbia sbagliato ad accettare la proposta di Peter se non ne eri sicura. Vedrai che tutto si risolverà per il meglio! 
Fece una pausa, prese le mani della nipote e le disse poi con tutto il cuore:
-Per quanto riguarda quel ragazzo, Percy, non sarò io a rimproverarti. Ti sei innamorata di lui appena lo hai visto, la stessa cosa successe a me con Arthur, quanto ti capisco Sophie!
Quelle parole risollevarono la ragazza che, finalmente sorridente, disse a Maria:
-Allora mi capisci, comprendi i miei sentimenti?
Maria strinse a sé Sophie e le confidò:
-Anche se le circostanze erano tristi e drammatiche ed io ero una ragazzina viziata e ingenua, ti comprendo benissimo.
Le scese qualche lacrima, Sophie, ignorando tutta la storia, le domandò:
-Zia perché sei triste? Se eri innamorata …
-Cara – continuò Maria – l’amore è volere il bene dell’altra persona. Se è necessario devi anche saper lasciarla andare. Se poi è destino che deve star con te, vi ritroverete comunque.
-E tu e zio Arthur – affermò Sophie – vi siete rincontrati qui in Australia.
Maria annuì, la nipote le domandò:
-E mamma e Lowell perché si lasciarono?
-Lui era malato seriamente – rispose la donna – e Georgie non aveva il denaro per curarlo. Lo riportò da Elise, la sua fidanzata ufficiale, che proveniva da una ricca famiglia, era infatti mia cugina. Ma Georgie era destinata ad Abel, ne sono convinta. 
Sophie aveva ascoltato con interesse, non conosceva tutti i dettagli della storia a Londra della sua famiglia e non fece ulteriori domande perché sapeva che Maria non ne parlava volentieri.
Di Lowell però era curiosa e si chiedeva perché sua madre non lo avesse mai menzionato in sua presenza.
Assorta nei suoi pensieri non si accorse del nitrito di un cavallo che annunciava l’arrivo di qualcuno.
Fu Maria che, scostata la tendina dalla finestra, esclamò:
-C’è un tizio al cancello, non so chi sia!
Allora Sophie si affacciò e, con suo stupore, vide Percy appoggiato alla staccionata.
-Zia, è Percy! – gridò piena di gioia – Devo andargli incontro, è venuto da me!
Corse da lui, Maria non le impedì di raggiungerlo.
-Percy – lo salutò aprendo il cancello – come hai saputo dove abito?
-L’ho chiesto ad Olivya – rispose dopo averle baciato le labbra – vedi che non ho paura di venire a conoscere tuo padre?
Sophie s’intristì pensando alla sera precedente.
-Mio padre non è qui – disse – sono con mia zia.
Poi scoppiò in lacrime.
Percy l’abbracciò e le chiese delicatamente:
-Che ti succede, principessa?
-Devo raccontarti ciò che è accaduto l’altra sera – rispose lei. 
-Andiamo a fare un giro a cavallo – le propose Percy – può distrarti, poi mi dirai tutto.
-Se torna mio padre e non mi trova mi chiuderà veramente in convento! – esclamò Sophie intimorita.
Il ragazzo scoppiò a ridere e aggiunse:
-Non so cosa ti sia successo ma io ero venuto per invitarti ad uscire. Avrei tranquillamente affrontato tuo padre.
Sophie sapeva che era meglio non andare ma a quegli occhi e a quelle labbra proprio non riusciva a resistere.
Corse un attimo in casa per avvisare Maria.
-Zia – le annunciò – io vado con Percy, tornerò prima di sera non preoccuparti!
-Ma Sophie – le disse allibita Maria – cosa dirò ad Abel se non ti vedrà in casa?
-Oh non farò tardi – rispose di fretta – stai tranquilla! Quando rincaserò lui ancora non sarà ritornato.
-No, non andare – la supplicò Maria seguendola sino alla porta.
-Invece voglio andare – replicò la giovane – voglio stare con Percy.
Corse via per salire sul suo cavallo.
-Quella ragazza – pensò Maria vedendoli andar via insieme – si caccerà in un mare di guai!
Non sapeva che ben presto un’altra enorme tempesta si stava per abbattere sulle loro famiglie.
 
 

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Capitolo 22
*** Vento di burrasca ***


Abel si era seduto sugli scogli e osservava il mare, amava quell’immensa distesa azzurra, l’amava da sempre.
Da quando bambino, suo padre lo portava lì con suo fratello a giocare sulla riva.
Da quando andava al porto a vedere le navi nella loro maestosa grandezza.
Da quando si era imbarcato come marinaio.
Nel mare rivedeva se stesso, con i suoi istinti, le sue passioni, la sua rabbia, il suo impeto.
E anche quel giorno il mare, un po’mosso ed agitato, sembrava parlargli e dirgli cosa doveva fare. 
Passato e presente si intrecciavano di nuovo, Lowell che ritornava inaspettatamente come un fulmine a ciel sereno e la questione della paternità di Sophie che non era mai stata ben chiarita.
Eric e Daisy si rincorrevano sulla riva, almeno loro erano felici pensò, o quasi, quella ragazza bella e enigmatica nascondeva un segreto che lui conosceva bene ma non poteva rivelare.
E Georgie sulla spiaggia passeggiava, pensierosa e preoccupata.
Durante il tragitto non si erano mai rivolti la parola, lui era determinato ad andare dal prete per anticipare il matrimonio, lei avrebbe lasciato la sua bambina tra le braccia di quel Percy.
No, Abel questo non lo poteva proprio sopportare.
E non soltanto perché era il figlio di Lowell, a questo punto era solo un dettaglio.
La sua principessa non era più una bambina e questo lo aveva sconvolto.
Sì, stava per sposarsi, quindi che l’età dell’infanzia era passata da un pezzo lo sapeva bene ma vederla accanto a Peter era un conto, immaginarla insieme a quell’altro era impossibile.
Peter era affidabile e serio, una certezza per un padre.
Percy era invece tutto ciò che un padre non avrebbe mai voluto.
Peter aveva saputo attendere.
Percy non aveva saputo aspettare.
Se ci pensava gli ribolliva il sangue nelle vene.
La sua principessa era diventata una donna, ormai doveva accettarlo.
Ma il principe non poteva essere Percy, doveva essere Peter. 
Per lui doveva essere Peter.
E per Sophie?
Era giusto decidere per lei?
Era capace a prendere le giuste scelte?
Era fragile, insicura, indifesa, sognatrice.
Era una bambina.
Eh no, non era più una bambina.
Ripreso il viaggio, arrivarono al porto.
Si fermarono allo studio dove lavorava Abel, lui doveva prendere dei documenti per portarli al cantiere navale nel pomeriggio.
-Scendete con me – propose – io vado in ufficio, voi intanto potete andare a vedere le navi.
-Io resto qui – disse Georgie con disinteresse – sistemo la roba da portare all’emporio.
E si posizionò dietro al carro seguita da Eric che si offrì di aiutarla.
Mentre Abel scendeva con Daisy si sentì chiamare a gran voce:
-Abel, Abel, bentrovato!
Si voltò, erano due dei tre ragazzi che avevano lavorato con lui a Melbourne, stavano uscendo dallo studio dell’ingegnere. 
Abel, imbarazzato e stupito, se li ritrovò davanti; Daisy, impallidita, cercò di distanziarsi da lui.
-Ragazzi – balbettò – come mai qui?
-Abel – disse uno dei due meravigliato fissando la giovane – ma allora ne eri veramente innamorato! Hai quindi lasciato tua moglie?
Georgie, da dietro il carro, si avvicinò essendosi sentita chiamare in causa.
-La ragazza del bordello di Melbourne – esclamò l’altro riferendosi a Daisy che intanto aveva iniziato a piangere – ha allietato tutte le tue notti Abel che non l’hai potuta dimenticare.
A quelle parole Daisy si scostò sempre di più da Abel mentre Eric, che aveva sentito tutto, le si scagliò addosso gridando:
-Ma cosa stanno dicendo? Il bordello di Melbourne?
Poi guardò Abel che stava per replicare ma si rivolse di nuovo alla sua ragazza domandandole con ira:
-Eri una prostituta? Daisy rispondimi!
Lei, con gli occhi gonfi dal pianto, annuì e allora Eric fissando nuovamente Abel gli urlò con tutta la rabbia che aveva in corpo:
-Ti odio, vi odio a tutti e due!
E scappò via.
-Eric – lo supplicò Abel – fammi spiegare! 
-Cosa vuoi spiegare – si inserì Georgie che aveva ascoltato in disparte la conversazione – ha l’età di tua figlia, cosa mai vuoi spiegare!
-Non è come credete – iniziò a dire Abel – fammi chiarire, ti prego!
-Non avvicinarti – lo intimò lei – non voglio sentirti ora né vederti!
Salì sul carro e continuò:
-E facevi anche il moralista con Sophie, sei squallido Abel!
Frustò il cavallo con forza e si allontanò sconvolta.
Intanto lì al porto diverse persone avevano assistito alla scena, si era formato un piccolo capannello di gente.
I due ragazzi erano rientrati nell’ufficio imbarazzatissimi e Daisy era accasciata a terra piangente.
-Lo sapevo – le disse Abel – che non si poteva tener nascosto tutto per sempre.
-Mi ero illusa – sospirò lei – di poter cancellare il passato ma non è così! Non potrò mai avere una vita normale io, mai!
Abel le porse la mano per aiutarla a rialzarsi ma la giovane la rifiutò gridando:
-Vattene! Vai a recuperare i tuoi affetti, tu che puoi.
Georgie, frustando ancora più forte il cavallo, tornava a casa piangendo.
Abel l’aveva non solo tradita, delusa e umiliata ma l’aveva fatto con una ragazzina che veramente poteva essere sua figlia.
L’aveva detto quel tizio, aveva allietato tutte le sue notti a Melbourne, Georgie provava ribrezzo verso suo marito, era sconvolta e amareggiata. 
Non poteva ascoltarlo ora, non ce l’avrebbe fatta.
Forse più avanti, un altro giorno, con più calma.
Forse.
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Mia madre, tuo padre ***


-Quindi sei la figlia della famosa Georgie? – domandò Percy a Sophie dopo che lei gli aveva raccontato della lite con suo padre e di tutte le vicende che si erano succedute.
Erano arrivati alla prateria, si erano sdraiati sotto un albero e la ragazza si era confidata con il giovane narrando della burrascosa serata scorsa e del matrimonio annullato con Peter, alternando lacrime a singhiozzi mentre Percy l’ascoltava con interesse tentando di calmarla.
-Famosa? – chiese Sophie sbalordita – Cosa sai di mia madre?
-Molto – rise lui passandole una mano fra i capelli – anzi credo che tu le somigli tanto, almeno per come l’ho sempre immaginata io nella mia mente. 
Sophie era ancora più sbigottita e attonita.
-Mio padre mi ha parlato tanto di lei – riprese Percy – che è come la conoscessi di persona.
Fece una pausa guardando in terra poi affermò:
-È come facesse parte della mia famiglia!
Sorrise mentre Sophie sussurrò:
-Invece lei non mi ha mai nominato Lowell, ho appreso della sua esistenza soltanto l’altra sera.
-Sono scelte – disse con decisione Percy – forse tua madre voleva dimenticare il passato oppure non ha ritenuto opportuno parlarti di lui.
Sophie a quel punto s’incuriosì, non piangeva più ma attendeva che il giovane le raccontasse qualcosa.
E infatti Percy continuò:
-Georgie è stata il grande amore di mio padre, non l’ha mai dimenticata anche se non l’ha mai cercata in tutti questi anni.
Potrei descriverti i suoi capelli biondi e gli occhi color giada, la sua allegria e la sua gioia di vivere. Era sempre stata nei sogni di mio padre fin da quando era un bambino, assomigliava alla donna ritratta su un quadro che lui aveva visto e tanto l’aveva colpito.
Scoprì in seguito che si trattava della mamma di Georgie, quel dipinto era opera del conte Gerald. Tuo nonno, giusto? E tu dipingi, proprio come lui.
-E mi chiamo Sophie – lo interruppe di getto la ragazza – come la nonna.
-Che coincidenza! – esclamò Percy accarezzandole la guancia. 
-È il destino – sospirò lei con occhi sognanti – io e te siamo legati da qualcosa di più grande di noi.
-Ci ameremo – disse Percy con ironia- come i nostri genitori non hanno potuto fare? Credo che lo scorso pomeriggio abbiamo provato sensazioni che loro due insieme non hanno mai vissuto.
-Sai anche questo? – domandò lei arrossendo.
-Io e mio padre avevamo un buon rapporto – asserì il giovane – almeno fino a quando non ha lasciato mia madre ed è andato a vivere in un’altra casa.
-Mi dispiace – sussurrò Sophie ma lui continuò:
-Ci ho sofferto allora ma ero un ragazzino poi ho capito. Tra lui e mia madre non c’è mai stato vero amore, forse solo stima o amicizia e nulla più. La mamma è rimasta nella villa sul lago con Annie, la mia sorellina e mio padre è andato in città. E io sono stato mandato in collegio, a studiare in una scuola prestigiosa che odiavo con tutto me stesso. Mi sentivo un peso, un problema per loro, si erano voluti sbarazzare di me, almeno era quello che percepivo. Non studiavo e la mia condotta era pessima, mi feci espellere a una settimana dall’esame finale, mio padre fu costretto a riportarmi con lui ma ogni giorno era una lite continua. Decisi di partire, ho sempre amato viaggiare. Ho girato l’Italia facendo tappa nelle principali città interessandomi all’arte e alla bella vita. Poi sono tornato da lui, ero più maturo e abbiamo riallacciato i nostri rapporti. Lui e la mamma si sentono e si frequentano in modo cordiale, mio padre è molto tenero con Annie, è una bambina ed è meglio che non soffra troppo. Quando mi ha comunicato che doveva venire in Australia per affari e fermarsi per alcuni mesi ho deciso di seguirlo. È stato un modo per riavvicinarmi ancora di più a lui e, allo stesso tempo, di conoscere questa terra così affascinante. 
Sophie rimase colpita da quel racconto, si accorse che non sapeva nulla di Percy e soltanto ora stava iniziando a conoscerlo in modo più approfondito.
-Capisco – aggiunse lui tornando sfacciato – che non sono quello che un padre sogni per una figlia!
-Mio padre non deve più intromettersi nella mia vita – affermò Sophie ripensando a lui nella camera di Daisy.
-Non puoi impedirglielo – disse Percy sorridendo – non sei la prima che mi molla per colpa di un papà alquanto geloso e preoccupato!
-Io non ti lascerò! – esclamò la ragazza con decisione.
-Perché stiamo insieme? – domandò lui in tono beffardo.
-Percy non dirmi così! – gridò Sophie alzandosi di scatto.
-E dai! – la riprese Percy riportandola seduta – Non capisci mai quando scherzo!
-Te l’ho già detto – affermò la giovane – non prendermi in giro!
Ma Percy aveva già iniziato a baciarle le labbra.
-Domattina vieni da me – le propose – se stasera non puoi, per non discutere nuovamente con tuo padre, inventa una scusa e vieni domani. Magari porta tua madre così si rincontra con il mio!
Era incredibile come quel ragazzo riuscisse a scherzare e a non prendere sul serio qualunque situazione, pensava Sophie.
Ed era ancor più incredibile come lei stessa si lasciasse travolgere da quel forte sentimento, nonostante tutto.
La riaccompagnò a casa, lasciandola alla staccionata, era pomeriggio inoltrato.
-Vai – le disse – spero che tuo padre non sia rientrato.
-Se mi costringerà a sposare Peter – sussurrò lei – scapperò con te!
-Ci vediamo domattina – sorrise Percy – principessa!
Sophie corse verso la porta, non riusciva mai a capire se Percy facesse sul serio o no, questa cosa la inquietava ma ora la sua speranza era che Eric avesse mantenuto la promessa.
Aveva parlato con suo padre?
Era riuscito a convincerlo ad annullare definitivamente le nozze?
Rientrò piano piano, vide che in cucina c’erano soltanto Maria e Arthur.
-Sono tornata! – esclamò con voce squillante e tranquilla, avendo percepito l’assenza di Abel.
-Ma dove sei stata? – le domandò Arthur con tono severo – È tutto il giorno che sei fuori!
Sophie rimase basita, mai il suo amato zio si era rivolto a lei in quel modo.
-Non va bene – continuò Arthur innervosito – che te ne vai in giro con un ragazzo che conosci appena.
-Eravamo alla prateria – tentennò la giovane guardando Maria, cercando di trovare appoggio e approvazione.
Ma Arthur le parlò seriamente.
-Ascoltami bene – le disse – non sono d’accordo con Abel quando vuol farti sposare per forza con Peter, sono stato io il primo a dirti che se non eri sicura era meglio non compiere questo passo, ma fai attenzione con questo ragazzo, puoi rimanerci molto delusa.
Sophie non parlò, si mise seduta ancora scossa e triste.
Non fecero in tempo a continuare la conversazione che la porta si aprì di scatto.
Entrò Georgie, visibilmente sconvolta e nervosa.
-È finito tutto! – annunciò.
 
 
  
 
  

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Capitolo 24
*** Un'estenuante ricerca ***


Georgie era talmente provata che Arthur, Sophie e Maria si preoccuparono all’istante.
-Cosa è successo Georgie? – le chiese immediatamente Arthur avendola vista così sconvolta- Dove sono gli altri?
Lei si appoggiò ad una sedia e rispose:
-Li ho lasciati al porto, non voglio vedere Abel, almeno per un po’.
-Mamma, perché? – domandò subito Sophie – Cosa ha fatto?
-Quell’uomo – iniziò a dire – non merita di essere tuo padre, anzi non lo …
-Georgie – urlò Arthur con decisione – cosa dici!
Lei si bloccò ma poi, facendosi forza, raccontò tutto ciò che era accaduto quella mattina.
Mentre parlava teneva stretta la mano di sua figlia e guardava sia Maria che Arthur, entrambi sempre più tesi.
-Dove è andato il mio Eric? – chiese immediatamente Maria angosciata.
-Non lo so – rispose Georgie – è scappato disperato, credo abbia preso un cavallo lì al porto, povero ragazzo. 
-Devo andare a cercarlo – disse Arthur – subito! Non vorrei avesse fatto una pazzia, era molto innamorato di quella ragazza.
-Arthur, Arthur! – gridò Maria scioccata – Ti prego, riportalo a casa sano e salvo!
Marito e moglie si abbracciarono forte, Georgie affermò con decisione:
-Vi giuro che Abel non metterà mai più piede qui! Ora speriamo di ritrovare Eric.
Arthur uscì di corsa, prese il cavallo e si diresse verso il porto, stava scendendo la sera e non aveva la minima idea di dove suo figlio potesse essere finito.
-Maria – le disse Georgie con tenerezza – vedrai che Eric tornerà, non gli è accaduto nulla, ne sono certa.
-Lo spero, ma ho tanta paura – rispose singhiozzando l’altra.
Sophie era in piedi accanto alla finestra, troppe emozioni differenti si erano susseguite in quei pochi giorni, il suo giovane cuore era in subbuglio.
Georgie la raggiunse, aveva intuito perfettamente i sentimenti della ragazza.
-Piccola mia – le confidò – lo so, sei provata, ora dobbiamo sperare e attendere il ritorno di Eric, poi tutto si aggiusterà.
-Mamma – domandò la giovane - ma tu credi veramente che Eric si sia…
-No, no – le fece cenno Georgie di non continuare, Maria poteva ascoltare – Eric avrà avuto voglia di stare da solo. Tradito dalla sua ragazza e dal suo adorato zio!
-Io li ho visti, mamma! – esclamò sottovoce Sophie avendo lo sguardo nel vuoto.
-Chi hai visto? – chiese Georgie sbalordita. 
-Ieri sera – spiegò lei – papà entrava in camera di Daisy. Non ho detto nulla perché ero scossa per tutto, la mattina poi siete partiti e io speravo solo che Eric parlasse con lui e lo convincesse a non andare dal prete.
-In casa nostra! – puntualizzò Georgie con sdegno.
-Questa storia fa male mamma – aggiunse Sophie guardando fuori.
-Sapessi quanto fa male a me! – precisò la donna tornando seduta accanto a Maria che non aveva smesso di piangere.
Intanto Arthur cavalcava, correva verso il porto e sperava che a suo figlio non fosse successo niente.
Arrivò che era ormai buio, difficile fare le ricerche, provò a chiedere a qualcuno ma nessuno aveva visto, in giornata, quel ragazzo.
Perse le speranze di ritrovarlo lì ed essendo già notte, quindi inutile andare sulla spiaggia, Arthur riprese il cavallo pensando di risalire in paese e cercarlo là.
Stava per andar via quando da una viuzza scorse Abel che camminava in fretta.
-Arthur – gli gridò il fratello avendolo visto – è tutto il giorno che cerco Eric, ho setacciato la zona fino alla baia ma nulla!
Lui lo osservò con durezza e disse:
-Meglio che non ti fai vedere più né da lui né da noi.
-Georgie non mi ha fatto parlare, almeno tu ascoltami – lo supplicò – non è tutto come credete.
-Devo cercare mio figlio ora – rispose Arthur – e spero di ritrovarlo vivo. Vado verso il paese. 
-Vengo con te – insistette Abel – in due faremo meglio le ricerche.
-Allora sbrigati – gli disse Arthur serio – prendi il cavallo e andiamo.
Insieme andarono più veloce che potevano, la strada era buia, la speranza era che il ragazzo si fosse diretto al villaggio per poi rincasare.
Era notte fonda, al paese non si udiva alcun rumore, solo lo scalpitio degli zoccoli dei due cavalli che ora avanzavano lenti.
-Se non è qui – ammise Arthur rassegnato – spero sia tornato alla fattoria. Altrimenti non so proprio più dove cercarlo.
-Da chi può essere andato? – si chiese Abel ad alta voce – Da qualche amico?
A quel punto Arthur si fermò ed esclamò con un filo di speranza:
-Il dottor Dewy! Forse è da lui.
Corsero immediatamente alla casa del medico che era sopra lo studio per i pazienti e bussarono forte alla porta.
-Finalmente! – esordì il dottore vedendoli – Eric è qui da me. È tutta la sera che gli dico di tornare a casa, ora si è addormentato, era distrutto. Venite!
-Cosa vi ha detto? – domandò Arthur.
-Oh, molto poco – rispose Dewy – era sconvolto quando era arrivato qui. Era sera inoltrata. L’ho accolto e gli ho dato qualcosa da mangiare. È nel mio studio, fermatevi quanto volete.
E, aperta loro la porta, se ne andò con discrezione su nella sua stanza.
Eric dormiva sul divanetto della sala d’attesa del dottore, si capiva che era sfinito. 
-Lasciami solo con lui – disse Arthur al fratello – meglio non ti veda.
Abel acconsentì e uscì dalla saletta.
Non seppe mai cosa Arthur disse a suo figlio in quella circostanza ma capì che suo fratello era pronto a dargli un’altra possibilità perché dopo un po’ lo chiamò per farlo entrare.
Eric era lì, seduto sul divano con la testa fra le mani dopo aver pianto.
-Siamo qui per ascoltarti, Abel – disse con pacatezza Arthur.
 
 
 
 
 
  
 

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Capitolo 25
*** Ritorno al passato ***


Era già l’alba, Georgie, a casa con Maria e Sophie, aveva passato tutta la notte a sperare, a pregare e a disperarsi.
L’attesa era lunga, Arthur non era più tornato e le probabilità che ad Eric fosse accaduto qualcosa di spiacevole erano purtroppo elevate.
Maria non parlava più, era seduta accanto alla finestra da ore per cercare di percepire un suono, un rumore, un qualcosa o un qualcuno che le portasse una buona notizia che però ancora non era giunta.
Sophie girava per la casa, ora saliva le scale ora le scendeva e non aveva pace.
La luce entrava lentamente dalle finestre, si udì la voce di Maria che, assopita, ad un certo punto, gridò:
-Arriva un cavallo! Saranno loro?
L’immagine si fece pian piano più nitida, era un giovane ragazzo che lavorava a una fattoria limitrofa, abitava in paese e chiamava Georgie.
La donna, avendo sentito il suo nome, uscì immediatamente e lui, rimanendo in sella, le disse:
-Mi manda Arthur, mi ha detto di comunicarvi che Eric sta bene, è dal dottor Dewy, ha passato la notte lì e presto tornerà a casa. 
Il volto triste e stanco di Georgie si abbellì subito di un grande sorriso.
-Maria, Maria! – gridò – Vieni, è tutto risolto.
Poi, rivolgendosi al ragazzo, continuò:
-Grazie, grazie mille, sei stato ambasciatore di felicità!
In casa era ritornata la gioia, Maria avrebbe potuto ancora abbracciare quello che era sempre stato il suo bambino.
-Ora – disse a Georgie – bisognerà aiutarlo a superare questo momento così difficile.
-Ce la farà – rispose con vigore lei – ne sono certa.
E dentro di sé pensava ad Abel, a quale fossero le sue giustificazioni.
Eric era salvo, non aveva fatto una pazzia, si era rifugiato dal dottor Dewy ma Abel dov’era?
Questo si chiedeva Georgie e aveva voglia di parlarci, a mente fredda, per capire.
Intanto Maria saliva le scale per andarsi a riposare dopo una notte insonne.
-Mamma – la chiamò timidamente Sophie ora che erano sole – adesso che non dobbiamo più preoccuparci per Eric vorrei parlarti di Percy.
Georgie rimase stupita ma si avvicinò a sua figlia che era seduta sulla sedia accanto al camino.
-Sei molto innamorata di lui? – le domandò la donna con tono materno.
La ragazza non rispose subito, fissava la finestra poi di getto disse:
-Voglio stare con lui, non avevo mai provato qualcosa di così intenso. 
-Senti Sophie – la interruppe Georgie sorridendo – non sai molto di lui, può essere una passione fugace, passeggera. Non dico che devi tornare con Peter perché ho capito perfettamente che non lo ami ma tuo padre ha ragione, Percy non lo conosci.
-Ancora nomini papà! – la giovane alzò la voce e continuò alterata – Non deve più provare a giudicarmi o a dirmi cosa devo fare, se mai tornerà in questa casa.
-No, ascoltami – disse Georgie con fermezza – io ho sbagliato a scappare senza parlarci, ho bisogno di un confronto con lui, deve esserci una spiegazione.
-Una spiegazione? – Sophie era allibita – Ha frequentato una prostituta per mesi, una che ha un anno meno di me e quando l’ha rivista, perché al destino non scappi, ha taciuto tutto ingannando quel poveretto di Eric e noi. Ma soprattutto te, mamma, tradendoti anche in casa nostra!
-Non sappiamo con certezza cosa sia accaduto l’altra sera dentro quella stanza – affermò Georgie cercando di calmare sua figlia che invece scuoteva la testa.
-Lo stai giustificando? – chiese fra le lacrime – Come puoi negare l’evidenza!
-Conosco Abel – asserì Georgie – credimi, ci deve essere un’altra verità.
-Io non ne vedo un’altra! – sentenziò Sophie lasciando la stanza uscendo in cortile.
Sua madre non la seguì, preferì rimanere in solitudine. Salì nelle camere, cercò di tenere impegnata la mente e infine si buttò sul letto stremata.
Quando più tardi tornò in cucina trovò un biglietto sul tavolo.
“Sono andata da Percy. Lasciami stare con lui. Sophie.”
Quelle poche parole scarne, allarmarono Georgie. 
-Devo fermarla – disse a voce alta, stringendo il foglio tra le mani.
Avvisata Maria partì subito per la residenza dei Gray.
Aveva paura che sua figlia potesse scappare con quel ragazzo, sul calessino incitava il cavallo a fare più veloce.
Arrivata al palazzo ebbe un sussulto, la villa dei Gray, l’abitazione del governatore.
Il pensiero vagò lontano, alla gara di boomerang, al suo primo bacio inaspettato, alla gelosia di Abel, alla superbia di Elise, alla generosità di Arthur, a quell’invito alla festa rifiutato, al vestito rosa, al fiume, a Lowell.
Ora era davanti a quel palazzo, quel luogo dove tanti anni fa aveva sognato di entrare per ballare le apriva adesso i cancelli ma per un’altra questione.
Lei era una madre, ed era lì solo per la sua bambina.
Suonò e attese qualcuno che le aprisse, il pensiero andava ora a Londra, a quando sotto la neve scavalcò il muro della casa di Lowell e i cani le distrussero il suo bell’abito, cucito con le proprie mani.
Suonò di nuovo, ebbe il dubbio non ci fosse nessuno, s’intristì perché forse aveva fatto un viaggio a vuoto.
Ed invece ecco qualcuno avvicinarsi al cancello che chiese:
-Chi è? Chi è a quest’ora?
Georgie si voltò e vide un uomo avanzare verso l’entrata, lo riconobbe subito, erano passati tanti anni ma l’avrebbe riconosciuto fra mille.
E lui, quando la vide, incredulo, sussurrò: 
-Georgie? Sei Georgie? Sto sognando!
I due si guardarono, immobili, solo il cancello li divideva ma in realtà circa vent’anni erano fra loro, vent’anni in cui tante vicende erano accadute ma quando Lowell le aprì l’inferriata gli sembrò che Georgie era sempre stata là, ad attenderlo sorridente.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 26
*** Ricordi ***



 
I due increduli si abbracciarono rimanendo entrambi senza parole.
Lowell poi, facendosi coraggio, le disse:
-Georgie, non credevo di ritrovarti qui. Ti avevo lasciata a Londra, io partii per l’Italia e sinceramente, essendomi ambientato bene lì, ho preferito dare un taglio al passato. Sono in Australia per affari, quanti ricordi avevo lasciato in questa terra sconfinata, ma mai avrei pensato di rivederti!
Lei non riusciva a parlare, fu lui che domandò:
-Georgie, quanto tempo è trascorso?
-Un’eternità Lowell – sussurrò lei ancora un po’ imbarazzata, non smettendo di guardarlo stupita.
La invitò in casa e intanto le chiese il perché di quella visita.
-Quasi nessuno sa che mi trovo qui – spiegò Lowell – fra quindici giorni ripartirò e ultimamente sono stato impegnato in città in modo assiduo.
-Veramente – iniziò Georgie – ero venuta per conoscere tuo figlio Percy e parlarci.
Lowell si fermò sulle scale e allibito esclamò:
-Mio figlio Percy? 
Georgie continuò timidamente:
-Ha conosciuto mia figlia Sophie e lei se ne è innamorata al primo sguardo.
-Credo dobbiamo raccontarci molte cose noi due – disse lui incredulo – hai una figlia?
-Sì – rispose subito Georgie – e quando ho saputo che il ragazzo che frequentava era tuo figlio ho pensato ad un grosso scherzo del destino.
Lowell sorrise mentre faceva accomodare la sua ospite nel salone.
-Mi ha detto – continuò il discorso riferendosi a suo figlio – che oggi sarebbe uscito con una ragazza ma non gli ho fatto ulteriori domande, è spesso in compagnia di belle giovani!
-Immagino – sospirò lei sistemandosi sulla sedia – quindi non ci sono ora?
Lowell negò con la testa per poi continuare:
-Ha fatto colazione presto ed è uscito. Ha lasciato detto che tornerà stasera. Ti stai preoccupando?
-Un po’ – disse lei con sconforto – in questi giorni è successo di tutto in famiglia.
-Georgie – la interruppe lui dolcemente – raccontami con calma. Cosa hai fatto in tutti questi anni?
Non fu semplice per la donna ma iniziò a narrare tutte le sue vicissitudini, da Londra in poi, lasciando Lowell senza parole.
-Quindi – disse lui dopo aver ascoltato tutto – Abel non era morto e Arthur si trovava qui in Australia! È una vicenda che ha dell’incredibile! 
Georgie annuì sorridendo mentre lui continuò:
-Sarà felice Elise di apprendere che sua cugina Maria sta bene, molte volte si è domandata che fine avesse fatto quella ragazza così fragile dopo la fine di tutta la sua dannata famiglia.
-Oh sì – asserì lei – piuttosto perché Elise non è qui con te?
Lowell abbassò lo sguardo e cominciò a raccontare:
-Noi non stiamo più insieme da tempo, la nostra è solo un’unione di facciata. Io vivo in città mentre Elise sta in una villetta in campagna con Annie, la nostra secondogenita.
-Mi spiace – balbettò Georgie guardandolo.
-No, è stato meglio così – replicò lui – forse tra me ed Elise non ha mai funzionato, fin dall’inizio. Abbiamo avuto Annie dieci anni dopo Percy, speravamo che quella nascita risolvesse i nostri problemi ma così non è stato. Comunque siamo in buoni rapporti, la bambina è spesso con me, non le faccio mancare nulla ed è serena.
-Questo è bene – aggiunse Georgie sorridendo.
-Invece Percy – continuò Lowell in tono più serio – è sempre stato un ribelle, questa situazione l’ha portato a viaggiare, come volesse scappare, e ad amare molte ragazze senza mai legarsi seriamente a nessuna.
-Non ne sarà contenta la mia Sophie – esclamò Georgie riferendosi all’ultima affermazione – e dispiace immensamente a me, Lowell, saperti infelice.
-Ti ribadisco – rispose lui – che ci sono abituato, è stato meglio così. Tra me ed Elise non poteva funzionare.   
Georgie si sentì gelare dentro, Elise aveva da sempre amato Lowell ma forse lui provava per sua moglie solo immensa gratitudine.
-Anche tu non sei felice – le disse ad un certo punto Lowell – te lo leggo in volto.
-Sto passando un periodo difficile – ammise lentamente, poi specificò – con Abel. Ma non mi va di parlarne.
-Se non vuoi – aggiunse dolcemente Lowell – non dirmi nulla, non importa.
In quell’istante sentirono bussare, era il maggiordomo che entrava con un vassoio.
-Bevi del tè – la sollecitò Lowell facendo servire nelle tazze la bevanda – e ci sono anche dei pasticcini deliziosi.
Georgie sorrise pensando ora ai dolcetti della nonna, a Londra.
Era passato veramente tanto tempo, nel suo cuore sentiva molta malinconia.
Sorseggiò il tè osservando l’uomo che le era seduto accanto.
Cosa era rimasto del ragazzo che le aveva fatto provare i primi palpiti d’amore?
Vedeva una persona forse provata ma sicuramente matura e responsabile.
E cosa era rimasto della Georgie di allora?
Poco. Tanto. Nulla. Chissà
Si sentì prendere la mano, Lowell le sussurrò:
-I tuoi occhi sono sempre gli stessi, più tristi ma così penetranti. Sei bellissima Georgie. 
-Sono una donna – disse con fermezza lei – e tu un uomo. Non siamo più i due ragazzini sprovveduti di una volta. Anzi, io sono soprattutto una madre e sono qui per mia figlia.
Lowell annuì e continuò:
-Sono così felice di averti rivista, il destino ci ha ricongiunti per mezzo dei nostri ragazzi.
Georgie pensò che la dolcezza di Lowell era rimasta immutata.
È vero, era una madre ma era anche una donna, una donna delusa e tradita.
Per un momento chiuse gli occhi volendo abbandonarsi tra le braccia di quell’antico amore ritrovato.
Ma Abel dov’era?
E soprattutto, qual era la sua verità?
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 27
*** Tutta la verità ***


Quando Abel iniziò a parlare Eric aveva gli occhi bassi, non riusciva a guardarlo neppure per un istante, fissava il pavimento ma ascoltava, aveva promesso a suo padre che avrebbe ascoltato attentamente.
Arthur, invece, scrutava suo fratello e, in cuor suo, sentiva ci dovesse essere una spiegazione plausibile all’intera vicenda.
Non capiva quale ma sperava ardentemente ci fosse.
-Quando ero a Melbourne per lavoro – narrò Abel – alcune volte, andavo a mangiare con i miei giovani colleghi in un locale vicino al porto. Era un posto alla buona, senza pretese ma con una cucina veramente ottima.
Una sera, dopo aver cenato, uscimmo per una passeggiata e, capitati davanti a un bordello, i ragazzi decisero di entrare. Era una serata tranquilla, poca gente in giro e un vento fresco che lambiva gli abiti ancora leggeri.
Io non ne avevo assolutamente voglia, conoscevo il caos di quei luoghi, non m’interessava minimamente ma spinto dai miei compagni, tra insistenze e battute, varcai la soglia. E mentre i miei amici prendevano accordi con la tenutaria io rimasi sulla porta senza far nulla.
Sistemati i ragazzi la donna iniziò ad osservarmi, mi guardava esaminandomi in silenzio con un sorriso beffardo in volto. Io ero ancora fermo sull’uscio. 
Lentamente si avvicinò dicendomi che aveva diverse disponibilità ma io la pregai di non insistere che non ero lì per divertirmi ma solo per accompagnare degli amici.
Lei si fece una grossa risata e mi propose una delle sue migliori ragazze, quella che, a suo dire, era perfetta per un tipo come me.
Stavo per andarmene ma quella mi convinse a rimanere pregandomi di salire le scale e di entrare nella prima stanza a sinistra, lì avrei trovato la donna con cui passare la serata ideale.    
Non ero convinto per niente e non so perché decisi di salire. Forse curiosità, sfida o semplicemente desiderio. O forse il destino.
Andai per non sentire più la voce insistente e petulante della tenutaria e lentamente aprii quella porta.
Nell’anticamera mi tolsi la giacca, mi lavai le mani e poi entrai in silenzio nella stanza.
La vidi per la prima volta lì, tra la luce soffusa e le lenzuola bianche, seduta sul letto mentre si raccoglieva i capelli neri dietro la nuca lasciando scoperti il collo e il seno.
Il candore della sua pelle si contrapponeva allo squallore circostante, perché intorno, nonostante le luci, le tende, i pizzi, si percepiva una situazione di tristezza assoluta.
Mi avvicinai, mi salutò con fare provocante attendendo che mi sedessi accanto a lei ma io, avendo visto che era così giovane, mi misi un po’ distante chiedendole soltanto il suo nome. 
Rimase stupita dicendomi che si chiamava Daisy e che solitamente nessun uomo le faceva domande interessandosi a lei ma io risposi che ogni persona ha un nome, che ogni essere umano ne ha diritto.
Poi le dissi che poteva essere mia figlia e non me la sentivo neppure di sfiorarla.
Presi un lembo del lenzuolo e la coprii, mi alzai guardandole ancora quegli occhi così intensi ma tristi.
Mi fermò sussurrando che l’avrei messa nei guai andando via subito, se un cliente non era soddisfatto la tenutaria se la sarebbe presa con lei inevitabilmente.
Allora mi girai, tornai indietro e mi sedetti sul bordo del letto dicendole che sarei rimasto lì a parlarle, nessuno avrebbe saputo mai la verità chiusa fra quelle quattro mura.
E così feci, rimasi accanto a lei chiedendole della sua vita, della sua storia.
Con me si confidò, piangendo anche.
Mi raccontò di sua madre, morta di parto. Crebbe con suo padre e la sua nuova donna ma senza affetto e senza amore, l’uomo la riteneva responsabile della morte della moglie.
Non ebbe un’infanzia felice, ricordava con gioia solo le ore trascorse a scuola, studiare le piaceva ma non le fu possibile continuare, a casa soldi non ce n’erano, il padre beveva e non riusciva a trovare un’occupazione stabile.
Fu proprio suo padre a condurla lì, alla casa di perdizione, sperando in guadagni facili e cospicui.
L’uomo che avrebbe dovuto proteggerla l’aveva data invece ad altri uomini per dispensare amore senza mai provare amore. 
Provai un forte senso di disgusto nel sentire quel racconto e purtroppo percepii in lei tanta rassegnazione.
Restò nel bordello anche dopo la morte del padre, non riusciva a staccarsi dall’essere una ragazza perduta.
Mentre mi parlava vidi nella giovane un’infinita dolcezza, aveva pian piano tolto la maschera e con me stava rivelando la sua parte più pura.
Quando me ne andai mi ringraziò con un sorriso infantile, da bambina e io pensai a Sophie, la mia dolce principessa.
Ero confuso, disorientato e a tratti sconvolto.
Quella ragazza non aveva avuto un padre, né una famiglia dove rifugiarsi.
Era sola, il bordello le aveva fatto da casa, le sue compagne di sventura da sorelle.
Mentre scendevo le scale ebbi un’idea, mi balenò in mente così, d’istinto.
Andai dalla tenutaria e le dissi che volevo esclusivamente per me quella ragazza, per tutte le sere a venire finché sarei rimasto in città.
La donna inizialmente stupita e allibita si mostrò contraria alla proposta, i clienti devono variare, mi disse, non si può correre il rischio di creare legami amorosi. Ma io risposi che avrei pagato il doppio delle abituali prestazioni e lei accettò.
E così, tutte le sere, andai lì chiudendomi nella camera a sinistra dopo le scale, noncurante di tutto e tutti, per preservare quella ragazza da altro male, parlando con lei come un padre fa con una figlia.
Non m’interessò dei commenti dei colleghi e della gente che mi vedeva entrare abitualmente in quella stanza, il mio unico desiderio era di proteggerla dal mondo. 
L’ultima sera andai via con il cuore spezzato, piangendo per il futuro di quella giovane donna ma se è stato il mio gesto a farle cambiar vita ed uscire da quella strada buia ne sono ben felice.
Io, credetemi, non l’ho mai neanche sfiorata, in nessun modo.

Il lungo racconto di Abel era così terminato.
Arthur, visibilmente commosso, approvava con lo sguardo le parole del fratello mentre Eric, finalmente, lo osservava senza rancore.
Il silenzio fu rotto proprio dal giovane che, rivolto ad Abel, disse:
-Tutto questo ti fa onore, ma a me cambia poco. La ragazza che amavo non è quella che credevo. Andiamo a casa, ci attenderanno tutti!
E si alzò lentamente andando verso la porta.
Abel lo seguì ma Arthur fermò entrambi dicendo:
-Aspetta Eric, ora sarò io a raccontarti una storia. Ascoltami e poi sarai libero di scegliere cosa fare.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 28
*** Rinascita ***


Eric si voltò e dagli occhi di suo padre capì che era bene fermarsi.
Abel, un po’ sorpreso, rimase in piedi accanto alla porta avendo intuito che Arthur volesse parlare in intimità con suo figlio senza però escluderlo completamente dal discorso.
Il ragazzo tornò seduto, questa volta di fronte a suo padre che, arrotolatosi la manica sinistra della camicia, mostrava al figlio due cicatrici sul polso domandando:
-Vedi queste Eric? Questi segni?
Abel impallidì intuendo subito a cosa suo fratello si riferisse, il giovane rispose stupito:
-Ti feristi lavorando nei campi, anni fa.
-Questo è quello che ti raccontai quando eri un bambino – disse Arthur – adesso sei un uomo ed è bene che tu sappia la verità.
Eric non capiva, era meravigliato ed attendeva che suo padre andasse avanti con la narrazione. 
-Questi – continuò Arthur – sono i segni di un passato che, a volte, riaffiora e fa male, quando li guardo penso che sono vivo per miracolo ma ce l’ho fatta ad andare avanti.
Abel si era voltato verso la finestra e piangeva perché ricordava bene quell’episodio.
-Quando ero a Londra – disse Arthur dopo un attimo di silenzio – tentai il suicidio e queste cicatrici me le porto dietro da allora.
Conosci un po’ la mia storia in Inghilterra Eric, ne avevamo già parlato!
Il ragazzo sussurrò una risposta affermativa, aveva gli occhi pieni di terrore.
-Qualcosa sai – continuò suo padre – e non immagini che sofferenze, umiliazioni, vessazioni ho subito.
E, tornato qui in Australia, non ero più la stessa persona di quando ero partito perché quelle violenze mi sono rimaste dentro, nel corpo ma soprattutto nell’anima.
Fece un’altra pausa per poi guardare nuovamente suo figlio negli occhi e continuare a parlare:
-Eppure tua madre mi ha voluto bene, sempre, senza mai un ripensamento.
Mi ha accettato con tutti i miei drammi e sentendosi anche in colpa perché quel male mi era stato inflitto dalla sua famiglia.
-Perché mi racconti tutto questo? – chiese il giovane con impeto – Io e te non abbiamo mai affrontato questi argomenti, mai!
-Ed è giunto il momento di farlo! – rispose Arthur con determinazione – Voglio che tu sappia che puoi sempre contare su di me, per qualunque problema io ci sarò.
Quegli eventi mi hanno segnato ma non mi hanno distrutto.
Si può rinascere da un dolore e da un passato seppur terribile.
Il ragazzo annuì guardando suo padre con altri occhi. 
-Il passato – aggiunse Arthur pacatamente - non si può cambiare Eric, non ti lascerà mai ma se tu ami veramente quella ragazza accoglila con te con i suoi dolori, i suoi problemi, le sue angosce.
Nella sala d’attesa del dottor Dewy non si udiva più alcun rumore, né una parola.
Fuori l’alba annunciava ormai un nuovo giorno, giorno di chiarimenti come la luce del sole.
Arthur, in quel momento, pensò che mai si era confidato col suo ragazzo in quel modo, ma era felice di averlo fatto.
Padre e figlio, per la prima volta, avevano trovato un altro canale per comunicare, forse duro e pieno di sofferenza eppure indispensabile per entrambi.
Eric si girò verso Abel chiedendogli immediatamente:
-Sai dove è andata Daisy?
Abel scosse la testa, non lo sapeva, nessuno si era più occupato di lei dopo la scena al porto.
-Aiutatemi a ritrovarla – li implorò Eric – non voglio perderla mai più!
Corsero ai cavalli dirigendosi verso la stazione, forse la ragazza stava ritornando a Melbourne, la città da dove proveniva.
Fu l’unico posto venuto in mente a tutti e tre.
La speranza di Eric era di ritrovarla lì e che non fosse già partita.
L’avrebbe altrimenti cercata altrove, raggiunta alla scuola per infermiere o in capo al mondo.
L’amava, questo era ciò che sentiva nel profondo. 
Arrivati alla stazione videro il treno diretto per Melbourne fermo al binario.
Diversi passeggeri stavano salendo, Eric si fece largo tra la folla cercando di scorgere Daisy mentre Abel e Arthur chiedevano informazioni al capostazione.
Per una volta la sorte era stata benevola, Daisy era seduta nel penultimo vagone.
Eric la scorse, le bussò al finestrino, lei rimase allibita vedendolo lì che la chiamava e saliva sul treno correndo.
Abel fermò il capostazione che stava per fischiare la partenza mentre Arthur gli chiedeva di ritardare solo per un attimo l’avvio.
-Daisy – disse con sicurezza Eric giunto accanto a lei sul treno – non andar via, non scappare da me, ti avrei ritrovata ovunque.
E le tese la mano per portarla con sé, davanti ai passeggeri sorpresi e curiosi.
-Non puoi stare con una come me – sussurrò la giovane guardandolo con malinconia.
-Non mi interessa il tuo passato Daisy – affermò Eric – è il presente che conta e so che ti amo. E se penso a un futuro lo immagino solo con te.
Tra gli applausi, i sorrisi e le grida della gente riuscì a condurla giù dal vagone mentre il capostazione infuriato finalmente faceva partire il treno.
Sulla passerella si baciarono senza pensare più a nulla tra i rumori, il via vai e lo sguardo dei passanti.
Il passato si era dissolto con il fumo del treno.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 29
*** Verso il domani ***


Tornava a casa Georgie col piccolo calesse e lungo la strada pensava e s’interrogava.
Che fine aveva fatto Abel? E Sophie? Era rientrata?
Il suo cuore era sconquassato, nel giro di poco tempo aveva provato la forte delusione per il tradimento di suo marito e la gioia inaspettata di aver rivisto Lowell.
Ma Abel era davvero un traditore?
-Tra venti giorni ripartirò per l’Italia – le aveva annunciato Lowell – se tu volessi riaprire quel capitolo chiuso tanti anni fa io ti attenderò su quella nave.
Poteva lasciare di nuovo la sua terra, la sua famiglia per un sogno di ragazzina?
No, lei aveva fiducia in Abel e doveva ascoltarlo.
Giunta a casa, stanca, dubbiosa e comunque provata, vide dei cavalli alla staccionata, pensò fossero di Arthur ed Eric, il ragazzo doveva essere sicuramente tornato.
Arrivata sulla soglia sentì il vocio dei suoi familiari, quei suoni a lei noti così rassicuranti.
Le sembrò ascoltare la voce di Abel ma pensò si trattasse di un errore ed invece, quando aprì la porta, lo vide lì, accanto ad Arthur che sorrideva.
Le pareva di esser entrata in un sogno ovattato, dove tutto è confuso e i personaggi sono là che ti guardano senza dire nulla. 
Non soltanto Abel e Arthur ma anche Eric, Maria e addirittura Daisy erano attorno al tavolo.
E Sophie che si alzava per andarle incontro.
-Mamma – le disse – devi ascoltare tutta la vera storia!
Ma Georgie era confusa, si limitò a dire a sua figlia:
-Sei tornata? Sono andata fino a casa di Percy.
Fu Daisy a prendere coraggio e a raccontare tutta la verità a Georgie.
Fu un racconto sincero, dove la ragazza si aprì nuovamente a quelle persone che erano diventate la sua famiglia.
E Georgie ebbe la conferma che Abel era l’uomo della sua vita.
Con quella narrazione tutto, o quasi, era tornato al posto giusto.
Sophie non provava più rancore verso suo padre anzi, aveva compreso ancor di più che persona speciale fosse.
Era ormai quasi sera e Eric e Daisy si erano allontanati dal focolare per andare in cortile.
-Eric io non avrei mai voluto mentirti – sussurrò Daisy – è che quando ci siamo incontrati, tu mi hai subito creduta una brava e semplice studentessa e a me piaceva recitare quella parte.
-Ma te per me sei quella, Daisy – la rassicurò lui – così dolce e delicata, riservata e timida.
-Ho sempre sognato di essere una brava ragazza – continuò Daisy con vigore – una che studia, si trova un lavoro onesto e un fidanzato che la domenica la porta a pranzo dai suoi genitori. Quando mi hai proposto di venire a conoscere la tua famiglia ero così felice che non ho osato raccontare la verità. Ho avuto paura che il mio sogno andasse in frantumi. Chi mai avrebbe voluto una come me in casa? E invece ho ritrovato Abel, capii che le bugie hanno vita breve. Ma era così bello essere coccolata da tutti, sentirsi parte di una famiglia ma e soprattutto essere amata da te.
-Guarda che io ti amo davvero! – sorrise Eric prendendole la mano.
-Ti ho ingannato – continuò la giovane – facevo la sostenuta, la ragazza che avrebbe aspettato il matrimonio e invece non sono nulla di tutto questo!
-I tuoi sentimenti – ribadì Eric – come il tuo animo sono puri ed è tutto ciò che conta per me.
Allora Daisy, con le lacrime agli occhi, si rifugiò fra le sue braccia per poi continuare:
-Volevo solo essere una ragazza normale, come tutte le altre e provare cosa significhi avere accanto qualcuno che ti protegge, che si preoccupa per te e che ti ama con cuore sincero.
-Ti ripeto che sono qui – disse con sicurezza Eric – non andrò via. Mai più!
Mentre i due rimasero abbracciati sotto l’albero in cortile, Arthur e Maria erano in casa, accanto alla finestra.
-Pensi che Eric – domandò la donna – abbia fatto la scelta giusta?
-Io credo proprio di sì – rispose Arthur con decisione, stringendo a sé sua moglie, pensando a quanto era stato fortunato lui ad avere accanto una compagna come Maria.
Il tempo delle vacanze ormai terminò e, qualche giorno dopo, i due giovani ripartirono per Melbourne dove avrebbero ripreso i loro studi. 
Non sapevano cosa avrebbe riservato loro il futuro ma avevano capito di amarsi veramente, senza più indecisioni.
Chi invece guardava con incertezza al domani era Sophie che, dopo quella giornata, non aveva più rivisto Percy né era più uscita per incontrarlo.
Georgie la vedeva solitaria e scostante, la ragazza preferiva non parlare.
-Ti piace rifugiarti qui? – le disse una mattina Arthur avendola vista seduta sull’altalena che Abel le aveva costruito quando era una bambina – Io sto tornando alla fattoria, vuoi venire?
Sophie scosse la testa, lui le andò accanto e sedutosi fra l’erba sussurrò:
-Hai voglia di parlare?
La ragazza abbassò lo sguardo e disse:
-Devo fare una scelta, spero di non deludervi di nuovo!
-Pensa a cosa è meglio per te – affermò Arthur con calma – non al giudizio degli altri.
In quel momento Sophie sorrise e asserì:
-Riesci sempre a capirmi e io ti voglio un bene immenso!
Arthur si alzò, le fece una carezza e disse:
-Qualunque scelta tu prenda, confidati sempre con i tuoi genitori, loro sapranno indirizzarti e consigliarti.
Sophie ringraziò senza le parole, bastava uno sguardo tra loro.
Quel pomeriggio, scese in cucina e, mentre Georgie rammendava delle camicie e Abel sistemava la legna nel camino, Sophie annunciò: 
-Devo andare a parlare con Peter, tornerò per cena!
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 30
*** Volare via ***


Quando Sophie tornò a casa fu accolta con grande serenità da Georgie che, preparata la tavola, annunciava che la cena era quasi pronta.
Abel invece, era in disparte accanto al camino, come in attesa di qualcosa che doveva accadere.
La ragazza, avvicinatasi a loro, rimase in piedi senza parlare, mentre sua madre affaccendata sembrava non curarsi della sua presenza.
In realtà, sia Georgie che Abel, aspettavano con ansia le rivelazioni della figlia.
-Sono stata da Peter – esordì Sophie attirando l’attenzione dei suoi genitori – mi pareva corretto chiarire alcune cose con lui.
Georgie si sedette lentamente, come per ascoltare meglio, Abel non si mosse dal suo posto. 
-Non voglio – continuò la giovane – che voi abbiate ancora problemi con la sua famiglia e così ho parlato anche con suo padre, scusandomi per il mio comportamento.
-Quindi non vuoi tornare con lui? – domandò Georgie.
-No mamma – rispose con sicurezza Sophie – io non sono innamorata di lui e Peter merita tutto il meglio possibile. Gli auguro di incontrare una ragazza che lo ami sinceramente e per sempre.
Georgie approvò con lo sguardo poi chiese:
-E Percy? Tornerà in Italia, Lowell mi ha detto essere prossimo alla partenza.
-Percy rimarrà in Australia – spiegò Sophie – non seguirà suo padre ma si stabilirà qui per un lungo periodo.
-E tu vuoi stare con lui? – domandò Georgie con delicatezza – Di lui sei innamorata?
Sophie non rispose subito, fu Abel che inaspettatamente prese la parola.
-Se vuoi frequentarlo – disse alzandosi – hai la mia approvazione ma dovrai presentarcelo. Gradirei conoscere il ragazzo con cui esce mia figlia!
Sophie scosse la testa e guardando sua madre affermò:
-Io voglio partire. Io voglio andare in Europa con il nonno.
Quella frase spiazzò entrambi poi Abel, ad alta voce, disse di getto:
-In Europa? Non se ne parla proprio! E cosa ci vai a fare così lontano? 
-Io, io – balbettò Sophie – voglio conoscere il mondo. Adoro dipingere, è ciò che mi riesce meglio e lì potrei vedere e toccare con mano la vera arte. Il nonno si stabilirà a Roma, è un’occasione irripetibile per me! 
-Ne hai parlato con lui? – chiese Georgie ancora attonita ma in fondo interessata al desiderio di conoscere e viaggiare di sua figlia.
-No, ancora no – rispose Sophie – ma non credo abbia nulla in contrario. Potrò fargli compagnia e quando lui avrà i suoi impegni politici io me ne starò ad ammirare la città, a seguire corsi d’arte. Staremo bene insieme.
-Sophie – le disse Abel – dovrai stare per più di due anni lontana da casa, è troppo!
-Ma ci sarà il nonno con me! – aggiunse lei con voce tremula – Non sarò sola.
-Cosa mai dovrai farci con l’arte! – esclamò Abel alterato – Non la trovo una buona idea, per niente!
E uscì di casa ancora più nervoso.
-Mamma – piagnucolò Sophie – perché reagisce così? Ogni cosa che faccio non va mai bene!
-Ascolta cara – la rassicurò Georgie – parlerò con il nonno, innanzitutto bisogna capire se può portarti con lui e poi vedrai che tuo padre si tranquillizzerà. È fatto così, è impulsivo, se la prende sul momento ma ti vuole un bene dell’anima. Non vuole perderti e non vuole starti lontano.
Sophie abbracciò sua madre, forte, in quel momento ne aveva proprio bisogno.
Passò qualche giorno, alla fattoria era tempo di raccolto, Abel e Arthur erano immersi nel lavoro aiutati da alcuni ragazzi del villaggio chiamati per l’occasione. 
Dopo pranzo, mentre tutti facevano una pausa, i due fratelli si diressero in casa.
Sulla porta Abel esordì:
-Che faccio Arthur? Permetto a Sophie di partire per l’Europa? Starà via per due anni, un’eternità!
-Io ti posi la stessa domanda, se ricordi – disse Arthur voltandosi – riguardo Eric. Tu mi aiutasti a capire che era bene lasciarlo andare all’Università e non costringerlo qui a lavorare alla fattoria.
-Ah, ma Eric – iniziò a dire Abel subito fermato dal fratello che aggiunse:
-Non dirmi che Eric è un ragazzo e quindi ha diritto a più libertà di Sophie! No, anche lei deve inseguire i suoi sogni. Ama dipingere, può farle bene viaggiare, conoscere ciò che ha letto solo sui libri! Città come Parigi e Roma la arricchiranno culturalmente. E poi c’è Fritz che veglierà su di lei.
Abel, appoggiato all’uscio, guardava lontano.
Arthur lo spronò affermando:
-Non fermare il suo volo, ti sto ripetendo le stesse parole che mi dicesti tu quel giorno. I figli non ci appartengono, devono seguire la loro strada, noi non possiamo far altro che lasciarli andare verso il domani.
Abel annuì e con lo sguardo pieno di gratitudine domandò al fratello:
-Te l’ho mai detto che ti voglio bene?
Arthur, sorridendo, rispose:
-Forse no, ma me lo hai dimostrato in ogni circostanza. 
Era una bella giornata di sole, al porto tutta la famiglia era radunata per salutare il conte e Sophie, prossimi alla partenza.
-Tornerai per la laurea di Eric? – chiese Maria alla ragazza dopo averla abbracciata.
-Certo, non me la perderei per nulla al mondo! – esclamò Sophie mentre Arthur la stringeva forte baciandola sulla fronte.
-Hai promesso che ci scriverai – disse Abel con la voce spezzata ma non ottenne risposta perché la ragazza stava singhiozzando rifugiandosi fra le sue braccia.
Entrambi rimasero immobili, l’uno accanto all’altra, consolandosi a vicenda.
Intanto Fritz aveva salutato tutti e si stava dirigendo verso la nave esortando Sophie a seguirlo.
Georgie li accompagnò fin sulla banchina, distanziando gli altri rimasti più indietro.
Il conte era ormai salito portando un bagaglio a mano, Sophie voltandosi verso sua madre le domandò:
-Mamma, chi è stato il tuo grande amore?
Un po’meravigliata Georgie rispose:
-Abel certamente, perché me lo chiedi?
-E Lowell? – domandò allora la ragazza.
-È stato il mio amore di gioventù – affermò la donna col sorriso sulle labbra.
Allora Sophie si fece coraggio e sussurrò:
-E zio Arthur? 
Completamente spiazzata ma con forza, Georgie prese la mano di sua figlia e ammise:
-Arthur? Mi ha dato uno dei beni cui tengo di più …
Sophie quindi strinse più forte la mano di sua madre e le disse:
-È come l’avessi sempre saputo, nel mio cuore ho sempre sentito fosse così.
Pian piano le due mani si staccarono, senza distogliere lo sguardo da Georgie Sophie s’incamminò, finché si voltò per salire sopra quell’imbarcazione che l’avrebbe condotta verso nuove esperienze.
Nel cielo un gabbiano volava lontano.
 
 
 
 
Qui finiva, in origine, la storia.
Dato che ho deciso di continuarla, per diversi motivi, primo fra tutti il piacere di scrivere, vi do appuntamento ai prossimi capitoli. Se vorrete leggere ne sarò lieta.
Grazie per essere arrivati fin qui.
Francesca
 

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Capitolo 31
*** Tre anni dopo ***


Seconda parte

 
-Congratulazioni dottore! – esclamò Sophie con un enorme sorriso in volto.
-Oh, ma fatti abbracciare! – disse Eric stringendola forte a sé e sollevandola un poco da terra aggiunse – Mi sei mancata, tre anni che non ci vediamo mi son sembrati il doppio!
Le prese la mano e, facendole fare una piroetta attorno al suo braccio, affermò:
-Hai proprio l’aria di un’elegante e sofisticata signorina europea.
-E tu – lo schernì lei – di un noioso e saccente laureato in medicina!
Risero entrambi poi Sophie disse con orgoglio:
-Sei stato bravissimo, anche se non abbiamo capito molto mentre discutevi la tua tesi, siamo tutti fieri di te.
-Il linguaggio medico – spiegò il ragazzo – non è di facile comprensione.
-L’importante – asserì Sophie – è che ti abbiano capito tutti quei professori!
Risero di nuovo quindi si spostarono verso le scale per dirigersi all’uscita dell’ateneo.
Tutta la famiglia era già fuori, pronta per i festeggiamenti, sarebbero andati a pranzo insieme in un locale non molto lontano da lì.
Erano arrivati a Melbourne la mattina presto, dalla stazione si erano subito diretti all’università per assistere alla seduta di laurea.
Daisy li aveva attesi per poi condurli nell’aula magna dove Eric aveva discusso brillantemente la sua tesi. 
La gioia di Arthur e Maria era tangibile, si percepiva non soltanto dai loro occhi ma dal viso, dai gesti e da ogni parola che proferirono durante quella lunga giornata.
Anche Georgie e Abel erano felici per quell’importante traguardo raggiunto dal nipote e avevano assistito con commozione alla proclamazione del nuovo dottore.
Il primo bacio era stato per Maria, poi per Daisy e pian piano tutti gli altri, con un abbraccio in particolare pieno di gratitudine per il conte Gerald, il cui contributo era stato determinante per terminare gli studi.
Sophie era voluta rimanere per ultima, forse per trattenersi di più con Eric e parlarci da sola come non faceva da ormai tanto tempo.
-Quando siete tornati in Australia? – le domandò il giovane con curiosità – Non ci speravo più di vedervi qui alla mia laurea. Nelle ultime lettere scrivesti confermando la volontà di rimanere più a lungo in Italia, anche per via dei numerosi impegni di nonno Fritz e quindi credevo che non avreste fatto in tempo.
-Sarei venuta a nuoto! – esclamò la ragazza con stupore – Avevo promesso a tua madre che ci sarei stata alla tua laurea e lo volevo con tutto il cuore.
-Grazie Sophie – si commosse Eric – sai quanto ci tengo alla nostra famiglia e dividere la mia gioia con voi è fondamentale per me.
-Ed io volevo esserci perché ci tengo troppo a te – affermò lei soffermandosi sulla porta che conduceva verso un lungo corridoio.
Lo percorsero per poi arrivare a scendere altre scale.
-Decidemmo di fermarci un altro anno a Roma – continuò Sophie – sia per alcuni impegni sopraggiunti del nonno che per il mio desiderio di continuare a studiare in quella che reputo la città più bella del mondo. 
-Solo per la città – ammiccò Eric in tono ironico – o anche per quel pittore, Antonio, di cui mi scrivesti in diverse lettere?
Sophie arrossì di colpo dicendo:
-Con lui è finita, sapevo sarebbe finita ma è stato comunque meraviglioso.
-Senti, senti – ridacchiò il giovane prendendola in giro – a Parigi c’era Julien, attraente studente alla Sorbona, a Roma questo Antonio, artista scapestrato ma affascinante e tenebroso.
-Piantala! – sbuffò Sophie dandogli una botta sulla spalla – Non avrei mai dovuto scriverti  dei miei sentimenti.
-Tranquilla non l’ho detto a tuo padre – puntualizzò Eric ancora divertito – tanto ero sicuro che il nonno ti avrebbe sorvegliata con discrezione.
-Il nonno era anche via per brevi viaggi – rispose lei con soddisfazione – non poteva controllarmi in ogni circostanza. E ormai sono una donna, non ho bisogno di nessuno che badi a me!
-Una donna? – il tono di Eric era divertito – Forse hai ragione, ormai siamo adulti ma io veglierò sempre su di te, anche quando sarai una simpatica vecchietta! Hai la capacità di cacciarti spesso nei guai ed io mi sento in dovere di proteggerti.
-Agli ordini mio cavaliere! – esclamò con sarcasmo Sophie e poi aggiunse – Ma parliamo di te ora, dato che sei il festeggiato. Da quello che mi hanno detto a casa devi prendere una specializzazione?
-Eh già – sospirò il ragazzo – gli studi non sono finiti, ho un altro anno di tirocinio in ospedale ma è quello che mi piace e anzi, non vedo l’ora di iniziare. 
-Quando avrai terminato – chiese Sophie – potrai tornare in paese e occuparti dei pazienti del dottor Dewy? Ricordo ti sarebbe piaciuto rilevare il suo studio e lui ormai è anziano ed ha proprio bisogno di un sostituto!
-Questo era quello che dicevo anni fa – spiegò Eric con tono più serio – prima di conoscere la realtà dell’ospedale. Io vorrei diventare un medico chirurgo che lavora in sala operatoria, ho buone possibilità perché il mio relatore, il professor Custer, è il primario del reparto qui a Melbourne e mi sta già portando con lui a far esperienza come tirocinante.
-Allora – chiese Sophie perplessa – non tornerai a casa dopo la specializzazione?
-Non credo – rispose subito lui – Daisy sta già lavorando qui in ospedale come infermiera ed io spero di riuscire a realizzare il mio sogno. E poi c’è un’altra novità, sarai la prima a saperlo.
Sophie aveva l’aria confusa, Eric la spiazzò annunciando:
-Ho chiesto a Daisy di sposarmi, lei ha accettato e quindi sei invitata al nostro matrimonio.
-Ma è fantastico! – ora Sophie rideva con gli occhi – Quando? E dove? Qui a Melbourne?
Non potè far a meno di gettargli le braccia al collo mentre lui rispondeva:
-Il prima possibile, nella nostra chiesetta, al villaggio.
-Sì, è il posto ideale – affermava la ragazza approvando con lo sguardo – ma in famiglia non lo sanno? Nessuno mi ha detto nulla. 
-Ti ho appena confidato che sei la prima a saperlo – disse Eric dandole un piccolo buffetto sulla guancia – allora non mi ascolti!  
-E’ che sono così felice per voi – continuò Sophie – che non ci ho capito più niente!
-Dopo il pranzo – continuò il giovane – parlerò con papà e gli dirò le mie intenzioni. Io e Daisy abbiamo trovato un piccolo appartamento in affitto, è vicino all’ospedale, potremo stabilirci lì per ora. Come inizio va più che bene.
-Saranno tutti felici di questa notizia, ne sono certa! – fu l’ultima frase che pronunciò Sophie prima di raggiungere gli altri che li stavano ad attendere con impazienza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 32
*** Festa di nozze ***


-Sophie, passami di nuovo l’ago – chiese Georgie alla figlia mentre, inginocchiata davanti allo specchio, stava sistemando l’orlo al vestito da sposa indossato da Daisy.
-Subito! – rispose la ragazza porgendo il cestino da cucito alla madre.
Entrambe stavano dando gli ultimi ritocchi all’abito, osservate da Maria che con ammirazione constatava che la sua futura nuora era veramente bellissima.
Mancavano soltanto due giorni al matrimonio e alla sartoria si respirava un’aria di fermento ed eccitazione. 
Georgie aveva creato in poco tempo un abito da sposa semplice ma elegante.
Il gusto e la raffinatezza di Sophie avevano fatto il resto.
-Mamma, credo che ora possiamo passare al velo – affermò sua figlia – vado di là a prenderlo.
-Vengo con te – disse Maria – c’è anche il mio cappellino da provare e la giacca di Eric che va accorciata.
Mentre le due si spostavano nella stanza al piano superiore Georgie ammirava Daisy che era incantevole in quell’abito da sogno.
-Ora provo a tirarti indietro i capelli – disse prendendo una ciocca corvina scoprendole il viso lentamente.
Dallo specchio Georgie notò nella ragazza un’espressione turbata o comunque poco serena.
-Qualcosa non va? – domandò con delicatezza a Daisy che, dopo una piccola esitazione rispose:
-Oh no, l’abito è meraviglioso, tu e Sophie siete state fantastiche a realizzarlo in così poco tempo. È che, forse, è troppo bianco e non si addice a quello che ero. Il problema sono io, non il vestito.
-Daisy – sussurrò Georgie lasciandole cadere i capelli sulle spalle e mettendosi di fronte a lei – non avere questi pensieri! Il tuo passato non deve condizionarti l’esistenza, tu sei candida come l’abito che indossi. Anche Eric è convinto di questo.
La ragazza si specchiava avendo difficoltà a guardare Georgie negli occhi.
-Ascolta – proseguì la donna – ti parlo come una mamma, quello che hai sofferto non tornerà più, ora spera nel futuro che sarà sicuramente roseo insieme ad Eric.
Qualche lacrima scese sulle guance della giovane sposa, Georgie domandò:
-Hai fatto ad Abel quella richiesta?
-No, ancora no – rispose subito Daisy.
-Questa sera – asserì Georgie sorridendo – dovrai chiederglielo! Vedrai sarà ben felice di accompagnarti all’altare.
-Tu credi? – il tono era speranzoso – Io non ho nessuno e lui …
-E’ la persona più adatta a svolgere questo compito – terminò la frase Georgie tirandole nuovamente indietro i capelli e asciugandole il viso ora più sereno.
E quella mattina, infatti, Abel attendeva che la sposa uscisse dalla camera per condurla in chiesa.
-Noi stiamo andando – gli annunciò Georgie indaffarata riferendosi a lei e a Sophie – prenderemo il calesse. La carrozza mandata da mio padre starà qui a momenti, aspettala fuori in cortile. Eric con Arthur e Maria sarà già in chiesa, siamo in grande ritardo!
-Mamma, la sposa deve essere in ritardo! – esclamò Sophie aprendo la porta mentre Abel le osservava divertito.
Le seguì con lo sguardo dalla finestra, fino a che non scomparvero dalla sua vista.
Aveva a volte immaginato come poteva sentirsi un padre che accompagnava la propria figlia all’altare.
Nella sua mente si vedeva dando il braccio alla sua adorata principessa che gli sorrideva raggiante di felicità.
E invece la sua Sophie aveva fatto altre scelte e lui si ritrovava ora a fare da papà a un’altra principessa ma ne era ben felice.
-Abel, sono pronta! – la voce di Daisy lo fece voltare e vide la ragazza che usciva lentamente dalla stanza accanto.
Rimase senza parole da quanto era bella e delicata quella giovane sposa.
-Grazie- sussurrò lei – per quello che hai fatto e stai facendo per me.
Lui le diede il braccio e le disse soltanto:
-Andiamo, principessa!
La cerimonia sembrò il racconto di una favola, tutto andò per il meglio e usciti dalla chiesa si ritrovarono nel cortile antistante per i festeggiamenti.
Era stato allestito un ottimo banchetto per un momento conviviale e gli ospiti avevano subito iniziato a servirsi.
Sophie stava sistemando dei bicchieri quando si ritrovò accanto un ragazzo con una bambina in braccio.
Entrambi si erano già intravisti in chiesa ma essendo distanti e presi da altro non avevano potuto neppure salutarsi.
-Peter – sussurrò lei alzando lo sguardo dal tavolo.
-Sophie, ben trovata! – sorrise lui e poi rivolto alla bimba che aveva con sé aggiunse – Saluta Emiliy, ora lo sai fare!
La piccola fece un cenno con la manina mentre Sophie, ancora attonita, domandò:
-E’tua figlia? È adorabile.
-Sì – rispose Peter con orgoglio – è un tesoro. 
Nessuno dei due riusciva più a parlare, fu lui che chiese:
-È bella l’Europa?
-Oh sì, certo – balbettò la ragazza – bella e affascinante.
In quell’istante furono raggiunti da una giovane in evidente stato interessante che, preso Peter sotto braccio, gli domandò:
-Vuoi dare a me la bambina?
-Cara no, non affaticarti – disse – vieni, ti presento Sophie. Lei è Carol, mia moglie.
Le due furono un attimo prese dall’imbarazzo poi si strinsero la mano.
-Sophie? – domandò la giovane non riuscendo a continuare la frase.
-La cugina di Eric – puntualizzò Peter per non dire la mia ex fidanzata.
-Congratulazioni – esclamò Sophie – vedo che la famiglia si sta allargando!
-Fra tre mesi – spiegò Carol – saremo in quattro.
-Speriamo sia un maschietto! – aggiunse Peter stringendo a sé sua moglie.
-Vi auguro tutto il bene possibile – disse con sincerità Sophie.
-Buona fortuna anche a te! – chiosò Peter prima di allontanarsi per raggiungere altri amici seduti a un tavolo.
Con la mente altrove, Sophie fece cadere un bicchiere in terra che si ruppe in mille pezzi.
Raccolse tutto e rimase in solitudine, intanto gli sposi avevano aperto le danze ma lei non aveva proprio voglia di ballare.
-Signorina – la esortò Eric – mi concede almeno un ballo? 
-Allo sposo non posso dir di no! – esclamò Sophie con un mezzo sorriso.
Si misero non troppo al centro e al ritmo della musica ballarono.
-È triste vederti in un angolo – le confessò Eric – sei la ragazza più bella della festa, dopo Daisy naturalmente!
Lo sguardo era malinconico e lui lo sapeva bene, scherzò:
-Hai visto il tavolo a destra? Sono i miei amici universitari, tra loro c’è Richard, si laurea il mese prossimo e mi ha chiesto chi fossi …
-Non pensare di trovarmi un fidanzato! – lo fermò immediatamente Sophie – Non ne ho bisogno e non ne ho voglia!
-Sophie – disse allora Eric con tono paterno – io ti avevo detto che ci sarebbe stato, con moglie e figlia, ma ti avevo anche ribadito che non lo avrei invitato se tu non avessi voluto.
-Oh no – rispose lei – ci mancherebbe! È giusto sia qui, è il tuo migliore amico! Non è per lui, anzi sono lieta sia così felice.
-E tu sei felice? – le domandò Eric di getto.
Colta di sorpresa Sophie non sapeva cosa rispondere.
-Ascoltami – riprese lui – ricorda che io ci sarò sempre per te. Se avrai bisogno sai dove trovarmi! Qualunque cosa, prendi il treno e bussa alla mia porta, io ti aprirò.
La diede un bacio sulla fronte mentre tutti intorno continuavano a ballare.
Giunta ormai la sera, gli sposi salirono sulla carrozza diretti a Sydney. 
Avrebbero passato la prima notte di nozze in un appartamento di proprietà del conte Gerald, era il regalo che Fritz aveva donato loro.
Il giorno dopo poi, sarebbero ripartiti per Melbourne dove avrebbero iniziato la loro vita insieme.
-Siamo di nuovo soli – disse Maria a suo marito con la voce spezzata mentre Georgie la prendeva sotto braccio.
Arthur, guardando la carrozza allontanarsi, dichiarò:
-Dobbiamo accettarlo, è il cerchio della vita.
Abel allora completò il discorso:
-Eric a Melbourne, Abel junior a New York, tutti sono volati via. Però la nostra principessa è tornata.
E strinse a sé Sophie che intanto, pensierosa, guardava lontano.
 
 
 
 

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Capitolo 33
*** Inquietudine e tormento ***


-Bella festa – ribadì Georgie dopo essersi cambiata d’abito, tornata in cucina dove Sophie era ancora seduta accanto al camino. 
-Non vai in camera? – chiese alla figlia – Abel è già nel letto, io sistemo queste stoviglie e poi gli rammendo la camicia, preferisco farlo ora e non domattina!
E intanto osservava la ragazza, silenziosa in un angolo.
Non attese molto, era scesa proprio per parlarle ed infatti, dopo pochi istanti, domandò:
-Ti ha fatto male vederlo?
Sophie si destò come da torpore, sua madre ripetè:
-Peter, è stata dura per te rivederlo?
-No, anche tu me lo chiedi – rispose scuotendo la testa – sapevo ci sarebbe stato, Eric mi aveva avvisato e non potevo evitarlo.
Georgie si mise seduta accanto a lei, ora aveva capito che Sophie si sarebbe confidata.
-E poi – continuò la giovane – sono stata io a lasciarlo, avrebbe dovuto far male più a lui che a me!
Non aveva bisogno di fare domande, Georgie sapeva che sua figlia avrebbe parlato.
-Eric, nelle sue lettere – spiegò – mi aveva scritto sia del matrimonio di Peter che della nascita della sua bambina. Certo, confesso che trovarmelo accanto oggi mi ha comunque fatto effetto però sono sinceramente contenta per lui. Non conoscevo Carol, so che è di Sydney.
-Sì, sì – disse Georgie – è un’amica di Beth, hanno studiato insieme, così mi raccontò la madre di Peter. Sai capita d’incontrarla in paese o al mercato, mi chiedeva anche di te, a volte. 
Sophie sorrise pensando a un passato che le sembrava lontano.
-Anche Beth si è sposata – continuò la ragazza – e insegna in città.
Poi non disse più nulla, fu Georgie che riprese la parola:
-Piccola mia, sono convinta che anche tu troverai la persona giusta, magari fra qualche tempo ma arriverà.
-Non ho rimpianti mamma! – esclamò con foga Sophie – Ora avrei potuto essere sposata con Peter, avere già due bambini ma non ho voluto!
-E allora cosa c’è che ti turba, cara? – domandò con delicatezza Georgie – Non è la prima volta, da quando sei tornata, che ti vedo così.
La ragazza strinse un lembo della gonna fra le mani, era tesa, si sfogò finalmente:
-Tutti hanno un posto al mondo, tutti tranne me. Troverò mai la mia strada?
-Ma Sophie – disse desolata sua madre – hai girato per le migliori capitali d’Europa, hai vissuto a Roma studiando, hai una dote innata per il disegno che stai coltivando, sei piena di capacità.
-E non ho concluso nulla! – esclamò forte – Vedo gli altri andare avanti, fare e realizzare progetti e io resto sempre così, nei miei sogni vaghi.
-Cosa desideri ora? – le chiese Georgie preoccupata – Se hai dei sogni puoi realizzarli anche tu! Vuoi dipingere, fare mostre, insegnare pittura? O cosa?
-Vorrei capire me stessa – disse Sophie tra le lacrime – e qui mi sento soffocare. Lavorare con te non mi basta, sapevo che non avrei potuto rimanere più a lungo qui.
-Questo lo immaginavo – asserì Georgie – il paese ti sta stretto, dopo aver viaggiato e vissuto in Europa forse preferisci andare a stare un po’ in città. Hai più stimoli lì, è normale tu senta questa esigenza.
Si fece forza e rispose a sua madre:
-Sicuramente è vero, qui ormai mi sta tutto stretto. La vita, il paese, la gente e poi c’è Arthur e io non ce la faccio!
-Arthur? – la voce di Georgie si spezzò, rabbrividì a quella rivelazione della ragazza.
-Sì – ammise Sophie – non riesco più neanche a chiamarlo zio ormai. 
La giovane, dopo un attimo di esitazione, continuò, era un fiume in piena:
-In questi tre anni ci ho pensato spesso mamma. Ho sempre percepito ci fosse un forte legame fra me e lui e quel giorno al porto ne ho avuto la conferma. Da te. L’unica che poteva saperlo con certezza.
-Ma non c’è alcuna certezza! – ribatté Georgie ancora scossa – Tuo padre può essere lui come lo può essere Abel, non avrei mai dovuto dirti quelle parole alla tua partenza.  
-E continuare a nascondermi tutto, come hai sempre fatto? – la aggredì Sophie piena di rancore.
-Cosa avrei potuto dirti? Eri una bambina – si giustificò Georgie.
-Mi avete mentito per tutti questi anni! – esclamò sua figlia alzandosi – E continuate ancora questa commedia, come bravi attori di teatro. Cosa vi aspettate da me ora, gli applausi?
-Sophie, ti prego – cercò di calmarla Georgie – non volevamo farti soffrire, sei cresciuta serenamente con Abel come padre e Arthur come uno zio sempre presente. Perché complicarti la vita?
-Tanto l’avevo capito – sussurrò più calma – l’avevo capito dentro di me. E così serena non sono cresciuta se ora mi sento un’anima inquieta, che gira per il mondo senza trovare pace.
-Vuoi incolparci di questo? – Georgie era piena di angoscia – Noi ti amiamo Sophie, forse non sai quanto se dici queste parole!
-So che non sei mai stata veramente sincera con me - spiegò con impeto la giovane – e hai amato indistintamente due fratelli senza prendere una decisione.
-Non parlare se non conosci le circostanze – la rimproverò Georgie.
-Non le conosco perché non me le hai mai raccontate – puntualizzò Sophie desiderosa di sfidare sua madre – Da tanto non sono più una bambina, potevi parlarmi con calma e aiutarmi a capire.
Georgie scosse la testa sentendosi inerme e in colpa, sua figlia continuò:
-Comunque è bene che io vada via. A Sydney starò meglio, potrò riflettere e distrarmi. Quando tornerò saprò confrontarmi più serenamente con tutti voi. Perché io voglio affrontare la questione non solo con te ma soprattutto con papà e Arthur. Io non voglio continuare a recitare.
Fece una pausa mentre sua madre era sconvolta da quelle rivelazioni, poi continuò:
-Credevo di riuscire a dialogare subito con voi, appena tornata, ma non è stato così. È difficile per me stare vicino ad Arthur, parlarci come facevo una volta. L’idea che tu e lui siete stati insieme mi destabilizza e non capisco come papà e zia Maria abbiano accettato tutto ciò. 
-Ti prego di non giudicarmi così severamente – disse Georgie ormai sfiduciata nel capire la posizione presa dalla figlia – e quando vorrai saremo pronti per un confronto con te. Insieme.
-Lasciami stare da sola per qualche tempo – ribadì Sophie – ne ho bisogno anche per capire cosa fare della mia vita. Sono un’anima in pena, è dalla nascita che non so chi sono!
E così partì, dopo qualche giorno, diretta a Sydney, alla casa del nonno.
Riprese tele e pennelli e s’iscrisse a un corso d’arte in città.
L’esperienza e il bagaglio culturale conquistato nella vecchia Europa la portarono in breve tempo a buoni traguardi.
I suoi dipinti interessarono diversi acquirenti, in genere nobili amici di Fritz, e riuscì ad allestire e partecipare a mostre di quadri che ebbero un discreto successo.
Il lavoro la impegnava molto, si sentiva più sicura e determinata e sarebbe tornata a casa pronta ad un dialogo sereno se quel giorno il destino non avesse bussato nuovamente alla sua porta.
-Signorina Buttman – le disse l’anziano conte con aria soddisfatta – i suoi due dipinti impreziosiscono la mia mostra.
-Mi lusingate – rispose lei osservando ancora compiaciuta le sue opere – sono io che devo ringraziarvi per avermi invitata.
-L’amicizia che mi lega a vostro nonno non poteva esonerarmi dal farlo – spiegò quello – ma questi quadri sono talmente belli che l’avrei voluti comunque qui!
Presentò la giovane pittrice ad altre persone, tutti intenditori d’arte, mentre ammiravano la mostra allestita nel palazzo del conte Dortes. 
Sophie era al centro dell’attenzione, ammirata sia per le sue doti pittoriche che per i suoi racconti sull’Europa.
-In Italia ho potuto vedere le opere dei grandi – spiegava ai presenti – da Raffaello a Giotto, passando per Michelangelo e Leonardo. Ma il mio preferito è il Caravaggio!
-Caravaggio? Inquietudine e tormento – disse una voce unitasi ora al gruppo che fece voltare Sophie incredula.
-Ecco il nostro Percy! – esclamò il conte Dortes – Signorina Buttman vi presento un grande intenditore d’arte e frequentatore dei migliori salotti qui a Sydney.
-Ci conosciamo già – sorrise il giovane Gray facendo il baciamano ad una sempre più stupita Sophie.
-Bene, allora non perdiamo tempo con le presentazioni – continuò il conte – e proseguiamo l’interessante discussione.
In realtà, quasi subito dopo, come attratti l’uno dall’altra, i due ragazzi si allontanarono spontaneamente dagli altri visitatori per conversare da soli.
-Quindi hai girato per la mia Italia affascinata da luoghi ed opere d’arte? – le chiese lui con un pizzico di ironia.
-Oh sì – rispose Sophie – ho potuto vedere ciò che tu mi raccontasti con entusiasmo qualche anno fa.
-Ne è passato di tempo! – esclamò il ragazzo – Come cambiano le cose, tu in Europa ed io in Australia a seguire gli affari per conto di mio padre.
-Però non hai abbandonato le tue passioni artistiche e letterarie, da come ho intuito – affermò la giovane con interesse. 
-Le passioni non vanno mai tralasciate – asserì Percy – ricordalo. A proposito, noto con piacere che il tuo stile è migliorato, hai fatto progressi in campo artistico.
-Ti ringrazio – disse semplicemente Sophie – tutto merito dell’impegno, dei viaggi e dello studio.
-E delle tue doti – aggiunse lui – soprattutto delle tue doti.
Le prese nuovamente la mano sfiorandola con le labbra mentre la guardava negli occhi.
Da quel giorno ripresero a frequentarsi assiduamente, tra mostre, incontri letterari e pomeriggi artistici.
Una sera, tornando dal teatro, erano entrambi presi dalla trama dell’opera appena vista che non si accorsero che la carrozza era già arrivata a destinazione.
-Eccomi a casa – disse Sophie – e non abbiamo ancora terminato il discorso sulla poetica di Shakespeare!
-Lo continueremo domani – affermò Percy aprendole la portiera per farla scendere.
-È stata una splendida serata – ammise la giovane – come tutte d’altronde!
-Abiti tutta sola in questo palazzo? – domandò lui indicando il portone.
-Non proprio – rise Sophie – anche il nonno vive qua ma in due appartamenti distinti. Lui al primo piano, io al terzo. Ma ora non c’è, aveva un convegno, starà via per tutta la settimana.
-Allora, buona notte! – la salutò mentre lei metteva la chiave nella toppa.
Stava per tornare alla carrozza quando vide Sophie voltarsi chiedendogli: 
-Vuoi salire?
-Guarda che se salgo – rispose prontamente Percy – poi non scendo più!
-È quello che voglio – sussurrò Sophie con determinazione.
 
 
 
 
 

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Capitolo 34
*** Amore e morte ***


Seduta in attesa guardava il soffitto, poi la parete e infine la finestra.
Soffitto, parete, finestra, ormai aveva imparato a memoria ogni singolo dettaglio di quella stanza ingannando il tempo mentre aspettava di essere chiamata.
-Signora, può entrare – finalmente l’infermiera aprì quella porta, facendola accomodare nello studio.
-Signora! – pensò sorridendo – Era strano sentirsi rivolgere così da qualcuno ma era l’unico modo per non sollevare uno scandalo. Fingere. Trovarsi un falso nome e fingere.
Quando uscì, emozionata, raggiunse di corsa il calesse ma non per dirigersi verso casa, aveva troppa voglia di parlarne con lui, troppa.
-Buongiorno signorina – esclamò il robusto maggiordomo salutandola, prendendole mantella e cappellino.
-Buongiorno James – sorrise ringraziando, salendo quelle scale che conosceva a menadito perché ultimamente quella era diventata un po’ la sua seconda casa.
Bussò due volte per poi entrare immediatamente nella stanza.
-Sei tornato! – disse con voce squillante a Percy che, in piedi davanti alla scrivania, stava cercando certamente delle carte.
-Sophie, ciao – rispose distratto – sì, ieri sera ma gli affari non sono andati come volevo. Mi servono con urgenza dei fogli che credevo aver messo qui.
Lei si avvicinò e delicatamente gli sfiorò il braccio per cercare un contatto ma lui, preso da quella ricerca, le diede un veloce bacio sulla guancia per poi dire:
-Non sopporto quando cerco qualcosa, convinto di averla messa in un posto ed invece non la ritrovo!
Sophie ridacchiò e, staccatasi ora da lui e un poco distante, affermò:
-Ho una grande notizia, devi ascoltarmi!
Le mani dietro la schiena, il sorriso di una bimba felice, attendeva una risposta con ansia.
-Dimmi – disse lui mostrando poco interesse, aprendo ora i cassetti di un vecchio armadietto.
-Indovina? – sperava di catturare la sua attenzione – Devi provare ad indovinare!
-Sophie, non è il momento – rispose Percy spazientito – non vedi che ho da fare!
-E dai, ti prego – lo esortò con voce suadente.
-Hai venduto un quadro ad un ottimo acquirente? – provò a buttare là una risposta mentre continuava la sua ricerca spasmodica.
-No, no – rispose subito la ragazza – di più, di più!
-Ti hanno chiamata per un’importante mostra? – tentò nuovamente con poco entusiasmo.
-No! Non riguarda il lavoro – spiegò Sophie – è molto di più!
-Senti, non sono bravo in questi giochetti – disse Percy ora fermo e rivolto verso di lei – dammi questa notizia e poi fammi ritrovare quelle maledette carte!
Sophie fece un respiro profondo e con la gioia negli occhi annunciò:
-Sono incinta!
Percy deglutì lentamente, si mise le mani in tasca e chiese:
-Ne sei sicura?
-Sono andata da un dottore – spiegò immediatamente la ragazza con foga – mi ha dato la conferma. Aspetto un bambino.
Alzando il sopracciglio e non facendo il minimo movimento, Percy domandò:
-E chi è il padre?
-Ma è ovvio che sei tu! – esclamò Sophie sbarrando le palpebre, facendo un sorriso nervoso.
-Non è ovvio per niente! – replicò subito lui – Chi me lo garantisce?
-Percy! Sei l’unico con cui sono stata in questo periodo – aggiunse piccata la ragazza.
-Ah sì? Veramente? – sottolineò con sarcasmo il giovane.
-Per chi mi hai preso? – urlò Sophie – Io non sono quel tipo di donna!
-Sei una brava ragazza? – continuò Percy sbeffeggiandola – Le brave ragazze aspettano il matrimonio.
-Ma cosa dici? – gli urlò Sophie andandogli addosso strattonandolo – Io aspetto un bambino, il nostro bambino!
-E io non lo voglio! – disse con convinzione Percy allontanandola da lui.
Il gelo penetrò in quell’istante nel cuore di Sophie, la ragazza capì immediatamente che tutte le sue speranze e tutti i suoi sogni si erano frantumati addosso a quelle terribili parole.
-Perché? – riuscì a domandare sottovoce – Perché no? Potremmo essere felici, sposarci, vivere qui con il bambino.
-Hai trovato il modo di sistemarti, vero Sophie? – continuò Percy con tono di sfida – Ti piace questa villa? E anche il mio denaro non lo disdegni! Hai fatto bene i tuoi calcoli!
-Come puoi fare queste affermazioni – disse tre le lacrime la giovane delusa e amareggiata –io non ho calcolato nulla, ero soltanto innamorata. Sognavo un futuro insieme a te e l’arrivo di questo bambino l’ho preso come un dono.
-Il matrimonio non m’interessa – affermò lui con freddezza – e non ci penso minimamente a metter su famiglia.
-Ma questo bambino c’è – ora Sophie aveva ritrovato un po’ di forza – ormai devi accettarlo!
Allora Percy si diresse nuovamente alla scrivania, aprì un cassetto, tirò fuori delle banconote che mise dentro una busta e, dandola a Sophie, le disse:
-Tieni! Trova un medico compiacente e fai quello che devi fare!
-Quello che devo fare? – ripetè Sophie con tono di domanda, asciugandosi gli occhi gonfi mentre Percy, tornato alla scrivania, si rimise a cercare le sue carte come se niente fosse.
Senza dire più una parola, sconvolta e amareggiata, Sophie uscì da quella stanza, guardando per l’ultima volta colui che in poco tempo aveva saputo portarla dal paradiso agli inferi.
Chiuse la porta, scese le scale di corsa, arrivò al portone e si diresse al calesse senza guardarsi attorno, i suoi occhi erano talmente intrisi di lacrime.
Frustò il cavallo e andò via sentendo il vuoto dentro.
Giunta a casa, si chiuse a chiave, si spogliò velocemente e si buttò sul letto.
In sottoveste, tra le lenzuola, si accarezzava il ventre non riuscendo più neppure a piangere.
Era stato spietato, pensava, insensibile e irremovibile.
Inutile tornare a parlarci, non voleva più vederlo né sentirlo.
Tutto quello che aveva sognato, immaginato, desiderato in quei giorni di attesa era ormai irrealizzabile.
Da quando aveva avuto il sospetto che poteva esserci un bambino dentro di lei, aveva iniziato a fantasticare immaginando la sua vita assieme a Percy e a quel piccolino al quale già si era affezionata.
Era un segreto che non aveva confidato a nessuno, doveva prima averne la certezza.
E così era riuscita a prendere appuntamento con un medico, fingendo di essere sposata perché una ragazza sola avrebbe dato scandalo.
Ma ora sola lo era veramente, Percy l’aveva abbandonata e lei non sapeva proprio cosa fare.
Si sentiva sbagliata, in colpa e debole.
Nessuno poteva aiutarla.
Il nonno era buono e comprensivo ma poteva confidarsi con lui su certi argomenti? Per Sophie era impensabile.
Tornare a casa?
 Abel le faceva paura e a sua madre non aveva più neppure scritto dopo quella discussione tra loro.
Nel dramma, tra le insicurezze, un’unica persona le venne in mente.
-Se avrai bisogno sai dove trovarmi! Qualunque cosa, prendi il treno e bussa alla mia porta, io ti aprirò – quelle parole erano impresse nel suo cuore.
Eric era stato da sempre un riparo nelle tempeste, una voce amica, un fratello. Ed era un medico.
Trova un medico compiacente. Sophie forse non aveva ben compreso il significato di quella frase. Però sapeva che avrebbe preso quel treno. Per Melbourne.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 35
*** In famiglia ***


Il portone doveva essere quello, ampio e robusto, proprio di fronte al negozio del fornaio.
Con un piccolo bagaglio in mano, Sophie bussò forte e, alzato lo sguardo verso la finestrella a destra, chiamò a gran voce il nome di Eric.
-Tu qui? – il giovane si era affacciato e sbalordito l’aveva esortata – Sali, sali su! Secondo piano, la prima porta dopo le scale.
Non gli parve vero ritrovarsela davanti. Erano passati diversi mesi.
-Che bella sorpresa! – esclamò Eric abbracciandola – Vieni dentro.
-Scusa se sono qui senza preavviso – balbettò Sophie entrando in casa.
-Non hai mica bisogno di un invito formale – rise lui - sei la benvenuta!
-Sophie, cara – la accolse Daisy lasciando la pentola sul fuoco – che gioia vederti! Accomodati e fa come se fossi a casa tua.
L’abbracciò anche lei e la fece sedere mentre Eric aveva già preso il bagaglio e lo stava sistemando in un angolo.
-Aggiungo subito un piatto in tavola – disse Daisy – stavamo per cenare, c’è della zuppa calda e un po’ di pane, non è molto ma lo dividiamo volentieri.
-Va benissimo – sussurrò Sophie – sono stanca del viaggio e non ho molta fame.
-Ascolta – esordì Eric – la casa non è grande, anzi, come puoi vedere, è abbastanza piccina. Per dormire dovrai accontentarti di quel divano, può andare?
-Ma certo – sorrise la ragazza guardandosi meglio intorno – andrà più che bene.
Era ancora frastornata, aveva voglia di scoppiare a piangere perché finalmente si sentiva tra mura amiche.
-Allora – iniziò Eric sedendosi accanto a lei – come mai da queste parti? Sei per una mostra, un convegno artistico o cosa? Non dirmi che sei qui esclusivamente per rivedere il tuo adorato cugino?
Sophie, in imbarazzo, non sapeva da quale parte cominciare, si limitò a dire:
-Avevo promesso sarei venuta a trovarvi!
-E a noi – s’intromise Daisy – fa molto piacere. Adesso ceniamo poi parleremo!
Le mise la minestra nel piatto e Sophie, facendosi forza, mangiò qualcosa.
-Vi siete sistemati bene – disse ai due durante il pasto – è carino qui!
Non voleva subito esporre il suo enorme problema, era ancora timorosa.
-Non è male – affermò Eric – questa è la stanza dove mangiamo, c’è il camino e la stufa per cucinare. Là c’è il divano e una piccola libreria, ci tengo i miei volumi per studiare. Poi la camera da letto, tutto qui.
Sophie respirava aria di famiglia, per quanto umile e semplice potesse essere quella dimora, le stava infondendo almeno dei momenti di serenità.
-Sai – proseguì il ragazzo – l’affitto non è alto, riusciamo a permettercelo, almeno per ora.
E guardò sua moglie che, sistemando la tavola, annuì con lo sguardo.
-Senti Sophie – le disse Eric – tanto, fermandoti per un po’, saresti venuta a saperlo. Prometti di non dire nulla a casa però, soprattutto ai miei.
La giovane non capì, cosa mai doveva tenere segreto.
Se c’era qualcuno che aveva qualcosa da nascondere lì era lei, non certo loro!
Daisy intanto stava sparecchiando, si allontanò un poco mentre Eric spiegava:
-Mi spiace ma sei capitata in un periodo abbastanza difficile per noi.
Sophie si sentì un attimo fuori luogo, non soltanto lei poteva avere dei problemi ma anche gli altri non ne erano esenti.
In quel momento si reputò un’egoista.
-Da circa un mese – spiegò Eric – Daisy non lavora più in ospedale, è stata licenziata e quindi abbiamo dovuto ricercare altre fonti di reddito. Io sto lavorando dal fornaio qui accanto e lei fa le pulizie saltuariamente da una signora.
-Licenziata? – domandò Sophie stupita – E i tuoi studi? Non li avrai mica abbandonati.
-No, certo che no – rispose Eric con forza – al forno vado la mattina presto così poi posso recarmi in ospedale per la specializzazione. La sera mi metto a studiare, anzi tra poco devo ripassare per la lezione di domani.
Sophie preferì non parlare, osservando Daisy che ora si era seduta con loro.
-Ti prego – le ribadì il ragazzo – di non farne parola con i miei genitori quando tornerai a casa. Ho ritenuto opportuno non metterli al corrente della situazione, si sarebbero allarmati troppo, soprattutto mia madre. Mio padre ci manderebbe dei soldi ma vogliamo farcela da soli. Ti sembrerà un peccato di orgoglio eppure è meglio così.
Fece una breve pausa poi continuò: 
-E la motivazione del licenziamento di Daisy è ingiusta e iniqua che darei solo un dolore ai miei se raccontassi a loro tutto.
A quel punto Sophie aveva accantonato il suo dramma e il vero motivo per cui era lì e si accinse ad ascoltare tutta quella storia.
Notò che Eric teneva stretta la mano di sua moglie, qualunque fosse la causa, pensò Sophie, Daisy poteva contare sull’appoggio e la comprensione della persona che amava. Per lei non era stato così, purtroppo.
-Una mattina – iniziò Eric – a Daisy, in ospedale, fu consegnata una lettera da parte del direttore. Era una lettera di licenziamento, senza preavviso e senza una motivazione. Quando tornai a casa la trovai a piangere qui, sul divano, con un foglio in mano.
-Non capivo il perché di quella decisione – continuò Daisy a bassa voce – ero sempre stata attenta e puntuale sul lavoro, scrupolosa e dedita ai pazienti, seguivo le indicazioni dei medici dettagliatamente. Non avevo commesso sbagli, nessuno si era mai lamentato del mio operato.
-Decisi di andare io dal direttore a chiedere spiegazioni – puntualizzò Eric – mi mossi immediatamente e, tornato in ospedale, bussai alla porta del suo ufficio.
Sophie ascoltava con attenzione, aveva dimenticato i suoi problemi e si era immersa in quel racconto cercando di capire.
-Purtroppo l’ambiente ospedaliero – disse Eric con rammarico – è stimolante e dà soddisfazioni ma è anche pieno di invidie e di persone senza scrupoli. E io e Daisy l’abbiamo imparato sulla nostra pelle.
-Cosa vi hanno fatto? – domandò Sophie sinceramente preoccupata. 
-È meglio ti racconti tutto dal principio – specificò Eric – così capirai tutta la vicenda. Il mio relatore, il professor Custer, primario di chirurgia, mi ha sempre apprezzato come studente tanto che, appena laureato, mi portava con sé al reparto e ora durante la specializzazione mi aveva scelto per alcune mansioni importanti.
-Me lo scrissi qualche tempo fa – lo interruppe Sophie – che ti vedevi ormai proiettato nella carriera di chirurgo.
-Infatti – continuò lui – era quello che più mi piaceva ma poi le cose sono cambiate. Devi sapere che nel mio corso c’è uno studente, Nick Morris, che da sempre ha invidiato le mie capacità e i miei voti alti. Non che lui sia da meno, è molto preparato ma non accetta di essere secondo a nessuno. Proviene da una famiglia molto in vista qui a Melbourne e non tollera di essere scavalcato dal figlio di un semplice agricoltore. Più di una volta mi sono trovato a discutere con lui ma poi l’ho sempre lasciato perdere!
-È stato lui – chiese Sophie con forza – a far licenziare Daisy?
-In modo indiretto sì – ammise Eric ma fu sua moglie a continuare la narrazione.
-Un giorno – proseguì la ragazza – tra i pazienti m’imbattei in un uomo che mi riconobbe. Era uno dei clienti del bordello.
Daisy abbassò lo sguardo non riuscendo più a parlare, Eric le fece coraggio:
-Non devi vergognarti con Sophie, a lei possiamo raccontare tutto.
La giovane allora continuò:
-Nick Morris era tra gli specializzandi che si occupavano di quel reparto. Molto probabilmente è venuto a conoscenza delle mie vicende passate da quel paziente ed ha riferito tutto al direttore dell’ospedale il quale mi ha licenziato in tronco. 
-Quando entrai nella stanza del direttore per delle spiegazioni – ora era Eric a parlare – ci trovai anche il professor Custer che, ignaro del motivo per cui ero lì, mi presentò subito come il suo miglior studente. Io chiesi invece il perché del licenziamento di mia moglie e il direttore, dopo aver appreso il nome di Daisy, si fece una risatina ironica e mi disse che il suo ospedale non poteva permettersi di far lavorare una ragazza di quel genere. Gli sottolineai che Daisy era una persona pulita, che quello era il suo passato ma lui iniziò a ridere ancora più forte. Mi aggiunse poi, con aria di superiorità, che quel tipo di ragazze si frequentano ma non si sposano. A quel punto non ci ho visto più e l’ho colpito con un pugno. E l’avrei steso a terra se non fosse intervenuto il professor Custer a fermarmi e a condurmi fuori. Capirai Sophie che con quel gesto è terminata la mia carriera all’ospedale di Melbourne. Anzi, dovrei anche ritenermi fortunato perché il giorno dopo il professor Custer è venuto a dirmi che se non mi hanno buttato fuori dal corso è stato grazie a lui che mi reputa un ottimo studente e ha convinto il rettore a non espellermi. Ma a lezione poi ha scelto Morris come suo assistente facendomi capire che per me non c’era più speranza di un futuro lì dentro.
-Tutto questo è disgustoso! – esclamò Sophie dispiaciuta e amareggiata.
-Ammetto di essere stato troppo impulsivo – affermò Eric – a mente fredda non avrei dovuto colpire il direttore ma ho trovato tutta la vicenda così ingiusta! Anche il professore mi ha deluso, ormai non mi parla quasi più e per superare l’esame dovrò studiare il doppio mentre quel vigliacco di Morris ha la strada spianata verso una brillante carriera.
-Tutto questo per colpa mia! – sussurrò Daisy quasi in lacrime.
-Basta con la parola colpa – disse Eric con vigore – lo vuoi capire che non è così? Ce la faremo ugualmente, terminata la specializzazione ritorneremo a casa e mi occuperò dello studio del dottor Dewy. Forse è bene così, ero diventato troppo ambizioso, non mi farà male tornare con i piedi per terra!
-Ma tu sei veramente bravo – affermò Daisy – e meriteresti molto di più.
-Non m’interessa stare in un posto dove ci hanno trattato in quel modo – asserì il ragazzo prontamente – ancora qualche mese e poi andremo via. Dovremmo farcela con le spese e l’affitto, studiare e lavorare non mi spaventa.
Fece un sorriso e messa una mano su quella di Sophie le disse:
-Hai capito tutta la vicenda? Concordi con me che è meglio non dire nulla a casa?  Soffrirebbero e basta.
La giovane annuì e inaspettatamente chiese:
-Avete bisogno di soldi, quindi?
-Con sacrifici ce la stiamo cavando – rispose Eric pensieroso e guardò la cugina che, presa la sua borsetta, tirò fuori una busta e rivelò:
-Sono nei guai, Eric!
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 36
*** Il patto ***


-Sei nei guai? – ripeté Eric con sospetto.
Sophie aveva poggiato sul tavolo la busta e, guardando i due, era poi scoppiata in pianto.
-Cosa ti è successo? – domandò il giovane preoccupato mentre si avvicinava a lei cercando di capire.
La strinse a sé, Sophie si appoggiò sul suo petto e tirò fuori tutte le lacrime che aveva trattenuto fino allora.
Eric le asciugò il viso, era sconvolta.
-Aiutami ti prego – sussurrò la ragazza – sei l’unico cui potevo rivolgermi.
Daisy, molto discretamente diede un fazzoletto a Sophie, Eric continuò a chiedere:
-Cosa è successo? Sei disperata!
Con difficoltà ma facendosi forza Sophie esordì:
-Aspetto un bambino e sono sola.
Poi si gettò nuovamente tra le braccia di Eric. 
Sentiva profumo di casa, di famiglia, d’infanzia.
E soprattutto percepiva protezione e rassicurazione.
-Sophie – le sussurrò lui tenendola stretta – sono qui, non aver paura. 
-Aiutami – ripeté la ragazza riuscendo ora a guardarlo negli occhi.
Tornarono seduti, Eric con delicatezza le domandò:
-Hai la certezza di aspettare un bambino?
-Sì, sono stata da un medico – replicò lei – mi ha visitata. Non avrei affrontato questo viaggio se avessi avuto ancora qualche dubbio.
Eric annuì e con ancora più tatto chiese:
-E il padre? Lo sa? Ti ha abbandonata?
Fissando ora il pavimento Sophie sussurrò:
-Non lo vuole. È stato irremovibile.
-Scusa se te lo chiedo, avevi una relazione con un uomo sposato? - ipotizzò il giovane tentando di capire.
-No, no – rispose immediatamente la ragazza.
Poi, quasi con vergogna, affermò:
-Il papà del bambino è Percy.
-Percy? – il tono di Eric era tra lo stupore e il disgusto – Lo stavi frequentando di nuovo? E ti ha lasciata, è solo un vigliacco!
Sophie non sapeva cosa dire ma Eric continuò: 
-Perché mai non si prende le sue responsabilità?
Allora Sophie si avvicinò al tavolo, riprese la busta in mano e disse:
-Lui mi ha lasciato questi.
Tirò fuori i soldi e continuò:
-Mi ha detto di trovare un medico, se tu Eric puoi aiutarmi…
Ma Eric, dandole immediatamente uno strattone, buttò in terra tutte le banconote e alterato gridò:
-Pazza! Se sei qui per chiedermi questo, quella è la porta! Sono un medico ed ho giurato di salvare le vite non di procurare morte!
Sophie, ancora più scossa e disorientata, disse in lacrime:
-Non cacciarmi, io non so che fare!
-Te lo dico io cosa devi fare! – esclamò lui con rabbia – Devi tornare a casa e parlarne con tua madre. Vedrai, ti aiuterà a crescere il bambino, tutti in famiglia saranno dalla tua parte.
-No, cosa dici! – urlò Sophie quasi isterica – Mio padre mi ucciderà, non vorrà vedermi mai più!
-All’inizio s’arrabbierà – spiegò Eric – sbraiterà ma poi accetterà la cosa e ti accoglierà a braccia aperte. Ti vuole troppo bene, non ti lascerà sola. Anche i miei genitori, ne sono certo, ti aiuteranno.
-Ho troppa paura – affermò la giovane quasi terrorizzata – troppa! Non posso tornare a casa, una ragazza non sposata con un bambino, sarebbe uno scandalo! 
-E allora uccideresti una vita? – le parole di Eric furono come lame taglienti – Per la tua reputazione e le tue paure saresti disposta a questo? E per la vigliaccheria di quel Percy? Prega Dio che non mi capiti fra le mani!
Sophie, tremante, si appoggiò alla sedia per sedersi di nuovo mentre Eric continuò:
-Ora sono io che ho bisogno di uscire e sbollire la mia ira.
Aprì la porta e si avviò fuori, Sophie con la testa fra le mani piangeva a dirotto.
Daisy le si avvicinò, le mise una mano sulla spalla ed esordì:
-Non avresti dovuto chiedergli quello Sophie!
Lei tirò su il volto e disse:
-Sono così confusa, non voglio uccidere il bambino ma non posso neppure tenerlo! Non è come dice Eric, i miei genitori non sono comprensivi, soprattutto mio padre.
Daisy, istintivamente, l’abbracciò. Fu un gesto di solidarietà femminile e di affetto sincero.
Con la mano Sophie si asciugò gli occhi, poi le guance e dopo poco disse:
-Avevo anche pensato di lasciare il bambino in un orfanotrofio, o in un convento di suore dove avrebbero potuto affidarlo a una famiglia. Ma avrei bisogno di un posto dove stare in questi mesi per poi partorire.
-Ascolta – le consigliò Daisy con voce flebile – qualunque sia la tua scelta, fa che sia una scelta d’amore. Non uccidere il bambino, è terribile!
Si staccò un poco da lei e con gli occhi bassi dichiarò:
-Io ne so qualcosa. 
Sophie sia alzò dalla sedia e con stupore domandò:
-Come ne sai qualcosa? Daisy, che significa?
A questo punto fu l’altra che scoppiò in lacrime:
-Ero una ragazzina, al bordello – disse – rimasi incinta non sapendo neppure di chi. Non ero la prima né l’ultima, ma ero molto giovane. Ad altre di noi era capitato, qualcuna aveva dato in adozione il proprio bambino ma quando successe a me fecero venire un dottore. O forse neanche lo era, perché con me fu un macellaio.
Ora Sophie non riusciva più a piangere, Daisy riprese il suo racconto:
-Un dolore atroce e non solo fisico. C’è un altro dolore che ti resta dentro per tutta la vita. Non lo rimuovi Sophie, mai! Ti prego non farlo.
Maggiormente sconvolta e cercando ora di esser lei di supporto, chiese:
-Eric conosce questa storia?
Daisy annuì e continuò:
-Sì, certo. E molto probabilmente non riesco ad avere ora un bambino per via di quella vicenda.
-Come? – domandò Sophie atterrita mentre Daisy non parlava più andando verso la finestra cercando di capire dove fosse finito suo marito.
-È qua sotto – asserì affacciandosi – Eric è fuori in strada.
Ma Sophie la raggiunse ed esclamò:
-La vita è tanto ingiusta, il destino è atroce in certi casi ma noi lo cambieremo.
Daisy scosse la testa non capendo nulla, Sophie affermò: 
-Il bambino sarà vostro. Tuo e di Eric. Lo crescerete voi, sarete i genitori perfetti!
L’altra tentò di replicare qualcosa ma Sophie aveva già deciso tutto:
-Mi fermerò qui, partorirò e vi lascerò il bambino. Quel giorno Eric avrà terminato i suoi studi e quando tornerete a casa nessuno sospetterà che non sia vostro figlio. Siete una splendida coppia, gli donerete tutto l’amore che io non avrei mai potuto dargli.
Daisy era confusa e frastornata.
Aveva desiderato tanto un figlio con Eric ma quel bimbo non arrivava a causa del suo passato.
Era un’ombra che la inseguiva, quel passato la rincorreva e non la lasciava in pace.
Cambiare il destino aveva detto Sophie, si poteva fare.
Le due ragazze si strinsero in un abbraccio che sembrava quasi un patto.
Ora bisognava solo parlarne con Eric.
    
   
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 37
*** Menzogne ***


-Cosa dovrei fare? E Daisy è d’accordo! – disse ad alta voce Eric, in strada, dopo che Sophie gli aveva esposto la sua soluzione al problema.
Era scesa di sotto per parlarci, Eric, seduto sul muretto di fronte casa stava in silenzio assorto nei suoi pensieri.
Ormai era buio e un unico lampione illuminava a stento la piccola via dove nessuno passava più a quell’ora.
-Tu e Daisy – spiegava Sophie – sarete dei genitori meravigliosi. Perché affidare il bambino a estranei quando ci siete voi che potete dargli tutto l’amore possibile?
-Perché sarebbe un imbroglio, una menzogna! – esclamò Eric allibito – Tu devi tornare a casa e crescere tuo figlio. È tuo e basta! Ti accompagnerò io se vuoi, parlerò con tuo padre se la tua più grande paura è affrontarlo.
-Non lo accetteranno mai – ripeté la ragazza con forza – e invece saranno felici di veder tornare te con un figlio.
-Ma non è mio figlio! – urlò Eric spazientito.
Prese Sophie per un braccio e la condusse dentro il portone, lei esclamò:
-Tu non vuoi aiutarmi Eric! Io contavo su di te.
-Io sono pronto a venirti incontro ma non per attuare questa messinscena! Mi meraviglio come Daisy appoggi questa idea! 
-Lei vuole un figlio – affermò Sophie con sicurezza – e il destino le sta porgendo questa occasione. Ti prego Eric, se non vuoi farlo per me fallo almeno per lei!
Il giovane si era appoggiato alla ringhiera delle scale ed era tentato di salir su e andar a parlare con sua moglie, Sophie gli sfiorò il braccio e continuò:
- Eric, proprio te che porti il nome del nonno che ha preso, accudito e cresciuto mia madre come fosse figlia sua, devi aiutarmi!
-Che paragone fai! – esclamò il ragazzo voltandosi – Anch’io se m’imbattessi in una bimba fra le braccia di una donna morente, la prenderei con me! Ma tu ci sei Sophie, sei viva e puoi fare la madre anche da sola. Come potrai staccarti da lui dopo averlo portato dentro di te, dopo averlo partorito ma ci hai pensato a tutto questo?
-No, non ce la faccio – asserì – la miglior cosa per tutti è che tu e Daisy vi occupiate di questo bambino.
-Con quale coraggio – proseguì lui – mi chiedi di mentire alla mia famiglia, ai miei amici, al mondo intero! La mia vita diventerebbe una grande menzogna!
A quel punto Sophie disse quello che mai avrebbe voluto dire:
-Da sempre siamo circondati da menzogne Eric, da sempre!
-A cosa ti riferisci? – domandò lui incredulo.
-A quello che ci hanno nascosto per anni – affermò con tono fermo e sicuro la giovane donna.
-Chi? Di chi parli? – chiese allora il ragazzo stupito.
-Se tu sapessi chi è forse il mio vero padre, capiresti quello che dico – continuò lei in modo così sibillino da far esplodere nuovamente Eric che disse: 
-Ma cosa stai blaterando Sophie! Il tuo vero padre? Non dire sciocchezze!
-Ci hanno nascosto la verità fin da bambini – spiegò la ragazza con più calma – io sono cresciuta credendo che mio padre fosse Abel e invece non è così. O meglio, non è certo che sia così!
L’espressione di Eric era cambiata, nel suo volto non s’intravedeva più soltanto rabbia ma anche curiosità e incredulità.
-Ascolta – le ribadì – se stai imbastendo tutta questa storia per convincermi a prendermi cura di tuo figlio, sappi che non funzionerà.
-Ti sto dicendo la verità – sussurrò lei – è quello che mi ha confermato anche mia madre. Se tu sapessi Eric!
-E basta! – urlò il giovane – Dimmelo allora!
Sophie fece un passo indietro e tentennando un poco iniziò:
-Anni fa, mia madre e tuo padre, sono stati insieme.
Non riuscì a terminare la frase che Eric subito la aggredì verbalmente:
-Non è possibile, non è vero, sei una bugiarda.
-Loro sono stati bugiardi con noi – asserì lei – fin dall’inizio.
-E tu come lo hai saputo? – domandò con sospetto il giovane sconvolto.
-Me lo disse mia madre, prima di partire per l’Europa – rispose Sophie – e per me fu una conferma perché in cuor mio l’avevo sempre sentito che poteva essere così.
-Non ci credo – Eric scuoteva la testa – tu mi stai mentendo. 
-No, loro ci hanno mentito – continuò lei – per il nostro bene, questo mi disse la mamma. 
-Per il nostro bene – ripetè Eric pensieroso e assorto.
Sophie gli mise le mani nelle sue, lui disse piano:
-Tua madre e mio padre.
Rimasero per un attimo senza parlare, nella quiete più assoluta, finché Sophie sussurrò:
-Mi aiuterai?
Ma Eric la scansò e salendo le scale disse con rabbia:
-Lasciami in pace, devo stare da solo!
Lo scricchiolio della vecchia porta fece capire a Sophie che il cugino era rientrato in casa. Lei rimase nell’androne del palazzo sentendosi stanca e debole. Salì i gradini, uno alla volta, piano piano, attaccata alla ringhiera per poi rientrare anch’ella.
Daisy le chiese subito:
-Eric si è chiuso in camera e non vuole parlarmi. Cosa è accaduto?
Sophie si sedette sul divano e spiegò:
-Domattina andrò via. Ti prego solo di farmi passare la notte qui. Se sai indicarmi dove e come posso raggiungere un convento di suore te ne sarei grata.
-Lui non vuole? – domandò sommessamente Daisy.
Scosse la testa Sophie e continuò: 
-Saresti stata una mamma dolcissima ma non possiamo costringere Eric a far da padre contro la sua volontà.
-Tornando verso la stazione, un po’ fuori città – comunicò l’altra – c’è un convento. Si trova su una collinetta.
-Grazie – sorrise Sophie mentre Daisy le dava una coperta e un cuscino.
Poi si abbracciarono di nuovo.
Nel silenzio Sophie si sistemò sul divano cercando di prender sonno mentre Daisy rassettava la cucina.
Più tardi, lentamente, Daisy entrò nella stanza da letto volendo cercare di fare un ultimo tentativo con suo marito.
-Stai studiando? – gli chiese, avendolo visto seduto allo scrittoio con il lume acceso.
Lui si voltò e le disse porgendole un foglio:
-Tieni, guarda se può andare!
Daisy si avvicinò stupita, Eric la esortò:
-Forza, leggila!
Allora la ragazza capì si trattasse di una lettera e lesse.
“Carissimi mamma e papà,
vi scrivo per comunicarvi una notizia meravigliosa. Daisy aspetta un bambino ed entrambi siamo al settimo cielo. Il parto avverrà in primavera, io avrò terminato la specializzazione così torneremo per stabilirci in modo definitivo in paese. Potete dire al dottor Dewy che rileverò volentieri il suo studio, non m’importa più della carriera qui a Melbourne, preferisco che mio figlio cresca in campagna con accanto tutti voi.
Non preoccupatevi per noi, soprattutto tu mamma, non abbiamo bisogno di nulla. Avvisate zio Abel e zia Georgie e dite loro che Sophie è nostra ospite. È venuta per delle mostre d’arte e, appresa la bella notizia, ha deciso di fermarsi per tener compagnia a Daisy.
Vi prometto di scrivervi spesso per tenervi aggiornati. Sono molto impegnato tra lo studio e il lavoro in ospedale.
Vi voglio bene.
A presto.
Vostro Eric”
 
E così presero Sophie con loro.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 38
*** Nascita ***


 

 

Non furono semplici i mesi a seguire.

Sophie si era stabilita da Eric e Daisy, usciva raramente e per i pochi vicini che l’avevano conosciuta, era la cugina di quel bravo ragazzo da poco laureato in medicina. Viveva lì perché suo marito si era dovuto allontanare per lavoro e sarebbe rimasta con loro fino al parto. Questo avevano raccontato alle rare persone che frequentavano la casa.

Ai familiari invece avevano scritto bugie su bugie soprattutto per frenare la voglia e il desiderio di Georgie e Maria di andarli a trovare. 

Le due donne avevano comunicato di voler prendere un treno e partire per Melbourne nel periodo previsto per la nascita del bambino ma Eric era riuscito a dissuaderle con una lettera dove evidenziava i suoi numerosi impegni per via dello studio e le difficoltà che sarebbero sorte con due persone in più in casa.

Un altro problema giunse poi con la notizia dell’arrivo del conte Gerald, atteso in città per un convegno, avrebbe approfittato dell’occasione per andare a trovare i ragazzi e congratularsi personalmente per la futura nascita.

Quell’episodio portò non pochi litigi, come avrebbero potuto giustificare con il nonno l’evidente gravidanza di Sophie e non di Daisy? Fortuna volle che il convegno saltò e Fritz non partì più per Melbourne, il destino era riuscito ancora una volta a far tenere in piedi la loro commedia.

E quindi, tra inganni e sotterfugi, il tempo era passato e intanto la pancia di Sophie si faceva sempre più visibile e tonda.

La ragazza aveva ripreso a cucire, faceva riparazioni e lavori di sartoria, non la affaticavano e lei era lieta di poter dare il proprio contributo alle casse familiari.

Eric aveva quasi terminato la specializzazione, nelle ultime settimane studiava anche di notte mentre Daisy continuava a fare i servizi da una signora.

-Quanto manca all’esame finale? – domandò Sophie al cugino che era appena rientrato e subito aveva preso un libro dallo scaffale.

Lei stava riparando un vestito, erano da soli, Daisy si trovava al mercato per la spesa.

-Due settimane – rispose Eric alzando lo sguardo dalle pagine del volume per osservare la ragazza che, seduta accanto alla finestra, faceva scorrere velocemente l’ago tra la stoffa colorata. 

-Allora – continuò lei – dovrò cucirti una giacca nuova, non vorrai andare con quella marrone che ha le maniche ormai lise? In quegli ambienti fanno caso a certi particolari, sai?

Posò l’abito sul davanzale per poi alzarsi lentamente e prendere da una cesta che aveva accanto della stoffa blu.

-Vieni – gli disse – questa potrebbe andar bene! Ti prendo le misure, fra due o tre giorni sarà pronta!

Eric si avvicinò e semplicemente le rispose:

-Hai molto lavoro da fare ed è meglio non ti stanchi, non perdere tempo con la mia giacca, non ne ho bisogno! 

-Sciocchezze! – esclamò Sophie con sicurezza – Anche l’occhio vuole la sua parte e il giorno dell’esame devi essere perfetto, non soltanto dal punto di vista della preparazione. E adesso girati!

Gli prese le misure delle spalle mentre Eric sorrideva affermando:

-Sembri tua madre!

-Perché? – quella domanda uscì spontanea dalla bocca della ragazza che, avendolo fatto voltare di nuovo, si ritrovò faccia a faccia con lui.

-Sembri tua madre quando – spiegò Eric ridendo – si ostinava a voler cucire abiti nuovi a zio Abel se aveva degli incontri di lavoro importanti con degli ingegneri. E a lui invece, non importava un bel niente, sarebbe andato con la stessa camicia ogni volta e lei lo rincorreva per la casa con ago e filo in mano! Ho questo ricordo così vivo nella mia mente che sembra fosse ieri!

-È vero – affermò Sophie divertita – la mamma aveva questa mania, ognuno di noi doveva essere sempre sistemato e in ordine, soprattutto nelle grandi occasioni. Quanti vestiti ci ha confezionato per la scuola, per le feste, per la domenica a messa. Il mio abito più bello fu quello bianco con i fiocchetti rossi per la veglia di Natale, un incanto!

-Che rovinasti subito la mattina dopo – sottolineò Eric con ironia – per arrampicarti con me sull’albero accanto al fienile alla fattoria.

-Oh quanto piansi quel giorno – ricordò la ragazza.

-E quanti rimproveri prendemmo! – asserì lui – Io ero colpevole di averti istigata a salire quando invece eri tu che hai voluto seguirmi a tutti i costi. Ma alle fine le presi anch’io!

-Tu mi hai sempre difesa e protetta Eric – affermò con gratitudine Sophie tornando seduta, non guardando più negli occhi il ragazzo.

Lui si voltò verso la finestra e, appoggiata una mano sul vetro, dichiarò:

-Siamo stati felici da bambini, mi chiedo se lo saremo ancora.

Sophie non rispose, si limitò a riprendere la stoffa e ad appoggiarla sul suo grembo ma Eric si girò di scatto ed esclamò:

-Mi domando spesso se abbiamo fatto la scelta giusta! 

-Non c’era altra strada – disse a bassa voce la giovane donna infilando il filo nell’ago.

-E invece c’era – replicò Eric con forza – ma sono ancora scosso dalle loro menzogne che ho preferito iniziare a mentire anch’io! So che è un errore!

Riponendo per l’ennesima volta la stoffa da una parte, Sophie replicò:

-L’hai detto ora che in fondo abbiamo trascorso un’infanzia felice, nonostante le loro bugie. Io credo che anche questo bambino potrà essere sereno con te e Daisy.

Eric, tornato a guardare fuori, riprese a parlare. Forse più che a Sophie era rivolto a se stesso:

-Ho ripensato spesso a tanti momenti passati, che vedo ora sotto un’altra ottica. Adesso comprendo certe situazioni, alcuni silenzi e atteggiamenti di mia madre, dei comportamenti di zio Abel. Posso anche capire zia Georgie ma non mio padre! Ecco, lui non riesco a perdonarlo.

Sophie, al sentire quelle parole, incredula provò a replicare ma Eric continuò:

-Non ha mai preso una decisione, facendo il bravo zio con te, affettuoso, tenero, ottimo confidente e continuando ad amare zia Georgie, in segreto.

-Ma cosa dici? – urlò d’istinto Sophie, gettando anche ago e filo nel cestino – Tra loro ci sarà stata una passione momentanea e basta.

-Tu credi? – rise nervosamente Eric – Allora non osservi e non comprendi chi ti sta vicino. Possibile che non capisci? 

La osservò e con piglio sicuro disse:

-Zio Abel può aver girato il mondo e avuto mille donne ma ne ha amata solo una, Georgie. Mio padre è rimasto accanto a mia madre per sempre, buono, bravo e devoto ma nel suo cuore c’è stata sempre Georgie.

Sophie scosse la testa, Eric chiosò:

-Mia mamma ha sofferto, di questo ne sono certo. Ha sofferto più di tutti!  

Vedendo dal vetro Daisy che rientrava con la spesa non proseguì il discorso, né Sophie gli chiese più nulla.

Come il vento porta via le foglie che invadono i giardini e i viali così il tempo portò via i giorni a seguire. 

Eric terminò i suoi studi e lasciò definitivamente l’ospedale con forse qualche rimpianto.

Per Sophie invece arrivò il momento del parto che fu più rapido e veloce del previsto.

-Va meglio? – le domandò dolcemente Eric accarezzandole la fronte e scostandole i capelli da un lato.

Sophie annuì con la testa mentre era distesa sul letto ascoltando i vagiti del bambino che, nell’altra stanza, era fra le braccia di Daisy.

-Lo faccio riportare qui? – chiese il giovane ma lei rispose di getto:

-No, meglio si abitui da subito a stare con Daisy. Anzi, vai a dire alla sorella del fornaio se può allattarlo insieme alla sua bambina. Dille che io non ho abbastanza latte o qualcosa di simile, ti crederà.

-Ma ne sei sicura Sophie? – replicò Eric – Non vuoi ripensarci, è tuo figlio. Se tu lo vuoi tenere io e Daisy ci faremo da parte.

-No, non ripetermelo! – esclamò nervosa – Ho preso ormai da tempo la mia decisione. Non ritorno indietro.

-Speravo – disse piano Eric – che vedendo il bambino avresti cambiato idea.

-Ti prego – Sophie era ora sfinita – raggiungi tua moglie e lasciami sola.

-Come vuoi – annuì lui alzandosi, accarezzandola per l’ultima volta.

Si avvicinò alla porta ma si voltò sentendo Sophie che lo chiamava:

-Eric, sei contento che è un maschietto?

-È indifferente per me – fu la laconica risposta.

-Ma avete pensato al nome? – domandò Sophie di getto.

-Veramente no – asserì il ragazzo – ho sperato fino all’ultimo che tu cambiassi idea.

Lei scosse la testa e tirandosi un po’ su gli disse:

-Devi andare a denunciarlo, è tuo figlio.

Con lo sguardo serio Eric le propose:

-Andrò al più presto ma scegli tu il nome, gli lascerai almeno qualcosa di tuo. 

Allora Sophie, tornata sdraiata fra due cuscini, esclamò:

-Arthur. Puoi chiamarlo Arthur, se a Daisy va bene.

Eric non si scompose affermando:

-Andrà benissimo.

E così il bambino fu chiamato Arthur.






 

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Capitolo 39
*** In viaggio ***


 

 

L’ultima valigia era stata sistemata sopra lo scomparto, Eric si mise seduto accanto a sua moglie in attesa della partenza del treno.

Il bambino, vispo e sveglio, si dimenava fra le braccia di Daisy che lo guardava con amore. 

Di fronte a loro una donna con la figlia, di circa otto o nove anni, erano sedute pronte per il viaggio.

Il classico fischio e il lento movimento del convoglio fecero capire che ormai avrebbero lasciato la città di Melbourne.

Eric si appoggiò sullo schienale chiudendo per un attimo gli occhi, forse non era pronto per quel ritorno oppure era dispiaciuto di veder definitivamente sfumare il sogno di una brillante carriera.

Quando riaprì le palpebre, vide Daisy intenta a cullare il piccolo Arthur mentre la bimba che era lì vicino alla sua mamma li fissava con interesse e curiosità.

La donna aveva iniziato a fare la maglia e non badava alla ragazzina che, dopo essersi avvicinata al piccolino e tentato di accarezzarlo, aveva chiesto:

-Come si chiama?

-Si chiama Arthur – aveva subito risposto Daisy sorridendo.

-Non dar fastidio! – fu immediato il rimprovero della madre che, alzato lo sguardo dalla maglia, riprese la figlia con determinazione.

-Oh nessun fastidio – replicò Daisy – abbiamo un lungo viaggio da affrontare e fa piacere scambiare alcune parole con qualcuno.

A quel punto anche la donna sorrise e, rivolta alla coppia, affermò:

-Mia figlia tende sempre a fare molte domande ed ho timore che possa dar noia. Comunque complimenti, è proprio uno splendido bambino.

-Grazie, è la nostra gioia – disse con orgoglio Daisy mentre l’altra continuava:

-E Arthur è un bel nome.

-Si chiama come il padre di mio marito – puntualizzò la ragazza guardando ora Eric che non aveva aperto bocca, ma ascoltava pensieroso.

-Anche mio figlio – spiegò allora la donna – porta il nome del nonno. 

-Io invece – s’intromise ora la bambina – mi chiamo Maria.

A quel punto Eric intervenne:

-Mia madre si chiama come te.

La bimba arrossì e la mamma, entrata ormai in confidenza, domandò:

-Scommetto che andate a trovare i vostri genitori, saranno felici di vedere il piccolino. Scendete a Sydney?

-Sì – rispose Eric – anche se poi da lì dobbiamo dirigerci verso le campagne. I miei vivono in una fattoria.

-Sarà una bella vacanza! – esclamò la signora – Sono luoghi che non conosco ma immagino l’immensità delle praterie da quelle parti.

-Non andiamo in vacanza – puntualizzò il giovane con decisione – ci trasferiamo lì.

-Mio marito è un medico – sottolineò Daisy – aprirà uno studio al villaggio limitrofo.

-Siete un dottore? – domandò la donna sempre più incuriosita – Che professione nobile avete scelto!

E, oramai presa dalla discussione, raccontò loro di un medico che anni fa aveva salvato suo fratello da morte quasi certa.

Mentre quella continuava a conversare assieme a un’interessata Daisy, la bambina aveva preso la manina del piccolo Arthur per giocarci e farlo divertire. Eric invece, si era estraniato da tutto e da tutti guardando fuori dal finestrino.

-Vostro figlio vi somiglia moltissimo – affermò la donna rivolta al ragazzo che, come svegliato da torpore, osservò ora il bimbo e poi sua moglie con incredulità.

-Ha i vostri stessi colori – continuò quella – lo vedo dagli occhi e anche dai capelli.

Eric sorrise annuendo pensando, in realtà, a quanto fosse buffa tutta quella situazione. Avevano ingannato un’estranea, sarebbero riusciti a farlo anche con i loro cari? Forse il piccolo gli assomigliava veramente, se Sophie era sua sorella qualcosa in comune dovevano averla.

Tornò a osservare il paesaggio che fuori scorreva veloce, iniziò a non sentire più le voci accanto, la sua mente era rivolta ora a Sophie.

L’avevano lasciata in città, così lei aveva voluto, in un nuovo appartamento al centro di Melbourne. Il lavoro di sarta rendeva bene e l’affitto non era alto. Avrebbe ripreso a dipingere, era quello che desiderava.

-Cosa dirò ai tuoi genitori? – le aveva chiesto Eric alla partenza, con gli occhi lucidi e la valigia sulla porta.

-Che sono impegnata con delle mostre importanti – rispose sicura la ragazza.

-E’ più di un anno che non li vedi, ti aspetteranno – disse il giovane con ancora più tristezza nel cuore.

-E’ meglio così per tutti – asserì – credimi.

Non riusciva a togliersi dalla testa lo sguardo fermo e deciso di Sophie, era convinta di farcela, lontano da tutti quanti. E soprattutto lontano dal bambino.

Aveva promesso che lo avrebbe accudito, cresciuto e amato.

Non sarebbe stato difficile, era una creatura adorabile e indifesa.

Quello che per Eric sembrava impossibile era invece mentire a sua madre, a suo padre, agli zii. A tutti.

Continuò a guardare fuori mentre il viaggio proseguiva, inesorabile, come il tempo non tornava indietro.

Salutarono la donna e la bambina che scesero prima di loro, era quasi il tramonto.

Rimasero soli, Daisy esordì:

-Dobbiamo prepararci, tra non molto saremo arrivati.

Eric non rispose, si alzò e iniziò a tirar giù un primo piccolo bagaglio.

-Sei stato così silenzioso – disse lei con rammarico – quella donna era socievole e simpatica, è stato un piacere chiacchierare con lei.

-Sono lieto tu abbia trascorso serenamente il viaggio – affermò Eric continuando a prendere le valigie.

Il treno stava rallentando la corsa, erano quasi giunti a destinazione.

-Sei pronta? – domandò il giovane a sua moglie guardandola negli occhi.

-A cosa? – chiese Daisy stupita, stringendo a sé il bimbo.

-A rispondere a tutte le domande che ti faranno – disse prontamente Eric – già mi sembra di ascoltare mia madre e zia Georgie che ti chiederanno della gravidanza, di come l’hai trascorsa, se hai avuto nausee o voglie particolari. Sei pronta?

La ragazza non riuscì a rispondere perché Eric continuò:

-Non so ancora il vero motivo che mi ha spinto ad acconsentire a partecipare a tutto questo, se per aiutare Sophie, per amor tuo o per ripicca verso la mia famiglia. O forse per garantire un futuro a questa anima innocente.

Accarezzò con dolcezza la testa del bambino mentre il treno era ormai entrato nella stazione di Sydney. 

Rumori, voci, fumo, frenesia era tutto ciò che si percepiva in quel luogo.

Scesi lentamente, tra i bagagli e gli altri passeggeri, notarono tra la folla, sul binario, delle figure familiari.

-Sono venuti tutti a prenderci – costatò Eric a bassa voce – proprio tutti. Non soltanto mio padre e zio Abel. 

-Ci sono anche Maria e Georgie – aggiunse Daisy avendo notato le due donne che avanzavano verso di loro.    

-Addirittura – disse Eric – il dottor Dewy con la moglie.

Il gruppetto si avvicinava, sorridente, lieto, felice.

Eric posò una valigia in terra, prese in braccio il bambino e gli sussurrò:

-Io sono pronto. A volerti bene, piccolo mio.

  


 

 

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Capitolo 40
*** Ritrovarsi ***




La vendita al mercato era andata meglio del previsto, Arthur salì sul carro accanto a suo fratello pensando che in fondo quell’annata era stata veramente buona.

-Andiamo da Eric ora? – domandò Abel incitando il cavallo a partire – Portiamogli quelle verdure, sono ottime per il bambino, Georgie e Maria lo ripetono sempre!

E sorrise mentre Arthur non sembrava avere quella stessa ilarità.

Cos’hai? – chiese Abel dopo aver atteso già troppo, capiva al volo i silenzi del fratello.

-Nulla – rispose – forse sono io che mi faccio mille problemi.

-Riguardo cosa? – fu l’ulteriore domanda che gli pose.

-Riguardo Eric – ammise Arthur – da quando è tornato è scostante, almeno con me. Non con sua madre, verso Maria è così tenero, quasi protettivo. Ma ti ripeto, forse è solo una mia impressione.

-Qualcosa di strano l’ho notata anch’io – ammise Abel pensieroso – non vorrei riguardasse l’aver lasciato il lavoro in ospedale. Ti ha mai spiegato il perché di questa scelta? Io avevo capito amasse molto quel tipo di specializzazione.

Arthur scosse la testa dicendo:

-No, né io l’ho mai spronato a ritornare qui e rilevare lo studio di Dewy. 
-Forse è accaduto qualcosa che non sappiamo – tentò di ipotizzare Abel – in ospedale, tra colleghi o con qualche paziente.

Avevano ancora un po’ di strada davanti, entrambi pensarono che Eric fosse cambiato, chissà cosa lo tormentava nonostante avesse l’amore di una dolcissima sposa e uno splendido bambino.   

Sophie tornerà domani – annunciò Abel spiazzando il fratello.

Quella frase, pronunciata così, all’improvviso, scosse Arthur già preoccupato di suo.

Si guardarono e sarebbero potuti rimanere per ore senza parlare, l’uno sapeva ciò che avrebbe detto l’altro, si conoscevano troppo bene.

Fu Abel che riprese la parola spiegando:

-E’ arrivata una sua lettera qualche giorno fa, ha lasciato il lavoro a Melbourne e ora vorrebbe stabilirsi qui, almeno per un breve periodo. Poi, forse, andrà a Sydney. 

-Vorrei solo che fosse felice – affermò Arthur abbozzando un sorriso.

-Non so cosa le passi per la testa – disse Abel invece più serio – è inquieta, non è riuscita ad ottenere una stabilità da nessuna parte del mondo. È un anno che non la vediamo, tutto ciò che sappiamo di lei è grazie a Eric e Daisy che l’hanno ospitata in casa loro per mesi. Ha scritto sporadicamente e non ha mai voluto l’andassimo a trovare, a vedere una sua mostra o qualche altra diavoleria avrà realizzato. Non ho mai approvato in pieno questa sua passione per l’arte, la credo frivola e poco redditizia. Georgie mi ha sempre detto di lasciarla fare ed io mi sono contenuto ma tu sai bene quante volte avrei voluto prendere un treno e raggiungerla.

Arthur era come sovrappensiero, ascoltava, ma si percepiva che la sua mente era altrove.
Chiese di getto:

-Pensi che vorrà confrontarsi su quella questione?

Abel scosse il capo:

-Non lo so – ammise – con Georgie fu decisa e determinata e le disse che avrebbe voluto affrontarci ma poi non è più ritornata.

-Forse – disse allora Arthur – abbiamo sbagliato tutto Abel. Con i nostri figli, abbiamo sbagliato tutto.

Una leggera brezza di vento fresco accompagnò quelle parole intrise di rassegnazione e malinconia.

Lo stesso vento soffiava il giorno che Sophie arrivò con l’ultimo treno della sera.

La accolsero con affetto e gioia sincera e lei parve contenta di essere ritornata a casa.

Abel caricò le valigie sul carro mentre Georgie, visibilmente commossa, le fece mille domande sulla città, sul lavoro, sui suoi dipinti.

-Sei felice di essere qui? – domandò Georgie a sua figlia dopo aver cenato, in cucina.

Abel era fuori a sistemare i cavalli, erano loro due sole.

-Sì certo – rispose – mi siete mancati voi tutti. Tu, papà, zio Arthur, zia Maria.

Georgie notò subito che Sophie aveva nominato Arthur chiamandolo nuovamente zio, ne fu sorpresa e meravigliata.

-Ascolta mamma – iniziò la ragazza timidamente – io ho sbagliato a giudicarti, anzi a giudicarvi tutti. Ho capito che la vita ci pone davanti a delle scelte, a volte molto ardue e dolorose, e voi avete sicuramente agito con amore nei miei confronti. Io non posso che ringraziarvi per come mi avete voluto bene, indistintamente.  

E Georgie non poté far a meno di abbracciarla, convinta che Sophie fosse più serena.

La mattina dopo madre e figlia andarono alla sartoria in paese, lavorarono, chiacchierarono, incontrarono conoscenti e amici finché Georgie propose:

-Passiamo un attimo allo studio da Eric prima di tornare a casa, vedrai com’è bello il piccolino! Deve essere cresciuto molto da quando l’hai visto tu l’ultima volta!

Non avrebbe mai voluto arrivasse quel momento, Sophie rimase muta mentre sua madre chiudeva la porta del laboratorio dicendo:

-Si sono sistemati bene i ragazzi, ricordi l’appartamento del dottor Dewy? Hanno apportato qualche modifica, pensa che hanno ricavato dal vecchio salone la camera per il bambino mentre la cucina è più ampia e luminosa. 

-Forse Eric avrà dei pazienti ora – balbettò la ragazza cercando di rinviare quell’incontro – avrò un’altra occasione per salutarlo.

-Faremo in un attimo – esclamò Georgie allegra – sarà felice di rivederti!

Convinta che non avrebbe potuto rimandare in eterno e consapevole già alla partenza che si sarebbero ricongiunti, seguì sua madre che durante il breve tragitto le raccontò del dottor Dewy trasferitosi in campagna e di come Eric si era da subito fatto apprezzare da tutti come medico per competenza e sensibilità. 

-Bussa allo studio – la esortò Georgie giunta davanti alla porta – io intanto salgo sopra a vedere se c’è Daisy con il bimbo. 

Rimasta sola sfiorò la maniglia, titubante se entrare o no.

Si rivide bambina davanti a quella porta, aveva sempre provato timore per il dottor Dewy nonostante dopo ogni visita le regalasse spesso delle buonissime caramelle colorate. Eric invece entrava tutto allegro e baldanzoso, come andasse a una festa.
Forse ha ragione chi afferma che il destino è già segnato.

Fece un profondo respiro ed entrò lentamente.

Non badò alla scrivania, né all’armadio o al lettino per i malati perché la sua attenzione si fermò immediatamente su quel ragazzo in camice bianco che, di spalle alla finestra, teneva fra le braccia un bambino vispo e sorridente.

-Guarda gli uccellini là fuori – diceva Eric al piccolo indicandoli dal vetro – ora papà ti porta in giardino a giocare.

Non aveva sentito la porta aprirsi e quando si voltò, rimase sgomento vedendosi davanti Sophie appoggiata al muro, intimorita e quasi spaventata nel farsi avanti.

Ma Eric, dopo soltanto un attimo, tirò fuori uno dei suoi sorrisi sinceri e dolci e le disse teneramente:

-Mi avevano avvisato del tuo ritorno, sono felice che tu sia qui.

Lei non riuscì neppure ad avvicinarsi né tantomeno a sfiorare il bambino.  

  


  

 

 




 

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Capitolo 41
*** Cercando di dimenticare ***


 

 

 

-Sarei veramente lieta se tu ci aiutassi – disse Maria a Sophie – quest’anno, per la raccolta fondi a favore della scuola, stiamo organizzando un mercatino di beneficenza. Si terrà fra due domeniche, in occasione della festa del raccolto.

-Allestiremo diversi banchetti – spiegò Georgie – i bambini ci stanno lavorando da giorni.

Era trascorso un mese dal ritorno di Sophie e la ragazza alternava momenti di serenità a giornate piene d’angoscia e tormento. In famiglia tutti si erano accorti di un disagio presente in lei ma nessuno poteva immaginare il perché di quel malessere. 

-Certo che parteciperò – fu la risposta di Sophie – la nostra scuola mi sta a cuore, cosa potrei fare?

-Avevo pensato – le illustrò Maria – che ti potresti occupare del banco di pittura. Ci sono delle mie alunne che hanno realizzato dei dipinti, nulla di importante, ma tu le aiuteresti nella gestione. Se poi vorrai aggiungere qualcosa di tuo, un quadro o qualche altra realizzazione, sarebbe meraviglioso per noi.

La ragazza sorrise e annuendo affermò:

-Ne sarò felice! Dovrei avere qui dei dipinti, sono più che altro paesaggi che avevo raffigurato anni fa o nature morte. Qualcosa poi ho portato con me da Melbourne.

-Sarebbe molto bello – continuò Maria – se potessi dare qualche lezione alle mie alunne. Vieni una di queste mattine a scuola, loro ne saranno contente.

L’idea piacque a Sophie che si accordò per iniziare a portare avanti il progetto.

-L’ho vista interessata – sospirò Georgie a Maria rimaste sole – forse insegnare può tenerla occupata, trasmettere la sua passione ad altri è appagante. Chissà, con la scusa della festa, può nascere qualcosa di buono.

In realtà Sophie aveva bisogno di distrarsi e si gettò con partecipazione in quella nuova attività.  

Andò la mattina dopo a conoscere le allieve, erano tre ragazzine tra i dieci e i dodici anni, entusiaste di iniziare le prime lezioni. Sophie apprezzò i loro dipinti e insieme cercò di progettare l’allestimento del banco per il mercatino.

-Qua metteremo il banchetto dei dolci – disse Maria un pomeriggio, quando ormai mancavano solo tre giorni alla festa – sarà gestito dalla signora Carter con due bambini.

-Il mio con i ricami – aggiunse Georgie – lo posizionerei sotto l’albero a destra. E lì a sinistra quello dei ragazzi con gli oggetti in legno.

-Perfetto! – esclamò Maria soddisfatta – Invece Sophie con i quadri potrà mettersi proprio al centro del cortile. È indubbiamente il banco migliore ed è bene sia in bella vista!

Le ragazzine stavano portando i loro dipinti realizzati in quei giorni, con la supervisione di Sophie avevano disegnato sia paesaggi che ritratti.

-Hai fatto un lavoro magnifico! – disse Georgie alla figlia – Sei portata per insegnare l’arte, guarda la soddisfazione delle bambine, sono convinta che i quadri di questo banco andranno a ruba!

-Sono felice – sussurrò lei – è stato piacevole.

Tra le chiacchiere e il vociare dei bambini si sentì Maria annunciare:

-E’arrivata Daisy con il piccolo, vado subito da loro.

Tutti si precipitarono ad accoglierla, Sophie rimase a sistemare i quadri.

Ormai c’era un gran baccano intorno, anche Abel si era messo a riparare una parte di staccionata, si sentì Daisy affermare:

-Io potrei aiutare Georgie ad allestire il suo banco.

-Noi possiamo tenere il bambino? – chiese una delle ragazzine.

Ma Daisy non rispose e si avvicinò a Sophie.

-Sono bellissimi – asserì riferendosi ai dipinti – questo l’hai fatto a casa nostra, lo ricordo.

Sul banchetto infatti, oltre ai disegni delle alunne, c’erano due quadri portati da Sophie. Uno dei due raffigurava il porto di Melbourne.

Maria intanto aveva preso in braccio il bimbo, Georgie domandò:

-Perché non metti altri tuoi dipinti? 

-Non vorrei togliere spazio ai quadri delle bambine – disse seria Sophie – vorrei dar importanza a loro non a me.

-Però con i tuoi – propose Maria – possiamo raccogliere più fondi, sono stupendi!

Sophie annuì col capo mentre tutti erano presi a far i complimenti al piccolino.

Fino a sera continuarono i preparativi, poi, rimaste soltanto Georgie e Maria furono raggiunte da Sophie con una tela in mano.

-Se volete altri quadri – disse – dovrò andare a prenderli dal nonno. Per ora posso aggiungere questo.

E pose sul tavolo il dipinto. Era un acquerello e raffigurava una Madonna con Gesù Bambino.

-Questo è meraviglioso! – furono le parole di sua madre – Quando l’hai fatto? Non l’avevo mai visto.

-Prima di ritornare qui, quando ero da Eric – affermò fissandolo malinconica.

-Sembra – aggiunse Maria estasiata – una delle Madonne di Raffaello. Hai preso spunto da lì, vero? Il tuo viaggio in Italia ti ha ispirata, ne sono certa.

Ma Sophie scosse la testa e disse sicura:

-Ho rappresentato una madre, una madre che sapeva di perdere suo figlio.

Quella frase così sibillina non fu colta dalle due donne ma la ragazza invece aveva raffigurato il suo dramma interiore.

Il giorno dopo era dal nonno per prendere alcuni quadri utili per la festa.

Si gettò a capofitto nella ricerca di suoi vecchi dipinti, ne trovò due adatti per il banco allestito.

Fritz le annunciò con orgoglio che aveva donato alcuni quadri per una mostra in Municipio, tra cui un’acquaforte realizzata da Sophie e un ritratto di Georgie.

Presa dalla curiosità e desiderosa di distrarsi, la giovane andò alla mostra dove incontrò diversi visitatori interessati alla sua opera.

-Questo lo prenderei subito! – esclamò una ragazza ben vestita e sofisticata riferendosi all’acquaforte – Sarebbe perfetto nella camera da letto. È in vendita?

Sophie, sorridendo lusingata, rispose:

-Veramente no, è stato donato per la mostra, ma se vi piace possiamo parlarne.

-Siete l’autrice? – chiese quella – Complimenti, mi ha colpito all’istante. Vede, sto per sposarmi e ci sono alcuni quadri che impreziosirebbero la mia casa.

Anche altre persone si erano radunate attorno a Sophie, erano amici della giovane interessata al quadro.

-Sta arrivando il mio fidanzato – disse la ragazza – vediamo cosa ne pensa. Percy, caro, guarda che meraviglia ho trovato per il nostro nido d’amore! 

Fu un attimo. Un dramma. Poi solo sofferenza.

-Vi conoscete? – domandò la giovane avendo compreso lo sgomento nello sguardo di Percy.

-Sì, sì – balbettò lui mentre Sophie si limitò ad un mezzo sorriso di circostanza.

-E’fantastico! – esclamò felice la sua fidanzata – Questa pittrice è bravissima e io vorrei proprio acquistare questo quadro. Che ne dici amore?

Percy non riusciva a parlare fu Sophie che disse:

-Posso anche regalarvelo, con i miei migliori auguri per il matrimonio.

Detto ciò si congedò da loro per uscire sulla terrazza a prendere aria.

Rimasta sola scoppiò in pianto.


 

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Capitolo 42
*** Tornare indietro ***




Tirava vento quel pomeriggio sulla terrazza, non era freddo ma comunque fastidioso. Era un vento che soffiava nonostante il cielo sereno e limpido.

Non erano molte le lacrime sul volto di Sophie ma facevano male, erano pesanti come fossero macigni.

Le mani poggiate sulla balaustra, i capelli sfuggiti al nastro erano scompigliati a destra e legati a sinistra, il vestito azzurro e bianco sembrava ora stropicciato e sgualcito.

Udì dei passi rapidi e mentre si voltava sentì una mano sfiorarle il braccio.

-Ti prego, parliamo – era Percy che l’aveva raggiunta, affranto e distrutto.

-Non toccarmi! – esclamò di scatto Sophie scansandosi da lui.

-Sapessi quanto ti ho cercata – tentò di spiegare il giovane con la voce spezzata.

-Vattene – il tono della ragazza era fermo e deciso – vai via!

-Per favore – ribadì Percy – fammi parlare, non speravo più di rivederti.

-Io non voglio ascoltarti – disse Sophie in modo concitato – mi hai fatto troppo male.

-Lo so e ti chiedo perdono – affermò lui immediatamente – sono stato ignobile, vile e senza cuore. Ma sono cambiato, ho capito i miei errori.
-Certo – lo incalzò Sophie – il matrimonio non era nei tuoi progetti. E neppure un figlio. A quando le nozze?

-Non m’interessa nulla di lei – disse costernato il ragazzo – neanche so perché mi sono fatto coinvolgere in questa storia. O forse sì. È che vado cercando quella felicità che ho gettato via lasciandoti sola.

Sophie scosse la testa facendo due passi indietro.

-Non c’è giorno – spiegò Percy – che io non pensi a te e a quel bambino. Dio mi sprofonderà all’inferno e allora avrò quello che merito. Sono un assassino, uno squallido e lurido verme.

Tentò di prenderle la mano ma Sophie si scostò nuovamente.

-Sappi che ti ho cercata – continuò lui – venni al palazzo di tuo nonno ma la servitù mi disse che ti eri trasferita lontano. Ho provato a rintracciarti ma nessuno mi seppe dire dov’eri.

-Sono voluta sparire – asserì la giovane senza specificare nulla.

-Era troppo tardi ormai – pianse Percy – ti avevo costretto a compiere il peggiore degli atti e ho distrutto due vite, la tua e quella di una creatura innocente. Potrai mai perdonarmi Sophie? Darei tutto per ricominciare da capo ma purtroppo quel bambino non tornerà e tu, giustamente, mi odierai per il resto dei giorni.

Percy era sinceramente dispiaciuto e addolorato mentre Sophie si allontanava lentamente dalla terrazza.

-Per favore – continuò lui supplicandola – non andare via. Ora che sono riuscito a ritrovarti vorrei chiederti perdono.
Lei si voltò in lacrime sussurrando ironica:

-Auguri per le nozze, congratulazioni!

-Manderei tutto all’aria per te! – asserì Percy con convinzione – Se solo non fossi stato così spregevole ora saremmo veramente felici con il nostro bambino. Cosa darei per tornare indietro! Perdonami Sophie.

Guardandolo per l’ultima volta se ne andò da quel luogo.

Il vento aveva incominciato a soffiare più forte.

Il giorno della festa, invece, era una bellissima giornata di sole. Il mercatino fu aperto dalla mattina e molta gente accorse sia dal villaggio che dalle campagne limitrofe.

Adulti e bambini parteciparono attivamente, i ricami di Georgie andarono a ruba come anche i dolci preparati dalle mamme degli alunni della scuola.

Il banco con i dipinti però fu quello più ammirato e apprezzato, posizionarlo al centro del cortile si rivelò un’ottima scelta.

Le ragazzine furono felicissime di ricevere elogi da tutti per i loro disegni anche se l’interesse maggiore fu, ovviamente, per i quadri di Sophie. 

-Come vorrei – confidò Georgie a suo marito in un momento di pausa – che questa esperienza le facesse venire la voglia di insegnare pittura. Era così nervosa ieri sera, non vuole mai confidarsi ma è sempre stata insicura e titubante nelle sue scelte che ha paura di parlare.

-È un vento improvviso che ti spalanca le finestre – affermò Abel – io la definisco in questo modo la nostra Sophie. 

Con un sorriso Georgie riprese i suoi ricami illustrandoli a una signora interessata mentre Abel non si sentiva tranquillo per niente. Sophie era come un vento impetuoso e lui aveva il timore che qualcosa potesse abbattersi, da un momento all’altro, sulle loro vite. Avrebbe provato a parlare con sua figlia, l’aveva vista troppo tesa, troppo angosciata, troppo pensierosa. Era preoccupato. Preoccupato per quella che era ancora la sua principessa.

-Buonissimo il dolce alle mele – sentenziava il signor Carter masticando con gusto.

-Vorrei comprare quella collanina colorata – diceva la figlia della signora Smith a sua madre.

-Il disegno realizzato dalla mia bambina è proprio bello! – esclamava con orgoglio il papà di Karen.

-Tutti gli alunni si sono impegnati tanto – spiegava Maria entusiasta.

-Sono felice stia riuscendo tutto alla perfezione – affermava Eric.

-Andiamo a giocare sotto l’albero! – gridavano i bambini festosi.

-Ti sistemo questi fazzoletti ricamati accanto allo scialle rosa? – domandava Daisy a Georgie.

-Vieni piccolo mio – sussurrava la giovane donna – vieni con me. Staremo bene insieme.

-È arrivata molta gente anche dalla città – affermava Arthur soddisfatto.

-Hanno comprato il mio dipinto! – gioiva Martha, la figlia dei coniugi Damon.

-Sono stanca ma felice – costatava Georgie.

-Dov’è il mio bimbo? – domandò Daisy ansiosa – Non lo vedo più!

Quanto chiasso intorno, quanta allegria.

-È con le bambine – rispose Maria – sono innamorate di lui! Insistono sempre che vogliono coccolarlo. 

-Ma non c’è – ribadì la ragazza preoccupata – loro sono al banchetto dei quadri! 

Si diresse verso suo marito:

-Eric, Eric – disse concitata – non vedo il nostro piccolino.

-Era con Sophie – affermò Georgie – lo stava cullando.

-Perché l’ha preso? – gridò Daisy d’istinto.

-Stai tranquilla cara – la rassicurò Maria – se è con Sophie è in mani sicure.

Ma Daisy si rivolse a Eric che si avvicinava:

-Hai sentito? Sophie ha preso il bambino e non li vedo più qui intorno. Dobbiamo cercarli.

-C’è molta gente – rispose Georgie con naturalezza – ma non devi allarmarti. Si saranno spostati dietro l’edificio oppure in casa. Forse Sophie stava tentando di far addormentare il piccolino.

-Non deve farlo! – il tono di Daisy era ora isterico.

-Calmati adesso – disse Georgie ferma e sicura – sai io quante volte mi sono occupata di Eric e Maria di Sophie? È naturale aiutarsi in famiglia.

-Io vado a cercarli – fu Eric ora a parlare – quanto tempo è che non vedete più Sophie?

-Perché tutto questo allarmismo? – chiese candidamente Maria mentre anche Abel e Arthur si avvicinavano al gruppo famigliare.

-Meglio andare a cercare Sophie – affermò con decisione Eric – voglio assicurarmi che sia veramente in casa con il bambino.

Georgie percepì l’apprensione e la preoccupazione negli occhi di suo nipote, non fece domande ma si precipitò al banco dei quadri.

-Ragazze – chiese – ma Sophie dov’è?

-Si è allontanata, penso sia dentro la scuola – rispose subito Martha.

-Aveva il piccolo Arthur con sé? – domandò Maria che aveva seguito Georgie.

-Sì – fu Karen ora a parlare – stava piangendo e lei lo ha preso in braccio per calmarlo.

-Volevo cullarlo io – specificò Patty desolata – ma Sophie ha detto che sapeva come fare e noi invece dovevamo rimanere qui al banco. 

Le due donne si spostarono verso la scuola mentre Eric entrava in casa. Di Sophie e del bambino nessuna traccia.

Daisy era presa dall’agitazione, la sua espressione contrastava con i volti lieti e sorridenti delle persone che allegramente si godevano la festa.

-Ma non capisco – chiese Arthur – perché tutta questa ansia? Se il bambino è con Sophie non vedo il problema! Se non è qui l’avrà portato a fare una passeggiata, lontano dal baccano della fiera.

-E’quello che credo anch’io – asserì Maria mentre Eric, da una parte, consolava sua moglie.

-Da più di un’ora non vediamo Sophie e il piccolino – spiegò Georgie.

Allora Abel si diresse verso i due giovani dicendo con franchezza:

-Insomma Eric, c’è qualcosa che devi dirci e noi non sappiamo? Tutta questa apprensione non è giustificabile.

Il ragazzo disse soltanto:

-Devo trovare Sophie, può essere scappata con il bambino.

-Scappata? – il tono di Abel era pieno di sgomento – E perché mai?

Eric, ormai deciso a prendere il cavallo, dichiarò con voce spezzata:

-Perché è suo figlio.

E andò verso la stalla ma Abel lo bloccò immediatamente.

-Suo figlio? -  gli domandò atterrito – Cosa diavolo avete fatto tu e Sophie!

-Ma che hai capito! – esclamò Eric disgustato al solo pensiero che lo zio potesse aver intuito altro – È figlio suo e basta. 

Si liberò dalla presa di Abel e continuò:

-Suo e di Percy Gray.


 

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Capitolo 43
*** Costruire e distruggere ***


 

 

-Signor Gray – annunciò la servitù – vi desiderano all’entrata.

Percy alzò lo sguardo dal bicchiere e fissando l’orologio affermò:

-Avevo ordinato di non voler ricevere nessuno stasera.

-Perdonatemi – continuò la domestica timorosa – ma la signorina all’ingresso ha insistito dicendo che è molto importante.

-Ho detto nessuno – ribadì con vigore il giovane – neppure la mia fidanzata.

-Non si tratta della signorina Valery – spiegò quella ora impacciata – ma di un’altra ragazza. Credo sia veramente urgente, scusatemi se mi permetto, anche perché la persona in questione non è da sola.

-Chi è? – domandò Percy infastidito, alzatosi dalla poltrona – Perché sei così nervosa Dora? Chi è questa ragazza e con chi è venuta?

E si avvicinò alla porta della stanza sentendo la cameriera pronunciare l’unico nome che avrebbe potuto farlo uscire di lì immediatamente.

-Sophie Buttman – disse ad alta voce la donna che non riuscì a continuare il discorso perché Percy si era già precipitato per le scale.

- È con un bambino – aggiunse Dora quasi sorridendo anche se il giovane Gray non aveva potuto sentirla – ne vedremo delle belle!

Chiuse la porta e, decisamente divertita, si dirigeva in cucina a raccontare la ghiotta notizia alla cuoca e agli altri domestici.

Arrivato nel salone principale, Percy riconobbe colei che da lungo tempo era nei suoi pensieri. Era voltata di spalle e si girò sentendosi chiamare. Aveva il bambino fra le braccia, avvolto da un semplice scialle verde e rosso.

-Sophie – esclamò lui sbarrando gli occhi –Sophie ma…

Non terminò la frase perché avvicinatosi si intenerì subito fissando il piccolo e poi la ragazza che, facendo un passo indietro, gli disse:

-Giura che non mi pentirò di quello che sto facendo.

-Lui è – balbettò Percy – tu non hai, cioè …

-È nostro figlio – affermò Sophie – come vedi c’è, io non me la sono sentita di compiere quello che tu mi ordinasti di fare.

-Ero un pazzo – asserì lui – a volere ciò, non avevo capito che questa e solo questa è la vera felicità.

Fece il gesto di accarezzare il bambino e abbracciare Sophie ma la ragazza lo respinse.

-Assicurami che sei cambiato – replicò con fermezza – che posso fidarmi di te, che le tue lacrime dell’altro giorno erano sincere. Dimmi che mi ami, anzi che ci ami e io sarò pronta a ricominciare da capo.

-Sophie, tutto quello che desidero ora è stare con voi due – sussurrò Percy – certo che ti amo, ti ho sempre amata e non sai che gioia sto provando nel vedere il nostro bambino. Ti somiglia, è così bello.

Il piccolino si era agitato, dimenandosi fra le braccia della mamma.

-Vieni – propose Percy – spostiamoci nell’altra stanza, è un ambiente più caldo, staremo meglio.

Nel salottino si misero seduti e Sophie poté sdraiare il bimbo sul divano.

-Posso toccarlo? – chiese Percy con discrezione, sedendosi sul bordo quasi a non voler disturbare.

Sophie annuì col capo e il giovane prese la manina del piccolo sfiorandola delicatamente, quasi come fosse porcellana.

-Guarda che non lo rompi! – rise Sophie vedendo che Percy aveva come paura di fargli male.

I due si fissarono allora negli occhi.

-Finalmente sorridi – esclamò lui incantato sia dal bel volto della ragazza che dal bambino che era più calmo e tranquillo.

-Raccontami – continuò Percy – quando è nato? E dove siete stati in questi mesi?

Sophie sospirò e poi, con difficoltà, iniziò a parlare.

-Quanto hai sofferto! – disse il giovane al termine delle vicissitudini narrate dalla ragazza – E solo per colpa mia, solo mia! Ma ora, se vorrai perdonarmi, rimedierò a tutto quello che ti ho fatto passare. Sono pronto a prendermi ogni responsabilità, dimmi cosa devo fare e per te lo farò.

-Proviamo ad essere una famiglia – sussurrò Sophie riprendendo in braccio il bambino.

-È quello che desidero – asserì prontamentePercy abbracciando entrambi.

Rimasero vicini, coccolando il piccolino e aprendo il proprio cuore l’uno verso l’altra.

Era ormai sera inoltrata quando Percy fece preparare dalla servitù una stanza per il bambino, annunciando che Sophie si sarebbe stabilita lì in modo definitivo.

-Cosa dirai alla tua fidanzata? – gli chiese lei mentre salivano le scale per andare nelle camere.

-La verità – ammise subito Percy – che non la amo e che il matrimonio è annullato. Anzi, prepareremo il nostro di matrimonio amore mio!

Le diede un bacio per poi domandare:

-Cosa dirai tu, invece, alla tua famiglia?

Sophie si fermò, lo guardò negli occhi e dichiarò:

-Dirò la verità. Mi sono ripresa mio figlio perché non posso vivere senza di lui.

Non passò molto tempo, il bimbo si era addormentato e la servitù tornò a bussare alla porta.

-Perdonatemi per l’orario – esordì Dora – ma al cancello due uomini chiedono di voi, signor Gray. E della signorina.

Percy e Sophie si scambiarono uno sguardo d’intesa, lui domandò:

-Chi sono, Dora?

-Eric e Abel Buttman – scandì bene la cameriera.

Sophie disse a bassa voce:

-Mio cugino e mio padre.

-Vado io – affermò deciso Percy – Dora, dì a James di farli entrare.

-Vengo con te – aggiunse con agitazione la giovane – è me che vogliono vedere.

-Non li affronterai da sola – disse lui – ti sono accanto.

Scesero insieme le scale, mano nella mano, per la prima volta Percy trasmetteva a Sophie sicurezza e rassicurazione.

Arrivati nel salone d’entrata trovarono Eric e Abel, trafelati e stanchi.

-Fai parlare prima me – aveva detto Eric allo zio entrando nella villa.

Percy avanzò verso di loro, lasciando Sophie un po’ indietro.

-Sapevo che eri qui – iniziò Eric rivolgendosi alla ragazza – lo immaginavo.

-Sophie rimarrà qui – sottolineò Percy salutando i due con un cenno del capo – con il bambino. Anzi, vi annuncio che ci sposeremo al più presto e riconoscerò mio figlio. Non gli farò mancare nulla.

-Credo sia tardi – disse Eric alterato mentre Abel faceva difficoltà a trattenersi dal commentare – dato che il bambino porta il mio di cognome.

-Ma è mio figlio – ribadì Percy – lo sai benissimo e Sophie lo può testimoniare meglio di chiunque altro.

E riprese la giovane per mano avvicinandola a sé.

-L’hai abbandonata – continuò Eric – è venuta da me in lacrime perché l’avevi lasciata con una manciata di sporco denaro per compiere un abominio, mi ha supplicato di farmi carico del bambino, facendomi mentire a tutti e ora, torni volendo riprenderti quella creatura come se niente fosse! E tu Sophie, possibile che non capisci? Come puoi fidarti!

-Io e Percy – dichiarò lei con sicurezza – vogliamo costruire una famiglia.

-Distruggendo la mia! – urlò Eric –Perché è questo che stai facendo. Stai giocando con i sentimenti degli altri Sophie e non fai il bene di tuo figlio.

-Abbassa il tono – disse Percy con aria di superiorità – sveglierai il bambino.

A quel punto Abel, ormai spazientito intervenne:

-Sophie vai a prendere il piccolo e torna a casa con noi.

-Non si muoverà da qui – rispose Percy piccato.

-Lasciaci soli – asserì la ragazza prontamente – ti prego caro, devo risolvere la questione da me.

L’atmosfera era più che tesa, Percy affermò:

-Come vuoi ma se hai bisogno sono nella stanza accanto.

-Io amo Percy – esordì Sophie rimasta con i suoi famigliari – e amo il mio bambino. Non ce l’ho fatta a staccarmi da lui, è un legame troppo forte.

-E io te lo dissi subito – asserì Eric – che era tutto uno sbaglio! Ma ora lo sbaglio è tornare con Percy, non è affidabile, rischierai di rimanere sola ancora una volta.

-No, non è così –la giovane aveva le lacrime agli occhi – è totalmente cambiato e io so che starò bene con lui.

-Basta Sophie – ora fu Abel a parlare – non costringermi a portarti a casa con la forza!

-Non tornerò – furono le parole secche e decise della ragazza.

-Se resti qui – disse fermo Abel – non considerarmi più tuo padre.

-Tanto non lo sei mai stato! – rispose Sophie con supponenza.

Rimase impassibile anche di fronte a quello schiaffo, dicendo sottovoce mentre Abel usciva in solitudine:

-Soltanto questo sai fare.

-Ti prego – aggiunse invece Eric – non fare la pazzia di sposare Percy. Torna da noi con il bambino, tienilo te, io rinuncio a lui ma tu non compiere questo ennesimo sbaglio.

-Addio Eric – con quelle semplici ma dolorose parole Sophie chiuse così un altro capitolo della sua vita.




 

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Capitolo 44
*** Pensieri di una madre, pensieri di una donna ***


 

 

Il piccolo Ted era fermo, immobile, mentre Georgie gli sistemava con delicatezza le maniche della camicia nuova. Ormai si sentiva un ometto e, dall’alto dei suoi quasi sei anni, era pronto per affrontare l’avventura della scuola.

-Abbiamo terminato – annunciò Georgie riponendo ago e filo – ora sei proprio uno studente perfetto!

E rise assieme a Kate che orgogliosa guardava il suo bambino.

-Ti ringrazio – disse la giovane mamma – il mio Ted aveva bisogno di un abito per il primo giorno di scuola e avevo timore tu non riuscissi a realizzarlo in tempo. Invece sei stata puntuale, come sempre! 

-Non c’é voluto molto – sottolineò tranquillamente Georgie – e la scuola inizia fra tre giorni, se sarà necessario qualche ritocco, puoi passare in sartoria quando vuoi.

Kate annuì, osservando Ted che, curioso, si era messo a girovagare per la stanza in cerca di qualcosa di interessante.

-Ha avuto una brutta tosse – raccontò – l’ho tenuto in casa la scorsa settimana, ecco perché siamo venuti così tardi da te.

-Mi sembra che ora – affermò Georgie – stia bene, è vispo e allegro come tutti i bambini della sua età.

-L’ho fatto visitare da Eric – spiegò la ragazza – gli ha dato una medicina ed è passato tutto in poco tempo.

Col capo Georgie approvò mentre metteva da parte alcuni scampoli di stoffa.

Kate, essendo certa che suo figlio non ascoltasse i loro discorsi, si avvicinò ancor di più a Georgie e con imbarazzo esordì:

-L’avevo sempre portato da un altro medico in città ma adesso sono tanto felice di poterlo far curare da Eric, quando ce ne sarà bisogno.

-Perché andare lontano – chiese la donna stupita – se abbiamo un medico preparato e scrupoloso come Eric qui in paese?

La giovane, a bassa voce, rispose titubante:

-Oh è stata una mia scelta Georgie. Da madre ho sempre pensato che a Eric e soprattutto a Daisy facesse tanto male vedere il mio Teddy crescere e diventare grande. 

Georgie intuì all’istante a cosa si riferisse la ragazza e l’ascoltò con una fitta al cuore.

-Il loro bambino avrebbe avuto l’età del mio ora – continuò Kate addolorata – sarebbe stato come aggiungere ulteriori sofferenze a chi ha già provato il dispiacere più grande del mondo.

Prendendole le mani, Georgie affermò:

-Sei tanto cara ma è il suo lavoro, Eric è ben felice di poter curare anche i bambini, senza alcuna distinzione. E Daisy da quando è arrivata Grace si è risollevata, finalmente.

-Infatti – continuò Kate sorridendo – ho deciso di portare Ted proprio perché ora, con la nascita della piccolina, ho visto un po’ di serenità nella loro vita.

-È stata una grazia del Signore – specificò Georgie con gli occhi lucidi – non per niente la bambina si chiama Grace. 

Nel salutare il piccolo Ted che usciva felice con la sua mamma, Georgie fu presa dall’ansia, dal rimpianto e dalla malinconia. E poi da tanta tanta tristezza.

Non c’era giorno che non pensava a Sophie e al bambino.

Chiuse la porta e, lasciato fuori tutto e tutti, pianse.

Per gli amici, i conoscenti, la gente del villaggio il bimbo era scomparso, sparito, disperso e molto probabilmente morto sbranato da qualche lupo o da qualche altro animale nei paraggi. E Sophie era partita per l’Italia presa dal rimorso di non averlo saputo sorvegliare, cercando di dimenticare.

Invece quella sera, ben altro era accaduto. L’ennesimo fatto celato al mondo.

Mentre Maria fingeva serenità intrattenendo le persone al mercatino ignare di tutto e Georgie in casa cercava di sostenere Daisy, Eric, Abel e Arthur erano partiti per le ricerche.

Arthur si era diretto al villaggio, Eric con Abel a villa Gray.

Dopo aver trovato Sophie e il bambino da Percy e dopo aver appreso la volontà della ragazza di tagliare i ponti con la famiglia, avevano deciso di nascondere la verità.

-Ho sbagliato io a fingere che fosse mio figlio – disse Eric ai suoi cari – non posso andare alla polizia e raccontare che Sophie ha preso il bimbo, il torto è anche mio.

Ne aveva comunque denunciato la scomparsa, passati anni ormai il piccolo era dato per morto.

Le settimane trascorse dopo quella sera furono dure, piene di sofferenza e d’angoscia.

Georgie ancora sentiva le voci di quelle due ricche clienti che alla sartoria parlavano fra loro.

-Hai sentito della povera Valery? – domandava una.

-Certo – rispondeva subito l’altra – che duro colpo, poverina! Essere lasciata a un passo dall’altare.

-Lui aveva un figlio con una pittrice – ribatteva scandalizzata l’amica – e ora sembra partirà per l’Italia con la ragazza e il bambino.

-Però Valery doveva capirlo – sentenziava la donna – che Percy Gray non era un tipo affidabile!

-Sophie andrà via per sempre – disse Georgie ad Abel tornata a casa – non la vedremo mai più.

-Per me è già scomparsa – affermò lui rassegnato – da quella sera, due settimane fa, io e lei non siamo più padre e figlia.

E allora Georgie si rivolse all’unico che in quel momento poteva tentare di convincere Sophie a riallacciare i rapporti familiari.

-Ti prego Arthur – gli chiese – andiamo a fermarla.

Quando arrivarono a palazzo Gray era ormai troppo tardi, la servitù annunciò loro che Percy con Sophie e il piccolo erano al porto pronti per imbarcarsi.

Fu una corsa, spasmodica ma inutile.

Sophie li vide mentre stava per salire sulla nave con Percy, il bambino era già su con la balia.

-Dammi un attimo per parlarci – chiese la ragazza al giovane.

-Non partire – la supplicò sua madre – torna da noi.

-Ho preso la mia decisione – spiegò Sophie – non mi fermerete.

-Perché vai così lontano – le domandò Arthur – perché? Sai di essere in errore, è per questo che scappi?

-Tutti siamo in errore, tutti abbiamo commesso sbagli – asserì Sophie ancora più ferma e sicura.

Non poterono far altro che osservare la nave che salpava rimanendo abbracciati sulla banchina.

-Una volta – singhiozzò Georgie – zio Kevin disse che Sophie era figlia dell’amore, ormai credo sia figlia del peccato, è per questo che siamo costretti alla sofferenza.

-Sophie è nostra figlia e basta – affermò Arthur guardandola intensamente.

Vedendola così triste, essendo anche lui ormai rassegnato, la strinse ancora più forte a sé, sfiorandole le labbra con le sue per poi baciarla prima delicatamente e dopo con ardore.

Georgie si abbandonò a quel bacio, sentendosi confusa e piena di rimorsi, ma Arthur si fermò dicendo:

-Che ho fatto? – era pronto a coprire ancora una volta una passione mai sopita – Perdonami, non avrei dovuto.

Lei si sistemò lo scialle per ripararsi da un vento fresco che, inaspettato, stava soffiando ora lì al porto. 

Si incamminarono verso il carro senza dire alcuna parola.

Da quel giorno la vita era proseguita, incolore e non priva di difficoltà, soprattutto nei rapporti familiari.

Tutti però si erano riuniti attorno a Eric e Daisy, rimasti senza quel bambino che avevano amato come fosse il loro.

Di Sophie non avevano saputo più nulla, finché Georgie ricevette una lettera di Lowell. Con quelle righe, l’uomo, cercava di rasserenarla spiegando che la ragazza stava bene, si era sposata con Percy e il piccolino cresceva tranquillo. Vivevano nella campagna toscana, vicino Firenze ed erano felici.

Se, da una parte, Georgie fu lieta di ricevere quelle notizie dall’altra si sentiva amareggiata perché la sua Sophie aveva deciso di non farla partecipe della sua vita, delle sue scelte, delle sue gioie. 

Anche Abel junior era lontano, a New York, lavorava e si era sposato con una brava ragazza ma scriveva puntualmente e sperava un giorno, di riabbracciare i suoi genitori.

Sophie invece era scappata. Da loro. 

Nel dramma e nella solitudine di quegli anni però, un timido raggio di sole si fece spazio tra la tempesta. Daisy scoprì di essere incinta e quella notizia portò finalmente un po’ di luce in famiglia. Il parto non fu semplice, nacque una bimba fragile e delicata che chiamarono Grace, una vera grazia del Signore.

La vita era ripartita ora intorno a quella piccolina, Georgie, quando poteva, andava volentieri da Daisy ad aiutarla insieme a Maria.

Georgie cercava di ricostruire pian piano la sua esistenza, raccogliendo i cocci di un matrimonio spento e di una famiglia andata in frantumi. Non era semplice. Per niente.





 

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Capitolo 45
*** Il piccolo paziente ***


 

 

L’anziana signora Damon era appena andata via, come ogni lunedì passava allo studio per farsi controllare la salute del cuore e ne approfittava poi per fare due chiacchiere con Eric, se non c’erano altri pazienti ad aspettare. Gli chiedeva della bambina, gli raccontava dei suoi nipotini lontani e di cosa avrebbe cucinato per cena. Il giovane l’ascoltava pazientemente e dopo le dava appuntamento alla prossima settimana, sapendo che quella conversazione, per la donna, era più salutare di qualunque medicina prescritta.

Chiudendo la porta, dopo aver salutato la simpatica signora, Eric buttò lo sguardo sui volumi posti in alto sullo scaffale. Erano i testi della specializzazione, impolverati e chiusi da anni. Non di rado pensava al suo sogno di lavorare in ospedale, se le cose fossero andate diversamente forse ora sarebbe stato un ottimo chirurgo. Forse. 

Salì le scale sorridendo, per la signora Damon era meglio così, come per gli abitanti del piccolo villaggio. Chi mai avrebbe sostituito, altrimenti, il dottor Dewy?

Entrò in casa e trovò Daisy alle prese con la cena e la bambina.  

-Tutto bene? – gli domandò lei affaccendata – Molte visite oltre la Damon?

-Giornata tranquilla – rispose Eric baciandola sulla guancia e prendendo subito dopo la piccolina in braccio.

-Georgie è andata via da poco – spiegò Daisy – ha portato quei lenzuolini per Grace, sono sul divano, guarda che belli!

Eric annuì mentre sua moglie continuava:

-E’ così legata alla bimba e ci è stata molto vicina. Non so come avrei fatto senza di lei in certi momenti.

Il pensiero andò a tutte le volte che Georgie l’aveva sostenuta durante la gravidanza che era stata difficile e complicata.

Daisy si voltò verso suo marito, lasciando le verdure sul tavolo, e sussurrò:

-Ho paura, ho sempre paura che qualche disgrazia accada alla nostra bambina.

-No, basta con questi pensieri – ribatté con dolcezza Eric – non succederà nulla di negativo. Devi stare tranquilla.

Le accarezzò il volto e con premura aggiunse:

-Nessuno le farà del male, nessuno ce la porterà via. 

-Neppure una brutta malattia? – domandò Daisy tra le lacrime.

-La bambina sta bene – sottolineò lui, abituato ormai a quei timori della moglie – sono un medico o no?

E rise cercando di stemperare la tensione.

Molto spesso Daisy era in balia di paure e angosce perché credeva che a loro non era destinato un briciolo di felicità ma solo sofferenza.

Eric la strinse a sé assieme a Grace, quella era per lui la felicità.

Sentirono un vociare proveniente dalla strada, qualcuno che lo chiamava e bussava forte al portone.

-Un’emergenza! – esclamò Eric dando la bimba a Daisy per poi scendere velocemente le scale.

Trovò un capannello di ragazzini davanti alla porta dello studio e Jim, il proprietario dell’emporio, che con un bambino tra le braccia gridava:

-Aiuto Eric, è ferito e temo stia per svenire!

-Entra presto! – disse lui non perdendo tempo.

Lo sdraiarono sul lettino, la gamba sanguinava un po’ e sul volto vi erano delle escoriazioni.

-Come è successo? – chiese Eric mentre prendeva le bende dal cassetto.

-Credo sia caduto dall’albero – rispose Jim – così mi hanno raccontato i ragazzi. Stavano giocando, sono venuti da me perché erano nel cortile dietro la bottega. C’era anche il mio Johnny con loro.

-Chi sono i suoi genitori? – domandò allora non conoscendo il bambino.

-Non lo so, non è dei nostri – disse quello – o perlomeno non vive al villaggio. Mio figlio mi ha detto che si chiama Lewis. Sarà giunto qui di passaggio ma non ho la più pallida idea di dove siano suo padre o sua madre.

-Va bene – affermò Eric senza perdere la calma e medicando la ferita – ora esci Jim e vai a tranquillizzare gli altri qui fuori. E per favore dì loro di non continuare a gridare, la situazione è sottocontrollo.

Mentre Jim usciva e faceva allontanare i bambini dallo studio, Eric diede un bicchiere d’acqua al ragazzino iniziando a parlarci.

-Bevi a piccoli sorsi – gli disse – bravo, così, lentamente.

Il bimbo ubbidì, fissando il dottore con due grandi occhi azzurri spalancati, si sentiva rasserenato da quella presenza adulta.

-Quindi ti chiami Lewis? – gli domandò Eric esaminandogli le ferite sulla testa.

Lui annuì col capo, senza parlare.

-Bene – continuò il medico – e sai dirmi dove abiti? I tuoi genitori saranno in pena.

Lewis non rispose, sembrava smarrito.

-Potresti avere un’amnesia temporanea – asserì Eric impensierito – la gamba è fasciata, fra due o tre giorni tornerai a saltare come prima ma è la tua memoria che mi allarma un po’.

Lo tirò su e lo fece sedere, curando le piccole escoriazioni poi lo portò giù dal lettino.

-Cammina in avanti – lo esortò – vediamo come va.

Il bambino, zoppicando, arrivò fino al tavolo.

-Fa male un pochino! – esclamò dopo quei quattro passi.

-Facciamo così – disse Eric prendendolo in braccio – ora vieni con me, a casa mia. È al piano di sopra, ti riposi, mangi qualcosa. Nel frattempo aspetteremo la tua mamma e il tuo papà che, sono certo, arriveranno presto. Andiamo?

Lewis sfoggiò un grande sorriso sentendosi sicuro sotto l’ala protettiva di quel dottore sconosciuto ma, allo stesso tempo,  rassicurante e familiare.

-Jim, il piccolo starà da me – spiegò Eric all’uomo – se qualcuno dovesse cercarlo mandalo subito qui.

E così Lewis entrò in casa assieme a Eric.

-Aggiungi un piatto – annunciò alla moglie varcando la soglia con il bambino – abbiamo un ospite stasera.

Daisy, che aveva appena finito di allattare Grace, si avvicinò a loro sorridendo.

-Come sta? – domandò la ragazza – Mettilo seduto, c’è una minestra calda pronta per essere mangiata.

-E’ reduce da una brutta caduta da un albero – spiegò Eric ammiccando al ragazzino – ma si sta già riprendendo. È la sua memoria che deve pian piano ritornare.

Si misero entrambi seduti a tavola mentre Daisy prendeva la pentola fumante.

-Dopo questa ti sentirai meglio – affermò lei – assaggia e dimmi se ti piace.

-E comunque – continuò Eric mentre il bimbo soffiava sulla zuppa per raffreddarla – lei è mia moglie Daisy e quella nella culla è nostra figlia Grace. 

-E tu sei Eric! – asserì il bambino – Lo dicevano i miei amici quando sono caduto, andiamo subito da Eric, il dottore.

-Non ti ricordi altro? – chiese delicatamente l’uomo ma Lewis fece di no con la testa.

Iniziò a mangiare e, dopo le prime due cucchiaiate, affermò:

-E’ veramente squisita!

-Allora te ne darò ancora! – sorrise Daisy – Sei proprio un bel bambino.

Passarono un po’ di tempo insieme, mangiando e chiacchierando. Lewis si mise sul divano, comodo e tranquillo e volle giocare con Grace.

-Se non verrà nessuno a cercarlo – disse Daisy al marito – passerà la notte con noi, possiamo sistemarlo nella cameretta della piccola.

-Sì, certo – aggiunse Eric – ma domani andrò a chiedere notizie al paese qua vicino. Jim potrà aiutarmi. I suoi familiari lo staranno di certo cercando, forse si è perso e, avendo visto i bambini giocare, si è fermato con loro.

-Hai notato il suo vestito? – sottolineò Daisy – La stoffa è costosa, sicuramente proviene da una famiglia ricca.

-Già – asserì lui guardando il bimbo che si divertiva coccolando Grace – chissà cosa mai ci faceva qui al villaggio.

Sentirono bussare al portone.

-Ecco, forse ora avremo la risposta! – sentenziò Eric alzandosi. 

 

 

 

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Capitolo 46
*** Scoperte ***


 

 

Sceso di sotto, Eric aprì il portone e si trovò davanti un uomo alto, ben vestito, che, togliendosi il cappello trafelato, esordiva: 

-Buonasera, sto cercando un bambino, mi hanno detto che è qui.

-Lewis? – domandò subito il giovane osservandolo – Sì è in casa mia.

-Ma come sta?  - chiese quello preoccupato – Il titolare dell’emporio mi ha riferito della caduta da un albero. Voi siete un medico?

-Salite – lo esortò annuendo Eric, mostrandogli la strada.

Mentre facevano la rampa di scale spiegò all’uomo lo stato di salute del piccolo.

Arrivati sull’uscio furono accolti da Daisy, la porta era aperta e già dal pianerottolo si poteva vedere il bambino seduto sul divano con accanto Grace.

-Signorino Lewis!– esclamò il tizio tirando un sospiro di sollievo – Finalmente vi ho ritrovato.

Con la delusione in volto, il bimbo salutò a bassa voce:

-Ciao Thomas, sono sano e salvo.

-Allora ti è tornata la memoria! – s’intromise Eric felice di quella costatazione.

Il ragazzino abbassò il capo, si alzò e senza guardare in faccia gli adulti parlò a Grace prendendole la manina dicendo:

-È stato bello stare qui con te ma ora devo andare. Speravo non mi trovassero e invece hanno fatto in fretta.

-Signorino Lewis! – questa volta il tono dell’uomo era di disappunto – Devo riportarvi immediatamente a casa, i vostri genitori saranno in ansia.

Eric si avvicinò al bambino, si chinò per guardarlo negli occhi.

-Quindi non avevi perso la memoria – affermò – stavi fingendo. O sbaglio?

Il suo non era un tono di rimprovero, voleva solo capire meglio tutta quella situazione.

Lewis tirò su il capo e, sentendosi compreso, rispose:

-Se avessi detto subito dove abitavo mi avresti portato a casa. La testa mi faceva male un pochino e allora ho pensato che forse era meglio rimanere qui. Poi mi sono trovato così bene anche con Daisy e Grace che speravo almeno di dormire con voi.

-E alla tua mamma non hai pensato? – domandò Eric con decisione – Io credo ti stia aspettando, forse starà anche piangendo.

Il bambino non parlò, si limitò ad annuire con la testa.

-Credo proprio tu debba andare – proseguì Eric mentre Lewis accarezzava Grace per salutarla – potrai tornare a trovarci, se vorrai.

-Permettete –intervenne l’uomo tirando fuori dalla tasca del denaro – questi sono per il disturbo arrecato.

-No, no – rifiutò Eric – è stato un piacere.

Meravigliato ma molto colpito da quel gesto, quello continuò:

-Nella fretta non mi sono neppure presentato. Perdonatemi. Sono Thomas Stones, lavoro presso la famiglia del bambino.

-Io sono Eric Buttman, medico –aggiunse lui stringendogli la mano – e lei è mia moglie Daisy.

L’uomo fece un breve inchino alla signora e, prendendo per mano il bimbo, disse:

-Andiamo, è veramente tardi. Vi ringrazio per tutto.

-Ciao dottore – esclamò Lewis ancora triste – spero di rivederti.

Eric sorrise, Daisy affermò:

-Puoi venire a trovarci quando vuoi.

A quel punto a Lewis brillarono gli occhi.

-Sono stato tanto bene con voi – disse.

-Ma ora devi andare – ribatté Eric che poi rivolto a Thomas chiese– avete molta strada da fare?

-Oh non proprio tanta – rispose – circa una mezz’ora di viaggio. Stiamo verso il mare. Conoscete villa Gray? 

-Villa Gray – ripeté Eric allibito mentre sua moglie, stupita, non toglieva gli occhi di dosso al piccolo Lewis.

-Credevo – balbettò il giovane – che non ci abitasse più nessuno lì.

-Credevate bene – spiegò Thomas mentre Daisy si metteva seduta impallidita –è rimasta chiusa per anni, poi, circa un mese fa, i signori Gray sono ritornati dall’Italia. Io sono al loro servizio da tre settimane, come anche gli altri domestici. Prima ero presso una famiglia di Sydney.

Eric annuì, l’uomo si rimise il cappello e si congedò da loro:

-Vi ringrazio nuovamente, vi auguro una buona serata.

E si girò per uscire con il bambino per mano.

-Lewis – lo chiamò inaspettatamente Eric – aspetta un attimo.

Il ragazzino si voltò, il dottore gli disse quasi sottovoce:

-Hai già compiuto sei anni, vero?

-Sì – rispose deciso il piccolo – come lo sai?

Guardando prima Daisy che era quasi in lacrime e poi i due sulla porta, Eric disse:

-Oh così, ho tirato a indovinare. E poi sono un medico, so stabilire l’età dei miei pazienti.

Rise accompagnandoli sul pianerottolo.

-Ciao dottore! – salutò di nuovo Lewis con la mano iniziando a scendere le scale.

Tornato in casa, chiusa la porta, fu raggiunto da Daisy che piangendo affermò:

-Quel bambino è il nostro Arthur!

Eric l’abbracciò e riuscì soltanto a dire:

-Sophie è tornata. È tornata e non ci ha detto niente.

Il piccolo Lewis arrivò a casa che era ormai buio.

Quando la carrozza varcò il cancello della villa, Sophie si precipitò nel vialetto.

-Amore mio – gridò vedendo il ragazzino che scendeva dalla vettura.

Gli corse incontro ma notò subito la gamba fasciata.

-Cosa ti è successo? – domandò apprensiva guardando Thomas che esordì:

-È stato un incidente, una mia mancanza signora.

-Non è nulla mamma – disse Lewis – ed è stata solo colpa mia. Non prendertela col povero Thomas, sono io che ho disubbidito.

-Entriamo in casa – affermò Sophie ancora in ansia vedendo che il suo bambino camminava lentamente.

Nel salone Thomas spiegò l’accaduto.

-Sono andato a far quelle compere che mi avevate chiesto, signora – disse – e il bambino è voluto scendere dalla carrozza e venire con me. C’era il mercato, mi sono fermato a conversare qualche minuto in più con un venditore e l’ho perso di vista. Una distrazione imperdonabile la mia.

-Dove eri finito? – chiese a suo figlio Sophie.

-Mi ero allontanato per curiosare – iniziò a parlare il bimbo – e poi mi sono perso. Quei banchi mi sembravano tutti uguali. Ho camminato finché ho incontrato due bambini simpatici e sono andato con loro a giocare in un cortile. Ho conosciuto altri ragazzini, mi sono divertito tanto. Ad un certo punto abbiamo deciso di arrampicarci su un albero e io sono caduto. Ho sbattuto la testa e mi ricordo poco. Poi mi sono ritrovato nello studio di un dottore che mi ha curato.

-Signora – s’intromise Thomas – il bambino è stato visitato da un medico locale. Quando l’ho ritrovato, grazie alle indicazioni di un commerciante del luogo, era nella sua casa dove ha mangiato e si è riposato. Ho tentato di lasciare del denaro ma il dottore ha rifiutato cordialmente. Un’ottima persona, se mi è permesso dirlo.

-Un medico? –domandò Sophie con stupore misto a dolcezza.

-Sì mamma – esclamò Lewis entusiasta – un dottore bravissimo. Si chiama Eric e io voglio tornare a trovarlo.

La giovane donna strinse forte il suo bambino non riuscendo a trattenere le lacrime.

-Puoi andare Thomas – disse all’uomo – e non preoccuparti, poteva capitare a chiunque. 

-Grazie signora – rispose quello rincuorato – con permesso.

Rimasta sola con il piccolo, si mise sul divano pronta ad ascoltare il suo racconto.

-Fra tre giorni la mia gamba sarà guarita – disse con enfasi il bimbo mostrando la fasciatura – me lo ha assicurato Eric. E la mia testa sta bene, a parte qualche graffio.

E indicò alla madre le escoriazioni sulla fronte.

-Ti fanno male? – chiese Sophie toccandolo.

-No – rispose subito lui – perché il dottore me le ha medicate.

-Hai pianto? – continuò la mamma con apprensione.

-Per niente – affermò con sicurezza il bimbo – Eric è il miglior dottore del mondo.

Sophie sorrise chiudendo per un attimo gli occhi.

-E Daisy, la moglie – aggiunse Lewis – è stata tanto dolce con me.

-Immagino - sussurrò Sophie ormai commossa.

-E poi ho giocato con la loro bambina – disse il ragazzino facendo sbarrare gli occhi a sua madre.

-Hanno una figlia? – domandò la donna meravigliata.

-Si chiama Grace – specificò Lewis – ma è piccolina, era nella culla!

Sophie non trattenne le lacrime, abbracciando di nuovo il bimbo.

-Perché piangi mamma? – chiese incuriosito.

-Niente, è che sono felice – balbettò lei – felice perché hai incontrato delle persone così buone.

-Posso tornare a trovarle allora? – chiese speranzoso Lewis.

-Sì, sì – affermò la donna – e magari verrò anch’io.

Il bambino sorrise poi, un po’ più cupo, domandò:

-E papà verrà con noi?

Sophie, guardandolo intensamente, rispose:

-E perché no? Potrà venire anche lui, se vorrà.

-Dov’è ora? – chiese Lewis.

-Non è ancora rientrato – disse Sophie sospirando – lo sai che torna sempre tardi.

-Se la prenderà con me per questo? – e indicò la fasciatura alla gamba.

-Speriamo di no – fu la risposta piena d’ansia di Sophie. 

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Capitolo 47
*** Rancore e perdono ***


 

 

-Cosa è successo al bambino? – gridò Percy avendo visto suo figlio con la gamba fasciata e le ferite in volto.

Era rientrato tardi e nel salone aveva trovato, con suo stupore, Lewis ancora alzato insieme a Sophie abbracciati sul divano.

-Un piccolo incidente – iniziò a spiegare lei, accarezzando la testa del bimbo – nulla di grave, tra qualche giorno sarà passato tutto.

-Non lo hai sorvegliato? – chiese con rabbia a sua moglie – Da dove è caduto?

Sophie si morse il labbro inferiore, abbassò lo sguardo e raccontò:

-Da un albero. Era andato in paese con Thomas, al mercato.

-Al mercato con Thomas? – si scandalizzò Percy interrompendola – Come ti è saltato in mente di mandare il bambino a fare un giro al villaggio con la servitù?

-Ci sono voluto andare io! – esclamò Lewis con naturalezza –Mi era piaciuto tanto quel posto quando, con il calesse, la mamma mi ha portato lì qualche giorno fa.

-Fai silenzio! – intimò Percy al figlio – A quest’ora dovresti già essere a dormire, domani mattina viene il signor Russell per la lezione.

-Non voglio studiare con il signor Russel! – piagnucolò il ragazzino, e poi rivolto alla madre aggiunse – Voglio andare a quella scuola che abbiamo visto insieme, in campagna.

-Ti ordino di filare in camera – continuò Percy alterato, chiamando la cameriera per far condurre il bimbo nella stanza da letto.

Uscito Lewis, marito e moglie iniziarono a discutere animatamente.

-Vuoi spiegarmi – esordì lui agitato – cosa sono tutte queste novità? Perché mio figlio va a passeggio con i domestici? E non avrai intenzione di mandarlo a una scuola pubblica? Spero di non aver compreso bene.

- Giorni fa – raccontò Sophie cercando di mantenere la calma – avevo voglia di andare a vedere i luoghi dove sono cresciuta, ho preso il calesse ed ho portato il bambino con me. Siamo passati per la prateria, poi al villaggio ed infine davanti alla scuola. Non siamo mai scesi ma Lewis ha visto i ragazzini in cortile, ha mostrato interesse ed io gli ho spiegato che lì si studia tutti insieme, si impara ma ci si diverte anche. Oggi ho mandato Thomas a fare la spesa al mercato, ci sono ottimi banchi, Lewis mi ha chiesto di poter andare, ho acconsentito. 

-Hai fatto malissimo – la interruppe Percy – un mercato di paese non è un posto adatto ad un bambino. Saresti dovuta andare anche tu, se proprio ci tenevi tanto.

-Stavo dipingendo – si giustificò Sophie – sto terminando il mio quadro, non potevo.

-La pittura – domandò suo marito con sarcasmo – è più importante di tuo figlio?

-Tu non ci sei mai! – ribatté lei piccata – Come puoi giudicarmi! Non ti occupi di lui, sei sempre fuori. A proposito, ti sei già trovato un’amica oppure stai frequentando uno dei fantastici bordelli giù al porto?

-Ascolta Sophie – rispose Percy con sicurezza – ho acconsentito di tornare in Australia per vederti più felice, per esaudire il tuo desiderio di ricongiungerti alla tua famiglia. Non ho nulla in contrario se vai a trovare i tuoi e puoi portarci Lewis, ma ricorda che il bambino è un Gray e come tale va trattato. Non può andare in giro per mercati e né tantomeno frequentare una scuola pubblica. Non lo permetterò mai! Sto pagando il signor Russell che è il miglior insegnante della città, io voglio il meglio per mio figlio, ricordalo.

-Il meglio per il bambino – disse lei – è avere dei genitori che gli vogliono bene e che si vogliono bene.

-Sei tu quella insofferente – replicò con molta calma Percy – io ti sto venendo incontro in tutti i modi. Perché non sei ancora andata a trovare la tua amata famiglia? Hai paura che non ti vogliano vedere?

Sophie fece una smorfia di disappunto poi manifestò tutta la sua insicurezza.

-Non saprei come incominciare il discorso con loro – balbettò titubante.

-Però sei andata in incognito – rise Percy – portando Lewis con te.

-Non prendermi in giro – continuò lei innervosita – per me non è facile, se tu mi aiutassi in qualche modo.

-Cosa vuoi da me? – domandò suo marito con sgarbo – La famiglia è la tua e sono problemi tuoi. 

Si avvicinò scostandole i capelli e baciandola sul collo le disse:

-Io posso solo amarti, così.

Ed iniziò a scendere con le labbra e le mani. 

-Amarmi? – chiese Sophie fermandolo piena di rabbia – Mi hai tradita diverse volte, sei andato via e poi ritornato. Mezza Firenze conosceva le tue tresche, io ti ho sempre perdonato, Dio  solo sa il perché. 

-Se sono tornato – rispose l’uomo accarezzandole il viso – è perché ci tengo a te.

Sophie lo scansò per poi replicare:

-Non mi sembra tu ci tenga così tanto! 

-Io ritorno sempre da te – affermò Percy avvicinandola e stringendola forte.

-Mi fai male! – ribatté con vigore lei – Vattene, sei odioso.

Nel lasciare la stanza, il giovane sentenziò:

-E poi ti stupisci se ho un’amante. Comunque le decisioni riguardo il bambino le prendo io. Buonanotte.

Sophie aveva tanta rabbia in corpo che non riuscì neppure a piangere. 

Rimase sola, come ogni sera.  

 

-Sei proprio sicuro – chiese Daisy a suo marito – di quello che stai facendo?

Era passato qualche giorno dall’incontro con il bambino, Eric quella mattina si infilava la giacca, si sistemava bene l’abito davanti allo specchio e si accingeva a partire.

-A Georgie – continuò la giovane a bassa voce perché la piccola dormiva – non hai detto nulla? E neppure ad Abel o a tuo padre?

-No – rispose lui determinato – adesso voglio chiarire in prima persona tutta la faccenda.

Si avvicinò alla porta e aggiunse:

-Stasera sarò di ritorno. Se viene qualche paziente e tu non puoi esser d’aiuto, mandalo dal dottor Sullivan. Ma vedrai, il giovedì è una giornata tranquilla, non arriverà quasi nessuno.

La baciò teneramente, Daisy ancora stupita disse:

-Dovrebbe essere lei a fare un primo passo di riavvicinamento.

-Lo so – ribadì Eric – ma ragionando in questo modo non arriveremo mai da nessuna parte. Conosco troppo bene Sophie, se ancora non è venuta qui un motivo ci sarà.

Sorrise e la salutò di nuovo per poi scendere le scale.

Prese il calesse, diretto a villa Gray.

Non aveva mai pensato di doverci ritornare ancora una volta, dopo quella notte.

Era Sophie a dover fare il primo passo, non lui. Daisy aveva ragione.

Eppure sentiva che non stava sbagliando, l’orgoglio andava messo da parte.

Sapeva che Sophie era volubile, instabile e testarda.

Però era ritornata e un perché doveva esserci.

Stava andando a conoscere le sue ragioni, le sue motivazioni.

Percepiva che, per l’ennesima volta, Sophie aveva bisogno del suo aiuto.

Non riusciva a tirarsi indietro.

E moriva dalla voglia di parlarci anche per riprendere tutto ciò che si era spezzato durante quella maledetta notte d’addio a villa Gray.

Villa Gray.

Il maestoso cancello sembrava fissarlo con austerità.

Eric era fiducioso, forse questa volta l’accoglienza sarebbe stata buona.





 

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Capitolo 48
*** Riconciliazione ***


 

 

Entrò nell’ampio salone accompagnato dal maggiordomo.

-Può attendere qui – gli annunciò l’uomo prima di lasciare la stanza.

Si guardò attorno, nulla pareva essere cambiato da allora. Stesso arredo, il medesimo lampadario troneggiante al centro del soffitto e quelle scale che curvavano a destra per condurre in chissà quali altre stanze.

L’atmosfera però era serena, Eric non percepiva più il clima teso di quella notte. Sarà stato il sole che illuminava forte ogni cosa a rendere piacevole l’entrata a villa Gray, oppure il suo animo che aveva seppellito i rancori passati per far spazio al dialogo e alla comprensione.

Un rumore di passi svelti accompagnati da parole squillanti lo fecero voltare.

-Sei qui, sei qui! – esclamò Sophie precipitandosi giù per le scale, tenendo i lembi della gonna in mano per non cadere e sbrigarsi ad abbracciarlo.

Quell’accoglienza così euforica sorprese anche lui che, durante tutto il tragitto, aveva immaginato a come potesse essere il loro incontro. Dopo sei anni. Dopo la rottura. Dopo il silenzio.

Rimasero stretti, abbracciati per un tempo indefinito. Troppo breve o troppo lungo, cosa importava? Erano di nuovo insieme, quello era l’importante.

-Come stai? – gli domandò Sophie guardandolo e tenendogli stretta le mani.

-Io bene – rispose Eric sorpreso ma felice – e tu?

-Non male – furono le sue laconiche parole – ora sto sicuramente meglio perché ti ho ritrovato.

-Sono sempre rimasto dov’ero – disse il giovane con una punta d’ironia – non era tanto difficile cercarmi.

Si osservarono senza parlare per qualche attimo, Sophie lo invitò a spostarsi nel saloncino accanto, più piccolo e intimo.

Oltre ad un tavolino con delle sedie e un divano non troppo ampio vi era, sulla sinistra, un cavalletto con una tela da dove spiccava un disegno incompiuto. Accanto, sparsi sul pavimento e sopra un mobile, vi erano colori, pennelli e una tavolozza da pittore.

-Noto, con piacere, che non hai smesso di dipingere! – esordì Eric attratto subito da quegli oggetti disseminati in giro.

-E’ il mio angolo preferito, il mio rifugio – spiegò Sophie andando a raccogliere qualche pennello da terra – scusa per il disordine ma quando lavoro sono concentrata soltanto su quello.

Lui annuì, facendo più caso ai quadri appesi alle pareti.

-Sono miei – disse Sophie avendo colto l’interesse del ragazzo – li ho realizzati tutti quando ero in Italia.

Con le mani in tasca, camminando lentamente, Eric li osservò uno per uno dicendo infine:

-Tolto questo, che presumo rappresenti Firenze, gli altri sono paesaggi australiani. Riconosco perfino il nostro fiume, quello che passa dietro il villaggio.

-Già – annuì la giovane donna, invitandolo ad accomodarsi seduto – avevo l’Australia in testa e nel cuore.

L’espressione di Eric era quasi incredula, la cugina si sedette con lui dopo aver ordinato alla cameriera di portare un tè con pasticcini.   

Il giovane tamburellava le dita sul tavolo, guardandosi intorno spaesato, Sophie gli prese le mani nelle sue ed esordì:

-So che hai visto Lewis, e devo ringraziarti perché ti sei preso cura di lui.

-Veramente – pensò Eric – è da quando è nato che mi sono preso cura di lui ma per te non era importante dato che me lo hai portato via come un pacco postale.

Non disse ciò che pensava si limitò ad affermare:

-Sono qui perché è grazie a quell’incontro che ho saputo del tuo ritorno.

La ragazza abbassò lo sguardo, come intimorita.

-Come mai – le domandò schietto Eric – sei tornata? Hai intenzione di palesare la tua presenza con tutta la famiglia?

-Sì, io vorrei riconciliarmi con te e con loro – balbettò titubante e imbarazzata.

-Se non venivo io oggi – continuò lui incalzandola – quando ti saresti fatta viva?

-Insomma – rispose di getto – devi darmi del tempo!

-Sei anni – disse Eric deciso – non ti sono bastati?

Sophie, nervosa e piena d’ansia, distoglieva nuovamente lo sguardo dal suo.

-Ascolta – proseguì il ragazzo più calmo – non sono qui per giudicarti ma per rivederti. Non ci speravo, mi ero rassegnato ormai, credevo che le nostre strade non si sarebbero incrociate mai più.

-Partii con molto astio nel cuore – iniziò a raccontare Sophie – ma ero felice di aver ritrovato l’amore con Percy e il nostro bambino. Durante il viaggio non pensai a cosa avevo lasciato ma a cosa avrei trovato al di là dell’oceano. Al principio fu tutto perfetto, ci sposammo appena arrivati in Italia, una cerimonia intima con poche persone ma molto sentita. Ci stabilimmo vicino Firenze, nella tenuta di campagna del padre di Percy. La città non era distante, frequentavamo i migliori salotti, non ho mai smesso di dipingere e studiare, e il bambino cresceva bene in un ambiente sereno. Ad un certo punto, però, qualcosa ha iniziato a cambiare. Percy è diventato insofferente, la vita che conducevamo non lo appagava più e anch’io ho cominciato a sentirmi instabile. Lui frequentava amicizie che a me non piacevano, io mi sono chiusa in me stessa e poi ho scoperto che mi tradiva.

S’interruppe avendo difficoltà a continuare il discorso.

-Non c’è bisogno – la rassicurò Eric – tu scenda nei particolari, ho capito benissimo.

Sophie sorrise, pensando a quanto le fossero mancate, in quegli anni, le chiacchierate consolatorie con il cugino.

-Siamo tornati in Australia – riprese la giovane – perché era un mio desiderio. Percy mi è venuto incontro, è un modo per ricucire la nostra unione.  

-Se stai bene con qualcuno – affermò Eric – stai bene ovunque. Se sei insoddisfatta , puoi anche andare in capo al mondo, lo sarai sempre.

-Ma io avevo anche voglia – sussurrò  Sophie – di ricongiungermi con voi.

-Perché stai male con lui! – esclamò Eric laconico.

Era capace di leggerle nell’anima e nel cuore. Gli versò il tè mentre le domandava:

-Perché avete cambiato il nome al bambino?   

Sophie arrossì, spiegò:

-Lewis è un nome che ricorre spesso nella famiglia Gray, era più appropriato. 

A quelle parole dal volto di Eric trasparì disappunto ma il ragazzo non fece commenti.

-Invece, parlami di te – chiese Sophie di getto, per cambiare discorso, era stanca di rispondere a domande sulla sua vita – tu e Daisy avete avuto una bambina? Quando l’ho appreso ho pianto dalla gioia!

-Sì, non ha ancora un anno – rispose Eric con un pizzico di orgoglio – l’abbiamo chiamata Grace. Daisy non ha avuto una gravidanza semplice e anche il parto è stato abbastanza complicato però sia lei che la piccola ce l’hanno fatta. La bimba è fragile e delicata ma pian piano sta crescendo, si vedono piccoli miglioramenti.

Negli occhi del giovane s’intravedeva preoccupazione, Sophie gli riprese le mani e aggiunse con delicatezza:

-Sono certa che tutto andrà bene.

Lui annuì mentre la cugina, con difficoltà gli chiese:

-E la mamma come sta?

Eric sorrise e rispose:

-Bene, zia Georgie sta bene. È sempre indaffarata tra la sartoria, le sue clienti e Grace. L’adora, le ha cucito una montagna di vestitini e lenzuolini e ci è stata tanto vicina nei momenti più difficili.

Sophie ebbe un sussulto e non riuscì a commentare, lasciò ad Eric proseguire il discorso.

-Non ha spodestato mia madre – rise il giovane – ma sai, lei è impegnata con la scuola, i suoi alunni, sono la sua passione! E per fortuna ha il suo lavoro.

Eric sottolineò con forza quell’ultima frase continuando:

-Mio padre è quasi sempre alla fattoria, ormai ha due ragazzi fissi che lo aiutano, sono in gamba. Ti confesso che passiamo settimane senza vederci, tra il suo lavoro e il mio, non è facile incontrarci!

-La fattoria! – esclamò Sophie – E’ uno dei posti che sognavo più spesso quando ero lontana. I miei più bei ricordi di bambina sono tutti lì.

Prese la teiera e, versando ancora della bevanda calda nelle tazze, chiese:

-Ricordi quella volta che assistemmo alla lavorazione del formaggio con tutti i nostri compagni di scuola alla fattoria?

Ma Eric non rispose, rimase impassibile e domandò con stupore:

-Di tuo padre non vuoi sapere nulla?

Sophie cambiò espressione poi, senza scomporsi, esordì:

-Cosa devo sapere di lui?

Il cugino non parlava, la ragazza allora continuò:

-Non dirmi che è malato?

-Dipende cosa intendi per malattia – disse Eric serio.

-Tu sei il medico! – rise Sophie – Potresti spiegarti meglio?  

-Da quel punto di vista è sano come un pesce – rispose lui – sono altri i suoi problemi.

La ragazza divenne ansiosa, nervosa. Eric le disse:

-Quando lo vedrai, se vi rincontrerete, capirai. Sai dove trovarci Sophie.

Fu quella l’ultima frase inerente alla loro famiglia che si dissero quel giorno. 




 

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Capitolo 49
*** Solitudini ***


 

 

Il riflesso del sole brillava sulle acque calme del fiume, la giornata era calda ma Abel aveva comunque portato a termine la semina nel piccolo orto realizzato dietro quella casetta che, da un anno circa, era diventata la sua abitazione.

Due stanze, la stalla, il cortile e nulla più. Quello gli bastava per vivere o per sopravvivere. E il fiume. Il richiamo dell’acqua era fortissimo e, non potendo stabilirsi sul mare, aveva optato per quella soluzione.

Non troppo distante dalla sua famiglia ma neppure molto vicino per consentirgli di stare bene con se stesso.

Era arrivato a un punto della vita dove la solitudine lo stava aiutando ad andare avanti, senza rimorsi o rimpianti.

Quella era stata la sua scelta, dopo momenti di riflessione e sofferenza.

Non aveva chiuso con il mondo, aveva solo cambiato visuale. 

E per ora stava bene così.

-Zio Abel! – era la voce di Eric – Sono io, ci sei?

L’uomo posò gli attrezzi da lavoro, si ripulì le mani velocemente e andò ad accogliere il nipote che lo attendeva appoggiato alla staccionata.

Abel arrivò da dietro la casetta dicendo:

-Ci sono, ci sono, entra pure!

Eric si precipitò a salutarlo.

-Sei venuto – scherzò Abel – a controllare la mia salute?

Si abbracciarono, il giovane rispose prontamente:

-Ma no, anche se sai che mi preoccupo sempre per te. 

-Vieni – disse Abel – voglio farti vedere una cosa.

 Gli fece strada, entrarono nella piccola stalla dove vi era un bel cavallo bianco che stava mangiando tranquillamente della biada.

-Ti presento Blue – esordì l’uomo indicando l’animale mentre Eric si avvicinava osservandolo con attenzione.

-Accidenti – esclamò il ragazzo – è proprio un bell’esemplare! Quando l’hai preso?

-L’altro ieri – rispose Abel – al mercato in città. È stato un ottimo affare.

-Si chiama Blue? – rise Eric che trovava singolare quel nome.

-L’ho chiamato così – spiegò – perché, quando l’ho visto, mi ha fatto venire in mente un cavallo che aveva zio Kevin, tanti anni fa. 

A quel punto Eric non rise più, pensando che Abel si era talmente ancorato al passato da vivere di ricordi. Aveva accettato la sua scelta di isolarsi da tutti anche se non la condivideva fino in fondo.

-E’ veramente bellissimo – sottolineò il ragazzo accarezzandone il manto.

Lo zio si mise a sistemare il fieno poi, ad un certo punto, chiese:

-Sei qui per Sophie, vero? 

Eric si voltò di scatto, disse:

-Hai già saputo del suo ritorno?

-Me l’ha detto Georgie – annuì l’uomo – proprio l’altro giorno, tornavo dal mercato con Blue, sono passato a casa per farle vedere il mio acquisto e lei mi ha accennato di Sophie.

Abel posò il rastrello e uscì dalla stalla seguito dal nipote.

-Sono venuto per parlarti – iniziò Eric – ma ho capito che già sai tutto.

-Georgie mi ha detto che vi siete incontrati – spiegò Abel – e che lei vorrebbe rivederci e chiederci perdono.

Eric annuì specificando:

-L’ho vista due volte. Sono andato a villa Gray dopo aver saputo, per un caso fortuito, che era tornata in Australia. Ho voluto far io il primo passo, mi ha accolto con affetto.

-Georgie mi ha raccontato anche questo – lo interruppe Abel pensieroso.

-Abbiamo parlato tanto, noi due da soli – proseguì Eric – aveva il desiderio di rivedermi. Mi ha poi invitato a ritornare, con Daisy e la bambina. E così, tre giorni dopo, abbiamo passato il pomeriggio assieme, c’erano anche Percy e il piccolo Lewis. Ti confesso che è stata una giornata gradevole, serena. Mi sono offerto di fare da mediatore, così la sera stessa, sono andato da zia Georgie e le ho fatto presente che Sophie era di nuovo in Australia, a villa Gray. 

-Mi ha detto tutto – ripeté Abel osservando il fiume che lento scorreva accanto a loro – e mi ha riferito dell’incontro che avverrà domenica alla fattoria. Un pranzo di riconciliazione.

Fece una pausa poi aggiunse:

-Ma io non verrò.

-Perché? – chiese Eric sbalordito – Non puoi mancare!

-Se c’è quel Percy – sottolineò l’uomo – io non vengo. Non voglio vederlo.

-Ti prego – lo supplicò il giovane – fallo per Sophie!

-Per rivedere Sophie – spiegò con calma Abel – avrò tempo. Può venire qui quando vuole, o posso andare io da lei, se è da sola.

Eric tentò di replicare ma lo zio gli disse con decisione:

-Non provare a farmi cambiare idea, non ci riuscirai.

Sapeva che era irremovibile, testardo e allora non proferì più parola.

Poi, con fermezza, asserì:

-Non è stato semplice neanche per me, zio, ma ho messo da parte il mio orgoglio.

Abel, sorridendo, gli mise una mano sulla spalla affermando:

-Sei proprio un bravo ragazzo.

-Non dirmi – replicò Eric – che assomiglio a mio padre, non sopporto più questo paragone.

-No – disse subito Abel – tu non assomigli a tuo padre, ma mi ricordi molto il mio.

-Il nonno? – chiese lui con stupore.

-Sì, e non è soltanto il nome che ti accomuna a lui – specificò l’uomo – ma soprattutto sono i modi di fare, la generosità, la bontà d’animo, la sincerità che ti rendono molto simili al mio papà.

Eric fu lusingato da quel paragone perché non c’era mai stata persona alcuna che aveva detto una sola parola contro quel nonno che non aveva potuto conoscere.

Avendo percepito che non sarebbe riuscito a far cambiare idea allo zio, riprese il cavallo per dirigersi verso casa non prima di aver detto queste parole:

-Io somiglierò al nonno ma Sophie è tale e quale a te!

Si salutarono, ognuno di loro portava nel cuore sentimenti differenti ma intensi.

Durante il tragitto Eric pensò che tutto era diventato sempre più complicato. Suo zio che si era rifugiato in quella casetta sul fiume come un eremita, essendo presente e allo stesso tempo assente in famiglia.
Suo padre dedito alla fattoria e al lavoro, in partenza spesso per mercati cittadini o fiere agricole.
Sua madre tutta casa e scuola, fra alunni, compiti e lezioni. E infusi di erbe che lui stesso le aveva consigliato per combattere l’insonnia, non volendo assolutamente prescriverle sonniferi.
Infine zia Georgie, presa dai ricami, dal cucito e da Grace. Amava quella bambina in modo assoluto, quasi per farsi perdonare del gesto che aveva compiuto Sophie togliendo loro il piccolo. Almeno questo era ciò che lui aveva percepito. 

Si sentiva sulle spalle il peso di una famiglia intera, quella famiglia che era da sempre stata per lui un punto di riferimento e un rifugio sicuro.

Arrivò a casa ma non salì neppure le scale perché si diresse subito allo studio.

Era tardi e non voleva far attendere i pazienti, teneva molto alla puntualità.

Si sistemò, indossò il camice e poi, sentendo delle voci fuori, aprì la porta.

Vide la signora Willett con la figlia, certamente la bambina aveva bisogno di cure, e infatti disse loro che potevano entrare.

Quelle erano sulla soglia quando Eric si sentì chiamare.

-Eric, hai un minuto per noi? – era Sophie con Lewis che, scesi dal calesse, lo avevano raggiunto.

-Non vi aspettavo! Che sorpresa! – esclamò lui incredulo ma felice.

-Fai pure il tuo lavoro – disse la ragazza timidamente – ti attenderemo qui.

-Potete salire da Daisy – specificò Eric – è sopra in casa, io verrò più tardi.

Sophie disse qualcosa al bimbo che corse subito su per le scale poi spiegò al cugino:

-Rimarrò io, Lewis ci teneva a rivedere Grace. 

-Come vuoi – rispose lui incuriosito da quella visita e poi rivolto alla sua piccola paziente aggiunse – mi occupo di questa bella bambina e dopo sarò da te.

Era stupito ma contento che Sophie fosse lì con il piccolo Lewis, lo vedeva come un altro segno di riavvicinamento e di armonia ritrovata.

 




 

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Capitolo 50
*** Richiesta d'aiuto ***




Sophie si mise seduta osservando Eric che, sulla porta dello studio, tentava di far superare la paura a quella bambina intimorita e spaventata.

-Guarda che il dottore è bravo – ripeteva la signora Willett alla figlia – non ti farà del male.

La piccola, piagnucolando,stringeva forte una bambola di pezza e non voleva varcare la soglia.

-Ascolta – le disse Eric pacatamente – so che la tua bambolina non è stata bene, ha tossito tutta la notte e credo abbia bisogno di una visita e forse di una medicina.

La bambina lo guardò ora stupita e sussurrò:

-La mia Margot tossisce molto.

-E allora – continuò Eric – aiutami a portarla dentro, così potrò visitarla.

Lo scrutò assorta poi, rivolta alla bambola, con tono materno aggiunse:

-Andiamo Margot  e non piangere più!

Finalmente entrarono nello studio mentre Sophie attendeva con la mente altrove.

Dopo diverso tempo la signora Willlett e la figlia uscirono, la ragazzina saltellava ringraziando il dottore da parte di Margot, la donna salutò Sophie con un cenno del capo ed Eric poté ora dedicarsi alla cugina.

-Eccomi – disse il giovane – sono tutto per te!

-Ci sai fare con i bambini – sorrise Sophie alzandosi lentamente.

-Le provo tutte – ammise con ilarità lui – oggi mi è toccato visitare anche una bambola, domani chissà?! 

-Non mi stupisco – aggiunse la ragazza più seria – che Lewis mi chieda spesso di te.

Eric non si scompose affermando:

-Forse con Lewis ho un legame che viene da molto lontano.

Poi cambiò discorso, pentendosi di aver detto quella frase:

-Come mai qui? Non dirmi che sei stata da tua madre.

-Oh no – balbettò Sophie – siamo di passaggio. Adesso la sartoria è chiusa, ci sono passata davanti! Ho pensato di venirti a trovare ma se sei molto occupato chiamo Lewis e andiamo via.

-Assolutamente no – disse con decisone Eric – anzi saliamo da Daisy. Se busserà qualche paziente lo sentirò ugualmente.  

S’incamminarono verso le scale, Sophie faceva fatica a salire, appoggiandosi al corrimano goffamente.

-Cosa hai fatto alla gamba? – le domandò immediatamente Eric avendo da subito notato quella difficoltà.

-Niente, non è niente – rispose impacciata la ragazza – stamattina mi è successo un piccolo incidente ma non è nulla.

-Fammi vedere – insistette lui con preoccupazione aiutandola a salire gli ultimi gradini.

-Non ne ho bisogno – replicò Sophie – mi ha già visitata il dottor Turner. Per una mia disattenzione sono caduta dalle scale di casa, ho solo un paio di lividi e un dolore che passerà presto. Va già molto meglio.

-Sei sicura? – chiese Eric osservando i suoi movimenti lenti.

-Il dottor Turner è un bravo medico! – esclamò ridendo la ragazza – Non ti fidi?

-Oh, non andrei mai contro la parola di un collega – rispose lui prontamente.

Arrivati sull’uscio entrarono, Lewis era con Daisy e Grace in cucina.

-Perché – domandò Eric – non vi fermate a cena? Sempre se Percy non vi sta aspettando, naturalmente.

Il bambino iniziò subito a cercare di convincere la mamma ad accettare l’invito, Sophie annuì sorridendo:

-Sì, possiamo fermarci. Percy non so neppure a che ora tornerà.

Quell’ultima frase insospettì ancora di più Eric che intanto continuava ad osservare la cugina, certamente dolorante per via di quella caduta.

-Abbiamo anche il dolce – annunciò Daisy prendendo dalla credenza una torta – e dopo cena lo assaggeremo!

-Deve essere buonissima! – gridò Lewis allungando le mani verso il piatto.

In quell’istante ad Eric non sfuggì un particolare.

-Cosa sono – chiese rivolto a Sophie – quei segni sulle mani del bambino?

Lewis si voltò verso sua madre e poi abbassò lo sguardo.

-Quelli? – rise la ragazza – Ha la mania di cacciarsi tra i rovi, con tutte le spine che ci sono!

Ma Eric aveva toccato le manine del bambino, alterato condusse Sophie nell’altra stanza, chiudendo la porta.   

-Credi – disse a Sophie con tono fermo – che io non sappia distinguere dei graffi provocati dai rovi da segni di percosse. Sono bacchettate, vero?

Lei non riusciva a parlare e lo guardava spaurita. Tentò di farfugliare qualcosa ma Eric continuò imperterrito:

-E tu non sei caduta dalle scale, è stato Percy che ti ha spinta.

-E’ stato un incidente – replicò balbettando Sophie – lui non voleva farmi del male.

-Tu stai tremando – le disse Eric ora dolcemente, avvicinatosi a lei e accarezzandole il volto con delicatezza – non sei venuta qui per caso, tu sei alla ricerca d’aiuto.

La giovane, molto confusa, scuoteva la testa mentre Eric la rassicurava:

-Raccontami tutto, non aver paura.

Ancora scossa Sophie si sedette sul letto e iniziò:

-Stamattina Lewis aveva la lezione con il signor Russell, il suo insegnante. Il bambino stenta ancora a leggere, non ha fatto molti progressi, è lento nell’apprendere e Percy non sopporta questa situazione. Ritiene che Lewis debba impegnarsi di più perché è svogliato e poco attento quindi ha autorizzato il signor Russell a prenderlo a bacchettate sulle mani.

-Efficace come metodo educativo! – esclamò Eric con sarcasmo.

-Fammi finire! – proseguì Sophie ora desiderosa di sfogarsi – Oggi, quando l’insegnante è andato via, ho trovato Lewis in lacrime in camera sua. Ho detto a Percy che non ero d’accordo con queste punizioni ma lui mi ha ribadito che il bambino deve fortificarsi e studiare con maggiore impegno. Abbiamo iniziato a litigare di brutto, lui mi ha colpita e io sono caduta per le scale. Poi si è diretto da nostro figlio che continuava a piangere e l’ha picchiato. Sono riuscita a rialzarmi con difficoltà, aiutata dalla servitù che è accorsa prontamente. Ho fatto chiamare il dottor Turner al quale ho raccontato di essere soltanto scivolata. Non so se ci abbia creduto comunque mi ha medicata e mi ha raccomandato assoluto riposo. Percy l’ha poi mandato via pagandolo più del dovuto.

-E il bambino? – domandò Eric – Non è stato visitato, suppongo.

-Me ne sono occupata io con Dolly, la domestica – sussurrò Sophie a testa bassa.

-Devo vederlo – affermò lui sempre più in ansia uscendo dalla stanza.

Prese Lewis e lo mise sul divano togliendogli la maglietta. Sulla schiena del piccolo vi erano evidenti segni di cinghiate e lividi. Non perse tempo, con l’aiuto di Daisy lo medicò immediatamente.

-Questo – disse ad un certo punto il bimbo – è perché sono un incapace, non riesco a leggere.

-Tu non sei un incapace piccolo mio -  lo rassicurò Eric rimettendogli la maglietta e prendendolo in braccio – adesso mangerai qualcosa e poi dormirai qui, con la mamma. E potrete restare quanto volete.

Lo lasciò con Daisy seduto a tavola e condusse di nuovo Sophie in camera, per parlarci chiaramente.

-Devi lasciarlo – le disse in modo schietto – è un violento e sta rovinando non soltanto la tua vita ma anche quella di tuo figlio.

-Ma è stato un incidente – ripeté Sophie in lacrime – è accaduto solo questa volta.

-Lo farà nuovamente – aggiunse Eric sicuro – soprattutto se continui a giustificarlo! Lascialo e rimani con noi, non aver paura Sophie.

L’abbracciò e lei si rifugiò sul suo petto piangendo.

-Trova la forza di lasciarlo Sophie – asserì il giovane – fallo per te e per il bambino.

Dopo quelle parole e quell’amore fraterno ritrovato, Sophie si calmò un  poco e riuscì a tornare in cucina a mangiare qualcosa. Avrebbe passato la notte da Eric poi, il giorno successivo, sarebbe andata a parlare con suo marito. 

E invece sentirono bussare alla porta, era Percy.

-Se cerchi Sophie e il bambino – gli disse Eric sull’uscio non facendolo entrare – sono qui ma non credo vogliano vederti.

-E perché mai? – chiese l’altro sorpreso – Cosa ho fatto?

-Non verranno – asserì serio Eric, irremovibile.

-Ma insomma – gridò alterato Percy – fammi passare, ho il diritto di vedere mia moglie e mio figlio!

-Non hai il diritto di far loro del male – disse Eric bloccandolo sulla porta.

In quel momento li raggiunse Sophie annunciando:

-Ti prego Eric, lasciaci soli un attimo.

Controvoglia acconsentì alla richiesta della ragazza e tornò in casa.

Grace dormiva nella culla e anche Lewis si era appisolato sul divano, Eric seduto a tavola con Daisy era nervoso e continuava a ripetere:

-Se le farà di nuovo del male, giuro che lo uccido.

Sophie rientrò poco dopo.

-Sono venuta a prendere Lewis – disse avvicinandosi al piccolo – andiamo a casa.

-Come? – domandò Eric alzandosi – Torni con Percy?

-Ascolta – sussurrò lei – devo parlarci con calma, dobbiamo chiarire molte cose fra noi ed è meglio che io vada con lui.

-Promettimi – le disse Eric – che lo lascerai.

Sophie, preso il bambino, gli sorrise:

-Grazie di tutto, ora dobbiamo andare.

La lasciò uscire con un peso nel cuore.

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Capitolo 51
*** Nuovamente insieme ***


 

 

 

-Sei sveglia, principessa? – domandò Percy baciandola con delicatezza sulla spalla, avendola sentita muoversi tra le lenzuola.

Il sole entrava pigramente tra le imposte, Sophie si voltò e si accoccolò fra le braccia di suo marito dicendo:

-Che ore saranno? Credo sia tardi, dobbiamo alzarci.

-Non c’è fretta – affermò lui stringendola ancora di più – la notte è stata intensa, ci meritiamo un po’ di riposo.

Risero entrambi, guardandosi con complicità poi Percy iniziò a riempirla di baci.

-Oggi ci prenderemo la giornata tutta per noi – le annunciò dopo aver assaporato le sue labbra – non farò venire il signor Russell e dopo colazione ce ne andremo in città con Lewis. Ti piace come programma?

Sophie annuì ma poi disse:

-Promettimi che non lo picchierai mai più.

-Ma lui – affermò Percy guardandola – deve promettermi di studiare e di impegnarsi.

-Non è colpa sua se non riesce – ribadì Sophie con forza.

-Adesso non pensarci – rise suo marito – ti ho detto che trascorreremo una giornata di assoluto riposo e svago, farà bene anche a Lewis.

Questa volta Sophie non rispose, rifugiandosi ora sotto le lenzuola.

-Quello di ieri – aggiunse Percy alzandosi – è stato solo uno spiacevole episodio, ti ripeto che non vi farei mai del male, è accaduto perché Lewis mi ha fatto perdere la pazienza. Come tutti i bambini va educato al rigore, al rispetto delle regole.

Mentre parlava si infilava i pantaloni, tornò accanto a Sophie e le sussurrò:

-Non succederà più, ti amo troppo mia principessa.

Dopo quelle parole anche Sophie cominciò ad alzarsi, prese la camicia da notte, la indossò e raggiunse Percy che si sistemava davanti allo specchio.

-Me lo hai promesso – ripeté la ragazza abbracciandolo forte.

-Certo amore mio – affermò lui baciandola sulla fronte – e vedrai, domenica passeremo una splendida giornata in compagnia della tua famiglia. Non sei contenta di ritrovare tua madre?

-Oh sì – fu la sua risposta – ma non so quanto sarà contento Eric di rivedermi insieme a te.

-Eric non deve intromettersi troppo nella nostra vita – replicò immediatamente Percy.  

-Mi vuole molto bene – continuò Sophie osservando la sua immagine e quella di suo marito allo specchio.

-Ma io ti amo – furono le ultime parole di Percy prima di gettarsi in un lungo bacio appassionato. 

Quando scesero di sotto, Lewis stava già facendo colazione. Sulla tavola apparecchiata c’era di tutto, dai dolci alla frutta. Dolly, la cameriera, stava portando le ultime vivande.

-Buongiorno piccolo mio – esordì Sophie andando a baciare il figlio.

-Ciao mamma – rispose Lewis – ho appena iniziato a mangiare.

-Hai fatto benissimo – asserì la donna mettendosi seduta accanto a lui.

-Non mi saluti? – chiese Percy al bambino avvicinandosi.

-Buongiorno papà – disse con voce flebile il ragazzino guardando il piatto.

-Dolly – chiamò Percy – non hai ancora portato il dolce alle fragole? È il preferito di Lewis, voglio che sia in tavola immediatamente.

La cameriera si precipitò in cucina e subito dopo tornò con la torta cioccolato e fragole, era deliziosa.

-Mangiane quanta ne vuoi – suggerì Percy al bimbo – io assaggerò quella al limone.

Tutti e tre gustarono quel pasto in silenzio, fu Sophie che annunciò:

-Sai Lewis, oggi non farai lezione, il signor Russell non verrà.

-Davvero? – il bambino era stupito ma contento di quella notizia inaspettata.

-Devi ringraziare tuo padre – aggiunse la giovane – per questa vacanza non prevista.

Il piccolo si voltò verso Percy che disse:

-Ho deciso di farti prendere una piccola pausa con lo studio. Il maestro non verrà per tutta la settimana, riprenderete le lezioni lunedì e devi promettermi che ti impegnerai maggiormente.

Lewis annuì col capo, Percy continuò:

-Tra poco farò sistemare la carrozza da Thomas e andremo in città, io, tu e la mamma. Potremo fermarci al parco, quello grande non lontano dalla spiaggia e poi fare un salto al negozio del signor Scott.

-Il negozio di giocattoli? – a Lewis s’illuminarono gli occhi.

-Proprio quello – sottolineò suo padre – e potrai scegliere ciò che vuoi.  

-Grazie papà – disse ad alta voce il piccolo immaginando già quali giochi prendere.

Quei giorni di vacanza passarono in fretta e serenamente sia per Lewis che per i suoi genitori poi, arrivò la domenica e l’incontro alla fattoria.

La carrozza percorreva lentamente l’ampia strada tra la prateria, Sophie guardava fuori dal finestrino, desiderosa di arrivare al più presto. Sapeva che avrebbe ritrovato sua madre, Arthur e Maria ma non suo padre. Per ora andava bene così, il tempo poi avrebbe fatto il resto.

Quando la vettura si fermò davanti alla fattoria Georgie era già lì, pronta a riabbracciare sua figlia.

La ragazza scese con timore ma dall’espressione di sua madre capì che non doveva aver paura di nulla. Niente parole, solo sorrisi, lacrime e baci. Era ritornata, quello era l’importante. Avrebbero parlato dopo, il giorno successivo o chissà quando, ora bisognava soltanto respirare aria di festa e basta.

-Sei stupito di vedermi? – chiese Percy a Eric dopo le presentazioni e i saluti generali.

-Non credevo che Sophie ti perdonasse – replicò alquanto teso l’altro. 

-Per così poco? – sorrise lui ironico.

-Ti sembra nulla – disse Eric con vigore – non farle mai più del male, né a lei e né al bambino!

-Stai esagerando – replicò Percy – non dirmi che non le hai mai prese da ragazzino!

-Non in quel modo – rispose il giovane – e  né tantomeno perché non riuscivo a fare  un qualcosa. Ma non capisci che Lewis stenta a leggere perché è terrorizzato?

-Ti intrometti troppo – rispose con sgarbo Percy – è la mia famiglia non la tua.

-Stammi lontano – ora Eric era veramente alterato – non la passerai liscia se vengo a sapere che Sophie e Lewis stanno soffrendo.

-Non ti conviene metterti contro di me – fu la risposta sicura di Percy – potresti pentirtene per lungo tempo.

Eric si allontanò andando verso la stalla pensando che forse Abel non aveva tutti i torti ad ostinarsi a non voler conoscere Percy.

Intanto Georgie e Maria stavano simpatizzando con il bambino mentre Daisy aiutava loro con la preparazione della tavola per il pranzo. Sophie coccolava Grace, Arthur iniziò a parlare con Percy.

Quando cominciarono a mangiare, Eric, seduto accanto al padre, gli confidò:

-Sono preoccupato per Sophie, per il suo matrimonio e per il futuro del bambino.

-Pensi che non vadano d’accordo? – chiese Arthur con apprensione.

-Spero che Sophie non faccia altre sciocchezze – chiosò lui.

Durante il pasto Lewis volle stare vicino a Eric e dopo si fece condurre da lui a vedere i cavalli.

-Sto bene con te, dottore! – esclamava il piccolo tutto contento.  

Percy seguiva tutta la scena senza parlare. 

-Venite a mangiare il dolce – gridò Georgie facendo radunare nuovamente attorno al tavolo la sua famiglia.

Prima di proseguire col taglio della torta Eric esordì:

-Dato che ci siamo tutti e oggi è comunque una giornata di ritorni e di serenità volevo rendervi partecipi di una decisione che ho preso da tempo, anzi abbiamo preso insieme da tempo – e guardò sua moglie che lo raggiungeva.

Nel silenzio più totale, perché nessuno si aspettava quell’esternazione, Eric continuò.

-All’ospedale di Sydney – spiegò il ragazzo – serve un medico chirurgo per un nuovo reparto, si terrà un esame per la selezione ed io vorrei tentare. Dovrò rimettermi a studiare ma la cosa non mi spaventa. Voglio provare a realizzare nuovamente questo sogno che si era spezzato qualche anno fa.

La notizia lasciò i componenti della famiglia senza parole, fu Maria la prima ad andarsi a congratulare con suo figlio.

-Sono sicura che ce la farai – gli disse con tono materno – e noi siamo tutti con te.

Seguirono le approvazioni degli altri, soprattutto Arthur era visibilmente felice.

La giornata proseguì tranquillamente, nel pomeriggio, mentre erano fuori a far divertire i bambini, Daisy si avvicinò alla casa per andare a prendere una copertina per la sua piccolina. Fu raggiunta sulla porta, inaspettatamente da Percy.

Lei si turbò un poco trovandoselo davanti all’improvviso.

-Ottima scelta – affermò lui – quella di Eric! Chirurgo in un grande ospedale, sarebbe un notevole salto per la sua carriera.

-Era un suo sogno – esordì la ragazza con lo sguardo basso – io spero ce la possa fare.

-Conosco il direttore dell’ospedale di Sydney – spiegò Percy – è un mio caro amico. Faccio diverse donazioni importanti per lui, mi stima profondamente. Potrei metterci una buona parola per aiutare Eric a superare la selezione.

-Oh grazie – balbettò Daisy – ma mio marito può farcela da solo.

-In quegli ambienti – sorrise Percy – è sempre meglio avere anche un piccolo appoggio, non c’è nulla di male.

Daisy lo guardò ora negli occhi dicendo:

-Sei gentile nei nostri confronti.

Allora Percy le prese una ciocca di capelli e girandola tra le dita, come per giocare, aggiunse:

-Io non faccio niente per niente!      


 

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Capitolo 52
*** Ricatto ***


 

 

 

Daisy si scansò sentendosi in imbarazzo ma Percy proseguì imperterrito con il suo gioco viscido e malefico.

-Non occorre che fai la timida – le disse – conosco benissimo il tuo passato. Sophie, in una giornata di confidenze, mi ha raccontato tutto.

-Quella Daisy non esiste più da tempo! – affermò con foga la ragazza desiderosa di andar via – E mio marito non ha bisogno dei tuoi aiuti, riuscirà benissimo da solo a superare la selezione.

-Davvero? – sorrise Percy – Anche se io dovessi dire al mio amico direttore di non fargli passare l’esame?

Daisy si sentì rabbrividire, quell’ignobile stava attuando un vile ricatto.

-Pensaci – continuò lui – se accetterai la mia richiesta Eric supererà l’esame ma se mi dirai di no vedrà sfumare il suo sogno di diventare chirurgo. Sarebbe un peccato perché è molto capace! Ha già perso un’occasione per causa tua o sbaglio?

-Sei diabolico Percy! – esclamò la giovane percependo di essere caduta in un’enorme trappola.

-Forse sì, sono diabolico – ammise – ma tu non sei quella che vuoi far apparire. Le riconosco le donne come te e sono quelle che più mi affascinano.

-Non puoi costringermi a fare una cosa del genere ad Eric – la voce di Daisy era spezzata, presa dall’angoscia totale.

-Invece gli faresti un grosso favore – asserì Percy con disinvoltura – almeno per una volta saresti utile a tuo marito. Troppo spesso ha sofferto per via del tuo passato, ha rinunciato a un posto all’ospedale di Melbourne ripiegando a fare il semplice medico di campagna, si è preso cura di un figlio altrui per assecondare il tuo desiderio di maternità e poi, quando finalmente avete avuto la vostra bambina, è nata così fragile, poverina, sempre e solo per causa tua. Pensaci Daisy, faresti veramente il bene di Eric.

La ragazza scuoteva la testa, lui sfiorandole il viso prendendo poi tra le dita la collanina che indossava sfregandola, aggiunse:

-Sai dove abito, ti do tempo una settimana. Tutti i pomeriggi Sophie va a dipingere da una tizia in città e porta con sé Lewis, inventa una scusa e vieni. Io ti aspetterò.

Dopo aver parlato così si allontanò lasciando Daisy nello sconforto assoluto.

Passarono uno, due e tre giorni. Eric si era messo a studiare d’impegno, tra un paziente e l’altro mentre Daisy era combattuta, angosciata e senza via di scampo.

-Che bello vederti – le disse Abel sorpreso, quella mattina, trovandosela davanti casa appena scesa dal calesse.

-Ti disturbo? – domandò Daisy a bassa voce, quasi a non voler dare fastidio.

-Certo che no! – esclamò l’uomo aprendole il cancelletto che separava la strada dall’abitazione – Non mi aspettavo una tua visita. 

La ragazza entrò e andò ad abbracciare colui che più avrebbe potuto aiutarla in quel momento, lui che per primo le aveva ridato una dignità e le aveva regalato quell’affetto paterno che mai lei aveva ricevuto.

-Vieni in pace – scherzò Abel dopo averla tenuta stretta a sé per un po’ – oppure sei qui per farmi la predica anche tu come il tuo adorabile marito?

Daisy non capiva, lui spiegò:

-L’ultima volta che Eric è venuto mi ha ripetuto che dovrei rivedere Sophie e non attendere che sia lei a fare il primo passo.

-Oh no – lo interruppe subito la giovane – io sono l’ultima persona che potrei darti dei consigli! Non sono qui per questo.

Abel sorrise, dolcemente le chiese:

-E allora perché sei venuta?

-Posso aver soltanto voglia di vederti e salutarti? – mentì perché in realtà voleva confidarsi con lui su tutto quel dramma in cui era caduta.

-Sicura? – domandò ancora Abel, capace di leggere nell’anima di quella ragazza forse meglio di chiunque altro.

Annuì per poi dire:

-Eric sta studiando per poter entrare a lavorare in ospedale, a Sydney.

-Lo so – affermò Abel – me lo ha riferito Georgie. Ha fatto bene e ci riuscirà, ne sono convinto.

Daisy era in silenzio, lui le chiese:

-Non ne sei contenta? Cosa ti turba?

-Niente – sussurrò guardandolo – niente. Sono solo in apprensione, ci tiene così tanto a quel posto.

Intanto, camminando, erano giunti sulla riva del fiume.

-Tu – continuò allora Daisy – faresti di tutto per la persona che ami?

-Io ho fatto di tutto per la persona che amo – sottolineò con forza Abel.

L’acqua del fiume scorreva lentamente, lei disse osservando quelle piccole onde:

-Non ho portato nulla di buono nella vita di Eric.

-Ma cosa dici? – Abel fu spontaneo – Se ti ama come non mai, ti adora, tu e la bambina siete ciò che ha di più prezioso.

Daisy non riuscì a confidarsi neppure con Abel, il quale continuò:

-Ora, se ce la farà come credo, a superare quell’esame e a realizzare il suo sogno avrete un futuro roseo e gioioso.

-Si sta impegnando tanto  - balbettò Daisy – domani andrà a un convegno proprio in ospedale, potrà apprendere delle novità relative alla sua professione.

-Stai tranquilla – la rassicurò Abel – tutto andrà bene.

Non immaginando le sofferenze interiori della ragazza la lasciò andare senza aver saputo ciò che veramente la tormentava.

Il giorno dopo Eric andò al convegno per partecipare con entusiasmo e passione ma, giunto lì, ebbe la spiacevole sorpresa di ritrovarsi Morris tra i relatori.

-Proprio lui – raccontò a Daisy la sera, tornato a casa – ha fatto carriera e pure in poco tempo! Al termine della conferenza ci siamo salutati, era anche gentile ma soltanto per umiliarmi ancora una volta. Mi ha presentato ai colleghi che erano con lui come un suo compagno di università per poi sottolineare che esercitavo la professione come semplice medico in campagna. Mi ha poi invitato a mangiare con loro, sapendo perfettamente che non mi sarei potuto permettere un pranzo nel lussuoso locale dove erano diretti. Seduto sulle scale dell’ospedale, ho preso il mio panino con il formaggio ed ho consumato lì il mio pasto. Sono amareggiato ma penso che questo incontro mi sia servito per impegnarmi maggiormente nello studio. 

-Ci tieni veramente tanto – sussurrò Daisy dopo aver ascoltato il racconto – a quel lavoro come chirurgo?

-Adesso ancora di più – rispose fermamente Eric.

Era venerdì pomeriggio, Thomas annunciò entrando nello studio:

-Vi desiderano all’ingresso signor Gray, la signora Daisy Buttman.

-Falla salire – rispose compiaciuto Percy.

Appena entrò, con passo deciso e sicuro, l’accolse prendendole la mano.

-Facciamo in fretta – disse fredda lei – non ho tempo da perdere!

-Oh oh – ridacchiò Percy – ecco la vera Daisy, donna senza scrupoli e pronta a tutto per ottenere quello che vuole.

Lo guardò in segno di sfida, lui le fece strada per accompagnarla in camera ma lei si fermò ordinando:

-Prendi inchiostro e carta e scrivi al tuo amico direttore.

-Adesso? – chiese sorpreso Percy con un mezzo sorriso.

-Fai ciò che ti ho detto – continuò Daisy impassibile – scrivigli che Eric deve passare la selezione. Con il massimo dei voti.

-Non ti fidi? – domandò ancora.

-No, non mi fido – affermò con piglio sicuro.

-Però – esclamò lui – che caratterino!   

Si mise alla scrivania e, sotto l’occhio vigile di Daisy, scrisse quelle righe.

-Metti il foglio in una busta – continuò lei quando Percy terminò – chiama Thomas e mandalo subito a spedire questa lettera al direttore dell’ospedale.

-Sei proprio malfidata – asserì il giovane Gray che, alzatosi, fece ciò che la ragazza gli aveva ordinato.

-Contenta? – chiese dopo aver mandato via Thomas con la lettera in mano.

Daisy annuì togliendosi la mantella e sfoggiando un vestito semplice ma abbastanza provocante.

Percy, guardandola attentamente, aprì una porta che conduceva in camera da letto.

Daisy, nel varcare quella soglia, ebbe un sussulto.

-Tranquilla – le disse Percy – è la mia alcova non il mio talamo. Non stai facendo un torto a Sophie, se è a questo che pensi.

E rise buttando sulla poltroncina la giacca mentre Daisy osservava la stanza con gli occhi offuscati da qualche lacrima.

-Lo stai facendo per Eric – sogghignò Percy esortandola a sciogliersi i capelli.

-Non nominarmelo, per favore! – lo supplicò la ragazza.

-Mi hai stancato – disse lui impassibile – hai già chiesto troppo. Ora il gioco lo conduco io. 

  

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Capitolo 53
*** Sospetti ***


 

 

-Superato con il massimo dei voti! – esclamò trionfante Arthur entrando nella sartoria – Eric ha passato lo scritto.

Georgie mollò per terra tutte le stoffe e il lavoro che stava facendo per correre alla porta.

-E’ fantastico! – gridò – Ma ti confesso non avevo dubbi!

I due si abbracciarono poi rimasero a parlare lì, in piedi.

-Prima di andare a casa – dichiarò Georgie – passerò allo studio per fargli i miei complimenti. L’ha saputo oggi?

-Ieri sera- spiegò Arthur – ed è venuto subito alla fattoria per dircelo.

-Immagino la gioia di Maria – affermò lei con gli occhi pieni di contentezza.

-Non sta più nella pelle! – rise Arthur aggiungendo poi:

-Lo dici tu ad Abel?

-Se nel pomeriggio passa a casa sì – ipotizzò la donna – a meno che non sia lo stesso Eric ad andare da lui per annunciarglielo.

Mentre parlavano Arthur si accorse che le sue dita e quelle di Georgie erano intrecciate, le loro mani erano unite inconsapevolmente ed entrambi neppure avevano compreso quel gesto giunto così spontaneo e naturale.

Quando anche lo sguardo di lei cadde su quelle dita, Arthur si distaccò provocando lo sciogliersi di quell’unione istintiva.

-E’ meglio che ci parli tu con Abel – sussurrò l’uomo facendo un passo indietro con l’intenzione di uscire dal locale – sai che io non lo vedo molto spesso ultimamente.

Georgie annuì tornando alle sue stoffe e dicendo:

-Sono convinta che sarà Eric a dargli la bella notizia.

Senza dire nulla Arthur andò via lasciando la donna al suo lavoro.

Ben presto tutti in famiglia seppero dell’esito positivo dell’esame, anche Sophie che era felicissima per il cugino tanto da invitarlo a pranzo con Daisy e la bambina la domenica successiva.

-Sono stato di parola? – chiese sottovoce Percy a Daisy sedendosi accanto a lei mentre Eric era in giardino con i bambini e Sophie organizzava insieme alla domestica il da fare.

La ragazza, visibilmente scossa, annuì per poi dire:

-Allontanati da me, non capisci quanto mi distrugge lo stare qui, in questa villa? E fare finta di niente!

-E non è finita! – sorrise lui malignamente.

Daisy lo guardò allibita.

-Gli esami non sono terminati – annunciò tranquillamente Percy – c’è il colloquio da superare!

-Non vorrai … - balbettò la giovane ora spaventata.

-Cosa credevi? – il tono del giovane era quasi divertito – Non mi accontento di una sola volta, voglio che diventi la mia amante.

E iniziò a scendere con la mano sulla sua gonna, accarezzandole la coscia.

Daisy si alzò di scatto, i suoi occhi erano ora pieni di terrore.

-Solito posto, solita ora – affermò Percy rimanendo seduto, senza scomporsi più di tanto.

Le settimane passarono, veloci come il vento.

E la data del colloquio di Eric si avvicinava.

Quel pomeriggio sentì bussare alla porta dello studio.

-Ci sei? – la voce che pronunciava la domanda era familiare e inconfondibile.

-Zio Abel! – esclamò Eric alzando la testa dalla scrivania – Tu qui? Stai male?

-Non ho bisogno di una visita – sorrise al ragazzo – passavo!

Il giovane gli porse una sedia.

-Ti disturbo? – chiese Abel discretamente.

-Affatto! – rispose il nipote ancora stupito – E’ che in genere sono sempre io a venire da te.

-Oggi mi sono mosso io! – affermò l’uomo – Come va la preparazione per il colloquio?

-Bene, bene – Eric aveva un tono sicuro – sono determinato, voglio superare anche questa prova.

-Ce la farai – affermò Abel guardandolo con orgoglio.

Eric mise da parte le carte che aveva davanti, lo zio gli domandò:

-Daisy è in casa?

-No, andava in città per delle commissioni – rispose ignaro della verità – ha lasciato Grace da mia madre. 

-Ieri è venuta da me – asserì Abel.

-E’ strana, vero? – Eric era alquanto preoccupato.

-L’ho notato – disse subito l’uomo.

-A volte – continuò il giovane – mi dà l’impressione che non sia felice della mia scelta di studiare per il posto in ospedale.

-Perché dovrebbe? – chiese Abel meravigliato – Tu ci hai parlato?

-Certo – rispose lui – ma è molto vaga. Forse crederà che potrei trascurare lei e la bambina?

-Forse – ipotizzò Abel.

I loro sguardi s’incontrarono, erano sguardi per certi versi simili, affini.

-Credo  – disse poi l’uomo cambiando discorso – di andare da Sophie, prossimamente.

-Davvero? – Eric era felice di quella notizia – Faresti tu il primo passo?

Abel annuì e alzandosi pensò che in famiglia ci fosse ancora bisogno di lui.

Avrebbe messo da parte i vecchi rancori. Con Sophie. E non solo con lei.

Era sera, Lewis si apprestava a scendere di sotto per la cena, Sophie nervosa, chiamò la domestica:

-Dolly, dov’è mio marito?

-E’uscito signora – rispose prontamente quella.

-Quando? – continuò Sophie imperterrita con le domande.

-Poco prima che ritornaste voi con il bambino, signora – disse Dolly.

-Sai se ha ricevuto visite nel pomeriggio? – chiese allora la giovane donna indispettita.

La cameriera scosse la testa, Sophie comunicò:

-Mi occuperò io della camera al secondo piano, puoi andare!

Quando quella uscì, lei si diresse verso la stanza del peccato.

Sophie era consapevole che il marito non le era fedele, ormai lo dava per scontato, ci aveva quasi fatto l’abitudine. Soltanto del bambino le importava, Lewis doveva essere sereno e tranquillo.

Spalancò la porta di quella camera e si diresse verso il letto sfatto.

-Almeno – pensò – avesse il buon gusto di non portarle in casa!

Con rabbia tolse la coperta dal letto buttandola in terra, poi il lenzuolo fece la stessa fine.

Prese un cuscino e stava per gettare anche quello, quando notò un luccichio sul materasso.

Guardò meglio, un qualcosa di tondo attirò la sua attenzione.

Si avvicinò e con le dita prese quella che era una perlina. Piccola e semplice. Originale. 

Tenendola tra pollice e indice la osservava. 

Di scatto chiuse la mano per stringerla con foga. 

-Ti piace Sophie questa collanina? – in mente le risuonava la voce di Eric che le spiegava – La voglio regalare a Daisy, è il primo dono che le faccio. È molto semplice ma queste tre perline le staranno d’incanto.

Aprì lentamente il palmo della mano, la perlina era lì, ferma.

-Allora sei proprio innamorato di Daisy!  - le aveva detto lei ridendo, quel giorno, tanti anni fa, quando erano ancora due ragazzini spensierati.    

  






 

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Capitolo 54
*** Gioco perverso ***


 

 

-Perché proprio Daisy? –  Sophie era fredda, gelida e allo stesso tempo amareggiata rivolgendosi a suo marito appena ritornato a casa.

Era buio, Lewis dormiva nella sua camera, nel salone soltanto Percy e Sophie entrambi seri e cupi.

-Rispondimi! – lo esortava la giovane – Dammi almeno una spiegazione.

-Te lo ha detto lei? – domandò Percy impassibile.

-L’ho scoperto da sola – fu la laconica risposta di Sophie.

-Sei perspicace – ridacchiò lui girandole intorno.

-Ho trovato questa nel letto! – esclamò Sophie mostrandogli con rabbia la perlina – Era un regalo di Eric, ricordo benissimo quel giorno. Tra mille e mille donne proprio lei, mi dici il perché?

-Cosa cambia per te? – ora era il solito Percy, viscido e odioso.

-A me non importa, sono consapevole che non mi sarai mai fedele – continuò Sophie con foga – ma è per Eric che mi dispero! Io e te non siamo più una coppia da tempo, ormai è finita ed è inutile io mi illuda, vado avanti solo per Lewis. Ho tentato di perdonarti ma è stato tutto inutile, la nostra è un’unione finta, il nostro matrimonio è distrutto da anni.

-Stai esagerando! – sorrise lui beffardo – Abbiamo ancora i nostri momenti di passione!

-Non me ne faccio nulla! – gridò Sophie alterata e scossa – Il tuo non è amore ma , ti ripeto, non m’importa più di noi. È per Eric che soffro! Se lo verrà a sapere potrebbe uccidersi.

-Oppure uccidere me? O sua moglie? – e rise nuovamente aggiungendo – Da parte di Daisy non noto tutto questo trasporto verso di lui se così facilmente è caduta fra le mie braccia.

Sophie disgustata si voltò per dirigersi verso le scale.

-Non rivolgermi più la parola – tuonò  a suo marito con rabbia. 

Andò in camera e si chiuse a chiave.

Era preoccupata per Eric, non voleva soffrisse, non lo meritava. 

Ed era delusa da Daisy. 

Percy era squallido e lo sapeva ma Daisy aveva ingannato Eric e questo per Sophie era stato come una coltellata al cuore.
 

Passarono i giorni ma non disse nulla.

Evitò di andare dal cugino, era tutto preso con gli esami e quella rivelazione avrebbe compromesso l’esito del colloquio.

Era tentata però di andare da Daisy e confessarle che aveva scoperto la sua tresca.

Era veramente tentata.

 

Quel pomeriggio stava a dipingere a casa della signora Vienny mentre Lewis era in giardino a giocare con il nipotino della donna.

-Si incontreranno ora? – era la domanda che si poneva Sophie poggiando la punta del pennello sulla tela.

Stava raffigurando il volto di una ragazza che, appoggiata al davanzale, guardava lontano. D’istinto tracciò una lacrima sulla gota della giovane, scese con l’azzurro mescolato un po’ al bianco e rese triste e malinconico quel dipinto.
 

Daisy si asciugò con la mano la guancia bagnata dal pianto.

Era nuovamente in quella stanza, su quel letto, attendendo quell’uomo che in poco tempo l’aveva fatta ritornare a vivere un passato squallido e senza amore.

Si voltò sentendo la porta aprirsi, Percy entrava spavaldo e guardandola disse:

-Ti sei già spogliata? Hai fatto bene!

Sedendosi sul letto si avvicinò a lei per portare le sue labbra sulla sua bocca ma la ragazza si girò di scatto rifiutandolo.

-Cosa devo fare per elemosinare un bacio da te? – le chiese Percy infastidito.

-Mai un bacio – continuò a dirle – mi hai dato tutto con quella bocca ma mai un bacio.

Daisy non rispose e lo ignorò guardando dall’altra parte.

No, non avrebbe mai potuto dargli un bacio perché un bacio era un gesto d’amore e d’affetto, era sentimento, era affidarsi all’altro e scambiarsi fiducia.

Tutto questo era per lei un bacio.

Un bacio era soltanto per Eric.

Per Eric.

Un’altra lacrima.

Scendeva.

E ora qualcuno bussava.

-Ecco la sorpresa che ti avevo promesso – affermò Percy che, tornato ilare, si apprestava ad aprire la porta.

Daisy spaventata si coprì con il lenzuolo mentre vide un uomo varcare la soglia della camera.

-Carissimo – esordì Percy chiudendo a chiave – sei il benvenuto!  

Quello volse subito lo sguardo verso il letto dove Daisy tentava di coprirsi sempre di più, attonita e sconvolta.

-Lui è Stuart – disse Percy sorridendo – un amico. 

L’uomo, alto e abbastanza piacente, iniziò a togliersi la giacca fissando la ragazza e dicendo ad alta voce:

-E’molto bella, avevi ragione!

Daisy spaventata tentò di scendere dal letto ma Percy la fermò sussurrandole:

-Non dirmi che non hai mai provato un gioco a tre?
 

Passarono due giorni, quella mattina Eric era in ospedale per il colloquio con il direttore.

Attendeva di essere chiamato e intanto si sistemava accuratamente la giacca che Georgie gli aveva cucito per l’occasione.

Pensava ai tanti progetti che avrebbe voluto e potuto realizzare se avesse superato quella prova e ottenuto quel posto tanto ambito.

-Prego, entri pure – un’infermiera lo fece accomodare nello studio del direttore.

Lui attese che quella uscisse e con passo lento ma deciso si avvicinò alla scrivania dove l’uomo lo aspettava seduto.

-Buttman – scandì bene il direttore – Eric Buttman. È un immenso piacere fare la tua conoscenza.

Il ragazzo fu sorpreso dal tono confidenziale e dalla accoglienza così calorosa da parte di una persona tanto importante.

-Buongiorno – disse quasi balbettando mentre quello lo invitava a sedersi di fronte a lui.

Sulla scrivania vi erano carte, fogli, relazioni. Eric, con curiosità, cercava di capire se vi fossero anche i suoi compiti scritti. Era desideroso di parlarne con il direttore, voleva argomentare e spiegare le sue tesi, era ansioso di iniziare il colloquio.

-Ammiro quelli come te! – esordì il direttore.

-Bene – pensò Eric – sarà rimasto soddisfatto del mio lavoro.

-Vi ringrazio – disse all’uomo ad alta voce.

-Diamoci del tu – affermò il direttore con enorme stupore di Eric.

-No, mi sembra una mancanza di rispetto nei vostri confronti – asserì il giovane educatamente.

-E invece devi chiamarmi con il mio nome, niente formalismi tra noi! – esclamò aggiungendo – Non voglio sentirti dire, signor direttore ma Stuart. Il mio nome è Stuart.

 

  

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Capitolo 55
*** Dramma ***


 

 

 

Ancora meravigliato ma comunque felice di tutto l’interesse che il direttore stava mostrando nei suoi confronti, Eric esordì:

-Avete letto il mio compito scritto? Ho tentato di riassumere l’argomento ma allo stesso tempo sviscerarlo nel migliore dei modi.

Stuart sorrise e, appoggiandosi con la schiena sulla poltrona, rispose prontamente:

-Caro Eric, non c’è nessuno che può sentire la nostra conversazione qui! Parliamo liberamente, inutile continuare a fingere questa ridicola commedia!

Eric sempre più stupito palesò la sua incredulità con un’espressione del volto di disorientamento, il direttore esclamò quasi compiaciuto:

-Percy è stato chiarissimo con me ed io ti ho promosso a pieni voti. Anche perché ho gradito con piacere lo scambio.

-Percy? – domandò il giovane ora non soltanto incredulo ma anche preoccupato.

-Il mio caro amico Percy Gray – specificò quello – siete parenti o sbaglio?

-Ha sposato mia cugina – rispose Eric con sospetto per poi chiedere – cosa c’entra Percy con il mio esame?

A quel punto il direttore si alzò e disse:

-Ti ho detto di piantarla, non c’è nessuno qui oltre noi due.

Si avvicinò al ragazzo affermando:

-Ti ripeto che ammiro quelli come te, pronti a tutto per una promozione. E con una bella moglie come Daisy! Io non so se avrei fatto lo stesso al posto tuo. Ma forse sì, la gelosia va messa da parte in certe circostanze!

E rise di gusto mentre il povero Eric iniziava, purtroppo, a veder più chiara la situazione.
 

 

Sophie bussò con forza alla porta attendendo, Daisy aprì con la bambina fra le braccia.

-Eric è al colloquio, vero? – le chiese con rabbia guardando la piccolina che sorrideva, quasi le faceva pena quella dolce anima innocente.

-Sì, è in ospedale – rispose Daisy facendola entrare – devi parlarci? Hai bisogno di lui? Puoi aspettarlo qui con noi.

-No, è con te che devo parlare – disse subito Sophie alterata non mettendosi seduta ma fissando l’altra con aria di sfida.

Daisy mise la bimba nella culla e vide la cugina di suo marito tirar fuori dalla borsetta un fazzoletto.

-Ti ho riportato questa – esordì la giovane Buttman mostrando la perlina della collana racchiusa tra la stoffa – era a casa mia!

-Ah, grazie – sussurrò titubante Daisy – l’avrò persa quando sono venuta a pranzo con tutta la famiglia.

-No – tuonò con tono secco Sophie – non era in salone, né in giardino e neppure nella camera da pranzo.

Buttò sul tavolo perlina, fazzoletto e specificò:

-Era tra le lenzuola del letto nella stanza al secondo piano.

Daisy deglutì lentamente e chiudendo gli occhi provò a parlare ma Sophie la bloccò immediatamente dicendo:

-Come hai potuto? Come? E non m’importa di Percy ma è tuo marito che mi sta a cuore. 

-Fammi spiegare – farfugliò Daisy affranta ma Sophie era un fiume in piena.

-Avessi trovato io uno che mi ama come Eric ama te! Me lo sarei tenuto stretto.

-Non è come credi – tentò di argomentare l’altra con decisione – sono stata costretta.

-Ah sì? – il tono di Sophie era ironico ora.

-Percy mi ha ricattata – disse allora Daisy – sono diventata la sua amante soltanto perché altrimenti Eric non avrebbe potuto superare l’esame. Ho sbagliato a non parlarne con nessuno, è stato quello il mio errore più grande! Mi sono sentita in trappola, capisci Sophie? 

-Ti ha minacciata? – domandò l’altra iniziando a comprendere meglio.

-Ha ribadito che Eric avrebbe perso il posto – spiegò Daisy – il direttore dell’ospedale è un suo carissimo amico. Percy ha sempre avuto la situazione in pugno ed io mi sono lasciata andare per aiutare l’uomo che amo. 

-Eric non vorrebbe mai ottenere qualcosa con il tuo sacrificio – aggiunse Sophie più calma ma amareggiata. 

-Ha perso tanto per causa mia in passato – specificò Daisy – e lo sai anche tu.

-Ma ti ama sopra ogni altra cosa al mondo – disse Sophie avvicinandosi a Grace – anzi vi ama più di tutto il resto.

E accarezzò la bambina con dolcezza.

-Ha rinunciato al suo lavoro a Melbourne per me – continuò Daisy – ed io ho creduto, sbagliando, di poterlo aiutare in questo modo. Ha accantonato il suo sogno per colpa del mio passato, quel passato adesso è tornato utile.  Diventerà chirurgo in ospedale grazie all’unica cosa che so fare.

-Non è così! – gridò Sophie con ira – Tu non sei quel tipo di donna, sei soltanto una vittima.

Non continuarono il discorso perché la porta si spalancò con forza, entrò Eric. Era fuori dalla grazia di Dio.

-Cosa hai fatto! – urlò violentemente alla moglie, prendendola per un braccio e scaraventandola contro una sedia.

-Fermati! – intervenne subito Sophie – Fermati e calmati.

-Togliti dai piedi tu! – ordinò alla cugina – Esci da questa stanza.

La ragazza cercò di avvicinarsi a Daisy ma Eric gridò nuovamente:

-Vattene via, Sophie!

La giovane allora indietreggiò un poco.

-Cosa credevi - intimò  Eric alla moglie – di farmi un favore? Pensavi non fossi capace di superare da solo l’esame? Oppure ti è piaciuto fare quello che hai fatto?

Daisy non riusciva a dire mezza parola talmente era intimorita e distrutta.

-Con Percy – continuò lui amareggiato – e pure con il direttore.

La piccola Grace, nella culla, aveva iniziato a piangere, sempre più forte.

Sophie la prese in braccio tentando di calmarla, Eric dichiarò:

-Mettila giù, lasciala stare!

Daisy, istintivamente, si spostò verso la bambina ma suo marito  asserì:

-Non toccarla, non toccare mia figlia.

Prese lui Grace e la rimise nella culla poi si rivolse nuovamente a sua moglie.

-Sparisci dalla mia vita – urlò.

-Ti prego Eric – disse Daisy in lacrime – ascoltami.

Lui la spinse contro la porta gridando:

-Esci di qui! Avrei dovuto capirlo subito quello che sei, sei una puttana.

Al sentire quella parola pronunciata da Eric, Daisy si spostò nel corridoio piangendo per poi correre giù per le scale.

-Fammi raccontare la verità –  Sophie si rivolse al cugino – lei non ha colpa.

-Che devi dirmi? – chiese Eric con rassegnazione – Mia moglie è una puttana e basta. 

Ma la giovane iniziò a spiegare tutta la vicenda con foga e partecipazione.

-Ora esci Sophie – le disse – e lasciami solo.

La condusse fuori sbattendo la porta e poi si chiuse dentro a chiave con la bambina.

In strada Sophie trovò Daisy seduta per terra, accanto al muro.

Non girava nessuno, faceva caldo quel giorno.

-Ha ragione – le disse Daisy – sono soltanto una puttana.

-No, sono certa che ti ama ancora – affermò Sophie guardando su, verso la finestra.

Voltandosi vide il cavallo legato alla staccionata.

-Aspettami qui – dichiarò a Daisy – vado dall’unica persona che forse potrà aiutarci.

  

 

  

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Capitolo 56
*** Resa dei conti ***


 

 

 

Abel si voltò meravigliato, non credeva proprio di trovare suo fratello lì, accanto alla staccionata.

Aveva sentito il nitrito di un cavallo, era uscito di casa per capire chi fosse quando si era sentito chiamare. 

Mai Arthur era andato da lui, al suo personale rifugio, in quegli ultimi anni.

-Sei tu? – domandò quasi infastidito Abel mentre gli apriva il cancello.

-Sono qui per parlarti – iniziò a spiegare l’altro – se vorrai ascoltarmi.

Con un cenno del capo, Abel gli fece strada senza dire parola.

Si spostarono dietro l’abitazione, dove c’era l’orto e il fiume.

-Ti sei sistemato bene – asserì Arthur osservando il luogo e percependo la tranquillità che quel posto evocava.

-Sono quasi due anni che sto qui – disse secco Abel – te ne accorgi ora?

-Non sono venuto per litigare – fu la risposta decisa del fratello – assolutamente.

A quel punto Abel lo guardo ancora più intensamente negli occhi e, maggiormente comprensivo, lo esortò con un gesto a parlare.

-Eric mi ha riferito che vuoi rivedere Sophie – esordì Arthur con tono pacato – e non posso che essere felice di questa tua decisione. 

-Ho sempre desiderato di riabbracciarla – lo interruppe il fratello – da quando ho saputo che era nuovamente qui in Australia ma ho voluto attendere il momento adatto. 

-Credo che ora – aggiunse Arthur – quel momento sia arrivato. Sophie ha bisogno di te, più di ogni altra persona al mondo.

Abel strinse i pugni guardando in terra, il fratello continuò:

-Sophie non è felice, per nulla.

-Non poteva esserlo con Percy – sottolineò Abel – non poteva. E io l’ho lasciata andare …

-Che altro potevi fare? – Arthur era sincero – E’adulta e libera di compiere le proprie scelte. Se ha fatto degli sbagli sta pagando ora le conseguenze. È triste doverlo ammettere ma è così.

Dal volto di Abel si percepiva preoccupazione ma anche rabbia.

-Sono pronto a tornare – disse – per Sophie. Se ha bisogno di me io ci sarò.

-Tutti abbiamo bisogno di te – aggiunse Arthur – non soltanto lei.

Allora Abel si tolse di getto il fazzoletto che indossava attorno al collo, lo buttò via e si diresse sulla riva del fiume.

-Se Georgie vorrà – specificò – ritornerò a vivere con lei e con Sophie e il bambino perché, da quanto ho capito, il matrimonio con Percy è finito.

-Sophie deve avere il coraggio di lasciarlo – disse Arthur mentre il fratello, con più forza, asserì:

-Sento che ce la farà, io le starò accanto.

Entrambi si rispecchiavano sulle calme acque del fiume, Arthur prese in mano un sasso e lo scagliò lontano dicendo:

-Anche Eric ha bisogno d’aiuto, c’è qualcosa che non va e non è soltanto per la tensione dell’esame.

-L’ho percepito anch’io – affermò Abel con una punta d’ansia nella voce.

Prese allora un sasso pure lui e lo tirò più lontano del fratello, mettendoci più forza.

-Hai vinto – dichiarò Arthur riferendosi al lancio migliore – come sempre e da sempre. In ogni circostanza tu hai sempre vinto.

Ma Abel non rispose affatto, stringendo in mano un altro sasso, chiuse gli occhi e in evidente difficoltà disse:

-Dove vi incontravate? Alla fattoria, vero? Era quello il vostro ritrovo?

Arthur rimase impassibile, muto, vide la sua immagine riflessa nel fiume, intanto il fratello continuava:

-Non soltanto Sophie è stato il motivo del mio ritiro in solitudine, no! Certo la sua partenza mi ha provocato dolore, come a tutti, ma è stato altro che mi ha fatto compiere quella scelta.  

Rimasero di nuovo in silenzio, non c’era vento né alcun altro rumore che poteva fermare quell’atteso confronto.

-Vi incontravate alla fattoria? – ripeté ancora una volta Abel.

Arthur deglutì, continuò a fissare il fiume e finalmente rispose:

-Sì, alla fattoria.

Abel quindi fece cadere lentamente il sasso che aveva tenuto in mano, lo vide fermarsi accanto al suo piede e quindi si allontanò dicendo:

-Quante volte è successo?

-Solo due volte – fu la risposta laconica del fratello.

-Solo? – rise Abel voltandosi – Ti sembra poco?

Arthur scosse il capo sentendo l’altro domandargli:

-Di Maria non t’importa?

Sentendo il nome di sua moglie avvertì una fitta al cuore, si avvicinò a lui affermando:

-Avresti dovuto lasciarmi marcire in quella cella. 

Abel lo fissò dichiarando:

-Ho sempre percepito dentro di me che l’amavi ancora e forse non hai mai cessato di amarla. Fosse successo vent’anni fa ti avrei preso a pugni e ora saremmo finiti in acqua continuando a batterci. Ma adesso no, proprio no. 

-Ho commesso l’ennesimo errore – asserì Arthur senza nascondersi – era così sofferente e sola dopo la partenza di Sophie.

Abel rise di nuovo, di rabbia.

-Non ho scuse – continuò Arthur – e non voglio trovarne.

Aggiunse poi:

-Comunque non c’è più stato niente fra noi, abbiamo capito quasi subito che era da folli iniziare una relazione.

Nuovamente il silenzio.

Niente sguardi.

Niente di niente.

Soltanto silenzio.

Silenzio.

-Papà! – un grido fece voltare entrambi.

Era la voce di Sophie.

La videro apparire, correva.

-Bambina mia – sussurrò Abel.

Si gettò fra le sue braccia per poi dire immediatamente:

-Ho bisogno d’aiuto!

Si girò verso Arthur affermando:

-Ci sei anche tu, zio. Eric ha bisogno d’aiuto.

I due fratelli si guardarono con intesa per l’ennesima volta.

 

  

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Capitolo 57
*** Decisioni importanti ***




Arrivarono a casa di Eric dove trovarono, con stupore di Sophie, soltanto Daisy con la bambina.

-E’ uscito di corsa – spiegò trafelata la ragazza – io ero ancora fuori. Mi ha guardata e mi ha detto di salire da nostra figlia. Non sono riuscita a fermarlo per un chiarimento, ha preso il cavallo ed è andato via.

-Dove? – chiese Abel impaziente.

Daisy scosse la testa palesando di non conoscere risposta.

-Dobbiamo cercarlo – disse immediatamente Sophie preoccupata e molto scossa – avete idea di dove può essere andato?

-Ho paura – sussurrò Daisy stringendo forte a sé la piccola Grace – ho tanta paura.

-Dividiamoci per le ricerche – propose Abel desideroso di agire subito.

-No – fu la secca risposta di Arthur – sono certo che Eric tornerà qui.

-Ma cosa dici? – esclamò con vigore il fratello – Ogni minuto può essere prezioso! 

-Se conosco mio figlio – affermò sicuro Arthur – so che tornerà. 

La decisione con cui aveva scandito quelle parole sorprese tutti.

Rimasero così in attesa, un’attesa che li rese ancora più nervosi e inquieti.

Il tempo pareva interminabile, lento.

Verso sera giunsero lì anche Georgie e Maria, ignare di tutto.

-Perché non sei andato a cercarlo? – urlò Maria al marito dopo aver appreso la questione – Forse è andato da Percy oppure dal direttore, oppure …

Non riuscì a terminare la frase, era troppo sconvolta.

-Abel – chiese allora Georgie, in disparte – perché non ti sei mosso tu?

-Perché credo in quello che ha detto mio fratello – rispose – e ho fiducia in Eric. È distrutto ma non farebbe mai una pazzia, Arthur ha ragione.

Daisy e Sophie erano sedute l’una accanto all’altra, facendosi forza a vicenda. 

-Tornerà – ripeteva Sophie – non ti avrebbe lasciata Grace se non si fosse fidato di te. Ti ama ancora, ne sono convinta.

Ormai era quasi buio, il rumore della chiave che girava nella toppa fece voltare tutti.

-Eric! – gridarono all’unisono Georgie e Sophie mentre Daisy si alzava dalla sedia e Maria correva alla porta per abbracciarlo.

Il ragazzo, stupito ma forse non più di tanto, osservò la sua famiglia riunita.

Abel guardò il fratello approvando con la testa, Arthur aveva intuito bene, Eric era ritornato.

-Dove sei stato? – gli domandò con discrezione Maria.

Ma lui non rispose subito, si diresse verso sua moglie e la bambina.

-In ospedale- disse poi fissando Daisy – a rifiutare la mia promozione.

Nella stanza regnava il silenzio assoluto, nessuno aveva il coraggio o la forza di parlare.

-Non posso permettere – continuò con decisione – che mia moglie si umili in quel modo. Rimarrò qui ad esercitare la mia professione che amo, come amo Daisy e Grace.

In quel momento, gli altri componenti della famiglia, capirono che forse era giusto lasciar sola la coppia riunita e, senza far troppo rumore né proclami, uscirono discretamente dalla stanza.

In strada, seduta osservando le stelle perché era ormai buio, Sophie disse a suo padre che le era accanto:

-Vado a parlare con Percy, lo lascerò in modo definitivo. Prenderò Lewis e, se mi vorrete, tornerò a vivere con voi.

-Certo che ti vogliamo – asserì Abel che, prendendo la mano di Georgie, continuò – e staremo tutti insieme, come una volta, o quasi.

Georgie sorrise mentre videro Eric uscire dal portone di casa.

Andò diretto ad abbracciare i suoi genitori.

-Siamo fieri di te – dichiarò Arthur, Maria approvava con lo sguardo.

Sophie si alzò affermando di voler andare a villa Gray, per lasciare Percy.

-Non vorrai partire da sola? – disse Abel inquieto e nervoso.

-Ti accompagneremo noi – aggiunse Arthur mentre il fratello annuiva.

-No, andrò io con lei – s’intromise Eric – ho un conto in sospeso con Percy.

E prese per mano Sophie conducendola al calesse.

-Sii prudente – fu il consiglio di Abel.

-Non compiere gesti avventati – disse Arthur al figlio.

-Sono più tranquillo – continuò poi Abel dopo la partenza dei due – sapendo che c’è Eric con lei. Anche se mi chiedo se forse era meglio se fossimo andati anche noi.

-Devono cavarsela da soli – sentenziò il fratello osservando il calesse già lontano.


-Entrerò soltanto io – spiegò Sophie al cugino davanti al cancello di villa Gray – tu aspettami qua. Se qualcosa andrà storto o avrò bisogno del tuo aiuto ti chiamerò.

-Sei sicura? – Eric era un po’ titubante, avrebbe preferito non lasciarla. 

Lei gli prese le mani e le strinse forte, senza parlare.

Allora Eric la lasciò andare.

Sophie varcò la soglia di quella che era stata la sua abitazione, era buio e c’era silenzio.

Salì le scale, aprì pian piano la porta della camera di suo figlio.

Lewis dormiva nel suo letto, andò a baciarlo sulla fronte.

Si diresse verso la sua stanza ma trovò Percy nel corridoio.

-Ti sembra questa l’ora di rientrare? – domandò a sua moglie abbastanza alterato.

-Non sei l’unico che rientra tardi! – fece spallucce Sophie ignorandolo.

-Dove sei stata? – chiese con sgarbo alla ragazza.

-Non ti deve interessare – rispose lei piccata – e non ti interesserà più.

Entrò in camera ed iniziò a prendere dall’armadio dei vestiti.

-Ma cosa fai? – Percy era allibito.

-Faccio quello che avrei dovuto fare già da tempo! – esclamò Sophie finalmente sicura di sé – Preparo la valigia e torno dai miei genitori.

-Tu sei pazza! – esclamò suo marito sempre più stupito.

-No, non sono pazza ma sono certa di quello che faccio – affermò continuando a prelevare abiti seguita da un Percy meravigliato.

-Ti lascio – asserì prontamente – e definitivamente. 

-Ma non puoi! – il tono del giovane era incredulo.

-Sì che posso – disse Sophie – e porto con me Lewis.

-No – tuonò Percy – non puoi togliermi il bambino!

-E lasciarlo qui con te? – lei era decisa – Ma come crescerebbe con uno che non sa cosa significhi essere padre!

-Come puoi affermare una cosa del genere! – ora Percy era veramente alterato e ferito nell’orgoglio.

-Sei un padre assente e di dubbia moralità – gli rinfacciò Sophie – e anche violento verso il bambino.

Aveva messo i vestiti dentro una valigia e ora stava andando a preparare i bagagli per suo figlio.

-Non lo porterai via – urlò Percy bloccandola sulla porta.

-Vedremo! – fu l’esclamazione che fece Sophie desiderosa di lasciare al più presto quel posto. 

Il piccolo Lewis intanto, avendo sentito le grida e i rumori, si svegliato e si era diretto verso la camera dei suoi genitori.  

Li trovò in lite, per l’ennesima volta.

I suoi occhi erano abituati a vedere il papà strattonare la mamma e la mamma urlare e piangere.

Il piccolo Lewis era stanco di tutto ciò e si sentiva tremendamente inerme.

   

 

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Capitolo 58
*** La notte più lunga ***


 

 

 

-Vieni Lewis – disse concitata Sophie a suo figlio che era fermo sulla porta con  lo sguardo triste – vieni con me! Andiamo a preparare la tua valigia.

Lo prese per mano ma Percy la fermò strattonandola con vigore.

-Non andrai da nessuna parte! – ordinò alterato e nervoso.

-Basta! – gridò lei – Non rimarrò più qui, addio!

E, svincolatasi, corse nella stanza del bambino.

Fu raggiunta immediatamente da suo marito che urlando la prese per un braccio:

-Dove credi di andare! Sei mia moglie e devi rimanere qui con me e non provare a portare via il bambino!

Con forza la buttò sul letto del piccolo dandole uno schiaffo sul volto.

-Non far del male alla mia mamma! – gridò Lewis avventandosi contro il padre noncurante delle conseguenze.

Percy, preso dall’odio, spinse il bambino in terra mentre Sophie urlava:

-Aiuto Eric! Vieni in casa Eric!

Lewis si alzò e scappò via dalla stanza.

Corse giù per le scale e, arrivato nel salone, uscì fuori dalla villa.

Aveva capito che Eric era lì, in soccorso.

Quando il giovane vide il ragazzino correre verso di lui scese immediatamente dal calesse, avendo intuito che la situazione si era complicata.

-Papà sta picchiando la mamma – disse il bambino mentre Eric non perdeva tempo e si dirigeva dentro l’abitazione.

Entrato in casa Eric vide Thomas e l’altra domestica che, avendo sentito il trambusto, stavano anche loro salendo le scale.

Nel corridoio trovarono Percy a terra con la camicia macchiata di sangue e Sophie che, con in mano un pugnale, era terrorizzata e spaventata.

Thomas si era messo le mani nei capelli, Dolly aveva fermato il piccolo Lewis e l’abbracciava come  per proteggerlo da quell’orrore ma Eric si gettò subito sul corpo di Percy.

Un’evidente ferita sotto la spalla sinistra, quasi all’altezza del cuore, faceva fuoriuscire sangue.

-Non c’è tempo da perdere – disse con decisione Eric mantenendo però la calma e guardando Sophie che, smarrita, diceva:

-L’ho colpito io, l’ho colpito.

Thomas, rivolgendosi a Eric, chiese:

-Corro a preparare la carrozza per portarlo in ospedale?

-No – rispose lui sicuro – è troppo distante, morirebbe durante il tragitto. Devo cercare di bloccargli il flusso del sangue, prendete delle bende o della stoffa, insomma qualcosa di simile! E nel calesse ho sempre con me la mia valigetta, fate velocemente. Non mi sembra abbia colpito il cuore e non è neppure molto profonda.    

I due domestici si precipitarono giù e fecero ciò che Eric aveva ordinato loro.

Dolly rimediò delle bende e Thomas andò a recuperare la valigetta del dottore.

In quella circostanza Eric dimostrò tutta la sua competenza ma soprattutto la vocazione di essere un medico.

Intanto Sophie, in un angolo, teneva stretto a sé Lewis che era terrorizzato.

-Dolly, portalo giù – disse ad un certo punto alla domestica riferendosi al bambino.

Thomas aiutava come poteva, passava ad Eric l’occorrente, non esitava a scendere per prendere qualcosa di utile.

Fu una notte lunga quella, interminabile.

-L’emorragia si sta fermando – fu la frase che fece tirare un sospiro di sollievo a tutti – ormai credo sia fuori pericolo.

 Lo misero sul letto, aveva perso i sensi ma era salvo.  

Eric andò a lavarsi le mani, si sciacquò la faccia, Sophie lo raggiunse.

-Mi aveva picchiata – sussurrò la giovane mentre Eric la abbracciava stretta – e aveva colpito anche Lewis. Quando il bambino è corso fuori io mi sono rifugiata nello studio, accanto alla camera. Ha capito che tu saresti arrivato allora ha preso quel pugnale che teneva nel cassetto. Io ho urlato di nuovo, uscendo nel corridoio. Credo i domestici abbiano sentito perché sono accorsi facendo rumore. Percy si è distratto e io, non so neppure come, sono riuscita a togliergli il pugnale dalla mano. E poi l’ho colpito.

Scoppiò in pianto, nuovamente.

-Si salverà – le disse piano Eric stringendola ancora a sé.

Dopo qualche istante, Sophie chiese balbettando:

-Non hai esitato a soccorrerlo, l’hai fatto per me, sarei stata un’assassina.

-L’ho fatto per me – rispose prontamente lui – sono un medico, non me lo sarei perdonato, per tutta la vita.

Tornarono in camera da letto, i domestici erano di sotto con il bambino.

Percy si era svegliato, era dolorante.

Sophie si avvicinò, lui la guardava cercando di dire qualcosa ma non ci riuscì.

-Non sforzarti a parlare – disse la ragazza – devi riposare.

Ma Percy, con voce flebile, domandò:

-Potrai mai perdonarmi, Sophie?

Lei distolse lo sguardo di scatto e fissò il pavimento, rimanendo in silenzio.

-Eric – continuò Percy – perché non mi hai lasciato morire?

Allora lui rispose:

-Sono un medico. 

Poi si avvicinò alla cugina e disse ad alta voce:

-Sophie e Lewis verranno via con me. Dirò a Thomas di preparati la carrozza e di condurti in ospedale. Lì il tuo amico direttore saprà come curarti, sei in buone mani.

E uscì dalla stanza.

Percy chiuse gli occhi come per approvare. 

Quando li riaprì fece in tempo a vedere Sophie che, sulla porta, si era voltata per dirgli addio.

  

   

 



 

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Capitolo 59
*** Epilogo ***




La matita scorreva velocemente sul foglio, il tratto sicuro, lo stile era di chi sapeva disegnare con abilità e maestria.

Seduta sotto un albero, alla fattoria, Sophie ritraeva la piccola Grace che, ormai senza incertezze, camminava e correva sorridente assieme a Lewis.

-Che bella! – esclamò Eric sedendosi accanto alla cugina – E credo non sia facile fare il ritratto di un soggetto in movimento.

Lei annuì non distogliendo lo sguardo dalla bambina e poi dal foglio.

-E’ un semplice schizzo – affermò subito dopo Sophie – quando sarà terminato te lo regalerò.

Posò da una parte il blocco e la matita e aggiunse:

-Mi sto specializzando nel bianco e nero, è stimolante per me scoprire e approfondire nuove tecniche.

-Le tue alunne sono entusiaste – proseguì Eric – ieri, allo studio, è venuta Molly Devon con sua figlia. La bambina non ha fatto altro che raccontarmi delle lezioni pomeridiane che segue con te!

Sophie sorrise dicendo:

-Sono contenta, ho capito che insegnare pittura mi piace. È soprattutto trasmettere le mie passioni che mi gratifica. Ed ho visto che ci sono molte ragazzine portate per il disegno.

Ora fu Eric a sorridere, pensando che finalmente Sophie aveva trovato una tranquillità che non provava da anni.

Anche Lewis era un bambino sereno, si era inserito bene a scuola e amava la campagna e giocare all’aria aperta.

Eric e Sophie guardavano i loro figli correre insieme, ad un certo punto lei esordì:

-Leggi questa! È arrivata l’altro ieri.

E diede una busta al cugino che, stupito, disse:

-Una lettera? Devo leggerla?

L’aprì e, sotto lo sguardo attento della ragazza, lesse:

“Mia amata Sophie, non c’è giorno che non penso a noi, alla nostra storia e al nostro bambino. Qui in Italia la vita scorre velocemente, ho ripreso a lavorare e a studiare, mi sento meglio, sono un uomo cambiato e maturato. Ho commesso una marea di errori, con te, con Lewis e con tutti quanti ma sono certo di amarti ancora. Non riesco a vedermi con un’altra donna, neppure per un istante. Solo con te so di essere felice e spero che un giorno potrò rincontrarti, qui a Firenze, in Australia o dove vuoi tu. Spero che Lewis non si sia dimenticato di me, o meglio, vorrei scordasse il male che gli ho fatto, a lui e a te.
Ti scriverò altre lettere Sophie, non c’è bisogno tu mi risponda, sappi che ti amerò per sempre.

Tuo Percy”


-Questo è ancora più pazzo di prima! – esclamò Eric sbalordito dopo aver letto quelle righe e buttato in terra la lettera – Non vorrai tornarci Sophie, te lo impedirò subito senza indugi! 

-No, certo che no! – affermò la giovane con forza continuando a guardare suo figlio che giocava felice – Però se Lewis, da grande, vorrà incontrarlo non potrò fermarlo.

Eric scosse la testa e si alzò, Sophie riprese il blocco da disegno in mano ma udirono Georgie che richiamava tutti a tavola, il pranzo era pronto.

Non era un ricorrenza particolare ma, alcune volte, amavano riunirsi alla fattoria.

Abel e Georgie.

Arthur e Maria.

Eric, Daisy e Grace.

Sophie e Lewis.

Non erano la famiglia perfetta, ma chi, in fondo, lo era?

Però si volevano bene.

Dopo rinunce, rimpianti, dolori, sofferenze.

Ma anche gioie.

Il vento incominciò a soffiare, era leggero.

I sorrisi di Lewis e Grace riempirono la giornata.

Forse il vento avrebbe portato qualcosa di buono.

FINE


Siamo giunti al termine di quella che è divenuta una saga.
È stato un viaggio, un cammino durato più di un anno assieme al Vento d’Australia.
Aggiungendo Georgie il sequel e la figlia di Georgie sono tre anni che questa storia mi fa compagnia. Spero sia stata una piacevole lettura anche per voi.
Dovrei ringraziare uno per uno tutti quelli che hanno recensito assiduamente, chi ha solo letto, chi ha commentato qualche volta. Non lo faccio per paura di dimenticare qualcuno e allora vi scrivo un GRAZIE cumulativo!
Mi prendo una pausa da Georgie e mi trasferisco dalle sconfinate praterie australiane agli altrettanti infiniti campi da calcio di Captain Tsubasa (Holly e Benji), vediamo cosa ne viene fuori!
Ma non lascio Georgie, ho in mente un’altra storia sulla nostra bionda eroina …

Grazie a tutti, di cuore!

Francesca 

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