SPERDUTI

di elemandorla
(/viewuser.php?uid=498805)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hot Girl Summer ***
Capitolo 2: *** La MobyCampbell ***
Capitolo 3: *** La Cabina Gamma ***
Capitolo 4: *** Trevor ***
Capitolo 5: *** Tempesta ***



Capitolo 1
*** Hot Girl Summer ***


CAPITOLO 1: “Hot Girls Summer”

La fresca brezza del mare mi scompigliava i capelli. Un tocco timido e delicato.
Il sole scottava nonostante fossero le prime ore serali e la magica atmosfera dei Caraibi cozzava orribilmente con quella frenetica a bordo.
Osservavo le onde che si infrangevano contro l’imponente struttura che era la MobyCampell, picchiettando nervosamente le unghie sul liscio legno della balaustra.
“Cosa cazzo ci faccio qui?”
La MobyCampell.
Bastava pronunciare questo nome per far accendere i bollenti spiriti di qualsiasi giovane adolescente under 30.
Un nome, una garanzia.
La MobyCampell intortava e rapiva l’attenzione di tutti con la promessa che sarebbe stato un viaggio all’insegna del puro divertimento.
Un divertimento peccaminoso, direi.
Questa nave accoglieva centinaia di giovani americani piedi di soldi e con l’ormone impazzito, cui unico obbiettivo era quello di perdersi nei meandri dell’alcol, ballando fino all’alba.
Il loro mood seguiva il tipico mantra del “ASS”. Alcool, Sole e Sesso.
La musica era costantemente ad un volume spacca- timpani, i pontili brulicavano di ragazze con addosso ridicoli trangolini invisibili e il sapore della Vodka era ciò che alleggiava negli aliti della maggior parte dei ragazzi, 24 ore su 24.
Ero salita sulla crociera da poco meno di un paio d’ore ed ero stata assalita da un branco di pallanuotisti che mi avevano radiografata come se fossi una rara specie animale appena scoperta.
Non che le attenzioni maschili mi ripugnassero, al contrario.
Semplicemente mi infastidiva sentirmi al pari di una preda.
Puntata e cacciata.
I passeggeri della MobyCampell erano degli assi in questo gioco di seduzione.
Non mi avrebbe dovuto sorprendere, in fondo avevano sborsato migliaia di dollari per soggiornare su questo paradiso galleggiante, uccidersi di Alchol o qualsiasi droga esistente, ancheggiando tutta la notte sulle folkloristiche canzoni stile Ibiza.
Un ragazzo dai capelli corvini e il viso ustionato mi si avvicinò poco elegantemente, andandomi quasi a sbattere addosso.
-Ciao splendore, birra?- biascicò.
Lo guardai spazientita per avermi schizzata con la presunta bevanda nel momento del “quasi” urto.
-No grazie- risposi secca.
-Andiamo Bambola, siamo sulla MobyCampell, sciogliti un po’! Quanto vuoi per farmi fare uno shot tra le tue tette?-
Squadrai allucinata il ragazzo sbronzo marcio alla mia destra, lanciandogli uno sguardo inceneritore.
Il poveretto dovette aver colto l’imminente suicidio a cui andava incontro perché scrollò le spalle e si ributtò nella mischia alle nostre spalle.
Lo osservai ripetere lo stesso teatrino con una focosa brunetta e sgranai gli occhi quando la vidi afferrare il centone che lui le aveva allungato con uno sguardo sornione.
Scrollai la testa accaldata e mi concentrai sugli splendidi colori turchesi di quel mare Caraibico.
“Cosa cazzo ci faccio qui?”
Odiavo sentire l’alito della gente accalcata alle mie spalle e i corpi appiccicosi che si toccavano.
Quell’ammasso di giovani con sbalzi ormonali sempre alle calcagna mi urtava il sistema nervoso nel giro di pochi secondi.
Ad un tratto, un’inconfondibile voce urlò il mio nome a pieni polmoni.
-Kim! Cosa cazzo ci fai qui?-
Un’ammasso di indomabili ricci Rossi mi apparse nella traiettoria visiva.
-Siamo ai Caraibi, sai com’è, il panorama non fa proprio schifo- le risposi sarcastica vedendola avvicinarsi.
-Simpatica come un cactus nel culo. Dico sei impazzita? Ti stai perdendo il tizio ciccione in piscina che offre shot di Sambuca a chiunque! Letteralmente a chiunque!-
La mia migliore amica mi guardò aspettando un entusiasmo che sapeva fin troppo bene, non sarebbe mai arrivato.
-Sei una palla. Me l’avevi promesso!- mugoló mettendo il broncio.
E io mantenevo sempre la parola data.
E dannazione era vero, glielo avevo promesso.
Eravamo nate entrambe lo stesso giorno, il 12 agosto del 1997.
All’alba dei nostri 24 anni, Beatriz era riuscita a strapparmi la promessa di passare un’estate alla Hot Girl Summer, solo io e lei.
Da quando ci eravamo conosciute, il primo anno di liceo, non avevamo mai trascorso un’estate in cui il fato ci concedesse di essere single insieme.
Quando lei era impegnata con qualche storiella, seria o non che fosse, io ero sempre sola.
E quando ero fidanzata io, sembrava che Dio le lanciasse una qualche maledizione che fungeva da repellente anti-maschio.
Quell’estate, era la prima in dieci anni che entrambe eravamo libere da qualsiasi relazione o legame.
E la mia boriosa migliore amica non aveva perso tempo per costringermi a giurarle che ci saremo divertite come delle dannate.
Una mattina mi aveva praticamente lanciato in faccia due esclusivissimi biglietti per una settimana sulla ModyCampell, in risposta alla mia costante reticenza.
L’avevo guardata come se mi avesse detto che fuori piovevano polpette.
Avrei ribattuto, se non che lei mi puntó un dito minaccioso addosso, scandendo “sei una codarda”.
Fu lì che arraffai quel dannato biglietto e preparai la valigia, ignara di ciò a cui stavo andando incontro.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La MobyCampbell ***


CAPITOLO DUE: la MobyCampell


-Per me un Vodka Sour- squittì Beatriz al barista.
-Io prendo un succo d’ananas grazie-
Quattro paia di occhi mi si inchiodarono addosso.
Il barista mi guardò come se gli avessi parlato arabo e Beatriz assottigliò i bei occhi castani.
-E va bene!- gemetti arrendendomi. -Fammi una Caipiroska per favore-
Vidi la mia rossa amica sogghignare soddisfatta.
Non avrei avuto scampo nemmeno un momento, già lo sapevo.
-Qua sono gnocchi pure i mozzi- sussurrò scrutando la folla di gente sui pontili.
-È la terza volta che fai questo commento da quando abbiamo messo piede sulla nave- osservai divertita.
-È la verità. Non ce ne è uno brutto. Santa Carolina Kim!-
Beatriz mi afferrò il braccio nel momento in cui mi stavo accendendo una sigaretta. Il suo agguato fu talmente prorompente che mi cadde a terra.
-Guarda quell’adone greco!- scandì tra i denti fissando con adorazione un punto alle mie spalle.
-No aspetta! Non girarti adesso, che figure mi fai fare!-
L’avrei buttata in acqua molto volentieri ma mi limitai a sorseggiare il mio drink roteando gli occhi al cielo.
-A ore sei, Moro. Alto occhi verdi. Glutei sodi e pettorali da King Kong-
Aspettai qualche instante prima di girarmi e cercare il ragazzo descritto dalla più che esaustiva narrazione di Beatriz.
Quando lo vidi, mi compiacqui di appurare due cose: la prima, era che la mia amica aveva come sempre un gusto impeccabile in quanto a uomini. La seconda era che, ringraziando il signore, non ci erano mai piaciuti gli stressi ragazzi.
King Kong era il tipico ragazzo abbastanza pompato, ghigno marpione stampato in faccia, fisico da urlo e sguardo ammiccante.
-Mi farei aprire in due come un avocado-
Se c’era una cosa che amavo di Beatriz era che non aveva filtri. Diceva sempre tutto ciò che le passava per la testa, senza il minimo pudore.
Alle volte era anche molto maleducata, cosa che mi urtava parecchio.
Altre volte, dava libero sfogo ai suoi pensieri in modo molto naturale, tanto da non fregarsi minimamente di estendere le sue considerazioni a terzi.
Il barista ci lanció uno sguardo mellifluo, sogghignando per la perla che aveva appena partorito Beatriz.
-Dannazione B! Lo sai che mi imbarazza quando la gente ci fissa-
-Oh piantala, siamo in vacanza. Dichiaro ufficialmente aperta la caccia-
Traccanó il suo drink con la stessa velocità con cui avevo silurato il ragazzo sul pontile, si sistemò il costume facendo guizzare in bella vista i piccoli seni e si incamminò impettita verso la sua preda.
Scossi la testa trattenendo una risata per l’incontinenza sessuale che aveva quella matta.
Non che non la capissi, l’ultimo anno era stato carente per entrambe in quanto a relazioni. Ci eravamo concentrate sugli ultimi esami del master, equilibrando lo studio con uno stage profumatamente retribuito presso SkyUSA.
Il carico di lavoro e lo stress da prestazione pre-esami che avevo accumulato negli ultimi mesi si era nettamente imposto come priorità nella mia vita, schiacciando e reprimendo totalmente la mia voglia di passare nottate infuocate con qualsiasi uomo.
Non negavo affatto che l’idea di svagarmi e conoscere bei ragazzi mi stuzzicava parecchio, quello su cui avevo da ridire erano le modalità.
Ero sempre stata selettiva in fatto di uomini. Detestavo essere accalappiata come una qualunque a cui si leggeva in faccia la voglia di fare sesso occasionale. Io un uomo lo volevo conoscere e capire almeno uno spicchio della sua personalità, prima di andarci a letto.


Rovistai tra la borsa in cerca di una nuova sigaretta e sbuffai quando trovai il pacchetto vuoto.
-Ti va uno scambio equo? Ti offro una sigaretta e tu mi presti l’accendino-
Una calda voce alle mie spalle mi fece voltare all’istante.
Com’è che diceva B? Santa Caterina… !
Un ragazzo dalla pelle color cioccolato e gli occhi scuri mi tese una Marlboro.
Sulle labbra gli affiorava un sorriso talmente amichevole che accettai farfugliando un “grazie”.
Mi accesi la sigaretta e gli porsi l’accendino subito dopo.
-Allora, prima volta sull’MC?-
Non capì se fosse per la sua spropositata figaggine o se quel dannato Caipiroska mi stesse facendo effetto, ma impiegai qualche instante per capire la sua domanda.
-Primissima. Sono in viaggio con la mia migliore amica. E per te?”
-Terza-
Oh no… un predatore ?
-Ma sta iniziando a starmi stretta. Una volta mi è bastata. Sono stato praticamente costretto dal mio coinquilino-
Oh si! Un povero Cristiano trascinato nella bolgia tanto quanto me.
-Ne so qualcosa- mormorai sperando che perlomeno Beatriz si stesse divertendo.
-Bhe, brindiamo ai poveri stolti trascinati dall’Egoismo dei loro amici- disse alzando il suo mojito e scrutandomi negli occhi.
Ridacchiai prima di far tintinnare il mio cocktail contro il suo.
-Sono Kimberly-
-Nate-
Lo vidi intento a proseguire là conversazioni ma la voce stridula di Beatriz lo precedette.
-Kim! Lui è Chase Fitzgerald, campione internazionale di MMA, due volte medaglia argento, viene dal Missouri, 25 anni-
Guardai stralunata la mia amica che stava presentando quel ragazzo come se fosse in atto una sentenza giudiziaria e gli sorrisi.
-Kim- dissi porgendogli la mano.
Chase si leccó le labbra prima di afferrarla e baciarla in modo sensuale, mormorando il suo nome.
Bella scelta B…. Viscido di prima categoria.
-Aspettate, voi due vi conoscete?- si intromise Nate.
-Nate, l’amica egoista a cui abbiamo brindato. Amica egoista, Nate- rispondi presentandogli teatralmente.
-Chase è il coinquilino di cui ti parlavo. Direi che questa è più di una coincidenza.- ridacchiò Nate tirando una pacca sulla spalla al compagno.
-Stasera cosa fate bellezze?- domandó Chase guardandoci con desidero.
Feci per rispondergli ma mi mise un dito sulle labbra.
-Rispondo io. Siete invitate alla festa della Cabina Gamma, sesto piano, scala C-
Fissai Beatriz e -ovviamente- la vidi annuire energicamente.
-Qualche informazione in più?- chiesi timidamente.
Quel Chase non mi piaceva affatto. Volevo almeno sapere a cosa andavamo incontro.
-È una festa pazzesca, fiumi di alchol e musica che spacca. Non potete non venire-
Il nuovo flirt di B mi ammiccò in modo lascivo.
-Ci saremo!- squittì Beatriz.
-Sta’ tranquilla Kim, la cabina gamma è la nostra. È una festa che diamo tutti gli anni per conoscere meglio i nostri compagni di viaggio. Sarebbe bello se venissi, ti divertiresti-
Le parole di Nate mi fecero quasi tenerezza. Cercava di tranquillizzarmi come se fossi una scolaretta alle prime armi.
Ero una veterana di quel tipo di feste, le mie esperienze le avevo fatte, belle e brutte. Semplicemente conoscevo quegli ambienti, e a dirla tutta mi annoiava non poco conversare con chi era strafatto di qualsiasi droga possibile.
Ma il caldo sorriso con cui mi aveva cercato di convincermi mi smosse un’improvvisa voglia di buttarmi e conoscerlo.
-A che ora è?- 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La Cabina Gamma ***


CAPITOLO 3: “La cabina Gamma”

-Vecchia lupa di mare!-
Beatriz mi seguì nella nostra cabina con un sorriso a trentadue denti.
-Nate è un Figo paura. Sono fiera di te! Come ti ha agganciata?-
Alzai le spalle e le indicai il pacchetto di sigarette vuoto.
-Pure galantuomo! 100 punti a te Keke-
Mimai un finto inchino e mi buttai sul letto, stravolta dalla giornata e inebriata dalla vodka alla fragola.
-Cosa ne pensi di Chase?- mi chiese infine Beatriz.
Odiavo essere così diretta…
-È’ un viscido colossale B-
Ma ero fatta così. Se c’era da dire qualcosa la dicevo senza peli sulla lingua.
Lei mise il broncio e mi fece una linguaccia.
-Mi sa del tipico tizio che si farebbe anche un palo della luce. Superficiale e allupato- sentenziai.
-Sei una giudicona. Dagli una chance, bacia come un Dio greco. Mi ha offerto un Mojito e mi conficcato la lingua in bocca, intraprendete come piacciono a me.
Un fremito di disgusto mi sfioró lo stomaco.
-Grazie dei dettagli B, ora vivrò meglio-
La vidi ridacchiare, sapeva perfettamente quanto mal giudicavo queste bambinate.
-Secondo me uscirà il suo lato profondo-
-Oh certo, io l’ho già intravisto quando ci ha urlato dietro di vestirci da zoccole per la festa di stasera-
Scoppiammo a ridere entrambe. Adoravo come Beatriz sapesse fare dell’autoironia, era la persona meno permalosa sulla faccia della terra.
-Tu lo sai vero, che seguiremo il consiglio?-
-Seguiremo?-
-Kimberly Clark. Hai 24 dannati anni e sei in vacanza. Io ti proibisco di vestirti da brava ragazza a costo di buttarti i tuoi cenci giù dall’oblò-
Risi di gusto per la fermezza con cui aveva sentenziato quella condanna e mi avviai verso il bagno per farmi una doccia.
Le cabine della MobyCampell erano spaziose e lussureggianti. Dopotutto era una crociera a 5 stelle, il lusso trasudava da ogni piastrella.
Condividevano un letto matrimoniale, nella cabina 51 al quarto piano.
Il bagno era dotato di una doccia e una vasca idromassaggio, immacolato come un pezzo di paradiso.
Non avevo mai litigato seriamente con Beatriz fino a quando lei non aveva comprato il mio biglietto, rifiutandosi categoricamente di risarcirla.
“È il tuo regalo di compleanno. Consideralo un piccolo aiuto per rispolverare quella catacomba che sei diventata” aveva detto.

Osservai la mia immagine allo specchio e mi compiacqui del mio aspetto: le poche ore di sole avevano fruttato un bel colorito sulle guance che risaltava l’azzurro dei miei occhi.
Quelle dannate occhiaie invece si potevano sistemare solo con il bene primario assoluto, alleato delle donne in crisi, soccorritore di ragazze esauste: il correttore.
Mi truccai nel modo più accattivante possibile, in modo da non destare lamentele dalla mia petulante amica e iniziai a frugare in valigia per scegliere un outfit consono.
Mi immaginavo già la comodità di un vestito a fiori abbinato con un paio di converse quando mi assalì il panico.
-Beatriz cosa cazzo hai fatto?- urlai allarmata.
Vidi la mia rossa amica ridacchiare prima di darmi una pacca sulla spalla.
-Mi ringrazierai-
Passai in rassegna ogni indumento contenuto in quella che doveva essere la MIA valigia e mi misi le mani tra i capelli.
Beatriz aveva fatto piazza pulita di tutti i miei vestiti, rimpiazzandoli con un guardaroba che avrebbe fatto invidia alle escort di Amsterdam.
Tubini attillati, top di pizzo, biancheria sexy e tacchi.
-Cosa diavolo dovrebbe coprire questo coso?- strillai alzando un top di raso rosso piccolo quanto un guanto.
-Ho pensato di aggiungere un po’ di pepe al tuo guardaroba. Sarai una bomba, fidati di me- mi rispose raggiante.
-Dannazione B! Dovevi per forza cambiarmi tutta la valigia? Se vado a bere un caffè così mi struprano- protestai.
-Smettila di lagnarti, ho tenuto qualcuno dei tuoi straccetti. Tasca destra-
Ah, misericordiosa.
-Io ti uccido-
-Siamo ai Caraibi Keke. E precisamente siamo sulla MobyCampell. Cavolo, goditela!-
Mi sorrise maliziosa prima di afferrare un calice e versare un liquido ambrato dentro.
-Tieni- disse porgendomelo. -Ti aiuterà a rilassarti-

La volevo uccidere.
Beatriz Mcguire aveva categoricamente finito di vivere.
Dannazione.
Guardavo nervosamente la mia immagino allo specchio chiedendomi con che coraggio mi sarei presentata alla festa di stasera conciata così.
Quello non era affatto il mio stile.
Tra tutti i mini indumenti di Beatriz, i più casti erano… no.
Non esisteva quella parola.
I meno succinti, chiamiamoli così.
Avevo optato per una mini-gonna di pelle rosa pericolosamente corta abbinata ad un top nero semplice ma talmente scollato che con la mia terza abbondante sarei stata tranquillamente assunta in un bordello di gran classe.
Sbuffai sonoramente e mi grattai la testa, combattuta.
Fortunatamente quella scalmanata mi aveva risparmiato gli stivaletti borchiati. Forse potevo passare per una semplice allupata in cerca di attenzioni.
Beatriz mi raggiunse per sistemarsi il rossetto rosso fuoco e fischió.
-Accidenti Keke, sei uno schianto!-
-Mi sento una…-
-Strafiga. Questo sei. Ora muoviti, la festa inizia tra quindici minuti-
Uscì dal bagno ancora irritata e feci per mettermi le scarpe quando la sua voce squillante mi fece quasi sobbalzare.
-Pensi davvero di uscire con quei capelli?-
Sbuffai, rivolgendole l’occhiattaccia più nera della storia.
Beatriz spalancò la porta del bagno e mi indicò la retta via.
-Muoviti. Ci penso io-
Forse potevo risparmiarle la vita per qualche altro giorno.
Dovevo ammettere che aveva fatto davvero un bel lavoro.
Mi aveva sistemato i capelli in morbidi boccoli che avevamo lasciato ondeggianti e liberi sulle spalle.
-Pagherei per avere il tuo colore di capelli Keke. Sembra oro colato-
-Disse la ragazza dai boccoli Rossi fuoco. Sei uno schianto e lo sai-
Mi presi qualche istante per radiografarla.
Ero abituata al suo stile “libertino” ma quella sera si era davvero superata.
Un tubino verde smeraldo le risaltava le morbide curve. Poteva permettersi qualsiasi cosa di scollato avendo un seno non prosperoso, ma piccolo e sobrio.
Quella matta si era messa un paio di tacchi a spillo vertiginosi.
Matta ma stupenda, perché quei trampoli le donavano tantissimo con le gambe lunghe che già aveva.
Le assestai una pacca sul sedere gridando “Facciamo vedere a questi mozzi di che pasta sono fatte le ragazze di Manhattan”, stupendo sia me stessa che lei.


-Mi sono documentata- iniziò Beatriz non appena entrammo nell’ascensore che ci avrebbe condotto al sesto piano.
-La cabina Gamma è all’ultimo piano della nave, sai cosa significa? Che è il piano delle suite, e sai cosa significa? Che è una bomba di attico. E noi siamo le tipe dei proprietari!-
-Non siamo le loro tipe. Non li conosciamo nemmeno- ribattei cercando di smontarle il castello che si era costruita.
Volevo un bene immenso a Beatriz ma non eccelleva in quanto a razionalità.
-Stasera ci sbronziamo- ordinò senza considerare di striscio la mia osservazione.
-Su questo concordo. L’ultima cosa che voglio fare è essere sobria mente sostengo una conversazione ad una festa. Almeno le persone mi appaiono meno stupide-
B ridacchiò del mio tagliente umorismo.
-Nate non mi sembra affatto stupido però-
-Nemmeno a me. Ma non ha ancora superato il test- sentenziai guardandola lascivamente.
Ci lasciammo l’ascensore alle spalle e camminammo seguendo le indicazioni che portavano alla Cabina 101, la cabina Gamma.
La musica ovatta trapassava le spesse pareti e luci colorate si infiltravano da sotto la porta per tagliare la pallida luce artificiale del corridoio del sesto piano.
Con un movimento repentino Beatriz estrasse l’iPhone dalla borsetta e fece sfrecciare le unghie laccate di rosso sullo schermo.
-Che fai?-
-Scrivo a Chase che siamo qui-
Tempo due minuti e il sottoscritto spalancò la porta davanti a noi.
-Porca vacca! Siete magnifiche- biascicò il ragazzo dagli occhi verdi venendoci incontro.
Si prese pochi (per me interminabili) secondi per passare in rassegna i nostri outfit e sostò più del dovuto sullo scollo del mio minuscolo top, gesto che mi mise enormemente a disagio.
Poi allacciò un braccio attorno al collo di Beatriz e si incamminò verso la bolgia trascinandosela appresso mentre con la mano libera mi strizzò una chiappa.
Feci un verso strozzato, un misto tra la sorpresa e l’indignazione per la cafonaggine di quel gesto. Stavo per urlargli addosso ma vidi la chioma rossa della mia amica sparire nel frastuono della festa e mi mossi per non perderla.
Come misi un piede dentro la fantomatica cabina Gamma, la musica mi investì come un treno in corsa.
Un aroma dolciastro di Alcool fruttato, sigarette e droga mi pervase le narici.
La cabina aveva un soggiorno stratosferico che era stato trasformato nella pista da ballo, circondato da vetrate trasparenti che davanti sull’oceano. Ci saranno state almeno un’ottantina di persone lì dentro. La gente ballava ammassata, ancheggiando l’uno contro l’altro, fradici per l’alcool versato o il troppo sudore.
Seguì Beatriz e il suo rapitore, spintonando chiunque intralciasse il mio cammino, finchè non li vidi sostare ad un bancone ricoperto di bottiglie di ogni forma e colore.
Vidi il porco agguantare una bottiglia di Gin e sussurrarle qualcosa all’orecchio, dopodiché Beatriz getto la testa indietro e aprì la bocca mentre lui le versava l’alcool direttamente giù per la gola.
Feci per andare da lei ma Chase non perse nemmeno un minuto e la attirò a se prendendola per i fianchi e baciandola intensamente.
Sbuffai.
Non le avrei mai rovinato il momento.
Mi diressi allo stesso bancone dove pochi metri più in la la mia migliore amica si stava limonando quel disgraziato e arraffai la prima cosa che mi capitò in mano.
Mezza bottiglia e quattro sigarette dopo mi ritrovai in pista a ballare freneticamente sulle note di “Turn me On”.
Sentivo la testa leggera e non smettevo di sorridere. Erano mesi che non toccavo una goccia d’alcol e forse non era stato troppo geniale traccanarmi mezza bottiglia di Rhum e cola.
Un gruppetto di tre ragazze mi aveva affiancata dopo pochi minuti che mi ero buttata nella mischia, avevo apprezzato tantissimo il gesto, sopratutto dopo l’ennesimo allupato che aveva cercato di appoggiarmelo mentre ballavo.
Mi avevano detto i loro nomi ma sinceramente non me ne ricordavo mezzo.
Erano tutte bellissime e ballavano come delle pazze scatenate.
Il pensiero di essere praticamente mezza nuda mi aveva abbandonata al quinto sorso.
Non me ne fregava un cavolo. Qui tutti erano spensierati.
Mi calai altri tre shot di vodka liscia con le mie nuove amiche e a quel punto pensai davvero di star toccando il limite perché una volta in pista, un tipo ben piazzato mi si incollò addosso, ignorando il mio severissimo dito alla “nono”, così una di loro (mi pare si chiamasse Melanie) mi prese e cominciò a baciarmi.
Stetti al gioco, sapendo che quell’escamotage era stato creato da qualche donna primordiale per dissuadere le creature maschili dal compiere gesti peccaminosi.
Funzionò, perché il ragazzo alzò i tacchi, arraffando una bionda ossigenata alle nostre spalle.
Risi di gusto, ancheggiando a ritmo di musica ad un palmo dalla mia salvatrice quando d’un tratto venni presa per un braccio.
Beatriz mi strappò dalle braccia della povera Melanie e si piazzò davanti a me con le mani sui fianchi.
-Dove cazzo eri-
-Dove cazzo eri tu- urlai per sovrastare la musica.
-Prima con Chase e poi ti ho cercata per mezz’ora. Sei ubriaca?-
Le rivolsi un sorriso a trentadue denti per poi prenderla per i fianchi e cominciare a ballarle addosso.
Vidi il suo viso rilassarsi e gli angoli della bocca sollevarsi in un sorrisino che interpretai come puro orgoglio.
Ci buttammo in mezzo alla calca di gente che ballava al centro dell’attico, ubriache e felici.
Ballare con la mia migliore amica era da sempre una delle cose che amavo di più in assoluto.
Quando misero “17”, strillammo come impazzite e cominciammo a ballare come delle dannate, con l’alcool che ci scorreva nelle vene e il ritmo che ci possedeva.
Dovevamo apparire tremendamente sexy o paurosamente ridicole perchè sentivo gli occhi di mezza sala addosso.
Una presenza alle mie spalle mi bloccò di colpo e lanciai uno sguardo esasperato alla rossa davanti a me, notando con irritazione che anche lei era stata braccata da un complice che le aveva agguantato il bacino.
La presi per un braccio e cercai di spostarla ma l’energumeno alle mie spalle non sembrava intenzionato a mollarmi.
Mi voltai di scatto, ritrovandomelo faccia a faccia.
-Levati- gli intimai con la voce impostata dall’alcool.
-Sei uno schianto di donna- mi sussurrò cercando di avvicinarsi al mio viso.
Gli piazzai i palmi delle mani sul petto bagnato di sudore per allontanarlo da me ma lui mi aveva incollato le sue sul bacino, facendo resistenza al mio patetico tentativo di scacciarlo.
Guardai Beatriz con la coda nell’occhio e la vidi nella mia stessa situazione.
Che palle!
-Lasciami!- strillai per sovrastare la musica e guarda caso ottenni di nuovo l’effetto opposto perché mister-non-mollo-un cazzo mi afferrò un polso e mi strattonò per attirarmi più vicino a lui.
Cercò le mie labbra e io mi divincolai dalla presa. Provai ad assestargli uno schiaffo in faccia ma fui lenta, annebbiata dall’alcool, e  mi bloccò l’altro polso prima che la mia mano fresca di manicure potesse sfiorarlo.
Ero proprio in trappola.

-Levale le mani di dosso-
La musica era altissima eppure quell’ordine mi arrivò chiaro e tondo.
Quella voce era calda ma minacciosa, avrebbe intimorito chiunque.
Chiunque tranne il mio rapitore, che a quanto pare non sembrò scomporsi minimamente.
Cercai di svincolarmi da quella presa ferrea ma i miei arti erano inebriati dal troppo alcool e chissà perché sentivo le gambe incapaci di agire.
-Sei sordo? Mollala o ti spacco la faccia. Adesso-
Intercettai il punto da cui proveniva quella voce e alzando lo sguardo i battiti del cuore accelerarono impercettibilmente.
Un ragazzo dalla pelle abbronzata e i crini biondo cenere fronteggiò il bestione che mi teneva con forza.
Fissai stordita il suo penetrante sguardo e notai come quegli occhi, che dovevano essere stati creati da una qualche sfumatura dell’oceano caraibico che avevo visto oggi, erano freddi e calmi mente incendiava con lo sguardo l’altro uomo.
Mister non-mollo mi lasciò il polso, consapevole che forse non valevo la sofferenza di un occhio nero.
Mi tastai l’arto dolorante e cercai con lo sguardo il mio Salvatore.
A un tratto mi sentì presa per la vita e venni trascinata fuori dall’ammasso di persone che ignare di tutto stavano ancora ballando come se non ci fosse un domani.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Trevor ***


CAPITOLO 4: “Trevor”

-Stai bene?-
Ci misi qualche secondo più del solito a rispondere ad una domanda di per se così banale. Forse perché l’uomo che me l’aveva posta era uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto.
Scrutai con ostentata calma i suoi lineamenti: dalla mascella scolpita, alle labbra serrate. Dagli occhi glaciali, allo sguardo severo ma apprensivo che aveva mentre aspettava una risposta.
Notai ogni particolare in quei secondi che mi parvero infiniti: dall’orecchino dorato che aveva sull’orecchio destro, alla catenina placcata che scendeva fino a sfiorargli i pettorali lisci e nudi, coperti solo da una camicia bianca slacciata.
Non sappi dire se fosse per via della mente annebbiata dall’alcol, ma il suo viso mi parve stranamente famigliare.
Non era uno sguardo sconosciuto quello che mi stava fissando con due occhi color del ghiaccio imperturbabili.
-Sto bene. E grazie per avermelo levato di dosso, era davvero insistente- rispondi con sincera gratitudine.
-Si bhe, penso che se una ragazza si veste in un certo modo si debba aspettare quel particolare tipo di attenzione- snocciolò lui con una punta di venata critica porgendomi un bicchiere d’acqua.
-Bevi- aggiunse. -Sei ubriaca-
Il suo sguardo sereno e tranquillo eseguì una rapida radiografia del mio corpo per poi tornare ad incatenarmi gli occhi.
Fermi tutti.
Sbaglio o mi aveva detto che essendo vestita in modo succinto significata che la mia volontà era quella di farmi stuprare in mezzo alla pista?
-Una ragazza può anche andare in giro vestita come le pare e piace, ciò non implica che voglia attirare le attenzioni di voi maschi e i vostri comportamenti da tredicenni arrapati- risposi a tono incrociando le braccia.
-Se non volevi essere abbordata da nessuno stasera, potevi evitare di metterti così in mostra. Tutto qui. E adesso bevi-
Ma chi diavolo si credeva di essere per poter pensare di sputare sentenze e darmi ordini?
-Io mi vesto come cazzo mi pare. Non siamo noi donne a doverci coprire ma voi uomini ad imparare a tenerlo nei pantaloni. E quel bicchiere ficcatelo nel culo-
Okay. Ammetto che avrei potuto risparmiarmi l’ultima frecciata, ma l’adrenalina che l’alcool alimentava era incontenibile e mi faceva sentire cento volte più disinvolta.
Lo vidi ghignare nel modo più sexy che abbia mai visto fare e ciò, oltre a provocarmi una dannata voglia di saltargli addosso, mi fece irritare ancora di più.
Alzai i tacchi e feci per andarmene ma lui mi cinse la vita e mi attirò a sé, premendo il suo corpo contro la mia schiena.
-Dico solo che sei una bellissima ragazza Kimberly. Ci sarà sempre qualcuno che ci proverà senza buone intenzioni. Sta’ attenta-
Mi sussurrò tutto ciò ad un centimetro dal mio collo, provocandomi un brivido.
Quando sentì la sua presenza allontanarsi mi voltai di scatto e guardai la pista allarmata.
Beatriz! Merda!
Quello stupido battibecco con mister simpatia mi aveva totalmente fatto dimenticare il fatto che la mia migliore amica fosse tra le grinfie di un predatore pochi minuti fa.
E io l’avevo lasciata da sola!
Cercai disperatamente una chioma rossa tra la folla e mi agitai quando non la vidi.
Pochi passi dopo sbattei contro una petto più che muscoloso.
-Guarda dove vai- ringhiai al malcapitato che mi aveva quasi investita.
-Kim?-
Alzai gli occhi sentendo pronunciare il mio nome e fui sollevata nel vedere il viso amichevole di Nate che mi sorrideva.
-Nate! Grazie a Dio. Hai visto Beatriz?- chiesi trafelata.
-È ai divanetti con Chase, anche lei non ti trovava e ha mandato me a cercarti. Stai bene?-
Rilassai il viso e sospirai nel saperla al sicuro.
Sapevo di essere paranoica ma le mie ansie non erano affatto infondate.
-Sto bene grazie e scusa se prima ti ho risposto male. Puoi portarmi da lei? -
Nate annuì e mi porse il suo cocktail, poi mi premette delicatamente la mano sulla schiena per guidarmi.
Quando fummo fuori dalla calca imbizzarrita, mi condusse nell’enorme terrazza al di là delle vetrate.
Al centro troneggiava una piscina limpida e ad accerchiarla piccoli divanetti neri a gruppi di tre.
Avevo smesso di stupirmi del lusso di questa nave quando avevo visto una sala ristorante solo per i cani dei passeggeri.
Intercettai la chioma focosa di Beatriz e la osservai mentre gettava indietro i folti ricci aprendosi in una risata fragorosa, evidentemente divertita da qualcosa che Chase le aveva detto.
Osservai anche i tre bicchieri da cocktail vuoti sopra il tavolino ai suoi piedi e mi annotai mentalmente di tenerla d’occhio.
Nate Mi porse una sigaretta che accettai con gratitudine e dopo aver tirato una profonda boccata di fumo mi scrutò.
-Ho visto che stavi parlando con Trevor prima-
Trevor?
Cazzo, Trevor. Il ragazzo a cui avevo sbottato addosso poco fa.
Lo stesso ragazzo che mi aveva chiamata per nome.
Ma io il mio nome non glielo avevo mai detto.
-Mi ha dato una mano in una situazione complicata- risposi stringendomi nelle spalle. -Che tipo è?- azzardai, ammettendo a me stessa che quel ragazzo mi aveva stillato una scintilla di curiosità dentro.
-È un tipo particolare. Di poche parole, sta sempre sulle sue e si fa molto i cazzi suoi- iniziò Nate incamminandosi verso la balaustra.
-Sembra piuttosto arrogante- aggiunsi per poi fare un sorso di quello che classificai come un quattro bianchi.
Il liquido mi scese in gola bruciandomi la trachea.
-Tra le tante cose- ridacchiò lui.
-E come lo conosci?-
-Compagni di college-
Annuì, non sapendo cosa dire.
-Come mai tutto questo interesse per Trevor?- chiese Nate voltandosi a guardarmi negli occhi.
Mi parve di percepire una nota di fastidio nel modo in cui mi aveva posto quel quesito.
-Pura curiosità- dissi più a me stessa che a lui.
Lo vidi sospirare e farsi più vicino al mio viso.
La luna brillante era alta in cielo e gli illuminava quel suo bellissimo viso. I suoi occhi grandi color cioccolato mi sondavano l’anima.
-Sei stupenda stasera-
Quel complimento inaspettato mi fece imporporare le guance.
Balbettai qualcosa di incomprensibile che assomigliò più ad un grugnito che ad altro e osservai incantata il suo corpo farsi sempre più vicino.
Mi cinse delicatamente la vita e annullò la distanza tra noi.
Santa Carolina!
Mi sfiorò le labbra e studiò la mia reazione.
Non persi tempo per fargli capire che non aveva bisogno del mio consenso e gli venni incontro, premendo la bocca contro la sua.
Schiusi le labbra e gli diedi libero accesso alla mia lingua.
Il ragazzo non si dimostrò affatto timido perché aumentò la pressione sulla mia vita e mi strinse a sè.
Quel contatto mi accesse tanto quanto lui.
Gli allacciai le braccia al collo e gemetti quando si staccò dalle mie labbra per scendere a inumidirmi la pelle del collo.
Punto uno: Nate baciava in un modo che mi faceva venire voglia di strappargli i vestiti di dosso all’istante.
Punto due: sentivo gli occhi dei presenti sulla terrazza addosso e non me ne importava un fico secco.
-Saliamo- mi sussuró a fior di labbra.
Stavo per rispondere una cosa del tipo “Prendimi e fai di me ciò che vuoi” quando riconobbi la voce di Beatriz alle mie spalle.
-Keke! Nate!-
Mezzo secondo dopo stavo soffocando in una massa informe di ricci color del fuoco puro.
-Dove sei stata? Stasera non vuoi proprio stare con me… ti ho vista intrappolata tra le sudice mani di quell’alluppato e ho pensato il peggio-
Beatriz mi strinse tra le sue braccia e riconobbi il forte aroma di Vodka nel suo alito.
Era ubriaca marcia.
-Sto bene B, anche io ero preoccupata per te, ti stai divertendo?- chiesi accarezzandola e facendo pressione per svincolarmi da quella presa soffocante.
-Sorella guardami. Sono al quarto Vodka Sour e ho fatto zozzerie su quel divanetto. Certo che mi diverto-
Guardai inorridita l’oggetto in questione e saettai lo sguardo da lei a quel coso un paio di volte, intenta a scacciare l’immagine di Chase spalmato su di lei.
Nate ridacchiò e l’espressione spazientita che era apparsa sul suo viso quando Beatriz ci aveva interrotto sfumò all’istante.
-Gente!- gridò una voce alle nostre spalle.
Chase ci raggiunse in poche falcate e schioccó le dita per avere la nostra attenzione.
-Mi ha telefonato il capo della sicurezza, avvisandomi che tra una buona mezz’ora attraverseremo una zona fortemente colpita dall’Hurricane-
Fantastico. La più violenta tempesta tropicale dei Caraibi.
-Non ho capito un cazzo delle disposizione che prenderanno loro, mi ricordo solo che per i passeggeri è vietato fare qualcosa-
Impallidì.
-Fare qualcosa tipo cosa Chase?- lo incitai spazientita.
-Cavolo dolcezza, rilassati. Siamo alla festa, qualsiasi cosa sia proibita non c’è pericolo che venga fatta. Tieni-
Mi porse un cocktail rosa che odorava di caramelle superdolciastre.
Guardai allucinata i miei compagni. Nate era perplesso, indeciso se scomodarsi per capire più a fondo la gravità della cosa, Beatriz scuoteva la testa a ritmo di musica cercando di restare seria, per poi scoppiare a ridere da sola.
Nate mi sfiorò il braccio e cercò il mio sguardo.
-Tranquilla Kim, la MobyCampell è veterana di mille traversate, non è mai successo nulla. È una nave gigantesca, il massimo che possiamo sentire è un fortissimo vento- disse pacato cercando di infondermi sicurezza.
Annuì, cercando di non razionalizzare troppo quelle informazioni.
-Fitz, sbaracchiamo la terrazza e diciamo a tutti di entrare- ordinò poi a Chase con tono serio.
Presi le distanze dal gruppo dei miei amici e mi affacciai alla balaustra della terrazza. Scrutai l’orizzonte e captai una flebile luce che si librava a ciel sereno.
Fulmini?
La brezza tranquilla della serata cominciò a cambiare impercettibilmente, facendosi più forte.
Una brutta sensazione mi si annidò sulla Bocca dello stomaco ma la affogai traccanando l’ennesimo drink.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Tempesta ***


CAPITOLO 5: “Tempesta”

Erano circa le tre di notte quando i padroni della suite cacciarono tutti gli invitati.
La cabina era un vero casino ma Nate mi assicurò che una squadra di pulizie sarebbe venuta l’indomani mattina.
Restammo noi quattro per po’ di tempo, giocammo a stupidi giochi alcolici come obbligo e verità o “io non ho mai”, occasione perfetta per conoscersi meglio, limonare senza pretese e bere ancora più alcool di quanto già non ne avessimo in corpo.
Ad un certo punto vidi Chase sussurrare qualcosa all’orecchio di Beatriz dopodiché i due si alzarono farfugliando di voler contemplare il cielo stellato.
Bella cazzata.
Restai sola con Nate, accoccolata al suo petto sul morbido divano che troneggiava al centro del salotto.
Alternavamo baci di infinita dolcezza ad appassionanti giochi di lingua che mi accendevano un desiderio incontenibile dentro.
Apprezzai tantissimo il fatto che si premurò di passare la metà del tempo a parlare del più e del meno, delle nostre vite, del futuro, senza forzare o far trapelare il fatto che probabilmente le sue intenzioni fossero tutt’altro che caste.
Chiacchierammo tra un bacio e l’altro, ridendo per ogni minima cazzata che usciva dai nostri cervelli annebbiati dall’alcool finche un bacio durato più del solito smosse particolarmente il mio compagno di nottata.
Fuori il vento sferzava l’atmosfera violentemente, percuotendo le vetrate della cabina.
La nave aveva preso ad oscillare più del dovuto, ma ero troppo ubriaca per contestare quest’ultima novità.
Nate mi leccò avidamente il collo e mi posò una mano sul seno. Scese ad accarezzarmi tutta la linea del corpo finché arrivato all’altezza del ginocchio, risalì con la mano sulla coscia, toccandomi con una lentezza devastante.
Quando, infilatosi sotto la gonna, raggiunse l’orlo delle mutandine, mugolai contro la sua bocca, approvando l’iniziativa.
Si, lo conoscevo da meno di ventiquattro ore, e si, non lo conoscevo abbastanza da poter negare il fatto che poteva rivelarsi un pazzo assassino, ma cavolo, era il perfetto sconosciuto più attraente che avessi mai incontrato. Era stato gentile con me, aveva dei saldi principi di vita e amava i gatti.
Cento punti solo per quello.
Mi trametteva un senso di sicurezza, motivo per cui mi sarei concessa a lui senza pensarci due volte.
Mi ero ripromessa più volte che avrei cercato di lasciarmi andare di più e cogliere gli attimi imprevedibili che mi offriva la vita.
Ero chiusa in me stessa come un riccio da troppo tempo.
Continuai a baciarlo appassionatamente mentre i suoi sospiri ansanti mi riempivano la bocca.
Non so che divinità mi misi contro quella sera, ma doveva essere abbastanza accanita perché il cellulare prese a squillarmi in modo insistente proprio in quell’istante.
-Porca troia- imprecò Nate spazientito.
Farfugliai uno “scusa” e vedendo il nome di Beatriz sullo schermo, accettai la chiamata.
-B, che cazzo-
-Keke! Dove sei? Devi venire fuori. Chase non si regge in piedi, è praticamente svenuto. Mi gira la testa e non capisco un cazzo-
Mi tirai su a sedere di scatto.
-Beatriz dove sei?- chiesi alzando la voce.
-Non lo so cazzo! Vedo delle scialuppe, Chase si è infilato dentro-
Sentì la voce di un uomo di sottofondo che urlava il nome di Beatriz in modo totalmente sconnesso.
La mia amica rise di gusto e poi imprecò. Come se non fosse abbastanza razionale da capire cosa stesse accadendo ma si sentisse troppo in colpa per non restare seria.
Lo faceva sempre quando beveva.
-Va bene, sta’calma ora arriviamo. Mandami la posizione su Whatsapp- ordinai con venata calma mentre dentro di me si stava facendo spazio l’ansia.
Attaccai e guardai con premura il bel viso sconsolato di Nate.
-Beatriz ha bisogno di me. Dice che Chase è talmente ubriaco da non reggersi in piedi e non riuscirà mai a riportarlo qui da sola-
-Dove sono?-
-Mi ha detto qualcosa riguardo a delle scialuppe dove si è infilato Chase, all’aperto-
-Impossibile si riferiscano alle vere scialuppe di salvataggio. Sono stipate al -3 e l’accesso è consentito solo in caso di emergenza-
Sbuffai sconsolata, consapevole che Beatriz quando c’era di mezzo l’alcool era meno affidabile di un poppante.
Cinque minuti più tardi eravamo in ascensore e il mio nervosismo stava raggiungendo le stelle.
Nate mi aveva spiegato che le scialuppe a cui si riferiva Beatriz potevano essere le barchette sistemate sui bordi delle balaustre al pontile centrale, fungevano da divanetti sospesi, erano una sorta di decorazione che i turisti amavano per farsi un paio di rapide foto.
Pericolose e inutili.
Non parlammo finche raggiugnemmo l’uscita diretta al pontile centrale. Spalancai la porta e una raffica di vento mi schiaffeggiò violentemente il viso.
Il mare era un’impetuosa massa scura che si agitava sotto la maestosa nave, solcata da raffiche di vento bollenti.
-Dividiamoci- ordinai. -Controlla le sei scialuppe sul lato destro, io vado a sinistra-
Nate annuì e lo vidi allontanarsi in tutta fretta verso la parte opposta della mia rotta.
Sospirai, e passai in rassegna le scialuppe giocatolo, pregando di trovare la mia sconsiderata amica accanto.
Le barche erano state coperte con dei teli, per non far bagnare i cuscinoni turchesi dentro.
Il mio sguardo captó una nube di fumo che sgusciava fiocamente da sotto la terza scialuppa e mi precipitai trafelata.
Gridai il nome di Beatriz, infilandomi sotto il telo che la coperchiava.
Quelle divinità dovevano odiarmi stasera.
Al posto della mia bellissima amica trovai due occhi occhi glaciali ad osservarmi con una calma sovrannaturale.
Trevor tiró una profonda boccata da quello che classificai come uno Spinello e mi sorrise.
Un sorriso accattivante, malizioso.
-Giusto in tempo per gli ultimi tiri- dichiarò porgendomela.
-E tu cosa diavolo ci fai qui?- domandai esterrefatta per averlo trovato a fumare in una scialuppa giocattolo alle quattro del mattino, nel bel mezzo di una tempesta tropicale.
-Ci deve essere un motivo per cercare un po’ di pace in questa bolgia? L’alba ai Caraibi è una delle cose più belle che abbia mai visto.-
Stavo per replicare qualcosa di poco carino quando mi vibró il cellulare e il nome di Nate comparve sulla schermata.
“Trovati, ti raggiungiamo, dove sei?”
Mi rilassai, grata che stessero bene e invia la posizione live a Nate, in modo che potesse vedere i miei spostamenti.
-Resta. Non scherzo quando dico che è un’esperienza unica-
Lo osservai guardinga, scrutando i bei lineamenti del volto e i pettorali definiti che spiccavano dalla camicia malamente slacciata.
-C’è una tempesta tropicale in corso che non può che peggiorare. Il vento è violento, non è prudente stare qui. Vieni dentro-
Trevor rise, una risata rauca e tremendamente sexy, che ovviamente mi irritò all’istante.
-Cazzi tuoi- sentenziai intenta a lasciarlo al suo destino.
-Non vuoi sapere perché conosco il tuo nome?-
Mi bloccai ancora prima di sgusciare fuori dal telo che copriva la piccola barchetta.
Cazzo, il bastardo è bravo.
Sapevo di averlo già visto da qualche parte e la curiosità mi stava divorando.
-Giochi sporco-
-E tu sei in vacanza. Non credi che potresti zittire la piccola maestrina che è in te almeno per qualche ora e lasciarti andare? Tieni-
Mi porse nuovamente la canna che si consumava lentamente, protetta dal vento impetuoso.
-Ti sveleró tutto. Questione di pochi minuti, poi raggiungeremo gli altri-
Non seppi nemmeno io perché accettai, afferrando quella sigaretta intrinseca di peccato firmai quella che sarebbe stata la mia condanna.
Sgattaiolai dentro la barchetta coperta, sistemandomi accanto a lui.
Il mio cervello mi intimava di battere in ritirata: non era da me dare così tanta confidenza a gente estranea, men che meno fumarci insieme.
Ma il mio istinto, quella piccola parte che riuscivo (quasi) sempre a tenere sotto controllo, parlò, anzi urlò di accettare l’invito di Trevor, che era per me quella piccola dose di adrenalina che a lungo avevo tenuto lontano.
Trevor mi trasmetteva trasgressione e mistero.
Due elementi che in me erano sempre stati dormienti.
Riparata dal vento, tirai una boccata dall’oggetto proibito e mi rilassa all’istante.
-Parla- gli intimai guardandolo negli occhi.
Trevor ghignó, le fessure dei suoi azzurrissimi occhi erano ridotte per via della droga in circolo, eppure bastarono pochi secondi per farmici perdere dentro.
La sua essenza beffarda e strafottente mi rapiva completamente. Era il ragazzo più indecifrabile e misterioso che avessi mai conosciuto e se da un lato detestavo non comprendere una persona a primo impatto, dall’altra parte questa cosa mi intrigava da morire.
Si avvicinò al mio viso tanto da sfiorarmi il naso, mi guardó con uno sguardo affamato e poi sporse il viso verso la mia mano.
Fece un lungo e profondo tiro dalla canna che tenevo tra le dita, dopodiché mi prese il viso tra le mani e attaccò le sua bocca alla mia, sfiorandomi le labbra.
Espirò, passandomi il fumo passivo dalla sua bocca, ed io inspirai, estasiata da quel gesto che mi provocò un brivido al basso ventre.
Diamine.
-Tocca a te-
-Hai promesso di dirmi come conosci il mio nome-
-Lo faró. Dopo che tu esaudirai la mia di richiesta. La vita è fatta di compromessi- mi sussurrò all’orecchio.
Il suo sguardo di sfida mi accese dentro un’inspiegabile voglia di dimostrare che punto uno, non ero una frigida bacchettona, punto due, sapevo divertirmi anche io.
Tirai una boccata di fumo e gli premetti la mano dietro la nuca per avvicinarlo alle mie labbra.
Gli soffiai il fumo sulla bocca mentre a pochi centimetri dal mio viso due blocchi d’argento fuso mi osservavano.
Successe tutto d’un tratto.
Trevor non stette fermo come avrebbe dovuto.
Mi permette le labbra contro la bocca con prepotenza. Mi bació senza darmi nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo, o di essere totalmente consapevole dell’atto.
Non mi ritrassi.
Perché cavolo non mi ritrassi?
Schiusi le labbra e gli diedi libero accesso alla mia bocca, estasiata dal modo in cui mi aveva cinto la vita, stupita dall’Audacia con cui mi aveva presa e sistemata sopra di lui in un’unica mossa.
Li, a cavalcioni su di lui, sentì il cuore battermi all’impazzata per l’impetuosità di quel gesto e le farfalle danzarmi nello stomaco.
Mi baciò con irruenza, cominciando un gioco lascivo di lingue che si cercavano, desiderose di possedersi, trasmettendomi tutta l’eccitazione che aveva in corpo.
Quell’eccitazione che era resa esplicita dalla reazione del suo corpo a contatto con il mio.
Mi strinse spasmodicamente i fianchi, ansimando contro la mia bocca.
Percepì in quel contatto l’aroma dolciastro di menta e fumo. Un aroma che mi inebriò più di quanto non avesse già fatto la cannabis.
Si staccò da me pochi secondi dopo, poggiando la fronte sulla mia, col respiro ansante.
Mi leccò il labbro inferiore nel modo più seducente che avessi mai visto fare e mi guardò negli occhi.
Mantenni il contatto visivo e mi resi conto solo in quel momento di star trattenendo il respiro, scalpitante di capire la sua prossima mossa.
Trevor era una visione vietata ai minori di quattordici anni. Dannatamente seducente, accattivante in ogni gesto che compieva.
Persino quando non faceva nulla trasmetteva una carica sessuale dirompente.
Sdraiato in modo scomposto sui cuscini turchesi di quella barchetta, che facevano concorrenza al colore dei suoi occhi, con la camicia sbottonata da cui scalpitava un fisico sovraumano. Notai come il suo petto ansante, rimasto ancora più nudo, era in parte coperto da un tatuaggio tribale che spiccava sulla pelle lievemente abbronzata.
I capelli chiari erano scarmigliati dall’atto passionale appena consumato o forse dal modo in cui glieli avevi stretti presa dal momento.
La mascella scolpita, i lineamenti contratti e gli occhi imperturbabili.
O forse no.
Mi parve di scorgere una scintilla di desiderio in quelle pozze ghiacciate e turbolente, che in quel momento avevano assunto una sfumatura ricordante il colore di una tempesta.
Desiderava me?
Rimasi incantata ad osservare indisturbata l’uomo che mi stava davanti, chiedendomi con che senno avessi acconsentito quel bacio.
Ci avevo parlato pochi secondi e l’avevo classificato come un arrogante maschilista dai principi malsani.
Ma diamine, nessuno mi aveva mai baciata in quel modo.
Nessuno mi aveva mai fatta sentire tanto desiderata come lui in quei pochi secondi che mi aveva stretta a sè.
Mi scrutò intensamente, con lo sguardo di un predatore affamato. Mi parve che anche lui fosse in attesa di una mia mossa.
Cosa si aspettava? Che mi ritraessi o continuassi?
Non mi diede il tempo di prendere una decisione perché mi cinse la vita e mi attiró nuovamente a se, catturandomi la bocca in un bacio diverso, più dolce e passionale.
Santa Carolina!
Sentivo le mie difese sciogliersi e il mio autocontrollo vacillare.
Ad un tratto il rumore di passi frettolosi e sbilenchi sul pontile arrivó alle mie orecchie forte e chiaro.
La cascata di capelli rossi di Beatriz fece capolino sotto il telo che ci nascondeva.
-Keke! O mio dio! E tu chi cazzo sei?-
La mia amica ci guardò confusa e scoppió a ridere subito dopo.
Mi affrettai a scendere dalle sue gambe e mi sistemai in modo impacciato accanto a lui.
-B! Io… ti cercavo… pensavo fossi qui dentro e ho incontrato ..-
-Trevor- finì lui la frase con un cenno del capo.
Beatriz ci squadró per qualche istante prima di aprirsi un un sorisetto che trapelava i maliziosi pensieri galleggianti in quella testolina.
-Posso?- chiese indicando lo spinello caduto a terra di cui mi ero bellamente fregata dal momento in cui Trevor mi aveva toccata.
-Accomodati- le rispose il biondo tranquillamente, per nulla scosso dall’essere stato interrotto da una perfetta sconosciuta.
-Beatriz- farfuglió lei entrando a carponi nella tana improvvisata, accendendosi lo spinello.
-E’ qui la festa?-
La massiccia figura di Chase comparve nella traiettoria, in mano reggeva una bottiglia mezza vuota di Vodka liscia.
I suoi occhi ambrati, offuscati dall’alcool, intercettarono il corpo della mia amica accoccolata sui morbidi cuscini e si aggiunse maldestramente alla comitiva.
-Cazzo fratello, ti tieni le due pollastre tutte per te?-
Feci una smorfia e mi morsi la lingua per non ribattere sul fastidioso epiteto e mi chiesi cosa diavolo stessimo facendo tutti ammassati in quella barca.
-In realtà sono venute loro a rompermi le palle- rispose mister simpatia regalandoci uno dei suoi primi sorrisi sinceramente divertiti.
-Vecchio lupo di mare- scandì il moro traccanando un sorso dalla bottiglia.
-Siete tutti impazziti?- chiesi sconcertata. -Cosa cavolo stiamo facendo qui?-
-Siamo bloccati fuori. L’accesso al pontile è vietato al pubblico dalle 4 alle 6.30 del mattino. Ho provato a forzare la porta ma potrebbe partire l’allarme-
La calda voce di Nate ci raggiunse pochi istanti dopo, rispondendo alla mia domanda sarcastica.
-Come prego?-
Fissai confusa il bel volto del mio compare di bevute, apparso da sotto il telo come i precedenti amici.
La mia espressione doveva apparire furente e sconcertata perché vidi Nate incupirsi.
-Mancano due ore Principessa, rilassati e bevi. Troveremo il modo di divertirci. Nataniel! Entra nella barca delle meraviglie- ordinò Chase con la voce impastata dall’alcool.
Sobbalzai, udendo il rumore dei tuoi in lontananza.
Il ticchettio della pioggia tropicale spezzó il silenzio.
-Accetto l’invito solo perché diluvia-
Il quinto componente si aggiunse alla stravagante comitiva di estranei che si era ritrovata costretta a condividere un’angusto spazio, vittime di un temporale tropicale.
Si sistemò accanto a me e gettó una rapida occhiata furtiva a Trevor.
-Cosa ci fai qui?-
-E tu?- chiese il biondo espirando una boccata di fumo di proposito in faccia a Nate.
Il quale si incupì impercettibilmente, scuotendo la mano per scacciare la nube tossica.
La pioggia scrosciava violenta sopra le nostre teste, riparate solo da quel sottile telo di raso.
Scoccai un’occhiata allo schermo del cellulare: le cinque meno un quarto.
Avrei dovuto starmene zitta e buona per più di un’ora emmezza in questa minuscola scialuppa con Trevor alla mia sinistra e Nate alla mia destra.
I due uomini più belli che avessi mai incontrato, incompatibili come sole e luna.
Opposti direi.
E io li avevo baciati entrambi. La stessa sera.
-Da’ qua-
Afferrai la bottiglia di Vodka, quasi strappandola dalle mani di Chase e ne bevvi finché non sentì la gola bruciarmi come fuoco.
Strinsi gli occhi e deglutì a fatica.
-Questa è la mia ragazza! Tieni Stella-
Beatriz mi porse lo scheletro dello Spinello ormai quasi totalmente consumato da cui ricavai un paio di tiri e la testa prese a girarmi, facendosi sempre più leggera.
-Rendiamo questa agonia interessante- proclamó la mia focosa amica.
Prese il cellulare e smanettó un paio di secondi. D’un tratto, la vidi dimenare le braccia sulle note carismatiche di “Music Sounds Better With You”.
La musica invase l’angusta barchetta, rallegrando gli animi alticci di ciascuno di noi.
Risi di gusto nel vedere Chase con indosso gli occhiali da sole che cantava a squarciagola e Beatriz intenta a tappargli la bocca.
Anche Nate prese a muovere la testa a ritmo di musica, sorseggiando dalla bottiglia ormai agli sgoccioli.
L’alcol e il fumo fecero il loro dovere.
Presi a muovermi a ritmo anche io, ondeggiando i capelli e chiudendo gli occhi, abbandonandomi alla musica caotica.
Ridevo ogni volta che venivo assordata dalla stonatissima voce di Chase o quando Beatriz cercava di imitarlo, urlando come una cornacchia.
Pochi minuti dopo la tempesta era un ricordo lontano.
Nonostante il violento vento e la pioggia scrosciante, dentro quel piccolo rifugio, cinque ragazzi stavano solo pensando a divertirsi.
Ubriaca e felice, sentivo costantemente uno sguardo di ghiaccio addosso.
Trevor era assorto tra i suoi pensieri, coinvolto fisicamente solo dalla melodia travolgente che aleggiava nell’aria.
Muoveva impercettibilmente la mano contro la coscia, senza mai staccarmi gli occhi di dosso.
L’apice del delirio arrivó quando Chase, ormai mascotte del gruppo, si alzò dalla comoda postazione e prese a twerkare nel modo più impacciato che avessi mai visto, offrendoci uno show degno del GeordieShore.
Beatriz si lanció nella sfida, rannicchiata su se stessa, tentó di imitare il ragazzo, scuotendo il bacino contro chiunque fosse rimasto seduto.
Avevo le lacrime agli occhi per quell’imbarazzante balletto guidato da menti non lucide quando ad un tratto, un rumore metallico mi bloccó all’istante.
-Cos’è stato?-
Zittì tutti non appena quell’orribile scricchiolio si ripresentó.
Guardai inorridita Trevor, cosciente del fatto che solo lui era rimasto parzialmente sobrio, e nei suoi occhi vi lessi il terrore.
La scialuppa caló repentinamente di mezzo metro, facendoci sbattere gli uni contro l’altri.
-Tutti fuori!- urló Trevor.
Successe tutto nel giro di una frazione di secondi.
Ognuno di noi, preso dal panico, si alzó di scatto, provocando una concentrazione del peso massiccia sulla già precaria barca.
La scialuppa prese ad oscillare contro la facciata esterna della barca, stridendo in modo orribile sul metallo fresco di pittura.
Gridai, presa dalla paura cieca.
Prontamente Trevor rimosse il telo che ci teneva in trappola, squarciandolo come poteva.
La pioggia ci invase, scorticandoci la pelle.
La barca caló ancora di qualche metro ad una velocità che provocò il crollo di tutti noi.
Sbattei il ginocchio contro il freddo bordo in legno e imprecai. Ma l’adrenalina era troppa anche solo per sentire dolore.
Afferrai Beatriz per un braccio.
Urlava e piangeva, consapevole di ciò che stava accadendo.
La discesa verso il mare aperto venne bloccata dalle funi, che ancora parevano reggerci. Ma esse si rivelarono troppo sottili per trattenere il peso di tutti noi.
La prima cima si staccó con uno schiocco raccapricciante e mi si strinse lo stomaco.
-Reggetevi!- urló qualcuno.
La scialuppa restó in bilico, perpendicolare all’oceano.
Cademmo rovinosamente uno addosso all’altro, aggrappandoci a qualsiasi cosa ci capitasse a tiro.
Conficcai le unghie nella spalla di Nate, appeso con un braccio alla prua della barca, e afferrai Beatriz con la mano.
Guardai la mia amica in lacrime e scorsi nei suoi occhi brillanti, la paura più cieca.
Mi guardai intorno, sforzandomi di non mollare la presa, consapevole che se l’avessi lasciata andare o se Nate ci avesse lasciate andare, saremmo morte.
Captai il corpo di Trevor rannicchiato contro il legno della poppa e Chase che invece era aggrappato all’estremità della barca con il corpo sospeso a mezz’aria.
Volevo gridare aiuto, ma il respiro mi si bloccó in gola.
Quando anche l’ultima cima in grado di reggerci si ruppe, il mio cuore perse un battito.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3992803