A Sort Of Homecoming

di Aagainst
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Destruction ***
Capitolo 2: *** 2.Spotlight ***
Capitolo 3: *** 3.Keep The Car Running ***
Capitolo 4: *** 4.House Is Not My Home ***
Capitolo 5: *** 5.Stranger ***
Capitolo 6: *** 6.Letters To Our Former Selves ***
Capitolo 7: *** 7.Honest ***
Capitolo 8: *** 8.Find Peace ***
Capitolo 9: *** 9.Bad Habit ***
Capitolo 10: *** 10.Survive ***
Capitolo 11: *** 11.Outlaw Pete ***
Capitolo 12: *** 12.But The Regrets Are Killing Me ***
Capitolo 13: *** 13.And We All Return To Our Roots ***
Capitolo 14: *** 14.More Than You Know ***
Capitolo 15: *** 15.Just Tell Me ***
Capitolo 16: *** 16.Dirty Laundry ***
Capitolo 17: *** 17.Where Were You When The Sky Opened Up? ***
Capitolo 18: *** 18.Be The Same ***
Capitolo 19: *** 19.Waiting For My Real Life To Begin ***
Capitolo 20: *** 20.Simple Existence ***
Capitolo 21: *** 21.Without You ***
Capitolo 22: *** 22.Reset ***
Capitolo 23: *** 23.Heavy Thoughts ***
Capitolo 24: *** 24.When The Lights Go Out ***
Capitolo 25: *** 25.I Should Leave Right Now ***
Capitolo 26: *** 26.Anxious ***
Capitolo 27: *** 27.If You Were Here ***
Capitolo 28: *** 28.Only Place I Call Home ***
Capitolo 29: *** Epilogo-Best Of Me ***



Capitolo 1
*** 1.Destruction ***


1.
 

So how am I supposed to feel?
And how am I supposed to feel now?
(nothing,nowhere feat. Travis Barker-Destruction)


 

“Ah, sì, sì, così”. Urlo e tremo, urtando di continuo il muro alle mie spalle. Finn si accascia su di me e mi bacia il collo. Si scosta dopo poco e si aggiusta i vestiti. Faccio lo stesso e mi appoggio alla parete, stremata. 

“Torniamo di là?” mi propone. Annuisco. Apre la porta e subito la musica ad alto volume ci investe, così come l’odore di sudore e fumo. L’ennesima festa, l’ennesima nottata passata a scopare, ubriacarsi e farsi. La mia vita è questa e sì, può sembrare un’esistenza vuota e priva di senso, ma non è così. O almeno credo. 

“Clarke! È un piacere vederti!” mi chiama qualcuno. Alzo gli occhi al cielo. Niylah Connel, la persona più irritante di tutto il jet set hollywoodiano. Le sorrido falsamente e cerco di smarcarmi. Invano ovviamente. 

“Dicono che stai lavorando ad un nuovo album e che potrebbe essere il disco dell’anno.”

“L’intento è quello, sì.” rispondo sfacciata. Niylah sogghigna. 

“Beh, buona fortuna. Dovrebbe superare il mio per numero di vendite. Sono in classifica da mesi.”. Mi mordo il labbro e non replico. Non voglio darle alcuna soddisfazione. Mi volto, alla disperata ricerca di Finn. Ho bisogno di andarmene via da questo posto. 

“Beh, allora buona serata. Mi raccomando, non illuderti troppo per quanto riguarda le tue possibilità, ragazza di campagna.” si congeda Niylah. Si allontana e solo ora mi rendo conto di star trattenendo il fiato. 

“Non sono una ragazza di campagna, sono una cantante, brutta stronza!” le urlo dietro, ma la musica è così alta che nemmeno io riesco a sentire le mie stesse parole. Mi guardo intorno e finalmente trovo Finn, intento a scolarsi qualche bicchiere di non so che alcolico. Lo raggiungo e me ne faccio passare uno. Lo ingurgito, per poi sputarlo il secondo successivo. 

“È disgustoso!” commento. Finn ride. 

“Sì, decisamente.” mi conferma. Mi prende per mano e fa per condurmi da qualche parte, ma lo fermo. Mi lancia un’occhiata confusa.

“Non ne ho voglia adesso.” gli spiego. “Torniamo a casa?”. Mi fulmina con lo sguardo, incredulo.

“Siamo appena arrivati!” ribatte. 

“Lo so, ma...”

Ma un corno. Ci stavamo divertendo, cos’è cambiato nel giro di pochi minuti?”. Mi gratto il collo. Già, cos’è cambiato? Non lo so nemmeno io in realtà. So solo che questa stanza mi sembra, all’improvviso, diventata così piccola. 

“Oh, andiamo, è per quella stronza di Niylah? Non ascoltarla. Dai, godiamoci la serata.”. Sospiro. Mi sento così fuori posto, ma non riesco a resistergli. Non voglio stare sola. Non voglio pensare. Mi lascio trascinare in bagno. Finn armeggia con i pantaloni e tira fuori dalle tasche un sacchetto pieno di polvere bianca. La conosco, so cos’è, anche se cerco di evitarla il più possibile. Ma non questa notte. Sento i granelli di polvere risalire la mia narice e riportarmi in vita. O, forse, mi stanno solo illudendo di poterne affrontare una. Finn entra in me in modo quasi brutale. Non c’è amore in questa unione, solo un disperato tentativo di dare una parvenza di senso a una serata altrimenti del tutto misera. Sono piena, eppure così vuota. Scoppio a piangere sulla spalla di Finn, ma lui nemmeno se ne accorge. Non mi importa. Anzi, meglio così. È questo che mi piace di lui, non fa domande. Non perché abbia paura di vedermi scappare via terrorizzata, ma perché non si rende conto di un bel niente. Un po’ lo invidio, in realtà. Vorrei essere come lui, eppure non ne sono capace. Una spessa coltre di lacrime mi rende la vista sempre più appannata. Anche i suoni si fanno ovattati. Ho un nodo in gola. Che cosa sto facendo? Chi sono io? Clarke Griffin, cantante di fama internazionale, in rapida ascesa e in attesa di pubblicare l’album dell’anno. Sì, questa sono io. Forse. 

“Finn, io devo...” mormoro.

“Sì, anche io.”

“No, non hai capito, devo...”. Non mi trattengo oltre. Non so cosa sia stato, se l’alcol, la droga o del semplice disgusto, fatto sta che vomito sui pantaloni di Finn. Mi guarda sconvolto e io non riesco nemmeno a chiedergli scusa. Scappo via, senza dire una parola. Ignoro completamente le sue urla. Mi ritrovo nuovamente in mezzo alla bolgia. La musica è sempre più alta ed è davvero di basso livello. Il ritmo ipnotico mi stordisce. Sento il mondo ruotare attorno a me e non ho più appigli a cui aggrapparmi. Una mano si posa sulla mia spalla, ma non me ne curo. Corro fuori e cerco di incamerare quanta più aria possibile. Tossisco e scoppio a ridere. Posso sentire gli sguardi allibiti della gente dietro di me. Poco male, hanno appena trovato l’attrazione della serata. Dovrebbero ringraziarmi, se non altro sto rendendo divertente questa festa che chiamare noiosa è dir poco. Mi dirigo alla macchina e cerco di salirci sopra, ma non riesco ad aprirla. Prendo a calci lo sportello ripetutamente, senza alcun risultato. Decido infine di spaccare il finestrino e mi metto al volante. Le chiavi sono inserite nel cruscotto e a me non resta fare altro che girarle e accendere il motore. Sento qualcuno urlare il mio nome, ma non me ne interesso. Parto di gran lena, incurante dei limiti di velocità. Non che non conosca le conseguenze delle mie azioni. Al contrario, ne sono perfettamente consapevole. Ed è proprio ciò che sto cercando. Sto facendo i duecento chilometri orari in piena Beverly Hills e non ho intenzione di mollare il piede dall’acceleratore. Solo in questo momento realizzo di non essere seduta nella mia auto. Scoppio in una fragorosa risata e accelero ulteriormente. Dio, devo essere impazzita. Anche se, a dire il vero, in questo momento mi sento particolarmente sobria. Continuo a ridere, fino a quando due fari non mi abbagliano. Il suono di un clacson mi assorda. Sono nella corsia sbagliata. Sterzo a destra, pregando di riuscire ad evitare la macchina che mi sta venendo addosso. Sbando e finisco addosso ad un muretto. Sto tremando. Ma cosa mi dice la testa? Cosa diamine sto facendo? Chiudo gli occhi, per poi riaprirli di scatto non appena sento le sirene delle volanti della polizia. Fantastico, ora sono proprio nei guai.

“Signorina, scenda immediatamente dall’auto!” mi intima un poliziotto. Sospiro. Apro lo sportello e mi ritrovo sull’asfalto, circondata da tre agenti.

“Fate piano, è un vestito firmato.” li ammonisco. 

“Si crede spiritosa?” mi dice uno dei poliziotti. Mi ammanetta i polsi e mi fa alzare in piedi con la forza. Provo a divincolarmi, ma la sua presa è decisamente salda. 

“Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato...”. Scoppio a ridere.

“Ma lei sa chi sono?” chiedo, strafottente. Il poliziotto mi strattona, innervosito.  

“Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio.” conclude la frase, per poi farmi accomodare nella volante. E, quando l’auto parte a sirene spiegate, mi rendo conto di essere proprio nei pasticci.






Angolo dell'autrice 

Ben ritrovati e con una Clexa stavolta. Sarà una storia diversa da Something To Hold On To, per ora il rating sarà giallo, può darsi che diventerà arancione col tempo, devo decidere.
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. Clarke ha decisamente bisogno di ritrovare la bussola, ormai sta vivendo una vita senza senso. Riuscirà a ritrovare la strada? Beh, lo vedrete nel corso della storia.
Grazie mille per aver letto, sarebbe carino se lasciaste una recensione. Aggiornerò una volta a settimana, potrei arrivare a due più avanti, ma per ora sarà così. 
A martedì prossimo!

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Capitolo 2
*** 2.Spotlight ***


 

2.

 

What if money wasn't part of success?
Would the people I used to be friends with never left?
What if making a name didn't come with regrets?
I think that fame's a pre-cursor to death
(MGK feat. Lzzy Hale-Spotlight)

 

“Clarke, questa volta hai davvero passato il segno!”. John Murphy è il mio agente da sei anni, una delle poche persone che mi è sempre stata accanto. Mi ha scoperta per puro caso, mentre stavo cantando in un locale da due soldi durante  una serata universitaria. Quella notte è cambiato tutto. Murphy ha stravolto la mia vita, ma mi ha anche dato una possibilità di fuga da tutto il dolore che mi stava attanagliando a casa mia. In un certo senso mi ha salvata, dandomi l’occasione di fare qualcosa di buono nella mia vita. Mi ha aiutata, dandomi la possibilità di lavorare con dei musicisti e dei professionisti di tutto rispetto. Mi ha rinchiusa in uno studio di registrazione e quello che ne è uscito è stato il mio album di debutto, From The Sky. Non ho ancora capito come sia stato possibile, fatto sta che fece successo. Diverse candidature ai Grammy, premi su premi, soldi a palate e un contratto con la Lightbourne Music, una delle etichette discografiche più importanti al mondo. Sembrava tutto in discesa. Avrei solo dovuto continuare a cantare e scrivere canzoni. Già, fosse così semplice. Ho imparato fin troppo presto che io e il signor Lightbourne abbiamo due visioni della musica leggermente diverse. Di fatto, mi sono rivelata incapace di scrivere ciò che voleva lui e il risultato è stato City Of Light, un album di cui non vado per niente fiera. Nonostante le vendite eccezionali e il successo planetario di questo secondo lavoro, è un disco piatto, senza assolutamente nulla di mio. Non ho scritto nemmeno una canzone, mi sono solo limitata a cantare. Murphy mi ha spronata a seguire i consigli di Lightbourne, a fidarmi di lui e così ho fatto. Già, così ho fatto. 

“Clarke, per la miseria, puoi ascoltarmi?”

“Uh? Scusa Murphy, mi sono distratta.” dico, ritornando alla realtà. Lui sbuffa e scuote il capo, sconsolato. Apre la bocca per dire qualcosa, quando la porta del suo ufficio si spalanca di colpo ed entra Lightbourne in persona. Dio, ora sì che la vedo brutta.

“Signor Murphy, Clarke, buongiorno.” saluta. Non c’è nulla di amichevole nel suo tono di voce. Al contrario, mi sembra molto nervoso. Chino il capo e di sottecchi posso vedere il mio agente inspirare ed espirare convulsamente, sull’orlo di una crisi di nervi. So che è tutta colpa mia, ma allo stesso tempo non lo ammetterò mai.

“Signor Lightbourne, è un piacere averla qui con noi. Prego, si sieda. Desidera un caffè? Dell’acqua naturale? O una b-...”

“Si risparmi i convenevoli, signor Murphy. Non sono qui per una visita di piacere, lo sa benissimo. Quello che è successo costerà alla mia casa discografica una montagna di soldi. E no, non parlo solo della cattiva pubblicità. Clarke, lo sai a chi apparteneva l’auto che ha rubato?”. Scuoto il capo, in preda alla vergogna. 

“Io pensavo fosse mia.” mormoro, in un patetico tentativo di giustificarmi. Sono perfettamente convinta che Murphy vorrebbe staccarmi la testa in questo momento e non sarei assolutamente in grado di biasimarlo per questo.

“Beh, si dà il caso che no, la Ferrari che ieri hai guidato non fosse tua, Clarke. Si trattava di un modello fatto su misura che Diana Sidney, l’attrice, aveva appena acquistato dall’Italia. Aggiungiamoci i soldi per la cauzione e quelli per evitare che tu finisca in tribunale. Lo sai quanto è costato convincere il capo della polizia a farti pagare una semplice multa? Sappiamo entrambi cosa avrebbero trovato nel tuo sangue se ti avessero fatto un test tossicologico.”. Sento un nodo in gola. So che ha ragione e che mi sono comportata da irresponsabile, ma non posso farci nulla.

“Mi dispiace, non accadrà più.” mormoro. Lightbourne scoppia a ridere sguaiatamente, seguito da Murphy che lo imita solo per inerzia, in realtà vorrebbe piangere. Faccio per ridere anche io, quando Lightbourne sbatte le mani sulla scrivania, facendomi sobbalzare. Deglutisco e indietreggio con la sedia. Lui si alza e comincia a camminare avanti e indietro per la stanza. Non l’ho mai visto così arrabbiato, nemmeno quando In The Mountain di Cage Wallace totalizzò il record negativo di vendite del decennio.

“Ti dispiace? No, la verità è che a te non interessa un accidenti di ciò che è successo ieri. Tanto c’è sempre qualcuno disposto a ripulire la strada della merda che voi cantanti da quattro soldi lasciate in giro.”

“P-pensavo di essere un elemento fondamentale per la casa discografica, signore.” replico, per poi pentirmene immediatamente. Murphy mi fulmina con lo sguardo, mentre Lightbourne mi rivolge un’occhiata carica di pietà. Mi sto rovinando con le mie stesse mani e la parte più incredibile di tutto questo è che non sto nemmeno provando a fermarmi dal commettere questo suicidio. 

“Clarke, lascia che ti spieghi una cosa.” mi dice. “Nessuno è indispensabile qui. L’unica cosa che conta è la funzionalità. Finora la tua musica mi ha portato grandi vantaggi. Le vendite dei tuoi due album sono state incredibili e City  Of Light ha fatto ben più successo di quanto mi aspettassi. Eppure, e voglio essere chiaro, tutto questo non ti rende un’artista da inserire nel pantheon dei grandi, Clarke. E sai perché?”. Faccio segno di no col capo. Lightbourne ghigna, conscio del potere che ha su di me. Mi appiattisco contro lo schienale della sedia, come se volessi sparire. O forse lo desidero davvero. 

“Perché non hai la mentalità da grande. Fai i numeri e questo è importante, ma ciò che conta in questo ambiente è la continuità, la capacità di ambientarsi e sopravvivere in un oceano popolato da squali pronti a sbranarti. Ne hai le capacità, Clarke?”. Non rispondo a quell’ultima domanda e continuo a fissare il pavimento, in profondo imbarazzo. Lightbourne scuote il capo.

“Come immaginavo. Il signor Murphy ti illustrerà cosa abbiamo pensato per te. È l’ultima possibilità che ti do, non la sprecare.” asserisce. Alzo lo sguardo e gli rivolgo un’occhiata confusa, ma non dico nulla. 

“Buona giornata.” si congeda, infine. Non appena esce dalla porta, mi volto verso Murphy per avere qualche spiegazione, ma tutto ciò che ricevo è un sorriso decisamente fin troppo criptico. Controlla l’orologio al polso e capisco che stiamo aspettando qualcuno.

“Hai intenzione di parlarmi e dirmi qualcosa?” chiedo, impaziente. Murphy sospira.

“Un minuto e potrò farlo.” risponde. Alzo gli occhi al cielo e mi metto a fissare il muro. Dopo un tempo che mi pare interminabile, la porta si riapre di nuovo e una ragazza più o meno della mia età, dai lunghi capelli castani e con grandi occhi color nocciola varca la soglia, sorridendomi non appena mi vede. 

“Raven!” esclamo, sorpresa di vederla. “Che ci fai tu qui?” le domando. 

“John mi ha chiamata. Stai bene? Ho visto il telegiornale, è stato terribile. Clarke, potevi morire!”. Già. Forse era esattamente quello che volevo. Non ho il coraggio di dirlo ad alta voce, mi sbatterebbero in rehab ed è l’ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento. 

“È stata solo una ragazzata, state esagerando. Avevo tutto sotto controllo.” ribatto. Un’altra bugia. La mia vita è costellata di menzogne che racconto in primis a me stessa, di continuo. 

“Ora basta, Clarke! L’hai sentito Lightbourne, no? Se non fai come diciamo noi sei fuori, l’hai capito o no?”. Annuisco, mordendomi il labbro. Chiudo gli occhi. Sento una lacrima bagnarmi la guancia, ma mi appresto ad asciugarla con il dorso della mano. Sono così stanca. 

“Clarke, quello che ti dirò non ti piacerà, ma al momento non abbiamo trovato idee migliori.”. Sono in apprensione. Non ho la più pallida idea di dove Murphy voglia andare a parare, ma ho un orribile presentimento. Raven mi posa una mano sulla spalla, per tranquillizzarmi.

“Ho chiamato tua madre.” Sgrano gli occhi, incredula. “Domani partirai per Polis. Starai lì un mese, Raven verrà con te per controllare che tu non faccia danni. Ti rilasserai, capirai cosa vuoi dalla vita e lavorerai al nuovo album.”. Non so cosa rispondere. Scoppio a ridere, senza ritegno. Murphy e Raven mi guardano, perplessi. 

“Bello scherzo, ragazzi. Per un attimo ho creduto davvero che mi avreste spedita nel buco da cui sono scappata sei anni fa.” dico, ma quando noto che non c’è traccia di ironia nei loro sguardi, mi crolla il mondo addosso. “Aspettate, state dicendo sul serio?”. Murphy e Raven annuiscono e io per poco non scoppio a piangere. Non posso ritornare lì. Non posso ritornare indietro. 

“Clarke, lo so che non vuoi, ma l’alternativa è finire al fresco. La tua carriera ne uscirebbe distrutta e, a quel punto, a casa dovresti tornarci comunque e per molto più tempo.” dice il mio agente. Lo guardo con amarezza. So che ha ragione e che non ho altra scelta. 

“Ma non posso costringere Raven a stare con me per un mese. Non sarebbe giusto!” gioco l’ultima carte che mi è rimasta. 

“Clarke, sono la tua assistente e la tua migliore amica, non c’è altro posto in cui vorrei andare. E non ti preoccupare, non avrò problemi a tornare indietro a Los Angeles se mai dovessi averne necessità.”. Dovrei essere contenta di avere un’amica che tiene così tanto a me, ma la verità è che in questo momento proprio non ci riesco. 

“E Finn? Sarei dovuta partire con lui per un viaggio in Francia domani e...”

“Dimenticati di quell’idiota, è l’ultima persona di cui hai bisogno.” mi interrompe Murphy.

“È il mio ragazzo!” protesto. 

“Sarà, ma per ora vi dovrete accontentare di una relazione a distanza. Vedremo se potrà venire a trovarti più avanti, ma da domani sarete solo tu e Raven, nessun altro.”. Scuoto il capo. Non mi resta che accettare. 

“E va bene.” cedo. 

“Brava ragazza. Tieni, questa è la lista delle canzoni per il prossimo album, Lightbourne vuole che ne scegli dodici. Ecco il disco con le incisioni.”. Afferro le carte e il dischetto che Murphy mi porge e li rigiro fra le mani. Sospiro. Sono in trappola.






Angolo dell'autrice 

Ben ritrovati! Dunque, Clarke è decisamente nei guai fino al collo. Lightbourne non gliele manda a dire e l'unica soluzione possibile assume i contorni di un incubo agli occhi della nostra protagonista. In tutto questo, iniziamo a scoprire un po' del passato di Clarke, come e perché è diventata una cantante di fama internazionale e che cosa ne pensa della sua stessa carriera.
Lo so, vi state chiedendo dov'è Lexa, ma un po' di pazienza, la vedrete molto presto. 
Da qui in poi, i capitoli saranno molto più lunghi del primo, devo dire che sto scrivendo parecchio e che, finora, mi sta piacendo, spero che sia lo stesso per voi. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi fa piacere leggere le vostre impressioni.
A martedì!

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Capitolo 3
*** 3.Keep The Car Running ***


3.

 

Tired of waiting around
Now, what are we becoming
Keep the car running
(Goo Goo Dolls-Keep The Car Running)

 

 



Due fari nella notte. Un rumoroso vociare di persone. La mia testa sta per scoppiare. Tutto ruota attorno a me. I suoni sono terribilmente ovattati. Non sento nulla, solo una fastidiosa suoneria. Il telefono, mi sta squillando. Il telefono.

 

Il telefono! Apro gli occhi e sobbalzo. È Raven. Merda, sono in ritardo e non ho nemmeno preparato la valigia. Rimango col cellulare in mano, indecisa se rispondere o meno. Alla fine, cedo e trascino il pollice sullo schermo, per poi avvicinare il cellulare all’orecchio. Sospiro, aspettando la lavata di capo della mia amica che, puntualmente, arriva.

“Clarke, dove diavolo sei? Ti sto aspettando qui sotto!”. Okay, è decisamente arrabbiata. Non posso darle torto, mi sarei dovuta svegliare almeno un’ora fa.

“Ehm... Arrivo Rae, mi sto finendo di preparare.” mento spudoratamente.

“Va bene, ho capito. Salgo e ti aiuto con i bagagli.”. Cerco timidamente di protestare, invano. Dopo pochi minuti la porta della mia camera si spalanca, facendomi cadere dal letto. Raven spalanca le tende e io mi copro immediatamente gli occhi e mi rotolo sul pavimento, in preda a non meglio specificati lamenti. Raven mi fissa, le mani ai fianchi e l’aria spazientita. La guardo di sottecchi e capisco che è meglio finire questa sceneggiata il prima possibile. Mi alzo e, sedutami sul letto, comincio a cambiarmi. 

“Allora Griffin, dove sono le tue valige?” chiede Raven. 

“Nell’armadio.” rispondo. Apre le ante e getta a terra i bagagli, per poi riempirli in malo modo di vestiti.

“Ehi! Me li rovini, stai attenta!”. La vedo stringere i pugni, per poi voltarsi verso di me e mettermi due mani sulle spalle con aria minacciosa. Deglutisco, spaventata.

“Sei incredibile, Griffin.” dice, spingendomi leggermente all’indietro. “Senti, lo so che non ti piace l’idea di tornare a casa, ma è per il tuo bene, che tu ci creda o no. Quanto successo due giorni fa è stata la goccia, Clarke. È da un anno che hai perso il controllo, forse staccare da questa città e da questo ambiente ti farà bene.”. Arriccio il naso per cercare di ricacciare indietro le lacrime. Sì, forse Raven ha ragione, andarmene potrebbe essere la cosa più sensata da fare. Nonostante i miei sforzi, non riesco più a trattenermi e scoppio a piangere. Raven sospira e mi si siede accanto. Mi stringe a sé e mi culla con dolcezza.

“Scusa.” mormoro, asciugandomi il volto con il braccio. “È solo un periodo stressante, passerà.”

“Lo so Clarke, lo so. Ed ecco perché è necessario che metti in pausa tutto questo. Ascolta, ti conosco da ormai sei anni, da quando eri solo una timida ragazza di campagna che si perdeva per le fermate della metropolitana. Mi raccomando Reyes, non perderla d’occhio, così mi ha detto John la prima volta che ci siamo incontrate. Ero solo una stagista, ma ho fatto la mia promessa e non ho intenzione di romperla proprio adesso. Non posso vederti in questo stato e se Lightbourne e John pensano che tornare a casa possa aiutarti, credo che valga la pena tentare.”. Annuisco, mentre mi rosicchio le unghie. Scuoto il capo. È sempre così complicato per me spiegare cosa provo. Non sono mai stata un granché con le parole, ironico per una persona che ha deciso di fare la cantante come mestiere. Eppure, scrivere una canzone è così diverso. Davanti ad un foglio bianco ho tempo di riordinare i pensieri, di capire io in primis cosa sento. Davanti alle altre persone è tutto così diverso. Io sono diversa. O, forse, lo sono solo davanti a quel foglio bianco. Probabilmente è per questo che non scrivo più una canzone da oltre un anno.

“Dai, andiamo. Ho parcheggiato con la doppia freccia, se aspettiamo un altro po’ la polizia me la porta via.”. Osservo Raven alzarsi dal letto e chiudere la valigia. Sorrido e la seguo. Mi finisco di preparare e controllo che sia tutto in ordine. Chiudo la porta a chiave e raggiungo Raven alla macchina. Quando partiamo, sento un nodo in gola farsi strada. Sospiro. Mi volto, mentre dietro di me la mia casa si fa sempre più piccola. 

“Ho preso anche la tua chitarra, spero non ti dispiaccia.” asserisce Raven. Scuoto il capo.

“E cosa dovrei farci? Mi hanno chiesto semplicemente di scegliere dei brani e cantarli sopra una base che mi hanno già fornito.” 

“Non si sa mai. Magari ti tornerà l’ispirazione.” replica la mia amica. 

“Sì, a Polis, come no. Rae, tu non hai idea di dove stiamo andando.” dico. Raven mi lancia un’occhiata curiosa. 

“No, non lo so. D’altronde, non mi hai mai parlato della tua vita prima di Los Angeles.”. Mi mordo il labbro e mi giro verso il finestrino. Abbiamo imboccato l’autostrada che ci porterà verso la regione di Arkadia e il paesaggio è già cambiato molto. Mi mancavano le conifere, devo essere onesta. 

“Clarke?” mi richiama Lindsey.

“Uh, sì, io... Beh, non c’è molto da dire. Sono cresciuta in una cittadina molto piccola. Polis è circondata da montagne e colline, non c’è letteralmente altro. Ci conosciamo un po’ tutti, in qualche modo. Sono sempre stata lì, ogni tanto andavamo in vacanza al mare, ma poi i turni di lavoro di mia madre sono diventati proibitivi.” comincio a raccontare.

“Turni di lavoro?” chiede Raven.

“Sì, mia madre è medico al Polis General, l’ospedale della città e l’unico della valle. È oncologa. È buffo, da piccola sognavo di diventare come lei. Quando Murphy mi ha scoperta in quel pub, ero al secondo anno di college. Mi ero iscritta a medicina.” spiego. “A volte rimpiango di non aver continuato gli studi, ma allo stesso tempo penso sia meglio così.”

“Beh, non ti è andata così male.” osserva Raven. Mi allungo sul sedile, lo sguardo perso tra le grandi pinete e le montagne che, ormai, hanno preso il posto del paesaggio costiero a cui sono abituata. 

“Già.” sospiro. Non aggiungo altro. Preferisco che Raven creda che il mio pensarla così nei confronti di me stessa sia dovuto alla carriera di cantante. Per ora, solo io so che non è così. E spero che non lo scopra mai nessun altro. Contorno con il dito il vetro del finestrino. Ci attendono ancora molte ore di viaggio e io non faccio altro che pensare a quanto il paesaggio e il clima all’esterno di questa auto cambino di continuo. Un tempo, il fascino provato per il miracolo della natura in cui l’essere umano è misteriosamente immerso mi avrebbe spinta a catturare ogni dettaglio, con la mente prima e con la musica poi. Purtroppo, quella Clarke non c’è più. Non sono più in grado di fare una cosa simile. Forse non sono più capace di stupirmi fino in fondo ed è questa la cosa più triste. Tutto è così incolore, così insapore. Tutto è così vuoto.

 

________________

 

Facciamo tappa in un piccolo motel sulla strada, per mia somma sorpresa. Quando chiedo a Raven qualche spiegazione, mi risponde che si tratta di una decisione di Murphy. 

“E se mi riconoscessero? Insomma, capisco il viaggio in automobile, non potevo di certo arrivare a Polis in aereo o in elicottero. Ma il motel è troppo.” obietto. 

“Clarke, siamo in mezzo al niente e il tizio alla reception avrà cent’anni per gamba, rilassati.” mi rassicura lei. Non protesto oltre e la seguo. Tutto sommato, per essere un motel lungo un’autostrada, non è nemmeno malaccio. 

“Non dormivo in un posto simile da secoli.” affermo, mentre mi infilo sotto le coperte. 

“Io dall’anno scorso.”. Mi volto verso la mia amica e le lancio un’occhiata carica di curiosità. 

Raven alza le mani, in segno di resa.

“È stato durante le vacanze estive, quelle dopo il tour promozionale dell’edizione speciale di City Of Light. Frequentavo un ragazzo fissato con i motori e...-“. La interrompo, inarcando un sopracciglio. “Oh, non fare quella faccia, non te ne ho mai parlato perché non era una cosa seria. Almeno, non per me, l’ho lasciato dopo l’estate. Ci siamo divertiti però, abbiamo fatto un piccolo giro in motocicletta. Abbiamo alloggiato in parecchi di questi posti.” conclude la spiegazione. 

“Non ti immaginavo così intraprendente.” confesso.

“Non arrivi a fare il mio lavoro se non sei amante del rischio, Clarke. E ora dormi, che domani ci aspetta un lungo viaggio.”. Solo in questo momento realizzo che domani passerò la prima notte a casa di mia madre dopo sei anni. Il panico mi coglie all’improvviso e sento una fortissima stretta allo stomaco. Una braccio mi cinge i fianchi e mi culla dolcemente. Raven mi sta stringendo a sé. Probabilmente i miei singhiozzi devono averla spinta ad alzarsi. 

“Clarke, andrà tutto bene.” cerca di darmi coraggio. 

“Rae, non la vedo da sei anni. Cosa le dico?” chiedo, disperata. Raven non mi risponde e continua a cullarmi, come se fossi una bimba piccola. A poco a poco, forse anche per la stanchezza del viaggio, nonostante tutto, cedo a Morfeo. Mi risveglio intorno alle quattro del mattino, in preda agli incubi. Mi alzo e mi dirigo in bagno. Lo specchio riflette una figura familiare, eppure così sconosciuta al tempo stesso. Non mi riconosco, non ci riesco. Scuoto il capo e mi rinfresco, senza cedere alla tentazione di distruggere quello specchio con un pugno. Quando Raven si sveglia, sono vestita già da diverse ore.  Non mi fa domande, le risposte le conosce già. Si prepara e, dopo aver pagato, ci rimettiamo in viaggio. Altre dieci ore in questa macchina, potrei vomitare. 

“Non ti preoccupare, il pranzo per oggi è nel mio zaino sul sedile posteriore.”. Annuisco in silenzio, sollevata da quella notizia. Non ho intenzione di sostare per strada, sarebbe troppo rischioso. Passo la giornata piuttosto silenziosamente. Non mi godo troppo nemmeno le canzoni per radio, talmente sono persa tra i miei pensieri. Ho paura. Non sono pronta a rivedere mia madre e i miei vecchi amici. Non dopo tutto quello che è successo fra noi. Non dopo tutto quello che ho fatto. 

“Ehi, siamo arrivate. Bentornata a casa.” Raven mi riporta alla realtà. Precipito dai miei pensieri, come se avessi il piombo legato alla vita. La strada attraversa un immenso bosco di conifere, che si allarga improvvisamente per poi circondare una piccola cittadina, un misero gruppo di edifici che occupano una superficie abbastanza ridotta. Tutto intorno, le montagne sorvegliano la valle, maestose. Guardo fuori dal finestrino. È tutto come lo ricordavo, eppure sembra, al contempo, tutto così diverso. Mi sento un pesce fuor d’acqua, completamente.

“Eccoci arrivate, dovrebbe essere questa.”. Annuisco. Scendo dall’auto e mi dirigo alla porta, senza nemmeno aiutare Raven con i bagagli. Ho le gambe che mi tremano. Non riesco a credere che non abbia ancora cambiato questa orribile porta verde. Alzo lo sguardo. Gli infissi sono rossi, esattamente come quando vivevo qui. È come se il tempo si fosse fermato da sei anni. Forse è così. Mi volto verso Raven, che mi fa segno di bussare. Deglutisco. Allungo la mano e suono il campanello. Ho il cuore in gola. Sento qualcuno armeggiare con la serratura dall’interno. Lentamente, la porta si apre, ma quando mi trovo davanti un bambino, lo guardo confusa. 

“Ciao.” mi saluta. Avrà cinque anni ed è biondissimo. 

“Ehm, ciao. Abby Griffin è in casa? E chi sei tu?”. Il bambino mi scruta, probabilmente per capire se può fidarsi o meno. 

“Zia Abby, ti vogliono!”. Zia? Da quando mia madre è zia?

“Tesoro, chi è?”. Sobbalzo. Quella voce... Ma no, non è possibile. Eppure, la riconoscerei fra mille. Faccio per indietreggiare, ma le mie gambe sono due pezzi di legno.

“Abby è occupata al moment-... Tu?”. Mi mordo il labbro, cercando di non scoppiare a ridere. Due occhi verdi smeraldo mi sondano, sconvolti. 

“Ciao Lexa. Dov’è mia madre?”.


 

Angolo dell'autrice 

Ben ritrovati.
Finalmente, Clarke e Raven arrivano a Polis e si imbattono in una bella sorpresa "doppia". Non solo si trovano davanti Lexa, ma anche un bambino. Insomma, direi che Clarke tutto si aspettava, tranne qualcosa del genere. Per quanto riguarda Raven, spero che il suo personaggio vi stia piacendo, acquisterà rilevanza all'interno della storia. 
Spero vi sia piaciuto, fatemi sapere pure cosa ne pensate, so che avrete tante domande, dall'incubo di Clarke all'identità di quel bambino, ma vi assicuro che a poco le risposte arriveranno.
Vi ringrazio tantissimo per i commenti e per leggere questa storia.

A martedì!

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Capitolo 4
*** 4.House Is Not My Home ***


 

4.

 

And I think this house is not my home 
I think that I'd rather be alone tonight 
I'm trying, trying to fake it
(Zebrahead-House Is Not My Home)
 

 

 

“Ciao Lexa. Dov’è mia madre?”. La donna di fronte a me strizza gli occhi ripetutamente, la bocca spalancata. È incredula e, devo ammetterlo, lo sono anche io. Non avrei mai pensato di poterla rivedere, non a casa di mia madre per lo meno.

“Lexa, ti ho fatto una domanda.” Insisto. La vedo scuotere il capo e alzare le braccia. 

“Sì, scusami. Abby è al piano di sopra, nel suo studio.”

“Suo studio?” mi innervosisco. “Ora lo chiama il suo studio?”. 

“Sì, scusa, dimenticavo.” mi risponde la donna, alzando gli occhi al cielo. “Comunque è di sopra, se entri poi vado a chiamarla.”. Le rivolgo un sorriso falso e la seguo dentro casa. Mi giro verso Raven, che è ancora dentro l’auto. Le faccio cenno di raggiungerci e lei obbedisce, pur se con fare abbastanza goffo ed insicuro.

“Lexa, lei è Raven Reyes, la mia assistente personale. Rae, lei invece è Lexa Woods, amica di vecchia data.” le presento. 

“Molto piacere. Dove posso mettere le valige?” chiede Raven. Lexa le fa segno di lasciarle pure in corridoio e di accomodarsi in soggiorno. Rimaniamo da sole e la osservo chiudere la porta con aria malinconica. Lexa Woods, mi sembrano passati secoli dall’ultima volta che ho sentito di lei, quattro anni fa. Mi aveva appena mandato la partecipazione al suo matrimonio. Partecipazione che ho prontamente cestinato. Io e lei eravamo migliori amiche sin da piccolissime. Nonostante un’infanzia molto turbolenta, è sempre stata una ragazzina molto disponibile nei confronti degli altri. Forse è stata questa sua generosità a spingermi a provare nei suoi confronti un fortissimo affetto. Il rapporto con lei mi ha tenuta a galla per anni, soprattutto durante l’adolescenza. E poi ho gettato tutto alle ortiche. 

“Non te l’ha detto, vero?” esordisco. Lei alza lo sguardo e scuote il capo. 

“Non ne avrà avuto il tempo. Tua madre ed io siamo molto impegnate.” risponde, il tono duro. Mi sorpassa, camminando di gran lena verso le scale. La rincorro e la tiro per un braccio, obbligandola a voltarsi. Immediatamente, un’onda verde mi investe, lasciandomi senza fiato per qualche istante. Si divincola dalla mia stretta e mi spinge indietro.

“Lexa, io...” provo a dire.

“Sto andando a chiamare tua madre. Raggiungi pure la tua amica.” taglia corto lei. Annuisco e decido di obbedire, pur se controvoglia. Quando Raven mi vede varcare la soglia del soggiorno mi viene incontro, lanciandomi uno sguardo alquanto enigmatico.

“Sembrava piuttosto arrabbiata con te.” osserva. “Che cosa le hai fatto?”

“Non sono andata al suo matrimonio.” rispondo, evasiva. 

“E se la prende per così poco? Insomma, sicuramente sarai stata in tour dall’altra parte del mondo.”

“Veramente quel giorno ero a casa, già. Sarei dovuta essere la testimone di nozze.”. Raven mi guarda con aria sconvolta. 

“L-la testimone?” balbetta, incredula.

“Esatto. Ovviamente quando me l’ha chiesto io non le ho risposto, così credo che abbia dovuto ripiegare su qualcun’altra. Forse ha scelto Octavia o magari Anya, chissà.”

“Non le hai risposto?”. Raven non crede alle sue orecchie. Non la biasimo, per niente. 

“No Rae, non l’ho fatto. Poi, quando mi è arrivata la partecipazione, l’ho gettata nel cestino della spazzatura. Ovviamente lei non è a conoscenza di questo dettaglio, ma credo che lo possa facilmente immaginare.”. Raven mi sta fissando con la bocca spalancata, alla disperata ricerca di qualcosa da dire. Fa per pormi qualche altra domanda, quando un rumore di passi ci spinge a voltarci. Mia madre è accanto alla porta, immobile. Chino il capo, incapace di sostenere il suo sguardo. 

“Clarke!” esclama lei, correndo verso di me e stringendomi fra le sue braccia. Mi irrigidisco, totalmente presa in contropiede. 

“Clarke!” ripete lei, come se non fosse ancora convinta fino in fondo della mia presenza. Si scosta quanto basta per potermi guardare in volto e mi accarezza i capelli. Mi sento estremamente a disagio. 

“Ciao mamma.” mormoro.

“Sei bellissima.” mi sussurra lei, senza mollare la presa dalle mie braccia nemmeno per un secondo. Decido di prendere in mano la situazione prima che diventi fin troppo imbarazzante.

“Mamma, lei è Raven, la mia assistente.”

“Oh, sì, Raven Reyes.” dice lei, stringendole la mano. “Murphy mi ha parlato di te. Io sono Abby, molto piacere.”

“Il piacere è tutto mio, signora Griffin.” si presenta la mia amica. Cala un silenzio improvviso, interrotto solo dal ticchettio del grande orologio posto sulla parete del soggiorno, un regalo di mia nonna a mio padre. 

“Beh, ho preparato la camera degli ospiti per Raven, spero non sia un problema. Quanto a te Clarke, dormirai nella tua vecchia stanza.” spiega mia madre. È tesa, sembra emozionata e agitata al tempo stesso e io mi sento così in colpa. So che avrei dovuto farle visita in questi anni, ma proprio non ne sono stata in grado. Le faccio cenno di aver capito e mi avvio alle scale, accompagnata da Raven. Le mostro la sua camera e poi mi dirigo alla mia. Sono davanti alla porta e ho il cuore in gola. Allungo la mano e accarezzo il legno. Dietro questa porta si nasconde un mondo di ricordi che, a poco a poco, riaffiorano prepotentemente nella mia mente. Sospiro. Circondo la maniglia con le dita e tiro leggermente. Quando entro, sobbalzo. La mia stanza non è esattamente come ricordavo. O meglio, scaffali e mensole sono dove li avevo lasciati, ma accanto ai miei libri e cd è pieno di giochi per bambini. Mi aggiro per la mia camera abbastanza confusa, quando inciampo in quella che sembra una macchinina giocattolo e mi ritrovo sul pavimento. Rotolo a pancia in su e mi metto a sedere, per poi massaggiarmi la schiena. 

“Che botta.” mi lamento.

“Stai bene, signora?”. Mi volto. Un bambino sui cinque anni dai capelli biondissimi e gli occhi scuri mi squadra, con fare preoccupato. Lo riconosco, è lui che mi ha aperto la porta poco fa. Gli sorrido, per fargli capire che non è successo nulla di grave. 

“È tutto a posto, grazie.” lo rassicuro. 

“Zia Abby è la tua mamma?” mi chiede lui. Continuo a non capire perché chiami mia madre così, ma decido di non indagare troppo a fondo subito.

“Sì, esatto. Tu chi sei?” domando.

“Io sono...”

“Aden! Vieni via da lì!”. Lexa accorre in mio soccorso e mi aiuta ad alzarmi. 

“Nulla di rotto? Mi dispiace, glielo dico sempre di mettere a posto i suoi giocattoli.”. So che in questo momento dovrei porle delle domande, ma tutto quello che riesco a fare è spalancare la bocca e rimanere in piedi, impalata. Lei pare accorgersene e mi rivolge un ghigno divertito, di chi è contento di aver spiazzato la persona che ha davanti a sé. 

“Aden è mio figlio, se è quello che vuoi sapere.” dice, infine. Sgrano gli occhi, incredula. Suo figlio? E da quando ha un figlio? 

“Ma il tuo matrimonio è stato solo...”

“Quattro anni fa, esatto.”. La scruto, maledicendo l’incapacità di chiudere la mia bocca. Lexa si trattiene a stento dallo scoppiarmi a ridere in faccia. Mi aspetto che mi dia qualche spiegazione, invece prende per mano Aden e lo accompagna alla porta. Si accuccia alla sua altezza e gli carezza dolcemente la fronte, per poi stamparvici sopra un bacio.

“Vai da zia Abby, io ti raggiungo subito.”. Lo osserva scendere le scale, attenta che non cada. Una volta assicuratasi che per Aden non c’è alcun pericolo, si gira lentamente verso di me. Ha uno sguardo feroce, carico di rabbia e rancore nei miei confronti. Non che possa poi darle torto. 

“Lexa, io...”

“No, non provarci. Non voglio sentire le tue scuse, non mi interessano.” taglia corto. Le sue parole mi fanno male ed è paradossale, visto che la prima a comportarmi davvero male sono stata io. Chino il capo, incapace di sostenere quei due occhi verdi così furenti nei miei confronti. Avanza verso di me e mi schiaccia contro la parete. Deglutisco, completamente paralizzata.

“Stagli lontana, Griffin. Non guardarlo, non parlargli, non giocare con lui. Non voglio che ti veda come una persona amica Clarke, perché non lo sei.” sibila, per fare poi un passo indietro e lasciarmi spazio. Si avvia alla porta ed esce dalla mia camera, senza dire una parola. Sospiro e mi accascio sul letto, trattenendo a stento le lacrime. Che diamine ci faccio qui? Inizio a pensare che andare in rehab sarebbe stata un’idea decisamente migliore rispetto a questo ritorno a casa. Tiro una manata al cuscino e soffoco un urlo. Casa. Come se in questo momento io mi sentissi a casa. 

“Clarke?” mi richiama mia madre, riportandomi alla realtà. Entra timidamente e si avvicina, fino a sedersi accanto a me. Rimaniamo in silenzio per un tempo che mi sembra infinito, incapaci di dire o fare qualsiasi cosa. In fondo, non ci vediamo e parliamo da sei anni, siamo due perfette estranee l’una agli occhi dell’altra. O, almeno, e quello che sto continuando a raccontarmi.

“Mamma.” esordisco infine, rompendo quella bolla che si era creata. “So che sei felice che io sia qui, ma voglio che tu sia consapevole del fatto che non è stata una scelta dipesa da me.”. La vedo mordersi il labbro fortissimo, per qualche istante ho paura che se lo laceri. Si sta sforzando di non scoppiare a piangere, ne sono certa. Non volevo essere così brutale.

“Ascolta, non...”. Mi fa segno di tacere.

“Clarke, lo so bene. Il tuo agente mi ha spiegato alla perfezione come stanno le cose e non pretendo che tu sia contenta di essere tornata qui. Sono solo felice di averti davanti agli occhi di nuovo.”. La sua onestà è talmente disarmante, da farmi male. Scuoto il capo. Ci sono così tante cose che vorrei dirle, così tante spiegazioni che desidererei darle. Eppure, che senso avrebbe tutto questo ora? A che servirebbe dopo sei anni?

“Tra un’ora si cena.” annuncia lei, carezzandomi la gamba. 

“Lexa si fermerà a mangiare con noi?” chiedo, forse più per paura che per curiosità. 

“No, lei e Aden tornano a casa la domenica.” 

“A Boston?” domando, senza capire. So per certo che, una volta sposate, lei e la moglie si fossero trasferite lì. Mia mamma mi fa cenno di no col capo, un sorriso divertito sulle labbra. 

“No Clarke, a casa loro. Abitano verso Cadogan Street, ma a causa del lavoro Lexa è costretta a portare spesso Aden qui. Anya deve alzarsi troppo presto per un bambino, mentre tra me e Marcus gli orari sono più abbordabili.” mi spiega. “A proposito, è arrivato poco fa, mi ha detto di informarti che passerà a salutarti dopo che avrà fatto la doccia. Lui e Nyko portano ancora i ragazzi in montagna la domenica e ogni volta tornano a casa più sporchi di prima.”. Mi scopro a sorridere pensando a Marcus e Nyko attorniati dai miei vecchi amici, ma il tutto dura giusto una frazione di secondo. 

“Beh, allora aspettiamo te e la tua amica di sotto.”. Annuisco, mentre la osservo uscire dalla mia stanza. Sospiro e mi lascio cadere sul materasso. Ben tornata a casa Clarke. Ben tornata a casa.

 




Angolo dell'autrice 

Ben ritrovati! Dunque, non so se questo capitolo abbia risposto alle vostre domande o vi abbia confuso ancora di più le idee. Diciamo solo che, come facilmente immaginabile, l'incontro tra Clarke e Lexa non è stato pacifico. Come dare torto a quest'ultima però. Dall'altro lato, Abby cerca di gioire della presenza della figlia, anche se le fa male saperla in queste condizioni.
Non vi preoccupate se molte cose sembrano non avere senso (ad esempio, il fatto che Clarke non si sia presentata al matrimonio di Lexa o il fatto che quest'ultima si sia trasferita nuovamente a Polis, nonostante vivesse a Boston), a poco a poco tutto sarà svelato.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi pure sapere che cosa ne pensate. 
A martedì!

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Capitolo 5
*** 5.Stranger ***


 

5.

 

Is it my indifference or do you look that much different?
(Homesafe-Stranger)

 

Sto ancora dormendo beatamente, quando la porta si spalanca e Raven entra facendo un gran baccano. Spalanco gli occhi di colpo e sobbalzo, sbattendo la nuca contro la testiera del letto. 

“Rae, ma ti sembra il modo?” mi lamento, ricevendo un’occhiata piuttosto indispettita in cambio. Non capisco quale sia il suo problema.

“E ora che c’è?”

“Sono le undici Clarke. Dovresti essere in piedi da due ore. Hai delle canzoni da scegliere, tua madre ha trovato un posto niente male in cui potremo metterci a lavorare senza disturbare.”. Per tutta risposta, sbadiglio rumorosamente. Raven stringe i pugni e avanza verso di me.

“Rae, ma che cos-...”. Non faccio in tempo a finire la domanda, che mi ritrovo per terra. 

“Come ho già detto, è ora di alzarsi. Vestiti, ti aspetto di sotto.”. Sbuffo, ma non protesto oltre. Mi alzo e mi preparo, per poi raggiungere la mia migliore amica. La trovo intenta a leggere una serie di documenti, seduta sul divano del soggiorno. Si volta verso di me e mi rivolge un sorriso affettuoso, che non sono in grado di ricambiare appieno. Mi mordo l’interno guancia e mi massaggio la base del collo. Mi sento incredibilmente a disagio e non so perché. Osservo Raven alzarsi e farmi segno di seguirla. Non faccio resistenza e, in silenzio, usciamo di casa e camminiamo fino all’auto. Raven imposta il navigatore e comincia a guidare verso la nostra misteriosa meta.

“Dove andiamo?” chiedo, curiosa. 

“Tua madre mi ha detto che c’è una sala prove non molto lontano da qui. Ho prenotato per tutto il giorno, c’è anche un piccolo studio di registrazione e mi hanno detto che possiamo usarlo tranquillamente.”. Ascolto distrattamente la spiegazione di Raven, mentre cerco di scrivere qualche messaggio a Finn. Non l’ho nemmeno salutato, a quest’ora saremmo dovuti essere assieme a Parigi. 

“E questo...” dice Raven, sfilandomi il cellulare di mano “non ti serve.”

“Ehi!” protesto, ma lei non me lo restituisce. “Rae, ti ricordo che posso licenziarti quando voglio.”. Mi fulmina con lo sguardo e non risponde. Abbassa il finestrino e getta il telefonino per strada. Sgrano gli occhi, incredula.

“Ma sei impazzita? Fermati!” urlo. “Raven, ti prego!” insisto. La sto supplicando, se potessi mettermi in ginocchio lo farei. Raven sospira e accosta l’auto, pur se controvoglia. Mi precipito per strada a recuperare il cellulare. Per fortuna è intatto. Faccio per risalire in macchina, quando sento qualcuno chiamarmi a gran voce. Mi volto. Una ragazza dai lunghi capelli scuri mi corre incontro, lo sguardo sconvolto. Merda, Octavia Blake, questa non ci voleva.

“Che mi venga un colpo! Griffin, ma sei proprio tu?” esclama. “Da dove sbuchi? Cosa ci fai qua? Quando sei tornata?”. Mi sento letteralmente sommersa da tutte le domande che mi pone, tanto che ho paura di affogarci. Mi volto verso Raven, in cerca di aiuto. La mia amica scende dall’auto e ci raggiunge, tendendo la mano.

“Raven Reyes, molto piacere.”

“Octavia Blake, il piacere è tutto mio. È la tua ragazza, Griffin?”. Mi trattengo dallo scoppiarle a ridere in faccia. 

“No, sono la sua assistente personale.” risponde Raven. Octavia scuote il capo, in un misto tra ammirazione ed evidente confusione. Io, lei e Lexa siamo cresciute assieme. Eravamo inseparabili, sempre pronte a cacciarci nei guai. E poi, me ne sono andata. Anche se, in tutta onestà, il nostro rapporto aveva già cominciato ad incrinarsi tempo prima.

“Beh, non mi hai ancora risposto. Da quanto sei qua?”. Dannazione, speravo si fosse dimenticata delle domande. 

“Io... Ehm... Sono qua da ieri.”

“E per quanto ti fermi? Resterai?” mi chiede, sperando probabilmente in un sì che, però, non posso darle.

“Mi fermerò solo per un mese, giusto il tempo di riposarmi un po’ e scegliere le canzoni per il prossimo album.”. Vedo lo sguardo di Octavia tingersi di delusione e la cosa mi sorprende alquanto. In fin dei conti, non ci vediamo da anni. 

“Beh, io devo andare.” taglio corto, risalendo in macchina. Sento che vorrebbe dirmi qualcosa, ma non le do il tempo di farlo. Esorto Raven a ripartire, senza darle ulteriori spiegazioni. La mia amica alza gli occhi al cielo e obbedisce, anche se mi sembra alquanto seccata da questa situazione. Quando arriviamo alla nostra meta, seguo Raven e mi guardo intorno, curiosa. Questo studio deve essere nuovo, non c’era quando me ne sono andata via. 

“Lei deve essere la signorina Reyes, vero?”. Sobbalzo. Questa voce... No, non è possibile. Mi volto lentamente, gli occhi chiusi e il cuore che mi martella nel petto.

“Clarke?”. Riapro gli occhi piano, uno alla volta. Bellamy Blake, il fratello maggiore di Octavia, nonché mio migliore amico dei tempi del liceo, se ne sta di fronte a me, più sconvolto della sorella. 

“Ciao Bell.” mormoro, imbarazzatissima. Lui se ne sta in piedi, immobile, la bocca aperta nell’assurdo tentativo di formulare una frase di senso compiuto. Raven ci guarda con fare contrito, quasi dispiaciuta per l’accaduto. Sospiro e scuoto il capo. Bellamy mi guarda come se potessi sparire di nuovo da un momento all’altro. 

“Clarke.” sussurra in modo quasi impercettibile. 

“Sì, sono io.”. Vorrei dirgli che mi dispiace, spiegargli che cosa è successo, ma non posso. Non ci riesco. 

“Da quanto sei qua? Per quanto ti fermi?”. Bellamy mi ha sempre capita meglio di sua sorella. Sa già che non resterò qui per sempre. Al contrario, non vedo l’ora che questo mese passi in fretta. 

“Sono arrivata ieri, starò a Polis solo per un mese.” dico. Bellamy annuisce e tenta di sorridermi, ma quello che ne esce è una smorfia stentata. Mi fa male vederlo così. Avanzo verso di lui e allungo la mano, terrorizzata da un suo rifiuto. Sto trattenendo il respiro e nemmeno me ne accorgo. Il tempo si ferma e si dilata all’infinito, mentre io perdo la percezione del mondo attorno a me. 

“Dio, vieni qui.” dice, capendo le mie intenzioni e abbandonandosi ad un abbraccio che si trasforma ben presto in un vicendevole cullarci fra le lacrime. 

“Mi dispiace.” bisbiglio.

“Lo so.” mi rassicura lui. 

“Io vorrei davvero spiegarti, ma...”. Non mi lascia finire. Si scosta dall’abbraccio e mi guarda dritta negli occhi. Mi carezza la fronte e mi sorride. 

“Clarke, non mi interessa ora. L’importante è che tu sia qui.”

“Grazie.” sussurro a voce bassissima. Rimaniamo abbracciati un altro po’, fino a quando Raven non si schiarisce la voce, ricordandoci della sua presenza. 

“Non voglio disturbare, ma abbiamo del lavoro da fare.” dichiara. Faccio un passo indietro, un po’ di malavoglia. 

“Rae ha ragione. A proposito, non vi ho nemmeno presentati.” 

“Non ti preoccupare, ci siamo conosciuti per telefono.” mi spiega Bellamy. “Ha prenotato a suo nome, per quello non avevo la minima idea che tu fossi qui. Vieni, ti faccio strada.”. Ci aggiriamo per l’edificio, fino ad arrivare ad una sala di registrazione. È abbastanza grande e ha tutto l’occorrente necessario, sono colpita. Perfino i microfoni sembrano migliori di certe schifezze che ho trovato a Los Angeles. 

“Ho messo su questo posto un paio di anni fa. Produco alcuni musicisti locali, di solito poi ci mollano non appena le major propongono loro un contratto vero, ma non va male direi.” racconta. 

“Hai fatto tutto questo da solo?” chiedo. Bellamy ridacchia divertito.

“Assolutamente no! Questo essere qui non saprebbe nemmeno accendere un computer, come pensi possa farcela senza di me?”. Mi volto. Un ragazzo di origine asiatica mi squadra, appoggiato alla porta. 

“Monty!” esclamo, stupita di vederlo.

“Che mi venga un colpo, Clarke!” mi corre incontro un altro ragazzo, dai capelli scuri.

“Jasper!” sospiro, mentre lascio che mi abbracci. Bellamy ci osserva, il sorriso dipinto in volto.

Monty e Jasper sono sempre stati molto legati a lui. Erano inseparabili, nonostante fossero così diversi. In particolare, Bellamy ha preso sotto la sua ala Jasper durante un periodo particolarmente delicato della sua vita. Non l’avrei mai detto, ma un po’ mi manca stare con loro. 

“Bene, mettiamoci al lavoro. Ecco il CD con le tracce, Clarke dovrà prima ascoltarle tutte, poi dovrà sceglierle e, infine, registrare la parte vocale.” ci riporta alla realtà Raven. Bellamy mi lancia un’occhiata perplessa, ma non fa domande. Inserisce il disco nel lettore, mentre Monty fa partire la prima canzone. Alle prime note, mi guardano allibiti. So cosa vogliono chiedermi. So che non riescono a capire come io sia passata dallo scrivere canzoni a cantare queste porcherie composte da altri. Arrossisco per la vergogna e chino il capo, cercando di evitare i loro occhi. Quando la seconda canzone comincia, però, non resisto oltre. Mi alzo dal mio posto e mi appoggio al muro. 

“Voglio tornare a Los Angeles.” mormoro. Raven mi posa una mano sulla spalla e mi rivolge un sorriso carico di comprensione. 

“Lo sai che non puoi, mi dispiace.”. Scuoto il capo e stringo i pugni. Bellamy, Monty e Jasper mi continuano a guardare con aria curiosa e confusa al tempo stesso. Mi volto verso di loro. 

“So cosa pensate, questa roba fa schifo anche a me.” dico. 

“E perché la canti?” chiede Bellamy, disarmante. Povero Bell, quanto la fai facile.

“Si tratta di lavoro, non posso tirarmi indietro. Inoltre, dubito che ciò che scriverei oggi possa vendere qualcosa.” rispondo. 

“Quindi scrivi ancora?” domanda lui, speranzoso. Non so nemmeno perché gli interessi. Incateno i miei occhi ai suoi. Deglutisco. Vorrei potergli rispondere di sì, lo desidero tanto. 

“No. Non ne sono più capace Bell, mi dispiace.” asserisco, infine. Annuisce non troppo convinto e riprendiamo ad ascoltare le tracce audio che Murphy mi ha dato. Forse Bellamy ha ragione, forse dovrei lasciar perdere e comporre un album tutto mio, con un’anima. Sì, sarebbe bello, ma Lightbourne mi sbranerebbe e Murphy con lui. Devo riuscire a produrre un disco che venda, questo è il proposito che ci siamo dati e devo rispettarlo. C’è da dire che, però, i pezzi che mi hanno proposto sono davvero tremendi.

“Il tipo per cui lavori lo sa che alla gente piace anche la buona musica?” insiste Bellamy.

“Senti Berry...” esordisce Raven, alquanto irritata.

“Si chiama Bellamy.” la riprende Jasper.

“Quello che è.” taglia corto lei. “Vi paghiamo per fare ciò che abbiamo chiesto, non per commentare la sua musica.”

“Ma non è la sua musica.” replica lui e, per un secondo, temo che Raven gli possa saltare addosso. Fulmino entrambi con lo sguardo e li imploro di smetterla. Monty scuote il capo e fa ripartire nuovamente la musica, anche se noto perfino in lui uno sguardo carico di giudizio. Ascolto qualche altro brano e prendo appunti, mentre noto che Bellamy è sempre più incredulo. Sospiro e lo ignoro. Fortunatamente, la pausa pranzo non tarda ad arrivare e ne approfitto per tirare un po’ il fiato.

“Abbiamo ordinato della pizza, spero vada bene.” annuncia Bellamy. Annuiamo, decisamente affamate. Addento una fetta di pizza, contenta di poter mettere del cibo sotto ai denti.

“Clarke, posso farti una domanda?”Jasper esordisce e io mi irrigidisco immediatamente.

“Basta che non riguardi la mia musica.” gli dico. 

“No, tranquilla. Ecco, non so se mi risponderai, ma volevo sapere se, almeno un po’, ti siamo mancati.”. Chino il capo. Dei tre, Jasper è sempre stato il più fragile e ho sempre temuto che la mia partenza lo avesse fatto soffrire in un modo più profondo, più radicale. 

“Oh Jas, ma certo che mi siete mancati. È che... È complicato.”. Li vedo annuire, mentre dietro di me Raven continua a mangiare la sua pizza in silenzio.

“L’hai vista?” mi domanda poi Monty e io per poco non mi strozzo con il cibo.

“Direi di sì.” commenta Bellamy. Sorrido nervosamente, pregando che cambino discorso. Sarà un lungo, lunghissimo mese.






Angolo dell'autrice

E così Clarke incontra qualche altra vecchia conoscenza. Vi dico che, a parte Bellamy, il mio intento è quello di rendere Jasper un personaggio molto importante all'interno di questa storia e già nel prossimo capitolo giocherà un ruolo importante.
Dunque, la situazione si fa piuttosto complessa, soprattutto a livello di relazioni umane. Clarke si 
ritrova scaraventata da un momento all'altro tra le persone che, per anni, ha evitato e quasi finto che non esistessero. Allo stesso tempo, sente il peso delle pressioni che arrivano da Los Angeles, pressioni di chi vuole che faccia e dica le cose in un determinato modo, pressioni che, seppur per ragioni diverse, sente anche venire da Bellamy. Insomma, sembra che tutti nutrano delle aspettative enormi ed ecco che la domanda di Jasper, in un certo senso, riporta il focus sull'unica cosa che dovrebbe interessare: il rapporto di Clarke con i suoi vecchi amici. La risposta è una non risposta, lo so, ma a poco a poco si scoprirà tutto, così come anche Lexa comparirà sempre di più.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate se vi va.

 

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Capitolo 6
*** 6.Letters To Our Former Selves ***


6.

 

I still remember that promise
I made for you that day
"You've got to be more happy in your life"
But things just aren't alright without you
(Youth Fountains-Letters To Our Former Selves)





 

Polis è rimasta esattamente come me la ricordavo. È una cittadina abbastanza piccola, al confine estremo della regione di Arkadia, nel nord del Paese. Gli inverni qui sono piuttosto rigidi, ma il paesaggio è unico. Polis è circondata da montagne e fitti boschi e con la neve diventa un luogo magico, quasi fiabesco. D’estate, invece, il sole si specchia sulle rocce, regalando uno spettacolo mozzafiato. Da piccola, adoravo andare nei boschi con mio padre. Lui e Marcus erano migliori amici e lavoravano entrambi come guardie forestali. Sono cresciuta tra la natura e mi duole constatare che sei anni a Los Angeles non sono riusciti a mitigare l’affetto che provo per questi luoghi. Nel bene e nel male, lo devo ammettere, sono parte della mia vita, nonostante tutto. Sorrido mentre penso a quando papà mi portò a Mount Weather per la prima volta. Era autunno, forse il periodo dell’anno che preferisco. Le montagne si tingono di colori incredibili e l’arancione dei tramonti si fonde con il rosso delle foglie sugli alberi, dando vita a qualcosa di unico. Sospiro e scuoto il capo. Per quanto tutto questo mi sia mancato, non sarei mai dovuta tornare qui. Certo, stare con Bellamy, Monty e Jasper in questi ultimi due giorni mi ha fatto piacere, ma non posso permettermi di riavvicinarmi a loro. È un lusso che non posso concedermi. Li ferirei ancora ed è l’ultima cosa che voglio.

“Clarke vieni, voglio presentarti una persona.” mi chiama Bellamy, riportandomi alla realtà. Non so perché mi sia lasciata convincere e abbia deciso di accettare l’invito a questa serata. Forse, nonostante tutto, ho voglia comunque di rivedere i miei amici, di sapere come stanno e cosa fanno. Seguo Bellamy in soggiorno, cercando di evitare lo sguardo degli altri. Monty se ne sta seduto sul divano accanto ad Harper, sua ragazza storica dai tempi del liceo e con cui si è sposato poco dopo la mia fuga a Los Angeles, mentre Octavia è seduta a tavola con Lincoln, uno dei vecchi migliori amici di Lexa. Non avrei mai creduto che quei due sarebbero finiti assieme, devo essere sincera. 

“Clarke, lei è Echo, mia moglie.” Bellamy mi presenta una ragazza più o meno della mia età, ma decisamente più alta e atletica di me. Le stringo la mano, un po’ a disagio. 

“È un piacere Clarke, non capita tutti i giorni di incontrare una superstar.”. Scuoto il capo, leggermente in imbarazzo.

“Sono una persona normale. O, almeno, cerco di esserlo.” asserisco, per poi cercare con lo sguardo Raven. Se ne sta in disparte, accanto a Jasper. Entrambi non spiccicano parola e risultano essere un po’ buffi. Mi chiedo come la mia amica stia vivendo questo periodo. Passare dalla vita frenetica di Los Angeles a quella più tranquilla e rilassata di Polis non è semplice per nessuno. Soprattutto per chi è abituato ad uscire ogni sera andando in giro per locali. Il rumore della porta d’ingresso che si apre mi fa sobbalzare e mi distoglie dai miei pensieri. Mi volto e penso solo al fatto che vorrei scappare. Lexa e sua cugina Anya entrano e, non appena mi vedono, si irrigidiscono. Deglutisco. Anya digrigna i denti e mi viene incontro. Indietreggio, ma non abbastanza velocemente. Anya mi raggiunge e mi afferra per il colletto della camicia, per poi schiacciarmi contro la parete. Sono nel panico. 

“Che diamine ci fa lei qui, Bellamy?” urla infuriata. Provo a divincolarmi dalla sua stretta, ma è tutto inutile. 

“Ehi, lasciala stare!” Raven corre in mio soccorso. Pessima mossa. 

“Lasciarla stare? E tu chi sei per dirmi cosa fare?” ribatte Anya. 

“An, anche io sono contenta di rivederti.” provo a farla calmare, con scarso successo. La vedo caricare il sinistro e chiudo gli occhi, preparandomi a ricevere un pugno che, però, non arriva mai. Quando li riapro, Anya è per terra e Raven sopra di lei. Alza il braccio con fare minaccioso e io non posso fare altro che fermarla. Si volta verso di me con aria confusa.

“Rae, lasciala andare.” mormoro. La mia amica non capisce, ma fa come le ho detto. Anya si alza e si ripulisce la bocca dal sangue. Si avvicina nuovamente a me, lo sguardo carico di odio. Chino il capo, piena di vergogna. 

“Mi dispiace.” sussurro. Il mio sguardo incrocia per un secondo quello di Lexa. È paralizzata, probabilmente nemmeno lei si aspettava una reazione del genere da parte di Anya. Sento le lacrime fare capolino e le mie labbra cominciare a tremare. Non mi rendo nemmeno conto di ciò che faccio. So solo che le mie gambe mi portano fuori, senza che io ne sia pienamente consapevole. Mi ritrovo in giardino, in ginocchio. Questa non è casa mia. Non più. 

 

________________

 

Sono seduta sul marciapiede che separa la casa di Bob dalla strada. Mi ritrovo immediatamente catapultata nel passato. Capitava spesso che la sera ci ritrovassimo seduti su qualche marciapiede a raccontarci storie o a guardare le stelle. Scuoto il capo. Sono tempi che non torneranno mai più. Quella Clarke non tornerà mai più.

“Ehi.”. Mi volto. Jasper. Gli sorrido mentre lo osservo sedersi accanto a me. Se Bellamy è stato il mio migliore amico, Jasper è stato per me una sorta di fratello. È una persona così fragile, ma allo stesso tempo generosa, che è impossibile non volergli bene. Un tempo suonavamo assieme, con Bellamy. Non si direbbe, ma Jasper è un batterista incredibile, dotato di uno straordinario talento. Avrebbe meritato di più che restare in questo posto dimenticato da tutti.

“Anya si è calmata e ora sta discutendo con la tua amica. Lexa e Bellamy le stanno tenendo d’occhio.”. Annuisco, persa nei miei pensieri. Alzo lo sguardo e mi mordo il labbro.

“Sai, non vedevo un cielo così spettacolare da anni. A Los Angeles c’è troppa luce.” esordisco. Jasper mi posa una mano sulla spalla. Sento che vuole dirmi qualcosa, ma che ha paura di esprimere ciò che prova in questi momento. Lo guardo, invitandolo a parlare. I suoi occhi si intristiscono improvvisamente e comincio a preoccuparmi.

“Jasper, che succede?” gli chiedo. Lo sento sospirare.

“Te ne andrai via di nuovo, vero?”. Sento un nodo in gola. 

“Jas...” 

“No, va bene, ho capito.”. Scuoto il capo e gli carezzo una guancia. Lo stringo a me. 

“Me l’avevi promesso Clarke.” mormora. “Mi avevi promesso che ci saresti sempre stata.”. Sento il mio cuore rompersi. Conoscevo le conseguenze delle mie azioni. Quando me ne sono andata, sapevo a cosa la mia decisione avrebbe portato. Eppure, è come se il peso della mia scelta mi investisse veramente solo ora. Jasper ha ragione, gli avevo promesso che ci sarei sempre stata per lui. Gliel’avevo giurato.

“Jasper, mi dispiace. Io avrei voluto restare, ma... Non potevo, capisci?”. Annuisce.

“Clarke, lo so. È solo che... Oh, insomma Monty aveva Harper, Bellamy poco dopo ha trovato Echo, Lincoln e Octavia si sono messi assieme, Lexa si è trasferita a Boston e Anya era sempre occupata e si divideva tra sua cugina e i suoi amici qui. Ma io, Clarke... Io sono rimasto solo. Tutti avevano qualcuno, ma io no, io non avevo più nessuno. Tu sei andata via e quando poi ci hai tagliati fuori io sono rimasto solo.”. Chino il capo, mentre mi sforzo di non scoppiare a piangere di nuovo. “E non te ne faccio una colpa. In fin dei conti, se ne avessi avuto la possibilità, avrei fatto lo stesso probabilmente.”

“Jasper, mi dispiace così tanto.” mormoro. 

“Già, anche a me.” afferma. “Ma spero ne sia valsa la pena.”. Lo osservo alzarsi e dirigersi verso la porta. 

“Jasper!” lo richiamo. “Non potevo fare altrimenti, lo sai.”

“Forse sì, forse no. Chi lo può sapere, Clarke? Hai semplicemente fatto una scelta, tutto qui.” replica lui, per poi sparire al di là della porta. Appoggiata al muro, Lexa mi scruta, lo sguardo indecifrabile. Non so quanto abbia sentito di ciò che io e Jasper ci siamo detti. Non ne ho idea. Mi alzo in piedi e faccio per rientrare anche io, ma lei mi blocca il passaggio. Apre la bocca per dire qualcosa, ma la richiude subito dopo. I suoi occhi verdi mi stanno implorando di darle una spiegazione, di aiutarla a capire cosa è successo. Lo vorrei tanto, Lexa. Vorrei poterti raccontare per filo e per segno perché ho tagliato chiunque fuori dalla mia vita, ma non posso. 

“Chiamo Raven e me ne vado, non ti preoccupare.” dico. È combattuta, vorrebbe fermarmi. Eppure, non protesta. Si scosta e mi permette di passare, senza dire una parola. E, mai come in questo momento, avrei preferito che mi fermasse e mi impedisse di allontanarmi da lei un’altra volta. 

 

________________

 

Sono stesa sul letto e da ore cerco inutilmente di prendere sonno. Raven è in camera sua e ronfa della grossa, esattamente come mia madre e Marcus. Sospiro. Mi metto a sedere e affondo il viso tra le ginocchia. Le parole di Jasper risuonano di continuo nella mia mente, in un loop infinito che non mi dà tregua. Solo ora tocco con mano la sofferenza che la mia fuga ha causato. Posso continuare a mentire a me stessa e fingere che non mi importi, ma non è così. Tasto il comodino, nel tentativo di trovare il cellulare. Sblocco lo schermo e faccio per chiamare Murphy. D’altronde è lui che mi ha mandata qui, merita di essere svegliato alle tre di notte da una mia telefonata. Ma chi voglio prendere in giro? Cosa voglio dirgli, che preferirei il rehab e la rovina totale della mia carriera allo stare qui? Poso il telefono sul comodino e mi alzo. La luce lunare che filtra dalle tende mi permette di girovagare per la mia vecchia camera senza troppi problemi. I miei vecchi libri e CD affiancano i giocattoli di Aden, creando uno spazio decisamente eclettico e dalle mille sfumature. Questa stanza racconta di un passato, il mio, e di un presente, quello di Aden. Non ho ancora ben capito come mai Lexa sia costretta a lasciare quel bambino qui da mia madre ogni tanto, ma sono contenta che la mia camera sia andata a lui. Osservo i disegni che ha appeso alle pareti. Ritraggono quelle che presumo essere le sue mamme, Lexa e Costia. Un’improvvisa morsa allo stomaco mi costringe a ritrarre la mano. Chissà cos’è successo e perché Lexa lo sta crescendo da sola. Mi mordo il labbro. Non ho alcun diritto di chiederglielo. Non posso. Accarezzo per un’ultima volta uno dei disegni e mi volto verso la libreria. I miei vecchi quaderni sono ancora riposti negli scaffali, come se il tempo non fosse mai passato. Ne prendo uno a caso e lo apro. Lo sfoglio, il cuore in gola. I testi di vecchie canzoni che nemmeno ricordavo di aver scritto mi travolgono, senza alcuna pietà. Ripenso a ciò che mi ha detto Bellamy qualche giorno fa. Ho perso la mia musica. Ho perso la mia casa. E, anche se mi sembrano così vicine, non sono mai state più lontane.






Angolo dell'autrice

La situazione si fa decisamente complicata. Lexa non è l'unica ad aver preso male il ritorno di Clarke e Anya ha avuto una reazione decisamente violenta. Dall'altro lato, invece, Jasper rivela i suoi veri sentimenti e come ha preso quello che è stato un vero e proprio abbandono per lui. E, inoltre, sembra sapere qualcosa che gli altri ignorano. In tutto questo, Clarke si sente sempre più persa e fuori posto. Insomma, un caos ahah. 
So che la narrazione potrebbe sembrare un po' lenta e che vorreste sapere cosa è successo sei prima e quattro anni poi, ma a poco a poco si scoprirà, promesso. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia.
A martedì!

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Capitolo 7
*** 7.Honest ***


 

7.

 

You can be honest with me now
Isn't it just what I deserve?
But you're not even honest with yourself
You never tell, I never learn
(Ira Wolf-Honest)

 

 

Sento un forte dolore al collo. Devo essermi addormentata seduta sul pavimento questa notte, una posizione che sicuramente nessun medico consiglierebbe per un riposo ottimale. Apro gli occhi piano, cercando di abituarmi alla luce solare che penetra dalle tende.

“Ciao.”. Sobbalzo, il cuore in gola e i battiti accelerati. Aden è seduto di fronte a me, uno dei miei quaderni fra le mani. Mi massaggio le tempie, mentre a poco a poco il mio respiro torna normale. 

“Tua madre non ti ha insegnato a non spaventare le persone ancora mezze addormentate?” chiedo.

“E la tua non ti ha insegnato a dormire sul letto?”. Rimango di stucco, stupita da quanta audacia possa avere un bambino così piccolo. 

“Oh... Io... Ehm...” balbetto. Mi fissa, in attesa di una risposta che non riesco a dargli. Non so ancora se sia o meno il figlio naturale di Lexa, fatto sta che mi ricorda terribilmente lei nei modi di fare. Entrambi hanno la capacità di zittire con la semplice forza del loro sguardo. Mi rialzo, un po’ a fatica. La mia schiena non deve aver particolarmente gradito rimanere appoggiata contro il letto per tutta la notte. 

“Hai l’arcosi?” 

“Ho cosa?” chiedo, non capendo cosa mi ha appena domandato. 

“L’arcosi. Mamma dice che la signora Foster ce l’ha.”. Ridacchio divertita, capendo di colpo cosa mi sta dicendo. 

“Si dice artrosi e comunque no, sono perfettamente sana.”

“La mamma dice che se hai mal di schiena vuol dire che stai seduto male e quindi diventerai tutto storto. Tu diventerai tutta storta?”

“N-no. Almeno, non penso.” rispondo, presa in contropiede da quella domanda.

“Nemmeno da vecchia? La mamma dice sempre che...”

“Okay cosino, basta così. Mi sei simpatico, ma non sono nemmeno le otto di mattina e la mia testa sta per esplodere.” cerco di zittirlo. Mi sento peggio che durante un doposbronza, da quanto parla. Lo accompagno di sotto, sperando che mia madre o Marcus non siano già andati a lavoro. Per mia somma disperazione, però, la casa è deserta. Non c’è nemmeno traccia di Raven e la cosa mi lascia alquanto perplessa. 

“Rae?” la chiamo, senza esito. Non capisco. Sto cercando di riflettere sul da farsi, quando sento qualcosa tirarmi in basso. Dimenticavo di essere con Aden.

“Che c’è?” chiedo, forse un po’ troppo bruscamente. Abbassa lo sguardo e grosse lacrime cominciano a rigargli le lacrime. Vado nel panico.

“No, no, ehi.” provo a rassicurarlo. “Sono qui. Cosa succede? Hai bisogno di qualcosa? Ti prego, smetti di piangere.”. Non risponde e io non ho la minima idea di come fare. Mi accuccio alla sua altezza e poso titubante le mani sulle sue spalle. Alza il capo e i suoi occhioni scuri mi scrutano, tristi. Gli sorrido e gli carezzo i capelli, insicura. 

“Non volevo risponderti male, mi dispiace.” mi scuso. “Mi perdoni?”. Non risponde e la paura che ricominci a piangere mi assale, ma dopo qualche secondo lo vedo annuire con convinzione e posso tirare un sospiro di sollievo.

“Dunque, dove eravamo rimasti?” domando. 

“Devo fare colazione.” comunica lui, con una timidezza che non sembrava appartenergli qualche minuto fa. Sospiro e gli prendo la mano, accompagnandolo in cucina. Lo aiuto a sedersi a tavola e gli chiedo cosa mangia di solito la mattina. 

“La mamma a casa mi scalda il latte e mi dà dei biscotti col cioccolato.” mi spiega Aden. Latte e biscotti, non sembra complicato. Mi avvicino al frigorifero e solo ora noto il bigliettino che Raven ha scritto per me. Lo leggo e spalanco gli occhi.

Ciao Clarke, Abby e Marcus sono andati al lavoro presto e io ho un’impegno alle 7:30. Aden è già sveglio, devi solo fargli fare colazione e aiutarlo a vestirsi, Lexa passerà a prenderlo alle 8:30. Ricordati di arrivare allo studio per le 9:00.
A dopo, Rae.”. 

Non riesco a crederci, mi hanno davvero lasciata da sola con un bambino di cinque anni. Scoppio a ridere istericamente, senza smettere di pensare alla reazione che Lexa avrà non appena si presenterà a quella porta e troverà suo figlio in mia compagnia. 

“Allora, me lo prepari il latte?” mi riporta alla realtà Aden.

“Uh, sì. Scusami, ora te lo scaldo.” dico. Verso il latte in una tazza e la inserisco nel microonde, per poi mettermi alla disperata ricerca dei biscotti. Dopo svariati tentativi, riesco a trovarli. 

“Et voilà!” esclamo, allungando il tutto ad Aden. Il bambino affonda la mano nel pacco di biscotti e ne tira su uno, per poi affondarlo nel latte caldo. 

“Puoi prenderli, se vuoi.”. Sospiro, un nodo in gola. Non vivevo un momento così famigliare da anni. 

“Grazie, ma normalmente non faccio colazione.”. Mi guarda perplesso e fa spallucce, rassegnandosi all’idea che, così, ne avrà di più per sé. Tutto sommato è un bambino simpatico ora che non mi pone più tutte quelle domande. Lo osservo finire di mangiare e lo aiuto a scendere dalla sedia. Saliamo al piano di sopra e mi conduce in camera di mia madre e Marcus. Solo ora realizzo che deve aver dormito con loro stanotte. In fin dei conti, con l’arrivo mio e di Raven, non ci sono più stanze libere.  

“Devo mettermi questi.” mi comunica, indicando un mucchietto di vestiti sul letto. Sono paralizzata. Non so cosa devo fare, né come. Osservo Aden svestirsi e provare ad indossare la maglia da solo, con l’unico risultato di infilare la testa nella manica. Accorro in suo soccorso e, in qualche modo, riesco ad aiutarlo a vestirsi. Controllo l’ora. Mancano dieci minuti e poi Lexa verrà a prenderlo. 

“I denti.”. Senza fiatare, lo porto in bagno e lo faccio salire su uno sgabello, in modo tale che possa arrivare al lavandino. Per fortuna sa pulirsi i denti da solo. Gli ripulisco la bocca dal dentifricio e lo asciugo. Non vivevo una mattina così faticosa dal mio ultimo tour mondiale. 

“Bene, la mamma arriverà a momenti. Che ne dici se la aspettiamo di sotto?” propongo. Annuisce e, insieme, scendiamo le scale. Una volta in soggiorno, ci sediamo sul divano, in attesa. Aden si fissa le scarpe, mentre io mi ritrovo a canticchiare senza nemmeno accorgermene.

“Hai una bella voce.” osserva.

“Grazie.” rispondo, con un sorriso. 

“Dovresti fare la cantante.”. Trattengo una risata. Dimenticavo quanto fosse bello non essere considerati solo per la propria carriera artistica. 

“Prenderò in considerazione il suggerimento.” gli prometto. Annuisce soddisfatto e torna a guardarsi le scarpe. Dopo poco, rialza lo sguardo e mi scruta, con aria interrogativa. Gli lancio un’occhiata confusa. 

“Tu non piaci alla mamma, vero?”. E ora come faccio a dargli una spiegazione?

“Ecco, non saprei...” comincio a dire, quando il campanello suona. Lexa è qui e io non so se essere grata per aver posto fine a questo momento imbarazzante o temere per la mia vita. Corro ad aprire e subito due occhi verdi mi fulminano, contrariati.

“Abby mi aveva detto di aver lasciato Aden con un adulto.” esordisce. Non replico e la invito ad entrare. Richiudo la porta alle mie spalle e mi appoggio al muro. 

“Beh, grazie di averlo preparato. Ci vediamo.”. La guardo aprire la porta e solo in questo momento realizzo che non potrò mai arrivare allo studio, dal momento che Raven se n’è andata via in macchina. Non che avrebbe fatto qualche differenza l’avermela lasciata, dal momento che mi hanno sospeso la patente. Sospiro. Non riesco a credere a ciò che sto per fare.

“Lexa, aspetta!” la chiamo. Si volta, confusa. Vorrei sparire.  

“Io... Potresti darmi un passaggio? Raven mi ha lasciata a piedi.”. Lexa rimane ferma, sconvolta della mia richiesta. Chino il capo, maledicendomi per la stupida idea che ho avuto. 

“Lexa, lascia perdere. Non so davvero cosa mi sia passato per la test-...”

“Vai a vestirti, ti aspetto qui.”. Rialzo il capo e sgrano gli occhi, non proprio sicura di aver capito bene. 

“Muoviti, prima che cambi idea.” mi esorta lei e io non me lo faccio ripetere due volte. Corro in camera mia e mi cambio in fretta e furia, per poi scendere di nuovo. Chiudo la casa e seguo Lexa alla macchina. 

“Siediti pure davanti. Accompagneremo prima Aden all’asilo e poi ti porterò allo studio.”. Annuisco e salgo in macchina senza fiatare. Il nostro viaggio fino alla scuola di Aden lo passiamo totalmente in silenzio e in un clima di tensione ed imbarazzo. Osservo Lexa accompagnare suo figlio dalla maestra e un forte senso di nostalgia mi assale, assieme alla certezza che il rapporto fra noi due non potrà mai tornare quello di prima. Ed è tutta colpa mia. Quando risale in macchina e ricomincia a guidare, devo trattenermi dal non parlare. Inaspettatamente, è lei a farlo.

“Clarke, per quanto riguarda ieri sera, sappi che mi dispiace. Sai come è fatta Anya, no?”

“Non devi scusarti di nulla, Lexa.” ribatto. “Anzi, scusami tu se sono stata con Aden stamattina, ma siamo rimasti soli e...”

“Clarke, è ovvio che in questo caso la faccenda del non parlargli e quant’altro non sia valida.” mi rassicura lei. La sento sospirare e so per certo che vorrebbe aggiungere qualcosa, eppure non lo fa. Accosta poco dopo. 

“Siamo arrivate.” annuncia.

“Grazie per il passaggio.” dico, mentre apro la portiera dell’auto. Faccio per scendere dalla macchina, quando la sento chiamare il mio nome. Mi volto. I suoi occhi verdi sono carichi di domande e io non riesco a reggere il suo sguardo. 

“Clarke, ti prego. Ti ho sentita parlare con Jasper ieri sera. Io ho bisogno di sapere.”. Mi sta supplicando e io mi sento un verme. La verità rende liberi, così dicono. No Lexa, non in questo caso. Non posso rivelarti cosa mi ha spinta quattro anni fa a tagliare completamente i rapporti che ci legavano. 

“Mi dispiace.” mormoro.

“No, io ho bisogno di sapere il perché.” insiste lei. Mi mordo il labbro. Non so dove io riesca a trovare il coraggio di guardarla dritta in faccia. 

“Farai tardi al lavoro.” 

“Non cambiare discorso. Dimmi almeno perché Jasper lo sa e io no.”. Scuoto il capo, mentre le prime lacrime cominciano a bagnarmi le guance. Le asciugo con il dorso della mano, pregando che questa tortura finisca presto.

“Ti prego.”

“Lexa, non qui e non ora. Non mi sembrano né il momento, né il luogo adatti.”

“E quando lo saranno? Clarke, sappiamo entrambe che stai semplicemente prendendo tempo per evitare il discorso. Starai qui per un mese, a stretto contatto con Aden. Ho il diritto di sapere.”. Non c’è più rabbia nella sua voce, solo una dolorosa confusione. Infilo le mani in tasca e respiro profondamente. No, non le dirò la verità. Non posso. 

“Jasper ne sarebbe uscito distrutto.” mi limito a dire. Lexa scoppia a ridere, per poi tirare una manata al volante. 

“Sei incredibile, dico sul serio. Pensi che per me sia stata una passeggiata? Per non parlare di Bellamy e Octavia o di Monty. Clarke, sei anni fa sei fuggita da questa città, ma almeno avevamo una parvenza di recapito a cui scrivere. Certo, rispondevi di rado e praticamente solo a me, eppure ti sentivamo ancora parte delle nostre vite. Ma quello che hai fatto quattro anni fa ci ha devastati. Mi ha devastata.”. Deglutisco. Non so bene nemmeno come replicare.

“Devo andare.” mi limito a dire. Scendo dall’auto e comincio a camminare velocemente verso lo studio, ignorando Lexa che mi richiama a gran voce. Non posso voltarmi, cederei. Sono talmente persa tra i miei pensieri e le mie emozioni , che nemmeno mi accorgo di Raven e le finisco addosso. 

“Clarke, ma che diavolo...”

“Grazie per la bella mattinata, Rae.” la zittisco, in malo modo. “Dimmi, dove sei finita? E come cavolo pensavi che io riuscissi ad arrivare qui senza macchina?”. Non voglio davvero trattarla così male, sono solo furiosa e schiacciata dal dialogo con Lexa. Raven si massaggia la base del collo con aria colpevole. Scuoto il capo.

“Fa niente, non mi interessa. Andiamo, abbiamo un sacco di lavoro da fare oggi.” taglio corto. E, mentre mi dirigo di gran lena all’interno dello studio, non posso fare altro che pensare a Lexa e a quei suoi grandi occhi verdi, così pieni di domande e dolore.






Angolo dell'autrice

Ben ritrovati! 
Dunque, Clarke ed Aden si incontrano di nuovo. Il bambino è un vero e proprio terremoto e diciamo che, con tutta probabilità, Clarke si aspettava una mattinata ben diversa, anche se la semplicità e l'ingenuità di Aden scalfiscono un po' quella corazza che si è costruita nel corso degli anni. Per quanto riguarda Lexa, invece, comincia ad accantonare la rabbia, necessitando di risposte che, però, la bionda non riesce ancora a darle. Lo so, anche voi vi state facendo molte domande (in primis: dov'è andata Raven?), ma a poco a poco si capirà tutto, dovete solo pazientare un po'. Intanto, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi pure sapere che ne pensate se vi va.
Vi avviso che nei giorni scorsi ho scritto una one shot Clexa, se ne avete voglia dateci pure un'occhiata, si intitola Not Alone e mi piacerebbe ricevere qualche parere.
Grazie per le recensioni e per leggere questa storia.
A martedì!

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Capitolo 8
*** 8.Find Peace ***


8.

 

There wasn't a day I didn't think of you
I had to get out before it swallowed me
I'm begging you please I want my friend back
I hardly recognize who I'm looking at
(Osatia-Find Peace)

 

 

I pranzi domenicali. Dio, li ho sempre detestati. Va bene, è una bugia. In realtà, c’è stato un tempo in cui non vedevo l’ora fosse domenica. Quando non andavamo in montagna, mio padre e mia madre cucinavano assieme mentre io passavo il tempo con Bellamy e Jasper a suonare, ignorando i continui richiami di Lexa, Octavia e Anya che ci imploravano di smettere. La porta di casa nostra era sempre aperta per tutti, in particolare per Anya, Lexa e Jasper. Tutti e tre hanno avuto un’infanzia piuttosto turbolenta e li abbiamo ospitato più volte, sin da quando eravamo tutti troppo piccoli per capire effettivamente cosa stesse succedendo. E forse è stato meglio così. Sorrido, perdendomi fra i ricordi. È stato mio padre a spingere Jasper ad imparare a suonare la batteria. Potrebbe essere una buona valvola di sfogo, gli ripeteva. Sospiro. Da quando papà è morto è cambiato tutto e le domeniche hanno perso qualunque significato. Forse è per questo che sono scappata. Avevo bisogno di significato, semplicemente.

“Clarke.”. Rigiro il telefono fra le mie mani, persa in pensieri che nemmeno io riesco bene a mettere a fuoco.

“Clarke!”. Chissà se mio padre sarebbe fiero di me. Credo di no. In questo momento, ho il sospetto che nessuno lo sarebbe.

“Clarke, per la miseria!”. Mi volto verso Raven. Non mi ero resa conto che mi stesse chiamando.

“Sì?” 

“Clarke, passeresti il sale a Marcus?” mi chiede mia madre. Non ho idea da quanto tempo stessero cercando di attirare la mia attenzione. Mi massaggio la tempia e annuisco. Allungo il sale al compagno di mia madre, fissandolo negli occhi. Marcus Kane era il migliore amico di mio padre. Non avrei mai immaginato che tra lui e mia madre potesse nascere qualcosa e non so se io sia riuscita ad accettare la loro relazione. So solo che non ha mai preteso di prendere il posto di mio padre e gli sono grata per questo. Mi ha sempre trattata come una figlia, senza volere in cambio che io lo considerassi un genitore. Mi vuole bene e io non posso di certo negarlo. In fin dei conti, c’è sempre stato per me. E, anche se non lo ammetterò mai, sa benissimo che per lui provo un profondo affetto. 

“Allora Clarke, come stanno andando i lavori per l’album nuovo?” mi chiede, curioso. Mi mordo il labbro, per poi prendere una forchettata di patate dal piatto e metterla in bocca. Mastico lentamente, lo sguardo fisso nel vuoto. Non so nemmeno cosa rispondere. 

“Clarke?” mi richiama Lexa, schioccandomi due dita davanti agli occhi e risvegliandomi da quello stato di trance. Accanto a lei, Aden sta giocando con il pupazzo di un non meglio identificato supereroe. Mi chiedo cosa ci facciano qui anche oggi, ma non esprimo i miei pensieri ad alta voce. 

“Proseguono.” dico infine, laconica. Raven scuote il capo, trattenendosi dal rivelare i suoi reali sentimenti nei confronti di quello che dovrebbe essere il mio nuovo disco e che, invece, si sta rivelando essere sempre più l’opera superficiale di qualcun altro. Un profondo senso di inadeguatezza si fa largo in me e non so come arrestarlo. Mi sento schiacciata, intrappolata in un mondo che non mi appartiene. E il problema non è Polis. Nemmeno tornare a Los Angeles potrebbe lenire questo sentimento, questa inquietudine. Mi alzo di scatto, senza guardare in faccia nessuno. 

“Scusate, io... Penso che andrò a fare una passeggiata.” mormoro. Mi dirigo velocemente alla porta, prima che qualcuno riesca a fermarmi. Una volta per strada, comincio a correre, sempre più velocemente. Non voglio fermarmi, non posso. Continuo a correre senza una meta, fino a quando i miei polmoni non implorano pietà. Sono costretta a fermarmi, contro ogni mio volere. Mi guardo intorno incredula, mentre mi siedo per terra. Senza accorgermene, sono arrivata nei pressi di Pound Creek. Non venivo qui da tantissimo tempo, è buffo che le mie gambe mi abbiano spinta fin qui. Si tratta di una piccola zona lacustre, circondata da alberi e in pace. Mi avvicino all’acqua e mi siedo sull’erba. Chiudo gli occhi e respiro a fondo, concentrandomi sul cinguettio degli uccellini e sulla brezza che mi accarezza il viso. Sono quasi riuscita ad isolarmi finalmente da tutta l’angoscia che mi circonda, quando il suono di un ramoscello spezzato mi fa sobbalzare. Mi volto. Lexa è di fronte a me, in piedi. Ha uno sguardo a metà fra il preoccupato e l’addolorato.

“Come mi hai trovata?” chiedo più acidamente di quel che vorrei.

“È semplice, ogni volta che qualcosa non andava ti rifugiavi qui.” risponde lei, avvicinandosi a me. “Posso?” mi domanda, timorosa di un rifiuto. Annuisco e la osservo mentre si sistema accanto a me. Prende un sasso da terra e lo lancia, lasciandosi sfuggire un sorriso al rumore sordo prodotto dall’incontro della roccia con l’acqua.

“Aden mi ha chiesto perché sei andata via. Non so perché, ma continua a chiamarti Quella che diventerà storta.”. Mi abbandono ad una timida risata. Non ci posso credere.

“Carino il mio nuovo nome da Sioux.” replico e anche Lexa ridacchia divertita. Di colpo, però, torna seria. Mi scruta, gli occhi incatenati ai miei, come se avesse paura che io possa scappare via di nuovo. E no, non sto parlando del pranzo.

“Clarke.” mi chiama e io non posso fare altro che deglutire, spaventata dalle parole che stanno per lasciare la sua bocca. Mi focalizzo sui suoi occhi. Non me li ricordavo così verdi. 

“Clarke.” mi chiama nuovamente. Scuoto il capo, ritornando alla realtà.

“Lexa, io...” balbetto, senza avere in realtà una benché minima idea di cosa dire. La osservo mentre allunga la mano, per poi posarla dolcemente sul mio ginocchio destro. 

“Clarke, non voglio sapere perché sei sparita. Capisco che deve essere successo qualcosa di sconvolgente e doloroso e immagino che parlarne con me sia l’ultima cosa che vuoi. So di aver reagito malissimo quando ti ho rivista qualche giorno fa, ma fidati di me se ti dico che mi piange il cuore saperti in queste condizioni.”. Inarco le sopracciglia, fingendo di non capire.

“Quali condizioni?” faccio la finta tonta. Lexa alza gli occhi al cielo e scuote il capo.

“Clarke, non ti ho mai vista così triste e ci conosciamo da quando avevamo tre anni. Cosa ti è successo? Bellamy mi ha detto che non scrivi nemmeno più canzoni.”

“Beh, Bellamy può farsi i fatti suoi. Oltretutto, non potrebbe parlare dell’album, Raven gli ha fatto firmare un contratto in cui gli viene imposto il silenzio.”. Lexa mi osserva, forse per capire se sta davvero parlando con me. Si lascia sfuggire una risata carica di nervosismo. 

“E cosa vuoi fare? Denunciarlo? Multarlo? Clarke, non ci interessa dell’album, siamo semplicemente preoccupati per te. Sparisci per anni e ti ripresenti qui, costretta dalla tua casa discografica, dopo aver rischiato di morire su un’auto rubata, probabilmente strafatta di chissà cosa. E non fare quella faccia, i telegiornali esistono anche qui a Polis. Tua madre non riusciva a smettere di piangere quando ha visto la notizia.”.  Chino il capo e mi metto a giochicchiare con l’erba. Lo rialzo e mi volto verso l’orizzonte. Il sole si specchia nell’acqua, facendo fondere cielo e terra. 

“Clarke, ti prego.” mi richiama nuovamente Lexa. Mi sento in trappola. Decido di giocare la carta del silenzio, nella speranza che Lexa mi lasci in pace. Sfortunatamente, non è nei suoi piani.

“Clarke, che cosa sta succedendo?”. Basta chiedermelo, maledizione. Mi giro verso di lei, brusca. 

“Dov’è Costia?” Domando letteralmente dal nulla. 

“Scusa?”

“Proverò a rispondere alle tue domande se tu risponderai alle mie. Dov’è Costia e perché non sei a Boston?”. Lexa spalanca gli occhi e mi guarda, sconvolta. “Non è così facile aprirsi, eh?” La provoco, un ghigno dipinto sul mio viso. Al contrario delle mie previsioni, però, Lexa non si scompone minimamente, né si arrabbia. I suoi occhi verdi continuano a fissarmi, carichi di delusione. La capisco, mi guarderei nella stessa maniera. Anzi, è esattamente questo il modo con cui mi considero ogni giorno. Sospira e si alza in piedi. Non comprendo le sue intenzioni e, in un primo momento, sono convinta che se ne voglia andare, ma poi la vedo chinarsi e prendere un ciottolo. Lo lancia in acqua e lo fa rimbalzare. Uno, due, tre, quattro, cinque saltelli. Impressionante. 

“Costia è morta.” confessa infine, in un sussurro. Mi irrigidisco, sconvolta da quelle parole. Alzo lo sguardo, fino ad incrociare i miei occhi con i suoi. Mi rivolge un sorriso nervoso, mentre si infila le mani in tasca e si dondola sulle gambe avanti ed indietro. 

“Lexa, io non immaginavo che...”. Mi fa segno di tacere.

“Non importa. Non potevi saperlo. È successo otto mesi fa. Avevamo adottato Aden da relativamente poco quando lei ha scoperto di avere il cancro. Conosco Abby da una vita e le ho chiesto se potesse seguirla, così ci siamo trasferiti qui. Anya non ha una casa abbastanza grande, così tua madre ci ha proposto di stabilirci da lei, ma quando poi Costia è morta ho deciso di cercare qualcosa per me e Aden. Non c’era più nulla che mi legasse a Boston, non avrebbe avuto senso sottoporre mio figlio ad un ulteriore trasloco. Come sai, lavoravo con Costia come sua segretaria, quindi non ho avuto altra scelta se non quella di mettermi a cercare qualcosa di nuovo. Ho trovato un posto al locale di McReary, quello verso la statale, anche se mi caricano di turni notturni. Per quello Aden resta spesso a dormire da Abby, Anya gestisce insieme a Lincoln una palestra e i suoi orari mattutini non sono esattamente a misura di bambino. E poi, ormai quella di tua madre è diventata nuovamente una seconda casa. A volte mi sembra di essere tornata a quando eravamo piccole, solo che tu non ci sei più. E la cosa mi dispiace, davvero.”. Sono immobile, completamente scioccata dal racconto di Lexa. Quante cose mi sono persa in tutto questo tempo? Perché non mi ha scritto per dirmi cos’era successo? No, anche volendo non avrebbe avuto senso. Mi sento all’improvviso così piccola e meschina. 

“Mi dispiace.” mormoro. 

“Non importa.” risponde lei, facendo spallucce. “Non avresti potuto farci nulla.”. Mi alzo in piedi e mi metto di fronte a lei. Allungo con timidezza le braccia e, titubante, la stringo a me. Mi era mancato poterlo fare, solo il cielo sa quanto. 

“Mi dispiace.” le ripeto. “Vorrei poterci essere stata.” le confesso. Non replica, semplicemente appoggia la testa sulla mia spalle e si lascia cullare, mentre io le canticchio una melodia improvvisata. 

“Non mi dirai cos’è successo quattro anni fa, vero? E nemmeno perché sei così triste, scommetto.” dice poi, all’improvviso. Faccio segno di no col capo. Non sono ancora pronta, mi dispiace Lexa.

“Vorrei essere forte come te.” asserisco. “Ma non ci riesco.”. Si scosta dal mio abbraccio e mi guarda negli occhi. Mi accarezza la fronte e mi sistema una ciocca di capelli dietro alla testa. Mi sorride, con affetto. Mi chiedo come sia possibile, dopo tutto quello che le ho fatto. 

“Non ho detto tutto a Bellamy.”. Mi lancia un’occhiata confusa. 

“Cosa intendi dire?” chiede. Mi mordo il labbro e alzo lo sguardo verso il cielo. Non c’è una nuvola e il tempo è meraviglioso.

“Io... Non è vero che ho smesso di scrivere perché non ho più l’ispirazione. È che la casa discografica pensa che non siano canzoni che possano fare successo. Lightbourne sostiene che siano troppo tristi e poco spensierate. La gente ascolta la musica per non pensare, Griffin, mi continua a ripetere. E così ho smesso di proporle e farle ascoltare a qualcuno. Mi sono convinta che fosse meglio smettere di scrivere e, a poco a poco, ho realizzato di non essere più in grado di farlo.”. Lexa mi accarezza una guancia, un gesto che faceva spesso quando eravamo ragazzine e io ero triste. Ironico, lei ha avuto una vita molto più difficile della mia, eppure tra le due quella che veniva consolata più spesso ero io.

“Se mai vorrai farmi ascoltare qualcosa, io sono qui.” sussurra. Annuisco, gli occhi ricolmi di lacrime. Ha capito, come sempre. Sa che non si tratta semplicemente di musica, bensì della mia voce. Sa che mi sono disabituata a usarla per parlare di me e affrontare la realtà che mi circonda. Non resisto oltre e l’abbraccio, chiedendomi come io sia riuscita a starle lontana per tutti questi anni. Mi abbandono alla sua stretta e mi lascio cullare, mentre un’irreale quiete ci circonda e ci chiede di permetterle di donarci un po’ di serenità. E, per la prima volta in una settimana, comincio a pensare che forse questo mese sarà meno terribile di quello che credevo.





Angolo dell'autrice

Ben ritrovati! Finalmente vi do delle risposte (ma vi lascio comunque con molte domande, lo so). Dunque, Lexa è vedova, qualcuno di voi l'aveva già intuito. E, incredibile ma vero, Clarke comincia ad aprirsi un po', anche se molto poco. E entrambe scoprono di avere ancora bisogno l'una dell'altra, nonostante tutto. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate e anche cosa credete sia successo, sono curiosa.
Grazie mille per le recensioni e per leggere e seguire questa storia, a martedì!

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Capitolo 9
*** 9.Bad Habit ***


9.

 

I can't break this bad habit
Cause this habit is breaking me
(The Secret Sisters-Bad Habit)

 

 

 

“No Clarke, ti prego. Tra tutte, questa è la peggiore.”

“Bell, sarebbe perfetta come singolo.” ribatto, nervosa. Finito l’ascolto di tutte le tracce datemi da Lightbourne, ora arriva la parte più difficile. Devo sceglierne dodici e non so davvero decidermi. Se dipendesse da me, nessuna di queste canzoni entrerebbe in un mio disco. Non ce n’è una che rispecchi esattamente i miei sentimenti e la mia visione della vita. Nessuna di esse parla di me. In fondo, però, va bene così. Parlare di sé stessi è fin troppo faticoso e doloroso. Scuoto il capo. Mi manca poter essere sincera. Non nei confronti degli altri o dei fan, no. Mi manca poter essere sincera nei confronti di me stessa. 

“Forse se cambiamo la parte strumentale e aggiungiamo un po’ di chitarra elettrica, diventa decente.” propone Jasper, riportandomi alla realtà. 

“Jas, questa roba non diventerà una buona canzone nemmeno se la riscrivesse da capo Joni Mitchell in persona.” replica Bellamy. Sbuffo.

“Ragazzi, so che non vi piace e che di solito non lavorate su pezzi del genere, ma questa canzone ha le potenzialità per diventare una hit ed è questo a cui devo puntare.” asserisco. Comincio a non poterne più. In fin dei conti, stiamo parlando del mio disco, Bellamy non ha il diritto di interferire in questo modo. Dietro di noi, Monty e Raven se la spassano, divertiti dalla nostra discussione. Sono contenta che la mia amica stia riuscendo ad ambientarsi, temevo che si sentisse fin troppo a disagio. Al contrario, ho il sospetto che si stia perfino vedendo con qualcuno.

“Io la penso come Clarke, in fin dei conti ha un bel ritmo e un ritornello che funziona.”

“Jasper, questa canzone non parla di niente!” sbotta Bellamy, lanciando in aria i fogli su cui è scritto il testo. Mi lascio sfuggire una risata. Devo ammetterlo, lavorare con Bell e Jasper mi era mancato.

“Sei sempre il solito. Anche quando suonavamo insieme e i pezzi non ti piacevano lanciavi in aria di tutto.” osservo.  Bellamy mi sorride e annuisce, per poi però farsi serio pochi secondi dopo. 

“Già, ma un tempo lanciavo in aria i tuoi pezzi.” realizza, amaramente. Inizio ad essere stanca di questa storia. Mi alzo di scatto dalla sedia e, senza dire una parola, mi dirigo alla porta, furiosa.

“Clarke, aspetta! Io non intendevo...” prova a fermarmi Bellamy, inutilmente. Esco dallo studio e respiro l’aria fresca a pieni polmoni. Vorrei prendere a pugni qualcosa in questo momento. 

“Clarke.” mi richiama Raven. Mi volto, abbastanza di controvoglia. Dietro di lei, Jasper mi sorride e mi fa un cenno con la mano. Sospiro, aggiustandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio. 

“Ho bisogno di fare una pausa. Andiamo a pranzo?” propongo. 

“Monty ha comprato dei panini.”

“Non ho voglia di panini, Rae. Dai, andiamo a farci un giro io e te. Ci farebbe bene staccare completamente per qualche ora.”  insisto. Raven si morde l’interno guancia, indecisa sul da farsi. Lancia un’occhiata interrogativa a Jasper, che ci fa segno di andare senza problemi. 

“A Bellamy ci penso io.” ci rassicura. 

“Grazie Jas. Ci vediamo dopo.” lo saluto e faccio cenno a Raven di seguirmi. Saliamo in macchina e le indico la strada per il centro. Parcheggiamo e la guido ad una piccola tavola calda che si affaccia sulla strada principale. Era proprio come me la ricordavo. Apro la porta e lascio che i ricordi riaffiorino, uno ad uno. In questo momento ho quindici anni e sto venendo a prendere una cioccolata insieme a Lexa ed Octavia. La scuola è finita da una mezz’ora e il freddo è pungente, ma il calore di questo posto è così accogliente. Ci sediamo al tavolo e aspettiamo che Gustus, il padrone del locale, ci porti le cioccolate. Siamo felici e così spensierate. Scuoto il capo. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quei giorni. È cambiato tutto. Noi siamo cambiate. E, a volte, mi chiedo se il mio passato non sia stato altro che un sogno ad occhi aperti che, ad un certo punto, si è trasformato in un orribile incubo. 

“Guarda guarda chi è tornato all’ovile. Griffin, da quanto tempo.” mi accoglie un uomo alto e grosso, dai capelli lunghi e una folta barba scura. Accanto a lei, una donna atletica, dalla carnagione scura e i capelli corti mi squadra dall’alto in basso, gli occhi carichi di giudizio. Gustus McFarrel e sua moglie Indra, rispettivamente il proprietario del locale in cui siamo e il coach della squadra di basket femminile del liceo della città. Io e Lexa avremmo consumato paia e paia di scarpe in quella palestra per colpa sua. 

“Griffin, sei tornata.” esordisce. Deglutisco. Indra ha sempre avuto questa incredibile capacità di mettermi in soggezione e farmi diventare un agnellino. Non è una cattiva persona, anzi. Per certi versi, la considero una di famiglia. Dopo la morte di mio padre mi ha presa sotto la sua ala e, se non fosse stato per la musica e il basket, avrei fatto una brutta fine. Non che ora io sia messa meglio.

“Indra, io...” provo a dire, ma mi fa segno di tacere. Mi passa accanto e mi lancia un’occhiata carica di delusione. Chino il capo, incapace di sostenere il suo sguardo.

“Non ti ricordavo così.” si limita a dire, per poi dirigersi verso la porta. La osservo uscire, scioccata. 

“E quella chi diamine era?” chiede Raven, sconvolta quasi quanto me.

“Il mio coach del liceo.” mormoro. Dietro di me, Gustus si schiarisce la voce e ci chiede se vogliamo accomodarci da qualche parte. Annuiamo e ci sediamo ad un tavolo abbastanza lontano dall’ingresso. Consultiamo i menù, affamate. Lo so, avrei una dieta da seguire, ma in questo momento proprio non mi interessa. Devi essere in forma Griffin, questo è il mantra di Lightbourne. Per carità, esibirsi durante un tour non è una passeggiata, ma la realtà è che a nessuno mi ha mai spiegato cosa voglia dire essere in forma. Insomma, mi impongono di essere il più magra possibile, ma allo stesso tempo nessuno mi ha mai impedito di rovinarmi con alcol e droghe. La verità è che a nessuno è mai interessato di me negli ultimi anni, a parte Raven e Murphy. E, ovviamente a...

“Clarke.” mi chiama una voce, riportandomi alla realtà. Mi volto. Octavia si dirige spedita verso me e Raven, seguita da Lexa e sua cugina. Alla vista di Anya, mi irrigidisco, memore della serata di qualche giorno fa. 

“Non ti preoccupare Griffin, se avessi voluto farti del male, saresti già in ospedale.”

“Anya!” la riprende Lexa. Raven mi stringe la mano, per calmare il mio ormai sempre più evidente stato di panico.

“Possiamo sederci?” chiede Octavia. Annuisco, consapevole del fatto che non ho alternative. Le tre si sistemano accanto a noi, senza farsi alcun problema. Lexa mi prende il menù dalle mani e lo scorre con il dito, un gesto che faceva spesso quando sapeva già cosa scegliere, ma non voleva farlo capire. Mi stupisco di come certe cose non siano affatto cambiate.

“Allora ragazze, avete deciso?” ci domanda Gustus, un blocchetto e una penna in mano. 

“Per me e Anya il sandwich della casa.” risponde Octavia. 

“Per me un’insalata senza formaggio, grazie.” dichiara Raven. Gustus si appunta le ordinazioni e poi, alzato il capo, fissa sia me, sia Lexa. Quest’ultima apre la bocca per dire qualcosa, per poi richiuderla subito dopo. Sorrido, divertita da questa scena a cui, in passato, ho assistito innumerevoli volte.

“Lexa, non dirmi che vuoi prendere di nuovo gli spaghetti con le polpette.”

“Ma sono buoni, Gustus.” protesta lei. L’uomo sospira e cede.

“Un giorno ti convincerò a prendere qualcos’altro.” dice, sorridendo. “Per te, Griffin?”. Sobbalzo. Ero così presa dal capire cosa avrebbe scelto Lexa, che non ho minimamente deciso cosa ordinare.

“Io... Uh, beh...” balbetto. “Spaghetti con le polpette anche per me.”. 

“Perfetto.” conclude Gustus, per poi recarsi in cucina e lasciarci sole. Octavia comincia subito ad attaccare bottone e a farmi un sacco di domande sulla mia vita, su Los Angeles e sul mio lavoro a cui rispondo in modo molto evasivo. Anya, invece, continua a fissarmi in cagnesco, anche se di tanto in tanto scambia qualche parola con Raven. Curioso, dato che quest’ultima gliele ha letteralmente suonate mentre eravamo da Bellamy. Anya è sempre stata così, molto protettiva nei confronti della cugina e pronta ad attaccare briga con chiunque lei ritenesse una minaccia. Entrambe non hanno avuto un’infanzia facile. Lexa ha perso i genitori quando non aveva nemmeno tre anni e la famiglia di Anya l’ha presa con sé. Le due sono cresciute assieme, come sorelle. La madre di Anya la ricordo come una persona cordiale e buona, ma il padre... Titus non è mai stata una brava persona. Non ho idea di quando abbia cominciato a picchiare Lexa, fatto sta che non appena mia madre e mio padre l’hanno scoperto, hanno fatto di tutto per strapparla alle grinfie di quel verme. Lei e Anya hanno cambiato svariate famiglie affidatarie, fino a quando il tribunale non ha deciso di affidarle stabilmente ai miei genitori, fino a quando Anya non ha raggiunto la maggiore età.

“Clarke, ma non è una tua canzone quella che stanno passando per radio?” mi chiede improvvisamente Octavia, ridestandomi dai miei pensieri. 

“Sì, è del mio secondo album, City of Light.” rispondo, con un cipiglio alquanto svogliato. Estraggo il telefonino dalla tasca dei jeans e mi metto a giochicchiare con i social. Le foto di Finn in Francia sono ovunque e io non potrei essere più nervosa. Dovrei essere lì con lui, non in questa cittadina dimenticata da Dio. Oltretutto, non si fa vivo da una settimana, non so nemmeno come sta. Anche se, a giudicare dalle ragazze che gli girano intorno, non penso se la stia passando male.

“Clarke, tutto bene?” mi chiede Lexa, notando il mio umore non proprio alle stelle. 

“Sì, io... Devo andare in bagno.” dico, alzandomi di scatto e correndo verso la toilette. Mi chiudo dentro e mi accascio al pavimento, in lacrime. Non mi sono mai sentita più sola di così. Forse dovrei semplicemente smetterla e fare buon viso a cattivo gioco. In fin dei conti, tra meno di un mese tornerò a casa e potrò ricominciare a vivere la mia vita di tutti i giorni, finalmente. Appoggio la testa al muro. Già, d’altronde non vedo veramente l’ora di ritornare in quel buco che chiamo la mia vita. Vorrei solo poter dimenticare ogni errore commesso negli ultimi sei anni, sarebbe tutto più semplice.

“Clarke.”. Sobbalzo. Lexa sta bussando ripetutamente alla porta del bagno, la voce preoccupata. 

“Clarke, stai bene? Se è per Anya, mi dispiace. Avrei dovuto immaginarlo che...”

“Sto bene, sto solo facendo pipì.” la interrompo, sperando se la beva.

“Clarke, so benissimo che non è vero. Che succede?”. Ecco, appunto. Sospiro e mi alzo in piedi. Apro la porta e lo scontro con  i due occhi verdi di Lexa mi mozzano il respiro. Mi scrutano, con un affetto a me ormai sconosciuto. Mi chiedo come possa guardarmi così, dopo tutto ciò che le ho fatto.

“Clarke? Che succede?” mi domanda di nuovo. 

“Come mai non è Raven ad avermi seguita?”. Dio, mi prenderei a schiaffi. Lexa stringe i pugni,cercando di non scomporsi più di tanto.

“Se vuoi vado a chiamarla, pensavo che...”

“No!” la fermo. Si volta lentamente verso di me, confusa da quel mio repentino cambio di atteggiamento. Sto trattenendo il respiro. Non so dare voce ai miei pensieri. So solo che in questo momento ho bisogno che lei rimanga qui, in questo bagno, con me. 

“Io sono solo molto stressata.” confesso, infine. “Tutti si aspettano qualcosa da me, che io mi comporti in un certo modo o che faccia musica come vogliono loro, sono stata costretta a tornare qui e in tutto questo Finn non mi risponde più.” spiego, tutto d’un fiato.

“Finn?”

“Finn Collins, il cantante.”. Lexa fa spallucce, segno che non ha idea di chi io stia parlando. “Beh, è il mio ragazzo. Dovrei essere con lui in Francia in questo momento e invece sono bloccata qui, in questo...”. Non riesco a finire il mio sfogo. Lexa mi posa due mani sulle spalle e mi invita a prendere un respiro profondo. Non capisco. 

“Non devi sempre scappare.” mi dice. Vorrei scoppiare a ridere per poi urlare e, invece, non faccio niente. Resto imbambolata, quasi ferita da quelle parole. So che se replicassi non sarei minimamente credibile. 

“Torniamo di là?”. Annuisco, senza realmente capire cosa stia succedendo. Non devi sempre scappare, queste parole mi rimbombano in testa, pesanti. Sospiro. Facile a dirsi.

 


 

Angolo dell’autrice 

Nuovo capitolo, anche se è un po’ di passaggio. Sì, lo so, volete risposte, ma a poco a poco le avrete. Per ora, si aggiungono nuovi tasselli. Clarke ormai sta ammettendo anche a sé stessa di essere infelice. È consapevole che quella a LA non era vita, ma solo sopravvivenza. Dall’altro lato, Lexa sembra aver seppellito l’ascia di guerra in modo definitivo (al contrario di Anya) ed è chiaro che desidera solo riavere la Clarke di un tempo accanto a sé, anche se sa che non è possibile. Ed ecco che l’invito a non scappare più assume un significato enorme. Insomma, pur se a piccolissimi passi, qualcosa si sta muovendo.
Per quanto riguarda Bellamy, non odiatelo. Come Lexa, anche lui vuole solo rivedere Clarke felice, ma a differenza della prima, non riesce a capire che forzare la mano non è la soluzione giusta.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie per le recensioni e per leggere questa storia.
A martedì!

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Capitolo 10
*** 10.Survive ***


10.

 

We've all been sorry, we've all been hurt
But how we survive, is what makes us who we are
(Rise Against-Surivive)

 

 

“Ricordami perché ho accettato di seguirti.” dico acida mentre entro con Raven nel locale in cui ha deciso di portarmi.

“Dai, non fare così, i tuoi amici ci hanno invitate e sarebbe stato scortese rifiutare.”. Alzo gli occhi al cielo e non rispondo. Ho il sospetto che la mia amica abbia qualche secondo fine, devo solo scoprire cosa le frulla nel cervello. 

“Griffin.” mi saluta freddamente Anya. Alzo le mani in segno di pace e sgattaiolo via, dirigendomi al bancone. L’Azgeda è uno dei pochi locali di Polis, un pub che ha visto me e gli altri crescere durante gli anni. È qui che io, Bellamy e Jasper abbiamo cominciato ad esibirci dal vivo. Mi sembrano essere passati secoli. 

“Ehi, guarda un po’ chi si vede.”. Roan Frost, proprietario del pub. Capelli lunghi, sguardo intimidatorio e un cuore d’oro, non saprei come altro definirlo. A differenza di sua madre, lei sì che era una strega.

“L’ultima volta che ti ho vista non avevi nemmeno l’età per bere.”

“E ora invece ce l’ho. Del whisky, per favore.” ribatto.

“E whisky sia.” risponde lui, riempiendo un bicchiere e passandomelo. Bevo tutto d’un fiato e per poco non gli viene un colpo.

“Ehi, vacci piano con quello.” mi ammonisce. 

“Tranquillo, mi serve ben altro per farmi ubriacare.” lo rassicuro, anche se penso di averlo solo fatto preoccupare di più. “Cioè, voglio solo dire che reggo molto bene l’alcol, tutto qui.” cerco di smorzare la tensione. Mi guarda, non troppo convinto. 

“Allora, cosa ti porta qui a Polis? Ho visto quello che hai combinato a Beverly Hills. Dio, quella povera macchina l’hai ridotta proprio male.”

“È stata solo una serata no, tutto qui.” dichiaro. “Resterò qui per un mese per registrare il nuovo album e riposarmi un po’”. Roan annuisce e mi sorride. Fa per aggiungere qualcosa, quando due mani mi coprono gli occhi e mi attirano all’indietro. Le tocco, cercando di indovinare a chi appartengono.

“Jasper, non è divertente.” protesto. “Come stai?” gli chiedo poi. Fa spallucce.

“Ora che sei qui, sto meglio.” risponde. 

“Ruffiano.” replico, per poi voltarmi dall’altra parte e salutare Bellamy ed Echo. 

“Clarke, alla fine siete venute. Dov’è Raven?” mi chiede il mio amico e io non so risponderle. Già, dov’è?

“Io... Era qui fino ad un secondo fa.”

“Avrà trovato qualcuno, non vi preoccupate.” ci rassicura Echo e, non so perché, ho il sentore che lei sia a conoscenza di qualcosa che, invece, io ignoro completamente. Decido di lasciar perdere ed ordino un altro bicchiere di whisky che, prontamente, Roan mi serve. Notiamo Octavia e Lincoln aggirarsi per il pub e alziamo le mani, per farci vedere. In men che non si dica ci raggiungono e, a questo punto, siamo quasi al completo. Esatto, quasi. Mancano Monty e Harper.

“Non possono venire.” dichiara Bellamy, giochicchiando con il bicchiere di bourbon che ha appena ordinato. 

“Come mai?” chiedo. Bellamy si guarda intorno, ma non mi risponde.

“Beh, Harper è...” comincia a dire Lincoln, per essere immediatamente fulminato con lo sguardo da Echo. Non riesco a capire.

“Stanno bene, no?” mi preoccupo. Bellamy beve un po’ del suo bourbon e si lecca le labbra. 

“Ne sono cambiate di cose da quando te ne sai andata, Clarke.” conclude infine, con tono amaro. Mi gratto la fronte sempre più confusa, ma mi arrendo e non pongo altre domande. Ordino l’ennesimo bicchiere di whisky, ma Jasper si avvicina e me lo ruba dalle mani.

“Ehi!” protesto.

“Spiacente Clarke, ordini dall’alto.”. Inarco le sopracciglia. Oggi non riesco a seguire nessuno dei discorsi dei miei amici, non capisco se sia un mio problema o cosa.

“Ordini di Raven.” si spiega Jasper e io sbuffo. So che limitare gli alcolici non potrà farmi che bene, ma resta il fatto che Raven non ha diritto di impicciarsi così a fondo nella mia vita privata. Sospiro. No, mi sbaglio, il diritto ce l’ha eccome. Non siamo solo amiche, per lei io sono parte del suo lavoro. Se mi dovesse succedere qualcosa, lei sarebbe la prima a risponderne. 

“Su con la vita Griffin.” cerca di confortarmi Roan, nemmeno lui sa per cosa. Gli sorrido, mentre lo osservo lasciare momentaneamente la postazione e dirigersi verso il piccolo palco presente dall’altra parte della stanza. I ricordi invadono prepotenti la mia mente. Quel palco era, un tempo, la mia seconda casa. Memorie lontane e ormai nascoste nei meandri più reconditi della mia mente si affacciano, permettendomi di rivivere per qualche breve istante la mia prima esibizione in questo pub. La serata ce l’aveva procurata Monty, all’epoca autoproclamatosi manager e produttore della nostra band. Si era dovuto inventare il nome del gruppo così su due piedi perché, in realtà, non ne avevamo uno. Aveva optato per Grounders, prendendo spunto da un articolo di giornale che aveva letto cinque minuti di prima di entrare all’Azgeda. Decisamente altri tempi.

“Signore e signori, come sapete oggi è mercoledì e, come ogni settimana, chiunque voglia salire su questo palco e suonare qualcosa può farlo.” annuncia Roan, distogliendomi dai miei pensieri. “Quindi, sotto a chi tocca!”. Osservo curiosa alcuni ragazzini salire sul palco, imbracciare gli strumenti e cominciare a suonare una cover abbastanza stentata di American Idiot dei Green Day. 

“Dai, non sono male.” dichiara Bellamy, intuendo i miei pensieri. 

“Per carità, lungi da me giudicare.” ribatto. Si volta verso di me, un sorriso sghembo sulle labbra. 

“La ragazza che canta è Gaia, la figlia di Indra. Bel tipo, è in gamba. Mi ricorda te, in qualche modo. Avete la stessa grinta, la stessa ambizione. Spero solo che...”. Lo interrompo, prima che possa aggiungere altro.

“Che non si bruci come me, stavi per dire questo, vero?”

“Clarke, io non...” prova a rimediare.

“No Bellamy, tu non capisci! Hai la tua etichetta indipendente e non puoi nemmeno lontanamente immaginare cosa significhi lavorare per una major! Non esiste ciò che voglio io o ciò che io pensi sia meglio per me, ma solo ciò che porta un reale vantaggio alla casa discografica. Io devo pensare a questo, non a divertirmi o a fare quello che mi pare.” ribatto, piuttosto innervosita. Quando ci si mette, Bellamy sa essere davvero ottuso. Sbatto con violenza sul bancone il primo bicchiere vuoto che mi capita fra le mani e mi avvio all’uscita in fretta e furia. Ho decisamente bisogno d’aria.

“Clarke, aspetta...” mi chiama Bellamy, invano. Una volta fuori, cerco di incamerare quanto più ossigeno nei polmoni e calcio un cumulo di foglie ammucchiato sul ciglio della strada. Mi guardo intorno, alla disperata ricerca di Raven. Nessuna traccia di lei, chissà dove diamine si sarà cacciata. Sbuffo e faccio per rientrare, quando sento qualcuno chiamarmi per nome. Mi volto. Lexa è davanti a me e mi fissa con sguardo preoccupato, di chi sa che qualcosa non quadra, ma ha paura di chiederlo.

“Woods.” mi limito a dire, sperando che se ne vada il prima possibile e che mi lasci sola. Dimenticavo che non è nella sua natura. 

“Clarke, stai bene?”. In questa domanda c’è così tanto bisogno di sapere realmente quali siano le mie condizioni. Cosa posso rispondere? Come posso mentire questa volta? 

“Ho litigato con Bellamy.” rispondo, sorprendendo me stessa. 

“Per l’album immagino.” 

“Già, indovinato.” confermo. “Dio, non riesce proprio a comprendere. A volte non esiste ciò che tu desideri fare o diventare, ma solo ciò che è conveniente accettare. È triste, ma è così.” 

“Lo so.”. Le lancio un’occhiata carica di stupore. Mi sta forse dando ragione? 

“A volte vorrei che la vita fosse più che mera sopravvivenza.” confesso in un sussurro. La vedo voltarsi verso di me e sorridermi. Mi sento compresa, capita, una sensazione che non provavo da davvero tanto, troppo tempo.

“I nostri modi di fare possono apparire duri e insensati agli occhi degli altri, Clarke. Eppure, sopravvivere è, a volte, l’unico modo che abbiamo per sperare che, in un futuro magari non troppo lontano, le cose possano andare meglio.” dichiara, posandomi una mano sulla spalla. Rabbrividisco, non so se per le sue parole, per il venticello che si sta levando o per quel contatto inaspettato.

“Vieni dentro?” propone e io annuisco in silenzio, seguendola. Non le chiedo perché continua a sistemarsi il bavero della giacca o perché non si trova al lavoro in questo momento. Entro con lei, semplicemente, in perfetto silenzio. Sul palco ora ci sono Jasper e un ragazzino sui diciassette anni che cerca di seguire il ritmo con una chitarra che è tutto fuorché accordata. Lexa si dirige verso gli altri e io mi fermo ad ascoltare quell’improbabile duo che si sta divertendo un mondo mentre improvvisa un pezzo nato lì, sul momento. Nemmeno mi accorgo che Bellamy si è di nuovo avvicinato a me. Sbuffo e faccio per andarmene, ma lui mi ferma per un braccio.

“Bellamy, ti ho già detto tutto quello che...”

“No Clarke, scusami.”. Sgrano gli occhi. “Hai ragione, non mi sono calato nei tuoi panni. È da giorni che so solo ripeterti quanto tu sia cambiata in peggio, quanto la musica che ora fai non mi piaccia e quanto vorrei che tornassi quella di prima. Sono stato un vero idiota, perdonami.”

“Sì, lo sei stato.” asserisco, senza guardarlo in faccia. “Bell, non tornerò mai come prima. È passato tanto tempo, io non sono più quella ragazzina di sei anni fa. Sono successe molte cose e giuro che vorrei poterne parlare. Vorrei poterti spiegare perché sei anni fa me ne sono andata. Vorrei poterti dire perché quattro anni fa ho interrotto ogni tipo di contatto.”. Mi volto verso di lui e lo guardo con tutta la tenerezza che merita. “Vorrei, ma non posso.”. Fa una smorfia e scuote il capo. Non capisce. È sempre stato questo il limite di Bellamy, l’incapacità di una visione più ampia. Non è egoista, solo un po’ limitato rispetto ad alcuni aspetti.

“Qualunque cosa ti stia tormentando, spero che un giorno tu possa venirne a capo, Clarke.” mi dice, infine. Lo abbraccio, cercando di ricacciare indietro le lacrime. 

“Ti voglio bene, Bell. Davvero.”

“Anche io.” risponde. Si scosta di poco e si volta verso Jasper e il ragazzino. Ci stanno dando dentro alla grande. 

“Ti andrebbe di...”

“Vorrei Bell, ma non posso. Cantante famosa che dà spettacolo in un pub di una città minuscola, sei sicuro? Fidati, non vuoi davvero che una mandria impazzita di giornalisti assalti Polis.” gli spiego. Annuisce. 

“Dopo la chiusura.”. Lo guardo incredula. “Andiamo Clarke, suoniamo insieme per un’ultima volta.” insiste e io non posso fare altro che cedere. Mi siedo al tavolo con gli altri e passiamo il tempo a ridere e scherzare, parlando anche dei tempi andati. Ne approfitto per conoscere meglio Echo e scopro un tipo gentile e piuttosto altruista, nonostante la riservatezza. Da quel che ho capito, lei e Bellamy si sono conosciuti grazie a Roan, ma non riesco a scoprire molto di più, se non che ha avuto anche lei un’infanzia piuttosto turbolenta e che insegna matematica al liceo. Tutto sommato, mi ha presa in simpatia.

“Ehi, guarda chi si rivede!” esclama Octavia. Mi volto e vedo Anya camminare verso di noi. 

“Si può sapere dov’eri finita?” le chiede Lexa. “Quando sono arrivata non riuscivo a trovarti da nessuna parte.”

“Ho ricevuto una telefonata importante da parte di una vecchia amica dei tempi del college, tranquilla.” risponde Anya, anche se non sono per niente convinta che questa sia la verità. 

“Scusate, per caso qualcuno ha visto Raven?” domando di colpo. Comincio ad essere un po’ preoccupata, è da tutta la sera che è sparita. Anya assume un’aria strana, abbastanza indecifrabile. Sta per dire qualcosa, quando finalmente vedo la mia amica uscire dal bagno. 

“Rae, pensavo ti ti fossi sentita male! Non farlo mai più!” la rimprovero. 

“Telefonata di lavoro, scusami Griffin.” si appresta a dirmi lei. C’è qualcosa che non mi convince per nulla in tutto questo, ma non ho la forza per mettermi ad indagare ora su come Raven ha effettivamente trascorso la serata. 

“Bene signori, si chiude!” annuncia Roan. “Anche perché siete rimasti solo voi.” dichiara poi, squadrandoci uno ad uno.

“Aspetta un secondo, qualcuno qui ha fatto una promessa.” asserisce Bellamy, voltandosi verso di me. 

“Bell...” provo a fargli cambiare idea, ma è irremovibile. “E va bene.” mi arrendo, seguendo lui e Jasper sul palco. Imbraccio una chitarra e aspetto che Bellamy mi dica che intenzioni ha. Lui e Jasper si lanciano un’occhiata carica di complicità e, senza preavviso, le prime note di Survive dei Rise Against cominciano a riempire la stanza. Vorrei poterli fermare, ma so di non esserne in grado. Sorrido. Adoravo questa canzone, passavamo interi pomeriggi a suonarla.

 

Somewhere between happy and total fucking wreck
Feet sometimes on solid ground, sometimes at the edge
To spend your waking moments, simply counting time
Is to give up on your hopes and dreams, give up on your?

 

Sento un nodo in gola stringere prepotente. Ho passato esattamente così gli ultimi quattro anni della mia vita. Ho buttato via qualunque sogno, desiderio, aspirazione. Sì, sono famosa, ma conta poco quando non si è altro che una marionetta nelle mani di altri. Sono una cantante di successo solamente perché conviene a Lightbourne. Una volta che non servirò più mi butterà via e io non potrò farci nulla. Non mi resterà in mano nulla, perché in questi anni non ho fatto altro che spegnermi sempre più e lasciarmi trascinare dalla marea. Non ho coltivato niente. E non raccoglierò niente.

 

Life for you, has been less than kind
So take a number, stand in line
We've all been sorry, we've all been hurt
How we survive, is what makes us who we are

 

Ripenso a quello che mi ha detto Lexa qualche ora fa, poco prima di rientrare nel pub. La osservo mentre canto. Sopravvivere è importante, è l’unico modo che spesso abbiamo di continuare a sperare in un futuro migliore. Eppure, è come poi ci affacciamo a questo futuro che è importante. Che cosa vuoi diventare, Clarke? Chi? Chi sono io? Non lo so, questa è la verità. Non ne ho idea. Prendo in mano il microfono, con l’intenzione di gettarlo per terra e andarmene. Alzo lo sguardo. Gli occhi verdi di Lexa mi sondano e il suo sorriso appena accennato mi invita a continuare a cantare. E io non posso fare altro che obbedire. 

 

All smiles and sunshine, a perfect world on a perfect day
Everything always works out, I have never felt so great
But life isn't like this, life isn't like this 

 

No, è vero. La vita è molto di più. Per la prima volto dopo anni riesco finalmente a realizzarlo. Mi trattengo dallo scoppiare a piangere. Sono una cieca a cui viene fatto dono della vista. È da sei anni che non vivo. Sto sopravvivendo, ma senza la speranza di un futuro migliore. La verità è che non credo nemmeno che possa esisterne uno per me. E, mentre la mia voce intona le ultime note della canzone, un dubbio si insinua in me, prepotente. Forse non è ancora troppo tardi per sognarne uno.






Angolo dell'autrice 

Ben ritrovati!
Dunque, so che volete delle risposte, ma a poco a poco arriveranno, promesso. Già qui abbiamo, finalmente, Clarke che si apre un pochino di più e confessa come si sente. Non può tornare indietro e non sarà mai più come prima e forse è proprio questa la cosa più difficile da accettare per i suoi amici, soprattutto per Bellamy. Quest'ultimo si rende conto di aver caricato Clarke di ulteriori pressioni e credo sia un buon passo avanti nel loro rapporto. E poi c'è Lexa. È evidente che entrambe, a questo punto, si sono fatte carico di pesi enormi, anche se diversi e che tutte e due nascondono qualcosa l'una all'altra, Clarke rispetto al passato e Lexa rispetto al presente. Entrambe sono costrette a sopravvivere in un mondo di squali pronti a divorarle. Eppure, il desiderio di un futuro migliore pieno di vita comincia a fare capolino. O, forse, non se n'è mai veramente andato. 
Si accettano scommesse su Raven e Anya.
Grazie a tutti per le recensioni e per seguire questa storia, spero che il capitolo vi sia piaciuto.

A martedì!

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Capitolo 11
*** 11.Outlaw Pete ***


11.

 

He said, "Pete, you think you've changed, but you have not"
[...]
And whispered in Pete's ear, "We cannot undue these things we've done."
(Bruce Springsteen-Outlaw Pete)

 

Quando rientriamo a casa, mia madre e Marcus sono già tornati dal lavoro. Aden è sul divano del soggiorno che sta guardando dei vecchi corti di Tom & Jerry alla televisione, roba già datata quando ero piccola io. Non appena vede me e Raven ci sorride e ci corre incontro, in modo abbastanza goffo. È decisamente un bambino buffo, ma anche molto intelligente. Lexa è stata molto evasiva sull’adozione, probabilmente l’argomento le ricorda troppo Costia.

“Perché ci stai fissando in questo modo, piccolo uomo?” gli domanda Raven, notando l’insistenza con cui ci squadra da ormai qualche secondo. Non ci risponde e fa spallucce, per poi tornare sul divano. Io e Raven ci scambiamo un’occhiata confusa e decido di recarmi al piano di sopra,a farmi una doccia. Non è stata una giornata di lavoro troppo produttiva, purtroppo. La verità è che stiamo facendo davvero fatica a scegliere le canzoni da inserire nell’album. Non ce n’è una che canterei volentieri, è una tortura. Sospiro. Non ho scelta, lo so fin troppo bene. Eppure, questa consapevolezza non mi rende più serena. Lexa ha ragione, ho proprio toccato il fondo. Tiro una manata al muro e chiudo l’acqua. Esco dalla doccia e mi infilo l’accappatoio. Quando rientro in camera, però, per poco non mi prende un infarto. Mia madre è seduta sul letto, lo sguardo di chi non sa trovare le parole per dire qualcosa di importante.

“C’è qualche problema?” chiedo piuttosto in malo modo.

“Sì, a dire il vero tu e Raven dovreste farmi un favore.”. Le lancio un’occhiata sospettosa. “Ecco, mi solo completamente scordata di dirti che io e Marcus stasera abbiamo un’importante cena organizzata dal mio ospedale. Non posso proprio rifiutarmi di andare.”. Sgrano gli occhi, capendo subito dove vuole andare a parare. 

“Oh no, non se ne parla proprio.” 

“Clarke, ti prego. Non ha altro posto in cui stare e...”

“C’è Octavia, c’è Bellamy e ci sono Monty e Harper, perché deve chiedere sempre a voi?” obbietto. Mia madre mi guarda con l’aria di chi vorrebbe tirarmi uno schiaffo e non lo fa solo perché contrario all’uso della violenza. 

“La cena è nel forno. Oggi è giovedì, perciò deve andare a dormire presto, altrimenti non si sveglierà in tempo per la scuola domani. Di solito lo mettiamo a letto per le nove e mezza.”

“Mamma, non puoi chiedermi questo.” protesto.

“Sì che posso. E poi, prenderti cura di qualcuno per qualche ora non potrà di certo farti male.” chiude il discorso lei, senza ammissione di repliche. La inseguo fino alla porta, rendendomi conto solo in un secondo momento di essere in accappatoio.

“Ehm... Ciao Marcus.” lo saluto, imbarazzata.

“Clarke.” risponde lui, scuotendo il capo. 

“Tesoro, buona serata.” mi saluta mia madre. “E tu fai il bravo, mi raccomando.” dice poi, rivolta ad Aden.

“Mamma, ti prego, non...”. Non riesco a crederci, mi ha davvero chiuso la porta in faccia. Mi abbandono ad una risatina isterica, mentre sento Raven scendere le scale. 

“A te va bene?” le domando, con l’intento di trovare un’alleata e costringere mia madre a tornare indietro.

“Perché no? È un bambino adorabile, dopotutto. E poi è solo per qualche ora. Anche perché che cosa vorresti fare? È giovedì sera e non c’è anima viva in giro.”. È un incubo, un maledettissimo incubo. Soffoco un urlo e corro in camera a cambiarmi e ad asciugarmi i capelli. Quando torno di sotto, Raven ed Aden hanno già apparecchiato la tavola e la mia amica sta riscaldando la cena.

“Tua mamma ha fatto il pollo, sembra squisito.”

“Già.” rispondo, con fare nervoso. Prendo la pirofila dal forno e metto il cibo nei piatti, per poi sedermi e cominciare a mangiare. Dopo un minuto, però, noto che Aden mi fissa in modo piuttosto insistente..

“Che vuoi?” domando, brusca. Arriccia le labbra, in evidente disagio. Sembra quasi provare vergogna. 

“Io... Me lo puoi tagliare, per favore?” chiede infine, porgendomi il piatto. Rimango paralizzata per qualche istante, colta alla sprovvista.

“Clarke, se vuoi faccio io.” mi propone Raven. 

“No, ci penso io.” dichiaro. Prendo il piatto e taglio il pollo in piccoli bocconcini, chiedendo ad Aden con lo sguardo se vanno bene così. Annuisce e io gli restituisco la cena, soddisfatta del mio lavoro. 

“Cosa hai fatto di bello oggi?”. No Rae, ti prego, non ho le forze per fare conversazione con un bambino di cinque anni.

“Ho fatto un lavoretto per la mia mamma e ho giocato con Jordan.” racconta Aden, entusiasta. 

“Jordan? E chi è?” chiede Raven. 

“È il mio migliore amico, i suoi genitori sono zio Monty e zia Harper. Sobbalzo. Non sapevo avessero avuto un figlio. E sì che ormai vedo Monty ogni giorno. 

“E dimmi, vai mai a casa loro?” chiedo improvvisamente. Mi sto comportando malissimo, ne sono consapevole. La verità è che ho bisogno di provare che mia madre ha deciso di appiopparmi quel bambino solo per ripicca. Tuttavia, Aden mi fa segno di no con il capo e le mie certezze cominciano a vacillare.

“Come no? Di solito si va a casa dei propri amici.” osserva Raven.

“La mamma dice che zia Harper non si sente molto bene e che quindi non possiamo disturbarla.”. Non capisco, era da Bellamy e mi sembrava stesse bene. Mi do mentalmente dell’idiota non appena realizzo che potrebbe aver ereditato la stessa malattia genetica che ha ucciso sua madre. Scuoto il capo. Quante cose mi sono persa in questi anni. Proseguo il resto della cena in silenzio, abbastanza scossa da quanto ho appena scoperto. Finito di mangiare, io e Raven sparecchiamo, mentre Aden continua a raccontarci la sua giornata. Non pensavo che la vita di un bambino di cinque anni fosse così movimentata.

“Bene Aden, ti va di giocare a Uno?” propone Raven. Devo ammettere che ci sa proprio fare con i bambini. 

“Non ci so giocare bene da solo.” risponde lui. “Di solito gioco con Marcus.”. 

“Ti va di fare coppia con me?”. Non so da dove mi sia uscita un’offerta simile, fatto sta che lo vedo annuire entusiasta e sedersi accanto a me. Passiamo un’ora tutto sommato spensierata, contro ogni mia aspettativa. Erano secoli che non giocavo a qualcosa.

“Bene campione, è ora di andare a prepararsi per la notte.” dico verso le nove e venti, notando Aden sbadigliare di continuo. Lo prendo per mano e lo conduco di sopra. Lo aiuto a pulirsi i denti e a lavarsi e poi lo accompagno in camera. Mi passa il pigiama e sorrido. È adorabile, azzurro con dei pinguini sopra. Lo aiuto ad indossarlo e, infine, lo metto a letto. 

“Mi racconti una storia?”. Temevo che l’avrebbe chiesto. 

“Non sono capace, mi dispiace.” rispondo, ma lui mi lancia un’occhiataccia.

“La mamma dice che tu scrivevi canzoni che raccontavano delle storie, quindi non dire bugie. Non si dicono le bugie, la mamma lo dice sempre e...”

“Va bene, ho capito. È che... È stato molto tempo fa e io ora non...”. Mi interrompo. Aden mi fissa con sguardo supplichevole e io mi sento in trappola. Che cosa posso raccontargli? Non ho mai fatto una cosa del genere. Cerco di farmi venire in mente qualcosa, quando un’idea assurda mi coglie di sorpresa. Ma sì, potrebbe funzionare.

“Dunque, quella che sentirai non è una storia che parla di un eroe. Anzi, al contrario, il protagonista del nostro racconto è un fuorilegge di nome Pete.” comincio. Aden mima un Oh con la bocca. Ho la sua attenzione.

“Pete è un fuorilegge eccezionale, tanto che si dice abbia rapinato la prima banca quando era solo un bambino.”

“Un bambino? Come me?” chiede Aden, stupefatto. 

“Esatto, proprio come te. A venticinque anni è un esperto ladro d’auto e ruba un bellissimo cavallo.”

“Per farci i soldi?”. Gli sorrido.

“No, non lo rivendette mai. Al contrario, i due fecero tantissimi viaggi in lungo e in largo, per tutto il Paese. Almeno fino a quando non glielo rubarono, lasciandolo a piedi. A quel punto, dovette fermarsi e trovare dei ripari di fortuna.”. Aden mi esorta ad andare avanti. “Beh, una notte Pete ha una visione e decide di compiere un viaggio verso l’Ovest. Vive un sacco di avventure, per poi ritrovarsi in territorio Navajo. Sai chi sono i Navajo, vero?”. Aden annuisce e io decido di continuare. “Lì conosce una splendida ragazza e la sposa. Insieme hanno una figlia e Pete si sente felice, finalmente.”

“Finisce così?” mi chiede Aden. Gli faccio segno di no con la testa.

“No Aden. Vedi, Pete era cambiato grazie all’amore di sua moglie e di sua figlia. Aveva costruito finalmente qualcosa di buono. Eppure, a volte la gente non riesce a vedere il cambiamento che c’è in noi. Un giorno Pete incontra Dan, una sua vecchia conoscenza, che gli dice esattamente questo, gli ricorda che lui è solo un fuorilegge, nient’altro che un fuorilegge. E, a quel punto, lo aggredisce e Pete non può far altro che ferirlo. E allora comincia a pensare che è vero, forse lui non è altro che un fuorilegge. Scappa via, fino ad arrivare sulla cima di una montagna e, da allora, nessuno l’ha più visto.”. Finisco il racconto e gli rimbocco le coperte. "Ora dormi.”. Mi alzo dal letto e mi dirigo alla porta, quando lo sento chiamare il nome.

“Non penso che Pete fosse solo un fuorilegge. Lui voleva bene alla sua famiglia e non voleva fare del male al suo amico.”. Sospiro, colpita dalle sue parole.

“Sì, forse hai ragione. Forse Pete voleva solo essere libero.” dico. “Buonanotte.”

“Buonanotte.” mormora Aden di rimando, ormai già mezzo addormentato. Mi ritrovo in corridoio, di fronte ad una Raven piuttosto divertita.

Outlaw Pete di Bruce Springsteen, eh?”

“Un po’ riveduta e corretta, ma sì.” confermo. Raven ridacchia divertita e insieme ci rechiamo in soggiorno. Mi siedo sul divano, pensierosa. Era da tantissimo tempo che non percepivo la musica come una possibilità di raccontare una storia. Dio, ma cosa ne sto facendo della mia carriera? Cosa ne sto facendo della mia vita?

“Clarke? Va tutto bene?” mi chiede Raven, preoccupata. Alzo il capo, fino ad incrociare il mio sguardo con il suo.

“Rae, che cosa ne pensi della mia musica?” domando all’improvviso. La vedo sussultare, colta alla sprovvista.

“Beh, fa successo e...”

“Non ti ho chiesto questo.” insisto. Raven sospira e si massaggia la base del collo, alla ricerca delle parole giuste da dire. Non le ho mai fatto una domanda simile.

“Penso che tu sia una cantante e un’autrice straordinaria e che il tuo primo album sia un capolavoro. È così puro, onesto, così sincero. C’era qualcosa in quella musica che colpiva al cuore e che spingeva a riflettere sulla vita, sulle proprie scelte, sul mondo che ci circonda. Con tutto il rispetto che provo per te, in City Of Light non c’è nulla di ciò. È un buon disco, molto commerciale, ma è ruffiano, fatto per vendere. È scritto bene, troppo bene, in un modo così artificioso che proprio non riesco ad ascoltarlo. E, onestamente, mi dispiacerebbe saperti incidere un altro album del genere. Però so benissimo che non dipende da te, non del tutto almeno. Così come sono consapevole di ciò che hai passato in questo ultimo anno. Solo, vorrei smettessi di buttarti via.”. Non ho la forza per sostenere il suo sguardo. Affondo la testa fra le mani e scoppio a piangere. Sento un peso nel petto di cui non riesco a liberarmi.

“Io volevo... Dovevamo farlo assieme.” 

“Lo so.” sussurra Raven, ormai sedutasi accanto a me. Mi stringe a sé e mi carezza la schiena con delicatezza, cercando di calmarmi. Singhiozzo senza sosta, incapace di fermare le lacrime. 

“Mi dispiace.” mormoro. 

“Ehi, shhh, non fa niente Clarke.”. Annuisco non molto convinta e mi divincolo da quell’abbraccio. Mi asciugo le lacrime dal viso e sorrido in modo forzato, per poi alzarmi e andare in camera a cambiarmi. Davanti a me, una libreria piena zeppa di quaderni che custodiscono testi troppo a lungo dimenticati. Forse Aden ha ragione. Potrei essere più di quello che la gente si aspetta da me. Chiudo gli occhi, per poi riaprirli dopo poco. Ho voglia di essere libera, anche se solo per qualche minuto. Mi siedo per terra e prendo carta e penna. Ho bisogno di una via di fuga, per imparare a non scappare mai più. E ora so esattamente cosa devo fare.



Angolo dell'autrice

Ben ritrovati!
Dunque, Clarke sta facendo dei piccoli passi in avanti e sta prendendo consapevolezza, a poco a poco, di ciò che vuole davvero. Aden è riuscito, ovviamente in modo inconsapevole, a darle un'ulteriore spinta in questo senso. Tuttavia, i sensi di colpa e l'idea di essere destinata all'infelicità continuano a perseguitarla. Insomma, la strada è ancora bella lunga.
Grazie mille per le recensioni e per seguire questa storia. 
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** 12.But The Regrets Are Killing Me ***


12.

 

These four years
And how we say goodbye to these four years
A long goodbye with mixed emotions
Just fragments of another life
(American Football-But The Regrets Are Killing Me)

 

“Buongiorno.” mi saluta Raven, accogliendomi in cucina con un sorriso. 

“‘Giorno” rispondo sbadigliando, mentre mia madre mi allunga una tazza di caffè. Mi siedo tra Marcus ed Aden, che mi passa un biscotto. 

“Grazie, ma...”

“Ah già, niente colazione.” si ricorda lui, un po’ triste. 

“Suvvia Clarke, mangiare qualcosa non ti farebbe male.” mi rimprovera mia madre. 

“Signora Griffin...” 

“Chiamami Abby, Raven. La signora Griffin è mia suocera.”. Alzo gli occhi al cielo.

“Beh Abby, quello che volevo dire è che state combattendo una battaglia persa in partenza. Conosco Clarke da sei anni e non l’ho mai vista toccare cibo di prima mattina.” spiega Raven. Faccio una smorfia e sorseggio il caffè, pregando in un miracolo che mi aiuti a cambiare il discorso. Non so chi io debba esattamente ringraziare, se Dio o la fortuna, fatto sta che la suoneria del mio cellulare mi salva da quella imbarazzante discussione. Mi alzo da tavola e mi reco sulle scale, mentre con il dito sblocco lo schermo. 

“Murphy? Tutto bene?”

“Clarke, ciao.” mi saluta il mio agente. “Scusa l’ora, ma ho un urgente bisogno di parlarti.”. Mi siedo sui gradini di legno che portano alle camere da letto, appoggiandomi con la schiena al muro. Noto di sottecchi Raven che mi osserva preoccupata dalla cucina e le sorrido, facendole intendere che va tutto bene. 

“Murphy, dimmi pure.” lo esorto a parlare.

“Bene, ecco... Lightbourne mi ha telefonato questa notte, Clarke. Era piuttosto scocciato e si chiedeva quando avresti inviato del materiale.”. Non riesco a crederci. Scuoto il capo e tiro un pugno al muro, facendomi anche discretamente male. Soffoco un urlo di dolore e mi do mentalmente dell’imbecille.

“Clarke, tutto bene?” mi chiede Murphy, preoccupato. 

“Sì, era solo... Devo aver urtato inavvertitamente qualcosa.” mento. 

“Come vuoi, ehm... Senti, lo so che è una situazione stressante e che sei a Polis da poco più di una settimana, ma tutto quello che ti sto chiedendo è una canzone. Registra un pezzo e mandamelo, così Lightbourne sarà contento e...”

“Da quando lavoriamo così? Dio, pensavo volesse produrre l’album dell’anno, non il peggior disco del secolo.” sbotto, irritata.

“Hai delle idee migliori?”. Sì, usare i miei pezzi, ad esempio. Dovrei dirlo, dovrei farlo presente. E invece niente, me ne sto zitta e subisco, come sempre. Se non stessi morendo per il dolore, tirerei un’altra manata alla parete.

“Tu fai come ho detto, va bene? Ti chiedo solo una canzone, vedrai che andrà bene. Ora devo andare, ci sentiamo stasera.”. Non faccio in tempo a salutarlo che attacca la chiamata. Scuoto ripetutamente il capo, per poi lanciare il telefono contro il divanetto posto accanto alla porta d’ingresso. 

“Clarke!” mi richiama Raven, preoccupata. La ignoro, mentre le lacrime cominciano ad inondarmi incontrollate le guance. La mano mi fa male da impazzire e io mi sento così stanca. 

“Clarke! Che hai fatto alla mano?” Mi chiede mia madre. Prova a controllare se mi sono provocata qualcosa di serio, ma mi ritraggo. Mi sento un fallimento totale, niente male per una cantante di fama internazionale, vincitrice di vari premi tra cui due Grammy e svariati MTV Music Award. Dio, sono patetica. 

“Clarke, dobbiamo medicare quella mano.” continua a ripetermi mia madre e alla fine cedo, incapace di fare altro. La seguo in bagno e lascio che controlli che non ci sia nulla di rotto e che mi disinfetti. Nemmeno mi ero accorta di essermi provocata delle escoriazioni. 

“Clarke, stai bene?”. Sorrido, nervosa. Che cosa vuoi davvero sapere mamma? 

“Sì, certo.” rispondo. Mia madre non aggiunge nulla e mi fascia la mano, con una cura a me ormai sconosciuta. 

“Ecco qua, in qualche ora sarà già passato tutto.” mi spiega. Annuisco e sospiro, incapace perfino di ringraziarla. 

“Mamma, io...” provo a dire, ma l’arrivo di Raven mi interrompe. Tempismo magnifico, Reyes. 

“Vi lascio sole, anche perché è ora di accompagnare Aden all’asilo.”. Aggrotto la fronte, perplessa.

“Non viene a prenderlo Lexa?” chiedo, confusa.

“Non oggi, purtroppo.” risponde evasiva, per poi congedarsi definitivamente. Mi siedo sul bordo della vasca da bagno e chino il capo, incapace di sostenere lo sguardo di Raven. Nessuna delle due osa parlare, lei terrorizzata da una mia ulteriore chiusura e io da... Beh, dalla realtà, suppongo. 

“Era Murphy. Lightbourne vuole un mio pezzo entro stasera.” spiego infine, rompendo il silenzio. “Non ne posso più, Rae.” mormoro poi, alzandomi in piedi. Mi avvio verso camera mia, seguita da una Raven preoccupata e in cerca di parole giuste che, però, non esistono. Mi cambio, noncurante della sua presenza. Prendo la mia borsa e mi dirigo nuovamente al piano di sotto. Mi infilo la giacca e apro la porta.

“E ora dove vai?” 

“Ho bisogno di schiarirmi le idee, Rae.” rispondo. 

“Ma dobbiamo lavorare e tu devi incidere…” prova a protestare Raven, ma la interrompo subito.

“Dopo pranzo. Verrò a registrare dopo pranzo.”

“E quale canzone manderai a Lightbourne? Devi ancora sceglierne una!” ribatte la mia amica, nervosa. 

“Dì a Bellamy di scegliere quella che gli sembra meno peggio. Ora scusa, ma devo andare.” taglio corto. Faccio per oltrepassare la soglia, quando Raven mi blocca per un polso. Mi volto. I suoi occhi nocciola mi scrutano, in cerca di qualcosa che non so nemmeno io cosa sia. Forse risposte, forse domande. Non ne ho idea. Sospira e scuote il capo. 

“Ridammi le chiavi della macchina.” mi ordina poi, dura.

“Rae, ti prego.” la supplico.

“Clarke, non ti sto fermando. Ti sto solo ricordando che ti hanno sospeso la patente.”. Vorrei dire qualcosa, ma dalla mia bocca non esce nemmeno mezza parola. La abbraccio, stringendola forte a me.

“Grazie.” le sussurro. Le restituisco le chiavi della macchina e, ormai per strada, comincio a camminare, un passo dietro l’altro, sotto lo sguardo vagamente confuso di Raven. 

 

________________

 

Cadogan Street. Non mettevo piede qui da almeno una decina d’anni. Sono in una delle zone più povere di Polis, una lunga via che costeggia Philpott River, il fiume principale della regione. Non è molto esteso, ma è un’importante fonte di energia per le poche fabbriche della zona. La foce del Philpott River si trova sulla cima di Mount Weather, il monte più alto della valle. Da lì ridiscende i monti, lungo i boschi, per poi sfociare nel Pound Creek. Durante l’autunno è possibile ammirare i grandi banchi di salmoni che lo risalgono, per andare a deporre le uova. Non è inusuale imbattersi in qualche grizzly ed è necessario essere cauti, ma posso assicurare che il gioco vale la candela. Sorrido. Mio padre e Marcus portavano sempre me, Lexa, Anya e Jasper ad assistere alla risalita dei salmoni. Ogni anno partivamo da casa ad un orario improponibile e ci avventuravamo per il bosco, per poi montare le tende e appostarci vicino ai corsi d’acqua. Sospiro. Quei giorni non torneranno mai più, devo rassegnarmi all’idea. Percorro Cadogan Street persa fra i miei pensieri, fino a quando non arrivo a una piccola e malmessa casa gialla. Cerco un campanello, ma è staccato. Faccio spallucce e decido di bussare alla porta, ma non ricevo alcuna risposta. Forse ho sbagliato indirizzo o numero civico. Riprovo, bussando con più forza. Finalmente sento qualcuno armeggiare con la serratura. La porta si apre, rivelando una Lexa decisamente assonnata. Ha un aspetto orribile.

“Clarke, che ci fai qui?” mi chiede, sbadigliando. “Che hai fatto alla mano? E come fai a sapere dove vivo?”

“Ho letto l’indirizzo sullo zainetto di Aden.” spiego, ignorando la sua prima domanda. “Posso entrare? Io non... Non so dove altro andare.”. Lexa si guarda intorno e si massaggia il collo. Sembra imbarazzata. 

“Ehi, stai bene?” domando, preoccupata. 

“Sì, sono solo molto stanca. Sono tornata verso le cinque stanotte e in più la casa è un disastro e...”

“Va bene, ho capito. Ci vediamo, mi scuso per il disturbo.” mi arrendo. Faccio per andarmene, quando sento una mano posarsi sulla mia spalla. Mi volto. Lexa mi guarda intensamente e io non posso far altro che deglutire di fronte a quegli occhi verdi così profondi e, al contempo, malinconici. Si morde il labbro, con un fare timido che non ricordavo le appartenesse. Lexa è sempre stata piuttosto introversa, ma mai insicura. In certi atteggiamenti mi sembra irriconoscibile, ma in fin dei conti anche io sono cambiata molto in questi sei anni. 

“Clarke, entra.” mormora. 

“Sei sicura? Io non vorrei disturbarti. Insomma, non sapevo che avessi lavorato fino a così tardi e...”

“Non volevo mandarti via, Clarke. Ti prego, entra.” insiste. Annuisco e la seguo, senza fiatare. Si tratta di una casa indubbiamente molto vecchia e malmessa, che necessiterebbe di una sistemata anche all’interno. L’arredamento è spoglio più che essenziale. Ci sono a malapena qualche libreria, un vecchio divano, un tavolo e qualche sedia piuttosto malandata. No, decisamente Lexa non se la passa un granché bene. 

“Scusa il disordine, ieri non ho fatto in tempo a mettere a posto i giocattoli di Aden. Posso offrirti qualcosa? Dell’acqua, un succo, un tè?”

“Solo un bicchiere d’acqua, grazie.” rispondo, mentre mi dirigo con lei in cucina. La osservo riempirmi un bicchiere con dell’acqua corrente e passarmelo. Ringrazio e ne bevo un sorso, chiedendomi che diamine ci faccio qui. Dio, mi sento completamente fuori posto. Di colpo, i miei problemi mi sembrano così piccoli e insensati. Forse dovrei semplicemente imparare ad accontentarmi. 

“Clarke, non volevo metterti a disagio. So che non sarà come i posti che frequenti a Los Angeles, ma non me la cavo così male. È pur sempre un tetto sopra la testa.”. Accidenti a lei e alla sua capacità di capire ogni volta cosa provo e a cosa penso. 

“È solo che...” provo a dire, ma l’imbarazzo mi blocca. Lexa si massaggia la base del collo e mi sorride. 

“È che ti stai chiedendo come io sia potuta finire a vivere in questa zona della città e in una casa del genere nonostante il lavoro di Costia, dico bene?”. Annuisco, senza aprire bocca. “Beh, le cure di Costia sono risultate essere non proprio a buon mercato. Inoltre, dopo la sua morte c’è stata una disputa legale con il suo editore che ho, ovviamente, perso. Come sai lei faceva la scrittrice, ma io e Aden non vediamo un centesimo dai suoi libri. In poche parole, siamo rimasti al verde.” racconta. Le sue parole mi colpiscono come schiaffi. Non posso credere che ha affrontato tutto questo da sola.

“Perché non ti sei fatta aiutare, Lex? Mia madre, An, O, Bell e gli altri, loro darebbero la vita per te.”. E anche io, vorrei aggiungere, ma non lo faccio. 

“No Clarke, mi aiutano già tantissimo con Aden, non riuscirei a guardarli in faccia se mi dovessi far prestare dei soldi. In più Jasper non è stato bene e tra lui e la malattia di Harper ci sono state altre cose a cui pensare.”. Rimango in silenzio, intristita da quella conferma. Harper è davvero malata e non potrei sentirmi peggio di così. Sospiro. 

“Ma basta parlare di me. Perché sei qui? Sembravi piuttosto sconvolta quando ho aperto la porta.”. Di colpo, la vergogna mi assale. Con che coraggio posso parlarle del mio album dopo aver visto in che condizioni è costretta a crescere suo figlio?

“I-io... Ecco...” farfuglio, incapace di mettere in piedi una frase di senso compiuto. “Ieri sono stata con Aden. Cioè, io e Raven ci siamo occupati di lui, sì.”. Lexa mi guarda perplessa. “Oh, tu non lo sapevi.” realizzo.

“No, non lo sapevo.” dichiara. “Beh, se non altro c’era Raven.”

“Ehi! Guarda che tuo figlio mi adora.” protesto, fingendomi arrabbiata. 

“Come vuoi Griffin, come vuoi. Non mi hai ancora detto perché sei qui, però.”. Alzo le mani in segno di resa.

“Hai ragione. Vedi, Aden ieri mi ha chiesto di raccontargli una storia prima di addormentarsi e io... Beh, era da così tanto tempo che non lo facevo. E allora ho cominciato a pensare alla mia musica, a me, a quello che vorrei dire, ma che non riesco mai ad esprimere. Sono stata sveglia tutta la notte Lex, ma non ho potuto farne a meno.”. La vedo spalancare la bocca, sorpresa.

“Tu hai...” 

“Sì, ho scritto una canzone.”. Sussulto quando sento le sue braccia stringermi a sé, così inaspettate. Resto impalata, rigida, incerta di ciò che posso o non posso fare. Si accorge anche lei del disagio che sta montando in me e fa un passo indietro, sciogliendo l’abbraccio.

“Scusa io...” 

“No, non scusarti.” la rassicuro. “Scusami tu. Sono piombata qua all’improvviso per una motivazione così stupida, mentre tu...”. Questa volta è lei ad interrompermi.

“Clarke, non è una motivazione stupida e lo sai. Si tratta di te, della tua vita. Non c’è cosa più importante.”. Annuisco, incapace di replicare. “Dai, fammela sentire.”. Sobbalzo. Estraggo il cellulare dalla tasca, sotto il suo sguardo curioso.

“Quando l’ho composta era notte fonda, così ho usato un programma apposito per scrivere gli accordi di chitarra.” spiego, aprendo l’applicazione dal telefono. 

“Ingegnoso.” commenta lei, un sorrisetto sulle labbra. Sento il suo sguardo su di me e mantengo il capo chino, terrorizzata dall’idea di scontrarmi con quegli occhi verdi. Non ho idea di cosa diamine mi stia prendendo, so solo che, all’improvviso, mi sento così nuda e vulnerabile di fronte a lei. Dio, devo essere impazzita.

“Sto aspettando.” mi esorta Lexa, con un risolino. 

“Ahem, certo.”. Mi schiarisco la voce e faccio partire la base. Improvvisamente, il panico mi assale. E se non le piacesse? Se fosse patetica?

“Sai cosa? È solo una prova, non sono sicura che...”. Mi posa una mano sulla spalla e mi guarda. Deglutisco. Mi perdo completamente in quegli occhi verdi così puri, così onesti, così...

“Andrà bene.” mi riporta alla realtà. Sospiro, cercando di ritrovare un po’ di lucidità. Faccio ripartire la base e, preso un respiro profondo, comincio a cantare. Mi accorgo solo ora quanto mi sia mancato tutto questo. Chiudo gli occhi, mentre le parole scivolano fuori dalla mia bocca e, con esse, una disperata richiesta di senso e di una tregua dal dolore che mi devasta da ormai fin troppo tempo. Non so se riuscirò mai a trovare tutto ciò, ma è certo che ora mi sento più vicina alla mia meta.





Angolo dell'autrice 

Ed eccoci con un nuovo capitolo. Continuiamo a conoscere un po' di più Lexa, che non se la passa molto bene. Chiedere una mano non è semplice, anche se i motivi veri dietro al suo comportamento li vedremo fra un po'. Clarke, d'altro canto, sta cominciando a capire cosa vuole davvero e sicuramente fare la marionetta di Lightbourne non rientra nei suoi piani. E, inoltre, sta iniziando a realizzare la portata delle sue azioni, anche se naturalmente le condizioni di Lexa non dipendono da lei. 
Grazie mille per tutti i commenti e per leggere questa storia, è importante. 

A martedì!

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Capitolo 13
*** 13.And We All Return To Our Roots ***


 

13.

 

All I want
Is a little place of my own where I can rest my head
(The Forecast-And We All Return To Our Roots)

 

 

Quando Raven mi vede arrivare allo studio accompagnata da Lexa sgrana gli occhi, incredula. È appoggiata al muro accanto al portone d’ingresso e per poco non le cade il caffè di mano. Si avvicina a noi, mentre Lexa parcheggia l’auto. La osservo mentre spegne il motore e si picchietta la punta del naso, un gesto che ho sempre trovato adorabile. 

“Grazie del passaggio.” la ringrazio. Mi sorride leggermente e mi fa segno di non preoccuparmi.

“Non è stato un problema, tanto devo andare al lavoro.” risponde e, di colpo, il suo sguardo si spegne e assume un’aria triste e più malinconica del solito. Vorrei chiederle cosa succede, ma non ne ho il coraggio. Dio Griffin, sei patetica. 

“Dì ad Abby che non riuscirò a venire a prendere Aden prima di domenica. Spero di riuscire a trascorrere un po’ di tempo con lui domani dopo pranzo, ma...”

“Ehi.” la interrompo, circondandole le mani con le mie. “Va tutto bene Lex. Se c’è qualcosa che posso fare, dimmelo.”. Scuote il capo e china lo sguardo, quasi intimidita dalla mia presenza. Non comprendo questo cambio di atteggiamento così improvviso, ma ipotizzo sia per la stanchezza. In effetti, a causa mia non ha nemmeno riposato.

“Clarke, io...” comincia a parlare, ma non riesce a terminare la frase. 

“Lexa!”. Raven, il tuo tempismo continua ad essere incredibile. “Grazie per averla riportata qui, pensavo fosse scappata a Los Angeles.”

“A piedi non penso che sarei arrivata molto lontano Rae, avrei a malapena raggiunto Rockburn.” ribatto, un po’ indispettita da quella mancanza di fiducia. 

“L’ho fatto con piacere. E poi, come dicevo a Clarke, sto andando al lavoro, sarei dovuta uscire di casa comunque.”. Di nuovo quell’aria malinconica nei suoi occhi. Che cosa mi nascondi Lexa? Cos’è che ti rende così triste? 

“Beh, io devo andare o farò tardi. Ci vediamo.” mi saluta e, aperto lo sportello, scendo dall’auto. La osservo mentre se ne va, lasciandomi sola con Raven.

“E così sei andata da Lexa, uh?”. Alzo gli occhi al cielo e la ignoro, avviandomi verso l’ingresso dello studio. Se potessi, in realtà me la darei a gambe.

“Dai Griffin, stavo scherzando!”

“Lo so Rae, lo so.” la rassicuro. “Sono nervosa per la registrazione. Tu e Bell avete già scelto una canzone?”. Raven annuisce e mi allunga un foglio di carta. 

“Abbiamo pensato che Pull The Lever potrebbe essere ciò che fa al caso nostro. Non che ci faccia impazzire, ma è orecchiabile e, tutto sommato, nemmeno così terribile.” mi spiega. Non risponde e percorro in silenzio il corridoio che conduce alla sala di registrazione. Quando entro, trovo Bellamy, Jasper e Monty già pronti, ognuno ai propri posti. 

“Clarke, sei pronta? Raven e io abbiamo optato per Pull The Lever, spero che ti convinca come scelta.” mi accoglie Bellamy.

“È perfetta.” lo rassicuro. “Ma non registrerò quella canzone.”. Bellamy sgrana gli occhi, incredulo, mentre Jasper lascia scivolare le sue bacchette per terra. Raven mi guarda sconvolta e, accanto a lei, Monty resta immobile, incapace di capire cosa mi frulla nel cervello. Accenno un sorriso nervoso, come a voler tranquillizzare tutti e far comprendere loro le mie intenzioni.

“Clarke, cosa significa?” trova il coraggio di chiedermi Raven. Mi gratto la nuca, un po’ a disagio. Sei davvero sicura Clarke? Non si torna indietro poi e lo sai. Stai davvero rischiando di perdere tutto solo per... Già, per cosa? 

“Clarke?” mi richiama Bellamy. “Senti, ho esagerato in questi giorni, ma...”

“Non c’entri nulla, Bell. Ho scritto una canzone e voglio inciderla. Manderò questa a Lightbourne.”. Raven si passa una mano sul volto. Non l’ho mai vista così pallida. Abbandona Monty e mi raggiunge velocemente, prendendomi per le braccia e costringendomi a guardarmi negli occhi.

“Clarke, hai intenzione di distruggere definitivamente la tua carriera? Che cosa stai facendo?”. Le sorrido, carezzandole un polso. “Lo sapevo che avrei dovuto dare ascolto a John e portarti da uno specialista. Diamine, è evidente che hai bisogno di parlare con qualcuno, questa vena autodistruttiva ti annienterà e...”. La interrompo.

“Rae, non mi sono mai sentita meglio di così. Ho scritto una canzone, per la prima volta dopo mesi. Non ho intenzione di incidere pezzi di altri. Voglio fare un disco mio, che mi rappresenti. In fondo, non è anche per questo che siamo venute fin qui?”. 

“Beh, ha senso.” afferma Monty e Raven lo fulmina con lo sguardo. 

“Clarke, ti prego.” prova a farmi desistere. “Non farlo.”

“Sei stata tu a dirmi che la mia nuova musica non ti dice nulla, pensavo che l’idea di registrare qualcosa che esprima ciò che realmente provo potesse piacerti.” replico, confusa da quel suo passo indietro. Non capisco, fino a ieri sera sembrava che mi invitasse a tornare a scrivere musica. 

“Clarke, fidati di me se dico che in altre circostanze sarei in prima fila a sostenerti, ma qui si parla di lavoro e di impegni contrattuali.”

“Me ne frego degli impegni contrattuali!” ribatto, irritata. “Sai che lui avrebbe voluto questo per me!”. Bob, Jasper e Monty si guardano confusi, mentre Raven china il capo, addolorata. Sono stata troppo dura probabilmente, ma non ne posso più di soddisfare pressioni e aspettative. Non sono una marionetta, ma Clarke Griffin, un essere umano con dei sentimenti e dei desideri. Sento le lacrime bagnarmi le guance, nonostante i miei innumerevoli tentativi di ricacciarle indietro. Mi appoggio alla parete e mi asciugo il viso con le maniche della camicia.

“Clarke...” mormora Raven, muovendosi verso di me. Le faccio segno di restare dov’è e di non dire una parola.

“Rae, hai vinto. Su, muoviamoci.”

“Clarke, magari...” prova a placare gli animi Bellamy, inutilmente.

“No, Raven ha ragione. Pull The Lever è perfetta, ora sbrighiamoci che voglio tornare a casa presto.”. E, mentre mi accomodo al microfono, non posso non notare gli sguardi sconvolti e carichi di domande dei miei vecchi amici.

 

________________

 

Quando arriviamo a casa, non aspetto nemmeno che Raven spenga la macchina. Apro la portiera e scendo, correndo via.

“Clarke, aspetta!” mi richiama la mia amica, disperata. Mi volto. Raven mi guarda, gli occhi carichi di lacrime. 

“Per favore, riferisci a mia madre di non aspettarmi per cena.” mi limito a dire. La vedo chinare il capo e singhiozzare e in cuor mio so che dovrei rassicurarla e dirle che andrà tutto bene, ma non ce la faccio. 

“Dove vai?” trova la forza di chiedermi. Già, dove vado? 

“Faccio un giro, tornerò prima di mezzanotte.” rispondo, senza nemmeno guardarla in faccia. È alle mie spalle e continua a chiamare il mio nome, ma io la ignoro. Non ho le forze per affrontare una discussione. So perché Raven ha fatto quello che ha fatto, non sono stupida. Ha pensato alle nostre carriere e dovrei esserle grata per un gesto simile, ma la verità è che, in questo momento, la mia carriera non mi basta più e non mi rende felice. E io sono stufa di non essere felice. Senza nemmeno accorgermene, mi ritrovo nei pressi dell’Azgeda. Per un attimo, la tentazione di entrare e scolarmi qualche birra mi assale, ma cambio idea. Sospiro, infilandomi le mani in tasca. Riprendo a camminare, senza fermarmi. Sono solo le sei e mezza di sera e il sole non è ancora tramontato. Quando mi rendo conto dove sono arrivata sgrano gli occhi, incredula. Quanti ricordi mi legano a questo campetto. È ancora esattamente come lo ricordavo, solo la vernice rossa dei canestri è un po’ scrostata. Qui si sono giocate alcune delle partite più combattute a cui Polis abbia mai assistito. È qui che io, Bellamy, Octavia e Lexa abbiamo battuto quell’arrogante di Ontari Frost e la sua banda di palloni gonfiati. Questi canestri mi hanno vista crescere, letteralmente. Mio padre mi portava qui ogni sabato pomeriggio quando ero piccola. Lui giocava con i suoi amici, mentre io e mia madre lo osservavamo subire un punto dietro l’altro. Ero qui con Octavia e Lexa quando ho ricevuto la telefonata che, più di tutte, mi ha sconvolto la vita. Ero qui, quando ho scoperto che era morto. 

“Griffin, qual buon vento.”. Mi volto e sobbalzo. Indra è di fronte a me e mi sta fissando con lo stesso sguardo di chi è sia sorpreso di vederti, sia scontento di averti davanti. Sospiro. La posso capire, nemmeno a me piace ciò che sono diventata. 

“Me ne stavo andando.” dichiaro. 

“Non mi sembra di avertelo permesso.” replica lei, un sorrisetto dipinto sul volto. Non sentivo quella frase da anni. Ce la ripeteva sempre quando battevamo la fiacca e cercavamo di sgattaiolare via dagli allenamenti prima di aver terminato gli esercizi.

“Tieni, vediamo se sai ancora tirare come un tempo.” mi dice, passandomi la palla che tiene fra le mani. 

“Non penso di essere vestita nel modo giusto.” obietto, indicando la mia camicia e i miei jeans. “In più, ho una mano fasciata.”.

“La Clarke Griffin che conoscevo sapeva fare canestro sui tacchi. Ora su, non ho tutta la sera a disposizione.”

“Agli ordini.” cedo. Faccio rimbalzare il pallone per terra un paio di volte, per poi prendere la mira e lanciare. Il rumore sordo del ferro mi annuncia il mio fallimento. L’ennesimo della giornata, a quanto pare. 

“Beh, l’avevo detto che non ero vestita in modo adatto.”

“Riprova.”. Scuoto il capo, non sicura di aver capito bene.

“Indra, non...”

“Riprova.” mi ordina lei, non ammettendo repliche. Sbuffo e tiro di nuovo. Stavolta non riesco nemmeno ad avvicinarmi al canestro. 

“Riprova seriamente.”. Alzo gli occhi al cielo. 

“Indra, non ci riesco. Non gioco da anni, ho una mano fasciata e questa camicia mi blocca i movimenti. Oltre al fatto che costa duemila dollari e rischierei di rovinarla.”

“Smettila, Griffin.” mi zittisce. “Hai intenzione di riprovarci seriamente e dimostrarmi che sai ancora mirare a quel dannato canestro, o preferisci rimanere ad autocommiserarti e raccontarti di come una camicia e un paio di jeans ti abbiano impedito di tirare un pallone?”. Deglutisco. Non capisco dove voglia andare a parare, ma non ho molta scelta se non fare come dice. Mi riposiziono davanti al canestro. Faccio rimbalzare la palla per terra. Una volta, due volte, tre volte. Guardo il canestro. Piego le ginocchia, per poi slanciarmi verso quel piccolo cerchio di ferro. La palla si libra nell’aria e io la osservo mentre sbatte contro il tabellone di metallo e, infine, si infila nel canestro, fino a ritornare nuovamente per terra. Rimango a bocca aperta, stupita di ciò che sono appena riuscita a fare. 

“Niente male, Griffin.” si complimenta Indra, dandomi una pacca sulla spalla. Mi volto verso di lei.

“Perché?” le chiedo. 

“Perché vorrei poterti sapere consapevole delle tue capacità e dei tuoi desideri, Griffin.” risponde lei, in modo criptico. “Ora scusa, ma devo tornare a casa. Quando vuoi, sai dove trovarmi.” si congeda e io non posso fare altro che osservarla andarsene, mentre mi domando che cosa diavolo mi sia appena successo.

 

________________

 

“Clarke, sei qui.” mi accoglie Marcus. Mia madre è dietro di lui e mi corre incontro non appena mi vede.

“Ti ho lasciato la cena sul fornello, spero ti piaccia. Non sapevamo che saresti tornata a casa così presto però, a saperlo ti aspettavamo per mangiare.” mi dice.

“Alla fine ho... Non importa.” resto vaga. “Dov’è Raven?” chiedo. 

“Di sopra con Aden, non so bene cosa stiano facendo. Sembrava sconvolta quando è tornata, è successo qualcosa?”. Le faccio segno di non preoccuparsi.

“Abbiamo avuto una discussione, nulla di grave.” spiego. “Vado a parlarle.”. Mia madre mi sorride e mi carezza i capelli, con affetto. Mi controlla velocemente la mano, tirando un sospiro di sollievo quando constata che è a posto, e mi lascia andare. Salgo le scale e mi avventuro per il piano superiore, alla ricerca della mia migliore amica. Seguo il suono distinto della sua voce e di quella di Aden, fino ad arrivare in camera di mia madre e di Marcus. Mi nascondo dietro alla porta e li osservo, senza entrare. Sono per terra ed Aden sta disegnando, mentre Raven è intenta a parlargli di qualcosa. 

“Tu e Clarke ora non siete più amiche?” le chiede. Trattengo il respiro, un po’ spaventata dalla risposta che Raven gli darà.

“Aden, no. A volte capita litigare, anche tu e Jordan avrete dei momenti in cui non andate perfettamente d’accordo, è normale. Non potrei mai smettere di essere amica di Clarke.”

“Perché?” domanda lui. Raven si morde il labbro. 

“Perché le voglio e le vorrò per sempre bene. È una persona speciale, che ha un sacco di qualità. Vorrei solo riuscisse ad accorgersene anche lei.”. Chiudo gli occhi, trattenendomi dallo scoppiare a piangere. “E poi, dove la trovo un’amica che si mette ad origliare pensando che non l’abbia minimamente notata?”. Ridacchio ed esco allo scoperto. Aden mi saluta timidamente e io gli carezzo il capo. Mi fa segno di sedermi con loro e chi sono io per non accontentare un bambino di cinque anni? Prendo in mano un foglio e un pennarello e scarabocchio, in cerca delle parole che possano far capire a Raven quanto mi dispiace.

“Notizie da Lightbourne?” esordisco. Annuisce.

“Il pezzo gli è piaciuto, anche se lo ritiene un po’ grezzo. Ha detto che funziona e che ha potenziale per entrare in classifica, vuole solo sentirti cantare con un po’ più di convinzione.”. Scuoto il capo. Mi massaggio il collo. Ora o mai più. 

“Rae, io... Mi dispiace.”

“No, Clarke. È colpa mia, sono la tua migliore amica e non ho creduto in te.” replica Raven. 

“Hai pensato a salvarmi la carriera e io ti ho trattata malissimo.”. Mi carezza il braccio. 

“Tu meriti di essere presa sul serio, Clarke Griffin. Ecco perché ho parlato con Bellamy prima di cena. Siamo arrivati ad una conclusione che potrebbe piacerti. O, almeno, lo spero.”. La guardo curiosa. 

“Che hai combinato, Reyes?” le chiedo, il tono scherzoso. Aden ci osserva, abbastanza confuso.

“Di giorno lavoreremo al tuo disco, ma ci riserveremo una finestra di tempo per suonare ed incidere qualunque pezzo tu voglia. Certo, questo comporterà ritmi ancora più serrati, ma...”. Non la lascio finire e la stringo in un abbraccio. 

“Ti voglio bene, Rae.” le sussurro. 

“Anche io, Clarke.” risponde. Mi accorgo solo in un secondo momento che mi ha sporcato il braccio con uno dei pennarelli di Aden.

“Ehi!” protesto. 

“Mi dispiace Griffin, sei in minoranza. Aden, all’attacco!”. Comincio a correre, inseguita dalla mia migliore amica e da un bambino di cinque anni, entrambi muniti di pericolosi pennarelli colorati. E, per la prima volta dopo tanto tempo, credo di sentirmi serena.






Angolo dell'autrice 

Capitolo a conclusione di quello precedente. Purtroppo, anche se Clarke sta raggiungendo la consapevolezza di essere più di una marionetta nelle mani di Lightbourne, non è libera di fare quello che vuole. O, almeno, non completamente. Raven è costretta suo malgrado a tarparle le ali, a fermarla, a salvare la sua carriera. Ed ecco che proprio quando Clarke sta tornando a credere di non valere nulla, spunta Indra, che le fa invece intravedere il suo valore. E poi c'è Lexa, piano piano si scoprirà cosa le sta succedendo. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie per le recensioni e per leggere la storia.

A martedì!

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Capitolo 14
*** 14.More Than You Know ***


14.

 

My shoes are tied my bags are packed
I’m thinking back on these wasted years I spent finding hope in this broken mess
[…]
I’ve come too far to let myself end up this way
(For The Win-More Than You Know)

 

Felicità. Che cos’è la felicità? Beh, innanzitutto è una parola, con un significato ben preciso. In secondo luogo, è un sentimento. Infine, è qualcosa che penso di non aver mai pienamente sperimentato, se non da piccolissima. Non mi è ben chiaro se il destino di ogni essere umano siano l’infelicità e l’insoddisfazione o se, invece, non si tratti più che altro di una serie di scelte sbagliate che ci conducono all’inquietudine e all’angoscia. Nel mio caso, forse, si tratta di entrambe le cose. Non so dire esattamente quando ho smesso di essere felice. Non ne ho idea, di sicuro è successo molto prima che io perdessi mio padre. So solo che ricordo cosa si prova ad essere felici e nutro molta nostalgia per quel sentimento, ma ho paura che non lo vivrò mai più. Ho troppi pesi che mi trascinano verso il basso. È come camminare su un ponte pericolante, pronto a sbriciolarsi in mille pezzi ad ogni mio passo. Attendo solo che una di quelle assi ceda, ogni giorno. Eppure, è da due giorni che mi chiedo se non ci sia qualcosa di più per me. Non ho risposte, forse non le troverò mai, ma credo di voler provare a capirlo. In fin dei conti, non penso comunque che potrò stare peggio di così.

“Clarke, buongiorno. Tua madre è ancora a letto, ma penso si sveglierà tra poco.” mi saluta Marcus. Ha uno zaino sulle spalle e gli scarponi ai piedi.

“Porti gli altri in montagna?” gli chiedo. È una bella giornata e so bene che la scorsa domenica è rimasto a casa solo perché ero appena tornata a Polis. 

“Sei ancora in tempo per unirti a noi, Raven è già in macchina.”

“Raven?”. Annuisce e io scuoto la testa, incredula. “Ci saranno un po’ tutti, Octavia, Bellamy, Jasper, Anya...”. A sentire l’ultimo nome rabbrividisco. 

“Penso sia meglio per me evitare.” dico. Marcus sospira e mi posa una mano sulla spalla. 

“Guarda che non ti odia. Lo sai come è fatta, è solo molto protettiva nei confronti di sua cugina.”

“Sì, lo so.” mormoro. “È che mi sembrerebbe inopportuno. E poi, non vado in montagna da tanto tempo, non credo di essere in grado di sostenere una delle vostre passeggiate.”. Dio, che scusa patetica. 

“Come vuoi, ma sappi che oggi ci saranno anche Lexa ed Aden, non faremo un percorso impegnativo.”. Sgrano gli occhi. Ma che mi prende? 

“Pensavo che Aden fosse ancora qua.”

“No, è in macchina con Raven. Lexa ci raggiungerà direttamente a Nopar. Da lì prenderemo il sentiero che porta nel bosco, sarà divertente.”. Mi mordo il labbro. La proposta è allettante, non ho dubbi. Marcus mi guarda, attendendo una mia risposta. So che vorrebbe che venissi. Sospiro.

“E va bene.” cedo, infine. “Però non ho gli scarponi, né i vestiti adatti.”

“Non ti preoccupare, ti presto le mie cose.”. Mi volto. Mia madre mi rivolge un sorriso divertito, contenta probabilmente del fatto che Marcus sia riuscito a convincermi ad uscire. 

“Da quanto sei qui?” le chiedo.

“Abbastanza da sapere che ti servono un paio di scarponi. I miei sono in garage, dovremmo avere lo stesso numero, suppergiù. Per quanto riguarda i vestiti, sentiti libera di prendere quello che vuoi dal mio armadio.”. Mi mordo il labbro. Hanno vinto, decisamente. Non provo nemmeno a protestare. Sospiro. Non mi resta altro da fare che seguire mia madre in garage. 

________________


“Clarke! Non sapevamo che saresti venuta anche tu!” mi saluta Octavia, venendomi incontro.

“Già, nemmeno io.” rispondo, pentendomi subito del tono fin troppo acido che ho usato. Sospiro, mentre osservo Raven dirigersi spensierata verso il resto del gruppo e andare a salutare Anya. Penso di iniziare ad intuire dove fossero finite l’altra sera al pub e anche quale fosse l’impegno della mia migliore amica la mattina in cui Lexa mi ha dovuto accompagnare allo studio. Scuoto il capo, incredula. Dietro di me, Marcus si assicura che Aden abbia gli scarponi ben allacciati.

“Dov’è Lexa?” chiedo, notandone l’assenza. 

“Non ti preoccupare Griffin, arriverà. Non è il tipo che sparisce senza lasciare traccia, a differenza di qualcuno.”. Colpita e affondata, Anya 1-Clarke 0. Incasso il colpo e accenno un sorriso nervoso, cercando di mascherare il mio disagio. Jasper mi raggiunge e mi mette una mano sulla spalla, mentre da lontano Bellamy, Echo e Lincoln, intenti a sistemare i loro zaini, mi fanno un cenno di saluto. Faccio per dire qualcosa, quando noto una macchina verde e piuttosto scassata avvicinarsi sempre più. Il parcheggio non è dei migliori, ma nessuno pare curarsene. Lo sportello si apre e, non appena Lexa scende dall’auto, Aden le corre incontro e la stringe in un abbraccio. Lei si abbassa alla sua altezza e gli carezza il capo dolcemente, per poi schioccargli un bacio in fronte. 

“Scusate il ritardo, speravo di fare prima.”

“Non preoccuparti Lex, l’importante è che tu sia riuscita a riposarti un po’” la rassicura Bellamy. Lexa fa cenno di sì con la testa e si sistema la giacca, coprendosi il più possibile il collo. Con la coda dell’occhio vedo Anya scuotere il capo, lo sguardo carico di disappunto e preoccupazione. Ora che ci penso, anche mercoledì all’Azgeda Lexa si è sistemata il colletto della giacca. C’è qualcosa che non mi lascia tranquilla, ma so anche che non ho il diritto di porle alcuna domanda. In fondo, perché mai dovrebbe aprirsi con me, quando io con lei non ho fatto altro che chiudermi?

“Clarke.” mi richiama Jasper, schioccandomi due dita davanti agli occhi. 

“Scusate, stavo… Stavo pensando.” mormoro. Marcus mi fa segno che va tutto bene e mi invita a seguirlo.

“Truppa, in partenza!” esclama, imboccando un sentiero e addentrandosi nel bosco, seguito ben presto da tutti gli altri. Avanzo titubante, pregando che non ci siano animali pronti ad attaccarmi. Devo dire che sei anni a Los Angeles mi hanno completamente disabituata a questo tipo di ambiente. 

“Clarke, tutto bene? Non restare indietro!” si raccomanda Lexa, forse un po’ preoccupata dalla mia lentezza.

“Uh, sì, sono solo un po’ fuori allenamento.” affermo, mentre accelero il passo per raggiungerli. Improvvisamente, Aden si ferma. Si volta verso di me e allunga la mano. Non capisco, mi sta... Aspettando? I suoi grandi occhi scuri mi scrutano e mi sondano. Mi guardano, semplicemente per quello che sono. Lui, non sa chi sono, chi ero e cosa ho fatto, non mi conosce davvero. Non ha pregiudizi, non nutre rancore nei miei confronti. Eppure, tra tutti, è probabilmente l’unico che mi conosce realmente. Per lui sono Clarke, nient’altro che questo. E Dio solo sa quanto mi fosse mancata una sensazione simile. Le sue manine avvolgono le mie dita e lo sento stringersi a me. Ho un nodo in gola, ma faccio finta di nulla. Lexa mi rivolge uno sguardo carico di stupore, penso che nemmeno lei abbia ben capito cosa sia appena successo.

“Alla buon’ora Clarke, non pensavo saresti stata così lenta.” mi schernisce Raven. Alzo gli occhi al cielo e le assesto un pugnetto sul braccio. 

“Non vado a camminare da sei anni, cosa ti aspettavi?” replico poi, mentre Aden mi trascina avanti, pieno di entusiasmo. 

“Non ti piaceva più la montagna?” mi chiede.

“No, al contrario, la adoro. È solo che mi sono trasferita a Los Angeles e non sono più andata a camminare.” rispondo.

“E non potevi tornare a casa?”. Fantastico, e ora come glielo spiego? Mi giro verso Lexa in cerca di aiuto, ma Anya la ferma dal raggiungerci e mi rivolge un’occhiata che sembra urlare Ora te la cavi da sola. E pensare che un tempo eravamo grandi amiche. Sospiro. Fermo Aden e mi chino di fronte a lui. Gli sorrido, un po’ insicura. 

“Vedi Aden, a volte non è possibile tornare a casa. Non perché non lo si desideri davvero, ma perché si è consapevoli di aver bisogno di qualcos’altro.” affermo. Lo vedo corrugare la fronte, confuso.

“Come quando io e mamma non siamo tornati a Boston?”. Posso percepire lo sguardo di Lexa alle mie spalle. Mi volto. Quelle meravigliose iridi verdi sono ora ricoperte da una spessa coltre di lacrime. Lexa è appoggiata al petto di Anya e, attorno a noi, il resto del gruppo ci osserva, in silenzio. 

“Sì Aden, esatto.” sussurro, per poi rialzarmi e riprendere a camminare, senza dire una parola. Sento una profonda angoscia montarmi nel petto e mai come prima vorrei solo poter urlare la verità e spiegare perché Polis, tutto d’un tratto, non è stato più ciò di cui avevo bisogno. No, non posso farlo. Ho resistito per tutti questi anni, non posso cedere proprio ora. Cerco di concentrarmi sulla natura che mi circonda. Intorno a me, si stagliano altissimi faggi e aceri rossi, da cui si librano di continuo una quantità impressionante di uccellini. Di tanto in tanto, è possibile notare qualche scoiattolo che ci osserva, curioso. Vorrei fondermi con tutto questo. Vorrei essere in pace, ma non ci riesco e la cosa mi fa alquanto innervosire. 

“Bene truppa, direi che è ora di pranzo. Possiamo fermarci qui, sembra un buon posto.” dichiara Marcus. Siamo giunti ad una piccola radura e, di fronte a noi, è possibile ammirare la maestosità di Mount Weather. 

“È bellissimo.” sussurra Raven, meravigliata. “Non esistono posti simili a Los Angeles.”. Le rivolgo un sorriso e la aiuto a sistemare la coperta per terra. 

“Se vuoi andare a mangiare con Anya e Lexa, non farti problemi.” le dico poi, notando una certa tensione in lei e l’evidente desiderio di passare del tempo con Anya. Sobbalza, probabilmente non se l’aspettava.

“Io non... Clarke...”

“Ehi, va tutto bene. Anya è arrabbiata con me e ha ragione, ma per quanto riguarda te, beh, non ti conosce. Non sono cieca Rae, mi sono accorta di come la guardi.”. Si morde il labbro e io le accarezzo il braccio per rassicurarla.

“Clarke, non so nemmeno io come sia successo. Ci siamo viste a colazione per spiegarci dopo quella disastrosa serata a casa di Bellamy ed Echo e io...”

“Rae, non sono arrabbiata. Vai da lei. Io me la cavo bene anche da sola.”

“Grazie.” bisbiglia e, alzatasi, raggiunge Anya e sua cugina, mentre io rovisto nello zaino alla ricerca di un panino. Ne addento un morso, mentre mi guardo attorno. È una giornata fantastica, non c’è una nuvola in cielo. Mi perdo fra i miei pensieri e nemmeno mi accorgo che Lexa si è seduta accanto a me. Quando la vedo, sobbalzo dallo spavento.

“Dio, ora capisco da chi ha imparato Aden.” affermo. Assume un’aria confusa e io le faccio segno di lasciare perdere. Rimaniamo in silenzio, mentre attorno a noi il resto del gruppo chiacchiera e si diverte. La verità è che abbiamo entrambe una paura immensa di distruggere l’equilibrio precario che in questi pochi giorni siamo riuscite a creare. O, almeno, io ne sono terrorizzata. Cerco di evitare il più possibile i suoi occhi. Quelle iridi verdi hanno sempre avuto potere su di me. Non sono mai riuscita a resistere loro, in un modo o nell’altro sono sempre state in grado di leggermi dentro come nessuno. E mi duole constatare come in sei anni tutto ciò non sia minimamente cambiato.

“Clarke.” Lexa mi chiama, ma io la ignoro, mantenendo il capo chino. Sento il palmo della sua mano appoggiarsi sulla mia guancia. Sussulto. È freddo, ma allo stesso tempo così caldo.

“Clarke, guardami.” non demorde lei. Non ho più forze. Non posso fare altro che arrendermi. Mi volto verso di lei. I suoi occhi smeraldini mi investono, una sensazione che, a mio modo, mi era mancata. Non c’è più traccia di rancore nel suo sguardo, solo una profonda preoccupazione e tante domande. Eppure, non me ne pone nemmeno una. Sa che non risponderei, non sono ancora pronta. E non credo che lo sarò mai.

“Bellamy mi ha detto che riuscirai ad incidere dei tuoi pezzi.” esordisce. 

“Sì. Non sarà nulla di ufficiale, solo un progetto per divertirsi un po’. Ho degli obblighi contrattuali e non mi è permesso pubblicare pezzi non approvati dalla mia casa discografica.” spiego. “Però sento di averne bisogno. Sai, è da tanto che fare musica non mi diverte più.” confesso, quasi più a me stessa che a lei. Ammetterlo ad alta voce è così spaventoso. Lexa circonda le mie mani con le sue, in un modo così inaspettato. Non capisco, perché non mi odia? Io l’ho ferita a morte, perché lei sembra volermi ancora bene? 

“Clarke, qualunque cosa ti stia torturando in questo modo, sappi che non devi per forza affrontarlo da sola.”. Scuoto il capo.

“Non è vero. Si è sempre soli con il proprio dolore, Lex. È l’unica certezza che ho.”. La vedo chinare il capo. Se fosse Bellamy, so che ribatterebbe, cercando di smentirmi. Ma Lexa non è Bellamy. Lexa conosce il dolore, meglio di chiunque altro. E, di conseguenza, sa anche quando non è opportuno rispondere con le parole. Si alza e mi porge la mano, invitandomi a seguirla. Camminiamo per cinque minuti, fino a quando non giungiamo ad un torrente. Ora sì che riconosco questo posto, venivo spesso qui con Lexa e papà. 

“Manca tanto anche a me.”. Capisco subito di chi sta parlando. Mio padre è stata una figura importante per Lexa durante la sua infanzia.

“Sarebbe fiero di te.” le dico. 

“Anche di te, Clarke.”. Annuisco, per nulla convinta. Come mai potrebbe essere fiero di un disastro come me? Sospiro e faccio per tornare indietro, ma Lexa mi ferma per un braccio. 

“Lex, cosa stai facendo?” le chiedo, confusa. Per tutta risposta, si morde il labbro e mi rivolge un sorriso sghembo, furbetto. 

“Lexa se devi dirmi qualcosa, ti conviene farlo o-...”. Non faccio in tempo a finire la frase, che mi ritrovo nel torrente, completamente fradicia. Sulla riva, Lexa e Jasper se la ridono di gusto, divertiti.

“Non è divertente.” protesto.

“Oh, invece sì che lo è.” replica Jasper. 

“Siete due bastardi.” affermo, mentre cerco di risalire sulla terraferma. 

“Aspetta, ti aiuto.” mi propone Lexa, allungando la mano. I nostri occhi si incontrano per l’ennesima volta da quando sono qui e, per qualche istante, mi perdo in quelle incredibili iridi verdi. Raccontano di un mondo unico, di cui pochi sono a conoscenza, carico di sofferenza, fatica, sacrificio, ma anche gioia. Solo ora mi rendo conto di quanto Aden sia importante per lei. 

“Scusa.” mormoro. 

“Per cosa?” mi chiede lei, alzando le sopracciglia.

“Per questo.” rispondo, trascinandola con me in acqua. Scoppio a ridere, mentre lei ammette la sconfitta.

“Me lo meritavo.” dichiara. Ci voltiamo poi verso Jasper.

“Tu sei ancora asciutto.” affermo. 

“E sto benissimo così.” asserisce lui. 

“Oh no, vieni qui Jas.” comincia a rincorrerlo Lexa, schizzandolo con l’acqua. E, mentre inseguiamo Jasper, un’ipotesi del tutto nuova comincia ad insinuarsi in me. No, non sono felice. Non posso mentire a me stessa e continuare a fingere di esserlo. Eppure, per la prima volta dopo tanto tempo, desidero di poterlo essere.







Angolo dell'autrice

E finalmente Clarke si lascia andare un pochino e rivela, anche se in modo molto vago, perché è scappata da Polis. In fin dei conti, ha solo bisogno di una piccola spinta che la aiuti a vedere che anche lei merita di essere felice e di stare bene. È quindi chiaro che ciò che nasconde è un peso molto grande, qualcosa per cui preferisce passare egoista piuttosto che parlare. Eppure, non può mentire a Lexa, non fino in fondo. 
E, infine, una parola per Raven e Anya. Riuscirà la prima ad ammorbidire la seconda e a farle capire che Clarke potrebbe meritare una seconda possibilità? Lo saprete solo leggendo eheh.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, vi ringrazio per le recensioni e per leggere. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima!

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Capitolo 15
*** 15.Just Tell Me ***


15.

 

Sometimes when I get crazy, all I do is reminiscing you
Just tell me what I can do to make it all right
(Puddle Of Mudd-Just Tell Me)

 




 

L’asfalto. Sono sull’asfalto. Non riesco a muovermi e la testa mi fa malissimo. Sento delle fitte lancinanti al costato e noto solo ora che ho la camicia sporca di sangue. Mi guardo intorno, per quanto possibile. E, quando realizzo che quel sangue non è il mio, non posso fare altro che mettermi ad urlare.

 

“Clarke! Clarke, svegliati!”. Apro gli occhi lentamente, cercando di abituarmi alla fioca luce solare che penetra dalle tende. 

“Raven, sono morta?”.

“Cos-... No, sei piuttosto viva, devo dirlo. Hai avuto un incubo, sei al sicuro ora.” mi rassicura la mia amica. Dietro di lei, sulla soglia della porta, mia madre mi osserva, preoccupata. 

“Capitano spesso?” chiede, all’improvviso. Posso vedere come si pente subito di avermi posto questa domanda, ma ormai il danno è stato fatto. In fin dei conti, si sta solo preoccupando per me, è naturale.

“N-no, solo ogni tant-...”

“Rae, è un medico, capisce benissimo quando le si sta mentendo.” interrompo la mia amica. 

“Oh Clarke, da quanto?” domanda mia madre, avvicinandosi al mio letto. 

“Da circa un anno. Col tempo stanno diminuendo però, prima o poi scompariranno del tutto, ne sono sicura.”. Mia madre mi stringe a sé e mi schiocca un bacio in fronte. In questo momento vorrei avere la forza di scostarmi. Non posso permettermele di legare nuovamente così tanto con me. Dovrò andarmene e non voglio che lei soffra di nuovo per colpa mia. Non lo merita.

“Che cosa ti è successo, Clarke? Dimmi, come posso aiutarti?” mi chiede, preoccupata. Sospiro. Vorrei parlare, vorrei aprirmi. Lo desidero così tanto, ma non posso farlo. Scuoto il capo e mi metto a sedere sul letto. Scosto le coperte e appoggio i piedi per terra.

“Mamma, va tutto bene. È solo un po’ di stress.” minimizzo, alzandomi e dirigendomi alla porta.

“Lo sai che ti voglio bene, vero?” domanda all’improvviso lei, alle mie spalle. Mi fermo e chiudo gli occhi, stringendo i pugni. Non ho il coraggio di voltarmi. Cederei e non posso permettermelo. 

“Sì, lo so.” mi limito a mormorare, per poi uscire dalla camera e lasciare mia madre da sola, di nuovo.

 

________________

 

“Buongiorno Clarke, dormito bene? Hai un aspetto orribile.”

“Buongiorno anche a te Monty, sempre molto gentile come al solito.” replico, cercando di resistere alla tentazione di sorridere.

“Al tuo servizio, Clarke.”. Alzo gli occhi al cielo e mi sistemo al microfono, mentre Jasper e Bellamy ridacchiano con Raven. Ormai abbiamo deciso quali canzoni registrare e spero di riuscire a terminare l’incisione del disco entro la metà della prossima settimana. Certo, non verrà l’album più personale e curato della mia intera carriera, ma almeno venderà. O, almeno, è quello che mi auguro. 

“Stamattina direi che tocca a Commander. Dio, che titolo stupido per una canzone.” osservo, mentre mi sistemo le cuffie. 

“Pronta Clarke?” mi chiede Monty e io faccio segno di sì. Leggere linee di chitarra  mi annunciano l’inizio del pezzo e mi concentro sul testo. Non che mi trovi davanti a dei versi dal significato poi così metaforico. Al contrario, canto cercando di pensare il meno possibile alle parole che escono dalla mia bocca. Non mi rappresentano per niente. 

“Ottimo lavoro Clarke, ora dobbiamo lavorare sulle seconde voci e siamo a posto, poi direi che possiamo tranquillamente mangiare qualcosina.”

Annuisco e mi riposiziono al microfono. Mi massaggio il collo, mentre mi concentro sulla tonalità in cui devo cantare. C’è qualcosa che non mi convince.

“Tutto a posto?” domanda Jasper.

“S-sì. È solo che... Rae, se modifico un paio di cose Lightbourne si arrabbia, secondo te?”. La mia amica sgrana gli occhi, colta del tutto in contropiede. 

“Beh, io... Clarke, non penso che sia una buona idea.” risponde. Sbuffo e mi arrendo all’idea che dovrò adeguarmi ai voleri di Lightbourne e cantare un pezzo che non funziona fino in fondo. Maledetto il giorno in cui Murphy mi ha trovata in quel pub. 

“Dovrebbe essere venuta bene, no?” chiedo, una volta finita la canzone. 

“Vuoi risentirla?” mi propone Monty, ma faccio segno di no con il capo. Non mi piace riascoltare questi pezzi, non hanno anima e mi provocano solo tristezza. Mi allontano dal microfono e mi dirigo verso Raven. Mi porge la giacca e la borsa e mi accarezza la schiena, con tenerezza. 

“Dai, non era male.” prova ad indorare la pillola.

“Infatti, era terribile.” ribatto, scoraggiata. Mi appoggio al muro e aspetto che i nostri amici ci raggiungano. Quando vedo che con loro c’è anche Lexa, mi ritrovo inconsciamente a sorridere, come se la sua presenza mi aiutasse ad accantonare per qualche istante tutte le fatiche di questi ultimi giorni. Non so come questo sia possibile, so solo che sono felice che sia qui.

“Allora, cosa ci offre la casa oggi?” chiede Bellamy.

“Ancora pizza e una torta fatta da Harper. A proposito, ti saluta, Clarke.”. Ringrazio con lo sguardo e mi lascio assalire dalla malinconia. Tento di scacciarla addentando una fetta di pizza, invano. 

“Monty, mi dispiace per Harper.” dico, infine. 

“Lo so.” si limita a mormorare lui. “È dura, soprattutto per Jordan, ma le cure stanno funzionando e i medici sono positivi.” spiega. Gli poso una mano sulla spalla e gli sorrido, con la speranza che capisca quanto, in questo momento, gli sono vicina. Cala un silenzio teso, carico di parole non dette e rimpianti, per lo più da parte mia, rotto solamente dallo squillare inopportuno del cellulare di Raven.

“Scusate, è Murphy. Torno subito.” annuncia, per poi alzarsi e uscire in corridoio. 

“Sai Lex, è un peccato che tua cugina ti abbia anticipata, Raven è davvero uno schiant-... Ahia, Bell!”. Osservo Bellamy e Jasper picchiarsi come due cuccioli di orso bruno mentre io, Monty e Lexa ce la ridiamo di gusto. Mi volto verso di lei e la studio, mordicchiandomi il labbro. I suoi occhi raccontano di una giovane donna costretta a crescere sin troppo in fretta e continuamente vessata dalla vita. Ha perso prima i suoi genitori, poi la fiducia nei suoi zii, poi me e infine Costia. Scuoto il capo. Sarebbe così facile dirle la verità su quello che è successo quattro anni fa, ma non posso. Sarebbe troppo crudele. Sospiro e continuo ad ammirarla. È incredibile quanto sia così bella ed elegante anche in queste condizioni, in jeans e felpa e priva di sonno da chissà quanto. Non che io sia attratta da lei, non in quel senso almeno.

“Terra chiama Clarke, stai bene?” mi richiama lei, distogliendomi dai miei pensieri. 

“Uh, io... S-sì, credo di sì.” balbetto. 

“Sicura?” insiste lei, mentre si sistema il colletto della felpa, quasi a volerci sparire dentro. 

“Sì Lex, mai stata meglio.” confermo infine, incrociando lo sguardo con il suo. “Tu, invece?” rigiro la domanda. I suoi occhi si tingono di una profonda malinconia e, senza pensarci due volte, distoglie lo sguardo. 

“Sì, sto... Sto bene.” risponde, evasiva. Prima che possa dire altro poso la mano sulla sua gamba, costringendola a voltarsi verso di me. Le sue iridi verdi mi investono in pieno, facendomi rabbrividire. 

“Lex, so che ti ho ferita e che ti ho abbandonata nel peggiore dei modi, ma ora sono qui. Voglio solo tu sappia che puoi dirmi qualsiasi cosa, so che suona terribilmente ipocrita da parte mia, ma se hai bisogno io ci sono.”. Mi sorride timidamente, come se le mie parole la confortassero e destabilizzassero al tempo stesso. Vorrei aggiungere altro, ma il ritorno di Raven me lo impedisce.

“Che problemi avete voi due?” esordisce, indicando Bellamy e Jasper. Monty se la ride della grossa, mentre i nostri due amici, stesi sul pavimento, si rialzano da terra e cercano di darsi un contegno. Raven scuote il capo e si gira verso di me. Non so perché, ma ho paura di ciò che sta per dire. 

“Ho parlato con Murphy.” dichiara e io annuisco, invitandola a continuare. “Indovina chi si esibirà all’inaugurazione della nuova caserma dei vigili del fuoco di Beverly Hills?”. Spalanco la bocca, incredula. 

“Rae, ho letteralmente rischiato di raderla al suolo Beverly Hills, non credo che i pompieri abbiano voglia di vedermi.” replico, abbastanza sconvolta dalla notizia che la mia migliore amica mi ha appena dato.

“È questo il punto, dimostrerai di essere cambiata e di aver messo la testa a posto. Non sei contenta?”

“Al settimo cielo.” dichiaro, con una punta di sarcasmo. Raven mi lancia un’occhiataccia e mi fa segno di ritornare al microfono. 

“Beh, direi che è ora di tornare al lavoro. Lexa, ti fermi con noi?” chiede. Lexa si volta verso di me, con fare insicuro. Ha una luce strana negli occhi, che tradisce una certa... Paura? È mai possibile?

“I-io vorrei ma...”. Le faccio segno che va tutto bene e che può restare. Le sorrido. Ho bisogno che resti. So che non ho fatto altro che scappare negli ultimi sei anni, è l’unica cosa che riesco a fare oltre che cantare. Ecco perché ho bisogno di lei qui. Ecco perché ho bisogno che lei non se ne vada. Dio, sono patetica. 

“Bene, Lexa vai con Monty e Raven. E Clarke preparati, ora tocca a This Is My Mind, Not My Body.” asserisce Bellamy e io non posso fare altro che alzare gli occhi al cielo e mascherare la mia totale assenza di entusiasmo. 

 

________________

 

“Siamo arrivati” dichiara Lexa. Io e Raven ci siamo offerte di riaccompagnarla a casa una volta finito di lavorare alle canzoni del mio EP. In realtà, finora mi sono limitata ad incidere solamente qualche cover, ma la sensazione che ho provato cantando quei pezzi è stata totalmente diversa da quel senso di oppressione che mi ha attanagliata per tutta la giornata. Ho scelto sì pezzi di altri, ma che rappresentavano me, finalmente. Non mi sentivo così libera davvero da tanto, tantissimo tempo. Da oggi, la musica ha ricominciato ad avere senso per me. E, in tutta onestà, avevo smesso di pensare che sarebbe stato possibile. 

“Grazie per il passaggio.” mi riporta alla realtà Lexa.

“Grazie a te per essere venuta, davvero. Spero tu ti sia divertita.”

“Assolutamente sì, tantissimo.” dichiara lei, anche se i suoi occhi verdi tradiscono una certa malinconia.

“Lex, tutto bene?” chiedo, preoccupata. 

“Uh? Sì, sto bene, mi dispiace solo un po’ per non essere riuscita a stare con Aden oggi, ma forse è meglio così.” risponde, massaggiandosi il collo. 

“Non dirlo nemmeno per scherzo, è tuo figlio!” ribatte Raven, allarmata da quelle parole quasi quanto me. Qualcosa non va ed è evidente. La osservo continuare a sistemarsi la felpa con fare nervoso, come se avesse il terrore che io possa vedere qualcosa che non dovrei. 

“Lex, che succede?” domando, quasi spaventata. Lei mi sorride, anche se credo stia solo mascherando il suo desiderio di scoppiare a piangere.

“Nulla, sono solo molto stanca e in questi ultimi giorni ho dormito male.” minimizza. Io e Raven ci scambiamo un’occhiata complice. Non mi do per vinta e la costringo a guardarmi negli occhi, cercando di ignorare il più possibile ciò che quelle due iridi smeraldine provocano in me. Dio, ma cosa mi prende?

“Lex, ti prego, parlami.” insisto prendendole le mani, ma tutto ciò che ottengo è lei che si divincola e apre la portiera dell’auto.

“Lasciami Clarke! Non hai il diritto di chiedermi alcunché, non dopo quello che è successo quattro anni fa!” mi urla contro. Deglutisco, completamente impreparata ad una reazione simile. Accanto a me, Raven è immobile, sconvolta. 

“Lex...” mormoro, inutilmente.

“Buona notte!” si limita a dire in malo modo, sbattendo la portiera così forte, che la macchina traballa. La osservo mentre si dirige di gran lena alla porta di casa sua, asciugandosi il volto dalle lacrime di tanto in tanto. 

“Che diamine è successo?” chiede Raven, sconvolta. 

“Io non... Io non lo so.” rispondo, confusa e ferita al tempo stesso. “Io pensavo ci fossimo riappacificate in qualche modo.” spiego, fra le lacrime. Raven mi stringe a sé e mi schiocca un bacio sulla nuca. Mi culla con dolcezza e io non protesto, né provo a sfuggire a quell’abbraccio. Non ho idea di cosa sia successo pochi minuti fa. In fin dei conti, io non so quasi più nulla di Lexa e questa consapevolezza fa malissimo. Sospiro. In fondo, quattro anni fa l’ho allontanata definitivamente dalla mia vita. Solo ora realizzo la più amara delle verità. Ci ho messo anni per riuscire a non tornare sui miei passi e solo pochi giorni per permetterle di rientrare così prepotentemente nella mia quotidianità. Incurvo le labbra in un sorriso quasi disperato. Sì, forse Lexa ha ragione. Non posso guardarmi indietro, io e lei non siamo le stesse ragazzine di sei anni fa. Devo andare avanti, qualunque cosa significhi. Eppure, mentre rivolgo un ultimo sguardo alla casa di Lexa, non posso fare a meno di pentirmi un po’ per non essere scesa dall’auto e averla inseguita.





Angolo dell'autrice

Due capitoli e vi prometto che si scopriranno finalmente un po' di cose!
Nel frattempo, parliamo di questo. Proprio quando Clarke sta uscendo dal guscio, Lexa si chiude in sé stessa. È innegabile, però, che quando sono insieme entrambe stanno meglio, sono più serene, riescono ad intravedere una possibilità di una vita vera, in cui non devono continuare a nascondere sé stesse.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia. 
A martedì!

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Capitolo 16
*** 16.Dirty Laundry ***


16.

 

Dirty laundry is piling in her room
She's got her secrets, yeah I got mine too
(All Time Low-Dirty Laundry)

 

 

Inutile dire che dopo quello che è successo stanotte, non ho dormito granché. Mi metto a sedere sul letto e mi stropiccio gli occhi. Non riesco a smettere di pensare a Lexa, ai suoi occhi così carichi di tristezza e senso di colpa. Sospiro e mi alzo. Vado in bagno e mi lavo, poi torno in camera e finisco di vestirmi. Controllo l’ora. È ancora presto e Raven si sveglierà fra un’ora, quindi posso prendermela comoda e andare a salutare mia madre e Marcus. Magari potrebbero perfino aiutarmi a capire cosa è successo ieri. Quando scendo al piano di sotto e arrivo in cucina, trovo però Aden che fa colazione con aria abbacchiata e mia madre che gli carezza la schiena, con dolcezza. 

“Stai male, piccolo?” chiedo, un po’ preoccupata. Mia madre si gratta la fronte in forte imbarazzo, mentre Aden fa spallucce e non mi risponde. Mi volto verso Marcus in cerca di una spiegazione, ma lui si limita a scuotere il capo e a chiedere con lo sguardo a mia mamma cosa dire. Ho il cuore in gola.

“Che succede?” domando, decisamente nel panico. “Mamma?” insisto. Mia madre sospira e china per qualche secondo il capo. 

“Lexa non lo viene a prendere per accompagnarlo a scuola e lui non l’ha presa bene.” spiega, infine. Sgrano gli occhi, incredula.

“Sta bene? Ieri sera era strana e magari è suc-...”

“Clarke, a volte capita.” mi interrompe Marcus. “Purtroppo lavora molto e non sempre riesce a venire qui la mattina presto. Lexa sta facendo tutto il possibile e, una volta cresciuto, anche Aden riuscirà a vederlo.”. Mi volto verso il bambino. Sta intingendo distrattamente un biscotto in una tazza colma di latte. All’improvviso, lo lascia cadere sul tavolo e si getta all’indietro sulla sedia, le braccia incrociate.

“Io voglio la mamma, me l’aveva promesso!” protesta, ormai in lacrime. 

“Dai, la vedrai oggi pomeriggio.” cerca di consolarlo mia madre, inutilmente. Prendo una sedia e mi sistemo di fronte a lui, carezzandogli il capo. Intuisco la gravità della situazione e il mio intuito mi suggerisce che alla base della decisione di Lexa ci sia qualcosa che non va, ma non è il momento adatto per indagare. 

“Aden, guardami.”. Il bambino alza lo sguardo e i suoi occhioni scuri incrociano i miei, con fare curioso. Gli sorrido, cercando di essere il più rassicurante possibile.

“Ti va di saltare la scuola oggi?”. Mia madre mi fulmina con lo sguardo.

“Clarke!”. La ignoro e mi concentro su Aden.

“Se vuoi, oggi puoi venire con me allo studio. Ci saranno anche Bellamy, Monty e Jasper.” 

“E Raven, soprattutto.”. Ci voltiamo. La mia migliore amica è sulla soglia della cucina, l’aria visibilmente assonnata e confusa. Sbadiglia rumorosamente e io mi lascio sfuggire un sorriso. Raven raggiunge il bancone della cucina e si versa una tazza di caffè, per poi berla quasi tutta d’un fiato. 

“Ti verrà un colpo al cuore se trangugi il caffè in quel modo.” le dico.

“Pff, dovresti sapere che ormai per me la caffeina è come camomilla.” replica. “Quindi, qualcuno sa dirmi cosa sta succedendo?” chiede poi.

“Lexa non può venire a prenderlo stamattina.” spiego. Raven si lascia sfuggire un Oh e poi si accuccia, fino ad essere all’altezza di Aden. Gli scompiglia i capelli e gli schiocca un bacio sulla fronte, con fare affettuoso. Ci sa proprio fare con lui.

“Per me va bene. Ti piacerebbe venire a vedere come si crea una canzone?”. Aden annuisce. 

“Posso andare, zia Abby? Posso?” chiede, con fare insistente. Mia madre alza gli occhi al cielo e si volta verso Marcus, in cerca di aiuto. Aiuto che, però, non arriva. Al contrario, Marcus le fa segno di lasciarlo andare con noi.

“Oh, e va bene.” cede, infine. “Però tornate presto a casa, per favore.”

 

________________

 

Quando arriviamo allo studio, Aden spalanca la portiera dell’auto e corre via, entusiasta. Mi chiedo come possa avere tutta quell’energia pur essendosi alzato molto prima di me. 

“Non correre, aspettaci!” lo richiamo, non perdendolo di vista. Si volta verso di me e si appoggia alla porta d’ingresso, in attesa del nostro arrivo.

“Controllo un attimo un paio di cose per il lavoro e arrivo, voi andate pure avanti.” mi propone Raven. Annuisco e raggiungo Aden che, non appena mi vede, mi stringe la mano. È una sensazione strana ogni volta, non sono abituata. Ci addentriamo negli studi, fino ad arrivare alla sala d’incisione. La porta è socchiusa e posso intravedere Bellamy, Jasper e Monty già pronti ai propri posti. 

“Okay campione, ora entriamo. Mi raccomando, mettiti vicino a Monty e fai il bravo.” dico ad Aden, accucciandomi Di fronte a lui. Mi risponde di sì con il capo, con aria triste. Gli sorrido e gli carezzo i capelli, ma quando vedo due grosse lacrime bagnargli le guance mi allarmo immediatamente. Gliele asciugo con i pollici e lo stringo a me.

“La mamma è stanca di me?” chiede all’improvviso e io sento il cuore stringersi in una dolorosissima morsa. Lo cullo e gli canticchio una melodia improvvisata, mentre mi chiedo cosa stia succedendo realmente nella vita di Lexa.

“La mamma ti ama tantissimo, Aden. È che... A volte noi adulti siamo costretti a fare cose che non ci piacciono per far sì che chi amiamo possa vivere una vita felice.”. Aden alza lo sguardo e mi scruta con i suoi occhioni color nocciola. Tira su con il nasino e si aggrappa alla mia maglia, mentre cerca di regolarizzare il respiro.

“Nessuno si stancherà mai di te, Aden.” gli sussurro, mentre gli carezzo la schiena. Attendo che si calmi, poi gli schiocco un bacio sul capo e lo costringo ad alzare la testa.

“Te la senti di entrare?” gli chiedo. Aden annuisce e io lo spingo alla porta, sorridendogli. Faccio per seguirlo, quando una voce dietro di me mi chiama. Mi volto. Bellamy è davanti a me, l’aria confusa. Non capisco.

“È per questo che te ne sei andata?” esordisce. “È per questo che quattro anni fa hai tagliato i ponti?”. Deglutisco. Deve aver sentito quello che ho detto ad Aden. 

“Bell...”

“No, Clarke! Maledizione, ma cosa è successo? Chi stai proteggendo?” insiste lui e io in questo momento non vorrei fare altro che sparire. 

“Bell, ti prego, non qui.”

“E dove? Quando? Quattro anni, Clarke! Quattro anni in cui le uniche notizie che avevamo su di te venivamo da internet o dalle riviste!”

“Bell...” mormoro, quasi in una supplica. Voglio solo che la smetta, ne ho bisogno. Deglutisco.

“Ho bisogno di risposte, Clarke. Chi stai proteggendo? Me? Lexa? Chi?”

“Bellamy, smettila.”. Ci voltiamo entrambi. Jasper ci guarda, l’aria dura. Scuote il capo e stringe i pugni, cercando di sembrare sicuro di sé. Mi scappa un sorriso a vederlo così, mi fa quasi tenerezza. 

“Ah, giusto, dovevo immaginarlo. A lui hai raccontato tutto, vero? A me e Lexa, invece, un bel niente. Alla fine è questo che valiamo per te, perfetto.”

“Ora basta, Bell. Lei ha sacrificato ben più di quello che pensi.” lo riprende Jasper. Io chino il capo, come se fossi uno struzzo pronto a seppellire la testa sotto la sabbia.  Sento due mani posarsi sulle mie spalle e sono costretta a rialzare lo sguardo. Gli occhi scuri di Bellamy mi scrutano, in cerca di risposte che non sono in grado di dargli. 

“Mi dispiace.” mormoro. Sospira e distoglie per qualche istante lo sguardo. Poi, inaspettatamente, mi stringe in un abbraccio. 

“Lei merita di saperlo.” mi sussurra in un orecchio, mentre mi culla dolcemente. Come al solito, non riesce a capire.

“No, Bell. Lexa merita di stare bene e di non soffrire ulteriormente. Non posso farle del male, non me lo perdonerei mai.”. Mi sorride, non del tutto convinto, e mi carezza una guancia. 

“Ma quindi venite a cantare?” ci chiede Aden, sbucando dalla porta. 

“Credo che il disco dovrà aspettare.” asserisco e Bellamy annuisce. Si volta e, preso in braccio Aden, comincia a fargli il solletico. È una scena così domestica, che mi sento una voragine nel petto. Non so bene nemmeno dire io perché. So solo che, in questo momento, sono quasi sul punto di scoppiare a piangere. E, quando sento la mano di Raven posarsi sulla mia schiena, non posso fare altro che tirare un sospiro di sollievo. Batto le mani, più per riprendermi che per altro.

“Bene, al lavoro!” esclamo, prendendo una chitarra. Mi siedo e invito Aden ad accomodarsi tra me e Bellamy. Imbraccio la chitarra e comincio a strimpellare qualche accordo. Senza nemmeno accorgermene, mi ritrovo a suonare Both Sides Now di Joni Mitchell. Scuoto il capo. Quando eravamo piccole, Lexa amava questa canzone. E, non appena comincio a cantare, un sorriso amaro si dipinge sul mio volto. La vorrei qui e nemmeno so il perché.

 

________________

 

“Ti sei divertito?” Raven chiede ad Aden e il bambino annuisce, contento. 

“Sii sincero, è stato bello perché c’ero io, vero?” lo prende in giro Monty. 

“No.” risponde Aden e noi tutti scoppiamo a ridere fragorosamente. 

“Mi dispiace fratello, sarà per la prossima volta.” Jasper schernisce il suo migliore amico. 

“Bene, penso che sia ora per noi di tornare a casa. Mia madre ci aspetta per cena e il piccoletto qui deve andare a dormire presto.” dichiaro.

“Ehi, io non sono piccolo!” protesta Aden e io alzo le mani.

“Mi perdoni signorino, non lo dirò mai più.” replico pizzicandogli il fianco. Scoppia a ridere e si nasconde dietro a Raven, che lo stringe a sé. Lo aiuta ad allacciarsi la giacca e lo prende per mano. Salutiamo i nostri amici e ci dirigiamo all’auto, Aden in mezzo a me e Raven che ci tiene entrambe per mano. 

“Ci sarà la mamma a casa?” chiede improvvisamente, mentre gli allaccio il seggiolino. Lo guardo con tutta la tenerezza di cui sono capace. 

“No Aden, mi dispiace.” mormoro e la sua espressione così triste mi spezza il cuore. Mi volto verso Raven. So che entrambe stiamo pensando la stessa cosa. 

“Rae...”

“Clarke, siamo già in ritardo.” 

“Non la vede da due giorni.” insisto io. La mia amica sospira. È combattuta, lo so. Si sistema al volante e mi invita a salire in macchina.

“E va bene, ma tua madre la senti tu.” cede, infine. 

“Grazie.”. Raven mi sorride e mette in moto. Le spiego la strada, mentre sul sedile posteriore Aden è visibilmente emozionato. Ha capito dove stiamo andando e non ci vede più dalla gioia. In tutta onestà, ho bisogno anche io di vederla. Non sono tranquilla, ho come il presentimento che sia nei guai. Lexa sa essere una vera testona, completamente incapace di chiedere una mano e farsi aiutare. Mi passo una mano fra i capelli. Da che pulpito viene la predica, poi. Dio, sono patetica. 

“Vedrai che starà bene, spero solo che non sia già al lavoro.” mi rassicura Raven, come leggendomi nella mente. Annuisco in silenzio, persa tra i miei pensieri. No, non riesco a tranquillizzarmi. Le sue parole di ieri sera riecheggiano nella mia mente, terrificanti. Mi dispiace solo un po’ per non essere riuscita a stare con Aden oggi, ma forse è meglio così, ha detto, una frase spaventosa e a cui, forse, avrei dovuto dare più peso. Ho visto quanto tiene a suo figlio e quanto quel bambino è importante per lei, perché mai dovrebbe pensare che non stare con lui sia la scelta migliore? Ironico, alla fine io e lei non siamo così diverse. O forse sì, non ne ho idea. So solo che, non appena Raven parcheggia l’auto davanti a casa sua, sento il cuore in gola. Scendo velocemente dalla macchina e corro alla porta. Faccio per bussare, ma realizzo subito dopo che è aperta.  

“Resta in macchina con Aden.” ordino a Raven. La mia amica mi lancia un’occhiata confusa, ma non protesta. Entro piano e con prudenza, temendo la presenza di un ladro. Non sembra esserci nessuno e la cosa mi inquieta ancora di più.

“Lexa?” la chiamo, senza ottenere, però, alcuna risposta. Non penso sia andata al lavoro, non lascerebbe mai la casa aperta. Sono già sul punto di chiamare la polizia, quando un singhiozzare incontrollato attira la mia attenzione. Viene dalla camera di Lexa, ne sono sicura. Accorro senza pensarci due volte. Apro la porta e raggelo. Lexa è per terra, in lacrime. Il suo è volto ricoperto di sangue e la manica strappata della maglia rivela numerosi lividi, vecchi e nuovi. Sono immobile, incapace di fare qualsiasi cosa. Sangue, come quella notte. Come un anno fa. Come dieci anni fa. Scuoto il capo. No, non è la stessa cosa. 

“C-Clarke.” mormora Lexa, realizzando la mia presenza nella sua stanza. 

“Lex, sono qui. Sono qui.” la rassicuro, muovendomi finalmente verso di lei. L’aiuto a sedersi contro al muro, facendola accomodare a dei cuscini. 

“Ho f-freddo.”. Le accarezzo una guancia, mentre con un fazzoletto la ripulisco del sangue. Chiudo gli occhi. Un anno fa. Dieci anni fa. Ora. No, non accadrà di nuovo. Non stavolta. Non oggi.





Angolo dell'autrice

Dunque, finalmente si scoprono un po' di cose. Lexa se la passa decisamente male, mentre Clarke ha praticamente ammesso di star proteggendo qualcuno. Chi e perché lo si vedrà fra un po', ma vi prometto che martedì si scoprirà di più su uno dei misteri che la avvolgono. Nel frattempo, il rapporto con Aden potrebbe forse essere decisivo per entrambe.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi ringrazio per le recensioni e per leggere questa storia.
A martedì!

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Capitolo 17
*** 17.Where Were You When The Sky Opened Up? ***


17.

 

Where were you when the sky opened up?
Is that when we died?
Is that when we learned to survive?
(Dangerous Summer-Where Were You When The Sky Opened Up?)

 

Lexa apre lentamente gli occhi, cercando di abituarsi alla luce al neon dell’ospedale. Sembra un po’ spaesata.

“Ehi.” le sussurro, stringendole le mano con dolcezza. Le massaggio le nocche con il pollice e le sorrido, per cercare di tranquillizzarla. Non c’ero otto mesi fa, ma voglio esserci adesso. Ne ho bisogno. 

“Aden...” la sento mormorare, nel panico.

“È con Anya e Raven a casa m-... A casa di mia madre.” la rassicuro. La sento tirare un sospiro di sollievo. Le accarezzo con delicatezza la fronte, sistemandole i capelli dietro le orecchie. Ha un brutto occhio nero, il labbro spaccato e una profonda ferita sulla tempia che le è costata ben nove punti, eppure anche in questa condizione i suoi occhi verdi sono sì malinconici, ma allo stesso tempo così pieni di vita. Non ho idea di dove trovi tutta questa forza, so solo che vorrei poter essere come lei.

“Lexa, ben svegliata.” la saluta un giovane medico, appena entrato in stanza. Eric Jackson è di qualche anno poco più grande di me e, nonostante la giovane età, è molto amico di mia madre. Lavora in tutt’altro reparto, ma si è ritrovato spesso a collaborare con lei. È un bravo ragazzo e Miller, il suo fidanzato, era un mio caro amico ai tempi del liceo. 

“Come stai?” le domanda.

“Non lo so. Cioè, mi fa male la testa e il fianco, ma sono ancora viva, quindi credo bene.” risponde Lexa. 

“Non ti ha chiesto se respiri ancora Lex, però.” interviene mia madre, entrando improvvisamente dalla porta. “Grazie Jackson, ci penso io ora.”. Eric si congeda e ci lascia sole, con Lexa che timidamente si nasconde sotto le lenzuola, temendo un confronto che, però, è palesemente inevitabile.

“Lexa.” la richiama mia madre. “Ti dimetteremo domani mattina.”. Lexa sbianca e scuote il capo. 

“No, io... Io non posso, devo andare a...”. Mia madre la interrompe, sedendosi sul letto e stringendola a sé. Comincio a sentirmi un po’ di troppo, ma mi fanno entrambe cenno di restare. 

“Se vuoi, posso accompagnarti da Pike e...”

“No, va bene così. Non è successo niente e comunque sarebbe inutile, lo sai.”. Ascolto confusa quel dialogo. Non capisco.

“Lex, chiunque ti abbia aggredita merita di finire dietro le sbarre!” sbotto. Mia madre sospira. 

“Posso parlarti un secondo in privato?” mi propone. Annuisco e la osservo mentre si alza e mi fa segno di seguirla. Usciamo in corridoio e lei si appoggia al muro. Non è di turno e non indossa il camice d’ordinanza. È qui solo per Lexa e, per un secondo, mi chiedo se, per caso, la presenza di quella che un tempo era la mia migliore amica sia riuscita a lenire il dolore per la mia assenza. 

“Clarke, non forzarla. È una situazione complicata e...”

“Non forzarla? Mamma, quando l’ho trovata in quelle condizioni ho pensato che sarebbe morta!” ribatto, i nervi a fior di pelle. Mia madre si massaggia la base del collo, in cerca probabilmente delle parole giuste. Si morde il labbro e prende un respiro profondo.

“Non sono io a doverti dire cosa sta succedendo nella sua vita.”

“Mi stai prendendo in giro? L’hanno pestata a sangue! Poteva essere morta a quest’ora!” replico. Mia madre posa le mani sulle mie spalle e mi invita a respirare e inspirare lentamente. 

“Clarke, non sarebbe successo nulla del genere. Purtroppo non è la prima volta che la troviamo così.”. Sento un nodo in gola. 

“Mi stai dicendo che tu e gli altri sapete che c’è chi la tratta così e non avete mai fatto niente?”

“Clarke...”

“No, Clarke un corno! Lo so, io sono sparita per anni e non ho diritto di parola, ma voi, voi eravate tutti qui! Voi avreste dovuto aiutarla, evitare che si riducesse così!”. Sto urlando, ormai nemmeno mi curo più del fatto che sono nel corridoio di un ospedale. Uno schiaffo improvviso mi riporta alla realtà. Deglutisco. Mia madre non mi ha mai sfiorata in tutta la sua vita. Mi massaggio la guancia dolorante e la scruto, sconvolta. 

“Non osare mai più, Clarke. Non puoi tornare qui dopo tutto questo tempo e assumere che nessuno di noi abbia cercato di aiutarla. Fino a quando Anya non ha compiuto la maggiore età, ti ricordo che Lexa l’ho cresciuta io!”. Chino il capo, carica di vergogna. Ma chi mi credo di essere?

“Mi... Mi dispiace.” mormoro. Mia madre sospira e mi abbraccia, per poi schioccarmi un bacio sul capo. Inaspettatamente, non mi scosto, né l’allontano. 

“Va tutto bene, Clarke. Sono qui, per entrambe. So che vorresti aver fatto di più, lo leggo nei tuoi occhi, ma lascia che ti dica una cosa. Io non ho idea di quello che ti è successo, né ho la pretesa che tu me lo racconti, ma sappi che c’è una sola cosa importante nella vita ed è il presente. Non ci sei stata e ormai non puoi tornare indietro, ma puoi pur sempre andare avanti. Ci sei adesso, Clarke.”. Annuisco in silenzio, le lacrime agli occhi. Mi asciugo il volto con l’avambraccio e rientro nella camera di Lexa. La guardo. Si è addormentata, deve essere esausta. Ha il viso tumefatto, eppure conserva una bellezza e una grazia uniche. 

“Mi ha scritto Anya, Aden ha chiesto di me. Tornerei a casa, se non è un problema.” annuncia mia madre.

“Vai pure, io pensavo di fermarmi qui.” dichiaro.

“Sicura? Posso dire a Marcus di venire a prenderti fra un po’ se vuoi.” mi propone lei. Scuoto il capo. Non posso andarmene. Ha bisogno di me e non posso tirarmi indietro, non oggi. Le carezzo piano la guancia. Sì, non posso scappare. Devo restare. Non ho altra scelta. 

 

________________

 

Sono seduta accanto al letto di Lexa, su una sedia piuttosto scomoda. Mi sono addormentata da poco, quando un piagnucolio piuttosto insistito mi risveglia. Lexa sta tremando e piangendo nel sonno, deve avere un incubo. 

“Lex.” la richiamo, scuotendola piano. “Lex.” insisto, senza resultati. 

“No, ho bisogno di lui.” si lamenta lei, in preda a quello che sembra essere davvero un sogno terribile. “Non portatemelo via, vi prego, no.”

“Lex, svegliati.” la chiamo di nuovo, fino a quando non apre gli occhi. 

“C-Clarke.” mormora, per poi scoppiare a piangere nell’incavo del mio collo. La stringo in un abbraccio e le carezzo con dolcezza la schiena, mentre lei continua a singhiozzare disperatamente. Comincio a intuire cosa intendesse mia madre prima. Lexa è schiacciata da chissà quale situazione e forzare la mano potrebbe disintegrarla definitivamente. All’improvviso, tutti i miei problemi mi sembrano così insignificanti, svaniti. Nemmeno mi rendo conto che sto piangendo anche io.

“Scusa.” esordisce Lexa e io mi appresto a rassicurarla. Non deve sentirsi in colpa, non per questo.

“Va tutto bene, Lex. Non devi scusarti, non hai fatto niente. È che... Dio, vorrei poter fare di più. Vorrei aver potuto evitare tutto questo.”

“Clarke, non...” prova a replicare, ma la interrompo subito.

“No Lex, non sto parlando solo di oggi. Io... Se quattro anni fa non fossi scomparsa, tutto ciò non sarebbe mai successo.” asserisco, con convinzione. Lexa mi fissa, gli occhi ormai arrossati per le lacrime completamente spalancati per la sorpresa davanti alla mia dichiarazione. Tiro una manata al materasso e mi alzo in piedi. Cammino a casaccio per la stanza, passandomi nervosamente la mano fra i capelli più e più volte. Lexa mi osserva, insistente. So che cosa vorrebbe chiedermi, ma non ne ha il coraggio. È consapevole del fatto che non le risponderei, nemmeno questa volta. Sospiro e mi siedo nuovamente sul suo letto. La vedo ritrarsi e schiacciarsi contro il cuscino. Le sorrido e le accarezzo una guancia, con dolcezza. Inspiro profondamente e chiudo gli occhi per qualche istante, per poi riaprirli dopo poco. L’intensità del suo sguardo mi mozza il respiro, ma cerco di non darlo a vedere. 

“Ho perso anche io una persona cara di recente.” esordisco e la vedo inarcare un sopracciglio, confusa. “A Los Angeles non ho molti amici, anzi. Sai, Hollywood è un ambiente terribilmente crudele. Credi di avere tutto e tutti, di essere finalmente qualcuno agli occhi degli altri e, invece, un bel giorno ti svegli e realizzi che non sei altro che una marionetta nelle mani di persone che ti vedono solo come una fonte di denaro.” spiego. Lexa pare incupirsi, come se volesse dirmi qualcosa.

“Avanti, spara.” la esorto. 

“Beh...” si schiarisce la voce. “Ma tu eri già qualcuno qui, Clarke. Lo sei ancora, ai miei occhi, agli occhi di tua madre e a quelli degli altri.” afferma, con una certa timidezza, mista però ad una ferma certezza. Deglutisco. 

“Non è che io non lo sappia, Lex. È che... A volte hai bisogno di essere importante anche per persone che non ti conoscono da così tanto tempo. No, aspetta, non è esatto. La verità è che non mi interessa troppo di loro, no. È che tramite quelle persone io speravo di poter dimostrare a me stessa di valere qualcosa.” 

“Ma perché? Clarke, tu non hai bisogno di...”

“E invece sì, Lexa!” insisto, forse alzando troppo la voce. “Dieci anni fa mio padre stava venendo a prendermi quando è morto. Ho visto la sua macchina distrutta, il suo corpo senza vita.”

“Clarke…”

“No, Lex. Se quella sera di dieci anni fa non avessi discusso con lui, se solo fossi rimasta a casa… Eppure, io sono ancora qui e lui non c’è più. E la cosa non ha mai avuto senso per me. La mia vita non ha più avuto senso, Lex. E più andavo avanti, meno ne aveva.”

“È per questo che te ne sei andata?” domanda lei, con un filo di voce. Annuisco. 

“Non potevo più restare qui. Avevo bisogno di riacquistare valore ai miei occhi, Lex. Ho sfruttato la prima occasione che mi è capitata e ne ho approfittato. Devo dire che all’inizio mi è pure andata bene, non avrei mai immaginato di ottenere così tanto successo.”

“E cosa è cambiato poi?”. Eh, vorrei poterlo confessare in tranquillità. No, non riesco, non ancora. E con tutta probabilità non ce la farò mai. Chino il capo e mi mordo il labbro. 

“Le persone. Io... Io ho visto le persone che mi circondavano. È stato orribile. Penso di non essermi mai sentita così sola. E, a maggior ragione, non sarei mai potuta tornare indietro, non in quello stato.” rispondo, un po’ vagamente. 

“È questo il motivo per cui sei sparita e non sei nemmeno venuta al mio matrimonio?”. Non c’è rabbia in quella domanda, solo pura e genuina voglia di conoscere la verità. 

“Diciamo di sì.” dichiaro. Fra noi due cala un silenzio teso, per nulla rassicurante. Entrambe vorremmo dire tanto altro, ma nessuna delle due ne ha il coraggio. Sospiro e faccio per alzarmi dal letto ed accomodarmi nuovamente sulla sedia accanto, ma Lexa mi prende per il braccio, costringendomi a restare con lei. 

“Lex...” mormoro, confusa. 

“Io... Clarke non prendertela con tua madre, ti prego.”. Inarco le sopracciglia, confusa. “Vi ho sentite discutere prima. Lei non ha colpe, Clarke. Sono io che non ho permesso loro di aiutarmi.”

“Ma perché?” chiedo. “Per vergogna? Lex, non hai nulla di cui vergognarti o rimproverarti, lo sai.”. Mi guarda con una dolcezza disarmante, lasciandomi spiazzata. 

“Io penso che tu la risposta la conosca già.” si limita a dire, criptica. E, a questo punto, capisco cosa intende dire. Lexa sta proteggendo chi ama dal dolore che la circonda. La sua non è né vergogna, né una fuga. No, al contrario, è amore verso le persone a lei care, sua cugina ed Aden in primis. Le prendo la mano e le accarezzo il palmo con il pollice. 

“Io so che anche per te è così, Clarke. L’ho capito l’altro giorno, durante la gita. Siamo uguali io e te, non è vero?”. Sospiro. Per certi versi, ha ragione. Scuoto il capo. No, anche se nella forma lo siamo, nella sostanza siamo agli antipodi. Le ragioni che ci spingono ad agire, sono anche quelle a definirci come persone. E io sono una pessima persona, non posso affermare altro. Resto in silenzio e le carezzo i capelli. I rimpianti mi assalgono e mi trascinano a picco, crudeli. Se solo non fossi sparita, se solo fossi rimasta con lei... Eppure, non potevo fare altro. 

“Quando Costia è morta ho deciso di fermarmi qua. Tornare a Boston avrebbe significato solo solitudine e ricordi dolorosi, nient’altro.”

“Sì, me l’hai detto.”. Alza lo sguardo. I suoi occhi verdi incontrano i miei, raccontandomi di un mondo pieno di dolore e, al contempo, speranza. È questa la differenza principale tra me e lei. Nonostante tutto, Lexa ha ancora speranza in un futuro migliore, se non per lei, per Aden. Io invece... Io non lo so più.

“Come sai, sono rimasta senza un soldo. Tua madre ed Anya volevano aiutarmi, ma io non me la sono sentita. Non volevo pesare ulteriormente su di lei e su mia cugina. Non era vergogna, ma voglia di cavarmela da sola, per una volta.”. Le accarezzo il braccio, senza dire nulla. Comprendo la sua posizione. Sin da piccola ha conosciuto dolore e fatica e intuisco che debba essere stufa di farsi aiutare. Eppure, vorrei che lo avesse fatto. La invito a proseguire il racconto, con un cenno del capo.

“Roan mi ha più volte ripetuto che la porta del suo pub è aperta, ma non... Io avevo bisogno di ricominciare da zero ed è così complicato farlo nella cittadina che ti ha vista crescere. Ho chiesto aiuto alle persone sbagliate, Clarke.”. Stringo i pugni, pensando solo al fatto che ho bisogno di sapere chi l’ha ridotta in questo stato. 

“Mi hai accennato ad un certo McReary.”. Annuisce.

“Sì, si è trasferito qui da un paio di anni. Ha rilevato il vecchio locale di Wallace, quello all’imbocco della statale. Sembrava così gentile, mi ha assunta senza fare troppe storie e mi ha prestato dei soldi. Io...”. Comincia a tremare. Intreccio le mie dita alle sue e la costringo a guardarmi negli occhi. I suoi occhi verdi sono arrossati per le lacrime e questa vista mi spezza il cuore.

“Quanti? Quanti soldi gli devi?” le chiedo. Fa per distogliere lo sguardo, ma non glielo permetto. “Quanti?” insisto. Ho bisogno che me lo dica. Ho bisogno che si apra con me. 

“Con gli interessi, 75.000 dollari.”. Sento la rabbia montarmi in corpo. È una cifra da capogiro. La sento crollare in un pianto disperato, questa volta carico non solo di tristezza e stanchezza, ma anche di vergogna. La stringo forte a me e la cullo, cercando di ignorare il nodo in gola che si fa via via sempre più stringente. Negli ultimi quattro anni, mi sono ripetuta di aver preso la decisione giusta uscendo dalla sua vita. In fin dei conti, l’ho fatto per proteggerla e permetterle di essere felice. Eppure, per la prima volta dopo tutto questo tempo, inizio a chiedermi se, forse, io non abbia sbagliato tutto quanto. E, di fronte a tutto quello che sta accadendo in queste ultime ore, ripenso alle parole di mia madre. Sì, non posso tornare indietro, non è possibile, ma c’è una certezza da cui ripartire. Io sono qui, ora. Ed è l’unica cosa che conta.







Angolo dell'autrice 

Ed eccole qui finalmente, abbiamo delle risposte. So che non vedevate l'ora e so che probabilmente volevate sapere di più, ma tempo al tempo. Intanto, Clarke ha confessato perché se n'è andata e cosa è successo dieci anni prima e Lexa è riuscita ad aprirsi su ciò che le sta succedendo. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, a poco a poco si scoprirà di più, anche se il famoso fatto di quattro anni prima si saprà tra un bel po', vi avviso. Purtroppo è qualcosa di grosso e non può essere liquidato in pochi capitoli, credo che l'abbiate capito ormai.
Grazie per leggere e per le recensioni, fatemi sapere cosa ne pensate, a martedì!

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Capitolo 18
*** 18.Be The Same ***


 

18.

 

And I'm hoping to resolve all the things I've done and mistakes I've made
I'm sorry for the things that we can not work out, oh I know I know
It won't be the same
(Ravenscode-Be The Same)



 

“Clarke.” mi richiama Bellamy. Nemmeno lo sento, persa come sono fra mille pensieri. Ho passato tutta la notte in ospedale, seduta su una scomodissima sedia a vegliare su Lexa fino a quando non è stata dimessa. Anya è venuta a prenderla e l’ha portata a casa sua. Mi ha guardata un po’ meno in cagnesco del solito e, per qualche secondo, ho avuto il presentimento che volesse addirittura parlarmi. Non che muoia dalla voglia di farlo. Io e Anya eravamo molto amiche prima che io lasciassi Polis e credo che abbia preso la mia scomparsa peggio di Lexa. Non la biasimo per questo. 

“Clarke”. Mi volto. Bellamy mi guarda con aria preoccupata. Accanto a lui, Jasper giochicchia con le bacchette della batteria, un po’ a disagio. 

“Uh? Sì, giusto, ora mi concentro.” 

“Clarke, no.” mi ferma Bellamy. Gli lancio un’occhiata piuttosto confusa, senza capire.

“Penso che tu oggi debba tornare a casa, non sei nelle condizioni di lavorare.”. Mi sento morire. La musica è sempre stata per me una valvola di sfogo e constatare che, invece, non riesce nemmeno più ad aiutarmi a tirare fuori quello che mi passa per la testa è annichilente. Sospiro.

“Bell, ti prego, ho bisogno di cantare.” mormoro. Ed è vero, non sto mentendo. Ne ho davvero la necessità. Il problema è che non posso cantare queste canzoni. Non ce la faccio, non dopo aver realizzato appieno la portata delle mie scelte. Che la mia decisione di quattro anni fa avrebbe avuto pesanti conseguenze lo sapevo, ma mai avrei immaginato di ritornare qui ed essere testimone di una situazione del genere. Sospiro. Bellamy mi scruta con sguardo penetrante. 

“Ti prego.” 

“Clarke, non sei nelle condizioni. Perché non vai a farti un giro? Così ti rinfreschi le idee.” insiste Bellamy. Chino il capo e mi massaggio il collo. Sì, forse ha ragione. 

“Va bene.” cedo, infine. Mi tolgo le cuffie e mi allontano dal microfono. Raggiungo Raven, che mi porge la giacca e la borsa e mi accarezza una spalla. 

“Ci sentiamo più tardi allora.” dico, con tono spento. 

“A dopo, prenditi tutto il tempo che ti serve.” mi saluta Jasper. Faccio un cenno con la testa e mi congedo, uscendo dallo studio. Inspiro ed espiro profondamente, cercando di incamerare quanta più aria fresca possibile. 

“Clarke, sali in macchina.” mi esorta Raven, aprendo la portiera. Obbedisco, con fare meccanico. Allaccio la cintura e sospiro, buttandomi indietro contro lo schienale. Raven mi carezza la gamba, dolcemente.

“Va tutto bene?” chiede.

“Sì, ho solo voglia di andare a bere qualcosa.” rispondo. La mia amica alza gli occhi al cielo e, senza dire una parola, mette in moto. 

“Rae, se guidi in questo modo la gente mi ricorderà come la cantante che aveva quasi finito il suo terzo album.”

“Poche storie, non sto correndo così tanto.”. Non ribatto, certa che sarebbe inutile. Mi ritrovo a pregare non so quale divinità di arrivare sana e salva ovunque lei mi stia portando, salvo poi desiderare che riparta una volta capito dove ha parcheggiato.

“No, io non scendo.” piagnucolo.

“Clarke, non hai cinque anni. Hai bisogno di sapere come sta.” 

“Rae, Anya mi uccide se mi vede.” replico, con tono deciso. 

“Anya ti vuole bene, sotto sotto. È solo molto protettiva nei confronti di Lexa. Mi ha raccontato cosa hanno vissuto durante la loro infanzia e non posso darle torto. Farei lo stesso, Clarke.”

“Te l’ha detto lei che mi vuole bene?” chiedo, incerta sulla risposta che mi attende.

“No, ma l’ho capito da come parla di te. Non ti odia, è solo molto arrabbiata e confusa, vorrebbe capire cos’è successo, perché quattro anni fa sei sparita nel nulla. E, onestamente, comincio a chiedermelo anche io. Insomma, pensavo che avremmo trovato chissà che situazione qui a Polis, ma la verità è che hai deciso di tagliare fuori dalla tua vita persone che tenevano a te. Tua madre ti vuole un bene dell’anima, per non parlare di Lexa, Jasper o Bellamy.”

“Rae, ti basti sapere che, a volte, accadono cose che esulano dalla nostra volontà ma che, allo stesso tempo, sono nostra responsabilità ed è impossibile fingere che non siano mai successe.”. Raven mi guarda perplessa, confusa dalle mie parole. Scuoto il capo. No, non può capire.

“Clarke, non potresti semplicemente essere un po’ meno vaga?” domanda. Alzo lo sguardo, fino a quando i miei occhi azzurri non incontrano i suoi scuri. La vedo ritrarsi, come spaventata da ciò che riesce a leggere nelle mie iridi. 

“Lascia stare, se mai vorrai aprirti io sono qui. Forse hai ragione, venire da Anya è stata una pessima idea.”. Fa per rimettere in moto, ma io la fermo, posando una mano sulla sua. 

“O magari hai ragione tu. Voglio provarci, ne ho bisogno.” dichiaro, forse più a me stessa che a Raven. Scendo dall’auto e mi dirigo alla porta, sotto lo sguardo allibito della mia amica. E, quando busso, mi ritrovo a pensare che forse ho solo bisogno di smettere di temere il passato, per cominciare, finalmente, a vivere il presente.

 

________________

 

Anya mi accoglie con sguardo stupito. Non si aspettava una mia visita e io ringrazio il cielo che Raven sia qui con me. 

“Che cosa ci fai qui?” mi chiede la cugina di Lexa, sospettosa. 

“Io... Ehm... Voglio solo sapere come sta.” rispondo.

“Sta come sta, è stata appena dimessa ed è ancora un po’ dolorante. Ti basta come risposta?”. Anya è ancora arrabbiata con me, è evidente. Se solo sapesse quanto anche io mi senta in colpa per ciò che è successo, forse capirebbe che non è l’unica a detestarmi. Nessuno mi odia più di me stessa, è una delle poche certezze che ho. 

“No.” dichiaro, facendola sobbalzare. 

“Come, scusa?”

“Ho detto no.” asserisco, decisa. “Devo vederla, Anya. Ascoltami, lo so che sei arrabbiata con me e non posso di certo biasimarti per questo, ma ti prego, ora sono qui e ho bisogno di sapere come sta. Ti scongiuro.”. Anya mi scruta, forse per comprendere al meglio le mie intenzioni. Si volta verso Raven, che le fa un cenno con il capo. Sospira. 

“E va bene, ti porto da lei.” cede, infine. Mi permette di entrare e la seguo fino in sala da pranzo. Anya vive in una casa piccolina, ma accogliente. Se la passa decisamente meglio di sua cugina, anche se sono certa che nemmeno lei navighi nell’oro. 

“Clarke, prima che tu la veda, devo capire delle cose.” dice improvvisamente, girandosi verso di me e guardandomi negli occhi. Mi mordo il labbro, un po’ spaventata da quello che sta per succedere. 

“An...”

“No Clarke. Lexa mi ha raccontato del vostro dialogo in ospedale, ovviamente senza entrare nel dettaglio. Io voglio solo sapere se questo tuo voler ripiombare nella sua vita sia una scelta consapevole o se, per l’ennesima volta, la ferirai a morte.”. Sono perplessa. 

“An, voglio solo sapere come sta. Tengo a lei, è...”

“È proprio questo il problema, Clarke. Tenevi a lei anche quattro anni fa, eppure l’hai distrutta.”

“Io l’ho fatto per lei, An!” replico, lasciandomi sfuggire forse fin troppo. Anya mi guarda allibita e io in questo momento vorrei solo poter confessare la verità. Eppure non posso, non ancora. Non ci riesco.

“Che cosa intendi?” mi chiede, sconvolta. 

“An...” mormoro “Non posso spiegarti, non ora, probabilmente mai. Voglio solo che tu sappia che non ho mai smesso di tenere a ognuno di voi, nemmeno per un secondo. A volte è opportuno prendere delle scelte difficili e io non ho avuto alternative. Io le voglio bene e voglio solo sapere come sta. Ti prego, fammela vedere.”. Anya mi guarda titubante. Alza il braccio, come per colpirmi. Eppure, non lo fa. Abbassa la mano e la posa sulla mia spalla. Sobbalzo.

“Vai da lei.” sussurra. “Ma se le spezzi di nuovo il cuore, non esiterò a fartela pagare.”.

 

________________

 

“Clarke!” esclama Lexa, sorpresa di vedermi.

“Lex, come stai?” le chiedo, senza girarci troppo intorno. Non mi sono mai preoccupata così tanto per qualcuno in vita mia. Avanzo verso di lei, un po’ incerta. È stesa sul letto di Anya, ancora piuttosto malmessa e piena di lividi. Sospiro e mi siedo accanto a lei. In modo del tutto inaspettato, Lexa appoggia la testa sulla mia spalla. Sussulto, ma cerco di non darlo a vedere. Le accarezzo con dolcezza i capelli e, senza pensarci, le schiocco un bacio sulla fronte. Tra noi due cala un silenzio tranquillo, scevro di ogni imbarazzo e tensione. Finalmente, oserei dire. Mi sembra di essere tornata a tanti anni fa, a quando io e Lexa abitavamo sotto lo stesso tetto. Solo che normalmente la situazione era al contrario. Raramente ho dovuto consolarla da qualcosa o qualcuno. Capitava più spesso che fossi io quella bisognosa di piangere sulla sua spalla. Forse la verità è che sono solo un’egoista viziata che ha avuto fin troppo dalla vita e che, una volta in mare aperto, non è stata in grado di rimanere a galla. No, non è andata nemmeno così, io lo so. Scuoto il capo. Vorrei solo che questi sensi di colpa mi lasciassero andare, una volta per tutte. E invece non succede. Mi tengono ancorata ad un abisso fatto di dolore, mortifero e senza possibilità di luce alcuna. Non sei stanca Clarke? Non sei stanca di vivere così?

“Tra due settimane avrai finito di lavorare all’album, giusto?” mi chiede Lexa all’improvviso. 

“Sì.” rispondo, intuendo dove voglia arrivare. Si volta verso di me. I suoi occhi verdi mi scrutano e io mi rendo conto troppo tardi di star trattenendo il respiro. Deglutisco, cercando di darmi un attimo di contegno.

“Te ne andrai di nuovo, vero?” domanda poi, a bruciapelo. Sospiro, trafiggendomi il labbro con i denti. Vorrei poterle dire di no, ma la realtà è un’altra, purtroppo.

“Lex, non voglio mentirti. Dovrò tornare a Los Angeles prima o poi, è inevitabile. Lì ho la mia vita e il mio lavoro.” rispondo. Annuisce, in silenzio. 

“Non ti andrebbe che fossero qui?” insiste, senza guardarmi in faccia. Mi passo una mano fra i capelli. Scuoto il capo. In questo momento, potrei alzarmi e andarmene. Forse dovrei. Eppure, non lo faccio. Le circondo il viso con le mani e la costringo a guardarmi negli occhi, cercando con fatica di non perdermi in quelle incredibili iridi smeraldine che nemmeno le ferite e i lividi sono stati in grado di intaccare. 

“Lex... Stavolta non sparirò. È una promessa, forse un po’ incosciente da parte mia, ma pur sempre una promessa.” dichiaro. 

“Come faccio a sapere che stavolta sarà diverso, Clarke?”. Touché.

“Penso che l’unica cosa che tu possa fare sia fidarti, Lex. E so di chiederti più di quanto io meriti, ma non posso fare altro.”. Le lacrime cominciano a inondarle le guance, inarrestabili. Si accoccola al mio petto e io la stringo a me, completamente noncurante del fatto che mi stia infradiciando la mia camicia. Mi trovo a pensare a quanto queste due settimane scarse mi abbiano cambiata. O, forse, la verità è che io sono sempre stata così. Non posso fare a meno di tenere a Lexa e ai miei amici. Non posso fare a meno di volere il loro bene. Ed è per questo motivo che dovrei tenermi alla larga da loro, prima che sia troppo tardi. Anche se ho il brutto presentimento che già lo sia. Rivolgo lo sguardo verso Lexa, per l’ennesima volta. La mia mente mi ordina di alzarmi e lasciarla lì, su quel letto, da sola. Mi spinge a farmi odiare da lei, mi impone di allontanarmi da lei. In fin dei conti, l’odio nei miei confronti è l’unica arma che ho per proteggerla. Eppure, il mio cuore mi invita a cercare un’alternativa a tutto questo. E, per la prima volta dopo quattro anni, scopro di avere bisogno di credere che esista.








Angolo dell'autrice

Capitolo forse un po' di passaggio, in cui torniamo ai mille interrogativi su Clarke. C'è un ma però, qualcosa che sta cambiando. Clarke sta cercando una soluzione allo scomparire, sta ipotizzando che, forse, nonostante tutti i sensi di colpa, merita qualcosa di più che scappare. E, inoltre, il rapporto con Lexa sta diventando sempre più intenso. Hanno bisogno l'una dell'altra, è evidente. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, so che vorreste subito delle risposte, ma questa storia è così. Arriveranno prima o poi però, ve lo prometto.
Grazie per le recensioni e anche a chi legge e basta. 
A martedì!

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Capitolo 19
*** 19.Waiting For My Real Life To Begin ***


19.

 

But don't you understand
I already have a plan
I'm waiting for my real life to begin
(Colin Hay-Waiting For My Real Life To Begin)

 

Sto ronfando della grossa quando un tonfo improvviso sul mio letto mi sveglia, facendomi sobbalzare. Spalanco gli occhi e per poco non ci resto secca, ma quando mi ritrovo Aden davanti lo guardo, confusa. 

“Buongiorno anche a te.” lo saluto, intontita per il sonno. Mi sporgo verso il comodino e controllo l’ora. “Dio, sono solo le sei e mezza e tu non vai nemmeno a scuola oggi. Cosa ci fai sveglio a quest’ora?” gli chiedo. Per tutta risposta, mi si accoccola al petto, lo sguardo furbo e quasi emozionato. Sussulto a quel contatto così inaspettato.

“Oggi mamma viene a prendermi!” esclama, felice. Gli sorrido e gli carezzo dolcemente i capelli. 

“Beh, allora che ne dici se dormiamo un altro p-…”

“No, voglio aspettarla alzato!” ribatte lui. Sospiro. Non ho molta scelta. Mi alzo sbadigliando e accompagno Aden in cucina. Gli scaldo un po’ di latte e gli allungo i biscotti. Senza pensarci, affondo la mano nel pacco e ne prendo uno, per poi cominciare a sgranocchiarlo. Aden mi fissa, sconvolto. 

“Che c’è?” domando. Non mi risponde e punta il suo dito contro me. Solo in quel momento realizzo ciò che sto facendo. 

“Oh, io, ehm… Fame nervosa.” minimizzo, finendo di mangiare il biscotto alla velocità della luce. Aden fa spallucce, non molto convinto. Gli passo una mano fra i capelli e glieli scompiglio, divertita. Mi siedo di fronte a lui e gli faccio compagnia mentre fa colazione. Lo osservo e mi chiedo quale sia la sua storia. È così piccolo, eppure ha già perso così tanto, i suoi genitori naturali prima e Costia poi. Ho i brividi al pensiero.

“Secondo te la mamma è felice di vedermi?” mi chiede improvvisamente. 

“Perché non dovrebbe?”. Aden si accuccia sulla sedia, portandosi le ginocchia al petto. Mi alzo e lo raggiungo. Lo prendo in braccio e lo faccio sedere sulle mie ginocchia, costringendolo a guardarmi negli occhi. Gli sorrido, dolcemente. 

“Aden, non c’è persona al mondo che tua mamma ami più di te. È che ha tanti pensieri per la testa in questo momento e…”

“Sono stati loro, vero? Gli uomini cattivi?”. Raggelo. A cosa è stato costretto ad assistere Aden in questi mesi? È un bambino, non uno stupido. 

“Aden…” provo a consolarlo, stringendolo a me. La verità è che non so cosa dire. Non ho la minima idea di cosa abbia dovuto vedere, che cosa ha subito. 

“Tua mamma starà bene, te lo prometto. Farò di tutto affinché nessuno osi trattarla più così male.”. Aden si accoccola al mio petto e io gli schiocco un bacio sulla fronte. 

“Ti voglio bene, anche se diventerai storta.”. Mi lascio scappare un sorriso. Scuoto il capo. Questo bambino è incorreggibile.

“Che ci fate già in piedi, voi due?”. Mi volto. Mia mamma mi scruta, stupita probabilmente dall’avermi trovata in queste condizioni, in una scena così domestica. Dietro di lei, Raven si stropiccia gli occhi, assonnata. 

“Qualcuno era eccitato per oggi.” spiego, scambiando un’occhiata complice con Aden. Mia mamma sospira e si versa del caffè, offrendone poi una tazza a Raven. Faccio scendere il bambino dalle mie ginocchia e ne approfitto per bere un po’ d’acqua. 

“Clarke ha mangiato un biscotto prima.” annuncia Aden, entusiasta. 

“Tu hai cosa?” 

“Rae, era solo un biscotto.” minimizzo io. La mia migliore amica mi guarda sconvolta, mentre beve un sorso di caffè bollente. Alzo gli occhi al cielo e prendo Aden per mano, per accompagnarlo a vestirsi.

“Marcus sta ancora dormendo?” domando, cercando di sviare il discorso e di capire se rischio di disturbarlo.

“No, si è alzato molto presto stamattina. Lui e Callie devono fare dei controlli o, almeno, lui mi ha detto così. Forse si tratta di qualche sentiero nuovo, non ho ben capito.”. Annuisco, un po’ perplessa. Callie Cartwig, Marcus e mio padre erano un trio inseparabile, al lavoro e nella vita. La domenica non era domenica se non si andava in montagna o non si faceva una bella grigliata tutti assieme. Migliore amica di mia madre sin dai tempi del liceo e mia madrina, Callie è uno dei motivi per cui non mi sono completamente lasciata andare dopo la morte di mio padre. Da quando sono tornata, l’ho intravista solo un paio di sere, ma nulla di più. So che sta aspettando che sia io a fare il primo passo, ne sono ben consapevole. È che non so se ne ho il coraggio. Deglutisco. Come si fa a smettere di scappare dalle persone che ci vogliono bene, se è l’unico modo che abbiamo per tenerle al sicuro da noi stessi?

“Aden, andiamo.” esorto il bambino, che non se lo fa ripetere due volte. “Piano, non voglio vederti cadere dalle scale. Ti raggiungo subito, tu intanto prepara i vestiti.”. 

“È bello vederti così.” dichiara Raven, posandomi una mano sulla spalla. Mi volto verso di lei e le sorrido. Faccio per dire qualcosa, ma alla fine risalgo le scale e mi dirigo velocemente in camera di mia madre, dove un impaziente Aden mi aspetta con i vestiti in mano. Mi chino e lo aiuto a vestirsi. Un pacifico silenzio ci circonda e, per qualche istante, mi chiedo se una vita così piena di semplicità e quotidianità non sia forse più desiderabile della mia. Il suono del campanello mi riporta bruscamente alla realtà. No, questa non sarà mai la mia vita.

“Mamma!” esclama Aden, precipitandosi giù per le scale. Lo osservo gettarsi fra le braccia di Lexa e mi ritrovo a sorridere, senza nemmeno accorgermene. Lei alza lo sguardo e perdo un battito quando le sue iridi verdi si scontrano con le mie blu. Mi perdo in quegli smeraldi fin troppo intensi. Con un immenso sforzo distolgo lo sguardo, bisognosa di porre fine a quel contatto. Scendo le scale e, dopo aver salutato velocemente Lexa, mi fiondo in cucina. Mi verso un bicchiere d’acqua e lo bevo tutto d’un fiato. 

“Ehi, stai bene?”. Mi volto. Di nuovo quelle iridi verdi. Diamine Clarke, mantieni un po’ di contegno per l’amor del cielo. 

“Sì, sto benissimo.” mento. O forse no. In realtà non ne ho la più pallida idea. 

“Tu piuttosto? Vedo che ti sei ripresa.” 

“Abbastanza, sì. Sono in piedi, se non altro.” risponde lei. Tra noi due cala un silenzio quasi irreale, teso. Sono io la prima a romperlo.

“Tornerai lì, vero?” chiedo.

“Clarke, io non posso fare altrimenti.” 

“Non è vero, Lex. Roan ti accoglierebbe a braccia aperte e lo sai.” ribatto prontamente.

“Io devo pensare ad Aden.”

“Appunto!” replico. “Ha già perso due madri, vuoi forse che cresca da solo, di nuovo?”. Lexa alza la mano e fa per colpirmi, ma mi crolla in braccio, scoppiando in un pianto disperato. Sento una morsa al cuore nel vederla in questo stato. La stringo a me e la cullo il più dolcemente possibile, cercando di evitare di farle male. 

“Io… Devo andare.” mormora. Sciolgo l’abbraccio e la guardo negli occhi. Cerco di ignorare il cuore che mi martella nel petto, incessante. Non ha bisogno delle mie insicurezze in questo momento. L’unica cosa di cui ha bisogno è di qualcuno che le stia accanto. Non so se io ne sono veramente in grado, ma voglio provarci. Devo farlo.

“Clarke, ti prego… Stasera io…”

“No Lex, tu meriti più di questo.” la interrompo. I suoi occhi si rifanno lucidi ed è di nuovo sull’orlo del pianto. Le circondo il viso con le mani e le schiocco un bacio in fronte, per calmarla. 

“Sono qui.” le sussurro. “Non me ne vado.”

“Lo farai, invece.” dichiara lei, amara. Scuoto il capo.

“Forse sto pensando di rimanere un po’ più a lungo.” ribatto. Spalanca gli occhi, sorpresa dalle mie parole. 

“Clarke…”

“Lexa, io…”. Non so nemmeno io che cosa voglio dirle. Eppure, ho bisogno di farlo. Apro la bocca per parlare, ma le fastidiose note della suoneria del mio cellulare mi obbligano a fermarmi. Lo estraggo dalla tasca, con l’intento di spegnerlo. Quando leggo il nome sul display, però, sobbalzo. Finn, che tempismo impeccabile. 

“È il tuo ragazzo, giusto?”

“Già.” confermo, massaggiandomi la nuca.  Fisso il telefono, incredula. Non so cosa devo fare, vorrei solo riattaccare in questo momento.

“Non rispondi?” mi chiede Lexa, riportandomi alla realtà.

“Oh, io… Ehm, sì.” balbetto. Seppur di malavoglia, trascino il pollice sullo schermo e mi porto il cellulare all’orecchio, allontanandomi di poco.

“Finn, che sorpresa.” esordisco. “Pensavo che tutte quelle modelle ti avessero rubato il telefono.”

“Clarke, fammi spiegare.” supplica lui. “Lo so, mi sono comportato malissimo, ma voglio rimediare.”. Scuoto il capo. 

“Non so se sia possibile, Finn.” provo a tagliare corto. Voglio solo tornare da Lexa.

“Da quando sei così rigida? Non è la prima volta che ci comportiamo così, non abbiamo mai avuto un rapporto veramente esclusivo, tu per prima.”. Stringo i pugni. Non riesco a credere a ciò che ho appena sentito. 

“Forse sto iniziando a desiderare di più, Finn.” dichiaro. Mi volto verso Lexa e la vedo avviarsi verso la porta. Le faccio cenno di restare nei paraggi, ma lei mi saluta con la mano e raggiunge Aden, per poi congedarsi da mia madre e Raven e uscire definitivamente di casa. Resisto dall’impellente desiderio di lanciare il mio telefono contro il muro e cerco di concentrarmi su ciò che Finn sta cercando di dirmi. 

“Clarke, stai bene?” 

“Sì Finn, perché?” chiedo, lo sguardo ancora fisso verso la porta, quasi come se  Lexa potesse ricomparire da un momento all’altro.

“Beh, stai facendo dei discorsi un po’ strani.”. Alzo gli occhi al cielo. Dio, Murphy aveva ragione, è proprio un idiota.

“Finn, penso che dovremmo prenderci una pausa.” dichiaro, infine. 

“Una pausa? Clarke, ti hanno fatto il lavaggio del cervello?”

“Finn…”

“È stato Murphy, vero? Quel tipo mi odia e non vedeva l’ora di sbarazzarsi di me.”

“Finn, Murphy non c’entra. Sono io il problema, ho bisogno di una pausa, di un po’ di spazio.” provo a spiegargli. 

“Tesoro, sono dall’altra parte del mondo, più spazio di così.” replica lui. Un tempo avrei riso per un’uscita simile, pensando ad una battuta. Il problema è che ormai so che sta parlando sul serio. 

“Finn, hai mai pensato che, forse, meritiamo una vita diversa?” gli chiedo, con la speranza che capisca ciò che sto provando a dirgli.

“Una vita diversa? E perché mai?”. Ecco, appunto. “Clarke, c’è qualcun altro?”

“No Finn, non c’è nessuno.”. Ma è poi vero? E se, per caso… No, ma non è possibile.

“E allora cosa sta succedendo? Vuoi rompere con me?”. Finn è incredulo. Sospiro. Gli farò male, lo so. Eppure, per la prima volta voglio solo smettere di farne a me. 

“Finn…” mormoro.

“Io non capisco, fino a due settimane fa andava tutto alla perfezione. Chi è stato a manipolarti? Raven?”

“Nessuno mi ha manipolata!” lo interrompo. “Semplicemente, mi sto accorgendo di avere altre priorità al momento. Mi dispiace.”

“Stai facendo un errore e lo sai.” sbotta lui. Ho le lacrime agli occhi, ma cerco di ignorarle. Gli sto spezzando il cuore, lo so.

“Forse, ma ho bisogno di tempo per capirlo.” dichiaro, infine. Dall’altra parte del telefono, un silenzio assordante. “Finn dì qualcosa, ti prego.”

“E cosa vuoi che ti dica? Buona giornata, Clarke. Se hai bisogno, sai dove trovarmi.”. Mi riattacca in faccia e io mi lascio scivolare su una sedia. Mi sento completamente vuota.

“Clarke! Cos’è successo?” mi soccorre Raven. I suoi occhi nocciola mi sondano, preoccupati e straniti al tempo stesso. 

“Che cosa ti ha detto?” mi chiede, intuendo che il motivo del mio repentino cambio di umore deve essere Finn. 

“In realtà, niente. Io…”. Chiudo per qualche istante gli occhi, assaporando il gusto salato delle lacrime che mi invadono la bocca. “Io l’ho lasciato.” confesso, infine. Ho i brividi. Sento le gambe tremare e, se non fossi seduta, sono sicura che sarei per terra. Nel bene e nel male, in questo ultimo anno Finn mi è stato accanto, mi ha aiutata a convivere con il mio dolore. Scuoto il capo. No, non è vero. Finn mi ha solo aiutata ad annullarmi, a seppellire tutto il mio dolore ed i miei errori. E io ho bisogno di dissotterrarli e guardarli in faccia. 

“Come ti senti?” Raven domanda, preoccupata. Mi volto verso la porta da cui, poco fa, Lexa e Aden sono usciti. Faccio un respiro profondo. 

“Bene.” rispondo. “Ora sto bene.”.








Angolo dell'autrice

Ben ritrovati! Dunque, Clarke ha finalmente preso una decisione per sé stessa, facciamole un applauso. Ora tocca. Lexa, anche se la sua situazione è molto più complicata. Diciamo che entrambe hanno bisogno di ricominciare a vivere e, a poco a poco, stanno provando a farlo. Inoltre, si stanno avvicinando sempre di più (direi che era ora, sì). Ora serve solo un po' di coraggio da parte di entrambe e un po' di pazienza da parte vostra, ma se siete arrivati fin qui posso affermare con certezza che ne avete a iosa.
Segnalo che ho corretto la cifra che Lexa deve a McReary, mi sono accorta di aver messo uno zero in più. 
Grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia, spero che il capitolo vi sia piaciuto
Alla prossima!

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Capitolo 20
*** 20.Simple Existence ***


20.

 

I'm coming for you
I'm coming for you and your simple existence
(State Champs-Simple Existence)

 

 

 

“Un concorso di bellezza per polli e mucche? Sei seria, Clarke?”. Scoppio a ridere, mentre osservo una Raven sconvolta e decisamente fuori luogo. È buffa, ma un po’ la capisco. Nonostante la sua famiglia sia di origine texana, lei è nata e cresciuta a Los Angeles e non ha mai assistito a nulla del genere. 

“Non è un concorso di bellezza, Rae. È una gara tra gli allevatori.” cerco di spiegarle. Mi ero completamente scordata della giornata di fine primavera, non avevo realizzato di essere arrivata a Polis proprio a fine maggio. La verità è che fino a qualche settimana fa i giorni passavano tutti uguali. Avevo perso completamente la cognizione del tempo, devo ammetterlo. 

“Posso chiederti perché festeggiate la fine della primavera anche se manca un mese all’inizio dell’estate?” mi chiede Raven all’improvviso, confusa. 

“Questa è una gran bella domanda.” rifletto, mentre continuo a camminare per i vari chioschi.

“Corn dog, ti prego ne voglio uno!” esclama entusiasta la mia amica, indicando uno stand che vende cibo. Alzo gli occhi al cielo e l’accompagno. Mi siedo ad un tavolo e l’aspetto, mentre lei si mette in fila. Mi guardo intorno. Ovunque è pieno di famiglie felici e bambini che mangiano zucchero filato o patatine o che giocano a pallone. Mi soffermo su un gruppo di ragazzi seduti sul prato, non molto distante da me. Uno di loro ha una chitarra in mano e, accanto a lui, una ragazzina sui diciotto anni sta cantando una canzone che non ho mai sentito, forse una loro creazione. La riconosco, è Gaia, la figlia di Indra. Mi alzo e mi avvicino, cercando di non fare rumore. Mi appoggio ad un albero e li ascolto. Sono bravi, anche se un po’ acerbi. Sospiro. Mi manca poter vivere la musica in semplicità. Mi chiedo se forse non sia meglio per me mollare tutto. Mi mordo il labbro. No, non lo farei mai. Il rapporto con la musica, anche se malato, è l’unica cosa che mi permette di andare avanti, nonostante tutti gli errori che ho commesso in questi ultimi anni.

“Ehi, ma tu sei Clarke Griffin!”. Alzo lo sguardo. Gaia e  i suoi amici mi fissano, un misto di emozione e incredulità negli occhi. 

“Oh, io ehm…” balbetto, imbarazzata. Scuoto il capo. Sono solo dei ragazzi Clarke, non c’è nulla di cui avere paura.

“Vi prego, non ditelo a nessuno.” mormoro. So che qui non sono a Los Angeles, ma la paura di ritrovarmi travolta da una mandria di paparazzi impazziti è troppo forte.

“Mia madre mi ha parlato molto di te. Ti allenava, giusto?” mi chiede Gaia. Annuisco, un po’ presa in contropiede.

“Spero non sia stata troppo cattiva.” dico. 

“Al contrario, ti ricorda sempre con molto affetto.” mi risponde. Ho un nodo in gola che tento di ignorare, per non scoppiare a piangere.

“Clarke, ecco dov’eri finita!”. Mi volto. Raven ci raggiunge, un enorme corn dog in mano. 

“Quanto dobbiamo dare ai ragazzini per il loro silenzio?” domanda, preoccupata. Scambio un’occhiata complice con Gaia e sorrido.

“Niente, signora. Sappiamo mantenere un segreto.” dichiara il chitarrista, un ragazzo dall’aria simpatica e dai capelli estremamente rossi. 

“Fantastico…”

“Trent. Trent Highmore.”. Cala un silenzio imbarazzato, interrotto solo dal tamburellare nervoso del ragazzino sulla chitarra.

“Bene Clarke, allora possiamo andare.” mi esorta Raven, impacciata. È visibilmente a disagio.

“Ci si vede, ragazzi.” saluto, per poi seguire la mia amica. Improvvisamente, mi fermo. Stringo i pugni, indecisa sul da farsi. 

“Che succede?” mi chiede Raven, preoccupata. La ignoro e mi giro. Gaia e Trent mi guardano, curiosi. Rimango ferma, con la bocca spalancata per non so quanto.

“Avete talento. Se volete, passate allo studio di Bellamy di tanto in tanto.”.

 

________________

 

 

“Notizie di Finn?” mi chiede Raven. Scuoto il capo. Non ho voglia di parlarne, è ancora una ferita aperta. È vero, sono stata io a lasciarlo, ma questo non vuol dire che non stia male. Non tanto per Finn in sé, ho sempre saputo che non era la persona giusta per me, semplicemente è così destabilizzante accettare che la strada che stavamo percorrendo era quella sbagliata.

“Rae, possiamo cambiare discorso e semplicemente goderci la giornata?”. La mia amica annuisce e mi posa una mano sulla spalla. Faccio per dire qualcosa, quando mi ritrovo per terra. Alzo lo sguardo. Di fronte a me, Lexa mi tende la mano, gli occhi più verdi che mai. I nostri sguardi si incrociano e mi si mozza il respiro.

“Clarke, se non ti spingi con i piedi non riuscirò mai ad aiutarti ad alzarti.” mi dice lei, riportandomi alla realtà.

“Uh… S-sì.” balbetto. Mi rimetto in piedi e mi sistemo pantaloni e camicia, tentando di darmi un po’ di contegno. 

“Tutto bene?” mi domanda Lexa, preoccupata. 

“Sì, alla grande. Tu piuttosto? Vedo che l’occhio nero e il labbro stanno iniziando a guarire.”. Lexa annuisce, con fare malinconico. Il suo viso è in condizioni decisamente migliori, ma ho il sospetto che chiunque la maltratti non abbia intenzione di fermarsi. 

“Sto molto meglio, sì.” risponde, infine. “Sono qui con Aden e Anya.”. All’improvviso, due braccia mi circondano la vita. Chino lo sguardo e sorrido quando mi trovo il figlio di Lexa avvinghiato contro.

“Ti avevo detto di non correre.” lo rimprovera Anya. “Oh, ciao Griffin. Raven.”  ci saluta poi. 

“Woods.” replico io, timorosa. Anya continua a incutermi un terrore atavico e mi comporto come una presa in territorio ostile, ossia evitando movimenti bruschi e parole di troppo. 

“Clarke, andiamo di là?” mi chiede, indicando il chiosco del tiro a segno. “Voglio un peluche, ma mamma non è capace.”

“Aden!” 

“No Lex, va bene. Ero un fenomeno anni fa, lo sai.” dichiaro, mentre imbraccio il fucile. Aden mi osserva, speranzoso. 

“Clarke, sei sicura?” si preoccupa Raven.

“Sicurissima.” rispondo, mentre prendo la mira. 

“Sono cinque colpi, se fa centro con tutti vince il polpo gigante.” spiega il proprietario del chiosco. Mi concentro e fisso il bersaglio. Dietro di me, Lexa tappa le orecchie di Aden, per proteggerlo dal rumore degli spari. Premo il grilletto. Uno. Due. Tre. Quattro. Ne manca uno.

“Se fa questo, avrà vinto.” osserva il proprietario del chiosco. Scrocchio le dita e prendo un respiro profondo. Aden vuole quel polpo e lo avrà. Imbraccio nuovamente il fucile. Socchiudo un occhio, per prendere meglio la mira. Il rumore sordo dello sparo è musica per i miei timpani. 

“Centro!” esclama il proprietario del chiosco. Aden esulta e abbraccia Lexa, che mima un Grazie con le labbra e io non posso fare altro che risponderle con il più sincero dei sorrisi. La osservo mentre si porta una ciocca di capelli dietro alle orecchie. Il livido che le contorna l’occhio è ancora ben evidente e il solo vederlo mi provoca una morsa al cuore. Non si merita tutto questo dolore, né se l’è mai meritato. 

“Mamma, ho fame!” esclama Aden e la sua vocina acuta mi riporta immediatamente alla realtà.

“Ora andiamo a pranzo, tesoro.” lo rassicura Lexa. 

“Viene anche Clarke?” chiede il bambino. Sgrano gli occhi, incredula. Non sono sicura di aver sentito bene. Lexa alza il capo e mi guarda, facendo scontrare i suoi occhi verdi con i miei. 

“Clarke, sei dei nostri?”. Mi guardo attorno, un po’ a disagio. 

“Oh, i-io… Ero con Raven e…”. Solo ora mi rendo conto che la mia migliore amica è svanita nel nulla. 

“Dove…?”

“È con Anya.”

“Oh.” mi lascio scappare. Lexa scoppia a ridere, divertita.

“Allora, sei dei nostri?” rilancia l’offerta.

“Solo perché me l’ha chiesto Aden.”.

 

________________

 

“Aden, mangia piano.” si raccomanda Lexa. Il bambino sbuffa e affonda la faccia nell’hot dog che gli abbiamo comprato.

“Aden!” lo rimproveriamo entrambe. Lui ci guarda, forse sorpreso della mia reazione. Probabilmente si aspettava di avermi dalla sua parte. Anche Lexa sembra stupita. E, se devo essere sincera, lo sono pure io. Lexa scuote il capo e prende un tovagliolo, per poi pulire la bocca di suo figlio. Mi affascina il modo in cui si preoccupa di lui. È suo figlio, è naturale, ma è un modo di fare così sconosciuto per me. Non perché non abbia mai ricevuto la stessa cura, al contrario. Il problema è che non l’ho mai avuta io, non negli ultimi sei anni almeno. E, forse, è giunto il momento di prendersi qualche responsabilità. Non sono più una bambina, dopotutto.

“Come sta andando con l’album?” mi chiede improvvisamente Lexa, forse più per intavolare una conversazione che per vero interesse. In fondo, lo sa benissimo che non ho lavorato un granché bene da quando l’ho trovata a casa sua in quelle condizioni. E come avrei mai potuto?

“Un po’ a rilento. Diciamo che ho avuto altro a cui pensare.”. La vedo rabbuiarsi e subito mi rendo conto di ciò che ho detto.

“Non sto parlando di… Insomma, io...” farfuglio. “Sto trovando più stimolante lavorare all’EP che all’album. Ecco perché vado a rilento.” spiego, infine. Lexa non sembra del tutto convinta, ma non fa altre domande. Tra noi cala un silenzio carico di imbarazzo, almeno da parte mia. La verità è che tra l’altro a cui pensare c’è anche lei e non solo perché sono preoccupata del fatto che possano picchiarla di nuovo. C’è qualcosa in Lexa, qualcosa che mi spinge a guardarla, a considerarla in modo diverso. O, forse, quel qualcosa è in me. 

“Mamma, l’ho finito.”. Ci voltiamo entrambe verso Aden. Sorridiamo. Il bambino mostra orgoglioso il piatto vuoto. Ha la faccia tutta sporca di ketchup ed è estremamente buffo. Lexa si appresta a pulirlo, aiutandosi anche con una bottiglietta d’acqua. Osservo la scena e sento una voragine nel petto. È tutto così domestico, così intimo. Mi ricordo quando ero io al posto di Aden, con mia madre che mi ripuliva e mio padre che rideva come un matto. Mi mancano quei momenti. Mi manca quel senso di libertà di quando ero bambina. E, più di tutto, mi manca mio padre.

“Ehi! Griffin! Woods!”. Ci voltiamo. Dietro di noi ci sono i campi sportivi ed è esattamente da lì che Indra ci sta chiamando a gran voce.

“Coach, non posso.” ribatte Lexa, indicando Aden. 

“Oh, sciocchezze Woods. Dai su, muovetevi.”

“Coach, non penso di essere vestita nel modo corrett-…” provo a dire, ma Indra mi interrompe.

“L’abbiamo già fatto questo discorso. Blake è già qui, sbrigatevi!”.

 

________________

 

 

Io, Octavia e Lexa contro Ontari, Monroe e Luna, mi sembra di essere tornata ai vecchi tempi.

“Chi si vede! Sei tornata fra noi comuni mortali?” mi saluta quest’ultima. 

“Sì Griffin, siamo degni di stare in sua presenza?” mi sbeffeggia Ontari. 

“Dacci un taglio, White.” mi difende Octavia. 

“Dunque, le regole le conoscete. Si giocherà da questo lato del campo per un tempo di dieci minuti, chi arriva per primo a 21 vince. Pronte?”. Annuiamo e l’arbitro procede con il sorteggio. Palla alle nostre avversarie, ovviamente. Mi volto verso Indra. Non capisco perché mi stia obbligando a giocare. 

“Coach, è sicura? Non gioco da anni.” 

“Non c’entra, Griffin. Non importa da quanti anni non giochi, ma come vuoi giocare ora.”. Credo di iniziare a capire il punto. Corro verso Ontari e le rubo la palla. Uno-due con Octavia e primo punto. 

“Così si fa! Avanti ragazze, avanti!” ci esorta Indra. 

“Ora ti faccio vedere io.” sibila Luna. Riconquista palla e segna l’uno a uno.

“Brava tesoro! Insegna a quella ragazzina viziata a giocare a basket!” le incita il loro allenatore. Atom e io non siamo mai stati grandi amici. Giocava nella squadra maschile e Indra l’ha sempre considerato pigro e scorretto quando aiutava coach Mike ad allenare i ragazzi. 

“Ti piacerebbe.” replico. Passo la palla a Lexa, che me la ripassa. La lancio ad Octavia. Lei evita Luna e poi Ontari. La palla è di nuovo nelle mie mani. Tiro. 2-1.

“A chi vuoi insegnare a giocare?” provoco Atom. 

“Griffin, ci alleniamo da un anno per questo giorno e non sarete voi tre a rovinarci la festa solo perché la nostra amata coach ha deciso di iscriverti all’ultimo momento.”. Lancio un’occhiata confusa ad Indra, che mi fa semplicemente segno di continuare a giocare. Sospiro. Non ho molta scelta. Anche perché le nostre avversarie ci hanno appena superate, portandosi sul 6-5. Ho di nuovo la palla nelle mie mani. Avanzo lentamente, per poi servire di rimbalzo Lexa. Tiro, canestro. 6-6. Sarà una lunga partita.

“Vai mamma!” esclama Aden, che è seduto tra Raven e Anya. Lexa gli sorride con dolcezza. La partita però è ancora lunga e le nostre avversarie agguerrite. Un canestro segue l’altro, senza esclusione di colpi. Cerco di marcare stretto Ontari. Lei si libera, ma mi tira una gomitata. 

“Ehi! Colpo scorretto! Arbitro, è fallo!” sento Raven urlare da bordo campo.

“L’ho appena sfiorata!” replica Ontari.

“Sfiorata? Sta sanguinando!” ribatte Lexa, frapponendosi fra lei e me. L’arbitro deve essere spaventato dal suo sguardo, perché nemmeno prova ad avvicinarsi per sedare gli animi. 

“Vuoi un altro occhio nero, Woods?” minaccia Ontari e Lexa avanza verso di lei, dandole uno spintone.

“Una bella rissa, come i vecchi tempi! Mi piace!” Octavia esclama, emozionata. A quelle parole, Lexa sospira. 

“No, nessuna rissa. Avanti, giochiamo.” dice poi. Mi aiuta ad alzarmi e io le sorrido.

“Stai bene?” mi chiede.

“Sì, è stata solo una botta.” rispondo, mentre mi perdo nei suoi occhi verdi. Dannazione Clarke, non ora.

“Due tiri liberi per la squadra di coach Oak-McFarrel.” ordina l’arbitro. Mi posiziono sulla lunetta, la palla in mano. Tiro. Canestro.

“Brava Clarke!” mi incita Monty. 19-20. Devo assolutamente segnare il prossimo. Prendo un respiro profondo. Fisso il canestro. Sono tutta sudata e la mia camicia è da buttare, ma non mi interessa. L’unica cosa importante è quel dannato anello di metallo. Tiro. La palla sbatte violenta su un lato del ferro, poi sull’altro. Il tempo si ferma, l’unica cosa che si muove è quel dannato pallone. Ho il fiato sospeso. Ancora un colpo sul ferro. Poi, non so per quale miracolo, decide di infilarsi nella rete. 20-20 a dieci secondi dalla fine e Indra chiama il time out. 

“Abbiamo il possesso. Non ho voglia di vedere quel pallone gonfiato di Atom vincere, quindi vedete di fare il meglio che potete, d’accordo? Intendo il vero meglio, metteteci tutte voi stesse.”. Non sono ancora pienamente sicura di quello che sta succedendo, del perché io mi sia lasciata trascinare in tutto questo, ma non importa. Octavia mi passa la palla. Un rimbalzo, due rimbalzi. Provo a superare Monroe, ma non ce la faccio. Manca pochissimo. Lexa è libera a destra. Le passo la palla. Lexa prende la mira. Tira. La palla si insacca nella rete. 21-20. Esulto, e Lexa mi abbraccia. Ci ritroviamo per terra vicine, forse troppo vicine. 

“Oh, io… Scusa.” mormora lei, rossa dalla vergogna. Non le rispondo e le sorrido. 

“Posso unirmi?” chiede Octavia, lanciandosi letteralmente addosso a me. 

“O, ma che fai?” mi lamento, fra le risate. Ancora per terra, mi volto a guardare Indra. La donna mi sorride. Sembra… Fiera di me? E, forse, un po’ lo sono anche io.





Angolo dell'autrice

Scusate se non ho aggiornato questa mattina!
Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia, finalmente Clarke sta pensando di riappropriarsi della propria vita e dei propri desideri. 
Grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia.

Fatemi sapere che ne pensate, a martedì!

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Capitolo 21
*** 21.Without You ***


21.

 

There's no one I can run to
And nothing I could ever do
I'm nowhere if I'm here
Without you
(Ashes Remain-Without You)

 

 

“Serataccia?” mi chiede Roan. Sono all’Azgeda con Raven, Anya, Jasper Monty e Bellamy. Lexa non c’è, è al lavoro. Scuoto il capo. Non voglio nemmeno pensare a cosa starà subendo in questo momento.

“Già. Scusa, è che…”

“È per lei, vero?”. Spalanco la bocca, sconvolta.

“E tu come… Cioè…”. Roan scoppia a ridere, divertito dalla mia reazione. 

“Clarke, non prenderla male, ma è evidente che in quella testolina che ti ritrovi non c’è spazio se non per Lexa. E, onestamente, ti capisco. Sono molto preoccupato anche io, lo siamo tutti.”. Bevo un sorso del whisky che ho ordinato e poso il bicchiere sul bancone. Stranamente, è ancora mezzo pieno. 

“Ho saputo che le avevi proposto di lavorare qui.” dico. Roan sospira, malinconico.

“Sì, mi sembrava l’unica cosa da fare. Ho sperato fino all’ultimo che accettasse, quel McReary non mi è mai piaciuto. È venuto qui due anni fa e da allora si comporta come se potesse avere sempre tutto ciò che vuole. Ha perfino provato a comprarmi il locale, ma ho rifiutato. Quello come minimo ricicla denaro, altroché.”

“E le autorità locali? Chi è lo sceriffo adesso?” chiedo.

“Pike, ha preso lui il posto del vecchio Mac. È un borioso e un idiota e McReary lo tiene in pugno.”. Ascolto, incredula. “Sono cambiate tante cose da quando hai lasciato questa città, Griffin.”. Mi lascio sfuggire uno sbuffo e finisco il mio bicchiere di whisky. Mi mordo il labbro, cercando di ricacciare indietro le lacrime. 

“Non fartene una colpa, non avresti potuto farci nulla.”

“Non è vero.” ribatto. “Avrei potuto restare e aiutarla, avrei…”

“Griffin, smettila.” mi interrompe Roan. “Ormai quel che è successo, è successo. Non so che cosa ti abbia spinta a sparire, ma di sicuro deve essere successo qualcosa di grosso. Non vivere nel rimpianto, non ha senso. Tu sei qui ora e puoi esserci per lei adesso.”. Sospiro. È esattamente quello che mi ha detto mia madre. Mi volto. Alle mie spalle, i miei amici se la ridono, chiacchierando fra loro. Raven e Anya sono appartate in un angolo, poco partecipi in realtà di quella che sembra una conversazione piuttosto animata. Sorrido. Sono felice per Raven, merita una persona come Anya al suo fianco. Mi giro nuovamente verso il bancone, pensierosa. Giochicchio col bicchiere ormai vuoto, attenta a non farlo cadere per terra. Già, una persona al proprio fianco è forse quello che tutti meriteremmo. Anche Lexa. Soprattutto Lexa. Sospiro. So cosa voglio, eppure è così difficile ammetterlo. 

“Grazie Roan.” dico, porgendogli dei soldi. Lui mi guarda un po’ confuso, ma poi mi fa un cenno col capo. Gli sorrido un’ultima volta, poi raggiungo Bellamy, Jasper e Monty. 

“Ehi, voi tre!” li chiamo. 

“Clarke, finalmente ci degni della tua presenza.” mi prende in giro Monty. 

“Sempre simpatico come al solito.” rispondo. “Avrei bisogno di un favore.”

“Di cosa stai parlando?” mi chiede Bellamy, sorpreso. Mi passo una mano sul volto, un po’ indecisa sul da farmi. No, nessun passo indietro. Li guardo, decisa.

“Ho bisogno che mi accompagniate in un posto.”.

 

________________

 

“Clarke, non ti avremmo mai dato un passaggio se avessimo capito dove volevi andare.” 

“Jasper, ho bisogno di vederla. Ho bisogno di sapere che sta bene.”.

“Tu hai bisogno di non immischiarti, Clarke.” replica Bellamy. 

“E cosa dovrei fare?” rispondo piccata. “Voltarle le spalle di nuovo? Non farò lo stesso errore di quattro anni fa, non un’altra volta.”. Jasper sospira, mentre Bellamy e Monty si scambiano un’occhiata perplessa. 

“Che vuoi dire?” mi chiede il primo, confuso. Mi passo una mano fra i capelli. Mi mordo il labbro, spaventata da quello che sta succedendo. I miei amici mi fissano, in attesa di una risposta che non so come dare loro.

“Io… Io non…” esordisco, cercando in Jasper una qualche forma di aiuto che, però, non arriva. Sono con le spalle al muro e non so davvero come comportarmi. Vuotare il sacco? Sono davvero pronta a farlo? No, non ce la faccio. Non ci riesco, non ho la forza di guardare in faccia gli errori che ho commesso. Li temo, ne sono terrorizzata. 

“Clarke…” mi richiama Monty. Scuoto il capo e prendo un respiro profondo. 

“Quattro anni fa sono successe delle… Delle cose.”

“Quali cose, esattamente?” Bellamy mi esorta a parlare. Jasper mi stringe la mano e mi sorride.

“Andrà tutto bene, te lo prometto.” mi sussurra. Sospiro. No, non ce la faccio.

“Io non… Io non posso dirlo.” mormoro. Posso leggere la delusione sui volti di Bellamy e Monty e non posso dar loro torto. 

“Riguarda Lexa.” dichiaro. “Io ho fatto una cosa e… Non sono sparita perché ho smesso di tenere a voi e a lei. Al contrario, ho deciso di tagliare i ponti per proteggervi, tutti quanti.”

“Proteggerci? E da cosa?” mi chiede Monty. Sospiro.

“Da me.” rispondo. “Soprattutto lei. E invece è anche colpa mia se ora…”. Bellamy non mi lascia finire e mi stringe a sé. 

“Quello che sta succedendo a Lexa non è una tua responsabilità. Lei ha fatto le sue scelte Clarke.”

“Ma io avrei dovuto essere qui ad aiutarla!” ribatto. “E ho bisogno di farlo ora.” asserisco poi, uscendo dall’auto. 

“Clarke!” mi richiama Monty, invano. Mi dirigo di gran lena all’entrata del locale di McReary. Dall’esterno sembra uno di quei postacci notturni squallidi e frequentati da gente decisamente poco raccomandabile e, quando entro, trovo conferma dei miei sospetti. Mi guardo intorno, alla disperata ricerca di Lexa. Sono circondata da un branco di persone senz’anima, tutte alla ricerca di una sola, unica cosa: lo sballo. Non sono poi molto diverse da quello che ero io fino a qualche settimana fa. 

“Clarke, vieni fuori.” mi supplica Bellamy, prendendomi per un polso. Mi divincolo, furiosa. Non capisce, come sempre. Non può. 

“Bell, lasciami fare!” sbotto. Fa un passo indietro, sconfitto. Non mi ferma, si limita a sospirare. Continuo a cercare, pregando di trovarla al più presto. La musica è assordante e vengo abbordata più volte da soggetti di sesso maschile ben poco raccomandabili. E infine, dopo aver girato per il locale diverse volte, la vedo. È intenta a servire due clienti e uno dei due la sta visibilmente molestando. Stringo i pugni e non ci penso due volte. A nulla valgono i richiami di Monty, Bellamy e Jasper. Mi avvento su quel verme e lo spingo via, frapponendomi fra lui e Lexa.

“Lasciala in pace!” urlo, mentre gli sferro un bel dritto sul naso. Lo vedo crollare a terra come un birillo, probabilmente è ubriaco marcio.

“Clarke?” esclama Lexa, sorpresa di vedermi lì. 

“Te la farò pagare, sgualdrina.” biascica intanto l’uomo a terra. 

“Certo, come no. Ti conviene rimanere per terra a strisciare come il verme che sei, bastardo!” replico, assestandogli un calcio sulle parti basse.

“Clarke, che ci fai qui?” mi chiede Lexa, tirandomi indietro. 

“Ti porto via. Vieni con me.” rispondo, prendendola per mano. Lei si libera della mia presa e si ferma. La osservo, preoccupata. 

“No Clarke, non posso.”

“Lexa, ti pr-…”

“Bene, bene, che abbiamo qui? Woods, che succede?”. Mi volto. Un uomo alto, dallo sguardo feroce e l’aria viscida si avvicina a noi, minaccioso.

“Non è niente, lei è… Se ne stava andando.” si affretta a dire Lexa. Ha lo sguardo terrorizzato, non l’ho mai vista così. 

“Oh, so chi è lei signorina Griffin. È un onore averla nel mio locale. Gradisce qualcosa?” mi chiede, un orribile ghigno dipinto sul volto.

“Sì signor McReary, che Lexa possa venire con me.”

“Clarke…” protesta timidamente lei, ma le faccio cenno di restare in silenzio.

“Ho paura che ciò non sia possibile.” risponde McReary. “Perché non si siede ad un tavolo e si rilassa? Le faccio portare qualcosa da bere. Offre la casa.”

“Da lei non accetterei nemmeno un bicchiere d’acqua, signor McReary.” ribatto, acida. L’uomo mi scoppia a ridere in faccia, quasi divertito dalla mia sfrontatezza. 

“Sa, forse dovrebbe prendere esempio dai suoi amici e avviarsi all’uscita.” afferma. 

“Non se ne parla, non senza Lexa.” 

“Clarke, ti prego.” mi supplica lei, ma io non la ascolto. Ho bisogno di portarla fuori da qui. 

“Lei non molla, vero signorina Griffin? Se non se ne va, sarò costretto a chiamare la polizia. Non che per lei sia una novità, no?”. Stringo i pugni, cercando di trattenermi dal tirargli un pugno. Devo pensare a Lexa ora, non al mio orgoglio ferito. 

“Ho i soldi.”. McReary sgrana gli occhi, mentre Monty cerca di trascinarmi all’uscita.

“Ce ne stiamo andando, non si preoccupi.”

“Lasciami, Monty!” mi libero. “Ho i soldi.” ripeto. Infilo le mani in tasca e ne estraggo un libretto degli assegni. Lexa mi guarda allibita, mentre McReary non esita ad allungarmi una penna. Compilo un assegno, lo firmo e glielo consegno.  McReary sogghigna, compiaciuto. 

“Clarke…” protesta Lexa, ma continuo ad ignorarla. La capisco, la sto trattando come un oggetto di scambio, ma è l’unico modo che ho per salvarla e portarla via da lì.

“La ringrazio di cuore, signorina Griffin.” dice McReary. “A presto, Woods.”. Vedo Lexa deglutire, mentre si sfila il grembiule e lo consegna ad un altro cameriere. La prendo per il polso e, senza perdere tempo, la trascino all’uscita. Cerco di condurla all’auto, ma lei si divincola e mi spinge via. È infuriata, glielo leggo negli occhi. Bellamy, Jasper e Monty fanno per avvicinarsi a noi, ma faccio cenno loro di stare fermi.

“A nostra discolpa, è stata una sua idea.”

“Grazie Jas.” 

“Siete… Io non so nemmeno cosa dire!” ribatte Lexa, adirata. “Ho perso il lavoro grazie a voi quattro!”

“Hai perso l’occasione di finire di nuovo al pronto soccorso, Lex.” replico io. Lo schiaffo mi fa piuttosto male, lo ammetto. Mi massaggio la guancia, mentre osservo Lexa scoppiare in un pianto disperato. Bellamy ci raggiunge, ma lei lo respinge.

“Lex…” mormoro, accogliendola fra le mie braccia. Stranamente, non mi manda via. Anzi, affonda il viso nell’incavo del mio collo, stringendosi alla mia maglia. 

“Andiamo a casa?” le propongo. Lei annuisce, senza dire una parola. Mi volto verso Bellamy e gli faccio un cenno col capo. Mi aiuta a portala in macchina e la facciamo accomodare fra me e Jasper. Sospiro, mentre lei appoggia la testa sulla mia spalla. Jasper e io ci scambiamo un’occhiata di intesa. Poi, Bellamy mette in moto e partiamo.

 

________________

 

Ho accompagnato Lexa a casa sua. Le ho chiesto se non avesse preferito fermarsi da mia madre, ma ha risposto di no. So che si vergogna, so che si sente un fallimento, ma vorrei che capisse di non esserlo. È il mondo ad essere crudele e spietato, non lei ad essere un errore. L’aiuto a raggiungere la camera e a sedersi sul letto. Le sorrido, con tenerezza.  I lividi sono ormai scomparsi quasi del tutto, anche i segni sul viso non si vedono praticamente più. La scruto. I suoi occhi sono così penetranti, anche se carichi di tristezza. È bellissima, vorrei se ne rendesse conto. 

“Perché?” mi chiede, all’improvviso. “Perché sei venuta al locale stanotte? Perché non ti sei fatta gli affari tuoi?”

“Lex…”

Lex un corno, Clarke! Che cosa pensavi di fare? Non sono un oggetto di scambio!” urla. 

“Lo so bene che non lo sei.” dichiaro.

“E allora cos’era quell’assegno? Clarke, tu hai pagato per me! Tu mi hai comprata!”. È di nuovo sull’orlo del pianto. “Perché, Clarke? Perché?”

“Perché non posso perdere anche te!”. Lexa alza il capo e sgrana gli occhi. Mi fissa, confusa. 

“Clarke, cosa…”. Deglutisco. Prendo un respiro profondo e mi chino alla sua altezza. Le circondo il volto con le mani e lascio che i nostri sguardi si incontrino, per l’ennesima volta. Il suo verde mi sta chiedendo una risposta e io non posso tirarmi indietro, non questa volta. Chino il capo, ma lei mi costringe a rialzarlo. I ruoli si sono invertiti, ora sono io ad avere bisogno di lei. In realtà, è sempre stato così. Sospiro.

“Clarke, se è per tuo padre io…”

“Non è per quello. O, almeno, non solo.”. Mi passo una mano fra i capelli, cercando di ricacciare indietro le lacrime. “Hollywood è così diversa da Polis. Quando sono arrivata a Los Angeles, ero convinta di poter ricominciare da capo, di avere il mondo ai miei piedi. Ero solo un’illusa.”

“Clarke…”

“No, lasciami proseguire. Non avevo amici, Lex. E quando quattro anni fa vi… Ti ho tagliata fuori dalla mia vita, io sono rimasta sola. A parte Raven e Murphy, il mio agente, non avevo nessun altro.” spiego. “Due anni fa, ho conosciuto un ragazzo. Suonava la chitarra, ci siamo incontrati per la prima volta ad un mio set acustico. La produzione l’aveva messo a lavorare per me, anche se il suo sogno era incidere un album tutto suo. Scriveva delle canzoni magnifiche, Lex.”

“Come si chiamava?” mi chiede.

“Wells, Wells Jaha. In breve tempo siamo diventati molto amici. Vedi, lui era diverso. Mi ricordava te e gli altri. Era semplice, una dote rara a Hollywood. Avevamo grandi progetti, volevamo scrivere e registrare un album assieme. Abbiamo composto qualche canzone, ma non abbiamo fatto in tempo ad entrare in studio.”. Ho un nodo in gola, mi sto trattenendo dal piangere.

“Che cosa è successo?” mi domanda Lexa, intuendo che deve essere capitato qualcosa di grave. Respiro profondamente. Sto davvero per dirlo ad alta voce. Sto davvero per lasciarlo andare per sempre. 

“Wells è… Lui è…”. Lexa mi prende la mano fra le sue e mi sorride. 

“Clarke, sono qui.” mi sussurra. Annuisco.

“Lui è morto.” dico infine in un sospiro. “Stavamo tornando a casa a piedi e io ho insistito per prendere una scorciatoia. Una ragazzina ha provato a borseggiarmi e lui si è messo in mezzo. Ricordo solo di essere caduta per terra, i medici mi hanno spiegato che devo aver sbattuto la testa sull’asfalto. Quando mi sono risvegliata, Wells era immobile, ricoperto di sangue. Lightbourne ha insabbiato l’accaduto, ma io non riesco a fingere che non sia successo nulla. Da quella sera, ho completamente perso il gusto della vita, Lex. Non trovo più un senso in nulla e ho smesso di sperare in un nuovo inizio.”. Lexa mi carezza con delicatezza la guancia, asciugando le mie lacrime con il pollice. 

“Io non immaginavo… Mi dispiace.” mormora. 

“Non è colpa tua.” dico.

“Nemmeno tua.” ribatte lei e io vorrei poterlo credere. Lo desidero davvero così tanto. Mi fa sedere accanto a lei e io mi accoccolo al suo petto. Alzo lo sguardo. I nostri occhi si incontrano di nuovo. C’è qualcosa di nuovo in me, un’urgenza nuova che non avevo mai provato prima. 

“Lex…” sussurro. Mi guarda, curiosa. 

“Forse voglio ancora sperare in un nuovo inizio.” dico. Non le lascio il tempo di reagire. Non le lascio spazio per pensare. Le mie labbra sono sulle sue, così desiderate. Dopo qualche istante di incertezza, la sento rispondere al bacio e mi sento sollevata. Forse domani ce ne pentiremo, ma per ora sono certa che è questo quello di cui entrambe abbiamo bisogno. Sì, la speranza che una vita per noi sia possibile. Ecco di cosa abbiamo bisogno.





Angolo dell'autrice

Eccoci qua. Allora, finalmente si scoprono un paio di cose, in primis cosa è successo un anno prima e perché durante l'anno si è gettata via e, in secondo luogo, perché quattro anni prima ha tagliato i rapporti con tutti. E poi, si sono lasciate andare, finalmente, a ciò che provano l'una per l'altra.
Spero vi sia piaciuto, grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia.

Alla prossima!

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Capitolo 22
*** 22.Reset ***


22.

 

So I'll start over but I can't reset
I can't reset
(June Divided-Reset)

 

 

Sto camminando per strada. È buio e sento un gran numero di voci intorno a me.  Sono per terra ora, gli occhi spalancati. Non riesco ad alzarmi, a muovermi. Più ci provo, più mi sento paralizzata. Un’ombra si avvicina al mio viso. Mi sfiora la guancia e posa un bacio sulle mie labbra. Un gelo mortifero mi pervade, letale. Poi, tutto vibra intorno a me.

 

Tutto vibra. Apro gli occhi lentamente, cercando di capire dove sono. Sobbalzo. Il mio cellulare sta vibrando all’impazzata. Lo prendo e non appena leggo il nome sul display soffoco un urlo nel cuscino.

“Alla buon’ora Clarke. Ma dove diamine sei finita?”

“Beh io…”. Già, dove sono finita? Mi guardo intorno. Solo ora realizzo di non essere a casa di mia madre. Accanto a me, Lexa sta dormendo, rannicchiata su sé stessa. Sorrido. Sembra una bambina. 

“Clarke?” mi richiama Raven. 

“Rae, io…”

“Clarke, so cosa è successo ieri. Sono qui allo studio e non è stato difficile far parlare i ragazzi. Ma cosa pensavi di fare? E, soprattutto, credevi davvero non mi sarei accorta che non eri più al pub? Ti ho chiamata per tutta la notte!”. Sospiro, passandomi una mano sul volto. Mi alzo ed esco dalla stanza, per non svegliare Lexa. 

“Rae, sto bene.” dico. “Scusa se ieri sono scappata senza nemmeno avvisarti, pensavo sarei tornata prima.”

“Non farlo mai più!” intima Raven. “Mi sono spaventata a morte. Io… Sei un’irresponsabile, una testa calda, una…”

“Rae, te lo ripeto, sto bene.” tento di rassicurarla.

“Ti aspetto allo studio fra un’ora. Non fare tardi.” 

“Agli ordini, capo.” la prendo in giro. La sento sbuffare dall’altro lato del telefono e ridacchio, divertita. 

“Clarke, ricordati che ti voglio bene.”

“Anche io, Rae. Anche io.”. Attacco la chiamata e sospiro, appoggiando i palmi delle mani sul tavolo della cucina. Ripenso a quello che è successo ieri fra me e Lexa. Ho varcato una linea che forse non avrei mai dovuto superare, ma allo stesso tempo so di averne avuto bisogno. E spero che valga lo stesso anche per Lexa. Sono così assorta nei miei pensieri che nemmeno mi accorgo che è dietro di me. 

“Clarke…” mi chiama. Mi giro e mi si mozza il respiro. Si è appena svegliata, ma è bellissima. I suoi occhi verdi mi guardano con una tenerezza e una dolcezza disarmanti. Mi mordo il labbro. Chino il capo, incapace di sostenere il suo sguardo. So che dovremmo parlare di quanto successo fra noi, ma non ne ho il coraggio.

“Lexa io… Ehm… Buongiorno.” dico, infine. Lei si lascia sfuggire un sorriso, probabilmente divertita dal mio imbarazzo.

“Vuoi fare colazione? Se vuoi ti verso del latte. O preferisci delle uova? Aspetta che le trovo.” comincio a straparlare, rovistando nel frigo.

“Clarke…”

“Sì, lo so, sono una pessima cuoca, ma se mi dai un po’ di fiducia ti cucinerò le più buone uova di sempre.”

“Clarke…” mi richiama lei, invano.

“Hai un frigo piuttosto disordinato, ma ora troverò quello che…”

“Clarke, fermati.” mi ordina, prendendomi le mani e costringendomi a girarmi verso di lei. “Respira.”. Respiro profondamente e cerco di calmarmi. La testa a poco a poco si snebbia e la mia voglia di scappare senza voltarmi aumenta in modo smisurato. Lexa mi costringe a guardarla negli occhi e per poco non mi strozzo con la saliva. 

“Dovremmo parlare.” esordisce, lasciandomi andare le mani. Mi massaggio la nuca, mentre mi sento sempre più ricadere nel panico. 

“Già.” mi arrendo, infine. Mi addosso alla parete, come se il muro potesse in qualche modo avvolgermi e nascondermi da tutto quello che sta succedendo. Cosa che, ovviamente, non può capitare.

“Clarke, va tutto bene. È solo che…”

“Ho capito, è meglio che me ne vada.” taglio corto. “Ieri ho fatto un errore e ti giuro che non capiterà più.”. Corro verso la porta senza nemmeno girarmi, quando la sento chiamare il mio nome. Mi fermo, senza però trovare il coraggio di voltarmi. 

“Non è stato un errore, Clarke.”. Sento il cuore perdere un battito. Si avvicina sempre di più, fino a posarmi una mano sulla spalla e farmi girare verso di lei. 

“Non è stato un errore.” ripete. I suoi occhi verdi incontrano i miei blu. No, non è stato un errore, non lo penso nemmeno io. E non appena sento di nuovo le sue labbra sulle mie, ne ho la conferma. È un bacio più irruento, meno inaspettato rispetto a quello di ieri sera. Quando ci stacchiamo per riprendere fiato, appoggio la mia fronte alla sua e la guardo negli occhi, perdendomi in quelle iridi verdi che mi scrutano, terrorizzate forse da un ripensamento. Ma non ho intenzione di tirarmi indietro. Non ho intenzione di andarmene, non stavolta.

“Lex, stai tremando.” mormoro, un po’ preoccupata. 

“Io… Forse dovremmo parlare seriamente.” mi risponde, facendo un passo indietro. Si siede sul divano polveroso addossato al muro, tenendosi la testa fra le mani. È agitata e credo di intuirne i motivi.

“Lex…” la chiamo, sedendomi accanto a lei. “Sono qui, non me ne vado.” cerco di rassicurarla. “Sono qui.”

“Clarke io ho bisogno di crederlo.” dichiara. “Per me quello che c’è stato ieri non è stato un errore, ma ho bisogno di sapere che tu ci sarai. Non riguarda solo me questa volta.”. Ora capisco. Aden. Non ho pensato a lui. Sospiro.

“Lex, io… Nemmeno per me è stato un errore.” dico. “Ma capisco se vuoi andarci piano. Dopo tutto quello che è successo, dopo quello che ho fatto, penso sia giusto così.”

“Clarke…”

“No Lex, sei una madre ora. Solo, sappi che non ho intenzione di ferire o usare né te, né Aden. Dio, vali troppo per essere trattata così.”

“Così come? Abbandonata e completamente ignorata per quattro anni? ribatte lei, con una punta di ironia. Chino il capo. Colpita e affondata, complimenti. Non si fida ancora di me e non posso di certo biasimarla per questo. 

“Clarke, stavo scherzando.” mi rassicura lei. Mi sorride e mi stringe a sé, schioccandomi un bacio sulla fronte. 

“Mi dispiace per tutto quello che hai dovuto passare per colpa mia.” dico. “Non stavo scherzando l’altro giorno, sto valutando seriamente se restare di più qui. E ora penso di avere delle motivazioni molto valide per farlo.” asserisco, guardandola negli occhi. La vedo deglutire, sorpresa dai miei nuovi piani. Le carezzo una guancia, con tenerezza. La bacio di nuovo, piano. Voglio dimostrarle che può fidarsi di me, che questa volta non la abbandonerò. Voglio riconquistare la sua fiducia, totalmente. Dio solo sa come io sia riuscita a starle lontana per quattro anni. E pensare che ho fatto di tutto per non riavvicinarmi a lei in queste settimane qui a Polis. 

“Andiamo a fare colazione.” mi propone Lexa. Si alza dal divano e si dirige verso la cucina. Si volta verso di me e mi fa cenno di raggiungerla. No, quello che c’è fra me e lei non è un errore. Ed è con questa certezza che realizzo di essere, per la prima volta dopo anni, finalmente serena.

 

________________

 

“All buon’ora.” mi accoglie Raven, l’aria leggermente irritata. “Mi hai fatto prendere un colpo, razza di incosciente!” mi sgrida poi, tirandomi un pugno sul braccio.

“Ahio.” mi lamento, un sorrisetto sulle labbra. “Rae, sto bene!” provo a rassicurarla. So che non è veramente arrabbiata, solo preoccupata. 

“Non sei tornata a casa ieri notte e non rispondevi al cellulare, non sapevo cosa pensare.”

“Aspetta, non sei tornata a casa?” si intromette Monty. Accanto a lui, Jasper e Bellamy si scambiano un’occhiata carica di complicità. 

“Beh, io… Lexa era molto scossa.” dico. In fin dei conti, non è una bugia. Jasper sospira e scuote il capo, lo sguardo carico di giudizio. 

“Che c’è?” chiedo, facendo la finta tonta. “Clarke, non è successo quello che penso che sia successo, vero?” mi chiede Raven. 

“Dipende, cosa pensi che sia successo?” continuo a fare la gnorri, senza successo. 

“Oh mio Dio, Anya la ammazzerà.” Bellamy esclama all’improvviso. Mi gratto nervosamente la nuca. Già, Anya. Non ci avevo pensato.

“Clarke Griffin, ma che diamine ti salta in testa?” si infuria Raven, questa volta per davvero. Avanza verso di me con fare minaccioso, fino a schiacciarmi contro la parete.

“Rae, non è come pens-“

“Sono la tua migliore amica e a maggior ragione devo darti addosso quando ti comporti in questo modo!”

“Rae…”

“Non avrei mai pensato potessi trattare Lexa così! Lei non è uno dei tuoi giocattoli di Los Angeles!”. È fuori di sé, non l’ho mai vista così.

“Rae, non è come pensi, ti ho detto!” sbotto, spingendola via. “Tengo a Lexa, tantissimo. L’abbiamo voluto entrambe, lei e io. E comunque non è successo nulla di che, ci siamo solo baciate, per vostra informazione.”. I miei amici mi guardano allibiti, Raven compresa. “Ora possiamo concentrarci sull’album, per favore?” provo a cambiare argomento. 

“Lo sapevo, mi devi dieci dollari Monty.”. Ecco, appunto.

“Jas, io non ho mai scommesso contro loro due.”

“Me li devi comunque.”. Alzo gli occhi al cielo, basita. Prendo Raven sottobraccio e approfitto del fatto che i miei amici si siano messi a discutere per poterle parlare.

“Quando avevi intenzione di dirmelo?” mi chiede. 

“È stato tutto molto improvviso. Io… Non ci sto capendo più niente Rae, so solo che tengo a Lexa e che ho bisogno di lei. Non le farei mai del male di nuovo, non più.” spiego. 

“Oh, andiamo, vorresti forse farmi credere che non ti sei mai resa conto di provare qualcosa per Lexa? Clarke, ho visto come la guardavi quando siamo andate in montagna con Marcus.”. Mi massaggio la tempia, visibilmente in imbarazzo. 

“Che tu ci creda o no, non ho mai considerato Lexa in questo modo. Insomma, siamo cresciute assieme, eravamo come sorelle, sarebbe stato strano.” dichiaro.

“Il fatto che tu lo considerassi strano, non significa che tu non ci abbia mai pensato, Clarke.” replica Raven. 

“Può darsi. Di certo, crescendo la percezione che avevo di lei è cambiata, questo è sicuro.” dico, mentre bevo un sorso d’acqua da una bottiglietta che tengo nervosamente fra le mani. “Avanti spara, che cosa vuoi chiedermi?” le domando poi, vedendola sulle spine. Si dondola sulle punte, indecisa se parlare o meno. 

“Stavo solo cercando di capire se, per caso, non sia questo il motivo che ti ha spinta a tagliare i ponti con lei quattro anni fa.”. Scuoto il capo. Vorrei avesse ragione, ma purtroppo non è così. 

“Quello che mi ha spinta ad allontanarmi quattro anni fa è qualcosa di totalmente diverso, Rae.”

“Di qualunque cosa si tratti, penso che prima o poi dovrai parlargliene, Clarke. Soprattutto se hai intenzioni serie. Ha già sofferto abbastanza, merita almeno di capire il perché di certi tuoi atteggiamenti. Non scordarti che c’è anche Aden a cui pensare. Devi essere il più trasparente possibile, Clarke. Te lo dico per esperienza, nascondere segreti alla lunga crea solo inutili tensioni.”. Sospiro. So che ha ragione, ma purtroppo Raven non può capire. Nessuno può. Mi ritrovo a guardare Jasper. Sta ancora discutendo con Monty e Bellamy. È buffo. Lui è l’unico a sapere cosa mi sia successo, non ne ho mai parlato con nessun altro. La domanda sorge spontanea, perché a lui sì e agli altri no? La risposta è piuttosto semplice. Io ero sicura che Jasper avrebbe capito e non mi avrebbe giudicata. E, infatti, così è stato.

“Clarke, se hai bisogno di parlarne, io sono qui.” la voce di Raven mi riporta alla realtà. Le sorrido.

“Lo so, Rae. È che… Non posso, mi dispiace.” concludo, amaramente. La mia amica mi lancia un’occhiata non troppo convinta, ma non insiste oltre. Mi stringe a sé e mi carezza il capo. 

“Sono comunque felice per te, Clarke.” mi sussurra infine, facendomi scappare un sorriso. Ci riavviciniamo a Jasper, Monty e Bellamy. Ripenso al mio risveglio di stamattina. No, tra me e Lexa non c’è stato alcun errore. Il mio passato, quello è il vero, unico, grande errore.







Angolo dell'autrice

Ben ritrovati! Dunque, alla fine ce l'hanno fatta e nessuna delle due si è tirata indietro. Tuttavia, Clarke continua a sentire il peso delle azioni passate e, se da un lato vorrebbe riuscire ad aprirsi con Lexa, dall'altro la paura di perderla è troppo forte. Siamo vicinissimi a scoprire cosa è successo, ve lo prometto. Per ora, in questo e nel prossimo ci saranno dei piccoli indizi.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie per leggere e per le recensioni.
A martedì!

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Capitolo 23
*** 23.Heavy Thoughts ***


23.

 

Life has me running in circles as of late
I've been searching for some kind of saving grace
(For The Win-Heavy Thoughts)

 

 

“Lexa, entra pure. Aden è di sopra, ora te lo vado a chiamare.” la saluta mia madre. “Ti va di fermarti a cena? Stiamo aspettando gli altri, Marcus sta preparando il barbecue.” le propone, prima di salire le scale.

“Oh, io… Abby non vorrei disturbare.”. Mia madre le sorride e le fa segno di non preoccuparsi.

“Clarke, aggiungi due posti a tavola.” mi ordina, mentre sale al piano superiore. Mi sembra di essere tornata ai tempi del liceo.

“Dovremmo dirglielo, secondo te?” mi domanda Lexa, un po’ preoccupata.

“Cosa? No, nemmeno per idea. Cioè, prima o poi sì, ma forse è meglio se…”

“Ehilà, fidanzatine.” mi interrompe Raven, sghignazzando fra sé e sé.

“Rae!” la rimprovero io. Accanto a me, Lexa è nel panico. 

“No, noi non…” prova a negare, inutilmente. 

“Tranquilla, io, Bellamy, Jasper e Monty non abbiamo detto nulla ad Anya.”. All’udire il nome della cugina, Lexa si volta verso di me, terrorizzata.

“Mio Dio, non la prenderà per niente bene.”. Le poso una mano sulla spalla e la costringo a guardarmi negli occhi. 

“Ehi, non deve saperlo subito. Non dobbiamo dirglielo per forza.”. Lexa si morde il labbro, pensierosa. 

“Clarke, ormai sono passati tre giorni. Non posso continuare a nasconderle di noi due. E lo stesso vale per tua madre.”

“Cosa vale per me?”. Mi volto. Mia madre ci osserva, curiosa. Ha un sorriso furbo dipinto in volto e ho il sospetto che sappia già di cosa stavamo parlando.

“N-noi…” balbetta Lexa, senza riuscire a formare un discorso di senso compiuto. Dietro di noi, Raven fa per sgattaiolare via, ma la fulmino con lo sguardo. 

“Quando avevate intenzione di dirmelo?” cala infine le carte mia madre, facendoci capire che sa già tutto.

“Ecco, noi… Presto.” rispondo. “Cioè, noi volevamo, ma…”. Mia madre scoppia a ridere, divertita da quel nostro stato di evidente imbarazzo.

“Dov’è Aden?” cerca di sviare il discorso Lexa, invano. 

“Sta finendo di riordinare i suoi giocattoli. Non cercare di cambiare argomento, signorina.” la rimprovera mia madre, con tono scherzoso. “Sono felice per voi.” ci dice poi. Non ci aspettavamo una simile uscita. 

“Oh, non fate quella faccia. È da quando avete quindici anni che aspettavo apriste gli occhi.” dichiara, sghignazzando.

“Mamma!” 

“Che c’è? È la verità.”. Questa conversazione sta prendendo una piega decisamente imbarazzante. Fa per dire ancora qualcosa, quando l’arrivo di Aden ci salva. 

“Mamma!” esclama, gettandosi in braccio a Lexa. Lei lo stringe a sé e gli accarezza il capo con amore. Li osservo, scoprendomi desiderosa di poter vivere questo momento all’infinito. Lexa incrocia il suo sguardo con il mio e mi sorride. So che prima o poi dovremo parlare anche con Aden, per spiegargli per bene la situazione. No, forse sto correndo un po’ troppo. In fondo, abbiamo deciso di andarci piano e, per ora, probabilmente è meglio che Aden non mi consideri altro che un’amica di sua madre. 

“Clarke, la mamma ha detto che ci fermiamo qui a mangiare!” esclama, entusiasta. Mi chino alla sua altezza e gli scompiglio i capelli.

“Beh, naturale. Dovremmo pur cenare.” gli rispondo, prendendolo in braccio e fingendo di volerlo divorare. Scoppia a ridere, mentre io gli faccio il solletico. Con la coda dell’occhio noto Raven che mi guarda con sguardo fiero. È incredibile come in meno di un mese io sia cambiata così tanto. Se ripenso a me i primi giorni, fatico a riconoscermi. 

“Bene campione, porta questo a zio Marcus e zio Lincoln.” dice mia madre, affidando ad Aden un vassoio di metallo. Il bambino non se lo fa ripetere due volte e schizza via. Lo osservo scomparire dietro la porta che dà sul giardino.

“È un bravo bambino.” afferma mia madre. “Abbiatene cura.” si raccomanda, per poi sparire in cucina. 

 

________________

 

“Posso un altro po’ di salsicce?” chiede Monty, servendosi senza aspettare una qualche risposta.

“E se ne avessi voluto un po’?” lo prende in giro Jasper.

“Ce n’è un vassoio pieno, non fate i bambini.” li rimprovera mia madre. Di fronte a loro, Echo, Harper e Octavia se la ridono di gusto, mentre Bellamy gioca con Aden, Lexa e Anya. Mi mancavano queste cene tutti assieme, devo ammetterlo. 

“A cosa pensi?” mi chiede Raven.

“A nulla. Solo… Sai, forse avete fatto bene a convincermi a tornare qui.” confesso, infine. La mia amica mi sorride, sorseggiando un po’ di birra.   

“Tu invece? Come stai? Sai già come gestirai la distanza con Anya una volta che ce ne dovremo andare?” le chiedo. 

“Ne abbiamo parlato giusto oggi pomeriggio. Ce la faremo, in qualche modo. Contiamo di vederci durante il fine settimana per ora, poi più avanti capiremo cosa fare. Tu e Lexa ne avete parlato?”. Scuoto il capo. 

“Non ancora. Ho paura pensi che io la voglia abbandonare di nuovo. È che dovrò andarmene, purtroppo. Vorrei venisse con me, ma non credo che accetterebbe. Anche perché sono la prima che, potendo scegliere, non tornerebbe mai a Los Angeles.”. Raven mi guarda, stupita. “Non fare quella faccia. La verità è che odio Hollywood. È tutto così… Così finto. Da quando sono qua ho realizzato quanto mi siano mancati dei rapporti umani decenti. Dio, penso di aver toccato il fondo, Rae.” La mia amica mi costringe a guardarla negli occhi. Mi sorride. “Non sono tutti così, però. Io e Murphy ti vogliamo bene. E poi c’era Wells, lui teneva tantissimo a te.”

“E hai visto che fine ha fatto?”. Mi pento subito di quelle parole. “Scusa Rae. Sono solo un po’ confusa. Ho bisogno di lei, ne ho sempre avuto e me ne rendo conto solo ora. Poi però penso agli ultimi quattro anni e mi sento soffocare. C’è un motivo per cui ho tagliato i ponti con lei, Rae, e ho paura di scoprire di aver fatto la scelta giusta.”. Raven si massaggia la nuca, in cerca di una risposta da darmi.

“Clarke, tu stessa hai detto che hai bisogno di lei. Per quanto mi riguarda, non ti vedevo così serena da davvero tantissimo tempo. Non so cosa sia successo quattro anni fa, ma di qualunque cosa si tratti, sono sicura che insieme potrete superarla.”. Scuoto il capo.

“No Rae, fidati di me. La perderei.” ribatto. 

“Perché mi perderesti?”. Mi volto. Lexa ci ha appena raggiunte e mi scruta, curiosa. So che Raven vorrebbe che mi aprissi e dicessi la verità, ma proprio non ce la faccio. La supplico con lo sguardo di aiutarmi. 

“Le avevo suggerito di cucinarti qualcosa.” mente. 

“Raven, volevi avvelenarmi?” scherza Lexa, prendendomi per mano. Mi invita a seguirla e insieme ci dirigiamo in cucina. Lexa si guarda intorno, per poi baciarmi, senza preavviso. Mi scosto, sorpresa dal suo gesto. Lei arretra, forse temendo di aver fatto qualcosa di sbagliato. La attiro nuovamente a me, con l’intento di farle capire che invece non ha sbagliato proprio niente. Non lei. Si accoccola al mio petto e io non resisto oltre. Porto due dita sotto il mento e la costringo ad alzare lo sguardo. I suoi occhi verdi si scontrano con i miei e posso sentire un brivido percorrermi la spina dorsale.

“Lex, io…” esordisco.

“Tu?”. Deglutisco. Il tempo sembra essersi fermato. Siamo solo io e lei, il mondo pare essere svanito nel nulla. Possibile che i miei sentimenti nei suoi confronti siano così forti? 

“Io ho bisogno di dirti che…”

“Clarke Griffin! Giù le mani da mia cugina!” è tutto quello che sento, prima che Anya mi raggiunga e mi metta al tappeto. Poi, il buio mi avvolge.

 

________________

 

“Clarke. Clarke, svegliati.” sento una voce chiamarmi, lontana. Apro a fatica gli occhi e mi porto una mano alla tempia. Attorno a me, tutti tirano un sospiro di sollievo.

“Clarke, come ti senti?” mi chiede mia madre.

“Mi fa male la testa.” rispondo, massaggiandomi la tempia. Provo a mettermi a sedere, aiutata da mia madre.

“Diamine Clarke, meno male che hai la testa dura o Anya te l’avrebbe staccata.”

“Già Jas, meno male che ho la testa dura.” confermo, non del tutto ironica. Mi appoggio al muro e inspiro profondamente.

“Clarke! Come stai? Mi dispiace così tanto” mi corre incontro Lexa, lo sguardo spaventato. 

“Sto bene, ho solo un po’ di mal di testa.” la rassicuro. Mia madre scuote il capo. Si volta. Anya è di fronte a noi che ci osserva con sguardo indecifrabile.

“Anya Woods, ma che diamine ti salta in mente?” la rimprovera mia madre. 

“A me? Chiedilo a tua figlia, piuttosto! Ti sei divertita con Lexa, Clarke? L’hai usata per bene, prima di sparire di nuovo?”. Sta urlando, infuriata.

“An…” mormora Lexa, in mia difesa.

“No Lex. Pensavo fossi più intelligente di così. Cosa succederà quando se ne andrà via un’altra volta? Perché io non ho intenzione di raccattare di nuovo i cocci, scusami.” conclude Anya, per poi uscire dalla cucina. Mi giro a guardare Raven. È completamente impietrita. So che si trova in una posizione delicata. Sono la sua migliore amica, ma con Anya c’è un legame davvero profondo, riesco a vederlo. 

“Vai con lei.” le dico.

“Sei sicura?” 

“Sì Rae, vai.” la esorto. La mia amica mi rivolge un ultimo sorriso e se ne va all’inseguimento della sua ragazza, mentre io appoggio la testa al muro. Provo a rialzarmi in piedi, ma mia madre mi ferma.

“Sto bene.” protesto. 

“Clarke, hai preso una botta fortissima. Fai con calma, prima di svenire di nuovo.”

“Fai come dice.” mi ammonisce Bellamy. Gli tiro un’occhiataccia, ma non ribatto. Seduta accanto a me, Lexa mi carezza teneramente la spalla. Sta piangendo, mortificata dal comportamento della cugina. Vorrei consolarla, dirle che non è successo nulla, ma so che non è così. Anya ha ragione, cosa succederà quando me ne andrò? La verità è che forse non voglio andarmene. Non più. 

 

________________

 

Mi sono ripresa e ora sono seduta in giardino, pensierosa. Sono estremamente confusa. E se Anya avesse ragione? Se stessi facendo uno sbaglio? Se ferissi Lexa?

“Griffin.”. Mi volto. Anya è davanti a me, lo sguardo colpevole. Indietreggio, timorosa. In fondo, mi ha appena mandata k.o., vorrei evitare lo facesse di nuovo.

“Non ti preoccupare, non ti voglio fare male.”. Non so se crederle, ma mi limito ad annuire, per paura di innervosirla. “Mi dispiace.”. Sobbalzo. Si sta davvero scusando? “È che… Vorrei capire che intenzioni hai. Lexa ha già sofferto abbastanza, non voglio si faccia di nuovo male. Oltre al fatto che ora c’è Aden a cui pensare. Sono solo preoccupata e ho esagerato.”. Mi massaggio il collo, alla ricerca delle parole giuste. Anya ha ragione, è inutile negarlo.

“Io tengo a lei, An. Non voglio ferire né lei, né Aden. Dovrò tornare a Los Angeles e di questo ne sono consapevole, ma non ho intenzione di abbandonarla, non di nuovo.” dichiaro. Anya mi scruta, sospettosa.

“Fatico molto a crederti, lo sai?”. Annuisco. Lo comprendo, non merito la fiducia di nessuno. Non dopo quello che ho fatto. 

“Anya, io… So di non meritare una seconda occasione da parte tua.” dico. “Ma voglio che tu sappia che per Lexa ed Aden farei qualsiasi cosa.”. Anya sospira. Guarda avanti a sé, senza parlare. Poi, si gira verso di me, lo sguardo addolcito.

“L’hai portata via a McReary, Clarke. Di questo te ne sarò per sempre estremamente grata. Ho fiducia in Lexa e se lei vede qualcosa in te, allora ci sarà.”. Mi mordo il labbro, incapace di rispondere. “Solo, trattala bene. Se dovessi ferirla di nuovo, giuro che io…”

“Non succederà, An. Te lo prometto.”. Anya annuisce e mi tira una pacca sulla spalla.

“Bene, ci siamo chiarite. Buonanotte Griffin.”. La osservo andare via. Da lontano, Raven mi fa segno di raggiungerla, ma le rispondo di no con la testa. Resto sola, con i miei pensieri e i miei rimpianti. No, non voglio ferire Lexa. Mi dispiace Raven, ma è proprio per questo motivo che non posso rivelare cosa è successo quattro anni fa. Non voglio che soffra per un mio errore. Non voglio che scopra di aver vissuto quattro anni in una bugia. E, mentre mille pensieri mi assalgono, mi riscopro desiderosa di scappare, per l’ennesima volta.






Angolo dell'autrice 

Ben ritrovati! 
Dunque, la reazione di Anya è stata alquanto irruenta, come prevedibile. In fin dei conti, vuole solo proteggere la cugina ed evitare che si faccia di nuovo del male. Tuttavia, alla fine accetta in qualche modo Clarke, anche se con qualche riserva. Per quanto riguarda il resto, so che avrete sempre più domande, ma siamo davvero vicinissimi alla verità, promesso.
Vi ringrazio per le recensioni e per leggere, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
A martedì!

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Capitolo 24
*** 24.When The Lights Go Out ***


24.

 

If life is but a dream, I'm scared of waking up and losing everything
[…]
Oh love me when the lights go out
(Patrick Droney-When The Lights Go Out)

 

 

 

“Buongiorno.” saluto entrando in cucina. 

“Buongiorno a te, Clarke. Ti unisci a noi per la colazione?” mi chiede Marcus. Accanto a lui, Raven sbadiglia rumorosamente e affonda la faccia nel caffè. 

“Perché no.” dichiaro, lasciando tutti di stucco. 

“Questa sì che è una sorpresa.” afferma Raven. “In tutti questi anni non ti ho mai vista fare colazione.”

“Oggi ne ho voglia, Rae. Potresti passarmi i biscotti? Quelli di Aden al cioccolato vanno benissimo.”. Mia madre sorride e si appresta a prendere ciò che ho richiesto, forse per paura che io possa cambiare idea. Insieme ai biscotti, mi allunga anche una tazza di caffè. Si siede accanto a me e mi accarezza i capelli, facendomi tornare bambina per qualche minuto. Non vivevo una mattina così rilassata da davvero tantissimo tempo. 

“Dunque, ieri Lexa mi ha detto che andrete a fare una bella passeggiata.” esordisce Marcus. 

“Sì, ha organizzato tutto lei. Andremo con Aden, quindi credo non abbia scelto un percorso molto impegnativo.” spiego.

“Vorrai dire che lo speri.” 

“Rae, non sono così scarsa.” provo a difendermi, inutilmente. La mia amica se la ride sotto i baffi, mentre è intenta a dare un enorme morso al suo toast. Non capisco come riesca a mangiare così tanto senza ingrassare nemmeno di un chilo. 

“Dovrebbe essere qui a momenti e io sono ancora in pigiama.” osservo poi. Mi alzo da tavola e corro al piano di sopra cercando di anticipare l’arrivo di Lexa, ma è troppo tardi. È già qui.

“Clarke, non dirmi che sei in rit-… Oddio, scusami.”. Mi volto verso l’ingresso della mia stanza. Lexa mi sta fissando, rossa come un peperone. Solo in questo momento mi rendo conto di essere in intimo di fronte a lei. 

“L-Lex, io… Mi stavo cambiando.” balbetto.

“Ehm, vedo.” mormora lei, sempre più in imbarazzo. “Ti… Ti aspetto giù.”. Annuisco e la osservo uscire. Chiudo la porta e mi siedo sul letto. Inspiro ed espiro profondamente, cercando di togliermi dalla testa l’immagine di Lexa che mi fissa mentre sono senza vestiti addosso. Mi rivesto velocemente ed esco dalla mia camera. Scendo le scale e trovo Lexa e Aden chiacchierare con mia madre, Marcus e Raven.

“Vuoi venire anche tu?” chiede alla mia amica, che però scuote il capo.

“Mi vedo con tua cugina più tardi. Forse andremo da Monty e Harper, non ho ben capito.” risponde. “Sapete, quando sono partita con Clarke per venire qua, non avevo la benché minima idea di cosa dovessi aspettarmi. Ho vissuto tutta la mia vita a Los Angeles e non sono mai stata in un posto che non fosse una grande città. Anche quando accompagnavo Clarke durante i suoi tour, andavamo sempre in qualche metropoli, mai in una piccola cittadina. Avevo paura di finire in qualche località arretrata, senza elettricità o acqua.”. Le lancio un’occhiata a metà fra il confuso e il divertito. Non riesco a credere a quello che ho appena sentito. 

“Invece sono davvero felice di essere qui. Certo, di sicuro il fatto che ho incontrato Anya gioca un ruolo importante, ma non è solo quello. Siete tutte persone splendide, generose e unite. Vi volete bene e ne volete anche a me. Non è una sensazione a me familiare.”. Le sorrido, stringendola a me. Non ha avuto una vita facile, lo so bene. Suo padre è sparito nel nulla quando Raven aveva solo pochi mesi e sua madre ha votato la vita all’alcol, quasi dimenticandosi di avere una figlia. Non me l’ha mai detto, ma ho il sospetto che la picchiasse. 

“Noi siamo contenti di averti conosciuta, Raven. E sono felice che in questi anni Clarke abbia avuto una persona come te al suo fianco.” le risponde mia madre. Raven si morde il labbro, trattenendosi dallo scoppiare in lacrime. Sospiro. Forse è questo il segreto della vita, la gratitudine. E io vorrei poterlo essere sempre. 

 

________________

 

“Clarke, non puoi esserti già fermata!”

“Sono solo un po’ fuori allenamento!” ribatto. Lexa e Aden saranno avanti due o tre metri più di me e mi guardano, divertiti dai miei tentativi piuttosto goffi di tenere il loro passo.

“Siete voi che andate troppo veloce.” mi lamento. Lexa scoppia a ridere.

“Clarke, Aden ha cinque anni.” osserva.

“Sì, ma è abituato a camminare in montagna. Abita qui.” replico, mentre mi trascino a fatica sul sentiero. Lexa viene in mio soccorso e mi allunga la mano per aiutarmi a proseguire. A quel contatto mi si mozza il respiro, ma cerco di non darlo a vedere. La verità è che ormai Lexa mi ha penetrato cuore, mente e anima. Provo per lei qualcosa di nuovo, a me ignoto, qualcosa che non ho mai sperimentato nemmeno con Finn. Ho il sospetto di sapere di cosa si tratti, ma ho paura di dare a questo sentimento un nome. Non vorrei star correndo troppo. 

“A parte gli scherzi, stai bene?” mi chiede, distogliendomi dai miei pensieri.

“Uh, io… S-sì, stavo solo riprendendo fiato.”. Lexa mi sorride e mi carezza la guancia, con una tenerezza quasi disarmante. 

“Mamma, Clarke, andiamo!” Aden ci esorta, distruggendo la bolla che si era creata. Lexa ridacchia e mi schiocca un bacio in fronte. 

“Ce la fai a proseguire?” domanda, preoccupata. 

“A passo lento sì.” rispondo. Lexa mi sorride e corre verso Aden, prendendolo in braccio. Lo spupazza per bene, nonostante i tentativi di fuga del bambino. Li osservo, un po’ malinconica. Non avrei mai pensato di poter volere una quotidianità così semplice e carica di serenità. La verità è che avevo completamente smesso di desiderare qualsiasi cosa, perfino la felicità. La mia vita non è stata altro che un’accozzaglia di momenti vuoti e insensati, privi di qualsiasi significato. Sono sopravvissuta per sei anni, ma non ho mai vissuto veramente fino in fondo. Credo non ci sia nulla di più triste. 

“Clarke, saremo costretti a fermarci qui se non ti sbrighi.” mi richiama Lexa. 

“Ci sono!” rispondo, riprendendo a camminare. Riesco a raggiungerli, anche se un po’ a fatica. Continuiamo a camminare per un’altra mezz’ora. Il sentiero è abbastanza semplice e, poco alla volta, prendo un buon passo. Di tanto in tanto, Lexa mi aiuta a proseguire, ma per lo più me la cavo da sola. 

“Pensavo fossi diventata più veloce.” dichiara Aden all’improvviso. Scoppio a ridere.

“Aden…” lo riprende Lexa, ma io le faccio segno di lasciarlo parlare. 

“Ha ragione, sono un disastro.” ammetto senza mezze riserve. “Ma vi prometto che mi rimetterò in forma.”

“Credevo che le superstar come te facessero palestra.” ragiona Lexa, con tono volutamente ironico. 

“Diciamo che frequentare una palestra poche ore a settimana per poi andare a feste di ogni tipo e sbronzarsi come non ci fosse un domani e camminare in montagna sono due cose un po’ diverse.” rispondo.

“Mamma, che cosa significa bronzarsi?” chiede Aden. Mi volto verso Lexa, che ha gli occhi spalancati quasi quanto me.

“Tesoro, è una cosa che non dovrai mai fare, va bene?”. Aden annuisce, non proprio soddisfatto della risposta, e riprende a camminare.

“Non dovrà mai farlo, uh?”. Lexa alza gli occhi al cielo. Scuote il capo e accelera il passo.

“Guarda che rimani indietro, Griffin.” mi dice e io non riesco a trattenermi oltre dallo scoppiare a ridere.

 

________________

 

Poso lo zaino per terra e mi guardo intorno. Siamo in mezzo al bosco, nei pressi di un torrente. Gli uccellini cinguettano allegri ed è possibile intravedere alcuni scoiattoli sugli alberi. Mi mancava tutto questo, devo essere sincera. L’atmosfera che si respira è così diversa da quella che aleggiava durante la gita di qualche settimana fa. Questo perché io e Lexa siamo diverse. La osservo mentre è impegnata a stendere una coperta sul prato. Da quando sono tornata a Polis, non l’avevo mai vista così serena. È libera, finalmente. A differenza mia. So benissimo che non lo sarò mai fino a quando non confesserò cosa è successo quattro anni fa, ma allo stesso tempo non voglio perderla. Dicono che la verità rende liberi, ma in questo caso ci renderebbe tutti estremamente infelici. Non posso saperla di nuovo triste, non posso farle del male. La amo troppo per poterle infliggerle altro dolore. Perché sì, io la amo, non riesco più a nasconderlo. 

“A che pensi?” mi chiede, mentre mi allunga un panino al prosciutto e formaggio. Mi massaggio il collo, alla ricerca disperata delle parole giuste. 

“Clarke?” insiste Lexa, costringendomi a voltarmi verso di lei. I suoi occhi verdi mi scrutano, mi penetrano l’anima. Mi accorgo solo in un secondo momento di star trattenendo il respiro. Mi sorride e mi carezza la guancia, esortandomi a parlare.

“Io… Io sono solo felice di essere qui. E non l’avrei mai creduto possibile.” confesso, le lacrime agli occhi. “E pensare che ero a tanto così dal chiedere a Murphy di mandarmi in rehab piuttosto che qui.”. Lexa sospira, un sorriso amaro dipinto sul suo volto. 

“Ho detto qualcosa che non va?” le chiedo. Fa per rispondermi, quando Aden le si butta addosso. 

“Ehi!” protestiamo. Lui ci guarda, l’aria furbetta. 

“Aden, che c’è?” domanda Lexa, visibilmente seccata. Penso volesse dirmi qualcosa di importante e che l’interruzione forzata da parte di suo figlio debba averla infastidita parecchio.

“È solo un bambino, Lex.” le sussurro, per farla calmare. Voglio farle capire che è tutto a posto e che di qualsiasi cosa voglia parlare, potrà farlo più tardi. Mi fa cenno col capo di aver capito e subito l’espressione sul suo volto si fa più distesa, rilassata. Stringe Aden a sé e gli schiocca un bacio sui capelli. Il bambino le si accoccola al petto e mi prende la mano. Il mio sguardo incrocia di nuovo quello di Lexa. Sento un nodo in gola, ma ricaccio indietro le lacrime. È vero, avevo smesso di desiderare qualsiasi cosa. Eppure, ora l’unica cosa che voglio è che questo momento possa durare per sempre. 

 

________________

 

“No Clarke, ti dico che non sono mai finita in detenzione.” 

“Oh, andiamo Lexa! tuo figlio ha il diritto di sapere che sua madre ne combinava di cotte e di crude quando era al liceo.” ribatto. Ho le lacrime dal ridere. Siamo tornati a casa da un pezzo e, dopo una veloce doccia, io e Lexa abbiamo preparato la cena. Ora stiamo rivangando il passato, mentre Aden ci fa mille domande. È un bambino molto sveglio per la sua età. Lexa ha fatto un gran bel lavoro con lui, deve andarne fiera.

“Mio figlio ha solo cinque anni e deve pensare che sua madre è perfetta.” replica. 

“Tu russi.” si limita a dire Aden, con una semplicità disarmante. Lexa resta di stucco, senza parole. Io non riesco a resistere e scoppio di nuovo a ridere. 

“Non è vero!” protesta Lexa, inutilmente.

“Sì che lo è. Russi un sacco, se dormi con me a volte mi sveglio per il rumore che fai.” insiste il bambino e mi sto letteralmente trattenendo la pancia dalle risate. Lexa alza gli occhi al cielo e si alza, cominciando a sparecchiare. Aden si sposta sul divano e io decido di dare una mano a rassettare la cucina. 

“Non devi per forza.” asserisce Lexa, ma io  la interrompo, posandole una mano sulla spalla.

“Voglio farlo, Lex. Tranquilla.” la rassicuro. Finito di lavare i piatti e di riordinare, torniamo in soggiorno. Troviamo Aden addormentato, probabilmente stremato dalla giornata. Lexa lo prende in braccio, attenta a non svegliarlo, e lo porta in camera. Lo mette a letto e gli rimbocca le coperte, con dolcezza. Gli schiocca un bacio sulla fronte e gli carezza i capelli, teneramente.

“Buonanotte cucciolo.” sussurra. Aspetta qualche minuto e poi esce, quasi scontrandosi con me. Si morde il labbro con fare timido e china lo sguardo. 

“Lex…” mormoro, costringendola a rialzare il capo. Rimaniamo così, ferme nella penombra, per qualche secondo. Lexa mi circonda il viso con le mani e fa per avvicinarsi alle mie labbra, ma la fermo, cercando di essere il meno brusca possibile. Non capisce e mi guarda, confusa e terrorizzata di aver fatto qualcosa di sbagliato.

“Lex, aspetta. Ho bisogno di parlarti prima.”. Annuisce, invitandomi a proseguire. 

“Ecco io… Che cosa mi volevi dire oggi prima che Aden ci interrompesse?”. Lexa si passa una mano in volto. Si sposta verso il soggiorno e sospira, sedendosi sul divano. La seguo, un po’ confusa dal suo atteggiamento. Si volta verso di me e mi guarda, per l’ennesima volta.

“Volevo solo dirti che… Clarke, so cosa significa perdere qualcuno. La morte di Costia mi ha devastata e se non ci fossero stati tua madre, Anya e gli altri non so davvero dove sarei in questo momento. Ho passato giorni chiusa in camera senza mangiare o parlare con qualcuno. Poi, una mattina, mi sono ritrovata Aden davanti e ho capito una cosa. Lui era lì con me e mi stava chiedendo di continuare ad esserci. I morti non ci sono più, Clarke. I vivi invece sì.”

“Non capisco dove tu voglia andare a parare, Lexa.” dichiaro. “Ho visto morire quello che era diventato il mio migliore amico sotto ai miei occhi e ho fatto errori di cui mi pento ogni giorno, soprattutto con te. Ho solo provato a sopravvivere, tutto qui. E lo stesso hai fatto tu, da quel che capisco. Perché Lex, vivere solo per Aden non è vita.”

“Forse la vita dovrebbe essere più che semplice sopravvivenza.” ribatte lei, facendomi sussultare. “Lo meriti, Clarke. Lo meritiamo entrambe.”. Deglutisco. Non resisto oltre. La bacio, senza pensarci due volte. Finiamo in camera sua, nemmeno io so come. La spoglio, con lentezza e adorazione. Un velo di tristezza macchia il mio sguardo non appena noto i segni del passaggio di McReary sulla sua pelle. Le bacio ogni livido e cicatrice, con una cura che non pensavo potesse appartenermi. 

“Clarke, io…” mormora Lexa.

“Shhh.” la zittisco, appoggiando nuovamente le mie labbra sulle sue. Non abbiamo bisogno di parole, non in questo momento. La sento avvinghiarsi a me, come se avesse paura che io me ne possa andare di nuovo. No Lexa, non succederà più, è una promessa. E, mentre entro in lei, non posso che darle ragione. Non voglio più solo sopravvivere. Ho bisogno di vivere. Ho bisogno di rinascere. E, Lexa, la chiave per tutto questo sei tu.






Angolo dell'autrice

Non ho molto da dire su questo capitolo. Si stanno lasciando andare entrambe, stanno ricominciando a vivere. E credo sia significativo che riescano a farlo solo assieme, l'una tramite l'altra. Clarke sta lentamente cercando di accettare i suoi sentimenti, anche se ne è molto spaventata.
Manca pochissimo alla verità, ve lo prometto. Ma, per ora, godetevi questo momento di serenità.
Grazie per le recensioni e per leggere questa storia.
A martedì!

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Capitolo 25
*** 25.I Should Leave Right Now ***


25.

Maybe I'm running
From what I know
Something is different
I need a new place to wander
(The Dangerous Summer-I Should Leave Right Now)

 

 

 

Apro gli occhi piano, cercando di abituarmi a poco a poco alla luce che penetra dalle tende. Accanto a me, Lexa sta ancora dormendo. La osservo, tracciando con il dito il bellissimo tatuaggio che le decora la schiena. Si tratta di un intricato disegno formato da linee e pianeti che si si sviluppa lungo tutta la spina dorsale fino alla base del collo. Ricordo quando me lo mostrò la prima volta, il giorno del diploma. Mia madre non poteva credere ai suoi occhi. Mi perdo fra i mille dettagli di quel capolavoro e ammiro il segno dell’infinito sul suo collo, che noto solo ora. Deve essere piuttosto recente, probabilmente è legato a Costia. La sento muoversi sotto il mio tocco e cominciare a stiracchiarsi. Si gira, gli occhi ancora semichiusi. 

“Ehi.” mormora, mezza addormentata. Sorrido e le bacio la punta del naso, per poi stringerla fra le mie braccia. 

“Buongiorno.” le dico, infine. 

“Clarke, penso sia ora di alzarsi.” dichiara lei, cercando di liberarsi dalla mia stretta. 

“Altri cinque minuti.” protesto, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo. Lexa scoppia a ridere e mi bacia il capo, con dolcezza. 

“Mi piacerebbe stare così tutto il giorno, ma oggi è domenica e tua madre ci aspetta per pranzo. Inoltre, fra un po’ Aden si sveglierà e non vorrei che ci trovasse così. Sarebbe un po’ imbarazzante.”. Annuisco, pensando a tutte le volte che mi sono ritrovata quel marmocchio nel letto ad orari improponibili. In effetti, è piuttosto mattiniero il ragazzo. 

“E va bene, hai vinto.” cedo, lasciandola andare. La guardo alzarsi dal letto e rivestirsi, per poi avvicinarsi a me e carezzarmi la guancia. La lascio fare, ma quando mi ritrovo sul pavimento non riesco a trattenere lo sconcerto.

“Ehi!” mi lamento. “Non si spingono le persone per terra.”

“Non se sono in ritardo.” mi risponde lei, un sorrisetto sghembo dipinto sul viso. 

“Ah sì?” faccio, prendendola per i polsi e trascinandola contro di me. Faccio scontrare le nostre labbra e la bacio, senza avere alcuna intenzione di permetterle di allontanarsi da me. E, a quanto pare, anche lei sembra non avere voglia di farlo. Il rumore della porta che si apre, però, ci costringe a separarci. Mi precipito sul letto e mi copro con il lenzuolo, mentre Lexa indossa una maglietta in fretta e furia. Aden entra piano, ciondolando per il sonno, in modo decisamente buffo. 

“Bagno.” annuncia e Lexa spalanca gli occhi. Si volta verso di me, rossa come un peperone e io le faccio segno di andare, trattenendomi dallo scoppiare a ridere. E, mentre li osservo lasciare la camera, penso che farei carte false per poter vivere ogni giorno questa vita.

 

________________

 

“Sei sicura di volerlo fare?” chiedo, mentre Lexa parcheggia la macchina. 

“Clarke, non è di certo la prima volta che mangiamo da Abby e Marcus.”

“Sì, ma è la prima volta che pranziamo da loro come una… Una…”

“Una coppia?” conclude lei la frase. “Non devi preoccuparti, sai che non si formalizzano.” mi rassicura lei, scendendo dall’auto.

“E se non dovessi… Insomma, io non…” balbetto, senza riuscire a costruire una frase di senso compiuto. Lexa è intenta a slacciare il seggiolino di Aden e scuote la testa, ridendo. Si gira verso di me e mi guarda, i suoi occhi verdi sempre lì, pronti a calmarmi. Sa che ho paura di deludere nuovamente le aspettative di tutti, soprattutto le sue. Sa che ho paura di sbagliare di nuovo, di ferirla per l’ennesima volta. Avanza verso di me e mi carezza la guancia, con una tenerezza quasi disumana. Posa le sue labbra sulle mie e mi bacia, lentamente. Vuole farmi capire che lei è qui con me, che non succederà nulla di male. E io voglio crederle, voglio fidarmi di questa promessa. 

“Dobbiamo andare.” sussurra, staccandosi da me. Annuisco e mi dirigo alla porta, tenendo Aden per mano. Mi guardo intorno, un po’ nervosa. 

“È nuova quella?” chiedo, indicando un’auto mai vista. Lexa fa spallucce, segno che non lo sa nemmeno lei.

“Non l’ho mai vista. Sarà di qualcuno di passaggio, non ce la vedo tua madre con una macchina del genere.” asserisce. Le do ragione scuotendo il capo e suono il campanello. Non so perché, ma ho un brutto presentimento e non riesco a tranquillizzarmi. 

“Ehi, andrà bene.” mi rassicura Lexa, posandomi una mano sulla spalla. Le sorrido e mi concentro sulla porta. Non capisco perché ci stiano mettendo così tanto ad aprire. Finalmente, sento qualcuno armeggiare con la serratura. 

“Alla buon’ora Rae.” saluto la mia amica. “Perché quella faccia da funerale?” le chiedo poi, notando l’espressione carica di angoscia che ha dipinta in volto.

“Clarke, io…” mormora, cercando di fermarmi dal varcare la soglia. 

“Raven, non è divertente.” le dico, spingendola via. “Mamma, siamo arrivat-…”. Le parole mi muoiono in bocca. Finn è seduto sul divano in soggiorno e sta chiacchierando amorevolmente con mia madre e Marcus. Quando mi vede, mi lancia un’occhiata viscida, come se fosse compiaciuto di vedermi in quello stato di evidente difficoltà. 

“Ciao Clarke.” mi saluta. Sento il mio respiro farsi sempre più affannoso. Mi giro verso Raven, che mi guarda con aria colpevole. 

“Mi dispiace, non sono riuscita a mandarlo via.” mi spiega. 

“Che cosa significa? Clarke, pensavo che non steste più insieme.” dice Lexa, confusa quanto me. 

“Ed è così, infatti.” le assicuro, prendendole le mani fra le mie. “Che cosa ci fai qui, Finn?” domando, infine. Lui sogghigna e, alzatosi in piedi, avanza verso di me. Dietro di lui, Marcus e mia madre sono paralizzati.

“Fortuna che non c’era nessun altro.” esordisce, lanciando un’occhiataccia a Lexa. 

“Non c’era quando ti ho telefonato, te lo posso giurare.” mi difendo. “Finn, lo so che ti ho ferito, ma non potevamo andare avanti così.”

“No, hai ragione. Stupido io che sono venuto fin qua per dimostrarti che voglio cambiare e che mi dispiace per come ti ho trattata mentre ero in Francia.”

“Finn, penso sia ora che tu te ne vada.” lo ammonisce Raven, prendendolo per la manica della giacca. Lui si divincola e scuote il capo. Mi fissa, forse in attesa di una mia reazione o un mio ripensamento. Chino il capo, incapace di sostenere il suo sguardo. Accanto a me, Lexa sta aspettando che dica o faccia qualcosa, ma in questo momento vorrei solo voltarmi e scappare via il più lontano possibile. No, non posso, lo so bene. Rialzo lo sguardo, incrociando quello duro di Finn.

“Dobbiamo parlare.”.

 

________________

 

“Finn, ma che ti salta in testa? Non puoi presentarti qui a casa di mia madre, così all’improvviso poi.” esordisco. Siamo in cucina da soli e la cosa non mi lascia del tutto tranquilla.

“Volevo solo capire perché, Clarke. Stavamo alla grande insieme, o almeno così pensavo. Mi hai lasciato senza darmi chissà quali spiegazioni e assicurandomi che non lo stavi facendo per qualcun altro. Eppure, mi sembra che tu e quella Lexa siate piuttosto, come dire, intime.” 

“Lascia fuori Lexa da questa storia, Finn.” mi innervosisco. “Te l’ho detto, avevo bisogno di altro. Non stavamo bene insieme, non ci facevamo altro che male. Ti stavo usando per anestetizzare il dolore, non per costruire qualcosa.”

“Costruire? Clarke, ma di che diamine stai parlando? Ci divertivamo, cosa vuoi di più?” mi chiede lui, senza capire. Non è colpa sua, è che non ha la capacità di guardare più in là del proprio naso. Finn è semplicemente una persona vuota, senza esigenze, senza futuro. Ed è esattamente questo il motivo per cui stavo con lui. Avevo bisogno di annullarmi, di non provare più niente. O, almeno, questo è quello che credevo. Ultimamente, ho realizzato che quello di cui avevo davvero bisogno era tutt’altro. Era ritrovare me stessa, rendermi conto che anche io, come tutti, merito la felicità. 

“Finn, ci conosciamo da quanto, cinque anni?”

“Sì, esatto. E stiamo insieme da uno e mezzo, anche se ci frequentiamo da tre.”. Scuoto il capo. Non so come esprimere a parole quello che sento senza ferirlo. 

“So che non riesci a capire, ma… Arriva un momento nella vita in cui scopri di voler andare oltre alla vita piatta e senza scopo che stai facendo. Sei un bravo ragazzo, Finn. Meriti più di me.” gli dico, accarezzandogli una guancia. “Mi dispiace.”. Annuisce. Sta accettando la sconfitta. Sospira e si massaggia il collo. Fa per uscire dalla cucina, quando lo vedo fermarsi e osservare alcune foto poste sul mobile accanto al frigo. Ne prende una in mano e la guarda, incredulo. Deglutisco a vuoto quando realizzo di che foto si tratta. Sto sudando freddo.

“Clarke, perché c’è una foto di Costia a casa di tua madre? Non pensavo si conoscessero.” chiede.

“Oh, beh, lei…”

“Aspetta, tu conoscevi Costia?” domanda Lexa, entrando in cucina all’improvviso. Vorrei sparire. Sono nel panico totale, non so cosa fare. 

“No, io…” provo a mentire, ma Finn mi interrompe.

“Certo che si conoscevano, uscivano insieme quattro anni fa. Nulla di troppo serio credo, giusto Clarke? Era simpatica però, peccato che vi siate lasciate così male.”. Di fronte a me, Lexa mi scruta, la bocca spalancata. “Ho detto qualcosa che non va?”

“Finn, stai zitto.” gli intimo, ma ormai è troppo tardi. “Lex…”

“No, Clarke. Ti prego, dimmi che non è quello che penso.” mi supplica Lexa, in lacrime. Sento la nausea farsi largo in me. Vorrei vomitare qui, seduta stante. Mi guardo intorno, in cerca di una via di fuga che, però, non esiste. Raven e mia madre mi fissano, senza parole. E, alla fine, nonostante tutti i miei sforzi, la verità sta venendo a galla. Ho passato quattro anni ad annullarmi per permettere a Lexa di vivere una vita felice, ma alla fine non è servito a nulla. Fino ad oggi, non ho avuto altro scopo. Forse Raven ha ragione, forse per Lexa ho sempre provato qualcosa di particolare, ma la verità è che ora non importa più. Sto per distruggerla, per annientarla completamente. Sto per rivelarle che la vita ha trascorso in questi ultimi quattro anni è stata solo un’accozzaglia di bugie. Non credo esista nulla di più terribile. E la cosa peggiore è che sono io la responsabile di tutto questo.

“Clarke, dì qualcosa, ti prego.” mi supplica e io mi sento mancare. Alzo il capo e il mio sguardo si scontra con i suoi occhi verdi, che tradiscono la confusione di chi desidera solo che le risposte alle proprie domande non siano quelle che sta per ricevere.

“Lex, io non lo sapevo…” 

“Cosa non sapevi, Clarke?”. Prendo un respiro profondo e indietreggio, fino ad addossarmi contro il muro. 

“Io… L’ho conosciuta ad una festa. Non ricordo bene nemmeno da chi fossimo, fatto sta che la vidi seduta tutta sola, palesemente a disagio. Da cosa nasce cosa e… Non sapevo fosse lei, Lex. Non me l’avevi mai presentata e…”

“Quindi ora sarebbe colpa mia? Ti ricordo che non tornavi mai a casa e di mandarti una foto solo per farti sapere che faccia aveva beh, non ne avevo voglia. Col senno di poi, avrei dovuto farlo, però.”

“No, aspetta.” provo a calmare la sua rabbia. “Non intendevo questo. Semplicemente, non avevo idea di chi fosse. Si è presentata come una studentessa di letteratura che aveva in ballo un progetto grosso che le avrebbe cambiato la vita, nulla di più. Sapevo che era originaria di Boston, ma non potevo immaginare che fosse la tua… Lex, mi dispiace!”. Lexa scuote di continuo il capo, in lacrime. Mia madre la stringe a sé, cercando di darle del conforto che, in questo momento, è impossibile per lei trovare. Raven mi fissa, nei suoi occhi un mix di incredulità e profonda delusione. 

“Per quanto… Per quanto è andata avanti?” Lexa trova la forza di chiedermi. 

“Un mese e mezzo. Era mattina e lei era appena andata a farsi la doccia. Ho sentito il suo telefono squillare, l’ho preso per rispondere e ho letto il tuo nome sullo schermo. Quando ho realizzato il tutto, mi sono sentita un verme. Ho provato ad affrontarla, ma non ce l’ho fatta. Sono scappata dall’albergo e non l’ho mai più vista. Quando poi qualche mese dopo mi hai chiesto di essere la testimone di nozze, mi sono ripromessa di dirti la verità, ma non ne sono stata in grado. Mi sentivo uno schifo, un essere ignobile.”

“Per questo sei sparita.” realizza mia madre. Annuisco. Non riesco nemmeno a piangere. 

“Hai lasciato che io la sposassi, nonostante ciò che mi aveva fatto!” mi urla contro Lexa. 

“Io non… Io ci ho provato!” ribatto. “Io ci ho provato.” ripeto, la voce rotta dai singhiozzi. Affondo il volto tra le mani, lasciandomi andare, finalmente, ad un pianto disperato. Di fronte a me, Lexa mi fissa con sguardo vacuo, senza più parole. Raven fa un passo verso di me e mi carezza la schiena, titubante. Non so come sia possibile per lei un gesto simile in questo momento, non lo merito. Non merito nulla.

“Il giorno del tuo matrimonio sono venuta a Polis. Ero pronta a confessare la verità, ma poi…”

“Poi?” mi esorta a proseguire Lexa, la voce ormai priva di qualsiasi emozione. 

“Poi ti ho vista, Lex. Eri così felice, io non… Io sono stata una codarda. Mi dispiace.”. Lexa scuote il capo. Si divincola dalla stretta di Abby e avanza verso di me. Mi alza il mento con le dita, costringendomi a guardarla in faccia. 

“Sei rientrata nella mia vita, facendo finta di nulla. Sei stata con mio figlio, permettendogli di affezionarsi a te.” esordisce.

“Lex…”

“No, Clarke, lasciami finire. Mi hai nascosto la verità per quattro anni, da vera vigliacca quale sei. Mi fai schifo.”. Chino il capo, incapace di sostenere il suo sguardo. Con la coda dell’occhio, la vedo prendere Aden per mano e scappare via. La verità rende liberi, dicono. Liberi di affogare fra i propri peccati.

 

________________

 

“E così scappi di nuovo, eh?” mi rimprovera Bellamy. Sto finendo di caricare i bagagli in macchina e, in tutta onestà, non vedo proprio l’ora di andarmene.

“Non posso fare altrimenti. Mi dispiace, Bell.”. Mi sorride, con una tenerezza che non pensavo potesse appartenergli. “Abbi cura di lei. Non sono stata in grado di proteggerla e, alla fine, nel tentativo di evitare di farle del male, l’ho ferita a morte. Ho bisogno di sapere che starà bene e che avrà te e gli altri su cui contare.” gli affido Lexa. Bellamy annuisce e mi abbraccia. Mi lascio cullare, cercando inutilmente di trattenere le lacrime.

“Toglimi solo una curiosità. Perché Jasper? Perché lui sapeva?” mi chiede. 

“Quando tornai di nascosto per poter confessare la verità a Lexa, Jasper mi vide. In quel momento, avevo bisogno di aprirmi con qualcuno e lui era lì, per me. Avevo già deciso di sparire e sapevo che avrebbe capito senza giudicarmi. Sapevo che mi avrebbe lasciata libera pur non essendo d’accordo con me.” spiego. Bellamy annuisce in silenzio. Sospira. Mi carezza una guancia e mi schiocca un bacio in fronte. Fa per dirmi qualcos’altro, ma viene interrotto dall’arrivo di mia madre. Mi saluta e mi lascia a lei, mentre dietro di me Raven finisce di caricare l’auto. 

“So che sono una delusione, non serve che tu me lo dica.”. Mia madre mi stringe a sé e mi bacia il capo.

“Non lo sei, Clarke. Solo, mi piange il cuore sapere che hai portato questo peso da sola per tutto questo tempo.”. Mi sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi guarda con dolcezza. “So che tornerai a Los Angeles, ma voglio che tu sappia che qui la porta è sempre aperta. Ti voglio bene, Clarke. Sei mia figlia e ti amerò sempre.”. Non resisto oltre e scoppio a piangere. Rimaniamo così, l’una fra le braccia dell’altra, per non so quanto, fino a quando non mi stacco. 

“Ora devo andare.” mormoro. 

“Lo so. Ti voglio bene.” mi dice lei. La saluto un’ultima volta e salgo in auto. Mi allaccio la cintura e mi volto verso Raven. 

“Mi odi?” le domando.

“Clarke, no. Solo, mi servirà tempo per digerire la cosa. So che le tue intenzioni erano buone, so che volevi solo proteggerla, ma non posso e non voglio giustificarti. E, tuttavia, continuerò a volerti bene. Sei la mia migliore amica, Clarke e non ti libererai di me così facilmente.” dichiara lei, mettendo in moto. Siamo partiti da poco quando Jasper ci si para davanti, costringendo Raven ad inchiodare.

“Ma sei pazzo?” gli urla contro.

“Sì. Cioè, no, non lo sono. Clarke, aspetta, devo darti una cosa!”. Apro la portiera della macchina e lo guardo confusa. Si avvicina a me e mi allunga un dischetto. 

“Cos’è?” gli chiedo.

“È l’EP, Clarke. So che anche se ti dicessi di non partire, lo faresti comunque. Non posso fermarti, ma posso provare a ricordarti che anche tu meriti di essere felice. Questo EP ne è la prova. Non scordartelo mai.”. Sospiro. Mi rigiro il dischetto fra le mani, di nuovo sull’orlo del pianto. Abbraccio Jasper, stringendolo forte a me.

“Ti voglio bene, Jas.” mormoro.

“Anche io, Clarke. Anche io.”. E, mentre mi perdo in quell’abbraccio, mi chiedo se Jasper abbia o meno ragione. Ripenso a Lexa. Lei merita di essere felice, mentre io, beh… Io non ne sono sicura. So solo che, in questo momento, nessuna delle due lo è. E io darei la mia vita affinché lei lo sia. Risalgo in macchina e osservo Polis farsi via via sempre più piccola. Raven guida in silenzio e io mi appoggio con la testa al finestrino, incapace di fare qualsiasi cosa. Mi ero illusa di poter ritrovare me stessa e riscoprire il mio valore. Eppure, mentre lascio Polis alle mie spalle, la verità si fa largo in me. Sei anni fa, scappai in preda ai rimorsi e alla disperazione, facendo terra bruciata intorno a me. Oggi, a distanza di così tanto tempo, accade esattamente lo stesso. Che sia questo il mio destino? Non ne ho idea, purtroppo. So solo che andarmene è l’unico modo perché Lexa sia felice. E, per me, non esiste cosa più importante al mondo.






Angolo dell'autrice

Ho dovuto fare davvero uno sforzo immane per non aggiornare prima. 
Dunque, finalmente si scopre la verità. Non so quanti di voi avevano pensato a una eventualità simile, di sicuro non Lexa che ora vede tutto il suo mondo crollare inesorabilmente. Clarke in realtà ha solo provato a proteggerla per tutto questo tempo, ma si sa, la verità viene sempre a galla prima o poi.
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate di questo capitolo, fatemelo sapere se vi va. 
Grazie mille a chi ha recensito e a chi legge e segue questa storia. 
A martedì!

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Capitolo 26
*** 26.Anxious ***


26.

 

And it feels like I don't have a place now
'Cause I don't connect with anyone who found a way out
And when I'm up, I'm just waiting for the takedown
Will my fear of living life ever die out?
(Josh A-Anxious)


 

Il sole filtra dalle tende, costringendomi a svegliarmi. Prendo il telefono dal comodino e leggo l’ora. Le tre e venti del pomeriggio, considerato che alle quattro dovrei essere all’ABC per registrare una puntata del Charmain Diyoza Show direi che è ora che mi dia una mossa. Sbadiglio e mi stiracchio, per poi alzarmi e recarmi in bagno. Mi guardo allo specchio, con ribrezzo. Sono andata a letto alle dieci stamattina e non mi reggo in piedi. Mi lavo la faccia e mi pettino i capelli. Il mio telefono squilla all’impazzata, segno che Raven deve essere già arrivata. Cerco di fare appello alle poche energie che ho e mi costringo a tornare in camera e scegliere qualcosa da indossare. Alla fine metto un vestito a caso e, infilati un paio di occhiali da sole per nascondere le occhiaie, esco di casa. Raven mi sta aspettando per strada, la schiena appoggiata alla portiera di un taxi piuttosto malmesso. 

“Avevano finito le limousine?” esordisco, con fare strafottente. Raven scuote il capo, cercando in tutti i modi di non rispondermi male.

“Sali, che siamo in ritardo.” si limita a dire, accomodandosi sul sedile anteriore. Obbedisco, senza fiatare. Da quando siamo tornate da Polis, il rapporto fra noi due si è alquanto raffreddato. Non tanto per quello che ha scoperto sul mio conto, bensì per come ho reagito al mio ritorno a Los Angeles. Mi sono completamente chiusa al mondo esterno. Vivo tappata in casa, alienata da tutto e tutti. Non vado a feste, non partecipo a serate di alcun tipo e, a meno che la mia presenza non sia fondamentale, mi rifiuto categoricamente di partecipare a un qualsiasi evento mondano. Ho perso interesse in qualsiasi cosa, perfino nella musica. Non ho più uno scopo, né stimolo. Vado avanti per inerzia, per mera abitudine. Passo le serate a bere e piangere, senza aspettative o prospettive. Non c’è alcun futuro per me, nessuna promessa di felicità. Non dopo quello che ho fatto. 

“Clarke, pensi di riuscire a sostenere un’intervista o devo annullarla?” chiede Raven, riportandomi alla realtà.

“Immagino che a Lightbourne non farebbe piacere sapere che ho deciso di saltare il Charmaine Diyoza Show, Rae.” dichiaro. La mia amica sbuffa, visibilmente contrariata dalla mia risposta. Proseguiamo il resto del viaggio in silenzio, fino a quando non arriviamo a destinazione. Gli studi dell’ABC oggi mi mettono più a disagio del solito, non so perché. Mi dirigo verso i camerini e lascio che la truccatrice mi sistemi per la trasmissione. Non ho il controllo del mio corpo, sto facendo semplicemente quello che mi è richiesto. 

“Clarke, posso ancora fingere che ci sia stato un contrattempo.” insiste Raven. 

“Rae, lasciami in pace.” le rispondo in malo modo. Scuote il capo e fa per dirmi qualcosa, ma cambia idea.

“Ci vediamo dopo.” sibila, per poi uscire dal camerino, più arrabbiata che mai. Mi maledico per il mio comportamento, ma non reagisco, né provo a fermarla. In fin dei conti, è meglio così. Forse il mio destino è restare sola, null’altro. E non riesco proprio a capire come io mi sia potuta illudere del contrario.

 

________________

 

“Dunque Clarke, ci hanno detto che hai scelto di lavorare a 100 in un posto particolare. Vuoi parlarne?” Diyoza mi chiede. Non ero pronta per domande del genere. Sorrido nervosamente, cercando di prendere tempo.

“Sì, avevo bisogno di tranquillità e così io e il mio staff abbiamo deciso di incidere il nuovo album nella mia città natale, a Polis.” rispondo. 

“E come è stato lavorare a casa? Non tornavi da molto?” insiste Diyoza. 

“Sì, da un po’. È stato…”. mi mordo il labbro, cercando di trattenere le lacrime. “È stato intenso.” mi limito a dire e posso chiaramente notare il ghigno dipinto sul volto di Diyoza, così compiaciuta dall’avermi messa in difficoltà. Giornalisti, sempre interessati a spremerti fino all’osso pur di guadagnare il più possibile.

“Beh, parliamo un po’ del disco. Si candida ad essere uno degli album dell’anno, deve essere una bella sensazione. Insomma, fino a qualche anno fa eri una totale sconosciuta, in poco tempo hai scalato le classifiche. Da una piccola cittadina del nord al dominio della scena musicale mondiale, niente male.”

“Già.” mormoro. Diyoza mi scruta, aspettando che io dica qualcos’altro. Eppure, dalla mia bocca non esce proprio un bel niente. 

“Bene, direi di fare una piccola pausa. Amici telespettatori, ci vediamo dopo la pubblicità.” Diyoza cerca di salvare la situazione, mentre mi fulmina con lo sguardo. È una donna alta, imponente. Il suo talk show è uno dei più seguiti al mondo ed essere intervistati da lei è sia un onore, sia una maledizione. Gli ospiti per lei non sono altro che una fonte di guadagno e spesso gode nel metterli appositamente in difficoltà, una tecnica che le permette di incrementare ascolti e mantenere un certo potere all’interno del mondo dello spettacolo. Adora vedere noi artisti cadere, fallire. E io le sto dando esattamente ciò che vuole. 

“Clarke, tutto bene?” mi soccorre Raven, preoccupata. Annuisco, ma è palese che non sto dicendo la verità. Raven si accuccia di fronte a me e mi carezza una guancia, con tenerezza. 

“Voglio andare a casa.” mormoro, scoppiando a piangere. Mi avvinghio a lei, affondando il volto nella sua camicia. Le sto sporcando i vestiti di mascara, ma non mi importa. Ho bisogno di qualcuno in questo momento e non posso permettere che se ne vada. Razionalmente, so che non lo farebbe mai, ma la paura di sbagliarmi è troppa. 

“Penso sia meglio sospendere l’intervista.” osserva. Diyoza scoppia a ridere e io mi sento morire. Mi stringo ancor di più a Raven, sforzandomi di non vomitare. 

“Abbiamo firmato dei contratti, non può andarsene così.” 

“Signora Diyoza, con tutto il rispetto, non credo sia possibile continuare.” insiste Raven. 

“Va bene. Chiederò a Lightbourne il conto però.” ribatte Diyoza.

“Faccia come le pare. Arrivederci.” taglia corto la mia amica, aiutandomi ad alzarmi e portandomi fuori di lì. Solo quando finalmente ci troviamo fuori dagli studi inizio a calmarmi. 

“Clarke, respira. Va tutto bene.” cerca di tranquillizzarmi Raven.

“Non è vero, non mentirmi. Non va tutto bene e lo sai benissimo.”. La mia amica china il capo, sconfitta. Ho ragione e ne è consapevole. Ci sediamo per terra, sul marciapiede. Ormai è settembre e l’aria si è raffreddata, nonostante la temperatura continui ad essere piuttosto calda.

“Come va con Anya?” chiedo a bruciapelo. 

“Bene. Alla fine ci vediamo tutti i fine settimana. Vorrei poter stare di più con lei, ma per ora non è fattibile.” risponde Raven.

“Vedi mai…”

“Sì.” afferma lei, anticipandomi. Mi mordo il labbro, indecisa se porre o meno la domanda che mi sta ronzando in testa. Prendo un respiro profondo, guardando di fronte a me. E, infine, decido.

“Chiede mai di me?”. Raven si passa una mano fra i capelli, alla ricerca di parole che possano farmi male il meno possibile. “Va bene, ho capito.”

“No, Clarke. Ascoltami, Lexa è ferita e molto confusa, ma sono sicura che ti voglia ancora bene, nel profondo.” 

“Hai detto bene, nel profondo.” replico, con una smorfia. Raven sospira e mi carezza affettuosamente la schiena. 

“Sai, per un po’ ho davvero creduto di poter essere felice. Non mi sono mai sentita così viva come quando ero con lei. E sai qual è la parte più divertente? Che sarebbe così facile dare la colpa a Finn, ma la verità è che sono io ad aver rovinato tutto. Non sarei dovuta rientrare nella sua vita, non avrei mai dovuto riavvicinarmi a lei. Avevo promesso a me stessa che mi sarei tenuta a distanza, che avrei fatto di tutto affinché mi odiasse. Era l’unico modo per poterla sapere felice.”. Raven mi scruta, gli occhi carichi di giudizio. Non è d’accordo con quanto ho appena detto, è evidente.

“Clarke, è la cosa più stupida che abbia mai sentito. Lexa non sarebbe mai stata felice odiandoti. Per non parlare del fatto che hai permesso vivesse una bugia per ben quattro anni.”. Chino il capo. Mi sento incompresa. 

“Non volevo farle del male. Io… Io non sapevo come comportarmi.”

“Lo so.” dichiara Raven. “Lo so, Clarke. Ma ormai è andata e penso sia ora di reagire.”

“Reagire?” sbotto. “Rae, io devo sparire. Tutto quello che tocco muore o va in rovina. Prima mio padre, poi la musica, poi Wells e ora Lexa. Distruggo tutto, so fare solo questo.”

“Clarke…” prova a farmi calmarmi Raven, invano. 

“No, lasciami. Sai cosa ti dico? Stammi lontana, Rae! È meglio per te!”. Sono sull’orlo del pianto, completamente fuori controllo. Mi alzo in piedi di scatto e faccio per scappare via, ma Raven mi ferma prendendomi per il polso.

“Clarke, ti prego…” mi supplica, ma io non l’ascolto. Mi divincolo dalla sua stretta e corro via, senza voltarmi indietro. La solitudine, sì. Ecco tutto ciò che merito. 

 

________________

 

È sera ormai. Non so da quanto io stia vagando per la città, non ne ho la più pallida idea. La luce dei lampioni illumina l’ampio viale in cui mi trovo, rivelando un lato di Los Angeles che non conoscevo, più familiare. Intorno a me, l’umanità si muove, a volte con uno scopo e altre volte senza. È incredibile come il mondo vada avanti nonostante il dolore che mi attanaglia il petto. In questo momento, vorrei solo che si fermasse e che percepisse le mie ferite, che le vivesse con me. Dio, quanto sono egoista. Mi chiedo se, forse, è la noncuranza del mondo ad acuire il dolore che provo. È come se avvertissi una sproporzione tra quello che dovrei provare e quello che provo effettivamente. A tratti fatico a respirare, tanto sono profonde le mie ferite. Di notte non dormo e la realtà che mi circonda mi sembra impalpabile, solo una dimensione onirica di cui non farò mai parte. Ma al mondo tutto ciò non interessa. Si è sempre soli con il proprio dolore, devo tenerlo a mente. 

“Signorina, faccia attenzione!” urla una voce. Mi volto, ma non faccio in tempo a spostarmi. Mi ritrovo per terra, dolorante. Quando alzo lo sguardo, sobbalzo. Non è possibile. Di fronte a me c’è un uomo che conosco fin troppo e che speravo non avrei mai più incontrato in tutta la mia vita. Non perché mi abbia fatto qualcosa, no. Anzi, è il contrario.

“Clarke Griffin!” esclama, stupito. Indietreggio, cercando di scappare. Come se fosse una cosa possibile. In questo momento, non sono altro che un verme, mi è evidente. Striscio su questo marciapiede, incapace di fare altro. Striscio su questo marciapiede perché non ricordo più come ci si alza in piedi.

“Clarke, aspetta! Non voglio farti del male.” mi ferma. Chiudo gli occhi, lasciando che le lacrime bagnino le mie guance. Non sono in grado di guardarlo in faccia. Lui mi aiuta ad alzarmi e mi stringe a sé. Non riesco più a trattenermi, non ha alcun senso reprimere tutto quello che celo dentro di me. Scoppio in un pianto disperato, senza alcun freno. 

“Clarke vieni, ti porto dentro.” mi propone lui e io nemmeno provo a resistere. Lo seguo, passo dopo passo, come un automa. Entriamo in un appartamento piuttosto piccolo, ma confortevole. 

“Scusami il disordine, non aspettavo ospiti. Siediti pure qui.” mi dice, indicando il vecchio divano verde che campeggia al centro del soggiorno.

“Cosa posso offrirti? Non che abbia poi così tanto, in effetti. Da qualche parte dovrebbe esserci del succo di frutta e…”

“Dell’acqua va benissimo, signor Jaha.”. Sono le prime parole che riesco a pronunciare da quando l’ho incontrato. L’uomo mi passa un bicchiere colmo d’acqua e si siede accanto a me. Finisco di bere e sospiro. Alzo lo sguardo, titubante. Thelonius Jaha, il padre di Wells Jaha, è qui vicino a me. Anzi, sono io a essere a casa sua. Non lo vedo da quando suo figlio è morto. Non sono nemmeno andata al funerale, da vera vigliacca quale sono. Mi aspetto di leggere disgusto e odio nei suoi occhi, ma con mia somma sorpresa non trovo nulla di tutto questo nelle sue iridi scure, solo un profondo affetto che non ho idea da dove nasca.

“Come stai?” mi chiede. È una semplice domanda, eppure mi colpisce allo stomaco come fosse un pugno. Come sto? Non credo esistano parole che riescano a spiegarlo. Disperata? Depressa? Senza più uno scopo per andare avanti? Carica di sensi di colpa? Anche, sì. 

“Vuota.” rispondo, non so nemmeno io perché. “Mi dispiace.” mormoro poi, mordendomi il labbro per evitare altre lacrime che, però, arrivano comunque. 

“Clarke.” mi chiama Jaha, costringendomi a guardarlo negli occhi. “Non è stata colpa tua.”

“Non è vero. Ho deciso io di prendere quella scorciatoia. Ero io l’obbiettivo del borseggio. Wells, lui…”

“Lui ti ha protetta. E tu, Clarke, devi tenerlo a mente. Wells l’ha fatto perché ti voleva bene.” 

“Wells è morto perché mi voleva bene, Jaha. Per colpa mia lei ha perso suo figlio.” ribatto, ma l’uomo di fronte a me scuote il capo, in disaccordo. 

“Io sono fiero di Wells, Clarke. Quella sera potevate morire entrambi e invece tu sei qui, viva. Non so perché il destino abbia voluto separarmi da mio figlio così presto, ma credo profondamente che lui ti vorrebbe sapere felice.” asserisce. 

“Io distruggo tutto ciò che tocco. Io…”. Prendo un respiro profondo. “Quando sono arrivata a Los Angeles, non riuscivo a smettere di pensare a mio padre. Avevamo litigato quella sera e io ero scappata di casa, senza pensare alle conseguenze delle mie azioni. Mio padre ha deciso di venirmi a cercare, nonostante diluviasse. Mia madre era in ospedale e se l’è trovato davanti, in condizioni critiche. Non c’è stato nulla da fare. Ho distrutto la mia famiglia, ho distrutto la sua e ora ho distrutto anche quella dell’unica persona che mi faceva sentire meritevole di felicità. Vorrei solo poter scappare il più lontano possibile, per potervi salvare dalla mia presenza.”. Non so con che coraggio gli sto dicendo tutto questo, probabilmente ho solo bisogno di qualcuno con cui aprirmi sul serio per una volta. Jaha mi sorride, in modo quasi paterno.

“Sai Clarke, forse è questo il problema. Non puoi continuare a scappare. A volte restare ripaga di più, potresti scoprire che quello che pensi di te è completamente sbagliato.”. Non capisco dove stia andando a parare. “Sei viva, Clarke Griffin. Hai sofferto tanto, hai perso tanto, ma sei ancora qui. Vivi, Clarke. Non per Wells, non per tuo padre, ma per te. Dici di volerci salvare dalla tua presenza, ma la verità è che è la tua assenza a pesare. Sei amata e anche molto, non lasciare che tutto questo non conti nulla, perché non è vero. Tu forse non lo vedi, ma meriti di essere felice. Wells lo sapeva, ecco perché quella sera ti ha protetta. E sono convinto che sia lo stesso motivo per cui tuo padre è uscito per cercarti.”. Apro la bocca per replicare, ma non riesco a formulare frasi di senso compiuto. Non l’avevo mai vista in questo modo. Non devi sempre scappare, la voce di Lexa mi risuona nella testa, all’improvviso. Vorrei poterla ascoltare, ma non sono ancora pronta. Eppure, non mi alzo da quel divano, non esco da quella casa. E, mentre tra me e Jaha cala un silenzio quasi irreale, non posso non pensare a Lexa e alle sue parole. Non devi sempre scappare, Clarke. E forse è vero.





Angolo dell'autrice

Clarke ha fatto molti passi indietro, purtroppo. L'idea di non meritare altro che una vita vuota la sta consumando, distruggendo. Troppi sensi di colpa tra suo padre, Wells e Lexa. Eppure, non è così. Non amo troppo Jaha nella serie, ma qui non potevo non far riconciliare i due. Wells si è sacrificato perché Clarke merita di vivere, non il contrario. E, a poco a poco, riuscirà ad accettarlo.
Grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia. A venerdì (sì, avete letto bene, proprio venerdì, ho finito di scrivere questa storia e gli ultimi aggiornamenti vorrei portarli a due volte a settimana)!

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Capitolo 27
*** 27.If You Were Here ***


27.

 

And I'm sorry it took me so long to get to you
Now the sky's turning colors
But I know you're watching it too
(June Divided-If You Were Here)

 

 

 

“Allora Clarke, sei pronta? Tra poco tocca a te.” 

“Non si preoccupi signor Lightbourne, devo solo cantare, no?” rispondo. “Insomma, non è nulla che non abbia già fatto.”. Lightbourne mi squadra, confuso. Probabilmente mi vorrebbe un po’ più entusiasta, ma io proprio non ce la faccio. 

“Ascoltami, sei stata brava in questi mesi e il disco sta vendendo molto. Esibirti qui al Sanctum Fest sarà fondamentale per la tua carriera e per la mia casa discografica. Mi raccomando, sai cosa fare.”. Mi picchietta la spalla e se ne va, permettendomi di tirare un sospiro di sollievo. Scuoto il capo. Questo camerino in cui mi trovo è così stretto. No, il problema non è il camerino. Mi siedo di fronte allo specchio. Osservo il mio riflesso. Sei felice Clarke? Cosa raccontano i tuoi occhi? Fisso le mie iridi azzurre. Sono spente, così vuote. Vorrei riuscire a piangere, ma non sono in grado di fare nemmeno quello. 

“Clarke, ehi. Tutto bene?” mi chiede Murphy. È in compagnia di Raven e non ho idea da quanto tempo sia qui. 

“Io… Sì, stavo finendo di prepararmi.” rispondo. Raven sospira e mi lancia un’occhiata severa, segno che ha capito che sto mentendo. Distolgo lo sguardo, nella speranza che mi lascino stare. 

“Vuoi rivedere la scaletta?” mi propone Murphy, ma faccio segno di no con la testa. La verità è che non ho proprio voglia di pensare a quello che canterò tra dieci minuti.

“Tranquillo, ho tutto sotto controllo.” rispondo, per poi sedermi di nuovo e finire di prepararmi. Voglio solo che mi lascino sola. Ne ho bisogno. 

“Allora io vado. Ci vediamo alla fine del concerto, in bocca al lupo.” 

“A dopo, Murphy.” lo saluto, senza nemmeno voltarmi. “Non dovresti andare con lui?” chiedo a Raven. Invece di seguirlo, è lì, appoggiata alla parete, che mi squadra con sguardo preoccupato.

“Rae, sto bene, devo solo finire di truccarmi.” insisto. Per tutta risposta, tira una manata al muro e avanza verso di me, con fare nervoso.

“Smettila, Clarke! Ti prego, piantala!” esordisce. Deglutisco, sorpresa da una simile reazione. 

“Rae…”

“No, basta cazzate. Sono stanca Clarke. Non ne posso più, non riesco a continuare così. Ti stai autodistruggendo e io non voglio essere complice di uno scempio simile.”. Scuoto il capo, incapace di replicare. “So che pensi di non meritare più nulla, ma non è così.”

“Invece lo è, Rae. E, anche se non lo fosse, non saprei proprio come poter rimediare a tutti gli errori che ho commesso.”. Raven infila le mani in tasca e ne estrae un mazzo di chiavi e un disco. Le appoggia sul mobiletto di fronte allo specchio e ritorna a guardarmi, seria. 

“Che cosa significa?” domando, confusa. Mi rigiro il disco fra le mani, chiedendomi di cosa si tratta. Dopo svariati secondi, lo riconosco. Sobbalzo, sorpresa. Pensavo di averlo gettato via.

“Ma questo è…”

“Il tuo EP, esatto. L’ho recuperato dal cestino non appena ho visto che l’avevi buttato.”. Ormai non riesco più a trattenere le lacrime, è inutile. “Sai, c’è più verità in quel disco che in tutti i tuoi ultimi lavori. So che Murphy mi licenzierà per questo, ma voglio che tu ritorni ad essere te stessa, Clarke. Te lo meriti.”

“Rae…”

“No, va tutto bene. Ho posteggiato accanto alla limousine, nel parcheggio riservato. Ho già fatto il pieno, ma credo che dovrai comunque fermarti prima o poi, per cui ecco dei soldi per…”

“Rae, io non posso. Devo salire su quel palco fra poco e…” provo a protestare, ma lei non mi fa proseguire oltre.

“Clarke, ma mi ascolti quando parlo? L’unica cosa che devi fare è provare a ritrovare te stessa. Tu meriti di essere felice, nient’altro.”

“Ma sarai licenziata!” ribatto. La vedo inarcare le sopracciglia, decisamente spazientita. La verità è che sono terrorizzata. So di cosa ho bisogno, ma ho paura di scoprire di non meritarlo. 

“Clarke, vali più del mio lavoro. Ne troverò un altro.”. La stringo in un abbraccio e mi ritrovo a piangere sulla sua spalla.

“Ti voglio bene.” sussurro.

“Anche io, Griffin.” risponde lei. “E ora vai, prima che Lightbourne ti venga a prendere.”. Mi cambio, togliendo quei ridicoli costumi di scena che mi hanno costretta ad indossare in favore di una maglietta, un paio di jeans e una felpa di un non meglio specificato gruppo musicale. Afferro le chiavi ed esco in corridoio, attenta a non farmi vedere da qualche membro dello staff. Sento le urla e gli applausi dei fan che invocano il mio nome a gran voce. Mi dispiace deluderli, ma so anche che non posso continuare così. Non è giusto. Per la prima volta da anni sto scappando sì, ma per non scappare mai più. Ed è così liberatorio.

 

________________

 

Sono in viaggio da ormai diverse ore. Intorno a me, il paesaggio è completamente cambiato. Sto risalendo la costa e sono ormai arrivata a Monterey. Decido di fermarmi ad osservare il panorama notturno. L’oceano. Penso che non esista nulla di più immenso, magnifico e terribile al tempo stesso. I flutti si infrangono sugli scogli, mentre l’acqua scura diventa un tutt’uno con il cielo. Sorrido, mentre ripenso a una delle tante estati passate assieme a Lexa. Avremmo avuto dodici o tredici anni e mio padre aveva insistito per portarci a mare proprio qui a Monterey, con un camper. In fin dei conti, oltre a me e Lexa c’erano anche Anya e Jasper. Era notte fonda e avevamo bucato. Diluviava e tra fulmini e tuoni io ero terrorizzata. Fu allora che Lexa mi prese per mano e mi obbligò a guardare fuori. Non avevo mai visto uno spettacolo simile. Non credo che esistano parole in grado di descrivere la maestosità dell’oceano in tempesta. So solo che mentre mi perdevo tra quelle enormi onde che, illuminate dai fulmini, cercavano di inseguire il rombo dei tuoni, provai una sensazione di pienezza senza precedenti. Solo ora riesco a capire. Io sono come quelle onde. Sono un oceano in tempesta, destinato ad inseguire il rombo dei tuoni, inquieta. Eppure, mentre ero lì, mano nella mano di Lexa, ero riuscita a sperimentare qualche istante di pace. Vorrei solo poterla provare di nuovo. È tutto quello che chiedo. Sospiro. Oggi il cielo è limpido e la luna splende alta fra le stelle. Non ci sono tuoni, né fulmini e le onde non sono così alte. Chiudo per qualche istante gli occhi. Un leggero venticello mi accarezza il viso, con dolcezza. Assaporo questi ultimi istanti e decido poi di risalire in macchina, per proseguire il viaggio. Mi spettano ancora una quindicina di ore di viaggio, traffico permettendo. Accendo il motore e riparto. Do un ultimo saluto all’oceano, conscia che tra poco proseguirò il viaggio nell’entroterra del Paese. Rivedrò le montagne. Rivedrò Lexa. E, forse, ritroverò la pace. 

 

________________

 

L’alba. Da quanto tempo non mi fermavo ad ammirare l’alba. Il sole fa capolino dalle montagne e illumina la strada e i boschi che la circondano. Ho fatto una breve sosta nel parcheggio di un distributore, tanto per riprendere le forze. Ho cercato di dormire per un paio d’ore, abbastanza inutilmente. Esco dall’auto e respiro a pieni polmoni. Sono quasi all’altezza del parco nazionale di Yosemite e la tentazione di visitarlo è alquanto forte. Avevo sei anni l’ultima volta che sono venuta qui. Idea di mia madre, voleva festeggiare il compleanno di Jasper in modo diverso. Ricordo le cascate e l’Half Dome spiccare sulle nostre teste. Nemmeno a Polis ho mai visto nulla del genere.

“Ehi, signorina.”. Mi volto. Un uomo sui settant’anni mi fissa, con aria curiosa.

“Salve.” lo saluto, cercando di capire le sue intenzioni. Lui si avvicina a me e mi tende la mano.

“Mi chiamo Carl Powell e sono il proprietario del distributore. Ho visto che ha dormito nel parcheggio, le va di venire dentro e fare colazione? Ho preparato il caffè.”. Mi mordo il labbro, indecisa se accettare o meno la sua proposta. Alla fine cedo e lo seguo all’interno. Mi fa accomodare e mi allunga una tazza di caffè e una ciambella. 

“Io non so se posso…”

“Oh, andiamo, è al cioccolato. Chi è che non può mangiare una ciambella al cioccolato?” insiste. Sorrido nervosa e mi arrendo. Devo ammetterlo, è deliziosa.

“Dunque, che cosa la porta da queste parti, signorina…”

“Griffin. Clarke Griffin.” rispondo. Non mi importa se mi riconosce, non ho più voglia di nascondermi. Tuttavia, quando capisco che non associa il mio nome a un volto noto, tiro un sospiro di sollievo.

“Beh, dicevo, cosa la porta da queste parti? Turismo?”

“No, anche se mi piacerebbe. Sono in viaggio, devo raggiungere la regione di Arkadia. Vengo da Los Angeles, ma ho fatto tappa a Monterey.” spiego. L’uomo mi lancia un’occhiata confusa e come dargli torto. Passando per la costa ho allungato notevolmente il percorso. Eppure, ne avevo bisogno. Dovevo rivedere l’oceano. Ho passato gli ultimi anni della mia vita cercando di dimenticare chi sono, ma ora voglio cambiare rotta. Voglio ricordare tutto, i miei errori, i miei momenti felici, le mie fatiche e i miei successi. È l’unico modo per sfuggire al nulla che sta pervadendo la mia vita.

“Nomade?” mi chiede. Sorrido divertita e faccio cenno di no con il capo.

“Sto tornando a casa. Sono originaria di Polis.” rispondo. Powell annuisce e mi versa dell’altro caffè. 

“Ricordo Polis, ci sono stato una volta molto tempo fa. Bel posto.” 

“Già.” confermo. “Peccato che io l’abbia scoperto troppo tardi.” asserisco. 

“Non e mai troppo tardi. Sembra una frase fatta, ma non è così.”. Scuoto il capo.

“Nel mio caso, non saprei. Ho fatto troppi errori, signor Powell. Sto cercando di rimediare, ma non credo di poterci riuscire.” ribatto.

“Beh, è per questo che è in viaggio, no? Per scoprirlo.”. Inarco le sopracciglia, conta alla sprovvista. “Sa, non sono di queste parti. Vengo dal Kansas. Quando avevo più o meno la sua età, litigai pesantemente con mio fratello. Scappai via e finii qui, nello Yosemite. Non ho mai avuto il coraggio di tornare indietro e dirgli che mi dispiaceva. La ammiro, signorina Griffin.”. Resto in silenzio, incapace di replicare. Controllo l’ora. Devo decisamente ripartire.

“È tempo che io vada.” annuncio. “La ringrazio per la colazione e… Beh, e il resto.” 

“Si figuri.” risponde l’uomo. “Chiunque sia, la persona da cui sta andando è fortunata.”. Sobbalzo.

“Scusi? Io non…”

“I suoi occhi non mentono. Torni da lei, signorina Griffin. Torni dalla persona che ama.”. Prendo un respiro profondo, cercando di trattenere le lacrime. 

“Non è troppo tardi nemmeno per lei, signor Powell. Lo tenga a mente.” gli dico, per poi correre all’auto. Salgo in macchina e accendo il motore. Il cielo è azzurrissimo, non c’è nemmeno una nuvola. Decido di accendere lo stereo ed ascoltare il mio EP. Inserisco il disco e faccio partire la prima traccia. La mia cover di Fast Car di Tracy Chapman mi investe, mozzandomi il respiro. 

 

You got a fast car
Is it fast enough so we can fly away?
We gotta make a decision
Leave tonight or live and die this way


E io la mia decisione l’ho presa.

 

________________

 

Sono in macchina da quasi cinque ore. È quasi mezzogiorno e decido di fermarmi alla prima area di sosta che trovo e pranzare. Ho superato di poco Reno e finalmente sono arrivata in Nevada, lasciandomi la California alle spalle. Manca ancora tantissimo a Polis e io comincio ad essere molto stanca. Continuo a guidare per una mezz’ora buona, fino a quando non trovo finalmente un’area di servizio. Mi copro con occhiali da sole, un cappellino e il cappuccio della felpa ed esco dall’auto. Compro un panino e dell’acqua e mi siedo sul marciapiede davanti al negozio. Per quanto non sia buona come quella di montagna, cerco di respirare un po’ d’aria, ne ho abbastanza di stare seduta in macchina. Accendo il telefono, giusto per poter scrivere a Raven che sto bene. Avrò un centinaio di chiamate perse e messaggi da parte di Lightbourne e Murphy. Decido di ignorarli e finisco di mangiare. Dopo essere andata in bagno, riparto. Proseguo più o meno senza soste fino a Twin Falls, in Idaho. Mancano sei ore a Helena ed altre due e mezza per Polis. Mi piacerebbe continuare, ma scelgo di fermarmi e trovare un albergo per la notte. Sono ormai praticamente le otto e sto morendo di fame. Alla fine trovo una vecchia pensione e decido di prendere una camera lì. Ceno per strada con un hot dog e faccio un giro per la città. Twin Falls è famosa per le Shoshone Falls, un complesso di cascate davvero incredibile. Persa fra i miei pensieri, continuo a camminare. Mi fermo ad osservare un ragazzo che suona lungo la strada. È davvero bravo. Getto un po’ di soldi nella custodia della chitarra e gli sorrido. Deve riconoscermi, perché sobbalza. 

“Ma tu sei…”

“Ti prego, fai piano.” mi appresto a fermarlo. Lui annuisce e si guarda intorno. Non c’è praticamente nessuno nei paraggi, così cominciamo a chiacchierare. Mi chiede se possiamo scattarci una fotografia e io accetto di buon grado. 

“I miei amici non ci crederanno mai.” asserisce. “Mi chiamo Ilian Forest. È un onore conoscerti.” si presenta.

“Il piacere è tutto mio. Sei davvero bravo.”

“È l’ultima sera che passo qui. Domani parto per Los Angeles, mi hanno offerto un contratto.”. Annuisco, felice per lui. Mi ricorda me qualche anno fa. Nutrivo così tante aspettative nei confronti di Hollywood. Beh, direi che non è andata esattamente come speravo.

“Qualche consiglio? Insomma, come si diventa come te?”. Sospiro.

“Meglio non diventarlo, credimi.” rispondo. “Non dimenticare mai da dove vieni e chi sei. E non usare la musica come via di fuga, non porta a nulla di buono. Piuttosto, fa che sia ciò che ti tiene in vita.”. gli dico. Lui mi guarda stranito e un po’ confuso, ma non replica.

“Spero di ascoltare presto un tuo album.” mi congedo, per poi avviarmi alla pensione, in perfetto silenzio. Alzo lo sguardo al cielo. C’è una stellata magnifica. E, di colpo, ogni angoscia svanisce.

 

________________

 

Ho il cuore in gola. Mai avrei pensato di tornare qui, dove tutto è iniziato. Polis, casa mia. Cos’è casa? Non ho una vera risposta. Credo sia il luogo dove possiamo essere noi stessi, senza filtri, senza bugie. Prendo un respiro profondo ed esco dalla macchina. Mi tremano le mani, ma devo farlo. Non venivo a trovare mio padre da più di sei anni, da quando sono partita per Hollywood. 

“Ciao papà.” mormoro, senza riuscire però ad aggiungere altro. Scoppio a piangere, senza più alcun freno.

“Ti voglio bene.” riesco finalmente a dire, mentre mi asciugo le lacrime. “Sono tornata e questa volta per restare. Mi dispiace di essere scappata. In fin dei conti, è da tutta la vita che non faccio altro che fuggire. Sono scappata da te, dai miei sentimenti, dai miei amici, dalla verità, da tutto. Sai, sono così stanca, papà. Vorrei solo poter tornare indietro e rifare tutto da capo, ma so che non è possibile. Ora non mi resta altro che provare a rimediare a tutti gli errori fatti. Voglio essere sincera, per una volta. Soprattutto con lei, perché è quello che merita.”. Mi sento svuotata e le lacrime hanno ricominciato a bagnarmi le guance, ma non me ne curo. “Tornerò a trovarti, te lo prometto. A presto.”. Bacio il palmo della mia mano e accarezzo la lapide, per poi ritornare in macchina. Apro lo sportello e faccio per salire in auto, quando qualcuno mi chiama. Quella voce. Il cuore mi martella nel petto, senza sosta. Mi volto, lentamente.

“Clarke, che diamine ci fai qui?”. Due occhi verdi mi scrutano, sorpresi e così tristi al tempo stesso. Il mio cuore perde un battito. Lascio che mi guardi, come solo lei sa fare. Lascio che le sue iridi mi penetrino, che mi attraversino l’anima. È tutto ciò di cui ho bisogno in questo momento. Sospiro. Non posso più tirarmi indietro, non a questo punto. Non avrebbe senso.

“Ciao Lexa, come stai?”.








Angolo dell'autrice

E come promesso, ho aggiornato.
Questo è il primo capitolo che mi è venuto in mente, quello che ha generato questa storia, nonché il mio preferito. Credo profondamente che contenga il senso di questa storia e vi consiglio di ascoltare la canzone che ho scelto perché oltre a essere molto bella, è quella che ascoltavo quando ho ideato il capitolo. 
Dunque, finalmente Clarke ha deciso per sé e ha deciso di tornare a casa e non solo fisicamente. In questo suo ultimo viaggio ripercorre alcune tappe fondamentali della sua vita, realizzando quanto Lexa (e non solo) sia stata ed è ancora fondamentale e di quanto il suo amore per lei esista da sempre. 
Spero fortemente che vi piaccia, lasciatemi il vostro parere se vi va.
Grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia, a martedì!

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Capitolo 28
*** 28.Only Place I Call Home ***


28.

 

You're the only place I call home.
Near or far, where you are is where I want to be
(Every Avenue-Only Place I Call Home)

 

“Ciao Lexa, come stai?”. Penso di aver appena fatto la domanda più idiota della storia. Lexa scoppia a ridere davanti a me, palesemente per evitare di tirarmi un pugno. Non la biasimo.

“Come vuoi che stia?” replica. Chino il capo, carica di vergogna. Vorrei solo poter tornare indietro nel tempo e cambiare il mio passato. Sospiro. Non è possibile e lo so bene purtroppo. 

“Lex…”

“No Clarke, Lex un corno. Con che faccia tosta ti presenti qui?”. È furiosa. “Forse è meglio che tu te ne vada.”

“Lex, ti prego…” provo ad insistere, inutilmente. Agita le mani per aria, in preda alla rabbia e all’agitazione. Dio, cosa ho fatto? In cosa l’ho trasformata?

“Sai cosa? Me ne vado io. Sì, penso che sia meglio così, verrò a trovare Jake domani.”. Fa per andarsene, ma io la blocco per un polso. Prova a divincolarsi dalla mia presa, ma non la lascio andare. Non questa volta.

“Mollami!” mi urla contro. Scuoto il capo. 

“Ti prego, voglio solo che mi ascolti. Ti supplico.”. La vedo alzare gli occhi al cielo e fare un respiro profondo.

“Perché dovrei?” chiede, infine. La sua domanda è un pugno allo stomaco. Già, perché dovrebbe?

“Potrei risponderti che è perché ho viaggiato per tre giorni solo per venire qui o perché si tratta di me o perché so che sotto sotto sei curiosa di sapere cosa devo dirti, ma la verità è che nessuno di questi motivi è davvero valido. Non ci sono ragioni per cui dovresti, ma nemmeno per cui non dovresti. So solo che non posso continuare così, non posso tenermi tutto dentro. Non voglio scoppiare di nuovo.”. Lexa mi guarda, combattuta. La capisco, qua siamo ben oltre la seconda occasione. Non saprei nemmeno io cosa farne di me. 

“Cosa ne pensa il tuo agente? Ti ha detto lui di tornare qui, di nuovo?”

“Non sa nemmeno dove mi trovo. A dire il vero, a parte Raven non lo sa nessuno.” rispondo. Sembra colpita dalle mie parole. Sospira. 

“E va bene.” cede. “Ti ascolto.”

“Grazie.” mormoro.

“Non ringraziarmi, Clarke. Vedi di muoverti, piuttosto. Aden mi sta aspettando a casa.”. Annuisco e mi appoggio alla macchina. Di colpo, tutto quello che avevo intenzione di dirle scompare dalla mia mente. Non ricordo più nulla delle parole che volevo usare. Considerando che un tempo scrivevo canzoni, la situazione è ai limiti dell’assurdo.

“Clarke, non sto scherzando. Se devi dirmi qualcosa, ti conviene farlo subito. Non ho tempo da perdere.” mi esorta Lexa. Alzo lo sguardo, permettendo ai nostri occhi di scontrarsi per l’ennesima volta. Apro la bocca per parlare, ma tutto quello che ne esce è un singhiozzo strozzato. Lotto con tutta me stessa per non scoppiare a piangere. Lexa ha ragione, devo farmi forza e dirle tutto quanto. Non so se potrò mai riaverla nella mia vita, ma ho bisogno di farle sapere quanto tengo a lei.

“Clarke, per quanto mi piaccia stare all’aria aperta, devo proprio and-…”

“Sono stata a Monterey.” esordisco, interrompendola. Mi guarda, inarcando le sopracciglia. 

“Beh, è una meta turistica piuttosto nota, non ci vedo nulla di strano.” ribatto. Scuoto il capo.

“Due sere fa avrei dovuto esibirmi al Sanctum Fest. Il mio album sta andando piuttosto bene e tornare a cantare dal vivo in effetti sarebbe stato importante ai fini della promozione. Beh, su quel palco non ci sono mai salita, Lex. Raven è venuta da me poco prima del concerto e mi ha messa davanti alla verità. Ho passato una vita intera fuggendo da tutto quello che mi faceva stare bene, convinta che non lo meritassi. Sono scappata dai miei sentimenti, dalla mia musica, dai miei amici, da te. Non ha senso vivere così, te lo assicuro.”. Lexa mi guarda, senza dire una parola. Mi fa cenno di proseguire.

“Non ho mai voluto ferirti, te lo giuro. Al contrario, ho cercato di proteggerti.”

“E da chi? Da Costia? Dalla verità? Non sono una bambina, Clarke.”

“Da me, Lex. Dio, quando in quell’albergo ho scoperto chi fosse davvero la persona con cui mi stavo frequentando, mi sono sentita un mostro.” provo a spiegarle.

“E perché non sei venuta da me subito? Tu hai permesso che sposassi la persona che mi stava tradendo!” replica. Mi passo una mano fra i capelli. Sento la nausea farsi largo in me. Per fortuna non ho fatto colazione questa mattina. 

“Io pensavo… Come ti ho detto, sono tornata qui di nascosto, senza dirlo a nessuno. Volevo parlarti, volevo confessarti la verità. Tutta la verità.”. Ora Lexa sembra più confusa di prima. Intuisce che non sto parlando solo del tradimento di Costia. 

“Clarke, ma che cosa…”

“Il punto è che nemmeno io sapevo quale fosse la verità. L’ho capita solo l’altra notte, a Monterey. Dio, mi sento una perfetta idiota.”. Lexa alza le mani, segno che non mi segue più.

“Mi arrendo. Clarke, o mi dici di che diamine stai parlando o prendo e me ne vado.” minaccia. Mi mordo l’interno guancia e quasi scoppio a ridere fra le lacrime. Mi sento così stupidamente felice e triste al tempo stesso. 

“Ti ricordi la vacanza a Monterey?” chiedo. 

“Certo. Bucammo e ci dovemmo fermare lungo la strada, in mezzo al temporale.” risponde, sempre più confusa. 

“Io avevo paura dei tuoni e tu mi sei stata accanto, mi hai spinta ad aprire gli occhi e concentrarmi sul mare in tempesta, ad ammirare quello spettacolo che si stava consumando di fronte a noi, piuttosto che pensare a ciò che mi terrorizzava. Ci ho messo anni a capire cosa sia successo davvero quella notte, Lex. Ecco perché sono passata da Monterey prima di venire qui.”

“Hai allungato il tuo viaggio di sei ore?” mi domanda lei, sempre più esasperata. “Cosa stai cercando di dirmi? Ti prego, parla.” insiste. La guardo, con tutta la tenerezza di cui sono capace. I suoi occhi mi scrutano, confusi e spaventati. Credo che, in fondo, sappia benissimo cosa voglio confessarle. Ed è comprensibile che abbia paura. Anche io sono terrorizzata da quello che provo. Prendo un respiro profondo. Devo trovare il coraggio di parlare.

“Quella notte a Monterey io… Io ti ho vista per la prima volta. E mi sono sentita guardata per la prima volta.”. Mi fissa, immobile. È paralizzata. 

“Clarke…” mormora.

“La verità è che io non sono tornata a Polis il giorno del tuo matrimonio per confessarti cosa io e Costia avessimo fatto. O meglio, anche, ma non è questo ciò che mi ha spinta a venire qui. Lex, io…”. Sento un nodo in gola. Quello che sto per dire cambierà tutto, lo so. E sono consapevole che, in ogni caso, non mi aiuterà a riavere Lexa nella mia vita. Eppure, devo parlare. Devo essere sincera con me stessa, per una volta nella vita. Ne ho bisogno.

“Io ti amo. Ti ho sempre amata.” confesso, infine. Lexa sussulta. Si massaggia il collo, probabilmente alla ricerca della risposta giusta da darmi.

“Clarke, io… Non ha senso.” esordisce. “Dici di amarmi, ma sei sparita nascondendomi la verità per quattro anni. Io non capisco.”. Avanzo verso di lei, ma non oso toccarla. Le sorrido.

“Ero in macchina quando ti ho vista. Eri bellissima, così felice. E lì ho capito che non avevo il diritto di rovinare tutto. In fin dei conti, se fossi sparita non sarebbe cambiato nulla.”

“Ma è cambiato tutto, invece!” ribatte Lexa. Ha le lacrime agli occhi. 

“Lo so. Volevo solo che tu fossi felice, Lexa. Lo voglio ancora.”. Sto piangendo anche io. Mi avvicino lentamente a lei e le carezzo la guancia, con dolcezza.

“Io non… Clarke, io non posso.” si scosta lei. “Non posso essere di nuovo così debole. Non per te. Non dopo tutto questo.” 

“Ne sono consapevole e lo accetto, Lex. Voglio solo che tu sappia che non ho più intenzione di andarmene. Non ho più nulla che mi leghi a Hollywood.”. Lexa fa per dire qualcosa ma non ci riesce. Si asciuga le lacrime con il dorso della mano e scuote il capo. Le schiocco un bacio sulla guancia e le sorrido. 

“Ci vediamo.” la saluto. Poi risalgo in macchina e riparto, lasciandola sola nella più totale confusione.

 

________________

 

“Octavia, stai barando!”

“Sono solo fortunata, Griffin.” ribatte lei. 

“Oh, ma smettila. Andiamo, dove nascondi le carte?” la prende in giro Bellamy. L’afferra per la manica della felpa e la scuote, alla ricerca delle prove del suo imbroglio.

“Bell, ma smettila.” protesta lei, mentre io, e gli altri ci spanciamo dalle risate. Sono tornata a casa da ormai due settimane e sto vivendo alcuni dei giorni più belli della mia vita da anni. Mia madre mi ha riaccolta a braccia aperte e i miei amici sono stati ben felici di rivedermi. Sono stata in studio qualche giorno, giusto per divertirmi, senza impegno. Ho registrato un paio di cover e cominciato a scrivere un pezzo, ma nulla di veramente serio. Desidero solo godermi la vita e provare a capire cosa voglio realmente per me. Ed ecco perché non rispondo a nessuna delle telefonate che mi arrivano quotidianamente da parte di Lightbourne e Murphy. Di tanto in tanto sento Raven, anche se non sono ancora riuscita a vederla. Per la mia sicurezza, ha deciso di invitare Anya a Los Angeles durante i fine settimana. Ma, a parte lei, non mi manca niente della mia vecchia vita.

“Mentre questi due si ammazzano, vado a prendere dell’acqua. Ne vuoi un po’?” mi chiede Jasper.

“Vengo con te.” gli rispondo. Ci alziamo e ci rechiamo in cucina. Riempie la caraffa e mi versa l’acqua in un bicchiere. Mi sorride.

“Che c’è?” gli domando.

“È bello riaverti qui e sapere che non sparirai più nel nulla.” dichiara, giochicchiando con il bicchiere. 

“Anche per me.” asserisco. “Mi mancava tutto questo. Non riesco a credere di aver vissuto per tutti questi anni in un modo così vuoto. Ho davvero toccato il fondo”

“Clarke, tu lo sai perché l’hai fatto. E, per quanto io non sia mai stato d’accordo con la tua decisione, so che la tua priorità era proteggere Lexa. Sono contento che tu sia riuscita a dirle la verità.” 

“E io sono felice di essere riuscita ad essere sincera anche verso me stessa.” dico. “Mi manca, ma non penso che vorrà mai più avere qualcosa a che fare con me.”

“Non è detto. Dalle tempo, Clarke.” ribatte Jasper. Annuisco e respiro profondamente. Il suono del campanello mi impedisce di aggiungere qualcos’altro. Mia madre e Kane non sono in casa e, così, mi avvio io ad aprire la porta. 

“Chi… Oh.” mi muoiono le parole in bocca. Per poco non stramazzo al suolo. Lexa è di fronte a me, bellissima come sempre. Ha un’aria strana, a metà fra l’ansioso e il triste. 

“Ciao Clarke.” mi saluta. “Posso entrare?”. Mi volto verso Jasper, in cerca di aiuto. Per tutta risposta, scrolla le spalle. 

“Oh, tu… Certo.” la faccio accomodare. “Vuoi qualcosa da bere o da mangiare? Noi stavamo giocando, se vuoi unirti…”

“Sono a posto. Vorrei solo… Sì, insomma vorrei solo parlarti.”. Per un attimo, ho il terrore di aver capito male. 

“P-parlarmi?” chiedo conferma. Fa cenno di sì col capo, un lieve sorriso dipinto in volto. Mi passo una mano fra i capelli e mi mordo il labbro. Le faccio segno di aspettarmi e mi precipito in soggiorno, in preda all’agitazione. 

“Lexa è di là.” sussurro. “Cosa devo fare?”

“Beh, dipende.” risponde Monty. “Se vuole ucciderti, scappa.”. Echo alza gli occhi al cielo e gli tira uno schiaffetto sulla nuca.

“Peggio! Vuole parlare!” mi dispero io. 

“E cosa ci fai ancora qui? Corri da lei, no?” mi rimprovera Bellamy. 

“E se… Non lo so, insomma, se fosse ancora arrabbiata con me?”. Sono in preda all’ansia. 

“Se non l’affronti, non lo saprai mai.” ribatte Jasper. “E ora vai.”. Annuisco e, preso un respiro profondo, ritorno da lei. 

“Ti va se ci sediamo in giardino?” le propongo. 

“Va benissimo.” accetta. Indosso una felpa e la seguo fuori. Ci sediamo sull’erba, una accanto all’altra. È una notte limpida, piena di stelle. Intorno a noi, le montagne svettano maestose, come se fossero a guardia della città. 

“Lex.” rompo il silenzio. “Cosa ci fai qui?” domando. China il capo, e strappa nervosamente dei ciuffi di erba, noncurante di sporcarsi le dita di terra. 

“Beh, io… È da due settimane che non riesco a pensare ad altro che alla nostra conversazione fuori dal cimitero. Avrei voluto che me ne parlassi prima.” 

“Lex, io…” provo a dire, ma lei mi fa segno di tacere.

“No, lasciami parlare per favore.” mi interrompe. “Sai, ho iniziato a lavorare da Anya da circa un mese.”

“Sì, me l’hanno detto. Come sta? Immagino voglia uccidermi.”. Lexa si lascia sfuggire una leggera risata al pensiero della cugina. 

“Lo pensavo anche io. Invece, oggi ero da lei e beh, ovviamente mi ha chiesto di te. Insomma, ha voluto sapere se ci eravamo viste di nuovo. Quando le ho detto di no, si è spazientita parecchio. Mi ha detto che non avrei potuto continuare a nascondere i miei sentimenti per sempre e che avrei dovuto parlarti. Ho provato a ribattere ricordandole quello che hai fatto, ma sai qual è stata la sua reazione?”. Faccio cenno di no col capo. “È scoppiata a ridere e mi ha detto che è furiosa per ciò che è successo, ma che lei non è me e che devo smetterla di inventare scuse per paura di essere, un giorno, felice.”. Ora sono io che non la seguo. “Il punto, Clarke, è che io sono ancora davvero molto arrabbiata con te.”. Mi gratto la nuca, mortificata.

“Lex, io… Lo sai, non posso tornare indietro e cambiare quello che ho fatto. Lo vorrei tanto, vorrei non aver mai conosciuto Costia, ma…”. Mi ferma, lo sguardo duro.

“Non riesci proprio a capire, vero?”. La lancio un’occhiata carica di confusione. “Io non ce l’ho con te per quello che è successo con Costia. Certo, il pensiero mi fa male, ma Clarke, non è stata colpa tua. Non la conoscevi. E nemmeno io, a quanto pare.” osserva, amaramente. “No, io ce l’ho con te perché hai davvero creduto che io potessi essere felice senza di te. Io ce l’ho con te perché ti sei sacrificata per tutti questi anni, senza pensare minimamente al valore che hai. Dio, ti prenderei a pugni.”. Non riesco a replicare. Sono completamente spiazzata. 

“Io volevo solo che tu fossi felice.” sussurro. Mi sorride, lo sguardo addolcito.

“Lo so. Ma Clarke, non sarò mai felice senza di te. E mi dispiace di averci messo così tanto a capirlo.”. Sgrano gli occhi, incapace di dire o fare qualsiasi cosa. Sto trattenendo il respiro, me ne accorgo solo ora. 

“Ti ho detto che non volevo più essere debole. Dio, sono un’idiota. Non si tratta di debolezza, Clarke, ma di seguire il proprio cuore fino in fondo. E ci vuole coraggio per farlo. Tu l’hai avuto, ora voglio averlo anche io.”. Mi carezza una guancia, con una delicatezza quasi spaventosa. “Ti amo, Clarke. So che non sarà facile e che abbiamo ancora tante cose da dirci, ma io ne ho abbastanza di mentirmi. Ti amo e nemmeno so da quanto.”. Sento le lacrime fare capolino e cominciare a inumidirmi le guance. I suoi occhi verdi mi penetrano, mentre mi asciuga le gote con i pollici. Tra noi cala un silenzio irreale, quasi magico. Non abbiamo bisogno di ulteriori parole, non servono. E, quando sento le sue labbra sulle mie, finalmente realizzo la verità. Sono esattamente dove dovrei essere. Sono a casa. E non voglio andarmene mai più.






Angolo dell'autrice

E, alla fine, ce l'hanno fatta. Finalmente hanno accettato non solo i propri sentimenti, ma anche che meritano di essere felici, entrambe, insieme. E, così facendo, sono tornate a casa davvero. 
Questo era l'ultimo capitolo, venerdì ci sarà l'epilogo. 
Grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia, a venerdì.

 

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Capitolo 29
*** Epilogo-Best Of Me ***


Epilogo 

 

Tell me what you thought about
when you were gone and so alone
[…] 
I’m so glad that the truth
has brought back together me and you
(The Starting Line-Best Of Me)

 

 

 

Le fastidiose note della sveglia mi costringono ad aprire gli occhi. Sbuffo. Controllo che ore sono e decido di rimettermi a dormire. Purtroppo per me Raven entra di colpo, ponendo definitamente fine al mio agognato riposo.

“Ehi bella addormentata! È ora di alzarsi!”

“Rae, altri cinque minuti.” biascico, schiacciando la faccia contro il cuscino. 

“Clarke, sei in ritardo.” dice lei, aprendo le tende prima e la finestra poi. Un getto di aria gelata mi investe all’improvviso e mi avvolgo nelle coperte, a mo’ di involtino. Raven alza gli occhi al cielo e mi strappa le lenzuola di dosso. Sto tremando dal freddo.

“Rae, ma sei impazzita? È febbraio!” protesto.

“E tu hai un’intervista tra poche ore. Per non parlare del concerto di stasera.”. Sospiro.

“E va bene, hai vinto.” mi arrendo. Mi alzo e vado a lavarmi e vestirmi. Quando esco dal bagno, Raven è ancora accanto alla finestra, appoggiata al muro. 

“Hai intenzione di restare lì o vieni con me a fare colazione?” le chiedo, sarcastica. 

“Più passa il tempo, più sei simpatica, te l’ha mai detto nessuno?” ribatte lei, colpendomi al braccio.

“Ehi!” mi lamento, mentre la seguo fuori dalla stanza. Scoppiamo entrambe a ridere e ci dirigiamo al ristorante dell’albergo dove Bellamy e Murphy ci aspettano, l’aria piuttosto addormentata.

“Buongiorno.” saluta il mio agente. “Pronta per questa sera? Sarà il tuo primo concerto sotto la nuova etichetta.”. Io e Bellamy ci scambiamo un’occhiata carica di complicità. Dopo la mia fuga a Polis, Lightbourne ha deciso di rescindere il contratto. Non saprà mai il favore che mi ha fatto. Sono libera ormai, da qualsiasi catena. Firmare per Bellamy è stata una delle scelte migliori della mia vita. Ho perfino ricominciato a scrivere. 

“Andrà bene. Non vedo l’ora di tornare sul palco, mi manca.” ammetto. “Anche se, in realtà, non aspetto altro che domani.”

“Lei non lo sa ancora, vero?” mi chiede Raven. Faccio cenno di no con il capo. 

“È una sorpresa. Sempre che Anya non le abbia detto nulla.”. Raven mi fulmina con lo sguardo e io scoppio a ridere. Mi siedo al tavolo e ordino un cappuccino. Attorno a me, i miei amici scherzano e chiacchierano fra loro, mentre io faccio colazione, un’abitudine che ho ripreso da qualche tempo. Sorseggio il mio cappuccino e sorrido, pensando a quanto sono fortunata. Ho passato anni fuggendo da tutto e tutti alla ricerca di qualcosa che desse senso alla mia vita, senza rendermi conto che, in fin dei conti, avevo già tutto quello che mi serviva. Con la mente vado a stasera. Ho ricominciato a cantare. Ho ricominciata ad essere me. E non voglio più tornare indietro.

 

________________

 

Pronto?” risponde una voce impastata dal sonno.

“Ehi, sono Clarke.” dichiaro. Ho finito da poco di cantare e ho immediatamente telefonato a Lexa. Avevo un disperato bisogno di sentire la sua voce. 

Oh, scusami. Devo essermi addormentata sul divano. Come stai? Come è andato il concerto?”. Sorrido al pensiero di lei rannicchiata sul divano, magari con un libro fra le mani. 

“È andato bene. I nuovi pezzi sono piaciuti molto e il pubblico è stato fantastico. Sì, è stata una serata quasi perfetta.”

Quasi?” chiede lei, confusa.

“Sì, quasi. Mancavi tu. E mancava anche Aden.” affermo, con un sorriso amaro sulle labbra.

Ci sei mancata molto anche tu, Clarke. E mi dispiace davvero tanto che non riuscirai ad essere qui domani per il suo compleanno.”. Mi mordo il labbro, per evitare di rovinarle la sorpresa. “Ora scusa, ma Aden mi sta chiamando. Ci sentiamo domani. Ti amo.

“Ti amo anch’io.”. Attacco la chiamata e mi volto. Raven e Bellamy mi stanno aspettando in macchina, una vecchia Ford grigia. 

“Che c’è? Non tutti possono permettersi un’auto sportiva. E poi a Polis sarebbe solo di intralcio.” il mio amico esordisce. “Salta su piuttosto o non arriveremo mai in tempo.”. Trattengo le risate e salgo in macchina. Bellamy parte in quarta, mentre Raven insulta il suo stile di guida. Da che pulpito, direi. 

“Emozionata?” la mia amica mi riporta alla realtà.

“Un po’. Voglio proprio vedere che faccia farà quando saremo davanti a lei.” rispondo.

“Beh, non appena vedrà me penso sverrà per la gioia, sì. Quando vedrà te e la Reyes invece…. Mah, non saprei.” ci prende in giro Bellamy. Lui e Raven hanno legato molto in questi mesi. Certo, si punzecchiano abbastanza, ma fa parte del gioco. So che si vogliono bene e farebbero di tutto l’una per l’altra. 

“Bessy, dacci un taglio.”

“Mi chiamo Bellamy, porta rispetto per il mio nome. Io non storpio il tuo.”

“Faccio quello che mi pare, Betty.”. Mi sto letteralmente tenendo la pancia dalle le risate. 

“Voi due, pensate alla strada. Vorrei arrivare a Polis sana e salva, grazie.” dico. Bellamy ribatte qualcosa che non riesco a capire e continua a guidare. Da Buffalo a Polis ci metteremo circa sette ore. Mi accoccolo sul sedile posteriore, appoggiando la testa contro il finestrino. Osservo il paesaggio. La neve ricopre ogni cosa e fuori deve esserci davvero freddo. Sorrido. Sto tornando a casa. Ed è una sensazione bellissima. 

 

________________

 

“Che cosa significa che hai dimenticato le chiavi di casa, Clarke?”

“Non lo so Rae, devo averle lasciate sul tour bus.” mi dispero. Non sono nemmeno le sette di mattina e Lexa sta dormendo della grossa, il che vuol dire che non sentirebbe mai suonare al campanello. Mi guardo intorno, alla ricerca di una soluzione.

“Beh, prima o poi Lexa si sveglierà. Restiamo qui e aspettiamo.” propone Bellamy. 

“Ho un’idea migliore.” dichiaro, rivolta verso l’albero che dà sulla camera di Aden. Mi arrampico, anche se un po’ a fatica. Non sono mai stata brava in queste cose. 

“Clarke, scendi giù!” mi chiama Raven, spaventata.

“Rae ha ragione! L’ultima volta che hai provato a fare una cosa del genere sei finita al pronto soccorso.” si aggiunge Bellamy.

“Non vi preoccupate, è tutto sotto controllo.” li rassicuro, mentre cerco di arrivare alla finestra. 

“Griffin, cosa stai facendo?”. Guardo giù, per capire chi ha parlato. Mi sbilancio e perdo l’equilibrio. In un attimo mi ritrovo nella neve, con Indra che mi squadra in silenzio. 

“Coach, salve.” la saluto, restando per terra. 

“Vedo che non impari mai, Griffin.” asserisce, un sorriso sghembo dipinto in volto. Sputacchio terreno e faccio per alzarmi, ma lei mi spinge nuovamente nella neve. 

“Stasera alle sei, mi raccomando.”. Sospiro. Ogni sabato sera, prima di cena, io e lei ci troviamo a giocare a basket uno contro uno. Beh, non che la mia sia poi una scelta così libera e spontanea. 

“Ci si vede, Griffin.” si congeda. La osservo mentre si allontana, incapace di spiccicare parola. Raven mi aiuta ad alzarmi e a ripulirmi dalla neve, quando la porta si apre. Lexa è sulla soglia che ci guada, ancora mezza addormentata. Non appena realizza chi si trova davanti a lei sgrana gli occhi e ci corre incontro. 

“Clarke!” esclama, mentre mi stringe forte a sé. “Sei tornata.” sussurra. 

“Sì, Lex. Sono qui.” le confermo, baciandola. 

“Beh, direi che il nostro lavoro è finito.” ci riporta alla realtà Bellamy. 

“Già. Ci vediamo più tardi, piccioncine.” ci saluta Raven. Io e Lexa scoppiamo a ridere, l’una fra le braccia dell’altra. Entriamo in casa e ci sediamo sul divano, lei in braccio a me. Mi circonda il viso con le mani e mi bacia di nuovo, lentamente, come se ancora non riuscisse a credere pienamente di trovarsi insieme a me. Le accarezzo con dolcezza i capelli e le sorrido.

“Lo sai che non sparirò più, vero?”. Lei china il capo, ma io la costringo a rialzarlo. Si tortura il labbro, in imbarazzo.

“Clarke, io… Io penso che la paura che tu possa non tornare più non se ne andrà mai completamente.” confessa.

“Lex, ho passato anni scappando da quello che mi rendeva felice. Non voglio rifare lo stesso errore. Ti amo Lexa e tornerò sempre a casa. Tornerò sempre da te.”. Le sue iridi verdi si ricolmano di lacrime. Mi bacia di nuovo, con trasporto. Restiamo sul divano per un po’, l’una fra le braccia dell’altra. Poi, dopo un’ora, ci alziamo e andiamo a svegliare Aden, pronte per festeggiare il suo compleanno. Non appena apre gli occhi e mi vede, mi salta addosso, urlando il mio nome. 

“Tanti auguri, piccolo.” sussurro, baciandogli il capo. E, in quell’atmosfera così intima e familiare, non posso non pensare agli ultimi sei anni. Sono fuggita da tutto e tutti, pensando di non meritare altro che l’annientamento della mia umanità. Quanto mi sbagliavo. Sì, domani dovrò ripartire, ne sono consapevole. Eppure, ora lo so. Per quanto lontano io potrò andare, tornerò sempre a casa. Perché ormai Lexa è casa mia e io non riesco più a immaginare una vita lontana da lei. E, mentre lei e Aden mi trascinano sul letto e cominciano a farmi il solletico, non posso fare altro che lasciarmi sfuggire lacrime cariche di felicità. Bentornata a casa, Clarke. Bentornata in vita.







Angolo dell'autrice

E così siamo giunti alla fine. Mi mancherà molto questa storia, lo ammetto. Scriverla mi ha aiutata tanto e spero di essere riuscita a trasmettervi qualcosa. Esiste una casa per tutti noi, ne sono convinta. Casa non è solo il luogo da cui veniamo, è quel posto o quella persona in cui possiamo essere noi stessi, senza filtri. Questo è Lexa per Clarke. Lo è sempre stato. 
Vi ringrazio davvero tantissimo per aver letto, per la pazienza, per aver inserito questa storia tra le preferite e le seguite e per le recensioni. Forse tornerò con qualche one shot ogni tanto, vedremo.

May we meet again.

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