4 di picche II - Eaten by the monsters of love

di VeganWanderingWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** iNTRO + 00 - We'll meet again in a dream (Prologo) ***
Capitolo 2: *** 01 - Puoi dimenticare tutto, ma ricorda solo questo ***
Capitolo 3: *** 02 - Nella tana dell'orso ***
Capitolo 4: *** 03 - Call me ***
Capitolo 5: *** 04 - L'incarico ***
Capitolo 6: *** 05 - Le strade di Tairans ***
Capitolo 7: *** 06 - Badlands ***
Capitolo 8: *** 07 - Il villaggio ***
Capitolo 9: *** 08 - Lupi come noi ***
Capitolo 10: *** 09 - It has been lost in the words ***
Capitolo 11: *** 10 - Le bugie hanno le gambe leste ***
Capitolo 12: *** 11 - Hungry like the wolf ***
Capitolo 13: *** 12 - Death in the eyes ***
Capitolo 14: *** 13 - Every street you walk along (I) ***
Capitolo 15: *** 14 - Let it rock'n'roll - parte I ***
Capitolo 16: *** 15 - Let it rock'n'roll - parte II ***
Capitolo 17: *** 16 - Too fast, too easy ***
Capitolo 18: *** 17 - Sovraesposizione alla luce ***
Capitolo 19: *** 18 - Never turn away ***
Capitolo 20: *** 19 - Every street you walk along (II) ***
Capitolo 21: *** 20 - Posizione di sicurezza ***
Capitolo 22: *** 21 - Old dear faces ***
Capitolo 23: *** 22 - With a little help from my friends ***
Capitolo 24: *** 23 - Punti di vista ***
Capitolo 25: *** 24 - Sottigliezze ***
Capitolo 26: *** 25 - Run, girl, run ***
Capitolo 27: *** 26 - Un luogo sicuro ***
Capitolo 28: *** 27 - Le regole del branco ***
Capitolo 29: *** 28 - Nuotatori sincronizzati di folla ***
Capitolo 30: *** 29 - Necromanzia portami via! ***
Capitolo 31: *** 30 - La spina nel fianco ***
Capitolo 32: *** 31 - Al miglior offerente ***
Capitolo 33: *** 32 - Così stanno le cose ***
Capitolo 34: *** 33 - Conversazioni pre-mortem ***
Capitolo 35: *** 34 - Karma Chameleon ***
Capitolo 36: *** 35 - Conversazioni post-mortem ***
Capitolo 37: *** 36 - La cliente ***
Capitolo 38: *** 37 - Life less ordinary ***
Capitolo 39: *** 38 - All the things there's no time for ***
Capitolo 40: *** 39 - Dead wolf walking ***
Capitolo 41: *** 40 - Pesante come una poltrona, leggero come una piuma ***
Capitolo 42: *** 41 - Show me your teeth ***
Capitolo 43: *** 42 - Bared fangs ***
Capitolo 44: *** 43 - Beyond and Momentum ***
Capitolo 45: *** 44 - Dare you to move ***
Capitolo 46: *** 45 - Some good advises ***
Capitolo 47: *** 46 - It's all coming back to me now ***
Capitolo 48: *** 47 - Trust me, I'm a doctor ***
Capitolo 49: *** 48 - Precarious balance ***
Capitolo 50: *** 49 - The boomerang effect ***
Capitolo 51: *** 50 - Somebody that I used to know ***
Capitolo 52: *** 51 - Wicked game ***
Capitolo 53: *** 52 - Signs ***
Capitolo 54: *** 53 - 'Cause she walks mysterious ways ***
Capitolo 55: *** 54 - Very stupid inclination that one of yours ***
Capitolo 56: *** 55 - Invisible scars ***
Capitolo 57: *** 56 - Sospira Pereira ***
Capitolo 58: *** 57 - Mister Kappa ***
Capitolo 59: *** 58 - I would like to see you trying ***
Capitolo 60: *** 59 - We're underground ***
Capitolo 61: *** 60 - Wrong legends ***
Capitolo 62: *** 61 - Tre mezzi lupi entrano in un bar... ***
Capitolo 63: *** 62 - Nice chat ***
Capitolo 64: *** 63 - We have a plan?? ***
Capitolo 65: *** 64 - Call it as you want ***
Capitolo 66: *** 65 - Pure foolishness ***
Capitolo 67: *** 66 - Then humour me ***



Capitolo 1
*** iNTRO + 00 - We'll meet again in a dream (Prologo) ***


Introduzione

Eccomi qui. Un’altra storia dei ‘4 di picche’. Non mi dispiace vederli di nuovo all’opera!

In questo secondo match, la faranno da padrone soprattutto due dei personaggi che avete già conosciuto, ma si incontreranno anche gli altri e ne compariranno anche di nuovi… che in realtà più che altro rispuntano da un certo passato di cui non si è ancora detto… beh, vedrete!

Credo che riuscirò a rendere meglio un certo equilibrio tra momenti più d’azione e tensione e momenti più “parole, riflessioni, impressioni” stavolta, o almeno lo spero, visto che credo ormai non ci sia più bisogno  di tante presentazioni dei personaggi. Dunque, i due principali personaggi che compariranno a questo giro saranno ancora più a piede libero del solito! ;)

Inoltre penso che qui il carattere generale sarà un po’ più cupo e buio, in senso necromantico diciamo, ma anche di ambientazione, visto che ci sarà più da fare di notte che di giorno (no, non per colpa del Conte e del suo presunto vampirismo…).

Come sempre fino ad ora, commenti, critiche, opinioni e quant'altro sono bene accetti! Ma aldilà di tutto mi piace semplicemente se chi legge si sollazza almeno quanto io che scrivo con queste storie, e questo spero!

Qui sotto un paio di note tecniche (il minimo indispensabile prima di proseguire) e la copertina che ho raffazzonato su per questa storia. Direi che è tutto… io vado! Buona lettura!

 

(se l’immagine non compare, potete trovarla qui: https://imageshack.com/i/knrLAM2lj )

 

Note tecniche importanti! (leggete almeno questa parte in neretto, grazie!)

-         Questa storia è una continuazione di ‘4 di picche’ (che trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=683066&i=1  ). Quindi per capirla bene a livello di personaggi e così via sarebbe necessario conoscere almeno le basi fondamentali contenute nella prima storia… almeno credo, ma comunque, fate voi, se vi va potete leggervi direttamente questa e quel che viene viene.

-         Attenzione: se non gradite tematiche ‘queer’ (omosessualità, bisessualità, etc etc etc) non proseguite e basta.

-         Questa storia contiene elementi di paranormale e fantasy, ma trattati anche ironicamente, quindi se cercate saghe serie e composte, questo è un altro tipo di esperimento.

-         Ho “preso in prestito” il titolo (volutamente easy) dalla canzone omonima dei ‘the Sparks’, che considero diciamo quindi anche “la canzone d’apertura” di questa storia (che, come da tradizione della prima storia dei ‘4 di picche’, avrà la sua “colonna sonora” :p )

 

(se l’immagine non compare, potete trovarla qui: https://imageshack.com/i/idm905SFj )

 

VeganWanderingWolf

 

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Prologo

(WE’LL MEET AGAIN IN A DREAM)

 

Ancora prima di aprire gli occhi, provò una sensazione davvero singolare. Molto più che come se si stesse semplicemente svegliando, era come se stesse emergendo da una lunga immersione sott’acqua, a riprendere fiato, ancora confuso per l’aver appena rotto la superficie dell’acqua, e spaesato dal fatto di trovarsi improvvisamente in superficie, almeno in parte.

Spalancò gli occhi blu scuro e cercò di mettere a fuoco, ignorando la bruciante sensazione di scarica elettrica che sembrò attraversargli di colpo tutto il corpo, sparendo in un istante ma lasciando dietro di sé una certa prostrazione fisica.

Si trovò seduto per terra, la schiena e la testa appoggiata al muro, e la sua prospettiva molto più bassa della sua effettiva altezza. Un pavimento piuttosto sporco, a ben vedere. Più che la polvere e la mancanza di una recente pulizia, la trascuratezza era data dal fatto che fosse stato calpestato da una moltitudine di scarpe piuttosto fangose, e per via di tutti i piccoli oggetti da spazzatura che lo disseminavano: bicchieri di plastica vuoti, fazzoletti accartocciati, piccoli pezzi di carta gettati o perduti, incluso qualche rimasuglio di cibo. Ma era il minimo indispensabile, considerando che era in corso una festa.

Danny si fece forza e si impose di riconquistare per prima cosa la posizione eretta: sfruttò come appoggio il muro alle sue spalle e si tirò in piedi, mentre si guardava attentamente intorno, analizzando l’ambiente e la situazione con tutti i sensi a sua disposizione. Qualcosa però, lo infastidì ed estraniò da se stesso; i suoi sensi sembravano fastidiosamente limitati, anche se lui pensò di poterlo ricondurre al fatto che si sentiva discretamente stanco e disorientato al momento.

Sì, indubbiamente era in corso una festa, ovunque si trovasse.

A prima vista si sarebbe potuto dire che fosse il pianterreno di una vecchia casa, l’intonaco scrostato e macchiato qui e là lasciava intravedere una solida muratura in mattoni, e la disposizione delle stanze era un po’ complicata. Una volta doveva essere stata una casa nel vero senso del termine, abitata da qualcuno che ci viveva. Ma al momento aveva tutta l’aria di essere una sorta di centro sociale, eventualmente occupato. E lui si trovava in mezzo al pieno svolgimento di un concerto.

C’erano diverse decine di persone: alcune parlavano in gruppetti, o sedevano più o meno stravaccati su divani vecchi e sdruciti che sembravano essere stati da poco recuperati da qualche discarica, alcuni ballavano o accennavano movenze da ballo, benché non ci fosse un vero e proprio spazio dedicato al ballare.

La musica. Danny si chiese come mai non l’avesse notata prima. Ma era come se il suo udito si fosse sincronizzato con qualche secondo di ritardo rispetto al suo effettivo risveglio. Ma ora la sentiva chiaramente. Al di sopra dei rumori di persone che si muovevano, parlavano, emettevano risate o scherzose esclamazioni, vomitavano per il troppo alcool o russavano ormai addormentati alla bell’e meglio in qualche angolo per terra o in un angolo dei divani affollati, risuonavano delle note inconfondibili. I Joy Division suonavano e cantavano ‘Disorder’ grazie a delle casse che spandevano la musica nell’aria. Quasi tutta la strumentazione da concerto da cui fluiva la musica era stipata su un piccolo palco di legno costruito con artigianeria molto improvvisata in un angolo della stanza in cui si trovava, e dietro ad un bancone da bar non meno improvvisato, ma carico di bottiglie e bicchieri, affollato di persone da una parte, mentre dall’altra tre o quattro ragazzi e ragazze facevano la spola tra le ordinazioni e le preparazioni delle bevande richieste e consumate più o meno frettolosamente o distrattamente.

Danny appurò che era notte. Non solo perché c’era piuttosto buio, e una stentorea illuminazione elettrica era tutto ciò che forniva luce a quelle stanze, ma anche per l’odore. Al di là dell’odore di tante persone stipate nelle stanze, di sudore e di zucchero e alcool e di cibo e sigarette, sentiva un odore estremamente famigliare. L’odore di una foresta di notte.

Non poteva crederci. Una foresta? Senza pensarci, Danny si mosse cercando la più vicina porta che desse sull’esterno. Si mosse rapidamente attraverso le persone, che gli erano tutte sconosciute, gli occhi che cercavano quasi affannosamente una soglia verso l’aria aperta. Ma una parte di lui teneva sott’occhio tutti i visi che la sua coda dell’occhio era in grado di catturare rapidamente e lasciar perdere altrettanto in fretta.

Era una folla composta quasi esclusivamente da giovani o giovanissimi, ragazzi e ragazze la cui età doveva oscillare complessivamente tra i sedici e i trent’anni suppergiù. Dallo stile del vestiario e da un nonsoché del loro comportamento, Danny era in grado di appurare anche senza difficoltà che si trattavano di punk, rockers, qualche raro bikers forse, qualche hippy dall’aria stagionata e fuori epoca, per non dire semplicemente fuori luogo, e qualcheduno che sembrava essere capitato lì per caso.

Di colpo Danny si bloccò, come colto da un improvviso dubbio. Lentamente abbassò lo sguardo sul suo corpo, ed ebbe un forte sussulto. Non vedeva quei vestiti da molto tempo, ma non ebbe difficoltà a riconoscerli come propri: un paio di jeans tanto scuri da essere quasi neri, strappati o rammendati alla belle e meglio in più punti e decisamente consumati, un paio di anfibi neri e rovinati dall’intenso uso, una canottiera verde cupo e un giubbotto di jeans nero, il tutto con diverse toppe di gruppi musicali rock, punk e hardcore, una catenina con un lucchetto appesa al collo, e, verificò toccandosi con le dita, diversi piercings alle orecchie, al sopracciglio, persino alle labbra e al naso. Okay, era decisamente una ferramente ambulante. Ed era indubbiamente punk.

Ma c’era un’altra cosa che doveva verificare al più presto. Cambiando idea sul fatto che la sua priorità al momento fosse trovare una porta verso l’esterno, iniziò ad aggirarsi cercando invece qualcos’altro: un vetro, uno specchio, una bottiglia abbastanza grande, qualcosa che potesse riflettere la sua immagine e rispondere all’urgente domanda sul fatto che, se si fosse visto, avrebbe dovuto in qualche modo venire a patti col fatto che al momento aveva diciassette anni.

Aveva attraversato almeno tre stanze ormai, e ancora non aveva trovato un accidenti di specchio, quando decise che era più probabile riuscire a specchiarsi semplicemente in una bottiglia. Fece precipitosamente dietro-front, i suoi movimenti ormai praticamente frenetici e in preda al nervoso e urgente bisogno, e urtò con sgraziata violenza qualcuno.

«Malediz…» Danny riuscì in qualche modo a frenare un torrente di bestemmie, e allungò una mano in un gesto appena decentemente gentile verso la persona contro la quale aveva appena avuto una brutta collisione, col proposito di scusarsi con sincerità e poi passare oltre. «Scusa amico, non…» ma la voce gli morì in gola e la sua mano si bloccò a mezz’aria molto prima di raggiungere la spalla dell’altra persona.

«Quanto entusiasmo, vecchio ragazzo mio!» rise la voce, che gli rispose come se non importasse affatto ciò che lui stava per dire.

Danny guardò la ragazza massaggiarsi con leggerezza la spalla che lui doveva averle brutalmente colpito, come se non provasse in effetti alcun dolore o fastidio. I denti brillarono di una bianchezza stupefacente attraverso il rossetto rosso cupo che le dipingeva le labbra aperte in un sogghigno. E al di sotto delle lunghe ciglia appesantite dal trucco dalle tonalità cupe che metteva in risalto la bellezza del suo viso, i due occhi marrone scuro gli lanciarono un intenso sguardo di complicità fin troppo confidenziale.

Non ebbe bisogno di osservarla più attentamente. Non aveva idea di chi fosse. Ma la ragazza gli stava di fronte e lo guardava come se la pensasse in tutt’altro modo. Così non poté fare a meno di studiarla una seconda volta. Era alta all’incirca quanto lui, con un corpo snello e atletico e con curve femminili che attiravano lo sguardo, vestiva molto semplicemente, con un paio di pantaloni stretti di finta pelle nera, una maglietta nera piuttosto aderente che le lasciava appena scoperta la pancia e il piercing all’ombelico, e una giacchetta di pelle marrone. Indubbiamente era una ragazza bella, anche senza considerare il viso dalla forma regolare, con i lineamenti netti e l’espressione estremamente dominata da una forte volontà e personalità incorniciata dai capelli lunghi e nerissimi, quasi del tutto lisci, tagliati con una frangetta che sottolineava la bellezza del viso e per il resto lunghi fino al seno. Doveva avere al massimo qualche anno in più di lui, ma la sua forte presenza dava l’idea di una donna più matura, e la consapevolezza divertita con cui lo stava a sua volta guardando gli dava la curiosa sensazione che avesse una conoscenza più vecchia, molto più vecchia.

«Colpisci duro, eh ragazzo?» gli rivolse di nuovo la parola, ancora scherzosa e mortalmente seria ad un tempo.

Danny si impose di tornare coi piedi per terra e abbandonare definitivamente le strane divagazioni che una sensazione di improbabile urgenza a proposito di qualcosa che non gli tornava in mente gli suscitavano. Tornò a guardarla in faccia, rassicurando se stesso sul fatto che non doveva essere troppo difficile liberarsi di lei con qualche parola di scusa, breve ed efficace, e poi proseguire con le cose di cui si doveva assolutamente occupare al momento.

«Sì, scusami, non stavo guardando dove andavo… cioè, sì in effetti, ma non ti ho vista. Scusami ancora, spero di non averti fatto male. Comunque… ora io dovrei…» e cercò di aggirarla per andarsene.

Con sua sorpresa lei però allargò un po’ le gambe per piazzarsi più saldamente di fronte a lui. Un lampo di irritazione e avvertimento gli sfuggì dallo sguardo diretto a lei. Se ne accorse troppo tardi per fermarlo, e si stava già sforzando di ricomporre l’espressione in qualcosa di più civilmente inamovibile, quando vide la faccia di lei, e rimase completamente sbalordito.

La ragazza si portò una lattina di birra che aveva in mano alle labbra, fissandolo pensosamente, come se stesse seguendo qualche sua personale riflessione, o più che altro ci stesse giocando. I tre bracciali sottili, argentei e larghi che portava al polso del braccio che aveva sollevato per bere si mossero, tintinnando sonoramente nell’urtarsi e mandando un leggero rumore acutamente cristallino intorno. Il suo non era affatto uno sguardo stupito o in qualche modo colpito dal lampo di momentanea e involontaria rabbia che lui le aveva appena rivolto suo malgrado.

Danny si fermò e la guardò come se non potesse credere a ciò che vedeva. Ma lei sembrava impassibile. Non proprio come se non fosse cosciente del suo stupore, ma come se nemmeno quello le apparisse affatto strano. Anzi, sembrava stesse verificando qualcosa.

«Sei sicuro di sentirti bene? Hai l’aria piuttosto spaesata, ragazzo.» gli domandò, come se si trattasse di una domanda puramente retorica. E ancora c’era un leggero sogghigno agli angoli delle sue labbra, come se la cosa non la potesse lontanamente preoccupare quanto piuttosto divertire eccellentemente.

Danny la studiò di nuovo, più attentamente, ma di nuovo non ne ricavò nulla. Non la conosceva, ma di nuovo era completamente torturato da quella pressante sensazione, come se non riuscisse a ricordarsi di qualcosa di molto importante. Ma qualsiasi cosa fosse, forse poteva riguardare anche questa ragazza che lo fissava come se fosse il suo personale animale domestico, e fosse abituata a trattarlo come un gatto farebbe col topo, prima di dilaniarlo o ingoiarlo in un solo boccone, così come avrebbe preferito, non appena avesse deciso che ne aveva abbastanza di giocare.

«Noi… ci conosciamo?» mormorò Danny, incerto e sospettoso.

La ragazza sembrò diventare appena un po’ meno scherzosa. Focalizzò meglio lo sguardo su di lui e mosse appena la testa all’indietro, come se cercasse di allargare la sua prospettiva per prendere meglio in considerazione lui e ciò che aveva appena detto. Aveva incrociato le braccia sotto al seno, e si teneva la lattina di birra appoggiata all’angolo tra la spalla e l’avambraccio. Dopo pochi istanti, tornò tuttavia a sogghignare giocosamente.

«Non ancora, Danny. Non ancora. Ma sai…» continuò, lentamente, prendendo tranquillamente tempo mentre beveva un altro sorso di birra e ignorava lo sguardo con cui ora la stava considerando lui, trattenendosi dall’interromperla per chiederle come sapesse il suo nome, la fronte corrucciata per la preoccupazione e lo sforzo di capire cosa accidenti stesse succedendo.

«Sai…» riprese lei, tornando a fissarlo, puntandogli lo sguardo dritto negli occhi come se volesse inchiodarlo alla parete con tanto di spilli, come una falena sul panno morbido e spietato di una teca da esposizione «…credo che questa sia la sera giusta. Il momento giusto.»

La ragazza allargò appena le braccia, a indicare tutto ciò che li circondava. «Non ti sembra?» chiese conferma, ancora con tono retorico. Sembrava che non potesse fare a meno di essere retorica in ogni domanda che gli rivolgeva, come se quelle domande fossero semplicemente un qualche intercalare privo di preciso scopo nell’essere pronunciato, o come se sapesse di avere perfettamente ragione, aldilà di qualsiasi cosa lui potesse dirle o ne potesse pensare.

Danny corrugò maggiormente la fronte, e, ignorando il suo gesto, mantenne lo sguardo ben incollato su di lei, i muscoli leggermente tesi in allerta ora, come se presentisse di poter essere attaccato da un momento all’altro. «Chi sei?...» domandò, il tono duro e le labbra tirate e assottigliate in una smorfia di profondo sospetto che lasciava appena più scoperti del necessario i denti mentre parlava.

Lei allargò appena gli occhi e mosse le sopracciglia sottilissime come se fossero disegnate, non propriamente stupita, ma lo sarebbe stata, se non si fosse impedita di esserlo con tanta autodisciplina. Ma più che colpita, sembrava preda di un certo disappunto, come se ritenesse che lui avesse appena mostrato insufficiente accoglienza verso una proposta irrifiutabile. Per un momento un angolo della sua mandibola ebbe un guizzo sottopelle di tensione dei muscoli, segno che aveva stretto più forte i denti. Ma l’istante successivo sembrava di nuovo perfettamente padrona di se stessa.

«Oh, Danny-boy…» gli mormorò di rimando, in tono tranquillo e confidenziale «No, non è questo il modo… davvero, non è questo.»

E poi alzò la mano libera e gli accarezzò leggermente la guancia, in modo gentile ma ancora in qualche modo freddamente superiore, come se stesse giocando e basta. Lui si chiese davvero perché non si fosse semplicemente sottratto al suo gesto, ma poi realizzò che lei si era mossa troppo velocemente. Era molto più veloce dei suoi riflessi, e ciò lo disarmò di nuovo, gettandolo in preda ad uno stupore ancora più inquieto e sinistro. Un presentimento gli corse giù per la schiena come una doccia fredda, e tremò leggermente e involontariamente, benché il palmo della mano che lo toccava fosse caldo e il gesto volesse sembrare rassicurante.

«Non hai sentito?» domandò ancora lei, di nuovo retoricamente, come se sapesse di avere perfettamente ragione. La mano ferma sulla sua guancia in modo possessivo e distaccato ad un tempo, lo guardò negli occhi e per un momento nello sguardo le brillò un’intenzione di sincero ausilio, come se stesse per concedergli un fondamentale indizio, solo per mostrarsi almeno un poco misericordiosa. «Credo proprio che questa sia indubbiamente la nostra canzone. La tua ultima canzone, Danny-boy. Ricordi? L’ultima canzone che vorresti sentire se il mondo stesse per finire. L’ultima canzone che vorresti sentire se stessi per morire.»

E lui concentrò immediatamente i suoi sensi di nuovo sulla musica. Di nuovo, era ‘Disorder’ dei Joy Division. No, realizzò, non ‘di nuovo’. Non era mai cambiata. In tutto quel tempo, da quando si era svegliato seduto su quel pavimento fino ad ora, non era mai cambiata, aveva continuato a finire e a ricominciare, ripetendosi senza tregua.

E allora lui la riconobbe.

«Mara.»

Lei sorrise appena, come se approvasse, e ritrasse la mano annuendo appena, con paziente gentilezza. «E’ il mio nome.» confermò, lanciandogli un occhiolino di ulteriore conferma.

«Cosa ci fai qui?» le domandò, in tono estremamente freddo e corrucciato.

La ragazza alzò un sopracciglio, ancora divertita dalle sue domande, come se fossero sempre tutto sommato piuttosto stupide e ingenue. «Dovresti chiederlo a te stesso. Ma in ogni caso, ora dovresti piuttosto guardare l’orologio. Oh, voglio dire, metaforicamente, visto che non ne hai uno.» precisò, controllando con una rapida occhiata i suoi polsi.

«E’ quasi l’ora.» gli disse, tornando a fissarlo in volto, soddisfatta e sicura di sé, ma ancora distante e in qualche modo fredda, come se stesse svolgendo una qualche commissione. Tuttavia, Danny poteva ancora riconoscere come da tutta la sua persona emanasse un’energia calamitante, e come il semplice fatto che lo guardasse direttamente negli occhi, ogni volta che lei lo faceva, lo legasse più stretto di un malaugurato guinzaglio di ferro.

«L’ora di cosa…?» si sforzò di domandarle, anche se non era affatto sicuro di volerlo sapere, né lo era di non poterlo intuire se avesse finalmente colto con precisione quel punto che al momento continuava a sfuggirgli, per quanto disperatamente lo rincorresse.

«L’ora di andare.» rispose semplicemente lei, come se fosse superfluo precisarlo.

«Andare dove?» insistette lui. Pensava di dover tenere duro sul punto della logicità, così avrebbe finalmente compreso, forse. Anche se l’istinto gli diceva tutt’altro al momento: gli diceva di lasciar perdere, di abbandonarsi completamente al flusso degli eventi, perché essi in fondo erano già precisamente segnati e trascritti, lo erano stati molto tempo addietro, ed era quantomeno inutile se non proprio stupido cercare di opporvicisi.

La ragazza si stava girando per dargli le spalle, come se fosse perfettamente sicura che lui la stesse seguendo, ma udendolo domandare questo si fermò e tornò a voltarsi. Lo considerò per qualche lungo momento, soppesandolo ancora una volta con precisa intenzione, e ancora con un sogghigno accennato all’angolo delle labbra, come se la sua consapevolezza estremamente maggiore la divertisse e soddisfacesse molto bene.

«Danny-boy, oh, guardati. Un ragazzino. Appena scappato di casa. Non vuoi assolutamente tornarci. Ma non sai proprio dove andare. E questo è tutto quello che hai trovato per stasera. Un centro sociale di dubbio interesse effettivo…» e giocò appena con le pupille per rivolgersi con significativo disprezzo superiore al luogo che li circondava, schioccando brevemente la lingua con disappunto «…Niente di meglio per dormire una notte con un tetto sopra alla testa. Non certo una casa, niente che si possa chiamare in quel modo. Ma tu non la vuoi nemmeno più una casa. Certo che no. Allora, devi per forza venire con me. Non sai cosa c’è la fuori? No, non ne hai idea. Posso darti di molto meglio che una casa. Posso darti la notte, tutte le notti. E i giorni, tutti i giorni. Posso darti un nuovo sguardo, un mondo intero, e un nuovo modo di percorrerlo, un nuovo modo di leggerlo, un intero nuovo mondo. No Danny, non rifiuterai. Non lo hai fatto. Vieni con me, Danny-boy. E’ l’ora.»

E la ragazza allungò una mano senza nemmeno guardare e prese una delle sue, mentre già si voltava e iniziava a camminare con tranquilla sicurezza attraverso la folla. E Danny non oppose alcuna resistenza: lasciò che lo prendesse per mano e la seguì, semplicemente la seguì.

Ora aveva capito. Fin da quando avanzò di un passo dietro di lei, finalmente aveva capito. Certo, sapeva che sera era questa. Era quella notte, quella che aveva tracciato per sempre una linea netta nella sua vita. Un punto di non ritorno, che lui aveva già attraversato. Lo ricordava, perciò era già successo. E ora si stava soltanto ripetendo, ineluttabile. L’unica cosa strana, era la differenza della sua consapevolezza.

Allora era stato diverso. Allora Mara non gli aveva parlato così enigmaticamente. Quella notte, lei era semplicemente una ragazza molto bella, una figura che emanava un’affascinante forza di carattere, e lui si era sentito lusingato e incredulo che una simile persona, che sembrava aver l’imbarazzo della scelta su chi poter far cadere ai suoi piedi lì intorno, scegliendo una persona qualsiasi delle decine che affollavano quel centro sociale quella notte, avesse privilegiato proprio lui. Lui non lo sapeva ancora, non sapeva che lei non aveva quel potere solo grazie alla sua bellezza e al suo carattere. Non sapeva niente di niente, allora, e lei aveva pienamente ragione quando diceva che non ne aveva avuto idea allora, del mondo che stava per mostrargli.

Un mondo in cui il modo in cui gli occhi di lei erano in grado di calamitare la devozione di chiunque semplicemente con una serie di sguardi diretti e ben assestati aveva una sua spiegazione naturale. Questione di sopravvivenza: lo sguardo del cacciatore che chiede alla propria preda se sia il suo momento per farsi mordere, fino alla morte, una morte particolare, una vita in un altro mondo, con un altro sguardo, con un altro modo di attraversare il mondo, con un modo completamente diverso di vederlo, leggerlo, annusarlo, ascoltarlo.

Era come se ogni singolo passo che ora stava facendo, attraversando la folla sulla scia di lei che la apriva come se tutto le potesse girare attorno se solo l’avesse veramente voluto, era come una riconferma dall’eco profondo. Sì, ora Danny lo sapeva: era quella notte che era diventato un lupo. Mentre prima era solo un ragazzino scappato di casa, senza precisa meta, senza precisa né lontanamente lucida concezione del mondo o delle sue cose, delle sue persone, delle sue regole e delle sue battaglie pro o contro di esse. Era solo questo, Danny-boy, come diceva lei, in modo fastidiosamente sarcastico, ma a suo modo corretta. Lei aveva già uno sguardo in grado di vedere qualcosa di più. Lei era quella che camminava davanti, era la sua guida, e lui non dubitava affatto che si stesse dirigendo verso la più vicina porta, spalancata sulla foresta di notte. L’ultima porta che lui avrebbe solcato da semplice essere umano.

Se avesse potuto scegliere? Scegliere cosa, quando tutto era già stato fatto tempo addietro? Scegliere cosa, quando quella era solo una ripetizione di qualcosa che era già successo? Il destino esiste solo in questo, così pensava lui, nelle cose che si ripetono. Se avesse potuto scegliere? No, non avrebbe cambiato niente. Non per Mara, non per il suo essere un dannato lupo. Oh, no, giammai. Non poteva dirsi fiero di molte cose, anzi. Non avrebbe mai potuto dire che avrebbe rivissuto tutto quello per Mara, né per la sua vita da lupo. Ma c’era qualcos’altro per cui avrebbe rivissuto tutto. Oh, solo per quello, proprio così. Solo per quello ora seguiva Mara passo dopo passo. Non gli importava cosa pensasse lei, se fosse convinta che lui la seguiva per lei, o per il diventare un lupo. E lui non aveva alcun interessa a correggerla. Nessun interesse a rivelarle che, se la seguiva, era per sfruttarla. Sì, questo era completamente diverso. La prima volta, lei era stata la sua porta per un mondo che non gli era stato chiesto se volesse; più che una porta, un buco nero, una trappola, una tagliola acuminata, nascosta sotto la neve. Questa volta, invece, era lui che sapeva. Sapeva che l’avrebbe sfruttata affinché tutto si ripetesse così come era stato. Perché lui doveva assolutamente ottenere ciò che la prima volta era successo, anche stavolta, e così ogni volta che le cose si fossero ripetute. L’avrebbe sempre seguita attraverso quella maledetta folla sconosciuta, l’avrebbe sempre seguita su quel pavimento lercio, passo dopo passo, verso quella porta aperta verso la foresta di notte. Forse, d’accordo, era anche in parte per amore della foresta di notte. Ma soprattutto per ciò che sarebbe stato dopo.

Camminava dietro la schiena di lei, che non si voltò nemmeno una volta a guardarlo: era certa che l’avrebbe seguita senza opporre resistenza, così sicura del suo potere, o forse del fatto che le cose dovevano per forza ripetersi, per legge ineluttabile, lei sì ci credeva, in una qualche specie di destino. Camminava senza prestare più alcuna attenzione al mondo circostante: tutte le persone, la festa, la musica, tutto dimenticato, come se fosse solo un impalpabile sottofondo completamente superfluo. Prestava appena attenzione al restarle abbastanza vicino da non perderla mai di vista, perché era lei l’unica guida per la strada che doveva assolutamente percorrere, e alla musica in sottofondo, il suo personale requiem: Disorder, Joy Division. A quell’epoca erano ancora tutti vivi. Oh, come si sarebbe stupito qualcuno, un chiunque tra la folla, se lui lo/la avesse presa all’improvviso per la spalla, e, guardando dritto nei suoi occhi, avesse detto che presto sarebbe finita anche per i Joy Division. New Order, un nuovo ordine, un nuovo mondo, nuove regole. Se avesse proposto questo gioco di parole a Mara, sicuramente lei avrebbe apprezzato. La conosceva. E appunto perché la conosceva, non aveva alcun interesse nel farla ridere.

Lei era lì solo per essere la sua guida, lui la doveva semplicemente utilizzare come tale. Non era nemmeno sicuro che fosse proprio lì, che fosse proprio lei, piuttosto che una sua proiezione di lei. Nemmeno lui era proprio sicuro di essere davvero lì, di essere davvero lui, piuttosto che una propria proiezione di un se stesso, di chi era stato.

Poi, qualcuno lo urtò di lato, alla spalla. Non fu un urto significativo, anzi, avrebbe potuto tranquillamente continuare a camminare senza nemmeno perdere la direzione dei passi. Ma la cosa lo stupì al punto da spezzare bruscamente per un momento quella sorta di stato di tranche. E poi il mondo intorno si bloccò, o meglio, il tempo si bloccò. Tutto era immobile, tutti erano immobili, tranne lui e la figura che lo aveva urtato, ed era caduto il silenzio, i Joy Division non suonavano più dalle casse.

Danny voltò bruscamente la testa verso la persona che aveva urtato e sussultò appena. Era troppo freddo e distante al momento: quella era la notte in cui tutto era mutato per sempre, in cui avrebbe attraversato un tipo di morte e di nascita. Non poteva davvero sentirsi troppo libero di sentire qualcosa, di provare realmente dei sentimenti, non quella notte. Se non fosse stato per quello, dopo un enorme stupore probabilmente sarebbe stato estremamente felice di vedere quel viso. Ma ora, tutto ciò che riuscì a suscitargli il riconoscimento dell’altra persona, fu uno scintillio negli occhi, come se una leggera rivelazione di qualcosa di importante gli solleticasse le pupille.

E lei gli sorrise appena, avendo sicuramente colto quel luccichio. Gli occhi verdi, profondi come un pozzo e non meno densi di mistero e significati sottoterra gli ricambiarono brevemente quello scintillio, come un occhiolino di complicità pacata ma, a suo modo, pregna di esclusiva affettuosità.

Lui decise di non pronunciare il suo nome, e di non dire niente. Aveva la sensazione che se l’avesse fatto, lei sarebbe scomparsa immediatamente, come se non dovesse trovarsi lì, e ogni minima cosa troppo chiara a quel riguardo potesse rompere quel trucco illusionistico. E, davvero, lei non avrebbe dovuto trovarsi lì. Non era ancora il tempo. L’avrebbe incontrata solo molti anni dopo. Lei non c’era affatto quella notte, quando lui aveva seguito un lupo nella foresta.

Perciò, fu con suo grande sollievo che sentì la voce di lei. Zoal parlò per prima.

«Sai dove stai andando, vero?» gli chiese, la sua voce calma e profonda come se fosse perfettamente accordata sulla frequenza necessaria per non disturbare le linee del tempo che scorrevano loro attorno; tanta cauta saggezza, eppure spandendo intorno la sensazione che le sarebbe bastato alzare una mano con piena tranquillità per scatenare una tempesta che avrebbe fatto agitare quelle linee come serpenti impazziti. Ma solo se avesse voluto. Non per gioco, ma per preciso scopo. E lui si chiese, non senza una certa timorosa aspettativa, quale potesse essere il suo scopo ora, perché fosse lì. Perché, forse qualcosa in quello sguardo verde, calmo, elegantemente deciso e preciso, e un poco impertinentemente clandestino, gli suggeriva che lei sapesse benissimo dove si trovava, e perché.

«Sì. Lo so. So che notte è questa.» rispose lui, altrettanto calmo e serio, accordandosi al tono di lei. Se seguiva il modo in cui lei si stava muovendo all’interno di quel luogo, forse avrebbe potuto trattenerla lì abbastanza da capire.

«Perché vuoi andare?» gli domandò, seria e significativa, e allo stesso tempo leggera come una sciocchezza affettuosa, uno scherzo del destino.

«Perché se non vado, non diventerò un lupo. E se questo non accadrà, non avverrà tutto il resto. Capisci a che cosa mi riferisco?» ma vide che lei non era sicura di cosa voleva intendere, e si sforzò di continuare. Qualcosa gli suggeriva che Mara, al momento, ovunque si trovasse, perché non la vedeva più davanti a sé, come se fosse andata avanti e fosse scomparsa nella folla, non poteva sentire la loro conversazione. «Se non diventerò un lupo, noi non ci incontreremo mai. Io e te. E tutti gli altri e le altre. Non vi incontrerò mai se non andrà così com’è andata.»

Per un lungo momento lo sguardo di Zoal tradì un sentimento più diligentemente umano: una profonda tristezza, forse quasi commossa. E la donna si prese il suo tempo, e lui non osò farle fretta, benché in quel momento non ci fosse altro al mondo che desiderasse sentire più della sua risposta. Sembrava che dietro gli occhi verdi si stessero replicando tutte le cose che avevano vissuto insieme. Danny tremò, scorgendole appena, immagini troppo veloci, ma chiare e nette perché potevano trovare un sicuro eco nella sua memoria, nella quale erano profondamente incise. Non solo tutte le loro avventure, non solo i pericoli e le battaglie, in cui avere un lupo nella squadra era stato decisamente importante anche per l’incolumità degli altri talvolta, non solo tutti i momenti che avevano passato insieme, le chiacchiere, gli scherzi, gli imbrogli, non solo tutto quello e molto altro ancora, ma come un intero mondo.

Poi Zoal alzò meglio la testa, in qualche modo la sua solennità incrinata dallo strascico di quella triste consapevolezza che l’aveva pervasa. «Il destino non esiste. Tu lo sai. Tutti i giochi di tempo non sono che trucchi. E questo non può essere reale. Certamente lo sai, in una parte di te lo sai benissimo.»

Danny trasecolò appena, ma poi si ritenne stupido nel non aver pensato che Zoal potesse sapere fin troppo bene anche ciò che lui non diceva né mostrava chiaramente. «Lo so. Ma è così che deve andare per me, in ogni modo. Mi fa troppa paura un’altra possibilità. Una possibilità in cui non ci siamo mai incontrati. Non potrei mai rischiare. In nessun caso.»

Zoal ascoltò con attenzione le sue parole, poi annuì appena, ancora seria, come se avesse compreso perfettamente, come se fosse in grado di comprendere la misura delle parole molto al di là della loro immagine superficiale, misurare la profondità delle loro radici in chi le pronunciava, quando e come e perché e per chi.

«Ascoltami, Danny.» disse poi, la voce ancora più profonda. E il mondo intorno riprese a scorrere al suono del nome, come se il trucco si stesse spezzando. La musica e il rumore ripresero, e Danny voltò lo sguardo verso dove aveva visto Mara sparire tra la folla, timoroso di vederla tornare, timoroso che lei vedesse Zoal e comprendesse qualcosa. Ora aveva la sensazione che quella potesse essere la vera Mara, in qualche modo, e non una sua semplice proiezione rispuntata dai suoi ricordi. Sentì Zoal accostarglisi al fianco, un ottimo modo per parlargli all’orecchio senza dare molto a vedere a chiunque che stavano parlando.

«Sta arrivando qualcosa.» mormorò nel suo orecchio, con voce all’improvviso decisamente più grave. «Forse non sarà così semplice, per te. Ma io so chi sei. So che tu puoi attraversare tutto questo. Spero che tu non abbia mai pensato che io ti abbia mai considerato in altro modo che questo. Tu puoi passare attraverso tutto questo. Per noi? Non sai quanto ne sono lusingata. Ma, per qualsiasi motivo tu lo facessi, in ogni caso tu puoi riuscirci. E… non dimenticarlo: noi ci incontreremo sempre. Qualsiasi cosa succeda. Qualsiasi cosa possa capitare. Il caso ha già scelto, e il caos è già divenuto fatto. Tutto il resto, non è che illusione e chiacchiere a proposito di destino. Ma tu hai qualcosa di meglio in cui puoi riporre la tua fiducia e fede. Ricordati solo questo, il resto puoi dimenticarlo, ma ricorda solo queste parole, Danny! Ricorda: noi ci incontreremo in ogni caso, qualsiasi cosa accada, saremo fianco a fianco.»

Poi Danny sentì una mano di Zoal cercare la sua, e immediatamente ricambiò la stretta. Sentì contro il palmo la consistenza di qualcosa, e Zoal che gliela spingeva in mano. Poi sentì la donna staccarsi dal suo fianco, e appena qualche frazione di secondo dopo Mara ricomparve dalla folla, e i suoi occhi calamitanti e imperiosi si puntarono con precisione su di lui, come se non avesse realmente bisogno di vederlo per sapere dove l’avrebbe trovato.

Per qualche momento ancora lui rimase immobile, verificando che lo sguardo di lei stesse fissando solo lui, e non fosse attirato da nessun’altro in quella folla. Con sollievo, vide che era proprio così. Zoal doveva essere sparita, precisa e puntuale come il tempo infinito, esistita solo nel momento in cui doveva finire di dirgli ciò che voleva, e non più lì ora, prima che Mara potesse anche solo sospettare la sua presenza. Mara lo stava guardando come prima, perfettamente sicura del suo potere su di lui, affatto preoccupata di dover essere dovuta tornare un poco sui suoi passi e di non averlo trovato proprio dietro di sé. Lei si riteneva abbastanza superiore da poter guardare all’esitazione di lui con indulgenza.

Danny trattenne un sogghigno, per non tradirsi sotto lo sguardo di Mara. Oh, lui lo sapeva, che Zoal poteva muoversi molto al di sopra di lei, poteva apparire e scomparire, poteva intercettare le sue prede senza che nemmeno lei lo sospettasse. Molto più elegante di lei, in ogni senso riguardasse l’abilità nei trucchi e anche oltre.

Mara incrociò le braccia sotto il seno e assunse un’accattivante posa di invito ed attesa, come a suggerire che lui avrebbe fatto meglio a riprendersi in fretta e a non peggiorare la sua situazione dandole la possibilità di cambiare idea riguardo al privilegiarlo di tanta attenzione e considerazione. Danny fece uno sforzo sulla sua volontà. Era inutile aspettare ancora. Non sarebbe successo più niente, niente e nessuno avrebbe potuto venirgli a portare un poco di consolazione o coraggio in quel momento, per dargli forza ora che stava per attraversare quella soglia. C’era solo Mara, che lo aspettava per portarlo fuori. Così lui riprese a camminare verso di lei.

Ma mantenne stretto chiuso il pugno. Quella sarebbe stata la sua forza. Mara non poteva nemmeno immaginare cosa lui stringesse nascosto nel nido delle dita chiuse, dritto contro il palmo, come se una parte del suo cuore, almeno una parte, potesse così esserle celata per sempre, per quanto stravolgente potesse essere per lui ciò che stava per accadere. Non poteva aprire la mano e guardare di cosa si trattasse, perché sapeva che ora Mara non si sarebbe più fatta sfuggire alcun suo movimento. Eppure, in qualche modo, sapeva che non poteva trattarsi di nient’altro di ciò che lui immaginava.

Una parte del suo cuore. Una specie di cuore, ma nero, e con un peduncolo, al centro di un cartoncino rettangolare bianco, e ad ogni angolo una sua riproduzione più in piccolo, sormontata dalla cifra ‘4’ sempre in nero. Una carta che non esiste. Un asso di picche e un quattro di picche allo stesso tempo. Il suo asso nel pugno stretto. E con quello, seguì Mara attraverso la soglia della porta aperta, superò la soglia, dritto nella foresta di notte.

E il freddo lo aggredì, specie sulla gola scoperta, con ferocia. Lui strinse i denti, in qualche modo ricordando a se stesso che le zanne erano nella sua bocca, e non nell’aria così fredda… così fredda… proprio come lo era stata la prima volta, quella stessa notte.

 

 

Note dello scribacchiatore: è finito per venire fuori un prologo piuttosto lunghetto. Ma la mia attuale dubbia abilità scribacchiatoria richiede il suo spazio per potersi esprimere come può in certe importanze. Spero questo sia un bentornato come si deve ai ‘4 di picche’! Colpiti/e? Incuriositi/e? Non ci avete capito niente, avete qualche sospetto o siete rimasti/e indifferenti e basta? Come sempre, se vi va scrivete quel che vi pare a commento, a me, come volete. In ogni caso, spero semplicemente che vi piaccia leggere ciò che scribacchio almeno quanto mi sollazzo io nello scriverlo. Al prossimo – nonché vero e proprio 1° - capitolo!

 

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Capitolo 2
*** 01 - Puoi dimenticare tutto, ma ricorda solo questo ***


Capitolo 1

(PUOI DIMENTICARE TUTTO, MA RICORDA SOLO QUESTO)

 

Danny balzò su dalla posizione sdraiata, arrivando quasi a sedersi, prese fiato con forza precipitosa e urgente come se riemergesse da una lunga immersione, e ricadde quasi immediatamente sul letto con altrettanta violenza. Ebbe a malapena il tempo di rendersi conto che si trovava semplicemente sdraiato in un letto, che subito sentì il familiare contatto di mani sul suo petto, come se cercassero cosa gli stava succedendo, e udì la voce altrettanto urgente e allarmata.

«Danny!» gridò di fianco a lui, il viso immediatamente vicino a studiare il suo ansiosamente, l’espressione spaventata «Cosa succede?!»

E tanto gli bastò per capire che andava tutto bene, o perlomeno che da quel momento in poi tutto poteva andare bene, era fuori pericolo, era al sicuro, era esattamente dove doveva essere, e non altrove. Era notte, ma non c’era il freddo, non c’erano zanne contro la sua gola, non c’era la sensazione di morire su due piedi, l’orrida consapevolezza della morte più veloce della morte in se stessa, non c’era la sensazione delle vene che si rompono irrimediabilmente, e l’aspettativa orrorificata di un flutto di sangue che fiotti prepontemente in gola soffocandolo in pochi preziosissimi e ultimi momenti. No, non stava per morire, anzi, era perfettamente vivo.

Focalizzò lo sguardo nell’oscurità della stanza, e mise a fuoco il viso chino su di lui che lo guardava come se lei fosse pronta a fare qualsiasi cosa, assolutamente qualsiasi, non appena avesse capito cosa poteva servire, per aiutarlo.

Non fu in grado di ottenere dalle sue labbra un sorriso tranquillizzante, ma le rivolse uno sguardo pienamente cosciente di tutta la rassicurazione che riuscì a trovare in sé, e le prese il viso tra le mani con gentile trasporto.

«E’ okay, non è niente, sto bene. Davvero, non è nulla, solo… dev’essere stato solo un incubo…» In qualche modo, tuttavia, quelle parole gli sembravano profondamente inesatte.

Andrea non sembrava ancora così tranquillizzata, a giudicare dal modo in cui lo guardava, come se temesse che stesse per rimanerci secco da un istante all’altro lì sotto i suoi occhi.

«Hey…» insistette lui, stavolta riuscendo a sorriderle un poco, e schiarendo il più possibile la sua voce ancora impregnata di sonno «Guarda: respiro, il cuore batte, sono sveglio e cosciente, ti sto guardando, ti vedo, ti riconosco, Andrea, piacere, Danny, sono qui. E… dannazione, sul serio, non sai quanto ne sono sollevato!»

E si ritrovò persino un’allegra risata generosamente sincera che gli eruppe di colpo dalla gola, breve ma concisa e netta.

Andrea lo guardò più direttamente, seria ma allo stesso tempo un po’ più divertita, e decisamente meno tesa. «Sei completamente impazzito, Danny?»

Lui smise di ridacchiare di cuore e la guardò. «Cosa? Perché?» domandò, sinceramente stupito.

Andrea emise un lieve sospiro, corrucciò un po’ le sopracciglia e gli dedicò uno sguardo di clinica attenzione. «Ti sei appena svegliato come se stessi avendo un infarto, e per poco non l’hai fatto prendere a me un colpo – per la cronaca – e ora ridi come un bambino la mattina di Natale, dopo aver avuto quello che dev’essere stato un terribile incubo. Quindi, onestamente, puoi dire di sentirti in pieno possesso delle tue facoltà mentali, al momento?»

Il ragazzo indovinò che la tensione dello spavento di lei si stava preoccupantemente trasformando in un certo risentimento, e si ricompose in fretta.

«Okay, davvero, scusami.» le chiese con onestà, alzando un po’ la testa per chiederle perdono con un breve bacio. «Sto bene, davvero. E’ stato solo un sogno, cioè…» e corrugò la fronte, pensieroso e incerto «Almeno credo fosse un sogno. Non ne sono del tutto sicuro a dire la verità.»

Andrea vide la sua espressione rabbuiarsi di colpo, e cercò a sua volta un tono rassicurante. «Sei qui, nel letto, e stavi dormendo. Cos’altro potrebbe essere stato, se non un sogno?»

«Beh…» iniziò lui, mentre entrambi si sistemavano in modo da stare sdraiati su un fianco fronteggiandosi «…sai, c’era Zoal. E lei… non ne sono del tutto sicuro, ma penso potrebbe essere anche capace di infilarsi nei sogni altrui.»

Andrea strabuzzò gli occhi, decisamente allarmata. «Cosa?!»

«Oh, no no…» si affrettò a dire Danny, prendendole le mani tra le sue «Non in quel senso. Non per cattivi propositi. E neanche per sbirciare cosa si sogna, o cose del genere. No, penso che lo faccia per essere di aiuto in qualche modo.»

«Sembra una psicoterapia a dir poco invasiva!» replicò Andrea, ancora inquieta.

«No, decisamente no, è qualcosa più come… un’apparizione, un suggeritore, una guida. Almeno direi, così mi sembrava nel sogno… Non mi era mai successo prima, di sognarla. O che lei fosse nei miei sogni. D’altra parte non avevo nemmeno mai sognato di…» la voce di Danny esitò notevolmente e si spense, mentre il suo sguardo di nuovo si rabbuiava.

«Hai detto che è stato un incubo…» cercò di incoraggiarlo Andrea.

Lui tornò a concentrare lo sguardo nel qui e ora, sul suo viso. «Una specie. Un ricordo, più che altro. Ho sognato… qualcosa che è successo… che mi è già successo. Molto tempo fa. Non l’avevo mai sognato prima, in ogni caso. Forse dovrebbe essere strano piuttosto questo, che non l’avevo mai sognato prima…» rifletté ad alta voce.

Senza perdere di vista il suo sguardo ottenebrato da qualche peso all’apparenza pressoché impronunciabile, Andrea gli si fece più vicino, e lo chiamò delicatamente ma con decisione. «Danny?»

Lui tornò a concentrare lo sguardo su di lei, un sorriso dolce gli spuntò alle labbra per riflesso immediato. «Sì…

«Cosa hai sognato…?» gli domandò, con tatto.

Ma lo sguardo di lui tornò ad adombrarsi e si distolse da lei, come se qualcosa gli fosse tornato a gravare addosso. Sembrò cercare le parole, e non trovarle, nemmeno nell’atmosfera buia e tranquilla della stanza in cui si trovavano.

Andrea gli si fece ancora più vicino, sforzandosi di mantenere il sorriso di comprensione. «Sai…» mormorò piano, confidenzialmente «…si dice che raccontare i brutti sogni li faccia sparire? No…?» provò a suggerire affettuosamente.

Lui tornò a guardarla, ancora serio, nonostante la piacevole gratitudine che gli colmava lo sguardo. «Non credo che questo potrà mai sparire.» confessò, con una profonda nota di tristezza e rammarico nella voce. «Non è solo un sogno. È successo. Appartiene al mio passato. Ed è assolutamente impossibile… tornare indietro…» terminò.

Accarezzandogli gentilmente il viso, lei insistette gentilmente. «Cosa hai sognato…?» ripeté, la voce poco più che un sussurro che suonava quasi ipnotico al suo orecchio, vicino alle sue labbra e solleticato dal suo respiro.

Voltò appena la testa, considerandola con uno sguardo combattuto. «Di quando… sono diventato un lupo.» riuscì infine a mormorare, esitante.

Andrea spalancò appena gli occhi, sorpresa, e colpita soprattutto dall’ondata di dolore che sentì provenire dal ragazzo, e che la travolse. Ripensò agli accenni che lui aveva fatto in passato, a come non gliene avesse mai parlato apertamente e chiaramente, evitando di raccontare per filo e per segno, e trattenne un sospiro di aspettativa.

Vedendo la sua espressione, Danny distolse di nuovo lo sguardo e strinse un poco le labbra. «Non è qualcosa che ricordo con piacere. Anzi… tutt’altro.» chiarì, in tono piuttosto duro.

«Okay…» rispose allora Andrea «Non importa.» concesse arrendevolmente.

Stavolta fu Danny a fissarla con sorpresa, inarcando le sopracciglia stupito. «Davvero?»

Lei corrucciò la fronte in un principio di irritazione. «Certo che no! Certo che importa!»

Di nuovo lui distolse lo sguardo. «E’ solo che…» iniziò, cercando un qualche modo per spiegarsi.

«Va bene, d’accordo. Tranquillo.» ripeté lei, rassegnata. Rimase qualche istante ad osservare la sua espressione combattuta, in un certo senso distante, come se una parte di lui fosse ancora oggetto di contesa tra il presente ed un passato, un ricordo, che lo richiamava con forza, cercando di strapparlo via alla realtà  presente.

«Vuoi raccontarmelo?» gli domandò allora, con gentile offerta.

Lui la guardò, gli occhi aperti in una sincerità disarmante che dava l’idea che avesse compreso che quella domanda era finalmente completamente disponibile.

«Sì…» rispose semplicemente.

Andrea non aggiunse altro. Si sistemò più comodamente contro il suo fianco, la testa appoggiata al braccio piegato sul cuscino, lo sguardo verso di lui che tuttavia non richiedeva di essere ricambiato al momento. Danny ricambiò l’abbraccio, con gratitudine, e lasciò che i suoi occhi vagassero sull’indefinitezza del soffitto che si intravedeva nell’oscurità: uno spazio bianco e omogeneo, abbastanza da non distrarre il suo sguardo mentre finalmente tornava indietro al ricordo vero e proprio, cercando di sondarlo senza esserne ricatturato troppo prepotentemente. E iniziò a raccontare di quella notte.

La notte in cui si fermò in un centro sociale. Era scappato di casa da circa tre giorni, e di volta in volta, la giornata era occupata dal cercare qualcosa da mangiare perlopiù, e un posto dove poter passare la notte. Non poteva contare su una grande generosità di fondi a sua disposizione; per questo, quando aveva visto appesi in giro sui muri della città che stava attraversando i volantini che annunciavano una festa in un centro sociale, aveva pensato che fosse la sua occasione per guadagnarsi un divano su cui dormire fino al mattino dopo. Stanco com’era, non avrebbe avuto problemi a dormire mentre la festa continuava fino al mattino. E sapeva che allora, nella seconda metà degli anni ’80, in certi frangenti quelle situazioni permettevano di riuscire a procurarsi qualcosa da mangiare e un tetto per dormire senza che nessuno facesse domande, indagasse, o semplicemente avesse qualcosa da ridire su un’ospitalità così temporanea e in sordina.

Aveva avuto ragione, anzi, più che ragione.

Il posto, una vecchia casa un po’ diroccata assurta a centro sociale, piuttosto fuori città e immersa in un boschetto, si era rivelata la sua sistemazione ideale per una notte. Decisamente meglio, poi, di un sottopassaggio di una stazione, del corridoio di una metropolitana, e di altre sistemazioni che aveva dovuto considerare e in qualche caso accogliere durante le notti precedenti. Naturalmente, non conosceva nessuno. Era già troppo lontano, diverse miglia, dalla sua città natale e dove aveva vissuto per i primi diciassette anni della sua vita fino a quella notte. Ma lui era un punk, aveva l’aspetto giusto per infilarsi in un centro sociale senza che nessuno facesse troppo caso a lui, o al fatto che se ne andasse in giro con un grosso zaino da campeggio pieno di cose, che girasse a piedi e da solo, e che si presentasse ad un concerto e, dopo appena una birra consumata svogliatamente, finisse per crollare a dormire su un qualche divano.

Almeno, quello era il suo iniziale proposito.

Ma i suoi piani erano saltati, ad un certo punto di quella serata. Molto prima che iniziasse a valutare quale divano o materasso per terra o, mal che andasse, quale frazione di pavimento avrebbe potuto eleggere a suo giaciglio per una notte, era stato avvicinato da qualcuno. Una ragazza. Una ragazza molto bella, dalla personalità decisa e calamitante, ammaliante a suo modo; e per qualche motivo, anche lei sembrava sapere di essere piuttosto fuori luogo lì. Non come lui, che cercava di farsi passare per un occasionale frequentante di concerti in giro per il mondo, piuttosto che come un ragazzino scappato di casa solo qualche giorno prima. No, lei sembrava fuori epoca, come se fosse appena spuntata da qualche improbabile fenomeno paranormale, da un altro pianeta forse. Non solo non era di lì in senso geografico: il modo in cui considerava tutto e tutti ciò e coloro che aveva attorno, con fare superficiale e disinteressato, annoiata ed estranea e divertita come se considerasse tutto nient’altro che un gioco temporaneo e sciocco, davano di lei l’impressione che provenisse da un altro intero mondo, inafferrabile nei suoi contorni, inconcepibile nella sua natura, incomprensibile nei suoi sensi.

«Una ragazza…» commentò piano Andrea, a quel punto. Ma nonostante il suo tono, il sensibile udito di Danny non poteva essere ingannato. Si interruppe e si girò a considerare attentamente la sua espressione.

«Sì…» ammise infine, suo malgrado.

Andrea si sforzò di trattenere il forte sentimento di disagio e gelosia che cercava di possederla, e lo guardò in viso a sua volta. «E lei… è stata lei? A… trasformarti? Non so se è questo, il termine adatto…» domandò, incerta nelle sue stesse parole.

Danny strinse le labbra, chiaramente in difficoltà, e tornò a guardare il soffitto. Si diede dello stupido diverse volte, tra sé e sé: terribilmente stupido, a non aver pensato prima quanto poteva essere realmente difficoltoso. Non solo per lui, nel raccontare quella storia. Ma anche per lei, nell’ascoltarla per la prima volta.

«Continua…» mormorò Andrea, incoraggiante nonostante tutto, dopo qualche momento di silenzio.

E Danny sospirò, a lungo e lentamente, profondamente. Sì, lei aveva ragione. Non poteva interrompersi. Non prima della fine della sua storia. Non c’era modo di tornare indietro. Né per cambiare quel racconto, né per non iniziare mai a narrarglielo.

«Ero… affascinato da lei.» riprese, con grande sforzo, come se cavasse da sé le parole ad una ad una. «Ma non era perché era lei. E’ qualcosa che i lupi, o in generale le creature non umane, possono fare agli umani. Affascinarli, incantarli. Perché appaiono diversi: danno la sensazione di essere qualcosa di molto più affascinante di qualsiasi cosa tu conosca, qualcosa di molto più interessante di qualsiasi cosa potrai mai scoprire da solo. Ti danno questa immagine… nel retro della tua testa, al di fuori di ciò che puoi capire o leggere lucidamente. Un’immagine… come qualcuno che tenda verso di te una mano, il palmo aperto verso l’alto, una chiave su di esso. Una chiave per porte che non puoi nemmeno vedere, no, ma… oh, se solo tu potessi prendere quella chiave, esse non solo ti apparirebbero, estremamente invitanti, ma tu potresti anche aprirle, attraversarle, scoprire interi nuovi mondi, misteriosi, nascosti a tutti gli altri,  completamente celati a chiunque non abbia ricevuto in dono quella chiave. Un dono. Una fortuna incredibile, irrifiutabile. Basta possedere un briciolo di curiosità per diventare completamente preda di quell’offerta, e non riuscire nemmeno a pensare come – e soprattutto perché mai – rifiutarla. Capisci…?» e Danny si interruppe brevemente, per tornare a guardare Andrea, di nuovo completamente concentrato su di lei, ora.

«Non è tanto così che va, che tu scegli loro. Sono loro a scegliere te. Non sono stato io a scegliere lei. E’ stata lei a designarmi come sua preda, quella volta. Non ero il primo, non la sua prima preda. E non sarei stato l’ultimo… no… » il suo tono si fece molto amaro per un momento, sfiorando altri ricordi e consapevolezze che ancora Andrea non poteva conoscere, e che si guardò dall’indagare, intuendo che avrebbero portato ad una digressione troppo ampia e complicata, per la quale non era il momento.

Di nuovo, Danny focalizzò lo sguardo nel suo. «Lei mi scelse quella notte, come sua preda. Non aveva altre intenzioni. Niente di particolarmente complesso o difficile, per lei. Ero solo una preda. E così fece in modo di apparirmi come colei che mi sta porgendo una chiave per altri mondi. A quel punto, quando scelgono una preda, è difficile che il loro obbiettivo abbia qualcosa a che vedere con lo spazio decisionale. L’unica cosa che potrebbe cambiare le carte in gioco, sarebbe forse se la preda sapesse le regole del gioco, se il suo sguardo potesse già vedere oltre quella promessa di quella chiave offerta ingannevolmente su un palmo aperto. Ma loro riescono a vedere questo: ne sentono l’odore, diciamo. Riescono a vedere se qualcuno li vede per ciò che sono, come predatori. O se semplicemente sa che sono lupi. E non sceglierebbero mai come preda qualcuno che sa cosa sono, cosa possono fare, che ha la consapevolezza… l’unica cosa che darebbe alla preda uno spazio di scelta: accettare o rifiutare. Senza la consapevolezza, è quasi solo questione di accettare. Vedi, io allora non sapevo niente di tutto questo. Non avevo quella consapevolezza. Non è mai stata una questione di scelta, per me. Ero solo una preda ignara, come tutte le altre prede. Sono caduto nella trappola. Per questo l’ho seguita…»

Andrea era come ipnotizzata dal suo sguardo, ora: non avrebbe interrotto il contatto dei loro occhi per nulla al mondo, non mentre poteva vedere più di quanto avesse mai visto dentro di essi. Era come se potesse leggervi le sensazioni che il ricordo di lui richiamava, come se potesse assistere alla scena che lui gli stava dispiegando davanti. Vi assisteva come pura osservatrice, non poteva davvero entrarci. Anzi, c’era una prepotenze sensazione che la tratteneva ad un ciglio dal precipitarvi dentro, qualcosa di forte come l’istinto di sopravvivenza che trattiene dal fare un solo passo in avanti e dallo sbilanciarsi anche solo a malapena, quando si è in piedi, sul ciglio di un baratro, il divorante vuoto proprio davanti. Né si sentiva in grado di rifiutare la forte stretta con cui il ragazzo le stava stringendo le mani nelle sue, così forte da farle quasi male, come se si stesse tenendo aggrappato a lei; se per non cadere a sua volta nel baratro o se per esserne tratto fuori dopo esservi precipitato ed essersi riarrampicato fino al suo ciglio, lei non avrebbe saputo dirlo.

«L’hai seguita… dove?» riuscì a mormorare in tono appena udibile, ma chiaro per il fine udito di lui.

Danny sembrò tornare in sé. Al punto che si rese conto di starle stringendo così forte le mani, e rilassò i muscoli delle dita, scemando la forza con cui la stringeva fino a renderla più dolce e meno pressante. Sospirò, di nuovo, e si girò sulla schiena, tornando a guardare il soffitto, rilassandosi appena un po’ mentre riusciva di nuovo, apparentemente, a distanziarsi maggiormente dal ricordo. Una distanza di sicurezza più che sollevante, al momento.

«Fuori…» rispose semplicemente «Fuori da quella casa. Come ti ho detto, c’era un bosco. Luogo ideale per i lupi. E poi…» il suo tono scemò, scomparendo rapidamente, come se le successive parole fossero rimaste intrappolate nella sua gola.

Andrea aspettò qualche istante, per dargli il tempo di trovare il modo di dirlo. Ma quando vide che lo sguardo del ragazzo si era come raggelato nel nulla, districò gentilmente le mani dalle sue, per accarezzargli il viso, con tocco rassicurante. Non c’era alcuna richiesta in quel gesto, nemmeno quella che egli continuasse il suo racconto.

Ma Danny sembrò ritornare di nuovo in sé. Senza muoversi, spostò lo sguardo, sbirciandola di sbieco, di nuovo pienamente consapevole della sua presenza, del luogo e del tempo presente, con tutte le sue implicazioni rassicuranti. Quando tornò a parlare, la sua voce suonò più tranquilla e più distante, quasi impersonale anche. Aveva di nuovo lasciato andare il ricordo, e suonava ora come se stesse parlando di qualcun altro. Forse, in un certo senso era così ora per lui, intuì lei dalle sue successive parole.

«Lo stupido ragazzino fu morso da un lupo, e lo divenne a sua volta. Tu hai detto ‘trasformazione’. In un certo senso, ma non esattamente. Non cambi forma, rimani te stesso. Ma diventi un te stesso diverso, almeno nel potenziale. È come rinascere una seconda volta, ma è seconda appunto alla tua prima effettiva nascita. Non vieni completamente… resettato. No. È questione di potenzialità. Puoi diventare qualcun altro, pur rimanendo di base te stesso. Sai… temo sia troppo difficile spiegarlo… per me, almeno. Ma… ho conosciuto altri lupi. E molti di loro… sono… » si interruppe di nuovo e deglutì, a disagio «Sono qualcosa di… innaturale, in un certo senso. È come se avessero cancellato se stessi, chi erano prima di… prima di diventare lupi. E tutto quello che hanno, così, è ciò che sono in quanto lupi. È come se si fossero tolti di dosso la loro stessa pelle, e, indossando la loro pelle da lupo, andassero in giro pretendendo persino con se stessi di essere nati con quella, in origine. Ma non possono spingere questa finzione fino al punto di renderlo vero. Non sono lupi, non sono nati come tali. Sono… sono esseri umani che condividono la loro pelle umana con quella di lupo. Già il solo pensarlo è… estraniante, disturbante in qualche modo. Molti diventano semplicemente… folli… cercando di venirne a capo. Non sopravvivono al passaggio, non mentalmente diciamo. A volte, i loro stessi… trasformatori, coloro che li hanno resi anche lupi, a questo punto li uccidono. Perché sanno che potrebbero diventare pericolosi, per se stessi e per gli altri, umani, lupi, entrambe le cose o altro ancora, non importa. Altre volte, sono coloro che li hanno creati ad essere uccisi per primi, e poi questi uomini-lupi impazziscono, e vagano, e… oh, beh, il resto appartiene alle leggende umane: i cosiddetti ‘lupi mannari’…»

Danny cercò di alleggerire il tono, in quest’ultima considerazione, ma tutto quello che gli uscì fu un tentativo di risata troppo amara per realizzarsi, che gli morì in gola in un verso sgradevolmente spezzato e sofferto.

«Ma tu sei sopravvissuto.» cercò di venirgli in aiuto Andrea, sforzandosi di passare attraverso quelle parole illesa, nonostante la stessero urtando profondamente «Tu non sei impazzito.»

Danny la guardò, le sue pupille blu scuro intente e intense su di lei, come se studiassero la sua reazione, pienamente consapevoli di quanto potessero mettere in difficoltà parole come quelle che aveva appena pronunciato, specialmente se udite da un essere umano. O forse, specialmente se udite da lei.

«Quando ho capito cos’eri… chi eri… » disse allora Andrea, ricordando a sua volta, e pescando da tutto ciò che possedeva nella sua comprensione e che poteva venirle in aiuto, quasi disperatamente «Dicesti che avrei dovuto aver paura di te. Perché mai? Se non sei un lupo impazzito, se non…»

«Perché è bene stare in guardia.» la interruppe Danny, urgente ma freddo e distante, amareggiato, tornando a guardare il soffitto. «Tutti i lupi hanno il loro momento oscuro. L’eclissi lunare, o la notte in cui la luna non compare, ciclicamente. In quella notte, tutti noi siamo come lupi impazziti… e il meglio che si può fare è tenerci strettamente legati.»

Andrea spalancò gli occhi, stupita. Ricordò che tutti i giorni in cui la luna era scomparsa, Danny aveva fatto in modo che lei non ci fosse, non fosse nemmeno lì, a casa del Conte. E tremò, specialmente per il tono oscuro in cui ora iniziava a intuire il motivo. Ma tremò anche perché solo ora realizzava che aveva preso troppo alla leggera quella parte di vita, così determinante, di lui. Ed era come se non potesse più sapere se conosceva veramente Danny, all’improvviso.

Sembrò che per un istante lui potesse comprendere molto bene, molto da vicino, le sensazioni che la stavano sommergendo, perché si voltò verso di lei, e fu il suo turno di toccarle il viso, per invitarla a guardarlo direttamente. Nei suoi occhi, ora, lei poté ritrovare lo sguardo che conosceva, concentrato su di lei, attento e gentile, preoccupato e tormentato. Le sorrise, molto tristemente.

«Sai…» le mormorò «Noi non scegliamo mai se diventare lupi. Sono i nostri creatori a sceglierci, come prede. Ma… voi… voi che scegliete di condividere qualcosa della vostra vita con noi, avete questa scelta. Non sono di quei lupi, quelli che scelgono una preda. Non ho mai dato una seconda pelle, una pelle di lupo, a qualcun altro. Non ho mai voluto farlo, non ne ho mai sentito il bisogno, né il desiderio. E questa è la mia scelta. Non è un impulso irrefrenabile, no… E’ qualcosa che i lupi, alcuni lupi, fanno per qualche loro motivo. Credo che lei lo abbia fatto perché si sentiva sola. Oltre perché lei è fatta così. Lei vuole avere qualcosa da poter guardare dall’alto in basso, che la veneri, che la segua, che la ritenga al di sopra di sé, in tutto e per tutto. Non c’era niente di meglio per lei che mordere qualcuno e renderlo lupo, renderlo dipendente da lei, dalla sua guida, dalle sue istruzioni, dalla sua maggiore esperienza e conoscenza. Non ho mai sentito il bisogno di questo. Credo sia questione di carattere, in fondo. Anzi, l’ho sempre ritenuto qualcosa di subdolo, ingiusto e sgradevole. Prendere la scelta per qualcun altro, imporgliela, come se fosse la cosa più giusta, la migliore, come se si imponesse su qualcuno un qualche bene superiore secondo il nostro vaglio, o più che altro per assecondare i nostri bisogni, dei quali siamo in balia. Qualcosa di codardo: non essere in grado di combattere le proprie pulsioni per dare loro corso o non a seconda della propria volontà e della propria scelta, e stare al loro gioco. Ma per voi… per te… è un altro discorso. Puoi scegliere, e qualsiasi sia la tua scelta, avrai in ogni caso la mia comprensione. Puoi scegliere se stare vicino ad un lupo o…»

Andrea gli prese gentilmente le mani, togliendole dal proprio viso e tenendole tra le proprie per guardarlo direttamente negli occhi, fieramente. «Credo di aver già fatto la mia scelta, Danny.» gli disse, paziente e convinta «Altrimenti, non sarei nemmeno qui, ora. Non pensi?»

Dopo un lungo momento di stupore, l’espressione del ragazzo si aprì, finalmente, in un tenue ma profondo sorriso, di sollievo e calma. «Sì…» mormorò, in conferma. «Scusami…»

La ragazza lo considerò con curiosità. «Per che cosa…

«Credo… di saper essere veramente stupido, a volte…»

Andrea gli sorrise, divertita, e poi ridacchiò, avvicinandosi per abbracciarlo stretto. «Oh, puoi giurarci!» rispose, in tono affabilmente deciso.

Poi sembrò che qualcosa le fosse balzato alla mente, perché si districò dall’abbraccio per tornare a guardarlo in volto. C’erano sicuramente moltissime domande che avrebbe voluto fare, e che andavano fatte, prima o poi. Ma non riteneva che fosse il momento opportuno. Argomenti difficili, sensazioni ed emozioni difficili, oltre che spiegazioni e delucidazioni davvero troppo complesse, erano in agguato tutto intorno, le poteva sentire.

«Ma… se hai sognato di quella notte… che cosa c’entrava Zoal

Danny divenne pensieroso, e corrugò leggermente la fronte. «Non lo so. Non so perché è entrata nel sogno. Cioè, non l’ho capito veramente. Anche perché… non riesco a ricordare chiaramente… non del tutto. E invece… oh, e invece dovrei, dannazione!» e bestemmiò, tirando un pugno di frustrazione al cuscino.

Salvo sussultare appena per la violenza del gesto, Andrea rimase concentrata sull’argomento in questione. «Perché dovresti? Cosa c’è di così importante?»

Il ragazzo la fissò, ancora irritato, e con un evidente senso di impotenza, ma presto sembrò preso da un nuovo sforzo di ricordare. «Lei ha detto… ha detto qualcosa… diverse cose, a dire la verità. Ma non riesco a ricordare molto bene. Ha detto… ‘puoi dimenticare tutto, ma ricorda questo’…»

«Cosa devi ricordare?» lo invitò a continuare lei.

Danny però la guardò, ancora più impotente e scontento. «E’ questo il punto… non ricordo…» ammise.

Andrea raccolse il fiato e assunse un tono e un contegno pragmatico. «D’accordo, non c’è problema!» annunciò.

Lui la osservò, perplesso. «No…?» chiese, affatto convinto.

La ragazza gli avvolse le braccia intorno al collo, rafforzando la sua espressione scaccia-problemi. «Niente affatto. Tu hai detto che Zoal non era lì perché la stavi sognando, ma perché è entrata nel tuo sogno, in qualche modo. Giusto?»

Danny si limitò ad annuire, confuso, cercando di seguire il ragionamento, o almeno di intuire dove esso volesse andare a parare.

«Allora, domattina, dopo che mi avrai accompagnato all’aeroporto, andrai su a casa loro, da Yuta e Zoal, e le chiederai direttamente cosa ti ha detto, la cosa importante che non ricordi. E te la farai ripetere e spiegare meglio, da sveglio, magari assieme al motivo per cui, invece che passare di qua o semplicemente fare una telefonata, lei usa questo singolare metodo di comunicazione… infilarsi nei tuoi sogni.» pianificò Andrea, con piglio sempre più scrupolosamente pratico.

Danny sorrise brillantemente. «Sembra una buona idea.» commentò.

«Non sembra, lo è. E non è buona, ma ottima.» ribatté lei, scherzosamente.

Il ragazzo fece per rispondere a tono, ma un pensiero lo colpì all’improvviso. «Ah! Ma… l’aeroporto! La partenza! Domani! Dobbiamo svegliarci presto! E io ti ho svegliato nel bel mezzo della notte e tenuta sveglia per non so quanto, quando tu domani devi fare tutto il viaggio e…» iniziò a rimproverarsi, frugando nelle coperte per raggiungere il comodino e la sveglia, per accertarsi dell’orario.

Ma Andrea lo trattenne nel suo abbraccio. «Lascia perdere. Andava bene così com’è andata…» lo tranquillizzò «Ora però… sarebbe meglio dormire, almeno finché non sarà l’ora di alzarsi… e preferisco non sapere tra quanto, onestamente!» ridacchiò.

 

 

Soundtrack: Disappear (INXS)

 

 

Note dello scribacchiatore: di nuovo un capitolo lunghetto, abbiate pazienza, presto i capitoli diventeranno un po’ più “leggeri” ;)

In caso troviate errori di ortografia o simili e abbiate voglia di segnalarmeli mi fate un favore, per il resto, se ce ne sono scusatemi, il tempo stringe e la storia ha da correre oltre! ;)

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Capitolo 3
*** 02 - Nella tana dell'orso ***


Capitolo 2

(NELLA TANA DELL’ORSO)

 

Il ‘Bone’s’ era uno dei più vecchi bar di Castle MacHearty. Non era un locale che si potesse notare o che, se capitava di fermarcisi, invitava a trattenersi o si imprimeva nella memoria. Una sola grande stanza arredata con svogliata ispirazione per assomigliare ad un pub occupava interamente il piano terra, assieme ad una stanza più piccola con un tavolo da biliardo e qualche slot-machines, ad un’altra abbastanza grande da fungere da sgabuzzino e magazzino e ad un piccolo bagno per clienti e gestore. Quest’ultimo era da più di trent’anni Gus, un uomo di grande corporatura e dal carattere da orso, di pochissime e rarissime parole, lo sguardo corrucciato come se fosse intento in chissà quali riflessioni cupe, un’espressione poco avvezza a cambiare rispetto a quella di una faccia burbera, cinica e distante, e gli occhi che, quando si concentravano su qualcuno e su ciò che gli aveva detto, potevano diventare molto più espliciti di mille parole.

Gus non sembrava mai di umore nemmeno passabilmente buono. Come se avesse perennemente scritto in fronte ‘se proprio mi devi rivolgere parola, spero ci sia almeno un valido motivo’, dominava sempre il locale affondato in una sempiterna penombra – indipendentemente dal tempo atmosferico e dall’ora del giorno o della notte che c’era fuori – come se sorvegliasse la scena; la sua sorveglianza muta poteva essere tranquillamente ignorata da chiunque fosse un frequentatore abituale, così come poteva risultare stranamente fastidiosa e pressante per chi metteva piede lì dentro per la prima volta e sembrasse intenzionato a non farsi fretta nel consumare la sua ordinazione. A quanto sembrava, quello era il modo in cui Gus faceva presente ai suoi avventori se potevano considerarsi più o meno tollerati.

Il ‘Bone’s’ si trovava sulla strada principale che attraversava da parte a parte Castle MacHearty, ed era uno dei primi edifici su quella strada. Poteva anche essere considerato uno degli edifici della cittadina più vicino, dunque, alla collina in cui sorgeva la malandata casa vecchia, in orribile stile kitsch goticheggiante, che per qualche insano motivo secondo Gus, era per di più abitata. Gus non aveva particolari problemi col fatto che il suo bar sorgesse così relativamente vicino a quella casa. La sua filosofia a riguardo di quell’edificio era pressappoco quella che era bendisposto a rivolgere a quasi qualsiasi cosa esistesse al di fuori del suo bar: non lo toccava minimamente, non lo riguardava affatto, ed era bene che le cose rimanessero in quel modo.

Quella mattina estiva, tuttavia, quando il bar era affondato nella sua solita penombra un po’ fumosa, quasi completamente deserto eccetto che per Gus stesso e Pete, uno degli avventori di più lunga affezione, come al solito seduto tranquillamente al bancone in silenzio a sorseggiare con lenta tranquillità la sua birra, quasi non volesse nemmeno disturbare con la sua presenza, la stanza affondata nel silenzio perché Gus trovava che accendere la musica prima del pomeriggio fosse solo un elemento causante fastidio e potenzialmente mal di testa, e il caldo afoso della stagione era tenuto rigorosamente fuori dal locale più grazie alle finestre e alla porta chiuse che ai vecchi ventilatori che giravano pigramente sul soffitto… orbene, in tutto questo, Gus si ritrovò a dover alzare un sopracciglio, in un segno espressivo più che esagerato per lui, e che sicuramente poteva essere interpretato in un solo, esplicito commento: disapprovazione totale.

A causarla erano stati una serie di eventi che si erano appena svolti nell’arco di pochi istanti. Prima di tutto, la porta si era spalancata così forte da quasi sbattere contro la parete; e nessuno aveva mai osato negli anni entrare in quel modo nel bar di Gus senza trovarsi poi a ritenere che il meglio che potesse fare prima di incorrere in seri guai fosse uscire altrettanto rapidamente e, stavolta, senza sbattere la porta. In secondo luogo, quello che era entrato era uno sbarbatello, cioè un ragazzetto un po’ basso e piuttosto magro, e che dava ad intuire - da come si muoveva - totalmente privo di calma e compostezza nel misurare i suoi movimenti. In terzo luogo, questo ragazzetto si era fiondato al bancone, ci si era appoggiato con entrambe le braccia come se si aggrappasse disperatamente al bordo di una zattera dopo un disastroso naufragio, e si era sporto più che precipitosamente oltre il suddetto bancone, invadendo pericolosamente il territorio esclusivo di Gus da più di trent’anni. Per finire, quello che esclamò non era affatto un’ordinazione.

«Gus! Hai visto Danny, stamattina??»

Il fatto che il ragazzino, poi, lo chiamasse per nome con tanta confidenza assolutamente fuori luogo, poiché Gus non dava confidenza nemmeno ai suoi clienti di antichissima data nonché in generale a niente e nessuno a parte il suo bar, risultò come una terribile aggravante.

Cadde un pesante silenzio, in cui Pete si voltò a guardare il ragazzetto con gli occhi spalancati di sorpresa, indignazione, e un vago timore di quello che avrebbe potuto scatenarsi di lì a poco. Poi, Pete osò spiare di sottecchi Gus, con anticipazione e reverenziale comprensione. Come tutti gli uomini che raramente mostrano qualche emozione o partecipazione verso qualsiasi cosa, e che ancora più raramente parlano più del dovuto, ma che sono generosi di sguardi pesantemente significativi, Gus godeva automaticamente della reputazione di essere temibile quanto e tanto più raramente lo dimostrava apertamente. E Pete gli dedicò uno sguardo di assoluta comprensione: se da quel momento in poi avesse dovuto assistere ad una scena moderatamente e ordinatamente violenta, in cui Gus, ad esempio, avesse aggirato lentamente il bancone, e, senza perdere tempo con inutili parole, avesse semplicemente afferrato il ragazzetto per la collottola della maglia e il bordo posteriore dei pantaloni, lo avesse sollevato di peso, trasportato fino alla porta, e lo avesse fatto volare fuori, per poi tornare con calma dietro il bancone e riprendere a spolverare con placida calma il boccale che stava pulendo, Pete ci teneva a fargli sapere che lui non avrebbe avuto nulla in contrario, nulla da eccepire, assolutamente nulla da commentare. Sarebbe rimasto semplicemente in silenzio e si sarebbe immediatamente accompagnato al modo in cui Gus avrebbe fatto come se niente di tutto quello fosse appena successo.

Gus, invece, continuò a strofinare il boccale e a considerare il ragazzetto con il suo sguardo imperturbabile, appena tradito dal sopracciglio sollevato. Forse le cose sarebbero andate come Pete si immaginava, se non fosse stato per un dettaglio importante. Gus aveva intravisto, attraverso la finestra, il modo in cui quel ragazzo era arrivato. Lo aveva visto correre a perdifiato giù per la stradina che scendeva dalla collina dove si trovava quella stramba casa, quella a riguardo della quale non si riusciva a capire se chi l’aveva costruita era veramente così privo  di gusto da ritenerla un risultato ottimale, oppure se era così generosamente dotato di un eccellente senso dell’umorismo da aver voluto realizzarla per coronare con un’opera tangibile quello che ne pensava dello stile gotico, che non era certo qualcosa di complimentoso. Gus dunque, a differenza di Pete, il cui mondo si riduceva per la maggior parte a ciò che aveva nel bicchiere davanti a sé sul bancone, in qualche modo stavolta era stato preso contropiede: aveva avuto uno scorcio sul mondo esterno, e non era più in grado di considerare il ragazzetto semplicemente come qualcuno che aveva appena infranto ogni regola di rispettoso contegno richiesta in quel bar, dalla prima all’ultima, andando a turbare Gus e il suo mondo con la stolta irruenza di chi oserebbe lanciare una lattina appena svuotata addosso ad un orso inferocito. Un puro suicidio, insomma, e inconsapevolmente idiota per giunta.

Gus appoggiò lentamente il boccale e lo strofinaccio sul bancone, quindi, dopo un breve momento in cui sembrò aver maturato tra sé e sé una decisione a riguardo di come agire, alzò uno sguardo estremamente grave e significativo su Justin. Questi ne fu colpito in pieno, e di colpo sembrò realizzare cosa aveva fatto. Il che era notevole, considerando che si trattava di Justin. Ma lo sguardo di Gus nel pieno della sua potenza avrebbe potuto rendere consapevole persino un morto: dopotutto, era più che abituato ad avere a che fare con persone ubriache fradice, ovvero con una consapevolezza delle proprie azioni e parole ridotta ai minimi termini, praticamente all’osso.

Lentamente e attentamente, come se pensasse che ogni movimento troppo brusco avrebbe potuto risultargli fatale, e senza sottrarsi nemmeno per un momento al contatto visivo in cui lo teneva incatenato Gus, Justin si fece indietro, scendendo dalla sua posizione disperatamente aggrappata al bancone, riportando tutta la sua persona dalla parte giusta d’esso, ovvero dalla parte del cliente. Una volta uscito così, fortuitamente illeso, dalla sua pericolosa invasione delle spazio riservato a Gus, andò persino oltre, raddrizzando un po’ le spalle e lasciando le braccia penzolare lungo i fianchi un po’ meno disordinatamente del solito, quasi che, per la prima volta nella sua vita, si sentisse convinto dalla certezza che dare un’immagine di sé un po’ più dignitosa e composta potesse salvargli il collo.

A quel punto, Gus sembrò soddisfatto, perché finalmente smise di fissarlo con quello sguardo terribile, e, con tutta calma, abbassò di nuovo il suo viso, riprese in mano il boccale, e tornò a spolverarlo dedicando a questa banale azione tutta la sua attenzione. Pete comprese che la tempesta era passata, il ragazzetto era mezzo salvo; avrebbe potuto guadagnare facilmente l’altra metà della sua sopravvivenza se avesse preso la decisione che era logico acquisisse in quel momento: approfittare della benevolenza che Gus gli concedeva nell’ignorarlo completamente, come se niente fosse successo, e defilarsi dal bar il più silenziosamente possibile. Sparire insomma. Pete pensò che era meglio aiutarlo a modo suo, o forse semplicemente anche lui riteneva che l’atteggiamento di Gus fosse il migliore, perché anch’egli distolse ogni attenzione da Justin, e ricominciò a sorseggiare in silenzio la sua birra del mattino come se il ragazzo nemmeno esistesse.

Justin rimase perfettamente immobile e silenzioso per almeno cinque minuti, in cui non accadde nulla, a parte Pete che sorseggiava la birra al bancone e Gus che spolverava il boccale. Se avesse posseduto più fantasia, avrebbe potuto iniziare a dubitare del fatto che quella scena potesse essere reale: era troppo costruita, troppo un cliché, troppo ripetitiva e inutilmente banale. Ma dopotutto, quante volte la realtà è esattamente così? Tuttavia, Justin non possedeva le qualità prima di tutto intellettive necessarie per lasciarsi prendere da queste digressioni riflessive; in altre parole, meglio detto, era troppo mentalmente pigro per poter essere distratto da un eccesso di pensiero.

«Hem… Gus…?» tentò, con voce incerta, il tono leggermente troppo acuto rispetto al suo solito timbro di voce, e un che di tremante che lo rendeva quasi balbettante. Si sarebbe detto lo squittio di un topolino, quasi. Ma era incredibile cosa poteva fare in quel frangente. Pete iniziò a tossire rumorosamente, perché la birra gli era andata di traverso per la sorpresa di sentire che quel ragazzino osava ritentare rivolgersi a Gus dopo quello che aveva appena fatto. Gus in persona, invece, sbatté rumorosamente e pesantemente il boccale sul bancone, si sistemò con più violenza del necessario lo straccio con cui lo stava spolverando sulla spalla, incrociò saldamente le braccia contro il petto, e trapassò Justin da parte a parte con uno sguardo solo appena meno terribile del precedente.

Justin impallidì e sembrò che la sua persona si stesse ritirando, cercando di rimpicciolire come se desiderasse più di ogni altra cosa scomparire immediatamente alla vista, e il suo corpo cercasse di accontentarlo entro i suoi limiti. Gus lo notò, e di colpo sembrò che un lieve sentore di qualcosa di simile alla pietà gli solleticasse appena quella parte di lui appena soggetta alle emozioni.

«Cosa posso darti da bere?» disse allora Gus. Pete trasecolò e, appena calmatosi dall’attacco di tosse, riprese a tossire violentemente. Quello era il colmo, un evento incredibile. Nel criptico codice di condotta di Gus, offrire a qualcuno da bere significava mostrare il massimo di empatia – ed era veramente poca e rara, ovvero preziosa – che Gus poteva tirare fuori per qualsiasi essere umano.

Justin non sembrava meno stupito, perché lo stava fissando come se lo avesse appena sentito parlare in ostrogoto, e il suo viso mostrava altrettanta totale incomprensione e confusione.

Pete decise di venire in aiuto a Justin: iniziava a temere che le emozioni lì dentro raggiungessero un livello eccessivo, davvero innaturale e improbabile. Magari il bar sarebbe esploso da un momento all’altro, se già non si trovavano in un’altra dimensione. Oppure in realtà aveva bevuto troppo e aveva le traveggole, sospettò per un momento in cui lanciò una breve occhiata dubbiosa alla birra che stava bevendo. No, decise tra sé e sé, sicuramente quello che stava accadendo era anche troppo per una sbronza, nemmeno lui poteva bere così tanto da vedere scene talmente inaudite in quel bar. In ogni caso, pensò che se non avesse fatto qualcosa per rompere quella situazione di empasse, quel ragazzo avrebbe potuto non uscire vivo da lì.

Pete si schiarì la gola, per attirare cortesemente l’attenzione, e quando Justin osò sviare appena lo sguardo da Gus per lanciargli una veloce occhiata di sbieco, vide l’uomo alzare con calma il boccale di birra, accennando verso di lui. «La birra è ottima, qui.» disse semplicemente.

Justin rimase in attesa che l’uomo proseguisse, poi, lentamente, si rese conto che era invece l’altro che ora si aspettava qualcosa da lui, e capì così che sarebbe stato tutto lì quello che gli avrebbe detto e che sembrava così importante, a giudicare dalla corposità dell’aspettativa tesa con cui lo fissava. Poi, di colpo e inaspettatamente, capì.

«Una… una birra…» disse a fatica Justin, tornando a guardare direttamente Gus. Poi si schiarì la voce, grattando la sua gola disperatamente secca per il nervosismo, e riprovò con un tono un po’ meno squittente. «Credo che… Vorrei una birra. Grazie.» aggiunse, col tono di chi invece vorrebbe esprimere una preghiera per essere risparmiato dalla tortura o peggio.

Per qualche lunghissimo secondo, non accadde nulla. Semplicemente, Gus continuò a tenere inchiodato lo sguardo su Justin, in silenzio. Poi si mosse, facendo sussultare violentemente il ragazzo, prima che si rendesse conto che l’uomo stava semplicemente prendendo un boccale vuoto da uno dei ripiani alle sue spalle. «Birra in arrivo.» grugnì semplicemente, mentre riempiva il boccale dalla spina.

Justin spiò di nuovo verso l’uomo seduto al bancone, e vide che gli stava dedicando un breve sorriso più che mai smagliante, come se avessero appena evitato entrambi una morte orribile e ci fossero tutti gli ottimi motivi per essere estremamente sollevati. Justin smise di trattenere il respiro, ma poi un sonoro colpo violento glielo fece mozzare di nuovo in gola per lo spavento, prima che realizzasse che era stato semplicemente Gus che aveva appoggiato il pesante boccale ricolmo sul bancone davanti a lui.

Il ragazzo fissò per qualche istante il boccale pieno, come chiedendosi quale fosse la corretta mossa successiva da mettere in atto per procedere verso una zona sicura. Gus, infatti, lo stava ancora guardando, come in attesa di qualcosa: e Gus non dedicava mai a nessuno tanta attenzione, a meno che non ci fosse qualcosa di veramente storto nell’aria. Justin deglutì un pesante grumo di saliva, poi, muovendosi lentamente e in maniera decisamente circospetta e timorosa, fece un tentativo di riconciliazione nello stringere il boccale pieno, sollevarlo, portarselo alla bocca, e iniziare a bere la birra a lunghe e generose sorsate.

Nonostante la sua esperienza delle casistiche umane gli suggerisse che tenersi il più possibile al di fuori della faccenda fosse quanto di meglio poteva fare per la propria auto-preservazione, Pete non poté fare a meno di tenere gli occhi incollati sul ragazzetto; e la sua espressione iniziò a diventare più animata di quanto lo fosse mai stata negli ultimi quindici anni circa della sua vita, allorché lo vide – incredulo – bere l’intero boccale tutto d’un fiato. Se non l’avesse visto coi suoi occhi e glielo avessero raccontato, non ci avrebbe mai creduto. Ma il fatto di esserne stato testimone gli dava ora l’impareggiabile occasione di essere colui che si sarebbe accaparrato l’attenzione di tutti quando avrebbe raccontato quella storia vera e autentica agli amici, o meglio agli altri avventori del bar. Avrebbe dovuto ricorrere a tutto il suo bagaglio di giuramenti su cose e persone care e sulla sua stessa persona nel tentativo di farsi credere, in quell’atteggiamento che tutti quelli che si mettevano a raccontare una storia garantita per essere ‘più vera del vero’ in quel bar tendevano ad assumere, piuttosto clownesco a dire la verità, perché di solito si scioglieva loro la lingua solo dopo qualche bicchiere, e per via del fatto che le loro guance a quel punto erano colorite quasi quanto le loro espressioni perlopiù gergali, e nondimeno per gli abiti e i capelli scarmigliati un po’ dall’alcool e un po’ dalle movenze più o meno inconsapevoli che molti di questi racconta-storie improvvisati iniziavano a mettere in scena nel mimare le loro presunte testimonianze, per renderle più credibili e per intrattenere meglio chiunque li stesse degnando di attenzione.

Sì, Pete non aveva dubbi. Quella scena era da raccontare. Più di una volta anche. E certamente avrebbe tenuto banco al bar per almeno un mese, salvo che qualcosa di ancora più eclatante e incredibile fosse giunto alle orecchie di qualcuno dei frequentatori del bar, cosa che dubitava. Naturalmente, avrebbe dovuto raccontarla però fuori dal bar, magari davanti alla porta all’esterno, dove di solito si radunavano i gruppi di fumatori quando Gus li cacciava lì fuori con osservazioni placidamente minacciose sul fatto che ormai dentro ci fosse tanta nebbia che non riusciva a distinguere le etichette sulle bottiglie. Naturalmente, nessuno aveva mai osato obbiettare che il 99,9% di quelli del bar bevevano praticamente solo birra alla spina (che non aveva bottiglie etichettate), né che tenere il locale in una perenne penombra non fosse in ogni caso d’aiuto per distinguere alcunché lì dentro.

Justin si pulì la bocca con il dorso del polso, più precisamente sulla manica del maglione sdrucito che indossava, mentre con l’altro braccio riallungava il boccale appena svuotato sul bancone, sul quale lo appoggiò diligentemente.

«Davvero… ottima…» mormorò. Ne pareva così convinto che nessuno avrebbe potuto capire se lo pensava davvero, o se ne avesse realmente sentito il sapore, ma certamente nessuno avrebbe potuto scambiare il suo atteggiamento tanto ossequioso e timoroso per una provocazione, né la sua espressione quasi paralizzata dalla paura come un gesto di sfida.

Gus grugnì neutro, poi afferrò il boccale vuoto con una delle sue enormi mani e lo posò dentro il lavandino, per poi iniziare a sciacquarlo sotto l’acqua. Justin rimase a guardarlo come se stesse iniziando a concepire che sarebbe sopravvissuto dopotutto, ma anche con lo scoraggiamento di chi, di fronte a tanta inaspettata fortuna, non sa bene che pesci pigliare a quel punto.

Poi, di colpo, Gus parlò di nuovo, sebbene senza alzare nemmeno per sbaglio la testa dalle sue occupazioni di barista. «A proposito di Danny. Non l’ho ancora visto oggi.»

Dopo qualche lungo istante, Justin realizzò che sarebbe stato perlomeno cortese da parte sua azzardare una risposta. «Oh. Oh! Grazie! Grazie davvero! Hem, beh, magari potrei cercarlo più giù in città… anche se non so bene dove ma… in ogni caso, è una cosa urgente e così… Molto urgente a dire la verità. Una vera e propria emergenza. Questione di vita o di morte, proprio così.» Justin annuì vigorosamente, come a ricalcare la veridicità e l’importanza delle sue parole, anche se sarebbe bastata l’espressione di attonito terrore che iniziava ad accendersi nel suo sguardo, simile ad un oscuro timore, o a un presagio di morte se non certa perlomeno fin troppo probabile.

Ed era così intento a parlare a vanvera e velocemente, che non si rese conto di Pete che lo guardava a bocca aperta, incredulo e seriamente allarmato, né del fatto che Gus dava l’impressione di non essere affatto interessato ad ascoltarlo, né in generale che la sua parlantina rischiava di irritare di nuovo il temibile barista.

«Perché, sai, è arrivata una telefonata. Certo, Danny non ha un cellulare, ma è sempre stato così. Cioè, almeno da che lo conosco, da che viviamo nella stessa casa cioè. A dire la verità prima che venissimo ad abitare col Conte non c’era proprio nessun apparecchio di comunicazione in casa, a parte un vecchio telegrafo polveroso, ma credo che non sia attaccato alla linea. Non credo in ogni caso che se anche fosse attaccato ci sarebbe qualcuno a ricevere dall’altra parte. E quindi è stato Danny a convincere il conte a far installare una linea telefonica ed un telefono fisso. Per ricevere le chiamate dai clienti, no? E di solito io ricevo le chiamate per lui, quando è fuori, e segno tutto. Ma stavolta… oh… » e Justin rabbrividì tutto da capo a piedi «Stavolta non è un cliente. E non oso immaginare che cosa mi farà se non trovo subito Danny e lo porto al telefono, perché sono dovuto correre fin quaggiù a cercarlo, così mi ha detto di fare, che dovevo trovarlo immediatamente, e lui rimaneva ad aspettare al telefono. Capisce? È terribile cosa potrebbe succedere se non…»

«Danny non l’ho visto qui dentro, oggi.» lo interruppe di colpo Gus, in tono pesante come un macigno, che fece sussultare Pete e chiudere immediatamente la bocca – in senso quanto mai letterale – a Justin. «Ma l’ho visto scendere dal sentiero di casa vostra, stamattina, prima dell’orario di apertura. Se non sbaglio, credo di averlo visto proseguire lungo la via principale. Probabilmente, potresti trovarlo da qualche parte in città.»

Se Pete avesse potuto spalancare ulteriormente gli occhi, probabilmente avrebbe rischiato che gli uscissero dalla testa. Sembrava che Gus, il temibile orso proprietario e unico gestore dalla memoria dei tempi del ‘Bone’s’ di Castle MacHearty, stesse cercando di sbattere qualcuno fuori dal bar assecondandolo piuttosto che minacciandolo. Non si era mai visto prima nulla del genere. E Pete poteva capire perché. Nessuno, lì al ‘Bone’s’, ma anche più in generale in tutto Castle MacHearty, ci teneva a sapere che cosa succedeva dentro le mura di quella casa abbarbicata sulla collina; e bene che se ne stesse lì, ben lontana dal resto del centro abitato, abbastanza da ignorarla il più possibile.

Ognuno aveva i suoi buoni motivi per cercare di ignorare la sua esistenza e per desiderare pienamente di conservare la propria benedetta ignoranza su quella casa, i suoi abitanti e ciò che vi succedeva all’interno. Si poteva giustamente dire che gli abitanti di Castle MacHearty erano già fin troppo spaventati dalle loro improbabili fantasticazioni su quali mostruosità fuori-natura accadessero là dentro per poter essere curiosi di sapere quale fosse l’effettiva realtà. Realtà che probabilmente in effetti li avrebbe terrorizzati sul serio. Qualcosa come vedere il Conte, sospettato vampiro o pazzo pericoloso o potenziale serial-killer dalle manie perverse e occultiste, stendere i calzini appena lavati sullo stendino; o Justin, sospettato schiavo sessuale del Conte, nonché drogato e forse privato della propria volontà mediante qualche oscura tecnica paranormale, che giocava alla play-station o leggeva fumetti spaparanzato sul divano mentre rosicchiava qualche schifezza confezionata come papatine o barrette di cioccolato aromatizzato e sorseggiava bibite gassate e zuccherate; o Danny, che già solo per il suo aspetto punk era in grado di suscitare diversi dei peggiori sospetti di quelli tipicamente rintracciabili in ogni bibbia mentale del benpensante, che estraeva teglie roventi piene di biscotti dal forno con addosso un grembiule e un paio di guanti da cucina. Sì, decisamente sarebbero scappati urlando se avessero visto questo tipo di scene.

Perché i mostri visti nel contesto di una banale quotidianità di quel tipo erano qualcosa di inconcepibile. Per rassicurare tutti delle loro peggiori paure e dei più innominabili sospetti, non c’è niente di meglio che un mostro che si comporti come tale per assecondare il suo ruolo. E’ davvero difficile essere un mostro a tempo pieno, stressante come uno di quei lavori da ufficio, e molto peggio malpagato.

Justin riuscì a ricomporsi in qualche maniera, abbastanza rapidamente, mentre realizzava che Gus stava, a quanto sembrava, effettivamente cercando di essergli d’aiuto. Certo, sospettò a lungo che si trattasse di qualche trappola, ma muovendosi molto circospettosamente, e avendo cura di ringraziare profusamente per l’informazione, iniziò ad avvicinarsi alla porta del bar procedendo a ritroso, non osando voltare le spalle al bancone e tantomeno a Gus. Questi però, così come Pete, si limitò a fissarlo finché non fu uscito, richiudendo gentilmente la porta dietro di sé.

Il bar tornò immediatamente nel suo solito clima sempiterno di silenzio e calma semi-oscurità. Gus riprese a spolverare i boccali. Pete fissò molto a lungo il boccale vuoto e già sciacquato rimasto ad asciugare nel lavandino, cercando di capacitarsi del fatto che non aveva avuto un’allucinazione molto elaborata. A fargli sospettare che non si fosse trattato di una specie di improbabile sogno ad occhi aperti, più che la tangibile prova di quel boccale usato da Justin, era la sua esperienza, che gli diceva che lui non possedeva una fantasia talmente complessa e vivace da potergli dettare una scena talmente surreale. Alla fine, si limitò a chiedere un’altra birra a Gus, sperando che lo avrebbe aiutato a riprendersi da tutte quelle emozioni concentrate che gli erano appena passate sopra come una macchina che lo avesse investito. E Gus gliela servì, perfettamente imperturbabile.

 

Al di fuori del ‘Bone’s’, Justin si bloccò sul posto, raggelato. Solo in quel momento realizzò di non aver pagato la birra. Lentamente, come se temesse che da un momento all’altro un Gus infuriato si sarebbe lanciato fuori dal locale per inseguirlo, afferrarlo e ridurlo ad una poltiglia irriconoscibile di carne e ossa, si girò a fissare la porta del locale chiusa. Restò lì immobile sul posto per diversi lunghi minuti, come un coniglio ipnotizzato dai fari di un’auto sulla strada, incapace di muoversi nonostante stia per essere investito. Tuttavia, nulla avvenne. La porta rimase chiusa, impassibile e immobile. Alla fine, Justin osò riprendere a respirare più liberamente. Certo, l’idea che Gus potesse rendersi conto di quell’affronto più avanti non lo rassicurava affatto; ma al momento considerare di dover rientrare lì dentro la tana dell’orso era qualcosa di decisamente al di sopra del suo coraggio.

E poi, c’era qualcosa che al momento era capace di fargli ancora più paura di Gus, per quanto suonasse incredibile persino a lui. E quel qualcosa era il qualcuno che lo aveva mandato a cercare Danny con urgenza, e che forse stava ancora aspettando all’altro capo del telefono. Justin non osava provare a immaginare quanto tempo doveva essere già passato da quando era schizzato correndo dal telefono fuori di casa e giù per il sentiero che scendeva dalla collina. Ma sicuramente era già abbastanza da fargli sentire che il filo che sosteneva una spada di Damocle sopra la sua testa era già visibilmente assottigliato, e più che abbastanza da fargli pesare addosso ogni ulteriore secondo che passava, come un conto alla rovescia.

Girando su se stesso rapidamente, Justin tornò a girare le spalle al ‘Bone’s’, e di lì a poco stava di nuovo correndo lungo la strada principale di Castle MacHearty come un indemoniato che fugga da un esercito di barbari pronti a mozzargli la testa. Incurante delle occhiate di allarmata disapprovazione che gli lanciavano le persone lungo la strada, non faceva che voltare la testa in tutte le direzioni mentre correva, cercando ansiosamente e disperatamente la figura di Danny, come se fosse la sua unica speranza di salvezza.

 

Note dello scribacchiatore: ci ri-“vediamo” al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** 03 - Call me ***


Capitolo 3

(CALL ME)

 

 

Non c’era male, per essere il giorno che era.

Così considerava Danny tra sé e sé, mentre camminava, a passo per lui insolitamente moderato nel ritmo, lungo la strada principale di Castle MacHearty. In effetti, era la stanchezza a renderlo tanto calmo nel procedere, e forse anche la causa di quelle sue considerazioni quasi malinconiche. Forse c’entrava qualcosa anche il fatto che era ormai sera, e il sole estivo stava tramontando, diffondendo un soffuso colore rosato sull’orizzonte che si intravedeva al di sopra delle colline.

Sulla cima della collina di modesta altezza più vicina alla cittadina, il ragazzo poteva indovinare il contorno già piuttosto in ombra di casa.

Lo spirare del leggero vento fresco lo fece appena rabbrividire. Ma era più che altro una reazione da effetto placebo, perché lui non soffriva così tanto il freddo, specialmente per la sua condizione non completamente umana. Quasi di riflesso, si strinse un po’ nelle spalle, facendo muovere il giubbotto di jeans scuro ricoperto quasi interamente di toppe di gruppi e di motti punk che indossava, più che altro per affezione che per reale bisogno, sopra alla maglietta. Di tanto in tanto, estraeva una mano dalla tasca dei jeans per staccarsi dalla bocca la sigaretta che stava distrattamente fumando.

Era decisamente perso nei suoi pensieri, perlopiù impegnati a riconsiderare gli eventi delle ultime ore.

Di prima mattina aveva accompagnato Andrea all’aeroporto. Un viaggio di ben due ore, perché Castle MacHearty era, in fin dei conti, una località piuttosto sperduta, almeno a livello geografico. Qualcosa che gliela faceva apprezzare, dopotutto. Ma più che ritrovarsi in mezzo al traffico umano e di macchine di un aeroporto, cosa che non aveva mai provato prima nella sua vita, era stato il viaggio di ritorno senza Andrea a stranirlo. Ed era ancora estraniante pensare che non l’avrebbe vista per quasi due mesi. Sempre che lei non decidesse di ritornare prima, come aveva insistito a ricordargli fino all’ultimo saluto, per rassicurare lui o forse anche se stessa.

Certo, Danny poteva capire. Poteva capire che la madre di Andrea, costretta a vedere la figlia solo due volte all’anno visto che lei era rimasta a vivere in Germania, volesse cercare di farla restare là il più a lungo possibile. E, nonostante i suoi dubbi e la sua ansia di cercare di capire se Andrea era sincera fino in fondo a questo proposito, lei sembrava concordare con lui sul fatto che non fosse il caso – non ancora perlomeno – che lui andasse con lei. Non era tanto per la faccenda di conoscere la madre di lei, a dirla tutta, quanto per il fatto che affrontare due viaggi in aereo e quasi due mesi di immersione in una ‘vita normale’, probabilmente avrebbe fatto sentire Danny così fuori luogo che avrebbe iniziato a subire qualcosa di simile ad un vero e proprio shock.

Il resto della giornata che si stava avviando verso la fine era stata una questione di comune routine, anche se per lui la sola concezione di ‘routine’ era già di per sé qualcosa di bizzarro. Ma come altro chiamarla, dopotutto?

Così, era stato da un paio di clienti lì a Castle MacHearty, a raccogliere le descrizioni fin troppo minuziose e a tratti tragicamente teatrali dei loro animali domestici scomparsi. Poi aveva rintracciato un cane scomparso. A quanto pare, l’animale aveva pensato bene di fare una scappatella, ma si era perso dopo diversi chilometri percorsi più o meno a casaccio, ed era finito dietro le sbarre di un canile a diverse miglia da lì. Nel mentre aveva pensato bene di smarrire, o forse di liberarsi deliberatamente, del suo collare, rendendo impossibile ai volontari del canile rintracciarne il proprietario. Per fortuna di Danny, del cane e dei suoi affezionati proprietari, la fuga era avvenuta solo un paio di giorni prima, e la stagione calda aveva lasciato le tracce odorose del cane abbastanza vivide da permettere al ragazzo di seguirle almeno fino al punto in cui erano scomparse. Doveva essere il punto dove i volontari del canile lo avevano trovato e caricato su uno dei loro autoveicoli. A quel punto, era stata questione di intuizione e ricerca. Danny aveva dovuto esplorare due canili della zona in cui si perdevano le tracce prima di ritrovare il fuggitivo involontario, e consegnare ai volontari del canile il numero di telefono dei proprietari. Se non altro, aveva potuto beneficiare di un passaggio nell’auto del volontario che aveva riportato il cane e lui a Castle MacHearty. I proprietari gli avevano dato il suo compenso e lui ne aveva approfittato per pagare qualche provvista al supermercato.

Entrare in quel supermercato lo faceva ancora ridere sotto i baffi, nel ricordare quando lui, Andrea, Uther e Justin lo avevano saccheggiato per necessità e divertimento durante l’emergenza “zombie” di pochi mesi prima. Ma questa volta, invece, si era ritrovato più triste del solito. Questa volta non c’era con lui Andrea, che ridacchiasse con lui ogni tanto mentre facevano la spesa. Erano soliti scambiarsi appena uno sguardo di complice e segreta comprensione tra loro e iniziare a ridacchiare senza riuscire a trattenersi, mentre gli sguardi perplessi di chiunque li sentisse e non riuscisse a comprendere il motivo del loro divertimento non faceva che rendere il tutto ancora più divertente. E quel giorno, di colpo, Danny aveva realizzato che avrebbe dovuto fare a meno di quel modo un po’ meno tedioso di fare la spesa per quasi due interi mesi.

Era così ingarbugliato in questi pensieri, che inizialmente non notò affatto la sagoma seduta sul bordo del marciapiede. Almeno finché il suo sguardo distratto non intercettò il movimento convulso e precipitoso con il quale la sagoma suddetta balzò in piedi quando lui era a pochi metri da essa. Immediatamente i suoi occhi saettarono sulla figura umana che reagiva a quel modo al suo appressarsi, e i suoi muscoli si tesero d’istinto, pronti a reagire. Poi, però, si rilassò immediatamente, nonostante la figura gli stesse correndo incontro come se volesse buttarglisi addosso con tutto il suo trafelato peso.

«Danny! Oh, grazie al cielo, Danny, sei tu! Sei proprio tu!» gridò Justin, fermandosi ad appena pochi centimetri da lui, frenando a fatica il suo impeto disperato nel cogliere l’occhiata con cui l’altro lo fece tornare abbastanza in sé da evitare di buttargli le braccia al collo sull’onda del suo enorme sollievo.

«Justin…» lo salutò Danny, considerandolo con un accenno di sorriso a metà tra il divertito e l’incuriosito. Le sopracciglia appena alzate, lo esaminò sommariamente da capo a piedi, come se cercasse indizi di tanta gioia nel rivederlo. Era abituato alle scene melodrammatiche di Justin, ma esse erano rare come la neve in agosto, essendo l’altro un tipo più che mai atono, pigro e insofferentemente passivo.

«Che cosa succede?» continuò perciò Danny, in modo quasi sospettosamente ma tutto sommato gentilmente comprensivo «Non mi pare di aver visto del fumo sollevarsi dalla casa…» ironizzò, considerando che tutta quell’emotività poteva essere generata magari da qualche danno che Justin aveva appena suo malgrado prodotto a qualcosa che lo potesse riguardare da vicino.

«Oh, non sai quanto sono felice di vederti, mio dio, credo di essere morto…» continuò tuttavia teatralmente Justin.

Danny gli dedicò uno sguardo ancora più sarcasticamente perplesso, e ancora non abbastanza preoccupato. Sapeva bene che Justin tendeva a farsi prendere un po’ troppo dalle sue rare dimostrazioni di emozione, al punto da risultare ben più teatrale di quanto richiedeva un’oggettiva considerazione della situazione.

«Oh, beh… Sono felice che la tua idea di aldilà mi comprenda, ma… insomma, ti dispiacerebbe dirmi semplicemente cosa succede?» cercò di insistere, anche se sperare di indurre un Justin in quelle condizioni a esprimersi chiaramente era sempre qualcosa di un po’ troppo ottimistico, almeno per lui.

Tuttavia, il contegno del suo coinquilino cambiò di colpo dal giorno alla notte. Da estremamente sollevato e pieno di buone speranze di salvezza da chissà che cosa, si fece disperato e terrorizzato come se sentisse l’alito del Tristo Mietitore* sui peli della nuca.

«E’ terribile!» disse Justin, gli occhi spalancati e spiritati e il tono da oscura Sibilla. «Terribile, terribile, davvero…»

Danny sospirò appena, quindi, con un fulmineo movimento, fece scattare in avanti il braccio al quale non teneva appesa per i manici la sporta di plastica semi-piena del supermercato. Afferrò saldamente per il colletto della maglia Justin, avendo cura di rendere il suo gesto tranquillamente fermo e autoritario e non particolarmente violento.

«Sì, ‘terribile’, ho capito. Ora, dimmi cosa, Justin!» ordinò perentorio. Non gli arrideva particolarmente assumere quel contegno, ma sapeva per esperienza che se non voleva passare un altro quarto d’ora cercando di calmarlo, e semmai si fosse trattato di qualcosa di effettivamente importante nonostante le farneticazioni dell’altro, quello era l’unico buon modo che conoscesse per farlo parlare sensatamente.

E in effetti, una volta che parte della sua maglia si ritrovò saldamente stretta nel pugno di Danny, Justin sembrò guadagnare di colpo un’improvvisa lucidità verbale, sebbene i suoi occhi rimanessero spiritati come se avesse appena visto in faccia la morte.

«Ha squillato il telefono. Era lui! Lui in persona, capisci? E ti cercava. Con urgenza, sì, proprio così ha detto, con urgenza. Ha detto che era questione di vita o di morte che ti trovassi immediatamente, non importa dove ti fossi cacciato, e che ti portassi subito al telefono. Ha aggiunto che era questione della mia vita o morte!» iniziò a raccontare Justin, mentre il suo tono diveniva via via più piagnucolante e disperato «E allora io sono corso qui giù. Ho corso tutto il giorno, non ho fatto altro che correre, ma non ti trovavo. E tutti quelli a cui chiedevo facevano finta di non conoscerti, o mi ignoravano, o non mi rispondevano. Molti credevano che volessi chiedere l’elemosina per drogarmi. Io! Come se avessi abbastanza soldi per drogarmi. E poi, per un paio di canne sì e no alla settimana, non capisco perché le persone devono essere così cattive… e ora sono già passate ore, e io non ti ho trovato, e lui ormai avrà riagganciato e si sarà messo in viaggio. Starà venendo qui! Starà venendo a cercarmi! Sono un morto che cammina, sono praticamente…»

«Justin…» lo chiamò Danny, in tono cantilenante e paziente, scuotendolo leggermente avanti e indietro con molta delicatezza «Per favore, concentrati ora. Solo un paio di domande, d’accordo? Chi mi cercava e quante ore fa ha chiamato, esattamente?»

Justin lo guardò, spalancando gli occhi, e mormorò il nome in tono bassissimo, come se osasse a malapena pronunciarlo, o come se temesse che il solo dire quel nome lo avrebbe evocato, facendolo materializzare lì accanto a lui per ucciderlo.

Per fortuna, le orecchie di Danny erano abbastanza meno umane di quelle di molte altre persone per poter distinguere quella parola anche se era solo un sussurro. Al contrario di Justin, il suo viso si illuminò di un sorriso affettuoso, facendogli persino balenare i denti tra le labbra felicemente piegate e appena aperte. Poi il suo sorriso si trasformò in un sogghigno di comprensione, mentre rilasciava la sua presa sulla maglia di Justin, lasciandolo andare.

«Ora capisco tutta la tua paura…» motteggiò Danny. «Va bene. La seconda domanda, Justin: quante ore fa ha chiamato?»

Justin lo fissò come se la consapevolezza della morte imminente lo avesse stordito. «Che… che ore sono ora?»

Danny sospirò. «D’accordo, forse è meglio che tu non lo sappia. Va bene, avanti, gambe in spalla. Andiamo a casa. E non fare così… basterà che io lo richiami e vedrai che non ti succederà niente. Sai com’è lui… con te è sempre un po’… hum… eccessivo… non doveva essere poi una cosa così grave, in fondo. Andrà tutto bene, d’accordo? Non morirai. Davvero.» tentò di rassicurarlo, con fare sagacemente sicuro di sé.

Ma con sua sorpresa, vide Justin impallidire ulteriormente. «Ma lui non mi ha lasciato nessun numero…» mormorò, come se ora vedesse chiaramente la falce della morte che si avvicinava alla sua gola millimetro dopo millimetro.

Danny, che già si stava incamminando verso casa, si fermò e si girò di nuovo verso di lui, appena stupito. «Ah no? Beh, nessun problema, in fondo. Se era così urgente certamente richiamerà prestissimo. Vedrai che entro stasera sarà tutto risolto. E non ti succederà niente, te lo garantisco. Avanti, allora, vogliamo andare a casa?»

Justin si tirò indietro di qualche passo, barcollando e tremando, lo sguardo ancora spiritato e preda del terrore. «A casa?!» gracchiò, come se avesse la gola secca e stretta «No… oh, no no no! Quello sarà il primo posto dove verrà a cercarmi! Magari è già lì che mi aspetta! No… devo… devo nascondermi, ecco, sì… O forse… forse potrei scappare, sì, lontano da qui. Fare perdere le mie tracce… Travestirmi, anche, sì certo, aiuterebbe molto ne sono sicuro! E poi magari cambiare i documenti, sì. A che ora parte l’ultima corriera per la stazione di Foelm? No, forse dovrei andare a prendere un aereo, sì… E poi…»

Danny tornò a pararglisi di fronte, raccogliendo tutta la sua pazienza. «Justin. Ascoltami attentamente. Quante possibilità credi di avere, seriamente, di sfuggirgli, se volesse davvero trovarti?»

Il ragazzo lo fissò, e la sua espressione si aprì nella pura assenza di speranza. «Nessuna…?» azzardò, in un mormorio incerto.

«Humm… sì, esatto, pressappoco.» annuì Danny «Ma!» esclamò, rendendo il suo tono particolarmente significativo per accertarsi di mantenere il più possibile la concentrazione di Justin sulle sue parole «Ma io sono forte, no? Più forte di lui anche, parlando su un piano strettamente tecnico e fisico. Quindi, non ti converrebbe forse restare invece vicino a me? Inoltre, se c’è qualcuno che potrebbe riuscire nel convincerlo a lasciar perdere di rifarsi su di te, quello sono sempre io, no? Mi segui? Quindi, se sono io la persona che potrebbe meglio proteggerti, non ti conviene ora forse venire con me a casa e restare con me?»

Justin si prese diversi lunghi secondi per valutare attentamente quanto gli stava dicendo, in modo quasi ossessivamente sospettoso. Quindi, lentamente e circospettosamente, iniziò ad accennare un annuire insicuro «Sì… forse… forse sì…»

«Sicuramente sì!» lo incoraggiò Danny, prendendolo sotto braccio e iniziando a portarselo appresso mentre si dirigevano verso casa. «Avanti, il Conte si starà chiedendo che fine abbiamo fatto. E non preoccuparti. Andrà tutto bene. Promesso!»

Attraverso le finestre polverose del ‘Bone’s’, Gus seguì la scena dei due ragazzi che si incamminavano su per il sentiero che portava alla loro abitazione, l’uno più che altro trascinandosi dietro l’altro oltre che trasportando una sporta della spesa. Ben attento a non farsi notare da nessuno dei suoi avventori, Gus tirò tra sé e sé un sospiro di sollievo mentale.

Nell’imperscrutabile modo in cui poteva talvolta sapere tutto ciò che accadeva all’esterno, sempre nella cerchia ristretta di qualche metro di perimetro al di fuori del suo locale, sapeva che quel ragazzetto che si era precipitato la mattina nel suo bar creando tanto scompiglio, aveva poi passato tutta la giornata correndo in giro per la città, tornando sempre speranzosamente nei dintorni del ‘Bone’s’. Un paio di ore prima, esausto e privo di speranze, si era accasciato a sedere sul gradino del marciapiede, a qualche metro dalla porta del bar, la testa abbandonata tra le mani come se non avesse più niente da perdere nella vita. Salvo schizzare ad un certo punto in piedi, illuminato da un’ultima, sottile e preziosissima speranza alla quale aggrapparsi disperatamente, come qualcuno in procinto di annegare. Era tornato dentro il bar, stavolta con un contegno molto più timido e dimesso, e con la scusa di pagare la birra che aveva bevuto quella mattina e di scusarsi per non averla pagata subito, aveva accennato a chiedere di nuovo se si fosse visto Danny da quelle parti. Di fronte alla risposta negativa grugnita da Gus, sembrava essere definitivamente scivolato nella fossa della sua disperazione, a giudicare da come si era trascinato di nuovo fuori come se il suo corpo fosse privo di ossa, e dal fatto che si era di nuovo lasciato crollare sul gradino del marciapiede con la faccia tra le mani.

Nemmeno il fatto che Gus avesse fatto qualcosa che non aveva mai fatto prima in tutta la sua vita, ovvero non accettare il pagamento tardivo della birra dichiarando senza cerimonie che gliel’aveva offerta, sembrava aver scalfito la sua nube di disperazione. Invece, tale avvenimento aveva improvvisamente lasciato il bar, o meglio tutti gli avventori allora presenti, completamente senza parole. Ma l’incredibile gesto di Gus aveva anche avuto il potere di dare un’improvvisa credibilità alle parole di Pete, il quale fin dalla mattina non cessava di raccontare e ri-raccontare a chiunque mettesse piede al ‘Bone’s’ gli incredibili avvenimenti della mattina stessa, di cui poteva vantare di essere l’unico testimone autentico e insostituibile. Il fatto che raccontare appieno la storia richiedesse di mettersi a chiacchierare fittamente fuori dal locale per non farsi sentire da Gus, inoltre, aveva generato un assieparsi degli sguardi increduli e cinici ma anche curiosi degli ascoltatori sulla figura di Justin, seduto disperatamente sul gradino del marciapiede proprio lì fuori. Il ragazzo era troppo immerso nella sua disperazione per rendersi conto di essere divenuto l’oggetto di una tale attenzione quasi turistica, ma Pete ne aveva beneficiato enormemente, e il suo racconto aveva acquisito ulteriore credibilità.

Se non altro, quando finalmente la storia di Justin si era conclusa con l’incontro ormai insperato con Danny, fuori dal locale erano rimasti solo due o tre fumatori, perché ormai tutti gli avventori del ‘Bone’s’, a quell’ora, avevano già ascoltato all’incirca dalle tre alle sette volte la storia di Pete. Assistere all’incontro, comunque, era stato abbastanza per permettere a quei tre di poter poi soffiare un poco di notorietà a Pete, perché loro erano ora i diretti testimoni della conclusione della vicenda. Delle effettive parole che si erano scambiati Danny e Justin, o del loro significato perlopiù misterioso, gli avventori del ‘Bone’s’ poi non ne volevano sapere né capire niente, essendo diligenti osservatori di quella norma condivisa unanimamente dagli abitanti di Castle MacHearty, secondo la quale meno si sapeva di cosa avveniva in quella casa sulla collina o intorno ad essa e ai suoi occupanti, meglio era.

 

 

·        il ‘Tristo Mietitore’ è uno degli appellativi dell’altrimenti conosciuta come Morte :)

 

Note dello scribacchiatore: naturalmente se vi state chiedendo chi sta cercando Danny al telefono e può spaventare così tanto Justin… beh, lo scoprirete nel prossimo capitolo! ;) Ma sospetto che qualcuno/a potrebbe già indovinarlo in base a questi indizi, se ha ancora ben presente la prima storia dei ‘4 di picche’.

Per quanto riguarda il fatto che vi potrebbero comparire delle righe in orizzontale qui e là… me ne scuso, ma ho litigato più volte e a più riprese con word a questo proposito (per levarle cioè) e ancora non ne sono venuto a capo. Sappiate che comunque sono un “incidente di programma”, non c’entrano nulla nella storia e non hanno alcun significato di nessun tipo!

 

NOTE VARIE:

- Oh, naturalmente il titolo del capitolo ‘Call me’, vuole volutamente riprendere la canzone omonima di Blondie! ;)

 

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Capitolo 5
*** 04 - L'incarico ***


Capitolo 4

(L’INCARICO)

 

Danny sapeva che spaventare Justin, o farlo almeno inquietare profondamente, non era un’impresa difficile. Ma sapeva ancora meglio che c’era qualcuno che, più propriamente, si dilettava nel farlo ogni qual volta ne capitasse l’occasione. E conosceva molto bene quel qualcuno, nonostante non lo vedesse né sentisse da diverso tempo.

Per questo, durante tutto il tragitto a piedi verso casa, non aveva potuto trattenersi dal portare sul viso un aperto sorrisetto che denunciava a chiara voce una gioia profonda e affettuosa, intrisa di una certa anticipazione anche. Non era un’espressione così consueta da vedere sul suo volto, anche se nell’ultimo periodo, era diventata qualcosa di un po’ meno raro.

E la figura che li aspettava sulla soglia della casa, in cima alla breve gradinata, colse immediatamente quell’espressione. Non tanto per il fatto che campeggiava così vistosamente sulla faccia di Danny, gridando al mondo ‘Non vedo l’ora!’ di qualcosa, ma perché la migliore supposizione del Conte a riguardo del fatto che il ragazzo fosse ultimamente un po’ più felice del solito, riguardava la presenza di Andrea. Senonché quello era il primo giorno dalla partenza della ragazza, e Danny tornava a casa con quel sorriso. Il Conte iniziò a sentire la sensazione più orribile e insinuante che conoscesse iniziare a cercare di prendere possesso di lui: il sospetto che una serie di sue attente e logiche osservazioni, condotte con metodo perfettamente scientifico e razionale degno dell’Illuminismo più ispirato, lo avessero condotto ad una teoria perfetta ma tragicamente erronea.

Quando Justin e Danny furono abbastanza vicini alla gradinata dell’ingresso della casa, il Conte alzò lentamente il braccio con cui reggeva il grosso candelabro con le candele accese, illuminando meglio, anche se non ve n’era effettivamente bisogno.

Danny alzò lo sguardo verso di lui, a quel punto, mentre Justin rimase impassibile a fissare il terreno. Solo allora il Conte si rese conto che c’era qualcosa di più strano dell’usuale nel ragazzo. Sembrava persino più passivo del solito, addirittura seriamente depresso e senza speranza. Forse non era Danny il solo di cui doveva preoccuparsi, e il fatto che fossero finalmente ricomparsi a casa iniziò a sembrargli una rassicurazione tutto sommato insufficiente. D’altronde, non riusciva a spiegarsi come potessero avere due espressioni così diametralmente opposte.

«Finalmente scorgo le vostre presenze, recanti tutto sommato una salute basilarmente buona. Non sapete quanto mi riempia di consolazione vedervi tornare inermi, benché a questa insolita ora. E non posso nascondervi di essere rimasto preda di una severa preoccupazione, fino all’istante in cui ho potuto distinguere che le due sagome comparse in lontananza corrispondevano in effetti alle vostre persone.» li accolse cerimoniosamente il Conte.

Dalla brevità del saluto, considerando quanto poteva essere ben più logorroico, Danny intuì che il Conte si era preoccupato così tanto da non essersi ancora ripreso. E intuì anche che doveva essersi svegliato dal suo sonno diurno, aver scoperto che a casa c’era solo lui e che non c’era la cena già pronta, né le candele accese nei punti giusti della casa, né le tende erano state tirate per lasciare entrare la luce notturna, l’unica che sopportasse. A riprova della sua preoccupazione, eccolo che li attendeva addirittura sulla soglia di casa, e che si era avventurato all’esterno nonostante la penombra della sera non fosse ancora abbastanza fitta da essere considerata vero e proprio buio notturno. Inoltre, non aveva per niente accennato, ancora, al fatto che non aveva trovato le tende già tirate e la cena già pronta.

«Felice di rivederti, Conte!» lo salutò Danny affabilmente, cercando di farsi perdonare e di risultare rassicurante. «In effetti, è stata una giornata un po’… beh, particolare.» ammise.

«Lo posso solo desumere.» rispose quello, osservando ancora attentamente i due, e in particolare soffermandosi su Justin. Alzò un poco di più in alto ancora il candelabro che reggeva, come per illuminarlo meglio, stringendo tuttavia di più gli occhi, perché in effetti in quella penombra serale già era più difficile distinguere le cose chiaramente, e in secondo luogo perché il Conte sosteneva di vedere meglio nell’oscurità che nella luce. «Ma devo forse supporre, mio malgrado, che il nostro Justin abbia riportato qualche ferita nel corso di questa travagliata giornata? Lo domando, poiché dal suo contegno mi pare di dover temere che egli sia incorso in qualcosa di davvero periglioso, e sarei grato se me ne informaste al più presto, per alleviare il peso della preoccupazione che mi aggrava al solo pensiero di questa triste possibilità.»

Danny si voltò a rivolgere uno sguardo a Justin. «Oh, no, beh, niente di grave, perlomeno. È solo un po’… hem… giù di morale… per via del fatto che… Beh, sarebbe una storia un po’ lunga. A questo proposito, ha per caso telefonato qualcuno durante la nostra assenza?»

Il Conte non rispose subito, avendo notato Justin irrigidirsi come se temesse che un colpo di inenarrabile violenza stesse per abbattersi sul suo capo. Ma visto che nessun altro segno a parte quello di attesa di un colpo potenzialmente mortale sembrò provenire dal ragazzo, si decise a tornare a guardare Danny.

«Ebbene no, mio caro Danny, ti devo purtroppo informare, perché ritengo che la tua domanda mi possa far legittimamente supporre che attendi un messaggio telefonico da qualcuno, che non è giunto alle mie orecchie nessun suono dall’apparecchio telefonico, bada bene però, non da quando mi sono ridestato alla mia solita ora dal mio sonno. Potrebbe tuttavia essere accaduto che il suono dell’apparecchio non sia giunto a solleticare le mie capacità uditive, se allorquando è entrato in funzione corrispondeva a un momento di quello spazio d’ore in cui ancora stavo riposando nei miei appartamenti.» rispose il Conte.

Per un momento Danny si chiese se il Conte sognasse, e se sì, che cosa potesse costituire materia dei suoi sogni. Ma poi si riscosse e tornò a concentrarsi. Justin, di fianco a lui, sembrava essersi quasi accasciato su se stesso sentendo la risposta del Conte, ma tutto sommato Danny riteneva di potersi considerare piuttosto fortunato visto che era ancora in piedi e non stava emettendo parole di lamentela, o parole di qualsiasi tipo in generale.

Allora Danny si risolse a salire le scale d’ingresso trascinandosi dietro Justin e la spesa. Riuscì a impiegare solo un’ora per approntare una cena per tutti e tre, convincere Justin a mangiare sebbene poco e svogliatamente, riassumere brevemente al Conte quanto successo, e sistemare entrambi sul divano davanti ad un vecchio film in bianco e nero di quelli favoriti del Conte, prima di poter arrivare fino alla sua stanza.

Sul pianerottolo su cui dava la sua stanza, però, il suo sguardo fu attratto dal telefono, un modello vecchio di telefono fisso, rivestito in plastica, appoggiato sul pavimento in mezzo al pianerottolo, perché nessuno di loro tre aveva mai pensato che meritasse di essere accompagnato da un mobile apposito, viste le tutto sommato scarse telefonate che facevano o ricevevano in quella casa, e che di solito erano piuttosto brevi. Almeno fino a quando non era comparsa Andrea. Ma anche in quel caso, Danny trovava estremamente più comodo sedersi a gambe incrociate per terra e appoggiare la schiena al muro mentre parlava al telefono.

Questa volta, il ragazzo notò che il ricevitore del telefono era sollevato e appoggiato sul pavimento. Si avvicinò, sospettando che fosse rimasto in quello stato fin da quando quella mattina Justin era corso fuori di casa alla sua ricerca, lasciando chi lo stava cercando ad attendere all’altro capo della linea. Sospetto confermato dal fatto che, accanto al telefono, rinvenne un biglietto scritto con calligrafia frenetica e disperata, in maiuscolo e con un profluvio di punti esclamativi e di sottolineature: ‘NON RIAGGANCIARE! PER NESSUNISSIMO MOTIVO! QUESTIONE DI VITA O DI MORTE!’

Chiedersi a chi mai Justin pensasse di dover destinare quell’avvertimento era superfluo: il Conte raramente si avventurava fino a quel piano della casa se non aveva un motivo particolare per farlo. D’altro canto, nel momento in cui Justin doveva aver scritto quel biglietto, la sua testa doveva essere già così pregna di una paura irrazionale che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per assecondare i suoi timori incontrollabili. Persino scrivere messaggi di avvertimento a nessuno in particolare. Ben più infelice era il fatto che la cornetta fosse rimasta sollevata tutto il giorno, considerò Danny con  un sospiro tra sé e sé, mentre la raccoglieva da terra e riagganciava. Purtroppo quello significava che eventuali clienti che volessero chiamarlo per ritrovare qualche animale smarrito e pagarlo non erano riusciti a chiamare.

Danny aveva appena fatto due o tre passi dal telefono verso camera sua, quando un sonoro squillo iniziò a trillare per tutto il piano. Lui si bloccò sul posto, e si girò, guardando suo malgrado con sorpresa e curiosità il telefono. Possibile? Sul serio, aveva appena riattaccato e già c’era una telefonata? Curiosa coincidenza, anche se non impossibile, ma improbabile in una casa dove le telefonate né tantomeno le persone che chiamavano erano mai state particolarmente fitte.

Ritornò verso il telefono e sollevò circospettosamente la cornetta.

«Pront…

«Alla buonora!» lo interruppe vivacemente la voce all’altro capo della linea, non meno vivace dello squillo stesso del telefono, ma di timbro molto meno gioioso, e più che altro decisamente critico e ironico.

Un tono e una voce che scatenarono immediatamente un sorriso largo e spontaneo sul volto di Danny.

«Ore che aspetto in linea, e alla fine mi si sbatte persino il telefono in faccia.» continuò imperterrita la voce. «Sai una cosa, non pensavo che il lavoro di accalappiacani ti potesse tenere così occupato. Veramente, non ci credo nemmeno ora.» specificò, sempre con sarcasmo che solo a orecchie familiari a quella voce poteva risultare generosamente venato di un’affettuosa confidenza.

«Stai scherzando! Vuoi dire che sei rimasto in linea per tutte queste ore? Sicuramente, tu devi essere allora molto meno occupato di me. Hai deciso di andare in pensione? Voglio dire, dopo tutti questi anni di far finta di lavorare, e considerando la tua età, penso che la tua sia stata un’ottima scelta.» ribatté Danny a tono, con voce così felice che quasi risultò più una risata che una serie di frasi accuratamente e scioltamente selezionate.

Sentì in effetti un rumore nasale a mo’ di commento sardonico giungergli attraverso il filo telefonico. E subito decise di approfittare del vantaggio che sapeva di avere appena guadagnato. «Oh, e il fatto che tu possa permetterti di tenere aperta una comunicazione intercontinentale per tante ore, la dice anche lunga a proposito di quale sia il tuo compenso dopo tanti anni di onorato servizio alla comunità. Quella dei cialtroni, naturalmente.» terminò, quasi mellifluo nel suo scherzo.

«Dì un po’, da quando sei diventato di una tale frastornante simpatia tu?» rimbeccò la voce, evidentemente punta sul vivo. «A quanto pare, ce n’è voluto a quell’altro là per trovarti. Come se si potesse aspettarsi altrimenti da quel soggetto. Si può sapere dove diavolo eri andato a nasconderti? O te la sei presa così comoda perché pensavi di fare il sostenuto e farti desiderare?»

«No, non era mia intenzione, ma penso che abbia comunque funzionato, visto che sei rimasto così tante ore al telefono.» rispose candidamente Danny.

«Ah! Figuriamoci! Capisco che tu non possa nemmeno immaginarlo, ma sono in grado di svolgere diversi compiti mentre tengo un telefono tra il mento e la spalla, e oh, a proposito, sai quei curiosi piccoli telefonini che hanno inventato qualche decina di anni fa e che al giorno d’oggi tutti hanno? Si chiamano ‘cellulari’. Beh, si dà il caso che ne possegga uno, quindi ho potuto spostarmi durante tutte le mie commissioni restando in linea. Giusto perché sono in grado generalmente di fare più di una cosa alla volta contemporaneamente, concetto che non so quanto ti sia familiare, visto che hai impiegato ore per farne una sola: quella di venire al telefono.»

Danny rise soddisfatto, sedendosi per terra a gambe incrociate e appoggiando la schiena al muro. «D’accordo, ho capito, mi dispiace per quella cosa che ho detto sull’età e sulla pensione e tutto il resto. Era solo che sono felice di sentirti, Kumals. Allora, come va da quelle parti, vecchio cialtrone pensionato?»

«Oh, bene, non mi posso lamentare. Ho un ufficio privato di investigazioni, un paio di validi aiutanti. Ah, e ho iniziato ad assumere lo stile di vestiario di Humprey Boghart, sono diventato un alcolista, e vado alle corse dei cavalli.» rispose tranquillamente l’altro, come se parlasse del più e del meno.

Danny si rizzò a sedere dritto di colpo «Cosa?!». Poi, però, anche se con qualche preziosa frazione di secondo di ritardo, capì, e sogghignò. «D’accordo, d’accordo… me l’hai fatta. Non dici sul serio, no?»

«A proposito di quale parte, esattamente?» domandò con nonchalance magistralmente recitata Kumals.

Danny sogghignò ancora di più e scosse la testa. «E va bene, spero che voglia dire che non te la passi affatto male, dopotutto. Per la cronaca, anche qui è tutto come al solito… più o meno…»

«Già. Perlomeno, sicuramente Justin non è migliorato, visto che non è nemmeno in grado di assolvere ad un compito così banale come passare una telefonata…» considerò l’altro.

«Oh, avanti!» lo rimproverò Danny, senza tuttavia riuscire a nascondere un certo divertimento nel suo tono «Lo hai terrorizzato a morte. Ha passato ore a cercarmi disperatamente per tutta Castle MacHearty ed ora è ridotto ad uno straccio e crede che tu verrai qui per ucciderlo o qualcosa del genere.»

«Oh. Davvero?» impossibile non notare un certo orgoglio soddisfatto in quella risposta.

«Sì, davvero.» insistette caparbio Danny, sbuffando leggermente dal naso «Quindi, ora gli dirò che non ce l’hai minimamente con lui, che lo perdoni o qualcosa di simile, o magari che consideri che ha comunque assolto al suo compito visto che ora ci stiamo sentendo al telefono.»

«Bene. A questo proposito, Danny.» il tono di Kumals era diventato improvvisamente grave e serio. «Per passare al motivo per cui ti chiamo. Certamente, mi fa molto piacere sentirti e via dicendo, ma per la verità non è stato solo per divertim… hem, per educare Justin a fare qualcosa per il verso giusto che gli ho fatto fretta nel portarti al telefono. In effetti, devo parlarti di qualcosa di importante. E vorrei che mi ascoltassi con attenzione.»

Danny si premette ancora di più il ricevitore sull’orecchio e la sua espressione si fece concentrata e corrucciata. «E’ successo qualcosa di brutto?» domandò subito, con efficiente attenzione.

«Non ne sono sicuro, per la verità. Ma è quello che vorrei che andassi a verificare di persona.» gli rispose Kumals.

«Hum… ‘andassi a verificare’…?» ripeté Danny, cercando di carpire qualche anticipazione.

Sentì un sospiro laborioso e preoccupato dall’altra parte della cornetta, con un che di sconfitto persino. Immaginò Kumals che si massaggiava la fronte già corrugata e cercava di restare chiaro nonostante la stanchezza.

«Beh, diciamolo francamente, Danny. Ti ho chiamato per chiederti se vuoi accettare un incarico.» annunciò.

Solo dopo molti altri minuti di fitta conversazione, Danny salutò e rimise giù il telefono.

Per un lungo momento rimase a guardare il vuoto davanti a sé, la schiena di nuovo abbandonata contro la parete, le braccia incrociate sul petto, e un’espressione chiaramente affondata nei propri pensieri, come testimoniavano anche la fronte e le sopracciglia gravemente corrugate.

Alla fine, però, emise un lungo sospiro, e si infilò le mani in tasca, pescando da esse il tabacco col quale iniziò ad arrotolarsi lentamente una sigaretta. Dopo averla accesa, tornò al piano terra, dove trovò Justin accasciato sul divano di fronte allo schermo da proiezione, totalmente impassibile come lo era stato nelle ultime ore; ma non appena Danny gli assicurò che la telefonata con Kumals era avvenuta poco prima e che quest’ultimo non ce l’aveva con lui perché considerava alla fin fine assolto il compito che gli aveva dato, finalmente sembrò che un peso enorme si sollevasse dal ragazzo.

Justin era così estremamente sollevato che finì per addormentarsi come un bambino lì sul divano in capo a pochi minuti, giusto il tempo che Danny impiegò per andare e tornare dalla cucina con una tazza di tè per sé e una di sangue per il Conte.

Si sedette di fianco al Conte sul divano, spostando un po’ di peso l’ingombro di un Justin finalmente accolto benevolmente nelle braccia di Morfeo, e occhieggiandolo con critico ma tutto sommato abituato e fin quasi affettuoso cipiglio, si rivolse al Conte.

«Sia chiaro.» gli disse, con scherzosa serietà, indicando con un pollice Justin «Io non lo porto fino al suo letto.»

Il Conte, senza distogliere gli occhi dal film al quale stava rivolgendo uno dei suoi sguardi così rapiti da sembrare romanticamente commosso, allungò una delle sue pallidissime mani e destinò al ginocchio di Danny due brevi e delicatissime pacchette rassicuranti e comprensive col piatto del palmo. «Oh, non crucciarti, mio caro Danny. Ti assicuro che non colgo assolutamente questa tua risoluzione come segno di una mancanza di cura nei confronti del nostro Justin, tanto più considerando che hai avuto la sensibilità di recarlo fino a casa nonostante il nostro povero amico fosse in condizioni particolarmente traumatizzate. Se devo essere completamente sincero, questo mi ha fatto molto riflettere a proposito del nostro comune amico, del signor Kumals per la precisione. In particolare, devo dire che mi ha stupito che una personalità così nobile come quella del signor Kumals sia in grado di generare un così profondo e irrazionalmente convulso terrore nel nostro Justin, o in alcuno chicchesia. Ma forse il signor Kumals opera talvolta in maniere che mi restano ancora oscure, ma che per questo non significa non abbiano un loro recondito saggio scopo e senso, che io non ho l’abilità di intravedere o intuire, non ancora perlomeno. Per finire, non riesco dunque ad immaginare come possa generare un tale terrore nel nostro comune amico e coinquilino qui presente, e a tale notevole distanza.»

Danny tornò a rivolgere un breve sguardo a Justin, profondamente e saporitamente addormentato, che aveva iniziato a russare sonoramente. «Oh, io sì invece. Riesco a immaginarlo benissimo…» commentò, sogghignando appena tra sé e sé.

«Ad ogni modo, se è la preoccupazione per le sue condizioni di salute che ti trattiene ancora alzato a quest’ora da te usualmente utilizzata per dormire, vorrei rassicurarti. Resterò io a vegliare sul sonno del nostro Justin.» aggiunse il Conte, a suo modo con premura.

«Grazie. Ne sono sicuro.» rispose Danny, tornando a guardarlo. «Ma per la verità… Beh, c’è una cosa che vorrei dirti. Kumals mi ha detto… mi ha affidato un incarico, insomma.»

E di colpo Danny si trovò oggetto di tutta l’attenzione del Conte, che addirittura staccò gli occhi dallo schermo e voltò il viso pallidissimo verso di lui, guardandolo con profonda attenzione, come se fosse pronto a bere da ogni sua singola parola. «Un incarico? Oh. E potrei ambire a venire a conoscenza, se naturalmente ti è permesso informarne altri, di che cosa si tratta? Certamente posso immaginare che riterrai che io possa essere di ben scarso ausilio, ma se qualche elemento della mia cultura, delle mie conoscenze, di ogni cosa possa essere in mio possesso potesse risultare in qualche modo utile, credimi, non esiterei a…»

«Hem, no…» lo interruppe Danny, che iniziava a sentirsi piuttosto stanco, e a proposito di ambire a qualcosa, lui in quel momento ambiva davvero molto a raggiungere il letto e guadagnarsi una bella dormita, possibilmente senza sogni bizzarri come quello della notte precedente. «Purtroppo, credo proprio che Kumals… cioè, in realtà mi ha proprio detto che sarebbe meglio non informare nessuno. È una questione piuttosto riservata, insomma. Quello che volevo dirti, era che a causa di questo mi dovrò assentare per qualche giorno… A dire la verità, non so esattamente quanto tempo mi occorrerà e dovrò stare via, ma penso che non dovrebbe assolutamente essere per più di qualche giorno al massimo. Inoltre, penso che potrò sempre tenerti informato tramite il telef… hem, magari con delle lettere? Informarti, man mano che le cose procedono, sullo svilupparsi della situazione e su quanto tempo mi occorrerà ancora.»

«Capisco.» annuì il Conte, con aria grave «Non occorre che tu appesantisca il tuo fardello con alcuna preoccupazione a riguardo di me, della casa o di Justin. Mi assicurerò che tutto si svolga con regolare cura, durante la tua assenza. Oserei dire che, se fosse necessario, potrei persino domandare a Justin di istruirmi sull’uso dell’apparecchio telefonico, nel caso ti occorresse comunicare urgentemente con le nostre persone a distanza. Riguardo al mantenerci in contatto tramite lettera, d’altro canto, la trovo una splendida idea caro Danny, e anzi, se lo desideri sarei felicemente disponibile come istruttore per fornirti conoscenze dell’uso di alcuni codici segreti di base, in modo da rendere le nostre comunicazioni più protette nei confronti di sguardi indiscreti, oltreché…»

«No, ti ringrazio molto, ma non sarà necessario…» lo interruppe di nuovo pazientemente e gentilmente Danny «Riguardo alle telefonate, lascerò a Justin domattina l’incarico di rispondere agli eventuali clienti spiegando della mia assenza temporanea e annotandosi i numeri eccetera. Per quanto riguarda l’insegnarmi i codici… non credo ce ne sarà il tempo. Partirò domani. Il tempo di ritrovare un paio di animali smarriti di cui mi sono già incaricato, e partirò al più presto.»

«Oh.» nonostante la sua solita impassibilità, il Conte sembrò quasi evidentemente colpito. «Perdonami.» aggiunse, ricomponendosi quasi subito «Un così breve preavviso… Ma d’altronde immagino che si tratti di un incarico di estrema urgenza e importanza.»

Danny tirò fuori un sorriso piuttosto tirato e nervoso. «Lo è, in effetti. Lo è.»

Dopo qualche convenevole, dalla buonanotte fino agli auguri di buon viaggio e varie formule di buon auspicio, soprattutto da parte del Conte in effetti, Danny si ritrovò finalmente sulla via della sua camera da letto.

Di nuovo, passando di fianco al telefono, stavolta riattaccato, si fermò, fissandolo pensieroso, mentre, con una mano in tasca, stringeva e stropicciava sovrappensiero un foglietto con scritto sopra un numero di telefono dal prefisso della Germania.

Avrebbe decisamente voluto alzare la cornetta e comporre il numero di Andrea. Tuttavia, più che l’ora ormai piuttosto tarda, a preoccuparlo era il fatto che lei non si sarebbe fatta minimamente ingannare da qualsiasi tono posticcio di finta allegria e leggerezza lui avesse cercato di imporre alla sua voce; avrebbe sentito la preoccupazione come se fosse lì davanti a lui e lo stesse osservando con quel suo fare talvolta quasi pragmaticamente medico, quindi si sarebbe preoccupata a sua volta e avrebbe testardamente cercato di capire cosa stava succedendo.

Ma lui non poteva dirglielo. Non ancora, perlomeno.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** 05 - Le strade di Tairans ***


Capitolo 5

(LE STRADE DI TAIRANS)

 

La prima cosa che si poteva notare a proposito di Tairans era che, nonostante si trattasse di una cittadina di medio-piccole dimensioni, non era abitata da una popolazione così varia, e dovevano esserci ottimi motivi a proposito del fatto che nessuno o niente da quelle parti avesse mai fatto o fosse mai stato qualcosa di abbastanza eccezionale per far conoscere il nome di Tairans nel mondo. O forse era tutta questione di pubblicità.

E a proposito di pubblicità: Danny non aveva nessuna intenzione di farne così tanta di se stesso o del suo arrivo lì. Ma avrebbe dovuto arrivare più preparato, se voleva passare in sordina, come si rese conto non appena mise giù piede dal treno e lo posò sul binario. Aveva appena fatto pochi passi, e già sentiva che fin troppi sguardi erano attirati dalla sua figura. Frustrato per il suo fallimento nel passare inosservato, gli occorse poco per capirne i motivi.

A quanto pare a Tairans non erano così comuni i giovani punk, o i punk in genere, né ragazzi in viaggio che si aggirassero per la stazione con grossi zaini da viaggio, jeans scuri, giubbotto di jeans, capelli tinti di biondo con un po’ di ricrescita castana, qualche piercings e qualche toppa di qualche gruppo punk, anfibi e un’aria generale da non solo straniero, più che altro estraneo, e definitivamente fuori luogo.

Certo, aveva passato la maggior parte della sua vita a passare in mezzo a sguardi ostili o che esplicitavano bene il loro voler mantenere le distanze in qualche modo, ma Danny era dopotutto originario di una cittadina che, per quanto periferica e non particolarmente grande, almeno poteva contare su qualche giovane – e per la verità anche qualcuno di qualsiasi altra età – che non avesse proprio l’aspetto da socialmente inserito e comunemente insignificante, se non proprio da punk.

E a dirla tutta, le sue maggiori doti di camaleontismo erano sempre spiccate meglio in altri ambienti. Ad esempio quando si trattava di strisciare nei corridoi bui di un qualche edificio potenzialmente infestato, o nelle foreste in cui aggirarsi in cerca di una preda nella gola della quale affondare le zanne. Ma una stazione era tutt’altra cosa.

Dedicando una breve alzata di spalle ai suoi intenti di passare inosservato semplicemente con un atteggiamento tranquillo, nonché a tutti gli sguardi che gli si puntavano addosso come a sottolineare implicitamente il suo fallimento, Danny continuò a camminare con ritmo più efficiente lungo il binario, attraversò l’ingresso della stazione, e si fermò, prendendosi qualche momento per osservare la città che non aveva mai visto prima stendersi davanti a lui, leggermente più in basso per via dei gradini della scalinata che portavano all’ingresso della stazione.

Per molti versi non aveva niente di particolare, come città. Ma persino per lui, che vedeva sempre ben poco fascino e provava spesso ancora meno interesse nelle città in generale, anche quella aveva un ché di tutto suo. Forse era specialmente questione di istinto: quella non era una gita turistica, dopotutto, e quell’agglomerato di edifici, strade, piazze, quell’ingorgo di traffico umano e di macchine e quell’accozzaglia di odori e di vite di passaggio, non erano qualcosa in cui perdersi in osservazioni filosofiche, né una meta come un’altra di un vagabondaggio bendisposto a soffermarsi nel curiosare e scoprire chincaglierie di storie od oggetti o luoghi. Era un ambiente: e sarebbe stato il suo ambiente, il suo habitat per qualche ora o qualche giorno. Lì avrebbe dovuto sopravvivere, cavarsela, orientarsi, trovare quello che cercava e risolvere quello che era venuto a verificare, scoprire se c’era qualcosa da scoprire, e, sì, per finire, magari lasciarselo alle spalle nel più breve tempo possibile.

No, ad essere pienamente onesti o anche solo appena intuitivi, a Danny non piacevano per niente le città. Ma almeno Tairans non poteva nemmeno ambire al rango di metropoli. E c’era qualcosa di appena affascinante che lui poteva cogliere, suo malgrado. Era su un piano diverso da quello sul quale sembravano spostarsi tutte le persone che gli si muovevano intorno, dietro ai propri affari, inseguendoli anzi, ma come in un circolo vizioso, come se in fondo sapessero che sarebbe stata una corsa senza fine e non interessasse loro affatto raggiungere veramente ciò che rincorrevano, magari giusto per paura di scoprire alla fine che non corrispondeva affatto all’oggetto del loro desiderio. Ammesso che sapessero ancora immaginarsi cosa potesse essere, il loro oggetto del desiderio.

Il fascino di Tairans era su un altro piano. Un piano appartenente soprattutto al passato probabilmente. Qualcosa che aveva a che fare con alcuni  edifici un po’ antichi, colorati di colori caldi come il rosso delle tegole dei tetti in terracotta, del grigio ottone di certe grondaie vecchie, del quasi pastello - perlopiù scurito dal tempo e dallo smog - di certe vernici che ricoprivano alcune persiane, qualche terrazzo e diverse pareti di quegli edifici. Probabilmente c’era altro da vedere.

Danny prese fiato e lo esalò lentamente, come a raccogliere le energie. Sapeva che non era qualcosa che gli sarebbe venuto così immediato. Non era solo questione di idee, gusti, esperienze passate e propensione caratteriale. A renderlo fuori luogo, a rendere lui e la città – una città qualsiasi – fondamentalmente estranei, era anche la sua natura. Parte del suo stesso essere ormai apparteneva a ben altri ambienti, alle foreste e ai boschi, ad un intero altro mondo di odori, rumori, movimenti, ritmi e valori e importanze. E qui invece, in questo mondo a dimensione totalmente e pressoché esclusivamente umana, a misura tutt’al’più di macchine e di animali domestici ed orpelli artificiali e vite artificiose, lui era una sorta di clandestino dalla testa ai piedi.

I suoi sensi non potevano essere usati nel loro pieno potenziale, né potevano rivelarsi altrettanto utili. Le sue capacità olfattive e uditive più elevate qui lo avrebbero solo reso più debole: il fiuto era attaccato da un eccesso di odori e l’udito da una serie di rumori, di cui molti così forti da essere aggressivi, così confusi e sovrapposti e diversi da risultare in una confusione ottundente, qualcosa come mettere piede di punto in bianco in una ridda infernale. La sua maggiore rapidità di riflessi e la sua soglia istintivamente alta di attenzione a movimenti circostanti gli metteva i nervi più sotto pressione: la maggior parte delle volte un movimento troppo brusco troppo vicino a lui non era un aggressore ma solo qualcuno che aveva molta fretta, ed essere urtato non era un principio di attacco ma qualcuno che non lo aveva nemmeno visto bene, tanto era febbrilmente preso dal frenetico traffico dei propri pensieri e faccende. Così, alla fine dei conti, lui non era nemmeno considerato qualcuno che non avrebbe dovuto trovarsi lì, uno sbaglio da spiegare, ma al massimo un intralcio, o magari un oggetto del rancore collettivo perché sembrava possedere una ricchezza particolare rispetto a molti altri, il lusso di non dover correre dietro a qualcosa, ma di potersi fermare a guardare e a riflettere. Da solo, come se non avesse bisogno di chiedere, di strappare, di ottenere, di implorare, di affaccendarsi.

Abbassò per un  momento lo sguardo sui suoi piedi, come se si stesse risolvendo a muoversi anche lui dopotutto, o forse come a proteggere per un momento la propria espressione dagli sguardi di chiunque o magari dallo schermo inquisitore di qualche telecamera di controllo. Sorrise brevemente, quasi amaramente ma anche ironicamente, come a dire a se stesso che tutto quello non era chissà che tragedia in fondo. Poi rialzò lo sguardo, con più decisione ma anche più nascosto dietro una leggera patina di protezione, una sottile maschera di riservatezza quasi severa e rigida, forse un suo modo di mettere in guardia chiunque che era meglio continuare a lasciarlo perdere e non interromperlo mentre andava per la sua strada. Quello era un tipo di espressione che lui sapeva tutti erano in grado di comprendere immediatamente: un meccanismo difensivo che si basava sull’evocare un leggero ma sincero istinto di paura e inquietudine negli altri. L’istinto: quello non poteva tradirlo. E lui poteva usare quello degli altri, di quegli umani troppo indaffarati nelle loro ultime età di progresso per ricordarsi cosa significavano certi sentimenti, anche quando li provavano perché qualcosa o qualcuno li evocava in loro, consapevolmente o meno.

Così riassestatosi almeno basilarmente, Danny si fermò per un momento presso un’edicola per acquistare una piantina della città, sulla quale trovò l’indirizzo che si era annotato su un pezzo di carta che aveva con sé. Tutto lì. Non gli restava che andare.

Dopodiché, il ragazzo dall’aspetto un po’ bizzarro, almeno per Tairans, il turista improbabile che chissà cosa veniva a visitare proprio lì, o forse qualcuno che si era perso o era stato costretto ad una deviazione o ad una sosta lungo il suo tragitto, si inoltrò a piedi per le strade della città, seguendo una pista all’apparenza del tutto arbitrariamente sua.

 

***

 

Quando Danny sbucò in una delle piazzette secondarie di Tairans, dal singolare nome di ‘Piazza delle nove lune’, un pensiero quasi divertente lo colse. Circa ventiquattr’ore prima, solo un pomeriggio inoltrato estivo prima di questo, era ancora nella solita Castle MacHearty, verso la fine di una giornata di quelle che erano diventate quasi abbastanza comuni per lui. Sogghignò appena tra sé e sé, come se si fosse ormai risolto a farsi ridere da solo, e guardò per bene la piazza.

Non che ci fosse niente di particolare da vedere, beninteso. Ma oltre che una buona generale abitudine, studiare l’ambiente in cui si doveva muovere era per lui come già detto qualcosa di puramente istintivo e implicitamente legato a concetti di sopravvivenza. Poi, c’era qualcos’altro, un motivo in più. Un motivo particolarmente importante e notevolmente allarmante. Un odore. Un odore che lui poteva riconoscere estremamente bene, e che gli cancellò immediatamente il sorrisetto dal volto, rendendolo mortalmente serio.

La piazzetta in questione, quella chiamata dal nome di chissà quali  nove lune, magari un antico ricordo di qualche credenza magica o di qualche calendario passato, o anche entrambe le cose, aveva conservato un aspetto un po’ antico, forse ‘pittoresco’ sarebbe parso il termine appropriato su qualche guida turistica. A forma di un ovale irregolare, era una distesa di pietre arrotondate incastrate nel terreno a costituire la pavimentazione, di colore e disposizione scelti per far risultare il disegno di alcune falci di luna che si sovrapponevano in geometria sommaria e volutamente non rigidamente precisa né tesa a formare seconde forme. Tutt’intorno edifici perlopiù piuttosto antichi, case con terrazzi e finestre tranquilli, qualche negozio e un paio di bar con tavolini fuori. In un punto non coincidente col centro della piazza, c’era anche una fontana circolare di pietra, dal  bordo alto poco meno di mezzo metro, e l’acqua trasparente e abbastanza pulita che sciorinava placidamente tranquilla dalla cima incurvata di una manciata di tubi di ferro con qualche decorazione floreale, ricadendo sotto e affondando attraverso la superficie dell’acqua stagnante della vasca.

Danny si prese qualche momento con apparente calma prima di iniziare a percorrere la piazza. L’odore aveva iniziato a sentirlo già poco dopo essersi allontanato dalla stazione e inoltrato per il dedalo di vie e strade. Eppure, la traccia nell’aria non si era ancora concretizzata in nessun tipo di incontro vero e proprio, né in alcun segno che gli desse prova fisica di ciò che stava percependo. Non che avesse bisogno di prove: il suo naso bastava e avanzava. E il fatto che lo stesse sentendo da ore quell’odore, sebbene qui e là più attenuato o più confuso in mezzo agli altri odori della città, ormai non lasciava più spazio ad altri dubbi o interpretazioni fantasiose. Lui non poteva non riconoscere quell’odore, non proprio lui. Iniziò ad attraversare la piazza, quella più vicina alla sua meta, senza esporsi all’aperto dello spazio più ampio, ma passando vicino al bordo costituito dagli edifici di un lato. Non poteva più permettersi di farsi cogliere di sorpresa, assolutamente. Non da quando aveva iniziato a sentire quell’odore.

Da quando aveva iniziato a percepire quell’odore, molto del suo comportamento era cambiato. La sua espressione si era gradualmente indurita e aggravata, diventando sempre più seria e in qualche modo minacciosa; solo di tanto in tanto tradiva leggeri barlumi di tensione e inquietudine. I suoi sensi erano definitivamente scattati su un livello di elevata allerta e attenzione, e i suoi occhi avevano preso a saettare di scorcio in ogni direzione, sebbene in un modo calcolatamente e attentamente furtivo: si soffermavano per qualche istante su ogni persona che vedeva, e percorrevano ogni superficie orizzontale e verticale, uno scanner preciso e chirurgico nonostante la sua rapidità, in cerca di qualcosa che ancora, tuttavia, non aveva trovato.

Ma l’odore non mentiva. C’erano. Più di uno. Erano stati lì. Di recente, e più volte, e abbastanza a lungo da aver lasciato tracce così chiare da non poter essere celate da tutti gli altri odori della città. Ma essi non appartenevano alla città, e non avrebbero dovuto trovarvicisi, né loro né il loro odore. Eppure non ne aveva visto altri segni, né tantomeno aveva visto uno solo di loro. Si era persino preso la libertà di procedere senza fretta lungo la sua strada, per guardarsi meglio attorno nella sua ricerca di loro o di altre loro tracce a parte l’odore. Ma nulla.

Poi, c’era quel particolare che lo metteva di malanimo e lo preoccupava ad ogni ulteriore passo, rendendo più frequenti e forti gli intervallati spasmi ai muscoli della mascella che si stringevano sotto la pelle, come se si preparassero a stringere tra i denti qualcosa con forza. Ed era il fatto che, mano a mano che procedeva, l’odore diventava più forte. Era una questione puramente geografica, una testimonianza netta e incontrovertibile: più si avvicinava alla sua meta, più diventava chiaro che proprio attorno ad essa loro erano più soliti aggirarsi, concentrarsi, sostare. Ma non ne aveva ancora visto uno solo di loro. Però c’era una cosa che lui sapeva bene quanto la sapevano loro: preferivano girare di notte, ed evidentemente, a giudicare dall’odore, da quelle parti si aggiravano anche nella loro altra forma, quella che meno e per niente si sarebbe potuta celare e confondere in una città.

Alla fine giunse all’imbocco della strada che doveva prendere, e uscì dalla piazza, dandole le spalle. Dovette percorrere ancora poche centinaia di metri, e svoltare un paio di volte a qualche incrocio di stradine serpeggianti e interdette al traffico di auto e motocicli, prima di arrivare finalmente a destinazione.

La via in questione non aveva niente di particolare rispetto a quelle che la circondavano. Si trovava nella parte più vecchia dell’antico borgo, non molto distante da quello che era stato una volta il centro antico di Tairans, ma ora decentrata rispetto all’attuale centro cittadino. Lontana dalla grossa parte del traffico moderno, era piuttosto tranquilla, specialmente a quell’ora della giornata, in cui gli esercizi commerciali si preparavano a chiudere e, considerata la stagione, alcuni di essi erano proprio nel loro periodo di chiusura estiva. Anche le persone in giro per la strada non erano molte. Così Danny ebbe il suo agio nel trovare il numero civico esatto che gli era stato comunicato telefonicamente e che lui si era diligentemente annotato su un foglio di carta: non possedeva più quell’appunto. Da quando aveva iniziato a sentire quell’odore, aveva deciso di bruciare con l’accendino il foglio di carta con segnato l’indirizzo. Per quanto male potesse andargli da quel momento in poi, se non altro chiunque avesse voluto sapere che cosa ci era venuto a fare lì a Tairans avrebbe dovuto perlomeno scomodarsi a cavarglielo dalla memoria e quindi dalla sua stessa testa, sempre che ci fossero riusciti.

Ma certo, a giudicare dalla natura di quell’odore che lui poteva riconoscere così bene, anche loro di lì a poco avrebbero saputo che lui era lì. Se già non lo sapevano.

Danny si arrotolò una sigaretta, se la accese, e osservò per qualche momento l’edificio di fronte al quale si era fermato. Una casa modesta e vecchia, sia dal punto di vista della costruzione che della manutenzione, senza nessuna particolare pretesa, incastrata tra le altre dalle quali non si distingueva in maniera particolare per nulla. Si allontanò di qualche passo e la osservò di nuovo dalla base al tetto e viceversa, sorridendo appena tra sé e sé per quanto glielo permetteva l’attuale nervosismo.

E così, quella era la casa di Kumals. O meglio, lo era ancora di proprietà, ma in quanto a viverci, Kumals non ci metteva piede già da diversi anni, da quando all’incirca avevano iniziato a formarsi i ‘4 di picche’. Lui non l’aveva mai vista né c’era mai stato, perché quando aveva conosciuto Kumals già lui e Uther non ci vivevano più. Già, anche Uther ne era stato ospite, all’epoca in cui i due avevano deciso di abbandonare il loro vecchio lavoro al porto di una cittadina non troppo distante da lì, dove si erano conosciuti da colleghi. Perché diavolo avessero deciso di venire a vivere proprio lì a Tairans, e Kumals avesse addirittura acquistato un appartamento modesto di cui manteneva ancora la proprietà anche se non ci abitava né lo affittava, a Danny non era ancora dato di saperne. Se non altro, però, quando aveva cercato di scoprirlo con qualche domanda a Kumals al telefono, facendo studiatamente leva sulla scusa che dopotutto era proprio lì che l’amico ed ex-collega lo stava spedendo, l’altro aveva lasciato intuire un accenno di scalfitture nella sua sempiterna riservatezza misteriosa. A quanto era parso di capire a Danny, prima o poi Kumals gli avrebbe detto qualcosa di più. Un pezzo alla volta, un passo alla volta. O, per dirlo con le parole che aveva usato Kumals stesso: ogni cosa a suo tempo.

Ora, mentre Danny contemplava la casa con fare pensieroso, si trovò a chiedersi quanto Kumals sapesse di in che situazione lo stava effettivamente mandando. Forse però quello era un dubbio eccessivo, che sfiorava il tradimento della fiducia che poteva riporre nell’uomo: sinceramente poteva pensare che Kumals lo avrebbe mandato in un luogo impregnato di quell’odore senza dirgli niente a proposito, se l’avesse saputo? No, non riusciva a immaginarlo, per quanto, come aveva detto il Conte, spesso Kumals sapesse essere estremamente elusivo – per non dire deliberatamente ostacolante – a proposito dell’altrui tentare di comprendere le sue intenzioni e le sue conoscenze e consapevolezze.

Danny si riscosse dal suo stato riflessivo, e si decise a fare di nuovo qualche passo avanti, raggiungendo la porta di ingresso alla casa. Studiò brevemente il citofono vecchio, e alla fine scelse il campanello sul quale non c’era nessuna scritta di cognomi o nomi. Non poteva che essere quello, dopotutto. Quindi alzò la mano e suonò generosamente. Attese diverso tempo, e ritentò a intervalli almeno altre due volte, ma non giunse alcuna risposta.

Il ragazzo si riallontanò di nuovo un poco dall’ingresso, sospirando lungamente. Per qualche lungo istante dovette riprendere il controllo di sé, nonostante la delusione. Ma riuscì a riaversi abbastanza in fretta. Certo, non poteva essere così semplice, no? Altrimenti lui non si sarebbe trovato lì, spedito direttamente da Kumals, la cui scelta del termine ‘incarico’ iniziava a sembrargli sempre più fin troppo poco scherzosamente altisonante, il che era preoccupante.

Si appoggiò al muro di fronte alla casa, dall’altra parte della strada non molto larga, e continuò ad osservarla come se ancora credesse di poterne ricavare qualche particolare interessante dal semplice studiarla a quel modo. Fumando con sguardo pensieroso, continuava a giungere distrattamente alla conclusione che non c’era niente da notare, a prima vista. Ma non era la vista il senso che gli diceva qualcosa al momento, tutt’altro.

A guidarlo era ancora il suo fiuto. Lì attorno c’era un altro odore per lui inconfondibile, e molto più familiare di quello che lo allarmava da quando era arrivato. Era concentrato particolarmente nell’ingresso della casa, segno che la persona che stava cercando, per conto di Kumals, era certamente stato in quella casa più volte e di recente. Non c’erano dubbi al riguardo. Il fatto che in quel preciso momento non si trovasse lì, non fosse in casa o si rifiutasse di rispondere al campanello, era semplicemente un dettaglio temporale. Prima o poi quella persona sarebbe comparsa, in entrata o in uscita dalla casa. E questo per Danny significava al momento una sola cosa: aspettare.

Danny sospirò appena di nuovo. Non che per lui gli appostamenti fossero una novità, ma certo non aveva mai dovuto appostarsi per beccare quella particolare persona, e il che aveva qualcosa che in un’altra situazione lo avrebbe fatto ridacchiare a lungo. Tuttavia, al momento non era più dell’umore di ridere. Prima di tutto perché c’era quell’altro odore in giro per la città, ed era anche quello più concentrato in quella stessa zona. In secondo luogo, quindi, aspettare non voleva dire solo trovare chi stava cercando, ma anche poter incappare più facilmente negli altri, la presenza dei quali gli era ormai nota.

Certo, come no! Figurarsi se qualsiasi cosa in cui qualcuno dei 4 di picche si cacciasse o immischiasse non doveva rilevarsi pregna di pericolo imminente, persino nei luoghi all’apparenza più tranquilli e sonnolenti come quella città. E poi… beh, era solo questione di tempo prima che anche qualcun altro di loro ci finisse dentro, in una maniera o nell’altra.

Mentre aspettava nello scorrere del tempo, Danny iniziò a cercare di capire come potesse essere possibile e quanto fosse ormai il caso di preoccuparsi più o meno seriamente. Tanto più non riusciva a trovare una risposta o una teoria soddisfacente, tanto maggiormente diventava impaziente di vedere comparire la persona che era venuto a cercare. L’ansia iniziava a cercare di prendere corpo in lui, concretizzandosi sempre attorno agli stessi interrogativi disturbanti.

Doveva supporre che quella persona si trovasse nei guai o addirittura in serio pericolo? E d’altra parte, come non temerlo, dal momento che quell’odore impregnava diverse strade all’intorno, così chiaro e plateale? Tutt’intorno, come se uno di loro avesse potuto apparire da un momento all’altro, come se fosse normale che si trovassero lì, in una città di uomini.

Quell’odore… che poteva significare una sola cosa. Quell’odore che Danny non poteva confondere con altri.

Odore di lupi.

Lupi come lui.

 

 

 

Soundtrack: Real wild child (Iggy Pop)

Dovete sapere (e rassegnarvi al fatto) che le canzoni non hanno sempre una (o una sola) vera e propria logica con cui vengono scelte… a volte le ho prese per il titolo, a volte semplicemente per la melodia, può essere per il testo, e così via per svariatissimi altri motivi possibili. Il fatto che il “tono” (energico, triste-malinconico, aggressivo o scanzonato) coincida con quello della trama dello specifico capitolo è più spesso casuale che voluto probabilmente (anche se cerco di non esagerare troppo nella disparità tra i due… hem, ho detto cerco…). E qualche volta l’accostamento è persino “da presa in giro” del tono del capitolo! Questo è uno di quei casi, diciamo, in cui non potevo esimermi dal far sembrare l’astio da punk e da mezzo-lupo di Danny per l’ambiente cittadino-borghese-civile come una posa di quelle che poteva assumere Iggy Pop, e anche per il titolo della canzone che dopotutto mi fa pensare a Danny in ogni sua singola parola. Tutto questo giusto per rendervi partecipi del fatto che (se ancora non ve ne foste accorti… e ne dubito) caccio dentro le canzoni della cosiddetta colonna sonora più che altro a casaccio-ispirato-casual-easymind-easyheart.

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Capitolo 7
*** 06 - Badlands ***


Capitolo 6

(BADLANDS)

 

La mattina in cui era partito da Castle MacHearty, solo quando era già in stazione e mentre stava per prendere il treno Danny si era risolto a fare la telefonata che aveva evitato la sera prima. Ricorrendo ad una cabina telefonica della stazione, il ragazzo aveva composto il numero della Germania e aveva cercato di schiarirsi la voce e la mente per concentrarsi su un tono sufficientemente tranquillo di voce, e su una scelta noncurante e leggera delle parole da usare.

Poi la familiare voce di Andrea che lo salutava dall’altra parte della linea gli aveva improvvisamente ricordato quanto si fosse disabituato ad averla lontana.

«Come procede da quella parti?» gli aveva chiesto lei, con tono da conversazione allegra, dopo che gli aveva sommariamente raccontato com’era stato tornare a casa.

«Oh, bene, le solite cose, niente di particolare. Ho recuperato quel cane, quello che era scappato di casa. Era finito in un canile a chilometri di distanza, ma è tornato a casa tutto intero. Per il resto come al solito. Niente di speciale. Ho già sistemato un altro paio di incarichi stamattina, bazzecole perlopiù, e ora credo mi prenderò il resto della giornata libera, a meno che non arrivino altre chiamate.». Danny riteneva la sua interpretazione eccellente.

Dall’altra parte della cornetta, tuttavia, c’era stato qualche momento di silenzio, e lui stava iniziando a sospettare che ci fossero problemi con la linea telefonica, quando Andrea aveva parlato di nuovo.

«Cosa sta succedendo?». Il tono era serio e non ammetteva tentativi di svicolare.

Non che lui non avesse sperato di potersela ancora cavare, per qualche secondo, poi però aveva sospirato arrendevolmente. I casi erano due: o era una frana nell’auto-valutare le sue qualità di far finta di niente, oppure lei era diventata – o era sempre stata – fin troppo abile nel non farsi ingannare così facilmente.

Andrea non aveva emesso fiato mentre lui le riassumeva la faccenda di Kumals che aveva telefonato; e aveva anche cercato di sdrammatizzare soffermandosi a descriverle quanto Justin si fosse affannato a cercarlo disperatamente e di come fosse stato terrorizzato da Kumals.

Ma poi era arrivata implacabile la domanda successiva.

«Kumals, sul serio?! Come sta? No, aspetta. Prima di tutto: cosa sarebbe questo ‘incarico’?»

«Hum…hem… beh… preferirei non… parlarne… esplicitamente al momento. Comunque, si tratterebbe sommariamente di andare semplicemente alla sua vecchia casa, a Tairans, e trovare la persona che gli aveva chiesto ospitalità nel suo vecchio appartamento. Pare che da qualche giorno non risponda al telefono, così Kumals è preoccupato, e io devo andare a scovare questa persona. Sai, vedere che tipo non gli sia venuto un infarto e il suo cadavere stia marcendo senza che nessuno lo sappia in casa di Kumals, e cose del genere.». Danny si era interrotto un momento. «Hem, scherzavo a proposito del cadavere in decomposizione. Sul serio, è davvero improbabile che sia morto. Magari se n’è semplicemente andato via senza avvertire o cose del genere. Una sciocchezza insomma, tutto sommato.»

La cosa davvero “divertente”, in qualche modo, era che Danny non stava affatto mentendo. Non nel vero senso della parola, perlomeno. Quello era effettivamente ciò che Kumals gli aveva chiesto di fare. Semplicemente, per il momento Danny stava evitando di fornire certi particolari che l’uomo invece gli aveva detto, e che riteneva superflui in quanto potenzialmente preoccupanti. Inoltre, anche lui ci teneva a conservare più stretta e intatta possibile la speranza che effettivamente le cose fossero risolvibili in una semplice commissione breve, senza niente di problematico.

Se doveva pensare a chi Kumals lo stava mandando a cercare, immaginava che più che cadavere poteva semmai trovarlo in coma etilico, tutt’al’più…

«D’accordo…» aveva ceduto Andrea, lasciando intendere che il suo era tutto uno sforzo di accomodante comprensione «Magari mi dirai di più quando avrai scoperto di che si tratta…»

«Certo!» si era affrettato ad assicurare lui, cogliendo al volo l’opportunità di cavarsela così bene, alla fine «Ti richiamerò da là, da Tairans. Vedrai, non dev’essere niente di strano. Solo una questione più che altro… quasi burocratica, ecco. Noiosa, insomma. Un favore per Kumals, ecco tutto.»

«E… invece per via del sogno?»

«Sogno? Quale sogno?» era trasecolato Danny, cercando frettolosamente di capire se ci fosse un qualche tranello in quella domanda.

«Danny? Ci sei? Il sogno da cui ti sei risvegliato praticamente urlando la notte scorsa, ricordi? Hai chiamato Zoal per cercare di capire cosa significasse che lei fosse nel tuo sogno?» le ricordò lei.

Lui strinse gli occhi per un momento, maledicendosi mentalmente. «Ah… no… no, in effetti no. Mi era sfuggito di mente, visto tutto… Beh, la chiamerò subito!»

«Hum… niente più che una commissione burocratica, eh? Una sciocchezza tale che ti ha fatto dimenticare quel sogno, eh?» domandò sardonica Andrea.

Il ragazzo fu tentato di tirarsi un pugno. Bene, adesso sì che si era davvero tradito da solo.

«Va bene, ho capito. Mi dirai di più alla prossima telefonata. D’accordo?» gli era venuta in aiuto di nuovo lei.

«Sì. Davvero. Promesso.» le aveva garantito, sincero e grato.

La successiva telefonata era quindi stata destinata a casa di Yuta e Zoal. Per la verità gli faceva strano pensare di potersi fare spiegare cose come quel sogno al telefono. E non era nemmeno sicuro che Zoal fosse disposta a parlarne per telefono, senza vederlo faccia a faccia. Ma non aveva molte altre alternative al momento.

La voce squillante e frizzante di Yuta gli aveva quasi assordato l’orecchio nel rispondere alla chiamata, per non parlare delle varie esclamazioni allegre e vivaci con le quali aveva accolto poi la sua voce e lo aveva tempestato di domande riguardo a lui, ad Andrea, e di sfuggita anche sul Conte e Justin. Non aveva poi avuto scrupoli nel dilungarsi a raccontagli di come andavano le cose a casa loro, descrivendo le ultime avventure o disavventure dei vari animali, facendolo sorridere mentre lui paragonava segretamente questo entusiasmo a quello di qualcuno che sarebbe capace di passare ore a raccontare qualche aneddoto di qualche suo parente di pochi mesi o anni di vita.

Ma quando Danny le aveva detto che aveva qualcosa da chiedere a Zoal, la voce di Yuta si era fatta dispiaciuta nello spiegargli che la sorella era partita settimane prima per uno di quei suoi viaggi dei quali non si sapeva mai la meta, le tappe o la durata. Né Zoal era tipo da portarsi dietro alcunché con cui farsi rintracciare. Yuta non sembrava preoccupata per lei, c’era più che abituata e aveva dopotutto piena fiducia sul fatto che Zoal se la sapesse cavare egregiamente da sola. Persino, considerò Danny, se si era ripresa del tutto non da molto tempo dall’ultima (dis)avventura dei ‘4 di picche’.

«Beh, non importa, aspetterò il suo ritorno allora.» aveva risposto lui a quel punto, cercando di suonare abbastanza tranquillo e spensierato.

«Certo! Ti chiamerò appena torna per dirti che puoi venire qui a trovarci!» lo rassicurò allegramente Yuta. Ma il suo tono si fece più serio mentre proseguiva. «Ah, senti Danny… ma non è che… sei già arrivato a Tairans

Per qualche secondo lui rimase semplicemente sbalordito. Poi riuscì a rispondere un insignificante «Ah… lo sai anche tu?»

«Sì, mi ha chiamato Kumals. Comunque… senti, quando lo trovi… mi faresti il piacere di trascinarlo ad un qualche telefono e farmi chiamare? Dopo ci penserò io. Lo convincerò a venire qui.» affermò Yuta, con quella risolutezza quasi materna di quando si metteva sul piede di guerra per assicurarsi a modo suo che qualcuno stesse in buona salute.

«Naturalmente. Tanto, incarico più incarico meno…» rise Danny.

«Oh, mi dispiace sai? Non ci penserei due volte a venire con te. E per la verità non sono del tutto convinta che Kumals abbia fatto bene a… Ma sai com’è. Quando si mette in testa qualcosa… Comunque, sarei venuta anch’io senza pensarci nemmeno un attimo. Ma qui ci sono gli animali che hanno bisogno di qualcuno, e siccome Zoal è via… Però, sentimi bene: se solo senti il bisogno di una mano o di supporto per qualsiasi cosa, non devi farti nessun tipo di problema chiaro? Alzi il telefono e mi dici solo ‘vieni’ e io mi precipito lì, tanto qui posso sistemare due o tre cose in modo che per almeno un paio di giorni gli animali se la cavino senza di me. Capito? Lo farai?» gli intimò.

«Giuro solennemente.» celiò Danny, ridendo di nuovo.

«Danny. Dico davvero!» lo rimbrottò lei, decisa.

«D’accordo… d’accordo. Lo farò.» si arrese lui.

«Sarà meglio per te, sai?» ribatté, scherzosamente affettuosa, Yuta.

«Yuta… grazie.» gli venne allora spontaneo dire, di cuore.

Ma fu lei a quel punto a ridere, dicendogli che era perfettamente normale che fosse così, e che era uno stupido se aveva pensato altrimenti. Sennò, a che diavolo servivano gli amici? E mica amici qualsiasi, peraltro. Niente di meno che un quattro di picche.

 

***

 

Allo scoccare dell’una di notte, mentre nel silenzio estivo di Tairans alcune pigre campane di un paio di chiese vicine spandevano nell’aria notturna flebili rintocchi, Danny staccò la schiena dalla parete dell’edificio che gli aveva garantito appoggio per la maggior parte delle ultime ore, tranne quando per non rischiare di anchilosarsi troppo si era concesso qualche passo avanti e indietro, calpestando qualche decina di metri lungo la viuzza, ghignando tra sé nel paragonarsi ad un qualche tipo di stupida sentinella.

Ma ora basta col fare la stupida sentinella.

Il ragazzo si stiracchiò senza fretta nella strada deserta. Tairans non poteva certo dirsi una città movimentata, ma lui non poté fare a meno di chiedersi se tutta quella desolazione potesse considerarsi normale persino per quella città di modeste aspettative e offerte, benché fosse l’una di una notte estiva e si trovasse in una stradina secondaria. Ma lui, dopotutto, che cosa poteva saperne di come funzionano le cose in una città? A parte qualche reminescenza dalla sua vita passata, molti anni fa. Il tempo cambia le cose, e per gli umani di “puro DNA umano”, il tempo scorreva più velocemente del suo.

Sospirò, scosse leggermente la testa come per schiarirsi le idee dopo tante ore di monotona inattività fisica, e scacciò via da sé la maggior parte delle speculazioni che cercavano di occupargli fin troppo la mente in quel momento.

Aveva già deciso da diverse ore quale sarebbe stata la sua mossa successiva, se il suo appostamento fosse risultato fallimentare. Ed ora non gli rimaneva che metterla in pratica. Per farlo, aveva bisogno di tutta la sua migliore concentrazione, perché non sarebbe stato facile, per niente. E soprattutto, non sapeva che cosa avrebbe trovato alla fine del suo nuovo tentativo di scovare chi era venuto a cercare. Anche se aveva uno sgradevole sospetto.

Si portò una mano dietro la schiena, all’altezza della cintola, e toccò confidenzialmente il calcio di una delle sue pistole. Ma poco dopo, rilasciò cadere il braccio lungo il fianco. Dubitava che avrebbe potuto ricorrervi, anche se, nel caso le cose si fossero rivelate preoccupanti come i primi indizi fin’ora raccolti gli potevano fare presupporre, sarebbe stato disposto a fare un’eccezione. Avrebbe infranto un vecchio tabù, che tuttavia non era mai stato scritto né detto a chiara voce da nessuna parte, per quello che ne sapeva. Un lupo che affronta un altro lupo con pistola e proiettili? Mai sentita, una cosa del genere. Tuttavia, lui poteva diventarne il precursore involontario. Se si fosse trovato veramente alle strette. E non vedeva cosa glielo poteva far sembrare una cosa di cui potersi poi pentire. Non era sua intenzione cercare i suoi simili, il cui odore era rimasto sparso per quelle strade, ma poteva sempre incapparvi, visto che ora sarebbe andato a cercare chi doveva trovare. D’altra parte, era nella sua forma umana che stava andando, e, in secondo luogo, non possedeva proiettili d’argento. Meglio forse, o forse peggio per lui prima o poi.

Così, Danny raccolse tutta la calma e la concentrazione che poteva, e, ritto in piedi in mezzo alla stradina, rilasciò cadere indietro la testa scioltamente, quasi si preparasse ad entrare in una sorta di trance. Per qualche secondo si concesse l’ultima distrazione: la vista del cielo notturno, profondamente nero poiché non c’erano nuvole a riflettere le luci di Tairans, ma comunque a causa di quelle luci non abbastanza buio da lasciar vedere chiaramente il trapuntato di stelle, puntini luminosissimi e distanti. Poi chiuse gli occhi, e focalizzò sull’unico senso che al momento doveva seguire ciecamente: l’olfatto.

Era un lavoro che richiedeva pazienza quello, e lui sapeva che avrebbe dovuto camminare anche in tondo, trovare la giusta intensità, la giusta pista, cercare di indovinare, tornare indietro se si fosse rivelata errata, ritentare finché non trovava la svolta giusta. In una foresta sarebbe stato ben diverso. Ma qui, in una città, c’era in ogni dove un gomitolo complesso e ingarbugliato di odori di ogni genere, persone, cose, oggetti, materiali più o meno artificiali, odori molesti, inutili, forti e intensi, soffusi e confusi, stratificati, mischiati, incerti, ottusi. Doveva districarsi in tutto questo, prima ancora che nella scelta da prendere su un piano puramente orizzontale come scegliere una strada piuttosto che un’altra. Non poteva arrampicarsi sugli edifici… beh, più che altro non era una buona strategia, considerando che già tutta quella faccenda della traccia gli avrebbe portato via non poco tempo.

Restò immobile a quel modo per qualche lungo momento, come se fosse uscito dal suo stesso corpo e stesse vorticando a coscienza in libera dispersione chissà dove. Poi, ad un momento come un altro, imperscrutabile per chiunque non fosse lui in persona, lentamente abbassò il capo, gli occhi ancora chiusi. Passarono altri secondi, e poi i suoi occhi si spalancarono di colpo, uno sguardo blu intenso e attento, fulminante nell’intensità, come uno sparo silenzioso nell’aria, o una freccia che non fa rumore alcuno. L’espressione seria e concentrata ma allo stesso tempo piuttosto assente, iniziò a camminare dritto davanti a sé, con una certa sicurezza. Se non fosse stato così buio e se qualcuno gli si fosse trovato veramente molto molto vicino, avrebbe potuto notare che l’unico movimento nel suo viso rigido in quell’espressione era quello del naso: un leggero fremere delle narici e, di tanto in tanto, un guizzo o un contorcersi.

La caccia era iniziata. Aveva trovato l’odore di chi cercava, lo aveva isolato nei suoi sensi e nella sua testa, come se dovesse proteggerlo da qualsiasi altro odore lì intorno, tenerlo stretto in pugno. Un filo di Arianna in mezzo ad un labirinto multiforme. E dentro se stesso non poteva che dirsi che, se c’era qualcuno che poteva seguire quell’odore così bene, seguirne la traccia in quel dedalo di vie cittadine fino a trovarne il proprietario, quello era lui.

Per tutto il tempo del suo paziente peregrinare tra strade e case, tuttavia, non poté fare a meno di notare due cose, nonostante la sua concentrazione fosse completamente puntata sull’odore che seguiva: che Tairans era davvero fin troppo tranquilla e desolata, e che nel seguire la sua traccia ne stava seguendo involontariamente anche un’altra. Come aveva sospettato e temuto, l’odore dei lupi aumentava di intensità mano a mano che proseguiva. E quell’odore cambiava anche, mano a mano: comparivano altri odori individuali, di altri lupi.

Erano tanti. Molti. Decisamente troppi.

 

***

 

Dovevano essere passate all’incirca un paio d’ore da quando aveva iniziato a seguire la traccia, ma non poteva dirlo con certezza. Se anche le campane delle chiese di Tairans avessero suonato l’ora, lui non avrebbe potuto sentirla probabilmente. Non a quella distanza. Era uscito già da almeno una decina di minuti dall’agglomerato cittadino vero e proprio, lasciandosi alle spalle le sue luci e i suoi odori troppo intensi. I suoi passi incontravano talvolta non il cemento ma lo sterrato di alcune strade più che periferiche. Per sua fortuna, a quanto pareva la zona industriale di Tairans non era in quelle vicinanze, o gli odori chimici gli avrebbero impedito di sentire così bene la traccia di chi stava cercando.

In compenso, quella zona pullulava di odore di lupi come lui. E se non fosse bastato quello, poteva sempre dare fiducia al fatto che di tanto in tanto si imbatteva in inequivocabili tracce di zampe sul terreno sterrato. Tuttavia, avrebbe potuto trattarsi anche di tracce di lupi comuni, se non fosse stato per l’odore. Ora che poteva seguire la sua traccia con più agevolezza, lo spartito di intensità dei suoi sensi era stato prontamente modificato: tutti all’erta, pronti a individuare il minimo movimento o suono interessante. Gli edifici umani da quelle parti erano pochi, e si trattava perlopiù di capannoni, magazzini, qualche casa in disuso. Non c’erano esseri umani nei paraggi, solo i segni delle loro sporadiche attività in quella zona.

In altre parole, tutti i segni non lasciavano dubbi. La sua traccia lo stava portando in una zona ideale per i lupi come lui, dove non farsi notare. Ma era comunque completamente fuori dall’ordinario: tanti lupi tutti insieme, da tempo, appena fuori da una cittadina.

Ma Danny non poteva permettersi troppe elucubrazioni, né di lasciarsi prendere troppo dall’inquietudine evocata dalla prepotente sensazione che qualcosa di grosso lì non quadrava affatto; aveva la sua traccia da seguire, la sua personale caccia, un compito netto e preciso, sul quale non aveva nessuna intenzione di mollare la presa, lupi o non lupi. Anzi, tanto più lì i segni erano tutt’altro che incoraggianti l’ottimismo, tanto più era profondamente e ferramente determinato a trovare al più presto chi stava cercando, perché c’era da aspettarsi che quella persona non stesse navigando in buone acque al momento.

Intorno a quelle strade poco frequentate e utilizzate dagli umani, erano più intensi gli odori di altri animali: ricci, topi, bisce, rane… il loro gracidare era forte e, insieme al cicalare e ronzare di alcuni insetti di prato e all’occasionale verso di qualche rapace notturno in caccia, era anche particolarmente utile. Con tutto quel rumore, Danny poteva essere sicuro che non c’era nessun’altro nelle sue strette vicinanze. Ma quando ebbe superato un piccolo gruppo di vecchi fienili dall’aria semi-abbandonata, quei rassicuranti rumori si interruppero bruscamente. Immediatamente Danny rallentò il passo fino a fermarsi lì dove si trovava, immobile e all’apparenza tranquillo. Solo in apparenza. I suoi sensi setacciavano intorno, cercando, e aspettavano, nel caso qualcosa stesse per entrare nella rete di controllo stesa intorno a lui, e di cui lui era l’epicentro pronto a raccogliere le informazioni e interpretarle o verificarle direttamente.

Sapeva bene di essere allo scoperto, lì sul terreno aperto in uno spiazzo diserbato, proprio dietro ai capannoni rispetto all’ultima strada sterrata che stava percorrendo. Qualche metro più in là l’erba era invece alta, ancora abbastanza rigogliosa dalla stagione primaverile ma con inizi di bruciature del sole estivo, immobile giacché non tirava nemmeno un filo di vento. C’era buio, a parte per la luce delle stelle e della luna, e del soffuso e distante chiarore della relativamente lontana Tairans.

Sì, era allo scoperto. Ma lo era sempre stato, dopotutto, e lui lo sapeva bene. Andare da quelle parti senza farsi notare, con tutti quei lupi in giro a giudicare dal loro odore, sarebbe stato ben più complesso e avrebbe richiesto molto più tempo e attenzione e preparazione. Ma lui non riteneva di avere tempo. Non dal momento che la singola traccia della persona che stava cercando terminava, molto probabilmente, in corrispondenza del concentramento di tutti quei lupi, o fin troppo vicino ad esso.

Passò qualche minuto, silenzioso e immobile, ma lui rimase fermo ad aspettare come se non avesse alcuna fretta. Sapeva che erano lì: il loro odore era troppo forte perché fossero semplicemente passati di lì recentemente. No, erano indubbiamente lì da qualche parte, e probabilmente lo stavano osservando, e forse aspettando qualche sua mossa. Ma lui non aveva intenzione di fingersi più stupido di quanto fosse in quelle circostanze: non aveva intenzione di muoversi per primo, ora che era al centro della loro attenzione.

Poi, finalmente si decisero a uscire allo scoperto. Comparvero dall’ombra più scura, lontano dagli edifici presso i quali sostava Danny, e iniziarono ad avanzare lentamente verso il punto in cui lui si trovava. Lui osservò prima di tutto il modo in cui si muovevano e l’atteggiamento che mostravano, prima ancora che le loro sembianze, e li contò attentamente, facendoli combaciare con il numero di odori individuali che aveva sentito essere nelle strette vicinanze.

Erano in quattro, tre uomini e una donna, un gruppetto molto sparuto rispetto al numero di odori individuali di cui aveva sentito traccia nell’aria fino a quel momento. Gli si avvicinavano con fare tranquillo ma attento e vigile, e, a quanto sembrava, sicuri del fatto loro. Ma non erano un branco, notò Danny. E questa considerazione gli fece corrugare la fronte: non comprendeva come fosse possibile. Erano indubbiamente un gruppo di lupi, si muovevano insieme e mostravano in qualche modo di spalleggiarsi, ma non erano un branco. Come potesse intuirlo così di primo acchito è qualcosa di complicato da comprendere per un non lupo, e la sua non era più che una potente sensazione, un’intuizione dettata dai loro movimenti e dal loro atteggiamento, e dall’odore reciproco che portavano.

Nonostante non fossero un branco, c’era effettivamente uno di loro che attirò maggiormente l’attenzione di Danny fin da subito: uno degli uomini, il più fisicamente grosso e ben piantato, mostrava un atteggiamento più responsabile e autorevole, e tuttavia non camminava davanti agli altri, né sembrava aspettarsi di essere il primo a parlare con lui. Con sempre maggiore disappunto di Danny, infatti, quando lo ebbero raggiunto e si furono fermati a pochi metri da lui, guardandolo, non fu quello il primo a parlare.

Uno degli altri uomini, che mostrava un’età relativamente giovane, sulla trentina forse, ma che sembrava ancora più giovane come lupo in base a ciò che i sensi e l’istinto di specie dicevano a Danny, gli rivolse la parola per primo.

«Cosa ci fai da queste parti?» gli domandò, il tono superficialmente autorevole e tranquillo, ma in profondità chiaramente piuttosto aggressivo, superiore e con qualche secondo fine.

Sentinelle, decise Danny dal tono di voce dell’altro. Il pensiero lo confuse maggiormente, ma decise di fidarsi del suo istinto, nonostante andasse in una direzione che tutta la sua esperienza e conoscenza non riuscivano a decodificare. C’era qualcosa di ufficiale in quel tono, come se il tizio che aveva parlato stesse assolvendo ad una sorta di incarico; e anche le parole sembravano confermarlo. Non erano molto dissimili da quelle che, nel linguaggio dei lupi, un individuo avrebbe rivolto ad un altro che aveva appena trovato nel suo territorio, ma la loro natura era completamente diversa. Più simile a quella degli uomini che a quella dei lupi, o di lupi come loro.

Danny alzò le spalle, senza forzare la sua recita al punto da apparire troppo svagato, e lasciò trapelare una punta di nervosismo, assieme ad una recitata svogliatezza da giovane senza preoccupazioni né fini particolari. Sapeva che potevano vedere in lui un lupo come loro, e di una certa età ed esperienza. Inoltre, potevano intuire che era un solitario, un senza branco. Non poteva mascherarsi più di tanto, ma poteva cercare di sfruttare a suo vantaggio sia ciò che potevano vedere, sia ciò che non potevano sapere.

«Non so. Vado in giro. Ho sentito il vostro odore, così sono venuto a curiosare. Voi chi siete? Che ci fate da queste parti? C’è qualcosa di interessante qui?»

Per un momento temette che tutte quelle domande potessero non sembrare adeguate a ciò che voleva apparire, ma poi l’uomo più grosso, quello che gli era sembrato il più autorevole, lasciò uscire una grossolana risata. Non proprio come se lo deridesse, ma come se lo trovasse divertente. E a quel punto parlò lui.

«Dipende, ragazzo… dipende. Tu che cosa cerchi?» chiese.

Questo non sembrava un tipo così facile da raggirare, considerò Danny tra sé e sé in fretta.

«Beh… a dire la verità ho sentito l’odore… Siete in molti da queste parti, no? Così ho pensato che ci dovesse essere qualcosa di grosso. Insomma, qualcosa di interessante per attirare qui così tanti lupi tutti insieme.» disse.

L’uomo lo considerò per qualche breve istante, e alla fine rispose «Eccome, eccome… Hai detto bene, anzi: per tutti i lupi, nessuno escluso. Perciò, anche tu sei il benvenuto. Ci hai trovati eh?» e rise di nuovo, con  la sua risata di forzata allegria venata di una certa arroganza, che gli rombava nella gola e sembrava gorgogliare nell’ampio petto. «Allora, vieni con me a dare un’occhiata. Ti garantisco che non potrai credere ai tuoi occhi!» gli disse ancora.

Danny evitò di inghiottire saliva per il nervosismo reale, e si limitò ad abbassare un po’ il capo, mostrando qualche segno di falsa timida incertezza.

L’uomo sembrò notarlo, perché si fece più avanti, e gli tese la mano. «Su, avanti. Non devi temere. Qui nessuno ti attaccherà, se ti comporterai bene. Siamo tutti lupi qui. Ti troverai a casa. Io sono Badlands.»

Danny rimase per un momento interdetto, e per diversi motivi, che lo colpirono tutti insieme quando l’uomo che diceva di chiamarsi Badlands gli si avvicinò.

Per prima cosa arrivarono al suo naso due degli odori che Badlands aveva addosso: non erano che tracce leggere, ma inconfondibili per lui, poiché appartenevano a due persone che conosceva molto bene. Una era quella che stava cercando. L’altro odore, invece, apparteneva ad una persona che non si sarebbe mai aspettato di dover rivedere in vita sua.

In secondo luogo, il gesto di Badlands era quanto mai bizzarro. Offrire la mano per una stretta, e in generale i suoi modi, erano fin troppo umani, e stonavano in maniera disturbante addosso a lui. Era come se un serpente si fosse messo a cercare di stare in piedi e di farsi crescere le ali.

Ma il ragazzo sapeva che non era il momento per far trasparire troppo ciò che gli correva per i sensi e la testa in quel momento. Sperando di essere in tempo per rimediare, nonostante l’uomo gli fosse abbastanza vicino da aver notato il suo profondo turbamento, annuì ma non riuscì a ricambiare la stretta di mano. Quello era davvero troppo per lui.

«Justin.» si presentò, improvvisando un nome falso e scegliendone uno con cui aveva abbastanza familiarità da poter comunque indossarlo abbastanza verosimilmente. «Mi chiamo Justin.» ripeté, ritornando nella sua parte recitata di ‘nervoso a causa di una certa timidezza’, e alzò la mano in un sommario gesto di saluto per evitare di stringere quella dell’uomo.

Badlands non sembrò stupito dal suo modo di salutare, anzi, la cosa sembrò confermare qualcosa per lui, perché abbassò tranquillamente la mano che aveva teso e annuì a sua volta. «Bene, Justin. Vieni con me, allora. Ti farò vedere che succede da queste parti.»

Danny guardò Badlands voltarsi su se stesso e iniziare a camminare tra l’erba alta. E a lui non rimase che seguirlo. Se voleva trovare chi stava cercando, quello era l’unico valido modo che aveva al momento. Nonché, sperava, il migliore modo per cercare di capire cosa stesse succedendo da quelle parti senza precipitarsi in mezzo a un guaio coi fiocchi e controfiocchi.

Ma mentre seguiva Badlands in mezzo al prato, dirigendosi verso una macchia di bosco giovane stranamente illuminato da un bagliore artificiale del quale non si poteva distinguere la fonte a causa del fitto di tronchi e rami e vegetazione, lasciandosi alle spalle il resto del gruppetto che ritornò alle sue funzioni di sorveglianza, non riusciva a togliersi dalla testa l’altro odore che aveva sentito addosso a Badlands.

Una cosa era certa. A meno che non riuscisse a muoversi estremamente bene, e salvo la buona sorte si schierasse corposamente dalla sua parte, le cose si sarebbero messe male di lì a poco. Se c’era lei, le cose dovevano già essere davvero preoccupanti.

Lei, l’ultima persona che si aspettava di – o che avrebbe voluto – reincontrare.

 

 

 

Note dello scribacchiatore:

heylà, scusate se ho allungato un po’ i tempi di pubblicazione (forse, non mi ricordo bene quando ho pubblicato il capitolo precedente  e ora non sto a ricontrollare, son di fretta, sorry).

Un altro capitolo lungo. Ma qui ci voleva, ci sono ben tre parti!

Anzi, per certi versi forse suona anche tutto un po’ troppo veloce, almeno a me. Spero non sia pesante da leggere, nonostante le frasi qui e là incredibilmente lunghe. Diciamo che quando si tratta di seguire in particolare il personaggio di Danny (cosa che in questa storia dei ‘4 di picche’ sarà quasi una costante in effetti), mi viene da scrivere in maniera molto varia ed eventuale, credo. D’altra parte, che ne dite del tuffo nelle capacità sensitive di un mezzo-lupo quale Danny? :) Spero il risultato sia buono, cioè che vi risulti bene alla lettura.

Poi… beh, se prima c’era in ballo una sola persona (quella che Danny stava cercando), ora ce ne sono ben due (una che Danny vorrebbe decisamente evitare)! Anche se non penso proprio che molti/e di voi faticheranno ad avere già una idea di chi possa trattarsi, per entrambe le persone! Comunque, vedremo… e direi che il prossimo capitolo sarà decisamente rivelatorio (o plateale, visto che il mistero non è così misterioso qui, he he).

Okay, ho scritto anche troppo, comunque si procede! Ci si risente al prossimo capitolo! Come sempre, se volete commentare qualcosa fate pure, non siate timidi/e, giuro che non mordo (hem, se non mi si fa incazzare senza motivo, perlomeno… ;p )

 

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Capitolo 8
*** 07 - Il villaggio ***


Capitolo 7

(IL VILLAGGIO)

 

 

Su una cosa Badlands aveva avuto ragione: Danny non poteva credere ai propri occhi.

La macchia di bosco nella quale si erano inoltrati pullulava di lupi come loro. Erano diverse decine, e tutti nello stesso luogo. Già questo era qualcosa di assurdo.

Similmente ai lupi veri e propri, anche i lupi come Danny non avevano l’uso di riunirsi in gruppi così grandi: la concezione stessa di ‘gruppo’, fosse inteso come modo di vivere o lo fosse nel senso di riunirsi in così tanti con qualche scopo od obbiettivo condiviso, era completamente estranea alle loro abitudini.

Tutti i lupi come lui che Danny avesse mai incontrato o di cui avesse mai sentito parlare, erano solitari o membri di piccoli branchi composti da individui abbastanza strettamente legati tra loro. Ma non era solo questione di esperienza. Era l’istinto stesso della sua natura che dettava a Danny, fin da quando era diventato un lupo, che quello era il modo in cui gli appartenenti alla loro specie si comportavano. Tutto il resto, sarebbe stato un’aberrazione del loro stesso essere.

E ora, Danny stava entrando nell’aberrazione più grande che avesse mai visto.

Decine e decine di lupi avevano scelto di stare tutti insieme, tutti nello stesso luogo. Non solo. Si erano acchitati una specie di baraccopoli: baracche costruite alla belle e meglio con materiali di fortuna e di recupero, come pezzi di lamiera ondulata, riquadri di spessa plastica non trasparente, pezzi di plexiglass e altro che sembrava provenire dagli scarti di qualche industria. C’erano anche case di fattura umana, vecchie e dimesse, ma erano poche e antiche e non in buone condizioni: con le pareti di sasso e tetti di legno e paglia semi-crollati, che stavano provando a risistemare per renderle adatte ad essere abitate.

Quello non era solo un grande raduno di lupi. No. I lupi avevano messo tende lì, si erano “sistemati” in qualche modo, tutti insieme. Stavano cercando di costruire un villaggio di lupi! Danny camminava in mezzo a quelle costruzioni con gli occhi suo malgrado spalancati e increduli, troppo stupito, attonito e confuso fin quasi allo stordimento per poter cercare di non mostrare troppo la sua incredulità, nonostante si rendesse conto che era più che evidente.

Badlands, che camminava davanti a lui, non si risparmiava nel voltarsi un poco indietro ogni tanto per guardarlo e spiare la sua reazione. Sembrava proprio che tutto quello stupore incredulo dipinto sul viso del ragazzo lo soddisfacesse estremamente, perché se la ghignava divertito. Se non altro, sebbene ora involontariamente, Danny stava continuando a dargli l’impressione di essere un novellino qualsiasi.

Ma ben presto la sua espressione iniziò a mutare.

Mentre camminava in mezzo a quell’agglomerato di edifici di fortuna, iniziò a scorgere sempre più elementi artificiali e tipicamente umani. Se le case potevano pur sempre servire a offrire un riparo fisico contro le intemperie, sebbene si trovassero al riparo della piccola macchia di bosco e sebbene i lupi come lui anche nella loro forma umana non fossero soggetti a soffrire gli eventi atmosferici se non ben poco e di sfuggita, i lupi di quell’assurdo raduno erano andati oltre. C’era qui e là qualche generatore in funzione, col suo odore di benzina e grasso di macchina e il suo rumore ronzante, che provvedeva di corrente elettrica le abitazioni raffazzonate e collane di lampadine di svariati colori e dimensioni e voltaggi appese con fili che attraversavano gli spazi lineari – sorta di vie – in mezzo alle baracche, appendendosi a rami, tronchi o alle baracche stesse. C’erano delle piccole cisterne auto-prodotte di acqua, che veniva usata per lavare gli indumenti che i lupi usavano nella loro forma umana, con sapone. E un poco lontano dalle baracche e disperse in mezzo agli alberi all’intorno, erano state scavate delle buche in cui veniva probabilmente versata l’acqua di scarto e altri rifiuti. Luce elettrica, acqua raccolta e utilizzata per lavare vestiti… quelli erano tutti elementi di cui gli umani avevano bisogno, e di cui i lupi potevano fare a meno.

Se Danny si era preoccupato fino al massimo per lui possibile, ora iniziò invece ad essere preda di un’altra sensazione, ben più inconscia. Mentre guardava diversi di quei lupi come lui occupati in varie attività di mantenimento di quella specie di villaggio, sentì sempre più un senso di rifiuto e di disturbante rigetto salirgli alla gola, fino a fargli sentire il pressante desiderio di andarsene al più presto che cercava di persuaderlo a fare dietro-front e scappare lontano da lì.

Non era tanto il fatto che, qui e là, ci fossero lupi come lui che si occupavano di faccende domestiche, quotidiane e pragmatiche, tipicamente umane. Lui stesso, da quando passava la maggior parte del suo tempo in forma umana, svolgeva quelle stesse mansioni d’abitudine, e sapeva di non essere certo l’unico lupo che si mischiava alla vita degli esseri umani. Dopotutto, loro tutti erano pur sempre in parte ancora e sempre umani. Ma lì tutto acquisiva un senso diverso. Tanti lupi tutti assieme, e solo lupi, che si riunivano e costruivano un intero villaggio tipicamente umano, e si dotavano di artificialità di cui non avrebbero avuto bisogno, non dal momento che stavano vivendo in mezzo ad un bosco. Al contrario, comportandosi in tutto e per tutto come esseri umani come se volessero ignorare o ricacciare parte della loro natura, quella di lupo, proprio laddove essa avrebbe trovato il suo ambiente naturale, trasportavano in essa l’imitazione malriuscita e abbozzata di un agglomerato umano, e passavano il tempo ad occuparsene come se ne avessero avuto strettamente bisogno per sopravvivere. In altre parole: a cosa potevano mai servire dei vestiti puliti ad un lupo che viveva in un bosco?

Poi Danny iniziò a intuire, o meglio, finalmente riuscì a calmare abbastanza quel suo profondo senso di rigetto e fastidio per pensare un po’ più logicamente e lucidamente. Gli abiti potevano servire loro solo quando erano nella loro forma umana, e che fossero puliti era necessario se volevano circolare in mezzo ad altri umani senza risultare loro sgradevoli e farsi troppo notare. Quei lupi non avevano bisogno di vestirsi come esseri umani puliti per stare in quel bosco, ma gli occorreva per quando dovevano camminare in mezzo agli umani. In mezzo alle strade di Tairans.

E tutto quello continuava ad apparire a Danny sempre peggio.

Se il suo sguardo e la sua espressione si erano a quel punto oscurati, certo non potevano migliorare quando la sua attenzione passò dai particolari del villaggio a quelli dei suoi abitanti e costruttori. Ora che non era più così occupato a studiare le baracche e gli accessori di quell’agglomerato bizzarro e assurdo, iniziò ad essere preso interamente da coloro che lo abitavano. E sembrava che, suo malgrado, l’attenzione e lo studio fossero fin troppo ricambiati per i suoi gusti.

Dopotutto, lui e Badlands stavano camminando in mezzo ad una di quelle che sembravano essere le vie più grandi in mezzo alle baracche. Ma non era solo quello. Badlands di suo attirava l’attenzione, non solo per l’aspetto, grosso com’era, ma anche per il suo atteggiamento. Se prima era sembrato qualcuno con una certa autorità in mezzo al piccolo gruppetto che era andato incontro a Danny, ora quell’impressione pareva confermata dal modo in cui procedeva camminando dritto davanti a sé. Sembrava aspettarsi che fossero gli altri a scostarsi al suo passaggio, piuttosto che di dover cercare il luogo migliore dove passare per non intralciare qualcun altro. E dal momento che tutti sembravano assecondare questa sua aspettativa, facendogli largo o cedendogli il passo, poteva ben permettersi di metterla in pratica.

Così, seguendo lui, Danny era prima oggetto di attenzione per rimbalzo, poi ne otteneva però ben più di colui che lo precedeva. Sicuramente era perché nessuno lì lo aveva mai visto prima, o almeno così credette all’inizio. Ma poi iniziò a comprendere che non si trattava di quello. E fu quando iniziò a interpretare la natura dei rapporti inter-soggettivi che sembrava regnare in quella sottospecie di villaggio.

Come aveva potuto supporre fin dall’inizio, quei lupi erano troppi per poter avere dei legami forti tra tutti loro, ognuno con tutti gli altri. Ma quello stato di cose era così forte, che rese evidente a Danny anche l’impressione che tutti loro non si trovassero riuniti insieme da molto tempo. Ognuno doveva essersi unito al gruppo in un momento diverso, come arrivandoci per caso: alcuni mostravano più dimestichezza e sicurezza di sé, mentre altri apparivano più incerti, timidi e ancora un poco spaesati, come se non avessero ancora afferrato come funzionavano  esattamente le cose da quelle parti. E non v’era traccia di legami particolari che unissero qualcuno a  qualcun altro, se non gesti di banale gentilezza e cortesia minime, e anche di facciata.

A quel punto, Danny iniziò a storcere apertamente il viso, e la sensazione di rigetto e fastidio ritornò a colmargli i sensi con piena potenza. Aldilà di ogni apparenza di mala imitazione di una natura completamente umana, e di quel tipo e ipocrita, quei lupi vivevano tra loro gli atteggiamenti e i rapporti sgradevoli degli umani al cento per cento: fino a diventare sconosciuti riuniti tutti insieme a fare la parodia di una baraccopoli umana appena creata, vicini e conviventi per forza e in qualche caso interpersonale anche loro malgrado. Sconosciuti e non interessati a conoscersi così tanto, forse incastrati – consapevolmente o meno – nella zona di nessuno che separa un sincero desiderio di stare insieme dall’auto-costringersi a sopportare una convivenza forzatamente pacificata e neutra, recitavano il ruolo di gentili cittadini improvvisati di quell’assurda realtà che avevano messo in campo.

Decine di lupi si aggiravano dunque tra quelle baracche cercando di tenersi impegnati o di sembrarlo, più che esserlo veramente perlopiù, e a stento si scambiavano un saluto o un’occhiata per la maggior parte. Sebbene molti di loro mostrassero evidenti segni di tensione e nervosismo, probabilmente perché trovarsi in un luogo tanto affollato di altri come loro che non conoscevano impediva loro di sentirsi proprio quel che si direbbe a proprio agio, erano tutti lì, e qualcuno a piccoli gruppi si sforzava di scambiarsi qualche frase di circostanza per chiacchierare come modo per passare il tempo, o per collaborare in qualche lavoro di pratica utilità.

«Qualcosa di quello che vedi non ti convince, ragazzo?»

La voce di Badlands, bassa e profonda per natura, ebbe il potere di riportare Danny a concentrarsi abbastanza sui dettagli della sua situazione, piuttosto che su ciò in cui si trovava per sua sfortuna immerso. Immediatamente concentrò lo sguardo sull’uomo, che aveva rallentato il passo per guardarlo meglio. Danny allora gli si affiancò, considerandola una buona occasione per avviare una conversazione vera e propria con quella che sembrava poter essere l’unica sua guida al momento. E perché non cercare di farlo diventare una vera e propria guida, un Virgilio in quella sottospecie di inferno*? Dopotutto, c’era un’ultima considerazione che poteva fare, a proposito di tutto quello. Normalmente, forse, non si sarebbe fatto così tante domande, né si sarebbe trattenuto dall’impulso di allontanarsi da lì il più in fretta possibile; ma se era lì, era perché doveva trovare chi stava cercando, e portare entrambi altrove nel minor tempo possibile. E l’ultima considerazione era: a che scopo tutta quell’assurdità?

Era tentato di rivolgere direttamente quella domanda a Badlands, ma non era sicuro che al momento fosse una buona idea abbandonare il suo “travestimento” da giovane lupo sprovveduto capitato lì per pura curiosità e perlopiù casualmente. Si trovava pur sempre nel bel mezzo di un agglomerato in cui si aggiravano decine di lupi, che già in quelle condizioni forzate non sembravano tranquilli e sereni, tutt’altro. Già aveva attirato l’attenzione di molti di loro su di sé, probabilmente perché era nuovo e perché si stava facendo far strada da Badlands. E solo quest’ultimo particolare poteva connotarlo come nuovo-arrivato tra quei lupi che a stento si conoscevano di faccia tra di loro. Ma ormai era fatta. E se stare seguendo Badlands ormai lo aveva connotato come una “new-entry” sotto la supervisione del grosso lupo, la sua migliore opportunità al momento era approfittare della “protezione” che egli sembrava capace di garantirgli, almeno finché fosse durata.

Si schiarì la voce, un po’ per nervosismo reale e soprattutto per dare l’idea di essere seriamente impressionato e colpito, e trovò le parole.

«E’ solo  che… è strano vedere così tanti lupi tutti insieme… Cioè, sembrate veramente tanti!». Sperava che quello potesse bastare a indurre Badlands a dirgli un numero. Ma l’altro rise di nuovo, sempre con alcuna reale gioia e più che altro ghignando, benché sembrasse che quell’osservazione gli risultasse soddisfacente.

«Te l’avevo detto che non avresti creduto ai tuoi occhi! Non mi sbagliavo, eh? Tanti, sì, diverse decine. E continuano ad arrivarne, qui e là, ogni tanto qualcheduno. Come te, insomma. La voce si sta spargendo…» concluse allusivamente.

«La voce? Quale voce? Io non ho sentito niente. Sai, giro da solo… e non mi capita spesso di vedere altri come noi… Credo siano passati mesi dall’ultima volta che ho incrociato qualcuno. E non mi ha parlato di niente di tutto questo. No, neanche lontanamente.» ribatté Danny, improvvisando un tono colloquiale e un insieme mal raffazzonato di informazioni non richieste, per mischiare le domande a molte affermazioni e dare l’impressione che le prime fossero di pura curiosità, e le seconde fossero più che disponibilmente offerte.

La tattica pareva funzionare, perché Badlands aveva quasi smesso di fissarlo in volto per studiarne l’espressione,  e sembrava un poco più rilassato nel discorrere.

«Oh, certo, ce ne sono tanti come te, che stanno da soli e non incrociano spesso gli altri. Così, è difficile immaginare che ci siano tanti di noi, non troppo lontani in fondo gli uni dagli altri, vero? Ma qui, vedi, puoi farti l’idea no? Siamo tanti, molti! E non siamo certo tutti qui. Stai pur certo che ne arriveranno altri!»

Danny cercò di evitare che la sua espressione e il suo tono di voce si incupissero, nonostante quelle parole, oltre ad evitare di dargli le informazioni che cercava, gli stessero aggiungendo preoccupazione e brividi freddi.

«Già! E’ vero! Se qualcuno me lo avesse detto, non ci avrei mai creduto che ci fossero tanti lupi! Quindi, insomma, per questo siete tutti qui? Cioè, per vedere che siamo in tanti e conoscerci un po’ tutti? Un raduno insomma, no? Che idea… è una grande idea!» tentò di nuovo, cercando di confondere le sue domande con una specie di entusiasmo all’acqua fresca**.

Badlands scoppiò a ridere, più forte delle precedenti volte, e ancora più divertito e derisorio. «Ah, ragazzo, è molto più di questo, molto di più…»

«Davvero?» si sbalordì ed entusiasmò con finta contentezza Danny, sperando di essere riuscito a portare l’altro finalmente ad una svolta per lui interessante e fruttuosa del discorso. «E di che si tratta? Non mi sembra di aver sentito l’odore di grosse mandrie da queste parti… però magari mi sbaglio. È forse una grande caccia tutti insieme?»

Questa volta, Badlands non rise, ma voltò lo sguardo su di lui, con un ghigno saputo e particolarmente soddisfatto. «Una caccia. Già, sì, una specie di caccia. Chi l’avrebbe mai detto? Forse hai trovato proprio tu il termine più adatto. Ma non ti preoccupare, scoprirai presto di che si tratta. Ti sto portando da chi te lo potrà spiegare meglio di me. Devi ritenerti fortunato ad avermi incontrato. Quegli stupidi di guardia ti avrebbero fatto perdere un sacco di tempo. Ci vuole sempre qualcuno con un po’ di cervello a tenerli d’occhio. E, come ho detto, sei stato estremamente fortunato che ci fossi io quando sei arrivato. Così, vedi, ti porterò direttamente da chi ti spiegherà tutto, senza perdita di tempo, proprio così. Presto saprai tutto e… sai cosa? Mi sembri un tipo in gamba. Perciò sono certo che non ci penserai due volte a unirti a noi.»

Poi, Badlands tornò a guardare davanti a sé, ed aumentò un po’ il ritmo del passo, con le sue grandi falcate da lupo di massicce dimensioni.

E Danny cercò di scuotersi il più possibile di dosso ogni ulteriore remora a seguirlo. Continuavano a non venirgli in mente altre strategie al momento, e iniziava a supporre che non ci fosse altro modo. Forse la situazione avrebbe meritato un altro modus operandi***, specialmente perché ormai gli sembrava estremamente grave e seria, e ancora troppo dannatamente lontana dalla sua comprensione e conoscenza; ma d’altro canto, come aveva deciso fin dall’inizio, non poteva permettersi di perdere tempo. Proprio come diceva Badlands, aveva urgenza di arrivare direttamente al nucleo della questione. Doveva trovare chi stava cercando, il cui odore lasciava una traccia non particolarmente profonda ma abbastanza vivida in quel luogo, e si andava acuendo mentre procedevano. Ma anche l’altro odore che aveva riconosciuto, suo malgrado, si andava rafforzando, ed era molto potente lì. Naturale, anche lei era un lupo. Ma era arduo per Danny supporre cosa potesse farci lei in un luogo del genere. Lei che, non meno di lui, e forse non molto di più di tutti quei lupi, avrebbe dovuto provare una grande repulsione per quel modo di “vivere”.

Di colpo Danny iniziò a intravedere quella che incominciava a sospettare poter essere la loro meta. C’era un grande spiazzo spianato, una radura naturale del bosco, appena oltre le ultime baracche, dall’altra parte di quella specie di villaggio rispetto a quella da dove erano entrati loro due.

Al centro dello spiazzo un grande fuoco ardeva, divorando un falò improvvisato di legname di scarto dalle costruzioni e di rami e tronchi tagliati dal bosco. Solo per un istante Danny si soffermò sul particolare che a quanto pareva quei lupi avevano portato la loro degenerazione di comportamento al punto di tagliare della legna dal bosco per accendere un fuoco, ovvero consumando parte del loro habitat naturale per alimentare qualcosa di completamente inutile per la loro natura. Il fuoco sembrava essere utilizzato per rischiarare la radura nella notte, dal momento che i fili con le lampadine alimentate dalla corrente elettrica non si stendevano oltre le baracche. Del resto, non sembrava che i lupi lo considerassero particolarmente, ma, mano a mano che Danny e Badlands si avvicinavano, il ragazzo iniziò a notare che la posizione vicina al falò sembrava significare un certo grado di importanza.

Infatti, dei gruppetti riuniti tra di loro a parlottare o a dormicchiare vicini che c’erano nella radura, quello proprio accanto al falò era il più numeroso e che si faceva più sentire, l’unico nel quale si parlasse ad alta voce e dal quale provenissero sonore risate seppure affatto sincere, e che sembrasse in generale più animato e vivace di tutti gli altri singoli o gruppi lì.

Nondimeno, quando anche Badlands e Danny entrarono nella radura, solo quelli di quel gruppo iniziarono a smorzare i toni e a fare caso al loro approssimarsi, e proprio verso di loro si diresse con sicurezza Badlands.

E fu allora che a Danny iniziarono decisamente a rizzarsi i peli in tutto il corpo, ma in particolare sul collo. Cadde pienamente nella morsa del timore e della rabbia, preso tra la preoccupazione e il sospettoso allarme. Perché lì, in quel gruppo accanto al falò verso il quale Badlands lo stava conducendo, c’erano entrambe le persone di cui aveva riconosciuto l’odore senza ombra di dubbio.

Si fermò così a pochi passi dal gruppo, dedicando solo un’occhiata veloce agli altri, giusto per sincerarsi della loro numerosità e dell’atteggiamento che mostravano nei suoi confronti, ma che sembrava semplicemente e al massimo un po’ incuriosito, per dedicare subito lo sguardo su quella che era indubbiamente la star della situazione. E come non avrebbe potuto esserlo?

E anche lei, naturalmente, gli stava ricambiando lo sguardo. Occhiate di natura completamente diversa. Danny la fissò duramente, le sue mascelle tese e i suoi occhi a tratti incapaci di trattenersi dal lampeggiare di blu intenso e cocente come una lama affilata, severo e rigido, attento come se si aspettasse di essere colpito da un momento all’altro, di doversi difendere, di dover lottare. Anche non letteralmente, però. L’altra lo guardava invece superiormente altera e allo stesso tempo volgarmente divertita, e i suoi occhi castani, così come tutto il resto di lei, non trasmetteva altro che un’estrema sicurezza di sé. A malapena considerò Badlands, che si era fermato di fianco a lei con l’aria di chi nemmeno si aspetta un qualche riconoscimento per aver compiuto il suo dovere, perché già lo soddisfa l’aver fatto qualcosa per bene.

Fu lei la prima a parlare.

«Heylà, Danny-boy. Quanto tempo, non è vero?» gli disse Mara. Il tono studiatamente morbido e denso di allusione divertita e provocatoria, falsamente leggero e amichevole.

Danny la fissò solo qualche istante in più, ma non rispose nulla.

Invece, voltò lo sguardo sull’altra persona che avrebbe riconosciuto tra una moltitudine di lupi o di uomini o di altre specie. Non poteva più dirsi che stava cercando, perché stava fissando la persona che doveva trovare. Il fatto che fosse nell’ultimo luogo dove potesse immaginare di trovarla e in compagnia, proprio a fianco in effetti, dell’ultima persona insieme a cui pensava di scoprirla, non poteva purtroppo negare l’evidenza che gli si parava davanti allo sguardo.

Uther lo guardò, ricambiando lo sguardo quasi con difficoltà. E nemmeno lui disse niente.

 

 

 

Note per la comprensione:

* per chi non lo sapesse, Virgilio – oltre che un poeta e letterato realmente esistito – è scelto come personaggio da Dante nella ‘Divina Commedia’ per fargli da guida nell’attraversare l’inferno (sì, proprio il classico inferno della religione cristiano-cattolica). Per dirla in breve, insomma.

** non saprei, onestamente, se l’espressione ‘all’acqua fresca’ si possa usare così scioltamente. L’ho sentita usare in un film, precisamente ‘scema come l’acqua fresca’, e mi  è venuta fuori così qui, sempre nel senso di naif (ingenuo) e non particolarmente arguto.

*** significa sostanzialmente ‘modo d’agire / di fare / di procedere’

 

Soundtrack: Cry wolf (A-ha)

 

Note dello scribacchiatore: tempi di grandi sbattimenti per me questi, dunque vi dico la pura verità: questo capitolo l’ho scritto un po’ di tempo fa e proprio non ce la faccio a rileggerlo di nuovo per dare un’ultima controllata (ma ormai sono a quasi un mese da quando ho buttato on-line quello precedente e non mi va di andare oltre con l’attesa), spero non ci siano troppi errori… prima o poi magari riuscirò a riguardarlo, per ora procedo! Ah, dimenticavo, colpo di scena! Si fa per dire. Chi aveva già indovinato chi doveva comparire a sto punto (ben due personaggi), può auto-premiarsi con una bambolina (metaforicamente o non, come preferite, o con quel che vi pare e piace) :p

Al prossimo capitolo, salut!

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Capitolo 9
*** 08 - Lupi come noi ***


Capitolo 8

(LUPI COME NOI)

 

Danny aveva un’intera tempesta nella mente. Voleva fare tante cose in quel momento, e diverse erano dettate da un’ispirazione quanto mai spontanea e impellente: le passò al setaccio tutte, una dopo l’altra, cercandone almeno una che potesse essere presa seriamente in considerazione per essere messa in atto.

Avrebbe potuto chiedere a Uther che diavolo ci facesse lì, tanto per cominciare, e poi chiederlo anche a lei, salvo dirle poi che non gli interessava affatto la sua risposta. Avrebbe potuto iniziare più  diplomaticamente chiedendo a Uther se sapesse dove e soprattutto in tranquilla compagnia di chi si trovava, poi informarlo che lui lo sapeva in compenso più che bene e che sapeva anche molto bene come andavano trattati casi come quello, poi informare lei che se ne sarebbero entrambi andati immediatamente, pura formalità per dirle che se provava solo a fermarli anche pronunciando una sola sillaba sarebbero stati guai. Avrebbe potuto lasciare perdere le parole, farsi avanti quel tanto che gli occorreva per afferrare Uther per un braccio e portarlo via, anche a costo di trascinarlo di forza, ignorando ostinatamente qualsiasi cosa avesse potuto dire lei in proposito o – molto più probabilmente – a sproposito.

Ma c’erano alcuni problemi oggettivi. Ad esempio il fatto che Uther era circondato di lupi e si trovava di fianco ad una delle più pericolose e senza scrupoli di loro. Ad esempio che Danny era da solo lì, e sospettava di poter contare sul fatto che – di tutte quelle decine di lupi – almeno Badlands e tutti quelli seduti lì dal falò avrebbero immediatamente spalleggiato lei nel fermarlo ed, eventualmente, cercare di ucciderlo tout-court. Ad esempio il fatto che nemmeno le sue due pistole, semmai avesse avuto il tempo di estrarne utilmente almeno una e di prendere la mira, gli potevano essere di molto aiuto nel bel mezzo di tutti quei lupi, e che iniziare a sparare sarebbe stato un modo sicuro per ritrovarsi attaccato anche da quelli più lenti o meno disposti a seguire ciecamente il proposito di lei di attaccarlo se gliene dava motivo.

Il fatto era che, per come era fatta lei, era davvero facile indisporla sufficientemente per darle motivo di attaccare; sempre che non lo facesse per puro divertimento omicida, in effetti.

Ma ad ogni manciata di secondi che passava, il suo cervello rifuggiva dai basilari calcoli tattici per ritornare alla domanda fondamentale: che diavolo ci faceva lì Uther, nel luogo più improbabile ed uno dei più potenzialmente pericolosi del mondo, tranquillamente seduto di fianco ad una delle persone – o forse la persona – più pericolosa che Danny avesse mai conosciuto nella sua vita?

Ora, la cosa più semplice e banale sarebbe stato chiederlo al diretto interessato. Tuttavia, Danny non l’aveva ancora fatto, né in effetti stava pianificando di farlo a breve. Da un lato, si diceva che non era il momento di fare conversazione quello; dall’altro, sospettava di non voler affatto sapere la risposta, qualsiasi potesse essere.

«Allora, Danny-boy… come mai da queste parti?» gli domandò Mara, continuando imperterrita. Lui la conosceva abbastanza da sapere che avrebbe potuto svolgere una conversazione del genere – ovvero a senso unico e ignorando qualsiasi segno di fastidio, rabbia o altro che potesse esserle rivolto – potenzialmente all’infinito; e divertendosi comunque, soprattutto.

«Mara.» disse allora semplicemente, sforzandosi di distogliere lo sguardo da Uther, il quale sembrava immoto e assente e non particolarmente desideroso di comunicare con lui, per volgerlo su di lei. Il tono di fredda constatazione gli uscì quasi a fatica attraverso i denti, che tornarono subito dopo a chiudersi, stretti in una morsa potentemente tenuta dai muscoli contratti della mandibola.

«Sai.» continuò lei, proprio come se in effetti il suo interlocutore le stesse dando corda con partecipazione spontanea «Stavamo proprio parlando di te.»

Così dicendo, allungò il braccio per appoggiare la mano aperta sul ginocchio di Uther.

Fu come un sasso lanciato attraverso un vetro sottile. Danny la centrò con uno sguardo così fiammeggiante da poter incenerire (almeno figurativamente) ogni cellula contenuta nello spazio che li separava.

Mara riuscì a non fare una piega, almeno in apparenza. Ma Uther, dopo un breve istante, spostò appena la gamba per sottrarsi al contatto, seppure leggero e non invasivo, come se temesse di poter diventare anche lui vittima di quello sguardo. E non fu il solo a rimanerne colpito. Tutti gli altri lupi del gruppo si erano innervositi, a quel punto, tendendo i muscoli e facendo piccoli movimenti di nervoso disagio, o immobilizzandosi come se si preparassero a dover tirar fuori una reazione fulminea. Badlands, ancora in piedi, si avvicinò un po’ di più a Mara, come se fosse pronto a schermare col suo corpo un qualsiasi attacco fisico a lei rivolto.

E lei aprì appena le labbra per mostrare i denti. Il suo era apparentemente un sogghigno astuto e soddisfatto, ma era anche una leggera traccia istintiva di chi ha colto chiaramente la minaccia. Di colpo, vedendole quell’espressione, Danny ricordò le parole che lei gli aveva detto molto tempo prima, quando lui era ancora sulle sue orme e lei si divertiva a dirgli perle di saggezza con la certezza che lui le avrebbe prese come tali, cercando di interpretarle se gli apparivano poco chiare.

‘Non vedi come facciamo, noi lupi? Noi mostriamo i denti, quando ci sentiamo minacciati. È la promessa di un morso. Ed è anche il ghigno che gettiamo in faccia alla morte. Un lupo che sorride… un lupo che sorride…

Poi lei mosse un braccio in un gesto verso Badlands, facendogli segno di allontanarsi, pur senza perdere di vista Danny nemmeno per un istante.

«Per favore, Badlands. Già sei ingombrante nel vero senso della parola, vedi di non starmi così addosso. Dubiti forse delle mie qualità di difesa? Non dovresti, oramai. E poi, non ce n’è bisogno. Vero Danny? Siamo vecchi conoscenti noi, no?» terminò, tornando a rivolgersi a lui, carezzevole quanto un gatto che sta per piantarti le unghie nella pelle al massimo della loro lunghezza.

Danny si rese conto che il suo sguardo si era spento di quel lampo di aggressività fulminante. Non certo per le parole di Mara, d’altra parte. Lei non era mai da prendere per il verso delle parole, e pertanto, semmai potesse pensare di usare quelle per andarsene illeso con Uther, l’ipotesi era da scartare al momento. Il gesto che lei aveva fatto era stato più che esplicito agli occhi di Danny. Il semplice mettere la mano sul ginocchio significava che Mara forse voleva rivendicare confidenza con Uther anche solo per infastidire Danny e farlo ulteriormente inquietare, ma soprattutto per rivendicarne davanti a lui il possesso. Mara non se ne era mai fatta nulla di cose come la confidenza, e Danny lo sapeva bene: a lei interessava il possesso di qualcuno, al massimo.

«Allora, Danny, non vuoi unirti a noi?» domandò Mara, con fare persuasivo ed invitante, ma solo in superficie come era chiaro al diretto interpellato, che la guardò fare un accenno di gesto d’invito a sedersi con loro e muovere appena la testa per scostarsi una delle ciocche dei lunghi capelli castano scuro più vicina al lato del viso. Ma gli occhi di lei, subito sotto la frangia, non lo abbandonavano per un istante. Si sarebbe potuto dire di tutto di lei, probabilmente, ma non che fosse così stupida da poter credere che fosse sicuro non tenerlo sotto la vigile sorveglianza dello sguardo diretto anche per un solo momento.

Ad essere sincero, non ricordava che sapesse essere – o meglio, che volesse essere – così chirurgicamente precisa e prudente, nonostante la calcolata astuzia che metteva in ogni cosa. Ma quelli erano dettagli di lei che potevano essere mutati col tempo. Nella sostanza, però, e anche in apparenza in realtà, non sembrava cambiata per nulla o di ben poco. Dopotutto, lui aveva iniziato a pensare a e si era convinto molto tempo fa del fatto che lei fosse irrecuperabile. E i lupi, come già detto, cambiano più lentamente degli uomini veri e propri, e scarsamente così tanto come possono cambiare gli esseri umani.

«Sapevi che sarei venuto qui. No?» le disse invece lui, ignorando le precedenti domande, inviti e provocazioni che gli erano state rivolte. Se c’era qualcosa che aveva potuto imparare molto bene da lei, era come non darle corda. Ma aveva anche ben presente che lei non era mai stata a corto di modi e conoscenze per mettere qualcuno così alle strette da convincerlo ad assecondarla. Dopotutto, quella era la dimostrazione più lampante proprio di questo.

Lui, forse l’ultima persona che potesse vantare sia di conoscerla abbastanza approfonditamente sia di essere ancora vivo, era lì a intrattenere una sottospecie di scambio conversativo con lei, sebbene non ci tenesse a stare nemmeno in sua presenza, a causa del fatto che una delle persone a cui teneva di più al momento si trovava, e ancora non aveva idea di come né tantomeno perché, proprio lì accanto a lei. Danny avrebbe potuto andarsene o tentare di aggredirla in un attimo; e lei avrebbe potuto uccidere Uther in un istante. Situazione di empasse. Ma lei aveva il vantaggio maggiore, e non era una semplice questione di posizione spaziale e di potenziale omicida: lei sapeva benissimo il come, e forse anche il perché, Uther si trovava proprio lì.

Non restava a Danny che iniziare da lì, capire perché lei ce lo aveva portato o glielo aveva permesso, prima ancora che perché lui avesse acconsentito, ammesso che lo avesse mai fatto. C’era sempre l’ipotesi che Uther fosse lì contro la sua volontà; ed era più precisamente l’unica vera spiegazione possibile per Danny. In secondo luogo, l’ipotesi che al momento gli sembrava più plausibile era che Uther non fosse altro che un ostaggio per fare arrivare fin lì proprio lui, Danny. Ma troppe cose non tornavano. Perché mai Uther avrebbe dovuto parlare di lui con loro, e altrimenti in che altro modo loro potevano riuscire a mettere in relazione le loro due persone?

Se solo ora lei avesse risposto alla sua domanda in qualche maniera che gli potesse essere utile per capirci qualcosa in più, forse…

Mara rise brevemente. «Stare così tanto insieme agli esseri umani ti ha reso sospettoso Danny, eh? Sì, sapevo che prima o poi saresti arrivato, visto che il mio ospite qui è anche tuo collega. Ma non sapevo esattamente quando saresti finalmente arrivato. Dopotutto, non crederai che io sia così poco aggiornata su quello che succede nel mondo da non sapere che cosa sono i ‘4 di picche’… Cacciatori di tante creature, inclusi noi. Cacciatori di lupi. Si possono commettere tanti sbagli nella vita. Eppure, si può anche imparare qualcosa, no? Eccolo qui, il tuo collega cacciatore di lupi, seduto in mezzo ai lupi. Ma tu, Danny… tu cosa potresti mai dirci? Tu che sei un lupo, e dai la caccia a quelli come te?»

Sembrava che si fosse improvvisamente stancata di giocare; e anche questo, come Danny ben sapeva, era perfettamente da lei. C’era sempre stato un momento, imprevedibile, in cui Mara si stancava di giocare col topo, e si preparava a inghiottirlo. O, se era in vena, passava direttamente dall’una all’altra fase senza avvisaglie. Talvolta, poteva anche saltare la parte in cui giocava.

Ma c’era qualcos’altro che insisteva ad angustiare Danny. Sapeva di non doversi fidare di lei, e tantomeno delle sue parole. Perché avrebbe dovuto dare ascolto al fatto che lei parlava di Uther come se lui fosse lì di sua volontà. Tuttavia, ora doveva cercare di sviscerare qualcos’altro, e doveva fare di tutto per fare in modo che lei si dimenticasse del suo “ospite umano” e si concentrasse su qualcuno che poteva pur sempre aver qualche speranza pratica nell’affrontarla. Ovvero su di lui.

Alzò bene la testa e raddrizzò le spalle, rizzandosi in tutta la sua altezza, parandosi bene di fronte a lei e a tutti gli altri lupi. Quello era un modo tanto da umano quanto da lupo per esprimere la volontà di affrontare apertamente chiunque e qualsiasi cosa, ed essere pienamente pronti e responsabili ad accettarne le conseguenze. Ed era esattamente ciò che voleva fare, in fondo, giacché si trovava in quella situazione.

«Non penso che tu sia così ben informata, Mara, se tutto quello che sai di noi è che diamo la caccia ai lupi. Ma non importa. Sono qui, se è quello che volevi. Cosa vuoi dunque da me?» disse a chiara voce.

Ma, con suo disappunto, la vide sbattere le palpebre per mostrare volutamente e teatralmente il suo stupore, e la sentì scoppiare a ridere, tramutando in un istante il suo atteggiamento di seria e sinistra insinuazione in divertimento derisorio. Questa sì che era una cosa che non l’aveva mai vista fare: tornare indietro sui suoi passi, passare dalla fase due alla fase uno. Si chiese se fosse il suo nuovo modo di fare, ripetere la fase di gioco più volte, prima di divorarsi il topo. In un modo o nell’altro, aveva smesso di essere il suo giocattolo preferito molto tempo fa, e non aveva intenzione di diventare il suo topo ora, anche se ancora non vedeva come fare per evitarlo senza mettere in serio pericolo Uther.

«Oh, stare tra gli umani ti ha anche reso presuntuoso, a quanto pare.» tornò a parlargli lei.

«Da te? Non voglio assolutamente nulla da te. Forse qui a qualcuno potrebbe far piacere se tu ti unissi a noi.» e fece un vago gesto per indicare sommariamente Badlands e gli altri lupi intorno a loro «Ma io non vorrei mai tra noi uno come te. Un lupo che si è messo a vivere con gli umani e ad aiutarli per cacciare quelli come noi. Potrai negare che sia così, ma voi siete cacciatori di quello che definite ‘paranormale’… e noi, se non erro e non credo affatto di sbagliare, rientriamo in questa categoria umana. Arroganza umana. Loro sarebbero forse i ‘normali’? Ah! Basta guardarli, basta annusarli. Non c’è nemmeno bisogno di avvinarsi così tanto a loro, per capirlo. No, non lo sono affatto!»

La sua voce si era fatta di colpo dura, e nei suoi occhi brillava quella scintilla di profonda sicurezza, di chi crede in ogni propria parola, ed è pronto a inciderla in chiunque a suon di zanne. Danny la ascoltava e guardava, ma ora non riusciva più a riconoscerla del tutto. L’aveva sentita altre volte parlare in maniera sconclusionata, e ascoltare le sue stesse parole e credervi come se fossero oro colato le era sempre piaciuto. Ma ora quelle parole avevano un qualche filo logico, un argomento ripetitivo, una convinzione che suonava una sorta di legge, o forse più una religione, un dogma, o qualcosa del genere. Di fianco a lei, Badlands annuiva di tanto in tanto con soddisfazione, come se fosse altrettanto convinto e apprezzante di quelle parole, e gli altri lupi lì intorno, sebbene avessero modi più spenti e pavidi, sembravano dare un assenso almeno passivo.

«Perciò Danny, per quanto mi riguarda, puoi andartene quando preferisci. Anzi, forse, prima è meglio è. A meno che tu non voglia mostrare un barlume della tua natura di lupo, se qualcosa ne è sopravvissuto in te, e restare qui, con gli altri lupi come noi, come te.» terminò Mara.

Danny la guardò a lungo, in silenzio, cercando ancora di scrutarle attraverso lo sguardo serio, e tentato dall’idea di farla parlare ancora, anche se non era sicuro di poter ancora trovare qualcosa di utile in quella specie di deliri. Era sempre stata imprevedibile, ma ora aveva superato le sue peggiori aspettative su di lei. Probabilmente avrebbe dovuto concentrarsi sul continuare a cercare una leva per fare allontanare Uther da lì e basta. Datemi una leva e vi solleverò il mondo…* A se stesso ci avrebbe pensato poi, in qualche modo. Non gli risultava ancora credibile che lei avrebbe permesso che lui se ne andasse illeso, proprio ora che era lì alla mercé sua e di tutti gli altri lupi.

Alla fine, sembrò che qualche peso si sollevasse da lui, perché anche stavolta fu lui a sorridere appena, e sicuramente non poco provocatoriamente. Forse era solo che non si era dimenticato come era solito trattare con lei: seri quando lei si divertiva, prendersi gioco quando lei diventava seria e potenzialmente più omicida del solito. Se fosse un metodo che funzionava o meno, non l’aveva mai realmente capito.

«Restare qui tra voi? Non mi era nemmeno passato per l’anticamera del cervello. Ma visto che ho l’onore di un tuo invito, tanto per sapere, cosa ci sarebbe da fare qui? A parte giocare alla baraccopoli naturalmente.» le rispose, senza darsi pena di attenuare il tono ironicamente divertito.

L’espressione di lei si indurì, dandogli conferma che, se non altro, aveva colpito a segno, ovunque fosse esattamente l’obbiettivo, perché ancora non gli era affatto chiaro.

«Era naturale che tu, così come ti sei ridotto stando tra gli umani, non potessi capirlo da solo. Non hai visto, forse, passando con Badlands tra noi? Credi forse che saresti arrivato fino a qui tranquillamente, se non ti ci avesse condotto Badlands? Ma, come pensavo, sei rimasto completamente cieco. Stiamo costruendo qualcosa di grandioso, qui. Non avevi mai visto tanti lupi tutti insieme nello stesso posto, tutti uniti. Hai idea di che cosa sia, di quanto siamo potenti? Fino ad ora tutti noi non abbiamo fatto altro che vagare per il mondo come dei diseredati. La cosiddetta libertà altro non era che strisciare nell’ombra, saltare fuori ogni tanto a procacciarci qualcosa da mangiare, magari rubandolo agli esseri umani, come se avessimo bisogno di dipendere dalle loro briciole o dai loro scarti, e poi tornarcene nell’ombra, nel nostro isolamento auto-imposto.» iniziò a declamare lei.

«Sarò cieco, allora, ma non abbastanza da non vedere che cosa c’è realmente qui.» la interruppe Danny. «Ho visto un accampamento che riutilizza pezzi di scarto umani, e si appoggia a dei ruderi umani. Vi siete sistemati come se foste umani, ma in infime condizioni. Cosa sarebbe? Una specie di “ritorno alla natura” a dimensione di mezzo lupo e mezzo umano? Elettricità e acqua raccolta, e non oso immaginare dove prendete il cibo. Andrete come minimo nella spazzatura, a meno che – cosa che non ho ancora avuto modo di controllare – non sia sparita qualche gallina da qualche pollaio della zona ultimamente, o non ci siano stati furti nelle macellerie di Tairans. E poi cosa? Non mi dirai che cacciate nel bosco. Decine e decine di lupi che si nutrono della selvaggina di questa macchia di selva? No. Forse andate a fare la spesa a Tairans? Avete trovato un lavoro giù in città? C’è il gruppo di addetti all’approvvigionamento che riscuote un regolare stipendio, per caso?»

Stavolta, si rese conto, stava riuscendo particolarmente bene nell’infastidirla, notò dalla sua espressione irritata e sempre più pericolosa. Forse stava giocando col fuoco fin troppo, ma non sembrava lei l’unica colpita dalle sue parole. Lo sguardo  di Badlands aveva iniziato a scurirsi, e gli altri lupi intorno sembravano a disagio.

Poi Mara sembrò riprendersi abbastanza da assumere un contegno noncurante e superiore, quello che le era più tipico. «Queste sono sciocchezze, dettagli momentanei. Vorresti forse suggerire un modo migliore di riuscire a tenere tanti lupi insieme nello stesso posto? E dove mai saresti andato tu, se avessi mai avuto l’idea di fare lo stesso, e io ne dubito seriamente? Nelle fogne magari. Qui non siamo certo nascosti, qualunque umano abbastanza stupido da passare di qui e facendo abbastanza attenzione potrebbe trovarci. Sarebbe peggio per lui, s’intende. Ma gli umani sono così infinitamente stupidi! E noi? Dov’era finito il nostro orgoglio? Siamo più veloci degli esseri umani, più resistenti, più forti… in tutti i sensi, siamo molto di più! Possiamo correre come lupi, possiamo uccidere come lupi. Possiamo ingannare la loro vista e raggirarli, possiamo passare in mezzo a loro senza che nemmeno se ne accorgano, infiltrarci nelle loro vite come più ci piace. Fin’ora lo abbiamo fatto per nasconderci. Bah! Non meritiamo di vivere così. Meritiamo molto di più, perché possiamo prendercelo. E lo faremo!»

«Ah sì? E come?» domandò Danny, mantenendo il tono di provocazione aperta, sperando di indurla a continuare e a scendere nei particolari. Ma il suo era un tentativo disperato, e lo sapeva.

La vide infatti sorridere con aria saputa e divertita. Se non altro, era quasi meno inquietante di vederla nella sua versione invasata come se credesse nella sua attuale “Grande Causa Suprema”.

«Perché dovrebbe riguardarti, esattamente, Danny? Tu di solito li difendi gli esseri umani. Ma noi, li cancelleremo dalla faccia del mondo. Perché possiamo farlo!» gli rispose solo lei.

Lui la guardò, e con la coda dell’occhio fu sollevato di vedere che persino Uther, immoto e assente come era apparso fino a quel momento, aveva alzato un sopracciglio nel sentire quelle parole.

Allora Danny rise brevemente. «Oh, certo. Mi sembra giusto. Perché non possiamo buttarci in un dirupo? Dopotutto: possiamo farlo!»

Ormai tutto quello iniziava a sembrargli una parodia mal riuscita di un delirio da conquista del mondo.

Mara sbatté un pugno per terra, gesto stranamente poco controllato e decisamente troppo poco omicida per essere lei, registrò Danny en passant.

«Continui a non capire. Gli esseri umani ci hanno cacciato per anni, sono loro che hanno cercato di far sparire i lupi dalla faccia della terra, che cercano di conquistare il mondo e di renderlo a loro dimensione. Ora li ripagheremo della stessa moneta. Ma noi, a differenza loro, e perché siamo ben più forti di loro, andremo fino in fondo. Sono il nostro unico vero nemico, e sono il nemico di tutta la terra. Faremo un favore a tutti quanti, accidentalmente. Ma, quello che conta, è che ci libereremo di loro, cancelleremo ciò che ci hanno fatto e spazzeremo via ogni altro loro tentativo di ferirci, ucciderci, eliminarci e torturarci, di studiarci e segregarci, di far diminuire le nostre prede e sparire le nostre case, di costringerci a rubare loro il cibo che rinchiudono nelle loro maledette proprietà. C’è un’unica grande proprietà, ed è la nostra! E lo scopriranno presto sulla loro pelle.»

Danny ne aveva abbastanza di sentire osservazioni sensate che giungevano a soluzioni aberranti, di conquista del mondo e sterminio travestiti da liberazione e rivolta, se non aperta vendetta. Se non altro, gli era passata qualsiasi voglia di fare notare a Mara che proprio così facendo si stava dimostrando più simile ad un essere umano vero e proprio di quanto potesse credere. Lei non parlava di battaglia, ma di eserciti che muovevano guerra allo scopo di uccidere un’intera specie indiscriminatamente. E lì intorno a loro c’era la prova. Lui non aveva mai creduto alle ‘fasi critiche di passaggio necessarie alla grande causa finale e definitiva e risolutiva’. Quella era roba da religione, con tanto di premio ultraterreno. Poi, davvero si poteva pensare di discutere sensatamente con lei? Oh beh, lui avrebbe potuto passare ore a spiegare perché sarebbe risultato completamente inutile.

«D’accordo.» si ritrovò a dire, senza che le sue parole potessero risultare in alcun modo meno ironiche di quanto erano «Vedo che avete un programma piuttosto impegnato per i prossimi secoli. Quindi, penso che toglierò il disturbo e…»

«Che vi avevo detto?» lo interruppe Mara, guardandolo come se lui avesse appena dimostrato nel migliore dei modi una sua teoria, e rivolgendosi agli altri lupi. Non aggiunse altro per un po’, ostentando nei confronti di Danny il suo essere escluso dalla complice comprensione che si supponeva lei condividesse con gli altri lupi suoi accoliti.

«Allora vattene, Danny. Hai fatto la tua scelta. Non mi sarei aspettata diversamente da uno come te. Ma ora possono credermi completamente anche gli altri. Ne ho dato a tutti chiara prova. E non tornare qui. Perché se tornerai, non ti sarà permesso di andartene via illeso. Ti è chiaro?» gli disse ancora Mara, con tono che suonava quasi rituale. «Queste sono le regole per tutti, qui. Ogni lupo può venire una volta a vedere che succede, e andarsene completamente illeso. Ma potrà tornare solo per restare qui, con noi o contro tutti noi.»

«Cristallino.» ribatté Danny «Ma non dovete andare in ansia per nulla. Non ci tengo a tornare. E me ne vado subito, non preoccupatevi. Uther, andiamo?»

Mentre le sue prime parole erano state accolte con la freddezza che sembravano essere decisi a rivolgere a ogni provocazione da parte sua, non che si fosse permesso di essere proprio provocatorio come avrebbe saputo benissimo essere d’altro canto, le ultime sembrarono lasciare tutti di sasso. Tutti tranne Mara. Badlands era sorpreso, gli altri lupi erano raggelati come se pensassero che avesse appena commesso un passo falso fatale, ma lei sembrò di nuovo pienamente soddisfatta. Sorrise, sinistra e altera, e rise appena.

«Cosa ti fa pensare che lui voglia venire via? Credi forse che sarebbe qui vivo e vegeto se non glielo avessi permesso? Non hai sentito cosa ho detto prima? Nessun umano può entrare qui e uscirne sulle sue gambe, ma lui è mio ospite. Perché ha capito i suoi errori e ciò che tu ti rifiuti così ostinatamente di cercare di capire. Ha capito che i lupi sono qualcosa di meglio, di superiore degli esseri umani. Io credo che sarebbe un ottimo lupo, a differenza di te, Danny.»

Danny dovette radunare tutte le sue forze per restare fermo e relativamente calmo. Ma ancora più che le parole di Mara, a colpirlo seriamente e malamente era il fatto che Uther non si stesse muovendo. Non poteva distogliere gli occhi dal tenere sotto controllo Mara per guardarlo direttamente, e con la coda dell’occhio poteva solo distinguerlo ancora seduto di fianco a lei, ancora immobile, anche se gli sembrava si fosse fatto più attento e rigido che mai. No, non poteva guardarlo ora, né cercare di capirne di più. Ancora non aveva chiaramente idea di che cosa accidenti stesse succedendo in generale lì o in particolare a Uther, ma gli era più che mai chiaro che ora come non mai dovevano andarsene, immediatamente.

«Onestamente, Mara, non mi importa di che cosa pensi tu a proposito di chi sarebbe un buon lupo. Ah, no, in effetti non mi importa cosa ne pensi di qualsiasi cosa. Io me ne vado e Uther viene con me.» e alzò un braccio, avendo cura di muoversi abbastanza lentamente da non allarmare i lupi. Lo alzò davanti a sé e sporse sommariamente la mano in direzione di Uther, dandoli segno che lo stava aspettando.

Pur senza distogliere il vigile sguardo da lei, la sua espressione si addolcì e così il suo tono, segno inequivocabile che non era più a Mara che si stava rivolgendo ora.

«Tu lo sai, non è vero, che senza di te non me ne andrei mai?» mormorò, appena abbastanza forte affinché lo sentisse il diretto interessato, e per forza di cose anche i lupi dall’udito molto più sviluppato.

Mara strinse le labbra e la sua espressione diventò seriamente infastidita, ma nonostante ciò non si mosse. Fece per voltarsi verso Uther, ma nemmeno lei poteva lasciare Danny senza contatto visivo di vigilanza.

Poi, dopo qualche lungo minuto di silenzio e immobilità, vi fu un movimento.

Uther si alzò in piedi, senza fretta. E fu senza fretta che si mosse, avvicinandosi a Danny, fermandosi di fianco a lui, con grande calma e tranquillità.

Mara sembrò colpita, ma non abbastanza indisposta quanto Danny si aspettava da lei. Né era rimasta senza parole. «Pensavi forse che lo avessimo rapito, Danny?» gli disse, retoricamente «Ma ora sei tu che lo stai ricattando sulla tua vita.»

«Come ho già detto… non mi importa di ciò che pensi, Mara. Addio.» disse Danny, e si mosse a sua volta.

Scelse la direzione opposta da quella da cui era arrivato, perché dall’altra parte della radura non c’era l’intera baraccopoli piena di lupi da attraversare. Ebbe cura di fare un giro largo attorno al gruppo intorno al falò e di passare a buona distanza da qualsiasi altro gruppo o singolo lupo che si trovasse nella radura, i sensi massimamente allerta per sentire se qualcuno di loro tentava di avvicinarsi. Uther camminava di fianco a lui, mantenendosi al passo, sostenuto, ma che avevano cura di non affrettare. Girare le spalle a tutti quei lupi era già rischioso, sebbene in teoria nessun lupo attaccasse alle spalle un altro lupo, ma dare l’impressione di fuggire poteva rivelarsi un invito a nozze per chiunque avesse voluto aggredirli.

Si erano già allontanati di diversi metri dal falò, quando Danny sentì di nuovo la voce di Mara, alta per farsi udire chiaramente forse non solo da lui ma in tutta la radura e da tutti i lupi.

«E ora cosa farai, Danny-boy? Andrai a chiamare aiuto? I tuoi famosi colleghi? Chiamali pure! Noi, qui, non vediamo l’ora di accoglierli!» e rise forte. Ma poi, dal momento che Danny continuava a camminare senza voltarsi e dando l’impressione di ignorarla, parlò ancora.

«E cosa farai col tuo protetto? Pensi di legarlo da qualche parte? Perché sarà lui a voler tornare da noi, credimi. Persino lui si è reso conto di che razza di lupo non sei.»

Danny si bloccò sul posto e girò su se stesso quasi in un unico movimento, e si immobilizzò di nuovo, fissandola a distanza come se stesse per mettersi a correre verso di lei, gli occhi che mandavano lampi che si trovarono incontro il sorriso soddisfatto di lei.

Subito dopo, sentì una forte e decisa presa sul braccio, e quasi sussultò.

Poi si ritrovò a guardare Uther, di fianco a lui. Lui non sorrideva affatto. Serio e in qualche modo stranamente tranquillo nella sua ferma sicurezza, disse solo una parola.

«Andiamo.»

Danny rimase a guardarlo per qualche lungo istante, sorpreso. Era la prima volta che lo sentiva parlare da quando lo aveva trovato lì, e quasi non ci credeva, per qualche motivo. Poi, però, intese il  senso della sua unica parola, e il significato in essa riposto. Gli stava decisamente sconsigliando di cogliere quella provocazione come un buon motivo per gettarsi ciecamente a fare il kamikaze.

Annuì, semplicemente e brevemente. E senza degnare di un’ulteriore sguardo Mara o gli altri lupi, si voltò di nuovo, e riprese a camminare, con Uther a fianco.

Ben presto si ritrovarono immersi nel bosco, la cui oscurità di fogliame e tronchi tagliò via di colpo il bagliore del falò che si erano lasciati alle spalle.

Fu allora che Danny si riprese abbastanza da realizzare qualcosa di perfettamente sensato da fare a quel punto, e fu lui stavolta ad afferrare brevemente Uther per un braccio. L’altro lo guardò in segno di risposta e per dargli attenzione.

«Sarebbe meglio correre ora. Non sono sicuro che non ci inseguiranno. Ma se riusciamo a mettere un bel po’ di distanza da loro, mi sentirei molto meglio.» gli disse.

Uther scosse appena la testa. «C’è sempre qualcosa per cui correre, eh?» lamentò sardonico.

Nonostante tutto, Danny sorrise. «E’ proprio così.» disse solo.

Entrambi iniziarono a correre allora attraverso il bosco.

Avevano parecchia strada da fare e un giro lungo per poter tornare verso Tairans passando lontano da quella macchia di bosco e i suoi dintorni. Non che questo li avrebbe potuti mettere proprio al sicuro, ma Danny non avrebbe osato sperarlo nemmeno quando fossero stati in città. Non aveva dimenticato tutto quell’odore di lupi in quelle strade. Ma là avrebbero potuto perlomeno riposarsi.

L’alba non era molto lontana, ma la notte era ancora lunga.

 

 

* ‘datemi una leva e vi solleverò il mondo’ è una frase che la leggenda attribuisce ad Archimede di Siracusa (che, figuratevi, assolutamente non sto a spiegare chi era qui, ma se proprio non ne avete la più pallida idea c’è almeno la wikipedia per questo)

 

 

Soundtrack: She wolf (Shakira)

 

 

Note dello scribacchiatore:

Qualcuno/a di voi starà già pensando, forse, che rispetto alla prima storia dei ‘4 di picche’ qui ci sia ben poco di misterioso, dopotutto sembrerebbe che il “nemico/pericolo” sia ormai bello che svelato (e siamo “solo” al capitolo 8). Tuttavia, altro è ancora da venire… (come direbbe forse il Conte, con un accenno di mistero solenne diciamo… e solo poi si scopre se non è magari tutta scena) ;p

Con massima sincerità, confesso che nemmeno stavolta ho trovato il tempo di auto-revisionarmi il capitolo da solo per bene (e ce ne sarebbe bisogno invece, credo, visto che scrivo parecchio velocemente e talvolta semino inciampi vergognosi anche solo linguisticamente parlando), solo una rilettura molto rapida… mah, spero bene, e se così non fosse mi scuso…

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** 09 - It has been lost in the words ***


Capitolo 9

(IT HAS BEEN LOST IN THE WORDS)

 

Erano quasi arrivati a Tairans ormai, e il silenzio tra loro non aveva ancora l’aria di poter essere rotto da un momento all’altro. Tutt’altro.

Danny ci aveva sperato per la maggior parte del tempo, e ancora stentava a lasciar andare quella magra speranza: che Uther parlasse per primo. Ma dopo tutti quei chilometri percorsi a piedi, lo scorrere di quei lunghi minuti, e tutta quella strada, ora che non c’era nemmeno più la scusante di non potersi distrarre e di dover prestare la massima attenzione ai rumori intorno poiché il pericolo di essere attaccati andava svanendo – con sollievo dopotutto – giacché erano ormai arrivati in prossimità della città, dove meno conveniva ai lupi attaccarli come Danny poteva ben immaginare, quella speranza era ormai bella che pronta per un funerale.

Si erano limitati a camminare, e a stare con occhi e orecchie ben aperti, a mantenere un buon passo e i sensi all’erta, a scegliere accuratamente la strada da percorrere. In quello erano riusciti bene. Ma il perché e il percome si erano cacciati in quella situazione dove era necessario farlo, Danny ancora non poteva spiegarselo.

Forse, si disse infine, dopo aver provato e riprovato e scartato nella sua testa un numero infinito di possibili frasi con cui iniziare una conversazione, similmente ad uno scrittore in crisi che cerchi disperatamente un buon attacco, forse era semplicemente da lì che doveva iniziare, dopotutto.

Sospirò prima di rendersene conto, ed ebbe la sensazione di essere fatto oggetto da Uther di una rispettosa spiata di sottecchi. Ma comunque, l’altro non disse nulla, e Danny si rassegnò a iniziare per primo.

«Allora… è stata un’idea di Kumals?» gli chiese.

Uther lo guardò per un momento, appena un po’ perplesso e forse addirittura – ma Danny non ci avrebbe giurato – appena divertito quasi «Cosa?»

«Dico…» proseguì lui, che avrebbe preferito un’immediata comprensione e una successiva spiegazione rassicurante e sensata, quanto quella di cui aveva estremo bisogno al momento «…andare là in mezzo a loro. Una specie di infiltrarsi? Per vedere cosa succedeva, cosa stanno architettando là?»

Sembrò che Uther si prendesse qualche istante per riflettere. Poi disse «Non credo che Kumals sappia cosa sta succedendo qui.»

Danny trasecolò e si ritrovò a voltare il capo verso di lui, estremamente sorpreso e quasi incredulo. «Kumals non lo sa?! Kumals non sa qualcosa? Qualcosa come questo?»

Uther sorrise appena tra sé e sé, abbassando un po’ il viso verso terra «Eh, sì, so che sembra strano. Ma dopotutto, si trova dall’altra parte dell’oceano. E, ogni tanto, penso che anche lui possa avere qualche limite. Per quanto possa non piacergli affatto doverlo ammettere.»

«Quindi…» cercò di proseguire Danny. Ma la voce gli mancava e la gola gli si era fatta secca, come se le parole si rifiutassero di uscire.

Passò qualche lungo istante di silenzio, e stavolta, non solo Uther si guardò bene dal romperlo, ma sembrava tutt’altro che incoraggiante a proseguire una qualsiasi conversazione ora. Decisamente, era tutt’altro che intenzionato a facilitargli le cose. Per un lungo istante, Danny lo detestò. Poi, iniziò a intuire che aveva ben altri motivi, in quel frangente, per avercela con lui. Ma tentò di trattenere il più possibile la rabbia dalla sua voce, di assumere un tono abbastanza neutro almeno.

«Cosa stavi facendo là?». La domanda suonò comunque brusca.

Non giunse risposta. Proseguirono per qualche passo, poi Danny non resse più, e si fermò sul posto. Uther proseguì per qualche passo poco più avanti, poi si fermò anche lui, ma rimase voltato, dandogli le spalle, la testa leggermente abbassata.

Danny si sforzò di ritrovare in qualche modo la forza di parlare.

«Stavi facendo da solo, non è vero? Ti sei reso conto che c’erano degli strani movimenti… e tutta quella strana atmosfera che c’è in città… e allora ti sei messo ad indagare da solo. Ti sei infiltrato da solo, senza avvertire nessuno di noi. Per scoprire prima cosa succedeva. Non è così?»

In qualche modo, il suo tono aveva acquisito, senza che lui lo volesse ma senza che potesse ignorarlo, una sfumatura quasi apertamente disperata verso la fine. Come se fosse alla ricerca di un appiglio.

Forse anche Uther l’aveva colta, perché si girò a guardarlo. Lo fissò per alcuni lunghi istanti, dando l’impressione di studiarne bene l’espressione. E alla fine disse «Qualcosa del genere.»

Danny tornò a respirare, senza essersi reso conto di aver trattenuto il fiato. «Qualcosa del genere!» ripeté, ironico ma in qualche modo gentilmente, distogliendo lo sguardo, a disagio per un momento. «Qualcosa come infiltrarsi in mezzo ad un branco di lupi semi-impazziti, di una follia molto simile a quella umana checché ne dicano o pensino o si presumano, e che odiano gli esseri umani e ne professano la distruzione. Beh, mi sembra un piano…»

«Terribile?» gli venne in aiuto Uther, con un pallido sorriso, incoraggiante.

«Sì.» replicò subito Danny, tornando a fissarlo, stavolta duramente. «Hai idea di che cosa un lupo possa fare?»

«Conosco te…» ribatté piano Uther, ma mentre già gli occhi di Danny si allargavano come se gli avesse dato uno spintone, si affrettò ad aggiungere «Ma tu sei molto diverso da loro.»

Danny scosse un poco la testa e distolse di nuovo lo sguardo, l’espressione amareggiata. «Tu credi? Perché questa differenza, a volte, mi sembra tutta relativa. Non sono anch’io un lupo? Non mi hanno reso loro… una di loro… ciò che sono? D’accordo, il resto è tutta farina del mio sacco. Tuttavia…»

«Tuttavia tu sei diverso da loro.» lo interruppe Uther, con tranquilla sicurezza.

Danny tornò a guardarlo.

«E credo di saperne abbastanza, per dirlo. Quello che so, tanto mi basta. Quello che ho visto di loro, tanto mi basta. Forse non è qualcosa di così difficile da vedere. Ma è una differenza sostanziale. Nemmeno tu la puoi negare, per quanto puoi mettertici d’impegno. E poi tu…» e Uther esitò per qualche istante, come ri-soppesando le sue parole, poi sorrise un poco «…per caso hai tutta quest’intenzione di distruggere l’umanità, o piani del genere?»

Danny sorrise a sua volta, cogliendo lo scherzo. «Beh, sai, a volte…» accennò ironico.

«Oh, a chi non capita di trovarsi tutto preso dalla pura misantropia, qualche volta almeno?» ribatté Uther, ammiccante «Ma tu esageri, eh? Tu devi per forza detestare anche tutti gli altri lupi, vero?»

«Giusto per sicurezza.» replicò Danny, mantenendo lo scherzo. «Non che loro non facciano del loro meglio per farmi arrivare a questo punto…»

Uther prese un lungo respiro «No, non posso metterlo in dubbio.»

Danny rifletté rapidamente qualche istante, anche perché ora si sentiva decisamente più vitale e lucido, come se una pesante coperta opprimente gli fosse finalmente stata tolta di dosso. Poi disse «Non pensi che ora sia il caso di avvisare Kumals

Uther lo guardò. «Ti ha mandato lui?»

«Eri sparito.» replicò ragionevolmente Danny «E lui è, per l'appunto, dall’altra parte dell’oceano. Altrimenti, credo proprio che sarebbe venuto a strangolarti con le sue mani. Spero che non te la prenderai con lui per questo, per non esserti venuto a strangolare di persona.» celiò.

«Sai… credo proprio che gli farò una scenata. Così, tanto per gusto.» disse invece Uther, strizzandogli brevemente l’occhio «Comunque, sì, tanto vale dirglielo. Anche questo sarà un bel momento. Qualcosa che gli è totalmente sfuggito, a parte io? Oh, sarà memorabile…»

E Danny scoppiò a ridere di gusto, mentre ormai, avendo ripreso a camminare, entravano nelle strade addormentate di Tairans, e la sua risata risuonò cristallina nel silenzio della notte, mentre Uther sogghignava di concerto con soddisfazione.

 

***

 

Uther dormiva ancora, rannicchiato sul divano del vecchio appartamento dove avevano vissuto lui e Kumals.

Danny lo guardò per qualche momento, in piedi nella stanza che fungeva in un tutt’uno da salotto e ingresso, immersa nella piena e calda luce del pomeriggio.

Aveva avuto modo di guardarsi intorno meglio in quella casa, da quando si era svegliato. Ma ancora aveva la sensazione di non averne visto abbastanza. Forse era solo perché, quasi inconsciamente, cercava qualcosa che la connotasse irrimediabilmente come l’ex-casa di quei due. Forse cercava di trarre da essa un’impressione, anche se fugace, di come potevano essere stati loro a quel tempo, le loro giornate lì.

Ma non vi aveva trovato nulla di particolare. Forse era per via del fatto che non la abitavano più, né loro né nessuno, da anni. Così, non c’erano oggetti personali lasciati indietro, giusto l’arredamento, e poco altro. E Uther, a quanto pareva e a quanto Danny già sapeva, sembrava sempre un accampato anche nelle case, con le sue poche cose che si portava dietro nello zaino, e quel generale modo di lasciare poche tracce del suo passaggio.

Ma qualcosa c’era, comunque. Una parete del piccolo salotto era coperta da ritagli di giornali su casi strani. Danny li aveva già letti quasi tutto, fissando le foto in bianco e nero e difficoltosamente distinguibile; cosa che faceva più che buon gioco ai racconti e cronache semi-improbabili o molto improbabili. In effetti, molti di quelli erano giornalastri che probabilmente contavano su un pubblico particolare, invasati per l’occulto, quelli che credevano negli alieni e magari sostenevano di averli incontrati (o di essere stati rapiti da loro e usati come cavie da esperimento), chi credeva nei fantasmi o ectoplasmi o roba del genere e magari partecipava alle sedute spiritiche, chi credeva nelle divinità, nei folletti, nelle maledizioni, e in chissà cos’altro ancora. Chi era sfuggito a qualche manicomio e chi, per sua fortuna non vi era mai stato “ospite” più o meno coatto. In confronto, i più moderni accoliti della Gaia Madre Terra e delle sue vendette in forma di cataclismi naturali su chi la deturpava, inquinava e uccideva, non potevano che passare per noiosi dilettanti.

Nello scorrere tutti quei ritagli, Danny non aveva potuto fare a meno di notare che non c’era traccia né accenno di qualcosa che poteva avere a che fare con lupi, o lupi mannari che dir si volesse. Al massimo qualche uomo delle nevi, o qualche ratto che aveva assunto dimensioni incredibili e guadagnato un’inquietante intelligenza a causa dei rifiuti tossici ed eventualmente radioattivi. Non aveva potuto fare a meno neanche di ridere sommessamente, leggendo alcune di quelle storie, e alcuni particolari d’esse, ed ogni volta spiava di sottecchi Uther, nel timore di averlo svegliato. Ma l’altro dormiva robustamente, a quanto sembrava.

C’era anche qualche vecchio strumento, come un giradischi abbastanza poco impolverato da far supporre – insieme a qualche vinile estratto dalla scaffali era – che Uther si fosse dilettato a far girare qualche disco in quei giorni, e cianfrusaglie tra cui alcuni strumenti che a Danny sembravano veramente degni di appartenere ai Ghostbusters, oltre a una generosa quantità di bottiglie di birra vuote sicuramente prodotte da Uther.

Danny evitò accuratamente di urtare le bottiglie vuote per terra coi piedi, mentre silenziosamente si appressava alla porta. Uther gli aveva spiegato un trucchetto per aprirla anche senza chiavi, ma considerata la situazione generale di lupi vaganti, e avendo più che seri motivi di sospettare che la sua incursione di quella notte non li avrebbe lasciati a farsi completamente i fatti loro, optò piuttosto per prendere le chiavi abbandonate dall’altro su un mobiletto accanto alla porta. Uscendo, chiuse a chiave la porta. La necessità di questa azione era più difficile da spiegare, persino a se stesso, e Danny evitò anzi in pieno di farlo. Altrimenti, sarebbe stato costretto ad affrontare anche una serie di altri dubbi che continuavano ad agitarsi nella sua testa; ma finora era riuscito a trattenerli attentamente lontano dalla consapevolezza alla quale spingevano ostinatamente per arrivare.

Non era il momento. Così si diceva ancora, mentre scendeva le scale ed usciva in strada, guardandosi intorno più attentamente di quanto dette a vedere di fare. Gli odori lì erano cambiati in quelle ore, ma lui si concentrò solo su quello di lupi, che non fosse il suo stesso odore naturalmente. Sapeva bene che gli altri suoi consimili non avrebbero avuto problemi a seguire il suo odore fino a lì, e a sapere esattamente dove si trovava, se anche non fossero ormai già stati in grado di seguire l’odore di Uther.

Il suo fine naso gli rivelò che apparentemente non v’erano tuttavia stati movimenti di lupi molto più recenti di quelli che aveva già sentito la sera prima, e questo in parte lo tranquillizzò e in parte lo inquietò maggiormente. Una maggiore attesa significava che stavano pianificando meglio, che ci stavano riflettendo, più che li avrebbero lasciati perdere.

Oh, dubitava fortemente che lei avrebbe lasciato perdere così facilmente. Forse avrebbe lasciato perdere lui, dopotutto, e si sarebbe accontentata di averlo scacciato a quel modo dal suo territorio, dal suo villaggio, dai suoi grandiosi piani completamente folli. Ma riguardo a Uther…

Danny prese fiato, deglutì e socchiuse gli occhi, scuotendo un poco la testa tra sé e sé, completamente disinteressato ad eventuali sguardi che gli potevano stare rivolgendo i passanti. Ormai l’aveva capito che lì a Tairans un giovane ragazzo vestito da punk non poteva passare così inosservato. Ma adesso c’era dell’altro. Non era solo il fatto che al momento dovevano interessargli, e preoccuparlo, molto di più le attenzioni e i movimenti dei lupi, piuttosto che quelli degli esseri umani. No, non solo.

C’era un fastidioso sospetto acquattato da qualche parte nel suo istinto, anche se assai meno difficoltoso da ammettere degli altri. Il sospetto che tutto quel circolare di lupi in città, stesse facendo abituare gli esseri umani. Proprio così, persino gli uomini, ormai così cacciati e lontani dalle dimensioni dell’istinto, non potevano svincolarsi comunque da quello di sopravvivenza. E l’istinto di sopravvivenza accendeva la scintilla del loro migliore fuoco.  Non quello che qualche loro antenato doveva aver scoperto quando il mondo era già vecchio e l’essere umano ancora un poppante, ma quel fuoco che era, forse, la qualità più vincente degli esseri umani. Una spiccata capacità di elaborazione ragionata e istintiva assieme delle qualità di adattamento. E quasi niente come il pericolo di essere mortalmente attaccati poteva accendere una simile scintilla.

In strade in cui circolavano lupi sotto sembianze umane, gli esseri umani dovevano aver intuito o percepito qualcosa, qualcosa che non tornava, qualcosa di strano. Specialmente in una cittadina così  relativamente banale e tranquilla come Tairans. Qualcosa come degli individui strani, fin troppo, fin troppo allarmanti, in qualche maniera così inconscia che probabilmente nessuno di loro avrebbe mai saputo dire di che si trattava, pur spremendosi le meningi. Quelle potevano dopotutto usare gli esseri umani, non certo il fiuto. Nella loro ignoranza, sentivano comunque il pericolo che circolava in mezzo a loro. E l’unico senso che si era acutizzato  in loro, dunque, era il sospetto e la diffidenza. Cose che Danny poteva perfettamente far concentrare su di sé, per il suo essere nuovo, fuori contesto, e tutto il resto, dall’abbigliamento al comportamento noncurante e scostante.

Avrebbe potuto cercare di mimetizzarsi meglio, forse, e forse poteva risultargli molto conveniente. Qualcosa in lui, sulla sua pelle, bruciava appena, come un avvertimento: era la cicatrice lasciatagli dallo sparo di Uther, anni prima, quando lui era inseguito da una folla inferocita di esseri umani ai quali aveva sottratto qualcosa da mangiare trovandosi alle strette, e anche, doveva pur ammetterlo, per divertirsi un po’. Gli abitanti di Tairans non avevano l’aria abbastanza contadina e battagliera da far pensare che potessero essere pronti a gettarsi a breve in un inseguimento di massa, armati di torce e forconi. Ma ci sarebbero potuti arrivare, col tempo. E allora, non avrebbero usato torce e forconi, tanto più avessero intuito a cosa davano la caccia. Ognuno di loro poteva essere tacciato di essere un lupo travestito, la pecora nera nel branco delle pecore bianche immacolate che diventava lupo ai loro occhi. Niente di nuovo sotto il sole. Gli esseri umani diventavano feroci in maniera diversa dagli animali selvatici, una ferocia perversa, cattiva e morbosa. Esseri impazziti che si creavano le loro stesse divinità e le impersonificavano.

Ma Danny non aveva intenzione di restare a guardare finché Mara non fosse riuscita a scatenare tutto quello. Una carneficina tra uomini e lupi, mandandoci di mezzo esseri umani e lupi comuni. Sempre splendide trovate aveva avuto lei. Già, lui lo sapeva molto bene. Ma ora, stava decisamente esagerando.

Sospirando appena, cercando di sdrammatizzare, Danny si avviò allora alla più vicina cabina telefonica, rassegnandosi a fare una chiamata che sarebbe stata alquanto difficile.

 

***

 

«Danny… aspetta… aspetta solo un momento…»

Al solo udire Kumals assumere quel tono, il ragazzo sentì uno sgradevole brivido freddo scendergli lungo la schiena, e fu in qualche modo grato della notevole distanza che li separava, perché già solo la voce era sufficiente. Kumals era decisamente in procinto di alterarsi sul serio. E lui poteva capirlo, ma non aveva mai trovato un valido modo con cui placarlo, ad essere del tutto sinceri.

Perciò restò in ubbidiente silenzio, suo malgrado, lasciando il tempo a Kumals di raccogliere la sufficiente pazienza per proseguire. Gli avrebbe lasciato volentieri tutto il tempo del mondo, considerata la situazione.

«Dunque…» riprese Kumals, a fatica, cercando con ogni sua forza di dominarsi «Ricapitolando. Mi stai dicendo che hai trovato Uther che giocava al campeggio in piena notte con un branco di lupi come te, completamente fuori di cervella, che progettano di conquistare il mondo iniziando da Tairans??»

Kumals non ce l’aveva proprio fatta fino in fondo, e sul finire della frase aveva iniziato a urlare, costringendo Danny ad allontanarsi un poco la cornetta dall’orecchio e tagliandogli via dal viso ogni ombra di magro sorrisetto sarcastico nel sentire così riassunta la vicenda.

Fu il suo turno di raccogliere calma e coraggio. «Precisamente, sì. Anche se non sono proprio sicuro che Uther stesse effettivamente giocando a…»

«E allora cosa diavolo ci faceva là?!» Kumals gridò di nuovo.

«Ecco… io… io credo proprio che si fosse infiltrato per indagare da solo su che cosa stessero pianificando e…»

«Vi ha dato di volta il cervello?!» lo troncò brutalmente Kumals.

«Kumals, senti io non…» tentò Danny, ora un poco risentito.

«No, ‘Kumals’ un accidenti! Infiltrato! Da essere umano in un branco di lupi folli che vogliono ucciderli tutti. Ma che piano geniale! E mi chiedo quali preziosissime informazioni potrebbe aver mai raccolto, visto che a te, appena ci hai messo piede, hanno spiattellato tutto. Guarda, Danny, tu per caso ritieni che Uther sia un completo idiota?»

«Cosa?» replicò lui, cercando di sentirsi più confuso di quanto realmente riuscisse a quella domanda «No. Ma perch…

«Allora…» il tono di Kumals si era fatto decisamente gentile e affabile, in quella maniera terribilmente sinistra e inquietante che Danny ormai conosceva bene, ma alla quale era impossibile abituarsi al punto di smettere di temerla, e lui avrebbe quasi preferito sentirlo continuare a urlare «Mi potresti spiegare cosa realmente stava facendo laggiù il nostro caro, carissimo Uther? A meno che non sia uscito completamente di senno dall’ultima volta che l’ho visto. Il che è tecnicamente possibile, beninteso, e sicuramente vedrò di accertarmene appena sarò lì, a costo di aprirgli la testa con le mie mani, magari.»

Danny soffocò prepotentemente un leggero tremito e si ricompose il più possibile «Io… io non lo so… cosa ci faceva. Credevo di saperlo ma…» e gli mancarono le parole. Odiò Kumals per un breve e intenso momento, perché stava spalancando la porta e infrangendo la diga che lui aveva così faticosamente costruito e mantenuto per tenere lontano da sé quei dubbi.

Stavolta, il tono di Kumals suonò decisamente e onestamente più tranquillo. «D’accordo. Lasciamo stare per il momento. Ora, ascoltami attentamente. Ti dirò esattamente cosa ritengo di vitale importanza che tu faccia da questo momento in poi.»

«Hum… ti ascolto… » riuscì a rispondere Danny, non particolarmente rassicurato.

«Assolutamente niente, di niente, di niente.» sancì Kumals.

«Ah.» fu tutto ciò che riuscì a dire inizialmente Danny «Ma quel che vuoi dire è che… Cioè, credo che francamente, vista la situazione, sarà un po’ difficile…»

«Quella era la sostanza. Adesso discenderò nei particolari.» annunciò Kumals, e il suo tono si fece così lento e preciso nello scandire ogni singola sillaba, che avrebbe potuto urtare i nervi di un eremita in odore di santità «Ora tu, Danny, metterai giù questo telefono, tornerai in casa, prenderai Uther, e non mi importa se sta dormendo o qualsiasi altra cosa stia facendo, e lo trascinerai al telefono, e ti assicurerai, richiamandomi e poi passandomelo, che parli con me. Una volta che io avrò parlato con lui, lo riporterai a casa e ce lo terrai, e non mi importa con che mezzi, con qualsiasi mezzo a tua disposizione, perché bada che per quanto mi riguarda riterrò lecito qualsiasi modo. Entrambi non metterete becco o piede fuori da lì, finché non sarò arrivato. E intendo tutto questo nel senso più letterale di quanto riesci ad immaginare. Non mi importa se digiunerete, o se quello andrà fuori di testa per la mancanza di birra. Legalo, mettilo sotto sonniferi, non mi importa. Se proprio devi uscire per il cibo, fallo ora e poi mai più, e solo, assolutamente solo tu! E non farti coglionare, perché quell’altro là, in quanto a evasioni, ne sa una più del diavolo. Oh, e se qualcuno di quei lupi gira da quelle parti, non degnatelo assolutamente di niente, non fatevi nemmeno vedere. Se cercano di entrare, tienli fuori, anche qui non mi importa come. Molotov, pistole… ciò che ritieni opportuno purché sia atto allo scopo. E sempre senza uscire. Se danno fuoco al palazzo, rifugiatevi nelle fogne, barricatevi da qualche altra parte, non mi importa come diavolo…»

«Va bene… hem, Kumals, credo di aver afferrato il concetto…» lo interruppe pacatamente Danny, troncando il modo in cui la voce di Kumals si era fatta gradualmente incalzante e piuttosto animata.

«Molto bene. A questo punto, mi rimane un’ultima cosa da chiederti.» aggiunse Kumals.

«Ovvero?»

«Danny, conosci qualcuno di quei lupi?» gli domandò, con la massima serietà.

Danny chiuse gli occhi per un momento e si maledì mentalmente. Non sapeva nemmeno più bene per che cosa di preciso, ma sentiva il bisogno di maledirsi da solo e ripetutamente.

«Bene. Di chi si tratta?» chiese ancora Kumals, interpretando più che correttamente il suo silenzio «Parlamene di uno alla volta, riassumi ma dimmi tutte le cose essenziali e ogni particolare.»

Danny si appoggiò con pesantezza al telefono. «Perché ti serve saperlo?»

«Per una serie di motivi che, credimi, preferisco non elencare ora.» ribatté concisamente Kumals, con voce dura.

«Uno solo di loro. Una. Si chiama Mara.» buttò fuori Danny, quasi senza rendertene conto.

«Mara e poi?»

«Come?» si stupì Danny «Non ho idea del suo cognome, non me l’ha mai detto. Sai, i lupi non…»

«D’accordo, allora, dimmi tutto ciò che sai di lei, dall’inizio, e compreso cosa ha a che fare esattamente in questa storia, fino a che hai potuto capirne, intuirne, sospettarne, e via dicendo.» lo invitò Kumals, sempre con grande serietà.

Danny sospirò e chiuse di nuovo gli occhi, deglutendo. «Quanto tempo hai, esattamente?» domandò, con voce bassa e difficoltosa.

Sentì lo scricchiolio di una sedia in sottofondo dall’altra parte della cornetta, e poi la voce, più vicina di quanto potesse immaginare che riuscisse a renderla un apparecchio telefonico.

«Tutto il tempo che occorrerà…» rispose gentilmente Kumals.

 

 

 

 

 

Note dello scribacchiatore:

Il senso del titolo, ‘it has been lost in the words’ (letteralmente: è andato perduto nelle parole) - ammesso che sia in inglese abbastanza corretto dal momento che tendo ad essere fin troppo “creativo” a volte nell’uso dell’inglese... hem… - si riferisce al soggetto ‘il senso’… cioè, il senso (di tutto ciò) è andato perso nelle parole.

Non posso esimermi dal dire che apprezzo sempre e comunque il modo in cui il personaggio di Kumals riesce a incutere timore ;) Persino al telefono. Se non fosse bastato il capitolo con Justin a rimarcarlo già… ma Justin è fin troppo facilmente terrorizzabile…

Per finire, scusatemi se ci sono erroracci… purtroppo il tempo di rileggere con la dovuta calma e pazienza e concentrazione spesso mi manca, nel caso, come sempre, chiedo venia.

Al prossimo capitolo!

 

Colonna sonora consigliata (ammetto, in questo caso, scelta abbastanza a caso da una mia playlist che ascoltavo mentre scrivevo il capitolo tempo fa): Make me smile (come up to see me) – Steve Harley à per la prima parte del capitolo in particolare.

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Capitolo 11
*** 10 - Le bugie hanno le gambe leste ***


Capitolo 10

(LE BUGIE HANNO LE GAMBE LESTE)

 

Danny rientrò in casa e trovò il divano vuoto. Per un lungo momento fu preso dal serio timore che Uther se ne fosse andato, ma prima che potesse chiedersi perché mai fosse precisamente quello il suo primo sospetto e la sua maggiore paura, sentì dei rumori provenire dalla cucina.

Si affacciò sul piccolo e stretto cucinotto dell’appartamento, appoggiandosi allo stipite piuttosto pesantemente.

Uther, a quanto sembrava, stava pensando bene di bere sia una birra che un caffè, visto che, davanti al piccolo tavolo quadrato davanti a cui era seduto, c’erano entrambe le bevande, una tazzina piena del liquido scuro e odoroso e una bottiglia di birra aperta.

Lui stava sfogliando quelli che sembravano vecchi giornali ingialliti, ma alzò immediatamente lo sguardo su Danny, e se inizialmente la sua espressione sembrava tutto sommato tranquilla e amichevole, si fece subito piuttosto preoccupata e attenta.

«E’ successo qualcosa?» gli domandò.

Danny impiegò qualche istante per concentrarsi. Per un momento era stato distratto dal vedere l’altro in quella modalità casalinga, tanto da risultargli quasi surreale. In parte doveva essere per il fatto che si era disabituato a vedere praticamente quasi chiunque dei suoi ex-colleghi in quella modalità, fatta eccezione per la parentesi di quei giorni a Castle MacHearty in cui si erano tutti pigiati nella casa di Yuta e Zoal. Era poi sempre stato un po’ difficile sorprendere Uther in una qualche modalità domestica. E poi, c’era pur sempre il fatto che si ritrovavano tutt’ora barricati in un appartamento, a pochi chilometri da un accampamento di lupi che progettavano una sottospecie di conquista del mondo. Ma si ritrovò anche a chiedersi se l’altro, così rilassato nella sua tenuta a petto e piedi nudi e con solo i jeans addosso, fosse dello stesso avviso, e quanto realmente si sentisse come un barricato circondato da lupi impazziti.

Corrugò per un momento la fronte, poi scosse appena la testa, decidendosi a rispondere in tono abbastanza neutro e tranquillo «No, niente di particolare…»

Sospirò, e si sedette al tavolo di fronte a lui, dopo essersi brevemente soffermato presso il fornello a vuotarsi una tazza di caffè, e dopo aver arraffato un pezzo di pane un po’ vecchio e un barattolo di salsa aperto dal frigo. A quanto pareva, quello era tutto ciò che c’era in dispensa in quel momento, a parte pochi altri avanzi.

 Questo gli ricordò che avrebbe dovuto presto provvedere a rifornirsi di altro cibo, dal momento che, stando a Kumals, avrebbero dovuto aspettare il suo arrivo senza mettere nemmeno la punta del naso fuori dalla porta. Quello che avrebbe veramente voluto trovare, al momento, era un modo per comunicare quel particolare a Uther. Dubitava seriamente che l’altro sarebbe stato tranquillamente disposto a seguire quelle istruzioni.

«Ah. Quindi… tutto a posto là fuori?» gli domandò ancora Uther, non particolarmente convinto.

Danny gli lanciò solo un brevissimo sguardo, tornando poi ad abbassarlo sul cibo e sul caffè. Forse avrebbe dovuto approfittare di quella lieve insistenza per dire di più. O per domandare a sua volta. Se poteva essere vero quello che diceva Kumals, e ciò per cui lui stesso non riusciva a fare a meno di tormentarsi, sicuramente avrebbe potuto fare molte domande.

Lui però non era bravo negli interrogatori stringenti, non quanto Kumals sicuramente, posto che considerava assai arduo arrivare anche solo vicini a eguagliarlo. Inoltre… beh, quello era Uther. Una di quelle persone che possono diventare in un attimo così abilmente sfuggenti, che il loro potrebbe essere tranquillamente considerato un vero e proprio talento.

Non riusciva a trovare una sola domanda, di quelle che avrebbero potuto essere sul serio significative o interessanti, alla quale poteva sperare che lui non cercasse di sfuggire. Non gli aveva praticamente mentito, fino a quel momento? Non esattamente, forse.

Tornando lì, dopo la fine della telefonata con Kumals, si era rigirato in testa la loro breve conversazione avvenuta durante la notte, dopo che se ne erano andati dall’accampamento dei lupi. Uther non gli aveva esattamente mentito, più che altro ‘gli aveva lasciato credere che’. Era lui che aveva iniziato con una chiara supposizione, che aveva continuato su quella sua idea del perché l’altro si trovasse in quell’accampamento. Lui che aveva iniziato così perché forse… forse aveva bisogno di crederci.

«Danny…

Alzò lo sguardo, focalizzandolo di nuovo su Uther, senza rendersi conto dell’ombra scura contenuta nella sua stessa espressione prima di vedere l’altro stupirsene.

«Stavo pensando. Scusa.» rispose, cercando di assumere un tono e un contegno almeno un poco più tranquilli. «Comunque, no, non ho visto nessun lupo là fuori.» rispose, decidendosi ad essere, se non inquisitorio, almeno esplicito e diretto, mentre i suoi occhi non potevano fare a meno di studiare le reazioni espressive dell’altro alle sue parole «Ma certo non saranno lontani. Il loro odore è forte, quasi ovunque. Posso sentirlo molto chiaramente, ma è così… impregnato, in queste strade, che sarebbe difficile capire se sono passati di qui ieri o qualche ora fa. E potrebbe essere tranquillamente anche entrambe. D’altro canto, sanno che siamo qui, per loro non sarebbe difficile trovarci seguendo le nostre tracce odorose.»

Si interruppe brevemente, per dare maggiore risalto all’ultima frase. Forse no, dopotutto non avrebbe fatto domande dirette. No, avrebbe parlato lui. «Se già non sapessero che tu stai vivendo in questa casa, cioè.»

Se prima lo sguardo di Uther era rimasto tutto sommato moderatamente impassibile, benché attento, ora vi fu un brevissimo e fugace strappo in quella neutralità. Cosa che soddisfece Danny, ma non abbastanza. Certo, Uther lo conosceva da abbastanza tempo da poter comprendere in un attimo che lui poteva anche risalire, dalle tracce di odore, a quel particolare.

Danny tacque, e aspettò che fosse l’altro a dire qualcosa. Sentiva quasi un senso di sfida dentro di sé, e non aspettava altro che osasse dire ancora qualcosa di mistificante, perché se solo lo avesse fatto, gli sarebbe bastato quel breve passo falso per procedere con un affondo verbale. Voleva solo uno spiraglio, un punto debole, da cui iniziare a metterlo alle strette. Era il suo istinto di caccia, sicuramente. Ma anche qualcos’altro, decisamente. Iniziava a rendersi conto appena, e a dover iniziare ad affrontare, il fatto che si sentiva arrabbiato e ferito, nei suoi confronti, anche se era ancora troppo complicato capire esattamente il perché o il percome.

Lo osservò concentrare lo sguardo sul ripiano del tavolo, ostentando una certa calma riflessività, ma lo vide anche prendere la bottiglia di birra e tirare un lungo sorso, forse per prendere tempo, o forse per nervosismo, che d’altra parte non mostrava in altro modo.

Certo, lo sapeva che non era affatto così semplice mettere Uther alle strette.

«D’accordo… giusto. Logico. Sanno bene dove siamo.» convenne Uther, come se stesse pretendendo di non aver capito o sentito nell’aria, se non direttamente dal suo tono e dai suoi modi, e potendosi basare sulla conoscenza che aveva di lui, che quella conversazione non poteva essere un semplice confronto tattico e un fare il punto della loro situazione di eventuale pericolo imminente.

A dire la verità, notò meglio Danny, con crescente irritazione a stento soppressa, non sembrava nemmeno particolarmente allarmato. Pareva, anzi, che quasi volesse assecondare la preoccupazione di lui, come se non riguardasse entrambi. Era qualcosa di puramente assurdo, questo, per Danny. Certo, i lupi erano tanti, e c’era lei… Mara… Ma sicuramente lui, in quanto lupo, e in quanto vecchio conoscitore di Mara, o almeno di ciò che in lei non era cambiato, era quello che poteva almeno sperare di potersi difendere ben meglio di Uther.

«Allora, cosa pensi che sia meglio fare?» gli domandò Uther.

Danny trasecolò per un momento, e si rese conto di essere stato lui, ora, a mostrare una leggera debolezza, per il semplice fatto che si era fatto sorprendere da quella domanda netta. Uther lo stava guardando con pacifica fiducia e sincero interesse, e dal momento che il suo sguardo aveva quasi sempre un qualcosa di anche appena ironicamente divertito, come se in fondo trovasse sarcastica la vita in sé, era pressoché impossibile estrapolare se ora avesse quella sfumatura anche per qualcos’altro. Lo guardava, ad ogni modo, come se fosse pienamente disponibile a valutare, e propenso ad accettare, la sua opinione.

Come a sottolineare quest’ultima impressione che dava, o forse, anche quasi come per venirgli incontro, visto che Danny non stava rispondendo subito e mostrava ancora una certa sorpresa, aggiunse «Sei tu l’esperto di lupi qui, no?»

E gli sorrise amichevolmente e gentilmente.

Per un lungo momento, Danny fu combattuto tra l’idea di staccargli la testa e l’impegno a trattenersi dal sorridere a sua volta di rimando. Se c’era un momento nella vita in cui qualche lupo deve dimostrare di essere più imparentato coi cani, piuttosto che con certi gatti disposti a fare le fusa alla minima carezza ruffiana, quello doveva certamente essere il suo.

Deglutì, si concentrò, inclinando le sopracciglia in un deciso cipiglio quasi severo, e si sforzò di rispondere. In fondo, non doveva nemmeno prendere una vera e propria iniziativa per stendere un piano…

«Restare qui dentro. Sempre e comunque. Non mettere nemmeno un dito fuori. Magari potremmo rinforzare la porta, almeno durante la notte. La notte senza luna… è abbastanza vicino. In ogni caso, per allora sarà già arrivato.» rispose.

Stavolta, fu Uther ad apparire incuriosito e un po’ perplesso per un momento. «Arrivato…

E fu qui che Danny dovette ammettere a se stesso che, per quanto lui potesse sentirsi in difficoltà, c’era sempre un nome che bastava citare per finire per mettere in difficoltà l’altra persona. Curioso come, di solito, l’altra persona in questione, capace di impallidire al solo suono di quel nome, fosse solitamente Justin…

«Kumals.» annunciò, con tranquillissima nonchalance, bevendo un sorso di caffè, e iniziando poi a sbocconcellare il panino che aveva confezionato nel frattempo. Anche se non si fosse sprecato a lanciare solo un brevissimo sguardo di conferma all’altro, avrebbe potuto sentirne l’umore cambiare nell’aria della stanza.

Uther sussultò appena, mettendo quasi in pericolo il suo equilibrio sui due piedi di dietro della sedia, sui quali si stava dondolando da un po’, e si dimenticò persino di finire il gesto con cui stava per bere dalla bottiglia di birra l’ennesimo sorso. Sì, decisamente ora Danny aveva visto incrinarsi di molto, anche se per breve, il suo modo di pretesa tranquillità.

«Kumals…» ripeté Uther, dopo lunghi istanti di silenzio, come se fosse così occupato a riflettere su così tante cose, da trovare difficile o superfluo dare un vero e proprio accenno d’interrogazione. Oppure lo stava volutamente evitando.

Danny, però, aveva deciso che al momento la cosa migliore da fare era evitare il più possibile passaggi troppo complicati come quello di capire ciò che Uther cercava di non dire. Ora aveva una sequela precisa di commissioni nella sua testa. E la prima di esse, arrivati a questo punto, quasi lo deliziava, specialmente per il modo in cui aveva appena deciso di comunicarla all’altro.

«A proposito. Ti vuole parlare. Ora. Al telefono che c’è giù.»

Stavolta Uther cambiò posizione. Riappoggiò a terra tutti e quattro i piedi della sedia, e incrociò sommariamente le braccia appoggiandole sul tavolo, dopo aver lasciato perdere la bottiglia di birra definitivamente.

«Ah sì?» domandò, il tono tutt’altro che evasivo ora, ma molto serio e intento, quasi di sfida, e lo sguardo non da meno, puntato su Danny che ora a sua volta era ben deciso a mostrarsi tranquillo, e che infatti si limitò ad annuire, rimanendo apparentemente concentrato con soddisfazione su ogni singolo morso che strappava alla sua colazione.

«Credevo che avessi appena detto che non dobbiamo uscire da questa casa.» disse ancora Uther.

Danny alzò lo sguardo su di lui e sorrise, in qualche modo candidamente. Il ché per un momento gli ricordò sinistramente i modi di Kumals…

«Oh, ma per lui possiamo fare un’eccezione, solo per stavolta.» rispose, con tranquilla sicurezza.

Se avesse dovuto trascinare Uther al telefono, ora pensava che avrebbe quasi potuto farlo, se fosse stato necessario. Forse Kumals aveva ragione, dopotutto. D’altro canto, le chiavi di casa erano ancora nella tasca dei suoi pantaloni, e se Uther avesse voluto provare a scagliarsi fuori da quella stanza in quel momento, avrebbe dovuto prima farsi crescere le ali e imboccare la finestrella alle sue spalle, perché lo spazio era ben stretto e tra lui e la porta era seduto Danny.

Più tardi, in un qualche più tardi, forse Danny avrebbe cercato sul serio di provare a capire come si trovassero a quel punto. Ma per il momento, gli bastava il modo in cui ora Uther lo stava fissando.

Sì, Kumals era sempre un ottimo modo per fregare qualcuno, persino a distanza, persino indirettamente. E Danny avrebbe giurato sul fatto che se solo l’uomo avesse saputo di quella conversazione, probabilmente si sarebbe praticamente commosso, perché non s’era mai visto Uther sembrare così preoccupato dal fatto di dover semplicemente affrontare una chiacchierata telefonica con lui.

 

***

 

Dopotutto, non era stato necessario trascinare di peso Uther al telefono. Tuttavia, Danny aveva continuato ad adottare la sua personale tattica. Era infatti rimasto per tutto il tempo appoggiato al muro accanto alla porta, giochicchiando con le chiavi dell’appartamento facendole tintinnare mentre se le passava tra le dita di una mano. I suoi occhi seguivano quasi distrattamente i movimenti dell’altro.

Uther si era preso il suo tempo. Si era fatto una doccia, sparendo in bagno per un po’, prima di passare in camera da letto, e poi di nuovo in salotto, mentre si rivestiva, il tutto fermandosi di tanto in tanto a sistemare qualcuno delle sue poche cose che si portava dietro, o per dare un sorso alla sua bottiglia di birra già aperta.

Danny non aveva d’altro canto mostrato alcun segno di fretta o insofferenza; a suo modo, anzi, si stava godendo quelli che riteneva una serie di tentativi di prendere tempo per arrivare ad affrontare Kumals il più tardi possibile, da parte di Uther.

Quando quest’ultimo si fermò di fronte alla porta, con aria perfettamente tranquilla, Danny continuava a sorridere tra sé, e proseguì con quell’espressione mentre entrambi uscivano e scendevano le scale fino in strada. Una volta lì, Danny indicò con un cenno della testa a Uther la direzione della cabina telefonica più vicina, ed ebbe cura di seguirlo; no, non era ancora così stupido da lasciarlo camminare alle sue spalle, dove avrebbe potuto dileguarsi.

Pur sentendosi sgradevolmente un cane pastore, piuttosto che un lupo, condusse Uther scortandolo a quel modo fino alla cabina telefonica. Inserì lui le monete, e compose il numero. E quando Kumals rispose, fece giusto appena in tempo a dirgli un ‘Sono io’, che già l’altro gli stava rispondendo.

«Alla buon’ora. È sempre un problema usare il telefono con voi, eh?»

«Sei rimasto ad aspettare accanto al telefono, eh?» sogghignò appena Danny, cercando di sdrammatizzare.

«See… va bene, va bene. Fatti da parte e passamelo, per cortesia.» ribatté Kumals, il tono che si faceva già significativamente più serio.

Danny non aggiunse altro, si limitò a voltarsi verso Uther e a porgergli la cornetta, studiando la sua espressione attentamente ma cercando di non darlo particolarmente a vedere. D’altra parte, l’altro mostrava ancora una grande tranquillità, e si limitò a prendere la cornetta come se si trattasse di una cosa qualsiasi. Tuttavia, non appena ebbe impugnato il telefono, prima di portarselo al telefono si fermò un momento a guardare Danny in modo significativo, come in attesa di qualcosa.

Danny comprese, e, suo malgrado, si allontanò di qualche passo. Si appoggiò al muro dell’edificio, incrociando le braccia, ma non si risparmiò dall’osservare bene Uther, per seguire bene le sue espressioni. O almeno, quella era la sua intenzione, non particolarmente celata. Ma Uther gli girò le spalle, portandosi la cornetta all’orecchio, celandogli così ogni possibilità di interpretazioni.

Come tutti loro ben sapevano, Danny aveva un udito particolarmente sviluppato, e naturalmente tese ancora più le orecchie – in quel caso solo metaforicamente parlando – per non perdersi una sola parola. Purtroppo, da parte di Uther il dialogo si mantenne per tutto il tempo molto scarso, ridotto al di sotto dei minimi termini.

Tutto ciò che Danny gli udì dire, durante la telefonata che durò per ben un quarto d’ora – il che per Uther rappresentava un tempo record di conversazione telefonica, furono quasi esclusivamente le solite banali parole minime: dai ‘sì/no’, con qualche raro sbilanciamento in cose come magari qualche ‘assolutamente no!’, fino a ‘ti stai sbagliando’, o ‘non è esattamente così’, persino un ‘non credo di potertelo spiegare’, e ancora qualche ‘non è il momento per parlare di questo’. In effetti, erano più che altro negazioni.

Il fine udito di Danny era però anche in grado di captare il tono di Kumals dall’altra parte della conversazione, anche se non di distinguerne le parole, tanto più perché per la maggior parte del tempo non fece che urlare, portando Uther ad allontanarsi un po’ la cornetta dall’orecchio in qualche occasione in cui le urla scaturivano particolarmente di  colpo e alte. Di tanto in tanto, però, il tono di Kumals si abbassava, e Danny non riusciva più a sentirlo, ma immaginava fossero i momenti in cui Kumals cercava di apparire più comprensivo o inquisitorio, o probabilmente entrambe le cose.

Conoscendo Kumals, era difficile poter dire quale dei suoi toni potesse risultare più micidiale.

E quando alla fine Uther salutò molto brevemente, in tono asciutto, e mise giù il telefono, Danny rimase di nuovo ad aspettare. Lo udì emettere un sospiro. Poi Uther si passò una mano sulla faccia, alzò lo sguardo da qualche parte, davanti a sé e su niente in particolare, e alla fine si voltò verso di lui.

Era sicuramente meno tranquillo di prima, e a quanto pare Kumals era almeno riuscito a togliergli dalla faccia quell’espressione di forzata noncuranza; ma Danny non preferiva affatto questa espressione. Sembrava in qualche modo consumato, e profondamente stanco, come se da giorni fuggisse da una schiera di demoni che gli davano la caccia, e nemmeno quando pensava di essere riuscito a nascondersi per un momento poteva trovare pace, perché probabilmente era allora che riscopriva di essere molto capace di darsi la caccia anche da solo.

Danny deglutì appena, perché se era vero quello che intuiva in quello sguardo, era perché quelle erano sensazioni che gli erano ben più che familiari. E se dapprima lo sguardo dall’altro, pur nel voltarsi, sembrava ancora un po’ assente, ora che si focalizzava meglio su di lui, assumeva altre sfumature. Per un momento, Danny ebbe l’incisivo dubbio che Uther lo stesse guardando come se lo stesse sfidando: era questo ciò che volevi ottenere? E davvero non ne sai qualcosa anche tu, di questi modi di essere, di sentirsi?

Pochissimo dopo, però, Uther stava scuotendo appena la testa, come a scacciare qualche pensiero, e socchiudendo gli occhi, un cenno di sorrisetto sogghignante sulle labbra. E di nuovo sembrava aver recuperato la sua modalità più tranquilla e svagata, almeno in apparenza. Oh, ma la sapeva interpretare davvero molto bene.

Danny continuò a non dire nulla, aspettando ancora. Prima o poi avrebbe dovuto dire all’altro che dovevano tornare subito dentro all’appartamento. Ancora non percepiva un pericolo fisicamente imminente. Non c’erano lupi nelle immediate vicinanze, eccetto che per lui. Ma l’odore che impregnava tutta la strada non gli avrebbe permesso di dimenticarsi di loro nemmeno se avesse voluto. E non aveva alcuna intenzione di portarsi dietro Uther nell’andare a procacciarsi altri alimenti. Qualsiasi cosa Uther gli avesse detto o avesse fatto, a questo punto, non riusciva a immaginarsi un modo di procedere più infallibile di quello che gli aveva impartito Kumals. Non se la sentiva di rischiare. Non quando si trattava di Uther.

Questi ora cercava qualcosa di complice in lui, nel modo in cui lo guardava. Ma dopo pochi momenti, registrando probabilmente la serietà della sua espressione e l’assenza di cenni di complicità che ricambiassero il suo sguardo, sembrò arrendersi rapidamente. Gli si avvicinò di qualche passo, e gli parlò.

«Non è che avresti qualche moneta da prestarmi? Vorrei fare un altro paio di telefonate, prima di tornare a casa. A quanto pare, non potremmo contare sul telefono per un po’, non è vero?»

Danny si stupì. Tutto si aspettava, ma non che Uther si mostrasse così ragionevole e bendisposto, specialmente non appena dopo quella che doveva essere stata una lavata di capo da primo posto in classifica di quelle di Kumals. Ma si affrettò a riprendersi, ad annuire, e confermare.

«Sì, certo…» mormorò, sicuramente persino più arrendevole di Uther, traendosi di tasca tutta la moneta che aveva.

Uther lo ringraziò con un breve cenno della mano, quindi tornò verso la cabina telefonica mentre sondava la tipologia e quantità delle monete che aveva raccolte nel palmo della mano, scegliendo quelle da usare. Ancora in buona parte sorpreso, Danny lo guardò comporre un altro numero e aspettare risposta.

Il tono con cui sentì parlare ora Uther lo lasciò ancora più di sasso. Sembrava allegro e realmente felice, chiunque stesso sentendo, a giudicare dal modo in cui, benché sempre mai troppo generoso di parole, salutò e iniziò a chiacchierare amabilmente, ridendo un poco qui e là, sogghignando, e premurandosi di chiedere come stava questo e quell’altro.

Poi Danny iniziò a capire, non appena alcune parole in particolare iniziarono a farsi strada nel suo cervello. Era abbastanza sicuro di aver sentito nominare una certa Raj…

Dopo un paio di minuti di amichevole chiacchierata, soprattutto da parte dell’altra persona, Uther confermò i suoi sospetti.

«Ma sì, certo, è qui di fianco a me.» lo sentì dire Danny «Vuoi salutarlo? Certo, te lo passo.»

E Uther lo guardò e porse la cornetta verso di lui. Danny alzò appena un sopracciglio.

«E’ Yuta.» lo informò.

Danny avrebbe davvero voluto salutarla, ma non credeva che sarebbe riuscito a svolgere una normale, tranquilla e accattivante telefonata con lei in quel frangente. Sospirò tra sé e sé brevemente.

«Salutamela molto…» si ritrovò a dire, suo malgrado «Ma dille che la chiamerò in un altro momento.»

Uther lo studiò per qualche breve istante, ma alla fine sembrò accettare il suo rifiuto, perché si riattaccò la cornetta al telefono e spiegò a Yuta che Danny in quel momento non poteva parlare, scusandolo meglio di quanto non avrebbe saputo fare lui stesso, prima di continuare brevemente la conversazione.

Quando Danny lo vide riattaccare, dopo aver salutato e promesso che si sarebbe presto fatto vedere andandola a trovare, tirò un mentale sospiro di sollievo. Tutta quella faccenda stava iniziando a innervosirlo un po’ più di quanto già non si sentiva, il che era notevole.

Ma vide Uther contare di nuovo i soldi attentamente, e infine sollevare lo sguardo verso di lui.

«Solo un’altra chiamata, poi andiamo, d’accordo?» gli chiese.

Danny si limitò ad annuire, e l’altro se lo fece bastare a quanto pare, perché riprese in mano la cornetta, infilò altre monete, e compose un numero che copiò da un foglietto che si era estratto di tasca. Danny ebbe per un breve momento l’impressione che ci fosse qualcosa di particolarmente familiare in quello, ma non fu che un fugace istante e un’ancora più fugace impressione, poi era già di nuovo attento alle parole di Uther.

Stavolta fu sempre lui a iniziare con tono simpatico e amichevole la conversazione, ma sembrava che avesse meno confidenza di quanta volesse pretenderne. Si aveva l’impressione che dall’altra parte non ci fosse tutto quell’entusiasmo. Uther dovette innanzitutto dire il suo nome praticamente all’inizio della chiamata. Dopodiché, la conversazione sembrò procedere stentatamente, almeno fino a quando Danny non lo udì menzionarlo di nuovo.

«Danny? Sì, è proprio qui di fianco a me in questo momento. Come? Certo, te lo passo, aspetta solo un istante che lo chiamo…»

Nuovamente, lo vide staccarsi la cornetta dall’orecchio e guardarlo, ma stavolta nel suo sguardo c’era qualcosa di appena diverso. Prima che riuscisse a interpretarlo, e mentre già la sua espressione si faceva più corrucciata, lo udì però pronunciare quel nome.

«E’ Andrea.»

Trasecolò così tanto che per poco non perse l’equilibrio. L’istante successivo stava guardando Uther, e cercando nel contempo di riaversi. Due cose difficili da fare contemporaneamente, da qualche ora a quella parte.

«Le dico che la richiami o…?» accennò Uther, e la sua espressione e il suo tono erano davvero incredibilmente calmi e candidi.

Danny lo detestò profondamente, ma prima che potesse quasi rendersene veramente conto, era balzato in avanti, aveva afferrato la cornetta quasi strappandogliela di mano, e stava tamponando energicamente con l’altra mano la parte del ricevitore in cui si parlava.

«Il numero. Come lo hai avuto?» gli sibilò, trapassandolo con lo sguardo.

Uther alzò le spalle, con fare ancora suppergiù tranquillo, come se niente fosse. «L’ho trovato in casa. Era appoggiato sul mobile dell’ingresso… Devi esserti svuotato le tasche appoggiando le cose lì.»

Danny gli dedicò solo un altro breve sguardo di fuoco, prima di affrettarsi a parlare al telefono.

«Andrea, davvero, io…» e poi si bloccò, rendendosi conto che non sapeva da che parte iniziare.

«Ciao. Io sto bene. Spero anche tu.» gli giunse il tono di lei, per un momento davvero più distaccato, con evidente forzatura, di quanto potesse renderlo una conversazione al telefono.

«Quindi, l’incarico in questione riguardava Uther?» proseguì, decisa.

Danny sospirò profondamente, e appoggiò la fronte al telefono, ricordandosi in tempo che non poteva permettersi di chiudere per un attimo gli occhi. Le sue pupille tenevano d’occhio di sbieco la sagoma di Uther, distanziatosi da lui di pochi passi, dando l’idea di volergli lasciare ogni spazio di conversazione intima possibile. Lo avrebbe strangolato, pensò, ma solo dopo.

«Sì.» ammise, quasi un lamento.

«Hmmm…» la sentì mugugnare pensosamente dall’altro capo del filo. Iniziava ad aspettarsi il peggio, ma quando lei riprese a parlare, aveva un tono sciolto e scorrevole, o che almeno voleva esserlo.

«E di che si tratta, esattamente? Se puoi dirmelo.» gli domandò. Non sembrava nemmeno ironica o arrabbiata. Aveva un che di più preoccupato, ora, di sospeso.

Lui sospirò di nuovo, soppesò tra sé e sé, e infine si decise.

«Si tratta del fatto…» iniziò, e si voltò a guardare Uther, per essere certo che lui lo stesse sentendo «che Uther era sparito, dopo essersi fatto ospitare da Kumals in un vecchio appartamento che lui possiede ancora, in cui avevano vissuto insieme per un po’ di tempo, qualche anno fa. Kumals era preoccupato che gli fosse successo qualcosa, e mi ha mandato a cercarlo. Sembrava che non ci fosse da preoccuparsi particolarmente. Lui fa spesso così, ogni tanto sparisce senza avvertire. Ma l’ho trovato in mezzo a dei lupi… lupi come me. A quanto pare, erano tutti intenti a chiacchierare insieme accanto ad un falò, di notte, in mezzo alla boscaglia. L’ho portato via di là. Ora, se tutto va bene, quei lupi in questione non saranno così interessati a darci la caccia. Cosa per la quale,d’altra parte, non vedo proprio che motivo dovrebbero avere, visto che io non gliene ho dati di motivi per questo.»

Alcune parti del suo riassunto erano particolarmente significativi. Alcune lo erano per Uther, che sapeva meglio com’era andata. Altre potevano essere decisamente allarmanti per Andrea. Mentre un breve silenzio seguiva le sue parole, dall’altra parte della cornetta, lui finiva di studiare l’espressione di Uther, che però si ostinava a rimanere pressoché impassibile.

L’aveva sentito, oh, eccome se lo aveva sentito, lo aveva seguito più che bene. Ma per quanto seriamente lo guardasse ora, non sembrava che in lui si stessero verificando gravi cambiamenti. In altre parole, anche quel tentativo di fargli presente non solo la situazione in cui si trovavano, ma anche quella in cui Uther aveva cacciato lui e Kumals, non sembrava capace di produrre grandi effetti. Quello in cui Danny sperava di più, ormai, era che Uther si decidesse ad esprimere almeno un qualche perché lo aveva trovato là in mezzo; qualcosa di più simile alla verità – qualsiasi essa fosse – rispetto a ciò che gli aveva lasciato supporre la notte prima.

«Stai… Danny, stai dicendo sul serio?!» arrivò infine la voce di Andrea nel suo orecchio.

Lo ferì, facendogli rendere conto più che mai di quanto essere stato (quasi) completamente sincero ora la avrebbe fatta preoccupare terribilmente. E non era ancora arrivato nemmeno vicino alla parte in cui lui, per i prossimi giorni, non sarebbe riuscito a sentirla nemmeno per telefono, verosimilmente.

«Questa è… semplicemente la verità…» le rispose. Era già stato difficile non dirglielo fin dall’inizio. Ma ora, esattamente, che motivo avrebbe dovuto avere per non farlo. Per tranquillizzarla? Lei non ci sarebbe cascata. Aveva imparato fin troppo bene, o forse aveva una dote naturale in questo, a recepire le sfumature del suo tono. Il che era un forte limite per lui, in certe situazioni come la presente.

Di nuovo, nel dire quelle parole che potevano avere un senso particolare per l’altro, aveva guardato bene Uther in faccia. Ma di nuovo, ciò non sembrava aver prodotto grandi discrepanze nella sua espressione.

«D’accordo… d’accordo… » Andrea stava cercando di assorbire e di elaborare il più rapidamente possibile, poi Danny la sentì sbottare «D’accordo un accidente! Aspetta un momento, dove ti trovi? Lupi?! Lupi come te… come quelli del sogno… lupi come… Va bene.» e qui si bloccò, con una decisione che quasi lo spaventò «Dimmi dove vi trovate. Vi raggiungo.» gli comunicò, netta e pragmatica.

Stavolta, Danny si concesse di chiudere gli occhi per un brevissimo istante; ma dovette riaprirli di scatto. Uther era ancora lì, lo stava ancora guardando, e Danny comprese un’altra cosa. Sapeva bene anche l’altro cosa stava succedendo, sapeva ormai bene che lui non riusciva più a fidarsi, e che avrebbe cercato di non perderlo di vista.

«Andrea.» la chiamò, piano, serio ma suo malgrado sofferto, dolcemente «Non voglio che tu venga qui.»

«Ascolta, non mi importa.» gli disse lei «Del pericolo eventuale, di tutte quelle cose… So che se sono con te non mi succederà niente di male. Niente che io non voglia correre il rischio. Che senso ha altrimenti? Vorresti dirmi che ora dovrei starmene qui mentre tu…»

«Sì…» la interruppe lui, praticamente supplichevole. Si rendeva conto di quello che le stava chiedendo. «Sì. Vorrei che restassi lì. Sei da tua madre, a miglia da qui. Ti ci vorrebbe tempo e io non… Vedi, abbiamo affrontato altre volte questo genere di… beh, situazioni piuttosto ingarbugliate. Tu ne hai vista una proprio alcuni mesi fa. E…»

«Oh, già. Quella dove ti sei quasi fatto ammazzare come un kamikaze, intendi?» stavolta lo interruppe lei. Ed era decisamente ironica, e quanto mai precisamente pungente.

Di nuovo, dovette resistere dalla tentazione di chiudere gli occhi, ma si morse appena il labbro. Era difficile trovare le parole adatte, a quanto sembrava. Certo, doveva aspettarselo. Da lei. Da Uther no; non che gli mettesse di fronte la trappola perfetta. Per cosa poi? Era una specie di tentativo di vendetta, visto che lui lo aveva portato a telefonare a Kumals?

«Sì, quella.» decise di tenere duro «Ma di solito non faccio così. Stavolta non ho intenzione di fare così. Questi sono lupi, come me, beh, o quasi. Capisci? Sono al mio livello. Anzi, forse alcuni di loro sono decisamente meno…»

«Ma sono di più numericamente. Hai parlato al plurale.» obbiettò di nuovo prontamente Andrea.

«Già, sì, d’accordo. Ma non abbastanza da mettermi seriamente in difficoltà. Inoltre, come ti stavo dicendo, credo che non ci sia un vero motivo per cui debbano prendersela con noi. Anzi…» e qui non poté resistere, dal momento che Uther lo stava ancora ascoltando «Si direbbe quasi che ci si possa fare amicizia abbastanza facilmente, a volerlo.»

«Danny, io non credo di poter capire tutto quello che stai dicendo, onestamente.» ammise Andrea «Ma a giudicare dal tuo tono, non mi sembra affatto una bella situazione. Quindi, se tu mi dicessi dove…»

«No.» si ritrovò a dirle Danny, seppure a fatica «Davvero, non c’è bisogno che tu interrompa il tuo viaggio e la tua visita per questo. La situazione qui è… più complicata, che pericolosa, diciamo. Decisamente assai poco pericolosa. Quasi per nulla, direi.»

«Danny…» Andrea lo ammonì, facendogli presente così che stava esagerando con troppa evidenza, e non poteva davvero sperare di dargliela a bere in quel modo.

«Bene, okay, diciamo che ancora non ho ben presente quanto sia pericolosa. Ma per ora, mi sembra che sia tutto tranquillo. Non c’è stato nessun combattimento, nessun… beh, non ho nemmeno dovuto sparare. Nemmeno i proiettili di gomma, intendo.» e sorrise appena. Ebbe la sensazione che anche lei si stesse lasciando sfuggire un sorriso.

In quel momento, si sentì un rumore automatico, e d’istinto lui si ritrovò a fissare il piccolo schermo elettronico del telefono, mentre realizzava che non aveva quasi più monete. Le aveva date praticamente tutte a Uther.

«Aspetta un momento Andrea, stanno finendo le monete…» la avvertì, mentre si girava verso Uther e nel mentre si frugava in tasca. Tutto ciò che estrasse, era qualche soldo in carta.

«No, aspetta, devo ancora capire cosa diavolo…» iniziò Andrea, ma si interruppe, sentendo in sottofondo la voce di Uther.

«Vado a cambiarle al bar che c’è qui.» si stava offrendo lui, porgendo la mano a Danny, e indicandogli con l’altra un piccolo pub dall’altra parte della strada, praticamente di fronte al telefono.

Danny esitò, e fece un rapido calcolo tattico mentale: dal telefono poteva certamente sorvegliare la porta del pub. In altre parole, se Uther fosse uscito da lì, lo avrebbe senz’altro visto e potuto bloccare in un istante. Annuì quindi, e consegnò a Uther i soldi, guardandolo sparire dentro il locale.

«Uther è andato a procurarsi della moneta…» annunciò quasi distrattamente al telefono.

«Okay. Allora, ora puoi dirmi cosa veramente sta succedendo? Che ci faceva Uther con dei lupi come te? Voglio dire, è una sua abitudine fare amicizia con altri di loro? Chi sono? E sono tutti pericolosi… voglio dire, a giudicare da te non… e tu mi hai detto che i lupi impazziti hanno poche chance di sopravvivere a lungo, se ho ben capito.» ragionò Andrea perspicacemente.

«Ancora non lo so, cosa ci faceva Uther là. A quanto sembra, non lo vuole dire. O qualcosa del genere. È una delle cose che sto cercando di scoprire. Ma… Kumals sta arrivando!» esclamò, in cerca di qualcosa di positivo e tranquillizzante «Sarà qui tra pochi giorni.»

«Oh. Davvero?» fece Andrea.

Sembrava effettivamente un po’ sollevata, e Danny ghignò appena «Hey! Ti fidi forse più di lui che di me?» domandò, provocatoriamente e scherzosamente.

«No, no…» rispose Andrea, cogliendo lo scherzo «Ma…» e sospirò, un po’ più seriamente «Forse potrebbe essere d’aiuto, no? Un bel po’ più di aiuto di quanto potrei mai essere io, a dire la verità…»

Danny corrugò la fronte. «Andrea, tu non hai idea… oh, aspetta, sono arrivate le monete.»

Uther era uscito dal pub ed era tornato da lui, sotto il suo vigile sguardo, consegnandoli le monete. Lo guardò significativamente e accennò con la testa per fargli segno che voleva dirgli qualcosa, e Danny lo ascoltò attentamente, mentre inseriva le monete nell’apparecchio.

«Ti dispiace se torno dentro? Finché ci sono, prenderei una birra, intanto che finisci di parlare.»

«Sì, d’accordo. Ti raggiungo lì.» concesse Danny rapidamente. Ormai a quanto pareva la faccenda di tenere d’occhio l’entrata del pub funzionava, e d’altro canto doveva assolutamente puntualizzare qualcosa con Andrea.

«Ascolta…» le disse «Tu saresti estremamente d’aiuto. Prima di tutto a me. E poi perché, con anche il fatto che sei appena… precipitata… direi… dentro a… questo genere di cose… beh, te la cavi molto bene. Devi avere una specie di talento naturale.» scherzò, sorridendo di nuovo, affettuosamente. A vederlo, lo si sarebbe detto probabilmente un cretino, visto che a tutti gli effetti stava sorridendo a quel modo alla porta del pub, che non smetteva di tenere sott’occhio.

Sentì un breve verso di accoglimento dell’alleggerimento del tono, dall’altra parte del telefono.

«Non sono sicura se questo possa considerarsi un complimento.» celiò anche lei «Ad ogni modo, dicevi che proprio non hai idea del motivo per cui Uther si trovasse là? E cosa ci facevano quei lupi là… ovunque sia… di notte… con un falò?»

«Non ne sono sicuro.» le rispose, cercando di non mentire più del dovuto «Credo fosse una specie di riunione… Per parlare di… “cose da lupi”? Non mi è ben chiaro. Mai visto o sentito di nulla del genere. Ma io sono stato soprattutto per conto mio.»

Andrea gli  rivolse ancora diverse domande, ma lui riuscì in qualche modo ad evitare di dirle di più, di quel che sapeva o di quello che ancora non sapeva. Certamente riuscì a evitare di rivelare che c’era in effetti un intero accampamento di lupi a pochi chilometri da lì, che sembravano intenti a progettare una sorta di conquista del mondo e di sterminio degli esseri umani o giù di lì, e che tra di loro spiccava la figura di colei che lo aveva reso un lupo. Se fosse venuto fuori anche un solo vago particolare di anche quelle cose, non dubitava che Andrea non avrebbe sentito più ragioni, e si sarebbe precipitata in aereoporto. Il dove si trovavano, in qualche modo avrebbe pur potuto scoprirlo, magari chiamando Kumals o Yuta, sempre che loro si fossero lasciati persuadere a dirglielo.

Invece, in quel modo Danny dovette solo promettere che si sarebbe fatto risentire il prima possibile, e che le avrebbe fatto subito sapere se la situazione avesse mostrato qualche sviluppo, tanto più se di natura in qualche modo preoccupante o peggiorativa.

Quando infine la salutò, e mise giù il telefono, si prese qualche breve momento di pausa. Era arduo rendersi conto di essere arrivato al punto di sentire tanto la mancanza di qualcuno, di odiare tanto il telefono e i suoi limiti comunicativi, e di non poter vedere le sue espressioni, vederla direttamente, sentire il suo odore e il suo contatto, mentre le parlava.

Poi, però, proprio mentre si accingeva ad abbandonare l’idea di poterla rivedere presto, e anche quella di riuscire a risentirla a breve, qualcosa lo ritrascinò bruscamente laddove si trovava. Passando per l’esigenza di dover fare ritorno con Uther all’appartamento e di dovercisi rinchiudere dentro, realizzò che erano passati già alcuni minuti da quando l’altro era stato sotto la sua vista.

Certo, aveva pur sempre tenuto d’occhio la porta del pub, tuttavia…

Subito dopo si stava lanciando verso il suddetto pub, nel quale fece praticamente irruzione. Si ritrovò puntati addosso gli sguardi di avventori e gestori, mentre la sua vista si affrettava il più possibile per abituarsi alla penombra dell’interno e cercava affannosamente la figura di Uther, senza trovarla.

Si precipitò al bancone e chiese di lui, iniziando a descriverlo sommariamente, anche se sapeva che non ce n’era tutto questo bisogno: non aveva visto nessun’altro entrare nel pub a parte lui negli ultimi minuti. E non appena la barista, una giovane donna vagamente allarmata dalla sua foga, iniziò a rispondergli che era andato in bagno poco fa, seguì il suo pessimo presentimento fino al bagno.

Era un piccolo bagno da pub, sul retro, e naturalmente aveva una finestra, abbastanza in alto, abbastanza piccola, sufficiente però per infilarcisi e passarci attraverso, se si era abbastanza magri e agili e dotati di una solida volontà di fuga. Uther poteva rappresentare l’insieme di tutte queste cose in un tutt’uno.

Danny si soffermò solo per un momento ad accertarsi che in effetti non ci fossero tracce di Uther nel bagno, quindi si riprecipitò in strada, e di lì corse nel vicolo sul retro. Era deserto.

Ma Danny non aveva intenzione di arrendersi così facilmente.

Alzò un po’ il viso verso l’alto, le narici già attivamente impegnate a trovare l’odore di Uther tra tutti gli altri. Era notevolmente debole, e aveva un certo sentore di sapone. Allora, realizzò perché l’altro avesse passato tanto tempo nel farsi una doccia e ripulirsi accuratamente prima di uscire, ovvero per rendere più difficile seguire la sua traccia odorosa, e perché avesse tentato di passargli Yuta, prima di andare a colpo sicuro con Andrea. Non aveva approfittato di una buona occasione, ma aveva pensato di potergli sfuggire fin dall’inizio. Ora Danny poteva anche capire che era improbabile che Uther non conoscesse fin troppo bene il più vicino locale provvisto di birra nei pressi dell’appartamento, e si poteva tranquillamente supporre che sapesse già di quella finestrella sul retro e di dove dava. Tanto più che lì vi aveva persino vissuto per un periodo, anni prima.

Danny si maledisse incessantemente, se stesso e la sua stupidità, mentre si metteva sulle sue tracce. Tracce stentate, deboli, confuse tra gli altri odori delle attività giornaliere delle persone, e tra tutti quegli odori artificiali e cittadini. Ma continuò testardamente, mentre le ore passavano, e la sera si avvicinava, e in lui si facevano strada sempre più taglienti diversi pensieri e sensazioni.

Uther aveva voluto fuggire, e le strade pullulavano qui e là degli odori dei lupi. Aveva garantito a Kumals che ci avrebbe pensato lui, anche a Uther, almeno al suo arrivo. Aveva taciuto ad Andrea molte cose, e le aveva fatto credere che la situazione non fosse così preoccupante come lei poteva immaginare anche solo sentendola accennare.

Ma forse, avrebbe dovuto piuttosto ammettere almeno con se stesso che nelle ultime ore le cose erano sempre state ad un passo dal precipitare, ed ora avevano fatto considerevoli passi verso l’abisso.

 

 

 

Note dello scribacchiatore:

Capitolo decisamente lungo!, ma proprio non sono riuscito a trovare il modo di spezzettarlo… quindi, così è! Abbiate pazienza, chi preferisce i capitoli “agili” (quasi quanto Uther) ;)

Al prossimo capitolo!

 

Soundtrack: Hanging on the telephone (Blondie)

– la tiro fuori unicamente perché siccome mi è venuta in mente a caso, ho deciso che a quanto pare la ripetizione di telefonate che coinvolgono Kumals in questa storia tanto vale che abbia la ripetizione di Blondie che canta di relazioni telefoniche :p

(sì, sicuramente ci saranno moltissime altre canzoni su telefoni e telefonate, e probabilmente anche su come impiccarsi usando il cavo telefonico, però siamo nell’epoca dei cellulari, nonostante l’ostinazione dei miei old-manners personaggi a usare telefoni fissi, e per scelta ve lo dico io! Dunque, tanto valeva metterci una old-song che conoscessi e fosse abbastanza accattivantemente in linea con un che di trash-light di tutte queste storie… direi che così ho pensato, ma più che altro non ho pensato affatto, ecco)

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Capitolo 12
*** 11 - Hungry like the wolf ***


Capitolo 11

(HUNGRY LIKE THE WOLF)

 

Era un’alba stanca e lenta, pesante come l’umidità trattenuta in una nebbia fumosa tra gli alberi e le piante del sottobosco. I tronchi sembravano colonne naturali, più scure, un esercito di fantasmi arborei, immobili e silenziosi; parevano in attesa di qualcosa anche loro. Alcune delle innumerevoli particelle di acqua fumosa si condensavano, imbrigliandosi in minute goccioline sul pelo, appesantendolo appena, sulle ciglia, rendendo un po’ più difficoltosa ancora la vista, e bagnavano il muso già umido. Ma gli odori si rifrangevano in quella moltitudine di goccioline, amplificati.

Così, lui poteva sentire ogni fragranza molto più intensamente. Accucciato ventre a terra, completamente immerso e celato nel fitto di piante basse del sottobosco, filtrava quella complessa mappa di odori attentamente, ma i suoi occhi si muovevano appena, quasi con cautela, come se il solo spostarsi delle sue pupille attente potesse produrre un qualche rumore, o qualche effetto. In un certo senso, era così. L’equilibrio era così sottile, che qualsiasi cosa sembrava poterlo infrangere echeggiando come un’esplosione.

Nonostante la sua assoluta immobilità, il tempo di appostamento che iniziava a dilungarsi lo costringevano a compiere di tanto in tanto piccoli movimenti, così pazientemente lenti che si svolgevano al rallentatore: avevano l’unico scopo di permettergli di accomodarsi meglio, e di non far troppo addormentare o tendersi fino ad un punto di rottura le sue membra già tese, pronte allo scatto da un momento all’altro. Persino le orecchie si muovevano il minimo indispensabile e con estrema cautela, gli sviluppati padiglioni auricolari che filtravano i rumori, cogliendoli tutti ma prestando attenzione e interpretazione solo a quelli che erano veramente interessanti.

Nonostante tutto quel silenzio, erano davvero tanti i rumori di creature che si muovevano nel bosco a quell’ora; un’ora di punta, per gli animali del bosco, ora di mangiare. E lui era lì appunto per quello. La sua era un’ora di caccia.

La vista era il terzultimo senso a livello di importanza; seguivano solo il tatto, con cui sentiva contro il pelo la copertura delle piante che lo celavano e la consistenza morbida, greve e umida del terreno sotto le zampe, e infine il gusto, che in quel momento assecondava semplicemente l’olfatto, potenziandolo. Ma era dopotutto con lo sguardo, anche, che teneva d’occhio il piccolo branco di cervi, intenti a brucare nella piccola radura che si apriva quasi di colpo nel bosco, di fronte a lui.

Erano poco più di una mezza dozzina di cerve, giovani maschi e qualche cerbiatto, tutti piuttosto vicini come per una regola non detta, le teste chinate sull’erba. I piccoli cerbiatti si tenevano più vicini alle madri, od occasionalmente si scambiavano tra loro qualche effusione o piccolo accenno di gioco, che moriva quasi subito, inghiottito dall’allerta che tutto il gruppetto manteneva. C’era sempre almeno una delle teste alzata dall’erba, come se si scambiassero spontaneamente turni di guardia: le teste alzate dal cibo sondavano attentamente l’aria attorno, vigili, una serie di scansione attente, pronte a individuare eventuali pericoli nelle vicinanze. Quando poi qualche rumore particolarmente improvviso, come il battito d’ali di qualche volatile o il richiamo di qualche animale squarciava il relativo silenzio come uno sparo, tutte le teste si alzavano in aria, tutte attente per un istante intenso. I cerbiatti erano anche i più nervosi in questo senso, e non solo cercavano anch’essi di stare attenti, ma allo scoppio di quei piccoli rumori le loro giovani membra avevano guizzi di nervosismo. C’era qualcosa in loro, che sembrava suggerire che anche quello fosse per loro quasi come un gioco, ancora.

Lui si chiese se avevano già avuto occasione di vedere la morte da vicino. Dopo qualche esperienza di quel genere, avrebbero un giorno dimenticato che quello poteva essere considerato anche come una specie di gioco, forse. Allo stesso tempo, quasi tutto ciò che per loro ora era considerato e agito come un gioco, avrebbe dato quelle abilità che più avanti sarebbero valse per la vita, per portarla avanti,  rinnovarla, per salvarsela.

Ad ogni modo, quelle erano solo divagazioni. Quello che gli interessava in quel momento, e che assorbiva quasi completamente la sua attenzione, non erano certo i cerbiatti. Aveva già individuato da tempo due soggetti che avrebbero potuto diventare le sue prede.

Una era una cerva particolarmente vecchia, e che allo stesso tempo non era quella con più autorità; questo ruolo era invece ricoperto da una cerva un po’ più giovane e sicuramente ancora meglio ben in forma di lei. Quella che lui stava tenendo in particolare considerazione, doveva aver superato il suo momento in cui l’esperienza e la longevità erano ancora accompagnate da almeno sufficiente prestanza fisica.

L’altro cervo che stava tenendo d’occhio era invece un maschio relativamente giovane ancora, ma che doveva aver avuto già troppi problemi: nonostante la relativa giovane età, infatti, aveva un aspetto dimesso e malaticcio, era troppo magro e con una massa muscolare molto scarsa rispetto a quella usuale dei suoi conspecifici coetanei. Da come si muoveva, stancamente nonostante stesse semplicemente brucando, e dalla relativa lentezza con cui rispondeva agli stimoli esterni potenzialmente allarmanti, sembrava indebolito e un po’ annebbiato. Oltre a questo, aveva una zampa che non muoveva bene, e dalla quale zoppicava, nonostante non mostrasse alcuna ferita superficiale evidente. Forse ci era nato con quella zampa guasta, o forse gli era successo qualche incidente da cui non si era più ripreso del tutto; forse era in qualche modo malato e non riusciva a riprendersi da troppo tempo, e non sembrava nemmeno provarci troppo, da come non sembrava così preso dal mangiare, né in qualche modo dalla socialità sebbene in quel momento ridotta ai minimi termini del branco. A differenza delle femmine più giovani e dei cerbiatti, che occupavano una posizione abbastanza centrale nella disposizione del gruppo, una posizione cioè un po’ più protetta, questo giovane maschio era in una posizione un po’ più esterna, insieme alle cerve più vecchie e senza cuccioli, e ad altri due maschi che erano più giovani di lui ma sicuramente molto più prestanti e sani.

Se avesse dovuto scegliere da solo e per se stesso, Danny avrebbe scelto decisamente quest’ultimo cervo come preda. Non era solo il membro che gli appariva più debole, e quindi più facile da abbattere, quello che avrebbe opposto meno resistenza e gli avrebbe fatto impiegare meno energie nell’inseguimento e nell’uccisione, allo stesso tempo garantendogli un pasto comunque lauto, e le maggiori possibilità di portare a termine la caccia con successo. Era questione di forza e volontà di sopravvivenza. Era come se quel cervo lo sapesse già perfettamente: sapeva della sua debolezza, del suo essere uno dei più a rischio del branco. Poteva sentire la morte vicina, da abbastanza tempo da mostrare in qualche modo un che di rassegnato e abituato in lui. Non era qualcosa che poteva assomigliare agli esseri umani, come modo. Quel cervo non era portato a chissà quali elucubrazione. Era puramente una questione di istinto.

D’altro canto, gli elementi più esposti del branco, erano anche quelli utilizzati come riferimento da tutti gli altri quando si trattava di stare in allerta nei confronti di potenziali pericoli. I membri che si sentivano più facilmente abbattibili, erano anche quelli che per natura stavano più attenti sempre, ed erano i più sensibili ad eventuali minacce; sarebbero stati facilmente i primi che avrebbero iniziato a correre per scappare, e i primi che tutti gli altri avrebbero seguito immediatamente nella fuga. Orbene, il giovane maschio malaticcio che Danny avrebbe scelto come preda però sembrava aver perso anche quella funzione, visti i riflessi troppo lenti che mostrava. Certo, anche lui sarebbe scappato come gli altri, ma giusto per istinto di reazione e per un ultimo stentato proposito di sopravvivenza, o perlomeno di non gettare la spugna fino a quel punto. Avrebbe corso più disperatamente di tutti gli altri, eppure sarebbe stato il più lento, e lui stesso lo sapeva già bene. Avrebbe bruciato in poco tutte le sue ultime possibilità, e sapeva che quel momento poteva arrivare da un istante all’altro e sarebbe stato anche il suo ultimo momento, l’ultima corsa, in cui dare tutto ciò che gli era rimasto.

Ma Danny continuava a tenere in considerazione come potenziale preda la vecchia cerva che sembrava anch’essa vicina alla sua fine, e di essa consapevole. Con la sua maggiore esperienza ed età, e le sue poche forze rimastele, dava tuttavia l’impressione di essere la più attenta ad eventuali pericoli, e la più sensibile a individuarli e reagirvi immediatamente. Lei rappresentava la prima vera e migliore sentinella del branco, e in quel senso anche Danny non poteva perderla di vista, se non voleva fallire l’attacco ancora prima di iniziarlo. Ma non solo; poteva diventare lei la vera preda della loro caccia. In parte perché la decisione non spettava solo a lui, così come la caccia non l’avrebbe fatta da solo. A decidere se alla fine avrebbe abbattuto il giovane maschio malmesso o la vecchia cerva, sarebbero state molte cose.

In primis, Mara. Lei che come lui era accucciata nel sottobosco, qualche metro più in là, come lui celata, in paziente attesa e in stringente attenzione e tensione. Lei a cui spettava la scelta primaria della preda, e che avrebbe guidato la loro caccia; lei che gli aveva insegnato e continuava a insegnarli, con le parole quando erano in forma umana, e molto più con la pratica quando erano in forma di lupo, ogni cosa della caccia e della vita nei boschi, come lupi, come mezzi lupi, sotto spoglie umane e su quattro zampe, un paio di orecchie ed una coda. Lei che era capace di trattarlo con derisione come se lo considerasse il più sciocco dei cuccioli, e con violenta riprovazione quando riteneva che stesse sbagliando o quando semplicemente la indisponeva; lei che era capace di farlo sentire – e di portarlo effettivamente – sulla cima di un’altura ad osservare dall’alto incredibili estensioni selvagge che si perdevano per miglia tutt’intorno a loro e sotto di loro, e di precipitarlo con una rapida spinta in fondo ad un burrone che avrebbe poi dovuto risalire da solo con grande fatica, mentre lei aspettava sulla sponda senza curarsene, ma dando ogni impressione di aspettarsi di vederlo tornare strisciando non tanto per l’esaustione, quanto per chiederle perdono al massimo della sua capacità di mostrare l’estremo bisogno di ottenerlo.

Al di là di tutto, Danny stava mettendo a frutto ogni cosa che aveva imparato, e si affidava all’istinto e alle lezioni passate incamerate ora, più che a lei. Qualcosa che anche le circostanze della caccia in quel momento richiedevano. Doveva essere quel tanto indipendente dallo spalleggiarla come se fossero alla pari, nel momento dell’inseguimento, come già era stato altre volte. Doveva essere abbastanza intuitivo nell’immediato da cogliere per quale delle due potenziali prede lei avrebbe optato, dopo che già lui da solo aveva ristretto il cerchio a quei due cervi, e nel momento in cui lei avesse scelto, anche lui avrebbe dovuto concentrarsi solo sulla loro unica preda, assecondarla e agire di concerto con Mara per permetterle di arrivare ad affondare i denti nella gola della vittima prescelta. Fino a quel momento, lui aveva ucciso solo piccole prede, sempre sotto l’attenta supervisione di lei, alla quale comunque spettava cibarsi per prima, secondo quanto gli aveva insegnato. Ma in caso di prede grandi, e di cacce più impegnate come quella che stavano facendo in quel momento, era Mara che avrebbe affondato i denti per prima e abbattuto la preda, oltre a cibarsene per prima.

Inoltre, non era solo Mara e nemmeno lei e lui che avrebbero scelto la preda definitiva. Potevano restringere il cerchio il più possibile e fare di tutto per mirare in specifico ad una sola preda, ma salvo casi in cui la preda prescelta era veramente così debole e in difficoltà da essere sicuramente quella che sarebbe capitata praticamente sotto le loro zanne durante l’inseguimento, era sempre meglio mantenere comunque almeno un secondo obbiettivo di riserva. Questo perché c’era sempre qualcosa che non dipendeva totalmente da loro né dalla preda prescelta.

Non esistevano ruoli fissi e predefiniti, innanzitutto. Se i cervi erano le loro prede, non era del tutto escluso che potessero, nel difendersi in modo estremo o nello spalleggiarsi tra membri dello stesso branco, diventare assassini dei lupi stessi: una cornata o un calcio di zoccolo consapevolmente o accidentalmente ben assestato poteva ferire un lupo quel tanto che bastava da rendergli dura poi riuscire ad uccidere altre prede, e quindi sopravvivere. Molti predatori, in quel senso, rischiavano una morte ben più lenta e dolorosa di quella di una preda di caccia, uccisa con un solo morso alla gola, rapidamente, ad arte predatoria. E talvolta la preda che era sembrata la più debole del branco, l’ideale da abbattere, rivelava un attaccamento alla vita e una forza e volontà di sopravvivenza così forte da scompaginare le carte inizialmente in tavola, e aprire possibilità nuove e inaspettate sul possibile esito della caccia. Danny aveva già visto qualche volta che proprio gli elementi più deboli di un branco potevano rivelarsi i più forniti di trucchi per seminare gli inseguitori; al punto che si staccavano dal branco e prendevano una strada per loro più vantaggiosa per riuscire a fuggire, ad esempio, e qualche volta riuscendovi. Se i lupi avevano l’arte della caccia e dell’inseguimento, ogni loro preda aveva la sua arte di specie e la sua personale abilità e intelligenza nella fuga.

E c’era infine la casualità, l’incidente, l’imprevedibile. Accadeva abbastanza raramente, e i predatori erano abili nell’approfittarne o nello scansarlo, a seconda che apparisse loro a proprio vantaggio o svantaggio nell’immediata impressione del momento, un gioco di istanti: un cervo perfettamente sano che scivola  e cade, perdendo tempo, o urta uno dei compagni di fuga, che nella mischia dello scatto per fuggire si ritrova in qualche modo in una posizione più svantaggiosa. Danny sapeva che c’erano persino predatori che provocavano incidenti voluti per riuscire nella loro caccia, come sfruttare certi aspetti del terreno per indurre una preda a cadere, a scivolare, addirittura a precipitare; si facevano aiutare dalle probabilità di certe condizioni che andavano a ricercare appositamente, insomma, una scommessa studiata. A dirla tutta, i lupi non erano così sottili e calcolatori, per quello che aveva potuto sperimentare lui fino a quel momento. Mara aveva ribattuto con orgoglio, una volta, che era perché non ne avevano affatto bisogno di stupidi trucchetti; e lo aveva detto in quel tono che non ammetteva replica.

Infine, c’era la morte negli occhi. Accadeva solo certe volte, quando una preda che stava fuggendo sembrava comprendere o sentire, di colpo, che non ce l’avrebbe fatta. A Danny era capitato una sola volta; lei e Mara erano molto più a nord di lì, e stavano inseguendo un gruppo di caribù che erano riusciti ad isolare, solo in due peraltro, dall’enorme flusso migratorio di centinaia e centinaia di essi che correvano tutti insieme. Era molto più pericoloso, quel tipo di caccia, e Danny lo sapeva. Era stato allora che aveva perso Mara. L’errore era stato probabilmente in buona parte suo: esaltato da ciò che stavano riuscendo a fare, e sentendosi sempre più vicino alla vittoria e all’abbattimento della preda, quando aveva visto un singolo caribù scartare improvvisamente di lato e staccarsi dagli altri, lo aveva seguito senza pensarci. Il caribù non correva abbastanza in fretta da seminarlo, ma Danny era stato così stupido da farsi ulteriormente esaltare da quel particolare, almeno finché, entrati in una gola non molto profonda e completamente ghiacciata e in buona parte innevata, il caribù vi era arrivato in fondo e – trattandosi di una gola a fondo chiuso – si era fermato e girato quasi di colpo.

Danny aveva frenato e si era fermato a sua volta, e più tardi sarebbe stato felice di averlo fatto, anche se in quel momento la sua era stata una reazione dettata puramente dallo stupore e dallo smarrimento. Non aveva mai visto prima una preda fermarsi e girarsi a fronteggiare il suo predatore e inseguitore; si aspettava con sicurezza che quel caribù, una volta resosi conto di essere arrivato in fondo ad una strada senza uscita, avrebbe disperatamente tentato di scalare la salita scivolosa di ghiaccio e neve della gola, per uscirne. Mara gli aveva persino insegnato che, se si era sicuri che la preda non potesse a quel punto scappare, si poteva aspettare prima di saltarle alla gola, lasciare che si affannasse e perdesse ulteriori forze nel disperato sforzo di trovare una via per proseguire la fuga, invano, mentre si riprendeva fiato e si studiava come meglio balzarle addosso per l’unico morso con cui la si sarebbe abbattuta; era un momento in cui si poteva assaporare la propria vittoria e guardare con soddisfazione i futili tentativi di salvarsi della preda aveva aggiunto lei, ma Danny non aveva mai compreso ancora come si potesse assaporare quel genere di momento.

Tuttavia, non aveva mai sentito di una preda che invece si gira a fronteggiare l’inseguitore. Danny non era completamente impreparato: sapeva che, come per tutte le specie dotate di corna come una delle loro migliori armi, un caribù poteva ritenere di fronteggiare un predatore per usarle contro di lui. Ma quel caribù, quel giorno, non aveva assunto la tipica posa difensiva in quel senso, con la testa abbassata, gli occhi che spiavano dal sotto in su, e le corna puntate dritte in avanti, le zampe anteriori un po’ aperte e ben piantate, le posteriori pronte a gettare in avanti tutto il corpo nella carica, i possenti muscoli di collo e spalle preparati a sollevare l’intero peso di un lupo incornato e gettarlo in aria. Non aveva mai visto un lupo colpito a quel modo, ma Mara gliene aveva parlato: si poteva essere presi dalla corna scagliati e in aria, , e una volta ricaduti a terra, calpestati dagli zoccoli o incornati più gravemente da un cervide ben intenzionato non solo a difendersi, ma ad eliminare il predatore in poche mosse, o perlomeno a fargli abbastanza male da farlo desistere dalla caccia.

Quel giorno, però, quel caribù si era girato a fronteggiarlo mostrando una determinazione così fiera e in qualche modo tranquilla, quindi sicura di sé, che Danny non aveva mai visto né ne aveva mai sentito parlare prima. Cosa si era dimenticata di dirgli Mara? O forse a lei non era mai successo niente di simile, semplicemente? Cosa aveva quel caribù di così particolare da potersi girare a fronteggiare un lupo in quel modo? Danny non riusciva a capirlo, mentre lo fissava, alla distanza a cui si era fermato da lui, una generosa distanza. Certo, era un maschio di caribù di una certa età, quindi di una certa esperienza, e ancora in forze. Pessima combinazione, e lì Danny comprese, finita l’esaltazione che lo aveva portato ad inseguirlo, che il primo errore vero e proprio era stato quello di considerare che solo perché si era distaccato da solo dal resto del piccolo gruppo in fuga, quel caribù potesse essere facile da abbattere.

Poi, però iniziò a comprendere qualcos’altro. Era quello il punto. Non si trattava del caribù, della preda; si trattava proprio di lui, di Danny. Lui che avrebbe dovuto essere quello che aveva inseguito quel caribù fin in quel vicolo cieco, improvvisamente non sapeva bene che fare, perché già da prima non sapeva bene cosa stava facendo. Non era stato lui a spingere il caribù a infilarsi in un vicolo cieco, ma era stato il caribù a farsi inseguire fin lì; le chine della gola non rappresentavano per quel caribù un ostacolo alla fuga, ma una protezione, ovvero, ciò che gli copriva le spalle e i lati, e ciò contro cui avrebbe potuto chiudere lui stesso Danny se avesse provato ad aggirarlo, ciò contro cui avrebbe potuto tenerlo con le corna e farcelo sbattere lanciandolo. L’unica via di fuga era alle spalle di Danny, ma al momento non era più chiaro chi dei due avrebbe dovuto usarla, specialmente quando il caribù sembrava avere tutta la pazienza del mondo, per aspettare che Danny si stancasse e si girasse, andandosene e rinunciando.

Danny iniziò a capire altre cose, o meglio, a sentirle ad istinto; era quello il modo in cui imparava maggiormente, e non più e non solo quando era nella sua forma di lupo. Un intero nuovo mondo… sempre lo stesso, un altro, un altro ancora…?

Iniziò a comprendere che non era affatto lui ora che teneva le redini della situazione, ma il caribù che aveva stupidamente pensato di avere ormai alla sua mercé. O quasi. La situazione si stava lentamente trasformando, poteva sentirlo. Era come un trasferimento di forza, potenza, volontà e controllo e sicurezza di sé che si trasferiva sempre più rapidamente da lui al caribù. Poiché i suoi denti non erano affondati nella gola dell’altro animale, non era Danny che gli stava prendendo le forze e poi la vita, ma era il caribù che gli stava sottraendo la gestione della situazione, il vantaggio, la volontà di sopravvivenza, la determinazione e il coraggio, le possibilità di farcela. Ed era Danny ad avere bisogno della sua morte per cibarsi e sopravvivere, mentre per il caribù era indifferente: lo avrebbe lasciato rinunciare ed andarsene, o lo avrebbe combattuto, cercato di farlo desistere e fuggire nello scontro, o ferito, o cercato di uccidere. Di colpo, Danny realizzò che erano sempre le prede ad avere più possibilità, più scelte: il cacciatore aveva solo la direzione dell’inseguimento e l’obbiettivo del soggetto da abbattere, mentre la preda aveva migliaia di direzioni in cui fuggire, in cui continuare a vivere, centinaia di mosse per reagire. Tutte quelle possibilità, Danny le aveva solamente quando non stava cacciando, ma correndo in libertà, senza meta precisa se non quella dettata dall’ispirazione, dalla natura del vento e del terreno che scorreva via sotto ai piedi, il colore del cielo e i rumori e gli odori che attraevano, incuriosivano, persuadevano, da evitare o da approfondire, a cui dedicarsi o da scartare.

Il caribù lo stava persuadendo, vi stava riuscendo. La sua volontà di vivere e sopravvivere stava dissipando quella di uccidere di Danny, e la stava trasformando in una sua uguale: avrai la tua vita se mi lascerai la mia. Era davvero così semplice? Era sicuramente fondamentale, e sempre più condivisa, quell’intenzione potente. Non era qualcosa di imposto, né di assoluto. Danny avrebbe continuato a cercare ancora di uccidere, un’altra volta, un’altra preda; il caribù avrebbe dovuto scappare altre volte, un altro predatore, un’altra lotta per sopravvivere condivisa. Ma Danny giocava solo sull’’io o te’, mentre il caribù giocava anche sull’’entrambi’. E Danny non doveva più decidere se tentare solo la vita del caribù ma anche e parimenti la sua. Il caribù aveva già dimostrato di avere ben più esperienza di lui nell’avvicendarsi con un inseguimento di caccia.

Poi, di colpo, qualcosa cambiò nettamente e di nuovo tutto quanto.

Era una terza figura, che era comparsa. Il caribù se ne accorse per primo: ruppe la sua posizione statica muovendo prima le orecchie, poi il resto del corpo, e allora anche Danny mise in piena azione il fiuto, si disconcentrò appena e solo in parte dal caribù per concentrarsi su una terza figura, alzando un poco la testa per individuarlo. La sagoma era in alto, in cima al pendio delle pareti della gola, ritta sulle quattro zampe, li guardava dall’alto in basso. Ed egli l’avrebbe riconosciuta tra migliaia di altri, umani o non, lupi o caribù. Era una lupa dal pelo folto per contrastare il freddo, color bruno scuro mischiato di nero, e gli occhi freddi e mirati come sempre, astuti e taglienti. Tutto nella sua posizione determinava la sua sicurezza vittoriosa e alteramente impietosa.

Mara alzò di colpo il muso al cielo ed emise un lungo, lugubre e deciso ululato di morte che è alfine arrivata e sta per mettersi in atto senza requie né dubbi su quale sarà l’esito. Persino Danny tremò appena e ne fu profondamente scosso, nell’udirlo; non l’aveva mai sentito così. Comprese che non era solo per il caribù, ma per tutti coloro che lo avrebbero potuto udire, di lì a miglia, informandoli senza misericordia che qualcuno stava per morire, per mano di chi stava alzando quel canto al cielo. Ed era anche per lui, per Danny, poiché la minaccia era sempre aperta anche per lui, che lo intese chiaramente solo in quel momento. Al punto che quando Mara iniziò a scendere il pendio, in una corsa che, seppure irregolare per le deviazioni zigzaganti e  i rallentamenti volutamente slittanti che sfruttavano la neve che franava un po’ giù sul ghiaccio sotto il peso dell’agile corpo scattante reggendolo e frenandolo nel contempo, risultò definitiva e mirata e perfetta nella sua abilità naturale e intrinsecamente sinistra, come la lama di una ghigliottina che cala, Danny ebbe la sensazione per un momento di non sapere per chi stesse arrivando la morte, se per il caribù o per lui, o se fosse indifferente e la scelta sarebbe stata fatta in modi imperscrutabili e solo all’ultimo.

A fargli capire che si sarebbe trattata della morte del caribù, fu proprio l’animale stesso. Perché quando riuscì a staccare lo sguardo da Mara che arrivava quel tanto per tornare a concentrarsi sul caribù in primis, lo vide completamente cambiato. Non era un cambiamento nell’atteggiamento e nella posizione del corpo; ancora, quel caribù non stava abbassando la testa e portando in avanti le corna nella posizione difensiva e più offensiva possibile allo stesso tempo. Affatto. Eppure ora era completamente diverso. L’arrivo di Mara lo stava completamente privando di ogni forza e convinzione e determinazione di sopravvivenza, gli stava mostrando chiaramente la sua stessa morte come se fosse ormai solo una questione di pochi altri istanti, chiara e sicura come un raggio di sole dritto negli occhi, o una scheggia di ghiaccio dritta attraverso il cuore, senza sfumature né possibilità né incertezze. Era come se Mara avesse proiettato avanti il tempo, e il caribù fosse già trafitto alla gola dalle sue zanne, almeno nella convinzione e nella prospettiva del caribù stesso; Mara l’aveva già abbattuto ancora prima di raggiungerlo, e il caribù lo sentiva chiaramente come se fosse già accaduto ormai. Fu allora che, poco prima che Mara gli fosse chiaramente addosso sotto i suoi occhi, Danny vide qualcosa in tutto il corpo del caribù, ma specialmente nei suoi occhi, perché il caribù, forse in un istintivo e improbabile tentativo di fissare qualcos’altro per un ultimo momento, voltò la testa a fissare proprio lui.

Danny gli vide la morte chiaramente negli occhi, e non era solo un riflesso di ciò che gli stava portando Mara, ormai a pochi metri da lui. Era la consapevolezza della morte imminente, ciò che rimaneva dopo che tutta la volontà di sopravvivenza lo aveva abbandonato, dopo che l’aveva lasciata andare. Era come se fosse completamente pronto, o come se si fosse già ucciso prima che arrivassero le zanne nell’affondo nella sua gola, come se non fosse più lì e allo stesso tempo fosse perfettamente e precisamente in quel suo ultimo istante della sua vita. Poi Mara gli fu addosso, e Danny era ancora immobile, e l’ultima differenza che vide da quell’ultimo sguardo con la morte negli occhi, e il momento in cui gli occhi divennero effettivamente vitrei e spenti, gli sembrò improvvisamente molto minuta, quasi una formalità insignificante.

Ma ora Danny era semplicemente appostato al coperto nel sottobosco, non era inverno e non si trovava in una tundra ghiacciata e desolata tranne per qualche vita vegetale e animale che vi passava il tempo come se non ci fosse altro luogo migliore per essa in cui scaturire in tutta la sua potenza vitale; si trovava in un bosco, e quelli a cui lui e Mara stavano facendo la posta erano solo un gruppo di cervi, con ben due elementi deboli, ben due potenziali prede tra loro. E di lì a poco sarebbe partito l’inseguimento.

Come certe volte accadeva, non furono però né lui né Mara a dare il via alla corsa. Fu una delle cerve con più età ed esperienza a sparare il colpo di partenza, alzando la testa con uno scatto più che significativo per tutti, cervi e lupi. L’istante successivo, e praticamente all’unisono, tutte le zampe erano in movimento istantaneo, rapidissimo, precipitoso; i cervi iniziarono a correre per fuggire, e Danny e Mara saettarono fuori dal loro nascondiglio in una sola potente mossa prodotta dal possente scatto di forza delle zampe, proiettati avanti come frecce, le lunghe zampe che danzavano rapidissime e le code dietro che guidavano e bilanciavano in ogni curva, le orecchie schiacciate all’indietro sulla testa per non far attrito con l’aria, la testa dritta in avanti lungo la linea della schiena e il muso come la punta di una freccia scoccata, che penetrava l’aria e centrava la direzione della corsa.

Il terreno correva indietro, veniva seminato, divorato a metri e metri al secondo, gli ostacoli deboli come le frasche venivano ignorati e si spostavano e piegavano al loro passaggio talvolta rompendosi o sfrangiandosi, mentre gli ostacoli corposi come i tronchi venivano evitato a raso di pelo, con curve minimamente necessarie ad evitare lo schianto, curve morbide, abbastanza aperte da non stressare e far perdere troppa energia ai muscoli per il contraccolpo del cambio di direzione brusca e improvvisa, abbastanza chiuse da non perdere tempo né distanza rispetto ai cervi, poiché invece dovevano gradualmente diminuire quella distanza e ridurre al minimo indispensabile il tempo. Non avrebbero potuto correre all’infinito, e anche solo per lo sforzo di raggiungere la loro preda, la loro corsa poteva in ogni caso durare meno di quella dei cervi. Non c’erano prede da far stancare più di tanto, non quella volta.

E Danny iniziò ad attraversare, insieme alle distanze, tutte le altre fasi dell’inseguimento, la maggior parte delle quali dovevano correre parallelamente a lui e tra loro: tenere sott’occhio Mara e percepire i suoi movimenti e intuire al volo le sue decisioni strategiche; vedere come cambiava il terreno davanti a loro – sia per scegliere la direzione della corsa sia per calcolare dove sarebbe risultato più opportuno cercare di spingere i cervi per arrivare con tutto il vantaggio possibile su quale di loro avrebbero infine abbattuto; tenere d’occhio i cervi davanti a loro, e non semplicemente per non perderli nell’inseguimento, ma anche per vedere quali di loro mostravano effettive debolezze nella fuga, anche debolezze o mancanze che vedendoli da fermi non avevano potuto notare; e, infine, tenersi pronti a bilanciarsi con il sottilissimo e imperscrutabile spettro della casualità, che poteva determinare ogni cosa. C’erano poi, nondimeno, le proprie forze da tenere sott’occhio, e da conciliare con tutto il resto,  per non esaurirle prima di arrivare sulla preda.

Considerare tutto quello e tutto in un insieme multiforme, mobile, vivo e cangiante e con più variabilità che limiti, era qualcosa che la ragione puramente umana non sarebbe mai riuscita a fare; sarebbe già stata seminata per miglia. E mentre gli esseri umani si circondavano e mischiavano con le loro macchine e il loro progresso di elementi naturali imprigionati e schiavizzati a loro piacimento, Danny correva con l’istinto e nell’istinto, ed era più vivo che mai, in quel momento sicuramente e pienamente, e poi chissà, l’avrebbe scoperto più avanti…

 

 

Soundtrack (per chi non l’avesse già indovinato dal titolo del capitolo, naturalmente):

Hungry like the wolf (Duran Duran)

 

 

Note dello scribacchiatore: (scusate la prolissità, ma ho alcune cose da dire)

 

Questo capitolo è totalmente in flashback-mode, dritto nel passato di Danny e Mara. Ho usato il corsivo per indicare appunto che si tratta di un flashback, in qualche modo distinguerlo anche nello stile di scrittura mi suona meglio… Come al solito ultimamente, avverto che ho scritto questo capitolo un po’ di tempo fa e ho avuto modo di dargli solo una rilettura veloce, spero non ci siano troppi pasticci (forse a livello di ripetizioni…? Spero non troppo fastidioso il tutto).

 

Devo buttare giù un paio di note tecniche qui sotto:

-          le cose qui scritte riguardo al comportamento animale non sono per niente verificate su una buona base di mia informazione e cultura di studio comportamentale delle varie specie. Qualche infarinatura ce l’ho, ma hey, non siamo a ‘Super Quark’ (o qualche equivalente) :p. In particolare, assolutamente non so se effettivamente i cervi siano fra quelle specie che tendono ad assumere, mentre pascolano, una posizione con i membri più deboli all’interno e quelli meno deboli e/o più sensibili al pericolo all’esterno, anche se da quanto  sapevo lo fanno altre specie di ungulati. Sul romanzare le impressioni “lupesche” di Danny mi sento più libero di andare ad immaginazione sbrigliata per il fatto che, dopotutto, lui e Mara sono mezzi-lupi (una sorta di lupo mannaro… una mia liberissima interpretazione sul soggetto del lupo mannaro, se preferite).

-         La faccenda di un lupo e una preda che si fronteggiano e si misurano le forze come per decidere se effettivamente si passerà ad uno scontro fisico, invece, confesso di averla letta tempo fa in un libro (troppo tempo fa per ricordarmi titolo e autore… sorry), in cui si riportavano casi del genere visti nell’osservazione di queste cacce in natura. L’interpretazione era anche lì molto libera: l’autore, se non ricordo male, ammetteva che non sembra possibile capire cosa passi tra lupo e preda in quel momento, ma accade che certe volte il lupo, anche se ha messo alle strette ormai la preda, decida per qualche imperscrutabile ragione di rinunciarci, e si voltava e se ne andava senza ulteriore colpo ferire.

 

Al prossimo capitolo, see you! (si fa per dire)

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Capitolo 13
*** 12 - Death in the eyes ***


Capitolo 12

(DEATH IN THE EYES)

 

Pochissimi minuti di corsa, una manciata di tempo che si restringeva al ritmo del pulsare del cuore e che si dilatava nell’immensità di ogni singolo particolare che Danny teneva presente fluidamente grazie al suo istinto di mezzo lupo, potenziato quando era in forma di lupo, e accentuato dall’essere all’inseguimento, in caccia.

Poi davanti ai cervi si aprì una radura, e anche Danny la vide chiaramente, e senza stupore. Sapeva che era lì, e sapeva benissimo che lui e Mara avevano spinto i cervi proprio verso di quella. Benché fossero davanti a loro, i cervi erano più indietro dal punto di vista tattico; avevano fatto del loro meglio per fuggire, ma sembravano non aver calcolato quella radura, persino se anche loro dovevano sapere che c’era, e saperne perfettamente il sapore dell’erba a seconda della stagione e del momento della giornata.

Danny non riusciva a capire così bene i cervi, ma d’altro canto non gli era mai accaduto di essere un cervo che scappa dai lupi. Al momento, tuttavia, non era una sua preoccupazione comprendere il motivo per cui quel trucco funzionava così spesso.

I cervi irruppero in corsa sfrenata nella radura, e Danny e Mara dietro di loro. Fu a quel punto che i due lupi accelerarono con tutte le loro forze; era il momento in cui non c’era più da perdere tempo ed energie, ma occorreva diminuire rapidamente l’ultima distanza e precipitare dritti sulla preda prescelta.

In quell’ultimo scatto da velocisti, Danny concentrò al massimo l’attenzione su Mara, per vedere quale dei due cervi più deboli avrebbe scelto; tra sé e sé, supponeva che potesse trattarsi più probabilmente del giovane maschio debole e di salute fragile. Durante l’inseguimento, infatti, Danny aveva avuto occasione di notare che, a paragone dell’altro membro più debole del branco, la cerva ormai molto vecchia, il giovane maschio aveva una zampa davvero troppo malmessa per permettergli una corsa di fuga valida. Così, il giovane maschio si trovava tra gli ultimi del branco in fuga davanti a loro, ed evidentemente era ormai ridotto agli sgoccioli delle sue forze: continuava a mettercela tutta senza riserve nel fuggire, ma era chiaramente la paura a costringerlo a bruciare le sue ultime forze, più che un vero e proprio tentativo di sopravvivere. In altre parole, Danny riteneva che appena Mara gli fosse stata addosso, egli non avrebbe nemmeno tentato troppo di resistere o di lottare.

Non che un eventuale tentativo di resistenza di quel tipo potesse essere un ostacolo per Mara. Danny l’aveva vista decine di volte abbattere una preda: era rapidissima, precisa in un modo freddamente chirurgico; sembrava che riuscisse in un paio di movimenti in strettissima successione ad essere addosso alla preda e a piantarle i denti nella gola nel punto esatto, il tutto nell’arco di pochi istanti.

Perciò, come al solito, Danny stava attendendo di vedere e sentire e intuire Mara iniziare a percorrere quella linea dritta e netta come la traiettoria di un proiettile, per vederne dall’altra parte l’obbiettivo coincidente con la preda prescelta, e poter a sua volta assecondare l’ultima mossa finale chiudendogli ogni via di fuga o possibile deviazione improvvisa.

Tutto si svolgeva sempre in pochi battiti di cuore, in quei momenti nei quali calavano come una lama sul flusso della vita di una preda, tranciandolo. Pur continuando a respirare e correre e muoversi, sembrava quasi che lasciassero indietro persino lo scorrere del tempo, tanto erano veloci, che lo seminassero ingannevolmente, in modo che quando li avesse raggiunti di nuovo tutto fosse già finito: la preda morta, e loro sul punto di cibarsene.

Mara accelerò al massimo e in linea dritta di punto in bianco, e Danny, che non aspettava altro, guardò dall’altra parte della linea, sicuro di trovarvi il giovane cervo debole. Ma scoprì che non era così. In pochi istanti, realizzò molto in fretta che nemmeno l’altra probabile preda, la cerva troppo vecchia per poter aver molte chance di sopravvivere all’attacco di due lupi, era alla fine di quella linea retta di morte. Mara puntava dritta al centro del gruppo del branco in fuga, e Danny si rese conto che non riusciva a capire non solo cosa stesse facendo, quale membro del branco stesse puntando, ma nemmeno cosa poteva fare lui per assecondarne la mossa.

Mara si tuffò in corsa dritta dentro il branco, e ad entrambi i suoi lati i cervi scartarono bruscamente nella direzione opposta rispetto a lei, aprendosi a ventaglio, disperdendosi in due direzioni opposte, continuando a fuggire scomposti e perlopiù dispersi. A Danny non rimase che gettarsi dietro di lei. Per qualche ragione, per un brevissimo e fugace istante Danny sospettò persino che Mara volesse solo giocare, divertirsi, scompaginare completamente il branco attraversandolo da parte a parte, senza abbattere nessuno di loro come preda. Il che, forse, poteva quasi essere considerato in effetti divertente, a suo modo, se non fosse stato per il fatto che Danny si sentiva effettivamente affamato, e tutta quella fatica e quel movimento aveva certamente aumentato moltissimo la sua fame.

Poi, a poche falcate davanti a lui, vide Mara addosso al suo obbiettivo, e allora Danny dovette deviare bruscamente per non precipitare contro i due corpi animali che stavano prima saltando a mezz’aria, poi cadendo rovinosamente, insieme, strettamente avvinti. Danny compì un semicerchio attorno a Mara e alla sua preda mentre rallentava la corsa per fermarsi e guardava: una cerva il cui collo era già stretto nella morsa mortale delle fauci della lupa, e il cui corpo giovane e snello e di un caldo color nocciola stava già cadendo.

La cerva aveva compiuto un movimento immediato e brusco, trovandosi di colpo e inaspettatamente la saettante presenza di Mara accanto, ma nonostante questo la lupa era riuscita ad arrivare al primo movimento a chiuderle le mascelle sul collo, e a compiere con tutto il suo corpo e tutta la forza di lupo quel movimento preciso per costringere il corpo della cerva, ben più grande, a piegarsi e cadere. E, come sempre, Mara era riuscita in tutto perfettamente, e la cerva era crollata a terra in pochi secondi, per la stretta delle mascelle sul collo, che le aveva schiacciato i nervi giusti, interrotto nel modo giusto la respirazione, e traforato con le zanne i giusti vasi sanguigni, il tutto  combinato con la spinta a leva del corpo di Mara.

Altri pochi secondi e la cerva a terra era scossa dagli ultimi tremiti leggeri e sostanzialmente involontari, perché la perfetta presa di Mara uccideva in pochissimi istanti. E guardando la giovane cerva perfettamente in salute morire sotto le zanne e il corpo di Mara, Danny ancora non capiva perché la sua compagna di caccia avesse scelto proprio quella come preda. C’era forse un motivo imperscrutabile a lui, che aveva a che fare con la maggiore esperienza di Mara? Doveva certamente essere così, e questo lo disorientava alquanto, dal momento che lui pensava ormai di potersi ritenere piuttosto bravo  e abile nella caccia, come numerose altre occasioni avevano dimostrato di recente. Eppure quella cerva non l’aveva nemmeno presa in considerazione prima, quando erano in agguato e studiavano ogni membro del branco dal loro riparo: era giovane, e in ottima salute.

Ma sopra ad ogni cosa, mentre la cerva finiva di morire, Danny si rese conto che quella scena per qualche motivo lo disturbava e infastidiva. Si ritrovò a distogliere il muso e lo sguardo dalla scena, preso da un disagio inspiegabile e strano, che gli fece provare l’intenso bisogno di essere altrove in quel momento. Si sforzò tuttavia di riportare la testa nella direzione degli ultimi attimi dell’esito della caccia, e fu allora che si rese conto che gli occhi di Mara erano fissi su di lui, pur se stava ancora concentrando tutte le sue forze sulla cerva che stava uccidendo.

Danny cadde di colpo preda di un glaciale senso di ancora più forte disagio, ma aggiunto ora di notevole nervosismo. Spesso non riusciva a capire bene Mara, le sue intenzioni, talvolta il senso preciso delle sue parole, le sue azioni improvvise e che a volte sembravano dettate da motivazioni inesistenti o propositi misteriosi e capricciosi. D’altro canto, lei era un lupo da più tempo di lui, e lei lo aveva reso un lupo: lei gli aveva insegnato tutto ciò che poteva servirgli come lupo quale era diventato. Gli aveva mostrato un mondo interamente nuovo, ve lo aveva introdotto e accompagnato, o meglio se lo era portato dietro; gli aveva mostrato, attraverso i modi che usava lei, come cacciare e come relazionarsi con l’ambiente ed eventuali altri lupi – come loro e non -, come relazionarsi con gli esseri umani, come passare da una forma all’altra sopportando il dolore e rendendo la cosa il meno sofferta e manifesta possibile, come organizzarsi per il passaggio di forma in modo da non ritrovarsi lupi invischiati negli abiti o umani che giravano nudi in luoghi dove ciò avrebbe attirato attenzione e grane da altri esseri umani… tutto, praticamente tutto ciò che aveva imparato di utile, tutta l’esperienza che non fosse quella che aveva potuto maturare occasionalmente da solo, veniva da lei, da Mara. Ma c’erano indubbiamente momenti in cui aveva imparato a temerla.

Quello che Mara gli stava puntando addosso in quel momento, era uno di quegli sguardi che lui non riusciva a interpretare, e tuttavia riusciva a vederne la forza. Cercò, come tante altre volte, di comprendere perché lo stesse guardando a quel modo, ma la fredda ferocia che le veniva dal fatto di stare finendo di uccidere la cerva si mischiava e copriva quasi completamente qualsiasi cosa stesse forse rivolgendo a lui, dando l’impressione di poter quasi star intendendo che lui sarebbe stato il prossimo a trovarsi la sua presa mortale sulla propria gola.

Poi Danny udì un verso spargersi nell’aria per il resto quasi immobile della radura, e voltò di scatto la testa indietro, trovandone con stupore la fonte. Si trattava di un giovane cerbiatto, che si aggirava ancora per la radura con l’aria di vagare sperduto e senza meta, a differenza di tutti gli altri cervi, che erano ormai scomparsi, tornati nel proseguo della loro fuga al coperto degli alberi del bosco. Era quel cerbiatto a produrre quel suono, un richiamo veemente e solitario, che nemmeno un lupo come Danny poteva equivocare: chiamava qualcuno, cercava un punto di riferimento, una guida, il calore e la presenza di qualcuno, della madre…

Danny non ebbe bisogno di tornarsi a voltare verso Mara per comprendere immediatamente che la cerva ormai morta al di sotto delle zanne della sua compagna di caccia era proprio chi quel cerbiatto cercava così disperatamente. Un potente senso di freddo calò su di lui bruscamente, ricordandogli una volta di più che c’era qualcos’altro insieme all’istinto potenziato di lupo in lui, qualcosa che non era nemmeno completamente né esclusivamente umano, e non aveva bisogno di essere stato una madre nella sua vita o un cucciolo senza madre per sentirsi pungere dal richiamo di quel cerbiatto.

Udì di colpo un altro rumore, più lieve e breve, basso e di sottofondo, ma imperioso e sicuramente rivolto a lui. Si voltò verso Mara, poiché avrebbe riconosciuto tra mille altri il timbro del suo basso e sommesso ringhio gutturale. Lo stava ancora fissando, ma ora il suo sguardo per lui aveva un senso chiaro, come se improvvisamente fosse entrato in possesso della chiave di lettura che gli serviva per intendere ciò che lei voleva da lui. ‘Vallo a prendere!’.

Tornò a voltarsi di nuovo verso il cerbiatto. Lo guardò, mentre continuava a vagare, persino incespicante, come se avesse perso qualcosa che gli dava l’equilibrio, le lunghe quattro zampe incerte ma in continuo movimento come se non riuscisse a stare fermo; eppure non prendeva nessuna direzione in particolare, ma continuava a girarsi, cambiando direzione in ogni momento e del tutto casualmente. Semplicemente, cercava e cercava, senza posa, senza avere idea di dove fosse più sensato dirigersi, come se fosse rimasto al buio e l’istinto lo spingesse a cercare un appiglio, uno qualsiasi. Era perduto, era solo, tutti gli altri se n’erano andati lasciandolo lì, e che fosse consapevole o meno dei due lupi a poche decine di metri da lui e che avrebbero potuto ucciderlo da un momento all’altro senza difficoltà, sembrava che la sua unica priorità fosse quella di continuare a chiamare e cercare… sua madre. Certo non riusciva a capire o sapere, in quel momento, che ella non gli avrebbe più potuto rispondere. Non riusciva nemmeno a spiegarsi perché non fosse lì o fosse già accorsa al suo disperato richiamo, nonostante il tempo passasse.

Mentre le sue orecchie continuavano a riempirsi da un lato del richiamo disperato e insistente del cerbiatto, e dall’altro di quello cupo e ringhiante di Mara, Danny comprese improvvisamente ma chiaramente che cosa non avrebbe fatto: non avrebbe ucciso quel cerbiatto. Non avrebbe saputo mai dire perché. Forse perché era troppo facile, forse perché era completamente inutile giacché ne avevano già abbastanza per sfamarsi della cerva ormai morta sotto i denti di Mara, forse perché qualcosa in lui non ci riusciva ora che ormai l’istinto di caccia e di uccisione si era quietato ed era scomparso, forse perché non capiva, forse perché in parte si sentiva di colpo perduto e disorientato come quel cerbiatto… o forse per migliaia di altri motivi tutti insieme, molti dei quali inscindibili dagli altri e per buona parte imperscrutabili. L’unica cosa che poteva vedere chiaramente, in tutto quello, era il punto fermo della sua intenzione: no, non l’avrebbe fatto.

Ma comprese chiaramente anche un’altra cosa. In quegli istanti, essendo la cerva ormai morta, Mara avrebbe potuto benissimo lasciare andare la sua presa e scagliarsi lei stessa sul cerbiatto. Ne aveva ancora le energie, e questo lui poteva sentirlo e saperlo. Ne aveva tutte le intenzioni, e se non l’aveva già fatto, era solo perché voleva che fosse lui a farlo. C’era qualcosa, in questo, che lo infastidiva ulteriormente. Perché farlo fare a lui? Cosa c’era di  istruttivo in quell’uccisione inutile e così semplice? Danny sapeva di essere ormai benissimo in grado di cacciare, anche da solo all’occorrenza, senza che ci fosse bisogno che il caso o la fortuna gli facessero improbabilmente capitare tra le zampe una situazione così assurdamente facile come quella. Perché, dunque,Mara voleva che lo facesse?

Non aveva tempo di cercare la risposta, e se era vero che non voleva uccidere quel cerbiatto sperduto, quella preda in surplus e troppo facile, era altrettanto vero che se fosse rimasto semplicemente immobile e inattivo solo qualche altro momento, vi avrebbe provveduto Mara stessa. Così, scattò. Corse verso il cerbiatto, ma nel farlo, diede alla sua corsa una cadenza un po’ più lenta del necessario, poco più che un trotto rapido, come pretendendo di essere ormai troppo stanco per l’inseguimento da poco terminato per fare di più. Quando si trovò abbastanza vicino al cerbiatto, inoltre, iniziò a produrre un ringhio ben udibile, mettendo in esso il timbro più spaventoso che gli riuscì, in modo che il cucciolo lo udisse chiaramente. Funzionò. Il cerbiatto lo udì e lo vide, e, con soddisfazione di Danny, la paura e l’istinto ebbero la meglio, e il giovane iniziò a scappare nella direzione opposta, rapido e veloce, potendo contare sulle sue zampe assurdamente lunghe rispetto al corpo leggero.

Non fu affatto una caccia, né tantomeno un inseguimento. Metro per metro, Danny sperava che continuasse a funzionare, che il cerbiatto continuasse a correre davanti a lui finché non fossero giunti al coperto della boscaglia, dove avrebbe finto meglio che riusciva -  persino con se stesso oltre che con Mara - di averlo perso ed esserselo lasciato sfuggire; temeva che Mara, che certo non era così stupida da farsi ingannare da quella finta, decidesse di abbandonare la cerva già abbattuta e mettersi a correre a sua volta, per superare la sua parvenza di corsa e gettarsi addosso a quel cerbiatto.

Erano ormai a qualche metro dalla boscaglia, quando un suono si alzò di punto in bianco al di sopra degli alberi, un lamento in crescendo. Tanto il cerbiatto quanto Danny lo riconobbero benissimo, e forse con simile sollievo. Era il richiamo di uno dei maschi dominanti dei cervi di quel branco, che dopo la caccia dei lupi richiamava a sé i superstiti dispersisi nella fuga, o che forse stava semplicemente rispondendo al disperato richiamo che il cerbiatto aveva lanciato a lungo fino a poco prima, o che forse, pensò ancora Danny, si stava rivolgendo anche a tutti i predatori a portata di orecchio – lupi e non – comunicando loro che, qualsiasi cosa fosse successa o meno, lui avanzava la sua protezione su quel cerbiatto, chiamandolo a sé.

Il cerbiatto in fuga davanti a Danny deviò leggermente, sempre dirigendosi verso la boscaglia, ma indirizzandosi maggiormente verso il punto dal quale proveniva il richiamo del cervo adulto. Era assurdo sentirsi più rinfrancati e trovare più complicità in quel richiamo, piuttosto che sentirsene tirati in causa in senso contrario e prenderlo come un avvertimento da non sottovalutare, ma Danny si sentiva proprio così al momento: vi era molto grato.

Poi si ritrovò tra gli alberi della boscaglia, e lì rallentò ulteriormente la corsa, lasciando che il cerbiatto davanti a lui lo seminasse gradualmente. Quando non lo vide più, sparito poco a poco tra la vegetazione boschiva, rallentò fino ad un trotto lento e ben poco intenzionato, fino a fermarsi del tutto. Respirando piuttosto faticosamente, per via delle due corse che aveva appena sostenuto, Danny rimase fermo, in ascolto: ma la selva era perfettamente silenziosa.

Certo, era quello spesso l’effetto che faceva la presenza di un lupo o il suo passaggio. Tutte le potenziali prede si quietavano, si fermavano, rimanevano nei loro nascondigli improvvisati o nelle loro tane, magari sui rami in alto degli alberi a guardare con una sorta di curiosità doverosa, forse trattenevano il fiato in qualche modo, finché non fossero stati abbastanza certi che il potenziale pericolo era passato. Ma in momenti come quello, subito dopo che una caccia era finita e che una preda giaceva a terra senza vita, c’era qualcosa in più che a Danny pareva di scorgere in quel silenzio, qualcosa di inafferrabile.

Quel giorno, quel silenzio profondo e immobile lo fece appena tremare. Era come se l’intera boscaglia attorno a lui lo fissasse, e come se ci fosse un eco quieto ma insistente e cupo in sottofondo, che ripeteva ‘che cosa avete fatto?’. Qualcosa che non aveva mai creduto di sentire prima, un nuovo significato, che non pensava di riuscire a comprendere del tutto. Era sempre stato perfettamente semplice e naturale, persino quel silenzio postumo alla caccia: faceva parte di quello che avveniva normalmente, vita e morte, fuga e inseguimento, una sopravvivenza che continuava per una che finiva, due corse che si fermavano di colpo, una  giungendo al capolinea e l’altra al riposo… quando la caccia aveva un esito riuscito, perlomeno. Ma quel giorno, dopo quella particolare caccia, c’era qualcosa di diverso.

Danny si voltò, e tornò indietro, persino se non sapeva cosa al momento lo metteva maggiormente a disagio: se rimanere in quella foresta così tremendamente silenziosa o ritornare allo scoperto della radura similmente immobile, come se recitasse un adeguamento all’immobilità di morte del corpo esangue di una cerva troppo giovane e sana per morire come preda; se incrociare il cervo maschio che aveva lanciato il richiamo, oppure tornare da Mara.

Rivide quest’ultima appena tornò allo scoperto della radura. Il profilo della lupa, sdraiata compostamente accanto alla cerva morta, era chiaramente intravedibile poco al di sopra della vegetazione lussureggiante dell’erba, almeno per chi avesse avuto buon occhio, o per chi, come lui, sapesse bene cos’erano e dov’erano quelle due sagome. Sembrava aspettarlo, senza alcuna fretta né particolare stato d’animo esposto, come se fosse una formalità usuale per lei, aspettare il suo ritorno accanto alla preda che aveva appena abbattuto; tuttavia, non era mai accaduto prima.

Fino a non molto tempo prima, invece, era stato l’esatto contrario. Era Danny che qualche volta andava in caccia da solo, naturalmente con un benestare in qualche modo annoiato o noncurante da parte di lei, e che poi, dopo che era riuscito ad abbattere una preda tutto da solo, lanciava l’ululato di richiamo per avvisarla. Dopodiché, la aspettava tranquillamente, accanto alla prova fisica del suo successo, sulla quale non azzardava nemmeno un morso prima che fosse arrivata lei.

La aspettava per ore e ore talvolta, quando lei non arrivava subito ma se la prendeva più che comoda, sdraiato accanto alla preda, che mandava un odore estremamente appetitoso a giudizio del suo stomaco. Ma per quanto fosse una tentazione a stento resistibile l’avere il cibo pronto e disponibile e guadagnato personalmente accanto a lui, Danny faceva perno con tutto se stesso in quello stento di resistenza, e non toccava mai la preda prima che fosse arrivata lei.

Poi Mara arrivava, finalmente. La sentiva dall’odore prima ancora di vederla, e forse la intuiva per un sesto senso di familiarità verso di lei; d’altro canto, aveva passato tutto il tempo da che aveva lanciato il richiamo per lei in alto nell’aria a tenere i sensi quasi completamente concentrati e tesi sul sentirla finalmente arrivare. Da quando iniziava a vederne la figura trotterellante che si dirigeva verso di lui e la sua preda, sicura di sé e placidamente senza fretta, fino a quando non li aveva effettivamente raggiunti, per lui era il momento più lungo: il momento in cui non stava nella pelle per  l’impaziente aspettativa di vedere cosa lei ne avrebbe pensato della preda e di come lui l’avesse cacciata.

Col tempo, aveva imparato che Mara non dava mai segno di essere in qualche modo fiera o apertamente soddisfatta della caccia che lui aveva compiuto; tutto ciò che lui poteva veder trasparire da lei era un piatto apprezzamento del cibo a disposizione, una sorta di ‘d’accordo, può andare anche stavolta’, che lei metteva in atto di solito addentando semplicemente per prima il cibo. Ma per Danny era sempre una grande gioia, quel momento, e non solo perché finalmente anche lui poteva mangiare, ma perché quella era l’unica (e quindi anche la migliore) approvazione che conoscesse a riguardo della sua caccia, oltre alla soddisfazione semplicemente di aver procurato cibo non solo per se stesso ma per entrambi.

Quel giorno, invece, era Mara che aspettava accanto alla preda che aveva ucciso, ed era lui che la raggiungeva invece a fauci vuote, perché non aveva voluto prendere via la vita da quel giovane cerbiatto. Ancora non capiva perché lei volesse uccidere anche quel cucciolo, quando ne avevano più che abbastanza della madre già morta per sfamarsi; ancora non capiva perché Mara avesse scelto quella cerva; ancora non riusciva a capire nulla, tantomeno gli suggeriva qualcosa il modo in cui lei lo aspettava con aria e posa impassibili. C’era qualcosa di sottilmente inquietante nell’aria, di pericoloso, come se la caccia non fosse ancora finita, come se ci fossero predatori in agguato e il primo scatto della corsa non fosse ancora iniziato.

Poi, quando Danny arrivò a qualche metro da lei, rallentò fino ad un camminare incerto, la testa e le orecchie basse, con aria mesta. A volte, soprattutto all’inizio, ricordava bene che quando sbagliava qualcosa nella caccia, Mara non lesinava certo sulla punizione, e gli aveva rifilato in quelle occasioni diversi morsi, solitamente solo uno ogni volta, breve e rapidissimo, abbastanza incisivo nel modo più che nella profondità della ferita che gli procurava, da farglielo ricordare molto bene. Ma era ormai molto tempo che non accadeva più: lui era diventato bravo nel cacciare, non sbagliava più, e si rendeva conto ora che si era disabituato a ricevere quelle piccole ma effettive punizioni; non riusciva nemmeno più a sentirsi come un mezzo lupo così giovane e inesperto da potersi meritare o ricavare una qualche lezione da quel tipo di lavata di capo. Quindi, cosa lo aspettava ora, esattamente? Osava immaginare che Mara gli avrebbe inflitto un atteggiamento rigidamente freddo e distaccato, e nient’altro. Forse, gli avrebbe fatto intendere che lui non poteva toccare la preda abbattuta finché lei non ne fosse stata sazia, e forse lo avrebbe considerato in quel modo che aveva a volte nei suoi confronti, facendogli provare la cocente sensazione della sua derisione: ‘nutriti pure della tua di preda! Dov’è quel cerbiatto che avrebbe dovuto sfamarti, dunque? Vallo pure a cercare di nuovo, ora che te lo sei fatto sfuggire come uno stupido.’

Mara scattò quando lui non l’aveva ancora raggiunta, benché le fosse ormai piuttosto vicino. Si alzò da terra e corse, il ventre basso sul terreno, la rapidità e la precisione della traiettoria di una freccia letale, diretta indubbiamente verso di lui. Colto dallo stupore poiché non se lo aspettava, oltre al fatto che non avrebbe mai osato opporle seriamente resistenza, Danny se la ritrovò addosso ancora prima di poter realmente mettere in pratica qualsiasi tentativo di sottrarsi. Fu tutto così rapido che lui si rese conto di cosa stava avvenendo prima per il dolore che iniziò a colpirlo che per una reale realizzazione. Mara iniziò a morderlo con pura ferocia, come se lui fosse una preda di quelle troppo grandi e potenti per poterle abbattere con un solo colpo, e occorreva prima indebolirle procurando loro il maggior numero di ferite possibili. Il dolore dei morsi profondi e rapidi indusse Danny a reagire di puro istinto, ma quando provò a sottrarsi dall’attacco lei non gli permise di allontanarsi, ignorò tutti i suoi alti e acuti guaiti di dolore, che anzi sembrarono solo produrre l’effetto di rendere i morsi ancora più profondi, e quando infine lui si ritrovò senza pensarci a cercare di mordere a sua volta – per pura necessità di lottare per sopravvivere, dal momento che aveva ormai iniziato a sentire quel timore di chi pensa di stare per essere ucciso – lei gli affondò i denti direttamente nel dorso del muso, fulmineamente e profondamente.

Incredulo, a quel punto Danny pensò davvero che Mara stesse cercando di ucciderlo.

Poco dopo, tuttavia, si ritrovò a terra, solo. Aprì gli occhi, offuscati dal dolore e dal sangue della ferita sul muso, le narici impregnate dell’odore del suo stesso sangue. Vide Mara che, tornata dalla cerva, iniziava a mangiare. Sembrava calma e sicura di sé come sempre, impassibile e imperturbabile, come se nulla fosse successo, come se lui non fosse nemmeno lì, come se non esistesse. Danny pensò per un momento di essere morto, ma si rese conto che era a tutti gli effetti ancora vivo, benché il suo corpo fosse cosparso di profondi morsi sanguinanti e dolorosi, e nonostante Mara non gli stesse dedicando nessun tipo di attenzione.

Solo dopo diverso tempo osò muoversi, e non per via del dolore delle ferite, ma perché non riusciva ancora a scrollarsi  del tutto di dosso quell’opprimente sensazione, di essere in qualche modo anche morto. Si tirò in piedi pian piano, trattenendo ogni lamento di dolore che le ferite cercavano di strappargli di gola, azzardando un movimento dopo l’altro molto lentamente, come se non fosse sicuro che il corpo ferito sarebbe riuscito ad assecondare la sua volontà, e soprattutto perché pensava che ogni minimo rumore dei suoi movimenti avrebbero attratto l’attenzione di Mara, e potesse succedere chissà cosa a quel punto. Forse era davvero stupito, sopra ad ogni cosa, che lei non lo avesse davvero ucciso. Ma non riusciva a spiegarsi ancora il perché. Non sapeva più il perché di niente.

Si ritrovò in piedi sulle quattro zampe, il sangue delle ferite che gli colava lento fuori dai punti in cui era stato morso, tamponato e assorbito dal pelo che andava impregnandosene. E lei stava ancora continuando a mangiare come se lui non esistesse, anche se era impossibile che non lo avesse udito muoversi; eppure, non aveva nemmeno mosso le orecchie nella sua direzione per udire meglio i rumori, nemmeno una volta.

Passarono diversi altri momenti, prima che Mara ingoiasse un altro boccone di carne cruda strappato dal corpo della cerva, e voltasse la testa verso di lui, con una lentezza che aveva un che di annoiato, come se si stesse semplicemente guardando intorno per pura curiosità. Lo fissò direttamente, tuttavia, focalizzando lo sguardo precisamente su di lui, e rimase immobile per qualche istante. Danny pensò che da un momento all’altro lei avrebbe potuto scattare di nuovo verso di lui, per finirlo; tuttavia, nemmeno lui si mosse. Semplicemente, non sapeva che cosa fare, non riusciva nemmeno a pensarci.

Mara tornò a dedicarsi alla carcassa, e Danny sentì finalmente qualcosa attraversarlo, qualcosa che poteva assomigliare ad una sensazione vera e propria: un enorme freddo, un gelo insopportabile, come il ghiaccio che trema impercettibilmente prima di spezzarsi. Ma comprese che il ghiaccio che stava per cedere non corrispondeva al fatto che Mara stesse per attaccarlo di nuovo, e definitivamente, bensì al fatto che lui si sentiva come se stesse andando in pezzi.

Fu allora che Danny si voltò e se ne andò. Abbandonò la radura e si allontanò di qualche chilometro, nelle profondità della foresta. Non gli occorse poco tempo, come sarebbe stato normalmente grazie al passo rapido del trotto delle quattro lunghe zampe: le ferite che gli aveva inferto Mara non erano da poco, e sopra ad ogni cosa, c’era un peso insormontabile che sembrava essere costretto a trascinare. E dopo diversi chilometri, si sentiva ancora scosso e in qualche modo completamente sperduto, al punto che non fu esattamente lui a scegliere la direzione, ma gliela dovette dettare il suo istinto; e l’istinto, quando ci si sentiva feriti, deboli e perduti, e ancora si stentava a sentire pienamente di essere ancora vivi, era anche capace di suggerire con spietata e lucida precisione anche che cosa si stava effettivamente facendo. Stava scappando, e stava cercando un luogo in cui rifugiarsi.

Finì per ritrovarsi in una zona della foresta ai piedi di una piccola collina, dove la vegetazione bassa del sottobosco era particolarmente fitta e lussureggiante, e l’ombra della collina in quell’ora della  giornata rendeva quel luogo piuttosto buio. Il terreno, lì, era sempre piuttosto umido, dunque morbido e odoroso, accogliente. Danny si infilò in un fitto di piante basse, e si accucciò sul terreno. Aveva bisogno di riposarsi, sicuramente; era stanco per la caccia, era stato ferito da Mara, e si sentiva svuotato di energie e pensieri. In tutto quello, non aveva ancora mangiato.

Dopo diverso tempo che se ne stava così immobile e nascosto, udì i rumori della boscaglia attorno a lui; chiaramente, nessun animale si avvicinava al fitto di vegetazione in cui si trovava, potendo chiaramente sentire molto chiaramente – se proprio non fosse bastato il suo odore di lupo – certamente l’odore del suo sangue. Ad ogni modo, benché a distanza di sicurezza, la foresta aveva ripreso il suo chiacchiericcio di vita che vi brulicava, si muoveva, si chiamava o si minacciava, si scambiava messaggi…

Per un lupo o un mezzo lupo, tutti quei rumori e odori che ad un umano sarebbero risultati in buona parte impercettibili, erano così chiari che era come essere in una sorta di piazza del mercato. E per Danny era un sollievo. Si sentiva sempre un po’ meno solo, circondato da tutta quella vita, ogni possibile senso di vuoto si attenuava e veniva poco a poco lenito e spazzato via. Quel giorno, inoltre, per lui rappresentava la conferma che la sensazione che aveva avuto prima, che la foresta si fosse silenziata come per guardare a lui con rimprovero, come dando un pesante giudizio sul come e chi avevano cacciato, non era che un’impressione errata. Era a causa della sua natura: era mezzo lupo e mezzo umano. L’istinto potenziato dall’elemento selvatico gli permetteva di attraversare e vivere nella foresta, ma non di appartenerci completamente; ciò che in lui vi era di umano suggeriva interpretazioni o dava prepotenti sensazioni ingannate da un qualche senso etico o di giudizio o emozionale – o tutto questo insieme – che era fin troppo umano. Era vero che un tempo persino gli esseri umani avevano vissuto nelle foreste, ma forse era passato troppo tempo, e in ogni caso, dopotutto nemmeno da umano Danny era nato in una foresta.

Un poco rinfrancato dal sentire la vita che continuava e si metteva in gioco continuo intorno a lui, sotto svariate forme e in una miriade di singole individualità, Danny iniziò con calma e pazienza a leccarsi le ferite. E mentre lo faceva, anche i suoi pensieri iniziarono parallelamente a cercare di sondare l’entità e la natura del danno, a rielaborare cos’era successo, con rinnovata calma e nuovi tentativi di lucidità. Se lui era un mezzo lupo, anche Mara lo era, realizzò di colpo, come se non fosse sempre stata cosa ovvia per lui, fin dal giorno in cui lei lo aveva reso tale.

Mezzi lupi. Incastrati e intrappolati tra il lupo e l’essere umano, con alcuni punti di sovrapposizione, e altri che non coincidevano, e uno spazio altro che influenzava il tutto e tentava strenuamente di tenerlo insieme: e in quello spazio nucleare aveva forse sede l’individualità di ognuno di loro, uno spazio che dovevano costruirsi e difendersi e mettere alla prova continuamente, con ogni loro forza… altrimenti, sarebbe diventato preda di qualcos’altro, o di qualcun altro.

Danny si immobilizzò di colpo, preso da una realizzazione improvvisa. In quel momento, si rese conto di cosa aveva visto negli occhi furenti di Mara. Non la morte che già si ha nello sguardo, e che cerca uno sguardo che ne rechi altrettanta da unirle in qualche modo: qualcuno ucciderà e qualcuno sarà ucciso, o nessuno morirà, o moriranno entrambi, finale aperto. No. Lei aveva negli occhi una morte scellerata, che si impone su chiunque e qualsiasi cosa, la morte cieca e assoluta, la morte che vuole solo infliggersi su qualcun altro per alimentarsi ancora e ripercuotersi di nuovo e più forte su future vittime, la morte che si alimenta di se stessa e fine a se stessa, che si arrotola e accerchia attorno a se stessa, e che non riesce più a morire né ad accettarne la possibilità. Un delirio in cui si impersona la Morte in sé, o si pensa di farlo, perché chiaramente essa non può essere impersonata mai. Tutto ciò che si può vedere, in chi la spande in giro e la reca in quel modo, è alla fine solo un nulla divorante e distruttore, incapace di creare qualcosa o di conservarlo, trovarlo o vederlo. Tutto ciò che sa fare è distruggere senza fine, forse allo scopo di farsi intorno lo stesso vuoto che si è creato dentro, un vuoto senza inizio né fine, assoluto e totale, impossibile. Poiché nel vuoto e nel nulla non si esiste, nemmeno come morte. Poiché la morte stessa, senza vita anche, non è assolutamente niente, non esiste affatto. Così come una vita senza fine, pari è l’orrore di fronte alla morte senza fine.

Danny avrebbe voluto alzarsi di nuovo e riprendere a spostarsi, correndo se ne avesse trovato le forze, per fuggire di nuovo, dai suoi stessi pensieri; ma aveva la forte sensazione che non sarebbe mai riuscito a seminarli completamente. Si sarebbe stancato, prima o poi, ed essi, se erano rimasti indietro anche solo di un poco, gli sarebbero di nuovo precipitati addosso. A che pro, poi, fuggire da essi? Non era tutto, potenzialmente, una lezione ulteriore, qualcosa da cui ricavare altri modi per imparare, per confrontarcisi? Certo… confrontarcisi. Confrontarsi con Mara. Una cosa che, forse, dopotutto non aveva mai imparato a fare.

Passò altro tempo. Divenne notte, poi di nuovo giorno. Danny sonnecchiò a tratti, svegliato talvolta bruscamente da qualche rumore particolarmente vicino, o dai suoi stessi incubi. Ma non c’era nessuna creatura, lì nei dintorni, che osasse avvicinarsi ad un lupo ferito, e appena si accorgeva che era quello ciò con cui stava per aver a che fare se continuava ad avvicinarsi, immediatamente se la dava a gambe. Danny ne era soddisfatto: non si sentiva in grado di poter aver a che fare con niente e nessuno, e sapeva che in qualche modo le creature attorno a lui assecondavano questo suo desiderio per il semplice fatto che temevano invece di poter essere attaccate. Un lupo ferito, sentendosi minacciato, può uccidere con ben poco.

 

Fu all’incirca ventiquattrore dopo la fine della caccia che aveva cambiato per sempre la prospettiva di Danny su molte cose, che qualcosa si alzò nell’aria. Le sue orecchie si tesero immediatamente, captando il suono che gli era ben familiare. Non era solo l’ululato di un lupo per lui: era il richiamo di Mara. Lo ascoltò molto attentamente, cogliendone perfettamente il senso. Mara lo  stava chiamando perché la raggiungesse; non c’era altro in quel richiamo, nessun tipo di sentimento o di significato, che tuttavia avrebbe potuto trovarvi spazio. Mara stava usando il tipo di richiamo più semplice e formale che ci fosse, che dava semplicemente un ordine: ‘Raggiungimi, sono qui.’.

L’ululato si spense, e Danny sapeva che probabilmente non ce ne sarebbe stato un secondo. Mara avrebbe aspettato, e se lui non l’avesse raggiunta, sarebbe andata lei a cercarlo, e certamente non sarebbe stata affatto di buon’umore nei suoi confronti quando l’avesse trovato, a meno che non lo avesse trovato morto, l’unica ragione che lei avrebbe potuto considerare come una valida motivazione sul perché non l’avesse raggiunta come lei aveva chiesto.

Danny tremò per un breve istante, profondamente. Non era paura, la sua. Qualcosa in lui gli impediva di temere Mara del tutto; non che non pensasse che lei avrebbe anche potuto riuscire tranquillamente ad ucciderlo, se avesse voluto. Ma lui non riusciva a temere di essere ucciso da lei. C’era qualcosa che temeva maggiormente, anche se non riusciva a delineare di che cosa si trattasse.

Considerò le sue opportunità del momento per un po’, ben consapevole che il tempo passava e che Mara lo stava aspettando. No, non aveva paura di indisporla, né che lei lo stesse chiamando perché voleva di nuovo aggredirlo. Non era da lei. Se lo chiamava, era semplicemente perché voleva che lui tornasse; doveva aver finito di mangiare, e semplicemente riteneva che fosse arrivato per loro il momento di muoversi. Se avesse voluto aggredirlo di nuovo, sarebbe andata direttamente a cercarlo, seguendo le sue tracce, e lo avrebbe fatto. Voleva invece che lui tornasse da lei, e, dopo il modo in cui l’aveva conciato e quello che era successo, questo era più che mai significativo. Lo era per lei, che tranquillamente aveva deciso di averne avuto abbastanza di punirlo e lo voleva di nuovo con sé. Lo era per lui, che doveva scegliere se raggiungerla o se andarsene per i fatti suoi, e confrontarsi di nuovo con lei se, come sarebbe sicuramente accaduto, lei fosse venuta a cercarlo per infuriarsi sul fatto che non aveva eseguito ciò che gli chiedeva.

Danny si alzò sulle zampe lentamente, sentendo ancora ben vivo il dolore delle ferite nel corpo, anche se avevano iniziato a rimarginarsi. Mezzi lupi: le loro ferite guarivano molto più velocemente di quelle di un essere umano, e anche relativamente più rapidamente di quelle di un lupo. Muovendosi con calma, per non stressare troppo il corpo in guarigione e per non sottrarre troppe energie al processo, uscì dal fitto della vegetazione, e si fermò. Benché l’ululato fosse cessato ormai da un poco, lui poteva ancora sentirlo chiaramente nelle sue orecchie, forse perché, finché non avesse raggiunto Mara, era come se in effetti la chiamata fosse ancora aperta. Ed era lui a dover decidere come rispondervi.

Alla fine, la conclusione più onesta a cui riuscì a giungere, era quella che non era ancora in grado di prendere quella scelta, in più di un senso. Non solo perché era ferito e stanco, ancora confuso in parte, e in parte pervaso da un nuovo senso di sé e delle cose attorno ottenuto attraverso il suo rielaborare l’accaduto e le cicatrici – fisiche e metaforiche – che i recenti fatti gli avevano lasciato addosso; non solo perché era terribilmente affamato, e allo stesso tempo sapeva che c’era un cerbiatto che si era rifiutato di uccidere che da qualche parte proseguiva la sua vita nella foresta; non solo perché ora sapeva qualcosa in più su Mara, e si rendeva conto che non l’avrebbe più vista come l’aveva vista fino a quel momento. C’era anche molto altro, un infinito nuovo mondo. Se per scoprirlo meglio lui dovesse preferire tornare da Mara piuttosto che non, al momento gli sembrava qualcosa di solo relativamente significativo. Non era tanto il fatto se fosse tornato da Mara ora, ma come vi fosse tornato; non era tanto quanto ancora riusciva a immaginare che avrebbero formato una coppia di caccia, un piccolo branco, ma come e quando non lo sarebbero più stati, e chi l’avrebbe scelto e perché.

Danny alzò il muso al cielo e rispose con la sua voce. Il suo ululato era breve, in qualche modo secco e ancora più formale di quello che lo aveva chiamato. Comunicò a Mara che sarebbe arrivato, ma che prima aveva bisogno di mangiare. Dopodiché, si mosse, dirigendosi col trotto spedito ma morbido e molleggiato delle quattro zampe verso la radura, dove avrebbe rimediato qualcosa da ciò che poteva essere rimasto della carcassa della cerva. Si chiese se Mara potesse intuire che sarebbe andato lì, e che l’avrebbe trovata ad aspettarlo, con quali intenzioni… non riusciva a immaginarlo. Ma le avrebbe affrontate, qualsiasi fossero state, non appena se le fosse trovate davanti, poiché rimuginarci tanto sopra prima non gli serviva a niente dopotutto.

 

 

Soundtrack: Venus in furs (Velvet Underground)

 

 

Note dello scribacchiatore:

Se fossi riuscito a trovare una soluzione migliore, avrei cercato di non rendere tanto lungo questo capitolo! Stavolta mi sono preso il tempo di rivederlo con calma, per cercare di renderlo più scorrevole alla lettura (soprattutto vista la lunghezza…). Spero di esserci riuscito abbastanza.

Comunque, chi si è belle-che-stancato della foresta, sarà contento di sapere che dal prossimo capitolo torniamo nella “ridente” Tairans! Olé, al prossimo capitolo!

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Capitolo 14
*** 13 - Every street you walk along (I) ***


Capitolo 13

(EVERY STREET YOU WALK ALONG – Parte I)

 

Il tramonto aveva toccato il suo massimo splendore, rosso e caldo come una fornace, solo una mezz’ora prima. Il calare del sole in quella stagione sembrava una faccenda lunga e impegnativa, come il vero e proprio bruciare di un intero astro. Da allora, i colori caldi del giorno e quelli freddi della notte avevano continuato a sfumarsi e mischiarsi con una dolcezza lenta e fantasiosa, creando ombre e luci affatto nette lungo le strade di Tairans, alterando leggermente i colori, dando persino all’aria una nota degna di un’illustrazione fiabesca.

Molte delle persone che si muovevano per le strade a quell’ora sembravano non notarlo, come se ci fossero ormai abituate a non notare praticamente niente e nessuno; come se quello non fosse altro che un giorno che si perdeva in una moltitudine di tanti altri; come se non fosse che una delle ore disperse tra le commissioni e i pensieri che lottavano, si scontravano, si stratificavano, togliendo spazio a contemplazione ed emozioni.

Danny era in grado di cogliere tutto questo, ma al momento per lui non era che uno sfondo: il brulicare delle persone affaccendate o che si aggiravano col carico delle loro vite nelle quali erano immerse, sul fondale di quella città invischiata nei colori naturali e artificiali, non lo riguardavano particolarmente al momento. Lui non apparteneva a quel luogo, era di passaggio, e quello non era un tassello come tanti nella successione delle sue faccende quotidiane, complicate e mondane, piane e articolate, qualcosa su cui scorrere cercando di evitare le angolature il più possibile.

Ogni angolo che voltava poteva essere decisivo in qualche modo: poteva trovare, in ogni nuova strada che imboccava, una traccia di Uther un po’ più forte o un po’ più debole, che lo avrebbe spinto a proseguire o costretto a tornare indietro e a provare un’altra strada. Stava tessendo la sua particolare e specifica mappa, che doveva ricalcare i movimenti dell’altro. Fino a quel momento, aveva capito una cosa: era inutile cercare di indovinare dove Uther volesse andare, o dove si stesse dirigendo. Seguendo la sua traccia, Danny si era ritrovato a vagare senza meta non solo perché a volte era costretto a tornare indietro e ritentare un’altra strada per non perdere l’odore che l’altro si era lasciato dietro, ma anche perché Uther stava – a tutti gli effetti – vagabondando senza meta.

Danny aveva smesso di cercare di interpretare le intenzioni di Uther dai suoi movimenti da un bel pezzo. Il fatto che stesse vagando diceva tutto e niente allo stesso tempo. All’inizio aveva pensato che volesse seminarlo, tuttavia entrambi sapevano che il modo in cui stava aggirandosi non era nemmeno vicino ad un valido tentativo di far perdere del tutto le sue tracce. Se avesse voluto sfuggirgli, avrebbe sicuramente potuto inventare qualcosa di molto meglio di quello, e metterlo in pratica. Se avesse voluto farsi raggiungere, cosa che sarebbe tuttavia apparsa strana considerando che era Uther e raramente faceva l’opposto di ciò che realmente voleva – e a tutti gli effetti gli era letteralmente scappato poche ore prima, certamente non si sarebbe dato pena di muoversi così rapidamente e con un percorso talmente arzigogolato, che ripassava almeno un paio di volte nello stesso punto, costringendo Danny ad un intenso sforzo di concentrazione, di memoria e di utilizzo dei suoi sensi di mezzo lupo per non farsi ingannare. Che stesse giocando, era arduo considerarla come una vera e propria possibilità, vista la situazione di potenziale pericolo in cui si trovavano, e, di nuovo, era pur sempre Uther, e quello non era un gioco da lui. Che stesse prendendo tempo, poteva essere, ma per che cosa esattamente, dal momento che la sera sarebbe diventata notte nello spazio di poche ore, e il pericolo sarebbe notevolmente aumentato, così come tuttavia la capacità di Danny di seguire un po’ meglio la traccia? Alla fine, Danny era giunto alla conclusione che nemmeno Uther sapesse esattamente che cosa stava facendo, e di fronte a quest’ultima possibilità delle tante che aveva considerato mentre procedeva senza tregua sulla sua traccia, aveva deciso di lasciar del tutto perdere quelle riflessioni.

Ora perciò procedeva a mente sgombra da ogni elucubrazione o tentativo d’interpretazione. Camminando, aveva lasciato dietro di sé persino i sentimenti, fossero di rabbia o di delusione, di sentirsi ferito o tradito; erano finiti sospesi da qualche parte, quei sentimenti, congelati temporaneamente, con la promessa di poter tornare presto, ma in un momento dove avrebbero forse potuto esprimersi meglio ed essere affrontati. Tutto quello che aveva in sé ora, tutto ciò che gli rimaneva, erano i sensi all’erta, la traccia da seguire e tenere in pugno come un filo d’Arianna in un labirinto in buona parte a lui sconosciuto e in cui non gli importava né temeva di perdersi se con questo avrebbe potuto ritrovare Uther. Prima che lo trovassero i lupi.

Il loro odore, si era reso conto in quel vagare per Tairans, era presente a vario livello praticamente in tutte le parti di città che stava attraversando; ma erano tutti odori a lui perlopiù sconosciuti, anche se di qualcuno trovava già traccia nella sua memoria da quando era stato nel villaggio di lupi appena fuori dalla città. Gli odori di Badlands o Mara, tuttavia, non comparivano mai: segno che i due non frequentavano molto Tairans. Questo non lo tranquillizzava particolarmente. Era solo un indizio come un altro da aggiungere alle interpretazioni, puramente tattiche ormai, che poteva solo sperare si rivelassero utili in futuro.

Il suo unico vero e proprio proposito certo e pratico, al momento, era quello di non farsi sorprendere dall’incrociare di colpo qualcuno di quei mezzi lupi, e – sopra ad ogni cosa – trovare Uther e riportarlo seduta stante all’appartamento, e rinchiudervicisi dentro. Non solo perché era quello che aveva detto Kumals. Ma perché era l’unica cosa che gli venisse in mente di poter fare in quel frangente, che non fosse quella di abbandonare immediatamente Tairans. Aveva considerato anche quella possibilità, certamente, e sapeva che doveva averci pensato anche Kumals. Perché non farlo?

Già… perché non darsela a gambe, non ricorrere alla ritirata, quando si era decisamente in svantaggio, tanto di forze quanto numerico, come persino Andrea aveva opportunamente fatto notare? Perché… perché non potevano lasciare perdere. Lui non poteva lasciar perdere. Non che lo dovesse riguardare per forza. Ma c’era Mara, e c’erano decine di mezzi lupi, e lui era un mezzo lupo tanto quanto loro, benché non avesse mai considerato l’ipotesi di metter su un intero villaggio di loro e dedicarsi a progetti da sterminio degli esseri umani e conquista del mondo. Non avrebbe saputo dire se fosse più strano non averci mai pensato, o cercare di metterlo in pratica. A che sarebbe servito, dopotutto, stilare una classifica di “stranezze”? Per fare qualcosa del genere, si sarebbe dovuto possedere un principio saldo di cosa doveva essere la ‘non stranezza’, cioè una qualche sorta di ‘normalità’, e non solo lui non ne aveva mai posseduto uno per natura, ma anche solo pensare di poter avere qualcosa del genere gli evocava un senso di disgusto e straniamento da far rizzare il pelo e arricciare le labbra per mostrare i denti in una smorfia di sospetto e allarme.

Proprio così. Chiunque agitasse bandiere di ‘Grandi Cause Giuste e Sacrosante’ e chiunque possedesse e vendesse – più o meno a buon mercato – libri di ‘Verità e Normalità’, avrebbe dovuto essere soggetto perlomeno ad un sempiterno sospetto, e, per quanto lo riguardava personalmente, ad un serio principio di nausea e mal di testa da allarme. E così si arrivava a rischiare di avere solo il principio opposto, l’unico forse che potesse essere condiviso: il principio di spezzare a morsi le catene, per lasciare quello spazio libero in cui muoversi con la propria vita, sogni e desideri in corpo, animati dal flusso naturale che può scorrere in ognuno.

Forse, era per questo che Danny non riusciva nemmeno a concepire la ritirata ora, anche se forse strategicamente avrebbe potuto essere anche in qualche modo sensata. L’accampamento dei mezzi lupi era così vicino a Tairans, che se se ne fosse andato da lì, si sarebbe portato via con sé l’unicità del suo trovarsi lì in quei giorni ed essere mezzo lupo e allo stesso tempo non essere abbagliato da idee di conquista del mondo. Non era niente di che in sé, nulla di straordinario o rivoluzionario o superiore; era qualcosa di preziosamente diverso in una situazione dove, tra esseri umani ignari o intimiditi da percezioni istintive che non erano più in grado di interpretare o ammettere, e mezzi lupi impazziti che stavano preparando chissà quale idiota progetto per iniziare sterminio e conquista mondiali proprio da Tairans, avrebbe eventualmente potuto dargli la posizione necessaria per capire cosa stava succedendo e forse lo spazio e le capacità per fare qualcosa. Cosa, non lo sapeva ancora.

Sapeva di non essere solo nell’occupare quella speciale posizione, in qualche modo lo sapeva. Ma tutti gli altri e le altre erano lontano, chilometri e chilometri. Qualcuno, nella fattispecie Kumals, si stava già attrezzando per venire lì, e conoscendo Andrea per quello che la conosceva, forse anche lei – al di là di quello che gli aveva detto – di lì a qualche ora avrebbe deciso di prendere un aereo e venire lì e basta. Se solo avesse alzato il telefono, Yuta si sarebbe precipitata lì. Zoal… beh, qualcosa sembrava suggerire a suo riguardo che per lei sarebbe stato un gioco da ragazzi materializzarsi lì da un momento all’altro, non appena avesse in qualche modo sentito o saputo che la sua presenza avrebbe potuto essere determinante e d’aiuto. E Ramo, certamente non ci avrebbe pensato due volte, se solo qualcuno gli avesse detto che diavolo stava succedendo. A dire il vero, Danny non riusciva davvero a spiegarsi perché, tra chi non sapeva cosa stava accadendo e chi non aspettava altro che una chiamata per precipitarsi lì, si ritrovasse ancora a vagare da solo. Ma gli era ancora la cosa più naturale, dopotutto, essere a tutti gli effetti in solitaria, quel momento come tanti altri in passato. L’unico che fosse effettivamente lì con lui, a Tairans, era la persona di cui stava seguendo la traccia dopo che aveva deciso di sfuggirgli e di costringerlo perciò a cercarlo. Se solo fosse riuscito a imporsi una certa leggerezza, l’avrebbe trovato alquanto ironico.

Ad ogni modo, riusciva ancora a mantenere sospese le riflessioni complesse, a lasciarsele alle spalle, e davanti a sé non aveva altro che una traccia da seguire attraverso le strade di Tairans immerse nel mescolio incantevole e morbidamente sfumato in una varietà incredibilmente fantasiosa e pittorica dei colori che possono scaturire nel momento in cui il giorno morente abbraccia una notte incombente. Chi si addormenta e chi si sveglia. E tutto il resto, non era che un’ombra densa di prospettive ancora imperscrutabili.

 

Danny stava attraversando un quartiere di vicoli stretti e labirintici, tra case vecchie, in cui si spandevano gli odori del cibo del pasto delle persone che vi abitavano; era ormai l’ora di cena, e quei vicoli erano praticamente deserti. Stava incontrando diverse difficoltà, in quel momento, a seguire la traccia di Uther, poiché in quelle strade c’erano odori molto forti e che tendevano a coprire praticamente tutti gli altri: odori umani, di cibo, di sporcizia e di sapone da bucato, di pelle lavorata… esalazioni d’ogni tipo, che il caldo della sera e della stagione acutizzava. Aveva perciò rallentato il passo, suo malgrado allontanando così di un poco la possibilità di accorciare la distanza tra lui e Uther, ma non potendo rischiare di perdere la traccia. Tra sé e sé, aveva ancora riposta da qualche parte la speranza che ad un certo punto si sarebbe accorto che il suo seguire la traccia lo stava portando a tornare verso l’appartamento, e che una volta giunto là, avrebbe trovato Uther tornato a casa, rinsavito da qualsiasi cosa gli avesse preso abbastanza da considerare che, calato il buio, il miglior luogo dove trovarsi fosse proprio rinchiusi nell’appartamento, i lupi fuori e solo uno, Danny, dentro casa.

Fu allora che Danny girò l’ennesimo angolo, entrando in uno di quei vicoli stretti, e sentì qualcosa nell’aria che lo indusse a fermarsi di botto e ad alzare immediatamente lo sguardo lungo tutta la lunghezza della stradina. Individuò in un attimo con gli occhi la sagoma ferma in piedi in mezzo al vicolo, come se lo aspettasse tranquillamente e accennasse a sbarrargli il passo tuttavia senza pretese di volerlo veramente ostacolare, a giudicare dalla posa comunque rilassata e indolente, quasi annoiata, sebbene certamente volesse farsi notare. L’odore di quella sagoma lo individuò solo dopo il contatto visivo, dal momento che quel vicolo dava sul retro di un ristorante, e l’odore di cibo dell’industriosa cucina in piena attività, che inondava la strada uscendo da alcuni tubi che sboccavano in quel vicolo, era sufficiente a coprire quasi ogni altro odore.

Danny fissò la figura che aveva immediatamente riconosciuto, e il suo sguardo si indurì insieme ai muscoli della sua mascella; non era vera e propria rabbia, quanto piuttosto una constatazione affatto amichevole della presenza dell’altra, ciò che diede al blu delle pupille una sfumatura di ferro e gelida, e che gli fece inconsciamente scoccare un breve lampo di freddo ammonimento attraverso lo spazio che li separava.

Mara lo fissò a sua volta, impassibile ma in modo completamente diverso. Il suo atteggiamento era volutamente casuale e tranquillo, perfettamente sicuro di sé, venato di un’insensibilità consumata e in qualche modo sinistramente divertita.

«Ti capisco, Danny.» gli disse.

Sentì la sua voce controllata e melliflua raggiungerlo, il tono abbastanza alto da farsi udire da lui e abbastanza basso da non farsi sentire da altri, o, semmai fosse stato udito, sarebbe apparso tranquillamente come un tono colloquiale come qualsiasi altro, quello tipico di due persone qualsiasi che già si conoscono e si sono appena incrociate per caso per strada. Ma alle sue orecchie familiarizzate a cogliere ogni sfumatura di quel tono, le sue parole e la sua voce suonarono come se lei stesse proseguendo una conversazione che avevano iniziato in un altro momento e in un altro luogo, e non avevano ancora avuto modo di proseguire fino ad ora.

Danny ebbe l’impulso di voltarle le spalle e andarsene. Ma rimase immobile. Non perché riteneva pericoloso voltarle le spalle in quel momento, non particolarmente più pericoloso del solito perlomeno; per quanto Mara potesse essere rapida e veloce e mortale, se avesse corso per raggiungerlo alle spalle, avrebbe avuto modo di sentirla e girarsi in tempo per fronteggiarla. Inoltre, l’atteggiamento di lei aveva qualcosa di meno follemente affilato di quando l’aveva incontrata presso il falò al villaggio dei mezzi lupi. Forse perché ora non aveva un pubblico di mezzi lupi davanti al quale mostrarsi altera e implacabile, per quanto spesso già riuscisse ad apparirlo spontaneamente di suo, o forse perché ora lei riteneva che fosse più interessante o divertente assumere dei modi più morbidi e confidenziali. Danny non era più da tempo di quella pasta che gli permettesse di cadere in quei giochi pilotati di atteggiamenti manifestati con secondi fini, ma ciò che non gli permetteva di andarsene era il fatto che la traccia di Uther passava per quel vicolo, e lui doveva proseguire in quella direzione. Anche lei doveva poterla sentire la traccia di Uther, se si concentrava abbastanza; e se anche lei si fosse messa a seguirla, lui avrebbe dovuto essere il primo a raggiungere Uther!

Riguardo al significato delle parole che lei gli aveva appena rivolto, potevano voler dire tutto o niente, come lui ben sapeva. Conosceva i suoi modi, come lei lanciasse a volte precise frasi e usasse determinati termini, per provocare una reazione nell’altra persona e poterla studiare. Lui rimase attentamente impassibile. Sapeva di che si trattava: non era tanto quello che lei diceva, ma il senso che quelle parole potevano assumere per lui. Un senso estremamente sgradevole, ad essere precisi. E dal momento che lei era particolarmente brava in quella tecnica e che lo aveva conosciuto abbastanza bene un tempo, sapeva che non le aveva scelte casualmente. Ora, però, la vera domanda che lui non poteva permettersi di perdere di vista, era che cosa lei ci faceva lì, qual’era il suo scopo, ciò che voleva ottenere. A meno che non fosse per lei che un semplice passatempo, l’essere venuto a cercarlo per tormentarlo, infastidirlo, provocarlo, distrarlo… fargli perdere tempo, forse?

«Ne dubito.» disse solo alla fine, in risposta, in tono basso e deciso, ma anche piuttosto corrucciato e decisamente irritato. Doveva velocizzare quello scambio di parole costretto, se voleva tornare il prima possibile sulle tracce di Uther, dopo aver eventualmente compreso se Mara fosse lì in quel momento per uno scopo preciso che potesse aver a che fare appunto con Uther. Ad esempio, se lei fosse stata lì per fargli perdere tempo, poteva significare che altri lupi stavano cercando nello stesso momento di raggiungere Uther…

«Oh, sì invece.» replicò lei, affabilmente, un tono amichevole e confidenziale che suonava posticcio ed artefatto, ma il sorrisetto che fece appena baluginare i denti bianchi e perfetti tra le labbra apparve sinceramente divertito.

Mara accennò qualche passo lento e distratto in avanti, ma Danny irrigidì la sua posa in maniera evidente, dandole segno che se lei non manteneva le distanze, dal canto suo si sarebbe tenuto pronto a reagire fisicamente e affatto amichevolmente a qualsiasi ulteriore tentativo di avvicinamento. Mara fece solo un altro passo o due, ma dal suo sguardo lui comprese che aveva recepito il messaggio, e la vide infatti fermarsi di nuovo e rinunciare al proposito di avvicinarsi maggiormente. C’erano una decina di metri buoni che li distanziavano, ma non era per una questione di minaccia fisica che Danny preferiva mantenere le distanze.

«E’ una bella serata…» continuò lei, con un tono da chiacchierata, il ritmo delle parole lento e tranquillo, come se il passatempo di conversare fosse pur sempre qualcosa che poteva rivelarsi melanconicamente affascinante «Per fare una passeggiata in questa incantevole cittadina.». C’era decisamente una punta di sottile ironia lì, ma Danny la ignorò nello stesso istante in cui la recepì. Se lei pensava di incantarlo sull’argomento del ‘terreno comune’ di considerazioni su Tairans che potevano condividere due mezzi lupi, e in particolare loro due, si sbagliava.

«Ma ho come la sensazione che non si tratti solo di questo.» disse Mara, e il suo sguardo, che si era apparentemente perso in un molle e svagato giro sulle case lì intorno, tornò a fissarsi di scatto su di lui, focalizzandolo bene, come se avesse preso la mira con attenzione già da parecchi istanti. Il suo tono si fece di colpo netto, preciso, puntuale, le parole scandite e astutamente chirurgiche. Il modo di giocare stava cambiando.

«Ho come la sensazione che tu stia cercando qualcosa... Perso qualcosa, Danny-boy

«Nulla che ti riguardi.» le rispose, il tono neutro, gli occhi attentamente fissi su di lei, registrando il particolare che lei sapeva che in qualche modo lui stava cercando Uther.

«Oh… non ne sarei così sicura…» e rise appena, sommessamente e gutturalmente, come se ne sapesse ben più di lui in merito.

«Cosa vuoi?» domandò Danny, con cupa stizza.

«Chissà, forse quello che vuoi tu, Danny?» accennò lei, di nuovo con atteggiamento casuale e tuttavia ora venato dal più scoperto tentativo di incuriosirlo.

«Sarebbe?» insistette lui.

Mara gli lanciò uno sguardo divertito, saputo e soddisfatto, come se si potessero capire perfettamente a quel modo. Ma lui conosceva il trucco, il modo in cui lei poteva lasciar intendere agli altri che stavano parlando di/ pensando/ sentendo la stessa cosa, che avevano molto in comune, che si trovavano in sintonia, che potevano parlarle di tutto e lei avrebbe capito. Lui invece, al momento non voleva nemmeno farla parlare, solo toglierla di mezzo. Stava considerando anche che sarebbe stato più semplice, forse, uscirsene da quel vicolo e girare dall’altra parte raggiungendone l’imboccatura opposta e riprendere da là la traccia di Uther. Tuttavia, doveva ammettere che andarsene di nuovo via, e specialmente ora che c’erano solo loro due e non un intero villaggio di mezzi lupi incantati dalle assurdità di lei e pronti eventualmente ad aggredirlo, era un tantino più difficile per il suo amor proprio.

«Se stai parlando di quella faccenda dello sterminare gli esseri umani e conquistare il mondo, Mara… onestamente? Onestamente credo che nemmeno tu possa essere impazzita al punto da crederci. Immagino sia solo un gioco un po’ più grande e assurdo dei soliti, e forse ti starai divertendo con quell’accozzaglia di mezzi lupi e il loro aver messo su una pantomima orrenda di un villaggio da baraccopoli umana. Ma io… non ne voglio sapere nulla.» mentì Danny.

Eccome se ne avrebbe voluto sapere di più, nell’ottica di impedire eventuali attacchi di un enorme branco di mezzi lupi decerebrati a Tairans. Ma non poteva dare a lei l’occasione di tendere trappole o dargli false piste. Non poteva darle alcuna impressione di essere interessato a quello che stava combinando, o lei ne avrebbe approfittato, ne avrebbe ricavato un modo per divertirsi, e sarebbe stato un pessimo errore.

Lo sguardo di Mara si assottigliò appena, di nuovo un poco irritato dal suo modo di riferirsi a ciò che stava facendo al villaggio, ma lo superò in fretta, e tornò a sorridere ancora più evidentemente e sinistramente.

«Già. Non preoccuparti, Danny, penso che capirai meglio, più avanti, quando sarà troppo tardi presumo… Ma non è di questo che stavo parlando. Stavo parlando del miserevole agnellino che ti è sfuggito dall’ovile, e che devi star cercando da ore. Povero Danny, devi essere molto stanco ormai. E probabilmente non hai ancora idea del perché il caro agnellino si comporti in questo modo così… sì, così ingrato, quando tutto quello che vorresti fare tu per lui è proteggerlo da tutti questi lupi cattivi. E quello cosa fa, se non fuggire e aggirarsi chissà dove, proprio quando sta calando la notte? Davvero un ingrato, sì!» e Mara esplose senza preavviso una risata sonora.

Danny sentì il tremolio dei nervi e dei muscoli trattenuti a stento attraversargli tutto il corpo, dalla punta dei capelli a quella dei piedi, ma rimase immobile e cercò come meglio poté di non dare a vedere nulla del suo sforzo di dominarsi. Lei avrebbe approfittato di ogni debolezza, l’avrebbe colta e vi avrebbe insistito sopra.

«Come ho già detto, nulla che ti riguardi.» disse solo.

«Ma davvero?» fece lei, smettendo di ridere e tornando a guardarlo con rinnovato interesse e falso stupore «Eppure, io e l’agnellino abbiamo parlato parecchio, prima del tuo arrivo. E fino ad allora, lui era mio gradito ospite da noi. Ma sembrerebbe che, da quando è venuto via con te, costretto peraltro dal tuo esserti pronunciato sul fatto che non te ne saresti andato via senza di lui, non riesca a trovare la sua tranquillità. Non con te, perlomeno.»

Danny prese un lungo ed elaborato respiro, prima di rispondere. Non poteva cedere, su niente, non con lei, e non poteva assolutamente lasciarsi attrarre dalla possibilità di sapere da lei che cosa diavolo Uther avesse fatto o detto al villaggio dei mezzi lupi impazziti. Ogni parola che fosse provenuta da lei, avrebbe potuto essere ingannevole in maniera mirata ed incisiva, persino peggio di quello che già stava dicendo e il cui scopo non era certo così celato: provocarlo fino a riuscire a spezzare il sottile argine con cui lui stava tenendo le sue parole e azioni su un sentiero ragionevolmente misurato.

«Tuttavia, noto che nonostante tutto non è tornato da te… da voi… al villaggio.» ribatté semplicemente. Non era certo di questo, ma qualcosa gli diceva che Uther non sarebbe arrivato a tanto, anche se ancora non sapeva dove si trovava.

Vide una leggera smorfia di fastidio, fugace, passarle sul volto, ma lei stava già parlando di nuovo.

«Certamente, potrebbe benissimo essere ciò che è costretto a evitare di fare, dal momento che altrimenti anche tu verresti là, a farti ammazzare per lui.»

Sì, Danny sapeva che poteva anche essere vero. Lo sapeva già, ma non poteva credere che fosse solo per quello, non poteva permettersi di crederlo, ora come ora.

«Ebbene, che cosa te ne importa, di quello che lui fa o non fa, esattamente?» le chiese direttamente.

Mara sbatté gli occhi, in una nuova ostentazione di sorpresa. Poi sorrise, con falsa complicità dolce.

«Non lo so ancora esattamente. Sarà che… ci dev’essere qualcosa di interessante in questo agnellino. Qualcosa che devi aver colto anche tu, dal momento che ti dai tanta pena per lui.» accennò significativamente, divertita.

«O, forse, è solo perché ci tengo io che ti interessa così tanto.» tentò Danny «Forse, dopotutto sei tu quella che non si da pace, nonostante io e te non abbiamo più niente da dirci o da fare da ormai molto tempo… da quando me ne sono andato.»

Lo sguardo di Mara si rabbuiò di colpo, come se la notte le fosse calata nello sguardo, e un lampo di rabbia feroce le saettò negli occhi.

«Pretendi di avere una pessima memoria, Danny. Sono io che ti ho lasciato al tuo misero destino, molto tempo fa.» ribatté, il tono duro tra i denti strettisi tra loro.

Danny si sforzò con ogni fibra del suo essere di non dare a vedere che cosa stava cercando di fare. Quello sprazzo di ferocia incontrollata in lei gli dava segno che aveva trovato un buon punto d’attacco, un punto valido per spostare l’attenzione di lei, almeno per il momento, da ciò che riguardava Uther, per farla focalizzare solo su loro due. Se solo fosse riuscito a indurla a farla togliere di mezzo dalla sua strada… fosse l’aggredirlo o l’andarsene, al momento poco gli importava.

«Sbagli.» le disse, lentamente e tranquillamente, benché fermo e deciso, sapendo che ora lei lo stava ascoltando con la massima attenzione, e che non lo considerava più solo come un giocattolo, almeno per quel momento, finché fosse durato «Tu te ne andasti perché ero io che me ne ero andato, in un certo senso. Ero io che non ti consideravo più come… la mia guida, la mia divinità… o quello che era. Non riuscivi più a farmi guardare a te in quel modo, né con le minacce né con le lusinghe, né con entrambe. E così, quando potevi essere considerata da me solo per ciò che eri, per ciò che sei… quando ho aperto gli occhi e ti ho guardata davvero, allora te ne sei andata. Sei fuggita. Puoi raccontarti che mi hai abbandonato finché vuoi, ma non è così.»

Mara era veramente fuori di sé, ora, e Danny sapeva che se qualcosa non l’avesse trattenuta, un qualche recondito scopo che doveva avere già chiaramente delineato prima di decidere di pararsi di fronte a lui in quella strada, quello sarebbe stato il momento in cui gli sarebbe saltata alla gola col proposito di ucciderlo, per impedirgli per sempre di poterle ancora rivolgere simili parole e in quel tono, per farlo immediatamente smettere di guardarla in quel modo.

All’improvviso, Danny realizzò che lei fingeva di vederlo, ma la sua prospettiva era falsata dal fatto che credeva di poterlo conoscere per ciò che lo aveva conosciuto quando lui era un lupo troppo giovane e inesperto, alla sua mercé; lei era in grado di vedere solo le sue debolezze, tirando in ballo persino Uther, ammesso e sperando che fosse solo per quello, ma non era in grado di vedere come lui potesse essere cambiato, e in che cosa potesse essere ora  la sua forza e la sua decisione. Aveva la sensazione che invece lui poteva vederla, perché lei non sembrava cambiata così tanto in fondo, a parte per quella faccenda di giocare più in grande, con la storia della conquista del mondo a partire da un enorme accozzaglia di mezzi lupi instupiditi in una baraccopoli mal raffazzonata.

Passarono diversi momenti, poi Danny la vide riprendere il controllo di sé, anche se non era più in grado di far ben finta di stare giocando come il gatto col topo e basta, non era più capace di fingersi accuratamente distaccata e distante ora. Lo sguardo di Mara rimase rabbuiato, ma prese una distinta nota di crudele divertimento, che accompagnò perfettamente il sorrisetto che le salì alle labbra. Lo fissò con intenzione, mentre rispondeva.

«Come che sia, è passato molto tempo, e non mi interessa, non mi è mai parso molto interessante, dopotutto.» gli comunicò «In fondo, tu sei ancora quello sciocco giovane lupo che crede nelle favole e vuole ignorare che il sangue scorre in tutte le vene, e che tutte le vene possono essere recise in un attimo da una sola leggera carezza dei nostri denti. Gioca pure a guardie e ladri col tuo agnellino, Danny-boy, ma se vuoi un consiglio, e te lo dirò per l’ultima volta, non sottovalutare ciò che può aver capito su di te e su di noi, e ciò che potrebbe desiderare… La notte dei lupi è vicina. Non la senti nell’aria? Sei un lupo così venuto male da non essere più in grado di sentirla arrivare? Quanti splendidi canti di caccia e grida di morte si alzeranno, in questa notte che sta per tornare… Oh, non puoi nemmeno immaginarlo. Ma tu belerai come una povera pecorella sperduta nel buio, e io credo che spererai di non aver di fianco l’agnellino che non saresti in grado di proteggere quando arriveranno i lupi. Una notte in cui si potrà essere solo o pecore o lupi, Danny, e ce ne saranno molte, moltissime altre da ora in poi. Credimi.»

Mara accentuò il suo sorriso sinistro, e Danny la fissò intensamente, cercando in ogni modo di capire se, come sospettava, quei suoi modi non fossero altro che una finzione per impersonare il ruolo della pazza invasata e lucidamente folle che sembrava. C’era qualcosa da eccessivo fronzolo nelle sue parole, e lui era stupito che ora lei ne sentisse il bisogno per mascherare in qualche modo la sua sempiterna ferocia cieca e distruttiva.

Forse dal modo in cui lui la stava studiando un po’ confuso e perplesso, Mara ne ricavò una qualche soddisfazione, perché la vide tornare di colpo meno misteriosamente profetica, e il suo sorrisetto si fece meno oscuro e più pianamente sazio e divertito. Di lì a poco, si stava già girando per dargli le spalle e allontanarsi in direzione opposta, andandosene a passi molleggiati e cadenzati, elegante e leggera. Sarebbe potuta apparire molto affascinante per il suo modo di muoversi e per il suo aspetto, almeno a qualsiasi occhio umano, mentre un mezzo lupo ne avrebbe sicuramente potuto apprezzare l’ulteriore valore dato dall’ottimo controllo bilanciato di ogni singola movenza, dall’eccellente stato di salute fisica, e dall’emanazione di forza ben gestita. Ma Danny si limitò a controllare che se ne stesse effettivamente andando, senza sottovalutare né lasciarsi confondere da quelle parvenze abbacinanti, dal momento che sapeva che erano le stesse che si accompagnavano invariabilmente ad una letalità altera, giocosa e troppo alla leggera, spesso semplicemente micidiale.

Mara si fermò dopo aver percorso diversi metri, dando l’impressione, con uno studiato movimento con cui raddrizzò e irrigidì leggermente schiena e spalle, di essersi ricordata di qualcos’altro solo in quel momento, come per una sua precedente distrazione.

«Non lo trovi incredibile, Danny?» la udì dire, senza che lei si voltasse.

Lui non la assecondò, intuendo che avrebbe comunque proseguito da sola, come infatti fece.

«Nonostante sia passato tanto tempo, ci re-incontriamo di nuovo. Forse è destino, che potremmo incrociarci ancora e ancora, attraverso ogni singola strada che percorriamo.»

Mara rise di nuovo, di gusto, e lui distinse chiaramente ogni singola nota di perversa soddisfazione in quella risata priva di ogni reale gioia, fabbricata ad arte, densa di un qualche altro tipo di piacere.

Ancora ridendo, Mara riprese a camminare, finché la sua risata si spense poco prima che lei girasse l’angolo del vicolo e sparisse alla vista.

Danny attese solo qualche altro momento, poi si incamminò a sua volta lungo il vicolo, i sensi di nuovo concentrati unicamente sulla traccia odorosa lasciata dal precedente passaggio di Uther per quella via. Quando giunse all’altro capo del vicolo, usò appena un po’ più di cautela del necessario per affacciarsi oltre gli angoli delle case, ma, come aveva immaginato, non c’era più traccia di Mara, a parte quella del suo odore. Prese la svolta opposta a quella che aveva preso lei, semplicemente perché l’odore di Uther proseguiva da quella parte, notò con sollievo; se non altro, forse Mara non era interessata al momento a trovare Uther. Molto meglio così.

 

Fu dopo diversi altri minuti da quello spiacevole incontro che Danny incrociò qualcosa di interessante nella pista lasciata da Uther. Sembrava che il vagabondare dell’altro avesse di colpo preso una direzione precisa. E non era quella che andava verso l’appartamento, né quella che portava verso l’accampamento dei mezzi lupi.

Danny decise di tornare un po’ indietro lungo la traccia, e sebbene questo lo costrinse a ripercorrere avanti e indietro le stesse strade per un po’, non fu qualcosa di inutile. Ora non si limitava a ripercorrere la traccia, e quindi a ricalcare insistentemente i passi di Uther, ma cercava qualcos’altro, un indizio – se c’era – di quello che potesse aver suggerito così di colpo all’altro un posto preciso in cui dirigersi.

Dopo un po’ lo trovò. Era un particolare abbastanza evidente, e uno dei primi che avrebbero attratto di per sé l’attenzione di molti dei ‘Quattro di picche’. Si trattava di alcuni manifesti colorati stampati su fogli di carta spessa e attaccati con colla liquida ai muri. Annunciavano un concerto di musica rockabilly, che si sarebbe tenuto quella sera ad un certo indirizzo di Tairans.

Danny sorrise appena tra sé e sé, proprio quando ormai era sul punto di dubitare seriamente che qualcosa avrebbe potuto farlo sorridere.

 

 

[Soundtrack: There she goes again (Velvet Underground)]

 

Note dello scribacchiatore: sorry, anche questo capitolo mi è venuto lunghetto. Spero non troppo pesante alla lettura. Tuttavia, al momento non saprei come riscriverlo meglio di così, al momento ogni cosa mi sembra a suo modo fondamentale per come volevo renderne il contenuto. Comunque sia, tra poco le cose diventeranno decisamente più movimentate… ;)

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 15
*** 14 - Let it rock'n'roll - parte I ***


Capitolo 14

(LET IT ROCK’N’ROLL – parte I)

 

Era sera inoltrata ormai. Danny ipotizzò che potevano essere intorno alle dieci di sera, calcolando in base a quanto tempo prima era definitivamente scomparsa l’ultima ombra di luce solare. E il calare della notte lo preoccupava non meno del fatto che si stava muovendo nella zona industriale di Tairans, ovvero la parte della città più vicina al punto dove si trovava, immerso nella boscaglia, il villaggio dei mezzi lupi. A preoccuparlo ancora maggiormente, era il motivo per cui si trovava lì: come aveva confermato il sentore della traccia odorosa lasciata dal passaggio di Uther, lui doveva essere da quelle parti. E se da un lato l’essere ormai in procinto di trovarlo lo rassicurava, dall’altro si sentiva fin troppo impreparato ad affrontarlo, specie dopo che se l’era data a gambe, e specialmente per via del fatto che non poteva in alcun modo deviare dalla primaria necessità di riportarlo al più presto all’appartamento, dove sarebbero stati decisamente più al sicuro, o almeno ci si poteva sperare abbastanza.

Nonostante tutto, quando si appressò al capannone dove si svolgeva il concerto di rock’n’roll e iniziò ad udire il frastuono di molte persone radunate lì, sovrastato solo da quello dell’accattivante musica dal vivo, un sorrisetto spontaneo gli incurvò appena le labbra per qualche momento. Era in ogni caso migliore il pensiero che Uther se la fosse data a gambe per andare a quel concerto, piuttosto che per scappare lontano da lui e dalla relativamente maggiore sicurezza che poteva offrire l’appartamento.

Danny attraversò con calma la piccola ressa di persone radunata fuori dal capannone, intenta a fumare, chiacchierare e bere, senza degnarli di uno sguardo più attento di una rapida rassegna con la coda dell’occhio: i suoi sensi gli dicevano abbastanza chiaramente che erano tutti esseri umani fatti e finiti. Nessun mezzo lupo; c’era decisamente di che tirarne un sospiro di sollievo. A quel punto si limitò ad attraversare il portone spalancato del capannone e ad entrarvi.

L’interno era completamente ingombro di gente, eccetto che per lo spazio occupato dal palco su cui stava suonando un gruppo, e per un angolo occupato dal bancone di un bar attrezzato alla belle e meglio. Seguendo l’ispirazione del momento, nonché l’intuito e l’esperienza, Danny si diresse verso quest’ultimo. Ora i suoi occhi saettavano invece attentamente da una persona all’altra, soffermandosi per quelle poche frazioni di secondo necessarie per assicurarsi che non si trattasse di chi stava cercando.

Alla fine, riconobbe la sagoma appoggiata di lato al bancone del bar, il gomito sul piano del bancone, che gli dava le spalle e guardava verso il palco, una bottiglia di birra in mano e le spalle piuttosto rigide. Danny gli arrivò molto tranquillamente alle spalle e si appoggiò a sua volta al bancone, decidendo di restare in silenzio, almeno finché una ragazza che stava facendo la barista gli chiese esplicitamente che cosa volesse da bere. Esitò solo per un momento, prima di far udire la sua voce per chiedere un cicchetto di un liquore.

Come immaginava, Uther riconobbe immediatamente la sua voce e voltò la testa verso di lui, ma il suo sguardo lo sorprese. Sembrava tranquillo e per niente stupito, come se potesse normalmente capitare che si incrociassero così, ad un concerto. Non come se avessero appena passato mezza giornata a sfuggirsi e cercarsi. Danny pensò che forse aveva intuito giusto, nonostante tutto: Uther non aveva mai avuto seriamente intenzione di scomparire e di seminarlo, e lo stava aspettando.

Danny rimase ad ogni modo in silenzio. La ragazza gli portò il cicchetto e lui lo pagò, poi prese a sorseggiarlo e si mise a guardare il gruppo che suonava, in qualche modo anche lui mantenendo quel contegno da ‘fare finta di niente’. Che altro avrebbe potuto fare, ormai? Dopotutto, non v’era traccia di mezzi lupi lì, e lui dubitava seriamente che sarebbero venuti ad ascoltare un concerto o che avrebbero iniziato la loro sottospecie di “conquista del mondo” quella notte. Come aveva detto Mara… avrebbero aspettato la notte per loro più vantaggiosa. Non era ancora il momento.

Tra sé e sé, tuttavia, valutò che avrebbe concesso ad Uther un’oretta suppergiù, per godersi il concerto. Dopodiché, in un modo o nell’altro, l’avrebbe trascinato a casa. Si ritrovò a soppesare per un momento il fatto che forse, se per allora Uther avesse già ingurgitato abbastanza birra, il suo compito di trascinarlo fino all’appartamento sarebbe potuto risultare più semplice… e subito dopo averlo pensato si chiese seriamente come diavolo fosse arrivato a quel punto.

«Hai visto chi c’è?» domandò in quel momento Uther, distogliendolo dalle sue fastidiose riflessioni, e facendolo concentrare di nuovo sul qui ed ora.

Immediatamente si rabbuiò, riconoscendo il tono dell’altro che all’orecchio di uno sconosciuto qualsiasi sarebbe risultato sommariamente tranquillo e colmo di nonchalance; temendo il peggio, nonostante i suoi sensi continuassero a confermargli l’assenza di mezzi lupi, il suo sguardo seguì quello di Uther, che stava fissando un punto particolare in mezzo alla folla.

Si ritrovò ad osservare un gruppetto di poco meno di una decina di persone. Erano quasi tutti maschi, a parte due donne, e Danny registrò rapidamente alcuni di quei particolari che non avrebbero potuto passare inosservati agli occhi suoi e di Uther. Si trattava di alcuni simboli che indossavano su delle toppe sulle giacche, del fatto che fossero tutti dotati di una buone dose di muscoli da palestra, della posa rigida e sfrontata come se fossero sempre pronti a tirare pugni e calci, il modo in cui restavano compatti tra di loro e consideravano tutto il resto dell’ambiente e delle persone lì riunite come estranee e in qualche modo inferiori a loro, di come le uniche due donne presenti avessero un atteggiamento altrettanto strafottente e sicuro di sé in maniera codarda e allo stesso tempo sottomessa e secondaria rispetto agli altri del gruppo.

Danny aveva visto molte specie di “branchi umani” nel corso della sua vita, ma uno così era davvero inconfondibile. Fascisti.

Uther lo stava guardando, ora, si rese conto con la coda dell’occhio. Senza distogliere lo sguardo dal gruppetto, Danny annuì in modo che l’altro ricevesse la risposta alla sua domanda. Sì, ora aveva visto.

Uther cavò fuori un lieve ghigno, tuttavia tremendamente serio.

«E come pensi che potremmo fare… con loro?» gli domandò ancora, allusivo e severamente serio ad un tempo.

Danny a quel punto lo guardò.

«La mia opinione? C’è un sacco di gente. Loro sono in quasi dieci. Probabilmente ci sarà in giro della polizia qui intorno, dal momento che sapranno anche loro che questo tipo di concerto può attirare un certo tipo di persone, e…»

«Hai visto l’ombra di una divisa, o di borghese*, venendo qui?» lo interruppe tranquillamente Uther.

«No. Non mi sembra.» ammise Danny.

«Da queste parti…» proseguì Uther, sempre con molta calma, il tono abbastanza basso da mantenere la conversazione solo tra loro, e l’atteggiamento impeccabilmente tranquillo e indifferente «Credo che non sia capitato che qualche fascista o simil-tale si sia preso nemmeno uno sgambetto da… direi cinque o sei anni.»

«Vuoi dire… pressappoco da quando non ci siete più in giro tu e Kumals?» ipotizzò Danny.

Uther annuì appena, sorseggiando la birra.

«Da quando non ci siamo più in giro io, Kumals, Yuta e Zoal.» precisò.

Danny rimase in silenzio, lasciandogli lo spazio per continuare. Intuiva che c’era dell’altro che stava per dire.

«Tairans non è mai stata un posto particolarmente ricco di… individui politicamente schierati, aldilà degli schieramenti politici ufficiali e partitici perlomeno. Non credo neanche che ci siano fascisti qui, così come antifascisti. Non è un posto per giovani, non esattamente. Probabilmente molta della gente che c’è qui stasera viene da paesi provinciali qui attorno… o da città vicine. Compresi i nostri “amici” laggiù.» e dicendolo si guardò bene dall’indicarli, o anche solo dallo scoccare in quella direzione più che un breve sguardo distratto. Non aveva certo bisogno di farlo perché Danny capisse di chi stava parlando.

Danny sospirò appena.

«Quindi, è improbabile che la polizia locale si aspetti che accada molto di più di un po’ di ragazzi sbronzi, e forse qualche tamponamento o qualche auto in un fosso dopo la fine del concerto.» completò.

«Già.» confermò Uther, schioccando le labbra inumidite dall’ultimo sorso di birra.

Danny sospirò di nuovo, e finì con un sorso il suo cicchetto di liquore. Appoggiò il bicchierino vuoto sul bancone e corrugò appena la fronte.

«In ogni caso, credo che qui ci sia già abbastanza gente che potrebbe… allarmarsi del fatto che scatti una rissa nel bel mezzo del concerto. Sai, quel genere di spirito del tipo… ‘che importa? Fasci, non fasci, dobbiamo solo divertirci ed evitare di rovinarci la serata’.» osservò.

Uther soppesò per qualche momento le sue parole, prendendo un altro sorso di birra.

«Potremmo sempre aspettare verso la fine del concerto, quando usciranno… e andarli a beccare nel parcheggio.» suggerì, in tono tatticamente ragionevole, e sempre molto tranquillamente.

Danny alzò notevolmente entrambe le sopracciglia, benché Uther non lo stesse più guardando.

«Veramente… non penso che sia una buona idea restare da queste parti tanto a lungo.» disse, sentendo il suo stesso tono suonare in qualche modo piuttosto duro, e forse anche ammonitorio.

Uther si voltò a quel punto a fissarlo, seriamente. C’era qualcosa nel suo sguardo che sembrava cercare di capire che cosa lo spingesse a dire ciò, e qualcos’altro… come se non fosse sicuro di riconoscerlo del tutto, o come se sospettasse qualcosa.

Danny trattenne il fiato, imponendosi di rimanere tranquillo, e prese quello sguardo come se si trattasse di un colpo sotto al quale non poteva permettersi nemmeno di barcollare.

«Considerata la nostra situazione, intendo.» disse, esalando lentamente il fiato, scandendo attentamente le parole, e guardandolo seriamente. Riponeva tutte le sue speranze nel fatto che Uther avesse, almeno ora, il buonsenso di non solo afferrare al volo cosa stava dicendo, ma anche di concordare. Se era capace di tirare fuori tutta quella strategia allo scopo di dare qualche sberla ad un gruppetto di fascisti, perché mai non avrebbe dovuto riservare la stessa intelligente ponderazione al fatto che erano al momento esposti alle attenzioni di un intero branco di mezzi lupi apparentemente intenti a progettare di sterminare la specie umana e conquistare il mondo, o giù di lì?

Danny si rese conto che avrebbe potuto scusare Uther per questo, fino a qualche giorno prima, quando poteva ancora supporre che, nonostante la loro familiarità reciproca, ben pochi altri a parte i mezzi lupi potessero capire bene di che cosa erano capaci quelli della loro stessa risma. I ‘4 di picche’, almeno da quando Danny ne faceva parte, non si erano mai imbattuti in altri mezzi lupi. Il che poteva suonare quasi spietatamente ironico, considerato che ora avevano a che fare tutto d’un colpo con un intero nutrito gruppo di decine e decine di loro, per di più animati da quel che Danny avrebbe facilmente definito come ‘poco raccomandabili e ancor meno credibili intenzioni’.

Tuttavia, era perfettamente normale, considerando che di solito i mezzi lupi ci tenevano davvero molto poco a doversi trovare in uno scontro diretto con degli esseri umani. Su una cosa doveva dare ragione a Mara, suo malgrado… anche se non si trattava di chissà quale intuizione, dopotutto: gli esseri umani tendevano a sterminare senza troppe complicazioni qualsiasi cosa dalla quale si sentissero minacciati o che temessero; tendevano a torturare con lo scopo di capire in ogni più piccolo meccanismo; tendevano a demonizzare e distruggere, a tentare di conquistare, di sperimentare su soggetti scelti come cavie. La sola idea di che cosa avrebbero potuto fare se almeno buona parte di loro fosse stata a conoscenza dell’esistenza di qualcosa come i mezzi lupi, faceva ghiacciare il sangue a Danny. Ma se il piano di Mara e compagnia avesse anche solo messo uno zampino di realizzazione pratica al di fuori dei confini di quella parodia di villaggio nel bosco vicino a Tairans, si sarebbero spalancate le porte anche a quello. Ogni mezzo lupo nel mondo, checché ne pensasse di sterminare la specie umana e di conquistare il mondo per renderlo dominio dei mezzi lupi, avrebbe avuto di che temere sia da altri mezzi lupi che dagli esseri umani. Sostanzialmente, ogni nefandezza scatenata da una guerra, fosse razziale, di religione, di follia lucida o mistificante, di vendetta e/o di conquista… che potesse contemplare il coinvolgimento di mezzi lupi ed essere umani, sarebbe allora divenuta possibile.

Danny non poteva scusare prima di tutto se stesso, se avesse osato sottovalutare ciò che stava accadendo. E oltre a non capire perché invece Uther riuscisse a farlo, ormai non riusciva più a perdonarlo per questo; anche lui avrebbe dovuto saperne più che abbastanza ormai. A meno che non fosse precisamente quello da cui Uther stava realmente cercando di sfuggire: dalla consapevolezza della gravità della situazione. Cose che, dopotutto, imprigionano, coinvolgono, e limitano le possibilità… fino a far sentire come altamente sconsigliabile fare qualcosa come semplicemente trovarsi lì ad un concerto mentre fuori era buio.

Danny prese fiato con calma, cercando di non sospirare, e si impose di provare di nuovo ad essere tranquillamente ragionevole e fermo senza risultare particolarmente opprimente o autorevole. Uther era quel genere di persona che è più portato a fuggire tanto più sente – o crede di sentire – che una qualche corda gli si sta stringendo attorno. E se non voleva ottenere dunque l’effetto opposto al proposito di condurlo al più presto al sicuro, Danny doveva fare tutto il possibile per non sembrare una corda che si sta stringendo, o qualcosa del genere.

«E’ calato il buio. I… mezzi lupi si muovono meglio nel buio, molto meglio degli esseri umani,  cioè, senza aver bisogno di particolari strumenti d’aiuto. La notte è il terreno di caccia ideale, un po’ come per i lupi veri e propri in effetti. E tanto più se si ha intenzione di spostarsi attraverso un luogo urbano… meno gente in giro, più oscurità a celare, meno intralci per sentire gli odori e i suoni… Inoltre, qui siamo nella zona industriale, che è la zona di Tairans più vicina a dove si trova il loro… “villaggio”… Ora, se io dovessi aspettarmi un loro attacco, o che cerchino di “venirci a trovare”, direi che questo è proprio un’occasione da non perd…»

Di punto in bianco Danny si ritrovò a trattenere in gola repentinamente le successive parole, bloccandosi piuttosto bruscamente. A farglielo fare era stata un’occhiata chiarissima di Uther, un’occhiata di allarme. Danny non ne capì immediatamente il motivo, ma notando anche un fugacissimo movimento laterale delle pupille dell’altro, spiò a sua volta con la coda dell’occhio nella direzione suggerita; e allora comprese.

La musica dal vivo si era interrotta, poiché il gruppo aveva finito di suonare e sul palco si stava dando il cambio con quello successivo che iniziava a preparare l’attrezzatura degli strumenti. Benché il rumore nel capannone fosse rimasto considerevole, a causa sia della musica di riempimento della pausa che era stata accesa in sottofondo sia del fatto che le persone avevano preso a parlare tra di loro più ad alta voce, Danny si infastidì per non essersi accolto di quel cambiamento nell’ambiente in cui si trovavano, tanto era concentrato nel suo tentativo di ‘far ragionare Uther’.

Ad ogni modo, non era quello che Uther gli voleva indicare, bensì… Il gruppetto di fascisti che avevano notato si stava muovendo. Immersi nella fiumana di gente che si spostava, chi uscendo a fumare o a prendere una boccata d’aria e chi avvicinandosi al bar, quei fascisti si stavano dirigendo proprio al bancone del bar presso il quale si trovavano ancora loro due, rimanendo tra di loro compatti in un gruppetto.

Danny tese un poco i muscoli, per istinto. Tuttavia, quei fascisti sembravano tranquillamente intenti a chiacchierare tra di loro, perfettamente ignari di essere stati degnati di tanta attenzione da qualcuno. Tanto Uther quanto Danny mantennero un perfetto atteggiamento di compassato e pacifico disinteresse e distrazione, nonostante il fatto che il gruppetto si  stesse sistemando contro il bancone proprio accanto a loro.

Per quanto la cosa grattasse fastidiosamente contro il suo istinto, Danny si sforzò con ogni impegno per non voltarsi, benché due o tre di loro, i più vicini al bancone, si stessero sistemando proprio dietro di lui. Rimase voltato verso Uther, invece, guardandolo attentamente in viso. Aveva bisogno di fidarsi di lui, e gli riusciva perfettamente naturale farlo: sapeva che se appena qualcosa si fosse mosso in una qualche maniera offensiva alle sue spalle, l’avrebbe letto immediatamente sul viso dell’altro. Uther gli avrebbe coperto le spalle tanto bene quanto avrebbe potuto fare con i suoi stessi occhi, salvo per l’ovvio dettaglio che i riflessi di un mezzo lupo sono per natura più rapidi e attivi di quelli di un essere umano.

Per questo, senza mai distogliere nemmeno per una frazione di secondo lo sguardo dal viso di Uther, si limitò ad aguzzare le orecchie. I fascisti parlavano tra loro, dietro di lui, e sapeva che anche Uther stava ascoltando il più attentamente possibile, con in viso un’espressione felina che Danny conosceva così bene che avrebbe potuto dipingerla ad occhi chiusi, se solo avesse avuto una qualche abilità nel disegno.

I fascisti chiacchieravano con tono da conversazione sul più e il meno, e stavano commentando la performance del gruppo che aveva appena suonato. E Uther lo guardava dritto negli occhi, lo sguardo serio e acuto e con un che di sinistramente e insieme giocosamente ironico, un angolo della bocca appena incrinato verso l’alto in un leggero sarcasmo, e l’altro angolo delle labbra dritto e deciso. Danny sapeva che, per quanto sembrasse che stesse guardando unicamente lui, Uther era perfettamente in grado di tenere d’occhio a quel modo anche quelli alle sue spalle, e che nel contempo stava tuttavia rivolgendo quell’espressione anche – ed esclusivamente – a lui.

Danny poteva permettersi di avere tutte le espressioni che voleva, dal canto suo, si sentiva combattuto e indeciso. Intuiva benissimo quello che Uther gli stava dicendo e chiedendo, nemmeno fossero un poco telepatici tutto sommato. Era qualcosa che aveva a che fare col domandarsi se, come e per quanto avrebbero potuto e dovuto rimanere immobili e ostentanti tranquillità, con un gruppo di fascisti proprio lì accanto a loro. Danny non aveva idea di che risposta si potessero dare lui e Uther a quel proposito.

La risposta era ancora vacante, quando Danny notò due cose nello stesso istante: i fascisti dietro di loro avevano abbassato abbastanza di colpo il tono di voce, e nello sguardo di Uther era passato un flebile, rapido ma netto lampo di avvertimento e di curiosità. Sì, entrambi sapevano benissimo che, salvo quei tizi si fossero messi a comunicare tra di loro a gesti, sempre che si fossero curati di non farli recepire agli attentissimi occhi di Uther, a quella distanza ravvicinata Danny avrebbe potuto comprendere ogni singola parola per quanto a malapena sussurrata, grazie ai suoi sensi più sviluppati.

Udì solo poche frasi, ma tanto gli bastò per intuire che la situazione stava decisamente per svoltare.

«E questo qui?»

«Chi?»

«Abbassa la voce!»

«Ok. Ma di che cazzo parli? Cosa c’è?»

«Sei proprio un imbecille… Quello… non l’hai visto?»

«Ah… sì… eccome se lo vedo!»

«Mhmm…»

Quel mugugno era quanto mai evocativo, a suo modo.

Pochi secondi dopo, una voce alta e sicura di sé si alzò nettamente alle sue spalle, il tono decisamente falsamente amichevole e che non poteva fare a meno, nemmeno se ci avesse messo dell’impegno, di risultare meno arrogante di così.

«Heylà!» disse.

Danny si limitò a guardare ancora dritto negli occhi Uther. Il suo sguardo e il suo accenno di sorrisetto sforzato erano cambiati impercettibilmente, ma ai suoi occhi era quasi un cambiamento dal giorno alla notte. Aveva un che di inevitabile quell’espressione, come se la decisione fosse già stata presa ormai. E Danny sospettava che, come altre volte in situazioni abbastanza simili, Uther avesse perfettamente ragione.

 

 

 

 

Soundtrack: Funny little feeling (Rock’N’Roll Soldiers)

 

 

Note per la comprensione:

* ‘borghese’ – si riferisce a poliziotti in borghese (ovvero non in divisa, ma vestiti comunemente. Un esempio preciso di poliziotti che girano sempre in borghese, qui in Italia, sono gli appartenenti alla DIGOS)

 

 

Note dello scribacchiatore:

No, non mi sono dimenticato un capitolo :) : per chi ha notato che il capitolo precedente recava ‘parte I’, non preoccupatevi, arriverà ben presto anche la ‘parte II’ (non sono in diretta successione perché sono due capitoli staccati proprio a livello di cronologia della storia, e il motivo per cui hanno lo stesso titolo è dovuto ad un rimando nel contenuto che vi sarà chiaro nella ‘parte II’).

Per quanto riguarda questo capitolo, originariamente era un tutt’uno con quello che seguirà, ma la lunghezza complessiva veniva ad essere davvero eccessiva! Quindi li ho staccati e hanno lo stesso titolo in ‘parte I’ e ‘parte II’ e sono pure consecutivi. Scusate la complessità del tutto, ma non potevo proprio fare altrimenti…

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 16
*** 15 - Let it rock'n'roll - parte II ***


Capitolo 15

(Let it rock’n’roll – parte II)

 

«Hey, amico!» insistette la voce alle sue spalle, alzando un altro po’ il tono, e facendosi anche più arrogante e sicura di sé.

Danny sapeva di che cosa si trattava: il tizio stava sospettando che lui stesse cercando di ignorarlo perché non avrebbe mai voluto aver a che fare con loro; il che in un certo senso era verissimo.

 A quel punto si voltò, lentamente, e si ritrovò a guardare quello che gli stava rivolgendo la parola. Era un ragazzo cresciuto, piuttosto abbondantemente oltre i trent’anni ormai, con il corpo alto e robusto e ulteriormente massicciato da ore di palestra. Non aveva bisogno di perdere tempo a notare l’abbigliamento, che aveva già adocchiato prima, e si limitò a guardarlo direttamente in faccia, rimanendo tuttavia in silenzio. In effetti, non sentiva affatto né desiderio né interesse di dire alcunché.

«Ciao!» gli disse ancora quegli.

Adesso che poteva vedergli direttamente in viso quella tronfia e arrogante sicurezza in se stesso, la cosa risultava a Danny ancora più sgradevole, tanto era palese che sotto quella finta cortesia si malcelava il proposito di imporsi e intimidire.

Di nuovo, non trovò niente da rispondere, e si limitò a continuare a considerarlo con una ferma occhiata, ancora semi-nascondendosi dietro ad un’apparente tranquillità imperturbabile. Nel frattempo, tuttavia, con la coda dello sguardo valutava con calma attenzione e precisione la posizione, la stazza e il contegno e l’atteggiamento degli altri del gruppo. Che lo avessero fatto apposta oppure no, ma era probabile di sì, le uniche due donne del gruppo si trovavano agli antipodi del gruppetto rispetto a lui; erano vicine tra loro, accostate al bancone, stavano sorseggiando le loro bevande e si godevano la scena con un sorrisetto divertito e superiore, molto simile a quello che indossavano tutti gli altri della loro squadra.

Oh, Danny avrebbe potuto collezionare le espressioni che gli davano la nausea, e queste non erano niente di particolarmente originale nel loro genere, anzi, erano un’inquietante e noiosa caricatura di normalità: nemmeno da qualche parte esistesse una scuola che insegnava ad imitare qualche manciata di espressioni standard, da indossare all’occasione. Dopo un po’, l’esercizio era così automatico che forse si smetteva di rendersi conto se l’espressione che si stava portando addosso poteva essere in qualche modo raccordata con qualcos’altro di sé.

«Béh? Non si saluta?»

A chiederlo, con tono fatto apposta per risultare fastidioso come una passata di cartavetrata sulla lingua, era stato un altro del gruppetto, che si era fatto un po’ più avanti per affiancare meglio quello che gli aveva rivolto la parola per primo. Danny considerò con perfetta calma il suo movimento, come se semplicemente aggiornasse le sue conoscenze della nuova disposizione e prendesse atto che quella non era ancora una mossa di vera e propria aggressività fisica immediata. Conosceva le fasi, e sebbene la prima fase potesse passare nella seconda in meno di un battito di ciglia, quella prima fase prevedeva sempre l’intimorire psicologicamente la vittima prescelta. Doveva esserci qualche piacere per loro nel farlo, o almeno lo sperava, perché altrimenti, oltre ad essere qualcosa di puramente odioso, sarebbe stato anche completamente inutile.

«Dovrei?» notò, in tono freddo e neutrale «Non ci conosciamo.»

«No, però è questione di buona educazione!» rispose ancora il secondo che aveva parlato, con veemenza. Chiaramente, stava solo presentando una scusa, anche quella estremamente banale. Forse c’era da qualche parte un manuale che insegnava a ripetere sempre le stesse battute? Danny lo sperava, altrimenti avrebbe dovuto iniziare a sospettare che in certi ambienti si fosse ancora in grado di tramandare le stesse idiozie senza alcuna capacità di variarle nemmeno un tantino. Grande gloria ai posteri, guai a non imitarli in tutto e per tutto senza mai mettere in discussione. Fede cieca, ripetizione coatta.

«Che cosa vuoi?» domandò al primo che gli aveva rivolto la parola, decidendo di ignorare il secondo, se non altro perché era più irritante, ma forse anche perché, se c’era qualcosa che aveva imparato di quelli come loro nel tempo, era che mettere in crisi i loro ripetitivi meccanismi di ruoli nella prima fase, e fronteggiare senza mezzi termini il “capo-branco”, portava di solito qualcosa di buono, almeno al suo personale sentire prima ancora che eventualmente alla strategia.

Come aveva immaginato, il “capo-branco” era quello con più “abilità comunicative”; lo vide rivolgergli uno sguardo falsamente diplomatico, con un che di studiatamente remissivo che non celava e anzi voleva sottolineare il fatto che stava cercando di far apparire le cose come se fosse Danny a stare mal interpretando e ad agitarsi, mentre in realtà la situazione era assolutamente normale e tranquilla.

«Tranquillo, amico… Volevo solo chiederti una cosa.» gli rispose, facendo brevemente un gesto appianante con le mani, come a voler tranquillizzare la situazione e mostrarsi pacifico.

 Danny sentì una delle sue sopracciglia alzarsi appena verso l’alto, e percepì che le sue labbra iniziavano a incrinarsi pericolosamente in direzione di un sogghigno di cinico sarcasmo: nel complesso, un’espressione che avrebbe potuto rivelare non solo che non stava credendo minimamente a quelle pose, ma che anzi le conosceva benissimo e che non era la prima volta che le affrontava senza ormai provare più alcuna influenza, fosse di soggezione o fosse di perplessità.

«Ah, e cosa?» replicò, con tranquillità ormai sottile, come il suo tono che era sul ciglio dell’ironia appena venata di ferocia.

L’altro si sporse un poco lungo il bancone, facendoglisi più vicino con la faccia, guardandolo dritto negli occhi; nel suo movimento c’era tutto quello che prevedeva il copione, e Danny doveva definitivamente ammettere che il loro “capo-branco” sapeva il fatto suo, e non era solo qualcuno che la mandava a raccontare. Gli parve di sentire dietro di sé Uther, il modo in cui si mosse appena, per sporgersi e udire le parole che gli stavano per dire, e allo stesso tempo tendere i muscoli e tenersi pronto alla partenza, alla quale entrambi  sapevano che ormai non mancava molto.

«Volevo chiederti… se sei un punk.» gli disse il capo-banda dei fascisti, guardandolo con una facciata ben costruita nello sguardo di finta comprensione e confidenza.

Era davvero bravo, constatò Danny, in quello che faceva. Probabilmente era già stato capace di intimidire o ingannare molti altri prima, e per un momento si sentì infuocare il sangue all’idea che quel tizio si fosse lasciato alle spalle la sua scia di giovani ragazzi e ragazze presi e picchiati, preferibilmente quando erano da soli. Gli umani sapevano essere estremamente, volutamente, pianificatamente e organizzativamente codardi.

Ma poi Danny sentì anche Uther dietro di sé, di nuovo quasi come se lo vedesse; ne sentì il sorriso ormai amaramente e ferocemente sarcastico, una smorfia vera e propria. Riuscì allora a dominarsi quel tanto per non scattare subito e per primo, e a trovare il tono per rispondere.

Si ritrovò, anzi, persino a sorridere di rimando, sebbene il suo fosse un sorriso che, per quanto cercasse volutamente di rispecchiare la finta confidenzialità dell’altro, risultava nettamente più sinistramente divertito. Era questione di momenti, ormai.

«E tu…» mormorò, il tono appena abbastanza alto affinché Uther riuscisse a sentirlo, e sporgendosi appena in un movimento quasi impercettibile in avanti a sua volta verso il tizio, trapassandolo col suo sguardo attraverso il quale lasciò appena trapelare solo un frammento del gelo che avrebbe potuto scaturirne – più che altro inconsapevolmente – in situazioni di tensione e rabbia «Sei un fascista?»

Vide l’altro rimanere un momento colpito e forse sorpreso, evidentemente avendo colto, almeno a intuito ed esperienza, che quello che gli era sembrato un giovane punk nonché potenziale vittima ideale delle loro angherie si stava mostrando un po’ più capace del previsto di reagire con un minimo di fermezza.

Danny sapeva che molti di loro, e specialmente questo tizio, potevano arrivare a desiderare ben di più che lasciare qualcuno a terra dopo una batosta crudele e violentemente cieca e codarda; alcuni di loro, se non la maggior parte, desideravano non solo sfogarsi sulle loro vittime fisicamente, ma ottenere da esse una qualche prova evidente di averli umiliati. Era quello un tipo di perversione che Danny credeva di esser riuscito a riscontrare, fino a quel momento, solo negli esseri umani.

Forse interpretando il momento di esitazione del capo-branco come il suo momento per piazzare una battuta della scenetta, il secondo che aveva parlato si prese la briga di rispondere.

«Sì! Siamo fascisti! Problemi?» buttò fuori, gonfiando appena il petto e sogghignando un poco, in una mezza via tra la dichiarazione trionfante e la minaccia goliardicamente fiduciosa in se stessa.

Danny aveva già registrato che, mentre il capo-gruppo si concentrava così su di lui, il “secondo in comando” si era spostato sul suo fianco – così come anche gli altri si erano spostati per circondarlo un poco di più, benché la sua provvidenziale posizione attaccata al bancone impedisse loro di accerchiarlo più di così. Aveva anche considerato, nel frattempo, che Uther era stato abbastanza abile da riuscire ottimamente nell’intento di rendersi così poco interessante ai loro occhi da essere lasciato incautamente fuori dall’accerchiamento. D’altro canto, il minimo che ci si potesse aspettare da Uther era che sapesse benissimo come sparire anche quando era sempre nello stesso identico punto.

Danny, dunque, non aveva bisogno di spostare lo sguardo, poiché se c’era qualcosa su cui avrebbe messo la mano sul fuoco quella era la capacità di Uther di coprirgli le spalle, e mantenne gli occhi volutamente e miratamente fissi in quelli del capetto del gruppo nel rispondere, la voce ridotta ad un mormorio ormai precipitato in un tono onestamente e sinistramente cupo.

«Oh, sì… non sai quanti…» rispose, lentamente.

Quasi subito dopo, giusto il tempo che le sue parole attecchissero, quello di fianco a lui aveva allungato il braccio di colpo per prenderlo con un pugno diretto sul lato del volto. Danny però sapeva già che questo non richiedeva la sua attenzione, e aveva ragione. Notò solo marginalmente il modo in cui Uther afferrò prontamente e ferramente il polso del tizio, bloccandolo prima che lo colpisse, e quasi contemporaneamente riuscisse a far leva su quella presa e a piegare la gamba per tirargli un calcio con tutta la forza che aveva dritto sul gomito del fascista. Sentì vicino all’orecchio il rumore di qualcosa nell’articolazione di quel gomito che si rompeva, e udì molto più chiaramente l’urlo tanto di sorpresa quanto di dolore che il proprietario del braccio lanciò.

Danny rimase invece concentrato sul capo-banda davanti a lui, mantenendo fede alla sua linea già decisa da diversi minuti a quella parte. Non era solo strategia o esperienza, ma l’istinto e il carattere che lo contraddistingueva in quei frangenti dopotutto; chi lo stava sfidando e minacciando per primo, quella persona doveva prendersene le conseguenze per prima. Ognuno, aveva avuto modo di osservare col tempo, sviluppa un suo personale modo di agire in queste situazioni; era come trovare il giusto stile nel ballare, e la musica che piace da mettere su. Poi, era tutta questione di cercare di mantenere il giusto equilibrio e la giusta tensione muscolare per non spezzare la continuità di una mossa che doveva essere fatta nel momento più giusto e azzeccato possibile.

Vide il leader del gruppetto volargli addosso per travolgerlo ed insieme afferrarlo in una presa forte, ma era già pronto da molto ormai, e i suoi riflessi e capacità di movimento più rapidi di quelli umani gli permettevano persino di essere piuttosto agilmente creativo oltre che efficace, usando quasi il minimo di fantasia e forza che possedeva.

Aggrappandosi con una mano al bancone e con l’altra al piano dello sgabello sul quale era seduto, allungò dritte davanti a sé le gambe e le suole dei suoi anfibi consunti ma resistenti impattarono con precisione sullo sterno dell’uomo, con forza ben calcolata in modo da non far maggiore danno che incrinare appena l’osso, ma soprattutto per ottenere ciò che voleva: un colpo forte in quel punto toglieva il fiato per diversi secondi, come ben sapeva. E poche cose come la mancanza di ossigeno potevano essere altrettanto efficienti nel mettere temporaneamente e infallibilmente fuori gioco per un poco un avversario di quella portata. Danny aveva bisogno di guadagnarsi per prima cosa più libertà di movimento, per rompere l’accerchiamento e per crearsi lo spazio necessario per valutare le successive mosse.

Naturalmente funzionò. Mentre il tizio colpito da Uther si afferrava il braccio e veniva spinto via dai suoi camerati per essere tolto di mezzo in quanto ormai semi-inservibile, il capo-gruppo colpito da Danny si piegò in due e si fece prudentemente indietro di diversi passi, dimostrando di aver già avuto nel corso della sua vita abbastanza esperienza di risse per sapere cos’era appena successo e quanto poteva essere completamente vulnerabile in quel momento, mentre si sforzava di riprendere fiato e di non cadere al suolo.

Danny balzò fulmineamente di lato, un po’ rotolando sopra e un po’ scavalcando il bancone del bar, passando in ogni modo dall’altra parte; sapeva che Uther stava facendo esattamente la stessa cosa di fianco a lui. Lui e Uther si ritrovarono così dall’altra parte del bancone, spalla contro spalla, e da lì Danny cercò di valutare la situazione nel minor tempo possibile: i fasci cercavano di ricomporre un po’ le loro fila e di riaversi dalla sorpresa della rapidità con cui una situazione che fino a pochi istanti prima sembrava così a loro completo e scontato vantaggio era sfuggita dal loro controllo quasi ancora prima di iniziare, mentre la consapevolezza di che cosa stava accadendo si era iniziata a diffondere almeno tra l’affollamento di gente attorno al bar.

Danny sentì Uther rivolgersi duramente a uno dei baristi, che si era ritrovato improvvisamente loro due accanto dietro al bancone e un gruppetto di fascisti decisamente alterati dall’altra parte.

«Sarà meglio che ti togli di mezzo, e che porti quanti più possibile fuori da qui.» lo udì dire.

Lo scompiglio era vasto e vario, tra chi ancora non capiva cosa stava succedendo, chi cercava di placare gli animi e veniva spintonato via e preso a male parole da uno o due dei fascisti di là del bancone, chi si affrettava all’uscita, e chi ponderava se era il caso di restare a vedere cosa succedeva. Ancora troppa gente, valutò Danny tra sé e sé, stringendo appena i denti in una smorfia, mentre sentiva alcune delle parole che si sovrapponevano nelle grida di alcune persone, da chi minacciava di chiamare la polizia, a chi interpellava tanto lui e Uther che i fasci – senza distinzione alcuna – affinché la smettessero immediatamente, con appellativi ben poco lusinghieri, o chi cercava di assumere toni più diplomatici nella convinzione che la faccenda si potesse appianare senza l’utilizzo di alcun tipo di violenza fisica.

«Se non la smettete immediatamente chiamo la polizia!» gridò improvvisamente una voce piuttosto isterica a fianco di Danny, e lui occhieggiò solo per una frazione di secondo nella direzione di una delle bariste, che si era curata di allontanarsi da loro di diversi metri, e si era fermata al capo opposto del bancone, indecisa se darsela a gambe o cercare di imporsi per sedare l’improvviso disordine.

«Se ti fa sentire meglio… fallo pure. Ma ti consiglio di uscire.» le rispose solo, sperando vagamente che seguisse il consiglio.

«Ma chi diavolo ti credi di essere?!» gli gridò quella di rimando, invece, rimanendo ferma dov’era.

La ignorò, lo sguardo fisso sul gruppo di fascisti, che si stava muovendo per riuscire ad attaccarli.

Il loro capetto era in via di ripresa, mentre quello a cui Uther aveva rotto il gomito si era fatto indietro, tenendosi stretto il braccio, fissandoli con puro odio iniettato negli occhi e una smorfia di dolore trattenuto, affiancato dalle due donne del gruppo che, naturalmente, come era d’abitudine in quel genere di congreghe, si limitavano a fare le infermierine della situazione standogli accanto, e sostenendo gli altri a suon di urla d’incoraggiamento e di insulti nei confronti di lui ed Uther.

Tutti gli altri del gruppo, dopo aver valutato che scavalcare il bancone non li avrebbe messi in una buona posizione per un attacco, si erano divisi in due gruppetti che stavano guadagnando entrambe le estremità del bancone per aggirarlo e chiuderli dentro e stringerli a morsa, mentre davanti a loro dall’altra parte rimanevano il capo-banda e un altro dei loro.

Buona disposizione, ammise Danny tra sé e sé, prima di rivolgersi a Uther.

«Meglio spostarci. Non vorrai che tutte queste belle bottiglie qua dietro finiscano rotte e il loro contenuto sprecato, no?» disse, alludendo al fatto che il muro che copriva loro le spalle reggeva almeno un paio di mensole che sostenevano una serie di bottiglie di alcolici di vario tipo, il vetro di ognuna regolarmente etichettato e colorato come vogliono le regole del mercato.

Pur senza vederlo, gli parve di intuire il breve sogghigno di Uther, accanto a lui. Subito dopo, lo vide con la coda dell’occhio afferrare una bottiglia per il collo, piegando il braccio all’indietro dietro di sé, e con la prosecuzione naturale del movimento la scagliò in avanti con piena rapidità, colpendo dritto in testa il fascista che era rimasto accanto al capo-banda. Mentre quello gridava per il dolore, coprendosi la faccia e perdendo opportunamente la vista per il momento, a causa di un misto di sangue, alcol e minuscoli frammenti di vetro che gli stavano colando negli occhi, Danny sogghignò appena a sua volta.

«Non vale.» commentò «Quella marca non ti è mai piaciuta.»

Il momento successivo, entrambi stavano scavalcando di nuovo il bancone di slancio, evitando con pochi precisi secondi di anticipazione i fascisti che li stavano per raggiungere avendo ormai aggirato il bancone. Entrambi corsero fulmineamente verso i loro obbiettivi.

Il grosso capo del gruppo cercò di afferrare Uther mentre gli passava di fianco a tutta velocità, ma rinunciò ben presto notando che Danny puntava su di lui. Danny gli volò addosso rifilandogli semplicemente uno spintone con la forza dell’impatto e senza altro colpo ferire, per poi farsi subito indietro per evitare il pugno che gli veniva rivolto; a quel punto, senza dargli nemmeno il tempo di realizzare di aver mancato il bersaglio, lo colpì con un pugno diretto, approfittando della sua guardia ancora scoperta. Doveva ammetterlo a se stesso: era una tentazione troppo forte approfittare delle sue capacità da mezzo lupo appena un tantino, quel tanto da poter fare con scioltezza evoluzioni come quella, e mai abbastanza da poter fare vedere chiaramente agli occhi di uno spettatore umano quanto fossero anormali su standard umano la sua prontezza di riflessi, la sua velocità e la sua forza. Era quasi una specie di gioco, un’arte sottile: giungere fino ai limiti massimi del possibile, sfiorarli senza superarli mai, e ritornando entro il territorio che essi circoscrivevano senza che gli occhi di un essere umano avessero avuto il tempo di cogliere il fatto che lui stava solo giocando con quei limiti, mentre avrebbe potuto benissimo superarli.

Occorse a Danny solo una rapida serie di una mezza dozzina di pugni ben mirata in punti strategici del corpo dell’altro, utilizzando attentamente solo una parte ben calcolata della sua forza di mezzo lupo, per farlo finire a terra ormai inoffensivo. Proseguì, osservando che Uther aveva già raggiunto il “secondo in comando”, allontanando con uno spintone una delle donne del gruppo che aveva tentato di rimanergli vicino e di reagire, e che gli aveva tirato un pugno dritto sull’angolo della mascella, colpendo opportunamente il nervo giusto per mandarlo a terra per reazione perfettamente fisiologica.

Uther aveva continuato a correre oltre, ma quando Danny passò vicino, una delle donne fece per saltargli addosso, e lui la afferrò saldamente per entrambi i polsi, bloccandola e fissandola dritta in faccia con serietà decisa.

«Portate fuori i vostri amici che stanno sul pavimento, e basta.» le disse, prima di spingerla via abbastanza da toglierla dal suo percorso.

Corse per qualche altro metro, fermandosi poi con agili frenata e giravolta su se stesso non appena ebbe raggiunto Uther; si trovavano di nuovo spalla a spalla, con la parete opposta del capannone a coprire loro le spalle per non essere accerchiati. Da lì, potevano anche dedicare un’altra occhiata contemplativa a tutto il capannone, o meglio, sia agli altri fascisti che stavano correndo per volare loro addosso, sia a tutto il resto della folla di gente. Buona parte d’essa aveva ormai abbandonato l’edificio, specialmente da quando avevano iniziato a volare bottiglie. Danny aveva sentito vagamente che alle sue spalle alcune bottiglie, evidentemente scagliategli dietro dai fascisti, si erano abbattute in frantumi sul pavimento, e questo aveva opportunamente velocizzato l’evacuazione di tutte le altre persone, e convinto anche le più riluttanti a togliersi di mezzo e guadagnare semplicemente l’uscita. Danny non avrebbe saputo se imputare il fatto di non essere stato colpito maggiormente alla sua rapidità di corsa o alla pessima mira di quei soggetti. Notò anche che le due donne del gruppo stavano seguendo il suo consiglio, semi-trascinando i due che avevano già ridotto a terra verso un angolo del capannone, seguite da quello che Uther aveva preso in pieno in volto con la bottiglia, il quale doveva tenersi aggrappato con una mano alla spalla di una delle due donne per potersi muovere facendo a meno della vista.

Poi, mentre i fascisti stavano per raggiungerli e lui e Uther si preparavano ad accoglierli, qualcosa colpì violentemente l’olfatto e qualche altro istinto più difficilmente scientificamente individuabile di quelli che appartenevano a Danny. Sentì chiaramente la presenza di qualcosa, e in un breve istante la riconobbe e si sentì gelare il sangue nelle vene.

Lupi… no, mezzi lupi… Questo registrò rapidamente.

I suoi occhi iniziarono a vagare con disperata rapidità tra la gente accalcata sul grande vano dell’ingresso, tra le persone intente a spintonarsi tra chi voleva uscire e forse continuare a scappare all’esterno il più lontano possibile, e chi ci teneva a rimanere a vedere cosa succedeva da quella posizione più sicura; il suo sguardo sondò la folla, cercando di individuare chi tra di loro potesse rivelarsi ai suoi sensi come ciò che era, e che non si limitava alle fattezze né alla natura umana.

Ma non ebbe che il tempo di pochissimi secondi, poi udì Uther emettere un breve verso di gola e tra i denti stretti, un verso d’avvertimento per lui, e il suo sguardo tornò in avanti per vedere i fascisti che ormai li avevano raggiunti e che stavano volando loro addosso.

Danny comprese allora di non avere il tempo per individuare i mezzi lupi, nonostante fosse lui l’unico lì dentro a sapere che c’erano, e di che cosa erano capaci.

Poi notò qualcos’altro di impellente e imminente. Almeno due dei fasci che si stavano precipitando loro addosso avevano stretto nel pugno qualcosa che mandava appena un baluginio di ferro lucido e riflettente… Sì, era decisamente il momento in cui quei fascisti avevano deciso di tirare fuori le loro “zanne”, ovvero dei coltelli.

Nonostante ciò, Danny sapeva che al momento erano ben altre le zanne di cui doveva preoccuparsi primariamente, e più precisamente quelle celate nella candida apparenza di denti umani.

 

 

Soundtrack: Let it rock (Kevin Rudolf feat. Lil Wayne) – il titolo di questo (e del precedente) capitolo l’ho preso proprio da questa canzone, modificandolo naturalmente. Ad ogni modo, il testo della canzone non ha nessuna particolare connessione con la trama (come sempre, il “soundtrack” è puramente facoltativo, e a volte anche abbastanza a caso!).

 

Note dello scribacchiatore:

Avverto che non ho alcuna intenzione di rispondere a nessun tipo di commento che riguardi discussioni di merito ‘politico’ (ovvero, non mi va proprio per niente di discutere del picchiare i fasci).

Sbrigata questa piccola informazione di servizio, spero vi faccia piacere la lettura come sempre, e al prossimo capitolo! bye bye

 

n.b.: ho un po’ perso il “ritmo di aggiornamento” e stavolta arrivo un po’ in ritardo, se tutto va bene con la vita reale magari cercherò di inserire il prossimo capitolo senza fare passare un intero altro mese… A quanto pare mi chiede più tempo rileggerli e sistemarli e inserirli che scriverli (mah!), ad ogni modo vorrei tenere un buon ritmo anche perché già un capitolo al mese è ‘poco’ considerando che queste storie di capitoli ne hanno qualche decina… ^_^; (insomma, buoni propositi: non impiegare ANNI E ANNI per inserire una storia intera…)

 

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Capitolo 17
*** 16 - Too fast, too easy ***


Capitolo 16

(Too fast, too easy)

 

Certe volte, persino per Danny le cose sembravano avvenire ‘troppo velocemente’. Un’espressione che gli esseri umani veri e propri usavano di solito per due motivi (talvolta contemporaneamente presenti): perché le emozioni non riuscivano a stare dietro al succedersi dei fatti, o perché non vi riusciva l’occhio.

In quanto mezzo lupo, per Danny il secondo motivo era scomparso da tempo: difficilmente i suoi riflessi attuali potevano trovare qualche cosa ‘troppo veloce’ da seguire. Le cose più veloci al mondo, su un piano molto terreno e senza andare in qualche campo più o meno meta-fisico, erano certi congegni umani (come le automobili) o i movimenti scattanti degli animali selvatici. I primi avevano una sola direzione, i secondi ne avevano migliaia nel potenziale, che si condensavano in una sola, che si realizzava nel momento in cui veniva agita. Scatto per scatto, schivata per affondo, velocità di fuga per velocità di rincorsa, velocità di morso per velocità di colpo…

In altre parole, quando Danny aveva a che fare con esseri umani completi, era lui il loro elemento ‘troppo veloce per starci dietro’; era in grado di muoversi ad una velocità che, semplicemente, superava di un significativo stacco la massima capacità dell’occhio e di reazione di ogni essere umano, per quel che ne sapeva da esperienza diretta almeno, e senza nemmeno bisogno di scomodare ricerche scientifiche in proposito.

Si diceva che i lupi veri e propri avessero la tendenza ad utilizzare una tecnica d’attacco che prevedeva una serie di avanzare-e-ritrarsi molto rapidamente, nel mezzo delle due azioni piazzando uno o più morsi il più possibile ben centrati. Qualcosa che, a detta di Kumals, sarebbe stata una buona lezione da imparare per un buon pugile.

L’unico problema di Danny, quindi, quando si trovava eventualmente a confrontarsi in uno scontro fisico diretto con un essere umano, era quello di non rivelare troppo della sua natura di mezzo lupo, e quello di non produrre danni maggiori di quelli che avrebbe potuto causare un altro essere umano. Era strano, fingersi completamente umano a quel modo, eppure l’aveva fatto molte volte, specialmente da quando aveva così tante occasioni di doversi incontrare – e quindi eventualmente scontrare – con esseri umani pur essendo già diventato un mezzo lupo. Ovvero, da quando aveva incontrato Uther, Kumals, Zoal e Yuta.

Quella sera, tuttavia, le cose stavano avvenendo troppo velocemente persino per Danny. Forse aveva ragione Kumals, quando una volta gli aveva detto, con un tono tra l’affettuosamente ironico e il bonariamente leggero, che lui era un ragazzo di carattere semplice, che non capiva come le cose potessero complicarsi all’inverosimile nello spazio di pochi istanti, e soprattutto non riusciva ad afferrare come mai non vi fosse, spesso, un solo unico modo individuabile per risolvere la situazione o almeno arginarla. Quella volta, Danny aveva ascoltato attentamente le parole e il tono di Kumals, e alla fine gli aveva detto, scherzando ma fissandolo con gentile serietà, che il cinismo invecchia.

 

La zuffa con i fascisti ancora in grado sia di stare in piedi che di tirare un pugno non era cosa da poco: nonostante le sue capacità superiori a quelle di un semplice essere umano, Danny aveva pur sempre i suoi limiti, e diversamente da come va in certe trame da fumetto o da cinema o da serie televisiva, lui non poteva liberarsi di tutti quanti i loro avversari in un attimo. Avere Uther al suo fianco era un vantaggio e uno svantaggio insieme, poiché se da un lato erano almeno in due, dall’altro Danny non poteva evitare di tenerlo sott’occhio, per essere certo che non fosse in difficoltà. Forse non ce n’era davvero tutto questo bisogno, in fondo. Se Danny poteva contare sull’essere più forte e con riflessi più rapidi, Uther sicuramente possedeva una personale biblioteca esperienziale sotto la voce ‘rissa da bar’.

Ad ogni modo, il fatto che alcuni di quei fasci facessero uso anche delle lame, cioè di coltelli, non rendeva le cose trascurabili. Ma erano passati pochi momenti da quando avevano iniziato, lui ed Uther, a concentrarsi sull’evitare colpi di nocche o di lama, o di essere afferrati per i vestiti per essere accoltellati, quando avvenne la prima esperienza di Danny di ‘cose che vanno troppo veloci per starci dietro’, la prima da quando era diventato un mezzo lupo perlomeno.

Nello spazio di pochi minuti, Danny cercò di seguire, capire e interpretare i numerosi avvenimenti, e nello stesso tempo di raccapezzarsi, ma soprattutto di giungere alla conclusione di quale dovesse essere la sua priorità da seguire. Nel dubbio, agì di puro istinto, e di colpo si ritrovò come catapultato in un momento dove finalmente la lucidità tornò completamente, e il suo cervello riuscì a processare il tutto, a focalizzare su un quadro generale della situazione.

Si ritrovò così fermo in piedi, il fiato un po’ corto, a guardare la scena complessiva. Di fianco a lui c’era Uther, che aveva in qualche modo e ad un certo punto afferrato per la spalla della giacca e tirato accanto a sé, in modo da distanziare entrambi  da ciò che stava avvenendo. Che sembrava semplice ora da dire con poche parole: erano arrivati i mezzi lupi.

Non tutti, naturalmente e fortunosamente. Ancora più fortunosamente, tra di loro non c’erano né Mara né Badlands, cosa che Danny trovava estremamente positiva. Si trattava, registrò rapidamente, di un gruppetto di cinque giovani mezzi lupi, giovani in tutti i sensi: erano adolescenti, tra i 14 e i 17 anni forse, e non erano diventati mezzi lupi da molto tempo.

Danny poteva ora stilare una valida supposizione di cos’era successo, pur basandosi su una collezione di frammenti molto rapidi e saltuari: mentre lui ed Uther erano piuttosto impegnati a non farsi accoltellare da un gruppo di fascisti che avevano ormai i loro validi motivi per avercela con loro, quei cinque mezzi lupi dovevano essere arrivati al capannone, entrati, e, vista la scena… a quanto pare, ci si erano semplicemente buttati in mezzo.

Questo era più che sufficiente per spiegare, al momento, come mai quello che Danny ed Uther stavano osservando fosse uno scenario da mezzo massacro. Tutti i fascisti giacevano a terra con numerose contusioni e abbondantemente insanguinati, e i  cinque mezzi lupi erano sparpagliati in mezzo a quei corpi: qualcuno di loro si limitava a camminarci in mezzo contemplandoli, qualcun altro si rivolgeva agli atterrati – tutti privi di conoscenza o quasi, o comunque sicuramente troppo frastornati per capire molto bene cosa succedeva ormai intorno a loro – prendendoli ad insulti o deridendoli. Danny registrò brevemente parole come ‘fascisti di merda’ o ‘beh, dov’è ora mammina Hitler? Sottoterra. Vuoi raggiungerla, eh?’.

Gli occhi di Danny individuarono le due donne del gruppo, ugualmente conciate come i loro compagni di gruppo e anche loro a terra. Poi individuò il capetto dei fascisti: era a terra come gli altri, ma chino su di lui, uno dei giovani ragazzi gli stava parlando tenendolo stretto per il collo della maglietta. All’improvviso, Danny vide quel ragazzo sorridere brevemente e sinistramente, e si mosse ancora prima di vederlo effettivamente colpire l’uomo a terra con un pugno molto forte nel petto, che sicuramente andò ad incrinare se non a rompere qualche osso.

«Fermati immediatamente e allontanati!» disse Danny, in tono lapidario e cupo, ma anche sufficientemente deciso e minaccioso da indurre il giovane mezzo-lupo a irrigidirsi per un momento. Subito dopo, dal momento che Danny si era avvicinato molto rapidamente, il ragazzo si alzò e si tirò via dall’uomo, allontanandosi di qualche passo, mettendo una distanza di sicurezza tra sé e Danny. Ne aveva chiaramente percepito la rabbia, cosa per cui non c’era nemmeno bisogno di poter sentire chiaramente anche quella specie di bassa nota vibrante nella gola di Danny, che suonava come un perentorio ringhio gutturale, vagamente assomigliante all’approssimarsi di una tempesta.

«Hey, fratello, tranquillo. Non sapevo che fosse tua la preda.» gli disse il ragazzo, pur rimanendo lì dov’era, ad una buona distanza di sicurezza, e coi nervi piuttosto tesi.

Danny lo ignorò, e si chinò a sua volta sull’uomo, sul capo dei fasci, controllandone i segni vitali, e dando una sommaria supervisione allo stato del suo corpo. Aldilà delle contusioni pesanti che lo ricoprivano, era ancora vivo, benché privo di conoscenza. La vera domanda sarebbe stata piuttosto per quanto ne avrebbe ancora avuto da vivere, cosa che sarebbe dipesa dalla gravità delle lesioni interne.

Danny sospirò e si rialzò in piedi, alzando lo sguardo sul ragazzo. Il giovane mezzo lupo avrebbe potuto essere un ragazzo come tanti altri della specie unicamente umana: sui sedici o diciassette anni, corporatura media, i capelli castano chiaro e un’espressione piuttosto sicura di sé, fintanto da risultare strafottente.

«Preda…» disse Danny, lentamente, come se saggiasse la parola «Ti sembro forse uno che si mangia dei fascisti?» domandò.

Vide il ragazzo chiaramente indeciso, probabilmente a causa del contrasto evidente tra il tono ancora cupamente serio che la sua voce aveva prodotto, e le parole che potevano sembrare sia ironiche che minacciose. Alla fine, sembrò optare per lanciargli un’occhiata complice e impostare un leggero sorriso storto, espressione ambigua che poteva adattarsi forse, secondo il suo proprietario, ad ogni eventuale circostanza si stesse in effetti producendo senza che quel ragazzo effettivamente riuscisse a capirne la natura.

«No, certo che no. Avresti davvero pessimi gusti.» gli rispose, impegnandosi per suonare accattivantemente amichevole.

«Volevi ucciderlo?» domandò Danny a bruciapelo.

Il ragazzo apparve ancora più confuso, perché ora il tono che gli veniva rivolto era in qualche modo leggermente più calmo, ma sempre cupo e denso, come se stessero chiacchierando dentro l’occhio di un ciclone. Anche l’atmosfera, in effetti, sembrava sospesa, carica di un’elettricità statica strana, come se qualcosa aspettasse solo il momento in cui lui avesse risposto prima di scatenarsi. Il ragazzo aveva la sgradevole sensazione che fosse lo sguardo degli occhi di quel mezzo-lupo, che lo fissava in una maniera quasi freddamente analitica e allo stesso tempo colma di furia a stento repressa, tenendolo in qualche modo come inchiodato sul posto, che produceva quell’atmosfera.

«Non so. Perché, se anche morisse, che problema ci sarebbe?» rispose infine, alzando le spalle e distogliendo lo sguardo. Si sentiva sgradevolmente sotto esame, e una volta tanto, nonostante tutti gli altri si fossero avvicinati a lui e gli stessero sommariamente intorno, e nonostante il loro numero fosse maggiore di due, che era esattamente in quanti erano il mezzo-lupo che gli stava parlando e quell’umano che era con lui, non si sentiva particolarmente in una botte di ferro come al solito.

«Già!» rimbeccò all’improvviso un altro del gruppetto di ragazzi, con iniziale sfrontatezza, prima che lo sguardo di Danny si spostasse su di lui, inducendolo in qualche modo a moderare decisamente il tono che, seppure deciso e quasi petulantemente convinto, divenne meno provocatorio «Che problema sarebbe, se anche morisse? È solo un maledetto fascista, no?»

«Aspetta un momento, qual è il punto? Non è proprio per questo che li stavate prendendo a calci anche voi due? Sono solo fascisti, Uther, non è così? Che importa se muoiono? Non è anzi meglio, quasi?». A parlare era stata l’unica ragazza del gruppo. Era vestita da punk, in modo piuttosto moderno e sportivo, e originariamente i suoi abiti dovevano essere stati di una qualche marca specializzata nella moda punk, prima di sbiadirsi e consumarsi abbondantemente con l’uso.

Sentendola, Danny si ritrovò suo malgrado a focalizzare su un punto in particolare: il nome che aveva pronunciato. Si voltò a fissare Uther, di fianco a lui, con un’espressione lievemente stupita e appena infastidita. Se c’era qualcosa che non avevano a disposizione al momento era il tempo. Il capannone era deserto a parte loro due, quei cinque giovani mezzi-lupi, e i fascisti a terra mezzo morti di botte, il che significava immancabilmente che tutti gli altri partecipanti al concerto se l’erano data a gambe o erano fuori dal capannone preda di una grande confusione, shock e incredulità, e soprattutto, in attesa della polizia di Tairans che doveva essere stata bersagliata da decine di chiamate di richiesta di intervento urgente. In altre parole, Danny dubitava seriamente di avere il tempo di potersi permettere di capire esattamente perché quella ragazza mezzo-lupa conosceva così bene il nome di Uther.

Uther lo guardò a sua volta, e increspò appena la fronte. Sembrava stare decidendo tra l’apparire a sua volta sorpreso oppure più del tipo ‘non preoccuparti, niente d’importante’.

«Hey, come fai a sapere come si chiama?» fu uno dei ragazzi a domandarlo invece a lei, la quale gli rispose con fare quasi infastidito.

«Ma dai, George, non lo riconosci? È l’unico essere umano che sia venuto al campo, no? Quello che nessuno di noi poteva toccare.» specificò, aggrottando le sopracciglia come se qualcosa ancora non le tornasse.

«E’ vero! E’ proprio quel tipo... ma allora… » disse allora il ragazzo che Danny aveva interpellato dopo avergli impedito di fare ulteriori danni al fascista a terra «Allora tu sei… sei quella specie di… di…»

Danny si rese conto che si stava decisamente rivolgendo a lui, e smise di fissare Uther e tornò a degnarlo di vera e propria attenzione. «Sarei una specie di cosa… esattamente?»

Ma il ragazzo sembrava non essere certo di cosa dire, o meglio di se dirla. Fu di nuovo la ragazza a prendere parola allora, seppure sembrasse non così più sicura di sé.

«Ci hanno detto che sei un lupo rinnegato, un lupo che ha voluto diventare cane…» osò, il tono di voce appena abbastanza alto da farsi udire.

Danny rimase in silenzio per qualche istante, poi sorrise appena, in qualche modo sinceramente benché amaramente divertito, nonostante le circostanze. «Immagino che voi non siate andati a scuola abbastanza a lungo da aver sentito parlare di Jack London… Zanna Bianca… credo che si potrebbe arrivare alla conclusione che definizioni divertenti come questa vengono da lì. Giusto perché mi dispiacerebbe che qualcuno se ne prendesse tutta l’originalità, visto che sono bei romanzi da leggere…»

«Ci stai dando degli ignoranti?» domandò uno dei ragazzi, chiaramente infastidito.

«No. Sto solo dicendo che suppongo che voi non abbiate completato la scuola perché siete stati trasformati in mezzi lupi e il vostro primo pensiero non è più stato esattamente quello di completare gli studi. Non quando potevate all’improvviso fare così tante cose… un intero nuovo mondo davanti, no?» rispose Danny, parlando in tono serio e lento e calmo, sentendosi di colpo più espansivo di quanto non avrebbe creduto di poterlo riuscire ad essere non solo in quel frangente, ma in generale nella sua intera vita «Ma sapete una cosa? Credo che avreste trovato sicuramente un sacco di posti più interessanti e affascinanti da scoprire, piuttosto che cacciarvi in un accampamento dove alcune persone vi istruiscono come una sorta di guide spirituali improvvisate e vi raccontano cose usando toni da romanzo fantasy o giù di lì, en passant citando Jack London forse, e soprattutto… soprattutto, cosa significa che non tu non sapevi se volevi ucciderlo oppure no?»

Il tono di Danny era tornato di colpo estremamente cupo, e il suo sguardo era tornato a puntarsi sul ragazzo con cui aveva parlato all’inizio, il quale si trattenne a stento dal sussultare, e tuttavia si riprese abbastanza da rivolgergli un’espressione ed un tono di risposta sfuggenti e impermeabili come gomma.

«Si può sapere cosa vuoi esattamente da me? Volevi che mi fermassi e la smettessi e l’ho fatto, non ti ho certo mancato di rispetto, no? In ogni caso, a saperlo prima, che sei quel lupo rinnegato… beh, forse non ti avrei nemmeno dato retta. Che diavolo ne so che tu non… insomma, dicono che ti comporti come un cane, e in effetti eccoti qui che ti azzuffi con degli esseri umani, e stai in mezzo a loro, e poi ti sconvolgi persino se un maledetto fascio rischia di lasciarci le penne? Avere pietà è qualcosa da esseri umani… o da cani, forse.»

Danny strinse appena i denti, ricevendo il colpo del tono, appuntito nel suo disprezzo, senza particolare sforzo; era altro che gli pesava sullo stomaco, al momento, in tutta quella situazione. Il suo sguardo si era fatto ancora più diretto e serio, e notò solo appena, e la cosa non gli diede nessun tipo di reale emozione, il fatto che questo stava mettendo un po’ più in allerta il gruppetto dei ragazzi.

Nonostante i modi di quello che, in quel gruppo, sembrava avere un ruolo più di spicco, era evidente che tutti quei cinque giovani mezzi lupi sapevano ad istinto una cosa: che un mezzo lupo più vecchio e con più esperienza di loro, cose che trapelavano chiaramente in qualche modo ai loro sensi a riguardo di Danny, poteva riuscire a metterli in seria difficoltà in un eventuale confronto fisico diretto. Tutto ciò su cui potevano contare era il loro numero rispetto a lui, eppure di fronte ai modi di quello che al campo si diceva essere un lupo rinnegato, e nel bel mezzo del fatto che egli sembrava in grado di cambiare l’atmosfera attorno, non si sentivano di poter contare troppo nemmeno su di quello.

«Non sta a me giudicare, né voglio farlo…» rispose allora Danny «Tuttavia, tutti i mezzi lupi che ho incontrato prima nella mia vita, ad eccezione di una, sapevano perché volevano uccidere oltre al come farlo e oltre al fatto di farlo. Era un tutt’uno per loro. Poi, ho visto esseri umani, a bizzeffe, che uccidono senza che gliene importi alcunché, e ho visto cani che uccidono tutto ciò che trovano, ed erano cani idrofobi di solito.» disse Danny.

Calò un silenzio pesante come una pietra tombale, e non meno freddo, in cui la pesantezza dell’insulto abbozzato saettò nell’aria come una frustata.

«E va bene, adesso mi hai stancato, maledetto cane!» buttò di colpo fuori dai denti il ragazzo che gli aveva parlato per primo, facendosi avanti con aria davvero fuori di sé.

Ma la ragazza del gruppo lo afferrò abbastanza saldamente da rallentarlo, e da interpellarlo con tono urgente «Mitch, no, aspetta, fermo! Sai che cosa ha detto lei… no? Lo sai, non possiamo!»

Udendo quelle parole, il ragazzo che evidentemente si chiamava Mitch esitò, fece uno sforzo per riprendere il controllo, e alla fine si ricompose abbastanza da smettere di cercare di avanzare e si limitò a guardare furiosamente Danny, il quale per tutta risposta si limitava a ricambiargli lo sguardo con calma ma anche notevole serietà, piuttosto preoccupata in qualche modo, ma non certo dal fatto di aver rischiato di essere attaccato da un mezzo lupo così più giovane e inesperto di lui.

Danny aveva alzato le sopracciglia e spalancato occhi e orecchie per un momento, udendo le parole della ragazza; qualcosa gli diceva che poteva anche indovinare a che cosa si stesse riferendo: sospettava che Mara avesse imposto una specie di ordine a tutti i mezzi lupi che stavano all’accampamento, un ordine che prevedeva di lasciar perdere tanto lui quanto Uther. Certo, se fosse stato proprio così, non sarebbe stata che una conferma del suo sospetto che Mara aveva effettivamente ancora qualche suo piano a riguardo di lui ed Uther.

«Mara ha forse dato il suo ordine da ‘strega comanda-colore’? Magari qualcosa del tipo… ‘Non uccidete il… humpf… lupo rinnegato, perché me ne devo occupare io personalmente’?» domandò Danny, cercando di dare al suo tono più leggerezza di quanta ne sentisse realmente, ma risultando comunque molto serio e attento.

«Non ha detto proprio così. In realtà ha detto che non avremmo dovuto nemmeno parlarti. Che ti dovevamo evitare come la peste, perché i cani come te possono anche essere contag… ouch!» l’irresistibile impulso di rispondere con tutto ciò che sapeva che aveva colto uno dei ragazzi fu brutalmente troncato dal pestone su un piede che gli tirò la ragazza.

«Ma che fai, Nickj?! Mi hai fatto male!»

«Stai zitto, Gus! Nickj ha fatto più che bene, e tu sei uno scemo!» ribatté Mitch «Non dovremmo nemmeno parlare con questo cane, e tu gli vai a dire questo e quest’altro, non mi sembra proprio una genialata, no?»

Gus bofonchiò qualcosa tra sé e sé di incomprensibile, limitandosi a dedicarsi al piede che gli faceva male e a lanciare occhiatacce di sbieco alla ragazza di nome Nickj.

Danny sospirò appena, a fatica, più un gesto riflesso che altro, e più che altro per cercare di tamponare un poco un miscuglio di rabbia e nervosismo e irritazione che da diversi minuti cercava di arginare con la semplice pazienza. Pazienza che non era affatto sicuro fosse giustificabile al momento.

«D’accordo. Lasciamo perdere. Quindi, ditemi, è da quando siete mezzi-lupi che ritenete che i fascisti vadano uccisi?» domandò di nuovo. Non sapeva bene nemmeno lui perché quel motivo era così importante, ma qualcosa lo spingeva a voler capire, altrimenti tutto quello che avrebbe portato a casa quella sera in sé, sarebbe stata l’immagine di cinque giovani ragazzi diventati da non molto mezzi-lupi che maciullavano cinque tizi fascisti; e in qualche modo, quell’immagine lo ripudiava.

«Ascolta, ancora non capisco quale sia il problema. Voi stessi li stavate riempiendo di botte, e poi… fascisti o meno, che importa? Sono esseri umani.» disse quello che si chiamava Mitch.

Danny abbassò testa e sguardo, sentendosi in qualche modo sconfitto; poi, senza quasi rendersene conto, si ritrovò a rialzare un’occhiata feroce di rabbia cocente sul gruppetto dei ragazzi. Tutti accolsero quello sguardo come un possibile preludio di attacco imminente, almeno a giudicare dal modo in cui sussultarono, ognuno con diversa intensità, un paio di loro fece persino un mezzo passo indietro, e tutti si fecero reciprocamente un poco più vicino d’istinto.

«Uccidereste per disprezzo e per indifferenza… questi non sono motivi, sono scusanti. Così come che questi tizi siano fasci. Per voi, è solo una scusante…» mormorò Danny, con tono talmente cupo da risultare quasi ringhiante, e come se non si rivolgesse a nessuno in particolare, se non più che altro a se stesso, come una sua personale conclusione. Sì, ora pensava di aver capito, e non c’era niente in più da comprendere; semplicemente, fin dall’inizio quelle immagini erano esattamente espressione di ciò che aveva davanti.

Dopo qualche istante di teso silenzio, il ragazzo di nome Mitch sembrò riprendersi abbastanza da rispondere, forse persuaso da una certa sicurezza che, dopotutto, quel mezzo-lupo non li avrebbe attaccati.

«Tsch! Credi forse che dovremmo ascoltare la morale di un lupo rinnegato?» osò, sebbene il suo tono risultasse ancora parecchio nervosamente inquieto.

Danny gli scoccò una breve occhiata, e sorrise appena, senza nessuna gioia «Oh, no… Non fatevi problemi, non farò alcuna morale. È questione semplicemente che mi disgusta vedere questo… Ma l’unica cosa che vi serve considerare, ora, è che non ucciderete questi uomini e donne in mia presenza. Quello che vorrei vedervi fare, è andarvene, ora. E se pensate di non ascoltarmi perché mi considerate una specie di “traditore della razza”, dovrete dimostrare fino in fondo le vostre convinzioni direttamente su di me, e ora. Convinzioni che, a ben guardare, non dissomigliano così tanto da quello che promuoverebbe il fascismo che avete ostentato come cosa contro cui vi battereste come scusante per spappolare delle persone… e se pensate di ingannare così qualcuno, quel qualcuno non sono io. Per questo, fatemi e fatevi un favore: andatevene e basta. In ogni caso, la polizia sarà qui a momenti.»

Seguirono alcuni istanti di cupo silenzio, poi uno di loro osò parlare di nuovo.

«La polizia non arriverà così presto… he he…» commentò Mitch, come se quello fosse l’unico argomento che gli interessava, e che gli dava sicurezza.

Danny si incuriosì particolarmente, suo malgrado. «Ah no?»

«Beh…» iniziò Mitch, sembrando un po’ più sicuro di sé e strafottente «Sembra che da queste parti la polizia sia diventata, ultimamente, un po’ restia ad accorrere così velocemente quando sospetta che siano coinvolti animali selvatici… in particolare se sembrano essere…lupi.» E con quello Mitch gli lanciò uno sguardo furbescamente soddisfatto.

Danny rifletté rapidamente, e alla fine fu colto da un inquietante sospetto «Come potrebbero pensare ai lupi, se tutto ciò che sanno è che è scoppiata una rissa ad un maledetto concerto…

Quasi tutti i componenti del gruppetto ridacchiarono appena tra loro, scambiandosi sguardi di complice consapevolezza, mentre Mitch lo fissava con ancora più auto-confidenza. Ma la ragazza di nome Nickj lo guardava seriamente ora.

«A Tairans non succede praticamente mai niente… e quando scoppia qualche casino che lascia pensare che… sia un fatto particolarmente improbabile… loro sanno già, in qualche modo, cosa sta accadendo…» accennò Nickj.

Mitch le scoccò uno sguardo in qualche modo sospettoso, e lei se ne accorse e alzò le spalle e fece una smorfia «In ogni caso, qui sembra che il divertimento sia finito, potremmo anche andarcene, no?»

Mitch sembrò rifletterci sopra per qualche minuto, e Nickj aggiunse «Io mi sono anche abbastanza stancata di stare qui a chiacchierare con questo tizio… no?»

«Aspettate.» disse Danny, richiamando la loro attenzione «State dicendo che le divise da queste parti vi coprono il gioco, dandovi il tempo di darvela a gambe? Perché mai dovrebbero farlo… se non sanno che cosa siet… che esistono persone come noi?»

«Non lo sanno.» sospirò Nickj, alzando gli occhi al cielo «Ma hanno capito che qualcosa non va, e dopo che qualcuno di loro ha rimediato qualche contusione in qualche intervento di risposta a qualche chiamata, e visto che nessuno crederebbe loro se dicessero di essere stati sconfitti da persone che si muovevano più velocemente di loro, semplicemente cercano di arrivare abbastanza in ritardo quando pensano che si tratti di qualcosa del genere, in modo da evitare di trovare qualcuno di noi e di essere feriti in… “circostanze inspiegabili”. Può anche darsi che qualche volta qualcuno di loro abbia ricevuto degli avvertimenti in questo senso. Oh, ma che importa, allora Mitch, ce ne andiamo?» insistette alla fine, tirando piano il ragazzo per la manica del giubbetto, e guardandolo con un tentativo di persuasione chiaramente mista ad un invito tranquillo ma appena urgente.

Mitch le scostò la mano e la guardò di traverso «Perché diavolo gli hai detto tutto questo? Lui è il lupo rinnegato!»

Nickj lo guardò dritto negli occhi, con decisione ma anche sempre molta accurata calma e tranquillità «Perché così si renderà conto che gli conviene scappare il più lontano possibile… almeno ci farà divertire quando lo rincorreremo per sbranarlo… quando arriverà il momento…»

«Humm…» rifletté per un momento il ragazzo, come se assorbisse il senso delle parole lentamente, e alla fine quel senso sembrò divertirlo abbastanza da farlo scoppiare in una sguaiata risata forzata, e ancora un poco nervosa.

Tornò a lanciare uno sguardo a Danny, come per mostrargli il suo sorriso sicuro di sé e strafottente, mentre metteva un braccio attorno alle spalle di Nickj. «Ma sì, hai ragione in fondo, lasciamolo pure a giocare con gli esseri umani, tanto presto le cose cambieranno completamente! Divertiti, allora… lupo rinnegato!» gli disse.

Danny non gli diede alcun segno di voler in qualche modo replicare, né di essere stato in qualche modo scalfito da ciò che gli aveva detto, e questo sembrò togliere gran parte della soddisfazione a Mitch, il quale finì per ritrovarsi a dover reggere il suo sorrisetto con più convinzione di quanta possedeva, e, alzando le spalle, si decise a richiamare gli altri per andarsene e basta. «Forza, amici, andiamo altrove, questo posto puzza di umani e di cani…»

Il gruppetto se ne andò con una certa rapidità nervosa, rimanendo compatto, e con uno di loro che camminò all’indietro tutto il tempo, tenendo sott’occhio Danny, finché non ebbero raggiunto una porta sull’altro lato del capannone. Aprirono la catena che la chiudeva allentando uno degli anelli usando la semplice forza di mezzo-lupo, la spalancarono e uscirono, sparendo alla vista.

Il silenzio invase il capannone, mentre l’aria esterna notturna entrava attraverso la porta rimasta aperta.

Danny sentì un lieve tocco sul suo braccio, e voltò lo sguardo su Uther, ancora accanto a lui. Il movimento repentino della sua testa, o forse qualcosa nel suo sguardo, spinse Uther a interrompere immediatamente il contatto, e a parlare rapidamente, come se dovesse giustificare quel gesto con un ottimo motivo il più rapidamente possibile.

«Anche se in ritardo, gli sbirri arriveranno tra non molto, e credo sia meglio non farci trovare in mezzo ad una carneficina…» gli disse, senza guardarlo in faccia, tenendo occupato lo sguardo col semplice rivolgerlo intorno sui corpi sparpagliati sul pavimento tutt’intorno.

Come se facesse parte di qualche maledetto copione, proprio in quel momento il capo del gruppetto di fasci, che giaceva ai loro piedi, emise un flebilissimo lamento strozzato, appena udibile. Danny abbassò lo sguardo su di lui, ma lo distolse in fretta, tornando a fissare davanti a sé, la mascella indurita da un peso di rabbia e amarezza così grande che persino quello spazio di capannone sembrava piccolo per contenerla. Soffocante, quasi.

Fissò brevemente la porta lasciata aperta dal gruppetto di giovani mezzi lupi che se n’erano andati, come se si sentisse chiamato da una sirena, o meglio da due urgenze molto vivide: una era quella di inseguire quei ragazzi e dargliele di santa ragione a tutti quanti, e l’altra era quella – semplicemente – di imbucare la soglia e buttarsi fuori, nell’aria notturna aperta e fresca, fuori da quello spazio deserto, dall’odore di sangue e di mezzo lupo e di umano che lo riempiva, fuori da quel luogo in cui c’era al suo fianco una persona che pensava di conoscere e di cui pensava di potersi fidare ciecamente fino a qualche giorno prima, e che ora sembrava in qualche modo stonare invece nello stargli accanto e nel parlargli con tanta confidenza.

Chiuse gli occhi per un istante, poi li riaprì e si mosse: Uther lo guardò chinarsi sull’uomo a terra davanti a loro, e cercargli nei vestiti finché non trovò un cellulare.

Danny compose il numero di chiamata per le emergenze mediche, e con tono di voce piatto e cupo segnalò la presenza di feriti gravi dando l’indirizzo del capannone, prima di riagganciare sulla voce dell’operatore che aveva risposto che stava iniziando a fargli domande come il suo nome e via dicendo. Riappoggiò il telefonino per terra, accanto al corpo del fascista ferito, che fissò solo per un breve istante, prima di rialzarsi e dire a Uther, ancora senza guardarlo «Sì, andiamocene.»

A passo decisamente rapido, entrambi camminarono fino alla porta rimasta spalancata, e la attraversarono uscendo dal capannone.

Una volta fuori, Danny sentì l’aria fresca della notte e l’odore di città avvolgerlo completamente, anche se forse sarebbe stato più corretto pensare che era lui a starvicisi immergendo. E allora comprese che non sarebbe bastato riuscire finalmente ad uscire da quel maledetto capannone a riuscire a farlo sentire meno peggio in quel momento.

 

 

Soundtrack: Baba O’Riley (The Who)

 

 

Note dello scribacchiatore:

A voi decidere se il titolo si riferisce all’eccessiva leggerezza con cui sono disposti a uccidere i giovani mezzi lupi, oppure se in realtà intendevo prendere in giro l’eccessività da film d’azione americano con cui Danny e Uther si sono sbarazzati dei fasci come se fosse un gioco da ragazzi :p

Al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 18
*** 17 - Sovraesposizione alla luce ***


Capitolo 17

(Sovraesposizione alla luce)

 

«Immagino che… potremmo tornare a casa, no?» disse Uther, con tono appena inciso da un che da tentativo ponderato.

Erano chilometri che camminavano lungo le strade notturne di Tairans, ormai molto ben lontani dal capannone dove era successo tutto quel casino. A giudicare dal modo in cui Danny gli camminava accanto, lo sguardo fisso davanti a sé, un’espressione indurita e nello stesso tempo – in qualche modo – tanto assorta quanto assente, senza avergli rivolto parola da quando erano usciti da quel capannone, e dal fatto che non stava scegliendo nessuna direzione in particolare, tranne evitare accuratamente di uscire dalla città o di avvicinarsi alla zona industriale dalla quale se n’erano appena andati, Uther sospettava che l’altro non fosse esattamente molto presente al momento.

«A meno che tu non voglia andare da qualche altra parte.» gli rispose solo dopo qualche lungo istante Danny, sempre senza guardarlo, il tono talmente piatto e insensibile che ci si sarebbe potuto appoggiare sopra una biglia di ferro liscio e osservare come sarebbe rimasta perfettamente immobile.

Uther aggrottò la fronte, e guardò a sua volta solo davanti a sé. Non c’era nemmeno l’ombra di provocazione o ironia o accusa in quel tono. Non c’era assolutamente niente.

«Potremmo fermarci in un bar lungo la strada. Giusto per bere qualcosa di forte prima di dormire.» disse Uther, senza particolare intonazione; anche la sua voce stava diventando più piatta e più fredda.

«Fai strada.» disse semplicemente Danny, senza che nulla cambiasse nel suo atteggiamento sterile.

Uther annuì, come se ce ne fosse bisogno, o come se l’altro sembrasse di poter rendersi veramente conto di qualcosa come dei suoi cenni, visto che gli camminava a fianco come se a stento si rendesse conto della sua presenza, e che dava tutta l’impressione di rispondere alle sue parole da una distanza immensa.

Non dissero altro per diverso tempo.

 

***

 

Le ore di quella notte si frammentarono in fretta, per Uther. Soprattutto a partire da dopo che, invece di un bar, aveva scelto di entrare in un negozietto di alcolici trovato fortunosamente aperto: probabilmente era l’unico in tutta Tairans, e lui era uno dei pochissimi a conoscerlo oltreché ad averlo mai frequentato spesso a quegli orari inoltrati. Qualcosa della sua vecchia mappa mentale di Tairans sembrava potersi rivelare ancora perfettamente utile all’occorrenza.

Non che ci fosse una vera e propria occorrenza, al momento, ma in qualche modo forse doveva aver pensato, ad un certo punto, che qualcosa di forte da bere per lui e per Danny facesse buon caso, specialmente se intercalato tra quello che era successo in quel capannone e il fatto di doversi chiudere a dormire nel piccolo appartamento. O forse, specialmente se dovevano chiudersi in uno spazio così stretto e fitto di vecchie memorie di un tempo passato per Uther, e con un presente in cui Danny sembrava aver deciso di smettere di rivolgergli la parola. Non che la cosa, sotto un certo punto di vista, non rendesse molto più semplice tutto quanto. Uther riteneva che l’alcool potesse rendere le cose ancora più… forse non più semplici, ma perlomeno più sopportabili.

Tutto il resto erano frammenti, come flash di singoli momenti, e c’erano solo quelli che per qualche motivo erano rimasti più impressi ad Uther, quelli che si erano incisi più nettamente. L’alcool a volte faceva quell’effetto, come l’esposizione alla luce di una foto non ancora completamente sviluppata: rimanevano ancora visibili solo i dettagli che si erano inscritti più profondamente sul foglio plastico, solo i contorni più scuri, mentre tutto il resto sfumava troppo e spariva, come fantasmi fuori dalle ombre che si dissolvessero in un lampo di luce.

Uther sentì dunque quella familiare sensazione mattutina, quella di essere esposti troppo presto alla luce e ritrovarsi come una fotografia ancora non completamente sviluppata, quando la coscienza gli tornò abbastanza da fargli sentire qualcosa che lo urtava con una serie di fastidiosi colpetti ravvicinati ad una caviglia. Come prima cosa, il fastidio lo spinse a muovere la gamba, cercando di scalciare via il disturbo, poiché si sentiva decisamente come una foto che aveva ancora bisogno di restare nella camera oscura del retro delle sue palpebre abbassate, di perdersi ancora nel sonno di cui aveva estremamente bisogno. Con ogni probabilità, poteva essere uno dei gatti o dei cani di Zoal e Yuta che lo aveva toccato.

Poi la voce traforò il suo udito di colpo, non tanto per il volume - che era medio - ma per il tono che alle sue orecchie suonava incondifibile: un tono da autorità.

«Andiamo, ragazzo! L’ora di svegliarsi è passata da un pezzo, e se non sai come tornare al tuo letto, dovremmo trovartene uno al fresco a smaltire la sbronza.»

Aprì gli occhi, dovette richiuderli di colpo per la luce sul momento troppo intensa, e ritentò di aprirli con più impegno e sforzo. Si ritrovò a guardare due uomini in divisa che lo fissavano dall’alto, in piedi davanti a lui. Sbatté un poco le palpebre, contemplando quell’immagine con un che di pazientemente ironico e tuttavia piuttosto infastidito: quello poteva finire in un attimo nella sua top-ten dei peggiori risvegli della sua vita fino a quel momento. E non superava di molto quello in cui si era svegliato avvolto nei tentatoli di un polpo di considerevoli dimensioni, dopo essersi addormentato immediatamente dopo una caduta dritta dritta dentro una rete da pesca,  nel bel mezzo di un’alba che lo aveva sorpreso a vagare sul molo di Tairans, reduce da una notte ubriaca.

A liberarlo dal polpo era stato un uomo dall’aria bizzarra, e non meno bizzarramente paziente e insieme ironicamente amichevole e mordace, specialmente quando gli aveva chiesto se era un completo idiota oppure uno molto fortunato. Allora, Uther aveva fissato quel tizio, e nonostante il suo proverbiale caratteraccio dei risvegli post-sbronza, si era ritrovato sorpreso dalla curiosità nel chiedergli perché ‘fortunato’, dal momento che l’’idiota’ si spiegava da sé in qualche modo, un modo che nonostante le idee ancora confuse Uther poteva ben indovinare da solo, ma non riusciva a capire come potesse essere fortuna quella di cadere dentro una rete da pesca e ritrovarsi avvolto da un polpo. L’uomo gli aveva detto che poteva ritenersi fortunato perché avrebbe potuto cadere dentro la rete dei crostacei, e Uther aveva deciso che gli stava simpatico, mentre si lasciava aiutare per districarsi dal polpo e dalla rete, e per farsi mettere in piedi sulla barca.

Quell’uomo lo aveva anche accompagnato attraverso un gruppo di marinai che fissavano Uther in modo ben poco amichevole, e gli aveva offerto una sigaretta, prima di augurargli buona giornata e fare per allontanarsi. Uther si era ritrovato a chiedergli come si chiamava, e l’altro si era voltato a guardarlo e gli aveva sorriso in modo appena divertito, alzando un sopracciglio, dicendogli alla fine che lo avrebbe presto scoperto, e strizzandogli l’occhio se n’era andato. Uther lo aveva in effetti scoperto molto presto, e non certo perché avesse fatto qualcosa per riuscirvi, bensì perché se l’era ritrovato il lunedì mattina successivo sul suo nuovo posto di lavoro, come supervisore. Quell’uomo era il capo-reparto del carico-scarico merci dell’attracco nord-est di Tairans, e sembrava che nessuno degli uomini che lavoravano sotto di lui facesse ormai più caso alle sue eventuali bizzarrie, ma anche che qualcosa in lui li persuadesse a dargli quel rispetto umano minimamente necessario per fare il loro lavoro per bene. Il capo-reparto non aveva dato segni particolari di riconoscerlo, anche se sembrava che si ricordasse di lui, limitandosi a segnare la sua presenza al lavoro e a dire brevemente agli altri che era ‘quello nuovo’. Durante la pausa pranzo, Uther aveva trovato modo di chiedere a qualche suo nuovo collega qualcosa di quell’uomo, ma tutto ciò che ne aveva ricavato era che era un capo tutto sommato valido, che voleva un lavoro ben fatto e basta, che si faceva i fatti suoi propri molto bene, e che si chiamava Kumals.

Questa mattina, ad ogni modo, sembrava proprio che avesse a che fare con due zelanti poliziotti che lo guardavano dall’alto al basso (sia in senso metaforico che non), piuttosto che con un polpo disgraziatamente per lui pescato in una rete. Uther rimpianse decisamente il polpo, mentre osservava il modo disprezzante e giudicante con cui lo fissavano le due guardie.

«’Per’ smaltire la sbronza, semmai.» disse, realizzando di avere la voce notevolmente impastata.

«Che cosa dici, ragazzo?» insistette una delle guardie «Perché non ti alzi in piedi, intanto, e la smettiamo di dare questo brutto spettacolo?»

Uther emise un paio di schiocchi per inumidirsi la bocca ancora impastata di sonno e schiarirsi meglio la voce.

«Dicevo che si dice ‘per’ smaltire la sbronza, non ‘a’.» disse, mentre si guardava attorno sommariamente. Realizzò che si trovava seduto per terra, lungo una delle vie più antiche di Tairans, una via piuttosto piccola e con il pavimento ancora costituito di acciottolato di grossi sassi incementati, piuttosto che di cemento stradale. La pavimentazione poteva spiegare perché si sentisse la parte inferiore del corpo come se avesse dormito sulle patate, anche se era per molti versi preferibile alla sensazione da grattugia di quando si dormiva sull’asfalto.

«Oh, bene, come preferisci, ma il concetto è chiaro, no? Tirati su, forza e coraggio, ragazzo, e vediamo di rimetterci un attimo in sesto e di fornire i documenti, se non le dispiace.» incalzò uno dei poliziotti.

Uther li considerò con un’attenta smorfia.

«Sì, grazie – per così dire – per avermi dato uno dei peggiori risvegli della mia vita, ragazzi, ma penso proprio che da qui in poi posso farcela da solo a rialzarmi e a trovare la via di casina. E non vedo come darvi i documenti possa aiutarmi nel processo.»

«Il processo lo avrai magari per vagabondaggio.» ritorse uno dei poliziotti, evidentemente spazientito, facendosi avanti e piegandosi per prendere Uther per il braccio per tirarlo su, mentre il suo collega lo assecondava mirando all’altro braccio.

Fu in quel momento che alla destra di Uther vi fu un movimento breve ma netto, un rumore di qualcosa che scatta seccamente e duramente come una piccola trappola decisamente tagliente, e un sonoro rumore cupo di sottofondo che assomigliava abbastanza inequivocabilmente ad un brontolio gutturale estremamente poco rassicurante e ad un passo dal diventare un ringhio vero e proprio.

I due poliziotti si bloccarono di colpo e sembrarono ripensarci repentinamente, sollevandosi di nuovo in piedi ed allontanandosi generosamente per riflesso di un paio di passi, osservando preoccupati nella direzione dalla quale erano provenuti quei suoni e quel movimento.

Lo sguardo di Uther seguì i loro, benché in qualche modo non si sentisse affatto intimorito, tutt’al’più stupito da quei suoni, a lui istintivamente familiari. Come scoprì che gli era familiare la sagoma che si trovava di fianco a lui. Era un lupo, sdraiato così adeso al muro che doveva essere per questo che Uther prima non l’aveva visto. Nonostante la sua posizione rendesse piuttosto facile non notarlo, il cupo mormorio basso e gutturale che emetteva e il modo in cui aveva lo sguardo penetrante e il muso diretto verso le due guardie e le orecchie piegate all’indietro contro la testa lasciavano pochi dubbi a riguardo delle sue intenzioni seriamente irritate, se non proprio minacciose.

«Hey, quel cane… Perché non ha la museruola? E il guinzaglio?» notò uno dei poliziotti, evidentemente innervosito.

All’occhio di Uther non sfuggì, quando tornò a guardare i due uomini in divisa, il modo in cui la loro mano destra si era già appoggiata sulla fodera della pistola che portavano alla cintola. Il suo sguardo si indurì e di colpo gli tornò tutta la lucidità che era rimasta impigliata nella sonnolenza fino ad un istante prima. Ricordò di colpo le parole di quei ragazzi mezzi lupi la sera prima, di come la polizia locale presentisse che c’era qualcosa di strano in città in quelle settimane che poteva riguardare strani fenomeni concernenti tracce di lupo. Realizzò nettamente che in quel momento lui rischiava di finire in questura e magari di prendersi qualche calcio, schiaffo, pugno e sberleffo da una ridda di tizi in divisa che pensavano di poterlo trattare come meglio credevano in vece del fatto che, avendolo trovato addormentato dopo una notevole ubriacatura lungo la strada, potevano considerarlo come qualcuno che si meritava ogni tipo di angheria perché non abbastanza socialmente approvato dalla mentalità sbirresca; ma il lupo accanto a lui… rischiava una pallottola in corpo.

Uther allungò una mano e la appoggiò delicatamente tra le scapole del lupo che aveva accanto. Il basso suono gutturale cessò quasi immediatamente.

«Purtroppo devo aver perso il guinzaglio da qualche parte. Della museruola non c’è nessun bisogno… è sempre molto tranquillo. Si innervosisce solo quando gli sembra che qualcuno mi stia dando fastidio… Sapete, è molto protettivo a suo modo. Però, ho una proposta. Io ora vi do i documenti, poi me ne torno a casa tenendo il mio… hum… il mio cane ben stretto accanto a me tutto il tempo, e tutto torna a posto. Cosa ne pensate?» disse ai due poliziotti, sforzandosi di suonare tutto sommato ragionevole, e mordendosi la lingua mentalmente per evitare sfumature ironiche nella voce. Era la prima volta in assoluto nella sua vita che rivolgeva un tono talmente composto a degli sbirri… ma d’altro canto, sapeva bene una cosa: che se avesse dato loro anche solo la minima scusa per mettergli le mani addosso loro l’avrebbero fatto, il lupo che gli giaceva accanto si sarebbe immediatamente mosso in sua difesa, e si sarebbe preso molto facilmente almeno qualche sparo di striscio.

Uno dei poliziotti stava alternando il suo sguardo tra il preoccupato quando fissava il lupo, all’indeciso e combattuto quando spostava le pupille su Uther, che si stava impegnando a guardarlo con serietà ragionevole e allo stesso tempo grave.

«Bene. Ma una multa per la mancanza del guinzaglio non si può evitare.» gli disse alla fine.

Uther si trattenne dall’emettere ad alta voce una bestemmia di quelle più cospicue del suo repertorio, socchiuse appena gli occhi e appoggiò per un istante la nuca all’indietro contro il muro della casa contro la quale era seduto.             Considerò che, se non altro, gli sbirri avrebbero interpretato quel suo atteggiamento come una loro conquista: erano riusciti a dargli fastidio e sarebbero riusciti ad appioppargli almeno una multa, come punizione per essere ai loro occhi un tizio che si permetteva di sfidare la pubblica decenza dormendo di mattina per terra lungo la strada.

‘Ordine e disciplina…’ pensò Uther tra sé e sé con una smorfia, mentre si tirava in piedi con lenta pazienza, e si infilava una mano in tasca per estrarre i suoi documenti.

«E multa sia…» concluse rassegnato, porgendo i documenti ad uno dei poliziotti, e trattenendosi dal lanciarglieli semplicemente addosso.

«Non sono sicuro che sia una buona idea… lasciarli andare via così… quel cane sembra pericoloso, ed è slegato…» accennò dubbioso l’altro poliziotto, evidentemente ancora più inquietato del collega dal lupo, dal quale non staccava lo sguardo, così come non si era ancora deciso a spostare la mano dalla fondina della pistola.

Uther rifletté per un momento, poi si tolse la cintura e si voltò verso il lupo che gli stava accanto, guardandolo per un momento negli occhi.

«Forse potremmo rimediare con questa…» mormorò, come se si stesse rivolgendo proprio al lupo.

Per qualche istante l’animale, che si era alzato sulle quattro zampe di concerto, sembrò ricambiargli lo sguardo; poi si mise seduto, assumendo un contegno particolarmente tranquillo sebbene ancora intelligentemente vigile, come se concordasse a modo suo.

Uther sospirò, e nel chinarsi a infilargli e regolargli sommariamente la cintura attorno al collo, sussurrò uno ‘scusa’ nell’orecchio del canide. Quegli mosse appena l’orecchio, come se scacciasse qualcosa di fastidioso, anche se poteva essere un semplice modo per fare capire che aveva sentito e accoglieva quella parola.

Quando Uther tornò a rizzarsi in piedi, tenendo in mano un capo della cintura ora legata attorno al collo del lupo, trovò che il poliziotto a cui aveva consegnato i documenti stava pedantemente compilando il verbale della multa.

«Scriverò ‘guinzaglio non regolamentare’, naturalmente. Dal momento che la sua cintura non dovrebbe fungere da guinzaglio.» lo informò.

«Splendido.» non si trattenne dal dire Uther, con una punta d’ironia così sottile che, sebbene entrambi gli sbirri dedicassero al suo commento un breve sguardo, non sembrarono abbastanza sicuri di poter cogliere quella parola come qualcosa di utile né per un’imputazione legale né per sfogare quello che ne pensavano di lui in base ai loro preconcetti da due soldi.

«Lei è un’artista? Uno scrittore, forse?» gli chiese uno dei due.

Uther alzò appena un sopracciglio. «No, non direi proprio. Cosa glielo fa pensare?» cinguettò, mellifluamente tagliente.

«Oh, visto che ci teneva tanto a correggere quella frase, prima…»

Uther dedicò loro un sorriso al vetriolo, seppure sempre muovendosi con sufficientemente sottigliezza da non far afferrare loro uno spunto sufficiente per andare oltre quello che lui pensava fosse, ora, un patetico tentativo di studio del “soggetto socio-psicologico” che avevano davanti. Potevano quasi risultargli commoventi, certe volte; se solo non fossero state capaci di essere così maledettamente e violentemente stronze di solito col primo malcapitato persone come quelle, che potevano anche contare sul via libera del fatto di indossare una divisa che le giustificasse.

«No, non sono uno scrittore.» optò alla fine per rispondere, chiedendosi vagamente se fosse un modo che usavano per cercare di rendere meno palesemente noioso il loro lavoro certe volte, il fatto di improvvisarsi nel gioco di investigazione para-psicologica.

«Hummm…» mugugnò riflessivamente il poliziotto, prima di tornare ad alzare lo sguardo su di lui, fissandolo dal di sotto delle sopracciglia in modo improvvisamente falsamente confidenziale. «E mi dica… non è che ha con sé qualcosa di illegale? Ad esempio… della marijuana?»

Uther sorrise di nuovo, ma in una smorfia ancora più evidentemente colma dello sforzo di trattenersi. Ingoiò con accuratezza le parole ‘perché, ne volete un po’? E io che pensavo che vi dedicaste solo a droghe più pesanti…’, e rispose solo «No, ragazzi. Devo averla lasciata nell’altro paio di pantaloni.»

L’espressione di supposta confidenzialità sparì immediatamente dal viso del poliziotto, sostituita da una faccia evidentemente più scura. «Veda di non fare il furbo. E’ già fortunato che si ritroverà solo con una multa perché non ha il guinzaglio, e non con anche una segnalazione per vagabondaggio.»

Uther sospirò e strinse più forte nel pugno la cintura all’altro capo della quale si trovava il lupo, e dovette ricordare prepotentemente a se stesso che si stava trattenendo allo scopo di evitare una pallottola per lui.

Oh sì, rimpiangeva decisamente un risveglio tra le braccia di un polpo e di essere aiutato da un Kumals decisamente più giovane e non così meno bizzarro. Persino considerando che poteva ricordare bene come, per tutta la prima settimana che era aveva lavorato in quel molo di Tairans anni prima, un capo-reparto di cui nessuno sembrava sapere praticamente nulla si rivolgeva a lui chiamandolo di tanto in tanto col soprannome di ‘Polpo’, sebbene senza spiegare allo stesso tempo a nessun altro perché lo chiamasse a quel modo.

 

Una mezz’ora più tardi, Uther camminava verso l’appartamento sfogliando brevemente tutti i fogli che aveva in mano: a quanto pare era riuscito a rimediare due infrazioni in una sola multa, visto che i poliziotti avevano deciso che in effetti, oltre che del guinzaglio il “suo cane” mancava anche di collare.

Il lupo gli trotterellava a  fianco, mantenendosi al ritmo del suo passo; Uther gli aveva tolto la cintura dal collo e se l’era risistemata alla cintola non appena avevano messo un paio di strade tra loro e i poliziotti e lui era stato abbastanza sicuro che non li stavano seguendo.

Multe a parte, Uther era stato portato numerose volte quasi sul punto di lasciare perdere ogni remora a riguardo di rivolgere qualche improperio ai due agenti a mo’ di saluto, e di darsela a gambe insieme al lupo, prendendosi la responsabilità di rischiare qualche pallottola alle spalle sue o di Danny. Vero, dubitava che quei due avrebbero addirittura finito per estrarre le pistole e assumersi di sparare lungo una strada dove circolavano altre persone, rischiando di colpirle, e in quanto a seminarli per lui e Danny sarebbe stato uno scherzo; tuttavia, doveva dubitare anche della sua capacità fisica di poter sostenere una corsa vera e propria al momento, con lo stomaco vuoto e dolorante per il troppo alcool, la nausea che lo tormentava insieme ad una generale debolezza di tutto il corpo e alla testa pesante e ancora un po’ annebbiata, e se non fosse riuscito a scappare efficacemente e i due lo avessero riagguantato, sapeva benissimo che Danny sarebbe passato all’attacco per difenderlo, e allora sì che si sarebbe beccato facilmente una pallottola.

Giusto questa prospettiva era stata capace di renderlo abbastanza collaborativo da rispondere alle numerose e tedianti domande dei due agenti, seppure sempre con tono taglientemente scontroso, le parole che uscivano quasi a stento tra i denti e le labbra appena mosse per scandire le sillabe con astio, e scartando con fredda fermezza le domande alle quali sapeva di non essere costretto né dalle leggi né dalle circostanze a rispondere. I due avevano voluto sapere dove alloggiava (e aveva dato un indirizzo falso), presso di chi (e aveva detto che era ospite di un amico che non era in casa, dando allo scopo il nome di un suo vecchio collega di lavoro che sapeva non abitava più a Tairans da tempo), perché si trovava a Tairans (e aveva detto di star cercando lavoro), se per caso aveva partecipato ad un certo concerto tenutosi la sera prima (e lui aveva inscenato perfettamente un contegno tra il perplesso per la domanda e l’annoiato-distaccato nel rispondere laconicamente che era solo andato per bar la sera prima), come si era prodotto le contusioni al volto (dopotutto lo scontro con quei fascisti non l’aveva lasciato completamente illeso, ma aveva candidamente risposto di aver avuto da ridire con un tizio al bancone di un bar che non ricordava naturalmente quale fosse perché aveva bevuto troppo per rammentarlo e non era di quelle parti), e per finire se il suo cane era in regola con le vaccinazioni… In breve, Uther poteva ricordare ben rare altre occasioni in cui una conversazione gli fosse risultata così odiosa.

Dopo qualche momento, appallottolò il verbale di multa e se lo cacciò in tasca, mugugnando qualche imprecazione.

Qualche metro dopo, si rese conto con l’udito e la coda dell’occhio che il lupo era rimasto indietro, e si fermò e si voltò, cercandolo con lo sguardo. Lo vide fermo una decina di metri da lui, in coincidenza con un bivio della strada.

«Cosa c’è?» gli domandò.

Il lupo si posizionò in modo da poter allungare la testa e il lungo muso nella direzione dell’altra strada che partiva dal bivio rispetto a quella che Uther aveva imboccato, e quest’ultimo aggrottò la fronte, concentrandosi per un momento.

«Ti assicuro che la strada giusta è questa.» obbiettò.

Vide l’animale muoversi un po’ sulle zampe, in segno di leggero spazientimento, mentre emetteva un leggero verso mugulante che suonava come una nervosa insistenza, e continuava a muovere testa e muso verso l’altra strada.

Uther si sforzò di riflettere più accuratamente, cercando di capire. Ma dal momento che non gli riusciva sul momento di afferrare quale fosse il possibile motivo per prendere un’altra direzione, finì per alzare appena le spalle in segno di resa.

«Va bene. Ho capito. Allora, di qua. Poi mi spiegherai, immagino…» disse, con calma pazienza, tornando indietro per prendere la strada indicata dal lupo che, mentre ricominciavano a camminare affiancati, gli sfiorò appena le gambe di lato col suo fianco, in una sorta di ringraziamento per il suo gesto di fiducia.

Qualche minuto più tardi, Uther si ritrovò a seguire l’animale in una svolta che si infilava in una brevissima stradina cieca poiché chiusa in fondo da un muro. Fissò il muro pensierosamente per qualche istante, prima di rendersi conto che l’obbiettivo del lupo era più propriamente un mucchietto di abiti semi-nascosti dietro un cumulo di sacchi della spazzatura abbandonati accanto ad un cassonetto dell’immondizia.

Osservò gli abiti e in un istante li riconobbe come quelli di Danny.

«Oh. Capisco.» disse solo. Guardò per un momento il lupo, che si era seduto come se stesse aspettando qualcosa, poi si chinò a raccogliere gli indumenti tra le braccia.

Stava per andarsene dal vicolo, quando si rese conto che il lupo era rimasto immobile e seduto, come se non avesse più intenzione di proseguire. Uther lo guardò, lanciandogli semplicemente uno sguardo decisamente interrogativo, e l’animale puntò il muso in una direzione precisa. Uther sospirò, tornò indietro, e seguì quell’indicazione meglio che poteva, finché non trovò dove puntava esattamente, ovvero verso una finestra bassa di una cantina, incavata nel muro e alta appena qualche centimetro sopra il livello della strada. Lì rinvenne uno straccio lurido che aveva tutta l’aria di essere stato abbandonato, ma quando lo esaminò meglio si rese conto che era stato usato per arrotolarlo attorno alle due pistole che conosceva molto bene. Uther raccolse tutto l’involto e se lo sistemò in mano insieme al resto dei vestiti che aveva già raccolto, prima di guardare verso il lupo di nuovo.

«D’accordo. Sì, ammetto che sarebbe stata una pessima cosa da dimenticare. Ora possiamo andare?» domandò, lievemente spazientito.

Per tutta risposta, il lupo si alzò sulle quattro zampe e lo guardò come se non aspettasse altro che si rimettesse a camminare, e quando lui lo fece, gli si affiancò con tranquilla naturalezza, trotterellandogli al fianco lungo le strade di Tairans illuminate da una luce fin troppo diurna per gli occhi estremamente bisognosi di riposante oscurità di Uther.

«Bene, a quanto pare ora me ne dovrò andare in giro anche con le braccia piene di vestiti. Speriamo solo che non chiamino la polizia, qualcuno magari che ha visto troppe serie televisive poliziesche ed ha finito per farsi prendere dall’immaginare di ogni sorta di più truci orrori quando vede qualcosa di non troppo comune… come, che ne so, uno che se ne va in giro con un lupo e con dei vestiti in mano. Possiamo stare tranquilli, comunque. Nessuno nominerà mai la parola ‘lupo mannaro’ senza avere il timore di essere rinchiuso in un manicomio.» commentò, il tono oscillante tra il sarcasticamente cupo e l’amaramente rassegnato, mentre si incamminava verso l’appartamento.

Il lupo continuò trottargli a fianco con placida imperturbabilità.

E Uther iniziò a cercare di ricordare con più impegno cosa fosse successo quella notte, dopo la faccenda del capannone almeno. Era venuto il momento di avere a che fare con quella metaforica foto, per quanto sbiadita dalla troppo rapida esposizione alla luce.

 

 

Soundtrack: I fought the law (the Clash)

 

Note dello scribacchiatore: non preoccupatevi, nel caso voleste saperne qualcosa in più del primo “storico” incontro tra Uther e Kumals (e il polpo), lo riprenderò in modo più esteso in una futura scribacchiatura sui ‘4 di picche’ ;)

Ovviamente la faccenda di riuscire a cadere in una rete piena di polpi pescati perché ubriachi (chi ci cade è ubriaco, non i polpi) non so nemmeno se sia così credibile… (non so, a qualcuno è mai successo, o ci è andato vicino, o conosce qualcuno che ci è riuscito? Chiaramente senza provarci apposta, sennò non vale.)… tuttavia, spero vivamente che a questo punto siate ormai abituati o perlomeno rassegnati tanto alle incredibili capacità dei personaggi di questa storia di combinare sviste surreali, quanto alla mia sfacciata propensione a mischiare il soprannaturale e il surreale (e a piazzare on-line simili accostamenti, anche esagerati magari, senza vergognarmene, naturalmente). D’altra parte ho appreso qualche tempo fa dell’esistenza dei ‘Darwin’s Award’ dedicati a chi è riuscito a morire (involontariamente sempre, sennò non vale) nella maniera più stupida possibile, quindi… insomma, anche il surreale può infilarsi scioltamente nella vita di tutti i giorni (diversamente dai miracoli :p).

Quiz totalmente facoltativo: quale personaggio vi ricorda questa metafora delle foto? Lo so, troppo facile… beh, o almeno dovrebbe esserlo!

Bene, sì, è arrivato il tanto atteso momento in cui ho finito le chiacchiere a caso (altro che note utili a chi legge!), e quindi al prossimo capitolo, yup!

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Capitolo 19
*** 18 - Never turn away ***


Capitolo 18

(Never turn away)

 

Danny camminava con passo sciolto e molleggiato, e tuttavia gli sembrava di procedere come se ogni falcata dovesse attraversare una bassa marea di melassa.

Era fisicamente stanco, e così il suo istinto di umano mischiato a quello di lupo lo portava a camminare con ritmo morbido ed elastico per risparmiare le energie, nella prospettiva di avere davanti probabilmente altre ore di vagabondaggio casuale per le strade di Tairans, e nella consapevolezza che doveva continuare a restare in guardia. Da qualche parte, in giro per quella cittadina addormentata nella notte fonda, o sparsi per la circostante campagna punteggiata di macchie di bosco, decine di mezzi lupi scorazzavano con in testa l’idea che lui fosse una sorta di paria e traditore della loro specie, e che l’umano che gli procedeva a fianco fosse pressappoco come un morto che camminava, in attesa del miticheggiato avvento di una sorta di ‘Era dei Mezzi Lupi’.

Benché stanco, dunque, manteneva i sensi all’erta e il corpo pronto ad eventuali reazioni di lotta; ma il suo umore… beh, quello se lo trascinava dietro come piombo legato alle caviglie.

Un movimento accanto a lui lo distrasse momentaneamente e repentinamente dai suoi pensieri, e voltando appena lo sguardo si ritrovò a fissare il braccio di Uther sporto verso di lui, che gli porgeva la bottiglia di vodka aromatizzata che aveva recuperato da una sorta di piccola drogheria che faceva le ore piccole. Le altre due bottiglie recuperate da Uther tintinnavano appena a ogni loro passo, pendolando vicine nella sportina di plastica che l’altro si portava appresso.

Danny prese la bottiglia che gli veniva offerta, diede appena un sorso e la restituì quasi subito. I suoi modi non dovevano essere passati inosservati, poiché udì Uther rivolgerglisi. Era almeno mezz’ora, dopotutto, che procedevano in assoluto silenzio per le strade deserte.

«Non sapevo che avessi sviluppato una così gran paranoia per il tuo fegato, ultimamente…» accennò Uther, commentando il suo sorso scarno e svogliato.

Danny si innervosì appena, e trasse le mani dalla tasca dei pantaloni per trovare il pacchetto di tabacco dalla tasca del giubbetto di jeans nero, iniziando poi ad arrotolarsi una sigaretta; la fronte aggrottata, rimase più concentrato del necessario su quel gesto così abituale ed automatico, come se richiedesse una particolare attenzione. Solo quando si fu alla fine acceso una sigaretta confezionata a regola d’arte riuscì a trovare il tono più adatto, attentamente calmo e tranquillo, per rispondere.

«Dal momento che stiamo vagando in mezzo a delle strade deserte in piena notte, forse sarebbe il caso che almeno uno di noi due rimanesse abbastanza sobrio da riuscire ad affrontare uno scontro fisico, in caso venissimo attaccati… Inoltre, io sono l’unico armato, e quindi tanto vale che rimanga abbastanza sobrio io per entrambi.»

Persino alle sue stesse orecchie quella appariva come una spiegazione a prova di bomba, e tuttavia sentì Uther che gli scoccava uno sguardo significativo; si sforzò di non farsi cogliere dalla disagevole impressione che… sì, in quei giorni gli sembrava a volte di suonare veramente un po’ troppo “alla Kumals” per i suoi gusti.

Kumals… in effetti, da quando lo aveva chiamato l’unico suo vero e proprio piano era stato quello di seguire le sue istruzioni. Certo, era perché gli sembravano ragionevoli, ma il fatto era che forse dopotutto la verità stava nel fatto che lui non era in grado di formulare nessun valido piano alternativo, non nel momento in cui continuava a sentirsi pressato da una situazione di crisi continua, tra Mara e i suoi piani distruttivi, e Uther che ancora non si capiva cosa diavolo stesse esattamente cercando di combinare.

Una sorta di “voce della coscienza”, o forse “voce della ragionevolezza” sarebbe stato più esatto definirla, gli risuonò puntualmente in un angolo della testa in quel momento; non si stupì più di tanto del fatto che il tono di quella vocina assomigliasse a quella di Kumals, sebbene di qualche nota più alta, come se parlasse in falsetto, e quindi come un Kumals che volesse suonare tanto pedantemente fastidioso quanto ironicamente provocante.

‘Basterebbe chiederglielo, che cosa combina Uther, no? Non è forse lì di fianco a te?’ disse quella vocetta, fastidiosa pressappoco quanto una zanzara, ma anche precisa come una puntura endovena.

«Non credo che ci attaccheranno.» disse Uther, con un’intonazione di disarmante tranquillità, lo sguardo svagatamente disperso davanti a sé, come se gettasse lì un commento come un altro.

Danny si voltò a guardarlo, corrucciato. Sentiva di nuovo l’irritazione salirgli alla gola, bruciante.

«E su che cosa ti basi per… poterlo dire con tanta sicurezza?» riuscì a dire senza suonare troppo pungentemente sarcastico, cosa che gli richiese particolare sforzo.

Uther schioccò la lingua tra le labbra, la bocca inzuccherata e un po’ impastata dalla vodka sciropposamente aromatizzata, e rispose «Aspetteranno la notte senza luna, come hanno detto, per scatenare il loro finimondo, no?»

«Quindi è esattamente e semplicemente quello il loro piano, giusto? Voglio dire, non hanno altri secondi fini particolari?» domandò ancora Danny, e stavolta sentì che il suo tono stava perdendo la calma forzosa che aveva tentato fino allora di mantenere, tradendo le prime note di rabbia.

Uther gli scoccò uno sguardo sorpreso. «E come potrei saperlo?»

«Non sei forse finito fin dentro il loro accampamento per scoprire proprio questo, qual’erano i particolari di quello che stanno progettando di fare?» domandò Danny, rendendosi conto che ormai non riusciva a fare altrimenti: non era più in grado di svolgere con Uther alcuna conversazione tranquilla, non fino a quando non avesse scoperto che diavolo succedeva esattamente. Riteneva di avergli concesso più che abbastanza tempo per menare il can per l’aia, o il lupo per la città, senza dover condividere cosa diavolo stava cercando di fare. Ed era stanco, terribilmente stanco.

Lo sguardo e l’espressione di Uther si erano induriti, ma, probabilmente a causa dell’alcool che aveva già ingurgitato, la sua faccia sembrava più vicina ad un broncio quasi infantile piuttosto che ad una vera e propria gravità.

«A dirla tutta, non è che sia riuscito a scoprire granché.» disse semplicemente.

Danny emise un verso gutturale e nasale tra l’esasperato e il cinico ‘ci avrei scommesso’, e Uther lo guardò di sbieco, spiandolo con attenzione.

«Hey… che c’è? Vuoi forse rimproverarmi che tu avresti saputo fare di meglio?» tentò di scherzare.

Danny socchiuse appena gli occhi, concentrandosi sul non afferrarlo per il collo e sbatterlo contro uno dei muri delle case che scorrevano lungo i margini della strada.

«Uther…» disse infine, lentamente «Non credi che ora sia abbastanza?»

«Come? Ma tu mi conosci… ho appena iniziato. E, comunque, è vodka da quattro soldi.» ribatté tranquillamente Uther, lievemente perplesso.

Danny si voltò a guardarlo, decisamente più perplesso di lui, prima di comprendere che c’era stato un fraintendimento netto. Chiuse gli occhi per un istante, e sospirò appena, prima di ritrovare la voce e la pazienza.

«Non intendevo riguardo al bere.» disse, scandendo lentamente le sillabe, come se persino le parole potessero tradirlo da un momento all’altro «Intendevo, non credi di aver passato abbastanza tempo a lasciarmi presumere che eri là per scoprire quello che accadeva, quando in effetti non era solo per quello?»

E, non appena finita la domanda, voltò immediatamente lo sguardo sul viso di Uther, attento a coglierne ogni minima reazione che potesse scaturire a quelle parole.

Uther evitò tuttavia di guardarlo.

«Era uno dei motivi.» disse alla fine, osservando l’asfalto della strada davanti ai suoi piedi con concentrazione.

Danny buttò fuori il fiato e domandò con un certo tatto «D’accordo, e qual’era l’altro?»

Uther alzò lo sguardo più in avanti sulla strada, i tratti del viso induriti in una smorfia di doloroso fastidio. «Preferirei non parlarne. Non ora.» fu tutto ciò che rispose.

Danny si sforzò di aggrapparsi alla calma che gli rimaneva con tutte le sue forze, e deglutì.

«E’ stata Mara a portarti là?» gli chiese.

«Sì. Lei.» confermò Uther, sorseggiando la vodka e riprendendo a camminare.

Danny lo affiancò, mantenendo il passo, e cercando di raccogliere in sé tutto l’ottimismo possibile, ispirandosi alla filosofia del ‘questo è pur sempre un inizio’.

«E che cosa ti avrà mai detto per convincerti ad andare in un villaggio pieno di mezzi lupi?» continuò, cercando di suonare scherzoso, e riuscendovi a malapena e piuttosto malamente. Continuava a non staccare gli occhi nemmeno per un momento dalla faccia di Uther, che tuttavia si era chiusa in un’espressione pressoché illeggibile.

«Non ricordo molto bene… qualcosa sul fatto che sarei stato un ottimo lupo.» accennò Uther.

Danny si bloccò di nuovo sul posto, e l’altro proseguì di qualche passo, prima di fermarsi a sua volta, e voltarsi a guardarlo.

«Voleva fare di te un lupo…?» mormorò Danny, la voce stentorea.

«Così ha detto.» ribatté Uther, alzando appena le spalle, e prendendo un altro sorso di vodka con nonchalance.

«E tu l’hai seguita…» ripeté Danny, la voce e lo sguardo incupiti, il tono in qualche modo ancora incredulo.

Uther si limitò ad alzare appena un sopracciglio, come se volesse fargli notare che stava dicendo ovvietà.

«Ma perché…?» si ritrovò a domandargli semplicemente Danny, come se non credesse più nemmeno ai suoi occhi, e non fosse certo di poter davvero riconoscere chi aveva davanti.

Uther alzò di nuovo le spalle, volgendo lo sguardo intorno con fare distratto «Non lo so… sarà che da queste parti non c’è mai molto da fare per tenersi impegnati…»

Danny spalancò appena gli occhi, poi scosse un poco la testa, come se volesse cercare di schiarirsi le idee. Ma la sua voce suonò cupamente arresa quando mormorò «Aveva ragione Kumals… deve averti dato completamente di volta il cervello.»

Stavolta Uther tornò a fissarlo, con espressione gravemente seria e sul punto di alterarsi. «Come?» chiese, come se non fosse sicuro di aver compreso.

Danny lo investì con sguardo penetrante e fuori di sé «Perché mai altrimenti uno come te… tu… come può esserti passato per l’anticamera del cervello di seguire una delle persone più fuori di testa che io abbia mai conosciuto dentro un villaggio di mezzi lupi fuori di testa quasi altrettanto lei, completamente disarmato… e sapendo che cosa può essere capace di fare anche uno solo di noi?»

Il suo tono si era alzato notevolmente di volume, e si rendeva conto suo malgrado di essere arrivato ad un punto di rottura.

«Sì, anche lei mi ha detto di conoscerti bene.» ribatté Uther, e Danny realizzò che in qualche modo il suo tono suonava velatamente accusatorio «E sapeva dei ‘4 di picche’

Danny emise un breve verso di ironico disprezzo. «Non riesco a capire come mai si sia preoccupata di informarsi al riguardo, né dove sia riuscita a trovare le informazioni, ma non è questo il punto. Il punto è perché l’hai seguita, in una situazione dove sarebbe stato tanto se fossi riuscito a uscirne senza ritrovarti ridotto in brandelli!»

«Questo… è qualcosa che non saprei spiegare esattamente…» rispose Uther, smettendo di guardarlo e ostinandosi a bere dalla bottiglia di vodka e a mantenere un contegno chiuso ed evitante.

«Non… non sai spiegarlo esattamente?! Maledetto dio, Uther!» urlò Danny, ormai fuori di sé «Ti rendi conto di che cosa stai dicendo?»

«Avanti Danny, qual è la tragedia, esattamente? Sono qui vivo e vegeto, e quell’accozzaglia di persone… non sono altro che una setta di fuori-brocca che credono in robaccia da romanzo dark-fantasy per adolescenti… e noi possiamo fermarli. Mi ha offerto la possibilità di andare a dare un’occhiata a quello che stavano combinando ed ero… curioso di vedere cosa stava succedendo, per capire quanto era realmente preoccupante. Ci siamo cacciati tante volte in situazioni anche più assurde di questa e…»

«Quanto tempo sei rimasto là?» lo interruppe di colpo Danny, con voce fredda. Gli era tornato improvvisamente alla mente un particolare. Stava per chiedere a Uther perché non aveva avvertito qualcun altro di loro piuttosto che sparire, che era precisamente il motivo per cui lui era finito lì a cercarlo dopo essere stato avvisato da Kumals. Ma poi era stato colto da un altro dubbio: aveva la sensazione che Uther stesse distorcendo le motivazioni, di nuovo. Non era per quello, solo per indagare alla “maniera dei ‘4 di picche’”, che aveva seguito Mara. Era sparito per giorni, stando a Kumals…

Uther sbatté le palpebre, guardandolo con una certa sorpresa.

«Quanto tempo?» ripeté, aggrottando le sopracciglia perplesso.

«Kumals mi ha chiamato perché non rispondevi al telefono da giorni. Sei rimasto là per giorni, in quella sottospecie di accampamento di folli, insieme a Mara?» precisò Danny, il tono chirurgicamente asettico ora.

Il cipiglio di Uther si accentuò maggiormente, come se si stesse sforzando di capire dove voleva andare a parare. «Sono stato là un po’… ma non continuativamente. Ripassavo per qualche ora. Cosa c’entra?»

Danny prese fiato, strinse la mascella e si concentrò per rimanere assolutamente calmo, ma di nuovo trafisse Uther con sguardo penetrante, in cerca di risposte lucidamente oneste, nel chiedergli «Ti ha parlato di me, vero?»

«Sì.» gli rispose semplicemente, guardandolo seriamente, ma in qualche modo con più gentile tatto, un tono che suonava come un’ammissione.

Danny chiuse gli occhi per un momento, sospirando, riempiendosi e svuotandosi i polmoni della fresca aria notturna, leggermente umida di mare.

«Bene. Qualsiasi cosa abbia detto… oltre al fatto che avrebbe fatto meglio a evitare di raccontare fatti miei in giro… sono cose che appartengono al passato. Ad un’altra mia vita…» mormorò.

Sentì un verso di sornacchiante ironia provenire dall’altro, e riaprì gli occhi, fissandolo con sorpresa.

«Sai… a sentirla, sembrava che lei ti conoscesse meglio di noialtri in fondo. Voglio dire, lei sapeva almeno da dove venivi, e come sei diventato… beh, come sei diventato ciò che sei.» disse Uther, guardando in ogni direzione pur di non fissarlo.

Danny sentì qualcosa come vecchie ferite che si riaprono.

«E tu gli hai detto come ci siamo incontrati?» domandò.

Uther mosse di colpo lo sguardo su di lui, alla velocità di un proiettile. «No.» rispose, netto e serio «Come pensi che avrei mai potuto farlo?»

«Già… tuttavia, non pensavo nemmeno che avresti mai fatto qualcosa come seguire una mezzo lupa folle in un villaggio che progetta di conquistare il mondo…» mormorò a mezza voce.

Uther gli lanciò uno sguardo di fuoco, dopodiché si voltò su se stesso e riprese a camminare.

«Fammi un favore, Danny…» disse, fermandosi un momento sul posto, tenendogli le spalle voltate «Vai per un’altra strada per un po’. Ci rivediamo quando penserai di nuovo di poterti fidare di me.»

Danny fece un’ispirazione nasale rapida e spezzata, trattenendo il fiato per qualche istante come se avesse ricevuto un colpo all’altezza del diaframma durante una rissa, prima di rispondere.

«Sai bene che non posso farlo…» mormorò semplicemente.

Uther si voltò e lo trapassò con lo sguardo, ma Danny rimase fermo, prendendo anche quell’occhiata come se il trucco fosse semplicemente quello di trovare il modo di ricevere il colpo nel modo giusto per non subirne eccessivo danno.

«Uther, sai bene che, considerando la situazione di pericolo, ti seguirei attraverso qualsiasi strada…» disse ancora «E se c’è qualcosa che mi potrebbe convincere a non farlo, dev’essere qualcosa che non esiste.»

La sincerità seria, tranquilla e determinata sembrò per un momento riuscire a fare breccia nell’atteggiamento alterato dell’altro, al punto che Uther per un istante lo fissò in modo diverso, come se si fosse reso conto in quel momento che lui avrebbe già dovuto sapere più che bene che quelle parole erano quanto di più vero potesse dire e mettere in pratica Danny. Subito dopo, tuttavia, un sorrisetto storto, amaro di sarcasmo e di rabbia trattenuta, gli piegò le labbra.

«Allora, seguimi.» ribatté, in tono duro e asciutto, che suonava decisamente di rabbiosa sfida.

Uther quindi si voltò su se stesso, dandogli le spalle e iniziando a camminare.

Danny non trovò nulla da poter aggiungere, e si limitò a guardarlo allontanarsi. Dopodiché, riprese a camminare anche lui, seguendolo a notevole distanza. Semplicemente, non poteva permettersi di lasciarlo girare da solo di notte per quella città, e con quei mezzi lupi da strapazzo, e in primis Mara, che giravano a piede libero, e si erano già dimostrati più che interessati in particolare a lui.

Era convinto che Uther non capisse; non conosceva Mara abbastanza quanto la conosceva lui, e forse questo avrebbe dovuto spiegare perché Danny era sicuro che il fatto che lei gli avesse permesso di visitare l’accampamento e andarsene sulle sue gambe, e il fatto che si fosse mostrata così disponibile da raccontare storie sulla sua passata conoscenza che lo riguardava, non fossero altro che indizi che aveva intenzione di condurre un gioco particolarmente complicato e studiato forse, ma non così dissimile da una caccia in fondo. Qualsiasi corsa Mara facesse, qualsiasi complicato zigzagare tirasse fuori come per ispirazione improvvisata, Danny sapeva bene che alla fine di ogni suo tracciato c’era sempre la stessa cosa: una gola in cui affondare mortalmente le zanne. E se Uther non l’aveva ancora compreso più che bene, da ciò che aveva visto in quell’accampamento e dopo aver passato delle ore in compagnia di lei, allora c’era qualcosa in lui che lo spingeva a non voler vedere le zanne che si avvicinavano e ritraevano all’ultimo dal suo collo solo per gioco prima di affondare.

Danny, tuttavia, non riusciva ancora ad immaginare quale potesse essere il motivo per cui Uther aveva così bisogno di tenere gli occhi chiusi. Una parte di lui però, una parte che avrebbe voluto riuscire a scrollarsi di dosso del tutto per evitare che lo intralciasse – come sospettava che stesse facendo – nel tentativo di riuscire a capire cosa stesse davvero succedendo, continuava a non riuscire a capacitarsi di come fosse possibile che stesse accadendo: che Uther ci tenesse così tanto a non voler vedere, da arrivare al punto di voltargli le spalle quando lui cercava di costringerlo a guardare chiaramente.

 

 

Soundtrack: Never turn away (Chris Thompson) – anche stavolta, ho preso dalla canzone il titolo del capitolo (giusto per dare a Cesare ciò che è di Cesare… bah, che metafora imperiale! ;p )

 

 

Note dello scribacchiatore:

A proposito di cose utili a riguardo di questo capitolo (e anche del prossimo): se non è chiaro, qui si fa un passo indietro cronologicamente parlando, quindi questo è quello che è successo la notte prima che Uther fosse risvegliato dai poliziotti lungo la strada.

Per il resto, spero che la lettura come sempre sia valida a intrattenervi; questo è uno dei capitoli che mi ha dato qualche dubbio… il perché, non saprei dirlo. Forse è solo che per me è ancora sempre un po’ difficile concepire situazioni “gravi & grevi” con personaggi come quelli dei ‘4 di picche’ & co.. Per fortuna, abbiate fede, le situazioni “improbabilmente e spensieratamente assurde” torneranno, basta un po’ di pazienza ;)

Saludos! Al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 20
*** 19 - Every street you walk along (II) ***


Capitolo 19

(EVERY STREET YOU WALK ALONG – II)

 

Era notte inoltrata, e Uther era decisamente sbronzo. Ondeggiava camminando, e di tanto in tanto barcollava al punto da finire contro questo o quel muro, come una pallina di un flipper che rimbalza al rallentatore dall’una all’altra delle sponde che la costringono fisicamente a seguire il percorso. Nel caso di Uther, il percorso era una strada dopo l’altra, perlopiù strade relativamente strette, praticamente tutte pedonali, che si incrociavano e reincrociavano tra di loro in un dedalo continuo nella parte più vecchia di Tairans.

Agli occhi di Uther, quelle strade ondeggiavano come un labirinto serpenteggiante, confuso e sfocato; solo di tanto in tanto, quando la sua spalla e il suo fianco cozzavano contro uno dei muri laterali, o quando riusciva ad evitare la botta perché – con riflessi insperatamente abbastanza rapidi – riusciva ad appoggiarsi col palmo nudo della mano contro la superficie dura – e ormai fredda per la lunga mancanza di sole nelle ore notturne – di uno di quei muri, in un qualche angolo della sua testa particolarmente annebbiata dall’alcool si faceva strada la consapevolezza che in realtà quelle strade dovevano essere dritte, a prescindere da come gli apparissero, e a prescindere dal fatto che lui fosse capace in quel momento di camminare in linea retta oppure no.

Non c’era praticamente nessuno per la strada, e gli sembrava che fosse passato diverso tempo dall’ultima volta che aveva incrociato una figura umana di un qualche passante; o forse erano due, che naturalmente lo avevano visto, avevano riconosciuto in quali condizioni era, ed avevano optato per svoltare in un’altra strada per evitare di incrociarlo. Meglio così, dal momento che non ci teneva ad incontrare nessuno, avrebbe odiato chiunque avesse provato a rivolgergli la parola in quel momento, fosse per offrire aiuto o per cercare di approfittare delle sue condizioni in qualche modo, e uno dei pochi punti fermi nella sua testa in quel momento era il bisogno di restare da solo.

Tuttavia, sapeva che non lo era.

Per quanto fosse ubriaco, al momento, e migliaia di pensieri mescolati in un guazzabuglio pasticciato gli passassero per la testa senza che riuscisse a fare con essi niente di più utile che guardarli e subirli come se fossero auto che passavano veloci e numerose intorno a lui, evitando per un pelo di colpirlo e tuttavia spingendolo di riflesso a spostarsi da una parte all’altra per cercare istintivamente di evitarle, c’era una consapevolezza in sottofondo a cui non riusciva a sfuggire nella sua concretezza, come l’asfalto continuo e perfettamente tangibile che gli scorreva sotto i piedi. Non aveva bisogno di ricordarsi che si chiamava ‘asfalto’ o ‘cemento’, né di realizzare lucidamente che rappresentava il terreno, ciò che gli permetteva di stare in piedi o ciò contro cui avrebbe sbattuto se avesse perso definitivamente l’equilibrio – cosa che poteva succedere da un momento all’altro considerando quanto spesso stava incespicando nei suoi stessi piedi -, perché semplicemente era impassibilmente lì, quel terreno, così come era lì quella consapevolezza.

La consapevolezza che non era solo perché c’era qualcuno che lo seguiva, che non aveva mai smesso di seguirlo, ad una certa distanza, ma senza mollare mai, e senza fare assolutamente nulla: manteneva la sua presenza in sottofondo, come se volesse evitare di infastidirlo, o forse come se volesse magnanimamente concedergli l’illusione di essere solo. Ma lui non riusciva affatto ad illudersi, nemmeno in quello stato alcolico, e nemmeno per un istante, e nemmeno distraendosi con tutti quei pensieri che gli passavano accanto ad una velocità insostenibile. Non riusciva ad evitare il sentore preciso di  quella presenza, poiché sapeva che non lo avrebbe mai e poi mai lasciato da solo in quel momento, e perché ne sentiva il peso come se lo stesse giudicando, peso tanto più cospicuo perché sapeva che invece non l’avrebbe mai veramente ‘giudicato’. Perlomeno, non sulla base del fatto che era ubriaco al momento. E forse anche perché lo aveva visto ubriaco già centinaia di volte. Ma c’era decisamente qualcosa di diverso quella volta.

E fu allora che Uther decise che ne aveva abbastanza. Si fermò sul posto, troppo bruscamente rispetto alla capacità di coordinazione che possedeva al momento, e dovette impiegare dunque qualche secondo per recuperare più decisamente l’equilibrio, in modo da passare dal movimento all’immobilità senza dover passare nel mentre anche per una fase in cui cadere per terra e doversi rialzare. Non appena si sentì tuttavia abbastanza stabile sulle gambe, abbastanza per quanto poteva riuscire ad esserlo in quella situazione, si girò su se stesso, con concentrato impegno per coordinarsi abbastanza e per limitare al minimo possibile il vorticargli della testa causato da quel movimento. Raggiunta finalmente la posizione che voleva, ovvero dritto e in piedi e fermo in mezzo ad una qualche strada – figurarsi se a quel punto poteva sapere quale diavolo in particolare – di Tairans, fissò lo sguardo all’incirca precisamente sulla sagoma, ora altrettanto ferma, ad una ventina buona di metri da lui. Era una sagoma che conosceva benissimo, e nonostante lo sguardo umano potesse scambiarla tranquillamente per quella di un qualsiasi altro animale simile, Uther non poteva che riconoscerla perfettamente.

«Va bene, ora basta.  Vattene. Non voglio essere seguito. Ci vediamo… in un qualche dopo.» disse al lupo fermo in mezzo alla strada.

L’animale non si mosse di un millimetro, limitandosi a guardarlo, ritto sulle zampe, la posizione rilassata e tranquilla, come se aspettasse qualcosa. Uther sapeva che cosa stava aspettando, riusciva a capirlo: aspettava semplicemente che lui ricominciasse a camminare, per riprendere a seguirlo.

Sapeva che doveva esserci stato un momento in cui Danny aveva smesso per qualche momento di seguirlo dappresso; il tempo necessario per andarsi a spogliare e prendere la forma di lupo, e tornare immediatamente alle sue calcagna. Perché lo aveva fatto? Uther aveva un’impressione di comprensione perfetta, forse aiutata o forse semplicemente costruita su basi illusorie date dalla notevole quantità di alcool che gli circolava in corpo al momento. Danny aveva mutato la sua forma perché così non rischiava di perderlo: quattro zampe sono più veloci di due, e la capacità di olfatto di un lupo, anche se si tratta di un mezzo lupo, è sicuramente in ogni caso sufficiente per impedire ad un essere umano di seminare la ferma volontà di un predatore nato di seguirlo.

Ma Uther sospettava che Danny lo avesse fatto anche perché in quella forma la sua comprensione e concezione del mondo diventata più simile a quella di un lupo che a quella di un essere umano: in altre parole, in quella forma Danny poteva capire solo fino ad un certo punto il senso preciso delle sue parole in linguaggio umano, sebbene potesse leggere persino meglio – nella spartitura dell’istinto – gli atteggiamenti della postura e il suono del tono usato. E soprattutto, in quella forma Danny non poteva svolgere una conversazione a parole, non poteva rispondergli verbalmente, e lo stare in silenzio non era una scelta, ma qualcosa di perfettamente normale per un lupo. Infine, e nondimeno, in quella forma non poteva mostrare espressivamente in maniera comprensibile ad Uther nessun tradimento di ciò che stava pensando o come si sentiva, nessuna reazione evidente a qualsiasi cosa che gli potesse venir detto. Per quanto bene Uther potesse conoscere Danny anche nella sua forma di lupo, era abbastanza sicuro ormai che nessun lupo potesse vantare una mimica facciale così significativa per un essere umano.

Così, Uther sapeva che Danny aveva messo la situazione a proprio vantaggio: si sarebbe limitato a seguirlo ostinatamente, senza in nessun modo dargli un terreno di interazione vera e propria. Un modo come un altro per chiudere il contatto interpersonale, senza tuttavia permettergli di restare veramente da solo. Uther sentì d’improvviso la rabbia crescergli dietro, immediatamente amplificata dall’alcool, come fuoco che trova pronta una generosa pozzanghera di benzina appena versata.

«Ti ho detto: non voglio essere seguito!» sbraitò ad alta voce rabbiosa, nel silenzio della strada, e avanzò ad ampie falcate verso il lupo immobile.

L’animale rimase fermo dov’era, non mosse un muscolo, finché Uther non lo ebbe quasi raggiunto, e a quel punto scattò con fluida rapidità, evidentemente tranquillo e per nulla allarmato: non c’era nessuna reale preoccupazione ad alterare la precisione dei suoi movimenti con la fretta, perché sapeva di essere più veloce di lui, e forse anche perché era decisamente più lucido. Si voltò e corse per qualche metro, distanziando Uther di una ventina di metri, prima di fermarsi di nuovo, tornandosi a voltare verso di lui, di nuovo fermo e di nuovo tranquillo. Ma ora ad Uther, mentre rallentava inconsciamente il passo rompendo ogni sua intenzione di muoversi in maniera intimidatoria, nel realizzare con piena chiarezza che non sarebbe mai riuscito a farlo desistere in quel modo, parve che il lupo sembrasse ancora più severamente determinato, come se qualcosa nella sua posizione volesse ora sbattergli in faccia il dato di fatto: continuerò a seguirti, a prescindere da qualsiasi tua opinione o tentativo per evitarlo, e tutto ciò che puoi al massimo mettere in atto come alternativa è ridurti a seguire tu me, anche se non mi raggiungerai mai.

Uther guardò il lupo per diversi momenti, ansando leggermente per la rabbia che gli bruciava in corpo e che non vedeva come poter sfogare in qualche modo che potesse produrre un concreto effetto sull’obbiettivo della sua alterazione. Sapeva che Danny lo aveva messo in una posizione per lui intrappolante, e che lo aveva fatto con tranquilla consapevolezza, e che era per lui in ogni momento qualcosa che avrebbe sempre e comunque potuto fare, se lo riteneva necessario. E tutta quella situazione ora sembrava canticchiare con voce irritante da presa in giro, in sottofondo all’immagine del lupo tranquillamente fermo in mezzo alla strada. Lo vide decidere, dopo qualche altro momento di immobilità da parte di entrambi, di accucciarsi per terra, e appoggiare il capo sulle lunghe zampe anteriori distese in avanti e incrociate, il muso e lo sguardo su di lui, tranquillo nella sua intensità precisa e impossibile da paragonare a qualsiasi tipo di espressività umana. E il sottofondo immaginario nella sua testa canticchiava: ‘davvero? un essere umano contro un mezzo lupo? Oh, avanti Uther, sappiamo entrambi benissimo come può andare a finire. Lo sappiamo da molto tempo, e forse non c’è nessun’altro al mondo che può saperlo meglio di te e di me’.

Passò qualche altro momento, in cui Uther non fece altro che guardare negli occhi, in qualche modo imperscrutabili e in qualche modo a lui comprensibili, di quel lupo che lo fissava a distanza.

C’erano state decine e decine di situazioni in cui si erano mossi a quel modo, lui umano – l’unica forma in cui poteva essere – e Danny in forma di lupo. Talvolta lo richiedeva la situazione strategica “da 4 di picche” in cui si erano cacciati in una maniera o nell’altra; tal’altra volta, semplicemente Danny preferiva prendere quella forma, specialmente quando si trattava di passare del tempo in mezzo a luoghi affollati di persone, e Uther aveva sempre creduto di intuire che fosse il modo in cui l’altro riusciva a sostenere meglio il trovarsi in mezzo a tante persone, in luoghi tanto unicamente e piattamente a dimensione unicamente umana.

Una volta, Danny aveva detto solo questo: che il mondo umano visto solo attraverso i sensi umani era insopportabilmente noioso, e insitamente insopportabile per chiunque avesse ancora una sufficiente capacità di sfuggire all’agonia dell’auto-convincersi che quella fosse l’unica dimensione possibile di realtà in cui trovarsi, da sentire l’alienazione in tutta la sua potenza e provare la misantropia nella sua piena sincerità, senza stordirsi con qualcosa o distrarsi con qualche illusione.

Certo, Uther poteva immaginare benissimo come essere in forma di lupo potesse portare in un’intera altra dimensione, o forse portare la realtà a moltiplicarsi su più piani sovrappostamente impilati nella percezione sensoriale così multiplamente efficiente di un animale selvatico. Poteva cercare di immaginare come, in quel modo, certe situazioni diventassero meno noiose, quando diventava perfettamente naturale e fisiologico al proprio organismo essere distanziati dai pochi – e forse puramente sciocchi e superficiali e insignificanti – piani raggiungibili dai sensi umani; distanziarvicisi non perché ci si auto-alienava dall’alienazione stessa, ma perché quei piani si ridimensionavano automaticamente nel confronto con tutti gli altri piani percepiti.

Sì, Uther poteva immaginarlo, e Kumals un paio di volte vi aveva teorizzato su in maniera quasi comicamente impegnata mentre chiacchieravano abbastanza scioltamente, magari grazie a qualche cosa di un po’ alcoolico e nella tranquillità confidenziale di un momento particolarmente rilassato. In quei momenti, Uther aveva spesso fatto notare a Kumals che stava rimuginando fin troppo su un argomento strano, e lo stava facendo troppo accademicamente, oltre che inutilmente. Kumals aveva preso quella sua opinione come inaspettata e leggermente irritante, e gli aveva chiesto di spiegarsi meglio. Uther ricordava che gli aveva detto, e allora lo credeva veramente, che fosse superfluo stare a pensare così tanto a qualcosa che per qualcun altro era semplicemente la realtà, mentre per loro non lo sarebbe mai stato: non potevano che finire per ricamarci sopra. E forse era questo che Uther aveva finito per ritrovarsi a fare anche lui: ricamava sopra a qualcosa che non poteva capire.

Questo lo faceva veramente infuriare, contro il mondo intero, forse contro la realtà stessa, ma al momento l’unica cosa che vedeva chiaramente – anche se non letteralmente, considerando la vista un po’ confusa dall’alcool – era un lupo in mezzo alla strada che lo guardava come se gli stesse sbattendo in faccia una volta di più esattamente quel punto: lui, semplicemente, non poteva capire. Non poteva capirlo Kumals, con le sue ricerche e la sua cultura e la sua mente così robustamente ed efficacemente riflessiva ed analitica e la sua capacità di osservazione quasi chirurgica; non poteva capirlo nemmeno Uther, per quanto avesse passato un sacco di tempo a stretto contatto e in rapporti ottimamente complici e amichevoli e fraterni con un mezzo lupo.

Quel lupo tranquillamente sdraiato in mezzo alla strada era qualcuno con cui aveva uno straordinario grado di familiarità, in qualsiasi delle sue due forme si trovasse, ed era qualcuno che avrebbe potuto seguirlo e raggiungerlo attraverso qualsiasi strada, senza mollarlo mai finché l’avesse voluto, come aveva appena dimostrato con l’elegante semplicità di pochi movimenti e posture; oh, certo, Danny sapeva come rendersi comprensibile a lui con gli atteggiamenti, quando non poteva esprimersi in nessun’altro modo, e poteva rendersi comprensibile oppure no, quando era in forma di lupo, con la facilità e l’estremismo bipolare di un interruttore che viene spento o acceso a scelta. Allo stesso modo in cui poteva scegliere con piena libertà se continuare a seguirlo oppure sparire, mentre Uther - lo sapeva benissimo - avrebbe potuto cercare di inseguirlo senza mai raggiungerlo, e avrebbe potuto cercare di seminarlo senza mai riuscirvi del tutto.

Ed ecco la realtà ultima, fuori da ogni dimensione – così piatta e noiosa – esclusivamente umana: che l’essere umano era uno dei più impotenti e deboli degli animali esistenti sulla Terra, se messo su un piano di confronto così radicale come l’inseguire o lo sfuggire; che se nel mondo a dimensione umana gli animali selvatici potevano essere rinchiusi in una gabbia, addomesticati o spiati con la tecnologia e studiati nel loro comportamento, sezionati col bisturi o con la ricerca scientifica, nel mondo preso nella più vasta complessità di un reale molto più fantasioso, era l’essere umano quello che poteva trovarsi in gabbia in un attimo, intrappolato nei suoi limiti.

Fu allora che Uther perse definitivamente il controllo. La consapevolezza era troppo vasta e troppo crudelmente penetrante, capace di arrivare fino in fondo al nucleo di tutto ciò che poteva provare e pensare, aprendosi brutalmente brecce a strappi violenti per passare, perforando ogni tentativo di difesa. Avrebbe potuto dare la colpa all’alcool, ma tanto lui quanto Danny sapevano che in tutte le sbronze che aveva avuto nella sua vita, Uther era diventato così colmo di rabbia solo se c’era qualcosa di estremamente significativo per lui in grado di scatenarla. Era allora, e solo allora, che in un battito di ciglia poteva diventare tremendamente aggressivo, fuori controllo, senza preavviso alcuno, e inverosimilmente rapido e preciso nei suoi movimenti, come se il fine di sfogare la furia su un obbiettivo fosse capace di risvegliare tutti i sensi annebbiati dall’alcool e di focalizzarli perfettamente.

Il lupo disteso in mezzo alla strada che lo stava guardando sembrò percepire qualcosa che cambiava nell’aria, come se udisse un rumore che segnalava che gli argini di auto-controllo di Uther andavano sonoramente in frantumi con una sottospecie di sinistro schiocco che rimbombava lungo le pareti della strada; doveva essere così, perché altrimenti non sarebbe stato facile per lui, nonostante gli ottimi riflessi da mezzo lupo, scattare abbastanza rapidamente da alzarsi sulle zampe e spostarsi di lato quel tanto che bastava per evitare la bottiglia ancora in parte piena che aveva attraversato l’aria alla rapidissima velocità impressale da tutta la forza del braccio di Uther, la cui traiettoria terminava esattamente nel punto dove si era trovato sdraiato, e vi atterrava con solo qualche frammento di secondo di ritardo dopo che lui si era tolto di mezzo.

Il rumore del vetro che si spaccava sull’asfalto suonò violentemente improvviso e netto nel silenzio notturno, tanto da parer quasi uno sparo. Il lupo voltò la testa e contemplò per qualche istante i cocci di vetro sparsi tutt’attorno sull’asfalto, lievemente luccicanti di riflessi rimbalzati dalla luce dei lampioni, come se avesse bisogno di osservarli bene per convincersi di ciò che era appena accaduto. Poi volse il muso sulla figura umana ferma sulla strada a qualche metro da lui; e, ancora, nel suo sguardo e nella posizione delle sue orecchie abbassate, delle zampe tese e un poco piegate come pronte ad un altro scatto in caso di bisogno, della coda tenuta tra le gambe, c’era un che di assolutamente impreparato, stupito e incredulo.

Probabilmente ad Uther sarebbe bastato vedere il lupo in quell’atteggiamento sorpreso di allarme, di incomprensione e in qualche modo illogicamente intimorito, per cogliere immediatamente il peso di ciò che aveva appena fatto, se solo non fosse stato ormai molto oltre qualsiasi capacità di fermarsi.

Uther si mosse rapidamente, puntando ad un sasso che aveva adocchiato lungo il bordo della strada, si chinò a raccoglierlo e si rialzò in piedi, stringendolo in mano e guardando il lupo, con uno sguardo determinato che sembrava giurare che era capacissimo di farlo, se solo non se ne fosse andato immediatamente.

Fu allora che il lupo sembrò capire qualcosa, perché buona parte dello stupore sembrò abbandonarlo di colpo. Seppur mantenendo le orecchie abbassate e la coda tra le gambe, segno evidente di quanto quella faccenda lo stesse tormentando, si raddrizzò meglio sulle zampe e alzò bene la testa, il muso e lo sguardo rivolto verso Uther, e il messaggio chiaro agli occhi di questi: non sarà certo sufficiente qualcosa del genere per convincermi a smettere di seguirti.

Tutto ciò che Uther riuscì a leggere in quell’atteggiamento, tuttavia, fu una sorta di sfida sfacciata, e un ulteriore incentivo alla sua furia cieca. E di lì a poco stava scagliando, mirando al lupo.

Danny si mosse di concerto, e sebbene stavolta stesse aspettando l’arrivo dell’oggetto contundente, riuscì ad evitarlo solo di pochi centimetri; va bene essere un mezzo lupo e avere una capacità di riflessi maggiore di quella di un essere umano, ma dopotutto chi stava cercando di colpirlo era a pochi metri e aveva un’ottima mira e una forza di lancio resa notevolmente potente da una delle più esplosive fonti di forza che esista nel mondo degli esseri umani: l’adrenalina generata dalla rabbia pura.

Se qualcuno si fosse svegliato, magari a causa delle urla ricche di improperi che giungevano dalla strada squarciando impietosamente il silenzio notturno, e si fosse affacciato alla finestra in quella notte, magari allarmato dal fatto che le urla continuavano a intimare a qualcuno di ‘smettere di seguirlo’ e ‘lasciarlo in pace’ (quel genere di frasi fatte e banali che fanno pensare alla reazione incontrollata di qualcuno che sta cercando di reagire a qualche tipo di attacco alla sua persona), avrebbe visto un giovane uomo che continuava a raccogliere qualsiasi tipo di oggetto riuscisse a reperire dalla strada e scagliarlo verso un cane che aveva una sinistra somiglianza con un vero e proprio lupo, il quale aveva il curioso comportamento ripetitivo di evitare l’oggetto di cui veniva bersagliato, guadagnare qualche metro di distanza, e quindi fermarsi ad attendere il successivo oggetto volante nella sua direzione, nemmeno fosse stato addestrato ad eseguire quei gesti come una specie di gioco, e tuttavia c’era un’impressione di intenzione disperatamente cocciuta nel modo in cui lo faceva.

Se qualcuno decise che quella scena assurda poteva meritarsi una chiamata alla polizia, nonostante in effetti il modo in cui quei due la mettevano in atto la facesse spostare – lentamente, metro per metro, ma continuativamente – di strada in strada, le forze dell’ordine che risposero decisero di non intervenire.

 

 

 

Soundtrack suggerito: A little respect (Erasure)

 

 

Note dello scribacchiatore:

[la lettura è totalmente facoltativa, salvo dove diversamente indicato ;p ]

Ed ecco come promesso l’altro capitolo con lo stesso titolo. Il motivo? Ovviamente il parallelismo del contenuto, nonché il parallelismo del senso ‘ogni strada lungo la quale cammini’, che però assume un significato assai diverso nei due capitoli, essendo nel primo caso rivolto da Mara a Danny e in questo caso rivolto da Danny a Uther.

 Devo dire che non ho mai pensato ad Uther come un personaggio talmente “profondo” da far considerazioni come quelle che fa in questo capitolo tra sé e sé. Quindi, o Uther è bravo a nascondere la sua “profondità”, oppure (ed è la mia ipotesi più gettonata al momento) è tutto causato dalla vodka. (visto che Kumals mi manca, mentre Danny ne fa le veci un po’ più ‘serie & gravi’, io ne faccio le veci più da ‘bitch, please’ :p)

Non preoccupatevi comunque, voi che eventualmente sentite la mancanza di qualche altro personaggio di quelli comparsi nella prima storia dei ‘4 di picche’, perché non è affatto mia intenzione lasciarli del tutto in disparte, come avrete modo di scoprire molto presto… ;)

Ultimissima cosa: per chi fosse( malsanamente) interessato/a, ho aggiunto qualcosa nella “colonna sonora” nei capitoli già pubblicati sia di questa storia che di quella precedente dei ‘4 di picche’ (forse l’ho già detto in qualche nota precedente e l’ho dimenticato? Mah! Nel caso, perdonate la mia pessima memoria e la lieve tendenza a ripetermi…)

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Capitolo 21
*** 20 - Posizione di sicurezza ***


Capitolo 20

(Posizione di sicurezza)

 

Quando Danny uscì dal bagno del piccolo appartamento, in forma umana, lavato e rivestito alla belle e meglio con l’unico cambio ancora decente di abiti che aveva portato con sé, trovò le stanze affondate nel silenzio, eccetto che per i rumori quotidiani che giungevano da fuori.

Tutto quello che desiderava al momento, e in maniera a dir poco impellente, era dormire; cosa che gli avrebbe anche permesso di non pensare, e sarebbe stato qualcosa di estremamente gradito, anzi qualcosa a cui anelava profondamente. Sentiva la stanchezza in tutto il corpo, come se le sue membra fossero legate a corde di violino tese, e quasi qualsiasi cosa che lo circondava e persino i pensieri pizzicavano su quelle corde come se gli suonassero i nervi; a dir poco sgradevole.

Non era per via delle contusioni che aveva riportato durante la rissa al concerto; era un mezzo lupo, dopotutto. Oltre ad aver causato ben pochi danni nel momento in cui erano state inferte, erano veramente poche e di totale trascurabilità, grazie alle sue abilità che gli avevano permesso di cavarsela più che eccellentemente nello scontro. La sua anormale rapidità di guarigione le aveva già rese ridicoli lividi superficiali, del tutto equiparabili a quelli che potrebbe riportare un bambino che abbia giocato all’aperto per qualche ora.

Non era nemmeno per via degli oggetti che Uther gli aveva scagliato addosso per un’oretta buona durante la notte lungo le strade; non si era lasciato colpire nemmeno una volta, anche se una parte di lui avrebbe voluto, per qualche misterioso motivo, lasciarsi colpire, giusto una volta, in un certo senso simbolicamente. Come se quello avesse potuto dare sollievo ad Uther in qualche modo, il riuscire almeno a colpirlo. Ma gli era stato chiaro per tutto il tempo che se fosse successo, sarebbe poi stato terribile per entrambi. Il modo in cui si erano… “conosciuti” la prima volta era servito più che sufficientemente da lezione per lui.

Ed era tuttavia completamente diverso. Lo sapeva bene. Un conto era essere colpito mentre stava tentando di aggredire qualcuno; era sicuramente un’azione difensiva in quel caso, qualcosa che l’istinto di auto-conservazione poteva giustificare sotto ogni punto di vista, o almeno renderlo facilmente e immediatamente comprensibile. Ma Uther che gli scagliava addosso oggetti raccattati da terra, con quella furia rivolta verso di lui in maniera così palpabilmente precisa e individualmente indirizzata, era qualcosa di ben altrimenti.

Per tutto il tempo, Danny aveva dovuto impedire al suo istinto da mezzo lupo di fargli arricciare le labbra a scoprire i denti, e aveva trattenuto in gola silenziato il ringhio istintivo che gli sorgeva cupo dal ventre quando si sentiva apertamente minacciato. Non si era mai sentito in dovere di trattenersi in quel modo. Perché tutte le altre volte a minacciarlo per scacciarlo con orrore e raccapriccio erano stati esseri umani che lo avevano incrociato per caso in qualche strada, quando era stato costretto ad addentrarsi in qualche cittadina nottetempo per cercare qualche avanzo in tempi di magra della selvaggina.

Non che si fosse mai sentito realmente minacciato, allora. Sapeva sempre benissimo che qualche essere umano isterico che gli lanciava addosso qualche oggetto con pessima mira non poteva rappresentare in nessun caso un pericolo immediato per un mezzo lupo. Ma a fargli rizzare il pelo sulla schiena, piegarsi con la pancia verso terra, appiattire le orecchie all’indietro contro la testa, scoprire i denti ed emettere un cupo e basso ringhio gutturale non era il sentore di minaccia. L’attacco che percepiva era ben diverso, e non era certo sul piano fisico.

Era stato molto tempo fa, molto tempo per lui almeno, per tutto quello che era successo in mezzo. Allora era un mezzo lupo che passava quasi tutto il suo tempo in forma di lupo, aggirandosi da solo nelle boscaglie, avvalendosi delle sue abilità individuali per sopravvivere e riuscendovi benissimo, e ancora in parte incredulo che continuasse a risultare così facile il dimostrare a se stesso che se la cavava splendidamente da solo, e che non avesse assolutamente bisogno di altri per sopravvivere, nemmeno della mezza lupa che lo aveva reso tale e che gli aveva insegnato tutto quello che sapeva all’inizio. Ma doversi aggirare di nascosto per le strade umane per rubare dalla loro spazzatura era già abbastanza umiliante per lui, senza dover anche essere bersagliato da qualche essere umano che pensava con tangibilissima idiozia che lui avrebbe mai potuto arrivare addirittura al punto da aggredire senza motivo; sembrava che nessuno di quelli che assumevano quell’atteggiamento, piuttosto che al limite scappare urlando in cerca di riparo, riuscisse ad elaborare l’elementare ragionamento che scagliargli addosso oggetti era esattamente quello che poteva trasformare un lupo totalmente disinteressato a loro (la spazzatura era decisamente più commestibile) in un lupo che avesse un validissimo motivo per decidere di aggredirli.

Danny aveva passato la maggior parte dell’ultima parte della notte appena trascorsa a ostacolare con ogni forza quella parte di sé che tentava di fare un paragone tra quelle scene del suo passato e quello che aveva fatto Uther. Se avesse ceduto, non sarebbe riuscito a sopportarlo. Ma ora la stanchezza era troppa, e temeva che prima o poi avrebbe qualcosa avrebbe potuto cedere, o che sarebbe crollato per terra lì dove si trovava cadendo direttamente nel sonno; oppure avrebbe finito per ritrovarsi sommerso dai pensieri che stava evitando come la peste da ore. La seconda era decisamente la peggiore ipotesi.

A proposito di evitare cose… o persone…

Individuò Uther, sdraiato sul letto come se ci fosse inciampato e caduto sopra svenendo, pancia in giù, ancora completamente vestito, e con la faccia talmente affondata nel cuscino che Danny non poté impedire al suo sguardo di correre istintivamente a cercare lungo l’addome per individuare segni che stesse respirando. Movimenti lenti, profondi e regolari in corrispondenza della cassa toracica gli diedero conferma: sonno profondo, e non si era soffocato da solo premendo la faccia nel cuscino, non ancora perlomeno.

Danny emise un silenzioso sospiro lungo e stanco. A quanto pareva, poteva scacciare la terrificante ipotesi di doverlo guardare in faccia prima di aver dormito per almeno qualche ora. Non che pensasse davvero che una volta reduce da una bella dormita le cose sarebbero risultate più semplici; tuttavia, poteva trovare altri modi per evitarlo pur senza interrompere la sorveglianza di salvaguardia su di lui con più efficienza una volta che avesse recuperato un po’ di forze.

A quanto inoltre pareva, il divano toccava a lui stavolta. Dal momento che pensava che in quel momento sarebbe stato in grado di dormire persino sul tappeto di spilli di un fachiro, la cosa non rappresentava un problema da nessun lato la si guardasse.

E tuttavia, nonostante tutte quelle corrette e perfettamente lucide considerazioni pragmatiche, era ancora fermo sulla soglia della porta con gli occhi rimasti a controllare meccanicamente il susseguirsi dei respiri di Uther. Probabilmente stava rischiando di addormentarsi in piedi contro lo stipite della porta e ad occhi aperti; il fatto che questa opzione avesse un che di tranquillizzante doveva essere un inequivocabile segno che gli eventi accumulati nelle ultime ore lo avevano fatto calare fin troppo nella parte della guardia del corpo di Uther, e che lo avevano reso ridicolmente paranoico.

Per un momento, altro decisivo segno che la stanchezza era talmente tanta che stava portando la sua immaginazione verso il delirio tout-court, si immaginò Kumals in piedi accanto a lui, appoggiato all’altro stipite della porta; quell’assurda apparizione emanava un che di ironicamente soddisfatto e complimentoso verso di lui, il che sembrava quanto mai da Kumals. Immaginò persino la sua voce che diceva: ‘Ed eccolo lì, il nostro Uther. In grado di assumere in automatico la posizione per non soffocarsi col suo stesso vomito persino dopo una delle più leggendarie sbronze da super-alcolici che abbia mai visto. E… beh, stiamo pur sempre parlando di Uther… Se non lo conoscessi, non mi verrebbe nemmeno da sospettare che abbia fatto in modo di prendersi un paio di pugni in più, quando avrebbe potuto evitarli tranquillamente, solo per poter ostentare un paio di lividi in più, a mo’ di stemmi: hey, guarda qui, ho picchiato dei fascisti e ne vado fiero! Puoi fare di me il tuo eroe della settimana, se vuoi, ma non azzardarti a chiedermi l’autografo, per cortesia, sarebbe a dir poco fastidioso per la scontrosaggine del mio personaggio.’

Danny sornacchiò un breve accenno di risata tra sé e sé, senza nemmeno rendersene conto, e sentendosi contemporaneamente decisamente impazzito. Doveva esserlo, per avere dei sintomi da mancanza di Kumals.

«Cosa c’è di divertente?»

La voce lo colpì improvvisa e inaspettata, facendogli quasi perdere l’equilibrio, dal momento che era appoggiato contro lo stipite con tutto il peso del corpo, e quindi in posizione piuttosto precaria. Sussultò, e si rese conto che Uther era sveglio, a meno che non stesse effettivamente parlando nel sonno, dal momento che l’unico cambiamento che era avvenuto in lui era che aveva voltato la testa di lato, sempre appoggiata al cuscino, e aveva ancora gli occhi chiusi. I movimenti della cassa toracica indicavano ora tuttavia un respiro da sveglio. Non che Danny fosse dedito a spiare la gente dormire al punto da aver sviluppato tutto quell’occhio per i diversi ritmi di respirazione, ma l’istinto da mezzo lupo faceva questo e altro.

Esitò qualche istante.

«Sei sveglio o stai parlando nel sonno?» chiese infine.

«Mhm…» mugugnò riflessivamente Uther, segnalandogli che era decisamente abbastanza sveglio da essere in grado di prendere tempo per pensare prima di decidere come rispondere «Dipende. Ci sarebbero significative differenze nella tua risposta se fosse l’uno o l’altro caso?»

Danny non poté evitare di emettere un altro verso divertito, e Uther aprì un occhio per spiarlo di sbieco attraverso una fessura tra le palpebre.

«Probabilmente. Stavo pensando che Kumals avrebbe apprezzato la tua capacità di assumere con tanta naturalezza la posizione di sicurezza per non soffocarsi col proprio vomito.» spiegò sinceramente. Tirare in ballo Kumals era un ottimo argomento di conversazione, terreno sicuro.

Uther richiuse l’occhio e sospirò.

«Sono certo che mi avrebbe già scattato qualche foto a quest’ora. Ha detto almeno un paio di volte che avrebbe potuto scriverci sopra una ricerca di studio antropologico.» disse.

Danny accennò un sorrisetto faticoso, che sapeva doveva risultare storto e affatto indice di vero e proprio divertimento, persino se lo stava rivolgendo più che altro a se stesso. Quello era decisamente il momento più opportuno per defilarsi verso il divano, prima ancora che Uther potesse decidere di far un qualche sforzo per evitarsi di ricadere immediatamente nel sonno profondo.

Ma esitò un istante di troppo ancora, e vide Uther muoversi, voltarsi per giacere sulla schiena, schioccare le labbra un paio di volte mentre contemplava distrattamente il soffitto con l’aria di chi ritiene che dovrebbe trovare il tempo per farlo più spesso, e poi impegnarsi per tirarsi a sedere ed appoggiarsi con la schiena contro la testata del letto.

Non che niente gli impedisse di andarsene a dormire sul divano nemmeno ora, ad essere precisi, ma Danny intuì che andarsene a quel modo non sarebbe in nessun modo potuto sembrare altro che un evidente messaggio di volerlo evitare, sebbene immaginasse che Uther non si sarebbe azzardato nemmeno per un momento a ritenerlo qualcosa di gratuito o immeritato; così si ritrovò a rimanere lì dove si trovava, immobile.

Forse alla fine il suo corpo aveva ceduto, e tutte le sue energie erano rimaste focalizzate sul bloccare la marea di sgradevoli pensieri di rielaborazione di quanto era accaduto, perché in quel momento, fissando Uther mentre si metteva sommariamente comodo, non riusciva a pensare a niente; come se non fosse accaduto nulla, o come se quella che si stava svolgendo fosse semplicemente una scena comune per lui, qualcosa che succedeva normalmente, in una vita dove lui e Uther erano semplicemente due coinquilini con una noiosa e normalissima vita quotidiana. Forse il suo cervello era così stanco che era precipitato in una sintonizzazione su una vita parallela in un universo parallelo.

Poi Uther parlò di nuovo, la voce arrochita dalla stanchezza e dal sonno, e probabilmente anche dalla difficoltà di dire quello che stava cercando di dire, e il suo cervello si risintonizzò immediatamente sulla giusta frequenza di reale.

«Mi dispiace. Per stanotte. E so che dovrei trovare altre parole… qualcosa di meglio. Ma credo che quando sono nato io, l’eloquenza discorsiva non fosse a disposizione. Temporaneamente fuori catalogo, immagino.» lo udì dire.

Danny rimase semplicemente a fissarlo, senza espressione. Sebbene il suo cervello si fosse risintonizzato, la sua testa era ancora insperatamente vuota: una tabula rasa, come se non fosse assolutamente in grado di capire come collegare i giusti circuiti per dar un qualche senso al tutto.

Uther si decise a puntare lo sguardo su di lui, e per qualche momento sembrò stupirsi un poco di quella mancanza di espressione.

«Dev’esserci stato un boom nelle nascite di politici, guru e manager nel mio stesso anno di nascita.» aggiunse, come se si trovasse sul palco di un varietà e quella fosse l’ultima parte che mancava ad una delle battute del suo repertorio nelle quali riponeva più fiducia.

Danny sorrise appena, di nuovo, più che altro per riconoscergli che se c’era qualcosa di cui non si poteva non dargli pienamente atto, quella era l’abilità di fare battutacce improbabili in ogni dannata occasione e situazione in cui potesse incappare.

Uther accennò un debole e incerto sorriso a sua volta, e Danny riconobbe in quell’espressione un timido tentativo di chiedere perdono davvero. Avrebbe voluto davvero rispondere con un’altra battuta, qualcosa di stupido e idiota, qualcosa che dicesse ‘va bene, è passato, non importa’, ma non riusciva a trovare le parole. Quella tabula rasa nella sua testa era un corto-circuito opprimente e insistente, e riusciva solo a immaginare che stesse lampeggiando una specie di simbolico bottone che diceva che il sistema era ormai irreparabilmente in crash*, e la cosa più sensata da fare era provare a spegnere e a riattivare da zero. Un modo come un altro per indicare che non poteva davvero riuscire a parlare se non ricorreva prima ad una dormita. O forse era diventato molto bravo a pretendere di non essere assolutamente in grado di fare qualcosa che non si sentiva di affrontare, non al momento.

«So che ti ho dato più di un motivo per avercela con me, ultimamente…» continuò Uther, sforzandosi «E stanotte ho… davvero… esagerato. Quindi, posso capire che tu non abbia nessuna voglia di parlare con me al momento, ma…»

«Alza un braccio davanti a te.» lo interruppe di colpo Danny.

Uther lo fissò con aria perplessa, le sopracciglia aggrottate ed una di esse più alta dell’altra, tra lo stupito – perché forse a tutti gli effetti ormai non si aspettava di sentirgli dire qualcosa – e il decisamente perplesso.

«Come?»

Ma Danny si limitò a fare un cenno della testa che dava segno che stava aspettando che lui eseguisse. Muovendosi con fare totalmente incerto, e con un’espressione ancora più perplessa, Uther alzò un braccio sporgendolo in fuori davanti a sé.

Danny scosse appena la testa, con un accenno di sorrisetto condiscendente verso i modi involontariamente quasi comici dell’altro, poi si mosse, avvicinandosi al letto e fermandosi di fianco ad esso. A quel punto, si sporse in avanti e si chinò un poco, individuando con precisione sulla pelle del braccio di Uther uno dei lividi della rissa della sera prima, e mirò a quello nel tirargli un pugno con forza molto, molto moderata.

Uther incrinò appena la fronte per il leggero dolore, e lo fissò in maniera inequivocabile, chiedendo una spiegazione.

Danny tornò a rizzarsi in tutta la sua altezza e gli ricambiò lo sguardo con un leggero sorriso a labbra strette.

«Ora siamo pari.» gli disse semplicemente, prima di allontanarsi verso la porta della camera da letto.

Uther fissò la sua schiena, come se cercasse di ricavare almeno da essa qualche interpretazione ulteriore, invano peraltro.

«Ne dubito davvero.» commentò.

Danny si fermò sulla soglia, appoggiando una mano sullo stipite. Poi voltò la testa a guardarlo, ancora sul volto quel sorriso impegnato, e tuttavia concisamente limitato dalle labbra strette e lo sguardo stancamente paziente, qualcosa nell’espressione che chiedeva di assecondarlo.

«Lo siamo.» insistette, con tranquilla ma decisa fermezza «Siamo pari, per stanotte.» specificò.

Oh, sì, perché nonostante la sua tabula rasa emotiva, era perlomeno in grado di distinguere esattamente i vari punti della questione, e i diversi piani sui quali li riponeva nella sua graduatoria delle cose che voleva districare.

Un conto era quello che era preso a Uther quella notte, per portarlo al punto da scagliargli addosso oggetti quando l’alcool e il resto gli avevano tirato fuori quella furia cieca; altro conto erano le cose che ancora Danny non aveva alcuna intenzione di smettere di chiedergli: tutta quella parte che riguardava il come avesse dovuto seguire il suo odore e quello di Mara fin dentro un accampamento di mezzi lupi fuori di testa, e di come avesse dovuto arrivare al punto di ritrovarsi a ricoprire il ruolo di sua sentinella per bordare i suoi tentativi di mettersi a repentaglio di quei folli di Mara & Co.. Un conto era che volesse evitarlo e conservare per sé le cose che riteneva fossero ‘affari suoi’, e un altro come lo avesse portato a non riuscire più a fidarsi di lui in una situazione di decisiva pericolosità.

Approfittò del fatto che Uther si fosse zittito nel cercare di decifrargli il meglio possibile l’espressione per aggiungere quasi di fretta, seppure le sue parole risultassero perfettamente calme, con un ché da comunicazione formale «Vado a procurarci qualcosa da mangiare. Tu dormi. Ne abbiamo bisogno.»

Uscì dalla stanza senza dargli il tempo di replicare, e cercò nel salotto il fucile di Uther, trovandolo dove aveva imparato che lo nascondeva: semplicemente sotto il divano. Quando ritornò nella stanza, Uther era ancora immobile, e riprese immediatamente a fissarlo, osservando con una certa curiosità analitica il modo in cui lui si accertava che il fucile fosse carico, prima di appoggiarglielo accanto sul letto.

«Chiuderò la porta a chiave.» lo informò ancora Danny, senza darsi la pena di aggiungere che avrebbe portato le chiavi con sé. Ormai, considerava particolari elementi come quello praticamente scontati. «E non mi allontanerò per molto né di molto. Non tanto da non sentire un colpo di fucile, nel caso.»

Uther prese il fucile tra le mani con gesto meccanico, come se al momento non riuscisse a trovare altro di sensato da fare, o come se gli sembrasse un segno di distensione che poteva mettere in atto, l’espressione che tradiva un che di corrucciato che il tentativo di mostrarsi ubbidientemente collaborativo non riusciva a dissimulare sufficientemente. Si limitò ad annuire, in risposta allo sguardo di attenzione del tutto pragmatica di cui lo fece oggetto Danny, prima di girarsi e dirigersi verso la porta.

Quando uscì e si chiuse la porta alle spalle, Uther non aveva ancora aggiunto nient’altro, e solo quando ebbe girato tutte le mandate per chiudere, Danny iniziò a sentire preoccupanti accenni di riavvio del suo sistema cerebrale. Qualcosa che non si poteva esimere dal maledire, la scomparsa di quella benedetta tabula rasa che lo aveva protetto come il rivestimento di gomma di un circuito elettrico troppo sensibile.

Ma se non altro aveva raggiunto la sua di posizione di sicurezza, considerò mentre scendeva le scale, infilando meccanicamente le chiavi al sicuro nella tasca dei jeans e iniziando a compilare automaticamente una lista mentale della spesa: abbastanza lontano da Uther da non dover sopportare né la comunicazione verbale né l’assenza di essa, e abbastanza costretto ad occuparsi di cose indubbiamente pratiche e necessarie come procurarsi del cibo e ritornare al più presto a custodire l’accesso all’appartamento da eventuali incursioni di mezzi lupi impazziti.

Una parte di lui aveva ora il sinistro desiderio che Mara gli comparisse davanti in quel momento, il momento più giusto, in cui lo avrebbe trovato dell’umore adatto per procedere a staccarle la testa senza lo sgradevole effetto collaterale di emozioni così collegate a ciò che stava facendo da intralciarlo.

 

 

Soundtrack: Web in front (Archers of Loaf)

 

 

Note per la comprensione:

* un sistema che va in crash: è un termine credo catalogabile come slang-tecnico, usato in ambito computer e sistemi operativi, per dire che – in parole ignoranti – si è bloccato o comunque non è in grado di funzionare, e occorre prendere qualche misura relativamente drastica per tentare di ripristinarne il funzionamento (per gli amanti del trash: si può sempre ascoltare una certa canzone di Immanuel Casto, he he…). Questo tutto quello che ne so io, ma contate che potrei star dando una pregevole dimostrazione di abominevole ignoranza, perché tra le mie innumerevoli qualità non rientra quella di saperne abbastanza di informatica da potermi fregiare del titolo di ‘nerd’ (e se avete degli amici ‘nerd’, vogliategli bene, perché giuro, sono stramaledettamente da invidiare!).

 

Note dello scribacchiatore:

Devo confessare che scrivere i precedenti 2 capitoli mi è risultato un po’ come camminare sulle uova… spero di non aver fatto una frittata. Tuttavia qui mi sento già un po’ più a mio agio, sarà per via dei cenni di sdrammatizzazione che – diciamolo – a questo punto ci voleva proprio!

Ebbene, come avrete già iniziato a sospettare da un po’… lo confesso una volta per tutte! Kumals mi manca!

Un uccellino mi ha detto che nel prossimo capitolo rivedremo qualche altro personaggio di nostra vecchia conoscenza ;)

Al prossimo capitolo!

 

N.B.: ho pensato di cercare di velocizzare un poco la pubblicazione on-line di capitoli, dal momento che da un lato ne ho diversi già belle che pronti, e dall’altro lato se continuassi con un capitolo al mese qui arrivo alla fine del mondo visto che ce ne sono tantini! Ma anche perché dopotutto quando c’è una sfilza di capitoli senza azione e/o demenzialità più o meno gratuita e scontata, poi mi annoio! :p

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Capitolo 22
*** 21 - Old dear faces ***


Capitolo 21

(OLD DEAR FACES)

 

Danny non era quel tipo di persona da preferire nettamente un tempo atmosferico piuttosto che un altro. Come qualsiasi altro mezzo lupo, aveva avuto occasione di sperimentare sufficientemente la vita selvatica da sapere che ogni stagione e ogni tempo atmosferico ha i suoi vantaggi e svantaggi, e che era quasi sempre una sfida eccitante dover misurare la propria esperienza, intelligenza, abilità e forza nella ricerca dei migliori modi di sfruttare ogni condizione esistente a proprio vantaggio. Danny aveva imparato direttamente sul suo pelo e sulla pelle dei suoi cuscinetti digitali* che ogni situazione atmosferica poteva essere perfettamente gradevole e gradita, persino quelle che da essere umano avrebbe potuto trovare in buona parte ostacolanti la possibilità di sopravvivere, come il freddo intenso e la neve.

La neve… ah, quella per un naso fine come quello di un lupo era una manna dal cielo, per il modo in cui i piccoli cristalli molecolari semi-congelati amplificavano incredibilmente gli odori: con la neve era come avere tutto così vividamente davanti agli occhi, più lampante che mai, che a volte Danny pensava che ci doveva essere qualche parallelismo che andava ben oltre la somiglianza del colore e della consistenza che aveva portato a soprannominare ‘neve’ certi tipi di droga utilizzati dagli esseri umani.

Il sole e il calore estivo erano quasi scontatamente gradevoli, di primo acchito. Crogiolarsi sotto la luce solare finché il cappotto naturale del pelo lo rendeva sopportabile, o approfittare della frescura dell’ombra di bosco dopo essersi accaldati nel rincorrere una preda o semplicemente nel percorrere miglia e miglia sotto i raggi cocenti, erano qualcosa di semplicemente stupendo, di questo Danny era convinto. Questo, nonostante le alte temperature avessero la sgradevole tendenza a rendere certi odori troppo penetranti, al punto da sovrastarne molti altri, e nonostante qualsiasi corpo morto di una preda rimanesse per un po’ di tempo esposto all’aria venisse consumato troppo rapidamente dalla decomposizione e dagli insetti.

Ma la città rendeva sempre sgradevole qualsiasi cosa. Visti con gli occhi di un lupo, gli esseri umani davano l’idea di avere qualche serio problema di adattamento, e di riuscire a trovare il modo di crearsi difficoltà in qualsiasi contesto climatico o quasi, con l’eccezione di certe popolazioni che ancora ne sapevano qualcosa di ‘come stare nel proprio habitat in maniera decente’. In città la neve complicava qualsiasi movimento, ammucchiandosi nei modi più ingombranti possibili tra le case, e venendo spostata in maniera assurda dalle gigantesche macchine che dovevano aprire il passaggio a quelle meno dotate per confrontarsi con il terreno innevato. Il sole, invece, arroventava quello sporco piatto dell’asfalto e tutti quei materiali troppo pesanti, surriscaldava le superfici metalliche e plastiche e vetrose, deformava l’aria che esalava senza respiro tra gli edifici fino a ridurla ad una nebbia di calore che dava alla testa. Se l’uomo un tempo era fatto esattamente per poter tranquillamente fare a meno di tutte quelle trovate artificiali che le città rigurgitavano, certo era che Danny non era fatto per gli ambienti urbani.

Questo era tanto più vero quando lui si trovava in condizioni davvero al limite, come quella mattina inoltrata. Aprendo la porta del condominio, fece giusto in tempo a fare un passo fuori da essa prima che i suoi occhi stanchi ed estremamente desiderosi di sonno venissero impietosamente investiti dalla luce accecante del sole alto, che il suo intero corpo fosse attaccato da un’ondata di calore colmo di odori artificiali e umani amplificati all’inverosimile, e che le sue orecchie fossero assordate dai molesti rumori del traffico giornaliero di Tairans; cosicché, ancora prima che la sua gamba avesse terminato la falcata e che il suo piede fosse atterrato sull’infido cemento che tutto poteva avere tranne la capacità di dare sollievo e sostegno elastico in rimando ad una camminata, Danny era già completamente sovrastato da una valanga di fastidio.

Ignorando tuttavia l’istintiva reazione di voler immediatamente tornare indietro dentro casa, Danny si fermò fuori dal portone che aveva appena richiuso alle sue spalle, e ad occhi chiusi si prese un momento per fare un profondo respiro di paziente raccolta delle sue residue energie. Dopodiché, prima ancora che riaprisse gli occhi, il suo naso era già impegnato a sondare l’ambiente circostante, a scartare tutti gli odori di umani e di cose artificiali che ingombravano l’aria sobbollendo nel calore estivo, filtrando con la pazienza di un cercatore d’oro abituato a lavorare per ore lungo un corso d’acqua senza battere ciglio, alla ricerca del suo personale filone d’oro, ovvero la risposta alla domanda: c’erano mezzi lupi all’intorno? Le accessorie domande ‘quanti?’, ‘si trovano qui ora o sono passati prima?’, e ‘qualcuno che già conosco tra di loro?’, potevano aspettare la risposta alla prima. La risposta giunse presto, ed era indubbiamente affermativa.

Senza scomporsi, Danny attese ancora fermo e ad occhi chiusi che il suo olfatto rispondesse a tutte le domande, e solo allora spalancò gli occhi di colpo, lo sguardo già rivolto in una direzione precisa, lungo la strada. Fu il turno delle sue pupille blu scuro di scattare veloci, percorrendo il traffico della strada in un rapido slalom tra le persone, soffermandosi su ognuna di esse solo il tempo necessario per notare che non si trattasse di un mezzo lupo in forma umana, e ancora oltre, scavalcando con elegante agilità ogni intralcio di veicolo o altro, sorvolando su ogni particolare inutile, finché non si fermarono precisamente ad un angolo che la strada faceva con una delle vie che incrociava perpendicolarmente, ad una buona distanza di una cinquantina di metri da dove si trovava il loro proprietario.

Erano in due. A vederli, sembravano persone quasi difficili da notare; non avevano nulla di particolare nel loro aspetto esteriore che saltasse all’occhio, e il loro atteggiamento era piuttosto dimesso, fatto apposta per rimanere in secondo piano per l’attenzione di chiunque, per integrarsi perfettamente come elementi neutrali e del tutto trascurabili dello sfondo. A Danny sfuggì appena un sorrisetto mestamente ironico che gli incrinò leggermente un angolo della bocca, mentre considerava che se non fosse stato per l’odore probabilmente nemmeno lui li avrebbe notati, non così facilmente perlomeno.

Forse fu per quella sua smorfia, o magari e nondimeno il fatto che li stesse fissando ormai da diversi momenti con evidente attenzione focalizzata, il suo sguardo inchiodato con precisione su di loro, ma gli parve che si fossero resi conto della sua attenzione. Ne ebbe la conferma quando uno dei due distolse lo sguardo da lui, facendolo vagare lungo la strada con un’espressione forzatamente casuale e annoiata, mentre l’altro si irrigidiva appena nella posa e muoveva un po’ i piedi sul posto, strascicando le suole sull’asfalto stradale con aria di colpo indecisa e più insicura.

Danny continuò tuttavia a guardarli con intenzione scoperta. Non era nelle sue corde, in quel momento, fare altro che mostrarsi in maniera inequivocabile tutt’altro che preoccupato o intimidito dalla loro presenza. Era anzi deciso a far loro comprendere senza ombra di dubbio che si era accorto della loro presenza e del loro scopo, che doveva essere quello di tenerlo d’occhio. A meno che non intendessero più propriamente tenere d’occhio l’appartamento.

Aveva cominciato a valutare le opportunità a sua disposizione, ovvero che cosa fare di quei due. La prima tentazione era stata distintamente quella di iniziare a camminare verso di loro e vedere che cosa avrebbero fatto: se se ne fossero andati, li avrebbe lasciati fuggire con soddisfazione, ma non meno soddisfacente sarebbe stato cogliere un eventuale loro rimanere fermi o avanzare a loro volta verso di lui come un invito a nozze per attaccarli. Tuttavia, come un vecchio adagio che in effetti aveva sentito abbastanza volte in passato da averlo praticamente memorizzato, gli sembrava di poter sentire una voce interiore che ribadiva quale sarebbe sicuramente stato il punto di vista di Kumals in tutto quello: non fare il mezzo lupo impulsivo solo perché hai i nervi a fior di pelle e sei incavolato nero per qualche motivo o più di uno, ed evita di agire come un decerebrato e fare un casino del diavolo quando entrambi sappiamo che potresti concepire un modo decisamente più intelligente ed adatto di procedere.

Ad ogni modo, non poteva fare a meno di essere così esasperato e incazzato per tutta quella situazione da sentirsi oppresso, e poche cose come trovarsi due leccapiedi di Mara che gli sorvegliavano la porta della casa dove stava abitando e lo spiavano dall’angolo della strada con quel fare totalmente male improvvisato potevano farlo sentire ancora più irritato, al momento. Era prerogativa dei mezzi lupi, aveva imparato nel corso delle sue esperienze, avere qualcosa di impulsivo, ed una profonda intolleranza a qualsiasi tipo di costrizione od oppressione. Era così forte da sembrare quasi un interruttore: bastava far appena percepire ad un mezzo lupo qualcosa che suggerisse un tentativo di autorità o costrizione su di lui (o lei), e tanto bastava per mandarlo almeno molto vicino a perdere gravemente le staffe. E spingere quell’interruttore, trasformare cioè un mezzo lupo da tranquillo e tutt’al’più pacificamente e giocosamente curioso ad un animale selvatico disposto ad attaccare qualsiasi cosa stia percependo come minaccia diretta a se stesso, era qualcosa di estremamente stupido.

In quanto anch’essi mezzi lupi, quelle due improvvisate sentinelle sapevano bene come funzionava, e sapevano bene che il modo diretto e intenso in cui Danny manteneva il suo sguardo focalizzato direttamente su di loro poteva avere solo un significato, a parte quello più evidente del ‘vi ho visti benissimo’: era un cupo avvertimento, pronto a trasformarsi in una breve minaccia diretta che preludeva ad un attacco vero e proprio.** Tuttavia, benché nella loro gestualità diventasse sempre più evidente il nervosismo e il disagio, per il modo in cui si muovevano sul posto non riuscendo a stare proprio fermi, ed evitassero di ricambiare lo sguardo e fossero passati a lanciargli solo brevi occhiate oblique come a spiarlo solo quel tanto che era necessario per non perderlo di vista, non si mossero da dove si trovavano.

Di nuovo sul viso di Danny spuntò una smorfia amara: a quanto pare, Mara li aveva intimoriti più di quanto potesse riuscire a fare lui al momento, considerando che insistevano a non voler abbandonare il loro incarico di spiarlo. La smorfia sul suo viso si trasformò in un sottile sorrisetto ancora più sarcasticamente sinistro, perché ora l’unico modo che aveva per sfuggire alla voglia di attaccarli era quello di prendersi gioco di loro. Non che non li trovasse effettivamente patetici, aldilà del bisogno di prenderli abbastanza sul serio dall’abbandonarsi al desiderio di liberarsi di loro semplicemente attaccandoli fisicamente.

Se avesse rivolto quello sguardo, quell’espressione e quell’atteggiamento ad un qualunque mezzo lupo solo un po’ più giovane o con un carattere meno fortemente capace di sostenere una minaccia e la probabilità di uno scontro diretto di quanto lo era lui, a quell’ora lo avrebbe già messo in fuga da parecchio. Ma Mara non era completamente stupida, se qualcosa di oggettivo e non denigrante poteva lui pensare al suo riguardo: ne aveva mandati due, e abbastanza poco sprovveduti da non farsi intimorire così da lui.

No, realizzò Danny, quei due non avrebbero abbandonato il loro incarico. Ora, la questione veramente interessante era quale fosse precisamente la natura del loro incarico. Se si trattava di seguire le sue mosse, poteva tranquillamente portarseli a spasso dietro di sé, lasciando che lo  pedinassero mentre andava a fare la spesa e ritornava indietro, e naturalmente avrebbe trovato il modo di divertirsi, - sebbene alquanto forzatamente – nel lanciare loro di tanto in tanto e con notevole frequenza qualche occhiata che facesse loro intendere chiaramente che era solo questione del suo capriccio del momento il decidere se attaccarli all’improvviso oppure no, e una questione meramente di volersi divertire e di voler palesare una certa trionfante superiorità il fatto che non lo avesse ancora fatto.

Ma c’era un’altra possibilità.

Quei due potevano avere l’incarico di riferire se lui e Uther si separavano. E in quel caso, Danny non riusciva ancora a decidere quale opzione ritenere più probabile avrebbe perseguito Mara. Se avesse optato per puntare su Uther, una volta che fosse rimasto solo? Il suo sguardo si rabbuiò, e dal momento che i suoi occhi erano ancora intenzionalmente fissi sulle sue due “sentinelle”, quelle assunsero per qualche istante un fare ancora più innervosito, pur riuscendo a rimanere laddove si trovavano.

Non poteva in ogni caso rischiare di lasciare Uther da solo nell’appartamento a quel punto. Dunque, le sue alternative si riducevano sostanzialmente ad una sola opzione: tornare di sopra, svegliare Uther e persuaderlo ad andare a fare la spesa con lui. Naturalmente, Uther avrebbe voluto una spiegazione, e lui non aveva nessuna voglia di dovergli spiegare che al momento erano tenuti sotto controllo nel vero senso della parola da un paio di mezzi lupi che facevano i tirapiedi di Mara. Già si sentiva abbastanza furente lui, ormai, per la situazione in cui lei li stava mettendo, ma doverlo rendere ancora più evidente anche ad Uther lo infastidiva terribilmente. Forse perché dopotutto equivaleva a dirgli che, sì, colei che lo aveva reso un mezzo lupo e dall’”ala” della quale si era affrancato diverso tempo addietro, era riuscita a metterlo alle strette nell’arco di poche ore.

Prese un profondo respiro, e cercò di convincersi con più fermezza del fatto che quella di portarsi dietro Uther fosse la cosa più sicura e sensata da fare, e che in qualche modo poteva passare attraverso tutti i disagi che mettere in atto quell’opzione avrebbe previsto, ed uscirne con qualcosa di ben fatto dal punto di vista strategico. Molto più difficile era cercare di non far risaltare davanti a tutto il fatto che in effetti l’unica opzione che gli rimaneva era esattamente il prodotto del gioco che Mara stava realizzando con efficienti risultati. Perché se c’era una cosa di cui non dubitava, è che lei stava giocando con quella perversione tutta sua di farlo sentire precisamente in quel modo: come se da lei dovessero dipendere le sue azioni, come se il calcolo di ciò che poteva fare dovesse passare per forza dal fattore che la riguardava. Tutto ciò che Mara non aveva mai tollerato da lui, quando erano ancora compagni del loro stesso piccolo branco a due, era proprio quello dopotutto: non tollerava la disubbidienza, ma soprattutto non l’essere ignorata o presa solo in marginale considerazione.

Una nuova smorfia si fece strada sul volto di Danny, un’espressione di puro fastidio cocente di rabbia a stento repressa: i suoi lineamenti si indurirono, i denti stretti tra loro in una morsa si allargarono facendo appena trapelare la punta della lingua tra le due arcate***, i peli gli si rizzarono sul collo e sulle braccia, e le labbra gli si arricciarono un poco lasciando appena più scoperti i denti. Di nuovo, dovette prendersi qualche istante per calmarsi, ricomporre la sua espressione e sgomberare un po’ il campo mentale dalla rabbia per recuperare una pratica lucidità. Questo non gli impedì di ricavare una notevole soddisfazione dal fatto che i due mezzi lupi che lo stavano spiando avevano reagito con un nervosismo quasi scomposto, ed erano sembrati davvero convinti vedendo quell’espressione di stare per essere attaccati tout-court. E quand’anche quell’espressione sparì e lui si ricompose in una fredda calma, non particolarmente meno incisiva nell’essere inquietante, i due si ricomposero con decisamente più difficoltà e rimasero attenti come se sapessero bene che non c’era certezza dal loro punto di vista che lui avesse abbandonato il proposito di aggredirli.

Se non altro, concluse Danny notando quelle reazioni, sarebbe comunque riuscito a divertirsi un poco nel farli preoccupare abbastanza per tutto il tempo che li avrebbe avuti alle calcagna, da mandare i loro nervi il più possibile a rottamare.

Fu in quel momento, quando stava per risolversi a girare sui tacchi per tornare nell’appartamento e procedere a svegliare Uther, che udì di colpo una voce alle sue spalle.

«Danny!»

Quasi fece un balzo sul posto per l’inattesa immediatezza dell’esclamazione giunta proprio dietro di lui, e in un tutt’uno si voltò su se stesso, con un’espressione già apertamente incredula sulla faccia, poiché quella voce dal tono tra il perplesso e il sorpreso gli era apparsa immediatamente e incredibilmente familiare come ben poche altre che avesse sentito in tutta la sua vita.

Ma quando si ritrovò a fissare le due figure ferme davanti a lui, iniziò a sospettare di stare davvero soffrendo di vere e proprie allucinazioni. In effetti, considerando che solo poco prima si era immaginato di avere Kumals di fianco a sé che gli parlava****, forse la cosa non era del tutto improbabile, oltre che sempre più seriamente preoccupante. C’era una costante, tuttavia: a quanto pare aveva allucinazioni esclusivamente di persone che gli erano molto familiari, dal momento che quei due che lo stavano guardando con aria tra il sorpreso e il cautamente confuso erano nientemeno che Ramo e Valentine.

Sbatté le palpebre alcune volte in rapida successione, e tuttavia continuò a vederli chiaramente di fronte a sé. Iniziò a considerare l’ipotesi di aver avuto un crollo di nervi da qualche parte nel corso delle ultime allucinanti ore, e di non essersene accorto a causa dell’incalzante ritmo con cui si erano susseguiti gli eventi, e fu allora che con un tono di constatazione atona che mormorò «Ramo e Valentine…», come se si limitasse a considerare con rassegnazione l’attuale oggetto dell’allucinazione.

Vide Ramo aggrottare le sopracciglia con perplessità, e dedicargli uno sguardo più attentamente analitico, prima di chiedergli «Danny… va… va tutto bene?»

Valentine sembrò decisamente più preoccupata che incerta, e subito aggiunse «Danny, cos’è successo? Stai bene?»

Fu il suo turno di corrugare la fronte con perplessità. «Non ne sono esattamente… quello che si direbbe ‘sicuro al cento per cento’…» rispose. Se stava avendo delle allucinazioni, forse doveva considerare più attentamente l’ipotesi che no, non stava affatto bene, e sicuramente molto peggio di quello che avrebbe potuto supporre solo fino ad un momento prima.

Ramo spostò lo sguardo da lui giusto per alzarne la traiettoria in distanza e alle sue spalle; quasi subito assunse un’espressione molto seria e attenta, e si rizzò un po’ di più in tutta la sua statura, come se stesse inconsciamente ostentando di essere pronto ad una zuffa nel caso.

«Sono sbirri in borghese quei due laggiù?» domandò, senza distogliere lo sguardo da loro.

Danny venne travolto da un’improvvisa ondata di un misto di affetto e sollievo, fresca e piacevole come un’immersione in acqua fredda durante una giornata torrida e afosa, e l’istante successivo stava abbracciando Ramo. Nessuna allucinazione avrebbe potuto imitare così bene i modi dell’amico nei confronti degli sbirri.

«Non sai quanto sono felice di vederti!» gli comunicò nel mentre del breve ma stretto abbraccio che gli aveva appena somministrato, cogliendolo lievemente alla sprovvista; quando si staccò, infatti, Ramo non sembrava meno stupito dal gesto o da quelle parole di quanto lo era stato dal modo stranamente privo d’emozione in cui Danny aveva accolto il loro arrivo poco prima. Tuttavia, gli venne spontaneo sorridere con aperta e sincera gioia, di rimando, mentre gli assestava una pacca sulla spalla, per poi tenergliela stretta e scuoterlo leggermente, con familiarità.

«Valentine!» esclamò a quel punto Danny, abbracciando anche lei, immediatamente ricambiato. Quando la lasciò andare, però, lei era già riuscita a convertire gran parte del suo sorriso e della sua breve risata di cuore in un’espressione intenta e preoccupata che cercava di studiargli meglio l’espressione.

«Danny… sul serio, sei sicuro di stare bene?» gli domandò di nuovo, seria, tenendolo per le spalle e guardandolo bene negli occhi.

Danny sospirò appena, e scosse la testa con una lieve smorfia di sorriso un po’ amaro, sebbene tristemente sollevato. Per qualche breve istante, si era sentito trasportato via da tutto ciò che era successo nelle ultime ore, come se fosse stato sbalzato lontano da quella caterva di problemi accumulati, catapultato così alla larga da essi che il loro relativo peso si era fatto ridicolmente insignificante perché visto a quella distanza era davvero quasi spassoso. Ma il tono di Valentine e il modo così onestamente preoccupato e interessato con cui gli si stava rivolgendo lo stavano riportando, attraverso la tortuosa strada del dare spiegazioni e resoconti di quanto accaduto, al doversi re-infilare suo malgrado negli abiti del qui ed ora.

«Beh… le ultime ore in effetti sono state… un po’ complicate.» ammise, sorridendo appena alla sua stessa scelta di parole piuttosto eufemistiche.

Ramo sornacchiò una breve risata ironica. «Possiamo ben immaginarlo. Visto che tu ed Uther siete qui solo da pochi giorni e avete già due borghesi***** che vi sorvegliano casa…»

Il suo intento era quello di sdrammatizzare, alludendo evocativamente a qualcosa di assolutamente assurdo e in qualche modo forse divertente che dovevano aver combinato quei due lì a Tairans, ma vedendo lo sguardo di Danny incupirsi, tornò subito più serio e preoccupato.

«Non sono sbirri…» spiegò Danny, tornando a rivolgere lo sguardo verso i due in oggetto, così come stavano già facendo Ramo e Valentine accanto a lui. «Sono…» iniziò, ma la voce gli si spense nell’esitazione per qualche momento, prima che riuscisse a continuare. «Sono mezzi lupi.»

Soltanto dopo un altro breve istante di esitazione si voltò a guardare Ramo e Valentine; i quali, manco a dirlo, lo stavano fissando ad occhi spalancati.

«Vuoi dire che sono… come te?» chiese Ramo, tornando a fissare i due tizi ancora fermi presso l’angolo della casa in distanza, corrugando l’espressione e cercando di guardarli ancora meglio, come se cercasse di scovare qualche indizio di quanto aveva appena appreso.

«Sì. Beh, perlomeno da un punto di vista puramente tassonomico.» confermò Danny, in tono asciutto.

Ramo tornò a guardarlo, mentre Valentine rimaneva con lo sguardo fisso sui due che li stavano tenendo d’occhio con aria tra l’incredulo e il seriamente impensierito, ancora incerta probabilmente su come prendere quella novità.

«Amici o nemici?» gli chiese Ramo, fattosi estremamente serio e concentrato.

Danny, dal canto suo, gli rivolse un sorriso estremamente grato, e si trattenne a stento dall’abbracciarlo di nuovo e dal proclamare una ripetizione di quanto fosse felice che fosse lì. Poi tornò a guardare i due oggetto del loro discorso con aria seria, la mascella lievemente contratta in un’espressione accativantemente spontanea nella sua fermezza.

«Nemici, al momento.» rispose.

Ramo annuì con fare comprensivo e non meno serio. «D’accordo. Comunque, ho portato la mazza da baseball. L’ho lasciata in auto, ma posso tornare a prenderla subito.»

Di nuovo, Danny sorrise con profonda e affettuosa gratitudine, come se quelle parole fossero davvero musica per le sue orecchie.

«Una mazza da baseball per dei mezzi lupi… ? Sul serio?» osservò Valentine, preoccupata e dubbiosa.

Ramo sembrò corrucciarsi come se qualcuno avesse appena risposto malamente ad una sua generosa offerta di pronta gentilezza. «Beh, è stata molto utile con un sacco di varie creature non esattamente tradizionali…» disse, un poco sulla difensiva.

Danny gli assestò una breve pacca sulla spalla, una sorta di incoraggiante ringraziamento. «Non ce ne sarà bisogno, per il momento. Quei due non oseranno avvicinarsi. Non finché ci sono qui io.» spiegò. Sperava di risultare almeno un poco rassicurante, nonostante nel complesso della situazione, su cui lui poteva ben spaziare lo sguardo a differenza di Ramo e Valentine, ci vedesse ben poco di rassicurante al momento, ma loro lo guardarono con ancora maggiore preoccupazione.

«E Uther? Dov’è?» domandò Ramo, con voce bassa ed estremamente esitante, come se temesse di ricevere una pessima notizia in risposta.

«Di sopra, in casa. Dovrebbe stare dormendo profondamente.» lo informò subito Danny, per spazzare via ogni timore. Ma subito dopo gli sfuggì uno stanco sospiro, prima che se ne rendesse del tutto conto, e gli altri lo guardarono con non minore costernazione, sebbene decidessero saggiamente di non insistere con le domande in quel momento; dovevano aver capito ormai che lui non era esattamente entusiasta di dover raccontare cosa era successo, non subito perlomeno.

«Ad ogni modo… che cosa ci fate voi due qui?» chiese allora Danny, cercando di distogliere la sua sensibile attenzione dal modo in cui lo squadravano con preoccupazione, distraendosi con qualcosa di più pratico e utile, e di più facile a dirsi.

«Kumals…» disse Ramo, e Danny gettò uno sguardo di sbieco al terreno, con un sorrisetto divertito a fior di labbra.

«Oh. Già. Avrei dovuto immaginarlo.» commentò.

«Per la verità…» iniziò Valentine «…Kumals non è stato molto chiaro. Cercava di spacciarla per qualcosa come venirvi a fare un saluto, quando ha saputo che eravamo di strada per passare di qua. Per modo di dire… Non è che Tairans fosse esattamente sulla nostra strada, e non è stata una piccola deviazione.»

«Eravamo in vacanza, stavamo rientrando quando abbiamo sentito Kumals.» spiegò Ramo.

«Non che non siamo felici di potervi vedere, naturalmente!» aggiunse Valentine, come se fosse appena stata colpita dal sospetto che le sue parole potessero essere mal interpretate «Davvero. Ma Kumals è stato molto… criptico. Sapevamo che c’era qualcosa che non quadrava.»

«C’era qualcosa di sospetto nel modo in cui all’improvviso ci teneva così tanto a farci socializzare tra di noi, preoccupandosi così tanto delle nostre relazioni umane a distanza.» delucidò ancora Ramo, con un sorrisetto complice verso Danny, che lui colse e ricambiò con un’occhiata di piena comprensione divertita, prima di tornare a concentrare lo sguardo sui due mezzi lupi che li stavano tenendo d’occhio.

Come per una specie di accordo non detto, tutti e tre a turno volgevano lo sguardo in quella direzione, quasi dandosi il cambio puntualmente nel sorvegliare a loro volta i due.

«Ma continuava a dire che non stava succedendo niente di così tanto allarmante…» continuò Valentine «E detto da Kumals… insomma, non riesco veramente a immaginare quali possano essere i suoi  parametri per giudicare qualcosa ‘allarmante’.»

Danny la occhieggiò per un breve ma significativo momento. «Oh, beh… credo che nessuno di noi ci tenga veramente a conoscere i suoi parametri di giudizio. Comunque… ci ho parlato giusto ieri. Ha detto che sarebbe arrivato lui di persona nell’arco di un paio di giorni al massimo, quindi già domani immagino che…»

«Ha-hem, a questo proposito…» lo interruppe Ramo, con un certo imbarazzo.

Danny lo guardò, chiedendogli implicitamente quale fosse la novità, e lo vide piuttosto a disagio.

«Ci ha anche detto di dire a te ed ad Uther che purtroppo… gli occorrerà un po’ più di tempo per arrivare…» continuò Ramo.

Danny rivolse involontariamente dritto su di lui uno sguardo decisamente incupito, e le sue spalle caddero un po’ più in basso, dandogli un’aria di disarmata delusione.

«Pare che abbia avuto un contrattempo di cui doveva assolutamente occuparsi, e che non poteva rimandare.» spiegò Ramo «Ora, non ha specificato di che cosa si trattava, esattamente, e non è che mi sentivo proprio di chiederglielo… sembrava una faccenda da storie lunghe e complicate, di quelle che dubito si potrebbero spiegare per telefono, specialmente visto che parliamo di Kumals… ma immagino che sia qualcosa di molto grave e serio.»

Danny apprezzò il tentativo di difendere Kumals, tuttavia al momento avrebbe tanto voluto averlo di fronte per chiedergli a viva voce e dritto in faccia che diavolo poteva mai esserci di così importante da dover rimandare il venirgli a dare una mano in una situazione dannatamente sull’orlo del disastro come quella in cui aveva la netta sensazione di trovarsi. Ammettendo questa valutazione a se stesso, finì per chiudere gli occhi per un momento e sospirare pesantemente e a lungo.

«Ha detto di assicurarvi che avrebbe provveduto a risolvere la faccenda il prima possibile e poi sarebbe venuto direttamente qui, e…» gli arrivò la voce di Valentine.

Lui però non riaprì nemmeno gli occhi. «Quanto tempo?» domandò, interrompendola con voce pericolantemente vicina ad un crollo di nervi.

«Altri due o tre giorni al massimo!» rispose Ramo piuttosto precipitosamente.

Danny riaprì lentamente gli occhi e lo guardò con l’aria di stargli chiedendo se diceva sul serio.

«Danny, ascolta…» tentò allora Ramo, con tono pieno di caloroso tatto, mettendogli una mano sulla spalla e guardandolo bene negli occhi «So che io e Valentine non rappresentiamo esattamente un tipo di supporto da cavalleria paragonabile a quello che potrebbe costituire Kumals… ma per quello che possiamo, faremo il possibile per dare una mano. Dico sul serio.»

Danny fissò il suo sguardo deciso e convinto per qualche momento, come se stesse cercando di valutare i confini di quella piena disponibilità, senza riuscire a credere del tutto alla loro ampiezza sconfinata. Alla fine, un debole ma netto accenno di sorriso gli piegò le labbra.

«Certo che sarete d’aiuto. Dopotutto, hai portato la mazza da baseball con te, no?» disse allora, e dopo un momento di indecisione, Ramo colse appieno l’intenzione amichevolmente scherzosa di quelle parole nonostante la sua espressione stanca e sfiduciata; lo abbracciò di nuovo, stringendolo brevemente e assestandogli vigorose pacche sulla schiena e le spalle, come se cercasse di infondergli energie con quelle.

«Accidenti, Danny. Si può sapere che diavolo siete riusciti a combinare in questa città te ed Uther in un paio di giorni?» domandò, cercando di sdrammatizzare con generosa decisione.

«Bene… vi racconterò.» si arrese Danny, trattenendo l’ennesimo sospiro, considerando che stava decisamente rischiando di sembrare troppo melodrammatico ormai. «Magari… mentre andiamo a fare la spesa?»

Ramo e Valentine lo fissarono per un momento, confusi.

«No, sul serio. Non sto scherzando. E non è una specie di parafrasi per intendere qualcosa di completamente diverso. Il frigo è desolante. A dir poco.» fu costretto ad aggiungere Danny.

 

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Soundtrack: Police on my back (the Clash)

 

Note per la compresione:

* ‘cuscinetti digitali’: in un carnivoro, sono i corrispondenti dei nostri polpastrelli. Il termine viene utilizzato generalmente nel parlato per riferirsi anche al cuscinetto metacarpale. In altre parole, si tratta della parte di zampa che non è ricoperta dal pelo (a parte le unghie), nonché quella direttamente in contatto col terreno quando il carnivoro è in piedi e/o cammina. Sono, per così dire, le “suole naturali” dei carnivori. L’ho voluta usare qui non per fare gratuito sfoggio di ciò che ne so dell’anatomia dei carnivori, ma semplicemente perché mi sembrava un’immagine adatta per indicare il senso dello ‘sperimentare sulla propria pelle’ per un Danny in forma di lupo.

** molte specie animali hanno in effetti “inscritto nell’istinto”, a quanto pare, il concetto che il fissare con sguardo diretto e fermo e persistente equivalga ad una minaccia. Nel caso dei lupi, in genere il senso di ‘minaccia’ si accompagna invece a molte altre “gestualità di specie” (per fare un esempio banale, ad esempio le classiche orecchie abbassate all’indietro e aderenti alla testa). In questo caso, Danny non è in forma di lupo ma in forma umana, dunque può utilizzare solo lo sguardo per così dire, ma sa come renderlo “significativo” per un altro mezzo lupo.

*** le altre cose (come le labbra arricciate e i peli ritti) sono più risaputamente associate ad una esternazione di fastidio e rabbia nei canidi, ma il fatto di mostrare appena la lingua tra i denti mi sa che non è così comunemente conosciuta forse, dunque… ecco, ora lo sapete, questa specie di “linguaccia” nel bel mezzo del mostrare i denti è una smorfia dei lupi per mostrare un fastidio irritato (più che l’incazzatura vera e propria, che potrebbe naturalmente seguire…)

**** naturalmente, questo succede nel capitolo precedente

***** è il modo colloquiale in cui alcuni personaggi di questa fanfiction si riferiscono ai poliziotti in borghese

 

Note dello scribacchiatore:

Visto il tragico ritardo di pubblicazione on-line che ho accumulato nelle ultime settimane, vi avverto che pubblicherò nei prossimi giorni un altro capitolo per “rimettermi in pari” con la pubblicazione mensile.

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** 22 - With a little help from my friends ***


Capitolo 22

(WITH A LITTLE HELP FROM MY FRIENDS)

 

Quando Danny si svegliò, le prime cose che colpirono i suoi sensi furono il caldo che saturava l’aria, l’odore di un luogo che non gli era così familiare, e un’inaspettata e gradevole sensazione di rilassatezza e calma.

Ricondusse quasi subito il primo e il secondo input* al loro giusto posto nella sua memoria appena riemersa dall’incoscienza del sonno, ricavandone le coordinate precise: piena estate, Tairans, appartamento un tempo appartenuto a Kumals e abitato da quest’ultimo e Uther per un certo imprecisato periodo. La sua consapevolezza raggranellò in pochi istanti anche tutti gli altri elementi annessi e connessi, dal villaggio di mezzi lupi con Mara, fino alla spina nel fianco di non riuscire più nemmeno a immaginare che cosa Uther stesse pensando o facendo per la stragrande maggioranza del tempo.

Dunque, considerando tutte quelle circostanze, la terza sensazione - quella di riposante calma e tranquillità che risultava come un delizioso balsamo dolce per tutte le sue membra - era quanto mai bizzarra al momento.

Si tirò su dal letto dove aveva dormito, pensando che quella sensazione beata doveva essere dovuta semplicemente al fatto che finalmente era riuscito a mettere in fila qualche ora di sonno, e a riposarsi come si deve dopo tutte quelle ore tra risse a concerti, vagabondaggi  con Uther per le strade mentre l’altro badava a rimpinzarsi d’alcool a sufficienza da non essere più molto lucido e in compenso estremamente impattante nei suoi gesti, passando per lo sgradevole inconveniente dell’incontro con i poliziotti, e per finire quei due mezzi lupi che sorvegliavano l’ingresso della casa…

E in quel momento realizzò. Oh, già: Ramo e Valentine.

Allora, mentre finiva di indossare i vestiti, iniziò a intuire quale fosse più propriamente l’origine di quella sensazione così gratificante: non era più solo.

Non era più solo lì in quella maledetta città, lui che odiava le città in ogni loro forma in fondo, e non poteva farne a meno: era come se la natura dell’urbanizzazione umana urtasse ogni fibra del suo essere, facendogli provare la sensazione che lui e il sistema-città non potevano coesistere nello stesso posto, non veramente, poiché le loro nature non erano in nessun modo in grado di tollerarsi vicendevolmente.

Non era più solo, nonostante Mara e un discreto numero di mezzi lupi impazziti stessero progettando cose da finimondo con la folle logicità di un ragionamento perfettamente lucido nonché perfettamente sfalsato da un piano reale.

Non era più solo nel dover…

E l’ultima cosa che non doveva più affrontare da solo si palesò davanti a lui non appena, dopo una breve sosta al bagno, aprì la porta della camera da letto e si fermò sulla soglia tra essa e il salotto.

… Non era più solo a dover aver a che fare con un Uther che sembrava deciso a rivoltargli sottosopra qualsiasi abbozzo di impressione di averlo conosciuto bene, dissipandola impietosamente.

Mentre un delizioso odore di cibo cucinato lo avvolgeva, provenendo dalla porta aperta del piccolo cucinotto, Danny rimase semplicemente immobile sulla soglia della porta, come se non fosse del tutto deciso a solcarla e mettere piede nel salotto.

Il suo sguardo contemplò l’atmosfera rilassata e amichevole in cui Valentine e Uther chiacchieravano tranquillamente: la ragazza era in piedi davanti ad una delle pareti più fitte di articoli di giornale ritagliati e appesi, ingialliti dal tempo, con un bicchiere in mano di quello che sembrava vino bianco con cubetti di ghiaccio, e aveva l’aria da visitatrice di una mostra. Voltata in parte verso Uther, sembrava intenta ad ascoltare qualche sommario racconto di quei tempi, quelli in cui lui e Kumals avevano riempito quelle pareti di articoli di fatti di cronaca o brevi notizie che sembravano in qualche modo sospettosamente interessanti o curiosità improbabili.

Uther sedeva sull’unica poltrona della stanza, cacciata in un angolo dove non c’era altro mobilio a parte una lampada dall’alto piedistallo sistemata proprio dietro di essa: la poltrona sulla quale Danny aveva immaginato un Kumals seduto a rimuginare con aria tra l’auto-ironico e il grottescamente maligno, o a spiare tutto il contenuto e gli occupanti della stanza mentre ordinava nella sua testa un accurato resoconto di impressioni su ogni cosa e persona. E quella doveva sicuramente essere un’idea fin troppo romanzesco-romantica** della versione più giovane di Kumals che aveva abitato quell’appartamento, e Danny ne ebbe quanto mai chiara impressione vedendovi ora stravaccato sopra di traverso Uther, con una gamba a penzoloni su un bracciolo, a petto nudo per il caldo, in mano una bottiglia di birra gocciolante di condensa dell’aria estiva sul vetro freddo, e tutta l’aria di stare cercando di intrattenere sommariamente Valentine dall’alto (o dal basso forse) del suo archivio personale di memorie a proposito dei casi soprannaturali che lui e Kumals avevano affrontato facendo base in quell’appartamento, come se fossero passati secoli e intere vite da allora, e fosse tutto ormai materia da collezione polverosa come quegli articoli di giornale appesi al muro.

Danny sbatté le palpebre un paio di volte, abituando gli occhi al cambio di luce, essendo appena passato dalla penombra violaceo-bluastra tenue della camera da letto alla calda tonalità di luce elettrica che cozzava con ciò che rimaneva di quella naturale lì nel salotto; solo allora realizzò che era ormai sera inoltrata, e che doveva aver dormito tutto il pomeriggio. Non che ciò lo dispiacesse, anzi, calcolò rapidamente che il sollievo che stava provando in quel momento nel realizzare che momento della giornata era doveva essere direttamente collegato al suo istinto: se doveva aver a che fare con dei mezzi lupi ostili, non poteva non sapere bene quanto loro che il momento migliore per la caccia per un mezzo lupo erano le ore notturne. Tanto più se si considerava che quei mezzi lupi in particolare sembravano voler mantenere un tocco di parvenza della regola base di non farsi troppo notare dagli esseri umani della cittadina.

Abbassò per un istante gli occhi, corrugando brevemente la fronte mentre registrava in una frazione di secondo il particolare ridicolmente trascurabile eppure a suo modo non meno degno di nota: il pavimento era decisamente più pulito di quanto lo ricordava, dunque probabilmente Valentine e Ramo si erano persino premurati di pulire un poco le cose fondamentali  lì in casa. Scacciando il breve lampo di paragone della situazione con quella di due genitori che fanno visita ai figli adolescenti che vivono in un loro appartamento, e non possono proprio trattenersi dall’iniziare a sistemare tutto ciò che capita loro sotto mano, Danny fece una breve e rapida inspirazione e trattenne per un istante il fiato, soffermandosi in un fugace sogghigno storto a mo’ di commento a quella sua stessa impressione di paragone. Poi, si diresse a rapide e tranquille falcate verso la finestra che dava sulla strada.

Sentì la conversazione tra Valentine e Uther rompersi di colpo, mentre i due dovevano stare di colpo realizzando la sua presenza avendo colto il suo movimento rapido attraverso la stanza, ma non li guardò nemmeno: in quel momento aveva lo sguardo e tutta la sua concentrata intenzione puntati sull’esclusivo obbiettivo della sua osservazione dalla finestra che dava sulla strada. Fu così che ignorò senza nemmeno pensarci la frase che gli rivolse Valentine, un semplice ‘Ah, Danny! Ti sei svegliato.’.

Qualcosa in lui si era irrigidito di nuovo, come una passata a rullo di vernice densa sulla sensazione confortante che aveva provato appena svegliatosi, nel realizzare di non essere più solo. Forse aveva a che fare con ciò che aveva appena notato: Ramo e Valentine potevano sembrare due onesti e amorosi genitori, che provvedevano a rassettare un po’ le stanze dove stavano vivendo lui e Uther, ma non erano in grado di poter veramente fronteggiare dei mezzi lupi.

Per un momento, qualcosa di simile al rancore tentò di spuntare tra quella confusione che era diventata la sua testa negli ultimi giorni: un rancore diretto verso Ramo e Valentine, che si preoccupavano di rassettare e si calavano nella parte della ‘visita di cortesia’ assecondando Uther, come se non fossero circondati da mezzi lupi con intenzioni tutt’altro che amichevoli nei loro confronti. Ma si impose di cancellare quel sentimento con la forza della ragionevolezza e dell’onestà verso se stesso, per quanto gli era possibile. Non era propriamente colpa di Valentine e Ramo, se tutto quello che lui aveva loro fornito era qualche informazione di base e la viva raccomandazione di non lasciare l’appartamento da soli, e di limitarsi a concedergli qualche ora di riposo prima che potessero parlarne meglio. Non era certo nemmeno colpa loro se Uther aveva ancora quell’atteggiamento che, secondo Danny, non era nemmeno lontanamente vicino a poter essere considerato adeguatamente preoccupato e pronto a difendersi da un eventuale attacco di mezzi lupi.

Sopra ad ogni cosa, non poteva essere colpa di Valentine e Ramo se non avevano assolutamente idea di quello che Uther aveva fatto negli ultimi giorni. No, quella era stata una precisa scelta di Danny: di tutto ciò che aveva raccontato loro, non aveva fatto menzione di niente che potesse rendere l’idea che Uther si stesse comportando in maniera più bizzarra del solito e sicuramente pericolosamente incosciente. Danny non ci aveva veramente pensato, non aveva programmato di fornire una vera e propria “copertura” a Uther e alle sue discutibili azioni di quei giorni, quando aveva iniziato a raccontare a Ramo e Valentine cos’era successo. Probabilmente, una parte di lui aveva preferito decisamente tralasciare di doversi chiedere se era meglio evitare di sparlare alle spalle di Uther con i loro due amici (e uno dei quali anche loro ex-collega dei ‘4 di picche’), o se era piuttosto proprio quella dopotutto la cosa più assennatamente necessaria da fare nel momento in cui anche loro due erano costretti a dover entrare in una sorta di “patto di fiducia” non detto – e dato tutto sommato per scontato – tra di loro. La fiducia necessaria per sentirsi compatti di fronte ad un branco di mezzi lupi impazziti che avevano preso di mira l’intera città per cominciare, e in particolare Danny e Uther, e la conquista del mondo per dessert.

Danny aveva semplicemente iniziato a tacere automaticamente, mentre raccontava loro l’accaduto da quando era arrivato a Tairans, tutto ciò che Uther aveva fatto di strano e pericoloso, a partire da quando Ramo gli aveva domandato, interrompendolo gentilmente, perché Uther si trovasse nell’accampamento dei mezzi lupi: gli aveva risposto quello che Uther stesso gli aveva fatto credere, ovvero che fosse là alla ricerca di informazioni utili, da “infiltrato” insomma. Si era sentito in colpa quando aveva visto il sorriso di ammirazione di Ramo a quella risposta, mentre lui cercava di abbozzare una smorfia che confermasse per finta quanto non potesse che approvare anche lui quella coraggiosa scelta strategica.

E poi aveva completamente storpiato i fatti del concerto per quanto riguardava il suo esser stato costretto a inseguire la traccia di un Uther sfuggitogli fino a là: aveva detto che avevano deciso insieme di andarci. Tantomeno aveva fatto parola di quello che era successo tra lui e Uther nella notte di vagabondaggio tra le strade di Tairans, e quasi era rimasto incredulo lui stesso nel sentire uscire dalla sua stessa bocca una cronaca che dipingeva un Danny & Uther impegnati a perlustrare la Tairans notturna per indagare su quanto vi ci si aggirassero esattamente i mezzi lupi, come se fossero all’improvviso diventati due eccellentemente seri veri e propri investigatori del paranormale, e non due disastri a piede libero con aggiunta di componente tragico-drammatica personale.

E più vedeva il modo attento e concentrato e ammirato con cui lo ascoltavano Ramo e Valentine, più l’odio per il mentire gli aveva procurato una svilente sensazione di profonda irritazione per se stesso, tanto più quando aveva realizzato che non riusciva a fare a meno di abbellire magistralmente tutto ciò che era successo, offrendone una versione edulcorata degna da cinema main-stream: una versione dove lui e Uther ne uscivano più diligenti e strategici, e dove non era mai cambiato niente da quando loro due da soli potevano muoversi con una oliata sintonia spontanea in ogni contesto sfavorevole, come se fosse la cosa più naturale del mondo spalleggiarsi e completare l’uno le mosse dell’altro.

Danny sapeva che era così che Ramo li ricordava, così che li aveva conosciuti, e così l’unico modo in cui riusciva a immaginarseli; non per niente aveva ascoltato il resoconto di ciò che era inizialmente successo al concerto con gli occhi praticamente sfavillanti, e alla fine aveva commentato con un ‘Accidenti! Mi sono perso una rissa con dei fasci! Non posso crederci!’. Commento che se non altro era riuscito a fare sorridere Danny con sincerità, almeno.

Più propriamente, realizzò Danny, mentre si posizionava con sciolta cura di fianco alla finestra con l’angolazione giusta per spiare la strada fuori da essa cercando nel contempo di non farsi notare dai due mezzi lupi in strada, non era questione di cosa Ramo e Valentine potessero saperne in base a quello che lui aveva deciso di dire o meno loro. Il punto che gli assillava l’umore era quanto non avesse potuto fare a meno di coprire le cazzate che Uther aveva disseminato sulla loro strada nelle ultime ore, e come lui ne stesse approfittando in un certo senso, perché era solo per il silenzio di Danny che sapeva di poter ora conversare amichevolmente e amabilmente con Valentine senza che lei lo guardasse con un misto di analisi preoccupata e di confusione.

‘Se solo avessi loro detto anche solo il fatto che tu sei andato al loro accampamento senza nessuno scopo preciso, che ti ci sei fatto portare…’ non poté fare a meno di pensare Danny tra sé e sé, mentre la sua mascella si induriva per lottare contro quel rigurgito rancoroso e cercare di cacciarlo nell’angolo dei suoi pensieri dedicato al ‘non urgenti’, per potersi concentrare sull’attenta analisi a cui i suoi occhi stavano rapidamente e accuratamente sottoponendo la strada che vedeva dalla finestra.

Sentì un rumore di passi, e la voce di Ramo provenire dalla soglia della cucina.

«Sono ancora lì sotto, quei due?» gli domandò Ramo

Danny staccò per un istante gli occhi dalla strada per lanciargli una rapidissima occhiata giusto per accertarsi della sua presenza: sì, Ramo era davvero lì, sulla soglia della porta, e nonostante avesse un cucchiaio di legno sporco di cibo in mano e uno straccio legato in vita a mo’ di grembiule, indossava anche un’espressione seria e grave per la quale Danny non poteva che sentirsi grato al momento.

«Non li vedo.» fu costretto a dire alla fine. Il non vedere al loro posto sotto casa loro le loro due sentinelle, o altre due che le avessero sostituite, stava iniziando suo malgrado a innervosirlo.

«Quando li avete visti l’ultima volta?» domandò ancora, senza riuscire a decidersi a staccare gli occhi dalla strada, nella speranza che ci fossero, che si fossero semplicemente posizionate in un punto non visibile dalla finestra, e che se lui avesse continuato a guardare insistentemente alla fine avrebbe potuto individuarne un minimo suggerimento di quella loro celata presenza.

«Un’ora e mezza fa circa.» udì rispondere la voce di Uther, che lo fece quasi sussultare, da tanto era riuscito a cercare di ignorare la sua presenza, fino al punto di riuscirci tanto bene da dimenticarsene quasi. «Al controllo successivo, non c’erano più.» aggiunse Uther.

Danny annuì per dare segno che aveva sentito, ma evitò di voltarsi, e continuò a percorrere ostinatamente ogni metro della strada e angolo di casa e scorcio di parete e cemento e porta e vetrina con lo sguardo, le pupille che andavano avanti e indietro rapidamente e ripetutamente, come sperando disperatamente di poter giungere al punto di riuscire a passare attraverso gli oggetti con la vista.

«Non potrebbero essersene andati, insomma, aver rinunciato a tenervi d’occhio?» intervenne Valentine, con una nota di speranza debole e incerta nella voce.

«Ne dubito.» disse Danny, con voce e sguardo incupiti.

«Sarebbe molto meglio se fossero ancora qui. La loro assenza potrebbe essere un pessimo segno.» le spiegò Uther, in tono calmo e gentilmente illustrante «Potrebbe voler dire che non hanno più bisogno di tenerci d’occhio perché hanno deciso di attaccarci.»

Danny annuì ancora, sempre rivolto alla finestra, e sempre giusto per conferma. Gli era irritante persino dover riconoscere quanto Uther avesse ragione con chirurgica precisione al momento.

«Oh…» fu tutto ciò che sentì esalare da Valentine, con voce decisamente scoraggiata ora «Allora… cosa è meglio fare ora…?»

Danny si staccò dalla parete alla quale si era appoggiato con la spalla per spiare fuori dalla finestra, rinunciando definitivamente a poter vedere ombra di mezzi lupi da quel punto, e con un movimento fluido riportò il suo equilibrio sulle gambe e mosse qualche passo per attraversare la stanza in direzione della porta.

«Allora andrò a controllare di persona giù se le nostre “guardie del corpo” sono al loro posto.» annunciò, con sarcasmo amaro che non riuscì a trattenere.

«Ma è quasi pronta la cena…» iniziò ad obbiettare Valentine, per poi interrompersi nell’istante esatto in cui doveva aver realizzato quanto quella suonasse come una preoccupazione ridicola in quel frangente. Ma era troppo tardi: Danny, con già la mano sulla maniglia della porta e l’altra mano nella tasca dei pantaloni nella quale teneva la chiave, si era fermato e si era voltato verso di lei, rivolgendole uno sguardo sorpreso e con le sopracciglia alzate. Nemmeno dalla sua espressione riuscì a tirare via quella piega di sarcasmo amareggiato, che già gli sapeva di stantio e avvelenante su di lui.

«Già…» disse, in tono di colpo sommesso e lento, piattamente constatante, praticamente impersonale.  «La cena. L’odore è delizioso, ma è anche quello che mi sta impedendo di sentire bene il loro odore da qui. E se non sono visibili da quella maledetta finestra e il mio fiuto da qui non serve a un bel niente, quello che c’è da fare è scendere ad accertarsene.»

Valentine assunse un’espressione mortificata che lo fece immediatamente sentire un completo stronzo, ma prima che potesse dire qualcosa per cercare di ricalibrare le sue uscite verbali in qualcosa di più simile ad una scusa e la sua espressione in un accenno di sorriso amichevolmente sincero e pentito, Ramo intervenne con prontezza.

«Vengo con te.» annunciò, e Danny lo guardò liberarsi in fretta dello straccio che stava usando come grembiule e recuperare la sua mazza da baseball dall’angolo della soglia della cucina dove l’aveva appoggiata, per caricarsela in spalla con scioltezza. Prima di lasciare il cucinotto, pescò anche due birre fredde dal frigo e le sistemò in una sportina di plastica, con tutta l’aria di considerare anche quelle come potenziale arma, dal momento che, piene o vuote che fossero, se rotte addosso a qualcuno o usate da rotte come taglienti, avrebbero potuto avere qualche valore offensivo.

«Una passeggiata serale ci vuole proprio. Qui si crepa di caldo.» aggiunse Ramo, rivolgendo a Danny un sorriso mentre gli si affiancava, pronto a scendere con lui.

Danny lo guardò per un momento, e si rese conto che non aveva più bisogno di cacciarsi a forza sul viso e nel tono un contegno un po’ meno nevrotico.

«Bene. Ma lascia qui quella mazza. Sul serio, va bene tutto, ma aggirarsi in una tranquilla cittadina con quella roba tenuta così con nonchalance sulla spalla… sul serio… » gli disse, con un accenno di sorriso divertito.

«Non c’è problema. E’ proprio per questo che ho sempre anche questa, lo hai dimenticato?» ribatté affabilmente Ramo, traendosi dalla tasca sul lato dei pantaloni sportivi corti e larghi una palla da baseball, che iniziò a farsi saltellare in mano con movimenti scioltamente abituati del polso. «Tutt’altra apparenza così, no?» suggerì, strizzando brevemente l’occhio con un sogghigno soddisfatto.

Danny incrociò le braccia sul petto e lo contemplò dalla testa ai piedi con uno sguardo volutamente lento e panoramico per far notare il suo scherzoso atteggiamento, prima di dire «Ramo… tu per risultare anche solo minimamente presentabile dovresti rifarti il guardaroba, e non andare in giro facendoti rimbalzare in mano una palla da baseball per giustificare la mazza da baseball. Quello è il meno.»

Ramo colse lo scherzo e sorrise con complicità, ma replicò comunque, non meno scherzosamente. Lanciò un breve sguardo in direzione di Uther e disse «Avevi ragione, sta iniziando ad assomigliare a Kumals, in qualche modo. Il che… sul serio Danny… è molto, molto preoccupante.»

Danny spostò per un momento lo sguardo su Uther, e lo vide voltare la testa da qualche parte che non fosse verso di lui, mentre replicava debolmente e quasi timidamente «Nah, ma io stavo scherzando, non dicevo sul serio…»

Danny preferì cercare di ignorare quell’atteggiamento dimesso e da senso di colpa dell’altro, e voltare lo sguardo su Valentine, che stava scuotendo la testa e ridendo leggermente con sincera ilarità.

«Comunque…» le disse, rivolgendole uno sguardo di scusa «Sono affamato. Quindi… giusto il tempo di accertarci che siano ancora qua sotto, e torneremo il prima possibile…»

«Certo! Non preoccupatevi, metteteci il tempo che serve! Io penserò a finire di preparare la cena!» annunciò con energico e determinato entusiasmo Valentine, agguantando prontamente lo straccio abbandonato da Ramo per sistemarselo alla vita. Scoccò quindi uno sguardo a Uther, con un che di marziale «E sono certa che Uther mi darà una mano e mi farà compagnia.»

«Sicuro…» disse l’interpellato, come se fosse cosa avvia, risolvendosi ad alzarsi dalla poltrona che doveva essere stata assunta da Kumals come suo “trono personale” un tempo, per dirigersi verso la cucina.

«Bene. Let’s go?***» concluse Ramo, guardando Danny e accennando con un movimento laterale della testa verso la porta d’ingresso ancora chiusa.

Danny si voltò a guardarlo. Allora, quella sensazione con cui si era svegliato, quella benedetta sensazione di pace e tranquillità come se tutto fosse a posto dopotutto, e qualsiasi problema potesse essere ridimensionato a niente più che qualche grattacapo di cui occuparsi con la tranquilla scioltezza con cui si provvede ad una commissione pratica quasi quotidiana, lo avvolse di nuovo in un abbraccio gradevolmente consolante, e gli venne voglia di abbracciare Ramo.

Invece, si ritrovò a sorridergli, un sorriso decisamente più ampio di quanto non sarebbe mai riuscito nemmeno a fingere fino a un momento prima, e spontaneamente complice.

«Hey-ho, let’s go!***» rispose, con tono che risultò spontaneamente incredibilmente accattivante persino alle sue orecchie, iniziando a togliere i vari barricamenti di serrature dalla porta, e spalancandola poi con un tutt’uno di movimento fluidamente continuato.

 

 

Soundtrack:  With a little help from my friends (Beatles) – naturalmente, ho preso dalla canzone il titolo di questo capitolo.

 

Note per la comprensione:

*INPUT – sicuramente potrete trovare su internet il significato meglio spiegato, comunque è sostanzialmente un termine per dire ‘informazione in entrata’. Questo termine piuttosto tecnico viene usato di solito anche in fisiologia e neurologia per indicare le informazioni in ingresso dall’esterno o da altre parti del corpo all’elaborazione sensitiva-etc. del cervello, specie se in “automatico” eventualmente.

** ROMANZESCO-ROMANTICA: con ‘romantica’ non intendo nel senso più comunemente utilizzato e conosciuto di ‘carattere amoroso idealizzato’, ma nel suo senso più originale e ampio di ‘romantico’ nel senso di stile artistico e culturale… e naturalmente a proposito rinvio accuratamente ad una ricerca su internet (di base, poi ci sono libri e corsi e un mondo altro) per chi volesse saperne di più, perché col cavolo che lo spiego io che non ne sono bene in grado e che non voglio fare romanzi (tanto per rimanere in tema) nelle note ^_^ (almeno ci provo, suvvia!)

*** ‘LET’S GO’ in inglese significa ‘Andiamo!’, e la risposta di Danny (‘Hey-ho! Let’s go!’) è una citazione di uno dei ritornelli più famosi dei ‘Ramones’ (canzone ‘Blitzkrieg Bop’). E se non l’avevate già riconosciuta, vergognatevi :p (scherzo,  però i Ramones sono i Ramones, che diavolo… ;) )

 

Note dello scribacchiatore:

Finalmente un capitolo breve e relativamente tranquillo, a parte il brain-storming ormai praticamente continuo di Danny (spero non risulti troppo pesante, ma abbiate pazienza, tra non molto si ricomincia con ‘a little more action, please’ [cit. Elvis Presley] ), ma ecco anche un piccolo nonsoché di suspense (dove diavolo sono finiti i mezzi lupi che sorvegliavano per conto di Mara?). Oh beh… (guardandomi le unghie di una mano con nonchalance, giusto per far scena e sembrare anch’io un po’ Kumals)… vedrete quello che ci sarà da vedere. O meglio: leggerete quel che… Va bene, ci siamo capiti! Al prossimo capitolo gente! (tempo stimato di messe on-line prossimo capitolo: intorno alla fine di aprile, per rispettare un certo ritmo sennò buonanotte… too many chapters, too little time [cit. modificata di Miquel Brown] )

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Capitolo 24
*** 23 - Punti di vista ***


Capitolo 23

(PUNTI  DI VISTA)

 

Ramo aveva iniziato a fischiettare sommariamente tra sé e sé sul ritmo di ‘Blietzkrieg Bop’ dei Ramones, mentre scendevano le scale e uscivano in strada, e Danny non poté fare a meno di chiedersi se fosse un ulteriore elemento del suo tentativo di sembrare ancora più “casualmente presentabile”, dal momento che si stava accingendo a girare per strada con una mazza da baseball appoggiata sulla spalla come una clava e una palla da baseball che faceva rimbalzare nell’altra mano, occasionalmente facendola rimbalzare sull’incavo del gomito o sull’avambraccio, sfoggiando senza ombra di vanto ma con semplice fare da passatempo una certa abituale confidenza con quel gesto da giochetto banale.

Non appena ebbe aperto la porta del condominio e allungato il primo passo fuori da essa, tuttavia, Danny focalizzò immediatamente tutta la sua concentrazione e i suoi sensi sull’unico scopo di percepire il più possibile ogni cosa che li aspettava in strada. Prima ancora che il suo piede avesse terminato il passo fuori dalla soglia per appoggiarsi sul cemento della strada, dunque, i suoi sensi da mezzo lupo erano sincronicamente impegnati a recepire tutto il recepibile dell’ambiente.

Si fermarono subito fuori dalla porta, e Ramo la chiuse dietro di loro piano e gentilmente, cercando di non fare rumore: era abituato a capire quando Danny si gettava a capofitto in una full-immersion di sondaggio di ciò che li circondava, perciò oltre a non stupirsi del subitaneo fermarsi dell’altro e del suo leggero irrigidirsi in una immobilità quasi perfetta, entrò di concerto nella modalità di ‘non disturbare Danny quando sta scansionando l’ambiente circostante’. Si fermò accanto a lui, dopo aver smesso diligentemente di fischiettare, per non distrarre né ostacolare l’udito di Danny, e aspettò pazientemente, guardandosi intorno a sua volta con sguardo un po’ indurito, ma cercando allo stesso tempo di non apparire troppo intimidatorio o spaventoso per evitare di attirare troppa attenzione su di sé.

Non che ci fosse bisogno di tutte quelle precauzioni a riguardo di non attirare troppa attenzione, realizzò ben presto Ramo. A quanto pareva,  all’orario di cena e in piena estate quella strada di Tairans tendeva ad essere piuttosto deserta. Tutti i rumori di vita sembravano essersi spostati all’interno delle case, dalle quali provenivano attraverso le finestre spalancate per il caldo: dal chiacchiericcio di televisioni accese su qualche telegiornale, fino al miagolio di qualche gatto domestico che reclamava che la sua ciotola fosse riempita non meno dei piatti che si sentivano cozzare leggermente tra loro o sui ripiani sui quali venivano appoggiati. Lì lungo la strada, invece, tutto ciò che si poteva vedere erano serrande abbassate, porte chiuse, vetrine buie, e qualche raro passante dal passo veloce e l’aria di stare pensando a nient’altro che ai fatti suoi e alla sua determinazione nel recarsi da qualche parte; qualche bicicletta occasionale; qualcuno con un cane al guinzaglio che allungava il muso annusando con curiosità di passaggio in direzione di Danny in particolare; il bar ancora aperto ma con la porta chiusa, perché dotato di aria condizionata come reclamava un apposito adesivo appiccicato sulla porta.

Dopo qualche minuto, Ramo sentì Danny emettere un lungo sospiro, e capì che poteva tornare a parlare con lui: la “scansione sensitiva” vera e propria era finita, anche se i sensi di Danny sarebbero comunque rimasti allerta.

«Nessuna traccia?» domandò Ramo, incerto se interpretare il sospiro come un segno di rassegnazione o di sollievo. Era suonato come un sospiro prima di tutto stanco, alle sue orecchie.

Poi vide un leggero sogghigno rassicurante disegnarsi sulle labbra dell’altro, e intuì la risposta ancora prima di udirla.

«Sono altri due. Ma sono qui vicino. Sono certamente due mezzi lupi. E perciò… sì, le nostre sentinelle ci sono.» lo informò Danny, senza guardarlo: le sue pupille si stavano muovendo lungo la strada con chiara intenzione, luccicando lievemente di intelligente vivacità quasi predatoria.

Ramo ci aveva impiegato qualche mese, da quando aveva incontrato Danny per la prima volta, per smettere di provare un istintivo e sottile senso di inquietudine alla vista di quella particolare espressione dell’amico. Non che avesse smesso proprio del tutto di considerarla un poco sinistra, ma aveva avuto occasione di imparare profondamente che essa prima di tutto non coincideva con quello che era il carattere più onesto e basilare di Danny, e in secondo luogo che non sarebbe mai e poi mai stata rivolta a lui o a qualcuno a cui teneva.

«Quindi…? Hem, voglio dire, ora torniamo solo su…?» domandò, incerto. Normalmente non si sarebbe sentito così a corto di idee, prospettive o suggerimenti, ma quella era una situazione dove si trattava di mezzi-lupi, e si sentiva come un pesce fuor d’acqua, o come qualcuno che brancola nel buio: tra loro, invece, Danny ci vedeva benissimo.

Doveva aver percepito l’incertezza del suo tono, perché si voltò a guardarlo, e il suo sogghigno poco rassicurante per un momento deviò in un sorriso più rassicurantemente complice, qualcosa di più simile a quello di un vero e proprio essere umano che a quello che potrebbe fare un predatore dotato di espressività facciale umana.

«No. Ora facciamo una passeggiata. En passant, tocchiamo tana* alle nostre due sentinelle di turno, così puoi vederne l’aspetto anche tu. Io ho l’olfatto, ma anche vederle direttamente è una mia personale curiosità.» gli disse Danny.

«Ah, ok.» concordò subito Ramo, rafforzando leggermente la presa sull’impugnatura della sua mazza da baseball per un accenno di nervosismo. Aveva visto Danny in azione abbastanza volte da sapere di che cosa è capace un mezzo lupo anche nella sua forma umana. «Ma quindi puoi trovarle?»

Danny si batté rapidamente un paio di colpi con la punta dell’indice sul lato del naso, e sorrise di nuovo appena, anche se il suo sguardo era tornato a solcare la strada: il raggio che le sue pupille percorrevano da una parte all’altra si era già ristretto parecchio, e non voltava nemmeno più la testa bensì la teneva rivolta in una sola direzione. «Mi fiderò del mio naso. Basterà.» disse semplicemente, suonando quasi divertito, nonostante il suo tono non volesse celare quella sfumatura sinistra che non gli abbandonava nemmeno lo sguardo.

Era la rabbia repressa di un mezzo lupo, o meglio, quella di Danny, perché Ramo conosceva solo lui di mezzo lupo, e così aveva imparato a riconoscere quell’espressione. Ma non l’aveva mai vista espressa in quel modo, quella rabbia, così controllata e quasi fredda, ma allo stesso ombreggiata da un che di amaramente cinico.

Riprese a camminare non appena Danny si mosse, procedendo accuratamente accanto a lui, pronto ad assecondare il suo ritmo di passo e ogni eventuale cambio di direzione. Ora anche il suo sguardo si aggirava su ciò che li circondava, cercando di risultare furtivo ma di essere anche efficiente; sapeva che non poteva essere minimamente paragonabile al modo in cui si muovevano gli occhi di Danny ora, guidati da indizi olfattivi che li indirizzavano con precisione a restringere il suo campo di probabilità di dove potevano trovarsi le loro due sentinelle. E Ramo poteva percepire appena quella tensione che non era la sua: era quella di Danny, una tensione mischiata ad un’eccitazione pronta al balzo, qualcosa che assomigliava al gusto immaginario dell’adrenalina pronta a scoppiare di un predatore appostato.

‘Certo che certe volte guardare te è come guardare una specie di documentario sugli animali selvatici…’ Ramo ricordò d’improvviso il commento di Kumals, che tempo addietro aveva fatto bloccare per un momento Danny sul posto, distraendolo dall’attento modo in cui stava seguendo la traccia che sapeva di incenso e fiori di quello per cui li avevano chiamati: a quanto pare c’era un fantasma in una chiesina di campagna, che terrorizzava a morte le vecchiette che rimanevano ore a pregare da sole nella chiesa deserta o quasi.

‘Prego?’ aveva chiesto Danny, alzando un sopracciglio nello scrutare Kumals, con un che di indeciso se prendersela o no, ovvero cercando ancora di capire se l’intento dell’altro voleva essere offensivo o amichevolmente ironico.

‘Lascia perdere. Resta sulla traccia ora. Ho una scommessa da vincere.’ aveva chiuso subito l’argomento Kumals, mettendogli una mano sulla spalla per incoraggiarlo a riprendere ad annusare l’aria, riferendosi al fatto che lui e Uther – che aveva a quel punto emesso un accenno di risata sornacchiante e ironica che suonava molto come un ‘non credo proprio…’ – avevano scommesso su che cosa poteva in realtà essere quel sedicente fantasma: Uther aveva scommesso che fosse un ragazzino che si divertiva a terrorizzare le vecchine credenti, Kumals aveva scommesso che fosse un tipo bizzarro che di tanto in tanto andava a fare un salto in chiesa e che il resto fosse l’immaginazione ipersensibile delle vecchine che tendevano a non abbandonare le loro superstizioni nonostante la fede cattolica ferventemente praticata a base di inginocchiamenti e sciorinamenti di rosari e ‘ave maria’.

Per inciso, entrambi avevano perso nel momento in cui avevano scoperto che si trattava di una signora di età molto avanzata che ogni tanto sgattaiolava via dalla casa di riposo e vagava fino a intrufolarsi nella chiesa, di solito avvolta solo in un lenzuolo, e dall’aria particolarmente inquietante a causa del deperimento fisico e di uno sguardo reso piuttosto incisivo nello sembrare spiritato a causa della demenza senile. Nessuno di loro aveva avuto cuore di rovinare i brevi momenti di libertà della vecchietta dicendo a qualcuno delle sue piccole sortite, ma dopo aver appreso da un’inserviente della casa di riposo della sua passione per i fiori, avevano spiegato al parroco e ai fedeli intimoriti della chiesetta che con un’offerta in fiori avrebbero ingraziato lo spirito / fantasma, il quale non avrebbe mai fatto loro alcun male essendo uno spirito benigno che ci teneva a tornare a mostrare la sua devota fede comparendo di tanto in tanto in chiesa.

Di colpo, Danny passò con uno sciolto movimento rapido ma non affrettato dal fianco destro a quello sinistro di Ramo, continuando per il resto a camminare con calma; ma Ramo aveva intuito il perché di quel movimento, e voltò subito lo sguardo sull’angolo della casa che stavano per superare sulla loro sinistra. Li vide subito: erano un uomo ed una donna, e apparivano abbastanza comuni, anche se qualcosa nel loro atteggiamento indicava che potevano non essere scambiati per semplici passanti presi solo da preoccupazioni perfettamente normali e quotidiane, se solo si fosse sprecato più di uno sguardo su di loro.

Ramo li squadrò ben bene per tutto il tempo che lui e Danny impiegarono per passare loro davanti, con quasi tutta la larghezza della strada che stavano percorrendo a separarli, e poi furono oltre quella svolta, e se li lasciarono alle spalle. Nonostante fossero passati proprio davanti a loro e relativamente vicino senza che nulla accadesse, nonostante li avesse visti senza preavviso e li avesse ora alle sue spalle, Ramo non poteva sentirsi veramente timoroso così come non riusciva a sentirsi del tutto tranquillo. Quei due erano mezzi lupi, e potevano sfoderare una rapidità ed una forza assai maggiori rispetto alle sue massime aspettative se si fosse impegnato con tutto se stesso; ma accanto a lui camminava un mezzo lupo che avrebbe dato tranquillamente la sua vita per la sua incolumità, e che era capace di camminare con tanta inquietante tranquillità e sangue freddo pur contenendo una tale rabbia repressa, dando le spalle a due mezzi lupi, in netta maggioranza rispetto a lui.

No, realizzò Ramo, Danny non li temeva, e anche se non sapeva se questo fosse dovuto al fatto che avesse raggiunto un livello di rabbia ormai accecante, oppure alla consapevolezza di poterli battere senza difficoltà all’occorrenza, o semplicemente alla scelta strategica di sfoggiare quell’atteggiamento di sicurezza proprio per indurre quei due a non osare nemmeno avvicinarsi troppo a loro, in ogni caso decise immediatamente che – come avevano sempre fatto in ogni loro incarico da ‘4 di picche’ – quello che doveva fare era semplicemente fidarsi di lui e spalleggiarne l’atteggiamento.

Così, Ramo riprese a fischiettare, e a giocare a fare rimbalzare la sua palla da baseball sul palmo della mano, camminando scioltamente, e recuperando meglio che poteva il più possibile di quell’atteggiamento così tranquillamente incosciente eppure a suo modo elegantemente ‘da matti’ che si era abituato a sentire come una seconda pelle per tutto il tempo che era stato parte dei ‘4 di picche’, quando il gruppo ancora esisteva.

Con la coda dell’occhio, notò che Danny voltava appena la testa a spiare dietro di sé un paio di volte. «Molto bene. A quanto pare, le nostre sentinelle ci faranno compagnia nella nostra passeggiata.» lo informò.

«Mhm…» mugugnò pensosamente Ramo «E va bene così, giusto?»

Danny annuì, quasi distrattamente «Sì. Ci tengo che rimangano vicino a me, piuttosto che vicino alla casa…» spiegò, abbassando così tanto il tono che Ramo faticò a udirlo, ma comprese anche il perché del cambio di volume: le sentinelle non dovevano essere troppo distanti dietro di loro, e i mezzi lupi hanno un udito decisamente sviluppato.

Sì, sicuramente Danny era l’unico tra loro due che potesse comportarsi con ogni movimento e azione ben calcolata, e allo stesso tempo messa in pratica con scioltezza perfettamente automatica, quando il loro problema erano mezzi lupi dalle intenzioni ostili.

«Quindi… ora sarà come se stessimo portando a spasso i nostri cani domestici. Loro ci seguiranno, e noi dobbiamo solo accertarci che non si allontanino al punto che li perdiamo di vista. Loro ci tengono d’occhio, ma credo che… almeno per quanto riguarda questi due in particolare… non abbiano ben presente che sono io quello che ci tiene a tenere d’occhio loro. E se stanno con noi non andranno a infastidire nessun altro.» continuò Danny, parlando con calma, a ritmo lento, quasi stesse chiacchierando di qualcosa di tutto sommato noioso; Ramo però capì che voleva accertarsi di lasciargli il tempo di comprendere cosa voleva esattamente dire con ogni frase, e allo stesso tempo permettergli di sentirlo bene nonostante il tono attentamente molto basso che stava usando.

Completò dunque tra sé e sé ciò che Danny voleva dire tra le righe: se le sentinelle stavano dietro a loro, non c’era pericolo che tentassero di entrare in casa per attaccare Uther e Valentine. Mentre loro non avevano di che temere, perché Danny riteneva o che non li avrebbero mai attaccati oppure di poter gestire un loro attacco con una certa probabilità di non farsi gravemente male.

Ramo si limitò ad annuire, mentre Danny, che ne spiava a malapena l’espressione con la coda dell’occhio, appena lo vide confermare di aver sentito e compreso tutto, aggiungeva poi a mo’ di proposta «Che ne dici se facciamo giusto due passi fino a quella specie di piazzetta con la fontana e quel disegno di lune sulla pavimentazione, e poi torniamo a cenare con gli altri?»

«Mi va benissimo.» confermò Ramo. Nonostante tutto, non riusciva a non essere un po’ innervosito dal fatto che erano seguiti da due mezzi lupi, anche se la cosa lo irritava un po’: avrebbe preferito riuscire ad essere un po’ più professionalmente impeccabile, specialmente dopo tutto quel tempo passato coi ‘4 di picche’… o forse no: dopotutto quello di essere freddi e controllati a ben pensarci non era mai stato esattamente il modus operandi dei ‘4 di picche’. Era più che altro un atteggiamento che per qualche motivo Danny sembrava stare assumendo in quel contesto, forse qualcosa da mezzi lupi che lui non riusciva a comprendere. D’altro canto, se c’era qualcosa che irritava sicuramente Ramo era dover sopportare di essere pedinato a quel modo senza poter reagire in maniera ben più incisiva e attiva del gelido gioco di ‘so bene che ci siete, suvvia, fate come dovete e seguiteci’ che stava mettendo in atto Danny, travestendosi temporaneamente da finta preda.

Ma conosceva Danny abbastanza bene da capire cosa stava facendo anche se non era sicuro di capirlo: poteva leggerglielo in quell’espressione sottilmente inquietante, che Danny riteneva di avere le redini del suo gioco, e stava giocando a impersonare il ruolo della preda quando era certo di potersi trasformare in una frazione di secondo nel predatore. E Ramo iniziò a sospettare che quel nuovo modo così attento e preciso di fare di Danny, più che alla situazione fosse dovuto a qualcosa che era cambiato in lui. O forse ad un lato di lui che semplicemente non aveva mai potuto cogliere così scopertamente, realizzò di colpo, nel ripensare a quello che Danny aveva raccontato a lui e a Valentine, a proposito di una mezza lupa che lo aveva reso tale tanto tempo prima. Mentre lo raccontava, Ramo aveva avuto la fugace impressione, ascoltandolo, che Danny non stesse semplicemente ripensando a quel passato, ma che vi potesse tornare con un piede, mentre restava con solo l’altro nel presente.

 

***

 

«Cavolo, è veramente… particolare… essere nella cittadina dove hanno iniziato a collaborare Kumals, Uther, Yuta e Zoal, no?» disse Ramo.

Seduto di fianco a lui sul bordo della fontana che zampillava pigramente alle loro spalle, Danny lo spiò per un momento voltando la testa e rivolgendogli un sorrisetto, prima di voltare di nuovo lo sguardo apparentemente nel vuoto; Ramo sapeva però bene che stava tenendo d’occhio precisamente il punto all’estremo limite della piazza dove si erano fermate due figure, in una zona d’ombra appena al di fuori del cono di luce di un lampione d’angolo della strada, ma comunque abbastanza ben visibili nella loro quasi statuaria immobilità ostinata grazie all’illuminazione urbana generale.

«Credi che dovremmo fare mettere una specie di piastra commemorativa sulla casa dove c’è l’appartamento, o qualcosa di simile?» ribatté Danny, a mo’ di scherzo.

Ramo rise generosamente, e si riportò alle labbra la lattina di bevanda frizzante e troppo dolciastra, il meno peggio che avevano trovato da bere dal frigo di un piccolo bar in cui si erano brevemente fermati, bevendo a lunghi sorsi.

Dopo un po’, sentì Danny mormorare qualcosa, come se parlasse tra sé e sé.

«Credo di sentire il lupo alla porta…**»

«Come?» domandò Ramo, cercando di usare una certa cautela, avendo notato il modo in cui Danny sembrava assorto.

«Non trovi che questa città sia fin troppo tranquilla? D’accordo, è l’ora di cena, è piena estate e fa un caldo d’inferno, e questo è uno dei quartieri della parte vecchia della città e dubito che ci siano molti luoghi da incontri movimentati come che ne so… discoteche, ecco. Poi, c’è anche da considerare che è un giorno infrasettimanale, d’accordo.» proseguì Danny, con l’aria di ragionare ad alta voce, ma il tono decisamente ora lucido e perfettamente consapevole.

«E tutte queste spiegazioni non ti bastano…?» offrì Ramo, con un accenno di scherzo, invitandolo a proseguire.

Danny sorrise appena di rimando, ma poi la sua espressione tornò seria, eppure ancora con quel qualcosa di sottile divertimento sarcastico e amaro che non poteva non risultare almeno un poco collateralmente inquietante. «E’ qualcosa che è nell’aria. Non intendo un odore. E’ più… una sensazione. Una sorta di emozione collettiva, di tensione. Ed è paura.»

«Paura?» domandò Ramo, confuso, cercando di capire.

Danny chiuse gli occhi e scosse un poco la testa a quel punto, e Ramo vide con sollievo tornargli sul volto qualcosa di più simile all’espressione del Danny che conosceva, anche se era un’espressione stanca e scoraggiata e preoccupata.

«Quei mezzi lupi molto giovani… quelli che abbiamo incrociato al concerto io e Uther, sai? Non credo mentissero. C’è qualcosa… le persone qui hanno intuito che c’è qualcosa che non va. Non perché siano particolarmente ricettive in proposito. Ma forse… i mezzi lupi dell’accampamento sono troppo fiduciosi e strafottenti… sai, in quel modo, quando uno si sente sul punto di stare per conquistare il mondo, che è solo questione di tempo. Allora, credo che per quanto Mara tenti di tenerli a bada, qualcuno di loro scorazzando qua in giro deve aver commesso qualche imprudenza, insomma, più che altro aver qui e là scoperto i denti… cioè, quello che intendo è che magari qualcuno non ha nascosto la sua forza o velocità nel fare qualcosa sotto gli occhi delle persone qui. Tsch, forse se ne vanno a trotterellare tranquillamente in mezzo alle strade come se passeggiassero: un intero gruppetto di lupi che trotterellano per la strada, ti immagini? Nessuno potrebbe scambiarli per cani nemmeno se volesse crederci con tutte le sue forze. Ma nessuno ha ancora capito cosa sta succedendo… beh, come potrebbe, giustamente. Si saranno fatti l’idea che ci siano dei lupi veri e propri che si fanno un giro notturno in città… dovrei spulciare i giornali delle ultime settimane forse… e magari c’è anche qualche caso di cronaca con qualche elemento strano… ! Ma d’altra parte, a che servirebbe esattamente?»

Ramo era così attento a seguire il flusso di ragionamento che quasi si sentì cadere come se gli fosse mancato il terreno sotto ai piedi quando Danny si interruppe quasi bruscamente, zittendosi come se parlare non servisse a nulla dopotutto.

«Se mi stai chiedendo un consiglio… credo di aver prima una domanda.» osservò Ramo.

«Spara.» invitò Danny, senza particolare entusiasmo, più che altro con rassegnata apatia.

«Bene, allora: che cosa ci devi fare esattamente con la paura della gente e sul fatto che sappia o meno ce cosa sta succedendo? Voglio dire, che cosa sarebbe meglio che succedesse? Che si sapesse cosa sta succedendo qui, oppure no? E che la gente avesse paura e se ne stesse di più in casa oppure no?» sciorinò Ramo, con fare analitico.

Danny lo spiò appena di sottecchi, con un sorrisetto divertito. «Beh, sono parecchie domande.» scherzò «Comunque, è meglio così, che le persone non capiscano e abbiano paura. Restando in casa, credo siano più al sicuro al momento. Se sapessero andrebbero nel panico, e il panico, a differenza della paura, può essere solo o inutile o nocivo.»

«Quindi… insomma, che cosa può esserci di così interessante nel sapere quanto e se la gente qui sa e cosa su lupi che si aggirano per Tairans?» chiese ancora Ramo, cercando di capire.

«Da quanto non si preoccupa di nascondersi dagli esseri umani, si può misurare abbastanza bene il grado di noncuranza della propria sopravvivenza e il grado di essere disposto a buttarsi nella lotta senza curarsi di sopravvivere ma solo di mordere ciecamente di un mezzo lupo.» mormorò Danny, come se ripetesse una lezione imparata ad esperienza e che riassumeva ora a parole sue, con una precisione e nettezza lucida che colse Ramo di sorpresa.

«Inoltre…» continuò dopo qualche istante Danny, riprendendo un tono più da conversazione, come se si fosse riscosso abbastanza dal suo stato di riflessione profonda e oscurata d’amarezza da ricordarsi che stava a tutti gli effetti parlando con lui «…è una questione del terreno su cui mi muovo. Se la gente tende a stare più in casa per paura, è decisamente più facile che io mi ritrovi in strade deserte, e quindi è più probabile che loro considerino questo un via libera se vogliono attaccarmi senza sguardi indiscreti di esseri umani ad assistere. Infine, più gente d’intorno ha raggiunto un grado di paura sotterranea sufficiente a farla scappare terrorizzata al primo accenno di qualcosa che coincida con la loro sub-cosciente sensazione di pericolo, più è facile che mi si formi il vuoto attorno in caso mi attacchino.»

«Perché parli al singolare, ora?» domandò Ramo, perplesso.

Danny si riscosse e si voltò a guardarlo, sbattendo un paio di volte le palpebre, sembrando non meno confuso di lui. Ma poi tornò a rivolgere altrove lo sguardo, fissandolo meccanicamente laddove si trovavano le “loro” due sentinelle.

«No, è stato solo un errore…» mormorò, distrattamente.

«Ascolta, penso proprio che io e Valentine ci fermeremo finché… beh, forse sarebbe meglio che Valentine ripartisse, magari. Ma io mi fermerò per darvi una mano. Come sai, quel che posso faccio. Ma c’è sempre anche Uther, e lui almeno ha un fucile e sa bene come usarlo all’occorrenza.» gli ricordò Ramo, terminando con un accenno di ammiccante incoraggiamento scherzoso nel tono.

Con sua sorpresa, invece, Danny assunse un’espressione ed una postura prima rigidamente nervose e poi decisamente abbacchiate. «Non credo proprio che Uther…» iniziò, con tono cupo e sguardo corrucciato, poi scosse la testa come se avesse cambiato idea, e tacque.

«Cosa?»

«Niente. Niente…» sancì Danny, scoraggiato e amareggiato, ma netto.

«Mhmmm… tasto dolente?» tentò Ramo, facendo ricorso a tutto il tatto possibile.

Danny occhieggiò per un momento verso di lui e poi alzò le spalle. «Niente di grave.» disse, ma Ramo non ne rimane molto convinto.

«Ti vedo un po’ giù del solito…» riprovò.

Danny sospirò brevemente. «Sai com’è…» commentò, piuttosto sarcastico «Sarà per via di tutto questo… questo casino.»

«Intendi la faccenda dei mezzi lupi?» chiese ancora Ramo.

«E’ solo che…» incominciò a rispondere Danny, automaticamente, prima di fermarsi, corrucciare la fronte e voltarsi a guardarlo, confuso «Aspetta un attimo. Perché, cos’altro potrebbe essere, scusa?»

«Beh…» prese tempo Ramo, guardandosi un poco attorno come se stesse cercando le parole «Avevo in mente due possibilità e… sì, in effetti una era quella dei mezzi lupi…»

«E l’altra?» indagò Danny, tutto sommato piuttosto divertito oltre che incuriosito, sollevando appena un sopracciglio.

«Oppure… argomenti personali.» disse infine Ramo, come se stesse ancora cercando di tirare fuori un’espressione adatta, e finendo per ricadere in qualcosa che da parte sua suonava come un bizzarro tentativo maldestro di usare termini tecnico-generici.

«Tipo?» chiese ancora Danny, ancora più confuso e non meno divertito da quella specie di imbarazzo nell’espressione dell’altro, che non riusciva a collocare esattamente.

«Sì insomma, sai… » riprovò Ramo, schiarendosi poi la voce «La faccenda di te ed Uther

Per un momento Danny rimase semplicemente a fissarlo, cercando ancora di interpretare, poi il significato lo colpì come un fulmine a ciel sereno e spalancò gli occhi, e un poco anche la bocca, ritrovandosi improvvisamente a sua volta a corto di una valida replica. «Ah.» fu tutto ciò che gli uscì.

«Ma se non vuoi parlarne, possiamo anche parlare di altro.» si affrettò a dire Ramo, con un tentativo di fare rassicurante che sembrava più che altro anche un’offerta per auto-rassicurarsi «Insomma, non che debbano per forza essere fatti miei, chiaro. E poi comunque gli argomenti alternativi non mancano, e…»

«Non ci avevo pensato…» mormorò Danny, fra sé e sé, lo sguardo abbassato e l’espressione concentrata in qualche riflessione.

«A che cosa?» si stupì Ramo.

«Che potesse centrare con… beh, non importa molto, ora come ora.» tralasciò di proseguire Danny, scuotendo un poco la testa, prima di rialzare lo sguardo su di lui con un che di sospettoso «Quindi, a quanto pare lo sai anche tu.»

«Beh, me l’ha detto Yuta.» ammise Ramo, lisciandosi con una mano una piega del tutto naturale dei corti e larghi pantaloni sportivi, come se fosse incerto di poter rivelare la fonte.

«Ah.» di nuovo fu tutto ciò che si ritrovò capace di commentare Danny.

«Già.» fece a sua volta Ramo, come se avessero appena concordato su un qualche punto, bevendo un altro sorso dalla sua lattina.

«E…?» intercalò Danny, più che altro perché lui non sapeva più che dire.

«Oh, all’inizio ho pensato che stesse cercando di farmi uno scherzo.» aggiunse Ramo.

«Ah sì…?» continuò a incoraggiarlo a proseguire Danny, senza nemmeno provare a chiedersi quanto potesse sembrargli strano e che cosa potesse sembrarlo esattamente a quel punto: Yuta che faceva uno scherzo di quel tipo? Ramo che lo scambiava per uno scherzo? O anche altro, perché no.

«E lei si è arrabbiata…» raccontò ancora Ramo, con una lieve smorfia nell’espressione abbandonata al ricordo, probabilmente perché stava ripensando esattamente a quanto potesse risultare poco piacevole Yuta quando si arrabbiava, e quali ramanzine era capace di tirare fuori all’occorrenza. «E ha detto che… beh, sostanzialmente che non è affatto uno scherzo.» concluse, bevendo di nuovo dalla lattina come se avesse deciso di vuotarla nel minor tempo possibile, sebbene si trattasse solo di un’orribile bevanda commerciale e zuccherosa ormai più tiepida che fresca.

Danny alzò un momento lo sguardo al cielo notturno stellato, con un sorrisetto di familiare affettuosità amichevole e divertita. «A me l’ha detto Kumals. A dirla tutta, forse è strano che io non abbia pensato alla possibilità dello scherzo, trattandosi di Kumals…» mormorò.

«Come sarebbe che te l’ha detto Kumals?» udì Ramo chiedergli stranito, e riabbassò lo sguardo sulla sua espressione stupita.

«Sì, è andata così. Perché?»

«Hem…» fece Ramo, di nuovo piuttosto imbarazzato, ma di un imbarazzo diverso, come se stesse ora cercando di fargli notare qualcosa di enorme che gli era sfuggito senza rischiare di suonare offensivo «Visto che sei il diretto interessato… pensavo che… in qualche modo te lo avesse fatto capire… l’altro interessato…».

Ramo finì per lasciare la frase in sospeso, e solo dopo che l’ebbe interpretata Danny si ritrovò a rispondere semplicemente «No.»

Sembrò che fosse arrivato il turno di Ramo, quando si limitò a dire «Ah.»

Danny scrollò le spalle e sbuffò. «Sono un completo idiota, vero?»

Ramo stirò le labbra in una smorfia indecisa. «Non so. Non credo di essere la persona più adatta per giudicare…»

Danny gli sorrise, tutto sommato divertito. Forse era per via  del fatto che in quel momento non poteva fare a meno di immaginare quanto sarebbe stato disposto a dare Kumals per essere lì in quel momento ad assistere a quella conversazione, e sicuramente a quell’ultima risposta di Ramo sarebbe intervenuto con qualcosa di simile ad un ‘poco ma sicuro!’. Ma Kumals non era lì, e almeno in quell’occasione, Danny si sentiva di prendere la cosa con un ‘beh! Peggio per lui!’.

Poi, di colpo un pensiero lo travolse come un paio di fari d’auto in mezzo ad una strada di campagna in una notte buia.

«Ma è stato proprio lui a mandarmi qui!» esclamò.

«Come?» chiese Ramo, con fare gentile, ma anche un tono ed un’espressione di chi è totalmente privo di indizi per capire di che cosa si stia parlando.

«Kumals! Dannazione! Lui mi ha mandato qui! E allora non sapeva nemmeno di questi accidenti di mezzi lupi impazziti e…» proseguì Danny, imperterrito, preso dal suo ragionamento ad alta voce e da un misto di incredulità da rivelazione improvvisa. «Insomma… chi sarebbe mai così… idiota da mandare in aiuto da qualcuno che si suppone potrebbe avere un momento di basso morale proprio la persona che…» borbottò, irritato e ancora incredulo. Si ritrovò a fissare Ramo, come in cerca di collaborazione.

Se non altro, dopo un poco sembrò che Ramo fosse riuscito a completare le parti mancanti della frase, perché con un piccolo sorriso esitante, e di nuovo con un che di tentativo di fargli notare un elefante nella stanza senza fargli pesare che gli fosse sfuggito, suggerì semplicemente «Qualcuno… così indelicato come Kumals, ad esempio?»

«Questo sembra troppo, persino per Kumals, che lo so che è tutto dire ma…» ribatté tuttavia Danny, scuotendo la testa, di nuovo irritato anche con se stesso, come se ritenesse che gli stesse sfuggendo qualcos’altro.

«Beh… Kumals mi aveva accennato inizialmente che aveva… perso di vista Uther, per così dire, da quando era arrivato qui. Lo so perché, prima di chiamare me e Valentine per suggerire di venirvi a trovare qui, mi aveva chiamato per chiedermi se sapevo qualcosa di Uther. L’avevo trovato molto strano, così aveva ammesso di non riuscire più a sentirlo.» riprovò Ramo.

«Sì, è così che mi ha mandato qui. E allora?» chiese Danny, sbattendo un poco le palpebre, cercando di seguirlo nel ragionamento.

Ramo diede una piccola alzata di spalle, e di nuovo lo guardò in quel modo, ma stavolta come se ritenesse che Danny stesse dimenticando qualcosa piuttosto che non notarla. «Tu sei un mezzo lupo, e conosci perfettamente l’odore di Uther così come quello di tutti noi. Immagino che anch’io, se volessi trovare qualcuno che conosciamo entrambi, e che non so dove potrebbe essersi andato a cacciare, ti chiederei una mano…»

Danny rimase interdetto per un momento. Nella sua testa scorsero per un momento di nuovo le immagini di come avesse dovuto rintracciare Uther fin nell’accampamento dei mezzi lupi, e ancora di come lo avesse ritrovato nel capannone dove si era svolto quel concerto rock’n’roll dopo che Uther aveva tentato di seminarlo – o meglio di costringerlo ad andare proprio dove voleva lui, e per finire di come non avesse mollato di stargli alle calcagna lungo tutta quella notte a base di vodka, e come Uther non avesse mai provato a seminarlo davvero perché sapeva che non poteva riuscirci senza ricorrere almeno ad un aereo.

«Sì, forse hai ragione…» ammise infine, lentamente. Stava ancora cercando di vedersi Kumals che passava tranquillamente sopra ai sentimenti di Uther pur di ritrovarlo, a come potesse con calma mettere nell’ordine che gli sembrava più opportuno le varie priorità a seconda della gravità e dell’urgenza. Allo stesso tempo, non sapeva più se attribuire tutta quella contorsione di ragionamenti ed evenienze ed eventi a Kumals o ad una specie di destino cosmico che sembrava voler concentrare la sua sfortuna su Uther. Uther che era stato capace di incappare direttamente nella mezza lupa che aveva reso Danny un mezzo lupo. Magari avrebbe dovuto semplicemente iniziare a chiedersi più spesso che cosa ci fosse di veramente casuale in certe coincidenze, anche se avrebbe rischiato forse di diventare un po’ troppo calcolatore rispetto a quanto aveva l’abitudine di considerare e poter apprezzare tutto sommato abbastanza il se stesso che conosceva.

Dal canto suo, Ramo si stava limitando ad osservare quella smorfia semi-inconscia che sembrava sintomo di uno sforzo riflessivo particolarmente ingarbugliato sul volto di Danny, senza aggiungere nient’altro. Certe volte, aveva proprio la sensazione che bastasse nominare Kumals per dare il via ad una serie di tentativi di ragionamenti che finivano per cercare di essere contorti almeno similmente a quelli che forse erano stati la guida delle decisioni del nominato. Ma lui si era abituato a non provarci nemmeno, non più di tanto: era più facile farsi venire un colossale mal di testa che azzeccare le esatte intenzioni e informazioni e pianificazioni di Kumals, di solito.

A volte bastava aspettare il momento opportuno, e Kumals stesso avrebbe prima o poi detto che cosa gli era passato per la testa, o almeno quella parte che voleva esporre, e comunque sicuramente abbellita e infiocchettata per farla risultare come un eccellente prodotto da ingegno superiore o qualcosa del genere. Ramo non aveva mai capito quanto esattamente Kumals stesso improvvisasse fingendo che fosse tutto parte di un preciso piano già prestabilito, e che alla fine avrebbe presentato proprio in quanto tale, che fosse vero o meno. Altre volte si sarebbe potuto aspettare all’infinito, e Kumals non avrebbe mai detto esattamente il perché o il percome di qualcosa, e allora Ramo aveva imparato che o si era disposti a pensare di ricorrere ad un sequestro di persona e alla tortura più spietata, oppure tanto valeva lasciar perdere e cercare di non dargli nemmeno la soddisfazione di sembrare incuriositi dal mistero rimasto in sospeso. Con un certo esercizio costante, c’erano buone speranze che, se non si era impazziti prima, si arrivasse a trovare un buon equilibrio con Kumals.

Alla fine Danny sembrò arrendersi, e sospirò profondamente, chiudendo gli occhi, sembrando per un momento sommerso da quella stanchezza che Ramo gli aveva intravisto indosso fin dal primo momento che l’aveva rivisto lì a Tairans: una stanchezza di quelle che si annidano abbastanza in profondità da non poter essere seriamente intaccate nemmeno da ore di sonno.

«Forse sono uno stupido egocentrico, ecco tutto.» disse Danny.

«Cosa? Che vuoi dire?» domandò Ramo, di nuovo spaesato, tuttavia con una nota di sorriso nel tono, cercando di risultare incoraggiante nel suo accenno di divertito scetticismo. Lo scetticismo era sempre stata una delle lezioni principali dei ‘4 di picche’, dopotutto.

Danny riconobbe quella nota nel suo tono, e gli rivolse uno sguardo con un lieve sorriso di gratitudine. «Sai… me ne ero… sì, me ne ero dimenticato, in un certo senso. Del fatto… di ciò che Uther prova. Una cosa piuttosto… stupida… e insensibile. E forse… qualcosa che potrebbe spiegare…» e di nuovo tacque.

«Potrebbe spiegare?» incoraggiò gentilmente Ramo.

«No, nulla… è solo un elemento che mi mancava.» e Danny emise un breve verso sarcastico «Ero così occupato a preoccuparmi di cercare di capire cosa diavolo Mara stesse progettando, che pensavo di essere in una botte di ferro finché fossi riuscito ad impedire a uno qualsiasi di quei mezzi lupi di arrivare abbastanza vicino alla giugulare di Uther, oltre che della mia naturalmente. Forse, ho solo sbagliato clamorosamente punto di vista.»

«Okay…» tentò Ramo «Immagino che avrai i tuoi motivi per dirlo. Tuttavia, in via puramente general-generica, non mi pare una brutta priorità quella di evitare che tu e Uther veniate sgozzati… Dico, vedendola così su due piedi e in generale…»

Danny colse di nuovo l’ironia scherzosa nel suo tono e gli sorrise, grato.

«Sono veramente molto felice che tu e Valentine siate qui.» confessò di colpo, sincero.

«E per di più, ora possiamo anche giocare un po’ a baseball volendo…» scherzò Ramo, facendo rimbalzare la palla da baseball con fare evocativo e accattivante.

Danny si lasciò andare ad una sghignazzata complice, e Ramo ne provò un certo sollievo.

In quel momento, un sonoro rumore di suoneria da cellulare risuonò dalla tasca dei suoi pantaloni, e Ramo affidò la palla da baseball alla mano sporta da Danny assieme ad uno sguardo gentilmente ironico, per recuperare il cellulare e rispondere.

Sotto lo sguardo attento e crescentemente preoccupato di Danny, ascoltò, rispose brevemente e spense la chiamata mentre già si alzava in piedi, imitato prontamente dall’altro.

«Valentine.» lo informò «Dice che faremmo meglio a tornare subito. C’è… qualcuno che ti cerca…»

Lo sguardo di Danny si oscurò immediatamente, sebbene spostando lo sguardo avesse subito trovato le due sentinelle al loro posto dove erano sempre rimaste.

«Dubito che possa trattarsi di quella… Mara… Insomma, Valentine avrebbe trovato il modo di farmi capire se la situazione fosse stata veramente d’emergenza…» aggiunse Ramo, non meno serio di lui.

«No… a quest’ora avremmo già sentito i colpi di fucile.» commentò cupamente Danny, mentre si incamminavano verso l’appartamento a passo rapido.

Ma quello che voleva dire, e che Ramo non sapeva, è che non stava rispondendo all’eventualità che potesse trattarsi di Mara, nel qual caso non sapeva se Uther avrebbe effettivamente aperto il fuoco al solo vederla mettere piede nell’appartamento, come avrebbe dovuto, bensì semplicemente che non doveva trattarsi di un vero e proprio attacco. Ma non era detto che non lo diventasse a breve. Non sempre Mara aveva l’abitudine di annunciare fin dall’inizio ed esplicitamente le sue eventuali intenzioni aggressivo-omicide, così come a volte nemmeno lei sapeva che un incontro sarebbe andato a finire proprio così da parte sua.

 

 

Soundtrack: Can’t even tell (Soul Asylum)

 

 

Note per la comprensione:

* ‘TOCCARE TANA PER…  - è l’espressione che si usa giocando a nascondino quando si deve o “salvare se stessi” da chi è in caccia, o da parte di chi sta facendo il ruolo del cacciatore per squalificare chi è riuscito a scovare. La specifico anche se magari tutti/e avete avuto occasione di giocare a nascondino almeno una volta nella vita e la conoscete, perché credo che ci siano delle varianti in cui si usano altre formule (mi pare di averne sentita almeno un’altra una volta che peraltro al momento non ricordo…). Insomma, qui Danny intende che vuole far capire alle sentinelle che nonostante stiano cercando di non farsi notare troppo le hanno trovate.

** è una citazione da un monologo del personaggio di ‘Skully’, dalla serie televisiva ‘X-files’ (in particolare dalla puntata 19 della seconda stagione: ‘Dod Kalm’); nell’originale il senso, che qui Danny richiama, è quello di sentire la fine (la morte) che si avvicina al punto da essere ormai fuori dalla porta.

 

Note dello scribacchiatore:

Accidenti, era proprio tempo di vedere le cose per bene attraverso lo sguardo di Ramo! Hey, è anche lui un componente fondamentale dei ‘4 di picche’, nonostante finisca per rimanere un po’ in disparte mi sa… d’altro canto, volevo proprio spezzare una lancia in suo favore, cogliendo l’occasione.

Mi dispiace che il capitolo risulti così lunghetto, ma non sono riuscito a fare di meglio. Inoltre, c’erano quelle digressioni su un’avventura passata dei ‘4 di picche’ e su Kumals e il modo in cui Ramo ha imparato a rapportarcisi con… metodo… he he…, delle quali proprio non sapevo come fare a meno, e che hanno dato anche loro un che di un po’ sdrammatizzante spero ;)

Bene, tutto detto-fatto-scritto, indi al prossimo capitolo!

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Capitolo 25
*** 24 - Sottigliezze ***


Capitolo 24

(SOTTIGLIEZZE)

 

Danny bussò pesanti colpi contro la porta, e dopo che qualcuno ebbe aperto dall’interno si fece avanti spalancandola e ponendosi sulla soglia ben dritto, come se stesse cercando di occuparne il vano con tutta l’estensione possibilmente raggiungibile dal suo corpo, parandosi con decisione di fronte a qualsiasi cosa lo stesse ‘cercando’, per citare le esatte parole di Valentine al telefono.

Nel movimento, si ritrovò a quasi travolgere Valentine stessa, che fece un piccolo allarmato balzo all’indietro, guardandolo poi un po’ corrucciata, come se stesse cercando di capire il motivo di tanta foga. Danny la ricambiò con uno sguardo non meno confuso, chiedendole implicitamente per che cosa esattamente stava cercando di sfoggiare il massimo del suo atteggiamento intimidatorio in una comparizione un po’ calcata sull’aspetto più di forma che di costrutto.

A rompere il momento di incerta immobilità ci pensò Ramo, cercando di sospingerlo un po’ più dentro la stanza per affacciarvisi anche lui, e scrutando Valentine da capo a piedi con una certa ansia, per accertarsi che fosse tutta intera e in buone condizioni.

«Cosa succede?» le domandò, con una nota piuttosto allarmata, impugnando saldamente la mazza da baseball tra le mani.

Ma gli occhi di Danny si erano già spostati nel sondare l’interno del salotto che faceva anche da ingresso, e avevano individuato le altre due figure.

Una era quella familiare di Uther, che a quanto pare ora indossava una maglietta e un atteggiamento meno svergognatamente stravaccato. Era fermo in piedi, le braccia incrociate e tra di esse – Danny lo notò immediatamente – teneva il fucile.

Il suo sguardo non si soffermò oltre, e si concentrò immediatamente sull’altra figura, meno familiare ma che non vedeva affatto per la prima volta, realizzò con sorpresa. Sbatté un paio di volte le palpebre, come per capacitarsene.

«Tu…» commentò quindi, mentre il suo tono e il suo sguardo si indurivano con la rapidità di un fulmine.

«Ecco, lei ti stava cercando e siccome… insomma, ho pensato di chiamarvi…» cercò di dire Valentine.

Ma Danny entrò del tutto nella stanza, e senza staccare lo sguardo dalla figura della persona che a quanto pare ‘era venuta a cercarlo’, fece imperiosamente segno a Ramo di entrare a sua volta e in fretta, prima di dirgli di chiudere bene la porta. Sentì i rumori dei movimenti di Ramo che eseguiva senza nemmeno provare a chiedere spiegazioni.

«Dice di essere venuta da sola.» lo informò Uther, ogni parola scelta non a caso, sottolineando implicitamente che non si sentiva in dovere di credervi.

«E’ così!» insisté lei, piccata «Sono da sola.»

Danny non si scompose. Si spostò lentamente, avvicinandolesi, e fermandosi a circa tre metri da lei; ad una distanza, cioè, sommariamente valida per segnalare che non aveva intenzione di attaccare, come prevedevano i segnali tra mezzi lupi, ma nemmeno di tirarsi indietro se l’avesse fatto lei per prima.

La ragazza, seduta per terra con la schiena appoggiata contro la parete, posizione assunta istintivamente per tenersi le spalle coperte quando si voleva escludere la possibilità di essere attaccati a tradimento, si limitò a seguire ogni sua mossa con sguardo attento e ben focalizzato, i muscoli tesi ma fermi. Lo sguardo alzato su di lui, lo contemplò come se lei stessa si rendesse benissimo conto che Danny avrebbe potuto decidere di chiederle ed eventualmente costringerla ad uscire, di cacciarla immediatamente. Entrambi sapevano che lui ne sarebbe stato perfettamente in grado: lei era troppo giovane rispetto a lui, sia anagraficamente, sia a partire da quando era stata resa un mezzo lupo, e sicuramente sarebbe uscita perdente da uno scontro sia sul piano caratteriale che fisico.

Danny rimase in silenzio per alcuni lunghi momenti, prendendosi il tempo di guardarla bene.

Era sicuramente la stessa giovane mezzo lupa che avevano incrociato al concerto, e lei allora era solo una delle componenti del gruppetto di giovani mezzi lupi che si erano accaniti sui fascisti già a terra, per puro divertimento insensibile. Eppure, c’era qualcosa di diverso in lei, e Danny lo aveva percepito appena l’aveva vista, ancora prima di rendersi conto della singola evidenza dei particolari che la facevano apparire diversa.

Il suo atteggiamento ora era dimesso e spaventato, simile a quello di un lupo che si sente in trappola e potenzialmente esposto ad un eventuale attacco improvviso, diffidente e nervosamente pronto a reagire a qualsiasi accenno di minaccia alla sua incolumità, e non certo quello sicuro di sé e forte che le aveva visto ostentare – seppure con la fragilità di superficie tipica di molti giovani, mezzi lupi e non solo – quando l’aveva vista per la prima volta.

C’erano poi le ferite. Sebbene i suoi vestiti fossero generosamente stropicciati, strappati in più punti e un poco impregnati di sangue, Danny riusciva a intuire da ciò che riusciva a quantificare a vista e da ciò che le diceva l’atteggiamento di lei, che non si trattava di ferite particolarmente gravi, non per un mezzo lupo almeno. Un essere umano ne avrebbe avuto abbastanza per rivolgersi ad un ospedale e forse per tre.-quattro giorni di ricovero, almeno per farsi dare qualche punto di sutura, ma per un mezzo lupo erano brutti tagli superficiali che avevano già iniziato a guarire.

A dirla tutta, la ragazza mostrava un atteggiamento fin troppo difensivo e malmesso per le ferite che aveva, il che fece scattare un debole ma netto campanello di intuizione in Danny: non era la loro gravità da un punto di vista di debilitamento fisico il problema maggiore per lei, a riguardo di quelle ferite da zuffa violenta, ma il modo, il perché e il come le erano state inferte.

Si impose tuttavia di scacciare rapidamente e fermamente ogni sentore di empatia, e di irrigidire il suo punto di vista sull’urgenza di capire perché una mezzo lupa era appena precipitata direttamente dall’accampamento lì dentro casa loro. Il che era quasi inconcepibile, considerando che se c’era una semplice linea base che avrebbe dovuto stare seguendo fin da quando Kumals gli aveva impartito le sue esagerate istruzioni al telefono, era proprio quella che recitava: noi dentro, i mezzi lupi fuori.

Forse era stato precipitoso nel ritenere che Kumals stesse esagerando…

«Cosa ci fai qui?» le chiese, in tono estremamente arido.

Per tutta risposta, la ragazza girò la testa per interrompere il contatto visivo diretto, e si limitò a tenerlo d’occhio spiandolo con la coda dell’occhio. C’era qualcosa di curiosamente misto tra l’istinto selvatico e l’atteggiamento umano-emozionale in quel movimento, che Danny sapeva bene essere un miscuglio tipico nei mezzi lupi: da un lato lei era un mezzo lupo che sapeva per istinto e aveva imparato per esperienza che il guardarsi direttamente negli occhi tra lupi indica potenzialmente un atteggiamento di sfida diretto e sul punto di sfociare nello scontro, e al contempo era una giovane ragazza che stava scontrosamente cercando di evitare di doversi sottomettere alle severità tout-court della sua domanda.

«Come ho già detto, sono venuta da sola, e non sono d’accordo… come in una specie di piano per farvi qualcosa. Non c’è nessun piano per farvi del male. E se c’è, io non ne so nulla e non ne voglio sapere niente.» disse, con il tono di chi ripete la stessa risposta per l’ennesima volta, e ne ha avuto già abbastanza fin da dopo la prima volta.

«Bene. Allora, perché sei qui?» insisté Danny, senza battere ciglio.

Silenzio. L’unica cosa che Danny notò fu il modo in cui la ragazza strinse più forte il labbro inferiore, ma non avrebbe saputo dire se stesse cercando di non parlare o piuttosto di non piangere.

«Hai detto che avresti parlato con lui. Solo con lui.» sottolineò Uther, intervenendo in tono ragionevole ma fermo «Ora è qui, puoi parlargli, no…

La ragazza spostò lo sguardo su Uther, guardandolo per un momento, con l’aria di stare valutando più quanto fosse pronto ad usare il fucile piuttosto che altro, e alla fine lo distolse di nuovo, tornando a rivolgerlo in un punto dove non rischiava di incrociare gli occhi di nessuno di loro, e tuttavia tenendoli tutti sott’occhio con la coda dell’occhio.

«Va bene. Forse dovreste darle il tempo di riprendersi, no? E’ evidente che è stata aggredita.» intervenne Valentine «Di solito si è un po’ sotto shock se si è appena stati aggrediti, e non credo che una specie di interrogatorio sia quello di cui ha bisogno al momento.» aggiunse, con un’intonazione un po’ più severa e critica.

A quel punto, la ragazza emise un verso di risata sarcastica. «Credevo foste dei professionisti, o qualcosa del genere. Tra l’altro, uno di voi è come noi… e sembra che non sappiate nemmeno le cose basilari. E’ come se non sapeste niente. Mara doveva avere ragione. L’unico modo in cui uno di noi può essere accettato dagli esseri umani, è fingersi umano e stare alle loro regole.»

Valentine ammutolì e la fissò incredula, mentre Danny si trattenne con tutto se stesso dallo sbottare in una risposta di irata reazione.

«Cosa vuoi dire?» domandò infine Valentine.

«Non ha veramente bisogno di cure. Non per quelle ferite.» intervenne Danny «E difficilmente un mezzo lupo viene messo sotto shock da un comune scontro fisico… anche se, dubito si sia trattato di questo, in questo caso…» accennò significativamente, cercando di indurla a dire che cosa le era successo.

La ragazza però non reagì, non in modo evidente almeno.

«Comunque, è veramente curioso… per così dire… sentirti parlare come se non fossi mai stata umana. Eppure è esattamente ciò che sei stata prima, e ciò che sei in parte ancora ora.» continuò Danny, per rispondere a tono a ciò che aveva detto. Se quello era l’unico modo per farle dire qualcosa… provocarla… «Quindi, il fatto di ‘fingere’ di esseri umani è un controsenso. Siamo anche umani, lo rimaniamo sempre in parte. Così come non saremo mai veri e propri lupi. Quindi, sei venuta a cercarmi solo per questo, per disprezzarmi o qualcosa del genere?»

Lei sembrò percepire chiaramente la nota di sospetto nel suo tono, e l’intenzione ancora di interrogarla.

«Non farò del male a nessuno di voi.» la udì ripetere, con decisione, e stavolta lei voltò la testa per puntare lo sguardo direttamente nel suo, il tempo necessario a dare fondamento alla sua dichiarazione prima di voltare di nuovo la testa. «Naturalmente, se non me ne darete un valido motivo.» borbottò.

Calò un silenzio completo. Danny continuò a guardarla, riflettendo il più rapidamente possibile.

«Uther… vai alla finestra, per favore?» disse poi.

L’interpellato gli rivolse uno sguardo interrogativo, ma una frazione di secondo dopo aveva già afferrato cosa voleva dire, e si mise presso la finestra, acquisendo la migliore visuale possibile, tenendo saldamente il fucile carico, pronto a sparare.

Danny spiò brevemente per assicurarsi che avesse preso posizione, poi tornò a guardare la ragazza.

«Come ti chiami?» domandò. Aveva un vago ricordo di aver già sentito il suo nome, la notte prima, nel capannone, chiamata per nome dagli altri giovani mezzi lupi che erano con lei, ma non era certo di poterlo ricordare bene.

«Nickj

«Ti stanno seguendo, Nickj

Lei spostò di scatto lo sguardo direttamente su di lui per un momento, evidentemente stupita, e sembrò dimenticarsi poi di rivolgere di nuovo lo sguardo altrove; continuò inconsciamente a parlargli così come se la loro fosse più una conversazione e un po’ meno una misurazione diretta di forze.

«Credo mi stiano cercando. Ma sono riuscita a seminarli.»

Danny annuì sommariamente. «Se sei qui per qualsiasi altro motivo tranne che per nasconderti, te ne farò pentire. Intesi?»

«Senti, Danny, io non credo proprio che…» intervenne Valentine, incredula per ciò che aveva appena sentito, ma lui alzò imperiosamente una mano per interromperla, senza distogliere lo sguardo da Nickj, finché non la vide annuire con chiarezza, in risposta a ciò che aveva detto.

«Danny… credi che sia veramente necessario…?» tentò Ramo a sua volta, un poco titubante.

«E’ una mezza lupa. Può sembrare una ragazza indifesa e ferita finché vi pare, ma vi assicuro che non è assolutamente abbastanza ferita da avere problemi nello staccarvi la testa se volesse farlo.» spiegò nettamente Danny «Perciò, le sto permettendo di rimanere a vostro rischio e pericolo. Ve la sentite?»

Uther emise un breve verso di nervosa risata sardonica dalla sua posizione di vedetta presso la finestra. «Non ti fidi forse della nostra capacità di badare a noi stessi?»

Danny si irrigidì, e di colpo tanto lui quanto Uther realizzarono che non avrebbe mai risposto a quella domanda, non dopo quello che era successo in quei giorni.

Danny prese fiato e trattenne un sospiro, prima di rivolgersi a Ramo «Credo che sia necessario barricare meglio la porta…

«Oh, perdiana! Mezza lupa o no, è chiaramente una ragazzina in difficoltà, che è stata aggredita! Si può sapere per quanto ancora vuoi continuare a trattarla in questo modo?» esplose Valentine di colpo, non riuscendo più a trattenersi.

«Fino a quando sarà necessario.» replicò Danny tra i denti. Poi, però, sembrò riprendersi in parte da quello stato di rabbia repressa e diffidente, e voltandosi solo per un momento ad occhieggiare verso di lei, aggiunse in tono più morbido «Dammi solo un altro po’ di tempo, d’accordo…

Dopo qualche istante, Valentine sospirò sonoramente e alzò gli occhi al soffitto, non sembrando particolarmente convinta.

«Potremmo… mangiare qualcosa intanto…? Visto che immagino ormai la cena sia pronta…» propose Ramo, con aria cauta da esperimento «Cioè, visto che sembra sarà una cosa un po’ lunga… a meno che non volessi dire che la porta va barricata immediatamente…»

Danny scosse appena le spalle, con fare arreso. «Sì, mangiamo. La porta può aspettare un po’.»

Cadde di nuovo il silenzio, mentre Ramo e Valentine sparivano in cucina. Danny rimase fermo dove si trovava, continuando a guardare la giovane mezzo lupa, cercando di non fare trasparire troppo da sé il fatto che non era certo di che cosa fosse meglio fare al momento. Sapeva che la cosa più prudente, da un punto di vista di voler essere sicuri che lei non stesse svolgendo il copione di recita di un piano congegnato tra i mezzi lupi dell’accampamento per attaccarli, sarebbe stato decidere di buttarla fuori da lì e barricare la porta. Allo stesso tempo, il modo in cui quella ragazza si comportava, dal suo atteggiamento fino alle sue ferite, sembravano qualcosa di troppo elaborato come piano per dei mezzi lupi. Se era un piano di Mara, non solo doveva aver cambiato totalmente il suo modo di fare nell’arco di poche ore, passando dal mettersi in primo piano e agire direttamente ad architettare piani contortamente complicati, ma aveva anche trovato in quella ragazza un vero e proprio enorme talento recitativo. Danny dubitava molto di entrambe le cose.

Nickj aveva di nuovo voltato la testa di lato per non guardarlo direttamente in volto ma limitandosi a tenerlo d’occhio con la coda dell’occhio. Danny trovava che il modo in cui lei seguiva con automatismo ostinato quel codice di postura tra mezzi lupi avesse un che di pietosamente insensato. Tutti i mezzi lupi erano abbastanza umani in parte da distinguere chiaramente se il fatto di fissarsi in volto era inteso – di momento in momento – semplicemente sul piano di farlo per parlarsi oppure per mostrare ostilità e di essere pronti ad un eventuale scontro imminente. Sembrava che qualcuno avesse inculcato a quella ragazza l’idea che la posizione del corpo e i movimenti avevano, anche quando era in forma umana, un’importanza molto più determinante sul piano del loro significato nel linguaggio da lupo che in quello da essere umano. O forse, pensò Danny, semplicemente quella ragazza era davvero così spaventata e intimorita in quel momento, nonostante cercasse di mantenere un certo contegno persino in quella posizione dimessa, da non poter fare a meno di cercare istintivamente di evitare qualsiasi cosa che potesse suscitare in loro una provocazione che li portasse ad attaccarla. E tuttavia, era stata proprio lei prima a dire quelle frasi precisamente rivolte ad attaccare criticamente e odiosamente tutti loro.

Danny considerò la combinazione: paura e rabbia. Pessima combinazione, a suo avviso, e da che ne aveva sperimentato lui nella sua vita. E ricordava esattamente quando l’aveva provata con una certa involontaria e caparbia costanza, sempre presente in sottofondo. Quando era un mezzo lupo divenuto tale da veramente poco tempo…

«Ci sono delle sedie. Puoi alzarti e sederti.» si ritrovò a dirle, prima di pensarci chiaramente.

Lei si prese qualche istante prima di rispondere, come se stesse soppesando attentamente ogni sua parola, in cerca di un’eventuale trappola celata in esse.

«Preferisco restare dove sono, grazie.»

Danny non poté trattenersi dal guardarla per un momento con una certa stupita perplessità, alzando appena un sopracciglio, con un certo fastidio.

«Credevo fosse implicito in quello che ho detto prima.» le disse ancora «Comunque, lo specificherò: se non hai intenzione di fare alcun male a nessuno di noi, nessuno di noi ne farà a te. In nessun caso.»

Di nuovo, dovette attendere qualche istante prima di sentirla rispondere, con voce difficoltosa, come se preferisse non dover parlare affatto. «In ogni caso, sto bene dove sono.»

Danny trattenne in gola la risposta irritata di ‘Bene, allora restaci pure.’, liquidando quella replica quasi infantile.

«Hey…» il richiamo, in tono basso e tranquillo ma molto chiaro, gli fece voltare immediatamente lo sguardo nella direzione di Uther. Lui stava però fermamente guardando ancora fuori dalla finestra, giustamente deciso a non staccare lo sguardo. Danny aveva quasi dimenticato quanto poteva essere preciso, tanto da sembrare sul serio ‘professionale’, quando decideva di sfoderare quella sua capacità in qualche situazione che lo richiedeva.

Non dovette nemmeno chiedergli che cosa c’era, perché Uther nella sua ‘versione professionale’ era perfettamente in grado di rendersi conto, vedendone il movimento della testa con la coda dell’occhio, che lo stava guardando e quindi dandogli ogni attenzione e ascolto.

«C’è stato un po’ di movimento qua sotto, negli ultimi minuti.» lo informò Uther.

Danny occhieggiò brevemente verso Nickj, e lei gli ricambiò lo sguardo con una smorfia scocciata, dando segno che le sembrava nauseante dover ripetere di nuovo che lei non faceva parte di nessun piano inteso contro di loro. Danny si mosse, sempre tenendola sotto controllo visivo con la coda dell’occhio, e si avvicinò alla finestra, sistemandosi sull’altro lato d’essa rispetto ad Uther, e guardò fuori con attenzione.

Dovette seguire brevemente la linea della direzione dello sguardo di Uther per avere il suggerimento di dove cercare visivamente, e riuscì a individuare la sagoma del mezzo lupo in forma umana che aveva già visto bene poco prima: una delle loro sentinelle si era posizionata vicino ad un angolo di casa, e sebbene non fosse proprio in piena vista da quel loro punto di osservazione, uno scorcio del suo corpo era chiaramente visibile.

«Dov’è l’altra? Erano in due.» domandò subito, in tono serio e grave.

«Lo so.» replicò con tono calmo ma ugualmente serio e attento Uther «Li ho visti tutti e due, prima. Si sono mossi un bel po’ negli ultimi minuti, niente a che vedere con quanto abbiano fatto fino a prima, e neanche con come si comportavano quelli che li hanno preceduti. Poi, la tipa se n’è andata, con una certa fretta anche. Hanno anche parlato tra di loro. Un bel po’. Sembravano piuttosto nervosi…»

«Come si muovevano?» chiese Danny, socchiudendo gli occhi, mentre un principio lento e insinuante di sospetto si faceva strada in lui.

«Andavano su e giù lungo la strada, come se la stessero in qualche modo perlustrando. Se dovessi giudicare sulla base di come ti muovi tu…» Uther esitò appena.

«Fallo. E’ proprio così, giudica sulla base mia.» gli disse solo Danny, con telegrafica fermezza.

«Annusavano gli odori.» concluse allora Uther.

Danny girò di scatto la testa verso Nickj, con tale rapidità e con uno sguardo talmente incupito e agitato che lei sussultò un poco.

«L’odore del tuo sangue… Nickj, sanno certamente che sei qui.» le disse.

«Cosa?!» domandò lei, improvvisamente agitata e impegnata a cercare di non farsi prendere dal panico.

Danny si voltò completamente verso di lei, guardandola con attenzione e cercando di concentrarsi sullo studiare la sua reazione piuttosto che di lasciarsi prendere da un misto di rabbia e di empatica inquietudine. «Possibile che non tu non sappia che ci stavano sorvegliando? Era ovvio che avrebbero sentito l’odore del tuo sangue, è troppo forte, è una traccia chiarissima persino nel bel mezzo della città più trafficata che possa esistere su questo dannato pianeta… E gliel’hai lasciata proprio sotto al naso.»

«Come sarebbe che vi tengono d’occhio?! Ma perché??» strepitò lei, agitata, alzando la voce.

«Cosa succede?» domandò Ramo, uscendo precipitosamente dalla cucina, Valentine subito dietro di lui, non meno pronta a qualsiasi evenienza.

Danny mantenne lo sguardo fisso su Nickj, ma rispose loro, la voce percorsa da una scarica chiara di rabbia trattenuta «Le nostre sentinelle hanno sentito l’odore del suo sangue per la strada, sanno che è qui. Una di loro è andata a fare da staffetta per questa informazione all’accampamento. Ben presto tutti i mezzi lupi sapranno che lei è qui.»

«Io non lo sapevo!» esclamò Nickj, decisamente più arrabbiata e agitata che spaventata, nonostante tutto, sebbene il suo sguardo fosse inchiodato con inquietudine su Danny, paventando che potesse prendersela con lei in maniera più fisicamente aggressiva da un momento all’altro.

«E’ chiaro che non lo sapeva!» intervenne Valentine «Altrimenti non si sarebbe mai rifugiata proprio qui, no?»

Danny esitò, sorpreso da quel particolare che non aveva ancora calcolato esattamente, e scoccò un breve sguardo a Valentine, le sopracciglia aggrottate. Lei incrociò le braccia e lo fissò come se volesse delicatamente ma significativamente suggerire che aveva tralasciato un particolare non certo da poco.

«Quindi… ci attaccheranno?» chiese Ramo.

Danny strinse le labbra. Non poteva dirlo con sicurezza, ora come ora.

«Non lo faranno.» disse Nickj, scuotendo la testa con sicurezza «Lei ha detto…» ma si interruppe, spiando Danny di sottecchi con indecisione.

«Cos’ha detto Mara?» la incalzò a continuare lui.

«Che… chiunque di noi si azzardasse a toccare te o… lui…» e inclinò appena la testa per accennare in direzione di Uther «Avrebbe dovuto vedersela direttamente con lei… E ha specificato che non è sua abitudine dare una seconda possibilità…»

Cadde un denso silenzio, e quando poco dopo Danny lo ruppe, il suo tono era ancora più cupo, ma anche freddo e venato di sarcasmo amaro. «Già… Ha sempre voluto occuparsi di persona dei suoi omicidi… o quasi sempre…»

Il silenzio ricadde compatto sulle sue parole, mentre gli altri lo guardavano con sospensione.

Si sforzò di sgomberare la mente il più possibile, e di ritrovare un tono più fermo e un po’ più calmo, sebbene ancora serio.

«Mangiamo, ora. Credo che Nickj abbia perfettamente ragione. Non ci attaccheranno. In ogni caso, non daremo loro l’occasione di sorprenderci… per sicurezza.» e spiò brevemente in direzione di Uther, il quale annuì, sempre senza staccare gli occhi dalla sua sorveglianza della strada, muovendo appena le mani sul fucile per dare ad intendere che, oltre che essere perfettamente d’accordo con lui, era ancora perfettamente calato in quella sua versione di efficiente “professionalità”.

Quando voltò lo sguardo sugli altri, invece, Danny si trovò a sobbarcarsi il modo in cui tanto Ramo e Valentine quanto Nickj lo stavano guardando come se non si sentissero di poter fare altro che affidarsi in gran parte alle sue valutazioni e decisioni.

Se c’era qualcosa che Danny stava iniziando a detestare con ogni sua fibra d’essere, era quella sgradevole sensazione di essere considerato come la persona ‘in comando’. E non poté fare a meno di chiedere mentalmente a Kumals dove diavolo si fosse cacciato, perché se c’era una cosa di cui era certo, era che lui era fatto per poter avere autorità e guida solo su stesso, e giammai su qualcun altro.

 

 

Soundtrack: Run, run, run (Velvet Underground)

(no, non ho una particolare fissazione per i Velvet Underground, ma a quanto pare la loro sonorità mi suona in qualche modo bene da accostare ad alcune parti di questa storia)

 

Note dello scribacchiatore:

Solo un paio di cose, tutte totalmente facoltative da leggere.

Il titolo del capitolo non mi soddisfa completamente… Comunque, si riferisce a diversi aspetti di ‘sottigliezze’ in questo capitolo, e forse sarebbe valso anche uno ‘spigolosità’ piuttosto, ma tant’è :p

Il nome di Nickj è scritto in modo… singolare, un po’ strano direi, per via della ‘j’ finale. Non saprei dire bene perché ho scelto la ‘j’ piuttosto che una semplice ‘i’ o tutt’al’più ‘y’… mi è saltato fuori così e mi ci sono affezionato per questo personaggio, così l’ho tenuto. A seconda della lingua che si sta usando, la ‘j’ intende una diversa pronuncia: come una variante della ‘i’ in latino e italiano (tant’è vero che era chiamata ‘i lunga’, es. jena, jella, Jacopo,…), come ‘g’ ad esempio in inglese e americano (es. jeans), come una  sorta di ‘h’ per spagnolo e lingue sudamericane derivanti da esso (es. Javier o Alejandro). In questo caso consideratela come da pronunciarsi ‘i’. Prendete tutte queste mie “spiegazioni” con le pinze perché non me ne intendo tanto di linguistica, anzi! :p

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 26
*** 25 - Run, girl, run ***


Capitolo 25

(RUN, GIRL, RUN)

 

Sebbene si fosse seduto su una sedia e stesse come gli altri mangiando in un silenzio strano, in cui risuonava solo il rumore delle posate nei piatti, Danny non mancava di mantenere il suo sguardo su Nickj, spostandolo solo di tanto in tanto per spiare in direzione di Uther; quest’ultimo riusciva in qualche modo a sembrare naturale, nonostante stesse mangiando in piedi accanto ad una finestra, stesse mantenendo sotto attento controllo visivo l’esterno, e tenesse il fucile tra il fianco e il braccio con cui reggeva il piatto.

Nickj masticava molto lentamente, come se stesse cercando di assicurarsi che non ci fossero minuscoli frammenti di vetro tagliente nascosti nel cibo o di scovare nel gusto eventuale traccia di qualche veleno, e continuava a tenere sott’occhio Danny senza tregua, probabilmente in qualche modo ancora convinta che niente le potesse assicurare che lui non avrebbe potuto decidere all’improvviso e su due piedi di attaccarla.

Quando Valentine le aveva allungato il suo piatto, Nickj aveva passato qualche lungo secondo senza muovere altro  che le pupille, spostando il suo sguardo sospettoso dal viso di lei al piatto come se stesse cercando di decidere esattamente quale tipo di significato si potesse attribuire a quel gesto. E solo quando Valentine aveva sbuffato, tra l’esasperato e l’offeso, per poi esclamare ‘Guarda che non è avvelenato! Oh, santo cielo…!’, e per dare credito alla sua affermazione si era infilata una generosa forchettata di cibo in bocca e aveva masticato e inghiottito enfatizzando il gesto mentre la fissava con le sopracciglia alzate, Nickj si era decisa a prenderle il piatto di mano, sbuffando a sua volta sonoramente e con non meno esasperazione.

Nonostante ciò, Danny aveva notato il modo in cui la ragazza li aveva fissati per un poco, con aria tra l’incredulo e l’ancora sospettoso, mentre loro si sistemavano seduti e iniziavano a mangiare, prima di decidersi ad iniziare ad assaggiare cautamente la sua razione, pur senza smettere di spiarli di sottecchi al di sopra del suo piatto, come se non riuscisse a capacitarsi del tutto della scena di cui si trovava a far parte.

Danny ne avrebbe quasi potuto ridere. Ricordava quella sensazione, e vedere quell’atteggiamento dall’esterno, si rese conto, era effettivamente piuttosto divertente. Doveva essere proprio così che poteva essere sembrato con ogni probabilità lui, quando aveva iniziato a frequentare Kumals, Yuta, Zoal e Uther: qualcuno che non riesce a capacitarsene. Ma col tempo, in qualche modo, si riusciva a capacitarsene eccome, volenti o nolenti; si era costretti ad arrendersi alla realtà di come stavano le cose nella loro spontanea naturalezza, lì tra loro, per quanto potesse sembrare assurdo.

‘La realtà è molto spesso più assurda di come potremmo mai riuscire ad immaginarcela.’ ricordava di aver sentito dire a Kumals una volta.

‘Specialmente la nostra.’ ricordava che aveva commentato Uther, per ridimensionare con l’ironia quelle specie di affermazioni altisonanti che tirava fuori Kumals ogni tanto; come era d’abitudine per Uther, aveva iniziato a scoprire Danny da un certo punto in poi che li conosceva. Fin dall’inizio gli erano sembrati due tizi perfettamente accoppiati per tenersi testa sul piano verbale, nemmeno avessero un loro copione, non proprio studiato o accordato, quanto piuttosto imparato a forza di ripeterlo, come uno scambio di battute che avevano trovato un giorno per caso e avevano scoperto che aveva un modo ottimamente scorrevole di funzionare. Invece, a quanto pareva non c’era nessun copione. E Uther aveva ragione almeno quanto Kumals: se la realtà era assurda, quei due assieme erano la perfetta dimostrazione concentrata di quanto poteva esserlo, anzi, sembravano voler fare a gara con la realtà per enfatizzarne l’assurdità e vincere il primato contro di essa, aveva ponderato allora tra sé e sé Danny, quando ancora stava cercando di mandare giù – in un modo o nell’altro – il fatto che quei due fossero reali.

Quando ebbe terminato di mangiare, Danny appoggiò con calma il suo piatto vuoto sul tavolo accanto a lui. Anche Nickj aveva finito di mangiare, e il suo piatto giaceva per terra accanto a lei.

«Allora… perché sei venuta proprio qui?» esordì Danny, in tono più calmo e paziente, ma non particolarmente meno perentorio di quello che aveva usato prima.

Lei lo fissò dritto in viso, poi voltò lo sguardo altrove. «Non… sapevo dove altro andare.» confessò, con aria irritata per averlo detto.

«Va bene.» concesse Danny, dopo qualche istante di silenzio riflessivo «Cosa ti è successo?»

Ma lei tacque, stringendo le labbra con determinazione, come se fosse pronta a subire una tortura piuttosto che dire ancora qualcosa. Danny sospirò, lasciando ricadere la testa in avanti, sconfortato.

«Beh… io e Valentine intanto sparecchiamo e laviamo i piatti…» annunciò significativamente Ramo. Valentine sembrò comprendere immediatamente cosa intendeva, ed entrambi provvidero a raccogliere piatti e posate, prima di dirigersi in cucina.

Sulla soglia della cucina, tuttavia, Valentine sembrò essersi improvvisamente ricordata di qualcosa, perché si fermò e si voltò verso la giovane mezzo lupa.

«Se hai bisogno di qualcosa, tesoro, chiedi pure. Se hai ancora fame, o sete. Per qualsiasi cosa chiedimi pure.» le disse, sottolineando implicitamente che avrebbe fatto in modo di assicurarsi di procurarle ciò che avrebbe chiesto, e che di lei poteva fidarsi per questo. Come a sottolineare maggiormente il concetto, scoccò uno sguardo deciso a testa alta in direzione di Danny, quindi andò in cucina e si accostò la porta alle spalle, muovendosi con la schiena particolarmente dritta e un contegno specialmente dignitoso e sicuro di sé.

Danny notò il modo in cui lo sguardo di Nickj era rimasto sospeso a mezz’aria nel punto dove era sparita Valentine, un sopracciglio decisamente alzato, e l’aria quanto mai perplessa e scetticamente incredula. Prima di rendersene conto, Danny stava rivolgendo uno sguardo di sogghignante e divertita intesa complice verso Uther, e trovò un’espressione speculare a ricambiare la sua. Poi, entrambi sembrarono ricordarsi di colpo di quanto era successo nelle ultime ore, e tornarono a rivolgere i loro sguardi puntualmente l’uno sull’esterno della finestra, e l’altro su Nickj.

«Se hai pensato di cacciarti proprio qui da noi… doveva essere una situazione davvero d’emergenza quella in cui sei incappata…» accennò Danny, di nuovo tentando di farla parlare.

Ma lei tacque.

«Se non sappiamo cosa ti è successo, non possiamo nemmeno aiutarti… non credi?» provò ad osservare con gentile ragionevolezza Uther.

Nickj emise un verso di infastidito sarcasmo. «Chi ha mai detto che ho bisogno del vostro aiuto?»

Fu Danny a quel punto ad emettere un breve suono di ironica risata, e Nickj si voltò a guardarlo con aria corrucciata.

«Dubito che tu possa aver pensato di voler diventare nostra amica, auto-invitandoti qui da noi in questa situazione. Inoltre… per quanto tu sia giovane… come mezzo lupa intendo… dovevi essere veramente sconvolta, per esserti infilata qui dentro senza nemmeno sentire l’odore dei mezzi lupi che sono stati piazzati a sorvegliare questa casa…» notò Danny, con attenta lentezza e precisione.

Come aveva sperato, ottenne da lei una reazione più vivace, perché le vide accendersi negli occhi la rabbia e le labbra tremolare un paio di volte nel mostrare l’istintivo stimolo di arricciarsi per scoprire un poco i denti.

«Come pensi di poter giudicare un mezzo lupo tu che sei…» iniziò a rispondergli, la voce carica di rabbia a stento trattenuta, che tuttavia le si spense bruscamente in gola quando esitò di colpo.

«Già. Secondo le vostre definizioni e giudizi, sarei un… com’è esattamente? Un ‘lupo auto-rinnegato’ o qualcosa del genere.» completò Danny, senza scomporsi. Ormai conosceva la solfa praticamente a memoria. «E questi altri sono esseri umani, praticamente come l’acqua santa per il demonio – o viceversa, che dir si voglia – rispetto a voi e dal vostro punto di vista. Dunque, sbaglio nel pensare che dovevi essere veramente disperata per decidere di infilarti proprio qui dentro?»

«Ma che cosa ne vuoi sapere tu?!» ribatté lei, alzando un poco la voce tremante di rabbia.

Senza darlo a vedere, Danny stava acquisendo quanto più riusciva a farla arrabbiare come punti bonus in suo favore: se farla arrabbiare era l’unico modo per farla parlare, così fosse…

«A meno che…» continuò, implacabile nel suo tono tranquillo ma preciso e incisivo nello scandire ogni parola «…la cosa non possa avere una sua logica, dopotutto. In fin dei conti, siamo le uniche persone che sappiano esattamente dell’esistenza di quella specie di tendopoli di mezzi lupi e di tutto il resto… e le uniche che, nonostante questo, non se la sono né data a gambe, né si sono unite al piano per la conquista del mondo.»

Nickj borbottò in tono corrucciato qualcosa come «Non darti tante arie…», mentre incrociava le braccia sul petto con fare ostinatamente scorbutico, e lui sentì un sorrisetto divertito spuntargli appena sulle labbra, e percepì il breve e sommesso verso di fugace risatina sogghignante di Uther.

«Stai scappando dagli altri, vero Nickj?» le domandò, di punto in bianco, in tono calmo e basso.

Lei spiò brevemente verso di lui, ma strinse ancora di più le labbra, ora con evidente nervosismo, e non disse nulla.

«Perché ti hanno attaccato…?» mormorò ancora Danny, con paziente cocciutaggine.

Nickj allora voltò di scatto uno sguardo bruciante e alterato verso di lui. «E’ solo colpa tua. Tutto questo… tutto quanto, è solo e soltanto colpa tua.» affermò, la voce di nuovo tremante di rabbia. Ma l’odio che cercava di provare, parve a Danny, non riusciva a credere fino in fondo a se medesimo.

«Perché? Che cosa ho fatto, esattamente, io?» domandò, sempre con calma.

Ma Nickj scosse la testa, come se volesse scacciare la domanda senza rispondervi, e sembrò riprendere il controllo di sé, distogliendo di nuovo lo sguardo e sorridendo appena con grande sarcasmo e profonda amarezza.

«Ancora non capisco come tu possa fidarti di una manciata di esseri umani…» commentò, il disprezzo intaccato da sincera curiosità tuttavia. Il suo sguardo stava ponderando Uther come se ritenesse che non ci potesse essere niente di interessante in lui, nonostante qualcuno potesse dichiararsi sicuro del contrario.

«Oh… non lo so…» rispose Danny, il suo tono improvvisamente leggero e quasi scherzoso nel fingere di ponderare la cosa come un argomento sul quale non gli era mai capitato di riflettere sul serio «Credo che sia perché questi esseri umani non sono affatto male per essere degli umani, a modo loro e la maggior parte delle volte perlomeno.»

Pur senza distogliere lo sguardo dal sorvegliare la strada fuori dalla finestra, Uther sorrise piegando il labbro in un sogghigno divertito; Nickj cacciò un sonoro sbuffo irritato.

«Tu la fai troppo semplice!» gli replicò, infastidita dal suo tono scherzoso.

Lui la guardò attentamente negli occhi, lo sguardo serio, sebbene il sorriso non avesse abbandonato il suo volto e fosse mutato in un inizio di offerta di gentilezza. «Forse perché a volte le cose sono così semplici.» disse «O forse, perché se tanto mi da tanto, sono ormai abbastanza convinto che l’individualità possa contare di più del fatto che si sia stati trasformati in mezzi lupi oppure no.»

Nickj si mosse un poco, come per mettersi più comoda, ma a disagio. «Parli di nuovo come l’altra sera. Come se tu dovessi saperne sempre di più degli altri, no? Ma da che sono stata creata, ho imparato che gli esseri umani, se mai sapessero che cosa siamo, non perderebbero tempo in chiacchiere. Ci ucciderebbero e basta, magari con fucili come quello che porta questo qui…» e spiò brevemente in direzione di Uther, il quale si limitò a gettarle un rapido sguardo assai scettico e gentilmente divertito.

Danny si portò una mano all’orlo della maglietta e la alzò quel tanto da mostrare la cicatrice di uno sparo che lo aveva colpito di striscio al fianco. Nickj fissò lo sguardo sulla ferita, e spalancò appena gli occhi, attonita, prima di tornare a guardarlo in faccia, stupita.

Danny si riabbassò la maglietta. «Questo è un colpo del fucile di Uther. Sei mai stata colpita da uno sparo, Nickj

«No.» rispose con decisione lei, guardandolo come se fosse pazzo. «E se fosse successo, di certo non sarei rimasta in amichevole compagnia di chi mi aveva sparato…» sottolineò in tono tetro.

«Ne sono sicuro. Ma… la realtà ha molte più incongruenze di quelle che potremmo dipingerci senza averla vissuta, io credo. Tu, ad esempio, ti sei ritrovata a dover tagliare la corda dopo essere stata attaccata da quelli con cui ti eri alleata, dopotutto. Non è forse così?» replicò Danny, senza battere ciglio.

Lei tacque, spiandolo dal basso all’alto di nuovo con aria corrucciata e generosamente percorsa da un torrente a malapena arginato di rabbia tenuta a stento a bada dall’esplodere.

Danny sospirò appena, e riprese a parlare. «Noi siamo mezzi lupi. Non siamo né esseri umani né lupi, forse entrambe le cose in qualche modo. Dovremmo saperne meglio di molti altri, a proposito di incongruenze. Tuttavia, non credo che possiamo essere particolarmente segnati a dito per la nostra capacità di essere irreprensibili nelle nostre condotte di vita, a meno che non ci iscriviamo il cervello a qualche ‘grande causa al di sopra di tutto’. Il che, non ci rende così distinguibili da un fervente credente in qualsiasi scemata religiosa umana, in fondo, non credi?»

Nickj emise un verso di scherno sarcastico. «Non è questione di religione. E’ questione di chi attacca per primo chi. Gli esseri umani non ci penserebbero due volte a cercare di sterminarci, se sapessero che esistiamo. Perché dovremmo rimanere ad aspettare che accada, ad aspettare di essere fatti fuori tranquillamente l’uno dopo l’altro, quando potremmo attaccare per primi ed eliminare la minaccia prima che si scateni su di noi?»

Danny mosse di nuovo la sua mano verso la cinta dei pantaloni, e con gesti lenti estrasse una delle sue pistole e se la appoggiò sul ginocchio, la canna puntata verso di lei. Nickj si irrigidì e si appiattì contro il muro alle sue spalle, mentre il suo sguardo diventava improvvisamente incandescente di ferocia, e un cupo brontolio basso e gutturale iniziava a rimbombarle lentamente in corpo, arricciando appena le labbra per scoprire i denti.

«Un principio impeccabile. Se lo seguissi, ti avrei uccisa appena ti ho vista qui dentro. Perché avrei dovuto rischiare che tu fossi in combutta con gli altri e finissi per farci uccidere tutti approfittando della tua posizione qui dentro? A dir la verità, per essere proprio del tutto sicuro, potrei ancora farlo e togliermi ogni singolo dubbio…» notò Danny, con fredda calma. Sentì lo sguardo di Uther puntato su di lui, uno sguardo fortemente dubbioso, ma si sforzò di ignorarlo.

«Credo sia molto umana, questa faccenda di eliminare meticolosamente ogni potenziale rischio, anche senza sapere bene di che si tratta, per puro e semplice terrore irrazionale di chissà quale tragedia potrebbe provocare a nostro svantaggio. Se ci fosse qui una certa persona che conosco, potrebbe sicuramente passare delle ore a tenere un convegno tutto per te su come intere politiche contemporanee sfruttano esattamente questo meccanismo.» continuò, riferendosi a Kumals «Ma, dopotutto, l’hai detto bene tu stessa: se gli esseri umani sapessero della nostra esistenza, probabilmente si comporterebbero proprio così, almeno la stragrande maggioranza di loro, almeno chi di loro ha armi e potere per farlo ad ampio raggio, ottenendo il benestare e/o la complicità timorosa degli altri. Gli esseri umani sono molto bravi anche a temersi gli  uni con gli altri senza nemmeno conoscersi, hanno un ottimo grado di paranoia taluni, e a volte non è che non abbiano buoni motivi per essersi ridotti così. Dunque, alla fine, non è forse questo il punto? Non il ‘chi colpisce per primo vince’, ma ‘chi colpisce per primo si mostra più umano’? Trovo… non so, strano e contorto, da parte di un qualsiasi mezzo lupo, cercare di dimostrarsi più umano degli esseri umani, mentre nel contempo afferma di non essere paragonabile all’umanità che ritiene feccia.»

Il silenzio seguì compattamente le sue parole. Gli occhi di Nickj rimasero puntati sulla pistola, finché Danny non decise di rimettersela alla cintola, guardandola come se volesse darle ad intendere che era stato sciocco da parte sua pensare che le avrebbe sparato sul serio.

«Forse io sarò anche un mezzo lupo che porta le pistole, ma a differenza vostra, non ho mai pensato che fosse il caso di usarle per sterminare un’intera specie per evitare chissà quale ecatombe di una specie a cui dovrei sentirmi fedelmente appartenente. Io sono cresciuto… come mezzo lupo, nelle foreste… e tutte queste… cose… a me sembrano sempre e solo delle cazzate da delirio. Si vede che, tra tutti i deliri che ho potuto eventualmente collezionare qui e là nella mia vita, questo mi è mancato.» disse ancora.

Dopo un poco, Nickj scosse piano la testa, e infine mormorò «Non so proprio che cosa ci faccio qui… ma… se non altro, potresti risparmiarmi queste filosofie spicciole, per favore?»

Uther cercò di mascherare un accenno di risatina con un colpo di tosse, riuscendovi piuttosto male, e Danny aggrottò appena le sopracciglia, anche se non poteva negare che come commento era piuttosto divertente, e che forse se lo era meritato.

«Penso di poterlo evitare, sì.» si decise infine a risponderle, borbottando.

Nickj annuì, di nuovo lo sguardo rivolto al nulla. Dopo qualche altro istante di silenzio, tuttavia, Danny la vide cercare di rimanere rigidamente ferma nonostante un tremito l’avesse scossa, e poi notò che alcune lacrime iniziavano a scenderle lungo le guance. Ne fu colto di sorpresa e destabilizzato, senza riuscire a capire che cosa fosse meglio fare a quel punto, e fu tentato di chiamare Valentine in supporto. Ma qualcosa gli diceva che essere travolta da un fiume di materno tentativo consolatorio e preoccupato non avrebbe bendisposto quella ragazza, al momento.

«Sai…» disse Nickj dopo un poco, il tono poco più che un sussurro, ancora irato però «E’ proprio per queste cazzate che vai dicendo in giro che ora mi ritrovo in questo schifo di situazione.»

«A dire la verità…» mormorò di rimando Danny, tentando un accenno di scherzo «…era molto peggio prima che arrivassero Ramo e Valentine. Soprattutto il pavimento.»

Nickj lo fulminò con un’occhiataccia, e Danny si morse una guancia, rivolgendole un accenno di timida scusa con lo sguardo.

«Perché ti hanno attaccato…?» le domandò di nuovo, il tono ormai basso e rassegnato ad un eventuale altro suo rifiuto di rispondere, specialmente quando la vide voltare di nuovo altrove lo sguardo.

«Dopo quello che hai detto ieri notte… là in quel capannone…» iniziò lei, rompendo dopo un poco il suo silenzio e parlando a fatica. Danny la fissò sorpreso, e persino Uther le lanciò un breve sguardo incredulo. Ormai non ci speravano più, in effetti.

«Io… oh, non so, ecco! Era una sensazione… fastidiosa, che non se ne andava più via. Era come se qualcosa in quello che avevi detto mi si fosse infilato in testa. Un tarlo che scavava gallerie. E non riuscivo nemmeno a capire di che cosa si trattava. Voglio dire, a ben pensarci, a ripensare alle parole in sé  che ci avevi detto, sembravano né più né meno che sciocchezze da un vecchio che fa la paternale pensando che quello che dice abbia un senso ineccepibile, come una decrepita verità che è convinto di aver imparato con la sua intoccabile e sacrosanta esperienza…»

«Ok, ok… hai reso l’idea…» la interruppe Danny, cercando di non suonare particolarmente corrucciato, nonostante dall’altro lato la viva sensazione che Uther stesse sorridendo con compiaciuto divertimento mentre non lo guardava fosse abbastanza forte da fargli pizzicare la nuca tra l’impulso di prendersela e quello di riderne.

Nickj lo guardò, apparentemente riprendendosi dall’aver perso il filo nel tentativo di descrivere qualche cosa di ancora inafferrabile per lei, e leggermente incredula e irritata per l’interruzione, anche se poi un accenno di sorrisetto impertinentemente soddisfatto le incurvò appena le labbra. Tornò tuttavia ben presto seria, riprendendo il suo contegno scontrosamente fiero, e si sistemò più comodamente contro la parete alle sue spalle, abbracciandosi mollemente le gambe con le braccia.

«Ho provato a riparlarne con gli altri. Con…» esitò, e inghiottì saliva «Con Mitch. Ma…» e la sua voce si spense, sostituita da un verso stizzito e irritato, e Nickj si agitò e girò lo sguardo intorno, storcendo l’espressione come se qualcosa la nauseasse.

«Immagino che nessuno in quell’accampamento potrebbe prendere bene il fatto che qualcuno sia rimasto in qualche modo… colpito… dalle parole del ‘lupo rinnegato’ per definizione…» tentò di indovinare Danny, cercando di indurla a proseguire.

Lei lo fissò nettamente in viso, aggrottando le sopracciglia «Beh, non sono completamente idiota!» obbiettò «Naturalmente, facevo in modo di  dirla come se tutto quello che avevi detto non potesse essere altro che una sciocchezza. Io ero convinta che lo fosse! Ma quando tentavo di sviscerare esattamente quello che avevi detto con gli altri, beh, mi guardavano e mi rispondevano come se loro non ti avessero ascoltato affatto, come se avessero automaticamente pensato che sicuramente stavi dicendo cose per niente interessanti, e trovavano strano che io ci pensassi ancora. Capisci? Dopo un secondo che eri sparito, era come se non avessi detto loro niente.»

«Bene… sai com’è, sempre felice di sapere che ho passato minuti interi in monologhi che qualcuno può dimenticarsi dopo una frazione di secondo…» borbottò Danny, ironico.

«Mpfh. Ad ogni modo, loro erano solo tutti eccitati di poter andare a dire a Mara che ti avevano incontrato, e che c’era con te anche l’umano…» continuò Nickj.

«Uther. Chiamalo così. E’ peraltro anche il suo nome. E d’altro canto, qui ce ne sono ben tre di esseri umani, quindi potrebbe creare confusione ad un certo punto se li chiami tutti allo stesso modo…» accennò Danny.

La ragazza gli lanciò uno sguardo decisamente storto.

«Perché erano così contenti di poterlo raccontare a Mara? Cos’è, ha per caso promesso una saponetta a chi le porta notizie di nostri avvistamenti?» chiese Danny.

«Una saponetta…?» gli giunse la voce di Uther, piuttosto divertita, e con un accenno di curiosità.

«Quell’accampamento non ha l’aria di poter permette di mantenere facilmente un certo grado di igiene…» spiegò Danny per esplicitare la sua scelta ironica.

«Oh, giusto.» commentò Uther.

Nickj li stava guardando come se fossero impazziti, poi emise un verso di stizzito sarcasmo. «No, non ha chiesto a nessuno niente del genere, lei. Ma loro erano convinti che se le avessero portato quella notizia, sarebbe stata loro… grata in qualche modo… che ne so, li avrebbe tenuti maggiormente in considerazione, distinti da tutti gli altri dell’accamp… del branco.» terminò, mostrandosi un po’ irritata verso l’errore che aveva rischiato nel nominare esattamente la natura del loro insediamento, e avendo ben notato il rapido ma inequivocabile accenno di sorrisetto che era passato sul volto di Danny nell’udirla.

«Comunque sia…» proseguì poi, alzando le spalle come se quello che stava dicendo non fosse niente di così interessante dopotutto «Ho provato ancora a parlarne, ma… sembrava davvero che per loro non avesse alcuna importanza cosa avevi detto. Eri solo il guastafeste di turno. Poi… più tardi… prima… stasera… » esitò, la voce le si spense, e lei si morse le labbra.

Stavolta, Danny non fece nessun tentativo di farla continuare. Si limitò ad aspettare pazientemente, rimanendo in silenzio.

Dopo qualche altro istante, Nickj riprese, anche se il suo tono era diventato sommesso e distante, come il suo sguardo che sembrava persosi a fissare il nulla.

«C’era un uomo. Aveva forato, bucato la gomma dell’auto. Era in mezzo ai campi… in mezzo al nulla insomma. Lo abbiamo trovato mentre facevamo un giro. Stava scendendo la sera e… gli altri erano tutti su di giri… Tu sai com’è… quando… la senti anche tu, no? Quando scende la sera, è come se l’oscurità fosse un’alba, in realtà… c’è questa adrenalina che ti scorre nelle vene, e ti viene voglia di correre con tutte le tue forze, o qualcosa del genere. E questo tipo… beh, Mitch gli ha chiesto se voleva una mano. Ma quell’uomo ci ha guardati, ci ha… sai, squadrati a quel modo, come se prendesse le misure di chi avrebbe deciso che eravamo. Poi ha detto che non aveva bisogno di aiuto, e ha ringraziato, ma era sarcastico un po’. Mitch gli ha chiesto che cosa volesse dire con quel tono, e quello gli ha risposto ridendo che probabilmente nessuno di noi aveva nemmeno idea di che cosa volesse dire sporcarsi le mani con i lavori pesanti. Era di quelle persone che sai… insomma, pensano che i giovani non siano buoni a nulla, specialmente se sembrano un po’… non so, credo, quelle persone che giudicano dai vestiti e roba del genere. Ma Mitch… ha sorriso…» Nickj ebbe un leggero tremito, poi il suo sguardo si rabbuiò.

Anche lo sguardo di Danny si era decisamente oscurato. Aveva già una vaga idea di come poteva finire quella storia. Nickj continuò a non dire nulla, così fu lui a chiedere, infine «Nickj… che cosa è successo a quell’uomo…

Lei voltò su di lui lo sguardo di scatto, gli occhi selvaggiamente spaventati e disperati, ma lo fissò con una decisione incrinata dalle lacrime trattenute a fatica.

«Forse avrei potuto fare qualcosa di più…» mormorò alla fine, stringendo poi le labbra tra di loro.

Danny abbassò la testa e la scosse appena. Quando la rialzò, la guardò con fermezza grave.

«Eri in minoranza. Puoi essere molto brava a batterti, ma eri da sola contro più di uno.» le disse.

«Lo so bene!» ribatté lei, infastidita e senza pace, voltando la testa per non guardarlo più, e mordendosi il labbro inferiore. «Ma io non ho proprio cercato di fermarlo… sapevo che cosa gli stava venendo in mente… quando sorride in quel modo. Tuttavia… io pensavo solo che se fossi riuscita a proporre qualcosa di diverso, di più divertente, sarei riuscita a convincerlo ad andarcene e basta. Ma non sono stata abbastanza veloce… non mi è venuto in mente niente altro… e noi non possiamo andare in città, qui in mezzo alla gente, a fare troppo casino. Mara gli staccherebbe la testa, a tutti quanti loro, se si azzardassero a fare troppo scompiglio ora, e loro lo sanno molto bene.»

Aggrottò la fronte, riflettendo su qualcosa che sembrava tormentarla. «Ma quell’uomo… era solo un idiota qualsiasi che giudica dalle apparenze e ha le sue stupide idee a riguardo dei giovani o che ne so e… insomma, non ci aveva fatto nemmeno niente di male!»

«Che te ne importa? Dopotutto, era solo un essere umano… giusto?» ribatté Danny improvvisamente, con voce dura.

Nickj lo guardò incredula, poi lo fulminò con lo sguardo «Che diavolo vuoi dire? Non per questo…»

«E’ morto?» la interruppe Danny, la voce netta e tagliente.

Nickj spalancò gli occhi, poi la rabbia la travolse di nuovo, e riprese a gridare «Sì! Sì, è morto! Certo che è morto! E io non ho potuto farci niente!»

Danny si chinò in avanti sulla sedia, guardandola attentamente. «Perché avresti dovuto? Ti sei unita ad un gruppo che vuole che tutti gli esseri umani facciano quella fine, sbaglio? Perché scandalizzarsi per uno in più e un po’ in anticipo? Una gomma bucata, una parola di troppo, uno stupido commento, e poteva anche non esserci niente di questo… ma non lo meritava in quanto essere umano?»

«Io ho cercato di fermarli! Ci ho provato! Non ci sono riuscita! Ma non avrebbero dovuto… perché per qualcosa di così stupido…! Io non volevo che morisse!» urlò di rimando lei, irata.

«No, non sei così.» concluse Danny, tornando ad appoggiarsi all’indietro sulla sedia «Non sei come loro. E per questo ti hanno attaccato.»

Nickj tacque e si irrigidì, fissandolo ad occhi spalancati.

«Diversità… hai detto che è quella la base sulla quale quell’uomo vi aveva giudicati. Dopodiché, è esattamente quello che hanno fatto anche i tuoi compagni, con la differenza che loro erano pronti a eliminare la tua diversità… in un modo o nell’altro…» mormorò ancora Danny, esalando le parole come in un sospiro stanco, guardandola dall’alto in basso come se potesse vederla da una prospettiva più chiara ora.

«Mitch non mi avrebbe mai fatto veramente del male…» sussurrò Nickj, fissando il pavimento, con caparbietà traballante.

«No… non a te…» mormorò Danny, significativamente, e la vide spalancare gli occhi e rimanere come fulminata sul posto, nel realizzare precisamente il punto che lui aveva colto.

Danny sospirò di nuovo, chiudendo gli occhi per un momento. «E’ il tuo ragazzo?»

Nickj gli lanciò uno sguardo irritato. «Sono affari tuoi?»

«No. Sono assolutamente affari tuoi. Ma visto che sei piombata qui dentro scappando dopo che lui e i suoi amici ti hanno attaccato, non mi dispiacerebbe capire se c’è l’eventualità che tra qualche ora tu decida di dargli un’altra possibilità e di tornare da loro, giusto perché abbiano l’opportunità di finire quello che hanno iniziato.» ribatté Danny, conciso, guardandola negli occhi.

«Loro… Mitch non arriverebbe mai a tanto! Non mi aveva mai fatto del male prima!» insistette Nickj, guardandolo come se fosse ammattito.

«Nickj…» iniziò Danny, con tatto «Ti sei appena infilata dentro all’appartamento del ‘lupo rinnegato e i suoi amici umani’… Forse hai ragione, forse Mitch e gli altri non sarebbero mai capaci di farti di peggio di quanto abbiano già fatto, posto che mi sembra più che sufficiente per decidere qualcosa a proposito dei futuri rapporti che potresti avere con loro, ma… qualcun altro lo farà.»

«Intendi…?» mormorò lei, di colpo decisamente inquieta.

«Non lo sapevi fin da quando sei venuta qui?» ribatté Danny, rivolgendole un accenno di sorriso gentile «Non sei corsa al villaggio… accampamento, branco, quello che è. Non sei corsa a chiedere aiuto a loro. Perché sapevi bene che, se gli altri laggiù fossero stati costretti a giudicare sulla base di quello che potevate portare a vostro favore tu e Mitch & co., la posizione più svantaggiosa sarebbe stata la tua…»

«Mara ha chiaramente detto che è vietato attaccarci tra di noi troppo sul serio.» obbiettò la ragazza «E poi, non credo che sarà affatto contenta di sapere quello che hanno fatto loro…»

«Ma tu saresti stata accusata di esserti scandalizzata per l’uccisione di un essere umano, e… forse soprattutto… di esserti lasciata influenzare dalle… scempiaggini che va dicendo il famigerato ‘lupo rinnegato’…» le fece notare Danny, accennando un sorriso di scherzo lieve.

Nickj lo guardò in silenzio per un po’. Alla fine, prese un lungo respiro, e sembrò cercare di trovare nuova lucidità e fermezza. «Non posso tornare là, in ogni caso, non è vero?»

Danny strinse appena le labbra, corrucciando le sopracciglia, pensieroso. «Avresti voluto tornare?»

Lei lo guardò con intenzione. «E dove altro potrei andare, ora…?»

«Oh, beh… ora sei qui…» disse allora Danny, sospirando appena, e passandosi una mano dietro la nuca, riflettendo «E poi… beh, credo di avere un’idea che potrebbe interessarti…»

Uther distolse per un momento lo sguardo dalla finestra per rivolgere uno sguardo interrogativo e incuriosito a Danny, il quale tuttavia stava semplicemente contemplando lo sguardo tra il sospettoso e lo stupito e il sempiternamente scontroso di Nickj, e aveva l’espressione di chi sta imperscrutabilmente e pacificamente mantenendo per sé la sua idea.

 

 

Soundtrack: Go let it out (Oasis) – perché mi piace il ritornello, e perché alcune parti qui e là nel testo che me l’hanno fatta in qualche modo abbinare al personaggio di Nickj e alle tematiche in gioco in questo capitolo (ma sì, tenete sempre presente che potrebbero essere richiami che hanno senso solo per me, e in ogni caso il “soundtrack” rimane SEMPRE facoltativo per chi legge ;) )

 

 

Note dello scribacchiatore:

Niente di particolare da aggiungere (approfittatene per tirare un sospiro di sollievo! :p).

Solo una nota tecnica: la rilettura (alias correzione ultima) di questo capitolo l’ho fatta giorni fa (in cui siccome ero impazzito… no, in realtà perché avevo un po’ di tempo e abbastanza concentrazione, ho riletto 3 capitoli in blocco. Alé, crepi l’avarizia!), quindi dovrebbe essere tutto abbastanza a posto, ma come al solito se per caso qualcosa non si capisce o è proprio scritta male (o peggio del mio solito, diciamo), tutti/e liberissimi/e di farmelo notare come volete e meglio credete.

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 27
*** 26 - Un luogo sicuro ***


Capitolo 26

(UN LUOGO SICURO)

 

Valentine entrò nel salotto con passo deciso e marziale, impugnando un bicchiere di tè freddo e un piatto pieno di biscotti di gusti assortiti da supermercato. Danny la guardò distrattamente mentre si fermava di fronte a Nickj, si metteva in ginocchio sul pavimento e le porgeva tè e biscotti con fare praticamente irrifiutabile.

«Ecco qua, tesoro! Lo sai che sei magra da far paura?» le disse.

Nickj la fissò con tanto d’occhi, lanciò più di un’occhiata incerta e perplessa a tè e biscotti, e infine guardò in direzione di Danny con uno sguardo decisamente alla ricerca di collaborazione, qualcosa che assomigliava molto ad una muta richiesta di ‘farla smettere, qualsiasi cosa quell’umana stesse facendo’.

Danny si limitò a sorriderle candidamente, comunicandole così che se la doveva sbrigare da sola.

Nickj prese il tè e i biscotti dalle mani di Valentine, e sembrò cercare di soppesare con fatica tra sé e sé qualcosa da dire anche se le avrebbe richiesto uno sforzo notevole, ma l’altra si era già rialzata in piedi, e si stava rivolgendo a Danny, il quale fece prontamente sparire dalla sua faccia ogni ombra di sorrisetto.

«Spero che anche tu ti sia meritato del tè e dei biscotti…» gli disse.

Danny la guardò con vivo stupore, mentre Uther esclamava con uno dei suoi più zuccherosi toni da affascinante faccia tosta «Io sì, me li sono meritatissimi!» e Ramo, rimasto sulla soglia della cucina, intervenne prontamente «Ce ne sono per tutti, ad ogni modo.»

Di lì a pochi minuti dopo, Valentine si era sistemata seduta per terra di fianco a Nickj, mangiucchiando biscotti e cercando di chiacchierare con lei, apparentemente decisa ad ignorare ogni segnale la ragazza tentasse di inviarle riguardo al disagio che quel comportamento le faceva provare. Danny spiava la scena con la coda dell’occhio di tanto in tanto, fumando una sigaretta accanto alla finestra, e sorridendo appena tra sé e sé; era come una specie di dejà-vou, quella scena, per lui. Sembrava essere stato un sacco di tempo prima…

Di fianco a lui, Uther e Ramo sgranocchiavano i biscotti che pescavano dal piatto in comune, guardando fuori dalla finestra, con due espressioni assai diverse: mentre Uther mostrava la nonchalance di chi sta guardando un programma televisivo piuttosto noioso perché non c’è niente di meglio da vedere sugli altri canali, Ramo aveva un’aria decisamente corrucciata, che contrastava bizzarramente col suo riuscire allo stesso tempo a mangiare un biscotto dietro l’altro pescandoli dal piatto senza nemmeno guardare.

Danny decise di agguantare un altro biscotto prima che quei due li facessero fuori tutti a quella velocità, e con la bocca ancora mezza piena domandò «Allora, che movimenti ci sono stati qui fuori nell’ultima mezz’ora o giù di lì?»

«Una delle sentinelle se n’è andata. È tornata dopo una decina di minuti insieme ad un altro, come vedete ora sono in tre. Ma non sembra che sia cambiato molto altro da prima. A me sembra che abbiano pressappoco lo stesso modo di fare delle ultime ore: annoiati per dover stare fermi per ore a non fare niente altro che tener sott’occhio la casa.» riferì Uther.

«Già. La noiosa ripetitività dei turni di lavoro. C’è chi dice che è per questo che gli incidenti nucleari non possono essere evitati.» commentò Ramo. Uther e Danny lo spiarono solo per un istante con la coda dell’occhio, poi si scambiarono uno sguardo fugace e rapido tra di loro, evidentemente prendendo la comune decisione di non fare alcuna osservazione a riguardo.

«Tranne che…» proseguì Uther «Ora sembrano un poco più… irritati, direi.» e c’era un che di leggermente soddisfatto nel suo tono, come se gli fosse piaciuto poter ritenere quel risultato come qualcosa di cui potersi rendere merito.

Danny contemplò per qualche altro istante con maggiore attenzione le tre facce e atteggiamenti dei mezzi lupi che li guardavano dalla strada, tenendosi raggruppati tra loro, le teste rivolte verso l’alto, cercando di rimanere abbastanza non troppo esposti alla vista, sebbene la strada fosse deserta a parte qualche occasionale passante.

«Oh, sì… c’è decisamente del fuoco lì ora.» commentò quindi, con un sogghigno di soddisfazione piuttosto sinistro.

«E… pensi che sia per via del fatto che una dei loro… la ragazza qui… è venuta qui da noi?» domandò Ramo, per sicurezza.

«Decisamente.» confermò Danny.

«Scusate, ma tutto questo non è peggio?» chiese ancora Ramo, con una certa perplessità.

Danny lo guardò. «In che senso?» ribatté, confuso.

«Insomma, non è anche peggio che siano arrabbiati, che ce l’abbiano con noi?» spiegò Ramo.

«Tecnicamente… forse sì. Ma… in ogni caso, si sono messi sotto gli ordini di qualcuno, e quel qualcuno ha deciso, come immaginavo, che questo imprevisto che riguarda Nickj non è qualcosa di così grave o significativo per i loro piani da modificarli. Non hanno ancora intenzione di attaccarci, insomma.» spiegò Danny.

«Bene. E ne siamo sicuri perché…?» chiese ancora Ramo.

«Perché non è ancora la notte giusta… » mormorò Danny, come se parlasse tra sé e sé, fissando la strada con uno sguardo che sembrava perso da tutt’altra parte.

«La notte giusta…?» ripeté Ramo, perplesso.

Ma Danny sembrò riscuotersi, e prese un contegno pratico. «Ad ogni modo, sarà meglio tenerli d’occhio comunque per tutta la notte. Magari faremo dei turni.»

Uther annuì.

«E inoltre… hem, Ramo, potresti prestarmi il tuo cellulare?» domandò ancora Danny.

Ramo lo guardò con estremo stupore, cercando ancora di capire.

 

***

 

«Ramo!!» esplose la voce di Yuta, con un urlo esclamativo dall’altra parte della comunicazione via telefono «Per l’amor della dea Diana, si può sapere che fine avete fatto tu e Valentine? Devo avervi chiamato almeno… non so neanche più quante volte! Ero preoccupata da morire e non so che diavolo…»

«Hem… ciao Yuta…» trovò in qualche modo il coraggio di interromperla Danny, con cautela e una certa timidezza.

L’urlo che ne seguì gli traforò il timpano prima che avesse la prontezza sufficiente di allontanarsi il telefonino dall’orecchio.

«Danny!!! Oh, per Giove, Danny!! Che diavolo sta succedendo lì?! Come stai?! E Uther?! Il cellulare, stai usando il cellulare di Ramo! Ramo e Valentine stanno bene?!» iniziò a domandare Yuta, in una raffica di parole estremamente rapide e implacabilmente urgenti.

«Bene! Tutti bene! Davvero! Tutti sani e salvi, nemmeno un graffio!» si ritrovò a rispondere precipitosamente Danny, nel disperato tentativo di arginare quella valanga di esclamazioni preoccupate.

«Sul serio? Danny, non mi stai mentendo per farmi stare tranquilla o qualcosa del genere, vero? Perché se è così, quando ti rivedo ti assicuro che…» iniziò Yuta, il tono improvvisamente cangiante in una sorta di minaccia.

«Oh, lo giuro sulla mia coda Yuta, ma ora ti prego, ho bisogno di chiederti una cosa importante.» la interruppe di nuovo Danny. Naturalmente, si era preparato psicologicamente per cinque interi minuti prima di iniziare quella telefonata.

«D’accordo. Se si tratta di raggiungervi, non è assolutamente un problema, datemi ventiquattr’ore e sarò lì in men che non si dica, e mi spiegherete con che cosa abbiamo a che fare stavolta!» gli assicurò Yuta, con piglio deciso.

Danny rimase per un momento stupito. «Come sai che… ‘abbiamo a che fare con qualcosa’…?»

«Ah! Per favore, avanti! Sono ore che tutti cercate di essere tranquillizzanti e pieni di nonchalance al telefono, per non parlare degli sforzi di Kumals di far finta che sia tutta una specie di rimpatriata estiva a… a Tairans?? Suvvia, Danny! Credi davvero che dopo tutto questo tempo Kumals sia ancora capace di darmela a bere su… su qualsiasi cosa?» ribatté Yuta, scettica.

Danny sorrise. «Nah… in effetti, ne dubiterei profondamente…» ammise.

«Bene! Allora, come dicevo, ventiquattr’ore e sono lì. Fatemi spazio. E voglio qualcosa tra la mia schiena e il pavimento per dormire, perché altrimenti al mattino mi sveglio di pessimo umore, e come tu puoi ben ricordare questo non è affatto il modo migliore di iniziare la giornata quando…» riprese Yuta.

«No, no… aspetta, non c’è affatto bisogno che tu venga… Anzi, hem, per la verità… avrei bisogno che tu rimanga esattamente lì a casa vostra…» interruppe Danny.

«Davvero? Oh, assistenza a distanza?» chiese Yuta, con prontezza pragmatica, ed una serietà singolarmente mischiata ad una sorta di entusiasmo sottilmente affascinato.

«Ecco… mi stavo chiedendo se… insomma… » Danny deglutì e cercò le parole adatte «Come la prenderesti se ti chiedessi di avere un ospite lì da voi?»

Seguì qualche istante di silenzio che lasciò Danny in un’attesa davvero colma di disagevole nervosismo.

«Un ospite? Danny… sputa il rospo. Ora.» sentenziò quindi Yuta, con il suo tono che non ammetteva repliche.

 

***

 

«Ma… mi stavo chiedendo…» esordì Valentine, dopo appena qualche secondo di pausa in quello che era ormai un lungo soliloquio.

Nickj le gettò uno sguardo particolarmente preoccupato, e si irrigidì racimolando ancora più scontrosaggine nel suo atteggiamento, per quanto sembrasse impossibile che potesse mostrarne ancora più di quello che stava già ostentando invano da diversi minuti.

«Nickj è proprio il tuo vero nome?» le domandò Valentine, sempre nel suo tono da imperturbabile chiacchierata amichevole.

La ragazza la fissò, corrucciando le sopracciglia. «E’ il nome che ho.» rispose semplicemente.

Valentine stava già per ribattere qualcosa, sotto l’attento ascolto di un Uther piuttosto divertito che continuava a tenere d’occhio i mezzi lupi in strada dalla finestra e sotto lo sguardo preoccupato di Ramo, quando Danny aprì la porta della camera da letto e rientrò nel salotto, sporgendo il telefonino verso Ramo per restituirglielo mentre lo ringraziava brevemente.

«Bene, è tutto sistemato.» esordì Danny, prima di rendersi conto che tutti lo stavano guardando con l’evidente espressione di chi non ha idea di che diavolo stesse parlando.

«Voglio dire…» riprese, schiarendosi la voce e cercando di nascondere un certo nervosismo «Ti ho trovato una stanza. Beh, a dire la verità un’intera casa… un posto da una persona fidata. Fidatissima, direi.» annunciò, guardando Nickj.

La ragazza corrugò la fronte, scrutandolo dal sotto in su con un’espressione decisamente sospettosa.

«Oh, e credo che Ramo e Valentine potrebbero darti un passaggio fino a là…» disse ancora Danny, scoccando un’occhiata di timida richiesta ai due nominati.

«Certo, non c’è problema!» confermò subito Valentine, cercando di prendere una delle mano di Nickj tra le sue con un automatico gesto semi-inconscio guidato dalla volontà di essere rassicurante.

La giovane mezza lupa però sottrasse la sua mano con un movimento rapido e preciso appena prima che gliela potesse anche solo sfiorare, e lo fece senza staccare nemmeno per un momento il suo sguardo analitico e contrariato da Danny. «E la persona che mi ospiterebbe è un essere umano?» gli domandò, con voce cupa e scontrosa.

Danny sospirò, avvicinandosi a lenti passi stanchi alla sedia che aveva posto già nella conversazione precedente abbastanza vicino a Nickj, ma non troppo, e in modo da poterla guardare direttamente, e vi ci si sedette lasciandosi cadere pesantemente.

«Ti cercheranno. Credo che punirti potrebbe risultare un esempio dissuadente dal punto di vista di chi sta tenendo insieme quell’accozzaglia di disperati là all’attendamento… E come tu ben sai, non è così semplice sfuggire quando è un mezzo lupo che ti sta dando la caccia. Tu sei venuta qui e… il minimo che io possa fare… quello che vorrei fare, è darti una mano, giusto per questo: per una via di uscita, una via di fuga. Per quanto possiamo correre velocemente, nessun mezzo lupo potrebbe tenere il passo con la velocità di un’auto, che guarda caso e per nostra fortuna Valentine e Ramo possiedono. E ho pensato che potrebbe servirti… beh, giusto qualche giorno magari… per… recuperare le forze e schiarirti le idee su che cosa fare… E quello che posso offrirti è un luogo sicuro. Il luogo dove ti porterebbero Ramo e Valentine lo è. Un luogo sicuro. E loro, nonché la persona che ti ospiterebbe, ti spalleggeranno semmai… nell’improbabile caso che qualcuno dei tuoi ex accoliti dovesse trovarti…» le disse, parlando con lenta calma e chiarezza ragionevole.

Nickj rimase in silenzio per qualche momento, e alla fine disse a mezza voce, quasi come se parlasse tra sé e sé «Già… tu ti fidi degli esseri umani. E quello da cui mi manderesti, ti fidi anche di lui.»

«Le affiderei la mia vita, a dire la verità…» proseguì Danny.

«Sembra quasi che tu sia più capace di fidarti degli esseri umani piuttosto che di altri mezzi lupi…» mormorò ancora Nickj, cupamente «Sei sicuro che puoi fidarti del fatto che non le farei io del male?» domandò, con tagliente ironia.

Ma fu Uther a emettere uno sbuffo, un lieve accenno di risata, prima di dire «Se proprio volessi, dovresti assicurarti di ucciderla proprio per bene.»

«Cosa?» replicò Nickj, confusa, mentre notava che anche gli altri mostravano un certo divertimento sul volto nell’udire quel commento.

«Beh… non è esattamente una persona a cui sia facile colpo ferire… per niente, direi.» si limitò a dire Danny, a mo’ di spiegazione.

Nickj emise un verso di sardonica ironia. «Ha per caso un fucile anche lei?» chiese, gettando uno sguardo tagliente in direzione di Uther.

«Oh, no. Quella è mia esclusiva prerogativa.» la informò quegli, senza dare segno di essere in alcun modo toccato dalla sua allusione.

«E’ solo che… hai perso tempo venendo qui. Hai perso il vantaggio che avresti avuto se fossi semplicemente scappata il più lontano possibile da loro…» disse Danny «E dal momento che, a quanto sembra, l’hai fatto per le mie… chiacchiere… Beh, questo mi sembra il minimo che io possa fare per rimediare. È solo un appoggio momentaneo. Non metto in dubbio che puoi cavartela da sola… e sono certo che lo farai benissimo. D’altro canto… ormai il più è fatto, no? Hai appena lasciato perdere un intero gruppo di mezzi lupi ammattiti che pianificano la conquista del mondo facendosi guidare da quella che… beh, da quella sulla quale, se potessi esprimere un consiglio a suo riguardo, quel consiglio sarebbe di evitare il più possibile di incrociare la sua strada anche solo per sbaglio. A tutti gli effetti, ora hai tutto il resto del mondo spalancato davanti a te, a confronto di dove ti trovavi solo fino a qualche ora fa…»

Seguirono lunghi momenti di silenzio, durante i quali Nickj continuò a tenere lo sguardo fisso in quello di Danny, come se cercasse di misurare attraverso i suoi occhi il peso che si poteva dare alle sue parole e, più in generale, a tutta la sua persona.

Alla fine, la ragazza distolse lo sguardo, e la sua espressione si fece ancora più imbronciata; e Danny comprese che si era convinta, ancora prima di sentirla dire «Okay. Credo che si possa fare. Per ora.»

Danny si concentrò per cancellarsi dalla faccia ogni traccia del sorriso che gli stava sorgendo alle labbra, prima che lei tornasse a voltare bruscamente lo sguardo su di lui nel tentativo di coglierlo in fallo proprio con quell’espressione di soddisfatta vittoria.

 

***

 

Ramo e Valentine si erano ritirati a dormire nella camera da letto già da una mezz’oretta, non appena avevano finito di fare il punto della situazione tutti insieme su come e quando partire la mattina dopo. Uther si era addormentato quasi subito dopo che si era sdraiato sul sacco a pelo di Ramo, disteso sul pavimento in un angolo del salotto e contro il muro, nell’angolo della stanza lasciato più in ombra dall’unica luce lasciata accesa: una lampada da tavolo appoggiata sull’angolo del tavolo più vicino alla finestra. Nickj dormiva sul divano, o almeno, avrebbe dovuto dormire.

Danny riusciva a sentire dal respiro e dal fatto che la ragazza non aveva mai smesso di rigirarsi di tanto in tanto, che era ancora sveglia e non riusciva a prendere sonno. Ne sentiva l’agitazione, non solo perché era evidentemente un’emozione in quel momento molto abbondante in lei, ma anche grazie al miscuglio di sensi da mezzo lupo e forse di una sua personale sensibilità; non aveva mai avuto modo di capire esattamente se fosse così tanto una prerogativa dei sensi da mezzo lupo, o piuttosto principalmente una sua personale prerogativa di sensibilità.

Seduto sul davanzale della finestra, la schiena appoggiata alla cornice della stessa, il suo equilibrio era abbastanza comodo da non fargli dolere eccessivamente il corpo – a patto di spostarsi un poco di tanto in tanto – e abbastanza scomodo da impedirgli di addormentarsi anche per errore, pena precipitare da diversi metri d’altezza. Sorseggiava una birra, fumava la stessa sigaretta da almeno mezz’ora, continuando a dimenticarsi di aspirare abbastanza spesso da non farla spegnere, e teneva sotto il tiro del suo sguardo senza requie le tre sentinelle in strada, con fare annoiato e allo stesso tempo preciso e instancabile. Dopotutto, quello che stava facendo era a tutti gli effetti sorvegliare sul sonno di tutti gli altri.

Nonostante ciò, il compito non richiedeva niente più che mantenere lo sguardo continuamente fisso sullo stesso punto a tempo indeterminato, il che gli permetteva nel frattempo di seguire qualsiasi riflessione a suo piacimento. C’era un pensiero fisso che non lo avrebbe lasciato dormire in ogni caso, probabilmente, ed era quello che gli aveva detto Yuta al telefono: Andrea le telefonava almeno cinque o sei volte al giorno, chiedendole se c’erano novità e cosa stava succedendo, e Yuta non aveva mancato di sottolineargli la cosa cercando di farlo sentire colpevole per come lui e gli altri continuavano a non spiegare abbastanza chiaramente la situazione e come si stava sviluppando, e soprattutto quanto si trovavano effettivamente nei guai.

Danny trattenne a stento un profondo sospiro. Yuta aveva esplicitamente chiarito anche le intenzioni di Andrea di prendere il primo aereo disponibile per tornare, e che le aveva chiesto come arrivare a Tairans. Yuta gli aveva rimproverato di essersi trovata a mentire, dicendo che non sapeva dove si trovava Tairans, e gli aveva detto anche che dubitava che questo sarebbe bastato a fermare la determinazione di Andrea. Non che Danny non potesse giungere alle stesse conclusioni anche da solo.

In quella, udì un movimento dal divano. Con la coda dell’occhio, dal momento che non poteva staccare lo sguardo dalle sentinelle giù in strada, vide Nickj alzarsi con uno sbuffo, e venire a sedersi ad una sedia presso il tavolo, facendo del suo meglio per ostentare uno spazientito modo di ignorarlo.

«Fumi?» le chiese dopo un po’.

«Perché?» sbottò lei, con fare aggressivamente difensivo, come se sospettasse che quella fosse una specie di domanda trabocchetto.

Danny sogghignò appena, e le porse il pacchetto di tabacco allungandolo verso di lei col braccio proteso, sempre senza staccare lo sguardo dalla sua sorveglianza.

La sentì sbuffare di nuovo, sebbene stessero cercando di tenere il tono della voce basso per evitare di svegliare Uther, e sentì il tabacco venirgli preso di mano con un gesto brusco. Quando dai fruscii comprese che aveva finito di arrotolarsi una sigaretta, le porse anche l’accendino, che lei gli prese di mano con fare non meno scontroso.

Dopo diversi minuti di silenzio, la sentì rivolgerglisi di nuovo.

«Come vi siete conosciuti… tu e Mara?»

«Non l’ha detto?» le domandò, stupito, malgrado a ben pensarci forse non avrebbe dovuto esserlo.

«Sennò, perché te lo starei chiedendo?» ribatté lei, con un verso sarcasticamente scorbutico.

«Mi ha reso lei un mezzo lupo.» le rispose allora.

Un silenzio compatto seguì la sua risposta, ma era quasi sicuro di averla vista con la coda dell’occhio sussultare leggermente, nell’udire quella risposta.

«Già…» mormorò ancora Danny, distrattamente. Sembrava molto tempo prima, un’altra vita davvero.

«E… da quanto tempo sei un mezzo lupo…?» domandò dopo qualche momento Nickj, in tono quasi esitante, sebbene facesse ancora del suo meglio per mantenere una rigida distanza e per mostrare un certo fastidio, come a sottolineare che fare conversazione con lui in quel frangente era quasi qualcosa che non si poteva proprio evitare.

Danny si concesse di sottrarre lo sguardo solo per un istante dalla sua sorveglianza, per gettarle un rapidissimo sguardo, prima di riportarlo di nuovo sui tre mezzi lupi fermi fuori in strada.

«Una quindicina d’anni.»

Di nuovo il silenzio, e di nuovo percepì lo stupore di Nickj; a lei doveva sembrare molto, pensò. Dopotutto, stando a quanto poteva percepire grazie al suo istinto di mezzo lupo, che in qualche modo era in grado di misurare a colpo d’occhio un’approssimazione di da quanto tempo un mezzo lupo era divenuto tale un poco come tra gli esseri umani si può intuire l’età a sguardo, lei doveva essere una mezza lupa da meno di cinque anni.

«E… perché non sei rimasto con lei… con Mara?» gli chiese ancora, alla fine.

«Beh, non si rimane tutta la vita per forza insieme a chi ti ha reso un mezzo lupo, no? Tuttavia, nel caso mio e di Mara… direi che si è trattato di… una divergenza di vedute.» rispose Danny, senza fare mistero del fatto che stava usando quello che si sarebbe potuto generosamente considerare un eufemismo.

«Sul fatto che… non eri… non sei… ?» chiese ancora Nickj, cercando le parole.

«Che non sono un mezzo lupo come vorrebbero i suoi standard di purezza della razza?» ironizzò lui, senza nemmeno amarezza nella voce «Oh, no. Questa è una novità. Credo che usarmi come esempio di come non dovrebbe essere un mezzo lupo sia un espediente che ha deciso di utilizzare quando si è ritrovata con me nel bel mezzo del suo progetto da matti. Nulla che possa tangermi, comunque.»

«Perché no…

«Ah… beh, vediamo…» rifletté Danny «Direi perché è passato molto tempo dall’ultima volta che mi sono lasciato prendere dalla stupida idea che lei potesse definirmi in qualche modo verosimile rispetto a chi sono davvero.»

Nickj rimase in silenzio per qualche momento, riflessivamente. «In ogni caso… non assomigli particolarmente a nessun altro mezzo lupo che io abbia mai incontrato prima…»

Danny sorrise appena tra sé e sé. «Immagino tu abbia conosciuto soprattutto mezzi lupi di quelli che ci sono ora in quella specie di accampamento. Se vuoi la mia opinione, non credo che sia un buon metro di giudizio prendere in considerazione un gruppo di persone nel momento in cui sono preda di un delirio di quel genere… Ad ogni modo, non sono sicuro se il tuo fosse un complimento o un’offesa.»

«Nessuna delle due, immagino…» rispose Nickj, dopo un poco.

«Oh. Okay.» commentò semplicemente Danny, lasciando quindi ricadere tranquillamente il silenzio.

Dopo qualche minuto, Nickj parlò di nuovo.

«Io… non mi ero mai separata prima da… da chi mi ha reso un mezzo lupo…»

Danny rimase in silenzio per qualche istante, prima di dire «Te la caverai. Te la caverai anche senza quella persona… te lo assicuro.»

«Oh, certo, guarda dove sono finita! Preferirei non doverlo fare in questo modo, a dire la verità. Facendo amicizia con degli esseri umani.» ribatté Nickj, anche se dal suo tono forzosamente scorbutico Danny comprese che in qualche modo aveva preso in una certa considerazione ciò che le aveva appena detto.

«Beh, non è che io debba essere l’unico altro esempio di ‘con chi potrebbe mai fare amicizia un mezzo lupo’ o… hey, aspetta un attimo, hai appena detto ‘fare amicizia’?» sottolineò Danny, con un sogghigno impertinentemente divertito.

«No! Cioè, sì, va bene l’ho detto. E’ stato un… ero ironica.» ribatté Nickj, troppo rapidamente per poter risultare abbastanza credibile, nonostante ci si stesse impegnando.

Il sorrisetto di Danny si accentuò. «Certo, naturalmente.» concesse, ironico.

«Oh… sei veramente odioso, sai?» buttò fuori Nickj, sbuffando sonoramente.

«Posso solo immaginarlo…» commentò Danny, sempre in tono saputamente divertito.

«Bah! Vado a dormire!» decise Nickj, alzandosi dalla sedia con fare bruscamente contrariato, e andando a ributtarsi sul divano.

Danny continuò semplicemente a sorvegliare fuori dalla finestra, lasciando che a poco a poco il sorrisetto di vittoria si mutasse spontaneamente in un sorriso più sinceramente contento, seppure tenue e in qualche modo malinconico, prima di sparire definitivamente, spinto via dalla stanchezza e dalla preoccupazione e dai pensieri che ritornarono infine a invadergli la testa come una nebulosa di polvere.

 

***

 

Nickj si svegliò di soprassalto, alzandosi a sedere di scatto, con la sensazione di ansia e paura tipica di chi è appena riemersa da un incubo che non riesce a ricordare, il respiro lievemente affannato, e la testa confusa per un momento, non solo per l’improvviso risveglio, ma anche per il fatto che non era riuscita a dormire che per poche ore, e di un sonno superficiale e inquieto.

Si guardò subito intorno per la stanza non familiare, ricordando in fretta dove si trovava. Istintivamente, cercò subito con lo sguardo l’unico altro mezzo lupo presente in quell’ambiente, perché era l’unico avversario che le avrebbe potuto provocare seri problemi in caso di scontro; i suoi occhi individuarono nello spazio di pochi istanti il corpo di Danny, disteso nel sacco a pelo sul pavimento e addormentato.

Si soffermò qualche istante a osservarlo, mentre cercava di ricollezionare le idee, compito al momento alquanto arduo. Quando udì la voce, voltò di scatto la testa nella direzione dalla quale proveniva.

«Mi dispiace, è già occupato.»

Nickj fissò con cipiglio aggrottato Uther, seduto sul davanzale della finestra con la schiena appoggiata alla cornice, e il fucile scioltamente tenuto tra le gambe e appoggiato contro il petto. Non la stava guardando, aveva gli occhi puntati sull’esterno, ma intuì che la spiava con la coda dell’occhio. La tenue luce di un principio d’alba lo investiva in pieno di un morbido colore tra il dorato e il rosato.

«Cosa?» gli domandò scontrosamente; non aveva la più pallida idea di che cosa stesse parlando.

«Ha già una ragazza.» rispose Uther, e lei comprese che si riferiva a Danny, e che in qualche misterioso modo doveva essere riuscito ad accorgersi di dove lei guardava pur se poteva solo spiarla con la coda dell’occhio.

«Starai scherzando.» gli rispose, con una smorfia «Non è affatto il mio tipo.»

«Ah, bene. Allora, non c’è nessun problema.» commentò Uther, in tono laconico e distrattamente annoiato.

Nickj rifletté per un momento, e infine sogghignò appena, non appena trovò un modo in cui riteneva che avrebbe potuto infastidire quell’umano che si teneva sempre così stretto il suo fucile.

«Già… perciò… » disse, con accurata lentezza, preparando il colpo «Non hai alcun bisogno di essere geloso. Non di me, almeno.»

Dopodiché, si concentrò con soddisfazione nel fissarlo, per godersi al massimo lo spettacolo della sua frecciata che andava a segno. Con suo scontento, tuttavia, lo vide incassare con una buona dose di resistenza.

Uther si limitò a indurire un poco la mascella, e a reclinare appena la testa, lo sguardo sempre fisso sulla sua sorveglianza e abbastanza abilmente impassibile.

«Ah, davvero…?» si limitò a dire, con un tono sufficientemente annoiato e distratto nell’impostazione da risultare quasi perfettamente credibile.

Nickj scrollò le spalle e fece una smorfia di delusione, constatando che non era così facile cercare di trovare un nervo abbastanza scoperto in quell’essere umano, sebbene fosse abbastanza sicura di aver colto nel giusto.

«Dicevi sul serio l’altro giorno?» gli chiese dopo un po’, sistemandosi a sedere sul divano, le gambe piegate contro il petto e la schiena contro lo schienale, osservando con una certa curiosità il suo interlocutore riluttante.

«Quando?» chiese semplicemente Uther.

«Quando sei venuto all’attendamento.»

Questa volta, Nickj lo vide stringere le labbra, e rivolgere un fugacissimo sguardo leggermente allarmato diretto sommariamente nella direzione dell’angolo della stanza in cui Danny dormiva.

«Preferirei non parlarne.» rispose concisamente, in tono piuttosto duro.

«Mhmm…» mugugnò riflessivamente Nickj, con una certa soddisfazione. Ora era completamente certa di aver trovato un punto scoperto nella sua guardia, e di poter guadagnare un vantaggio su di lui, se solo avesse avuto bisogno di sfruttarne una qualche debolezza in futuro. Forse lui aveva il fucile, ma lei sapeva qualcosa che lui non voleva far sapere, il che era un sufficiente spunto per un buon inizio. Guardò per un momento in direzione della sagoma addormentata di Danny, prima di tornare a guardare Uther.

«Lo scoprirà comunque, prima o poi.» commentò, ostentando tranquillità.

Uther aggrottò le sopracciglia, mostrando un certo scetticismo forzato. «Tu dici?»

«Non ho intenzione di dirglielo io.» chiarì Nickj, con onestà «Ma… è bravo ad indovinare.»

Lo vide mostrare uno scetticismo stavolta ironico e sincero. «Davvero?»

«Sì. Lo è.» confermò Nickj, suo malgrado con sicurezza.

Uther la guardò per un momento, prima di riportare lo sguardo fuori dalla finestra.

«Se lo dici tu…» rispose solo, alzando appena le spalle.

Nickj rimase per un poco in silenzio, riflettendo.

«Sai una cosa…?» riprese poi «Forse lui ha trovato il suo… “luogo sicuro” con un gruppo di esseri umani acchiappa-spettri-e-affini. Ma io credo che voialtri non sareste mai stati così bravi, se non fosse stato per il fatto che potete contare su un mezzo lupo tra i vostri.»

Uther sorrise appena, gentilmente e affettuosamente, evidentemente rivolto ad un suo pensiero piuttosto che a lei. «Non ce la cavavamo affatto male nemmeno prima di incontrare Danny, se proprio vuoi saperlo…» le disse, con tono tranquillamente conversativo, e l’aria di essere disperso nelle sue memorie «Ma hai ragione. Sicuramente ce la saremmo cavata decisamente peggio, senza Danny. E ti assicuro che è qualcosa che non ho mai dimenticato, nemmeno per un momento.»

Nickj non riuscì a trovare altro da dire. Forse per il tono che Uther aveva usato, o forse per come sembrava placidamente e candidamente sincero in quel suo darle ragione. Così, rimase semplicemente in silenzio, fissando quell’essere umano col fucile che rimaneva tranquillamente di guardia mentre il sole, nel suo lento e inesorabile procedere nel sorgere, lo illuminava gradualmente sempre di più con lo spietatamente netto splendore dell’astro in estate.

 

 

Soundtrack: Young blood (The naked and famous)

 

 

Note dello scribacchiatore: preso da tipo altre 245 cose (è solo una stima :p) della mia vita più o meno irrimandabili, vi rifilo questo capitolo in ritardo rispetto alla tabella di marcia che di solito cerco più o meno di rispettare, e vi avviso che ci riesco solo grazie al fatto che in un momento di foll… hem, di “grazia” (?) tempo fa ne ero riuscito a rileggere tre in un colpo, indi dovrebbe, spero, essere tutto abbastanza a posto dal punto della revisione almeno basilare.

Per il resto, ci si risente al prossimo capitolo (salvo qualcuno voglia farsi avanti con i commenti, e per quanto mi riguarda, come sempre potete dire quel che vi pare o rimanere in un composto “silenzio stampa” :p).

 

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Capitolo 28
*** 27 - Le regole del branco ***


Capitolo 27

(LE REGOLE DEL BRANCO)

 

Danny trovò così difficile il momento di salutare Ramo e Valentine, che se ne stupì; sebbene, considerò poi tra sé e sé, forse non doveva ormai essere più una sorpresa per lui il fatto che separarsi da qualcuno dei (ex) ‘4 di picche’ gli risultasse sempre un poco traumatico.

Ogni volta, una parte di lui sembrava avere il capriccioso bisogno di una rassicurazione che gli garantisse che li avrebbe rivisti, non importa cosa potesse accadere nel mentre. Razionalmente, sospettava che il fatto di aver passato almeno una buona metà del tempo in loro compagnia rischiando un po’ l’osso del collo qui e là lo avesse abituato al timore che ogni saluto potesse essere l’ultima occasione di rivederli, piuttosto che fornire il comodo effetto contrario dell’assuefazione al sempiterno rischio di sottofondo. O forse, semplicemente era che sapeva che, in fondo, gli sarebbero mancati sempre, almeno un poco, per tutto il tempo che non avesse condiviso con loro. Ma in quella precisa situazione, in realtà riteneva – e sperava vivamente – che Ramo e Valentine sarebbero stati molto più al sicuro una volta che fossero stati ad una buona distanza da Tairans.

Dopo essersi sciolto dagli stretti abbracci con cui si stava congedando dai due, Danny si soffermò a fissare Nickj, appoggiata alla loro auto di schiena, le braccia incrociate sul petto, e lo sguardo con cui aveva contemplato la scena dei loro saluti una via di mezzo tra lo sfoggio di noia e la curiosità forzatamente distaccata. Danny ormai aveva compreso quanto per lei fosse ancora importante rimanere aggrappata ad almeno una delle certezze che le avevano inculcato negli ultimi tempi: che per un mezzo lupo fosse impossibile, pericoloso e malsano fidarsi di un qualsiasi essere umano. Figurarsi affezionarcisi.

«Che c’è? Non vorrai un abbraccio anche da me spero.» gli disse Nickj, squadrandolo con un’occhiata di malumore.

Danny le sorrise, con un lieve sbuffo di risata ironica. «Beh, se preferisci evitare, d’accordo.»

Nickj schioccò le labbra con stizza e voltò lo sguardo da un’altra parte.

Danny tornò a rivolgersi a Ramo e Valentine «Mi raccomando, allontanatevi il più possibile da Tairans prima di fermarvi, se avete bisogno di fare delle pause lungo il viaggio.»

«Non è così lunga la strada, andrà tutto bene.» lo rassicurò Ramo, guardandolo con serietà, come se glielo stesse anche promettendo.

Danny sospirò appena e si guardò intorno, cacciandosi le mani in tasca. «Se non altro, il maggior rischio dovremmo averlo ormai superato…»

Si erano  fermati fuori città, dalla parte opposta di dove si trovava l’accampamento dei mezzi lupi, ed era mattina piena. Il fatto che fosse giorno, e che la strada sul ciglio della quale avevano accostato fosse abbastanza trafficata di un moderato ma continuo passaggio di auto, lo metteva in effetti in uno stato d’animo abbastanza ottimista: difficile che dei mezzi lupi si azzardassero a mettersi in mostra così tanto per fare un’imboscata ad un auto in pieno giorno e in mezzo a tutti quegli occhi di esseri umani.

«Non che io voglia… insomma, non è che non vedo l’ora di lasciarti qui in questo… pasticcio… » gli disse Valentine, con cautela «Ma sarebbe meglio che tornassi da Uther il prima possibile, no…

«Non lo attaccheranno ora.» intervenne Nickj, stupendoli e attirando lo sguardo di tutti su di lei. Sembrò infastidita, e voltò la testa come per non ricambiare loro quelle occhiate attente. «Non è ancora… il momento giusto.»

«Intendi la notte senza luna, no?» domandò Danny.

Nickj sbuffò. «Come ti ho già detto, è tutto quello che so. Mara è stata categorica, e nessuno oserebbe disubbidire… E Mara ha detto che dobbiamo… che devono mantenere un profilo basso fino ad allora, quando sarà il momento.»

«Già… un ottimo programma… Cacciare dei mezzi lupi a vivere tutti assieme in quell’attendamento. Pigiando esattamente tutti i tasti giusti per infastidire ogni istinto di uno di noi. Come una gigantesca pentola a pressione di mezzi lupi, pronta a esplodere nella notte senza luna. Ottimo. E’ proprio la migliore vacanza estiva che io abbia mai avuto.» commentò Danny, con sarcasmo amaro.

«Forse dovremmo tornare subito qui, non appena abbiamo portato Nickj da Yuta, e…» iniziò Ramo.

«No.» lo interruppe Danny, voltandosi immediatamente a guardarlo negli occhi con serietà «Il meglio che potete fare per aiutare, è questo. Portate lei da Yuta, e poi andate a prendere Kumals all’aeroporto e portatelo qui prima che potete. Nel frattempo…» Danny esitò, e si morse di riflesso l’interno di una guancia, poi sospirò socchiudendo un momento gli occhi «Ascoltate, mi dispiace dirvelo… Ma credo che l’unica cosa che possa garantire un po’ di argine ad eventuali attacchi anticipati degli accoliti di Mara verso di noi… sia io. Più che alla necessità di aspettare la notte senza luna, Mara ha messo – da quello che dice Nickj – un vincolo su di me. Per un mezzo lupo, e specialmente per quegli accoliti suoi che hanno deciso di temerla e considerarla un’autorità, questo tipo di vincolo è molto importante. Mara ha decretato che sono il suo obbiettivo e il suo avversario, e chiunque si immischiasse, prima ancora che rischiare una ripassata mortale da parte di lei, si sentirebbe come se stesse infrangendo una specie di… “codice d’onore” dei mezzi lupi. Perciò, siccome sanno che non possono combattere contro di me per il vincolo che ha messo Mara, anche se volessero non oserebbero rischiare di doversi battere con me. Cosa che succederebbe sicuramente se cercassero di attaccare qualcuno di voi. Per questo… non è una questione puramente di forza o di capacità nel combattimento, ma è per questo che io sono una buona garanzia per voi di non subire un attacco. Tuttavia, tre persone alle quali… “fare da scudo” in questo modo, per me sono un po’ troppe…»

«D’accordo, è chiaro Danny, non ti preoccupare. Noi faremo quello che è più utile vista la situazione. Non ho mai pensato di mettere in discussione il fatto che tu possa capirne meglio di tutti noi messi insieme in questo frangente…» lo rassicurò Valentine, appoggiandogli una mano sulla spalla e sorridendogli per un momento, con fare rassicurante che lui accolse con gratitudine.

«Porteremo Nickj al sicuro e saremo di ritorno il prima possibile con Kumals!» gli garantì ancora lei, il sorriso sostituito da una solenne serietà, accompagnata da una breve stretta sulla spalla.

Dietro di lei, Ramo annuì vigorosamente. «Certo, conta pure su di noi!»

Danny li guardò, sorridendo leggermente ma sinceramente. «L’ho sempre fatto.» disse.

«Oh, dio!» commentò Nickj, tra lo schifato e lo stizzito, aprendo la portiera e cacciandosi sul sedile posteriore, prima di sbattere lo sportello dietro di sé, e tirare su il finestrino per essere sicura di non sentire oltre.

Gli altri tre guardarono quell’esplicita mossa, poi si ritrovarono a guardarsi tra di loro, lievemente perplessi.

«Beh, sembra che sia proprio il momento di andare.» concluse infine Valentine, alzando le spalle con piglio deciso, andando a prendere il suo posto in auto, non prima di aver somministrato un altro stretto abbraccio a Danny e avergli raccomandato di stare attento.

Anche Ramo lo riabbracciò un’ultima volta, e ne approfittò per sussurrargli all’orecchio in modo che sentisse solo lui «Magari ora le cose sono un po’… hum… difficili tra te e Uther. Ma… insomma, è pur sempre Uther, no?»

Danny si ritrovò a fissare con stupore il volto dell’amico staccatosi dall’abbraccio.

«Sì…» ammise infine, sorridendo appena e con un certo sforzo «Forse hai ragione.»

 

Danny camminò a ritmo rapido e sostenuto lungo la strada, divorando i chilometri col suo passo che a vedersi appariva stranamente somigliante con il trotterellio di un canide, soprattutto nel ritmo rapido eppure molleggiato, e per via della scarsa fatica che sembrava richiedergli, come se stesse passeggiando con calma.

Raggiunse così Tairans in un tempo relativamente breve. E non appena si ritrovò tra le strade urbane e vide un telefono, l’idea e il bisogno di sentire determinate voci lo attraversarono con tanta potenza che non rifletté nemmeno prima di fermarsi presso una cabina telefonica pubblica, alzare la cornetta, inserire le monete e comporre un numero che aveva imparato a memoria qualche tempo prima.

Quando sentì la familiare voce rispondere dall’altra parte, esitò per alcuni istanti, come se quasi non ci credesse.

«Pronto??» insistette la voce di Kumals, lievemente irritata e decisamente insistente, venata da quella che a Danny parve stanchezza.

«Sono io.» rispose semplicemente.

«Oh… bene, bene. A quanto pare quello che ti avevo detto ti è uscito da un orecchio con la stessa facilità con cui ti era entrato dall’altro.» osservò Kumals «Oppure è successo qualcosa di grave. Dimmi, quale delle due?»

«Prego?» ribatté Danny, stupito dalla fredda severità dell’altro.

«Curioso, ero convinto di averti detto che tu e quell’altro là non dovevate mettere piede fuori dall’appartamento per nessun motivo al mondo, eppure mi stai chiamando da un telefono pubblico, evidentemente, visto che non è certo il numero di cellulare di Ramo che mi è comparso sul display.» spiegò Kumals, mentre la sua voce perdeva la finta indifferenza e si faceva gradualmente più minacciosamente severa.

«Va bene. Kumals, ascoltami bene. Non hai idea di che diavolo stia succedendo qui, principalmente perché non sei ancora arrivato in effetti. Quindi, non mi va affatto di ascoltare una recensione critica di come mi sto comportando. Se non pensi che io possa in alcun caso riuscire ad agire nella maniera migliore possibile in situazioni critiche, allora non vedo neanche perché diavolo…» iniziò a quel punto Danny, alterato.

«Hey, hey, hey…» lo interruppe Kumals, con tono fermo ma ammorbidito «D’accordo, allora Danny, senti, tu sei l’unica persona lì presente al momento che io ritenga in grado di maneggiare una situazione come quella. Quindi, ora spiegami con calma perché sembri sull’orlo di un crollo di nervi.» offrì, con generosa disposizione, che sarebbe suonata limpida all’orecchio di chiunque lo conoscesse abbastanza da intenderne le sfumature leggere ma nette dell’inclinazione nella voce.

«Non sono sull’orlo di un crollo nervoso…» borbottò Danny in protesta, seppur debolmente, appoggiandosi con la schiena al muro dell’edificio presso il quale si trovava il telefono pubblico.

«Bene, diciamo molto stanco e piuttosto nervoso allora. Cosa è successo? Yuta mi ha detto che sta per ospitare una giovane mezzo lupa, e per la cronaca è già entrata in una fibrillazione tutta sua. Credo si stia pericolosamente immedesimando nella parte di angelo custode di una casa-rifugio per donne abusate o qualcosa del genere… Ad ogni modo, vorrei sapere da te com’è la situazione lì.»

Fu allora che Danny sentì una specie di bolla di esaustione risalirgli alla bocca, e prima di rendersene conto si ritrovò a confessare «Non credo di potercela fare… Non da solo. Non a lungo.»

Seguì un lungo silenzio riflessivo dall’altra parte della cornetta, dando tutto il tempo a Danny di vergognarsi di ciò che aveva appena detto, e di cercare invano un modo per riparare a quella confessione aggiungendo altre parole che al momento non trovava. Solo dopo un poco si rese conto che aveva detto proprio ‘da solo’, come escludendo automaticamente Uther dal conteggio. Per qualche motivo, tuttavia, non si stupì troppo quando, nel rispondergli, Kumals non lo corresse; in un altro momento forse avrebbe voluto recriminargli il fatto che lui doveva averlo saputo fin dall’inizio, fin da quando l’aveva spedito lì: che sarebbe stato solo sebbene insieme a Uther. Ma la rabbia rimase indietro, come se ne avesse consumata già così tanta lungo la strada degli ultimi giorni da essere ormai in riserva.

«Posso immaginarlo molto bene.» disse infine Kumals, con una sincerità comprensiva che lo lasciò attonito «D’accordo. Hai qualcosa con cui scrivere? Oppure pensi di poterti ricordare un nome ed un indirizzo a memoria senza rischio alcuno di dimenticarlo?»

«Come…?» replicò Danny, perplesso.

«Ti darò un riferimento valido e completamente fidato. E’ un vecchio amico e collaboratore. Non dovrai spiegargli nulla di particolare, ne sa già abbastanza delle faccende di cui ci occupiamo. Dovrai solo raccontargli che cosa sta succedendo ora lì. Puoi essere completamente sincero e fidarti in tutto e per tutto; e digli ogni cosa della situazione, sii preciso. Questa persona è in gamba quanto precisa e affidabile, e vi darà tutto l’aiuto e il sostegno di cui avrete bisogno, finché non sarò lì personalmente. Credimi, Danny, non avrei perso un istante prima di venire lì, ma purtroppo il genere di imprevisto che mi è capitato è di quelli davvero irrimandabili… una faccenda molto seria, te lo assicuro. E spero che tu non metta in dubbio il fatto che se solo le cose a volte non avessero la sgradevole abitudine di precipitare tutte assieme e il più contemporaneamente possibile, a quest’ora sarei già lì da un bel pezzo.» gli disse Kumals.

Danny rimase pensierosamente silenzioso per qualche momento, e alla fine ammise «Lo so, Kumals. E no… non lo metterei mai in dubbio. Ma… quando ci vedremo, avrai bisogno di una scusa davvero buona, sai? Perciò farai meglio a confezionartela per bene nel frattempo.» scherzò.

«Ti farò un pacchetto regalo.» assicurò Kumals, ricambiando lo scherzo, con quello che a Danny suonò come un lieve ma deciso accenno di sollievo.

 

Danny riappese dopo aver concluso la telefonata con Kumals. E si ritrovò a fissare il telefono e a cercare di raggranellare abbastanza coraggio e fermezza da decidersi a risollevare la cornetta e comporre il numero successivo: quello di Andrea.

Prima che potesse farlo, tuttavia, qualcosa lo colpì come un pugno, rapido e immediato: l’odore e la precisa sensazione della presenza di un mezzo lupo nelle immediate vicinanze. Subito si voltò, percorrendo il più rapidamente possibile l’ambiente circostante con lo sguardo, alla ricerca della fonte di quegli inequivocabili segnali, ma non gli occorse né tempo né fatica per individuarla immediatamente.

L’uomo, o meglio il mezzo lupo nelle sue sembianze umane, stava ritto in piedi in mezzo alla strada pedonale, in quel momento spopolata, perché dopotutto si trovavano in una zona piuttosto periferica di Tairans in piena estate ed era mattina inoltrata.

Se anche Danny non fosse stato perfettamente in grado di ritrovare subito nella sua personale catalogazione mnemonica quell’odore singolo e di ricollegarlo al suo proprietario, la pesante sagoma massiccia e irsuta di Badlands era più che inconfondibile. Lo stava chiaramente fissando, ma rimase immobile, e la sua postura, sebbene irrigidita e pronta a reagire al bisogno, non mostrava alcuna intenzione di procedere con un immediato attacco diretto, notò Danny.

Si distanziò allora dal telefono pubblico, con mosse misuratamente lente per mostrare ugualmente l’assenza di intenzioni aggressive, sebbene tutti i suoi muscoli si fossero irrigiditi e i suoi nervi fossero tesi, e tutto il suo corpo fosse pronto ad un eventuale scatto fulmineo.

Gli occhi di Badlands seguirono con attenzione e senza battere ciglio ognuno dei movimenti con cui gli si fece un poco incontro, fermandosi infine a diversi metri di distanza, tuttavia fronteggiandolo con una posa sicura di sé.

«Badlands.» disse infine Danny, con tono di piatta constatazione, a mo’ di saluto che mostrava con calma chiarezza ogni assenza di felicità nel rivederlo.

«Danny. Te lo dirò senza preamboli. Credo proprio che tu abbia qualcosa che ci appartiene.» sentenziò Badlands, con la sua voce dal timbro cavernoso.

«Davvero? Sarebbe?» gli domandò Danny, senza ombra di vera e propria curiosità, ma con sincera interrogatività.

«Avanti… come ho detto, preferirei evitare inutili e spiacevoli perdite di tempo. La giovane Nickj. Pare sia finita a casa vostra, ieri sera sul tardi. Sono venuto apposta per liberarvi dell’incomodo, che dopotutto è affar nostro.» lo informò Badlands.

«Ti ringrazio per la preoccupazione, ma ti assicuro che non è necessaria. Nessun incomodo.» gli rispose Danny con sarcasmo «E ad ogni modo, come sicuramente potranno dirvi quelle sentinelle che avete piazzato fuori dall’appartamento, Nickj non si trova più là.»

«Sì… e noto che non è nemmeno con te. Quindi, sono venuto semplicemente a chiederti dove si trova. Sono stato autorizzato a prometterti che non faremo alcun male a quei due umani che potrebbero essere con lei, e che ci limiteremo a recuperare la nostra giovane confusa. Perciò, non hai che da dirmi dove posso trovarla.»

«Molto gentile, intendo la rassicurazione a proposito dell’incolumità dei… ‘due umani’. Ma non credo proprio che te lo dirò Badlands. Quindi, se non hai tempo da perdere, conviene che ti levi dalla mia strada e che ritorni a qualsiasi tipo di altro compitino ti abbiano assegnato per oggi.» rispose Danny, con calmo astio trattenuto in una composta freddezza.

Un tremolio nervoso nell’espressione di Badlands diede chiaro segno del suo spazientimento appena tenuto a bada, così come un maggiore irrigidirsi di tutta la sua massiccia corporatura. «Sei tu che sei sulla mia strada, lupo rinnegato. La ragazza è affar nostro, e non ti riguarda. Ti sei già immischiato più che abbastanza, perciò ora dovresti come minimo farti da parte e permetterci di occuparci delle nostre faccende.»

«Dal mio punto di vista, invece, ho semplicemente dato una mano a qualcuno che ne aveva bisogno, niente di più e niente di meno. E ho intenzione di continuare a farlo evitando di permetterti di raggiungerla. Non si trova più a Tairans. E’ molto lontana ormai. Te lo assicuro. Perciò, Badlands, ormai è tardi, lascia perdere; non c’è più modo per voi di raggiungerla.» ribatté Danny, conciso, e sorridendo appena con soddisfazione nello scoccargli un sottile sguardo significativo che appoggiava le sue parole, dando ad esse anche una sfumatura di vittoria rinfacciata.

«Quella ragazza è del nostro branco!» insisté Badlands, alzando il tono e cercando con ogni sforzo di dominarsi, sebbene il suo collo e la parte inferiore della sua faccia iniziassero a mostrare un colorito rossastro che tradiva la sua rabbia repressa «E ha infranto le regole. Era nostra precisa responsabilità occuparcene, e tu ci hai sottratto questa responsabilità.»

«Il vostro non è un branco. E’ un’accozzaglia di gente ammattita compressata in una sottospecie di tendopoli, e alimentata a suon di paura, di odio e di folli progetti.» sentenziò Danny «Una setta, al massimo. E ad ogni modo, comunque lo vuoi chiamare, non ho mai avuto simpatia per queste cose da 'regole collettive', specialmente se basate sul dogmatismo e la punizione repressiva.»

Per un lungo momento sembrò che Badlands stesse valutando attentamente tra sé e sé la possibilità di saltargli addosso per tentare di ridurlo in poltiglia, tuttavia all’ultimo parve riuscire a dominarsi, e nel contempo gli spuntò un sogghigno maligno sul volto. «Oh, sì… ho notato che non dai molta importanza alle regole collettive e all’unione di corpo… A giudicare dal modo in cui hai riaccolto tranquillamente al tuo fianco quell’umano che tratti come un amico, dopo che lo hai trovato insieme a noi…» disse, con chiara provocazione, riferendosi senz’ombra di dubbio a Uther.

Danny strinse appena i denti, ma rispose quasi subito e con prontezza, mostrando ancora la sua calma impassibilità il più possibile. «Per come la vedo io, ho semplicemente aiutato una del vostro cosiddetto “branco” che era appena stata pestata dai suoi “compagni impazziti”. Tipico di questa struttura che mischia il dogmatismo e la repressione cercare di tappare le falle quando la nave fa acqua e i componenti dell’equipaggio iniziano a scannarsi tra di loro, direi…» osservò, cercando di restituire provocazione per provocazione.

Allo stesso tempo, Danny si teneva perfettamente pronto con ogni fibra del suo essere a fronteggiare un eventuale attacco fisico di Badlands, dal momento che era evidente che l’altro non fosse molto bravo né portato ad affrontare un confronto verbale senza passare piuttosto a vie molto più tangibilmente fisiche.

«Quei ragazzi hanno sbagliato, nessuno lo mette in dubbio!» tuonò Badlands, irato, prima di calmarsi un poco nel proseguire con voce cupamente evocativa «E ti assicuro che ora hanno diverse cicatrici sulle quali riflettere. Ma anche la ragazza era nostra responsabilità! Sono giovani, e hanno bisogno di disciplina.»

«Oh, se è per questo anche Nickj ora ha delle cicatrici su cui riflettere, le ho viste bene. Ma sono di quelle che insegnano davvero, quelle che ci si procura coi propri errori o vittorie, e non quelle subite da qualcuno che pensava di doverci insegnare come stare al mondo secondo un suo supposto codice comportamentale...» ribatté Danny, con la voce che gli usciva tra i denti, non meno tagliente, tuttavia ferrea nella sua determinazione.

Badlands sembrò passare dalla rabbia al disprezzo come ultima risorsa per tenere a freno la sua voglia di aggredirlo, perché emise un chiaro verso di dispregio «Dovevi essere uno di quegli scapestrati utopisti con un sacco di spazzatura di buoni sentimenti e altre stronzate non di questo mondo, prima di diventare un mezzo lupo.»

Danny sorrise appena, sinistramente divertito e sarcastico. «E tu che cos’eri, Badlands, prima di essere toccato dalla grazia di essere trasformato senza nemmeno rendertene conto, e di sceglierti questo discutibile soprannome? Uno della riscossione crediti?»

In un istante Badlands tornò a infervorarsi, e perse il controllo abbastanza da rivolgergli un vero e proprio urlo imperioso, nonché veemente ripetitivo. «Dimmi dove l'hai portata! Lei è affare nostro.»

Il sorrisetto impertinente e sinistro di Danny si accentuò un poco di più, scurendosi di un’ombra di sorda minaccia appena accennata e mortalmente seria. «Non hai ancora capito, Badlands? Io non ubbidirò mai ai tuoi ordini, e non c'è niente che puoi fare per cambiare questo. Tu lo sai, vero, che è stata Mara a crearmi? Ho disubbidito a lei, e sono ancora vivo e vegeto. Sai quante persone potrebbero dire lo stesso sulla faccia di questa terra? Ben poche. E ora tu pensi che io possa essere spaventato dall'eventualità che tu ‘mi punisca’? Mi dispiace, Badlands... ma il bondage non mi hai attirato*...»

Ora l’altro lo stava fissando con un’occhiata tale che sembrava stesse cercando di pugnalarlo ripetutamente e a morte con lo sguardo; ma riuscì ancora in qualche modo a dominarsi abbastanza da limitarsi a rispondere con la voce piuttosto che con un attacco fisico diretto.

«Preferisci atteggiarti a grande salvatore di giovani mezzi lupi confusi? Dopotutto, da quello che hanno detto quei ragazzetti, sei stato proprio tu a fare il lavaggio del cervello alla ragazzina.»

Danny roteò gli occhi, a beneficio del fatto che Badlands lo stava guardando attentamente, e il suo sogghigno divenne più ironico. «Avanti, suona francamente ridicolo sentirsi accusare di lavaggio del cervello da uno che si sta affannando ad inseguire una giovane mezzo lupa per riempirla di botte e riportarla nei ranghi della setta a cui appartiene, non trovi? Qual'è esattamente il problema? Avete calcolato di avere un po' troppi pochi accoliti per portare la conquista a livello globale?» domandò, con candida provocazione.

Badlands emise un altro verso di chiaro e totale disprezzo. «Cosa pensi di saperne, ex mezzo lupo? La verità è che non sai nulla. Chi ti dice che non abbiamo dei contatti altrove? No, tu non sai proprio nulla... ma ti garantisco che le cose saranno davvero più grandiose di quanto chiunque possa immaginare, compresi tu e i tuoi sciocchi amici umani.»

Danny si ritrovò con le orecchie – in quella forma solo metaforicamente – rizzate, ma dopo una rapida considerazione, decise che cercare di indurre Badlands a rivelare qualche ulteriore particolare di quello che andava dicendo, ammesso che ci fosse qualcosa di veritiero e non fossero solo chiacchiere al vento tese semplicemente a fargli impressione e incutergli timore, non era esattamente quella che si poteva definire una buona idea per un tentativo. Forse Badlands aveva qualche problema in più a controllarsi quando si trattava di cercare di essere anche solo fintamente diplomatici, ma non sembrava abbastanza stupido da essere indotto a parlare di cose sulle quali credeva ciecamente come ad un grandioso piano segreto. Inoltre, a Danny premeva riuscire a toglierselo dai piedi il prima possibile, per poter tornare all’appartamento. Anche se dubitava che nei piani di Mara potesse comparire l’intenzione del tutto improvvisata e impulsiva di tentare un attacco ad un Uther armato di fucile e barricato dentro una casa in pieno giorno e in mezzo ad una città, il bisogno di trovare sollievo nell’essere personalmente presente ad assicurarsi che ciò non accadesse non gli dava tregua, era un sottofondo continuo in lui.

«Allora, perché non torni a gongolare sui tuoi piani da 'gran cattivo' della situazione col tuo soprannome ad hoc, e ti sposti dalla mia strada, Badlands? Sono certo che se Mara avesse voluto la mia testa, avrebbe avuto la decenza di presentarsi di persona. Non ce la vedo, a perdersi un'occasione del genere...» disse perciò, con tono da finta proposta ragionevole,  puntualmente provocatoriamente impertinente, sebbene anche freddo e distante.

«Oh, non devi in alcun modo preoccuparti di questo, ex mezzo lupo... Arriverà anche il tuo momento, puoi giurarci...» gli comunicò Badlands, con tono minacciosamente sinistro e sicuro di sé.

«Non vedo l'ora, Badlands. Assicurati di esserci per favore. Mi dispiacerebbe non avere occasione di reincontrarti....» rispose sommariamente Danny, con aria maggiormente distaccata e annoiata, la cupa minaccia una traccia sottile ma ben percettibile, sospesa nell’aria ma dispersa nel futuro.

«Non preoccuparti, ci sarò. E' una promessa.» assicurò Badlands, poco prima di muoversi. Spostò la sua pesante figura un passo alla volta, voltando le spalle e incamminandosi per allontanarsi, finché non sparì dalla vista di Danny voltando dietro l’angolo di una casa in fondo a quella strada.

Ma solo quando Danny smise di sentire il suo odore chiaramente, ovvero non più della traccia che aveva lasciato dietro di sé andandosene, si permise di lasciare che il suo corpo si rilassasse gradualmente e lentamente, abbandonando poco a poco seppur non definitivamente la sua posa pronta allo scontro.

«Badlands…» mormorò tra sé e sé «Devo proprio controllare. Deve averlo preso dal personaggio cattivo di qualche fumetto, o qualcosa del genere… Mhmmm…» e sornacchiò appena un accenno di risata sardonicamente amareggiata «E vuole pure giocare a chi è più grosso e cattivo... Fantastico. Questa è davvero la più bella vacanza che abbia mai fatto...»

Dopodiché, si impose di smetterla di parlare da solo, se non altro per poter mostrare a se stesso che Kumals si sbagliava completamente a proposito di un eventuale suo crollo di nervi, e tornò verso il telefono pubblico deciso a trovare la risoluzione necessaria a comporre il numero di telefono di Andrea.

Il telefono, tuttavia, squillò a vuoto per tutte e tre le volte in successione che chiamò. Allora, fu sicuro che Andrea doveva aver preso l’aereo per tornare indietro e cercare di raggiungere Tairans, e un brivido gelido gli attraversò la spina dorsale per tutta la sua lunghezza, mentre realizzava che non era mai stato così terrorizzato semplicemente da una prospettiva, mai in tutta la sua vita.

 

 

Soundtrack: Coda di lupo (Fabrizio De André)

 

Note dello scribacchiatore:

* a proposito del fatto che Danny nomina il bondage (oh, vi prego, riconoscerete che è assurdo tentare di spiegare che cos’è in una nota a fine capitolo, quindi siccome il web è vasto e vario vi basterà una piccola ricerca e lo saprete), vorrei specificare che non ho nessun motivo per disprezzare in qualche modo il bondage (o consimilia) come pratiche sessuali, anzi, Danny sta cercando di infastidire Badlands, e questo tipo di battuta è particolarmente ben affibbiata a Badlands se considerate che sembra di essere di “mentalità conservatrice ristretta” (ovvero, di solito quel tipo di mentalità che appunto bannerebbe il bondage); inoltre, Danny deve aver fatto qualche ben precisa supposizione tra sé e sé, ad esempio supponendo che proprio Badlands, grosso com'è, si faccia "mettere sotto" dalla volontà di Mara... il parallelo è specificato dal fatto che Danny gli sta proprio facendo notare che lui non teme Mara, mentre Badlands - se anche non la teme - perlomeno accetta di essere soggetto alla sua volontà.

Detto questo, al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 29
*** 28 - Nuotatori sincronizzati di folla ***


Capitolo 28

(NUOTATORI SINCRONIZZATI DI FOLLA)

 

Danny aveva quella sgradevole sensazione di quando le cose si stanno iniziando ad incrostare in abitudini tutt’altro che positive, in una specie di quotidianità distorta verso la quale, se le si lascia ancora il tempo di continuare solo un altro poco a ripetersi nello stesso tedioso identico modo, si finisce per sviluppare una sorta di assuefazione nociva.

Non gli era difficile individuare precisamente gli elementi che gli facevano provare quella sensazione: bastava considerare il susseguirsi di eventi che lo riportarono attraverso Tairans uno dopo l’altro, a cominciare dalla telefonata con Kumals, passando per l’incontro con Badlands e il ripassare davanti ai due mezzi lupi di turno nella sorveglianza dell’appartamento – ai quali si curò di dedicare un’occhiataccia bruciante e sinistramente sarcastica, subito prima di entrare attraverso il portone della casa e di richiuderselo bene alle spalle sbattendolo sonoramente dietro di sé – , per terminare con il trovare dentro l’appartamento Uther, seduto accanto alla finestra con il fucile come al solito appoggiato contro il petto e tenuto tra le braccia con scioltezza, intento a osservare la strada per tenere sott’occhio i due che li controllavano per ordine di Mara & Co.

«Com’è andata?» gli chiese Uther, con tono tra l’annoiato e lo scontato, mordicchiando un biscotto e dedicandogli solo una fugace occhiata prima di riportare lo sguardo all’esterno della finestra.

«Splendidamente.» ironizzò Danny per tutta risposta, con una smorfia involontaria. Certamente l’atteggiamento di Uther non faceva che peggiorare quella sua sensazione dell’incrostarsi di una ripetitività quotidiana basata su un perenne stato di tensione e di pericolo imminente.

«Ah, ho incontrato Badlands poco fa.» annunciò perciò, ostentando un tono piatto. Aveva assolutamente bisogno di cercare di infrangere quell’atteggiamento compassatamente tranquillo di Uther.

Quest’ultimo, con sua magra soddisfazione, si limitò a lanciargli un’altra occhiata, sebbene stavolta si trattasse perlomeno di uno sguardo più lungo e significativo e attento, prima di tornare a sorvegliare visivamente i mezzi lupi fermi in strada. Danny ebbe la sgradita sensazione che con quel semplice sguardo Uther avesse ottenuto quel tanto che gli serviva per continuare a non scomporsi: Danny non era ferito né aveva l’aspetto di essere appena incappato in una zuffa, né mostrava altro segno di aver dovuto sostenere uno scontro particolarmente difficile. Così, quando lo sentì rispondere con tono ancora abbastanza neutro e tranquillo, Danny si chiese seriamente quale razza di impressione poteva dare il suo aspetto se da un lato Kumals arrivava al punto di pensare – semplicemente udendo la sua voce attraverso il telefono – che stesse per avere un crollo di nervi, mentre Uther in compenso giungeva alla conclusione che dopotutto stava reggendo abbastanza bene la situazione.

Per quanto lo riguardava, lui non riusciva ancora a farsi una mezza idea complessiva di come stava effettivamente reggendo la situazione.

«Cosa voleva?» domandò Uther, in tono un po’ più duro.

Danny sospirò e si lasciò cadere a sedere sul divano di peso. «Voleva sapere dove poteva trovare Nickj per andarla a prendere per un orecchio – metaforicamente parlando, perché penso che avesse intenzione di farle ben di peggio – e ri-trascinarla alla loro tendopoli.»

Vide un lieve sogghigno di strafottente vittoria disegnarsi sul viso di Uther, il quale emise anche un verso di sarcastica soddisfazione. «Certo, come no. Come pensare che non saremmo stati lieti di aiutarlo in questo?»

Danny represse a fatica le prime parole che gli venivano da ribattere, qualcosa a proposito del correggere la prima persona plurale al singolare, visto che dopotutto era toccato a lui solo fronteggiare Badlands, e si limitò a masticare uno svogliato «Già.»

Reclinò la testa all’indietro, appoggiando la nuca alla cima dello schienale del vecchio divano, e chiuse gli occhi, sopraffatto per un momento dalla tentazione di schiacciare un pisolino, giusto per riposarsi un momento, e magari soprattutto per sfuggire per un po’ alla consapevolezza di dove si trovava e perché, e alla confusione che sentiva riempirgli la testa come un caotico vortice di frammenti sparsi che non riusciva a rimettere insieme nemmeno con una grande dose di colla e di sforzo per aggiustare i pezzi tra loro. Sì, assomigliava terribilmente ad una sottospecie di disperato tentativo di fare un puzzle quando tutto ciò che si ha a disposizione sembrano essere pezzi di decine di puzzle diversi, che si rifiutano di combaciare tra di loro, e a vedersi tutti insieme non sembrano altro che svariati e disgraziatamente insufficienti sprazzi di un’immagine complessiva che può al massimo assomigliare ad un quadro di arte astratta, piuttosto che ad una qualche prospettiva sensatamente componibile.

«Questo gioco di sguardi comincia a stancarmi un po’…» sentì dire a Uther, riferendosi chiaramente al dover tenere d’occhio a loro volta i mezzi lupi che li tenevano sotto sorveglianza, nonché alla snervante immobilità di quella situazione.

Allora Danny ri-spalancò gli occhi e si drizzò a sedere di colpo, dandosi dello stupido per non averlo ancora detto.

«Ho sentito Kumals.» disse.

L’attenzione che ottenne da Uther fu immediatamente istantanea, e Danny la riconobbe chiaramente anche se si manifestò semplicemente con un guizzo dello sguardo dell’altro verso di lui e un generale lieve irrigidirsi della sua postura seduta.

«Sì? E che ha da dire di prezioso?» chiese Uther, con un tono singolarmente astioso e non abbastanza ironico, considerando di chi stavano parlando.

«Un contatto che può esserci utile.» annunciò Danny, stranito dalla soddisfazione di poter a quel modo segnare un valido punto in difesa di Kumals. Per quanto lui stesso non si sentisse esattamente nella posizione di voler così tanto spezzare una lancia in suo favore, se non altro quel tono così rabbioso nei confronti di Kumals gli suonava comunque troppo ingiusto.

Uther alzò alquanto entrambe le sopracciglia, sorpreso. «Ovvero?»

«Dice che c’è una persona che sa bene delle cose di cui ci occupiam… occupavamo. E che quindi potrebbe capire la situazione che c’è qui, e darci un valido appoggio.» spiegò.

«Ah… E… perché questo particolare salta fuori solo adesso?» domandò Uther.

Danny corrucciò la fronte, concentrandosi nuovamente sulle parole di Kumals, ri-analizzandole mentre le ripeteva sommariamente a Uther. «A quanto pare, da che ne sapeva Kumals questa persona non si trovava a Tairans… ma l’ha sentita ieri, e ha saputo che stava tornando qui…»

«E Kumals non gli ha già detto che cosa sta succedendo?» si informò ancora Uther.

«Sai che Kumals non ama fare lunghi discorsi al telefono… Gli ha solo anticipato che avremmo potuto aver bisogno di aiuto.» rispose Danny.

«In altre parole… come dobbiamo incontrare questo fantomatico contatto di Kumals

«Dobbiamo andare a casa sua. Mi ha dato l’indirizzo. Ma… dopotutto, anche tu hai abitato a Tairans con Kumals. Non lo conosci anche tu già? Il suo nome è Mordecai.» chiese Danny.

Uther rifletté per un breve momento, concentrandosi. «Il nome non mi è nuovo… sì… ci ha già dato una mano, tempo fa, quando stavamo qui. Ma no, io non l’ho mai visto. Quella volta che collaborò con noi, una sola volta, io ero occupato altrove per quanto riguardava quel… caso.» spiegò, pronunciando l’ultima parola con un accenno di ben dosata ironia che accompagnava la scelta di quella definizione che Kumals, invece, usava puntualmente con fare abitudinario e casuale per indicare i loro incarichi.

«Ah.» fu tutto ciò che venne da commentare a Danny, guadagnandosi in tal modo involontariamente un’altra fugace occhiata da parte di Uther.

«Mordecai… fammi indovinare, ebreo, giusto?*» chiese allora Uther, con un che di lievemente scherzoso nel tono, che rendeva stranamente colma di tentativo quella battuta, come se fosse improvvisamente incerto di poter scherzare tanto confidenzialmente con lui.

Danny accennò un sorrisetto leggero, sebbene non lo stesse più guardando. «Oh… beh, Kumals dice che è solo una specie di “nome d’arte”. E… sarebbe nientemeno che un necromante ebreo, a dirla tutta. Di origine etnica ebraica, non di religione ebrea.» specificò.

Il sorrisetto di Uther si accentuò appena ma nettamente, e Danny comprese che aveva subito capito che quella di chiedere a Kumals se avessero a che fare con un credente religioso era una delle prime domande che gli era venuta in mente. Ed entrambi potevano immaginare benissimo che Kumals, al sentire quella domanda che pur già si aspettava conoscendoli, doveva aver assunto quella sua solita espressione tra il paziente e il comprensivamente complice; se da un lato Kumals era della loro stessa opinione a proposito delle religioni, aveva anche sempre posseduto doti decisamente più diplomatiche per trattare con eventuali clienti o collaboratori credenti, a differenza di loro due. E come tutti i ‘4 di picche’ sapevano più che bene, mandare Uther e Danny da soli a trattare con un credente, o anche Ramo, era come spianare il terreno a problemi interrelazionali che sarebbero sfociati di lì a poco in una serie di eventi che li avrebbe portati irrimediabilmente a perdere qualsiasi incarico il cliente volesse affibbiare loro.

«Ad ogni modo, avremo presto occasione di conoscere di persona il signor Mordecai…» aggiunse Danny.

«Bene.» commentò Uther «Ma credo che prima dovremmo pensare a come risolvere un altro problema…»

Danny tornò a guardarlo, interrogativamente.

Tuttavia, il silenzio di Uther e il fatto che stesse ancora tenendo sott’occhio l’esterno della casa furono più che sufficienti per fargli capire esattamente a che cosa si stesse implicitamente riferendo.

«Oh, già… quel problema…» borbottò di malumore in tono cupo, incrociando le braccia sul petto e iniziando a far andare a tutta velocità le sue “rotelle cerebrali”, con tanta concentrazione da non accorgersi nemmeno del breve sguardo significativo che gli lanciò Uther, con un’espressione che voleva sottolineare con simpatetica ma leggermente stupita ovvietà come gli fosse sfuggito un particolare così determinante e ultimamente onnipresente come quello che avessero nientemeno che due mezzi lupi incaricati esclusivamente di tenerli sotto stretta sorveglianza.

 

***

 

Dover stare fermi in mezzo alla strada per le lunghe ore filate che durava ogni turno, era per i mezzi lupi incaricati di volta in volta di sorvegliare quell’appartamento, e i movimenti del mezzo lupo rinnegato e del suo amico umano che vi dimoravano, una pura noia mortale. Non letteralmente ‘mortale’ perlomeno, speravano.

C’era una voce vaga e sotterranea – pronunciata solo con sussurri furtivi e tesi e raramente e a mezze frasi – che circolava per l’attendamento: che quel mezzo lupo rinnegato fosse stato creato nientemeno che da Mara stessa, diverso tempo addietro. Se da un lato questo poteva spiegare come mai la mezza lupa che non perdeva tanto tempo in chiacchiere quando riteneva che la sopravvivenza di qualcuno le desse fastidio fosse così propensa invece a dilungare i tempi quando si trattava della questione di quel mezzo lupo rinnegato, d’altro canto quella vociferazione si aggiungeva alla gravità di che cosa quel Danny rappresentava per l’immaginario dei mezzi lupi dell’accampamento: oltre ad essere un mezzo lupo rinnegato, era stato l’unico e assiduo “discepolo” di Mara in persona, ed ora si aggirava tra e con gli esseri umani che di professione si occupavano di affrontare creature “paranormali” – mezzi lupi compresi – armato di due pistole, e in stretta compagnia di un umano che sembrava avere una profonda confidenza col suo fucile.

Il tutto non poteva che produrre dunque attorno alla figura del mezzo lupo rinnegato un alone in cui si mischiavano strettamente il disgusto e la curiosità, il rigetto e un inconfessabile timore. Dopotutto, se quello era il “figlio” di Mara come mezzo lupo, e allo stesso tempo un rinnegato che preferiva combattere i mezzi lupi e affiancarsi agli esseri umani e adottare le loro armi mortali dotate di proiettili più rapidi e nocivi dei riflessi e dei denti di qualsiasi mezzo lupo, Danny poteva facilmente assurgere nel loro immaginario come l’incarnazione della ferocia pura e cieca e assassina di Mara sommata alla letalità degli esseri umani e delle loro armi rivolte contro i mezzi lupi.

Così, la noia di quei turni di sorveglianza di quell’appartamento veniva decisamente controbilanciata dalla tensione di trovarsi nelle strette vicinanze di Danny e di un essere umano e di almeno tre armi da fuoco, per di più considerando che tutti i mezzi lupi dell’attendamento sapevano ormai benissimo che i due si erano chiaramente accorti di quello spionaggio e non ne sembravano affatto entusiasti, sicuramente non particolarmente spaventati, né abbastanza sprovveduti da non contraccambiarlo costantemente.

Il piano di confronto era tutt’altro che decisamente inclinato a favore dell’una o dell’altra fazione: i due mezzi lupi di guardia potevano contare su tutto il loro bagaglio di potenziale di forza e rapidità da mezzo lupo, ma d’altro canto sapevano bene che il meglio di quelle loro potenzialità si esprimeva sempre molto meglio quando si era nella forma di lupo; d’altro canto, l’amico di Danny era solo un essere umano, ma tra tutti e due avevano a disposizione ben tre armi da fuoco. E un’arma da fuoco era sempre per un mezzo lupo qualcosa verso la quale era difficile mantenere il sangue freddo, sebbene tecnicamente alcune storie e dicerie parlassero di mezzi lupi con una certa età ed esperienza che li rendevano in grado di affrontare un essere umano armato con buona chance di sopravvivenza, grazie all’abilità di muoversi abbastanza facilmente da allontanarsi evitando i proiettili e sfruttando fino in fondo qualsiasi strategia a disposizione a tale scopo, dalla corsa a zig-zag fino al poter sfruttare ogni genere di ostacolo fisico dietro il quale ripararsi durante la fuga.

Tuttavia, purtroppo per i mezzi lupi che di volta in volta erano di turno alla sorveglianza di quell’appartamento, le istruzioni che Mara aveva impartito loro non comprendevano affatto la possibilità di limitarsi a fuggire in caso iniziassero a risuonare colpi di arma da fuoco. O anche solo il suono di un’arma che viene caricata. Perché tanto sarebbe bastato per far scatenare lungo tutto il sistema nervoso dei mezzi lupi fuori dall’appartamento il selvaggio imperativo di darsi immediatamente alla fuga come sinonimo di unica possibilità di salvare la pelle.

Era così che lungo le ore di ogni turno si snodava direttamente sui nervi dei mezzi lupi in sorveglianza il miscuglio di noia e tensione, che li logorava lentamente ed inesauribilmente, con la diabolica pazienza di un sottile rivolo d’acqua che scorrendo sempre nello stesso punto finisce per incidere anche la roccia più dura.

Quando, quel pomeriggio, si udì il rumore del portone del condominio che si apriva proprio pochi minuti dopo che dalla finestra dell’appartamento erano scomparsi sia il mezzo lupo rinnegato che il suo amico umano, entrambi i mezzi lupi di guardia faticarono a trattenere un nervoso sussulto di allarme, ben consapevoli che difficilmente quello potesse rivelarsi come un vero e proprio indizio di pericolo per la loro incolumità stretta, così com’erano altrettanto consapevoli che niente potesse dare loro la completa garanzia che da quel portone non sarebbero spuntate armi spianate verso di loro e pronte a far fuoco.

Tuttavia, dal portone uscirono i due oggetti della loro sorveglianza, uno dopo l’altro (il mezzo lupo per primo), e la scena assunse subito una normalità ormai consueta per gli occhi di chi aveva già avuto occasione di fare dei turni di guardia presso quell’appartamento o pedinando occasionalmente chi ne usciva o entrava che avesse direttamente a che fare con Danny. Tanto quest’ultimo quanto il suo collega umano sembravano disarmati a prima vista, anche se Mara li aveva istruiti sul fatto che Danny portasse le armi sempre nascoste alla cintola e sotto la maglietta quando si muoveva in contesti “pubblici”, e dopo aver lanciato loro a malapena un paio di occhiate sempre colme di quello sguardo tra la strafottente sfida sarcastica e la cupa rabbia trattenuta, si incamminarono semplicemente lungo la strada fianco a fianco.

I due mezzi lupi concessero loro solo qualche momento di vantaggio, poi, muovendosi altrettanto di concerto, si misero a seguirli; se non altro, nonostante l’evenienza che Danny e il suo amico umano si muovessero fosse considerata unanimamente dai mezzi lupi che si avvicendavano nei turni di sorveglianza come una sfortuna e un momento di particolare nervosismo, in quel caso non erano costretti a decidere che cosa fare. Gli ordini di Mara erano chiari, a proposito del fatto che dovessero tenere d’occhio principalmente proprio quei due, e fintanto che essi si muovevano insieme non c’era perciò difficoltà alcuna nel decidere di doverli semplicemente seguire.

Non faceva in alcun modo parte dell’incarico dei mezzi lupi di turno dover ragionare o capire su dove quei due stessero andando o perché; il loro compito non prevedeva esattamente l’interpretazione, tutt’altro: dovevano semplicemente guardare e poi riferire punto per punto a Badlands che cosa avevano visto, e sperare che ciò che avevano da riportare non contenesse nessuna informazione abbastanza degna di nota da dover essere riferita direttamente alla presenza di Mara, la quale, come alcuni di loro avevano già avuto occasione di sperimentare direttamente sul loro pelo, se veniva messa di gran malumore dalle novità, non lesinava nello sfogarsi su chi le portava. A quanto pareva, la frase ‘ambasciator non porta pena’ era stata scartata dal vocabolario della mezza lupa per consapevole e voluta scelta.

 

***

 

Mentre giravano l’angolo di una strada, Uther spiò brevemente dietro di loro, in un modo talmente abile per non farsi notare e far sembrare il suo gesto come così inutile e casuale da poter essere difficilmente notato o interpretato, che lo si sarebbe detto qualcuno che avesse seguito un vero e proprio addestramento per quel genere di cose da ‘spia di professione’; oppure l’abilità di qualcuno che ha seguito un suo personale corso di esperienza diretta di sopravvivenza da scippatore di strada.

Con quella fugacissima occhiata, Uther fu perfettamente in grado di sincerarsi che i due mezzi lupi sotto sembianze umane li stessero seguendo, anche se sapeva che non ce n’era davvero così bisogno: Danny era più che in grado, grazie semplicemente al fiuto, di sincerarsi che li avevano alle calcagna. A meno che non si alzasse un forte vento in direzione contraria.

Continuarono a camminare con assoluta calma ed un fare casuale ma non troppo: dopotutto erano pur sempre pedinati da due mezzi lupi. Niente poteva garantire loro che non li avrebbero mai e poi mai attaccati, anche se le probabilità indicavano quasi proprio quello. E Uther poteva chiaramente percepire dalla tensione sottopelle dei muscoli di Danny pronti ad un eventuale scatto e scontro fisico, che l’altro era così pienamente consapevole di quella pur pallida possibilità che non si sarebbe mai permesso nemmeno per un secondo di rilassarsi completamente.

Uther sapeva che gran parte di quella tensione di Danny era dovuta proprio a lui, l’unico di loro quattro ad essere completamente umano piuttosto che un mezzo lupo. Per un momento fu tentato di portarsi una mano alla cinta dei pantaloni, nel punto in cui portava una delle pistole di Danny, ma si trattenne dal gesto, che oltre che inutile era un poco rischioso in quel frangente, e cercò di ignorare più risolutamente la sensazione di fastidio provocata dal peso e dalla posizione dell’arma, per lui che non era affatto abituato a portare una pistola alla cintola e nascosta dai vestiti. Nonostante ciò, non poté impedirsi di ripensare per un breve momento a ciò che era successo poco prima che uscissero di casa: il modo in cui Danny gli aveva porto una delle sue pistole, caricata, e gli aveva chiesto se sapesse usarla con sufficiente dimestichezza.

Uther gli aveva rivolto uno sguardo tra il perplesso e l’ironicamente stupito. «Sul serio me lo stai chiedendo?». Ma lo sguardo terribilmente serio e determinato che gli era stato rivolto ancora più penetrantemente a quelle parole lo aveva portato a rassegnarsi ad aggiungere con più serietà «Certamente meno dimestichezza che con il mio fucile, ma penso di potermela cavare più che bene tutto sommato.»

«Ma non potendo passeggiare per le strade di Tairans con un fucile a tracolla come niente fosse…» si era limitato ad osservare Danny distrattamente, lasciando la frase in sospeso per l’ovvietà del suo significato, e dedicandosi a sistemarsi l’altra sua pistola prima di sistemarla all’aggancio apposito interno alla cintola dei suoi stessi pantaloni, dopo aver lasciato andare l’altra pistola nella stretta poco convinta della mano con cui Uther l’aveva presa.

Uther aveva considerato per un momento con un certo fastidio il modo in cui Danny sembrava rivolgerglisi con un che di paziente e rassegnato, come se stesse avendo a che fare con qualcuno che si ostinava a mostrarsi infantilmente irragionevole. Un atteggiamento che sicuramente lo stava infastidendo decisamente, ma si era impegnato comunque a non farne trapelare nemmeno un’oncia nel suo tono, quando gli aveva obbiettato con calma «Intendevo che penso di potermela cavare anche senza di questa.»

Danny aveva alzato lo sguardo verso la pistola che Uther gli stava porgendo per restituirgliela, e i suoi occhi erano andati con studiata lentezza dall’arma fino a lui, come se quel tempo gli fosse servito per riflettere bene su cosa e come dirlo. Uther si era aspettato l’inizio di un tentativo di convincerlo a tenersi la pistola, ed era pronto a non retrocedere finché Danny non si fosse rassegnato al fatto che non avrebbe girato con una delle sue pistole solo perché non poteva portarsi appresso il fucile, ma non era minimamente pronto ad udire quelle precise parole.

«Mi sentirei molto meglio se la tenessi tu.» aveva detto Danny, l’intonazione profondamente seria che in qualche modo su di lui, agli occhi ed orecchie di Uther, si abbinava bizzarramente con la snudata e improvvisa sincerità che mostravano quelle parole. «Sono certo che se potessi portarti il fucile non avrei niente di cui preoccuparmi. Ma dal momento che il fucile è escluso, e siamo in due e abbiamo due pistole che possiamo portarci, una a testa mi sembra la soluzione più logica.»

Uther ne sostenne lo sguardo, riscontrando che non c’era più traccia di paziente superiorità inconscia, quanto piuttosto l’accenno di qualcosa di fermamente e allo stesso tempo disperatamente implorante. Era stato per quello che, prima di rendersene conto, si era ritrovato ad annuire e a sistemarsi la pistola alla cintola senza aggiungere altro, sebbene tra sé e sé sapesse bene che entrambi avevano capito che Danny non aveva detto ciò che realmente era il punto della questione: lui era l’unico umano su quattro, e gli altri tre erano tutti mezzi lupi.

Mentre scendevano le scale per uscire dal portone, Uther si era ritrovato per un momento a chiedersi se, fino a qualche giorno prima, Danny non glielo avrebbe semplicemente detto apertamente e senza alcun timore di rompere quello che ora sembrava una specie di delicato equilibrio precario, che si trattava del fatto che un essere umano senza un’arma era comunque quello svantaggiato in un confronto diretto con un mezzo lupo. D’altro canto, fino a qualche giorno prima non si erano mai ritrovati ad avere a che fare con dei mezzi lupi che avrebbero potuto attaccarli. Perciò Uther non aveva ancora trovato la risposta prima che avessero solcato la soglia del portone ed entrambi si fossero concentrati sul loro immediato obbiettivo.

E fu proprio sul loro immediato scopo che Uther tornò rapidamente a virare la sua concentrazione, mentre lui e Danny continuavano a camminare per le strade accaldate di Tairans.

Accanto a lui, Danny procedeva con la sua totale attenzione accuratamente nascosta sotto un’apparente calma da sangue freddo, così come era abituato a portare le pistole accuratamente celate sotto gli abiti quando si muovevano in una città. Tutti i suoi sensi erano liberati al massimo della loro estensione, intenti a fornirgli una mappatura il più dettagliata possibile di tutto ciò che lo circondava: una mappa che aveva tre punti focali ben precisi di cui teneva sott’occhio i movimenti anche senza doverli guardare direttamente con la vista, ovvero Uther di fianco a lui e i due mezzi lupi che li seguivano ad una ben calcolata distanza di sicurezza.

Di tanto in tanto, il principio di un fremito di tentazione gli pizzicava i nervi e i muscoli, e Danny lo reprimeva subito con prontezza: era la tentazione di girarsi su se stesso e lanciarsi all’attacco sui due mezzi lupi. Una possibilità terribilmente allettante, specialmente considerando che toglierseli dai piedi anche solo per qualche ora era decisamente una prospettiva balsamica per il suo nervosismo infastidito, ma sapeva più che bene che non poteva permettersi un errore così stupido come procurarsi addosso l’attenzione di tutti i passanti che avrebbero assistito alla scena e – ancora peggio – il sospetto di Mara a proposito dell’eventuale motivo per cui avesse perso il controllo dei nervi fino a quel punto.

Se aveva un pregio che riteneva nemmeno Mara avrebbe mai potuto negare, specialmente e semplicemente paragonandolo a se stessa, era che lui sapeva dominarsi abbastanza da cercare di fare la mossa più sensata quanto più sentiva che era indispensabile decidere col cervello prima che agire con gli scatti di nervi o con la reazione più naturalmente istintiva per un mezzo lupo. Ricordava che, soprattutto quando si erano conosciuti ancora da poco, ma di tanto in tanto ancora più recentemente quando ne capitava l’occasione, Kumals era solito affibbiargli a mo’ di critica la definizione di ‘impulsivo’; epiteto che, a seconda dello stato d’animo di Kumals e del preciso motivo per cui lo stava appellando a quel modo, poteva variare tranquillamente dall’esplosione irata di ‘rovinoso’ fino al moderato e sfumato dall’affetto e ancora solo ammonitorio ‘precipitoso’.

Ad essere precisi, tutti i ‘4 di picche’ conoscevano bene Kumals, tra le altre cose, per la sua famosa tendenza ad affibbiare loro svariati appellativi quando era preso da uno stato d’animo particolarmente poco moderato, il che avveniva raramente ma incisivamente. Danny poteva richiamare facilmente alla memoria qualcuno di quegli epiteti, come quando Kumals definiva lui e Uther ‘teste calde’ perché avevano fatto qualche piccolo pasticcio sulla scia dell’immediata urgenza di agire, o lui e Ramo ‘incorreggibile coppia di punk da strapazzo’ quando avevano agito in modo tutt’altro che rispettosamente pieno di tatto o di modesta convenzionalità; per non parlare di quando arrivava al punto da farsi sfuggire verso Yuta qualcosa come ‘quella che sembra uscita da un teen-film anni ‘80’ (qualsiasi fosse effettivamente la definizione, era quasi scontato e questione di secondi prima che qualcosa di contundente volasse per aria attraversando lo spazio – qualsiasi esso fosse – che separava in quel momento la diretta interessata da Kumals, e se quest’ultimo era abbastanza fortunato da essersene uscito in quel modo in un momento in cui Yuta non era particolarmente di cattivo umore, c’erano abbastanza buone probabilità che l’oggetto che stava volando nella sua direzione non fosse uno dei due cerchi dotati di lama che lei usava come armi). Una sola volta Kumals aveva perso le staffe al punto da osare una definizione critica che comprendesse anche Zoal, riferendosi a qualcosa che avevano fatto lei e Yuta nel merito di un incarico dei ‘4 di picche’ con il termine ‘queste zingarate’; e l’occhiata modestamente ma decisamente stupita e a sopracciglia repentinamente alzate che gli aveva rivolto Zoal era stata più che sufficientemente per fargli recuperare immediatamente tutto l’autocontrollo che possedeva.

Danny ritornò subito a concentrarsi sul qui ed ora della situazione non appena percepì con la coda dell’occhio abituato la leggerissima variazione di direzione nel passo di Uther, e la seguì con immediata scioltezza. Sebbene i due mezzi lupi che li seguivano non dovessero essersene accorti, grazie all’abilità che Danny e Uther avevano di muoversi in buon sincrono quando si spostavano insieme in un ambiente cittadino relativamente e potenzialmente ostile – o anche solo fastidioso per quanto riguardava la concezione che Danny aveva degli ambienti urbani -, in quel momento era Uther che stava dettando la strada. Era lui che conosceva Tairans abbastanza da sapere esattamente dove dovevano dirigersi in quel momento per ottenere ciò che volevano, e sebbene Danny si fosse fatto mostrare a grandi linee il percorso che dovevano seguire su una delle grandi mappe della città che erano appese o arrotolate o piegate in giro per l’appartamento (uno dei tanti rimasugli di quando quelle stanze erano state il “centro” delle attività di Uther e Kumals), non c’era quasi niente che gli venisse più spontaneo di assecondare il muoversi di Uther attraverso delle strade cittadine.

Mentre svoltavano in un’altra strada, e mentre notava, senza sorpresa ma anzi con rassicurazione a proposito del fatto che stavano mettendo in atto esattamente quello che dovevano, che di strada in strada si stavano muovendo in modo da attraversare zone di Tairans gradualmente sempre più affollate di persone, Danny ricordò di colpo un’altra delle definizioni di Kumals: una volta aveva chiamato lui e Uther ‘nuotatori sincronizzati di folla’. E sebbene lo avesse detto con un che di ironico che lasciava trapelare tutta l’intenzione di prenderli in giro con pungente affettuosità, Danny aveva riconosciuto in quell’appellativo un’ombra incancellabile di complimentosa ammirazione, qualcosa che Kumals centellinava e distribuiva piuttosto raramente e avaramente a lui, Uther o Ramo.

Nessuno dei ‘4 di picche’ aveva avuto bisogno di interrogarsi a proposito di che cosa Kumals volesse dire con quella definizione inventata a puntino: anche in quel momento, mentre procedevano in strade sempre più caotiche di persone, Danny e Uther la stavano incarnando come se fosse una seconda pelle per loro. Una seconda pelle, Danny realizzò per un momento breve ma decisivo nella sua limpida certezza, che forse poteva smettere di indossare per lunghi periodi da quando i ‘4 di picche’ non esistevano più a tutti gli effetti, ma che poteva re-indossare in un istante non appena ne capitasse l’occasione e la necessità.

Lui e Uther potevano muoversi attraverso le strade affollate con una sincronia naturale e automatica, come se fosse guidata da un pilota automatico che apparteneva a qualcosa che avevano metabolizzato in quell’età molto infantile in cui certe cose si imparano così profondamente che sembrano venir inscritte direttamente nel codice genetico, impresse a fuoco di fiamma viva direttamente nelle cellule ancora in frenetica divisione di un organismo che, una volta raggiunto il completo sviluppo, avrà quell’abilità perfettamente integrata in sé.

Non era l’unico tipo di “seconda pelle” che Danny avesse mai avuto. C’era stato un tempo in cui la sua seconda pelle era diventata quella di eseguire mosse di inseguimento e accerchiamento in sincronia con Mara, quando erano gli unici due componenti di un branco di mezzi lupi che cacciava in forma di lupo, per concentrarsi alla fine della corsa sulla preda da abbattere. C’erano ancora, quando capitava, brevi istanti in cui, davanti – o nel bel mezzo – di una determinata scena, lui e Ramo erano capaci di scambiarsi un’occhiata rapida e comprendere che stavano pensando la stessa cosa. Qualche volta Kumals coglieva quello scambio di sguardi rapido e immediato e commentava qualcosa come ‘ecco qua, il comune patrimonio mentale da punk-incorreggibili…’, con un che di rassegnato e paziente che non nascondeva un sottofondo di divertimento. Eppure, in un certo senso c’era sempre stata da qualche parte in Danny la sottile consapevolezza che la sincronicità dei movimenti che lui e Uther erano in grado di tirar fuori dal cilindro ed eseguire con perfetta e completa naturalezza quando si trattava di camminare in mezzo a strade affollate era qualcosa che aveva una natura più direttamente esercitata che appresa.

Così, come se stessero eseguendo i passi di una specie di danza che si erano preparati accuratamente, e allo sguardo di chiunque sarebbe stata giudicata impossibile da mettere in atto con la semplice improvvisazione come in effetti era, lui e Uther iniziarono gradualmente a procedere meno strettamente fianco a fianco, ma separandosi per tratti più o meno lunghi per solcare la folla separatamente pur procedendo sempre alla stessa velocità, ritrovandosi così di nuovo di tanto in tanto di nuovo fianco a fianco quando, come ad un invisibile segnale, tornavano a ricongiungersi quasi direttamente spalla a spalla, prima di separarsi nuovamente.

A quel modo traforarono la crescente folla di persone per le strade sempre più centrali di Tairans, rendendo sempre più arduo per i due mezzi lupi che li seguivano star loro dietro. I due inseguitori si videro ben presto costretti a scegliersi ognuno un solo obbiettivo da seguire, e il loro compito non divenne affatto meno complicato, dal momento che loro due non possedevano tra di loro la stessa sciolta abilità e rapidità fluida che di colpo avevano tirato fuori come dal niente i loro due inseguiti.

Ma, come già detto, il loro compito era stato predisposto da Mara in maniera così nettamente basilare che era molto più che un sovrappiù l’interpretare o il prevedere che cosa stava per succedere. Così come il loro stare alle calcagna di quei due non contemplava l’eventualità né di raggiungerli né tantomeno di superarli, così il loro incarico di sorveglianza prevedeva di registrare ogni cosa che vedevano loro fare solo dopo che era stata messa in atto – per poterla riportare all’attendamento come bottino informativo – e giammai contemplava anche solo l’idea che potesse essere loro richiesto di leggere in quei movimenti un significato particolare o di cercare di prevedere dove volevano andare a parare.

Per questo, quando i due mezzi lupi di colpo si resero conto che il contatto visivo delle figure in movimento di Danny e Uther davanti a loro in mezzo alla folla veniva reciso di netto e all’improvviso, furono tragicamente colpiti da una serie di emozioni ben poco strategiche: l’ansia, l’urgenza e il panico. Fu così che i loro movimenti divennero scomposti, e iniziarono a correre e a passare in mezzo alle persone anche a costo di spallate e di spintoni, lo sguardo freneticamente alla ricerca dei loro obbiettivi, mentre realizzavano nel frattempo – e troppo tardi – anche il particolare che  in mezzo a quell’assembramento di gente e a quel traffico di attività umane il fiuto si rivelava praticamente inutile per rivelare una traccia valida: l’odore di Danny e Uther era troppo leggero a causa del loro essere semplicemente passati di lì, e troppo confuso nella moltitudine di tutti gli altri forti e ottundenti odori umani e artificiali urbani.

Mentre ormai venivano sempre più presi dal  panico e si affrettavano a muoversi rapidamente quanto disordinatamente da una parte all’altra della piazza dov’erano giunti, e nella quale si stava svolgendo un mercato cittadino denso di persone, rumori, movimenti e odori quanto più molteplici e mischiati possibili, i due mezzi lupi iniziarono così a realizzare di aver commesso un tragico e decisivo errore tipicamente umano: mai affidarsi semplicemente al contatto visivo. Specialmente quando si sta cercando di rimanere alle calcagna di un mezzo lupo che conosce perfettamente tutte le regole di un inseguimento e di una traccia, e di un essere umano che sa essere estremamente sfuggente.

Nemmeno per un istante, mentre si affannavano ad affrettarsi lungo tutti gli inizi delle strade che confluivano in quella piazza, cercando anche solo l’ombra di una traccia che gli permettesse di rimediare al loro errore, si illusero che ricordare a Badlands o Mara quanto quei due sembrassero usciti da un manuale su come seminare eventuali inseguitori sarebbe bastato ad evitare loro terribili conseguenze se non avessero ritrovato al più presto il mezzo lupo rinnegato e l’umano così terribilmente abili nell’arte del dileguarsi con scioltezza.

 

Soundtrack: Werewolves of London (Warren Zevon)

No, Londra non c’entra per niente (ricordate, siamo a Tairans ;p ), ma per “colonna sonora” a questo capitolo posso dire che una volta tanto sono pienamente soddisfatto della mia scelta.

Oh, e per la cronaca, sono stato ad un passo dall’inserire ‘Questione di sguardi’ di Paola Turci, giusto per via della battuta di Uther a proposito del “gioco di sguardi” a forza di dover tenere d’occhio i mezzi lupi che li tengono d’occhio. Ma siccome mi dispiace limitare il trash, ecco, l’ho detto qui!

 

Note per la comprensione:

* Mordecai è un nome considerato comune tra gli ebrei, ed è una specie di nome da luogo comune… come un personaggio inglese che si chiami John Smith, o un francese che si chiami Francoise, o uno italiano che si chiami Marco Rossi, o giù di lì… In effetti, è facile trovare dei ‘Mordecai’ come personaggi ebrei in molta letteratura se non sbaglio, e ho pensato bene che ci stesse a puntino visto che il trash in questa fanfiction è quasi d’obbligo! ;)

 

Note dello scribacchiatore:

Sì, so che questo capitolo risulta piuttosto pesante per via delle frasi piuttosto lunghe e un po’ contorte… tuttavia, quando l’ho riletto continuava a piacermi ancora troppo così per andarci troppo attorno per semplificare… Se proprio vi risulta illeggibile e avete voglia di tirarmi qualche accidenti in proposito, purché me lo facciate sapere magari ci rimetterò mano con più voglia (e soprattutto più a breve) per tentare di rimediare. Altrimenti ve lo terrete così com’è, sperando non sia troppo terribile a leggersi (sorry, ma quando mi si mettono contro sia la disponibilità di tempo che di reale motivazione per fare qualcosa, praticamente non c’è speranza)

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Capitolo 30
*** 29 - Necromanzia portami via! ***


Capitolo 29

(NECROMANZIA PORTAMI VIA!)

 

Il quartiere che corrispondeva all’antico ghetto ebraico di Tairans si riassumeva in una manciata di stradine non particolarmente lunghe e tra loro vicine, scoprì Danny quel pomeriggio inoltrato, sul far della sera; e appurò anche che quel luogo non aveva ancora del tutto perso il suo antico fascino, mentre vi si inoltrava di buon passo insieme ad Uther. Al punto che, se solo non fossero stati sospinti dalla fretta di togliersi dalla strada rapidamente, in modo da lasciare il meno possibile un’eventuale traccia odorosa che potesse rivelarsi utile per i due mezzi lupi che avevano seminato poco più di un’ora prima, Danny avrebbe volentieri rallentato il passo e ridotto il ritmo della sua andatura fino a quello più adatto ad una vera e propria passeggiata contemplativa.

La struttura di base delle case era rimasta quella originale: pareva come se si stringessero tutte assieme per proteggersi dall’eventuale arrivo di venti gelidi e forti, avevano la moderata altezza di due piani bassi che ricalcava l’uso di riservare il piano terra al negozio e quello superiore all’abitazione, e in ogni loro aspetto esprimevano una riservatezza dignitosamente rigorosa, in bilico tra l’eleganza modesta e un pizzico di mistero esoterico che affondava le radici in chissà quali credenze di biblica antichità. Nemmeno l’odore, per quello che poteva ricavarne Danny – e non era poco grazie al suo poderoso fiuto da mezzo lupo -, era da meno: un sentore di polvere e di carta vecchia, come un incartapecorimento generale, aleggiava nell’aria che sembrava infilarsi in quelle viuzze strette e ancora pavimentate a pietra sconnessa per poi immobilizzarvicisi trattenendo il respiro, mischiandosi ad un lieve sentore di muffa e di cibi che sembravano contenere generosi dosi di cavolo e formaggio nel menù.

Non da meno, Danny notò anche che mantenere il riserbo assoluto in un quartiere semi-spopolato non doveva essere cosa ardua: sembrava che diverse di quelle case fossero perlomeno disabitate, se non proprio abbandonate, o che i loro abitanti e proprietari facessero del loro meglio per farlo credere. Sebbene avesse viaggiato più tra i boschi che tra gli agglomerati umani nel corso della sua vita, Danny aveva girato abbastanza posti con i ‘4 di picche’ e aveva sentito Kumals dipingere abbastanza scenari pescando dalle sue memorie ed elargendo pittorici quadri con le sue descrizioni e tramite i suoi arguti commenti, da riconoscere quella generale sensazione di dove il tempo sembra essersi fermato. E per quanto riguardava un ghetto ebraico, nonostante tutto il tempo che era passato dalla seconda guerra mondiale, sapeva che non era difficile sentirvi aleggiare, forse anche per auto-indotta suggestione, una specie di clima cauto e severamente preoccupato, come ingobbito su un rancore inestinguibile nel suo essere perfettamente ben motivato e sull’insinuante sospetto che fosse sempre bene passare il resto della vita delle generazioni future a non abbassare mai troppo la guardia e a dedicare una saggia occhiata di sospetto a qualsiasi cosa mettesse piede in un quartiere come quello senza appartenervi.

Il ‘nemici o amici…? In ogni caso, pur sempre stranieri a questo mondo in cui vi state immergendo. Passate pure, perché in ogni caso non potrete capire del tutto…’ sembrava un fantasma impalpabile che circolava strisciando lungo i muri, con aria dignitosamente distante e guardingamente indifferente, quanto acutamente penetrante e vivacemente intelligente.

«È questo, no?» domandò Uther, sottraendo Danny ai suoi pensieri contemplativi e divaganti mentre realizzava nel contempo di essersi fermato di fianco all’altro senza quasi accorgersene, semplicemente assecondandone in automatico il movimento.

Si ritrovò a fissare una delle tante case di quella via, come le altre così stretta e incassate tra le sue vicine che, a starle davanti, sembrava che stesse cercando di mimetizzarsi fra le sue consimili; un effetto che complessivamente sembrava una specie di voluto gioco di prospettiva, in modo che tutte le case sembrava cercassero di mimetizzarsi reciprocamente tra di loro. Un concetto inafferrabile e ambiguo anche solo a cercare di immaginarselo, forse esattamente il concetto base di un labirinto di specchi, anche se a differenza di quello, lì le cose avevano un aspetto così concreto e solido e antico che sembrava rimandarsi alla terra stessa.

Niente in particolare, sospettò Danny, avrebbe mai indotto lui o Uther a fermarsi proprio davanti a quella casa, se non fosse stato per il numero civico corrispondente a quello indicato loro da Kumals. Il numero era scritto nelle consuete cifre arabe, ma al di sotto di esse c’era anche una scritta in lettere abjad*, che Danny poteva supporre che fosse la trascrizione in parole del numero, così come poteva essere tutt’altro.

«Sì, è questo.» confermò, aggrottando pensosamente la fronte. Fu tentato di chiedere ad Uther se stavano davvero per entrare nella casa di un necromante ebreo (di etnia e non di religione), e se per caso l’altro fosse a conoscenza di qualche modo di fare che era meglio adottare a quel proposito, ma aveva la netta sensazione che Uther non fosse affatto più edotto di lui in materia. Per un momento rimpianse di non aver fatto più domande a Kumals, ma sperava di potersi affidare completamente al fatto che, semmai ci fosse stato qualcosa di importante che lui e Uther avrebbero dovuto sapere, Kumals l’avrebbe detto loro senza alcun bisogno di domandarlo. D’altro canto, lui non gli aveva rivolto la precisa domanda ‘Kumals, c’è qualcosa che io e Uther dovremmo sapere prima di mettere piede nella casa del tuo amico necromante ebreo?’.

«Beh, allora…» disse Uther, con un’alzata di spalle e il tono di chi parla tanto per dire qualcosa, alzando la mano per bussare alla porta, visto che non c’era traccia di campanelli o batacchi o altri strumenti per chiedere il permesso di entrare.

Con gesto rapido e istintivamente riflesso Danny gli afferrò il polso con una mano fermandolo, poi glielo lasciò precipitosamente andare rendendosi conto dell’eccessività del suo gesto quando avrebbe semplicemente potuto dirgli di aspettare per fermarlo.

Sotto lo sguardo interrogativo, e leggermente sul chi va là in caso di guai in arrivo, con cui Uther lo stava fissando, Danny borbottò con la faccia rivolta alla porta «Forse dovremmo darci una ripulita prima…?»

Uther considerò le sue parole e dedicò una lenta occhiata ad ognuno di loro. Danny non aveva bisogno di farlo per ricordare esattamente com’erano conciati, ed anzi preferiva evitare, nel caso un’ulteriore occhiata potesse anche peggiorare l’idea già fin troppo chiara di come si presentavano alla vista, nonché ad un olfatto anche molto meno sviluppato del suo.

Nel tentativo di rendersi ancora meno rintracciabili dai due mezzi lupi che sicuramente avevano tentato di seguire la loro traccia odorosa, e per confondere quindi il più possibile il loro odore, lungo la strada si erano di tanto in tanto fermati brevemente per provvedere con qualche rapido stratagemma di fortuna al loro “camuffamento odoroso”. E dopo essersi rotolati in un canale di scolo di acqua a lato di una delle strade più antiche della parte vecchia di Tairans, essersi strusciati contro svariate cose come lenzuoli stesi ad asciugare nel retro di un cortile dal muro rapidamente scavalcabile e sommariamente immersi nel mucchio di foglie e altri detriti arborei prima ordinatamente ammucchiato in un altro giardino, e per finire in bellezza e soprattutto dopo essersi infilati direttamente dentro dei cassetti dell’immondizia e aver un poco sguazzato in una piccola fontana in una via in quel momento deserta, il loro aspetto generale era a dir poco impresentabile. Persino per i loro usuali standard di presentazione, cioè.

Se non altro, per la prima volta da che aveva messo piede a Tairans, Danny era addirittura felice che Kumals non fosse lì, a vedere in quali condizioni stavano per bussare alla porta del suo conoscente serio e fidato e loro unico contatto di valido appoggio. D’altro canto, qualche frase come ‘mi scusi, ho le scarpe un po’ infangate, ha una pedana o uno straccio sulle quali potrei lasciarle prima di entrare?’ era assolutamente insufficiente considerando com’erano ridotti in quel momento lui e Uther.

Quest’ultimo lo stava guardando tra il complicemente divertito e l’ironicamente perplesso, un’espressione che Danny trovò assomigliasse singolarmente a quella di un ragazzino colmo di impudica fierezza per l’essere riuscito a ridursi in uno stato pietoso alla fine di una giornata di scorazzamento giocoso in tutti i luoghi più sporchi che è riuscito a trovare. Trattenne un sorrisetto solo grazie ad un repentino spostare lo sguardo da quell’espressione e ad uno sforzo di concentrazione seria.

Non c’era bisogno che Uther gli dicesse qualcosa per esplicitare meglio la sua espressione, che gli ricordava ad un tempo tanto il fatto che non avevano modo di ‘darsi una ripulita’ lì nel bel mezzo della strada, quanto il sospetto che a quel punto cercare di ridarsi un minimo di aspetto decente era un’impresa semi-disperata.

Danny sospirò. «Come prima cosa, almeno, spieghiamogli che abbiamo dovuto seminare dei mezzi lupi.»

Uther annuì, senza tuttavia fare alcuno sforzo per togliersi dalla faccia quell’espressione divertita che dava chiaramente ad intendere quanto ritenesse che quell’improvviso bisogno di Danny di ‘non fare una pessima prima impressione’ era inadatto a lui al punto che sembrava stesse facendo dell’auto-ironia, e rialzò la mano e bussò alla porta con un allegro risuonare delle nocche sul legno massiccio e vecchio, dalla vernice scrostata.

A Danny non rimase altro da fare che sperare con tutte le sue forze che perlomeno Kumals gli avesse dato il numero civico giusto, mentre attendevano risposta.

Poco dopo la porta si aprì con uno scatto fibrillante, eppure si schiuse solo di poco più di una spanna, facendoli quasi sussultare di sorpresa e stupore, mentre una voce da dentro domandava con tono neutro eppure in qualche modo appena minaccioso un «Sì?» che non faceva alcun mistero del fatto che avrebbero fatto meglio ad avere un ottimo motivo per disturbare.

«Hem… il signor Mordecai…?» riuscì a chiedere Danny, infastidito nell’udire il suo tono uscirgli un poco roco e decisamente nervoso e incerto.

Seguì un breve silenzio, prima che la voce risuonasse di nuovo. «Può darsi. Chi lo cerca?»

Danny e Uther si scambiarono solo un breve sguardo, col quale tuttavia si ritrovarono semplicemente a rimandarsi a specchio un’espressione molto simile di perplessità, poi Danny si avvicinò un poco e molto cautamente alla stretta apertura della porta appena dischiusa chinandosi un po’ in avanti.

«Ci manda Kumals.» disse, riscontrando che se non altro la sua voce era un po’ più decisa ora.

In risposta ricevette un silenzio che gli fece perdere buona parte delle sue migliori speranze, e che suonava fin troppo riflessivo alle sue orecchie tese.

«Oh, e siamo ridotti in questo stato perché abbiamo dovuto seminare dei mezzi lupi.» cinguettò con fare tra l’accattivante e l’ironico Uther, Danny sospettò più a beneficio suo che per quello del signor Mordecai che sembrava esitare ad aprire più di così la porta.

Nemmeno Uther avesse appena inconsciamente pronunciato la corretta formula di ‘Apriti sesamo!’, la porta si spalancò di colpo, facendo un poco sussultare di riflesso Danny e facendogli riportare immediatamente lo sguardo con cui stava cercando di rivolgere un’occhiataccia a Uther direttamente su di essa.

Si ritrovò a fissare un uomo che aveva tutto l’aspetto di uno scalcagnato e allampanato profeta folle, alto e magro, vestito di quella che sembrava una specie di tunica nera a primo sguardo (e ad uno sguardo più approfondito Danny realizzò trattarsi di una specie di grembiule nero simile a quello usato da fabbri et similia un tempo, che gli stava troppo corto), sopra ad un paio di pantaloni lunghi di tela e ad una maglietta sempre di tela, entrambi scoloriti dall’uso, con lo sguardo spiritato di due occhi spalancati su di loro ai lati di un lungo naso e un poco celati dalla capigliatura costituita da capelli ricci castani.

«Avete detto mezzi lupi?» domandò loro l’uomo, guardandoli dall’alto in basso con il capo proteso verso l’alto, come se stesse parlando con delle voci nella sua testa piuttosto che con due persone in carne ed ossa, osservandoli con quell’angolatura in un modo che sembrava pieno di dubbio ma pazzamente attento e vispo.

Danny richiuse la bocca di colpo, cancellando qualsiasi intenzione di tentare di dire qualcosa che stava cercando di farsi venire in mente senza troppo risultato, e quindi la riaprì per rispondere un incerto «Sì…»

Di fianco a lui, Uther contemplava quell’apparizione con un’espressione tra il sorpreso e il cinicamente perplesso, e molti altri commenti inespressi che sicuramente gli stavano puntualmente attraversando la testa. Danny si interrogò se tra quei commenti potesse esserci qualcosa a riguardo di qualche sostanza allucinogena che i necromanti usavano d’abitudine.

«Bene… molto molto bene…» commentò a quel punto il necromante in questione, mentre li squadrava da capo a piedi con quella che sembrava un’occhiata un po’ più terrena.

«Davvero?» chiese con sincero stupore Uther, alzando un sopracciglio.

L’uomo sembrò riscuotersi maggiormente, e lo guardò come se avesse notato solo in quel momento la sua presenza, lanciandogli per la precisione un’occhiata piuttosto stizzita, come se ritenesse che Uther si stesse soffermando su delle quisquiglie.

«Avanti, venite dentro.» disse, con un tentativo di pomposo invito imperioso che suonò più che altro frettolosamente e nervosamente affaccendato, spostandosi in modo da permettere loro di entrare, e gesticolando ampiamente col braccio per esortarli maggiormente, mentre gettava nervose occhiate da una parte e dall’altra lungo la strada, con fare furtivo.

«E ci siamo anche riusciti, a seminarli.» puntualizzò Uther, mentre lui e Danny entravano, come tentativo di rendere meno agitato l’uomo.

«Oh, sì, certo, certo.» disse quello per tutta risposta, distrattamente e come se ritenesse anche quello un particolare del tutto marginale, sbattendo la porta immediatamente dopo il loro ingresso, e subito iniziando a chiudere una impressionantemente numerosa e varia gamma di lucchetti, serrature, sbarre di ferro e altri solidi chiavistelli e lucchetti dall’aria pesante. Danny invidiò per un momento un tale arsenale da barricamento; solo chi era appartenuto ai ‘4 di picche’ poteva immaginare in quante occasioni sarebbe stato prezioso potersi assicurare con tanta abbondanza che qualsiasi cosa li stesse inseguendo potesse essere perlomeno rallentata da una porta ben chiusa.

L’istante successivo, tuttavia, Danny era tutto teso nell’esplorazione del nuovo ambiente.

Fin da quando la porta era stata spalancata, era stato investito da un poderoso insieme di odori a dir poco nuovi e bizzarri per lui, nel quale era riuscito a distinguere con qualche difficoltà qualche elemento che poteva riconoscere, perlopiù sentori di polveri metalliche, di terra bruciacchiata o fertilmente umida, di radici seccate e di pergamena muffita e inchiostro incrostato, cera di candela, e forse qualcosa che assomigliava vagamente a qualcuno di quegli acidi usati per trattare i cadaveri per imbalsamarli.

Necromante’** ricordò a sé stesso, per cercare di frenare o almeno arginare con la ragionevolezza il perché di quel sentore di morte conservata e sistemata con meticoloso ordine analitico e sperimentale, che gli faceva non solo storcere il naso, ma anche desiderare di non doversi cacciare dentro una stanza saturata di quegli odori. A dirla tutta, credeva che i necromanti si limitassero a cercare di dialogare con i morti, più che dedicarsi all’imbalsamazione.

Sospinti da un più che mai frenetico Mordecai, Danny e Uther si ritrovarono ad attraversare molto rapidamente un brevissimo e strettissimo corridoietto d’ingresso, evitando come meglio riuscì loro di inciampare in una serie di pesanti tappeti polverosi che coprivano il pavimento, di sbattere contro un attaccapanni reso invisibile dalla moltitudine di abiti pesanti e dai colori cupi che non oltrepassavano le gamme del marrone, del grigio scuro e del nero, mischiate insieme in una sovrapposizione in cui il singolo indumento diventava pressoché indistinguibile, di attardarsi ad osservare le immagini dei quadretti ad olio e dai colori anche lì cupi e bui e perciò difficilmente distinguibili allineati in ordine caotico sulle pareti laterali e arcuate in una piccola volte a botte sulla loro testa (e persino lì sembrava che vi fossero appesi quei quadretti), e finirono per ritrovarsi in una stanzetta dove finalmente l’uomo li aggirò e superò smettendo di incitarli da dietro come se fosse posseduto da una fretta del diavolo.

A quel punto Danny e Uther si fermarono sulla soglia della stanza, percorrendola interamente con lo sguardo, e facendosi almeno un’impressione generale, perché soffermarsi con precisione su ogni singolo elemento sarebbe stato impossibile, non solo perché l’ambiente era saturo di un’incredibile quantità e varietà di oggetti, ma anche perché vi regnava un notevole caos.

Nel guazzabuglio confuso di ogni sorta di cose in quell’ambiente avvolto in una pesante penombra, in cui non entrava nemmeno un’oncia della luce esterna, bloccata interamente dalle pesanti tende color verde scurissimo che coprivano le due strette finestrelle scavate nelle spesse pareti, Danny riuscì a distinguere che la stanza era sommariamente divisa in quattro ambienti. Al centro c’era un curioso tavolinetto rotondo e dalle lunghe gambe che sembrava uscito da una sala da tè di un salotto inglese della prima decade del ventesimo secolo, con intorno quattro poltrone tozze e piccole e vecchie. Due intere pareti erano interamente coperte da due ampie librerie di legno antico, talmente ricolme di volumi dal formato massiccio e pesantemente rilegati che era indecifrabile se le scaffalature stessero in piedi per la forza dei chiodi oppure per l’inserrata sovrapposizione alternata tra file di libri e ripiano di scaffale. Un’altra parete e uno degli angoli che la limitavano erano per buona parte occupati da un ripiano di marmo e un grande lavandino in pietra, e ogni centimetro d’essi era ricoperto da svariati oggetti, tra i quali recipienti in vetro e plastica e terracotta di ogni foggia e dimensione si potesse immaginare, da semplici ciotole con mortai fino ad alambicchi dotati di sottili colli arabescamente ritorti e convoluti, fogli scribacchiati, libri di ogni formato impilati aperti o chiusi, strumenti da lavoro e posate mischiate insieme e perlopiù incrostate di qualche sostanza semi-raggrumata o densamente semi-liquida e di aspetto più o meno colloso e sciropposo, pezzi di stoffa o di quella che sembrava pelle, strofinacci luridi o semplicemente consunti dall’uso ma puliti e ben ripiegati, piccoli pezzi di sasso o pietra che mostravano segni di incisioni o grattuggiatura, e qui e là rimasugli polverosi sparsi, becchi bunsen e porta-strumenti metallici o treppiedi per contenitori abbinati a vecchi e piccoli generatori di fiamma di vario tipo. C’erano anche cose che sembravano semplicemente avanzi di precedenti pasti, e che davano a quel banco un generale e singolare aspetto di una specie di miscuglio confuso e fin troppo intimo tra una cucina e un laboratorio. In un angolo c’era un piccolo camino, la cui cappa in pietra integrata nel muro della casa si perdeva sparendo in alto nel soffitto, e verso quest’ultimo angolo l’uomo si diresse immediatamente, ignorandoli per affrettarsi ad andare a rimescolare il contenuto di un liquido che stava sobbollendo leggermente sulla fiamma di un sommario accatastamento di pezzi di legna che bruciavano producendo più fumo che calore, sospettò Danny.

Quest’ultimo rimase ancora fermo accanto ad Uther, mentre entrambi riscontravano che lì dentro faceva decisamente troppo caldo e l’aria sembrava non venisse cambiata da parecchio, risultando perciò pesante, polverosa e con un sentore di muffa e umidità surriscaldata di sottofondo, come se si fosse stratificata pesantemente per giorni e giorni, forse settimane.

«Sedetevi pure.» disse loro l’uomo, come se si fosse ricordato di loro solo in quel momento, senza voltarsi nemmeno a guardarli e rimanendo concentrato a rimestare con un cucchiaio di legno nel piccolo paiolo sospeso sopra la bassa fiamma nel camino. Per l’ennesima volta da che erano entrati, allungò un braccio per afferrare uno dei piccoli contenitori disposti fittamente su una delle mensole in marmo scuro disposte accanto al camino e sopra il banco da lavoro, pescò con le dita lunghe e sottili un pizzico di quelle che sembravano foglie essiccate e lo gettò nel paiolo, prima di liberarsi del contenitore abbandonandolo sul ripiano, pulirsi le dita sfregandosele sul grembiule da lavoro troppo corto, e sporgere il braccio all’indietro, indicando loro senza nemmeno voltarsi il tavolinetto al centro della stanza.

Danny e Uther finirono per avvicinarsi al tavolino indicato loro e scegliersi due poltrone vicine, nelle quale si accomodarono con aria tutt’altro che rilassata, sedendo sul ciglio della seduta e continuando a guardarsi intorno. Era difficile smettere di cercare di assorbire ogni particolare possibile di quel luogo, per quanto riguardava Danny se non altro perché quella era la prima volta che metteva piede nello studio di un necromante.

Una volta seduto, lasciò vagare lo sguardo su pareti e soffitto, e fu allora che ebbe il sospetto stesse guardando il particolare effettivamente più caratteristico della stanza. Ogni superficie verticale libera delle pareti e il soffitto erano interamente coperti da quei piccoli ritratti ad olio che aveva già intravisto nell’ingresso, tutti di piccolo formato e incassati in cornicette di legno semplici o complicate da decorazioni, ma persino racchiuse in piccoli medaglioni o quadretti di quel tipo che le famiglie si fanno confezionare per ricordare i loro avi. Persino al lampadario, di foggia antica e di piccole dimensioni, e che Danny notò era dotato di otto bracci e non sette***, erano stati appesi ad ogni braccio con dei laccetti di pelle o di spessa stoffa quei quadretti. In quella penombra, e per via del fatto che la stragrande maggioranza di quei piccoli ritratti era stata dipinta con colori dalle tonalità scure, Danny non riusciva a distinguere un granché dei tratti dei singoli volti, anche se da quello che intravedeva poteva desumere che si trattava di ritratti di persone di ogni età, genere, vestiario, estrazione sociale ed epoca, senza alcuna regola generale. L’unica cosa che tutti possedevano ugualmente era che davanti ad ognuno di essi c’era una piccola lampadina: quelli appesi in verticale alle pareti o penzolanti dal lampadario avevano ognuno davanti a sé un piccolo sostegno – di quelli più comuni da cimitero, oppure ricavati in qualche maniera più o meno arrangiata con pezzi di metallo o argento o rame o altro metallo lavorati sommariamente e saldati o piegati per fungere da sostegno –, mentre quelli appesi orizzontalmente al soffitto avevano delle piccole architetture nastri di stoffa o pelle che si attaccavano ai loro bordi e scendevano penzolanti per ricongiungersi al centro davanti al ritratto. Ognuno di quei sostegni reggeva o aveva incastonata una piccola lampadina elettrica, e le tipologie di quelle lampadine erano svariatissime, da quelle della tipica forma di candela elettrica di chiesa o cimitero fino a piccoli globi di vetro colorato che sembravano essere quelli delle luminarie natalizie. Tutte le lampadine erano ugualmente spente, e per quello che si poteva vedere in quelle che non erano incastonate direttamente dentro al sostegno che le teneva davanti ai piccoli ritratti, nessuna mostrava alcun segno di essere collegata a fili elettrici di alcuna sorta.

Per un momento, Danny soppesò quanto fosse possibile che tutte quelle persone ritratte fossero in qualche modo appartenenti ad un’incredibilmente varia schiera di antenati del signor Mordecai; poi, un insinuante e leggermente inquietante sospetto gli strisciò nella mente, e di nuovo gli sovvenne quella parola come se il suo subconscio stesse cercando di ricordargliela come indizio alla comprensione. ‘Necromante’.

«Tè?» giunse la voce dell’uomo, e Danny sussultò suo malgrado.

«Come?» domandò, con voce piuttosto flebile, voltandosi a guardarlo.

L’uomo sembrava aver finalmente un poco abbandonato l’intera dedizione al suo paiolo, e li stava guardando, impugnando saldamente il mestolo con cui aveva rimestato incessantemente fino ad un attimo prima. Aggrottò le folte sopracciglia, rivolgendo un’occhiata scorbutica ad entrambi, come se Danny non avesse dato la risposta che voleva sentire, e borbottò qualcosa di incomprensibile tra sé e sé, mentre tornava ad agitarsi per la stanza, qua e là incespicando o urtando qualcuno di quegli oggetti e mobiliatura che la riempivano senza lasciare a tutti gli effetti un vero e proprio spazio sufficiente per muovercisi con agio.

«Credo che ci abbia appena offerto del tè bollente in piena estate.» osservò Uther, rivolgendosi a Danny, mentre guardava l’uomo armeggiare per trovare in mezzo a quel caos tre recipienti che assomigliassero vagamente a delle tazze, e iniziava a riempirli con mestolate del liquido che aveva scaldato nel paiolo.

«È tè alla menta iraniano****. Viene bevuto nel deserto, dove la temperatura è ben più elevata di questa in pieno giorno. Per effetto di reazione contraria, il vostro corpo potenzierà la sua capacità di raffreddarsi bevendolo, così che sentirete meno caldo.» spiegò scorbuticamente l’uomo, mentre sbatteva senza tante cerimonie le loro “tazze” davanti ad Uther e Danny, e si sedeva in una delle poltrone libere appoggiando davanti a sé sul tavolino la sua “tazza fumante”.

Danny fissò per un momento perplesso il suo bicchiere di terracotta e dall’aria impolverata che doveva essere la sua “tazza”, ma alla fine, dal momento che l’uomo li stava fissando con il suo sguardo penetrante da falco come se stesse aspettando, si decise a prenderla in mano e sorseggiare il tè. Se non altro, aveva un ottimo sapore.

«Hem, grazie.» esordì alla fine, dopo qualche sorsata.

Uther stava soffiando sulla sua tazza prima di ogni sorsata, per raffreddare la bevanda, come se la spiegazione di Mordecai non l’avesse affatto persuaso.

«Dunque, avete detto mezzi lupi?» li interrogò Mordecai, assumendo un tono colloquiale.

Uther lanciò una breve occhiata a Danny, che afferrò perfettamente cosa volesse dire: sembrava che quel Mordecai avesse una certa tendenza a ripetersi retoricamente. Danny fece del suo meglio per ignorare quell’osservazione. Dopotutto, quella era la persona che secondo Kumals poteva aiutarli, e per quanto sembrasse non avere un aspetto né un modo di fare da qualcuno che ha almeno buona parte delle rotelle al posto giusto o che girano per il giusto verso, il fatto che stesse parlando di ‘mezzi lupi’ come se per lui non fosse niente di nuovo o bizzarro o incomprensibile era un buon segno.

Danny prese dunque fiato, ed iniziò a raccontare. Kumals aveva detto di dire a Mordecai come stavano le cose in maniera precisa, così lui si concentrò sul suo riassunto essenziale cercando di esporre chiaramente tutto ciò che poteva sapere e che poteva servire. In fondo, però, essendo dopotutto quel contatto fidato di Kumals uno sconosciuto dai modi bizzarri e che non aveva esattamente già catturato la sua fiducia o simpatia, Danny sorvolò accuratamente su alcuni particolari, come quelli del suo passato con Mara, anche se ne descrisse la personalità a grandi linee per quello che la conosceva e perché non si poteva evitare di dire tutto ciò che si potesse a riguardo della leader del gruppo di mezzi lupi impazziti che erano il centro del problema, o come il fatto che al suo arrivo avesse trovato Uther all’attendamento.

Per tutta la durata del suo racconto, Uther si limitò ad ascoltare con fare tranquillo e distratto, ancora in buona parte intento a guardarsi attorno con curiosità; Danny abbandonò ben presto ogni speranza di un suo intervento che potesse finalmente gettare un po’ di luce sul perché diavolo esattamente la storia completa ed esaustiva iniziava con lui intento a partecipare ad una serata presso un falò nel bel mezzo dell’accampamento dei mezzi lupi ed in compagnia di Mara e dei suoi accoliti.

Per quanto riguardava Mordecai, non interruppe nemmeno una volta e ascoltò tutto il racconto con vivida attenzione, tenendo sempre quello sguardo fin troppo penetrante e allucinato, per quanto riguardava il gusto di Danny, puntato dritto su di lui.

«E questo è tutto…» Danny fu costretto ad aggiungere quando ebbe finito di raccontare. A quanto pareva, non solo Mordecai sembrava essersi immerso in pensieri tutti suoi e, pur continuando ad osservarlo con quell’attenzione maniacale, aveva lasciato passare diversi secondi di silenzio senza proferire parola, ma persino Uther sembrava essersi così distratto nel guardarsi intorno da non accorgersi che aveva smesso di parlare già da un poco.

Se non altro, il tè sembrava aver ottenuto l’effetto prodotto dal loro ospite, notò Danny, perché si sentiva decisamente meno accaldato, e anzi ora aveva quasi freddo. Il che era assurdo visto che era certo che in quella stanza stesse facendo un caldo infernale. Inoltre, dal momento che il debole fuoco nel camino sembrava essere stato gestito da un dilettante, l’ambiente era abbastanza affumicato già da quando erano entrati, e se non altro dunque la bevanda gli aveva dato un notevole sollievo alla gola, secca anche per il suo lungo soliloquio.

«Affascinante…» mormorò allora Mordecai, e Danny lo guardò meglio e con perplessità, cercando invano una nota di pungente sarcasmo in quel tono che, a tutti gli effetti, sembrava invece sinceramente affascinato «Non avevo mai sentito di mezzi lupi che si comportino in tal modo.»

Danny si imbronciò e incupì, anche se tentò di non darlo troppo a vedere. «In effetti, di solito non ci comportiamo affatto in questo modo.» specificò.

«Dunque tu sei un mezzo lupo.» osservò Mordecai, guardandolo con ancora maggiore interesse e un sorriso che iniziava a dipingerglisi in volto; un sorriso che aveva qualcosa di troppo storto per mostrare una vera e propria gioia o simpatia, e che mise Danny ancora più a disagio.

«Beh, sì. Credevo che Kumals gliel’avesse detto…» replicò, confuso.

«Oh, ad essere onesti…» rispose l’uomo, appoggiandosi allo schienale della piccola poltroncina su cui sedeva, e fissandolo attraverso le palpebre leggermente socchiuse in un’espressione contemplativa «Questo Kumals non mi ha detto proprio niente.»

Nel tempo sufficiente affinché quelle parole venissero rielaborate in una qualche maniera interpretativa dal suo cervello improvvisamente stranamente troppo poco reattivo rispetto al solito, Danny sentì una delle mani di Uther appoggiarglisi pesantemente su un braccio e aggrapparvicisi. Il suo sguardo si spostò subito verso l’altro, e si trovò a fissare un’espressione decisamente tesa e feroce, congestionata da uno sforzo immenso, che Uther stava rivolgendo con rabbia a Mordecai.

L’istante successivo, il corpo di Uther perse improvvisamente tutta la sua tensione e si afflosciò come se avesse perso ogni energia, e Danny lo vide crollare sopra il tavolo di tutto peso, mandando a cadere per terra diversi oggetti che ingombravano il ripiano tondo.

«Uther!» gridò, afferrandogli il braccio ormai privo di ogni forza a sua volta, e sporgendosi per un momento verso di lui, prima di realizzare che cosa non andava esattamente. Allora balzò in piedi, pur rimanendo accanto a Uther, e mentre con una mano cercava con fretta febbrile il punto del collo in cui potergli sentire il battito cardiaco, i suoi occhi pieni di furia si concentrarono di nuovo su Mordecai.

Quest’ultimo si era alzato in piedi di scatto nello stesso istante di Danny, ed aveva guadagnato in fretta la maggior distanza possibile, arretrando fino a toccare con la schiena il camino. Mentre Danny iniziava ad urlargli contro, cercò con la mano l’attizzatoio appeso alla mensola del camino e lo prese, pur tenendolo tranquillamente penzolante contro il suo fianco.

«Cosa diavolo gli sta succedendo?!» gridò Danny, la voce ringhiante tra i denti stretti, l’occhiata di fuoco diretta verso l’uomo, e le sue dita che finalmente intanto trovavano il punto giusto sul collo dell’esanime Uther, permettendogli di sentire il suo battito cardiaco ancora presente.

«Oh, beh, penso che dormirà per un po’. Non devi preoccuparti, mezzo lupo. A proposito, è davvero una fortuna che io abbia indovinato fin dall’inizio che sei un mezzo lupo, sai?» gli rispose quello, con fredda calma e un sorrisetto decisamente storto che gli incurvava le sottili labbra.

Danny lasciò perdere Uther e avanzò a grandi passi verso di lui, sicuro che in men che non si dica gli avrebbe strappato di mano l’attizzatoio e lo avrebbe inchiodato al muro per il collo con una mano sola, per fargli sputare immediatamente che cosa aveva fatto bere esattamente ad Uther e convinto a dargli subito qualcosa per farlo riprendere. Dopotutto, lui aveva la forza di un mezzo lupo, e quello era solo un essere umano necromante da strapazzo che dava del sonnifero ai suoi ospiti, e, amico o no di Kumals, Danny gli avrebbe poi anche fatto dire per filo e per segno che cosa diamine si era messo in testa di fare ad Uther e perché.

Ma i suoi passi risultarono tutt’altro che sicuri e fermamente e rapidamente intenzionati come si era aspettato; le sue gambe sembravano improvvisamente decise a piegarsi come se il suo corpo stesse aumentando di peso all’inverosimile, e il suo procedere divenne ondeggiante e incontrollabile, al pari della sua vista che si andava annebbiando fin troppo, persino per quella stanza con troppo fumo proveniente dal camino.

Solo allora, mentre perdeva l’equilibrio e si trovava costretto ad aggrapparsi con un braccio di lato al bancone da lavoro per non cadere, cercando comunque di avvicinarsi a Mordecai, realizzò il particolare fondamentale: se Uther era appena stato narcotizzato, era molto probabile che lo fosse stato tramite quel tè che lui stesso aveva bevuto.

Mordecai lo osservava con perfetta calma, senza muoversi, senza nemmeno tentare di fuggire o brandire con più intenzione intimidatoria l’attizzatoio che impugnava; una tranquillità decisamente eccessiva per qualcuno che sa cosa sia un mezzo lupo tanto quanto sa di aver appena fatto qualcosa per attirare su di sé la rabbia di uno di essi, che sta avanzando verso di lui.

Danny realizzò solo allora con rinnovato interesse le parole che l’uomo aveva appena detto.

«Cosa intendi dire?» domandò tra i denti stretti. Sentì la sua stessa voce come se provenisse da qualche altra parte, affaticata, ma si sforzò di scandire comprensibilmente ogni parola, mentre cercava con tutte le sue forze di vincere contro la gravità che lo stava attirando verso terra una battaglia che sembrava persa in partenza.

Per un momento, ebbe il desiderio di non trovarsi in quel punto preciso, di non aver tentato di scagliarsi contro Mordecai. Dal momento che ormai gli diventava sempre più chiaro, nonostante continuasse in ogni modo a resistervi con tutte le sue forze, che il suo corpo si stava afflosciando sempre più verso il pavimento e che la sua testa si andava addensando di una nebbia che non aveva niente a che fare con l’affumicatura da camino di quella stanza, per un momento desiderò essere rimasto accanto ad Uther privo di sensi, anche se razionalmente non aveva nessun senso: stava perdendo i sensi anche lui, e quando fosse stato incosciente, che fosse o meno fisicamente vicino all’altro, non avrebbe avuto nessuna possibilità di proteggerlo.

Udì improvvisamente un fracasso di alcuni oggetti che cadevano a terra e un tonfo sordo, e anche se i rumori sembravano lontani, quasi contemporaneamente vide appena delle figure dai contorni confusi di oggetti che rimbalzavano intorno alla sua faccia, e mentre sentiva un vago senso di quello che avrebbe potuto definire un urto doloroso contro tutto un lato del suo corpo, realizzò anche che il suo campo visivo era diventato orizzontale.

Tutti i suoi sensi si stavano lentamente spegnendo, per quanto lui lottasse, e il tamburo del suo cuore accelerato gli risuonava nel timpano quasi dolorosamente, ma comprese che doveva essere un’illusione, perché la sensazione di intorpidimento delle sue membra gli segnalava invece che il suo battito cardiaco stava rallentando. Continuò a lottare con tutte le sue forze, per mantenere gli occhi aperti e per cercare di convincere i suoi muscoli a rispondere alla sua volontà appannata, a venirgli in aiuto per permettergli di rialzarsi in piedi, piuttosto che giacere in quella stupida posizione, riverso sul fianco sul pavimento, alla mercé del pericolo.

Poi, udì la voce dell’uomo vicino a lui, che lo sovrastava dall’alto, e si irritò terribilmente perché i suoi sensi erano ormai così ottusi da non avergli segnalato quell’avvicinamento pericoloso dell’avversario.

«Intendevo quello che ho detto.» disse semplicemente la voce al di sopra di lui «Che sei fortunato ad essere un mezzo lupo come sospettavo. Altrimenti la dose che ho dato a te a quest’ora ti avrebbe già ucciso, invece che solamente addormentato.»

«Se osi far qualcosa ad Uther…» iniziò a ringhiare Danny tra i denti, sebbene non avesse idea di come gli stessero uscendo quelle parole, se era ancora in grado di parlare in modo comprensibile, perché ora le sue orecchie sembravano piene di ovatta, e il suono della sua stessa voce era solo una specie di soffocato ronzio lontano e confuso.

Ma sentì il rumore dei passi dell’uomo che si allontanavano come se avesse deciso che non gli interessava affatto ciò che stava cercando di dire. E quella fu l’ultima cosa che udì.

 

Soundtrack: All the right moves (One Republic)

 

Note per la comprensione:

* ABJAD: è l’alfabeto usato per le lingue ebraica e yiddish (e non solo). Non chiedetemi altro, perché sono tutt’altro che un linguista (purtroppo).

** NECROMANTE: la parola ha tra le sue radici il termine greco ‘necro’ (morto), per l'appunto. Ovvero, letteralmente e pressappoco per quel che ne so (come dicevo, non sono un ‘esperto’ in materia), necromante = evocatore di spiriti di defunti.

*** SETTE BRACCI: questa è sostanzialmente una battuta, perché a Danny viene da contare i bracci del lampadario e non riesce ad evitare di notare che non sono sette, sette come i bracci della classica Menorah (la lampada ad olio a sette bracci tipica della religione ebraica)

**** TE’ ALLA MENTA IRANIANO: esiste veramente, e davvero i suoi “benefici” se bevuto caldo quando ci sono alte temperature sono quelli spiegati da questo personaggio. Me lo fece scoprire qualche anno fa un amico, e devo dire che è buonissimo, e non assomiglia per niente al tè alla menta nostrano. Il perché sia diverso, confesso non l’ho ancora appurato, anche se ho un valido sospetto che sia per via della menta che viene usata, una qualità di menta che dev’essere tipica di certe regioni desertiche del Medio Oriente. Una volta ho sentito l’odore di una pianta di menta marocchina che mi ha ricordato l’odore e il gusto di quel tè, ma non so se sia effettivamente la stessa menta che viene utilizzata. Lo definisco ‘iraniano’ perché il mio amico che mi ha fatto conoscere questo tipo di tè è appunto di origini iraniane, e altre volte l’ho sentito definire così, ma credo che i confini di stato o di cultura abbiano ben poco a vedere con quelli della diffusione e dell’uso di questo tè. Ad esempio una mia parente lo ha bevuto proprio così, caldo in pieno deserto, offertole da beduini in Giordania.

 

Note dello scribacchiatore:

a voi che seguite la storia, mi dispiace: per il ritardo e per il fatto che questo capitolo avrei voluto risistemarlo per rendere più digeribili certe parti (a volte quando scrivo di getto viene fuori piuttosto concentrato). La cruda verità è che ho appurato, tanto per cambiare, di non aver abbastanza tempo, perciò mi tocca rifilarvelo così sennò si fanno le calende greche. Dovrei proprio prendermi un(a) beta-reader. Ma poi non avrei tempo di avvalermi della preziosa collaborazione. Quindi, per ora desisto e uso il tempo che ho piuttosto per continuare a scrivere altri capitoli.

Spero che comunque il risultato attuale sia decentemente leggibile.

Saluti, al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 31
*** 30 - La spina nel fianco ***


Capitolo 30

(LA SPINA NEL FIANCO)

 

«Mara.» si udì da fuori la pesante voce di Badlands.

«Entra.» rispose semplicemente lei, in tono compattamente duro e tuttavia annoiato, smettendo di camminare avanti e indietro nervosamente e rivolgendosi verso l’ingresso della tenda, in tempo per vedere i lembi di tela cerata che venivano scostati dal pesante braccio del mezzo lupo, ben presto seguito da tutto il resto dell’abbondante corporatura.

Badlands entrò nella tenda, lasciando ricadere i lembi dell’ingresso alle sue spalle, e rimase fermo dov’era, quasi irrigidito nella sua posa che aveva un che di ufficiale che quasi la fece ridere di scherno. Tuttavia, in quel momento si sentiva decisamente più irritata che propensa al sarcasmo.

«Allora? Vuoi parlare oppure devo compilarti un invito in carta bollata?» buttò fuori, infastidita, visto che lui continuava a rimanere lì immobile a fissarla come se stesse aspettando di ricevere una specie di qualche ordine formale da un superiore.

Il grosso mezzo lupo sembrò riscuotersi, con un accenno di contrito stupore. «Mi dispiace ma… la ragazza… Nickj… Non sono riuscito a recuperarla.» ammise. Anche a giudicare dal suo tono sembrava molto preso da quella che a lei sembrava una specie di involontaria parodia di un rapporto militaresco.

«Ah!» esclamò Mara, con accento inconfondibilmente e pesantemente sarcastico «Non mi dire! Chissà come mai, lo avevo sospettato dal fatto che non ce l’avessi con te ora. E dove sarebbe finita, quella stupida cosina?»

Badlands corrugò la fronte, concentrandosi al suo meglio nonostante il nervosismo «Il mezzo lupo rinnegato dice che l’ha fatta portare lontano. Quelli di guardia dicono che li hanno visti uscire stamattina, tutti e quattro: il mezzo lupo rinnegato, i suoi due amici umani, quelli che sono arrivati per ultimi cioè, e Nickj. Dicono che se ne sono andati con l’auto dei due umani, perciò non hanno nemmeno provato a seguirli. Il mezzo lupo rinnegato… l’ho incontrato che tornava verso l’appartamento da solo. Quindi credo che Nickj sia rimasta con i due umani, che l’abbiano portata via con l’auto. Il mezzo lupo rinnegato non ha voluto dirmi dove. Avrei potuto… potrei ancora costringerlo a parlare, se tu volessi… Non l’ho ancora fatto solo perché tu hai detto che…»

«So benissimo quello che ho detto, grazie!» lo interruppe Mara tra i denti stretti, irritata. Ricominciò a camminare avanti e indietro per tutta la lunghezza della tenda, le braccia incrociate sul petto. Qualche istante dopo tornò a gettargli uno sguardo distante, e gli rivolse un’espressione lontana e infastidita.

«Piantala di stare lì immobile, siediti o spostati dall’ingresso almeno. E ascoltami. Ho pensato che dovremo fare qualcosa, per questo problema.» gli disse.

Badlands si spostò, ubbidientemente, e dopo un lungo momento di indecisione, concluse di mettersi a sedere per terra in un angolo della tenda. Fissando Mara senza mai distogliere lo sguardo, anche se ciò lo costringeva a muovere le pupille avanti e indietro per assecondare il nervoso e irato camminare su e giù di lei, si limitò ad aspettare in silenzio, la schiena dritta e le mani appoggiate sulle ginocchia delle gambe incrociate, in paziente attesa del proseguo del discorso. Finché Mara non tornò a fermarsi e lo bersagliò con un’occhiataccia penetrante.

«Hai capito quello che ho detto? Mi senti o sei forse diventato sordo?» lo interpellò, con un’irritazione fredda e rabbiosa al contempo.

Badlands rimase a fissarla ad occhi leggermente allargati e uno sguardo tra il vacuo e il disperatamente impegnato a riflettere, dando evidentemente impressione di non riuscire proprio a raccapezzarsi. Muovendosi un po’, inconsapevolmente, come se volesse mettersi nervosamente più comodo, rispose il più in fretta possibile, con fare ubbidiente quanto sulle spine.

«Certamente… certamente, ti ho ascoltato Mara. Ti ascolto sempre. Hai detto di spostarmi dall’ingresso della tenda…» iniziò a ricapitolare, il tono che virava per un momento su una nota speranzosa che sembrava voler sottolineare che per quanto riguardava quella parte aveva già prontamente e perfettamente eseguito le istruzioni ricevute «…di ascoltarti…» proseguì, rizzandosi ancora più dritto come tentando di dimostrare anche fisicamente il più possibile quanto stesse pendendo dalle sue labbra «…e che dovremo fare qualcosa per questo problema.»

Mara rimase a fissarlo con un’espressione di compassata pena ironica, le braccia ancora incrociate al petto e i fianchi inclinati, in una posizione di sufficienza e di sicurezza in se stessa. Alla fine si risolse a muovere le braccia per fare un piccolo, lento e assolutamente sarcastico applauso a beneficio di Badlands, il quale d’altro canto continuava a guardarla con fedele attenzione e irrecuperabile incapacità di comprendere appieno cosa significasse quel gesto. La mezza lupa ci rinunciò, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi e sbuffando sonoramente. Roteò ampiamente gli occhi, e infine tornò a fissarlo.

«E hai capito a quale problema mi sto riferendo?» gli domandò, il tono annoiato, guardandolo dall’alto in basso con quella che sembrava un’ostentazione di pazienza svogliatamente concessa ad un caso disperato. Qualcosa le diceva che la sua era una domanda che definire superflua sarebbe stato un eufemismo; era abbastanza sicura che la risposta fosse in ogni caso negativa.

Osservò il modo in cui la fronte di Badlands si corrugò per lo sforzo di concentrazione e di riflessione, assecondando il curioso e imperscrutabile fascino che trovava avessero a volte le persone così inappuntabilmente idiote, specialmente se confrontate con la sua superiore intelligenza.

«Hem… beh, a proposito della giovane fuggita? Nickj?» tentò Badlands, incerto. Aveva la sensazione che qualcosa gli sfuggisse, ma come gli capitava spesso quando cercava di stare dietro a Mara, non aveva la più pallida idea di che cosa si trattasse. D’altro canto, anche se non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto minaccia di morte, riteneva che lei avesse l’abitudine di rendersi fin troppo difficile da interpretare, se non anche semplicemente qualche difficoltà a farsi capire chiaramente. Era per questo che lui aveva imparato a preferire nettamente quando lei gli dava ordini chiari, semplici e lineari, e lui non doveva far altro che portare a termine l’incarico, e a trovare estremamente fastidioso invece l’aver qualsiasi conversazione con lei. Non di raro aveva l’impressione che il modo in cui lei lo guardava stesse sottintendendo che se lui avesse sbagliato le parole, Mara non ci avrebbe pensato due volte a staccargli la testa di netto, con la stessa naturalezza con cui ci si toglie un sassolino dalla scarpa.

Fu precisamente quello il tipo di sguardo, raggelante e freddo come il metallo di una canna di fucile, che lei gli rivolse in quel momento. Con enorme sollievo, l’occhiata durò solo qualche istante, dopodiché la vide scostare lo sguardo da lui come se avesse appena appurato che era completamente inutile, e che persino prendersela con lui in qualche modo sarebbe stato totalmente vano. La guardò riprendere a camminare avanti e indietro per la tenda, degnandolo solo di un’attenzione marginale, e si trattenne a stento dall’emettere un sospiro di sollievo. Ormai la conosceva abbastanza da sapere che Mara era entrata nella fase in cui, sebbene parlasse ad alta voce, tutto ciò che si richiedeva da lui era che la ascoltasse cercando di farle pesare il meno possibile la sua presenza. Quello era qualcosa che poteva sicuramente fare, e ci si impegnò immediatamente, spalancando bene le orecchie, mantenendo lo sguardo incollato su di lei nel caso che le capitasse di rivolgergli una breve occhiata per controllare che lui la stesse ascoltando parola per parola, e per il resto rimanendo così immobile che solo trattenere il fiato fino a morire avrebbe potuto rendere ancora meno palese la sua presenza.

Mara emise un breve verso stizzito, l’unico commento che riteneva meritasse ciò che Badlands aveva appena detto, poi ci ripensò e, considerando quanto quel mezzo lupo fosse terribilmente stupido, decise di replicare brevemente tra i denti «Non mi importa dove diavolo sia finita quella scema, su due o quattro zampe. Per quel che mi riguarda può felicemente crepare quando preferisce in un punto qualsiasi del globo.»

Badlands si azzardò a muovere appena la testa in un conciso cenno d’assenso per darle segno di aver capito che la ‘faccenda Nickj’ era chiusa, sebbene Mara non lo stesso degnando di uno sguardo.

«Mi stavo riferendo a quello che è veramente un problema al momento. Il nostro maggiore problema. E mi riferisco a Danny.» proseguì Mara.

Sebbene il suo tono fosse diventato più discorsivo, c’era sempre quella nota di sinistra minaccia omicida che aleggiava attorno a quel nome quando lei lo pronunciava, e che nemmeno stavolta mancò di far rabbrividire appena Badlands. Non gli piaceva affatto quando saltava fuori quell’argomento. Aveva la sgradevole impressione che Mara fosse particolarmente portata a perdere ogni controllo e dedicarsi interamente e immediatamente allo sterminio tout-court, ogni volta che le sentiva pronunciare quel nome. Deglutì nel modo meno evidente possibile, sebbene lei sembrasse così immersa nelle sue riflessioni da non aver alcuna intenzione di degnarlo di attenzione, e si fece particolarmente attento. Aveva una sola, debole speranza: che qualsiasi cosa Mara stesse per dire, potesse terminare con il farla finita con quel giovane lupo rinnegato la cui presenza era ingombrante persino a distanza, in un modo o nell’altro, e poter continuare la loro vita come se non fosse mai esistito, lasciandoselo alle spalle per sempre, e preferibilmente morto magari, giusto per sicurezza, affinché non ci fosse nessun rischio che ci si tornasse a inciampare nemmeno per sbaglio.

«Sai cosa è sempre stato per me Danny, Badlands?» continuò Mara.

Badlands si irrigidì da capo a piedi. Nemmeno nei suoi peggiori incubi lei gli aveva mai rivolto una domanda così diretta e difficile, chiamandolo direttamente per nome, interpellandolo proprio sull’argomento che sembrava avere il potenziale di scatenare in un istante tutta la furia omicida di lei. E considerando che Badlands aveva già avuto occasione di vedere all’opera in tutta la sua libera forza quella furia quando si trattava di questioni non personali, imparando a temerla come si teme un tornado nei confronti dei quali l’unica prospettiva di salvezza è sperare di non finire accidentalmente sul suo percorso, non aveva mai nemmeno osato immaginare cosa sarebbe successo se si fosse scatenata a proposito di qualcosa di personale. Ma Mara continuò imperterrita a parlare e a camminare avanti e indietro senza degnarlo, e lui tirò mentalmente un sospiro di sollievo, realizzando che quella terribile domanda era stata posta a fini puramente retorici. Tuttavia, il tono della mezza lupa continuò a farsi gradualmente più cupo e minaccioso.

«Una spina nel fianco.» sancì Mara, con lapidaria nettezza «Ecco ciò che è quella patetica imitazione di un lupo che lui è. E mi sono decisamente stancata di giocare con quel suo amico umano, è diventato terribilmente noioso. Se fosse stato solo per me, a quest’ora ti garantisco che Danny non avrebbe più occasione in alcun modo di inquinare le nostre esistenze con la sua sopravvivenza. Ma in questi ultimi anni sono stata molto occupata a pensare a cose più importanti di quell’avanzo di cane, e così ho finito per rimandare troppo a lungo quello che avrei dovuto fare già molto tempo fa. Però, adesso non possiamo permetterci di perdere tempo. Questi giorni sono decisivi, come tu ben sai. Ben presto sarà la nostra notte, la notte di tutti i lupi, la notte in cui il regno degli esseri umani tramonterà definitivamente per lasciare spazio al nostro, a quello dei lupi. E nel nuovo mondo che sorgerà quella notte non ci sarà spazio per quelli come lui, per i lupi che si sono resi degli schifosi cani striscianti e piagnucolanti legati alle caviglie di qualche essere umano.»

Mara si fermò, con una rapida ed elegante mezza piroetta priva di sforzo si voltò dritta verso di lui e lo guardò, incrociando le mani dietro la schiena e assumendo una posa da vera e propria nobile oratrice, sebbene l’inconfondibile mezzo sorrisetto insidioso che le incurvava la bocca in una piega sinistra e crudelmente sarcastica spiccasse in tutta la sua efficace sottigliezza agli occhi di Badlands, togliendo ogni possibile dubbio a riguardo del fatto che le sue intenzioni al momento erano tutt’altro che particolarmente nobili o leali. Badlands si fece attento con ogni sforzo del suo essere, riconoscendo le avvisaglie che precedevano il momento in cui Mara gli avrebbe richiesto di essere di nuovo partecipe in qualche modo al suo monologo.

«Nella nostra situazione, Danny al momento è un ostacolo. Questo è precisamente quello che è. Lui e il suo manipolo di umani da strapazzo potrebbero anche farsi disgraziatamente attraversare il cervello dall’infelice idea di infastidirci in qualche modo. Niente di veramente tedioso, naturalmente. Potremmo spazzarli via in un attimo e senza fatica. Ma perché fare domani quello che si può fare oggi? E nel nostro domani avremmo ben altre cose di cui occuparci. Non ho alcuna intenzione di rischiare che questo ostacolo rovini in qualche modo lo splendore dei primi giorni del nostro futuro regno. Dunque, dimmi Badlands, che cosa si fa con gli ostacoli?» lo interpellò Mara.

Badlands ingoiò saliva e si concentrò bene sulla scelta di ogni singola parola. «Si tolgono di mezzo?» tentò.

Un luccichio inquietantemente vivace si accese per un momento come una vivida brace negli occhi di Mara nell’udire quelle parole, e lui osò sperare di aver detto proprio quello che lei voleva sentire.

«Esattamente.» lo premiò lei, anche se non sembrava particolarmente impressionata dal fatto che lui avesse parlato «Ed è proprio quello che farò. Con le mie stesse mani, dal momento che a quanto pare l’unico modo qui in cui le cose siano fatte come devono essere fatte, è quelle di farsele da sé.»

A Badlands non sfuggì l’inclinazione di critica significativa che aveva preso il suo tono.

«A questo proposito…» proseguì Mara, facendosi riflessiva ma con accento pragmatico, guardandolo ora con maggiore attenzione «Credo proprio che ci sia una faccenda che è rimasta in sospeso, qui.»

Badlands si innervosì all’inverosimile, e iniziò disperatamente a sondare tutto ciò che sapeva, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse combaciare con quello a cui Mara si stava riferendo.

Lei scosse la testa ed emise un verso di stizza insofferente. «Mi riferisco a quei ragazzini!» lo informò, alzando la voce con impazienza «Quegli idioti che hanno ucciso quell’essere umano in mezzo ai campi e che hanno attaccato quella stupida che se l’è data a gambe! Nemmeno a te può essere sfuggito quanto sia grave quello che è successo. Ero stata molto chiara a proposito delle cose che non si dovevano fare, in nessun caso, e tra queste ricordo perfettamente che erano incluse esattamente le due cose che quegli incapaci hanno fatto! Non farsi notare dagli esseri umani prima del momento giusto, e non aggredirsi gli uni con gli altri tra di noi.»

«Oh, certo, certo…» si affrettò a concordare Badlands, annuendo con vigorosi movimenti della sua grossa testa, e assumendo un contegno estremamente serio e severo «Infatti mi sono occupato personalmente della cosa. I ragazzi hanno avuto quello che si meritavano direttamente dal sottoscritto.»

Mara emise un accenno di risata sornacchiante, a beneficio della sua intenzione di deriderlo palesemente. «Oh, Badlands…» gli disse, con tono colmo di pena «Tu non hai idea di che cosa voglia dire far veramente capire qualcosa a qualcuno. Non si tratta di istruirli.» chiarì, calcando sulle parole «Non sono i tuoi maledetti figli, e non sono dei poppanti che non sono ancora capaci di reggersi sulle loro zampe. Sono solo un branco di giovani maschi idioti che pensano che andare in giro a sfogare le loro stronzate da testosterone senza cervello possa essere un ottimo modo per passare il tempo. Non devono capire, devono solo sapere che cosa li può far sopravvivere e che cosa li potrebbe uccidere, e l’unico modo di tenerli sotto controllo sul serio, è di insegnarli una volta per tutte che ciò che non possono fare è esattamente quello che potrebbe portarli alla morte. Ricordi cosa ho detto a tutti quanti, che cosa dico a tutti quelli che arrivano qui, Badlands? Che se infrangeranno le mie regole, sarà a me che ne dovranno rispondere. Con la loro vita. Ora, ti sembra forse che io sia una lupa che non rispetta la sua parola, Badlands?»

«No, assolutamente!» si affrettò a rispondere Badlands, scuotendo la testa un paio di volte per enfatizzare il concetto.

«Molto bene.» concesse Mara, sorridendo con buona parte della sua migliore espressione decisamente sinistra. «Dunque, portami qui il loro capetto. Ora.»

Badlands impallidì così rapidamente che sembrò che il sangue gli venisse letteralmente drenato via dalla faccia con qualche metodo artificiale.

«Ma… in realtà… ecco… ho già dato loro una lezione con le mie mani, e mi è sembrato che abbiano capito molto bene che se solo si azzardano a rifare di nuovo qualche casino del genere, o anche meno, se ne pentiranno… gliel’ho garantito e…» tentò, timidamente quanto disperatamente.

Mara gli tolse le parole di bocca inchiodandolo semplicemente con uno sguardo profondamente tagliente. «Badlands.» sancì, con voce non meno netta e lapidaria «Non mi importa che cosa ti è sembrato. Portami qui il loro capetto. E non farmelo ripetere.»

Quello era precisamente il tono che tendeva a far comprendere immediatamente a Badlands che il momento in cui Mara avrebbe potuto accettare una sola altra oncia di replica o di esitazione nell’eseguire un comando era finito, e che se ne fossero giunte altre le avrebbero dato il via libera per puntare direttamente alla giugulare di chi stava osando tanto da irritarla intollerabilmente. Era più un gesto di reazione istintiva e profonda che qualcosa di ragionato, il modo in cui quel tono fu istantaneamente capace di far balzare in piedi Badlands, e farlo precipitare in direzione dell’uscita della tenda per eseguire immediatamente l’ordine ricevuto.

Aveva giusto fatto in tempo a scostare un lato dell’apertura della tenda per uscire, quando la voce di Mara si alzò di nuovo alle sue spalle, colma di quella gelida calma che era più che sufficiente a farlo immobilizzare immediatamente per ascoltarla, con completa attenzione e il lieve sospetto che potesse trattarsi di una semplice comunicazione a riguardo del fatto che lui stava per morire per mano sua.

«Oh, e… Badlands? Quando avrò finito con quel ragazzino, toccherà a te un chiarimento a riguardo del fatto di come, quando dico che qualcosa va fatto, non accetto che non sia fatto. Ti avevo esplicitamente chiesto di tenere a bada i lupi più giovani e/o più esagitati qui. E, a quanto pare, questo è esattamente ciò che non hai fatto, dal momento che alcuni lupi hanno dovuto andare a nascondere le tracce di un essere umano ucciso e della sua auto, e che una stupida lupetta idiota si è fatta venire la geniale idea di andare a chiedere aiuto e protezione proprio a quell’avanzo di cane e ai suoi amici scaccia-spettri. Spero tu possa immaginare quanto tutto questo mi abbia molto deluso da parte tua, Badlands. Ed estremamente irritata.»

Il tono era quanto mai evocativo a riguardo di quanto Mara non si sarebbe risparmiata nel fargli pesare la sua disapprovazione, e Badlands seppe con certezza che se lei non gli si era ancora avventata contro era solo perché aveva già programmato esattamente quando farlo secondo l’ordine delle altre cose che aveva intenzione di ‘sistemare da sé’.

«Certo… Mara… capisco benissimo.» fu tutto ciò che riuscì a replicare. D’altro canto, non avrebbe certo potuto darle torto, perché quello che lei aveva appena delineato non faceva alcuna piega nella sua logica. Dopotutto, avevano un intero raccoglimento di mezzi lupi da gestire, e occuparsi dei più giovani era un incarico che lui si era assunto con piena consapevolezza e serietà. E Badlands sapeva che ciò che era successo con Nickj e gli altri era una prova evidentissima proprio del fallimento che Mara gli stava ricordando, sebbene non ve ne fosse alcun bisogno: aveva fallito, era indubbio, quanto era indubbio che lei gliene avrebbe fatto pentire.

Badlands si riteneva una persona di parola, e pensava che esserlo fosse una caratteristica imprescindibile per le persone – o i mezzi lupi – tutti d’un pezzo. Aveva mancato alla sua parola con quel fallimento. E una delle cose che gli avevano fatto apprezzare Mara fin dal primo momento che l’aveva incontrata, era che anche lei era una persona estremamente di parola. Solo col passare del tempo aveva scoperto quanto ciò fosse particolarmente vero quando lei assicurava che qualcuno avrebbe dovuto pentirsi per mano sua di ciò che aveva fatto o detto.

Sì, Mara era perfettamente di parola in quel frangente, rifletté Badlands, mentre, uscito dalla tenda, si incamminava a pesanti passi tra le tende dell’accampamento, alla ricerca di Mitch. Ma talvolta avrebbe voluto quasi che lei non lo fosse così tanto. Almeno, non quando ciò doveva ricadere su un giovane lupo scapestrato come quello che stava andando a prendere per portarlo da lei. Non c’era bisogno di molta immaginazione per prefigurarsi che cosa Mara gli avrebbe fatto, perciò persino Badlands poteva dipingerselo fin troppo bene, e la cosa non solo non gli piaceva, ma gli faceva persino provare quella che sembrava sospettosamente simile ad una stretta al cuore. Mara lo avrebbe deriso se avesse saputo che aveva una sensazione come quella, ma poi si sarebbe sicuramente fatta mortalmente seria, e gli avrebbe sicuramente ricordato che quello era un genere di cose da sentimentalismi zuccherosi da esseri umani, e non certo qualcosa di degno della fiera forza di un lupo.

E Badlands riteneva che davvero lei fosse la più perfetta incarnazione di quello che un lupo avrebbe dovuto essere. Inoltre, lei lo incarnava con una spontaneità e una naturalezza che avevano sempre dell’incredibile ai suoi occhi. La ‘crudeltà’ era solo un appellativo da giudizio morale umano, dovette tuttavia ricordare a se stesso intanto che cercava Mitch con lo sguardo tra i lupi disseminati per il campo, mentre tutto ciò che un lupo metteva in atto, con pura ferocia quando necessario, era solo sistemare le cose nel modo più giusto. Anche questo Mara gliel’aveva spiegato diverso tempo prima, ed era una delle volte in cui lui era rimasto più incantato dall’ineccepibile sensatezza naturale delle sue parole.

 

Soundtrack: A girl like you (Edwyn Collins)

 

Note dello scribacchiatore: ebbene sì, mi rendo conto che ho inserito questo capitolo lasciandovi in sospeso sulla sorte dei nostri narcotizzati Danny e Uther, ma volevo proprio metterlo per dare un po’ di spazio in più ai personaggi di Mara e Badlands. Un po’ perché alla fin fine tendo ad affezionarmi in vario modo ad ogni singolo personaggio delle mie storie, chi più chi meno. E poi perché non vi fornisco sprazzi di personaggi proprio a caso, lo ammetto. Eh sì, questi due sono da non sottovalutare troppo.

Comunque sia, sperando che non me ne vogliate troppo per questo intermezzo al prossimo capitolo torno subito dai nostri “belli addormentati” (questa la trovo decisamente da Kumals…).

Oh, e per chi volesse sapere che fine toccherà a Mitch… non preoccupatevi, si scoprirà…

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Capitolo 32
*** 31 - Al miglior offerente ***


Capitolo 31

(AL MIGLIOR OFFERENTE)

 

Uno schiaffo liquido e gelido lo colpì dritto su tutta la faccia, sul petto e sulle spalle, e Danny si svegliò di colpo, boccheggiando istintivamente; in pochi secondi, tuttavia, si rese conto che a tutti gli effetti non si trovava immerso in acqua e in procinto di annegare, e che c’era più che abbastanza disponibilità di ossigeno per i suoi bisogni. Ma non ebbe il tempo di sentirsi troppo sollevato.

«Bentornato tra noi, credo di dover dire…» lo accolse la voce sottile e tagliente, estremamente sgradevole, che Danny ricordava benissimo per essere stata esattamente anche l’ultima voce che aveva udito prima di crollare sul pavimento dello studio di un necromante. Necromante che a quanto pare ora lo stava guardando dall’alto in basso, in piedi davanti a lui, con in mano un secchio vuoto, e un sorrisetto di soddisfatta e goduta malevolenza che gli tirava le labbra da una parte all’altra del volto scarno. Necromante che, si ricordò con immediata chiarezza Danny a quel punto, aveva la particolare abitudine di narcotizzare i suoi ospiti con del tè alla menta dannatamente buono, da bere con perfetta inconsapevolezza di star per perdere i sensi per rimanere poi completamente in balia di quell’uomo.

Danny scattò, con tutta la rapidità micidiale di un mezzo lupo per quanto in forma umana, e anche se i suoi sensi ancora un po’ ottusi dal narcotizzante gli fecero un po’ scivolare una gamba sul bagnato per terra, rendendo il suo slancio un po’ sbavato nell’effetto generale, il suo balzo risultò comunque perfettamente efficiente nel tracciare una sola brevissima linea diretta verso l’uomo. Danny sapeva benissimo, essendovi naturalmente abituato da ormai molto anni, come eseguire movimenti come quello con tutta l’efficacia precisamente tratteggiata dalla ferocia che li faceva scaturire con immediata prontezza. Per questo rimase talmente stupito e colto di sorpresa dalla forza in direzione contraria che frenò improvvisamente e violentemente il suo movimento, che si rese conto con qualche istante di ritardo del fatto che a tutti gli effetti non stava affatto precipitando dritto contro l’uomo come avrebbe dovuto. Bensì qualcosa spezzò di netto la traiettoria del suo balzo, cambiandone la direzione pur conservandone la forza, e dal momento che lui si era slanciato in avanti con tutte le sue forze, altrettanto energicamente fu catapultato all’indietro dal contraccolpo, e si ritrovò a sbattere duramente in un angolo tra pavimento e muro che a quanto pareva si trovava alle sue spalle.

A quel punto, sebbene ancora più furioso nei confronti del necromante, si ritrovò abbastanza confuso da ritenere che una migliore valutazione di dove e in quali condizioni si trovasse al momento fosse un’ottima priorità da mettere al suo indice di attenzione. E sicuramente non si sarebbe lasciato distrarre dal fatto che l’uomo che lo aveva ridotto in quelle condizioni stesse riprendendo a parlare a vanvera.

«Oh… molto, molto bene. Vedo che sei pieno di fervore. Un ottimo segno di buona salute per un mezzo lupo, non è vero?» gli disse, con un tono complimentoso vagamente simile a quello che un genitore orgoglioso avrebbe potuto dedicare a qualcosa che ritiene assolutamente ovvio riuscire a fare come si deve, ma che un pargolo è appena riuscito a realizzare per la prima volta nella sua vita; inutile dire che nel suo caso il tono del necromante non tradiva alcuna ombra di sincerità o di affetto, sebbene trasudasse di una confidenza possessiva fin troppo fastidiosa per Danny.

Lui nel frattempo stava appurando che non si trovava più nello studio sul pavimento del quale ricordava di essere crollato a causa dell’anestetico. A quanto pareva il necromante, nonostante il suo aspetto allampanato e scarno, era riuscito a tirare fuori abbastanza forza e pazienza e aveva avuto sufficiente tempo per trascinarlo in una specie di cantina, uno stanzone sotterraneo dal tetto a volta e pareti e pavimento di blocchi quadrati di pietra grigia grossolanamente tagliata. Aveva un aspetto tipicamente nudo e crudo da casa antica, e secondo le originali idee del costruttore doveva aver avuto la funzione di ospitare cibi e bevande da conservare in grande quantità e al fresco, e forse per riporvi qualche strumento da lavoro o di uso domestico particolarmente ingombrante. Al momento, tuttavia, a Danny sembrava perfetta per essere l’ideale ambientazione di un sacrificio umano.

In piedi davanti a lui, ma distanziato di qualche passo, il necromante si riaccomodò meglio in mano il secchio metallico vuoto che doveva essergli servito per svegliare Danny a suon di secchiata d’acqua fredda, e continuò a contemplarlo con un’occhiata se possibile ancora più sinistramente insistente e valutante. Danny si impose di ignorarlo ancora per il momento, ma la sua analisi della situazione virò comunque decisamente sulla domanda fondamentale, ovvero perché mai da quando si era svegliato non era ancora riuscito a mettergli le mani addosso per fargli sapere esattamente cosa ne pensava della sua idea di ospitalità.

Lo scoprì l’istante successivo, realizzando che attorno ad entrambi i suoi polsi c’erano due spessi cerchi metallici, gelidi e pesanti, e che quegli anelli erano assicurati a corrispettive catene che, come scoprì seguendone il percorso con lo sguardo, terminavano fissandosi profondamente tra le pietre del muro alle sue spalle. In pochi istanti peggiorarono drasticamente sia la sua prospettiva di poter facilmente dimostrare al suo ospite la gratitudine che egli si era meritato sia l’immaginare quali fossero le reali intenzioni del suddetto dopo che li aveva narcotizzati.

In quel momento realizzò che mancava un particolare fondamentale al quadro complessivo, e di getto si ritrovò ad esclamare «Uther!», mentre il suo corpo sobbalzava e tentava un debole scatto istintivo prontamente bloccato però dalla ragionevolezza che al momento cercare di balzare addosso al necromante sembrava purtroppo più difficile del previsto. Gli rivolse comunque uno sguardo raggelante di minaccia e con voce talmente cupamente bassa da essere molto simile ad un ringhio sordo e gutturale scandì tra i denti la domanda dalla risposta alla quale sapeva già che sarebbe dipesa la sopravvivenza di quell’uomo. «Che cosa gli hai fatto? Dov’è?»

L’uomo gli rivolse un lieve sogghigno di finta compartecipazione, prima di spostarsi di lato di un largo passo, rivelandogli così ciò che stava alle sue spalle: inchiodato come lui da due catene con anelli, Uther giaceva seduto appoggiato contro il muro opposto, esattamente di fronte a lui.

«Danny… sempre al tuo fianco quando si tratta di essere nei guai, come vedi…» lo salutò con tagliente ironia Uther, rivolgendogli un semplice cenno della testa.

«Uther… stai bene?» chiese Danny, quasi retoricamente e con una punta d’incertezza, dal momento che l’altro sedeva con la schiena appoggiata, le gambe allungate in avanti e le braccia conserte, e lo stava guardando con aria tutto sommato piuttosto composta e tranquilla, almeno in apparenza; era comunque abbastanza evidente, anche per uno sguardo superficiale o che non fosse così abituato a posarsi su di lui e a riconoscerne le sue espressioni e contegno, che Uther era sufficientemente colmo di irritazione e rabbia da poter arrivare facilmente sul punto di esplodere da un momento all’altro.

«Oh, sta benissimo. Non lo vedi?» replicò il necromante, con fare spazientito e innervosito, come se avesse così tante cose di cui occuparsi che lo stress non gli lasciava tregua, spostandosi a brevi rapidi passi per andare a riporre il secchio su un tavolone di legno grezzo – l’unico arredo che occupava la stanza a parte le catene affisse al muro – e sbuffando sonoramente.

Uther si limitò a lanciare a Danny uno sguardo significativo con le sopracciglia alzate, che lui lesse chiaramente: non poteva davvero ancora riuscire a credere che fossero entrambi appena stati imprigionati e neutralizzati da un simile soggetto. Se non altro, constatò Danny sentendosi notevolmente sollevato, Uther sembrava stare abbastanza bene da essere ancora del tutto in possesso della sua idea di ‘assurdità della vita’, e da poter di conseguenza prendere il tutto con una certa ironia. Ironia che al momento invece Danny faticava a trovare in sé. Subito dopo, tuttavia, rivalutò meglio la questione: era ovvio che Uther avesse potuto fare ben poco fino a quel momento, legato com’era, ma lui che era un mezzo lupo ora che si era svegliato probabilmente era in grado di risolvere la faccenda in un attimo.

Senza esitare, Danny si alzò in piedi e con uno scatto di forza di entrambe le braccia tirò le catene per tutta la loro estensione, testando la resistenza dell’affissione al muro. All’udire quell’improvviso e sonoro rumore metallino, il necromante si era girato di scatto, tornando a guardarlo con curiosità.

Danny riabbandonò le braccia lungo i fianchi e dedicò un lungo sguardo corrucciato alle catene nel punto in cui erano affisse nel muro, prima di dover suo malgrado rivolgere ad Uther uno sguardo un po’ meno fiducioso: d’accordo, forse gli sarebbe occorso qualcosa di più di ‘un attimo’ per risolvere quella faccenda. Vide Uther alzare lo sguardo al cielo, evidentemente per maledire qualcosa a caso, mentre si abbandonava di tutto peso con la schiena e la nuca contro al muro, sconfitto.

Una risatina acuta e davvero odiosa riportò l’attenzione di Danny sull’uomo, che stava tornando ad avvicinarglisi senza fretta, passeggiando tranquillamente. A Danny non sfuggì però il fondamentale particolare che ora aveva in mano un lungo pugnale, la lama celata in un’apposita custodia di pelle; l’unica cosa che gli impedì di tendere immediatamente i muscoli per tenerli pronti alla lotta, fu il particolare che – almeno per ora – il necromante teneva in mano l’arma come se si trattasse di un porta-occhiali o di qualcos’altro di altrettanto innocuo, senza cioè mostrare di avere ancora intenzione di usarlo.

«Mi dispiace, piccolo mezzo lupo… ma credo proprio che quelle catene siano un po’ troppo resistenti per le tue particolari doti. Non ti preoccupare, comunque, sono sicuro che presto avrai qualcuno che saprà apprezzare appieno le tue capacità superiori.» gli disse Mordecai, avvicinandoglisi ancora.

Danny lo guardò dritto negli occhi, e cercò in fretta qualcosa da dirgli per distrarlo. Se solo fosse riuscito a farlo avvicinare abbastanza affinché arrivasse alla sua portata, nonostante le catene…

«Che cosa intendi?»

«Beh, è molto semplice. Presto qualcuno ti comprerà. Un ottimo… che dico, un eccellente esemplare di mezzo lupo! Giovane e in perfetta forma! Sicuramente chi ti acquisterà sarà qualcuno in grado di apprezzare tutte le tue qualità.» proseguì il necromante, avvicinandosi ancora.

«’Comprarmi’? E come sarebbe possibile comprarmi?» continuò Danny, prestando a stento attenzione alla conversazione, fremendo con ogni fibra del suo essere per il momento in cui gli fosse arrivato abbastanza vicino da permettergli di afferrarlo…

«Perché io ti venderò al miglior offeren…» iniziò l’uomo, ma si interruppe quando Danny scattò, di nuovo così rapidamente che un occhio umano non sarebbe mai stato in grado di seguire perfettamente la sequenza del suo spostamento nello spazio.

Era convinto di avergli già praticamente messo le mani addosso, quando si ritrovò con le braccia protese, bloccate a mezz’aria benché dritte in tutta la loro estensione, e le dita a pochi centimetri dal viso di Mordecai. Questi gli sorrise in faccia, lentamente ma con sicurezza, e Danny comprese che quell’uomo doveva avere un’incredibile capacità di calcolare praticamente al millimetro la libertà di movimento lasciata da quelle catene.

In quella, udì distintamente Uther schiarirsi la voce. Lo spiò, al di sopra della spalla di Mordecai, e vide Uther spostare le pupille significativamente verso il basso, per indicargli qualcosa. Danny abbassò lo sguardo sul pavimento di pietra, e notò una linea bianca, tracciata con un gessetto proprio davanti a lui, in orizzontale; notò anche che i piedi di Mordecai erano fermi, pari, proprio appena oltre quella linea. Quando tornò ad alzare gli occhi sul viso dell’uomo, ormai consapevole del fatto che quegli aveva accuratamente tracciato per terra il punto oltre il quale non doveva andare per rimanere al sicuro dai tentativi di Danny di saltargli alla gola nonostante le catene, si ritrovò ad osservare un sorrisetto ancora più auto-compiaciuto.

«Oh, beh… sono sicuro che una volta smaltito del tutto l’effetto del narcotico, anche le tue qualità intellettive miglioreranno almeno un poco. Non è vero?» gli disse, così insensibilmente ed auto-referenzialmente divertito da non poter suonare nemmeno come uno che volesse provocarlo.

Subito dopo, Mordecai riprese a camminare per la stanza, parlando distrattamente, come se il fatto di avere qualcuno che lo ascoltasse fosse tutto sommato superfluo. Danny abbassò lo sguardo di nuovo sul pavimento, rilevando che anche davanti ad Uther era stata tracciata una linea che indicava precisamente fino a dove lui poteva arrivare per tentare di attaccare il loro carceriere. Tuttavia, notò anche che parte di quella linea era un poco rovinata, come se qualcuno avesse cercato di cancellarla; e fu allora che in un istante realizzò che Uther era seduto in quel modo così apparentemente rilassato perché in quella posizione riusciva a raggiungere con la punta di un piede, allungandosi al massimo e quando Mordecai non guardava, la linea. E la stava lentamente cancellando.

Danny si ritrovò il cervello attraversato da una rapidissima sequenza di pensieri: prima realizzò che cosa Uther stava cercando di fare, poi gli lanciò una fugacissima occhiata talmente rapida che non riuscì nemmeno a capire quale espressione lui potesse stargli rivolgendo in quel momento, quindi si ritrovò a puntare immediatamente lo sguardo sul necromante per evitare di tradire il tentativo di Uther, e vide Mordecai girarsi su se stesso proprio in quel momento per tornare a guardarlo, e si ritrovò così a sforzarsi con tutto se stesso di mantenere con tutto il sangue freddo necessario la più neutrale delle espressioni per non far trasparire nemmeno un poco di sospetta colpevolezza.

«Così, non è proprio incredibile una cosa del genere? Uno apre la porta un giorno e si ritrova un regalo proprio davanti alla soglia: nientemeno che un mezzo lupo in carne e ossa, e perfettamente vivo, e che per giunta non chiede di meglio che entrare a prendere un tè.» stava dicendo Mordecai, e a quel punto ridacchiò appena, divertito, guardando di nuovo Danny da capo a piedi, con l’aria di uno che contempla una torta nuziale dopo un mese di digiuno stretto.

«Si può sapere che cosa diavolo ha intenzione di fare? Le ha dato di volta il cervello, forse?» gli domandò Danny, decidendo che il meglio che poteva fare per il momento era guadagnare altro tempo e tenere occupato quel pazzoide prendendo la conversazione nel modo più lungo e pedante possibile, finché non gli fosse venuta un’altra idea più valida di quella che stava cercando di mettere in pratica Uther. Con tutto il rispetto che poteva avere per le trovate tattiche di Uther, cancellare la linea di gesso nella speranza che il necromante sbagliasse a prendere le distanze da loro per poterlo afferrare nonostante fossero incatenati al muro non gli sembrava qualcosa che potesse essere loro veramente d’aiuto. E, in ogni caso, onestamente non aveva ancora davvero capito che cosa diavolo passasse per la testa di quel tipo; difficilmente gli sarebbe venuta voglia di scoprirlo, se al momento quel soggetto non fosse stato anche lo stesso che era appena riuscito a narcotizzarlo e incatenarlo ad un muro.

Mordecai si era fermato e lo stava guardando con gli occhi lievemente spalancati per lo stupore e una leggera confusione superficiale, come se Danny avesse appena detto qualcosa di assurdo. «Prego? Ma come? Mi sembra perfettamente logico, no? Non hai forse idea di quanto può valere uno della tua specie sul mercato nero?»

Suo malgrado, Danny si ritrovò a trasecolare e a trovarsi un po’ più preso dalla conversazione di quanto aveva pianificato. «Cosa?!»

Il necromante contemplò per qualche istante la sua espressione sinceramente attonita, poi sorrise con fare mellifluamente comprensivo e paziente. «Oh, cielo. Vuoi dirmi che non sapevi che quelli della tua specie valgono così tanto? Beh, in effetti… sì, avrei potuto immaginarlo, che un mezzo lupo non abbia mai avuto occasione di commerciare in mezzi lupi. Già, come si dice, voi siete abbastanza diversi dagli esseri umani da rifiutarvi nettamente di fare cose del genere…»

Suo malgrado, Danny iniziava ad afferrare a grandi linee di che cosa l’uomo stava blaterando. Si corrucciò nel dire «Intendi che non siamo abbastanza “umani” da ritenere accettabile imprigionare, schiavizzare, vendere e comprare altri individui della nostra stessa “specie” come invece fanno gli esseri umani?».

Nonostante il suo tono fosse stato evidentemente colmo di sarcastico sprezzo, vide gli occhi del necromante illuminarsi di soddisfazione. «Esatto, è precisamente quello che intendevo!» replicò, come se fosse contento che finalmente si stessero capendo.

Le sopracciglia di Danny schizzarono verso l’alto. «Stai dicendo che esiste un mercato nero dove vengono commerciati mezzi lupi?!». Forse, quell’uomo era ancora più pazzo di quello che sembrava, il che era già notevole di per sé; mai in tutta la sua vita aveva sentito dell’esistenza di una cosa del genere, e dopo svariati anni come mezzo lupo e alcuni altri nei ‘4 di picche’, riteneva assai improbabile che fosse possibile che esistesse qualcosa di simile senza che lui ne avesse mai nemmeno sentito parlare.

Di nuovo il necromante lo stava fissando come se stesse ragionando tra sé e sé. «Beh, non ancora. O meglio, fino ad ora non si trattava che di qualche pezzetto sciocco… qualche dente, o artiglio, qualche ciuffo di peli, una coda, qualche volta una zampa o una pelliccia quasi intera… molte volte tra l’altro si tratta sicuramente di pezzi di un lupo vero e proprio, smerciati come appartenenti ad un mezzo lupo. D’altro canto, non essendoci vero e proprio modo di distinguerli, checché ne dicano certi collezionisti che si danno tante arie, ho sempre sospettato che la quasi totalità fossero dei falsi! Ma io sto per cambiare ogni cosa!» esclamò, gli occhi sfavillanti come quelli di un allucinato in preda a qualche sostanza psicotropa «Io sarò il primo a commerciare un mezzo lupo in carne e ossa, ancora vivo! Nessun pericolo di truffa, perché è ovvio che essendo vivo potrai mutare per dimostrare la tua autenticità!»

Danny lo guardò con ancora maggiore dubbio scettico. «D’accordo. E chi pensi che acquisterebbe mai un mezzo lupo? Andiamo…» tentò. Sentiva che quell’argomento aveva un che di ineccepibile per la sua ragionevolezza, ma sospettava anche che certi ambienti di collezionismo fossero immuni alla ragionevolezza, perciò non si stupì particolarmente nel vedere l’ennesimo sorrisetto di superiore compatimento comparire sul volto del necromante.

«Starai scherzando… non hai davvero idea… c’è gente là fuori che farebbe qualsiasi cosa per poter possedere un pezzo unico come te. Da mostrare agli ospiti, agli altri collezionisti… Oh, devi stare scherzando, no? O forse… davvero non hai idea. Beh, certo… altrimenti sono certo che a quest’ora ti saresti venduto da solo.» osservò Mordecai, studiandolo con aria saputa.

Danny gli rivolse uno sguardo ancora più scettico e incredulo.

«Ma purtroppo per te sono arrivato prima io…» gongolò l’uomo. «E dovrebbe essere superfluo dire che questo mi renderà schifosamente ricco.»

«’Schifosamente’, sì, credo proprio che sia l’aggettivo più esatto…» commentò Danny.

«Oh, e a proposito… puoi anche smetterla di cercare la tua pistola…» osservò il necromante, e Danny si irrigidì, sentendosi colto sul fatto.

Effettivamente, mentre controllava che lo sguardo del loro carceriere fosse concentrato sul suo mentre parlavano, aveva cercato di far scivolare furtivamente una mano alla cintola dietro la schiena, con la tenue ultima speranza che quel matto fosse stato abbastanza pazzo da dimenticarsi di disarmarlo. Seguendo con lo sguardo la direzione indicatagli da Mordecai con un cenno della testa, accompagnato da un sorrisetto divertito ed estremamente irritante, si ritrovò a fissare il tavolone di legno grezzo, sulla superficie del quale, tra altri oggetti, erano in effetti appoggiate anche entrambe le sue pistole: in un solo istante così naufragò anche la sottile speranza che almeno Uther potesse essere ancora armato.

«Devo dire che questo ti rende ancora più unico come pezzo…» stava proseguendo riflessivamente l’uomo «Humm… e dimmi, sai anche sparare? Intendo, quando sei nell’altra tua forma.»

Danny ricatapultò gli occhi su di lui per fissarlo con viva incredulità. «Cosa? E come diavolo potrei fare?!»

Mordecai fece spallucce, cercando di non sembrare troppo deluso, e recuperò un contegno inappuntabilmente pragmatico «Beh, non importa. Non si può avere tutto nella vita. D’altro canto, sei già eccezionale così come sei. Farò una vera fortuna con te. E tu diventerai incredibilmente famoso. Nel ristretto giro dei collezionisti, naturalmente. In realtà, forse dovrei diventare famoso anch’io. Il primo che ha catturato un mezzo lupo vivo…».

Gli occhi gli stavano di nuovo sfavillando in maniera alquanto inquietante, ebbri di febbrile gioia danarosa, e Danny provò l’irresistibile impulso di trovare al più presto il modo di fargli andare di traverso quel sogno ad occhi aperti, magari fino al punto di strozzarlo.

«Dimentichi un particolare.» gli disse semplicemente, scegliendo bene le parole in modo da allungare ancora la conversazione per prendere altro tempo, e anche per cercare di catturarne l’attenzione; se c’era qualche speranza che Uther riuscisse a concludere qualcosa sul come toglierli di lì entrambi al più presto, era necessario che lui continuasse a distrarre Mordecai mantenendo tutta la sua attenzione unicamente su di sé.

L’uomo, che aveva appena ricominciato ad attraversare la stanza ad ampi passi, si fermò e si girò su sé stesso per guardarlo. «E quale sarebbe?»

Danny gli sorrise con vittoriosa minaccia, sperando di risultare ancora più credibile, venendogli così spontaneo il pregustare il momento in cui sarebbe riuscito a distoglierlo almeno un poco dall’idea di avere davanti un radioso futuro di ricchezza e fama a sue spese.

«Per dimostrare a qualsiasi acquirente che sono un mezzo lupo, dovrai farmi cambiare forma davanti ai suoi occhi.» gli fece notare Danny.

Il necromante sbatté un paio di volte le palpebre, appena perplesso. «Sì, è proprio così.» confermò «E quindi?»

Danny alzò un sopracciglio. «E se io non lo facessi? Potrei semplicemente rifiutarmi di mutare forma a tuo comando, per dire?» gli fece presente, come se fosse una cosa ovvia. Il che lo era, almeno per lui: più che ovvio. Mai nella sua vita aveva mutato forma per richiesta o ordine di qualcuno, ed era una delle cose più naturali e normali del mondo per un mezzo lupo, il mutare semplicemente quando lo si voleva, e non certo per desiderio di qualcun altro, figurarsi per capriccio di qualcun altro.

La sensazione di aver appena guadagnato un punto a suo vantaggio svanì come neve al sole quando vide di nuovo quel sorrisetto saputo, soddisfatto e ben poco promettente stirare le labbra dell’uomo.

«Oh… ma io credo che troverò il modo di essere convincente…» gli accennò sinistramente, e Danny lo vide muovere con fredda calma le mani ed estrarre la lama del coltello dalla fodera. Immediatamente tutti i sensi di Danny entrarono in allerta, preparandosi all’attacco, ma con sua sorpresa Mordecai si voltò e si incamminò verso Uther.

«Ad ogni modo, una cosa alla volta. E, prima di tutto, sono spiacente di informarti che il tuo amico qui, invece, essendo banalmente umano, non ha alcun valore sul mercato al quale mi sto riferendo…» proseguì in tono colloquiale il necromante, e Danny realizzò che stava dicendo che aveva semplicemente già deciso di uccidere Uther.

Immediatamente iniziò a tirare con tutte le sue forze contro la resistenza delle catene alle quali era legato e a gridare con tutta la sua voce. «Fermati! Non hai idea di che cosa ti capiterà se solo gli torci un capello, te ne assicuro! Se anche non sarò io a farti fuori con le mie mani, quando arriverà Kumals ti pentirai amaramente…».

Ma dovette interrompersi, realizzando che Mordecai lo stava ignorando totalmente, e che si stava avvicinando ad Uther. Una rapidissima occhiata al pavimento davanti ad Uther rivelò a Danny che la linea bianca segnata col gesso sulla pietra, per quanto estremamente sbiadita, era ancora abbastanza evidente per il contrasto del colore bianco sullo scuro della pietra nerastra, e che quindi il necromante era ancora perfettamente in grado di calcolare a quale distanza mantenersi.

Dal canto suo, Uther vedendolo avvicinarsi col coltello si era alzato in piedi di scatto, e semplicemente aspettava, un poco schiacciato contro il muro, ma comunque pronto a difendersi con tutte le sue forze. Una debole constatazione speranzosa attraversò il cervello di Danny prima che Mordecai arrivasse davanti ad Uther: che quest’ultimo fosse in grado di difendersi bene, dal momento che per accoltellarlo il necromante sarebbe stato costretto ad allungare almeno il braccio armato di coltello oltre la linea tracciata per terra.

L’uomo si arrestò con precisione davanti alla linea, abbassando lo sguardo per controllare con attenzione dove fermarsi per non rischiare di arrivare a portata di Uther, e quando rialzò lo sguardo con calma se lo ritrovò dritto addosso.

Danny guardò sorpreso e con la massima attenzione e il fiato sospeso lo svolgersi della scena: Uther riuscì ad arrivare dritto addosso a Mordecai sebbene questi fosse rimasto dall’altra parte della linea, e subito scattò la zuffa. Uther sfruttò tutto il vantaggio della sorpresa che aveva dalla sua parte per riuscire a sopraffare il necromante, grazie anche al fatto che in quanto a risse a corpo a corpo sapeva più che bene il fatto suo, mentre Mordecai sembrava impacciato e decisamente meno avvezzo a quel tipo di scontro. Danny vide Uther riuscire ad un certo punto a bloccare i fendenti della lama nuda che l’uomo cercava di piantargli addosso intrappolandola in una delle catene che lo tenevano ancora legato al muro, e alla fine anche il necromante dovette rendersi conto, specialmente dopo essersi preso almeno un paio di pugni in faccia, un calcio negli stinchi e un pugno dritto sullo stomaco, che stava decisamente avendo la peggio, perché iniziò a concentrare i suoi sforzi sul sottrarsi all’attacco di Uther piuttosto che a cercare di contrastarlo.

Fu allora che, in rapida sequenza, Mordecai perse la presa sul coltello intrappolato nella catena, che cadde a terra con il sonoro sbattere della lama sulla pietra nuda, e subito dopo riuscì a strattonarsi con sufficiente forza da svincolarsi dalla presa di Uther, lasciandogli tra le dita strette a pugno qualche brandello del camice da lavoro troppo corto che indossava. Ma la forza del contraccolpo con cui riuscì finalmente a sottrarsi ad Uther gli fece un po’ perdere l’equilibrio e lo costrinse a fare diversi passi all’indietro. Quella cantina era abbastanza stretta da far cogliere a Danny la debole possibilità che gli si stava presentando, e che grazie alla prontezza dei suoi riflessi da mezzo lupo riuscì immediatamente ad afferrare.

Facendosi così indietro di riflesso, e ancora troppo concentrato e spaventato dall’aggressione di Uther e dall’inspiegabilità di essa, il necromante stava facendo troppi passi all’indietro, e Danny non perse nemmeno tempo ad abbassare lo sguardo per controllare che i suoi piedi stessero superando la ‘linea di sicurezza’ tracciata davanti a lui: in un balzo prese la spinta e in tutt’uno micidialmente rapido alzò le braccia sopra la testa, unì le mani in un unico pugno, e lo abbatté con forza dritto sulla nuca dell’uomo, in un punto che sapeva essere particolarmente vulnerabile e che gli avrebbe verosimilmente fatto perdere conoscenza per un bel pezzo. I suoi calcoli si rivelarono perfetti al millimetro, perché lo colpì nel punto giusto, e Mordecai si afflosciò all’indietro, finendo dritto sul pavimento di schiena.

Danny si ritrovò a fissare il loro carceriere esanime per terra prima ancora di essersi potuto persuadere che tutto quello fosse veramente successo: non solo come erano appena riusciti a metterlo fuori gioco con relativa semplicità, ma più precisamente come fosse potuto succedere tutto quanto, fin dal momento in cui avevano bussato alla sua porta.

Poi, attirato dal lieve rumore di sottofondo del lieve ansare di Uther, alzò lo sguardo su di lui, per sincerarsi istintivamente che stesse bene. E Uther aveva l’aria di stare più che bene: benché scarmigliato e con un po’ di fiatone, non aveva nessun nuovo livido, a evidente testimonianza che quel necromante da strapazzo non era stato in grado di assestargli nemmeno un colpo, al massimo di graffiargli un poco una guancia, e il coltello giaceva intonso vicino ai suoi piedi. Di fronte al suo sguardo, Uther stesso sembrò ricordarsi in quel momento che fosse opportuno controllare da sé il suo stato, perché si guardò ogni parte del corpo con una rapida occhiata di controllo, prima di tornare a fissarlo, con ancora un po’ di fiatone.

«Bene. Il più è fatto, direi…» constatò allora Uther, con un’ovvietà tranquilla che Danny registrò come semplicemente l’ennesimo particolare assurdo di quelle ore.

«Il più è… come diavolo hai fatto, veramente.» si ritrovò a dire. Forse avrebbe dovuto considerare ancora più bizzarro il fatto che la prima cosa che gli saltasse in mente in quel momento fosse la curiosità di sapere quale trucco avesse usato Uther per riuscire a eludere il sistema di ‘linee di sicurezza’ di Mordecai.

Uther lo guardò un momento come se stesse cercando di interpretare le sue parole, poi realizzò che cosa gli stava chiedendo, e si infilò una mano in tasca, per poi estrarla e mostrargli qualcosa che stava tenendo tra la punta di indice e pollice.

Danny osservo per un momento il frammento di gessetto bianco che Uther gli stava mostrando, chiedendosi se doveva davvero stupirsene a quel punto. Quando decise che perfino l’improbabile doveva pure poter avere un limite, ebbene sì, persino nelle loro vite, si decise a domandargli «E quello come lo hai ottenuto?»

Uther fissò per un istante il pezzetto di gesso, come soppesando qualcosa tra sé e sé, poi alzò appena le spalle nel decidere di ricacciarselo in tasca. «I gessetti possono frammentarsi quando li si usa calcando molto su una superficie così dura come la pietra. Ho trovato questo pezzetto prima, sulla mia linea, quando mi sono svegliato.» gli spiegò, come se non fosse nulla di improbabilmente ed eccezionalmente fortuito.

Danny si limitò ad annuire. Non c’era bisogno di un disegnino per comprendere ora che Uther non aveva mai avuto intenzione di limitarsi a cancellare la linea tracciata da Mordecai, ma anche di disegnarne poi una fittizia, e naturalmente abbastanza vicina a lui ma non troppo, da permettergli sia di ingannare il necromante sia di farlo avvicinare troppo.

«Credo sia meglio che ti assicuri che il nostro “amico” qui sia abbastanza alla tua portata per quando si sveglierà e lo convincerai a liberarci immediatamente…» osservò Uther, accennando con un breve movimento della testa verso il loro carceriere esanime davanti ai piedi di Danny.

Danny sospirò appena, pazientemente, e si chinò in ginocchio accanto all’uomo, per osservarlo più da vicino e cercare di capire ad occhio per quanto tempo sarebbe ancora rimasto fuori combattimento. Fu allora che notò che il corpo era un po’ troppo esanime. Si raggelò. Poi, rapidamente e con movimenti frenetici, gli cercò il battito cardiaco premendogli due dita sulla carotide. Non lo trovò: non c’era alcun battito. Ancora più freneticamente controllò il respiro, di nuovo senza esito, e allora fu preso dal panico, e tutto ciò che riuscì a fare fu alzare uno sguardo di profonda angoscia raggelata su Uther, che ancora lo stava guardando dall’altra parte della stanza.

Per un momento, Uther non capì cosa stesse succedendo, poi ricordò esattamente quando aveva già visto quello sguardo in particolare sul volto di Danny, quella precisa espressione terribilmente vuota, assente e senza speranza.

«Ah…» fu tutto ciò che si ritrovò a dire, non particolarmente brillantemente, per la sorpresa e la disarmante sensazione che quello sguardo di Danny era in grado di produrre su praticamente chiunque lo rivolgesse, o almeno così sospettava. Lo guardò lasciarsi andare all’indietro, sedendosi pesantemente con la schiena contro il muro e gli occhi chiusi, il volto teso in un’espressione indurita, colma di una rabbia sorda e pesantemente rivolta contro se stesso.

Uther sospirò appena, passandosi una mano sulla faccia e imprecando una sua versione di ‘accidenti’ particolarmente colorita. Prese un respiro profondo e cercò qualche parola un po’ più impegnata. «Danny… mi dispiace…» iniziò, ma qualcosa nell’udire quelle sue stesse parole gli fece corrugare la fronte. «No, aspetta un momento. Se quel matto patentato è morto… No, no, no… aspetta un attimo…»

Danny riaprì gli occhi, e lo guardò, sebbene con amara svogliatezza, con una certa attenzione.

«Danny… Danny, guardagli nelle tasche! Subito!» disse Uther, con urgenza, e quando l’altro continuò a guardarlo nello stesso identico modo, evidentemente senza capirlo, aggiunse «Le chiavi, Danny, perdio! Le chiavi di queste stramaledette catene!»

Lo sguardo di Danny si tornò a illuminare un poco nella comprensione di che cosa Uther stava implicitamente dicendo, e di nuovo si riavvicinò al corpo senza vita, e iniziò a frugargli i vestiti con attenzione certosina, mentre Uther seguiva ogni suo movimento quasi trattenendo il fiato.

Dopo lunghi momenti, Danny rinunciò e tornò a sedersi sui talloni, lo sguardo di nuovo fisso e vuoto sul corpo privo di vita. Uther rimase di nuovo senza fiato per un momento, e poi quasi urlò «Per la miseria, cerca meglio!»

Ma Danny scosse appena la testa, e senza nemmeno guardarlo alzò un braccio, il dito puntato verso qualcosa. Uther seguì la direzione indicata, e si ritrovò a fissare il tavolone di legno, sulla superficie del quale, dopo una veloce cernita a suon di ansioso scrutare, individuò un oggetto in particolare: un anello metallico usato come portachiavi per una piccola serie di chiavi dall’aria antica… a colpo d’occhio si sarebbe potuto dire che sembravano appartenere pressappoco alla stessa epoca nella quale dovevano essere state forgiate e affisse al muro le catene alle quali lui e Danny si trovavano avvinti.

Uther impallidì decisamente, quindi si corrucciò, poi tornò di nuovo preda della più totale mancanza di speranza, e alla fine tornò a guardare Danny, che in compenso stava ancora fissando il cadavere come se potesse ridargli vita semplicemente sentendosi abbastanza intensamente in colpa.

«Danny…» lo chiamò infine, piano e con tatto e lentezza Uther. E quando l’altro finalmente rialzò lo sguardo su di lui, richiamato dal suo tono, Uther lo guardò nella maniera più ferma e pazientemente seria possibile. «Non mi… starai dicendo… che hai accidentalmente ucciso l’unica persona che sa che ci troviamo incatenati qui sotto, senza cibo né acqua, nonché l’unica persona tra noi tre che poteva arrivare a quelle chiavi …?»

Solo allora sembrò, agli occhi di Uther, che l’altro fosse veramente ora in grado di realizzare quello specifico particolare, perché vide finalmente un’espressione tornare nei suoi occhi; certamente, si sarebbe sentito molto meglio se quell’espressione non fosse stata, tra tutte quelle possibili, proprio una di orrorificata constatazione del fatto che si trovavano incatenati in una cantina e nessun’altro lo sapeva e poteva venirli a liberare.

 

 

 

Soundtrack: The future’s so bright (Timbuk 3)

(e adoro particolarmente il ritornello di questa canzone, che con tono chiaramente ironico dice ‘Il futuro è così luminoso che dovrò indossare degli occhiali da sole’)

 

Note dello scribacchiatore:

ecco, i capitoli come questo sono quelli che preferisco scribacchiare e che più mi piacciono alla rilettura. Spero che quello che ne è venuto fuori fino a qui piaccia anche a voi che leggete!

In caso ve lo steste chiedendo… no, non traggo alcun piacere dal torturare i miei stessi personaggi… :p  ma se al momento siete dispiaciuti per questi due, forse potreste cambiare idea se consideraste il particolare collaterale di questa situazione in cui si trovano ora… Di quale particolare collaterale sto parlando? Beh, lo scoprirete presto, naturalmente ;)

Al prossimo capitolo, chi vivrà vedrà! (e qui è proprio il caso di dirlo… :p )

 

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Capitolo 33
*** 32 - Così stanno le cose ***


Capitolo 32

(COSI’ STANNO LE COSE)

 

Mitch e gli altri giovani mezzi lupi con i quali Nickj aveva fatto gruppo nell’accampamento di mezzi lupi erano ancora molto scossi, sebbene cercassero di non darlo troppo a vedere. Così, anche se si tenevano in disparte rispetto agli altri numerosi mezzi lupi che si trovavano all’attendamento, a guardarli superficialmente non si sarebbe detto che qualcosa fosse cambiato da quando, fino a quasi ventiquattr’ore prima, se ne stavano per conto loro in un angolo piuttosto che in un altro dell’accampamento.

Tuttavia, raramente un mezzo lupo può essere veramente superficiale dal punto di vista dell’osservazione dell’ambiente e degli individui che lo circondano, specialmente se si tratta di altri mezzi lupi; anche volendolo, non è mai in grado di ignorare completamente tutte le informazioni che la parte più istintiva del suo essere gli porta continuamente all’attenzione. E per quanto riguardava il gruppetto di Mitch, esso spandeva tutt’attorno da ore un sentore di nervosismo sottile e disperatamente tenuto represso che non poteva non risultare per tutti gli altri mezzi lupi lì radunati evidente come un segnale intermittente di intensa luce colorata in una notte nebbiosa. Per questo tutti gli altri dell’attendamento ne subivano per riflesso un innervosimento generale, insistente e pressante; solo la paura e il tentativo di razionalizzare allo stremo il contesto della situazione impediva loro di abbandonarsi a quello che urlava loro l’istinto in risposta a quella sensazione così acuta: allontanarsi dalla fonte di quella tensione palpabile nell’aria, oppure attaccarla nel tentativo di eliminarne l’effetto nocivo.

Se Mara avesse lasciato l’accampamento, sospettò Badlands mentre lo attraversava a passi pesanti, non potendo fare a meno di percepire chiaramente quella ragnatela di fili di nervosismo sospeso che tagliavano l’aria da parte a parte, e che parevano l’equivalente di chili di una polveriera pronta a saltare in aria in un battito di ciglia al minimo pallido fantasma di qualcosa che potesse assomigliare ad una scintilla, probabilmente si sarebbe scatenato l’inferno. Non osava immaginare che cosa avrebbero potuto fare tutti quei mezzi lupi che si costringevano a non darsela a gambe in cerca di un po’ di respiro da tutta quella tensione compressa in un luogo chiaramente troppo stretto. Forse si sarebbero scannati tra di loro, o forse sarebbero fuggiti il più lontano possibile; probabilmente avrebbero fatto entrambe le cose, qualcuno o l’una o l’altra, qualcuno prima l’una e poi l’altra.

Così persino Badlands, che era abituato a sentirsi tranquillo come in una botte di ferro quando si muoveva in un qualsiasi contesto, in parte grazie alla sua grossa mole naturale e in parte grazie alla sicurezza in se stesso, ora si sentiva anch’egli innervosito, al punto da tenere l’espressione fermamente aggrottata, e che il mal di testa stava diventando una costante nelle ultime ore. Forse era anche a causa del fatto che mentre camminava per l’accampamento sentiva chiaramente che tutta l’attenzione dei mezzi lupi si concentrava immediatamente su di lui come mai era successo nei giorni precedenti, al punto che molti smettevano di parlare, o si interrompevano nel bel mezzo di qualsiasi altra cosa stessero facendo, solo per guardarlo con nervosa massima attenzione, nemmeno sospettassero che lui potesse aggredirli da un momento all’altro e senza alcun motivo.

Prima non era affatto così tra quelle tende, Badlands lo poteva ben dire. Sì, era pur vero che fin dall’inizio nell’accampamento non era mai regnata una vera e propria calma assoluta, qualcosa come una sorta di sentore di fratellanza e pace collettiva. Ma lui sapeva che questo era perfettamente normale; diavolo, non erano certo una specie di comune hippy! E lui alle filosofie “pace e amore” non aveva mai creduto, anzi, gli avevano sempre dato un senso misto tra la rabbia e la nausea. Invece, dal momento che per i mezzi lupi non era certo naturale riunirsi in una massa di individui costretti a restare per giorni nello stesso luogo in convivenza almeno di base neutra, quel sottofondo di angustia era più che normale; e comunque non era che qualcosa di temporaneo: un effetto collaterale che si poteva ben sopportare per un poco, quando si stava aspettando di mettere in atto qualcosa di ben più grande del semplice “vivere come meglio piace”.

Ma ora le cose erano totalmente diverse. E Badlands, nel ragionare con impegno per ricostruire l’avvicendarsi degli accadimenti degli ultimi giorni, realizzò che Mara aveva perfettamente ragione: la causa di tutto quello era quel mezzo lupo abbassatosi a scodinzolare come un cane qualsiasi appresso alle caviglie di un ridicolo pugno di esseri umani dediti ad uccidere proprio i mezzi lupi, tra le altre creature che cacciavano. Era indubbiamente solo e tutta colpa di Danny. Per questo Badlands era tanto più dispiaciuto e tormentato dal fatto che le conseguenze dovessero ora ricadere su Mitch, quel giovane mezzo lupo in gamba, anche se ancora un po’ troppo scapestrato e indisciplinato sì, ma era tutto normale quando si era ancora così giovani e nel pieno delle forze.

Da quando era uscito dalla tenda di Mara e aveva iniziato ad attraversare l’accampamento alla sua ricerca, la tensione sembrava aver segnato un nuovo punto di apice, acutizzandosi e concentrandosi ad imbuto totalmente su di lui. Non era difficile indovinarne il motivo: tutti sapevano che Badlands era il braccio destro di Mara, e tutti sapevano che in quel momento lei doveva essere assai alterata per quanto era accaduto con Nickj. Dunque, dopotutto forse non esageravano nell’essere così timorosi – rifletté Badlands – perché anche per gli altri mezzi lupi, che a differenza sua avevano meno confidenza con lei, era ormai già evidente a tutti come Mara reagiva quando era alterata. Il fatto che lui fosse uscito dalla sua tenda dopo aver conversato con lei e stesse camminando dunque con tanta ferma intenzione, senza perdere tempo nemmeno nel lanciarsi troppe occhiate intorno, doveva essere per tutti coloro lì riuniti segno evidente che Mara gli aveva assegnato un compito preciso, che non poteva essere qualcosa di particolarmente innocuo considerando in che stato d’animo lei doveva trovarsi per quanto ne potevano arguire loro.

Badlands non poteva certo dare loro torto, e il fatto che tentasse di passare quasi inosservato, chiuso nel suo fare professionale eppure evidentemente combattuto e impensierito, non poteva che metterli ancora più in allarme. Se solo avesse potuto farsi venire in mente un modo per tranquillizzare tutti quei mezzi lupi che lo guardavano come se ogni suo passo potesse essere un passo in meno verso la pena di morte di qualcuno di loro, Badlands lo avrebbe senz’altro messo in atto. Ma la verità era che lui sapeva benissimo che l’impressione che loro avevano non si discostava affatto dalla realtà; realtà che si stava svolgendo e con la quale lui stesso era ancora molto impegnato nel tentare di venirci a patti pur stando collaborando attivamente nel realizzarla. Dopotutto, sembrava futile cercare di tranquillizzare in qualsiasi modo qualcuno, quando si stava trattenendo nei paraggi di una tenda che ospitava una Mara decisamente furiosa. Lui stesso non avrebbe scommesso nulla sul fatto che da un momento all’altro lei non potesse decidere che il modo migliore per sfogarsi era uscire e iniziare come niente fosse ad aprire il collo dei mezzi lupi che avesse trovato più vicini. A dare l’idea di quanto l’istinto di un mezzo lupo potesse essere efficiente, dunque, sarebbe bastato il fatto che tutti i mezzi lupi dell’accampamento si stessero tenendo il più lontano possibile dalla tenda dove si trovava Mara, nemmeno la zona fosse stata minata.

Badlands non incontrò alcuna fatica ad attraversare l’attendamento; tutti i mezzi lupi, oltre a semi-paralizzarsi al suo passaggio e a incollargli lo sguardo addosso tendendo i muscoli come se si tenessero pronti a fronteggiare un’aggressione o a mettere in atto una pronta fuga, si discostavano quando lui era ancora lontano dal punto dove si trovavano, sgomberandogli il cammino con efficienza così perfetta che si sarebbe quasi detto che fosse una regola dell’accampamento e che tutti avessero seguito un lungo periodo di allenamento per imparare a metterla in atto così automaticamente.

Nessuno degli altri mezzi lupi parve stupirsi nel realizzare infine che Badlands si stava dirigendo verso il punto dove si trovavano raggruppati Mitch e i suoi amici. Ma, e questo per Badlands fu la cosa peggiore per qualche motivo che lui stesso non riuscì a comprendere, nemmeno Mitch e gli altri giovani mezzi lupi parvero stupiti da questo; anzi, si limitarono a guardarlo avvicinarsi senza muovere un muscolo, senza nemmeno tentare in alcun modo di assumere un contegno più raccolto e difensivo, e nello sguardo che alzarono su di lui egli non lesse altro che un impallidito ma completamente rassegnato presagio assai micidiale quanto definitivamente inevitabile.

Badlands realizzò di colpo, mentre si fermava davanti a loro, che aveva già visto qualcosa di simile a quello sguardo in un condannato a morte, molto tempo prima, quando era ancora un essere umano. Quell’associazione improvvisa lo destabilizzò, cogliendolo di sorpresa, perché pensava che non fosse rimasta ormai più nessuna traccia di tutte le cose che riguardavano la sua vita prima di diventare un mezzo lupo. Ma non ebbe il tempo di realizzare che a colpirlo ancora maggiormente avrebbe potuto essere il fatto che poteva tranquillamente associare qualcosa che regnava nelle società degli esseri umani con ciò che succedeva ora lì tra mezzi lupi, perché il tempo stava scorrendo, lui aveva un compito preciso, e Mara non avrebbe aspettato a lungo senza magari considerare l’opzione di passare direttamente allo sfogarsi sul primo mezzo lupo che le fosse capitato a tiro appena messo piede fuori dalla tenda.

Badlands trattenne all’ultimo un pesante sospiro, e concentrandosi sul mantenere un’aria sufficientemente decisa e competentemente efficiente, incominciò con una sola parola, con la sua voce profonda e tuonante per natura, sebbene al momento priva della solita sicurezza in se stesso.

«Mitch.» disse semplicemente.

Il nominato rimase a fissarlo con sguardo vacuo, assai simile a quello di un fantasma, come se stesse guardando attraverso Badlands, attraverso tutto quanto, molto oltre, probabilmente oltre i confini del territorio dei viventi. Ma gli altri giovani mezzi lupi che fino a quel momento erano rimasti fermi intorno a lui, guardando Badlands con sguardi assai sottomessi e impauriti, si mossero come un sol uomo. Con movimenti acciaccati, poiché gli effetti della batosta punitiva che Badlands aveva loro somministrato solo poche ore prima non erano certo ancora svaniti, si scostarono piano, con la tipica attenzione istintiva a non fare movimenti bruschi in un momento di tensione come quello, e strisciarono sempre più lontano da Mitch, facendogli il vuoto attorno.

Nel vedere quella scena, a Badlands sfuggì una smorfia di disgusto, e volentieri si sarebbe immediatamente impegnato nell’insegnare a quei giovani mezzi lupi qual’era la differenza tra la lealtà e la codardia. Ma non poteva permettersi di perdere tempo con loro al momento.

«Mitch.» ripeté solamente perciò «Alzati e vieni con me. Ora.»

Il nominato si tirò in piedi senza fretta, i movimenti messi in successione con un’automaticità che aveva qualcosa più tipico di un fantoccio che di qualcosa di animato, e Badlands non poté trattenere una smorfia di fastidio. Sebbene avrebbe preferito non dover fare ciò che stava facendo, non poteva esimersi dal ritenere che quel giovane Mitch avrebbe potuto almeno dimostrare un po’ più di dignità, tanto più che probabilmente stava immaginando molto bene che quelle potevano essere le ultime mosse della sua vita. Nessun mezzo lupo che si rispettasse, per come Badlands la vedeva, si sarebbe assoggettato così al suo destino, salvo fosse qualcosa che aveva scelto; ogni mezzo lupo degno di tal nome si sarebbe ribellato, e avrebbe combattuto fino allo stremo quando si trattava di certe cose, tra le quali soprattutto la sua stessa sopravvivenza. Eppure, sembrava che quel Mitch avesse perso ogni oncia del suo istinto, e persino quell’energia vitale e un po’ boriosa, tipicamente giovanile, che gli sprizzava da ogni poro solo fino a poche ore prima.

Badlands si riscosse, poiché la situazione richiedeva decisamente che lui non si distraesse: Mitch era in piedi immobile davanti a lui, le braccia penzolanti lungo i fianchi, la testa un poco abbassata e il contegno generale di un morto che cammina. Gli altri mezzi lupi, compresi gli amici di Mitch, restavano in disparte, altrettanto fermi come congelati sul posto, in ansiosa attesa sospesa di vedere che cosa sarebbe seguito. Badlands si concesse di sospirare pesantemente a quel punto, lanciando un ultimo accurato sguardo a Mitch: in qualche modo, era il suo modo di prendere congedo, perché dubitava che avrebbe avuto altra occasione di guardarlo ancora da vivo. Dopodiché, si girò su se stesso e iniziò a camminare, con l’assoluta certezza di non aver nemmeno bisogno di lanciarsi uno sguardo alle spalle per accertarsi che Mitch lo stava a tutti gli effetti seguendo senza requie, come un pacifico agnello condotto al macello senza nemmeno bisogno di essere tenuto con una corda legata al collo.

Il percorso di ritorno non risultò a Badlands meno spiacevole, semmai ancora più fastidioso. La tensione aveva cambiato natura: ora tutti i mezzi lupi avevano la certezza che non sarebbe toccato a loro ma solo a Mitch subire direttamente sulla sua pelle le ire di Mara, perciò c’era un che di leggermente sollevato, ma era un sollievo che non celava in alcun modo il suo carattere di momentaneo. Chi avrebbe detto che Mara si sarebbe limitata a Mitch e che nessun’altro lo avrebbe seguito? Badlands non si sarebbe sentito di sbilanciarsi in proposito, e non aveva certo voglia di far presente che tutto quel che sapeva con certezza era che il prossimo da punire sulla lista di Mara era proprio lui, e che la domanda più corretta da porsi sarebbe stata quindi non chi avrebbe seguito Mitch, ma chi avrebbe seguito lui. Dopotutto, dubitava che per i mezzi lupi lì presenti avrebbe fatto tutta questa differenza dopo di chi sarebbero venuti nell’ordine di Mara.

Badlands ebbe un solo breve momento di dubbio, proprio quando stava per entrare nella tenda di Mara: e il dubbio riguardava il fatto se a quel punto Mitch sarebbe riuscito a seguirlo persino lì dentro, ovvero a mettere in fila proprio gli ultimi suoi passi in assoluto. L’ora della verità in proposito passò molto rapidamente, nonostante la sua capitale importanza, quando Badlands si voltò, ormai all’interno della tenda e dopo aver lanciato una veloce occhiata a Mara, e vide Mitch entrare a sua volta e lasciar ricadere dietro di sé il drappo di spesso tessuto che fungeva da porta.

Mara era in piedi al centro della tenda, ritta in tutta la sua altezza, le braccia incrociate davanti al petto, e lo sguardo placidamente sicuro di sé che aveva sempre, ma un sorrisetto in qualche modo serio e decisamente preannunciante niente di buono le incurvava un angolo delle labbra dandole un che di estremamente soddisfatto.

«Molto bene, Badlands. Ora, lasciaci soli. Aspetta fuori dalla tenda, perché ti richiamerò tra poco.» disse, il tono piatto e conciso, perfettamente pragmatico.

Badlands esitò solo un istante prima di muoversi, ma lei lo notò immediatamente e con precisione, e il suo sguardo lasciò Mitch per puntarsi dritto su di lui, dandogli la netta impressione che stesse sondando esattamente una sola cosa: se lui le avrebbe dato motivo di attaccare lui per primo. Badlands non ristette oltre, e dopo un sommario cenno di assenso con la testa, si voltò su se stesso e uscì, appena un po’ più frettolosamente di quanto non avrebbe fatto in normali circostanze. Lo seguì alle spalle la sensazione che lei avesse notato anche quello, la minima ma significativa variazione dei suoi ritmi di movimento, e che questo le avesse detto molto più di quanto non avesse bisogno di chiedere ad alta voce. Oh, sì, Badlands sapeva bene che Mara era in grado di leggere molte persone e cose e situazioni come se per lei fossero un libro aperto, esattamente quanto sapeva che lui non sarebbe mai stato in grado di sfuggire a quella lettura, di nasconderle alcuna cosa che lo riguardasse. Era sempre stato così, da che la conosceva.

Una volta fuori dalla tenda, Badlands fu stupito da due sottili ma immediate sensazioni: quella di sollievo per non dover rimanere ad assistere a che cosa ne avrebbe fatto Mara di Mitch, e il desiderio di allontanarsi molto di più da quella tenda. Entrambe lo fecero sentire deluso da se stesso, e provvide immediatamente a ricacciare giù in fondo quelle sensazioni inopportune, esattamente come se dovesse inghiottire un boccone amaro, prima di mettersi ben dritto lì fuori dalla tenda. Non che ci fosse bisogno di fare la guardia alla tenda di Mara; era quanto mai evidente che nessuno dei mezzi lupi dell’attendamento avrebbe mai osato per nessun motivo alcuno entrare in quella tenda, e che potendo molti l’avrebbero evitato anche se fosse stato loro ordinato esplicitamente. Tuttavia, la sua posa sembrava in tutto e per tutto quella di una guardia del corpo diligentemente fissa sul posto di lavoro e nel pieno dell’esplicazione della sua funzione.

Badlands non dovette aspettare a lungo, e non restò stupito né dalla rapidità con cui Mara provvide a dare a Mitch quella che riteneva fosse un’opportuna lezione per ciò che era successo, né tantomeno dal fatto che dalla tenda non giunse praticamente alcun suono: niente più che qualche sommesso gemito di dolore sfuggito al disperato tentativo di Mitch di trattenersi dall’urlare dal dolore. Per quanto riguardava Mara, Badlands sapeva benissimo quanto lei potesse essere altrettanto silenziosa quanto efficientemente e rapidamente letale quando voleva.

Non erano passati che pochissimi minuti da che si trovava lì fuori, quando Badlands si sentì apostrofare dalla voce perfettamente calibrata e autoritaria di Mara, che disse una sola cosa, abbastanza a voce alta affinché giusto lui la potesse udire: chiamò il suo nome.

Badlands raccolse tutta la sua forza di auto-disciplina per assecondare il chiaro ordine di rientrare nella tenda. Scostò i lembi dell’ingresso ed entrò. Le sue narici furono immediatamente dell’odore metallico e vivo del sangue, ma lui si guardò bene dal fissare qualsiasi altra cosa che non fosse Mara: sedeva sull’unica sedia presente all’interno della tenda, una banale ma solida sedia da giardino di plastica che – così come quasi tutto quello che si trovava nell’attendamento – era stata rimediata di fortuna, con piccoli furti o cercando tra gli oggetti scartati dagli esseri umani e abbandonati nella spazzatura. Le gambe accavallate, la schiena ben dritta benché in posa rilassata appoggiata allo schienale e le braccia poggiate sui braccioli, Mara stupì Badlands una volta di più con la naturalezza con cui riusciva a tenere una posizione in qualche maniera rilassatamente regale, come se nulla potesse turbarla, inquietarla o metterla in dubbio, mai.

Sotto lo sguardo freddamente contemplativo di Mara, che per una volta sembrava onestamente piena di grave serietà, Badlands esitò, chiedendosi automaticamente se forse avesse già dovuto sapere – secondo lei – che cosa avrebbe dovuto dire o fare a quel punto. Ma a toglierlo dallo stallo fu lei stessa, che gli si rivolse con piatta imperiosità.

«Puoi riportarlo dai suoi amici, ora.» fu tutto ciò che gli disse.

A quel punto, per quanto avrebbe  volentieri fatto qualsiasi cosa per evitarlo, Badlands dovette decidersi ad abbassare gli occhi sul terreno della tenda, dove sapeva che avrebbe trovato Mitch, o quel che ne restava di lui; e lo sapeva così bene non solo perché con la coda dell’occhio non aveva notato nessun’altra sagoma né in piedi né seduta, ma anche e soprattutto perché era certo che qualsiasi cosa Mara gli avesse fatto non c’era alcuna possibilità che Mitch potesse essere in quel momento in nessun’altro luogo o posizione che quella: riverso sul pavimento.

Lo trovò subito con lo sguardo, il corpo riverso sul terreno, completamente abbandonato e immobile, martoriato da diverse ferite ampie e abbondantemente sanguinanti, gli occhi chiusi e completamente esanime. Badlands fu certo che doveva essere morto. Prese allora brevemente fiato, come raccogliendo di nuovo e più cospicuamente le forze, e quindi si avvicinò al corpo e si chinò per raccoglierlo. Ma non appena lo ebbe afferrato per le braccia per trascinarlo, sussultò e si bloccò per la sorpresa nel realizzare qualcosa: Mitch sembrava ancora vivo. Badlands rimase fermo, incerto e incredulo per qualche istante, corrucciando le sopracciglia, cercando di non farsi prendere da nessuna di quelle emozioni troppo complesse che cercavano di averla vinta su di lui, e che avevano qualcosa a che fare con un sollievo mischiato ad un pressante senso di smarrimento dovuto allo stupore. Perché se Mara aveva appena fallito nell’uccidere qualcuno pur avendone ogni intenzione e ogni possibilità, allora certamente il mondo doveva essersi scaravoltato completamente.

Badlands si ritrovò incastrato in una spinosa situazione: sebbene sapesse benissimo che la cosa più sensata da fare a quel punto era accertarsi che Mitch fosse ancora vivo cercando i classici segni vitali come il respiro e il battito cardiaco, sapeva altrettanto bene che gli occhi di Mara in quel momento erano perfettamente fissi su di lui. C’erano anche alcune considerazioni secondarie, che riguardavano quello che avrebbe potuto dire a Mara a quel punto, e che erano se possibile ancora più spinose. Doveva forse farle notare che Mitch era ancora vivo? Non osava immaginare come avrebbe potuto reagire lei a quel punto: sgozzare anche lui semplicemente per evitare che potesse raccontare che aveva mancato di uccidere qualcuno sbagliandosi così grandiosamente? Oppure lei lo sapeva benissimo. Ma se non lo sapeva, e se non avesse deciso di sgozzare anche lui, il farglielo notare avrebbe significato che avrebbe subito rimediato all’errore e il povero Mitch, attualmente semi-vivo per miracolo, sarebbe a quel punto sicuramente morto? D’altro canto, se Mara non lo sapeva e Badlands lo avesse trascinato fuori dalla tenda ancora vivo senza dirle niente, c’era scarso bisogno di essere dotati di chissà quale fantasia per immaginare come lei si sarebbe vendicata su di lui per averglielo taciuto.

«Badlands?» disse Mara, con voce annoiata e leggermente irritata.

Il nominato sussultò di nuovo un poco, e infine voltò lo sguardo su di lei, dedicandole tutta la sua più vivida attenzione.

Mara alzò appena un sopracciglio. «Qualcosa ti turba, forse?» domandò, con chiara ironia.

Badlands deglutì e poi richiamò altra saliva per inumidirsi un poco la gola improvvisamente secca. «No, niente.»

Mara inclinò un angolo delle labbra in un sorriso sottile e taglientemente storto, crudelmente divertito. «Suvvia, Badlands. Non dire sciocchezze. Se anche non fosse evidente che sei turbato, e se anche io non sapessi che basta ben poco per confonderti le idee, potremmo tranquillamente sul fatto che so anche cosa ti sta turbando. Sì, è ancora vivo. Non vale la pena ucciderlo. È così inutile che nemmeno da morto potrebbe esserlo maggiormente. Inoltre, come puoi ben immaginare, io non uccido altri mezzi lupi se non me ne danno un ottimo motivo. Mitch ha fatto del suo meglio per arrivare a tal punto. Ma nella situazione in cui siamo, non credo che sarebbe molto utile metterci a scannarci tra di noi, non ti pare? Abbiamo tante cose da fare, e sono sicura che quando anche gli altri noteranno che Mitch nonostante tutto ha persino ottenuto una seconda possibilità per farmi irritare, sempre se sopravviverà alle prossime ore dopo questo nostro chiarimento, vorranno ricordarsi che qui le cose vengono fatte seriamente e che voi tutti mi aiuterete ad andare a chiarire con qualcun altro qualcosa di molto importante. Ma visto che nel prossimo chiarimento di cui sto parlando non sarò così disposta a perdonare o lasciar correre, ci terrei affinché gli altri dei nostri notassero la differenza.»

Ora, per quanto Badlands avesse ascoltato ogni singola parola come se provenisse dal suo dio improvvisamente materializzatosi davanti a lui con tutte le verità di questo mondo da spiegargli in voce chiaramente e perfettamente udibile, non aveva capito assolutamente nulla di quello che Mara volesse dire, anche se aveva un sospetto o due in proposito. Sospetti che non potevano creare qualcosa di simile ad una spiegazione, in nessun modo si cercasse di farli incollare tra di loro.

«Capisco.» disse ad ogni modo Badlands, perché perlomeno aveva capito almeno ciò che gli serviva sapere in quel momento: Mitch era ancora vivo e Mara lo sapeva benissimo perché era stata sua intenzione evitare di ucciderlo, anche se ci era andata appositamente molto vicina.

Mara emise una breve ma sonora risata a piena voce, priva di gioia e colma di scherno. «Ne dubito.» commentò caustica «Comunque, tutto ti sarà più chiaro. Ti spiegherò meglio. Stanotte abbiamo una visita a cui tengo particolarmente da fare. Per ora, tutto quello che devi fare è riportare Mitch dai suoi amici e tornare qui da me. Questo lo puoi fare, no?»

«Certo. Subito.» rispose prontamente e ubbidientemente Badlands, lasciando andare le braccia di Mitch e chinandosi per caricarselo sulle spalle. Aveva pensato di dover trascinare un cadavere, ma dal momento che il giovane mezzo lupo era dopotutto ancora vivo, andava da sé che doveva trasportarlo con un po’ più di riguardo, specialmente considerato quanto fosse conciato male.

«Badlands.» lo richiamò con placida calma Mara.

E quando lui tornò a guardarla, lei era tornata seria, anche se un freddo luccichio di soddisfazione dava una sfumatura tagliente al suo sguardo.

«Non c’è bisogno di portarlo in braccio. Portalo bene, in modo che tutti possano vederlo mentre attraversi il campo.» disse.

Badlands esitò, forse per la prima volta così tanto dopo aver ricevuto un ordine da lei. Stavolta aveva capito benissimo cosa aveva detto, e anzi ne comprendeva più che bene persino le implicazioni. Mitch avrebbe dovuto essere trascinato esanime per terra lungo tutto l’attendamento ed essere lasciato ai piedi dei suoi amici, senza alcun particolare rispetto né cura per lo stato in cui si trovava, proprio come se si trattasse di un corpo trascurabile, di qualcuno di trascurabile.

Ma alla fine della forse in assoluto sua più lunga esitazione a seguire un ordine di Mara, Badlands si risolse a tornare a prendere Mitch per le braccia. Lo trascinò fuori dalla tenda, mentre Mara si limitava a guardarlo con occhi annoiati e in buona parte assenti, come se fosse presa da pensieri completamente altri in quel momento.

Badlands sospettava che lei stesse riflettendo sulla sua prossima vittima, e dal momento che aveva parlato di ‘una visita a cui teneva particolarmente’, credeva che stavolta poteva indovinare abbastanza facilmente chi sarebbe stata.

 

Soundtrack: Run boy run (Woodkid)

 

Note dello scribacchiatore: questo è uno di quei capitoli che auto-definirei ‘densi’. Sia per il contenuto che per come mi è venuto scritto. A volte la leggerezza nella scribacchiatura non è il mio forte. (qui è dove la parte di me che ci tende a chiarire al resto di me che sto eufemizzando fin troppo tossicchia a proposito della scelta delle parole ‘a volte’). Comunque sia, ho tentato di alleggerirlo, ma ad un certo punto mi è mancato il tempo di tentare di farlo fino in fondo al capitolo, e visto che il tempo passa e passa… insomma, al momento non trovo modo di cercare di sistemarlo meglio, quindi sorry, mi tocca somministrarvelo così.

Come se non bastasse, ho la sensazione che preferireste sapere che cosa ne sarà degli altri due, quelli rinchiusi nella cantina, piuttosto che di queste faccende da “campeggio coi mezzi lupi impazziti”, maaaaa… chiedo perdono: questo capitolo doveva assolutamente esserci, fa parte dell’ordine dell’universo per quanto riguarda questa storia.

Per cercare di farmi un po’ perdonare… no, okay, più che altro perché non mi piace sentirmi come se stessi infierendo (naturalmente tranne quando VOGLIO infierire), farò del mio meglio per pubblicare il prossimo capitolo il prima possibile! Ho la sensazione che il prossimo capitolo sarà più apprezzabile. Per diversi motivi. ;)

Quindi… abbiate pazienza (oppure no) e al prossimo capitolo!

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Capitolo 34
*** 33 - Conversazioni pre-mortem ***


Capitolo 33

(Conversazioni pre-mortem)

 

Uther se ne stava ad occhi chiusi, la nuca e la schiena appoggiate all’indietro contro la fredda pietra della parete della cantina, le gambe piegate davanti a sé nella sua posizione seduta per terra, le braccia appoggiate sulle ginocchia, come in una pausa di raccoglimento. Raccoglimento per che cosa, al momento era difficile da dirsi: c’era l’imbarazzo della scelta. Poteva essere per cercare di riprendersi un po’ di più dal fatto di essere stato narcotizzato, e a giudicare da quanto si sentiva intontito e intorbidito probabilmente non era ancora riuscito a smaltire del tutto qualsiasi cosa avesse usato quel maledetto necromante da strapazzo per mandarlo forzatamente a dormire; oppure poteva essere per cercare di riuscire a credere a tutto quello che gli era successo nelle ultime ore ed evitare di commentarlo con qualcosa come una serie di improperi scelti accuratamente dalla categoria dei più blasfemi che conosceva; oppure semplicemente per raccogliere le forze e la concentrazione per alzarsi in piedi e prendere a calci il muro fino a fratturarsi qualche dito del piede.

Una cosa, comunque, gli era perfettamente chiara: se non si fosse trovato impossibilitato dal fatto di essere incatenato al muro, in quel momento sarebbe stato estremamente, sanamente e appassionatamente impegnato a prendere a calci con ogni sua forza il cadavere di Mordecai.

Danny non sembrava essere della stessa sua idea. Nonostante lui sì che avrebbe potuto dedicarsi a prendere a calci il fu Mordecai, visto che era alla sua portata raggiungerlo fisicamente, al momento si stava invece impegnando con tutte le sue forze e da un bel pezzo a cercare di sradicare le sue catene dal muro, per liberarsi. A testimoniare quei suoi continui e imperterriti sforzi c’era in sottofondo il rumore sonoro dei pesanti anelli metallici che cozzavano tra loro mentre Danny provava e riprovava diverse prese su di essi per cercare di staccarli dalle pareti di pietra. Perciò Uther non aveva nemmeno bisogno di aprire gli occhi per sapere che Danny ce la stava mettendo tutta senza posa, così come testimoniavano anche alcune imprecazioni a mezza voce, alternate a volte a borbottii in cui gli sembrava di capire che Danny avesse iniziato a “parlare” con le catene stesse – talvolta in modo amichevole, talvolta quasi pregandole, ma soprattutto minacciandole orribilmente e promettendo loro che prima o poi avrebbero pur dovuto cedere.

Uther inspirò profondamente e buttò fuori lentamente l’aria fredda; poi aprì una fessura tra le palpebre di un occhio e spiò sommariamente dall’altra parte della cantina. A vederla, la scena non era particolarmente più interessante che a sentirne i soli rumori. Danny tirava le catene con sforzi degni di un mulo particolarmente cocciuto, provando un’incredibile varietà di posizioni da cui far forza, diverse prese a diversa lunghezza delle catene, e persino diverse combinazioni di tirata e rilascio per cercar di indebolire la profondità del fissaggio nella pietra con dosate applicazioni di forza elastica. Si sarebbe detto che fosse convinto di poter trovare il modo di imprimere molta più elasticità di quanto chiunque potrebbe immaginare possa averne la combinazione di pietra e metallo.

Uther richiuse gli occhi per un momento, giusto il tempo di tirare un lungo sospiro, poi li riaprì e si mise seduto un po’ più dritto, incrociando le gambe e riappoggiandosi con le braccia sopra di esse, così piegato spiando l’altro dal sotto in su.

«Danny…?» chiamò pazientemente, con un certo tatto.

Per tutta risposta gli giunse solo un grugnito distratto e di cattivo umore.

«Hummm…» mugugnò riflessivamente Uther tra sé e sé, fissandolo per qualche altro istante, prima di schiarirsi la voce sommariamente. «Danny!» lo chiamò con più decisione.

L’interpellato si fermò e si voltò a fissarlo con espressione corrucciata, dando evidente segno che lo stava disturbando, ed Uther esitò brevemente sotto quell’occhiata, prima di incominciare il suo conciso discorso. «Non vorrei essere pessimista…» iniziò, con un accenno di chiara ironia, roteando gli occhi per indicare la situazione complessiva nella quale si ritrovavano «…ma quelle catene hanno tutta l’aria di essere piuttosto ben fissate.» concluse.

Danny rimase a fissarlo, come se non fosse sicuro di aver colto il punto, e sbatté le palpebre un paio di volte, perplesso.

Uther sospirò appena, afferrò nel pugno una delle sue catene e diede uno strattone senza nemmeno usare tutta la sua forza, per semplice gesto basilarmente dimostrativo.

Danny lo guardò per qualche altro momento, dopodiché riprese imperterrito i suoi sforzi, limitandosi a ribattere tra i denti, di nuovo concentrato nel suo lavoro paziente «Idee migliori?»

Uther tornò a volgere lo sguardo per tutta la cantina, e gli occhi gli si soffermarono come per caso sul cadavere di Mordecai. «Potremmo… mangiare Mordecai?»

Danny si immobilizzò nettamente, e stavolta quando si voltò a guardarlo, e il suo sguardo si era parecchio incupito. «Stai scherzando.»

Uther assunse un’aria riflessiva a bella posta. «Ora come ora sì. Ma quando lo dirò di nuovo tra diciamo… una settantina d’ore, beh, a quel punto probabilmente non starò esattamente scherzando.»

Danny gli voltò le spalle e tornò a fissare le catene infisse al muro con cipiglio particolarmente rabbuiato.

«D’altro canto…» continuò Uther, incrociandosi le mani dietro la nuca «Per allora staremo sicuramente morendo più di sete che di fame.»

Danny lasciò andare le proprie catene, si voltò e si lasciò cadere seduto per terra, appoggiando la schiena contro la parete e rilasciando un lungo sospiro. «Sai che cosa direbbe Kumals, se fosse qui?» domandò.

Uther si accigliò. «Vuoi dire, a parte qualcosa come ‘Oh, scusatemi ragazzi, non pensavo proprio che il conoscente fidato da cui vi avrei mandato vi avrebbe incatenato in una cantina così che poteste comodamente morire di sete e di fame molto lentamente’?»

Danny alzò lo sguardo per un breve momento su di lui, la bocca piegata in un accenno di sorrisetto amaro e lo sguardo taglientemente divertito. «Sì, a parte quello. Avrebbe probabilmente notato che invece di sprecare energia ora che sono ancora sotto gli effetti postumi del narcotico, farei meglio a riposarmi finché non avrò ripreso tutte le mie forze, e solo allora tentare seriamente di scardinare queste fottute catene dal fottuto muro.»

Uther accennò a sua volta un sogghigno. «Sì, suona molto come un tecnicismo di Kumals, questo. In effetti… è un po’ che te lo volevo dire…»

«Che cosa?» domandò Danny, tornando a guardarlo incuriosito.

«Beh, non prenderla a male, ma da un po’ di tempo a questa parte certe volte sembri davvero… un po’ come Kumals

Danny alzò un sopracciglio. Poi sorrise appena. «E mi spieghi come potrei non prendere male una simile affermazione?»

Uther sogghignò un po’ di più. Poi tornò leggermente più serio. «Ad ogni modo, fammi un favore. Semmai riuscirai ad uscire vivo di qui, potresti per favore portargli le mie rimostranze per avermi fatto morire in un modo del genere?»

Danny si stupì. «Perché mai dovrei uscire senza di te? È ovvio che non appena avrò scardinato queste catene potrò raggiungere le chiavi anche delle tue sul tavolo e liberare anche te.»

Uther gli dedicò uno sguardo particolarmente significativo, e a suo modo sarcasticamente divertito. «Dubito che quelle catene si staccheranno mai dal muro. E, a livello di probabilità di sopravvivenza, le mie sono molto più scarse delle tue. Non mi sono mai informato nello specifico, ma sospetto che le capacità di un mezzo lupo di resistere alla sete e alla fame siano più elevate di quelle di un essere umano.»

Danny non rispose, si limitò a guardarlo a lungo, con una serietà così temibile che Uther si sentì quasi a disagio. Dopodiché lo vide tornare ad alzarsi, riprendere in mano le catene ma, dopo qualche istante di riflessione, optare per cercare di studiare più da vicino con sguardo acuto il punto in cui affondavano nel muro.

Uther sospirò, e dopo essersi guardato attorno in cerca di qualcosa con cui passarsi il tempo, notò la siringa che era caduta a Mordecai quando era crollato sul pavimento, quella con cui intendeva narcotizzare ulteriormente Danny probabilmente. Allungandosi per quanto possibile, Uther riuscì a raggiungerla con un piede e a trascinarla verso di sé. Prendendola in mano, osservò ad alta voce «Forse potremmo divertirci con questa, magari domani o dopodomani. Provare a iniettarci questa roba e vedere che effetto fa.»

Danny lanciò una breve occhiata al di sopra della spalla per vedere di che cosa stesse parlando, e quindi lo fissò negli occhi con aria decisamente preoccupata.

«Stavo solo scherzando.» puntualizzò Uther.

«Sarei comunque più tranquillo se la buttassi via.» ribatté Danny.

«Sul serio?» si stupì Uther «Credo che quando staremo morendo di sete qualsiasi cosa liquida potrebbe diventare particolarmente affascinante.»

«Certo. E bere del narcotico fabbricato da un necromante per un mezzo lupo risolverà tutto.» ironizzò Danny.

Uther alzò le spalle. «Sempre meglio che niente. Inoltre, nella prospettiva di stare impazzendo di fame e di sete, un narcotico ci sembrerà manna dal cielo per allora.»

Danny sospirò, si voltò e allungò un braccio davanti a sé, la mano aperta e col palmo aperto all’insù.

Uther considerò quel gesto per qualche istante, e alla fine si arrese e gli lanciò la siringa. Danny la afferrò al volo e quasi istantaneamente la scagliò lontano nella cantina, decisamente fuori dalla loro portata.

«Hey!» protestò Uther.

«Non ne avremo alcun bisogno. Perché usciremo di qui vivi e vegeti, e molto prima di essere vicino a soffrire di stenti.» chiarì Danny, con una sicurezza così adamantina che non ammetteva repliche.

Uther lo guardò per qualche istante, e infine scosse la testa e lasciò crollare il capo. Poco dopo tuttavia tornò a rialzare lo sguardo. «D’accordo, allora è il tuo turno di proporre qualcosa con cui passarci il tempo.»

Danny lo guardò significativamente. «Scusa, ero distratto con il cercare di salvarci le penne.» ribatté ironico, agitando appena le catene con il semplice muovere un poco le braccia.

«Già…. e a proposito di quella teoria del “Kumals che è in te” di riprovarci quando avrai recuperato a sufficienza le tue smodate forze di mezzo lupo?» propose Uther, guardandolo leggermente divertito.

Danny sbuffò sonoramente e tornò a sedersi per terra. «Va bene. Allora, qualcosa per passarsi il tempo…» cominciò, guardandosi intorno come in cerca di ispirazione.

«Che cosa porteresti con te se dovessi farti incatenare in una cantina senza cibo né acqua per giorni? Hum, vediamo un po’…» scherzò Uther, imitando una voce spensierata e leggera da gioco.

Danny scosse la testa, sornacchiando una mezza risatina.

«Sai cosa? Non avrei mai immaginato di morire così.» disse Uther «Voglio dire, d’accordo, forse potrebbe essere divertente fare il fantasma che infesta una cantina. Magari un po’ scontato… ma, hey, se non altro le catene ce le ho già in omaggio per fare il classico rumore. Oh, e tu saresti perfetto nell’ululato da fantasma.»

Danny gli rivolse un’occhiata scherzosamente risentita «C’è una grandissima differenza tra l’ululato di un lupo e quello tenebroso di un fantasma da luogo comune.»

«Ah, certo.» concordò Uther, con un cenno assertivo del capo «Ma tu sarai un mezzo lupo fantasma. Originale, no?» concluse, con un paio di schiocchi rapidi di lingua contro il palato a mo’ di verso ironicamente accattivante.

«Niente male… sì. Quanto a te?» domandò con tono da conversazione Danny.

«Oh, io andrò a perseguitare Kumals per il resto dei suoi giorni, naturalmente. A pensarci bene, sì, forse non chiederei di meglio.» soppesò Uther.

Danny si fece un poco più serio e sospirò. «Sul serio, non avrei mai pensato che Kumals fosse capace di farci finire in una situazione del genere…»

«Senza farlo apposta, vuoi dire?» ironizzò Uther.

Ma Danny si irrigidì, quindi si mise di colpo seduto più dritto, guardandolo in modo profondamente inquieto e sospettoso.

Uther lo ricambiò con uno sguardo stupito. «Stavo solo scherzando…»

«Aspetta… aspetta un momento…» disse Danny, di istante in istante sempre più inquieto.

«Oh, stavo giusto pensando di andare a sgranchirmi un po’ le gambe, ma visto che lo chiedi rimarrò qui dove sono.» commentò Uther, continuando a scherzare sebbene ora stesse valutando con un inizio di preoccupazione l’espressione di Danny.

«Forse… forse potrebbe… averlo fatto di proposito…?» rifletté ad alta voce Danny, incerto.

«Cosa?! E perché mai?» trasecolò Uther.

«Hem… beh, il fatto è che le sue istruzioni erano che noi rimanessimo da qualche parte, asserragliati dentro, al sicuro, e che ci restassimo fino al suo arrivo…» spiegò Danny, con un certo imbarazzo.

Uther alzò un sopracciglio. «E quindi ci avrebbe di proposito mandato da un pazzo per farci rinchiudere in una cantina a morire di fame e di sete pur di tenerci “al sicuro”?»

«Non proprio fino a morire. Solo fino al suo arrivo…» tentò Danny, dubbioso.

Uther emise un fischio impressionato. «Beh, ne ho visti di piani strampalati partoriti dalla mente di Kumals, ma questo… A dirti la verità, sarei quasi propenso a crederci, nel qual caso aspetterei comodamente il suo arrivo per poi prenderlo a calci fino all’orizzonte, ma ricordi che il necromante aveva intenzione di farmi fuori? Va bene tutto, ma non sembra esattamente un piano a prova di bomba se il suo scopo era quello di “tenerci al sicuro”, no?» ragionò pazientemente.

Danny lo guardò come se ora ci vedesse di nuovo chiaramente. «Oh. Già.»

Uther emise una breve e sommessa risatina. «Sul serio, puoi smetterla di preoccuparti: se proprio quello che hai ucciso era un amico di Kumals, considerate le circostanze penso proprio che Kumals non possa aver niente da ridire in proposito. E, in ogni caso, forse faresti meglio a preoccuparti di rilassarti finché l’effetto di quel narcotico non sarà svanito del tutto, perché penso che ti stia rendendo leggermente paranoico…»

Danny aveva abbassato lo sguardo sul cadavere di Mordecai, incupendosi. «Non era mia intenzione ucciderlo…» mugugnò, come tra sé e sé «Sono sicuro di aver usato la forza giusta solo per stordire un essere umano…»

Anche Uther divenne serio, e con tono gentile, piegandosi un po’ in avanti, gli disse «Danny… tra tutte le cose che mi verrebbe in mente potresti rimpiangere, credo che questa non possa stare su quella lista. Davvero… ti voleva vendere ad una specie di mercato nero di creature soprannaturali o roba del genere… non mi sembra il caso di piangere sul suo cadavere. Specialmente visto che potrebbe rivelarsi il nostro menù prima o poi…»

Danny alzò su di lui uno sguardo accigliato.

«Scherzando…» mormorò Uther, sogghignando appena complicemente.

Danny scosse un paio di volte la testa, lasciandosi sfuggire tuttavia un sorrisetto tra il compartecipe e il rimproverante, tornando ad appoggiare la schiena alla parete. Poi lo guardò dritto negli occhi con aria di colpo riflessiva, in qualche modo seria e leggera allo stesso tempo.

«E cosa metteresti nella mia lista di cose che dovrei rimpiangere?» domandò.

Uther cercò per un momento, invano, di sondare la serietà di quella domanda, prima di optare per un tono colloquialmente disimpegnato, tornando a sua volta a “mettersi comodo” con la schiena contro la parete di pietra e le braccia incrociate dietro la nuca. «Oh, non lo so. Una vita normale?»

Un sopracciglio di Danny tremolò. «Una normale vita da mezzo lupo?»

«D’accordo. Una vita più normale?» accettò la sfida Uther, sorridendo un poco, divertito.

Danny ridacchiò appena. «Naaah… non credo proprio.» E poi aggiunse «E sulla tua lista di cose da rimpiangere questa voce compare?»

«Oh, no. Dopo sì e no un paio di giorni che avevo conosciuto Kumals avevo già abbandonato ogni speranza.» celiò Uther.

Danny colse lo scherzo con un sorrisetto. Dopo qualche istante di silenzio improvvisamente tranquillo, riprese a parlare quasi distrattamente, fissando il soffitto. «Forse dovremmo pensare a quali vorremmo che fossero le nostre ultime parole, vista la situazione in cui ci troviamo.»

«Qualcosa tipo confessione in extremis sul letto di morte? Magari ci fosse un letto, almeno, per inciso…» commentò Uther en passant, muovendosi un poco contro il duro appoggio fornito dalle pietre di pavimento e muro della cantina con una smorfia scontenta.

«Pensavo più ad una specie di conversazione “pre-mortem”.» rispose Danny, ancora con un tono distrattamente divertito.

«Perché no? Probabilmente, secondo le regole del karma, più diciamo cose che non diremmo mai se non in punto di morte, più aumentano le probabilità che finiremo per non rimetterci la pelle nemmeno stavolta.» osservò Uther.

Danny accennò un lieve verso divertito, e non aggiunse altro.

Dopo qualche momento, Uther si risistemò a sedere un po’ più dritto. «Va bene. Comincerò io, allora.».

Tanto bastò perché Danny riportasse lo sguardo su di lui, con aria stupita.

«Dunque… Ricordi quando mi hai detto che mi avresti seguito lungo qualsiasi strada?» domandò Uther, con fare calmo e ponderante.

Danny rizzò le orecchie, almeno metaforicamente parlando, e dopo qualche istante si limitò ad annuire.

«Bene. Ed ecco dove ti ha portato. Incatenato in una cantina a morire lentamente. Sbaglio?» proseguì Uther, con fare razionalmente impegnato.

Danny lo guardò per qualche istante in silenzio, e alla fine un lieve sorrisetto iniziò ad increspargli le labbra. «Sì, sbagli…» rispose, lasciando una breve pausa ad effetto che con sua soddisfazione gli fece guadagnare l’incuriosita, confusa e piena attenzione dell’altro. «Fino a prova contraria, sei stato tu a seguirmi fino a qui.»

Uther lo guardò quasi incredulo, prima di riprendersi dallo stupore e iniziare a riflettere rapidamente per rispondere alla provocazione scherzosa con qualcosa di altrettanto efficace. «Non puoi provarlo. Perché dipende da chi ha trascinato per primo quaggiù Mordecai, e lui non può certo più dircelo.»

Danny gli restituì un sogghigno complice, consapevole di aver perso quello scontro.

«Ad ogni modo, questo non cambia quello che stavo cercando di dire…» riprese Uther.

«E sarebbe…?» ribatté Danny, tornato di colpo terribilmente serio, un leggero retrosapore di risentito nel suo tono.

«Che questa situazione… è esattamente quella in cui ti sei cacciato a non voler lasciar perdere. E non era questo che volevo. Tutt’altro… » mormorò Uther, dando l’impressione di essere troppo concentrato sui suoi pensieri per poter dire più di così al momento.

Ma Danny non aveva nessuna intenzione, dal canto suo, di non approfittare di quella specie di conversazione “pre-mortem” in cui Uther stesso si era gettato. Se solo avesse saputo prima che sarebbe bastato incatenarlo in una cantina per farlo parlare apertamente, forse avrebbe valutato l’opzione lui stesso, rifletté, prima di auto-riprendersi da solo mentalmente per quel pensiero veramente ‘alla Kumals’.

«E cos’era, allora, quello che volevi?» domandò Danny, ancora il tono piuttosto indurito da un risentimento che non riusciva proprio a cacciar via completamente, e del quale non era più sicuro di poter fare a meno così facilmente ormai.

«A dire la verità…» iniziò Uther, che ora faceva accuratamente a meno di guardarlo direttamente «…Credo che non saprei spiegarlo.»

Danny emise un piccolo sbuffo spazientito. «O forse, semplicemente, sono altre cose che non vuoi spiegare.»

Di colpo Uther alzò lo sguardo su di lui, con un’espressione talmente apertamente sincera che Danny si irrigidì, stupito. «Forse.» ammise «Ma credo anche che non si tratti di niente che tu non sappia già.»

In un istante breve e incisivo come un lampo a ciel sereno, Danny realizzò perfettamente e precisamente a che cosa si stava riferendo e si ritrovò a trattenere il fiato. No, non aveva niente a che fare con gli eventuali rapporti che Uther aveva intrattenuto con i mezzi lupi, e Mara in primis, prima del suo arrivo. Aveva strettamente a che fare con loro due, gli unici incatenati da soli in quella cantina che poteva essere l’ultimo luogo che avrebbero visto in quella vita – anche se Danny era ancora sicuro che l’avrebbe avuta vinta prima o poi con quelle catene. D’altro canto, si ricordò improvvisamente e piuttosto inutilmente in quel momento, si era parlato proprio di ‘ultime parole’.

Con estremo esempio di capacità di gestire una conversazione potenzialmente assai delicata, nonché di brillantezza espositiva quando si è messi alle strette, Danny non trovò assolutamente niente da dire, e d’altro canto se non fosse stato per l’automatismo di cui è preziosamente fornito il centro di controllo della respirazione, probabilmente si sarebbe dimenticato di riprendere a respirare.

Uther scosse appena la testa, abbassando lo sguardo come per un istintivo tentativo di nascondere il sorrisetto divertito e piuttosto nervoso che gli stava spuntando alle labbra. «Vuoi proprio che te lo dica davvero? Perché probabilmente in effetti è proprio su cose del genere che dovrebbe andare a parare una conversazione “pre-mortem” come si deve…» disse piano.

Quando tornò a guardarlo in attesa di risposta, o forse per accertarsi semplicemente che fosse ancora vivo, Danny si ritrovò a riprendere fiato bruscamente. Automatismo o meno, era ormai giunto alla conclusione che la tendenza a trattenere il fiato come ultima tattica d’emergenza del tipo ‘fingersi morti in caso di orso’ non poteva rivelarsi particolarmente efficiente in quel frangente.

«Credo che tu abbia ragione. Probabilmente è qualcosa che so già.» ammise infine Danny.

Uther lo guardò per qualche altro momento in silenzio, poi assunse un’espressione che aveva un che di rassegnato, ma anche di più in pace con se stesso, e tornò ad appoggiarsi con la schiena alla parete con le mani incrociate dietro la nuca, ed un’aria così improbabilmente sinceramente rilassata che Danny continuò a studiarlo senza riuscire davvero a capacitarsi né a comprendere.

«Ecco qui. Non ho più nemmeno un segreto come si deve, dannazione…» commentò Uther, tranquillamente scherzoso.

Danny si fermò in tempo prima di sbattere le palpebre, cosa che avrebbe sicuramente enfatizzato ulteriormente la sua aria confusa e incredula. Infine, si rese conto che doveva proprio dire qualcosa, e iniziava a sospettare che a quel punto quasi qualsiasi cosa sarebbe potuta andare bene. Molto meglio del silenzio, perlomeno.

E fu in quel momento che nella cantina risuonò chiaramente un significativo schiarirsi di voce, che non proveniva da nessuno di loro due.

Entrambi sobbalzarono come se si fossero appena accorti di avere uno scorpione estremamente velenoso che gli camminava sul braccio, e si ritrovarono a fissare il punto della cantina più vicino all’ingresso che dava sulle scale che conducevano di sopra.

Un ometto piuttosto basso stava semplicemente lì in piedi, con aria così opportunamente cortese che sembrava avrebbe potuto impersonare benissimo la parte di un maggiordomo appena comparso dopo essere stato chiamato. Aveva in effetti un aspetto comune, ben ritto in piedi sebbene con fare naturale, nel suo completo di sartoria che si intravedeva bene al di sotto di un lungo cappottino da viaggio di pelle, la barba ben rasata e i capelli di una sfumatura tra il bianco e il grigio ben tagliati e pettinati, gli occhialetti tondi e dalla montatura sottile perfettamente in equilibrio sul naso, e le mani educatamente riunite sopra al piccolo pomello di un bastone da passeggio d’antiquario, che teneva puntato sul pavimento davanti a sé. Doveva avere poco più di una cinquantina d’anni, un contegno inappuntabile, uno stile degno della sua età anche se forse anche un po’ più antiquato, e un’inspiegabile capacità di riuscire a entrare in una cantina praticamente quasi completamente vuota senza farsi notare.

Dal momento che Danny e Uther si stavano limitando a fissarlo come se fosse una specie di improbabile apparizione irreale, l’ometto sembrò decidere che poteva iniziare a parlare per primo senza risultare maleducato. La sua voce era estremamente calma e controllata, aveva una punta di educata cortesia che sarebbe stato arduo dire se e quanto fosse potenzialmente ambivalentemente abitudinaria e ironica, e che si accordava perfettamente col resto delle sue sembianze. Soprattutto, non sembrava in alcuna maniera particolarmente turbato o sorpreso per la scena che si trovava davanti; tutt’al’più lievemente sconcertato.

«Mi duole interrompere la vostra conversazione. Ma credo proprio di dovervi chiedere se potreste avere la gentilezza di spiegarmi perché vi trovate incatenati nella mia cantina insieme ad un cadavere.» disse semplicemente.

Danny si riprese abbastanza da iniziare a soppesare che cosa avrebbe dovuto fare a quel punto, e tutto ciò che gli venne in mente fu semplicemente chiedere di rimando, e con voce resa piuttosto acuta dall’incredulità «E lei chi è??»

L’uomo spostò lo sguardo su di lui in particolare, senza cambiare espressione, anche se Danny avrebbe giurato che uno dei suoi sottili sopraccigli grigio-biancastri fosse stato sul punto di sollevarsi un poco.

Ma fu Uther a parlare a quel punto. «È chiaro, dev’essere il nostro agente del karma cosmico. Visto? Ha funzionato perfettamente.».

Danny avrebbe potuto pensare che Uther fosse impazzito per tirare fuori del sarcasmo in quel momento, ma lo conosceva abbastanza da riconoscergli nel tono quella punta di amarezza sinceramente alterata che ne tradiva appena l’intento di minaccia e il semplice sfogo di esasperazione.

L’ometto spostò lo sguardo su Uther e abbassò un poco la testa in avanti, fissandolo al di sopra degli occhialetti, mentre rispondeva con calma e non minore capacità ironica «Oh, potete chiamarmi semplicemente Mordecai.»

 

 

Soundtrack: State of the nation (Industry)

 

Note dello scribacchiatore:

Dovrebbe essere tutto a posto. L’avevo riletto/ricontrollato tempo fa questo capitolo e in queste settimane proprio non riesco a fare un altro check-up di sicurezza, quindi… in caso di strafalcioni chiedo venia.

Il titolo di questo capitolo mi è saltato in mente una volta come presa in giro delle cosiddette ‘esperienze pre-mortem’, e inoltre vuole essere un gioco a specchio con qualcosa che vedremo nei prossimi capitoli ;)

E… le chiacchierate tra membri dei ‘4 di picche’ rimangono sempre tra le parti che più mi piace scrivere di queste storie.

Al prossimo capitolo!

 

 

 

 

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Capitolo 35
*** 34 - Karma Chameleon ***


Capitolo 34

(KARMA CHAMELEON)

 

«Mordecai?» domandò a vuoto Danny, udendo la sua stessa voce uscirgli un po’ più acuta del solito.

L’uomo tornò a guardare lui, poi si portò una mano al viso e si risistemò gli occhiali con calma. «Sì. É il mio nome.» spiegò, come se ritenesse sinceramente che ce ne fosse bisogno.

Danny si sentiva sul punto di non capirci davvero più niente. «E allora quello chi diavolo è?!» esclamò ormai praticamente allibito, indicando con un dito il cadavere poco lontano dai suoi piedi.

«O meglio ‘era’…» commentò a mezza voce Uther. Nonostante il suo sarcasmo, non perdeva di vista il nuovo arrivato, ben consapevole che entrambi erano ancora solidamente incatenati e quindi potenzialmente vulnerabili. L’aspetto perfettamente ordinato e comune dell’uomo appena comparso non avrebbe certo tratto in inganno lui, con tutto ciò che aveva visto a proposito delle apparenze, specialmente da quando aveva fatto parte dei ‘4 di picche’.

«É una domanda interessante.» osservò l’uomo con fare perfettamente compunto. «Dunque, ne deduco che voi non avete idea di chi si tratti, è corretto?» domandò sempre con calma, osservando per qualche istante il cadavere, prima di rialzare lo sguardo su di loro.

«Lui diceva di essere Mordecai.» ribatté Danny, riabbassando il braccio lungo il fianco e fissandolo, con un che di pervicacemente insistente e piuttosto contrariato.

«Ma se lei ha intenzione di liberarci, le garantisco che preferirò la sua versione di Mordecai.» cinguettò Uther, sempre con chiaro sarcasmo.

L’ometto lasciò che un lieve sorrisetto sinceramente divertito gli increspasse le labbra a quelle parole, e poi disse «Lei dev’essere Uther, vero?»

Uther rimase leggermente stupito, e per un momento privo di una pronta risposta.

Colui che affermava di essere Mordecai volse allora lo sguardo su Danny. «E lei… Danny, forse? A meno che non si tratti di Ramo. Ma Kumals mi ha sempre detto che erano più frequentemente Danny ed Uther a trovarsi nelle situazioni più… insolite.» spiegò, scegliendo accuratamente l’ultima parola.

Danny emise qualcosa di molto simile ad un verso di insperato sollievo, e Uther ritrovò la parola con prontezza. «Oh, Kumals finisce sempre per esagerare con i complimenti… Comunque, le stringerei volentieri la mano Mordecai, ma al momento sono piuttosto impedito…» accennò, sollevando significativamente davanti a sé le braccia con i polsi saldamente incatenati «…ma sarà un piacere fare la sua conoscenza se potesse liberarci dalle sue indistruttibili catene.»

Mordecai rise un poco, brevemente e piano, ma sinceramente divertito. «Questo potrebbe essere un ottimo inizio, ne convengo.» concordò, incamminandosi verso il tavolo per prendere le chiavi delle catene.

 

***

 

Mordecai si era chinato appoggiando un ginocchio sul pavimento, aveva appoggiato il suo bastone da passeggio con calma sulle pietre, e studiava con molto serio e paziente interesse il cadavere di quello che si era spacciato per lui, mentre Danny e Uther lo fissavano dall’alto delle loro stature.

Uther si stava massaggiando i polsi un po’ ammaccati dai pesanti anelli delle catene dalle quali erano appena stati liberati, e in qualche modo l’uomo sembrò notarlo senza nemmeno bisogno di alzare lo sguardo. «Sono spiacente per quanto vi è accaduto. Quelle catene erano già qui quando ho acquisito la casa. Non le ho mai usate, ma allora mi sembrò opportuno lasciarle, in caso potessero risultare utili in situazioni di estrema necessità.»

Danny e Uther si scambiarono un breve sguardo, e non trovarono niente di particolare da dire in proposito, anche se probabilmente entrambi stavano pensando qualcosa di molto simile a ‘da un amico di Kumals… questo sembra un ragionamento perfettamente sensato…’.

«Di sicuro non è mia abitudine usarle con gli ospiti.» aggiunse Mordecai.

«Rincuorante. Davvero.» commentò Uther.

«Hem…» si inserì in fretta Danny, imbarazzato «Quindi è stato Kumals ad avvertirla che saremmo arrivati?»

«Oh, no. É stata la signorina Azaziel.» rispose l’uomo, rimanendo concentrato sul suo esame visivo ravvicinato del cadavere.

«Che sarebbe…?» indagò Uther, inarcando appena un sopracciglio con un accenno di curiosità.

«Una delle mie più affezionate clienti.» rispose semplicemente Mordecai, prima di rialzarsi in piedi con calma, raccogliendo il suo bastone da passeggio.

Danny ed Uther lo osservarono afferrare quel bastone con entrambe le mani in due diversi punti e girare in senso opposto, svitandone la punta, che una volta tirata via rivelò una relativamente corta ma ben affilata lama di pugnale fissata alla fine del bastone. Entrambi fecero un piccolo balzo all’indietro di sorpreso riflesso, e non staccarono lo sguardo mentre Mordecai, portata la lama sul viso del cadavere, con molta attenzione e delicatezza vi passava sopra la parte tagliente con una leggera inclinazione.

«Gli sta… facendo la barba?» domandò Uther, con una distinta nota di perplessità dubbiosa.

«Non esattamente.» si limitò a rispondere l’uomo, portandosi la lama vicino al volto e sistemandosi meglio gli occhiali, attraverso i quali la studiò molto attentamente per qualche istante, in silenzio.

Uther e Danny si scambiarono di nuovo un rapido sguardo, non più concludente del precedente, ma tornarono subito a concentrarsi su Mordecai quando questi si rialzò in piedi e porse lentamente e cautamente la lama verso Danny. «Forse il suo fiuto di mezzo lupo potrebbe riconoscere questa sostanza.»

Danny esitò, studiando l’espressione seria e tranquilla di Mordecai, prima di avvicinare cautamente il volto alla lama, dopo aver impugnato abbastanza saldamente a sua volta la parte del bastone non tagliente per sicurezza.

«Mi rendo conto che potrebbe essere superfluo specificarlo, ma le sconsiglio di inspirare troppo forte; sarebbe meglio che non ne inspirasse, anche se credo sia perlopiù innocua.» aggiunse l’uomo.

Danny si fermò per un istante, quindi, dopo un breve accenno di assenso, si concentrò sull’individuare l’odore di quella che a prima vista sembrava essere una polverina molto fine e di un colore singolarmente troppo bruno per poter essere identificata come pelle morta.

Anche l’odore non sembrava affatto quello di pelle morta. Aveva più che a fare con qualcosa di cotto in un forno forse… o meglio…

«Terra… terra cotta… ?» Danny rifletté ad alta voce, perplesso.

Mordecai annuì. «Precisamente.» commentò, agitando un poco il bastone per scuotere via la polverina dalla lama, prima di pulirla con un lembo della leggera giacca del completo che indossava.

«Insomma, questo tizio si sarebbe fatto una rotolata in un forno usato per fare delle terracotte?» domandò Uther, inarcando di nuovo un sopracciglio.

«No. Ci è stato cotto lui.» fu tutto ciò che disse Mordecai, prima di tirare un piccolo calcio al cadavere, che fece alzare un’innaturale piccola nuvoletta di polvere da tutta la superficie d’esso, sotto gli occhi perplessi di Danny ed Uther. «E ora sta tornando al suo stato naturale.»

«Credo di non… capire…» iniziò Danny, piuttosto circospettosamente, come se si riservasse il sospetto che forse in fondo avrebbe preferito non capire del tutto.

«Molto semplice.» interloquì Mordecai, tornando a ri-avvitare la punta del suo bastone per celarne la lama infissa all’estremità, con tono gentilmente disponibile e professionale «Una pratica antica ma banale. Questo è quello che in gergo definiamo un ‘fantoccio’. Quest’uomo è stato trasformato, in un imprecisato tempo fa, in un fantoccio. In parole povere, è stato privato della propria volontà indipendente, ed è stato inumato in un contenitore di terra-cotta, che gli ha permesso di rimanere invariato, cioè di non invecchiare, e di poter eseguire per molto più tempo della normale durata della vita umana i comandi del suo padrone. Uno stregone può fare qualcosa di simile, purché possieda la pazienza e le conoscenze basilari per questo genere di pratica.»

«E che cosa ne è stato di lui… di chiunque fosse lui quando era… prima di essere trasformato in un… fantoccio?» chiese Danny, con una smorfia incerta e affatto entusiasta.

«Oh, questo è un po’ più complicato da spiegare. Difficile farlo senza inoltrarsi in meandri filosofici a proposito dei concetti di vita e di identità individuale. Chi viene sottoposto a questa procedura perde la sua autonomia di pensiero e di azione, ed è costretto a seguire unicamente gli ordini del suo proprietario, ovvero dello stregone che ha fatto di lui un fantoccio. Qualcuno fa coincidere dunque la trasformazione in fantoccio con la morte effettiva dell’individuo che viene reso tale. Tuttavia, tecnicamente colui – o colei – continuano in un certo senso a vivere, materialmente parlando. Credo che l’unica cosa veramente individuale che rimane loro, sia quello che della loro originale individualità riesce a sopravvivere nel corso del tempo pur essendo diventati ‘fantocci’. Qualsiasi cosa originariamente appartenente alla loro individualità sopravviva, rimane tuttavia sempre secondario al volere dello stregone che li ha trasformati. Ad ogni modo, sono molto fragili in realtà, per questo non mi stupisce che lei, Danny, lo abbia rotto applicando una forza appena sufficiente per fare semplicemente perdere conoscenza ad un essere umano.» spiegò ancora Mordecai, guardando Danny con un’espressione di gentile empatia. «Ma chiunque troverebbe opinabile poter affermare se lei ha effettivamente ucciso oppure no qualcuno in questo caso. Tuttavia, sono sicuro del fatto che qualcuno che è stato trasformato in fantoccio non può tornare a non esserlo. Si tratta di un processo incontrovertibile, purtroppo.»

«E cosa ci faceva questo… fantoccio a casa sua?» domandò Uther, con una punta di sospetto.

«Suppongo fosse stato mandato qui dal suo padrone per qualche motivo non particolarmente encomiabile né amichevole nei miei confronti. Sono stato molto occupato lontano da qui nelle ultime settimane, e a quanto pare o lo stregone lo sapeva bene e ha pensato di approfittare della mia assenza per mandare qui il suo fantoccio a chissà quale scopo, oppure lo scopo era quello di attaccarmi in qualche modo, ma forse questo fantoccio non trovandomi ha pensato di rimanere qui ad aspettarmi.»

«Per settimane?» si stupì Uther.

«Quando parlavo di fragilità… non mi riferivo solo a quella materiale.» continuò a spiegare Mordecai, dando un paio di colpetti di lato col suo bastone da passeggio al corpo esanime nonché oggetto in questione della conversazione, sollevando qualche piccolo sbuffo di polvere di terra. «Un fantoccio è fragile anche dal punto di vista del comportamento. Non avendo una sua personalità, anzi essendone di fatto stato privato per poter essere completamente asservito alla volontà del suo padrone, tende a diventare un cumulo confuso e imprevedibile di “varie personalità”. Di solito, finisce per mescolare inconsapevolmente e senza senso né scopo pezzi di personalità del suo carattere originale – per quello che ne è rimasto – con quelli della personalità suo padrone ed eventualmente con quelli di altre persone, anche con quelli appartenenti al carattere delle persone a caccia delle quali sia stato effettivamente mandato, per assurdo. Di solito, nonostante questo sono perfettamente asserviti ad ogni ordine del loro padrone, ma se negli ordini impartiti c’è qualche imprecisione, oppure se capita un imprevisto e soprattutto quando sono molto lontani dal loro padrone che non può pertanto correggere gli ordini a seconda delle eventualità che si presentano, allora possono iniziare a comportarsi secondo questo miscuglio insensato di pezzi di personalità pescati a caso da diverse persone. In questo caso, forse il fantoccio ha iniziato a cercare di impersonarmi per il tempo che ha passato in questa casa e per le informazioni su di me che gli deve aver fornito il suo padrone; d’altro canto, era sicuramente anche rassomigliante in qualche modo al suo padrone, che non deve brillare per avere una personalità animata da buone intenzioni visto che ha creato un fantoccio, e per finire forse quella parte che riguardava il mettere all’asta lei, Danny, apparteneva alla sua vita precedente, quando era ancora un essere umano, forse un commerciante…» teorizzò Mordecai, fissando dall’alto il corpo del fantoccio di cui stava parlando.

Poi, storse appena e leggermente il naso.

«D’altro canto, l’avvento dei commercianti è stata proprio una delle maggiori cause dell’agonizzante naufragio delle nobili arti artigiane.» commentò Mordecai, attirandosi addosso lo stupore di Danny ed Uther. Da quando avevano iniziato a parlare, era la prima volta che sembrava stesse dicendo qualcosa di più personale.

Uther emise un breve sornacchio ironico. «Oh, beh… ma non è proprio ciò per cui venivano disprezzati gli ebrei un tempo? Il luogo comune dell’ebreo commerciante interessato solo alla ricchezza materiale e a tenersela ben stretta?»

«Uther!» esclamò Danny, praticamente scandalizzato.

Ma Mordecai stava sorridendo, di sincero divertimento. «Sì, tra le altre cose. Non lo trovate un paradosso curioso, che il capro espiatorio di turno fosse accusato proprio di cose come l’accumulazione di ricchezze e la cupidigia, ovvero esattamente ciò che connota l’uomo moderno occidentale e capitalista di successo?»

Uther piegò le labbra in un sorrisetto di ammirata complicità. «Lupo mangia lupo. Ops…» e spiò in direzione di Danny con un’espressione di scusa, tirando le labbra in una piccola smorfia colpevole, consapevole di esser caduto in fallo.

«Da che mondo è mondo, è sempre stato più vero piuttosto che ‘uomo mangia uomo’… » sospirò appena Mordecai. «Ad ogni modo, cercherò di capire chi possa avermi mandato questo grazioso pacchetto di terracotta… » continuò, tornando a riferirsi al fantoccio ai suoi piedi, prima di alzare lo sguardo e voltarsi verso di loro «Quanto a voi, che ne direste di una bella tazza di qualcosa di caldo e di non narcotizzato? Magari qualcosa di ricostituente per farvi passare gli ultimi postumi di quel narcotico?»

«Splendido.» commentò Uther, affabilmente «A proposito, può darci del tu.»

«E voi a me, allora. Molto bene. Le formalità sono state sbrigate. Andiamo a rilassarci e a permettermi di trattarvi come veri e propri ospiti.» li invitò Mordecai, precedendoli verso le scale per tornare in superficie.

Mentre salivano, Danny non poté trattenersi dal chiedere «Ma… esiste veramente un mercato nero di oggetti e… creature soprannaturali?»

«Sì. In realtà, solo oggetti inanimati: è la regola generale. Niente di allarmante, comunque. Per la maggior parte si tratta di falsi o invenzioni spacciate per misteriosi oggetti stregati, buona parte delle altre sono anticaglie innocue o inattive da secoli, e per quel che resta, beh, spesso finisce per avere la meglio su chi l’ha acquistato e aveva pensato di tenerselo in casa come trofeo. C’era una storia a proposito di una vecchia cassapanca stregata che aveva ingoiato un ricchissimo ed esimio luminare amante di simili oggetti non appena ci si era accomodato sopra dopo averla acquistata a questo mercato nero. Ma è una storia che amava raccontare Kumals, dunque, potete ben giudicare da voi stessi quanta veridicità si possa concederle.» rispose Mordecai.

Danny ed Uther si guardarono per un momento.

«Un cinquanta e cinquanta?» ipotizzò Danny.

«Oh, personalmente darei un trentatré per cento. La terza possibilità è che sia vera solo in parte.» rispose Mordecai, sorridendo appena.

«Questo qui lo conosce proprio bene Kumals.» commentò in un mormorio rapido Uther all’orecchio di Danny, senza darsi la pena di cercare davvero di non farsi sentire da Mordecai.

Danny scosse la testa e si concesse di sorridere a sua volta.

 

 

Soundtrack: Voglio una pelle splendida (Afterhours feat Samuel Romano)

 

Note per la comprensione – e credits: il titolo del capitolo l’ho preso in prestito da quello dell’omonima canzone ‘Karma Chameleon’ dei Culture Club. Mi è sbucato fuori per via del fatto che Mordecai è l’agente del karma cosmico secondo Uther, e per quanto riguarda il ‘camaleonte’ perché il “fantoccio” che ha sostituito Mordecai ha un che di camaleontico… okay, non davvero, non avendone assunto l’aspetto a tutti gli effetti… ma per il resto… beh, la spiegazione l’ha già data Mordecai nel capitolo ;p

 

Note dello scribacchiatore: non preoccupatevi, conosceremo ancora meglio Mordecai nel prossimo capitolo! Sicuramente è già sulla buona strada per diventare l’idolo di Uther ;p

 

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Capitolo 36
*** 35 - Conversazioni post-mortem ***


Capitolo 35

(CONVERSAZIONI POST-MORTEM)

 

Danny si sentiva ancora piuttosto stranito, e aveva un discreto sospetto a proposito del fatto che non dipendesse tanto dai postumi del sonnifero che il finto Mordecai aveva somministrato loro per narcotizzarli per ore. O almeno, supponeva si fosse trattato di ore, dal momento che dal salotto-cucina della casa di Mordecai in cui si trovavano non si riusciva a vedere fuori. Le uniche due piccole e strette finestre a lato della porta d’ingresso erano spesse cornici vecchie di legno con incastrati quasi altrettanto spessi vetri impolverati, e perlopiù coperte da pesanti tende che, quand’anche fuori ci fosse stata la luce del giorno, l’avrebbero sicuramente schermata.

Mentre lui, Uther e Mordecai sorseggiavano una tisana dal sapore forte e piuttosto amaro, ma che in qualche modo risultava anche rinfrescante e scorreva come acqua limpida attraverso la gola assetata per le lunghe ore passate tra la coscienza e l’incoscienza e sempre prigionieri nella cantina, seduti attorno allo stesso tavolino al quale il finto Mordecai li aveva fatti accomodare prima, Danny era piuttosto inquietato dal sentirsi in qualche modo osservato dalle decine e decine di volti dei piccoli dipinti disseminati su ogni centimetro disponibile della superficie delle pareti verticali e del soffitto della stanza.

E ora ne era ancora più inquietato di prima, poiché quando erano ritornati su dalla cantina, lui e Uther avevano assistito a qualcosa di quantomeno insolito. Appena Mordecai aveva mosso un paio di passi entro la stanza, tutte le lucine elettriche o costituite da piccole candele disposte davanti ai dipinti, una per ogni ritratto, si erano illuminate quasi contemporaneamente, rischiarando tenuamente la stanza di uno stentoreo ma in qualche modo prepotente bagliore tra il rosato, il giallo e l’arancione spento. Da quello che si poteva vedere, quelle lampadine o lumicini di foggia cimiteriale, anche ammesso che ognuna avesse i suoi fili elettrici nascosti all’interno dei piccoli bracci arzigogolati che le sostenevano davanti ai ritratti, non erano collegate a nessun sistema elettrico generale. Alcune di quelle lucine si erano messe a lampeggiare con svariati ritmi, altre avevano raggiunto la massima intensità come se fossero sul punto di far esplodere la lampadina, e avevano tutte un che di urgentemente fremente.

Uther e Danny si erano lentamente bloccati sul posto, guardando il singolare spettacolo, sospesi tra la curiosità e il sospettoso timore, ma Mordecai aveva tranquillamente proseguito fino al bancone di cucina e aveva iniziato a bollire l’acqua su un fornelletto da laboratorio, per poi selezionare un sacchetto tra l’ampia gamma di quelli disposti sulle mensole, riconoscendolo apparentemente più per forma e colore che per lettura della piccola etichetta di carta vergata con una calligrafia elegante e allo stesso tempo categoricamente sommaria in lingua ebraica.

«La cosa veramente spiacevole, è la confusione che quel fantoccio si è permesso di disseminare tra tutte le mie cose… Ci vorranno giorni per sistemare.» aveva commentato Mordecai a quel punto a mezza voce, con una certa risentita irritazione, suonando come se disapprovasse tanta intrusiva maleducazione, mentre contemplava con aria critica il caos di oggetti e polveri e buste e cucchiai e mestoli disseminato per tutto il banco di cucina e in buona parte anche sulle mensole.

Si era poi voltato verso di loro, notando che erano ancora fermi poco oltre la soglia delle scale che portavano alla cantina, aggiungendo con convinta e sincera gentilezza «Oh, naturalmente senza considerare quello che ha fatto a voi.», prima di notare come i loro sguardi fossero concentrati sulla luminosità delle lampadine senza fili e dei lumicini su tutte le pareti e il soffitto. Lui, dal canto suo, non aveva nemmeno avuto bisogno di seguire la direzione del loro sguardo per comprendere perfettamente quale fosse l’oggetto della loro attenzione. «Non fateci caso. Sono stato via per qualche settimana, come dicevo.»

«Vuole dire che questo è una specie di sistema di antifurto, per caso?» Danny aveva sentito chiedere da Uther, con un chiaro tono ironico, mentre lui non riusciva proprio a staccare lo sguardo da tutti quei piccoli ritratti svariatissimi, sui volti dei quali le lucine gettavano chiaro-scuri più o meno spiccati nel contrasto a seconda dei colori predominanti del dipinto e se si trattava di un olio su tela piuttosto che di vernice di altro tipo, e di quanto fosse più o meno impolverato e spesso il vetro – se c’era – che li ricopriva.

«No. Sono i miei clienti.» aveva risposto Mordecai, con molta calma e neutra disponibilità gentile.

«Ah. Giusto.» aveva commentato Uther, con una punta ancora chiara di ironica condiscendenza momentanea, schioccando appena le labbra.

E Danny, il quale si era sentito rizzare tutti i peli di cui disponeva nella sua forma umana a quella risposta, aveva chiaramente percepito che Uther stava per rivolgere a Mordecai un’altra domanda per chiarimento, o piuttosto un altro commento che non sembrasse una domanda diretta, nel mentre probabilmente cercando di capire se il loro ospite fosse più o meno mentalmente equilibrato o completamente alterato dalla realtà, e nel dubbio rimanendo nel frattempo oscillante anche con le parole tra le due eventualità.

In altre situazioni, Danny avrebbe apprezzato davvero tanto quel modo di fare di Uther, ironico e insieme molto attento e valutante, ma in quel momento si sentiva indeciso tra il precipitarsi verso l’ingresso per uscire il prima possibile da lì oppure tornare in cantina e sbarrare la porta. Quello che si era ritrovato a fare a tutti gli effetti, era stato afferrare Uther per un braccio prima di rendersene conto. Qualcosa in lui sembrava stranamente farlo sentire come se non sapesse come rapportarsi esattamente in quel momento con il dove si trovava e con tutte quelle decine e decine di piccoli ritratti che parevano fissarlo dritto dritto da un'altra dimensione dell’essere, la qual sola idea gli faceva per qualche motivo rivoltare lo stomaco come se fosse sul punto di vomitare l’anima.

Sentendo la salda presa della sua mano sul braccio, Uther aveva immediatamente voltato la testa verso di lui, e anche Mordecai di concerto si era concentrato sul fissarlo.

«Credo che…» aveva iniziato Danny, con voce strozzata, prima di rendersi del tutto conto che non aveva idea di che cosa voleva o poteva dire o perché.

Un istante dopo che era ricaduto quel pesante silenzio in cui quelle lucine illuminavano volti che sembravano fissarlo insistentemente, Danny aveva sentito Uther piegare un poco, lentamente e con calma, il braccio che gli stava tenendo stretto, come per rendere la sua una presa potenzialmente d’appoggio, e iniziare a incamminarsi tranquillamente verso il tavolino, senza staccargli lo sguardo dal volto.

«Credo che potremmo sederci.» aveva semplicemente detto Uther, in qualche modo perfettamente accomodante, come se non volesse fargli pesare nemmeno per un momento quella sua intensa e imperscrutabile incapacità di avere a che fare con quei ritratti illuminati.

Danny aveva assecondato il suo movimento quasi senza rendersene conto, gli occhi ancora incollati alla folla di dipinti, muovendosi automaticamente e con lenta circospezione allo stesso tempo, fino a ritrovarsi seduto al tavolino.

Solo dopo qualche momento aveva realizzato che dovevano essere passati alcuni minuti nel frattempo che lui continuava a cercare di comprendere quella strana sensazione di profondo disagio e inquietudine, come se qualcosa stesse afferrando rapacemente le radici del suo essere e cercando di tirarle in strane direzioni a rischio di strapparne qualcuna, perché aveva sussultato di sorpresa quando aveva sentito la vicina voce di Mordecai elevarsi chiara nel dire «Per favore, signori e signore! Mi rendo conto che sono stato assente per diverse settimane, ma questo comportamento da parte vostra rischia di risultare alquanto offensivo. Come vedete al momento ho ospiti venuti a sottopormi importanti questioni della massima urgenza. E sono certo che nessuno di voi qui ha dimenticato un minimo di decenza a riguardo del come comportarsi decorosamente, nel mentre della mia assenza. Sarò disposto ad ascoltare ognuno di voi per tutto il tempo che sarà necessario, non appena potrò. Vi richiamerò io stesso per stabilire l’urgenza del vostro bisogno di conversare con me. Quindi, dal momento che non c’è altro da aggiungere, ora lasciateci discorrere per un po’, siate cortesi come so che sapete benissimo essere quando solo lo desiderate.»

Danny aveva abbassato, sebbene di malavoglia, lo sguardo su Mordecai, solo per ritrovare che effettivamente lui stava fissando i ritratti, e quindi doveva essersi rivolto proprio a loro. A quel punto, per Danny sarebbe stato arduo dire se avrebbe preferito vedere che non accadeva nulla e che lui e Uther potevano giungere alla conclusione che Mordecai aveva l’abitudine di parlare con qualche oggetto inanimato che a quanto pare collezionava, oppure il contrario. Ma in ogni caso, non aveva osato rialzare lo sguardo sui ritratti, e tuttavia si era dovuto rendere conto che la luce dei loro lumicini e lampadine si andava affievolendo, lasciando più spazio a quella di una piccola lampada di antica foggia appoggiata al centro del tavolino. A quanto pareva, mentre lui restava imbambolato a spiare i ritratti con profondo disagio, Mordecai aveva finito di preparare la tisana, e ora tutti e tre sedevano attorno al tavolino, regolarmente provvisti ognuno della propria tazza fumante.

Ad un certo punto, Danny aveva notato che il loro ospite stava fissando un punto in particolare su una delle pareti, e si era azzardato a spiare in quella direzione, riscontrando che effettivamente c’era un solo ritrattino davanti al quale il lumicino era ancora ostinatamente, sebbene flebilmente, acceso. Gli altri erano tutti spenti, o stavano finendo di spegnersi proprio in quel momento. Mordecai aveva concentrato su quell’unica lucina rimasta accesa un’occhiata particolarmente critica, alzando le sopracciglia per enfatizzare il suo incredulo e risentito stupore, e aveva tamburellato leggermente ma in qualche modo decisamente la punta delle dita sul tavolino in alcuni colpetti netti e veloci, che erano suonati incoraggianti e allo stesso tempo severi. Quell’ultima lucina si era illuminata un poco di più solo per un istante, come rispondendo, e poi si era affievolita fino a spegnersi, con un che di rassegnato.

Danny si era accorto che stava rabbrividendo quasi incontrollabilmente a quel punto, e che decine di brividi freddi gli stavano scorrendo ininterrottamente giù per la schiena, e a quanto pare Uther lo doveva aver sentito tramite il fatto che, a quanto pareva, Danny gli stava ancora tenendo la presa della mano sul braccio. Danny aveva sentito il braccio muoversi appena, come se volesse attirare la sua attenzione, e quando aveva volto lo sguardo verso Uther, lo aveva visto guardarlo per un momento come se stesse cercando di capire che diavolo gli prendesse e allo stesso tempo di suonare rassicurante.

Uther aveva alzato appena la mano in cui teneva la tazza fumante tra i loro volti, come per essere certo di mostrargliela, aveva bevuto un sorso, e con un sorrisetto gli aveva detto «Ho già controllato io. Niente narcotico qui. Puoi berla tranquillamente.»

A quelle parole, Danny aveva sentito le sue sopracciglia aggrottarsi appena, e si era ritrovato a rispondere con una strana e quasi automatica lucidità «Semmai, avrei dovuto controllare io. Sono più resistente di te.»

«Beh, tecnicamente sì, d’accordo. Ma ho pensato che se anche stavolta crollavo come una pera cotta narcotizzato, se tu fossi rimasto ben sveglio avresti potuto sistemare le cose più rapidamente di me.» aveva replicato con calma e una punta di leggero divertimento Uther, facendogli appena l’occhiolino.

Danny si era ritrovato a rispondere a sua volta praticamente subito, entrando senza nemmeno rendersene conto nell’usuale dinamica di confronto, tra la diatriba tattica e l’avere un più o meno valido motivo di discussione giusto per discutere più o meno animatamente, che aveva sempre contraddistinto dopotutto ognuno dei ‘4 di picche’. Aveva sentito la sua stessa voce, seppure impallidita come se fosse indebolita in quel momento, risuonare caparbiamente decisa e allo stesso tempo pulitamente lucida. «La mia eventuale maggiore resistenza è questione di fisicità e sensi. Potrei resistere meglio ad una stessa dose di narcotico rispetto a te, forse. Ma non significa che tu non potresti cavartela bene quanto me nell’aver a che fare con qualche nemico peraltro umano e…»

In quel momento si era bloccato, rendendosi conto che stavano parlando di se e come avrebbero potuto avere buon gioco nell’atterrare in caso di bisogno proprio Mordecai che era seduto allo stesso tavolino e li poteva udire benissimo. Danny aveva girato subito lo sguardo su di lui, impietrito e imbarazzato, praticamente arrossendo. Quegli tuttavia sorseggiava tranquillamente la sua tisana, guardandoli con molta calma al di sopra della tazza, come se stesse semplicemente ascoltando la loro conversazione con attenzione placida.

Danny si era precipitosamente schiarito la voce. «Cioè, non che pensi ce ne sia alcun bisogno, in questo caso!» si era affrettato a dire.

Mordecai aveva abbassato la tazza riappoggiandola sul tavolino, rivelando un sorriso gentile, comprensivo, e anche piuttosto complicemente divertito. «Certo che no.» aveva semplicemente convenuto, annuendo tranquillamente. E Danny si era sentito in dovere di abbassare lo sguardo timidamente, e trovandosi a guardare la sua stessa tazza di tisana ancora intonsa, la aveva subito raccolta, spostando infine la mano dal braccio di Uther, e ne aveva bevuto un’ampia sorsata, rischiando di scottarsi la lingua, come a dimostrazione dell’onestà delle sue parole.

Quando era tornato a guardare Mordecai, sperando che gli avesse creduto senza riserve, si era accorto che l’ometto stava piuttosto occhieggiando tra loro due con un che di affettuosamente compunto ma soddisfatto. E solo allora Danny aveva realizzato che Uther era riuscito a distrarlo da quei ritratti efficacemente, e a farlo riprendere un poco. Quella realizzazione lo aveva piuttosto confuso, per via degli eventi dei giorni recenti, ma soprattutto perché, al di fuori di quei giorni, ricordava bene quante volte era stato così, quanto Uther fosse sempre riuscito a farlo con tanta naturalezza che nemmeno lui se ne accorgeva se non in ritardo.

Era allora stato preso da una sorta di imbarazzo ben diverso, sentendosi quasi in colpa per il risentimento che aveva accumulato nei confronti di Uther negli ultimi giorni, nonostante, ricollezionando le memorie cronachistiche di quanto avvenuto, sul piano logico e pragmatico non gli riuscisse di trovare un motivo per mettere in discussione interamente tutta quell’irritazione e quella devastante sensazione di sfiducia e distanza rispetto all’altro, che lo aveva scavato lentamente da dentro. E forse era perché, ora che ci pensava meglio… forse perché non era solo il rapporto personale tra di loro che tutto quello che era successo metteva in discussione. Più propriamente, era come se rimettesse in discussione le basi sulle quali lui aveva mosso i suoi primi passi per ritornare al mondo degli umani veri e propri, dopo anni di solitudine per i boschi quasi sempre nella sua forma di lupo.

E, d’altro canto, a quel punto rischiava di farlo irritare seriamente con se stesso il fatto che fosse bastato a quel Mordecai così poco per accorgersi di quel legame tra loro dopo averli appena conosciuti, mentre lui avrebbe potuto – e forse dovuto – saperlo molto meglio, e ricordarsene prima e più chiaramente.

Ma poi Mordecai li aveva invitati a spiegargli perché avevano ritenuto di aver bisogno di rivolgersi a lui, e Danny aveva dovuto raccogliere tutta la sua pazienza, poiché dal momento che Uther sembrava molto impegnato a sorseggiare la sua tisana con tutta la tranquillità del mondo come se fosse pacificamente chiaro che non spettava a lui spiegare, si era ritrovato a dover ripetere la storia dall’inizio, stavolta se non altro al vero Mordecai, ma comunque in un’ambientazione decisamente simile a quando lo aveva dovuto fare la prima volta da che avevano messo piede in quella casa dalla quale continuava a sperare di riuscire comunque ad uscire il prima possibile.

Da quando Danny aveva terminato di raccontare, era caduto quello che sembrava un composto silenzio riflessivo. Ma piuttosto che riflettere nuovamente su quello che aveva dovuto di nuovo ripetere, ovviamente debitamente mondando accuratamente il racconto di tutte le parti che riguardavano i dissidi più personali e le eventuali disavventure di lui ed Uther lì a Tairans che non fossero strettamente pertinenti al contesto di ‘un nutrito gruppo di mezzi lupi impazziti che vuole conquistare il mondo’, la sua concentrazione aveva iniziato ad essere nuovamente e assai sgradevolmente calamitata dai numerosi ritratti che ricoprivano le superfici verticali e il soffitto della stanza.

Finché Mordecai non parlò di nuovo, rivolto più direttamente a lui, e si rese conto che lo stava guardando, con cortese calma, ma con un che di particolarmente comprensivo.

«Mi dispiace, per questo. Non avevo riflettuto sul fatto che un mezzo lupo potrebbe sentirsi particolarmente a disagio in questa stanza… » disse semplicemente, con aria sinceramente dispiaciuta per lui.

Danny si sforzò di riprendere un certo controllo su se stesso. «Non importa. Posso resistere tutto il tempo necessario.»

Mordecai annuì rispettosamente, come se volesse far chiaramente intendere che non voleva mettere in dubbio la sua forza di resistenza. «Certamente. Tuttavia, posso appena immaginare quanto le possa risultare fastidioso.»

«Come mai?» domandò Uther, e anche se pure Danny avrebbe voluto porre la stessa domanda dopotutto, per qualche motivo continuava a volerne sapere il meno possibile sull’esatta natura di ciò che lo stava indisponendo a tal punto. Non aveva mai provato nulla di simile, prima di quel momento, in tutta la sua lunga vita, né prima né dopo essere diventato un mezzo lupo.

«Ritengo che… di base… » iniziò Mordecai, mentre Danny si costringeva suo malgrado ad ascoltarlo «Per un mezzo lupo sia molto più profondamente istintivo che per noi esseri umani completi, che abbiamo poi costruito grandi razionalizzazioni, fantasticazioni e religioni in proposito, percepire la divisione tra la vita e la morte come qualcosa di essenzialmente netto, per qualsiasi cosa che si possa considerare vivente.»

Uther inarcò appena un sopracciglio, anche se la sua dubbiosità si stava lentamente stemprando nella più viva curiosità, e Danny iniziò di nuovo a sentirlo come potenzialmente non così al suo fianco come in effetti era: avrebbe preferito, sempre per qualche non meglio individuabile motivo, che cercasse piuttosto di intestardirsi a rifiutare quello che Mordecai stava sottintendendo molto delicatamente e con tanta compassata naturalezza.

«Perché… in questa stanza non è così?» chiese Uther, ancora leggermente ironico, nonostante tutto. Ma la sua credulità ancora sospesa si stava pericolosamente sbilanciando, alle orecchie di Danny, alla disponibilità a concedere a Mordecai un certo credito potenziale.

«Non solo in questa stanza, per la verità. Ma in questa stanza è per ovvi motivi più evidente che, a volte, questa separazione può non essere così netta per alcuni.» rispose Mordecai con la sua compunta tranquillità.

«Quindi, dal momento che lei è un necromante, è in grado di comunicare con le persone qui ritratte, che sono morte?» continuò Uther, evidentemente deciso a dargli corda comunque.

Danny rabbrividì, e, giusto per non riafferrare Uther, perché il suo gesto avrebbe stavolta contenuto un’implicita preghiera di non fare altre domande, si afferrò piuttosto il ginocchio in parte nascosto sotto il tavolino, giusto per aggrapparsi a qualcosa.

«Non esattamente morte, per l’appunto. Ma almeno in parte sì. In buona parte. In sostanza sì, secondo le concezioni di vita e morte più comuni e diffuse nelle culture e concezioni umane.» perfezionò Mordecai. «E… no, non basta essere ‘necromanti’. Occorre anche una notevole predisposizione personale.»

«Come in molte… arti… dopotutto.» commentò Uther, cercando di ridimensionare, sebbene fosse evidentemente ancora incuriosito. «Quindi… come funziona? Comunica con loro tramite codice morse?»

«Prego?» si incuriosì a sua volta Mordecai, come se cercasse di capire perché stesse chiedendo proprio di quel particolare modo di comunicare.

«Le lucine che si spengono e accendono a ritmo…» accennò Uther, lanciando un breve sguardo intorno, lungo le pareti ricoperte di ritratti, in modo illustrativo.

Danny aveva abbassato lo sguardo ostinatamente sul tavolo, e sebbene stesse suo malgrado ancora ascoltando, cercava di pretendere di essere da un’altra parte, e soprattutto non circondato da tutti quei volti ritratti.

«Oh, no, non in questo modo.» scosse un poco la testa Mordecai «Per la verità, fornire una spiegazione per voi comprensibile che non richiedesse come premessa ore di delucidazioni su alcune basi della necromanzia potrebbe essere piuttosto difficoltoso. Tuttavia, per semplificare grossolanamente, se considerate che questi ritratti sono una sorta di porta di comunicazione, e che le lucine servono semplicemente a indicarmi immediatamente e senza dubbio chi e se e quando e quanto desidera comunicare con me, allora…»

«Potremmo… tralasciare questa parte, per favore?» domandò Danny, tra la supplica e i denti stretti.

Uther lo spiò appena per un momento, e Mordecai si limitò a tacere.

«Ma… perché farlo, esattamente? Voglio dire, sanno delle cose che possono risultare interessanti o è solo un… mestiere… una vocazione, o altro…?» domandò tuttavia ancora Uther, lasciando volutamente la domanda aperta ad ogni possibilità, tuttavia continuando a spiare Danny di sottecchi come per sincerarsi delle sue condizioni mano a mano che la conversazione procedeva.

Danny iniziò ad avere la singolare idea che quello potesse essere una specie di modo in cui Uther intendeva, probabilmente inconsapevolmente, ottenere come una leggera sorta di vendetta su di lui; o forse voleva semplicemente vedere, tanto per, fino a che punto potesse arrivare prima di necessitare di precipitarsi fuori da quella stanza e in strada per prendere lunghe boccate di aria fresca e cercare di scacciarsi di dosso quella strisciante sensazione di inquietante brivido freddo che gli percorreva ogni centimetro di pelle.

Mordecai appoggiò la sua tazza sul piattino con calma attenzione, e incrociò le dita delle mani tra loro, appoggiandosi con i gomiti sopra al tavolo con calma, sembrando per qualche motivo molto più simile ad un’impressione di gentile impiegato di sportello di un qualche ufficio, estremamente esperto nel suo lavoro e pazientemente disponibile, e assolutamente non implicato in cose paranormali come la necromanzia. Stava sorridendo in quel suo modo delicatamente e sinceramente cortese.

«Per molti motivi. Dipende dalla persona con cui sto parlando. Con alcuni ho sviluppato una certa confidenza e una buona amicizia, nonostante inizialmente mi parlassero perché io riferissi alcune cose ai loro cari ancora in vita in tutto e per tutto. O per sistemare altre faccende, che eventualmente potevano essermi compensate dai cari stessi ancora in vita. E quando si parla di compenso, quella è la parte che ha a che fare con quello che potreste definire un ‘mestiere’. In altre occasioni ci sono stati scambi di altro tipo, sì, anche di informazioni. Ma non quelle che forse supponi, Uther. Non si tratta di… spiegare la loro condizione per nutrire una specie di mia morbosa curiosità eventualmente mascherata da scopi di ricerca parascientifica. Erano informazioni totalmente riguardanti la realtà dei completamente e unicamente vivi che voi stessi conoscete.»

«Hum… e immagino che occorrerà molto tempo, per sbrigare queste conversazioni…  post-mortem… vista la numerosità dei tuoi ‘clienti’.» constatò Uther, tornando a far scorrere lo sguardo sulle numerose immagini incorniciate. Sfortunatamente per lui, a Danny non fece una buona impressione doversi ricordare, pur senza guardarli, quanto numerosi fossero quei volti ritratti.

«Oh, non particolarmente. In realtà, diversi di loro magari non hanno desiderio o necessità di comunicare con me per mesi o anni. Il tempo per loro è molto più relativo che per noi.» rispose Mordecai.

«Già… o forse dopotutto l’aldilà non è tanto entusiasmante da fornire spunto per tante chiacchiere.» commentò salacemente Uther.

«Chi ha mai parlato di ‘aldilà’?» replicò tranquillamente Mordecai.

«Potremmo concentrarci su altro, per favore?» si ritrovò a domandare Danny, ora decisamente col tono di chi ne ha notevolmente bisogno.

«Sì, certo. Mi dispiace.» disse Mordecai. «Se preferisci, potremmo spostarci al piano di sopra.»

«Non ci sono ritratti anche lì?» chiese Uther.

«No. La parte del piano di sopra è destinata al mio uso abitativo personale. E i miei clienti sono perfettamente consapevoli del fatto che questa è l’unica stanza dove vengono ricevuti.»

«Non ricevi molte visite, vero? Da parte di… ‘completamente vivi’, intendo…» domandò ancora Uther, in tono sottilmente significativo.

Danny gli scoccò un’occhiataccia, ma notò che Mordecai stava sorridendo un po’ più simpaticamente divertito, come se apprezzasse quel tipo di provocazione.

«Non al di fuori del mio orario di ricevimento per quella parte dei miei clienti, no, in effetti. Immagino vi riferiate alle condizioni di questa stanza. Ma non è per far scena davanti allo sguardo di chi desidera comunicare con i suoi cari e non può più farlo senza il mio aiuto, posto che esso possa effettivamente permettere loro di farlo, il che dipende da moltissimi fattori… soprattutto relativi alla condizione di coloro con cui desiderano comunicare, e per il resto essenzialmente dal loro carattere e dai rapporti che hanno con chi vuole comunicare con loro… per cui questa stanza è così isolata rispetto alla luce esterna. In parte, è per permettermi di vedere chiaramente l’eventuale accendersi anche solo debolmente delle luci per una richiesta di comunicazione, e in parte è per creare un ambiente più confortevole per una comunicazione più intima e confidenziale e tranquilla. Alcuni di loro, inoltre, hanno sviluppato una curiosa auto-convinzione di percepire ambienti poco illuminati come più idonei a loro. Ad ogni modo, di solito in piena estate raramente ricevo richieste di appuntamento da completamente vivi. Naturalmente, voi non siete miei clienti, ma ho piena intenzione di aiutarvi per il vostro problema. Che temo non sia solo vostro… e che purtroppo… Ad ogni modo, gli amici di Kumals, e particolarmente nel vostro caso, sono miei amici. Potrete fare su di me pieno affidamento, per tutto ciò che mi sarà possibile fare. Per potervi dire in che cosa potrò effettivamente essere d’aiuto, avrò bisogno di qualche ora per riflettere accuratamente. E, in ogni caso, vale per ora e per il futuro, nel caso doveste tornare ad essere miei lieti ospiti qui…» e qui Danny si rese conto che Mordecai stava guardando in particolare lui ora «Posso assicurarvi senza dubbio questo: con l’eccezione di quel fantoccio che purtroppo vi ha intrappolato e che si spacciava per me, chi entra vivo qui esce altrettanto vivo, e chi vi accede non più completamente vivo, nelle uguali condizioni lascia comunque questo luogo.»

Prima di accorgersene, Danny stava tirando un profondo e udibile sospiro di sollievo. E quando si ritrovò concentrati addosso l’occhiata di Uther tra l’incuriosito, il sorpreso e il piuttosto divertito, e quella intenta e quasi altrettanto gentilmente e sagacemente simpatetica di Mordecai, sospirò di nuovo ma stavolta in modo arreso. Rinunciando persino al sentirsi di nuovo imbarazzato, si limitò ad appoggiarsi pesantemente con le braccia e la fronte sul tavolino davanti a lui.

Ma rialzò la testa, stupito, quando udì improvvisamente una risata breve ma particolarmente cristallina e incredibilmente vitale oltre che sinceramente divertita, e si rese conto che apparteneva al necromante. Quel necromante che sembrava a vedersi un comunissimo impiegato da uffici postali di un’altra epoca, un’epoca dove forse a volte le persone onestamente e umanamente semplici, poteva forse essere che lo fossero genuinamente in profondità, e che indipendentemente dall’arte o dal lavoro che avessero scelto di praticare – o chissà, forse proprio e anche per quello – erano esattamente la stessa persona, che fossero o meno nel loro luogo di “lavoro artigianale”.

 

 

Soundtrack: Dormono sulla collina (Fabrizio De André)

(perché, trattandosi di storie di persone non più in vita, non potevo non pensare a ‘Antologia di Spoon River’ di Edgar Lee Masters)

 

 

Note dello scribacchiatore: anche se temo che questo capitolo mi sia venuto scritto in maniera piuttosto… avviluppata su se stessa diciamo?... e che possa quindi risultare un po’ pesante alla lettura, per quanto lo abbia riletto (e comunque risistemato, insomma, ci ho provato eh? :p), continua per il momento a piacermi abbastanza così… mi sembra uno stile abbastanza adatto al personaggio di Mordecai, alla sua casa e alla sua… già, “arte” ;p

Ed ecco ancora due dei ‘4 di picche’ “in action” in combo… io li trovo sempre divertenti.

Ed ecco (per chi se lo fosse dimenticato da quando l’ho scritto in una nota precedente, non che abbia comunque un’importanza capitale ricordarselo) il completamento del gioco speculare di cui vi avevo detto, alias: come abbiamo avuto le ‘conversazioni pre-mortem’, ecco quelle ‘post-mortem’ ;)

Al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 37
*** 36 - La cliente ***


Capitolo 36

(LA CLIENTE)

 

Danny era estremamente grato di essere finalmente uscito dalla casa-laboratorio di Mordecai, e con Uther lo spiava appena di sottecchi mentre camminavano affiancati lungo la via quasi deserta, si stava godendo appieno tutto quanto: dalla luce solare del tramonto estivo al caldo tepore d’essa sulla pelle, e persino i rumori e gli odori di quel lato antico della città di Tairans che un tempo era stato più propriamente un quartiere-ghetto ebraico, semplicemente perché persino quelli erano inequivocabili segni di vita che scorreva tranquillamente attraverso le ore, dimenticandosi sovente di contarle magari.

Rimase piacevolmente stupito anche dalla domanda che gli rivolse Uther dopo un poco, giusto perché gli dava segno che ora anche lui si preoccupava almeno di quel tanto di verificare che tutto fosse abbastanza a posto relativamente alla loro effettiva situazione di potenziale pericolo.

«Nessun sentore di mezzi lupi, a parte te naturalmente, nelle vicinanze?»

E Danny sogghignò appena tra sé e sé, perché naturalmente l’inspirare a pieni polmoni l’aria esterna gli aveva chiaramente permesso di verificare anche quello, e il risultato faceva parte appieno, viste le circostanze, del modo in cui si stava godendo quella sorta di passeggiata.

«No. A quanto pare non ci hanno ancora trovato.» rispose, con una certa dose di soddisfazione.

«Ed è perché siamo estremamente in gamba quando si tratta di seminare mezzi lupi, oppure perché sono mezzi lupi con una capacità di seguire le tracce da due soldi?» si informò Uther, con fare rilassatamente discorsivo, ma un sorrisetto sogghignante sulle labbra.

Danny sorrise di nuovo un poco. «Forse… semplicemente entrambe le cose.» commentò con distratta tranquillità.

Nel quieto silenzio che seguì, mentre continuavano a camminare con calma affiancati, Danny si ritrovò a pensare alle ultime rassicuranti parole che aveva loro rivolto Mordecai mentre li congedava: a riguardo di come avrebbe approfondito ulteriormente la faccenda di ciò che gli avevano raccontato, si sarebbe fatto venire alcune idee e avrebbe sviluppato alcune accurate analisi, e si sarebbe recato da loro l’indomani per parlarne ancora e meglio. Si sentiva piuttosto rinfrancato, anche se era difficile stabilire esattamente per che cosa al momento: forse perché avrebbero avuto almeno un’altra opinione dalla loro, oltre che un’altra persona che potesse concentrarsi sul problema con una certa esperienza lucida e calma, o forse perché dopotutto e banalmente non sarebbe più stato l’unico “esperto in fatto di mezzi lupi” nella faccenda lì presente a Tairans, o ancora perché l’incontro fissato per l’indomani con Mordecai non gli avrebbe richiesto di ritornare in quella stanza piuttosto buia e dalle pareti e soffitto cosparsi di ritratti. Rabbrividì al solo pensiero, e Uther parve accorgersene.

«Ancora mi sembra incredibile… che dopo tutto quello in cui siamo incappati come ‘4 di picche’, tu possa essere così impressionato da dei… ritratti.» osservò, come se gli avesse letto nel pensiero, o come se avesse giusto intuito il motivo di quel suo rabbrividire inquieto.

Danny lo guardò per un breve momento. «Anche a me, a dire la verità. Ma era come… una sensazione per contrastare la quale non riuscivo a fare niente. Forse è solo come ha detto Mordecai. Forse è solo una questione puramente istintiva da mezzo lupo…» commentò infine, alzando le spalle.

Gli sembrava quasi superfluo, ora, starne a ricercare troppo motivo e significato, quando non doveva più subirla nel presente o nell’immediato futuro.

«Anche se… a ripensarci…» aggiunse tuttavia «Preferirei credere che Mordecai sia solo una specie di visionario, o che stesse mentendo, magari semplicemente per prenderci in giro o qualcosa del genere.»

Uther emise un leggero verso divertito. « È quello che ho pensato all’inizio. E comunque non è da escludere del tutto. Ma… dopo un po’ ho avuto la sensazione che facesse sul serio. Anche se probabilmente ci sono molti modi per poter creare quell’effetto di luci e tutto il resto, e chi inganna le persone per mestiere recitando la parte a dovere per farsi pagare, beh, di solito sa abbastanza il fatto suo da risultare credibile. Però… se così fosse, sarebbe strano che tu ti sia sentito così a disagio, no? Insomma, ne abbiamo visti di tizi e tizie che si presumevano chissà cosa, e aldilà dello scetticismo di cui abbiamo sempre fatto tesoro nelle nostre… già, sortite da ‘4 di picche’… beh, tu stesso hai detto che non avevi mai provato nulla del genere prima. A meno che non sia solo l’effetto postumo di quella roba che ci ha dato da bere il falso Mordecai. O forse quello vero non ci ha narcotizzato ma ci ha dato qualcosa che ha aumentato in qualche modo la nostra soggezione, e tuttavia non quadrerebbe col fatto che ti sei sentito così già prima di bere il secondo tè, oppure che io non mi ci sia affatto sentito a quel modo.»

Danny ora lo stava fissando, sinceramente incuriosito. Raramente aveva sentito Uther dilungarsi così tanto in qualche discorso, e non poté fare a meno di sospettare, visto il comportamento dell’altro negli ultimi giorni, che ci fosse qualcosa sotto.

Uther registrò il suo sguardo con un solo breve e fugace spostamento delle pupille. «Ma comunque, visto che si presume ci dovrebbe dare una mano, sarebbe meglio decidere una volta per tutte se pensiamo che sia un visionario completo oppure qualcuno che sa quello che fa.» osservò allora semplicemente, permettendo a Danny di cogliere il punto.

Danny notò allora che Uther sembrava decisamente più propenso ad accogliere finalmente la prospettiva di chiedere aiuto a qualcuno in generale, e soprattutto a qualcuno che non avesse fatto parte dei ‘4 di picche’; e sperò intensamente che non fosse quello ad essere solo un effetto postumo del narcotizzante. L’altra opzione, era che semplicemente Uther avesse apprezzato le prime impressioni a riguardo di Mordecai, il che, se da un lato poteva rendere molto più facile collaborare col necromante, dall’altro lato non lo entusiasmava particolarmente, se non altro perché in fondo continuava a preferire aspettare l’arrivo di almeno Kumals.

Danny sospirò appena e alzò brevemente le spalle, commentando solo «Se non altro, almeno non dovrò tornare là dentro, non a breve perlomeno.»

Uther si limitò ad emettere un piccolo sornacchio divertito a mo’ di commento.

Dopo qualche altro minuto di silenzio, Danny esclamò di punto in bianco «Ecco chi mi ricorda!»

Uther gli gettò uno sguardo sorpreso, alzando appena le sopracciglia, tra l’ironico e il complicemente divertito. «Chi? Mordecai?»

Danny lo guardò con quell’ingannevole convinzione, data da eccessivo entusiasmo, che chiunque a cui ci si stia rivolgendo stia automaticamente capendo immediatamente di che cosa si sta parlando. Annuì in fretta per confermare, e aggiunse con una certa vittoriosa soddisfazione «Quel personaggio di quella serie… ‘Buffy the Vampire Slayer’*… come si chiamava, accidenti…?»

Uther sbatté appena le palpebre, continuando a fissarlo con un sorrisetto ancora più divertito ma anche più significativo, e di colpo Danny parve imbarazzato come se avesse realizzato qualcosa.

«Beh… ne ho vista qualche puntata dal Conte…» spiegò Danny, passandosi una mano dietro la nuca, decisamente meno entusiasta «Sai, lui mira a collezionare tutta la filmografia, bibliografia e via dicendo che tratti di vampiri… Non poteva mancargli quella serie televisiva… Anche se la sua opinione in proposito è che tratti del vampirismo in maniera troppo puerile per la maggior parte del tempo…»

«Stai cercando una giustificazione, Danny?» gli chiese Uther, sogghignando appena sotto i baffi.

Danny gli lanciò un’occhiata e crollò le spalle, prima di borbottare «Hum… sì, decisamente sì.»

Uther ridacchiò appena e sommessamente, e dopo qualche istante e un lieve sospiro, disse solo una parola «Doc.»

Danny lo spiò come se sospettasse di aver sentito male. «Come?»

Uther fece una vaga smorfia di tenue sorriso, tra il rassegnato e il dolentemente ironico. «Mi sembra di ricordare che il personaggio a cui ti riferisci si chiamasse Doc. A meno che non mi confonda con la serie di ‘Ritorno al futuro’**» aggiunse, fingendo brevemente una scherzosa espressione riflessiva come se il dubbio fosse davvero così significativo.

Danny rimase per lunghi istanti in silenzio, guardandolo fisso e trattenendosi solo in parte dallo sbattere le palpebre per lo stupore e, probabilmente, per lo sforzo di cercare di comprendere meglio dallo studio dell’espressione dell’altro quanto stesse cercando di prenderlo in giro.

Alla fine Uther sospirò di nuovo e ammise a sua volta «Anch’io ne ho viste diverse puntate di quella serie.»

Danny continuò comunque a cercare sospettosamente qualche accenno di ironia bugiarda nella sua espressione, pur sapendo che quando Uther voleva mentire, anche solo a scopo ludico, lo sapeva fare perfettamente.

Ed Uther aggiunse, senza attendere la domanda ma come se l’avesse perfettamente intuita dalla sua espressione «Me le ha propinate Kumals, sostenendo che avessero un contenuto potenzialmente istruttivo.»

Danny aggrottò un poco la fronte, in un incerto e ancora più sospettoso sforzo di concentrazione interrogativa. «Qualcosa di… ‘istruttivo’?» ripeté, perplesso.

Uther gli gettò un’occhiata con un sorrisetto di compunta rassegnazione piuttosto divertita, continuando a camminare con le mani in tasca. «Quando mi sono rifiutato di vederne altre puntate e ho insistito nel chiedere a Kumals che cosa ci fosse mai da poter “imparare” guardando quella roba, mi ha detto… ‘Chiaro! E’ pieno di vampiri. Ed ecco, rappresenta benissimo come non sono i vampiri. Sono molto peggio!’»

Danny osservò la smorfia sempre rassegnata ma ora anche abbastanza infastidita di Uther, e non sapendo se tutto quello gli faceva più venir da ridere o da abbandonarsi ad una nuova incredulità riguardo a Kumals e al suo pretendere di aver visto dei “veri” vampiri, si risolse a dire «Non fa una piega, almeno secondo Kumals. Io non ho mai visto dei vampiri “veri e propri” comunque… ma a me Kumals ha detto che non potrei nemmeno averne sentito l’odore, dal momento che sostanzialmente non ne hanno alcuno, non proprio, tutt’al’più riflettono gli odori di ciò che sta loro intorno…»

Uther alzò appena le spalle. «Non so nemmeno se esistono i vampiri, al di fuori delle affermazioni di Kumals. Potrebbe essere solo uno dei suoi modi di scherzare...»

Danny sorrise un poco tra sé e sé, tutto sommato affettuosamente. «Potrebbe tranquillamente essere così.» commentò semplicemente, prima di lasciar cadere un silenzio che, con sua stessa sorpresa, suonò decisamente più confortevole di tutti gli altri che c’erano stati tra lui e Uther negli ultimi giorni.

Dopotutto, l’inattendibilità voluta di Kumals quando decideva di prendersi gioco di qualcuno di loro poteva benissimo essere un punto sul quale concordare senza bisogno di spendervi troppe parole.

 

***

 

Una volta accomiatati i suoi due ospiti, Mordecai tornò nella stanza più ampia del piano terra della sua casa, che fungeva sia da sala ricevimento dei clienti che da laboratorio e cucina, e si lasciò cadere su una delle poltrone radunate attorno al tavolino con una leggera dose di abbandono e un po’ meno di quella compunta precisione chirurgica con la quale solitamente eseguiva ogni movimento.

Pur se non aveva nemmeno gettato un’altra occhiata nella confusione di oggetti che regnava ancora per la stanza, provocata dal “fantoccio” che aveva avuto anche la malaugurata idea di imprigionare i suoi due nuovi conoscenti nonché amici e colleghi di Kumals, si sarebbe detto che il lungo e tutto sommato comunque calmo sospiro rassegnato che emise dopo un poco fosse dovuto proprio a tutto quello.

Dopo essersi limitato ad osservare per qualche lungo silenzioso momento semplicemente il tavolino davanti a lui, emise un altro genere di sospiro, più breve e paziente, e si raddrizzò meglio con la schiena sulla poltrona, che avvicinò nel contempo al tavolo. Una volta assunta quella posizione più elegantemente composta, si tolse gli occhiali dalla montatura sottile, e iniziò a pulirne meticolosamente le lenti con un fazzoletto che si era tratto dal taschino della giacca del suo completo. Gli occhi chiusi e un’indecifrabile espressione di tranquilla meticolosità dipinta sul volto, sarebbe stato incerto dire se si stesse rilassando e recuperando calma e concentrazione, oppure ordendo chissà quali complicati piani.

Quando ebbe risistemato occhiali e fazzolettino da taschino accuratamente ripiegato al loro posto originale, riaprì gli occhi, lo sguardo calmo e concentrato con un che di professionale e abituato, apparentemente rivolto a nulla in particolare. Sollevò quindi le braccia, piegandole, e appoggiò le mani aperte e a palmo in giù sulla tovaglia del tavolino, dicendo solo, apparentemente rivolto solo al quieto silenzio della stanza che lo circondava – silenzio che eppure sembrava vibrare di qualcosa di sottile in attesa, che pizzicasse l’aria appena e con la grazia di un delicatissimo suonatore di qualche strumento a corda lieve come una sorta di arpa: «Molto bene.»

Come se quelle parole costituissero in realtà una specie di formula magica, davanti a molti dei ritratti che ricoprivano le pareti e il soffitto della stanza le lucine iniziarono a riaccendersi, qualcuna fiocamente e timidamente, qualcuna più energicamente, altre con un ché di compassata lentezza elegante.

«Prima di tutto… avrei bisogno di rivolgervi una domanda. E prima di tutto vorrei parlare con chi saprebbe darmi una risposta.» annunciò allora Mordecai, la voce tranquilla e perfettamente piana, eppure anch’essa, come se fosse perfettamente adattata all’atmosfera di quella stanza tanto da appartenervi per qualità innata, lievemente vibrante di qualcosa che poteva solo a malapena sembrare un’emozione pacata, ma soprattutto un’acuta e sensibile intelligenza accorta. Il suo sguardo era ancora rivolto dritto davanti a sé, come se non stesse guardando nulla di particolare, o come se stesse fissando dritto dritto nei suoi stessi pensieri, o forse in qualche mondo altro.

Alle sue parole, quasi tutte le lucine che si erano accese o che si andavano accendendo parvero emettere qualche bagliore lievemente diverso, come una sorta di risposta, o come se fossero state pervase da una specie di incuriosita attenzione.

Sebbene non le stesse affatto guardando, Mordecai annuì lentamente e brevemente, in qualche modo con un che di grato e gentile, come se le sue aspettative di mutuo rispetto avessero trovato la soddisfazione che si aspettava, con fiducia ma anche una certa severità paziente e ferrea.

«La domanda è questa: che cosa sta succedendo qui?»

Le lucine davanti ai ritratti vibrarono di nuovo di una diversa moltitudine di accendersi o spegnersi, di accentuarsi o affievolirsi, come se tra quella folla d’esse si fosse diffuso una sorta di intenso chiacchiericcio. Mordecai rimase fermo e in silenzio, perfettamente calmo e impassibile come una sfinge, o come un gatto infinitamente paziente capace di attendere per ore prima di decidersi a spiccare il balzo decisivo su una preda adocchiata. Pareva si fosse dimenticato del tempo che scorreva, o che per lui avesse perso di importanza, come se si basasse su altri calcoli tutti suoi. Se qualcuno glielo avesse chiesto – e una volta Kumals lo aveva fatto con la sua intrattenibile curiosità piena di candore apparente – Mordecai avrebbe risposto solamente: ci vuole una pazienza quasi inimmaginabile con chi non appartiene più del tutto e interamente al mondo dei viventi.

Dopo lunghi minuti di svariate danze di lucine lungo le pareti e il soffitto della stanza, che avevano disegnato un susseguirsi di sfumature luminose e chiaroscuri sui lineamenti sempre immobili di Mordecai, qualcosa sembrò cambiare nel loro agitarsi. Iniziarono a spegnersi: qualcuna più nettamente e d’improvviso, qualcuna affievolendosi molto lentamente, qualcuna con una singolare indecisione di riaccendersi e spegnersi, ma indubbiamente quelle che rimanevano accese erano sempre di meno. Mordecai non parve cogliere la cosa con nessuna reazione anche solo della sua espressività facciale: era ancora semplicemente come se attendesse con infinita pazienza e nulla lo potesse turbare, né tantomeno stupire; o forse, si aspettava che sarebbe accaduto esattamente quello.

Dopo qualche altro tempo, una sola lucina rimase accesa, mentre tutte le altre si erano definitivamente spente. Mordecai rimase comunque fermo per svariati altri minuti, come se stesse cercando di vincere assolutamente e con larghissimo vantaggio una sorta di gara a chi dimostrava la maggior assenza di sollecitudine o impazienza, o qualsiasi altro genere di emozione.

Solo dopo lunghi altri minuti, finalmente Mordecai si mosse di nuovo. Si alzò dalla sedia, e si girò su se stesso, camminando con calma fino al piano cucina che occupava una piccola parte del lungo bancone, e una volta raggiuntolo iniziò a scaldare l’acqua per preparare un tè. Quella che in altro contesto sarebbe sembrata un’azione assolutamente ordinaria, per qualche motivo che probabilmente aveva molto a che fare con un’impalpabile lieve sensazione che chiunque fosse entrato nella stanza non avrebbe potuto fare a meno di percepire, o forse anche per la meticolosa estrema tranquillità e precisione con cui Mordecai la stava eseguendo, aveva un che da rituale particolarmente importante e segreto. Quando Mordecai constatò che l’operazione sarebbe risultata un poco più impegnativa del previsto per via della confusione disseminata dal fantoccio che per settimane aveva messo a soqquadro la sua abitazione pretendendo di essere lui, uno dei suoi sopraccigli si incrinò appena, intaccando solo per un fugacissimo istante la sua espressione per il resto neutra ed estremamente nonché impassibilmente tranquilla.

Una voce si udì nella stanza alle sue spalle, poco dopo quella minima perturbazione della sua espressione, e la commentò come se chi parlava avesse potuto coglierla perfettamente nonostante lui desse le spalle al resto della stanza. «Davvero sgraziata creatura, quella che deve aver scombussolato con tanto caos insensato la sua casa.» disse la voce, come se avesse perfettamente inteso, e non avesse dubbi su questo, che cosa stava infastidendo Mordecai.

Questi inclinò appena un angolo delle labbra, in un sorriso leggero e colmo di un sentimento ambiguo, tra la distanza imperturbabile e il sincero affetto, lo sguardo diligentemente abbassato sull’acqua disposta sulla fiamma all’interno di un contenitore, sebbene non vi fosse alcun bisogno del suo intervento per i prossimi minuti, finché l’acqua non fosse giunta alla temperatura di ebollizione.

«Ero sicuro che anche lei avrebbe trovato riprovevole questa confusione, signorina Azaziel***.» si limitò a rispondere Mordecai, la voce così tranquilla che pareva stesse parlando in qualità di esperto ad un corso di come esprimersi il più neutralmente possibile.

Dopo lunghi istanti di silenzio, la voce si fece udire di nuovo. Era una voce femminile, piuttosto bassa d’intonazione, e dal suono ottuso come se provenisse dall’altra parte di una qualche parete frapposta, e il ritmo delle parole aveva qualcosa di indefinibilmente singolare. Per il resto, tuttavia, sembrava una voce d’impronta arguta e colloquiale.

«Per quello che ne posso ritenere, quella creatura capace di tanta maleducata intromissione ha meritato in pieno ogni cosa che le è accaduta.»

Di nuovo un angolo delle labbra di Mordecai si inclinò in un lievissimo accenno di sorriso, troppo fugace e minimale per poterne cogliere appieno la corretta sfumatura, che era tuttavia diversa dalla precedente, e aveva qualcosa di più familiare, appena divertito, e tuttavia severo. «Suvvia, Azaziel. Non spetta certo a lei dare certi giudizi.» osservò molto cortesemente.

Dopo un altro lungo silenzio, la voce replicò con un lieve accenno di ironia «Oh, e a chi spetterebbe dunque? Conosco la sua risposta, Mordecai. ‘A nessuno.’ direbbe certamente lei. E qualcosa come ‘ogni volta che sprechiamo un giudizio è come dunque se rubassimo qualcosa che non ci appartiene’. Ma dal momento che è qualcosa che non appartiene a nessuno, come sarebbe possibile rubarlo?»

Mordecai non rispose, ma il silenzio sembrò tuttavia calare con naturalezza, come se fosse esso stesso una risposta in qualche modo. Si limitò a finire di preparare il tè, prima di girarsi di nuovo su se stesso con due piattini in mano, ognuno recante la sua tazza e il suo cucchiaino e una zolletta di zucchero bianco.

C’era una figura seduta ad una delle sedie del tavolino, ma Mordecai evitò accuratamente di guardarla direttamente come se fosse sua precisa intenzione, sebbene dovesse pur intravederla almeno con la coda dell’occhio, mentre si avvicinava e appoggiava le due tazze una proprio davanti alla figura e una davanti alla sedia sulla quale poi lui stesso si accomodò con garbata eleganza di movimenti calmi.

La donna non si mosse di un solo millimetro.

Che fosse una figura femminile si poteva appena dedurre solo da alcuni tratti della sagoma intuibili al di sotto dell’abito: un prodotto di sartoria che sembrava risalire a fine ‘800 o forse primi ‘900, foggia inglese e stile vittoriano, completamente nero e inequivocabile nel suo essere un vestito da lutto, adatto per partecipare in modo adeguato in quell’epoca e in quella latitudine del globo ad un funerale se si era una delle parenti più strette di chi era defunto. La pesante stoffa nera ricopriva completamente la figura celandola completamente, poiché le mani erano coperte da un’accoppiata di guanti e il capo da un cappellino dotato di un velo di pizzo nero che spioveva a tendina da tutta la lunghezza della circonferenza della tesa, la lunga gonna si drappeggiava fino al pavimento, e da sotto i lembi di quest’ultima spuntava appena la punta di scarpe chiuse. Il tutto dava l’impressione di essere stato acquistato in blocco in piena era vittoriana da un negozio inglese dalla rinomata clientela elegante e generosamente rifornita nella cultura oltre che nel portafoglio; e il tutto era della stessa identica tonalità di nero profondo e indiscutibile.

La donna continuò a restare così completamente immobile che sarebbe potuta benissimo esserci in realtà una statua di cera al di sotto di quell’abito, tanto più perché era un’immobilità che aveva qualcosa di non esattamente adatto ad un vivente. Solo uno sguardo particolarmente acuto e preciso sarebbe forse stato in grado di scovare il particolare che rendeva quell’immobilità così innaturale, perché era assai difficile riuscire a scorgere, al di sotto dello spesso strato di stoffa confezionata per non essere troppo sconvenientemente aderente, la totale assenza a livello del busto dei movimenti prodotti dalla respirazione.

Mescolando lentamente il tè nella sua tazza dopo avervi immerso la zolletta di zucchero, con lo sguardo sempre abbassato sulla tazza e mai rivolto alla figura seduta quasi perfettamente di fronte a lui, Mordecai rimase ancora un poco in un quieto silenzio, in qualche modo grave e riflessivo, prima di parlare di nuovo.

«Lei sa bene, signorina Azaziel, quanto io tenga in grande considerazione il nostro discorrere a proposito di qualsiasi argomento possa essere di comune interesse. Tuttavia, in questo momento c’è una questione a proposito della quale mi premerebbe in modo particolare confrontarmi con lei, avendo, come sempre ho, grande stima della sua opinione su qualsiasi faccenda, e in particolar modo quando si tratta di un argomento come quello di questa portata.»

Dopo qualche momento, la figura mosse un braccio con lenta calma, portando la mano guantata alla tazza, prendendola per il manico e sollevandola per portarsela al volto. Se qualcuno avesse guardato direttamente la tazza, avrebbe notato uno strano fenomeno e avrebbe sospettato di avere le allucinazioni, ma a giudicare dal suo contegno si sarebbe detto che il signor Mordecai, nonostante non stesse in effetti fissando direttamente il movimento, fosse perfettamente consapevole di quello che doveva pur stare cogliendo con la coda dell’occhio, e che lo trovasse perfettamente consueto. L’immagine della tazza vibrò e, mentre la mano guantata della donna la prendeva e sollevava, si sdoppiò effettivamente, come se fossero di colpo diventate due tazze perfettamente identiche: una rimase al suo posto sul piattino, mentre l’altra, che pareva uscita dal corpo della prima, seguì il percorso verso il viso velato della donna, stretta nelle sue dita guantate e ottimamente piegate in modo da impugnarla secondo un certo costume di etichetta, il dito mignolo dritto e sporto all’infuori.

La donna tenne sospesa la tazza per qualche momento di fronte al suo viso, poi la riappoggiò sul piattino, senza che si udisse nemmeno un accenno del tintinnio che comunemente produce questo gesto.

Se qualcun altro avesse assistito a quella singolare scena, avrebbe potuto dedurre due cose. La prima apparteneva alla categoria di cose che può capitare di vedere forse a qualcuno nel corso della sua vita e, salvo la possibilità di decidere fermamente di avere le traveggole, bisogna in qualche modo venire a patti col fatto di averle pur viste, che piaccia o meno: quella figura ammantata di nero si era portata al volto non la tazza vera e proprio poggiata davanti a lei, bensì una sorta di fantasma della tazza stessa. La seconda era una valutazione molto più semplice di cui prendere atto: la tazza da tè era completamente vuota. E così Mordecai stesso l’aveva servita alla sua ospite, ovvero senza versarvi del tè. Questo, non certo perché Mordecai fosse solito giocare scherzi o essere volutamente maleducato con i suoi ospiti, tutt’altro: sapeva bene che cose come fissare direttamente la figura di certi suoi ospiti, od offrire loro vero cibo o bevanda, era quanto di più maleducato e indelicato si potesse fare nei loro confronti.

Da dietro il pizzo nero che celava completamente il volto della figura provenne il suono di un piccolo e delicato schiocco di labbra, tipico di chi gusta qualcosa con piacere. E poco dopo la signorina Azaziel disse «Mordecai, lei vuole lusingarmi? Mi offre il mio tè preferito e così tanti complimenti, quando sa perfettamente che anch’io adoro conversare con lei e la avvertirei di ogni eventuale pericolo che potrebbe toccare da vicino lei, i suoi interessi, o le persone a cui tiene.»

Mordecai sorrise leggermente ed in modo talmente sussiegosamente composto da risultare pressoché ingessato. Tuttavia, dalle piccole rughe che si intravidero discretamente ai lati dei suoi occhi, si sarebbe detto un accenno di sorriso estremamente sincero.

«Lei mi conosce, signorina Azaziel. Non è certo perché dubito della sua leale amicizia nei miei confronti che ci tengo ad essere particolarmente gentile con lei, in queste nostre conversazioni. Ma temo, da quello che ho appreso nelle ultime settimane, e dalle informazioni che lei stessa ha potuto raccogliere, che la situazione sia sempre più complicata e pericolosa. Il disegno che si sta disvelando, mano a mano che un evento si aggiunge ad un altro, e che molti altri accadono al di sotto della superficie della spudorata eloquenza già da prima che io, o qualcun altro che possa darvi la giusta attenzione e il giusto peso, ne veniamo a conoscenza, lascia intendere che saremo messi di fronte a un pericolo serio e grave. E mi rendo perfettamente conto in tutto questo che lei, signorina Azaziel, sta compiendo da settimane un notevole sforzo nel rimanere così concentrata sugli eventi che si stanno muovendo su questo piano dell’esistenza al quale anch’io appartengo. Così come mi rendo perfettamente conto che nulla la costringerebbe a farlo, tanto più considerando quanto per lei sia stancante.»

Per qualche lungo momento seguì solo il silenzio alle parole di Mordecai; ma egli attese senza alcun segno di dubbio o inquietudine o impazienza, come se potesse attendere anche per sempre. Semplicemente attese, come se qualsiasi cosa fosse successa sarebbe stata da lui accolta semplicemente come tale, e come se anche se non fosse accaduto nulla e tutto il resto dell’eternità fosse rimasto congelato in quell’istante comunque non avrebbe rappresentato per lui un grave problema. Una delle cose che quel genere degli ospiti di Mordecai non tollerava assolutamente era la mancanza di pazienza; per loro sembrava essere alla stregua di dimostrare nel modo più infimo e terribile possibile quanto non li si rispettasse, e su un piano di gravità tale che ‘prenderla sul personale’ sarebbe stato un pallidissimo eufemismo.

Quando parlò di nuovo, la signorina Azaziel lo fece con tono particolarmente calmo e attento, e tuttavia c’era in sottofondo una nota di lieve divertimento cristallino, come se appartenesse alla creatura più innocente e candida del mondo, e allo stesso tempo impersonale come se fosse lo stesso tipo di divertimento che avrebbe potuto scorrere sulla superficie di un’anima genuinamente capace secondo propria natura di uccidere chiunque senza provare alcun tipo di emozione a riguardo.

«La ringrazio per la sua cortesia, Mordecai. Ma bando alle formalità, mio caro. Sa bene che questo genere di cose tendono a divertirmi un poco, a loro modo. È ormai chiaro che una trama così complicata e articolata non può che essere stata ordita da qualcuno che sa il fatto suo molto bene. Da più d’uno, in realtà. Tuttavia, aldilà della mia ammirazione per cotanto ingegno… ecco: questa confusione che ha fatto qui quella creatura di terracotta e i suoi pasticci… mi lasciano profondamente turbata. Voglio dire, questo sembra un vero spreco d’ingegno. E io deploro le sbavature così conclamate e distratte quando si tratta di un lavoro che andrebbe eseguito nel modo più preciso possibile.»

La signorina Azaziel tacque, e con molta eleganza riprese la tazza dal piattino e se la portò di nuovo davanti al viso. Tutto avvenne esattamente come prima, a riguardo della tazza fantasma e del tè che non c’era, e per via dell’imperturbabilità di Mordecai, che continuava a non fissare mai direttamente la figura e sembrava perfettamente abituato a quel genere di scena. Non meno abituato appariva a quel genere di discorsi, a come tendevano a perdere il filo e a prolungarsi e diluirsi. La concezione che certi suoi ospiti avevano del passare del tempo era molto diversa da quella di un completamente vivente, e così lo era il modo di pensare e di parlare e di esprimersi, soprattutto a riguardo di un certo filo logico di argomenti. Ma sapeva bene che la signorina Azaziel aveva voluto a suo modo rifondare un punto non indifferente, e che in qualche modo gli aveva risposto esattamente.

Se da un lato nel ‘detto e non detto’ di quella loro conversazione Mordecai le aveva indirettamente chiesto se lei fosse disposta ad aiutarlo ancora da lì in poi con una certa costanza, d’altra parte lei gli aveva ricordato a chi lo stava chiedendo. Ad una donna che, quando era stata completamente in vita, e quando ancora non si faceva chiamare Azaziel, era stata capace di uccidere il marito diluendo con pazienza per molti mesi minuscole dosi di veleno nel tè che gli preparava, e in seguito di presentarsi al suo funerale immedesimandosi completamente e senza alcun problema nella parte dell’affranta vedova. La signorina Azaziel, nome col quale aveva scelto di farsi chiamare da Mordecai, quando era ancora in vita era stata condannata e giustiziata per quell’assassinio solo diversi anni dopo, quando, dopo aver viaggiato in ogni parte del mondo fino a esaurire tutto il suo patrimonio, si era presentata in un commissariato di Scotland Yard a Londra dichiarando tranquillamente di aver assassinato il marito anni prima e spiegando come lo aveva fatto. Una sola cosa si era sempre rifiutata di dire: il perché. E una sola cosa aveva sempre negato: di aver mai anche solo ritenuto di doversene pentire.

Mordecai aveva appreso l’intera storia solo da una discendente del marito ucciso, una pronipote che credeva abbastanza in cose non del tutto terrene da rivolgersi a lui per chiedergli di contattare quella che poi si sarebbe fatta chiamare signorina Azaziel, per chiederle perché avesse assassinato il marito. In una sola conversazione con Mordecai, la signorina Azaziel gli aveva perfettamente fatto intendere che se non lo aveva mai detto quando era ancora completamente in vita il motivo del suo gesto, di certo non lo avrebbe nemmeno detto in quel momento, né mai. L’unica cosa che aveva detto che Mordecai poteva riferire alla giovane donna che si era scomodata così tanto per sapere perché avesse ucciso il marito era stata: ‘Perché se l’era pienamente meritato.’.

Da quel momento in poi, Mordecai aveva qualche volta invitato di nuovo la signorina Azaziel per una conversazione semplicemente perché, come a volte accadeva con alcuni dei suoi clienti non più completamente viventi, trovava interessante discorrere con lei. Solo in seguito si era accorto che la signorina Azaziel era particolarmente brava a celare estremamente bene una notevole e arguta intelligenza, nonché una grande capacità, che solo pochi non completamente viventi mostravano, di percepire con particolare sensibilità e acutezza alcune delle cose che accadevano sul piano dei completamente viventi. Che riuscisse a comunicarle a lui in maniera del tutto comprensibile era tutt’altra questione, poiché per i non completamente viventi tradurre in pensieri logici e parole di linguaggio dei viventi ciò che percepivano era particolarmente arduo. D’altro canto, era qualcosa che toccava loro fare solamente quando comunicavano con un completamente vivente, e per tutti coloro che occasionalmente dialogavano con Mordecai questo poteva avvenire solo ed esclusivamente quando comunicavano lui. Una delle regole fondamentali delle arti di un necromante era che i non completamente vivi coi quali dialogasse non stessero comunicando con nessun altro completamente vivente, per evitare che essi diventassero un mezzo per sapere cose gli uni degli altri tra completamente viventi, o per dirgliele, o per scoprirle. Era un principio insradicabile nell’arte di Mordecai, quello di non sfruttare mai i suoi clienti non completamente viventi per nessuno scopo.

Ma la signorina Azaziel era ‘la’ cliente. Quella che gli aveva detto, in una delle loro prime conversazioni, che lei stessa avrebbe finito per approfittare invece di lui, del suo permetterle di percepire alcune cose che accadevano nel piano dei completamente viventi. ‘Per non annoiarsi’ aveva detto. E tempo dopo, in una delle altre poche ma importanti occasioni in cui Mordecai le aveva chiesto opinioni a riguardo di faccende del mondo dei completamente viventi, poiché chiedere direttamente informazioni non era qualcosa di accettabile, e in ogni caso sarebbe stato pericoloso considerando le qualità dei non completamente viventi di finire per forza per storpiare – volutamente o involontariamente – ogni cosa percepissero in quel piano di realtà alla quale non appartenevano più in nessun modo, la signorina Azaziel aveva aggiunto ‘Si è mai chiesto, signor Mordecai, se non sia più lei il mio cliente, che io la sua cliente? Ma vede, lo scambio diventa dunque paritario. Lei può avere le mie opinioni, e io posso non annoiarmi.’

In qualche modo, quelle poche parole sembravano aver sancito tra loro una sorta di accordo che, sebbene potesse essere reciso da entrambi in qualsiasi momento, aveva sempre avuto una natura in qualche modo solenne. Così, ogni loro conversazione pareva un incontro molto educato tra due sfingi che sanno benissimo che muovendosi potrebbero scatenare potenzialmente una tempesta di sabbia, che nulla le potrebbe trattenere dal muoversi se solo lo volessero, che potrebbero decidere di scatenare la tempesta anche solo per capriccio momentaneo, e tuttavia continuano a non farlo per inspiegabile motivo, e per altrettanto intangibile motivo continuano semplicemente a dialogare come se, facendolo, si incantassero reciprocamente l’una del discorso dell’altra.

«Temo che la situazione si complicherà ulteriormente, purtroppo.» disse ancora la signorina Azaziel, di punto in bianco. Il suo tono era talmente scevro di ogni ombra di sentimento che non avrebbe potuto che suonare inquietante.

Mordecai nascose perfettamente la sua curiosità, e si limitò a prendere un altro sorso di tè con aria compassata.

«E sono sicura che lei ne è perfettamente consapevole, Mordecai.» proseguì la figura ammantata di elegante nero d’altri tempi.

Dopodiché, Mordecai la notò alzare molto lentamente un braccio, aprendo la mano e tenendola sospesa a mezzaria, le dita guantate che si muovevano appena, come se stessero accarezzando invisibili figure nell’aria. Il tono con cui parlò di nuovo pareva più assorto, in una concentrazione fredda. «Questo è solo la superficie. La trama è ben più profonda. Le forze che si stanno concentrando non sono di quel tipo che possano essere strette nelle maglie della logica volontà. Non sono ammaestrabili, in nessun senso, in nessun caso. Sarebbe sciocco pensare il contrario. Ma chi sta ordendo trame per liberarle usa appieno la sua logica dal punto di vista strategico. E… »

La mano guantata si spostò seguendo il comando del braccio, girandosi finché non fu sommariamente diretta verso la terza sedia vuota presso il tavolino. Mordecai seguì il gesto con la coda dell’occhio con meticolosa attenzione, lo sguardo attento; nonostante dalla sua espressione compunta non stesse traspirando molto più che una cortese attenzione, si era dimenticato di smettere di tenere le dita di una mano attorno all’impugnatura della tazza di tè, sebbene non stesse più bevendo.

«…è come se la morte si stesse concentrando. Una nuvola scura all’orizzonte. Di profondità insondabile. Questo è solo il tuono prima della vera e propria tempesta. Bazzecole, per dirla in altro modo.» proseguì la signorina Azaziel. «La morte… ha una natura molto profondamente radicata. La natura di morte, la reca chi sedeva in questa sedia poco fa. Quella creatura reca due nature doppie, di vita e di morte. Saprebbe riconoscere a fiuto l’odore della morte, sebbene non saprebbe mai definirla in parole con una qualsiasi superficiale definizione umana, che non arriva che a dipingersela con l’immaginazione. E chi sedeva qui ne conosce così appieno la natura poiché è almeno per metà insito nella sua natura recarla senza ulteriori fronzoli, snudata nella sua essenza capace di travolgere ogni cosa, e trasformarla irreversibilmente.»

Mordecai lasciò andare il manico della sua tazza di tè e appoggiò la mano sul tavolo. La testa della figura completamene rivestita di nero si voltò verso di lui, come se avesse percepito un cambio nel suo stato d’animo. E quando gli si rivolse, il suo tono aveva assunto un ché di compartecipe e lievemente sorridente. «Oh, non si preoccupi, Mordecai. Non sto dicendo che il mezzo lupo che sedeva qui potrebbe avere malevole intenzioni nei suoi confronti. Tutt’altro. Quello che intendevo dire è che, proprio perché la morte è nella sua natura, inseparabilmente, egli saprebbe districarsi molto bene persino attraverso la tempesta che si sta addensando sull’orizzonte. Ma è lontano dall’essersene consapevole. E le sue due nature di vita non passeranno mai del tutto illese. L’unica cosa che una creatura del genere non può proprio tollerare è la concezione del nostro attuale stare dialogando. Oh sì, l’ho sentita. La sua natura si contraeva come se questo luogo la stesse lancinando da dentro. Ma mi creda, non l’ho in alcun modo presa come un’offesa. Fa semplicemente parte della sua natura. La mia era piuttosto un’acuta curiosità. Non ho mai percepito nulla del genere così da vicino. Non ho mai visto una natura del genere così talmente da vicino.»

La signorina Azaziel tacque, e con tranquilla posatezza di movimenti mosse di nuovo il braccio, stavolta per portarsi nuovamente la tazza vuota al viso. Quando la ebbe riappoggiata sul piattino, tornò ad alzare il volto completamente celato dal pizzo nero in direzione di lui. «Signor Mordecai. Per il rapporto di amicizia che ci lega, le garantisco che avrà la mia completa collaborazione, per aver a che fare con la tempesta che si sta approcciando al vostro mondo. Per quanto mi riguarda, può contare su questa mia promessa pienamente.»

Mordecai annuì lentamente. «La ringrazio, signorina Azaziel. Quanto potrà fare, sarà sicuramente estremamente utile e prezioso, come sempre. Le sono profondamente grato.»

La testa della figura femminile si mosse in un tenue cenno di assenso. Dopodiché, la voce proveniente da dietro il pizzo nero aggiunse «La ringrazio per il tè e per l’interessante conversazione. Come sempre, Mordecai, è un piacere discorrere con lei.»

Mordecai annuì di nuovo. Quindi si alzò, raccogliendo la sua tazza e il suo piattino, e voltò le spalle al tavolino, raggiungendo il lavandino sul bancone per riporveli, il tutto muovendosi molto lentamente, come se avesse bandito ogni sorta di fretta dai suoi gesti. Quando, sempre con gran lentezza, tornò a girarsi, la figura ammantata di nero era scomparsa.

Mordecai piegò le braccia e incrociò le mani all’altezza del petto, osservando distrattamente il tavolino. La sua espressione si corrugò decisamente, come se si fosse repentinamente immerso in accurate e preoccupate considerazioni tra sé e sé. Le lucine disposte davanti a tutti i ritratti lungo le pareti e il soffitto della stanza rimasero spente, e il silenzio parve diventare più denso e assorto su se medesimo, come se una preoccupazione intenta e inquieta fosse discesa in tutto l’ambiente, come se stesse cercando di sentire impalpabili rumori rivelatori di qualcosa di maestosamente temibile che si stesse potenzialmente avvicinando di soppiatto.

 

Soundtrack:

Don’t stop (Foster the people) – per la prima parte del capitolo

Living dead girl (Rob Zombie) – per la seconda parte del capitolo

 

Note per la comprensione (o più che altro, in questo caso, disclaimers):

*BUFFY THE VAMPIRE SLAYER: è una serie televisiva realmente esistente. E nonostante ne abbia guardato solo alcune puntate, mi deve essere rimasto impresso il personaggio di ‘Doc’ (uno dei villain che compare nella 5° stagione) per ragioni misteriose, al punto che quando mi è venuto fuori il personaggio di Mordecai l’ho immaginato con riferimento all’aspetto di questo personaggio (anche se il carattere del villain originale non me lo ricordo per niente, e comunque non credo proprio quello di Mordecai possa corrispondervi), e peraltro solo facendo qualche ricerca per poter citare correttamente questo disclaimer ho scoperto (non lo ricordavo) che anche l’originale Doc di Buffy aveva a che fare con la necromanzia… (devo aver associato il suo aspetto a personaggi necromanticihemvabbhé).

** RITORNO AL FUTURO (in originale BACK TO THE FUTURE): è una serie di film che… beh, se già non li conoscete… è un cult! E uno dei protagonisti era l’indimenticabile personaggio di Doc (niente a che vedere con quello della serie sopra-citata, e se dovessi scegliere tra i due il mio idolo sarebbe sicuramente questo Doc ;) )

***AZAZIEL: questo nome mi è saltato fuori da chissà dove nella mia testa, ma mi suonava fin troppo familiare con qualcosa che dovevo aver sentito da qualche parte… così ho fatto come di consueto le mie brave ricerche per fornire correttamente eventuali disclaimer. E stavolta si tratta di una sorta di “disclaimer parziale”, perché non è esattamente la stessa parola… ma poco ci manca. Troppo poco per non fare un disclaimer comunque. Anche perché a quanto pare il mio collegamento inconscio non è troppo casuale… Infatti ‘Azazel’ è il nome di un personaggio che compare nei testi sacri ebraici, ma io devo averlo assorbito da ‘Il maestro e Margherita’ di Bulgakov. Comunque il personaggio di questa storia non ha nulla a che vedere con quello di Azazel, ne ho solo ripreso il nome (modificato) perché… perché sì, e basta :p

LA CLIENTE: il titolo, che si riferisce come avrete capito alla seconda parte del capitolo (la prima è sostanzialmente giusto un intermezzo), merita un altro onesto mio disclaimer… dal momento che uno dei film che mi colpì annissimi fa è ‘The client’ (regia di Joel Schumacher, tratto dal romanzo di John Grisham), anche se trama e contenuto non hanno niente a che vedere con quello di questa storia.

 

Note dello scribacchiatore: capitolo lunghissimo, e ci ho pure messo un sacco a metterlo on-line. A mia “discolpa” dirò che ci ho messo tanto perché rivederne la seconda (e principale) parte è stato un lavoro un po’… notevole. Ovvero ho litigato con la mia stessa scrittura di getto per cercare di renderla almeno un po’ meno pesante e ridondante, nonostante sia volutamente così di base perché… beh, questo è lo stile della signorina Azaziel in fondo. Spero sia tutto sommato leggibile, come al solito (e con magre speranze). Al prossimo capitolo gente!

 

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Capitolo 38
*** 37 - Life less ordinary ***


Capitolo 37

(LIFE LESS ORDINARY)

 

Danny osò rilassarsi un po’ di più contro il lato della finestra aperta dell’appartamento. Iniziava a sentirsi meglio. Forse era solo il scivolare via degli eventi delle ultime ore, o il fatto che aveva fatto una lunga doccia e mangiato, o quel po’ di birra che aveva accettato di bere, dopo che Uther aveva tirato fuori le lattine da non sapeva bene dove. Sospettava che, se mai si fosse dato la pena di chinarsi nella camera da letto, ne avrebbe trovato una generosa scorta sotto al letto.

«I nostri angeli custodi sembrano più irritati del solito.» udì Uther notare.

Lo guardò per un momento. Sedeva come lui, a cavalcioni del bordo del davanzale, la schiena appoggiata all’opposta cornice della finestra, in una mano una lattina di birra semivuota che stava muovendo in distratti movimenti circolari, facendo ballare ritmicamente il liquido all’interno.

Danny abbassò lo sguardo sulla strada, illuminata dalla calda luce del sole al tramonto. Più giù, c’era ancora un certo via vai di gente. Nessuno si dava la pena, fortunatamente, di alzare lo sguardo per vederli sedere a quel modo a cavalcioni del davanzale; sospettava che con quello stile avrebbero potuto rompere un po’ troppo la quotidianità ripetitiva di Tairans, e attirare fin troppa attenzione. Cosa che, sospettava ancora più fortemente, avrebbe piuttosto divertito Uther.

Il suo sguardo si concentrò sui due mezzi lupi in sembianze umane che li tenevano sott’occhio da dietro il solito angolo di una delle strade perpendicolari alla via su cui si affacciava la finestra. E sorrise appena, tra sé e sé. Oh sì, avevano decisamente un aspetto particolarmente innervosito, e li stavano fissando come se non potessero scacciare del tutto da loro il recondito timore che lui e Uther potessero da un momento all’altro metterli in difficoltà, magari eludendo la loro sorveglianza come avevano fatto nel corso della giornata con i loro predecessori.

Danny si riproiettò per un momento in testa l’immagine di quando avevano visto questi due loro nuovi sorveglianti di turno riconoscerli, quando lui e Uther erano tornati nei pressi dell’appartamento. Mentre i due mezzi lupi li guardavano con un misto di sospetto, nervosismo e notevole irritazione, Danny aveva scoccato loro un’occhiata superiore, alzando un po’ più il mento, e rallentando un poco l’andatura. Raramente si sentiva nella modalità in cui darsi delle arie lo faceva sentire meglio, ma quella volta era stato esattamente così. Per ore i tirapiedi di Mara non avevano avuto alcuna idea di dove lui e Uther si fossero andati a cacciare, e lui poteva ben immaginare che diversi di loro fossero stati costretti ad aggirarsi per tutta Tairans alla loro febbrile ricerca. E se da un lato non erano state delle ore esattamente piacevoli, tra il finire narcotizzati e incatenati in una cantina dove erano stati costretti a venire a patti con la contemplazione di una lenta morte per stenti, Danny sapeva che i loro sorveglianti non potevano sapevano, e dunque, tutto ciò che potevano sapere era che lui e Uther si erano abilmente liberati della loro sorveglianza, facendoli fessi per un bel po’. Vittoria loro. Come se fosse della stessa identica opinione, subito prima di infilarsi dentro la porta della casa dove si trovava l’appartamento Uther si era voltato improvvisamente verso di loro, e aveva loro rivolto un cenno con una mano, a mo’ di saluto chiaramente sbeffeggiante, salutandoli con un «Heylà, ragazzi.» decisamente ironico, che aveva peraltro fatto girare qualche passante nella loro direzione, facendoli ulteriormente innervosire e rendendo i loro sguardi ancora più rancorosi. E con sua stessa sorpresa Danny si era sentito sfuggire una breve risata sinceramente divertita. Per buona misura, prima di seguire Uther attraverso la porta aveva lanciato alle loro due sentinelle uno sguardo breve ma deciso, tutt’altro che divertito e anzi di avvertimento estremamente serio; giusto per ricordare ai due che se fosse saltato loro in mente anche per un solo momento di infrangere gli ordini di Mara e provare ad attaccare lui o Uther, Danny si sarebbe personalmente assicurato con tutte le sue forze e intenzioni che aver infranto un ordine di lei e doverne subire la punizione sarebbe stato l’ultimo dei loro problemi.

«Oh sì, lo sembrano decisamente.» concluse, soddisfatto, prendendo la sigaretta che si era sistemato dietro l’orecchio un po’ prima, e accendendosela.

Uther emise un conciso sornacchio approvante, e bevve un sorso dalla lattina di birra, prima di afferrare il sacchetto di pezzi di pizza al taglio dalla tavola che avevano avvicinato alla finestra, e porgerlo verso di lui, offrendogli implicitamente ciò che avanzava del contenuto d’esso. Danny declinò l’offerta scuotendo appena la testa, e l’altro lo riappoggiò con un corto lancio sulla tavola.

Danny ripensò all’aiuto che aveva loro promesso Mordecai. L’indomani poteva rivelarsi un’altra lunga giornata. Le ore scorrevano, e lui sapeva che non mancava che una settimana alla notte in cui Mara e complici si sarebbero scatenati per tutta la tranquilla e ignara Tairans. Non aveva bisogno di indovinare quale fosse esattamente la notte; lui non poteva sbagliare, in quanto mezzo lupo, così come non poteva sbagliare chiunque conoscesse la natura dei mezzi lupi. Se Kumals non fosse arrivato nemmeno il giorno seguente, avrebbe dovuto farsi venire in mente qualcosa. Sperava che Mordecai avrebbe avuto abbastanza buone opinioni da aiutarli almeno a formarsi una panoramica diversa, qualcosa che non fosse un’unica strada senza uscita in cui un nutrito branco di mezzi lupi stesse per scatenarsi per quella sonnacchiosa cittadina incolume. D’altro canto, non poteva ingannarsi troppo al riguardo: Mordecai poteva essere un necromante e un amico fidato di Kumals, ma dopotutto era un essere umano, e quando si doveva affrontare un mezzo lupo l’unica cosa veramente valida da scegliersi, se si poteva farlo, era un altro mezzo lupo. Il che riduceva il conteggio a lui solo.

Spiò un momento verso Uther, e poi verso il fucile appoggiato sul tavolo. Si chiese come potessero apparire dall’esterno: un tizio dalla buona mira quando si trattava di usare il fucile, e con diversi trucchetti intelligenti che all’occorrenza poteva tirar fuori dal metaforico cilindro, e lui con il suo essere un mezzo lupo che aveva finito per scegliere la socialità invece che una vita solitaria, e con esseri umani piuttosto che con altri mezzi lupi. Sorrise appena tra sé e sé, in una smorfia di divertita e relativamente stanca consapevolezza. Non sapeva se, se avesse dovuto scommettere, avrebbe puntato un gran ché su una squadra così, anche includendovi Mordecai. Non quando si trattava di affrontare un branco di mezzi lupi impazziti guidati da Mara in persona. Anche se quello che sedeva sull’altro capo del davanzale con aria tranquilla era stato capace, tanto tempo addietro, di colpire di striscio al fianco con un colpo di fucile e un quanto mai adatto proiettile d’argento un mezzo lupo nel bel mezzo di uno scatto fulmineo; anche se lui era forse una delle poche persone viventi che Mara, in qualche suo recondito modo, forse persino temeva, giusto un poco. Non esattamente perché si sentisse minacciata da lui, almeno non fisicamente parlando; ma non poteva fare a meno di tenerlo in conto, e lui sapeva che era così dopotutto, anche se lei non l’avrebbe mai e poi mai ammesso.

«Che c’è?» udì Uther domandargli. Doveva aver osservato la sua espressione, che a pensare a Mara e compagnia doveva essersi piuttosto incupita di preoccupazione.

Lo guardò e scosse appena la testa, tornando a fissare la strada distrattamente. «Nah, niente.»

Dopo un breve silenzio, Uther gli si rivolse di nuovo in tono ugualmente calmo e colloquiante, ma con una punta di scherzo. «Stai pensando che forse dopotutto una vita più normale non sarebbe stata male?»

Danny tornò a fissarlo, anche se Uther stava tenendo sott’occhio le due sentinelle giù in strada.

Prese fiato con calma. «Se proprio dovesse pensarci seriamente, credo che giungerei alla conclusione che non vorrei mai aver avuto una vita diversa.»

Uther lo spiò appena di sbieco, alzando un poco un sopracciglio. «Sul serio?» domandò, poco convinto, come invitandolo implicitamente ad essere più sincero.

Danny sorrise un poco tra sé e sé, e scosse la testa. «Sul serio. Sai… ho questo strano ricordo, così singolare che potrebbe sembrare una specie di strano sogno o una storia particolarmente improbabile inventata da qualcuno e che non è in realtà mai accaduta. Di un tizio che mi ha sparato, tempo addietro, e poi si è dato la pena di seguirmi nel bosco, sapendo bene che un mezzo lupo ferito può essere particolarmente deciso a staccare la testa a chi lo ha colpito con un dannato proiettile d’argento…»

Lo sguardo di Uther era tornato su di lui, attento e sorpreso.

«Ma lui niente.» continuò Danny, guardando la sua sigaretta accesa, un sorriso tenue ancora aleggiante sulle labbra «Anzi, si è pure messo alla mia mercé, privandosi dell’unica cosa che poteva difenderlo, il fucile. E si è persino offerto di darmi una mano a sopravvivere mentre la ferita guariva. Ho sinceramente pensato che dovesse essere completamente pazzo. Ne ero convinto, anzi. Non poteva essere altrimenti. In seguito, mi ha persino presentato i suoi amici. E a dirla tutta anche loro non sembravano meno fuori di testa. Sembrava anche che volessero proprio fare amicizia con un mezzo lupo che aveva attaccato un paio di loro solo un paio di settimane prima o giù di lì. Ma la parte più assurda di tutto questo, è che quel tizio ha fatto tutto ciò come se fosse la cosa più spontanea e naturale del mondo. Così come i suoi amici. E… sai cosa?»

Danny rialzò lo sguardo su di Uther, e dopo un momento lo vide fargli un cenno con la mano che impugnava la lattina, per dirgli di continuare. Nonostante i suoi modi apparentemente tranquilli, il suo sguardo era profondamente concentrato su quello che stava dicendo, e la sua espressione intenta, mentre cercava di immaginare evidentemente dove sarebbe andato a parare con tutto quello.

«Col tempo mi sono fatto l’idea che questo tizio potesse addirittura avere ragione.» disse Danny, abbassando lo sguardo sul posacenere appoggiato sul davanzale davanti a lui, mentre vi spegneva il mozzicone della sigaretta. «Che sia davvero la cosa più spontanea e naturale del mondo.» terminò, tornando a guardarlo.

Uther rimase in silenzio per qualche lungo momento. Infine si schiarì appena la voce, e gli lanciò uno sguardo significativamente e complicemente ironico. «Vuoi la mia opinione?» chiese retoricamente. «Non credo che dovresti dare tanto credito a gente così assurda.»

Danny emise una breve risata cristallina. «Sì, probabilmente è un buon consiglio.»

«Inoltre, continuo a pensare che persino un mezzo lupo potrebbe desiderare avere una vita più ordinaria.» disse ancora Uther, tornando a guardare fuori dalla finestra.

«Come no.» ribatté Danny, ironico. «Qualcosa con una casa e una famiglia, un lavoro, una religione, e uno stipendio?» elencò.

«D’accordo. Magari non stavo esattamente suggerendo il quadro perfetto per morire di noia.» concesse Uther.

«Lo spero bene.» interloquì Danny. «Ero pur sempre un punk.»

«Tu sei tutt’ora piuttosto punk.» notò Uther con un breve schiocco di lingua, lanciando uno sguardo significativo al suo abbigliamento costituito da una vecchia maglietta dei ‘The Clash’, i jeans scuri con qualche strappo e gli anfibi slacciati ai piedi penzolanti dal davanzale, per finire sull’orecchio bordato dalla serie di piercing a forma di piccoli anelli in successione.

«Oh… beh… » sospirò Danny, scuotendo la testa con un leggero sorrisetto «Una volta ero un rappresentante un po’ più degno dello stile… un po’ più comunemente punk. Per quanto sia chiaramente un ossimoro, chiaro.»

«Suvvia… nemmeno l’avessi inventato tu il punk.» commentò Uther, sogghignando un poco.

«Il punk non l’ha inventato nessuno di preciso.» corresse automaticamente Danny.

«Guarda lì… non si può nemmeno scherzare sull’argomento, eh?» lo punzecchiò Uther.

Danny piegò un angolo delle labbra, divertito. «Perché, questo ti fermerebbe dal farlo?»

Uther finse di rifletterci sopra per qualche istante. «Nah. Non credo.» rispose, con una piccola scrollata di spalle.

«Ad ogni modo, non ho mai incontrato un altro mezzo lupo punk. Il che è un po’ demoralizzante.» fece Danny, fissando di nuovo in strada, mantenendo il tono leggero della conversazione.

«Non credo che… anche volendo sorvolare sui tuoi consimili locali…» osservò distrattamente Uther «Esista un altro mezzo lupo come te, Danny.»

Danny tornò a guardarlo. Dopo qualche momento, sorrise lentamente, divertito, e disse «…E… questa è una considerazione obbiettiva o più un’opinione strettamente personale?»

Uther girò le pupille di scatto su di lui spiandolo lateralmente, sorpreso da quell’aperta provocazione. E infine accettò la sconfitta, scuotendo un poco la testa e sogghignando appena, gentilmente. «Okay. Touché.» concesse, alzando il braccio e porgendogli la mano col palmo aperto verso l’alto, sul quale l’altro gli batté un sommario cinque con la propria.

Danny sorrise, riconoscendo il gesto e ricordando che, quando i ‘4 di picche’ erano effettivamente operativi, quello era un gesto usuale tra lui e Ramo quando riuscivano ad improvvisare un tandem di battute complice particolarmente ben riuscito, o alla fine di qualche tentativo più o meno azzardato e rocambolesco e non meno improvvisato che era fortunosamente riuscito a tirarli fuori da qualche inghippo particolarmente pericoloso durante i loro interventi di “lavoro”. Tanto più quanto lo scambio di battute o l’azione di concerto che li aveva tolti dai pasticci era davvero risultata improbabile, tanto più Kumals roteava gli occhi o li alzava al cielo vedendoli scambiarsi quel gesto, anche se aldilà della sua supposta esasperazione gli sfuggiva spesso un sorrisetto. Una volta che avevano discretamente rischiato di combinare un disastro, ma che era comunque andato alla fine tutto bene, vedendoli fare così Kumals era sembrato sul punto di esplodere contro di loro con un’irata sequela di rimproveri e improperi, e allora Uther gli si era affiancato e gli aveva porto la mano all’insù, con un fare così perfettamente sospeso tra il fintamente innocente e il provocatorio che Kumals si era limitato ad emettere un lungo sospiro rassegnato, seppure propendendo piuttosto per prendergli il gomito e spingerglielo via nel gesto di mandarlo a quel paese. Cosa che Uther aveva comunque preso come una vittoria, a giudicare dal modo in cui aveva rivolto a Danny e Ramo un occhiolino, mentre Kumals voltava loro le spalle e si allontanava come se avesse deciso che non vederli per qualche ora fosse per lui il minimo necessario per sbollire la rabbia. Yuta e Zoal avevano il loro personale modo di cercare comunque di far desistere Kumals dall’iniziare quella che si preannunciava come una colossale ramanzina collettiva; Yuta era solita riuscire a chinarsi e a tirare un cinque sul palmo della sua mano prima che lui se ne accorgesse, mentre Zoal preferiva rifilargli leggeri colpetti con la punta del bastone sul lato di una scarpa, richiamando la sua attenzione il tempo sufficiente per rivolgergli uno sguardo che gli richiedeva significativamente di far appello al suo lato più paziente e lasciar correre un poco. Anche se molte volte Kumals tendeva a riprendere Yuta con un’occhiataccia fulminante o a scostarsi di lato per allontanarsi dal punzecchiare del bastone di Zoal e rivolgerle un’implicita preghiera che suonava più o meno di solito come un «Per favore… Zoal? Almeno tu?»

Il sole finì di scomparire dietro l’orizzonte, e la calda notte estiva iniziò a calare placidamente su Tairans, mentre Danny e Uther assistevano allo spettacolo dalla loro posizione esclusivamente privilegiata, senza aggiungere altro.

 

***

 

Danny si rigirò per l’ennesima volta su un fianco, nella sua metà del letto matrimoniale, e spiò la sagoma di Uther che occupava l’altra metà, dandogli le spalle. Non era ancora persuaso che fosse una buona idea dormire entrambi, abbandonando il turno di tenere sott’occhio i mezzi lupi che facevano loro “la guardia” fuori. Anche se entrambi erano notevolmente stanchi, e forse gli ultimi effetti del narcotico con cui erano stati buttati giù come sacchi di patate quel giorno, solo l’ultimo di una serie di giornate affatto tranquille, stavano ancora avendo il loro corso su di loro. E anche se era molto ragionevole ritenere che Mara non avrebbe ancora osato attaccarli direttamente, facendo incursione con una squadra di mezzi lupi in piena notte nel bel mezzo di una città, svegliando sicuramente tutti e rendendo definitivamente palese che stava accadendo qualcosa di troppo strano perché Tairans non dovesse decidere immediatamente di mettersi in allarme; il che sarebbe stato potenzialmente controproducente per i grandiosi progetti di conquista del mondo a partire da quella cittadina.

Ad ogni modo, non era solo quell’incertezza a tenerlo sveglio, in quel momento.

Ascoltò il respiro di Uther, rilevando che probabilmente anche l’altro non stava esattamente dormendo. Optò comunque per chiamarlo piano, per dargli la possibilità di fingersi addormentato.

«Uther?»

«Sì?» giunse dopo qualche momento la risposta.

Danny esitò, ma si costrinse poi a continuare. Doveva risolvere quella cosa, prima o poi. E sebbene teoricamente potevano esserci momenti migliori di quello, d’altro canto era stato proprio quel giorno che si era aperto uno spiraglio, mentre pensavano di stare avendo a che fare con le loro ultime ore di vita da centellinare mentre aspettavano di morire di stenti incatenati in una cantina. Dopotutto, era in sospeso da ormai chissà quanto tempo. Non che Danny fosse così ingenuo da pensare che sarebbe bastato quello che stava per dire per risolvere realmente quella questione, ma doveva comunque dirlo.

Prese fiato con calma. «Lo sai che ti voglio bene, vero? Voglio dire… aldilà di tutto…»

Seguì un lungo e compatto silenzio completo. Danny iniziò a risolversi ad accettare che probabilmente non gli avrebbe mai risposto, ma che almeno lui aveva detto quel che doveva, quando il tono dell’altro risuonò con grande calma.

«Sì. Lo so.»

E Danny realizzò che forse si era inconsciamente aspettato, per qualche strano motivo, che Uther potesse essere capace almeno in alcuni frangenti di non essere così estremamente telegrafico e scontato.

«Okay. Bene, allora…» disse, non avendo idea di che altro dire, e ponderando che forse poteva cavarsela con un semplice ‘buonanotte’. Uscita magra, ma non trovava altro di sensato da dire, a tutti gli effetti. Anche volendo tralasciare quanto non vedeva l’ora che quel momento passasse; e limitarsi a dormire sembrava una buona soluzione.

«Questo significa che sono perdonato per averti tirato addosso oggetti per buona parte della notte, un paio di notti fa?» udì di nuovo Uther dire.

Stupito, tornò a guardarlo, anche se tutto ciò che poteva fissare era in effetti la schiena che ancora gli rivolgeva. Non era un grande indizio su quale potesse essere la sua espressione al momento, ma il tono suonava come quel suo tipico miscuglio tra l’ironico, il seriamente sincero e l’incredibilmente privo di scrupoli che gli era alquanto familiare.

«Avevo già detto che eravamo pari… » disse, concentrandosi sulla nota di serietà, l’unica potenzialmente preoccupante a tutti gli effetti.

Uther emise un breve e sommesso verso ironico. «Sì, okay. Ma ora intendo sul serio.»

Danny sorrise appena. «Avresti almeno potuto lanciarmene qualcuna piena di quelle bottiglie di vodka.»

Di nuovo lo udì emettere un suono divertito. «Sarebbe stato vergognoso rischiare di romperla. La vodka è vodka.»

«Nessun rischio. L’avrei afferrata al volo con la bocca.» ribatté Danny, mantenendo l’ironia.

«Questo è puro sfoggio dei tuoi riflessi maggiorati.» fece Uther, scherzosamente accusatorio.

« ‘Maggiorati’…?» ripeté Danny, con una smorfia.

«In ogni caso, io te l’avevo offerta fin dall’inizio, se ricordi.» puntualizzò Uther «E, se ben ricordi, l’hai rifiutata.»

Danny rimase in silenziosa considerazione per qualche istante. «Quello che mi stupisce veramente è che tu ricordi così bene dopo tutta quella vodka.» commentò infine.

«Ma se mi conosci veramente, non dovrebbe stupirti così tanto dopotutto, no?» giunse la tranquilla replica.

«Vero. Era per dire.» ammise Danny.

«Giusto…» concesse Uther, con un che di sorridente nel tono.

«Magari…» aggiunse Danny dopo un poco «Se me la rioffrirai in un giorno in cui non ci siano troppi mezzi lupi in giro che potrebbero attaccarci approfittando della vodka che abbiamo in corpo… la condividerò volentieri.»

Uther emise un breve sornacchio significativo. «Vorrei ben vedere. La vodka è vodka.» ripeté.

«Onestamente… Quella vodka in particolare aveva tutta l’aria di poter testimoniare che era stato fatto un serio torto a quel grano*.» commentò Danny, sogghignando.

«Erano più probabilmente patate.*» osservò Uther.

«Molto probabile. Che sarebbero state molto meglio se usate per una zuppa, piuttosto.»

«Meglio una zuppa corretta.**»

«Cosa ti piace che non sia corretto?» chiese Danny, divertito.

«Poche cose, in effetti…» ammise Uther.

Danny sorrise. «Buonanotte, Uther.» aggiunse dopo un poco, voltandosi sull’altro fianco, e chiudendo gli occhi, rilassandosi.

«Danny?» si udì tuttavia chiamare dopo qualche momento.

«Sì?»

«Anch’io ti voglio bene, aldilà di tutto.»

Danny riaprì gli occhi, incredulo per un momento di sentire tanta placida sincerità pronunciata con quel tono. Poi sorrise, divertito. «A dirti la verità, lo sospettavo.» rispose, in tono lievemente ironico.

«Okay… » fece Uther, dopo un silenzio che era sembrato avere un che di spiazzato e sorpreso «Questo è eccessivo.»

Danny si sentì piuttosto in colpa, anche se nel tono dell’altro c’era un semplice ammonimento tranquillo, a segno che non se la doveva essere presa sul serio. «Sì… mi sa di sì. Scusa.»

Lo sentì emettere uno di quei suoi versi ironicamente divertiti, prima che dicesse semplicemente e tranquillamente «‘Notte, Danny.»

Danny si decise a rilassarsi del tutto, lasciandosi scivolare nel sonno.

 

 

Soundtrack:

Life less ordinary (Carbon Leaf) – da cui anche il titolo del capitolo

Once in a lifetime (Talking Heads)

 

Note per la comprensione:

* GRANO O PATATE? – ora, prendete queste delucidazioni con le pinze perché derivano da qualcuno che così mi ha spiegato in un punto imprecisato della mia vita in una chiacchierata… (e non avevo nessuna voglia di andare a cercarne conferma in giro per il web), ma a quanto pare la vodka può essere ricavata dal grano (versione russa - ed è di migliore qualità) o dalle patate (versione polacca - qualità più bassa, peggiore mal di testa tra i postumi). Ma come ho detto, forse è solo una leggenda metropolitana… o saggezza di strada tra intenditori/trici di sbronze con la vodka? Mah!

** ‘CORRETTO’ – immagino lo sappiate già… comunque in italiano si usa anche nel senso di aggiungere qualcosa di alcolico ad una bevanda (es. il famoso caffè corretto appunto). E d’accordo col caffè ma… la ‘zuppa corretta’?? Ebbene sì, esiste. Almeno secondo certi nonni che (mentre la nonna era voltata in modo che non se ne accorgesse…) aggiungevano un po’ di vino rosso al brodo della zuppa. A parte certi nonni, diverse ricette “della nonna” o “svuota-dispensa” suggeriscono comunque una piccola correzione con vino alla zuppa, quindi io la do per assodata come antica tradizione culinaria ;)

 

Note dello scribacchiatore: Questo era un vero e proprio capitolo di pausa distensiva (e contemplativa?), in un certo senso una prosecuzione della prima parte del capitolo precedente. Ma dal prossimo si ricomincia a fare sul serio più che mai! Brace yourself! ;)

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Capitolo 39
*** 38 - All the things there's no time for ***


Capitolo 38

(ALL THE THINGS THERE’S NO TIME FOR)

 

Danny non aveva alcuna voglia di svegliarsi. Il letto era molto confortevole al momento, e l’incoscienza aveva una gradevolezza alquanto pigra.

Ma nonostante da diversi anni la sua vita fosse stata vissuta in modo piuttosto domestico, per quanto bizzarramente domestico, i sensi e gli istinti della sua parte di lupo avevano un modo di dormire molto diverso dalla sua coscienza umana.

Era qualcosa che aveva imparato già nei primi mesi dopo essere diventato un mezzo lupo, con quella naturalezza costretta con cui la sua nuova natura aveva sembrato poterlo addestrare alla sua nuova vita con un allenamento costante e totalmente privo di concessioni. Non aveva imparato che i sensi di un mezzo lupo in un certo senso non dormivano mai; lo aveva scoperto. Non aveva dovuto cercare di stare al passo; ci si era ritrovato dentro da un momento all’altro e aveva dovuto iniziare a convivervi. E dopo tutti quegli anni, ora gli sarebbe risultato strano e improbabilmente assurdo il dover dormire senza quei sensi in continua allerta in sottofondo. Non sarebbe nemmeno stato più in grado di immaginare esattamente come si dormiva quando si era completamente umani; certo, gli era rimasto un vago ricordo, e ancora poteva concepire razionalmente cosa significasse quando vedeva qualcuno di quelli che conosceva che dormiva, ma non riusciva più a provare la sensazione di quel sonno completo.

All’inizio non riusciva a dormire nel vero senso della parola. Qualcosa nel suo essere doveva ancora capire come venire a patti con quel modo di dormire con i sensi che rimanevano comunque all’erta: la sua testa continuava a processare tutte quelle informazioni cercando di tenervi dietro in modo almeno in parte cosciente, e così non riusciva a dormire sul serio.

Nel giro di qualche settimana dopo che era diventato un mezzo lupo era esausto e provato, e ancora, per quanto ogni fibra del suo corpo desiderasse disperatamente riuscire a dormire sul serio, riposarsi abbandonandosi alla completa incoscienza, per non ritrovarsi così ottuso dalla stanchezza lungo tutte le ore che era sveglio del tutto, non riusciva a dormire completamente nonostante la costante esaustione.

Mara non si era mostrata affatto comprensiva. Aveva riso con la sua aria superiore, deridendolo, dicendo che tutti i giovani mezzi lupi erano sempre terribilmente pigri, e così stupidi da non riuscire nemmeno a capire come si dormisse. Non gliel’aveva veramente spiegato, tutto ciò che aveva detto era che doveva smettere di cercare di capire tutto quanto come se fosse in una classe di qualche scuola, che non c’era nessun metodo, che doveva solo seguire l’istinto. Che ora era una creatura selvatica, e che nessun animale selvatico si può permettere di dormire così profondamente, perché nessun luogo sulla terra è mai sicuro del tutto, quella era solo una sciocca illusione umana, mentre ogni animale selvatico conserva perfettamente racchiusa in sé l’unica cruda verità: la morte potrebbe arrivare in ogni momento, e non si può dormire, se non ci si vuole far sorprendere da essa e morire stupidamente.

Solo col passare dei mesi Danny era riuscito in qualche modo ad adattarsi a quel per lui all’epoca nuovo modo di dormire. Non che avesse sviluppato un metodo o qualcosa del genere. Più che altro, era come se la sua parte di istinto più umano avesse ceduto il ruolo di conduttore delle danze alla parte più da lupo. E per quanto riguardava la sua interpretazione logica, quella aveva a malapena arrancato dietro con un’ipotesi raffazzonata su in qualche modo: forse finalmente aveva imparato con l’esperienza inconscia a distinguere i messaggi che i suoi sensi captavano durante il sonno in maniera abbastanza inequivocabile, a interpretarli quel tanto che bastava per decidere se allarmarsi e svegliarsi o se continuare a dormire e ignorare le percezioni che dovevano appartenere alla categoria delle cose incapaci di nuocergli in ogni caso. Il suo cervello forse aveva imparato a memoria il codice dell’istinto che sapeva lasciar passare oltre tutto ciò che apparteneva ad un sottofondo di percezioni inoffensive, e svegliarlo solo in occasione di qualcosa di fuori posto o di in qualche modo potenzialmente minaccioso.

Tutto ciò che aveva commentato Mara quando aveva notato che durante le ore da sveglio era meno oppresso dall’ottusità di una perenne stanchezza da semi-insonnia che lo aveva perseguitato per i primi suoi mesi da mezzo lupo, era stato un sarcastico ‘Sembra che tu abbia imparato qualcosa di più di come si sopravvive. Bene, era ora!’

Quando si era abituato a convivere con gli altri dei ‘4 di picche’, Danny aveva notato qualcosa di cui, si era reso conto, aveva già perso memoria nel corso dei suoi anni da mezzo lupo: a tutti gli effetti, anche l’istinto puramente umano era in grado di discernere nel sonno tra i rumori di sottofondo familiari e quelli fuori posto in qualche modo.

Certo, non con la stessa esattezza sensitiva con cui erano capaci di farlo i sensi da mezzo lupo, ma comunque… Yuta era capace di dormire anche mentre lui, Ramo, Kumals e Uther chiacchieravano più o meno ad alta voce, e di dormire anche profondamente, ma se solo la porta dell’ingresso si apriva o si chiudeva, eccola aprire gli occhi per vedere chi era arrivato o chi se n’era andato; Uther riusciva persino nelle sue dormite post-sbronza a svegliarsi se percepiva Kumals fare il suo nome in tono critico, o in generale se la voce di Kumals gli si avvicinava, per l’abitudine di quest’ultimo di cercare di fargli qualche scherzo mentre dormiva.

Certe volte però sia Yuta che Uther sembravano fallire: quando erano veramente stanchi e veramente profondamente addormentati, erano capaci di non sentire proprio niente al di sotto di un rumore estremamente forte, a partire da una esplosione di medie dimensioni in poi all’incirca.

Per quanto lo riguardava, Danny aveva scoperto che persino l’istinto di un mezzo lupo poteva essere mediato da una certa esperienza più tipicamente umana e domestica: era capace di essere svegliato da un odore che non conosceva, ma fintanto che gli odori di persone che percepiva erano quelli che gli erano diventati ormai estremamente familiari, Kumals poteva avvicinarglisi e combinargli qualcuno dei suoi scherzi finché voleva, perché non avrebbe considerato il suo odore come in qualche modo pericoloso in senso stretto.

Naturalmente, tutti loro avevano alquanto apprezzato quella sua caratteristica quando l’avevano scoperta, e specialmente Kumals. Da quando Danny era diventato in qualche modo parte dei 4 di picche, gli altri avevano imparato a potersi permettere di dormire profondamente in qualsiasi situazione di potenziale non completa sicurezza durante i loro incarichi, perché al primo segnale di qualcosa di fuori posto Danny si sarebbe sicuramente svegliato, trascinato in un attimo in un’immediata coscienza completa dai suoi sensi di mezzo lupo che non dormivano mai. Kumals aveva una volta commentato qualcosa scherzosamente a proposito del suo fungere da cane da guardia o guardiano del bestiame, ma dopo aver notato il suo non proprio apprezzamento dello scherzo, lo aveva lasciato cadere; la volta seguente, aveva riformulato la cosa sotto forma piuttosto di un commento apprezzante e grato.

Danny non dormiva perciò completamente quella notte, non nel senso convenzionalmente conosciuto da qualsiasi essere umano completo. I suoi sensi che di solito rimanevano all’erta anche durante il sonno si erano adattati perfettamente alla situazione lì presente a Tairans, e lo scoprì senza ombra di dubbio alcuno quando si svegliò di punto in bianco.

Un attimo prima stava ancora inconsciamente combattendo con la scelta tra il rimanere tranquillamente addormentato nella confortevole comodità del letto e del riposo e il doversi svegliare, e l’istante successivo aveva gli occhi spalancati e i sensi completamente all’erta, espansi al loro massimo alla ricerca dell’esatto elemento che aveva scatenato l’istintiva risposta di allarme, ricordandogli che non aveva mai una reale scelta in quel campo: in qualsiasi frangente, il suo istinto avrebbe scelto con totale priorità su ogni altra cosa, come se lo afferrasse per i capelli e lo gettasse dal sonno alla completa veglia, senza se e senza ma.

E riconobbe immediatamente ciò che lo aveva svegliato: l’odore di mezzi lupi.

Rimanendo perfettamente immobile, analizzò meglio l’informazione olfattiva. Naturalmente, poteva sempre appartenere ai due mezzi lupi che dovevano essere ancora là fuori a fare loro la guardia. Ma un momento dopo seppe che non poteva essere così: l’odore era troppo forte e troppo variabile nel suo declinarsi in quello individuale di diversi mezzi lupi. Ed era troppo vicino.

Lentamente scese dal letto, spiando brevemente in direzione di Uther, il quale dormiva russando piano. Si infilò le scarpe e si diresse rapidamente e silenziosamente nel salotto dell’appartamento, avvicinandosi ad ampi passi alla finestra per guardare fuori in strada.

Fu allora che il suono si alzò, risuonando inconfondibile, e Danny raggelò, bloccandosi sul posto.

L’ululato si elevò con la sua tipica nota di crescita di intensità graduale, appena modulata gutturalmente. Come una sorta di canto ancestrale, molto più antico di tutte le costruzioni e concezioni umane che formavano ogni singolo elemento di Tairans e ogni singola abitudine delle vite degli esseri umani che vi vivevano, si alzò nell’aria del silenzio notturno della città dormiente; con quella nettezza sicura che può appartenere a qualcosa che, pur essendo eventualmente in grado di comprendere che non ha nulla che ne renda lecita non solo l’appartenenza ma nemmeno la presenza in quel contesto, non se ne fa nessun problema nel momento in cui è comunque lì e basta.

L’esistere è tutto, senza bisogno di giustificazioni o spiegazioni o contestualizzazioni: quello era il messaggio implicito e nudamente semplice che recava l’ululato. Con una sottile minaccia velata in sottofondo che Danny ebbe la sensazione di poter percepire solo dal momento che poteva allo stesso tempo sia comprendere chiaramente la natura di quel messaggio implicito, sia paventare l’effetto d’esso su una mentalità istintiva umana.

L’ululato si alzava, mentre i rumori della cittadina tacevano; i lupi erano svegli e ululavano, mentre gli esseri umani dormivano avvolti nella loro domestica urbanità.

‘La notte è dei lupi, Danny, non degli umani. E questo non cambierà mai.’ ricordò come dal nulla, le parole punteggiate dalla voce sinistramente spietata e lapidaria di Mara, il tono netto come se si trattasse di una verità incontestabile e cristallina nella sua sicurezza, provenendo da un qualche momento di un passato per lui ora remoto, un frammento di ricordo che non era più in grado di contestualizzare esattamente.

E Danny sapeva perfettamente che tipo di ululato era quello. Era un richiamo, quel tipo di richiamo che i lupi o i mezzi lupi emettevano per segnalare la loro posizione ad un altro di loro attraverso la distanza, allo scopo di incrociarsi nell’immediato futuro.

Sebbene questo ululato fosse stato riconosciuto perfettamente dal suo orecchio come uno di quelli lanciati da un mezzo lupo in forma umana, in grado di imitare molto bene anche con un corpo umano il verso dei lupi veri propri.

E riconosceva perfettamente l’impronta individuale. Era quella di Mara.

Così come comprendeva benissimo a chi era rivolto. Stava chiamando lui.

Ma la distanza da solcare non era molta. A giudicare da quanto fosse risuonato chiaro e vicino l’ululato, amplificato nell’essere riecheggiato dallo spazio a corridoio relativamente stretto della strada bordate dalle case, Mara doveva essere proprio lì fuori; Danny non aveva nemmeno bisogno di affacciarsi alla finestra per saperlo con sicurezza.

La successiva cosa che udì, mentre l’ululato andava lentamente scemando nel suo terminare in discendere, fu un agitato movimento dal letto della stanza accanto. E la successiva cosa che Danny fece, senza nemmeno aver bisogno di riflettere, fu muoversi con la massima velocità consentita dalle sue capacità di mezzo lupo.

Spalancò la porta d’ingresso dell’appartamento dopo aver aperto rapidamente le serrature, e si lanciò oltre la soglia d’essa. Girando su se stesso in un’agile giravolta oltre la soglia, fece in tempo giusto a vedere Uther affacciarsi sulla soglia della camera da letto e fissare lo sguardo su di lui, prima di chiudere la porta e girare nella toppa la chiave che aveva afferrato dalla parte interna della serratura. L’istante successivo, un pesante tonfo dall’altra parte della porta non lo stupì nemmeno per una frazione di secondo, né ebbe bisogno di doversi immaginare che cosa potesse averlo provocato, perché sapeva come se fosse già successo che Uther aveva compreso in pochi istanti che cosa lui stava facendo, e in altrettanto poco tempo si era lanciato dietro di lui cercando di impedirglielo.

«Danny!» gridò Uther dall’interno. Il tutto accompagnato da un paio di pugni contro la porta chiusa. «Che diavolo stai facendo?» lo udì chiedergli, cercando di aprire la porta con la maniglia. E come se fosse già successo, Danny sapeva che lui avrebbe comunque tentato, con le parole e ad aprire la porta già chiusa, anche se entrambi sapevano perfettamente che sarebbe stato completamente inutile.

Danny rimase un momento in silenzio. Non gli veniva in mente assolutamente nulla da dire. Come se fosse inutile in effetti dire qualcosa, più che per il fatto che sapeva perfettamente che non aveva tempo ora per le cose totalmente impossibili, come cercare di convincere Uther ad accettare ciò che sarebbe successo, che stava già succedendo.

Tutto era già stato deciso con estrema facilità, e dopotutto Danny era più veloce di Uther, in quanto mezzo lupo, e i suoi sensi da mezzo lupo non dormivano mai, a differenza di quelli completamenti umani di Uther. No, Uther non aveva avuto nessuna reale chance per impedirgli di farlo, e anche quello entrambi lo sapevano bene, quanto mai bene. Perché ogni volta che contava, ogni volta che Danny decideva che avrebbe fatto contare in quel senso le sue capacità da mezzo lupo contro quelle di un essere umano, nessuno di loro avrebbe mai potuto fermarlo.

«Okay, che diavolo è stato?» domandò Uther attraverso la porta chiusa.

Danny riconobbe lo sforzo nel tono di essere ragionevole. Si sentì come se avesse potuto sorridere un poco, ma non ci riuscì. Era come se fosse rimasto un eco nelle sue orecchie, un eco dell’ululato che era appena risuonato, il richiamo di Mara per lui; e quell’eco non concedeva spazio ad assolutamente nient’altro se non alla cruda consapevolezza che appena fuori da quell’edificio la mezza lupa lo stava aspettando.

Mara era venuta a prenderlo.

Non c’era spazio per un momento di affezionata auto-contemplazione della familiarità che aveva ormai verso i modi di Uther, né per ascoltare oltre i tentativi che sapeva avrebbe fatto, tentativi di ogni sorta per fargli aprire la porta e permettergli di uscire e andare in strada con lui.

Tutto ciò che gli sarebbe venuto da rispondergli era che quella era la sua strada ora, e non più quella di Uther, ed entrambi in fondo sapevano che aveva chiuso quella porta per segnare in modo incontrovertibile proprio quel punto, e che glielo stava imponendo senza il suo consenso; così come entrambi in fondo sapevano perfettamente che niente al mondo gliel’avrebbe fatta aprire.

Per un istante gli attraversò la mente il rapido pensiero che, per la prima volta da quando era iniziato tutto quello, era veramente e profondamente lieto che lì ci fossero solo lui e Uther: sarebbe stata una faccenda decisamente più complicata cercare di tracciare quella linea di demarcazione nel punto che separava la sua strada da quella di tutti gli altri, se gli altri 4 di picche fossero stati lì al momento. No, in quel caso una porta decisamente non sarebbe bastata.

Ma non aveva tempo nemmeno per esitare oltre. L’odore non mentiva. Là fuori non c’era solo Mara.

E da un momento all’altro tutti quei mezzi lupi potevano decidere di non aspettare ancora, di sfondare la porta d’ingresso del condominio e di iniziare a serpeggiare lungo i corridoi, con solo porte troppo deboli per la forza di un mezzo lupo a separarli dalle persone, che pur dovevano essersi svegliate, sebbene non stessero palesando la loro presenza in alcun modo.

Istinto di conversazione, pensò molto brevemente e distrattamente Danny: anche l’istinto umano possedeva abbastanza memoria, sufficiente per dettare che quando si udiva un ululato era meglio non andarvi incontro. L’istinto umano ricordava ancora, anche se le vite molto più recenti degli umani attualmente in vita non l’avevano mai conosciuto, il sapore della paura profondamente istintiva instillata dall’alzarsi del verso di un predatore nato, specialmente nelle ore notturne e silenziose, quando i rumori umani tacevano, ascoltando raggelati e forse limitandosi ad aggrapparsi con tutta la disperata forza di cui disponevano alla sottile speranza che quello non fosse un richiamo del tipo che dava inizio alla caccia, che la preda non fossero loro, che il lupo non stesse venendo per loro.

«E’ Mara.» disse solo Danny, la voce appena abbastanza alta da farsi udire attraverso la porta.

Di nuovo, le labbra cercarono di piegarglisi in un leggero accenno di sorriso amaro, e di nuovo fallirono. L’ironia amara era perfettamente contemplata da lui in quel momento, e tuttavia non riusciva a provarla davvero. Non c’era abbastanza spazio, non c’era abbastanza tempo; e in ogni caso sembrava solo qualcosa di puramente facoltativo.

Non c’era spazio per niente che non fosse immediatamente essenziale.

Mara avrebbe potuto prendersi il disturbo di lanciare un secondo richiamo se non l’avesse visto comparire presto, così come il rumore successivo che avrebbe potuto udire avrebbe potuto tranquillamente essere quello della porta del condominio che veniva sfondata e dei passi di diversi mezzi lupi che iniziavano a salire le scale. Non ci si poteva mai affidare alla pazienza di Mara, che notoriamente non era affatto una delle sue qualità, e quello lui aveva avuto occasione di impararlo bene molto tempo prima. Non ci si poteva affidare alla possibilità che lei fosse venuta con solo lui come obbiettivo, e che non avrebbe disdegnato di scagliare se stessa o gli altri mezzi lupi su Uther o su chiunque altro essere umano fosse a portata nelle immediate vicinanze.

E, definitivamente, Danny non poteva permettere che l’incolumità di tutti quelli che abitavano lungo quella strada fosse messa a repentaglio. O, almeno, non finché avesse avuto respiro lui stesso.

«Prendi il fucile.» disse ancora, quasi distrattamente ormai, mentre già si voltava verso le scale. «Non so quanto tempo riuscirò a trattenerli.»

Sebbene letteralmente le sue parole non dicessero niente di più, sapeva che Uther avrebbe capito che cosa intendeva dire più esattamente.

Perciò non lo stupì particolarmente sentirlo gridare il suo nome più volte, in tono irato, intervallandosi con imprecazioni, e i colpi di pugni e calci contro la porta chiusa. Mentre iniziava a scendere le scale, Danny ringraziò mentalmente e brevemente la solidità di quella porta: Uther non sarebbe stato in grado di sfondarla così facilmente.

Danny scese le scale a passo rapido, ma senza correre nonostante tutto. Avrebbe dovuto farlo, e lo sapeva. Ma evidentemente, realizzò per un attimo con un certo stupore, la sua parte umana era ancora capace di competere con la spietata crudezza della necessità di urgenza senza appello di una situazione, abbastanza da rendere quel momento in cui sapeva che stava andando incontro alla propria morte di un peso specifico particolare.

‘Solo gli umani temono la morte. Non i lupi.’ disse con tono di evidente disprezzo la voce di Mara, di nuovo spuntando senza preavviso né precisa collocazione da qualche parte delle sue memorie. Le sue labbra tentarono di nuovo di piegarsi in un accenno di sorriso amaro, nel realizzare che Mara aveva avuto torto anche su quello, e che ora lui lo sapeva con certezza.

La relatività stava tradendo un poco la sua percezione, facendogli sembrare più lungo il percorso che stava compiendo fino alla porta d’ingresso del condominio, come se il tempo stesse scorrendo leggermente più lentamente. Un lieve senso di claustrofobia punzecchiò il suo istinto, poiché quel percorso era troppo chiuso e troppo monodirezionale, solo un corridoio di scalini e poi di pavimento liscio, con un’unica direzione per lui, e una sola fine concretizzata dalla porta del condominio davanti a lui, oltre la quale sapeva che c’era la fine della sua strada.

Ma ancora non riusciva a trovare spazio per altro, per cose che potevano essere importanti forse in una situazione del genere, qualcosa da poter ricordare che gli desse un poco di sollievo forse, o che alleviasse anche giusto per un momento la piena consapevolezza della distanza che si accorciava e che la sua strada non proseguiva oltre. Non oltre ciò che lo aspettava aldilà della porta di quel condominio.

Per un istante pensò solo che in qualche modo, anche se non avrebbe saputo dire come, era singolare che la sua strada finisse proprio laddove era cominciata quella dei 4 di picche, prima ancora che lui sapesse della loro esistenza.

E poi, l’ultima cosa che pensò mentre metteva la mano sulla maniglia della porta e un attimo prima di aprirla e solcare la soglia, fu che gli dispiaceva semplicemente non poter rivedere Andrea e gli altri. Magari giusto per una volta.

Ma era un genere di pensiero assurdo; e tuttavia, per quanto lo sapesse perfettamente, rimase inciso in lui per un significativo momento, prima di sfumare via, come se non potesse accompagnarlo oltre quella soglia.

 

 

Soundtrack: Where is my mind? (City Wolf)

 

Note dello scribacchiatore: cercherò di pubblicare il prossimo capitolo in meno di un mese, ma non ci giurerei, dipenderà da come riesco a sbrigarmela col resto della mia vita (come al solito, è già bello che scritto ma una revisione è il minimo nah?)

 

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Capitolo 40
*** 39 - Dead wolf walking ***


Capitolo 39

(DEAD WOLF WALKING)

 

 

Più tempo passava, più Badlands sentiva crescere gradualmente, tra il nutrito gruppo di mezzi lupi, un sottile nervosismo che si insinuava incrinante nella sicurezza instillata dal loro numero e dalla determinazione di Mara, ferma in piedi davanti a loro in mezzo alla strada deserta della cittadina, gli occhi fissi sul portone d’ingresso del condominio davanti al quale attendevano.

A occhio e croce era passato più di un minuto da quando l’ululato di Mara si era spento nel silenzio, e ancora non c’era stato alcun movimento.

Così, Badlands raccolse il suo coraggio, avanzò di un passo affiancandolesi, e disse piano alla mezza lupa «Forse non verrà allo scoperto.»

La vide sorridere appena, lo sguardo illuminato da un bagliore ferocemente felice, mentre fissava il portone chiuso senza nemmeno dedicargli un’occhiata. «Non preoccuparti. Verrà.» fu tutto ciò che disse, con calma fredda e certa.

Badlands non osò aggiungere altro. In qualche modo, era sicuro che lei avesse perfettamente ragione, come sempre dopotutto. E anche considerando la remota possibilità che si stesse sbagliando, lui sapeva che lei doveva avere già perfettamente in mente che cosa fare in ogni caso. Non aveva mai visto qualcosa cogliere Mara impreparata.

Così si limitò ad aspettare, tornando a monitorare l’ansia nervosa e impaziente degli altri mezzi lupi; era abbastanza certo che nessuno di loro si sarebbe mai azzardato a muovere un muscolo di propria iniziativa, dal momento che c’era Mara lì, ma in ogni caso se ci fosse stato bisogno di ricordare loro che tutto ciò che dovevano fare era aspettare un comando di lei, lui sarebbe stato pronto ad intervenire con decisione per ristabilire l’ordine ancora prima che esso si incrinasse troppo pericolosamente. Mara detestava quando si creava disordine per futili motivi, il che comprendeva qualsiasi motivo che non fosse uno scopo ben calcolato e misurato da lei.

A malapena un altro minuto dopo, il portone d’ingresso della casa si aprì, lentamente e con calma, e Badlands si irrigidì appena, tenendosi pronto per ogni evenienza, sebbene Mara stesse rimanendo perfettamente immobile e imperturbabile. Badlands sentì il clima tra il gruppo degli altri mezzi lupi mutare altrettanto rapidamente, come se si condensasse in una compatta tensione elettrica, similmente a quando l’aria si satura di carica elettrostatica prima dello scatenarsi di una tempesta.

Ma quando il mezzo lupo uscì dall’ingresso, chiudendosi la porta alle spalle, Badlands percepì persino Mara rimanere un poco stupita e un’ombra di allarme leggero increspare la sua freddezza. Non aveva bisogno di chiedersi perché.

Tutti i mezzi lupi radunati in mezzo alla strada si irrigidirono come un sol uomo, mentre l’atmosfera pareva congelarsi in un momento.

Il mezzo lupo avanzò di un solo passo davanti alla porta di nuovo chiusa alle sue spalle, e il suo sguardo profondamente incupito e tetro saettò solo un momento su tutti loro per conteggiarne rapidamente il numero e misurarne così le forze, prima di fermarsi su Mara.

E Badlands, come tutti gli altri mezzi lupi lì presenti, riconobbe in un istante che quel mezzo lupo rinnegato era appena uscito da quella soglia circondato da un’aura impossibile da non percepire esattamente per ciò che appariva limpidamente ad altri mezzi lupi: era un mezzo lupo pronto in tutto e per tutto ad andare incontro alla propria morte di lì a poco, e a combattere fino alla fine senza esitazione. Non per evitare di morire, ma perché aveva già scelto senza ombra di dubbio che così sarebbe morto, combattendo fino all’ultimo e senza esitazione. Il suo sguardo era acceso solo da quella cupa sfumatura netta e tagliente di chi non sta considerando nemmeno lontanamente l’ipotesi di una scappatoia o di un’alternativa, ed era fisso su Mara, carico della profonda ombra della consapevolezza di essere giunti davanti a ciò che si trova alla fine della propria strada, e della decisione di essere perfettamente pronto a fronteggiarlo.

Alcuni dei mezzi lupi più giovani fecero istintivamente e semi-inconsapevolmente un mezzo passo indietro, e Badlands non si prese nemmeno il disturbo di rimproverarli in qualche modo: lui stesso stava incontrando qualche difficoltà a rimanere perfettamente fermo dove si trovava, investito da quelle ondate di sorda minaccia che provenivano dal mezzo lupo appena comparso.

Non si era mai trovato di fronte ad un mezzo lupo da cui emanasse così chiaramente sia la certezza della propria imminente morte sia l’assoluta decisione di andarvi incontro combattendo con ogni forza fintanto che avesse avuto respiro in corpo. E tuttavia, Badlands aveva sempre saputo, da qualche tempo dopo che era diventato un mezzo lupo, che c’era una verità di fondo come quella, inscritta da qualche parte nell’istinto di un mezzo lupo, in modo che chiunque di loro l’avrebbe riconosciuta non appena se la fosse ritrovata davanti, percependola senza ombra di dubbio nella sua chiarezza: chi era disposto a morire combattendo, senza alcun dubbio e con piena consapevolezza, sarebbe sempre stato in grado di evocare quel sinistro terrore e quella paura profondamente radicata in chiunque si fosse trovato di fronte che non fosse animato esattamente dallo stesso spirito in quel momento.

Per questo Badlands non si stupì affatto che Danny in quel momento non mostrasse non solo alcun timore o paura, ma nemmeno la capacità di poter provare quelle sensazioni, né che sembrasse in alcun modo toccato dal fatto che tutti gli sguardi dei mezzi lupi radunati in mezzo alla strada fossero fissi su di lui, per quanto ne poteva sapere pronti a balzargli addosso e ad ucciderlo senza eccessiva fatica grazie alla loro numerosità. No, Badlands sapeva che il mezzo lupo che aveva davanti in quel momento non era praticamente in grado di poter provare alcuna cosa nemmeno vagamente simile alla paura.

Mara sorrise, mostrando un poco i denti tra le labbra, in quell’espressione dal doppio significato sottinteso per un mezzo lupo: mostrare sicurezza di sé, e questo apparteneva soprattutto alla loro parte umana, e mostrare i denti, cosa che apparteneva alla parte di lupo. Sembrava aver recuperato in un attimo la sua totale calma superiore, o almeno essere tornata perfettamente in grado di mostrare solo quella, anche se c’erano ancora tracce di sorpresa soddisfatta nella sua espressione.

«Danny.» disse lentamente, come se stesse assaporando senza fretta ogni singola parola che stava pronunciando in quel contesto. Il suo sguardo percorse rapidamente il corpo del mezzo lupo. «Non hai portato le tue pistole, stavolta?» notò, con una leggera nota di derisoria sorpresa in qualche modo sincera.

Danny si mosse di nuovo, e di nuovo Badlands sentì a pelle la tentazione di arretrare di qualche passo percorrere gli altri mezzi lupi fermi in gruppo dietro lui e Mara. In qualche modo, tuttavia, riuscirono a mantenere la loro posizione compatta, sebbene i loro corpi fossero ora tesi come corde di violino.

Sotto i loro occhi attenti ad ogni eventuale minimo accenno di scatto improvviso, Danny si mosse con lentezza e calma, poiché sapeva bene altrettanto quanto loro che ogni accenno ad un gesto appena più brusco sarebbe potuto risultare l’equivalente di accendere un fiammifero dentro una polveriera, in quel frangente. Si fermò sul bordo del marciapiede, e le sue pupille si mossero solo un istante verso il basso, prima di tornare fermamente a controllare quasi senza battere ciglio i mezzi lupi fermi in mezzo alla strada. Alzò lentamente un braccio sporgendolo un poco davanti a sé, e la sua mano fino a quel momento stretta a pugno si aprì, lasciando cadere un oggetto che lo sguardo di Badlands fece appena in tempo a riconoscere prima che cadesse dentro il tombino di una fogna, centrando perfettamente una delle aperture e sparendo alla vista: una chiave. Badlands aggrottò leggermente la fronte.

«Perché avrei dovuto portarle.» disse Danny, il tono così scevro di emozioni e così profondamente serio che a malapena trapelò un lieve accenno di domanda.

Il sorriso di Mara si accentuò un poco di più. «Pensavo che fosse questa, ora, la tua cosiddetta vita. Insomma… eccoci qui. Un intero branco in mezzo ad una strada di una tranquilla città dormiente piena di stolti umani terribilmente inermi. Non è questo quello che fai ora, Danny? Difendere innocenti vite umane dai cattivi lupi a piede libero, usando armi umane contro di loro?» disse, allargando appena le braccia, il tono divertito.

«Non stanotte.» si limitò a rispondere Danny, dopo un lungo silenzio.

Mara sorrise come se pensasse di saperla decisamente molto più lunga di lui, e per un momento spostò lo sguardo sulla fogna in cui lui aveva appena lasciato cadere la chiave. «Oh, e invece sì. Anche stanotte. La prima cosa che hai fatto. Sciocca come un gesto tipicamente umano. Sai bene che una porta chiusa non può essere un ostacolo nemmeno per il più striminzito e giovane mezzo lupo.»

«Sì. Hai ragione, lo so. Ma perché dovrebbe interessarti quello che sta dietro le porte chiuse di Tairans, ora? Da quando in qua, onestamente Mara, gli umani ti interessano così tanto, se li consideri così come dici?» domandò di rimando Danny.

Le labbra di Mara si piegarono in un sorrisetto storto e sinistramente soddisfatto. «Non qualsiasi essere umano, non qualsiasi porta. Una porta, un essere umano. E non mi servirà mai una stupida chiave.»

Badlands ora aveva compreso perfettamente il gesto di Danny, e per un istante pensò che a quelle parole l’avrebbe visto irrigidirsi anche solo un poco, almeno un’ombra di inquietudine pervaderlo, ma scoprì che si sbagliava. Vide invece il suo sguardo incupirsi ulteriormente, anche se non avrebbe mai detto che fosse possibile, e di nuovo un’ondata di minaccia sorda e travolgente proveniente dal mezzo lupo investì con forza lui e gli altri fermi dietro di lui.

«Sai che non ti permetterò di fargli alcun male. Così come sappiamo entrambi che sei venuta solo per me.» ribatté Danny.

Mara emise di colpo un’acuta risata di falso divertimento.

«Allora, ti sbagli.» disse, tornando a guardarlo e smettendo di ridere, sebbene ancora sorridesse sinistramente. «Non è per te che siamo qui. Non pensare di essere davvero così importante. Tutto ciò che sei al momento è un ostacolo. Ma capisco che non puoi fare altrimenti. Anche se ancora mi stupisce. Proprio tu, conoscendo quell’umano da diverso tempo, dovresti aver notato che potrebbe essere un ottimo mezzo lupo, eppure non l’hai trasformato, e questo significa che non è di tuo interesse farlo. Ma è di mio interesse permettergli di essere molto più di ciò che è ora. Non essendo di tuo interesse… se non avessi deciso di ridurti ad un mezzo cane piuttosto che ad un mezzo lupo, ora sapresti che la cosa giusta da fare è farti da parte. Forse dovresti essere più sincero con te stesso, prima di tutto: sei tu che mi stai dando tanta importanza, e non è per quell’umano che ci tieni così tanto a impersonare un ostacolo ora, ma per avere l’opportunità di essere preso ancora in considerazione da me.»

Calò un pesante silenzio. Badlands notò con preoccupazione che il mezzo lupo rinnegato non stava mostrando di nuovo nessun accenno di stupore, turbamento o qualsiasi altra emozione. Niente sembrava poter incrinare quello stato che lo pervadeva e che traspirava chiaramente da lui, quella compatta tempesta mortale che attende di scatenarsi fino in fondo. E tuttavia la cosa non poteva non stupirlo leggermente, per via di come Danny apparisse come trasfigurato rispetto a quando lo aveva visto in precedenza, come se non fosse più lui in un certo senso, ma qualcosa di diverso che semplicemente si presentava sotto le sue sembianze.

«Tu ti sbagli.» disse solo Danny infine, con quel tono cupo e privo di alcuna emozione.

Mara sbatté le palpebre, fingendo un’espressione un poco attonita. «Ma davvero? E su che cosa di preciso?»

«Non sarebbe affatto migliorato dal diventare un mezzo lupo. E questa non è un’opzione.» rispose semplicemente l’altro.

Mara incrociò le braccia al petto con calma, spostando il peso un poco di più su un fianco, guardandolo divertita. «Solo perché tu non hai saputo cogliere l’enorme opportunità che ti ho dato, non significa che chiunque farebbe un simile sfacelo d’essa come hai fatto tu, Danny. Al punto da non vedere nello sguardo di quell’umano quello sprazzo tra le nubi di una grigia vita umana. Io gliel’ho visto, proprio nel suo sguardo. Ho visto il lupo nel suo sguardo. E sono sicura che l’hai visto anche tu.»

Danny abbassò lentamente lo sguardo a terra, e Badlands pensò per un momento che quella fosse una sorta di resa, anche se solamente sul piano verbale, perché era sicuro in quel momento, per ciò che emanava da lui, che quel mezzo lupo non si sarebbe mai smosso di un millimetro dal suo proposito di restare proprio lì dov’era, davanti a quel portone, tra esso e loro.

Ma durò solo un momento. Dopodiché, vide sul viso di Danny disegnarsi lentamente ma nettamente un sorriso, affettuoso e un poco amaro, con un che di leggero e divertito. E la natura di quel sorriso colse Badlands totalmente impreparato, così come il cambio improvviso che i suoi sensi percepirono provenire da Danny. Ne sentì quella ferrea determinazione di fondo cambiare natura, come dalla notte al giorno, divenendo più limpida e in qualche modo stranamente serena, e per questo ancora più preoccupante ai suoi occhi, perché per qualche motivo sembrava un tipo di sicurezza ancora più profonda e totale.

Danny rialzò con calma lo sguardo su Mara, ancora con quel lieve sorriso che non sembrava affatto rivolto a lei. «Ti sbagli… » mormorò con calma in risposta.

Mara inarcò un sopracciglio appena, accentuando la sua espressione di superiore scetticismo divertito.

E sempre continuando a fissarla, Danny rispose lentamente «Il lupo che hai visto nel suo sguardo. Non era quello che potrebbe diventare lui. Era solamente un riflesso di me.»

Per qualche lungo momento Mara tacque, ma non fu quella mancanza di immediata risposta quanto piuttosto il fatto che la sua espressione aveva suo malgrado tradito lo spiazzamento, a far comprendere a Badlands che lei in qualche modo sospettava che Danny avesse appena detto qualcosa di più vero di quanto lei potesse immaginare, e che, sebbene gli apparisse ancora incredibile e non riuscisse a spiegarsi esattamente come fosse potuto accadere, Mara forse si era davvero sbagliata su quello.

Tuttavia, Mara scoppiò a ridere sonoramente, una sonora risata derisoria e priva di ogni accenno di reale gioia, e rispose con tono un po’ più tagliente sebbene si sforzasse di apparire ancora distaccato «Danny, Danny, Danny… Ti conosco troppo bene… Dopotutto, sono stata io il primo mezzo lupo che hai incontrato.»

Danny non esitò nemmeno un istante, stavolta, nel mormorare quietamente in risposta «Potresti anche essere l’ultimo. E non mi dispiacerebbe.»

Badlands percepì chiaramente il modo in cui il tono si era fatto di una nota più cupa e bassa, nel quale riconobbe perfettamente la minaccia sottintesa, lanciata come un invito a farsi avanti piuttosto che come un avvertimento rispetto al fatto che aveva intenzione di attaccare per primo.

«Oh, credo che tu abbia perfettamente ragione su questo…» rispose Mara, anche il suo tono incupitosi, così come il suo sguardo si era fatto più concentrato e tagliente, e sebbene stesse ancora sogghignando ora il suo sorrisetto aveva assunto una piega più tagliente.

Badlands sentì chiaramente la sorda minaccia vibrarle nella voce. Persino lui provò un leggero brivido di allarme, ma con sua sorpresa fu maggiormente inquietato dal modo in cui vide chiaramente l’impassibilità di Danny di fronte a quel tono e a quell’espressione di lei; quel mezzo lupo aveva di fronte la mezza lupa più potenzialmente fatale che Badlands avesse mai incrociato, e non ne sembrava in alcun modo intaccato. Badlands realizzò che Danny era sempre stato sincero in questo, e che non aveva mai esagerato né si era mai auto-ingannato o aveva cercato di ingannare lui o altri in proposito: davvero, lui non la temeva. E Badlands pensò che doveva essere più pazzo di quanto lui avrebbe mai potuto immaginare che potesse essere.

«Lo hai detto tu, Mara. Mi conosci abbastanza da poterne essere certa. Non mi sposterò da qui. Considerami pure alla stregua di un ostacolo, se preferisci. Ma… quello che non mi spiego… è perché ti sei portata dietro i rinforzi…» disse ancora Danny, con una certa calma, spostando solo allora lo sguardo per valutare più lungamente e attentamente gli altri mezzi lupi radunati dietro di lei, Badlands compreso. Tornò poi a guardarla, e con quella stessa calma così assoluta da risultare come priva di emozione, o più che altro come posseduta da una qualche emozione così lineare da essere priva di ogni screpolatura o sbavatura, le chiese retoricamente «Avevi forse paura?»

Badlands si irritò profondamente nel riconoscere la chiara provocazione sfrontata, e dopo aver quasi trattenuto il fiato per un attimo per l’incredulità che qualcuno, chiunque, potesse essere capace di rivolgere una simile provocazione davanti a Mara pronta a scatenare il suo peggio su di lui o lei, istintivamente fece un passo avanti preda della rabbia.

Istantaneamente Mara alzò un braccio di lato davanti a lui, che si bloccò immediatamente riconoscendo il gesto.

Mara stava ancora guardando Danny, ma il suo sorriso ora era diverso: era meno accentuato, più serio e più intento. E Badlands riconobbe subito quel genere di espressione, di quando lei ne aveva avuto abbastanza di giocare.

«Loro sono qui solo per guardare. Per imparare qualcosa.» gli rispose Mara.

Dopo qualche istante Danny si limitò ad annuire appena.

Mara sorrise appena un poco di più, sebbene ancora fosse un sorriso in qualche modo serio e grave, e i suoi occhi avessero uno sguardo così intento su di lui, che Badlands si ritrovò a fissare quello sguardo di lei che già aveva avuto qualche occasione di vedere, ma che ancora non smetteva di inquietarlo profondamente: era come vederla guardare qualcuno che fosse già morto.

«Io e te, Danny… Come ai vecchi tempi, no?» disse lei, appena un accenno di sarcasmo nel tono densamente e sussiegosamente inquietante.

Danny ne sostenne lo sguardo, apparentemente senza alcuna difficoltà dal punto di vista di Badlands, che ancora non riusciva a spiegarsi come quel mezzo lupo rinnegato vi potesse riuscire. A meno che non si fosse imbastardito così tanto da non essere più in grado nemmeno di percepire chiaramente la promessa di morte sicura che Mara stava emanando potentemente in quel momento. Ma, anche se avrebbe preferito credere che fosse così, Badlands aveva la vivida sensazione che in realtà Danny fosse in quel momento perfettamente in grado di percepirla più che lucidamente e chiaramente.

«Ma ti avverto. Stavolta non ti lascerò scappare.» disse ancora Mara, il tono più basso e cupo, netto.

Danny rispose con altrettanta sicurezza, sebbene il suo tono fosse di una gravità diversa, la minaccia più leggera, la decisone apparentemente più liscia e lineare. «Te l’ho già detto, Mara… Non sono più quello. Quello che è scappato.»

«Solo gli umani si affidano così tanto alle parole piuttosto che alla dimostrazione, sai?» replicò lei, con un accenno di provocazione che suonò sinistramente incupita dal tono sordo di minaccia che aspettava di scattare da un momento all’altro come una tagliola pronta e fremente, con il meccanismo di blocco completamente insufficiente.

Danny mosse appena ancora di qualche centimetro di lato l’appoggio di uno dei piedi, il movimento così breve, dal ritmo talmente regolare, e il rumore della suola che strisciava in un accenno di frizione sull’asfalto così leggero, che solo i sensi di un mezzo lupo l’avrebbero potuto notare così perfettamente. E così intendeva essere: un movimento fatto non per essere nascosto, in modo che risultasse anche come un messaggio, che lui si stava preparando a combattere.

Mara scosse appena la testa, tuttavia, e sogghignò di nuovo. «Allora, dovrai combattere come un vero lupo, perché è ciò che ti ho reso. E se non ci riuscirai, dal momento che ora ti comporti più come un cane, sarà solo la dimostrazione che è proprio questo che sei diventato in realtà. È questo che vuoi mostrarmi, Danny? Come un mezzo lupo diventa un cane? Allora… questa è la notte giusta.»

«Che cosa intendi, esattamente? Con il ‘combattere come un vero lupo’?» domandò Danny con attenzione.

Lei sogghignò un poco di più e scosse appena la testa. «Come volevasi dimostrare…»

Poi, Mara si mosse.

 

 

Soundtrack: Caribou (Pixies)

 

Note dello scribacchiatore: idem, cercherò di mettere on-line il prossimo capitolo in meno di un mese, ma non prometto niente perché dipende dal tempo che racimolo tra il resto della mia vita.

 

 

 

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Capitolo 41
*** 40 - Pesante come una poltrona, leggero come una piuma ***


Capitolo 40

(Pesante come una poltrona, leggero come una piuma)

 

Danny si irrigidì istintivamente ancora di più, ogni suo singolo muscolo teso come una corda di violino, non appena Mara si mosse. Si aspettava, senza aver bisogno di riflettervi razionalmente, che lei stesse per scattare per avventarglisi contro; qualsiasi altro mezzo lupo, o qualsiasi altro animale predatore, avrebbe fatto un vero e proprio scatto se avesse avuto quell’intenzione, ma lui conosceva fin troppo bene Mara, abbastanza da avere confidenza con la sua capacità di demistificare con naturalezza i propri gesti al punto da iniziare un attacco micidiale con movimenti non così esplicitamente aggressivi.

Tuttavia, la vide limitarsi ad afferrarsi i bordi della maglietta e a togliersela sfilandosela da sopra la testa, rivelando al di sotto di essa una canottiera. Per un momento il gesto lo stupì, sembrandogli totalmente privo di senso in quel contesto. Ma sapeva che Mara non faceva mai praticamente nulla che non avesse un senso preciso e utile ad un qualche scopo che per lei doveva essere perfettamente delineato.

Gli altri mezzi lupi lì radunati parvero non meno sorpresi di lui, e Badlands la stava fissando come se stesse disperatamente cercando di capire che cosa lei stesse facendo esattamente per potersi così rendere utile nella sua funzione di spalleggiarla in tutto e per tutto. Per un istante la cosa riuscì quasi a divertire sinceramente Danny, il modo in cui persino quel grosso mezzo lupo dal fare così pronto ad assecondare il suo ruolo di braccio destro di Mara potesse ritrovarsi così completamente privo di indizi a riguardo di che cosa lei avesse in mente di fare di lì a qualche momento.

Mara lasciò cadere a terra la maglietta che si era sfilata e si chinò, portando le mani alle stringhe di uno dei robusti stivali da trekking invernale che indossava, iniziando a slacciarselo con calma, apparentemente decisa a ignorare qualsiasi cosa la circondava per concentrarsi tranquillamente su quello che stava facendo.

Danny si limitò a guardarla, con sguardo contemplativo e quasi assente: sebbene non riuscisse esattamente ancora a capire cosa stesse facendo, aveva la sensazione che non ci fosse bisogno di avere fretta in quel caso; prima o poi, quando Mara si fosse degnata di renderlo loro noto in qualche modo, l’avrebbero tutti scoperto che cosa stava facendo e perché. Apparentemente, sembrava avesse deciso di iniziare a spogliarsi lì in mezzo alla strada.

Badlands la fissava con la fronte corrugata per il tentativo di estrema concentrazione interpretativa, e l’espressione di qualcuno completamente assorbito da uno stato tra lo sperduto e il vagamente allarmato. Sembrava evidente che si stava trattenendo con tutte le sue forze dal chiederle ad alta voce che cosa stesse facendo e perché, e che cosa dovesse fare lui a quel punto.

Poi, di punto in bianco Mara alzò lo sguardo dritto su Danny, l’espressione micidialmente seria e sottilmente minacciosa, penetrante come una lama affilata, e allo stesso tempo un accenno di un sorrisetto di derisione. Danny si limitò a fissarla di rimando; aveva ormai realizzato, nel corso di quegli ultimi giorni, che qualsiasi variante di quel tipo di espressione e sguardo Mara gli rivolgesse non era più grado di produrre in lui alcun effetto.

«Dunque? Hai intenzione di rimanere lì impalato, Danny? In base ai tuoi discorsi, non credevo avessi intenzione di limitarti a lasciare che io faccia ciò che devo ormai fare di te senza reagire, no? O forse sei tu quello che si ritrova senza sapere che pesci pigliare, senza i tuoi rinforzi di amici umani ammazza-mezzi-lupi e le tue pistole?»

Sebbene gli altri mezzi lupi lì riuniti non sembrassero avere ancora il più pallido indizio di quello che Mara stesse facendo, o forse proprio per quello, tutto ciò che riconobbero fu il tono e il contenuto di sommaria provocazione derisoria che lei gli aveva appena rivolto, e rispondendo come a comando, nemmeno fosse il loro turno per intervenire secondo il copione, scoppiarono in un piccolo coro di risate forzatamente derisorie, per quanto nervose.

Danny, che fino a quel momento si era sforzato di ignorare il fatto che si trovasse da solo di fronte ad una schiera abbastanza numerosa di mezzi lupi, e fino a quel momento vi era riuscito piuttosto bene, si ritrovò come investito di punto in bianco da quella risata corale, densa di divertimento falso e intenzionalmente sprezzante. Non solo gli ricordò prepotentemente esattamente il loro sostanzioso numero di mezzi lupi lì radunati con l’apparente unico scopo di essere pronti ad attaccarlo tutti insieme al minimo segnale da parte della loro leader, ma anche quanto fossero compattamente assimilabili ad un unico amalgama che non avrebbe esitato ad aggredirlo e ferirlo e ucciderlo, come se fossero incapaci di provare qualsiasi tipo di reale intenzione o esitazione individuale. La coscienza individuale spariva, in quella miscellanea di decerebrato asservimento collettivo dotato solamente di un obbiettivo indicato da una sola persona, mentre i perché e i percome giustificanti erano così impliciti che l’individuale capacità di esplicitarli, analizzarli e metterli in discussione appariva lontana come una chimera improbabile e sostanzialmente inutile, se non problematica e spinosa.

Poiché, dopotutto, come Danny in fondo aveva sempre saputo da diversi anni a quella parte, sebbene non vi ci fosse mai trovato di fronte e coinvolto così chiaramente fino a quel momento, era ancora anche abbastanza umano da poter possedere e diventare eventualmente preda di quell’inestirpabile tentazione di potersi sentire più sicuri e meno tormentati da dubbi e dal dover riflettere e mettere in discussione ogni singola cosa, quando si era solo un pezzo di un disegno più grande tracciato senza ombra di dubbio da qualcun altro. Dover solo essere servi – o, in termini più ipocritamente gentili, esecutori – di qualcos’altro o qualcun altro, era più facile e meno impegnativo e meno pressante come una sfida continua quale era quella di costruire, alimentare e seguire ad ogni costo la propria individualità. E pagarne il prezzo. Il ricavato, in ogni caso, era però estremamente diverso: nell’una opzione era ciò che si era potuto creare con le proprie mani, nel bene e nel male; nell’altro caso, era niente più che l’osso che veniva gettato in quanto avanzo del desco di chi comodamente sedeva a dipingere disegni che gli altri avrebbero assecondato.

Persino i branchi di cani selvatici, pensò per un istante Danny, per quanto di solito guidati da un istinto ciecamente aggressivo e un poco decerebrato a comparazione con la maggiore “elegante precisione” selvatica di un lupo, possedevano più indipendenza rispetto ad ordini altrui di quanta ne stavano dimostrando quei mezzi lupi ai suoi occhi.

Ad ogni modo, ora gli era chiaro cosa Mara stesse facendo. Aveva collegato infine i suoi attuali gesti di spogliarsi in mezzo alla strada, il fatto che gli avesse implicitamente chiesto perché non stesse facendo altrettanto, e le precedenti parole di lei a riguardo di affrontarsi come veri e propri mezzi lupi. Mara aveva intenzione di attaccarlo nella sua forma di lupo. E Danny sapeva, come lo sa ogni mezzo lupo e lo sapeva Mara stessa molto bene, che se si fosse limitato a fronteggiarla nella sua forma umana sarebbe stato in svantaggio.

Danny si sfilò la maglietta a sua volta, iniziando a spogliarsi egli stesso.

A quel punto anche Badlands doveva aver capito cosa stava succedendo, perché con la coda dell’occhio, dal momento che non si azzardava a staccare lo sguardo dal controllare ogni singola mossa di Mara con accurata attenzione, Danny lo vide riscuotersi dal suo stato di confusa immobilità. L’uomo si sfilò la giacca che indossava e istruì sommariamente e rapidamente alcuni altri mezzi lupi lì riuniti affinché facessero altrettanto, e di lì a poco Mara fu circondata da un piccolo gruppetto dei suoi accoliti che reggevano con le braccia tese qualche loro indumento in modo da formare una sorta di accenno di protezione alla vista del suo spogliarsi.

Per un momento lo sguardo di Danny si soffermò sulla giacca che stava tenendo Badlands sospesa davanti a Mara, pur tenendola con attenzione alla giusta altezza in modo da non ostacolare in alcun modo lo sguardo che lei teneva fisso su Danny, e il suo pensiero andò al cappotto che indossava quasi sempre Kumals. Kumals che, dopotutto, non era ancora arrivato, non in tempo.

«Visto, Danny? Come ti avevo detto… nessun lupo dovrebbe mai concedersi nemmeno per un secondo di fidarsi di un essere umano. Loro sono capaci di fingersi amici fraterni quando vogliono, ma alla fine… Non sei qui tu, ora, solo?» gli disse Mara, con il suo tono apparentemente solennemente saggio da lezione, ma alle sue orecchie chiaramente concentrato sul cercare di colpire con chirurgica precisione un punto debole, esattamente come quando cacciando gli aveva insegnato a mirare alla gola, al punto vitale, al fulcro di ciò che avrebbe alla fine deciso la sopravvivenza o la morte della preda.

Per un istante Danny ebbe la sgradevolissima sensazione che lei gli avesse letto nel pensiero, ma riuscì in breve a realizzare razionalmente che Mara aveva scelto proprio quelle parole e proprio in quel momento semplicemente perché lei era circondata da una sorta di cabina di prova dei vestiti formata dai suoi accoliti, mentre lui a tutti gli effetti si stava spogliando in mezzo alla strada e da solo. Di lì a poco si sarebbe trovato nudo come un verme in mezzo alla strada da solo, ciò che usualmente un essere umano vero e proprio avrebbe accostato – anche istintivamente – ad una delle situazioni immaginabili di più grande esposizione vulnerabile. Ma per un mezzo lupo, il vero momento di massima vulnerabilità percepita sarebbe stato quando avrebbe dovuto mutare da una forma all’altra in quel contesto: allo scoperto e senza alcuna protezione.

E fu proprio allora che qualcosa di grande e ingombrante cadde improvvisamente dall’alto a grande velocità. Istintivamente tutti i mezzi lupi, Danny e Mara compresi, sobbalzarono un poco e si irrigidirono in allarme, mentre il grosso corpo precipitava atterrando con un certo fragore sull’asfalto a pochi metri da loro, quasi in mezzo alla strada.

Dopodiché si ritrovarono tutti a fissare con svariate espressioni di perplessità e sorpresa un grosso oggetto di arredamento casalingo che giaceva lì sul cemento, piuttosto acciaccato dalla caduta.

Danny contemplò la poltrona con le sopracciglia aggrottate e leggermente sollevate, registrando che aveva qualcosa di estremamente familiare. Aveva tutta l’aria di essere la poltrona dell’appartamento dal quale era uscito poco prima, quella che aveva visto ormai diverse volte da quando era lì a Tairans, e sulla quale nessuno si era seduto per tutto quel tempo perché a quanto sembrava e a quanto aveva detto Uther, era ‘La’ poltrona, quella su cui si sedeva sostanzialmente solo Kumals quando i ‘4 di picche’ avevano abitato lì.

Lentamente lo sguardo di Danny si alzò, percorrendo un tratto del muro del condominio alle sue spalle, finché non si fermò sulla finestra spalancata che gli era ormai intensamente familiare; Uther giaceva affacciato ad essa, il fucile imbracciato saldamente e attentamente, puntato risolutamente e con precisione sul gruppetto di mezzi lupi che attorniavano Mara e Mara stessa, l’espressione dura e concentrata, leggermente tesa come se fosse pronto a fare fuoco da un momento all’altro.

Danny percepì chiaramente la pesante coltre di gelo calare sui mezzi lupi nel realizzare che erano tenuti sotto tiro con quella cecchina precisione, senza contare che tra le pochissime cose che potevano terrorizzare un mezzo lupo senza pericolo di errore, c’erano proprio le armi da fuoco umane. Ma il suo sguardo rimase semplicemente fermo su Uther, che non lo stava guardando, concentrato com’era a tenere d’occhio i suoi obbiettivi. Danny ebbe tuttavia la vivida impressione, e la cosa non lo stupì, che Uther stesse evitando di guardarlo non solo per necessità pratica di tener sott’occhio l’obbiettivo su cui teneva puntato il fucile, ma perché in quel momento era troppo arrabbiato con lui e si stava dunque rifiutando di farlo.

Danny spalancò inconsapevolmente lo sguardo, colpito da un’improvvisa realizzazione come da un fulmine a ciel sereno. Era perfettamente comprensibile, conoscendola, che Mara si potesse sbagliare così tanto sui suoi amici da ritenere che per loro fosse un’opzione accettabile lasciarlo a combattere da solo; ma lui non aveva scuse per averlo pensato anche solo per qualche attimo, perché lui avrebbe dovuto sapere meglio di chiunque altro, conoscendoli, che non era possibile qualcosa del genere.

Infine, gli sfuggì un lento e leggero ma profondamente sincero accenno di sorriso. Sì, la sua convinzione implicita e semi-inconscia era stata davvero quanto mai ridicolmente stupida, in fondo.

Un sommesso ma minaccioso coro di ringhi gutturali sorse gradualmente e compattamente dal gruppo dei mezzi lupi, e lo sguardo di Danny tornò di scatto su di loro, allarmato. A tal punto era infallibile l’effetto di istintivo terrore che un’arma da fuoco puntata addosso evocava in un mezzo lupo, che era altrettanto infallibile nell’evocarne un’immediata risposta di reazione minacciosa tout-court. Qualsiasi mezzo lupo sarebbe stato immediatamente pronto ad attaccare con l’unico intento di uccidere il prima possibile chiunque, non appena gli avesse puntato addosso un’arma da fuoco. Era come una sorta di legge universale per un mezzo lupo, in quanto inscritta nello scheletro stesso del suo istinto di sopravvivenza.

Danny raggelò anche lui a quel punto, temendo che in quel frangente persino se Mara avesse ordinato altrimenti non c’era certezza che qualcuno o tutti quei mezzi lupi non si risolvessero da un momento all’altro a scattare per raggiungere il prima possibile l’umano che imbracciava un’arma da fuoco puntata contro di loro e aprirgli la gola.

Mara stessa lo sapeva benissimo, e Danny lo realizzò perfettamente quando, guardandolo fisso e con chiara intenzione di profonda serietà e vittorioso divertimento provocatorio, gli disse «Forse dovresti ricordare al tuo amico che questa faccenda è solo affar tuo, ed è solo a te che spetta risolverla.»

Nonostante Danny sapesse benissimo che Mara gli stava facendo notare che era nel suo interesse – se davvero voleva tentare di evitare ad Uther la morte per mano di quei mezzi lupi almeno per un altro poco – convincerlo a smettere di tenerli sotto tiro, non gli era sfuggita quella quasi inosservabile sfumatura nell’espressione e nel tono di lei. Era chiaramente profondamente irritata e amareggiata, nel realizzare che, anche qualora fosse riuscita a rimuovere dal suo tragitto Danny che lei ci teneva a definire solo come ostacolo, non avrebbe trovato un Uther pronto a farsi tramutare in mezzo lupo da lei tranquillamente, bensì un Uther disposto a sparare loro, e che quindi sarebbe stato arduo evitare che i mezzi lupi uccidessero.

Danny tornò a sollevare con calma lentezza lo sguardo su Uther, la cui espressione era rimasta completamente invariata. Sebbene non lo stesse affatto guardando, Danny ebbe quasi la sensazione che Uther avrebbe anche potuto stargli lanciando in quel momento uno di quei suoi sguardi indomabilmente testardi e completamente risoluti. Uther non stava assecondando, e anzi si stava nettamente opponendo, sia al suo tentativo di trattarlo come oggetto della sua difesa e protezione sia a quello di Mara di trattarlo come anteprima vivente di un futuro eccellente mezzo lupo. Non che quello fosse un piano così contortamente preciso, pensò Danny tra sé e sé; quello era semplicemente Uther, il solito Uther, ed era divertente pensare che si era persino illuso di riuscire a neutralizzare le sue intenzioni con solo una porta chiusa a chiave a tenerlo rinchiuso in un appartamento. Danny sorrise appena di nuovo, sinceramente divertito ora.

Tornò a guardare Mara, spostando con calma lo sguardo su di lei.

«Oh, se vuoi puoi provare a convincerlo tu, se pensi di riuscirci.» le disse semplicemente, con ironica soddisfazione provocatoria.

Mara lo fulminò con lo sguardo, sorpresa da quella risposta e dal tono di essa, e nondimeno dal suo significato.

«Perché ti garantisco che in questo momento, qualsiasi cosa io gli dicessi, non servirebbe assolutamente a niente. Credimi.» aggiunse Danny, ancora sinceramente divertito, una sorta di calda e improbabile leggerezza quasi spensierata che lo pervadeva e gli alimentava una sorta di pungente adrenalina. Ora si sentiva di nuovo più vivo che mai, anche se sapeva perfettamente che probabilmente sarebbe comunque morto di lì a poco; perché non poteva riuscire ad essere abbastanza ingenuo da non realizzare perfettamente che Mara era completamente capace di vincere contro di lui nello scontro, e non dubitava minimante che a quel punto e stavolta lo avrebbe ucciso.

A ripensarci, ora aveva la sensazione che in qualche modo quella fosse l’unica conclusione possibile che si era sempre aspettato gli toccasse, fin da quando era fuggito da lei quella volta, tanti anni prima. Era praticamente certo fin da allora che prima o poi lei lo avrebbe rintracciato, e che quando ciò fosse avvenuto a lui sarebbe toccato di morire per mano di Mara. Per lungo tempo tuttavia, quando aveva vissuto soprattutto in forma di lupo aggirandosi da solo per luoghi di foresta, dal momento che Mara non si vedeva mai arrivare per trovarlo e ucciderlo, aveva pensato che avrebbe finito per morire per mano di qualche essere umano; così gli aveva insegnato Mara, così lui aveva imparato: l’unico vero nemico di un mezzo lupo era l’essere umano, il lupo (o un mezzo lupo) era un cacciatore e l’unico frangente in cui poteva diventare una preda era se a cacciarlo era un essere umano. Come a conferma di questo, un giorno si era imbattuto in un paio di esseri umani, uno dei quali gli aveva sparato, e allora aveva pensato che era arrivato il momento: il momento in cui lui era diventato la preda e il ruolo di cacciatore era ricoperto da esseri umani, e quindi così sarebbe morto, come doveva essere per un mezzo lupo. A ripensarci ora, appariva risibilmente stupido aver pensato di finire per morire per mano di esseri umani.

Dopodiché, di nuovo l’unica sembianza in cui poteva presentarglisi davanti la sua stessa morte era rimasta Mara. Era solo che nel frattempo, in tutto quel tempo e specialmente per via del fatto che era stato parte dei ‘4 di picche’, quella consapevolezza di sottofondo era finita così schiacciata sotto il peso di tante altre cose da nascondersi alla sua consapevolezza e alla sua memoria completamente. E ora che riemergeva limpidamente, realizzava che essere stato parte dei ‘4 di picche’, con tutto ciò che era successo e con Uther ora lì a ricordarglielo con il suo modo di fare, lo rendeva in una versione di sé tale per cui non era possibile che ora non fronteggiasse quella situazione con quella sorta di leggerezza di fondo.

E ora, fin da quando aveva messo piede a Tairans giorni prima, solo ora riusciva di nuovo a riconoscere Uther in tutto e per tutto. Perché non stava cercando di sfuggirgli e non si stava comportando in modo quasi ambiguo nei confronti di quei mezzi lupi come impazziti. Il suo fucile puntato non lasciava spazio ad alcun dubbio; era prontamente e senza riserve al suo fianco, così come era sempre stato.

Il fatto che il tempo della sua sopravvivenza si stesse assottigliando di minuto in minuto, e che la morte gli stesse venendo incontro sotto le sembianze in prestito di Mara in persona, lei che sapeva incarnare così perfettamente proprio la morte di chi le si trovava di fronte in determinati frangenti, gli appariva qualcosa di così leggero da poter volare nel vento con spensierato abbandono spontaneo e libero. In contrasto con tutta la tensione che pervadeva l’aria notturna saturandola, con l’architettura urbana che rendeva quella strada un luogo asfissiante per morirvi, con il coro di cupi ringhi gutturali dei mezzi lupi pronti ad uccidere chi impugnava l’arma da fuoco che veniva loro puntata addosso, con la furente micidialità della minaccia di Mara puntatagli dritta addosso, e con la profonda determinazione gravemente seria di Uther che teneva sotto tiro il gruppo radunato in strada ed evitava di guardarlo perché troppo arrabbiato con lui per averlo chiuso a chiave nell’appartamento cercando di lasciarlo indietro pur di proteggerlo, Danny si sentiva a confronto impossibilmente leggero come una piuma.

Mara stava guardando Uther ora, come se stesse meditando molto più strategicamente come risolvere quel problema.

Danny sapeva che, se avesse voluto, Uther avrebbe potuto semplicemente sparare col fucile alla porta dell’appartamento dietro cui l’aveva rinchiuso, e raggiungerlo direttamente lì in strada. Ma Uther sapeva essere abbastanza strategico quando voleva da non fare un errore del genere; se si fosse trovato lì, sarebbe stato a tutti gli effetti e contemporaneamente sia un catalizzatore irresistibile per l’aggressività dei mezzi lupi sia un peso da difendere per Danny. Da quella posizione, invece, era relativamente protetto almeno inizialmente dall’attacco dei mezzi lupi, non poteva essere immediatamente un peso per Danny e la sua necessità di combattere, e allo stesso tempo poteva tenere sotto scacco almeno momentaneo i mezzi lupi facendo da cecchino.

«Se fossi in te, cercherei di capire meglio le sue intenzioni.» disse allora Danny, con calma, ma il tono di nuovo profondo e serio, con un accenno di chiara incisività in sottofondo.

Mara tornò a fissarlo, seria e per nulla divertita, ora.

Danny le rivolse un accenno di sorrisetto sghembo, sarcastico. «Penso proprio che se avesse avuto intenzione di sparare a qualcuno di voi e basta, a quest’ora lo avrebbe già fatto.»

Mara si sforzò di mostrarsi affatto messa in difficoltà da quella nuova svolta imprevista della situazione, e ribatté tagliente «Tu dici? Sei ancora convinto di poterlo comprendere così bene, Danny?»

Lui abbassò lo sguardo a terra e sorrise appena, stavolta sinceramente e un poco amaramente ma con affetto. «Abbastanza da capire…» rispose, alzando di nuovo lo sguardo su di lei «Che conosce benissimo la situazione. Abbastanza da essere sicuro che non impedirà che io e te ci affrontiamo, ma che si sta solo assicurando che questo confronto non risulti… viziato da qualche irregolarità. Come ad esempio che qualcuno dei tuoi seguaci non cerchi di approfittarne per attaccarmi mentre mi sto confrontando con te.»

Danny sapeva bene, tra sé e sé, che in realtà probabilmente Uther era pronto a far fuoco anche su Mara stessa, e in generale e molto più semplicemente su chiunque avesse iniziato un attacco rivolto contro di lui. Ma sapendo che Uther stava udendo perfettamente la loro conversazione, non gli restava che sperare che comprendesse ciò che gli stava implicitamente chiedendo: di non interferire nello scontro tra lui e Mara, di limitarsi ad usare il fucile per difendere se stesso, e per tenere effettivamente a bada gli altri mezzi lupi per impedire loro di interferire a loro volta. Non poteva che essere una richiesta, la sua, perché era completamente vero ciò che aveva detto prima a Mara: sapeva bene che in quel momento Uther non era in alcun modo propenso a seguire il volere di chiunque altro, tutt’al’più solamente a considerarne la richiesta e a decidere se assecondarla o meno.

Mara sembrò prendersi qualche istante per soppesare le sue parole, e infine rispose con un’alzata di spalle e un’ostentazione di aria indifferente. «Come volete. Non è certo un problema mio, se il tuo amico finirà per provocare la sua stessa morte sparando su qualcuno di noi.»

Ciò detto, Mara riprese semplicemente a spogliarsi, e bastò una sua sola occhiata tagliente e significativa a Badlands per fargli automaticamente ordinare agli altri mezzi lupi di smetterla di concentrarsi interamente su Uther e di concentrarsi piuttosto sullo scontro imminente dal quale, a detta di Mara, avrebbero imparato qualcosa su come si può finire per tradire la propria natura di mezzi lupi rendendosi cani.

Danny tornò completamente serio. Ora davvero nient’altro si poteva frapporre al momento del suo confronto definitivo con Mara venuta ad impersonare la sua morte. Ma aveva quasi la sensazione che adesso davvero non avrebbe lasciato niente di così irrisolto dietro di sé.

Con calma, Danny riprese a spogliarsi. Ma realizzò anche, in quei pochi altri minuti, che non poteva più sentirsi in alcun modo esposto e vulnerabile. Nessuno di quei mezzi lupi avrebbe mai potuto approfittare del momento di totale vulnerabilità in cui si sarebbe trovato mentre avrebbe mutato forma per attaccarlo senza essere colpito sicuramente da almeno una pallottola del fucile di Uther.

Le conseguenze, per quanto quasi incommensurabilmente preoccupanti e assai pericolose, sembravano solo una sciocchezza sulla quale fosse tutto sommato futile soffermarsi a pensare in anticipo; e quello era tutto e indubbiamente retaggio dello spirito dei ‘4 di picche’, che Danny aveva appena realizzato meglio che mai di aver introiettato profondamente, che lo volesse o meno.

 

 

Soundtrack: All the things that I’ve done (the Killers)

 

 

 

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Capitolo 42
*** 41 - Show me your teeth ***


Capitolo 41

(Show me your teeth*)

 

Per un momento Danny si soffermò a notare quanto fosse assurdo: il fatto che si trovassero nel bel mezzo di una strada cittadina e ancora non ci fosse segno di reazione alcuna da parte di abitanti o forze dell’ordine per tutto quello. Se da un lato si poteva anche credere che l’ululato di Mara potesse essere stato scambiato per quello di un cane magari randagio, e che tutta quella conversazione in mezzo alla strada fosse stata interpretata semplicemente come un confronto tra persone che sistemavano le loro faccende in piena notte e negli affari dei quali era perciò meglio evitare di immischiarsi, d’altro canto l’atterraggio della pesante poltrona sul cemento dopo un volo di qualche metro aveva certamente prodotto un discreto fracasso.

E dopotutto era piena estate, periodo nel quale di solito le finestre sono lasciate in buona parte spalancate per via del caldo, e di conseguenza qualsiasi cosa succeda fuori di casa è sicuramente a portata d’orecchio di chi si trova all’interno.

Ma Danny aveva la vivida sensazione che quella totale mancanza di reazione da parte di qualsiasi abitante di Tairans lungo quella strada non fosse dovuta semplicemente ad un collettivo sonno pesante. Gli bastò alzare lo sguardo per rilevare che tutte le finestre erano chiuse, e già quello di per sé poteva essere un chiaro segnale del fatto che probabilmente ormai i cittadini avevano presentito in qualche modo che stava accadendo qualcosa di preoccupante e inspiegabile e potenzialmente pericoloso: qualcosa da cui tenersi a debita distanza di sicurezza, qualcosa in cui cercare con ogni forza di non rischiare nemmeno lontanamente di essere coinvolti.

Anche ammesso ciò, in qualsiasi altra condizione del genere, da esperienza di Danny, a quell’ora sarebbero già dovute essere innumerevoli le chiamate giunte a qualche centralino di qualche forza dell’ordine di qualsivoglia tipo, con annesse richieste di intervento. E tuttavia non si vedeva l’ombra di una sola divisa poliziesca.

Come se avesse interpretato perfettamente quel suo rimuginare, Mara gli si rivolse in tono sinistramente cupo, con una nota di divertimento crudele e minaccioso, e qualcosa che sembrava voler essere quasi profeticamente saggio.

«Le mandrie sono chiuse nelle stalle e nelle capanne. Perché noi liberi erriamo fino all’alba.*

Danny riconobbe la citazione, e sorrise appena e amaramente tra sé e sé.

«Kipling.» disse «Ottimo scrittore. Tremendo colonialista e razzista.***»

Al di sopra del bordo più alto degli indumenti che gli accoliti di Mara tenevano ancora davanti a lei a costituire una sorta di improvvisata cabina per coprire il suo essersi ormai completamente spogliata, Danny la vide dare una piccola e sommaria alzata di spalle.

«Faccende tra esseri umani. Non ci riguardano.» rispose.

Danny scosse appena la testa.

Poi vide Mara lanciargli un’ultima occhiata significativa e penetrante, accompagnata da un sottile sogghigno sghembo, prima di chinarsi sparendo oltre la barriera di abiti retti da alcuni dei componenti del suo seguito.

Capì perfettamente che non c’era altro da aggiungere.

Danny si piegò a sua volta sul cemento, assumendo una posa a “quattro zampe” come qualsiasi mezzo lupo era solito fare quando passava dalla sua forma umana a quella di lupo. E, raccogliendo abitualmente la giusta concentrazione, iniziò a mutare la sua forma.

L’ultimo pensiero riguardante altro che non fosse completamente attinente allo scontro che lo aspettava, fu che era ormai praticamente certo che nessun abitante di Tairans si sarebbe di lì a poco intromesso in quanto stava accadendo.

Se da un lato questo stabiliva senza ombra di dubbio che solo la fine dello scontro con un solo vincitore avrebbe posto termine alla lotta, d’altro canto Danny ne provò un profondo sollievo: almeno per il momento, almeno fintanto che lui fosse stato vivo, Mara e il suo seguito non avrebbero potuto scatenare le loro capacità offensive di mezzi lupi su nessun’altro.

Per quanto riguardava il dopo… quando lui sarebbe stato sconfitto e ucciso… Ma in quel momento pensarci non aveva nessuna possibile utilità.

 

***

 

Il fatto che un mezzo lupo fosse abituato a farlo più volte nel corso della sua vita, anche con un’alta frequenza, non rendeva il mutare forma in una direzione o nell’altra meno facile, e sicuramente mai piacevole.

La concentrazione da raccogliere era necessaria per avviare il processo, ma Danny aveva sempre sospettato che servisse più che altro ad auto-persuadersi di voler veramente mutare forma nonostante il disagio e il dolore fisico che questo comportava: aveva sempre in qualche modo considerato quella concentrazione iniziale come una sorta di battaglia tra la volontà di mutare forma e l’istintivo recalcitrare dal farlo per evitare il fastidio che ne derivava. La concentrazione andava mantenuta fino alla fine della mutazione di forma, e in quel caso Danny la riteneva più come una sorta di determinazione a voler arrivare fino in fondo nonostante il profondo desiderio implicito di farla finita il prima possibile, desiderio che d’altra parte poteva essere in un certo senso canalizzato proficuamente proprio verso l’obbiettivo di completare la mutazione di forma, piuttosto che interromperla.

Di una cosa Danny era piuttosto sicuro: non sarebbe mai riuscito, nemmeno impegnandosi al massimo, a spiegare quel tipo di concentrazione e la natura d’essa a chiunque non fosse un mezzo lupo; e tra mezzi lupi, d’altro canto, non c’era alcun bisogno di spiegare cosa fosse.

Probabilmente la parola stessa ‘concentrazione’ non era nemmeno lontanamente abbastanza corretta. Ma forse la differenza più esplicita tra quello che un qualunque essere umano avrebbe associato alla parola ‘concentrazione’ e ciò che qualsiasi mezzo lupo conosceva così bene, era che mentre la prima in qualche modo si imparava nel corso della vita, la seconda sembrava essere inscritta a fondo nell’istinto primordiale: nessun mezzo lupo doveva ‘imparare’ ad evocare, esercitare e mantenere quella sorta di concentrazione, bensì si ritrovava fin dalla prima volta a sperimentarla come se l’intero processo di mutare forma gli risultasse in qualche modo naturale; e quella prima volta era anche l’occasione in cui scopriva quanto fosse in buona parte disagevole e doloroso.

D’altro canto, questo era un concetto che un essere umano completo poteva perlomeno figurarsi anche solo con la logica, anche se non avrebbe mai potuto capire esattamente, a meno che non si fosse trovato ad un certo punto della sua vita mutato in mezzo lupo e avesse dovuto così scoprirlo sulla propria pelle.

«Immagina… » avevo una volta iniziato a dire Danny, rispondendo ad una domanda di Yuta che, dopo un poco che si conoscevano, stava semplicemente cercando di fare una conversazione abbastanza tranquilla e confidenziale con lui e aveva chiesto come fosse mutare forma.

«No.» si era interrotto Danny, riflettendo meglio sulla sua scelta delle parole. «Prova ad immaginare…» aveva ricominciato «Come potrebbe essere sentire il tuo corpo che si riassesta su un’altra forma. Come se tutte le componenti che lo formano, dalle ossa alle fibre muscolari passando per articolazioni e cartilagini e organi e quant’altro, si muovessero per riaggiustare la loro posizione, nel mentre diventando un po’ più grandi o un po’ più piccole, un po’ più lunghe o corte, eventualmente torcendosi su se stesse, o crescendo ex novo… beh, per quanto riguarda cose come orecchie e coda, naturalmente.».

Yuta, che mentre lo ascoltava era gradualmente impallidita e aveva spalancato sempre più gli occhi in uno sguardo impressionato, profondamente dolente e quasi scioccato, era sembrata anche più scossa da quell’improvviso accenno di alleggerimento amaro del suo tono.

«Questo per quanto riguarda la mutazione dalla forma umana a quella di lupo, naturalmente. Il procedimento inverso non è molto dissimile, tranne per il fatto che sono più le appendici che scompaiono che quelle che compaiono.» aveva proseguito Danny imperterrito, parlando tranquillamente ma quasi distrattamente, osservandosi una mano che stava tenendo aperta appoggiata sul proprio ginocchio.

E Yuta aveva intuito che si stesse riferendo ai pollici opponibili, naturalmente; e si era resa conto che no, non era affatto semplice immaginare il proprio corpo assumere una forma talmente radicalmente diversa da quella che le era famigliare da che era nata, anche se si fosse trattato semplicemente di trovarsi senza pollici opponibili.

«Forse la cosa più impressionante è come ci si abitui in fretta, tuttavia.» aveva continuato Danny, con l’aria di chi sta parlando in parte a se stesso. «In qualche modo, ci si sente perfettamente in se stessi in entrambe le forme, per quanto molto diverse. Anche se, allo stesso tempo, talvolta quando si è in forma umana si cerca di muovere le orecchie o la coda… o forse questo è solo il mio caso perché ho passato diversi anni di fila solamente nella forma di lupo. Ma credo sia comunque una cosa fondamentalmente importante, riuscire a mantenere una certa lucidità a proposito della forma in cui ci si trova, se l’una o l’altra. Una volta ho sentito di un mezzo lupo che è… beh, credo si potrebbe dire che è ammattito, in un certo senso. Un tipo di follia da mezzi lupi, a quanto pare. In sostanza assumeva comportamenti e cercava di muoversi in modi tipicamente appartenenti sia all’una che all’altra forma, aldilà della forma che aveva in quel momento. Così, se era nella sua forma di lupo aveva la tendenza a cercare in certi momenti di camminare sulle zampe posteriori e ad usare le anteriori come braccia, ad esempio, o se era in quella umana talvolta aveva bisogno di mettersi a gattoni per riuscire a camminare senza perdere l’equilibrio come se per un momento per il suo cervello fosse strano dover gestire degli arti umani.»

A quel punto Danny aveva girato la testa a guardare Yuta, l’espressione della quale era ormai talmente orrorificata che lui aveva capito che non sarebbe riuscita a spiccicare parola in quel momento, e aveva nel contempo deciso che era finanche troppo per lei quello che aveva detto.

«Ma è solo una storia.» aveva quindi commentato, alzando le spalle e assumendo un tono più pratico e piuttosto cinico «Magari è solo questo, e in realtà non è mai successo a nessuno.»

Poi aveva cambiato argomento, riuscendo in qualche modo infine a rifar tornare un po’ del colorito naturale sul viso di Yuta e a distrarla da quello che aveva appena sentito. Tuttavia, in lui un leggero sentore di senso di colpa era rimasto.

Perché allora era ancora abbastanza infastidito dai tentativi da parte di un essere umano – e allora poteva trattarsi solo di qualcuno dei ‘4 di picche’, ovvero gli unici che frequentasse e che conoscessero la sua natura – di capire qualcosa di come era essere un mezzo lupo. Al punto che non riusciva a fare a meno di ritrovarsi a rispondere con un certo risentito astio in sottofondo, e finiva per non usare alcun riguardo nel calare con la sua risposta nei particolari più crudi e meno piacevoli da sentir raccontare di com’era effettivamente esserlo, un mezzo lupo. Almeno per lui. Perché aveva il sospetto che Mara non fosse l’unico mezzo lupo che invece non vedeva altro nella loro natura che qualcosa di incredibilmente fantastico, sebbene, allora ne era quasi sicuro, principalmente per il fatto che ciò le consentiva di esprimere al meglio quella parte omicida del suo carattere.

Talvolta sospettava allora che si trattasse solo di questo in fondo: ce l’aveva ancora con Mara, per quel suo esaltare l’essere un mezzo lupo come se fosse in tutto e per tutto qualcosa che non si poteva che apprezzare appieno, ignorando o forse nemmeno provando alcuno di quei fastidi correlati, quelle ombre di chiaroscuro che invece lui aveva sempre provato. Non c’era niente di meglio o peggio nell’essere un mezzo lupo piuttosto che un essere umano, probabilmente come non c’era niente di assolutamente meglio o peggio di essere un airone piuttosto che un lombrico. Ogni natura aveva i suoi aspetti positivi e anche profondamente apprezzabili così come quelli negativi e sinceramente detestabili, insieme ad una svariata gamma di grigi di aspetti che potevano rivelarsi l’una o l’altra cosa a seconda delle circostanze, del momento, dello stato d’animo. Un essere umano non avrebbe mai potuto sapere cosa significava poter esprimere le proprie emozioni tramite una gestualità che poteva contare anche su un ampio arcobaleno di movimenti di coda e orecchie, così come non si sarebbe mai dovuto preoccupare del rischio che esse venissero ferite o amputate.

Forse, allora semplicemente Danny credeva di vedere nella curiosità di quelle domande a proposito di come fosse essere un mezzo lupo da parte di esseri umani come qualcosa di disturbantemente simile ad una propensione alla fascinazione e idealizzazione di qualcosa che, essendo dopotutto solo un altro modo di vivere, non poteva che essere storpiato dall’essere dipinto tutto in bianco o tutto in nero. O forse gli ricordava una versione più giovane di se stesso, quella versione di lui ancora abbastanza ingenua da rimanere appeso alle parole esaltatrici e romanzate di Mara a riguardo dell’essere un mezzo lupo, di credervi, e di restare affascinato a tal punto dalla scoperta di quel nuovo mondo di sensi amplificati e di vita selvaticamente libera e altra da rimanerne irretito inizialmente, senza aver sospetto né intravisto quelle zone d’ombra in cui poi era incappato più avanti.

Forse era solo un altro aspetto piuttosto infantile di come era allora, ma l’amarezza che lo portava a privilegiare gli aspetti più negativi e disconfortanti delle sue descrizioni quando rispondeva a quelle domande aveva alle sue stesse orecchie qualcosa di disperatamente bisognoso, e perciò fastidioso, nel tentare di ricalibrare la bilancia delle aspettative fin troppo rosee e affascinate su come poteva essere, il ritrovarsi ad essere un mezzo lupo.

 

***

 

Danny non sapeva come esattamente i suoi pensieri fossero finiti in quella direzione, ma semplicemente li ritrovò lì mentre, avendo assunto la sua forma di lupo, si rizzava in tutta la sua altezza sulle quattro zampe nel bel mezzo della strada di Tairans.

Gli era ancora familiare, quella sensazione di leggero senso di colpa, perché in fondo sapeva fin da allora che quello che stava più propriamente facendo, in fondo, era cercare di sfogare sui suoi allora appena neo-acquisiti colleghi quella rabbia profonda che non lo abbandonava quasi mai, quel risentimento bruciante per essere stato reso qualcosa che non aveva chiesto di diventare. Qualcosa che ancora non aveva capito, ad essere onesti, se era più contento o pentito di essere diventato. Forse perché semplicemente tutte le cose che si finisce per fare e diventare senza averle potute scegliere interamente finiscono per rimanere in parte incastrate in gola; e mentre la maggior parte delle persone può prendersela – in mancanza di qualche divinità immaginaria a portata – solo con il caso o il caos, con il destino o il karma, con il senso d’ironia dell’universo o con la sorte, lui aveva sempre avuto qualcuno di ben chiaramente fisico con cui potersela prendere: Mara.

Di punto in bianco, in quel momento ricordò. Come una sorta di fulmine a ciel sereno nella sua mente, si ricordò esattamente di quel sogno. Quello in cui lui era di nuovo in quella casa dove si stava tenendo un concerto auto-organizzato o forse era la festa organizzata da qualcuno; e ora non ricordava troppo bene i particolari, non solo perché era passato diverso tempo e perché aveva avuto eventi ben più notevoli della sua vita con cui misurarsi di lì a poco, ma anche perché già allora non gli erano sembrati degni di nota. E aveva incrociato quella giovane donna forse un po’ più grande di lui che lo aveva convinto a seguirla fuori dalla casa, con la neve per terra e un freddo che gli aveva aggredito la pelle come mordendolo, prima che ben altro tipo di morso lo sorprendesse fulmineamente e gli facesse credere per brevi ma interminabili e indimenticabili istanti di essere arrivato al capolinea, di stare effettivamente morendo. Quel sogno in cui tuttavia, prima di solcare quella soglia, aveva incrociato Zoal: Zoal che naturalmente all’epoca in cui si era svolto il tutto non era lì e lui nemmeno aveva ancora incontrato prima in vita sua; Zoal che gli aveva dato una carta da stringere nel pugno come una sorta di promessa rassicurante, qualcosa a cui aggrapparsi non importa quanto di potenzialmente terribile potesse succedere; Zoal che gli aveva detto qualcosa che lo aveva colpito, qualcosa che gli era sembrato terribilmente importante, qualcosa che ancora non riusciva a ricordare…

Danny mormorò una colorita imprecazione nella sua mente.

Ma il suo sguardo si accese di nuova attenzione, vedendo quasi dall’altra parte della strada per il resto deserta di Tairans alcuni dei mezzi lupi che avevano alzato dei vestiti per improvvisare una cabina di cambio d’abiti per la loro leader riconosciuta spostarsi.

Dietro di loro apparve colei il cui aspetto Danny rivedeva in quella forma ora per la prima volta dopo tanti anni, e che tuttavia non avrebbe potuto scambiare per nessun’altra lupa o mezza lupa. Il folto pelo in cui prevalevano le sfumature di nero intenso sembrava dare alle sue sembianze qualcosa di simile ad un’ombra profonda e abissale, anche se in buona parte forse era un effetto amplificato dall’atteggiamento di Mara stessa, quel suo stare sulle quattro lunghe zampe con un che di elegantemente sinistro e sinceramente promettente null’altro che l’appressarsi di una tenebra mortale. Come Danny avrebbe detto e ridetto senza pentirsi né mai dubitare di una singola di quelle parole di definizione, se qualcuno gli avesse chiesto che aspetto aveva Mara quando era animata esattamente dal proposito di apparire in quel modo a chi aveva di fronte, lei era abilissima nel poter incarnare la morte in se stessa davanti a chi voleva semplicemente eliminare. Cosa che si poteva stare certi avrebbe fatto di lì a poco, possibilmente con una tale eleganza omicida che, negli appassionati del genere, avrebbe sicuramente prodotto una notevole ammirazione.

Questo era quanto si poteva dire dunque a proposito di coloro che l’avevano scelta come loro leader. Non si poteva scusare loro di essere rimasti incantati al punto da mal interpretarla, perché se avevano passato abbastanza tempo con lei da conoscerla a sufficienza, e non ne era necessario così tanto perché Mara difficilmente riusciva a celarsi troppo a lungo unicamente sotto il suo lato meno taglientemente inquietante, soprattutto per basilare mancanza di pazienza, allora non potevano non aver già superato quel punto in cui l’essere affascinati da lei andava di pari passo col temerla con ogni fibra di sé. E Danny questo lo sapeva benissimo e da esperienza di primissima mano.

Danny aveva sentito dire una volta che un mezzo lupo sarebbe in grado di riconoscere l’odore della propria morte, sotto qualsiasi forma si presentasse, e anche se avesse avuto un odore perfettamente ordinario o addirittura banale o familiare.

Doveva essere una storia che gli aveva raccontato Mara, e c’era da sospettarlo non solo perché lei era a tutti gli effetti l’unico altro mezzo lupo con cui avesse parlato più a lungo e di cose più disparate in vita sua, specie se di cose a proposito di mezzi lupi e quindi che praticamente solo mezzi lupi potevano conoscere, ma anche perché era un genere di storia che Mara poteva raccontare come se ci credesse o come se volesse che chi l’ascoltava la credesse perfettamente potenzialmente vera. Quella sorta di misticismo sulla natura di un mezzo lupo e sulle storie e leggende circolanti a proposito di tale natura, come una sorta di tradizione assemblata senza preciso ordine o grande mire di continuità dal semplice passarle con la tramandazione orale di mezzo lupo in mezzo lupo, era esattamente ciò che, per quanto Danny ne sapeva, le sarebbe potuto piacere. Il fatto che lei potesse riuscire a crederci e non crederci allo stesso tempo, portarvi rispetto e partecipare alla loro tramandazione e allo stesso tempo comportarsi e vivere come se non avessero dopotutto alcun peso, era qualcosa che un tempo Danny doveva aver trovato prima tremendamente affascinante e poi profondamente detestabile; ora come ora, tuttavia, non riusciva nemmeno a ricordare esattamente come avesse fatto a darle tanta importanza, a lei e a quello che diceva.

Sicuramente non se ne sentiva per niente intaccato ora. Il ricordo di quella storia, e la semplice breve constatazione che per lui quell’odore, l’odore della propria morte che si appressa abbastanza da essere percepita a portata di olfatto, poteva tranquillamente coincidere proprio con l’odore di Mara, e questo sembrava in qualche modo perfettamente appropriato per lui, non gli suscitarono altro che un’amara sorta di superficiale sarcasmo. Era così dopotutto importante, se quella storia o leggenda o diceria fosse vera o meno, quando si stava in ogni caso molto probabilmente per morire? Poteva essere importante per lui o per chiunque altro? Certamente non per lui, visto che con ogni probabilità non gli sarebbe stato semplicemente possibile preoccuparsi di niente di lì a poco; certamente non per Uther che stava per essere o sbranato o trasformato da Mara, anche se era più probabile la prima opzione ormai probabilmente; sicuramente non per chiunque vivesse in quella cittadina se un branco di mezzi lupi frustrati dalla loro vita affatto di branco e più da setta di ammattiti si fosse scatenata con il proposito di uccidere tutti quelli non della loro specie che avessero trovato a portata.

Se avesse avuto il tempo di rintracciare esattamente il filo delle sue emozioni in quel momento, probabilmente Danny avrebbe scoperto un sottile ma sincero senso di sollievo per il fatto che tutta la sua concentrazione si trasferì nettamente in un colpo solo su tutt’altro. E in particolare su quello che concerneva il fatto che si stava per battere con Mara. Forse non esattamente per la sua sopravvivenza, sulla quale al momento non avrebbe puntato, ma per qualcos’altro di indefinibile e inafferrabile che a quanto pareva continuava immancabilmente a sfuggirgli nella sua interezza complessiva.

 

 

 

Soundtrack: Show me your teeth (Lady Gaga)

* Ho preso in prestito il titolo della canzone per il titolo di questo capitolo.

 

Note per la comprensione e disclaimer:

** la citazione proviene (in una delle traduzioni italiane, essendo l’originale in inglese) da ‘Il libro della giungla’ di R. Kipling, in particolare da ‘Il canto notturno della giungla’

*** Kipling è stato indubbiamente un ottimo scrittore così come un sostenitore della supremazia dell’impero e della cultura e dei cittadini “della corona britannica” (alias del Regno Unito insomma) sulle popolazioni native delle allora colonie britanniche, e più in generale convinto dell’idea (all’epoca molto molto popolare tra i bianchi occidentali) che i coloni bianchi fossero investiti della missione divina di colonizzare gli altri popoli (ovviamente quelli “selvaggi” e “arretrati”) per… insegnare loro le buone maniere e renderli più apprezzabili agli occhi di dio (okay, c’erano in giro all’epoca modi molto più elaborati e convincenti di esprimere il concetto, ma di fatto in questi casi preferisco la semplice brutalità, che magari è più realistica e veritiera…). Ovviamente il tutto serviva da viatico ideologico-religioso per sfruttare quei luoghi e schiavizzare quelle popolazioni con la coscienza in pace e la convinzione di stare facendo una sorta di opera di carità approvata da qualche divinità (modalità che si possono tranquillamente ritrovare in versione ‘stessa minestra riscaldata e rimescolata’ anche in moltissime altre guerre e colonizzazioni fino ai giorni nostri oltre che anche prima delle colonizzazioni dell’Impero britannico, chiaramente).

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Capitolo 43
*** 42 - Bared fangs ***


Capitolo 42

(Bared Fangs)

 

C’erano delle precise istruzioni iscritte nell’istinto di sopravvivenza di un mezzo lupo, quando ci si trovava in cattive acque e c’erano valide possibilità di essere feriti gravemente ed eventualmente mortalmente, ed era tutta una questione di anatomia e punti a cui mirare o da proteggere durante una lotta. L’istinto sembrava avere un’innata conoscenza della fisiologia basilare dell’organismo che lo possedeva: il centro del mirino erano banalmente i punti vitali, perciò quelli a cui mirare più definitivamente sull’avversario, e i primi da proteggere ad ogni costo su se stessi.

Era come se anche il cambiamento fisiologico che il corpo assumeva per riflesso in caso di combattimento sottolineasse quelle priorità d’attacco e difensive. Il cuore accelerava spingendo più velocemente il sangue nelle vene, come a ricordare che ogni ferita era una perdita di sangue, e che la perdita di sangue era un diminuire di energia e lucidità necessarie per combattere al massimo delle proprie capacità. Sembrava allora di sentire quel pulsare fattosi più vivo che si concentrava in quei punti fondamentali per la sopravvivenza.

La posizione non era casuale: proteggere la gola abbassando la testa, proteggerla a qualsiasi costo tenendo la carotide lontana dall’affondo delle zanne dell’avversario: che fosse recisa mortalmente o che fosse tenuta sotto la costante minaccia di un morso che poteva affondare da un momento all’altro, era una differenza dal margine talmente sottile da sembrare quasi inesistente. E allo stesso tempo non si poteva abbassare troppo la testa, mai oltre la linea dello sguardo, che non poteva perdere di vista l’avversario nemmeno per un momento, seguirne ogni mossa d’attacco per subirla il meno possibile, individuare ogni minima breccia nella sua difesa e ogni possibile occasione di attacco e contrattacco.

Lontano dall’essere un regolare incontro di boxe, uno scontro tra lupi non solo giocava su un ritmo di frammenti di secondi a stento riconducibili ad una precisa sequenza di movimenti, ma era anche un immancabile schema di schegge di attacco e ritirate così fulminee da dare alla testa persino a chi fosse riuscito a seguirne l’avvicendarsene follemente rapido. Ogni ritrarsi dell’avversario tra un affondo e l’altro poteva coincidere con un momento di pausa in cui si apriva la tenue possibilità di un preziosissimo estendersi della propria sopravvivenza, così come poteva rappresentare la striminzita possibilità da cogliere al volo di attaccare a propria volta.

 ‘Un lupo è una lancia, i suoi denti sono la sua lama. Tutto il resto è solo questione di affondo, ritrarre e ri-affondo. Finché chi in cui la lama viene affondata non è più in grado di respirare.’ gli aveva detto Mara una volta a mo’ di spiegazione.

Aldilà dello spietato modo di dipingerlo, Danny sapeva che quella era una descrizione esatta nel suo essere ridotta all’osso. Perché questo era esattamente ciò che era: ridotta all’osso. Sebbene in realtà la maggior parte degli scontri tra lupi o tra mezzi lupi fossero ben lontani dal dover finire per forza con la morte di qualcuno di coloro che si stava battendo.

Spesso era più che sufficiente la non detta minaccia che poteva benissimo andare a finire anche in quel modo a convincere chi stava avendo la peggio a desistere. C’era un meccanismo istintivo altrettanto efficiente, e sempre deputabile a quello di auto-conservazione, che Danny aveva letto da spiegato qualche parte, e che aveva un che di totalmente opposto a quella nuda e cruda spietatezza enunciata da Mara. Ma lei, dopotutto, sembrava non sapere assolutamente che cosa fosse quello che gli studiosi avrebbero chiamato ‘inibizione del morso*’.

Gli occhi erano da proteggere perché era necessario poter continuare a vedere gli attacchi dell’avversario e prendere le misure dei propri, e perché per definizione ogni dolore troppo intenso è appunto accecante. Le orecchie appiattite sul capo perché erano uno dei punti più esposti a causa del loro essere sporgenti.

Piegarsi sulle zampe, talvolta e nelle situazioni più gravi fino al punto da risultare quasi con il ventre a filo di terreno, per tenere più coperti dagli attacchi i punti vitali di gola e addome, ma anche per poter sfruttare l’allungare fulmineamente le zampe in uno scatto di evitamento o di affondo che poteva risultare decisivo, e non da ultimo per evitare per quanto possibile eccessive ferite alle zampe stesse.

Le zampe di un lupo erano il suo movimento e la sua rapidità, la sua capacità di cacciare e combattere, di spostarsi e di correre, di scegliere momento per momento la sua direzione, la sua sopravvivenza e la sua libertà. Un lupo senza denti e/o senza zampe era un lupo morto. Per questo anche uscendo vivi da uno scontro ma seriamente azzoppati, si avevano poche possibilità di sopravvivere se non si era parte di un branco che avrebbe permesso di nutrirsi delle prede cacciate dagli altri.

E poi la coda, estremamente vulnerabile nel suo sporgere, e quella che perciò ogni lupo o mezzo lupo avrebbe, in caso di serio scontro imminente, portato subito aderente alle zampe posteriori o addirittura contro il ventre. Ma era inevitabile che sarebbe comunque stato necessario renderla di nuovo esposta durante il combattimento, perché essa era l’equilibrio di un lupo, il poter bilanciare ogni scatto e cambio di direzione improvviso.

Il muso la prima cosa davanti a tutto il resto, appuntito come per traforare strati d’aria in velocità, per insinuarsi tra le difese di una preda o di un avversario e aprirsi snudando le zanne, mostrandole in difesa e/o minaccia, le fauci per richiudersi come lo scatto di una trappola mortale su un punto vitale o, quando non si intendeva uccidere oppure non si aveva altra e migliore scelta a disposizione, su qualsiasi altro punto si riuscisse.

Un lupo in corsa o in salto o affondo, fosse caccia o combattimento, era come una freccia che si stendeva tra il muso puntato in avanti e la coda indietro a definire la sua direzione nello spazio, le zampe che lo muovevano, il tutto che lo rendeva vivo e reattivo, capace di dare un seguito fisico e pratico ad ogni sua decisione mettendola in atto.

 

Ma Mara era ancora immobile, di fronte a Danny e a metri di distanza da lui in mezzo alla strada, e nessuno dei due stava affatto assumendo la tipica posizione da lotta. Forse perché erano mezzi lupi e in parte potevano prescindere da certe leggi istintuali puramente da lupo; o forse semplicemente perché Mara era fatta così, talmente sicura di vincere e poter uccidere chiunque avesse deciso di eliminare che non poteva sentirsi abbastanza allarmata da essere spinta ad assumere quella posa, o forse dopotutto voleva puntualmente rifiutarsi di assumerla come ulteriore provocazione. E per quanto riguardava Danny, perché da un lato non aveva tutta questa fretta, e dall’altro forse non voleva darle tutta questa soddisfazione.

Metà dell’esito di uno scontro lo decidevano l’atteggiamento e la convinzione di vincere o perdere che si poteva racimolare dopo un’attenta considerazione delle proprie forze e capacità contro quelle dell’avversario.

A parere di Danny, mostrare più sicurezza in se stessi in una sorta di ostentata spacconaggine era più nella natura degli esseri umani che in quella dei lupi; e forse per quanto riguardava i mezzi lupi la loro natura permetteva loro abbastanza spazio di gioco da poter propendere per l’una o l’altra a seconda del carattere individuale. Ad esperienza di Danny, Mara adorava mostrarsi sicura di se stessa, e per lui era ancora – come sempre – impossibile capire quanto quella sicurezza fosse effettivamente fondata o più che altro ostentata, e in quale misura, per quanto molte volte avesse visto coi suoi occhi chiara prova di quanto potesse essere terribilmente e puntualmente efficace una volta che veniva scatenata alle spese dell’obbiettivo finale di lei.

Quanto a lui, se si poteva parlare di sicurezza attualmente nel suo caso, ciò che più vi assomigliava al momento era il ritenere con una certa probabilità che stava per morire. Ma era quanto mai lontano dalla tentazione di trovarlo in qualche modo un dato triste o preoccupante: semplicemente e per qualche motivo non vi riusciva. Di conseguenza, aveva il discreto sospetto che in quel momento lui poteva risultare semplicemente inintelleggibile, un dato neutrale che non rivelava né sicurezza in se stesso ne tantomeno timore. Forse era la sensazione così inesplicabilmente profonda di trovarsi esattamente dove doveva essere e nel momento in cui doveva esserlo. L’unica cosa che avrebbe potuto davvero terrorizzarlo, era la prospettiva di non essere proprio lì e proprio in quel momento, lì dove in qualche modo doveva essere. In nessun’altro posto, in nessun’altro modo, dopotutto e in fondo.

Ma il tempo si stava espandendo fin troppo, come se mano a mano che sciorinava via momento dopo momento si stesse dilatando, le maglie si stessero iniziando a sfilacciare per lo sforzo, il senso a diluire mano a mano che veniva messo troppo duramente alla prova.

Danny riconobbe quella sensazione. Aspettare o lasciare scorrere ancora il tempo in quella sorta di immobilità non poteva che peggiorare le cose. I suoi sensi dunque si raccolsero e si radunarono, si acuirono e sembrarono come involarsi in un imbuto, il condotto che si stringeva via via, convergendo su quanto stava per iniziare e sulla sua avversaria. Nel loro acuirsi, gli sembrò di captare la sensazione vivida della sospensione acuta dell’immobilità degli altri mezzi lupi silenziosi, che assistevano come se il risultato fosse in qualche modo scontato e non per questo meno dotato di un suo notevole peso specifico, della sicurezza glaciale che emanava Mara nella sua versione di incarnazione della morte altrui in persona, dell’acuta tensione del dito di Uther sul grilletto del fucile puntato che impugnava metri al di sopra delle loro teste.

Perciò Danny si mosse per primo.

 

L’immobilità e il movimento erano quanto mai determinanti in contesti del genere. Ogni immobilità era attesa, e automaticamente certezza che nessun attacco stesse venendo messo in atto, perlomeno non in quel preciso istante, per quanto riguardava l’istante successivo chissà; ed era insieme una raccolta di forze e tensioni che non erano affatto immobili, ma si stavano preparando nel loro stesso fluire attraverso una minutezza variante di linee di forza dirette nelle più svariate direzioni. Ogni movimento troppo rapido era l’equivalente dell’elastico che si spezza, dell’equilibrio che si rompe sonoramente, lo sparo d’inizio della corsa competitiva, il fragore di una valanga che inizia a scivolare inesorabilmente, lo scatto che si mette in moto senza possibilità di ritorno, l’attacco che cessa di attendere e inizia il suo percorso ovunque debba andare a finire.

Tutto ciò che Danny fece fu muoversi, lentamente ma inesorabilmente, rompendo l’immobilità senza al contempo farlo così brutalmente da spezzare il sottile ghiaccio su cui si trovava ormai, e nel quale si sentiva ormai così profondamente immerso che la memoria di aver camminato in precedenza su qualcos’altro sembrava stare impallidendo come un lontano ricordo, possibilmente un sogno.

Si mosse in quella stretta terra di nessuno tra la completa statica e l’inizio dei movimenti così impietosamente rapidi che sapeva perfettamente sarebbero stati padroni nello scontro che stava per avvenire: spostando un poco il suo peso, alzando di pochi millimetri le zampe dal cemento che ora sentiva acutamente sotto i polpastrelli sensibili per spostarle in modo da allargare la sua base di appoggio, e piegando le zampe per abbassarsi un poco con il ventre più verso terra.

Solo alla fine appiattì le orecchie sul capo, irrigidì le labbra sollevandole così a malapena da non mettere nemmeno allo scoperto i denti, e si portò la coda contro le zampe posteriori, abbassando la testa per coprire anche solo allo sguardo la gola e il ventre, fino al punto massimo in cui le sue pupille alzate al massimo potevano appena raggiungere in linea d’aria la sagoma di Mara ancora ferma a guardarlo.

E sapeva che facendo così il messaggio sarebbe stato limpido, che avrebbe attraversato in meno di un battito di palpebre lo spazio che lo separava da Mara, giungendo chiaramente e nettamente nella sua semplicità. Il tempo dell’attesa era finito. E non perché la tensione lo stesse dilaniando o l’attesa spaventando. Semplicemente perché… perché aspettare ancora, dunque?

Gli parve di poter percepire per un istante un’esitazione all’ultimo nella tensione del dito di Uther tenuto sul grilletto, come se fosse stato percorso da un fuggevole tremito, in bilico sulla possibilità di far partire il colpo: giusto per poter essere sicuro che Mara cadesse a terra prima dell’inizio di tutto quello, giusto per poter essere sicuro che Danny non morisse, perlomeno non per mano di lei, perlomeno non proprio lì e in quel momento. E Danny fu profondamente e infinitamente grato quando dopotutto non udì partire il colpo. Uther doveva aver capito: che non spettava a lui iniziare e finire quella situazione, e che non era quello il modo.

Dopodiché Mara scattò.

 

***

 

Un momento prima Mara era perfettamente immobile, in quella posizione semplice e tutto sommato apparentemente rilassata, come se non avesse veramente intenzione di fare altro che restare lì a contemplare il tutto con una sorta di soddisfazione in sordina. Il momento successivo era una saetta nera che correva quasi rasoterra, solcando con poche ampie falcate fulmineamente veloci la distanza che li separava.

Danny non mosse un muscolo, come se stesse semplicemente assistendo alla sua morte che gli veniva incontro, da spettatore paralizzato dalla consapevolezza di un’implicita inesorabilità totalizzante d’essa. Quando lei fu così vicina da essergli quasi addosso però, e non appena ne vide le fauci iniziare ad aprirsi per affondare il morso, Danny si mosse a sua volta e altrettanto fulmineamente.

Mara cambiò direzione quasi nello stesso istante, e non perché fosse stata in grado di prevedere la sua mossa, ma semplicemente perché fin dall’inizio quella era stata la sua intenzione. La sicurezza in se stessa che emanava e la semplicità netta con cui poteva condurre un attacco mortale sembravano perfettamente coincidenti con un banale affondo condotto in linea diretta contro l’avversario, ma era proprio quella la tecnica che lei utilizzava. Era abbastanza astuta da sapere perfettamente con che cosa di se stessa poteva giocare per trarre in inganno. Per questo quell’attacco apparentemente in linea diretta era fin dall’inizio destinato a spezzarsi proprio sul finale, per curvare repentinamente in un’angolazione acuta, scartare a velocità sempre sostenuta a pochissima distanza dalla vittima, virare facendo perno su un ristretto spazio di terreno molto appresso all’obbiettivo, e ritornare diretto in un affondo finale in un punto diverso da quello a cui sembrava mirare inizialmente senza ombra di dubbio.

E Danny non era abbastanza stupido da cascarci. Sapeva che lei lo avrebbe fatto, senza bisogno di rifletterci o pensarci, ma semplicemente perché lei era Mara e lui la conosceva; semplicemente perché Mara si divertiva troppo nel mettere in atto certe raffinatezze strategiche di abilità giocata sul filo del rasoio, improvvisata e calcolata insieme, e forse perché dopotutto sapeva di starsi battendo non contro l’ultimo sprovveduto tra tutti i mezzi lupi.

Improvvisata e calcolata allo stesso tempo, appunto. Danny sapeva che lei avrebbe virato all’ultimo per cambiare la direzione dell’attacco, quella era la parte calcolata, ma non poteva sapere quale sarebbe stato il nuovo punto verso cui sarebbe stato diretto, perché quella era la parte improvvisata. E lui non era così ingenuo da aver fatto l’errore di scoprire un punto debole al quale lei potesse puntare perché si era fatto ingannare dall’iniziale semplice direzione diretta dello scatto di lei.

Perciò quello a cui Mara si ritrovò a rivolgere il micidiale morso d’affondo era un punto ancora coperto dalla difesa di Danny. Ma in ogni caso lui sapeva che anche i morsi profondi, per quanto non mortali, non solo sono spiacevoli, ma sono anche un iniziale punto di possibile svantaggio, anche quando sono un’inevitabile prezzo da pagare pur di riuscire a propria volta a colpire un punto debole.

Danny si mosse abbastanza rapidamente da sottrarsi a malapena dalla scattante chiusura secca e netta delle zanne di Mara, e tentò solo per provare a sua volta di affondare i denti, sebbene non avesse avuto il tempo di riuscire a rendere il suo tentativo di attacco abbastanza efficace da superare la capacità di lei di sottrarsi ad esso. Entrambe le loro fauci si chiusero con un schiocco secco e tagliente nell’aria, e l’istante successivo Mara si stava rapidamente ritraendo dall’attacco per riguadagnare un poco di distanza, e lo stesso stava facendo Danny, entrambi girandosi un poco su se stessi per continuare a fronteggiarsi e mantenere il maggior campo visivo possibile attorno all’epicentro dell’avversario.

Affondo e ritirata e ri-affondo. Certe regole di base raramente venivano a cadere o si prestavano troppo a variazioni. Naturalmente, c’era sempre la possibilità di fingere solo un affondo per invece ritrarsi, o viceversa, al preciso scopo di indurre l’avversario a commettere in reazione alla finta qualche movimento sbagliato che gli facesse scoprire incautamente qualche punto nella guardia, o indurlo a farsi avanti troppo scopertamente, o semplicemente per misurarne la prontezza di riflessi, la capacità di azione e reazione, la forza tout-court, l’agilità nei movimenti.

Ma Mara e Danny si conoscevano abbastanza da sapere già queste caratteristiche di base reciproche, e le reciproche differenze, alcune delle quali potevano già essere calcolate ad occhio. Così, Danny sapeva che Mara avrebbe giocato tutto sulla strategia secca, sulle finte e sulla rapidità fulminante. A lui rimaneva il poterne prevedere in certa misura le mosse conoscendola, il fatto che fosse un poco più pesante di lei, abbastanza da poter riuscire forse se l’avesse colta di sorpresa a farle perdere in parte l’equilibrio semplicemente con una spinta con tutto il suo peso contro di lei, e la precisione con cui poteva individuare un punto scoperto suo o di lei non appena si fosse presentato, attaccarlo o proteggerlo senza porvi in mezzo altre potenziali alternative, senza nemmeno concedersi lo spazio di pensarci sopra. Metà dell’abilità individuale si poteva misurare sulla capacità di conoscere i punti di forza e i punti deboli propri e dell’avversario, e trovare il modo di sfruttarli tutti e il più possibile unicamente a proprio vantaggio, in qualsiasi modo possibile. L’esperienza poteva non valere nulla senza l’inventiva, e tranquillamente viceversa.

Tutto divenne semplicemente una sorta di danza mortale, così terribilmente rapida che solo gli occhi di un lupo o di un mezzo lupo avrebbero potuto stare veramente al passo. Niente più che un turbinare di movimenti fulminanti nella loro rapidità e nella potenzialità di ferire in profondità, con un sottofondo ingannevolmente leggero di sottili fruscii di aria spostata violentemente dalla velocità degli scatti, e un più pressante succedersi di suoni schioccanti delle mandibole che si chiudevano con un micidiale scatto; ma quest’ultimo suono si udiva solo quando il morso andava a vuoto.

La prima a riuscire ad affondare le zanne nel suo obbiettivo fu Mara; Danny non ne rimase stupito. Né si poté concedere nemmeno per un istante di provare alcuna conseguente emozione o sensazione per quello, tantomeno di permettere ai suoi movimenti o alla sua prontezza di riflessi di rallentare di fronte all’improvvisa pungente trafittura di dolore che si sparse per tutto il corpo a raggera dal punto dove Mara gli aveva affondato i denti nella carne, come un grido muto e lancinante di allarme, tuttavia vano. Tutto ciò che lui sapeva importare, era non quello che era già successo o stava succedendo, ma solamente ciò che poteva o stava per succedere. Tutta la sua concentrazione rapida e i suoi movimenti in buona parte istintivi si focalizzarono sul non permetterle di riuscire ad assestargli altri morsi in un solo colpo: un canide può mordere in successione con una rapidità assai incalzante. Evitò i morsi successivi e allo stesso tempo riuscì a farle perdere la presa, costringendola a ricorrere alla fase di ritrarsi per non rischiare a sua volta di essere morsa.

Danny sentì la familiare sensazione del sangue che usciva dalla ferita aperta imbrattargli il manto circostante, appesantendolo e imbevendolo, iniziando a colare lentamente giù dalla spalla colpita. Ma sapeva che Mara si era dovuta in un certo senso accontentare di morderlo in quel punto, perché la pazienza di lei stava iniziando a cedere, e la sua crudeltà insita nel piacere che le procurava riuscire ad affondare i denti per ferire e dilaniare la stava incalzando. Lui seppe con certezza che da quel momento in poi lei avrebbe cambiato tattica: non più continuare a cercare di sorprenderlo con nuovi movimenti in folle rapidità, attendendo di trovare un punto debole scoperto dove affondare con fulminea prontezza, ma affondare le zanne in qualsiasi punto del suo corpo le fosse stato possibile raggiungere, fintanto che non fosse riuscita a farlo a brandelli morso dopo morso.

Sì, Danny non ne avrebbe mai dubitato. Poteva vederlo in quella sfumatura diversa della posa più rigidamente tesa e minacciosa di lei, e nel suo sguardo più ottenebrato e tagliente: si era stancata di giocare nell’anticamera della vera e propria fine, e la spazientita furia si stava facendo strada in lei, incalzandola ad accelerare per trovare la più rapida scorciatoia possibile verso l’ucciderlo, e percorrerla con ogni sua forza e fibra.

Un tempo Danny sarebbe stato semplicemente preda del terrore, vedendo quella sorta di trasfigurazione rapida di lei. Se prima Mara poteva essere un’ottima incarnazione della Morte in persona che si appressa con infinita pazienza e insita eleganza, avvolta in un impenetrabile alone di altera superiorità impermeabile ad ogni possibile emozione, ora sembrava la lama della falce che sta già calando in un unico colpo sicuro. Ma ora come ora, Danny stesso non riusciva a trarre da sé nemmeno un tentativo di emozione, financo si trattasse di un’oncia di inquietudine cupa. Forse era diventato semplicemente indenne.

Di lì a poco stavano di nuovo entrambi scattando, perché le pause non potevano che essere brevi, e il ritmo divenne ancora più deciso e implacabilmente incalzante. E l’esito dello scontro, che Danny avrebbe dato quasi per certo in suo sfavore, iniziò a vacillare da un certo punto che non avrebbe saputo stabilire. Non tanto perché anche lui iniziò a mettere a segno dei morsi dritti dritti su Mara; non per via del fatto che, nonostante le lacerazioni sanguinanti prodotte dalle taglienti e appuntite zanne si stessero moltiplicando, sparse come una pioggia di fendenti sulle loro membra, nessuno di quei colpi riusciva a superare la difesa dell’altro andando a segno anche solo un poco vicino a qualche punto vitale. Era per via di qualcos’altro.

Solo ad un certo punto, e di punto in bianco, Danny realizzò di che cosa si trattava esattamente. Ed era il semplice fatto che lo scontro stava già proseguendo da qualche minuto. In qualsiasi altra circostanza di una lotta che dovesse finire con la morte di uno dei due contendenti piuttosto che con una semplice resa, quello non sarebbe stato un tempo così lungo dopotutto. Ma era un tempo lunghissimo se uno dei due contendenti era Mara. Danny si rese conto che non solo non aveva mai visto, ma non avrebbe mai immaginato che a Mara potesse occorrere tanto tempo per riuscire ad uccidere qualcuno che aveva intenzione così chiara e determinata di eliminare. E nello stesso istante capì anche il perché, gli risultò di colpo chiaro come un raggio che trapassa all’improvviso una coltre di nubi, impossibile da non notare e vedere esattamente per quello che è: perché lui la conosceva troppo bene.

E per questo lei non riusciva in effetti ad ingannarlo completamente, a coglierlo veramente di sorpresa con le sue astuzie strategiche da combattimento e le sue improvvisazioni fulminee, a trovare la strada per colpirlo in un punto debole di vitale importanza eventualmente lasciato scoperto dalla sua difesa.

L’aveva vista cacciare centinaia di volte, e aveva cacciato con lei centinaia di volte: in ognuna di quelle singole volte, la sua priorità era stata esattamente quella di riuscire a immaginare e prevedere la successiva mossa di lei a sufficienza in modo da poterla affiancare come compagno di caccia. E decine di volte l’aveva vista piovere su di lui come una furia cieca, ogni singola volta senza sapere se ne sarebbe uscito vivo e anzi dubitandone seriamente, e ogni singola volta guidato dal terrorizzato puro istinto di sopravvivenza tendando comunque una disperata difesa per non essere ucciso. L’aveva vista così tante volte attaccare una preda per uccidere o attaccare lui per sfogarsi, che nemmeno volendolo avrebbe potuto ignorare quella familiarità radicatasi in lui verso i modi di Mara di attaccare, combattere, cacciare, cercare di uccidere.

Nello stesso momento realizzò che lei ora era dopotutto quello che quel branco di mezzi lupi come impazziti aveva scelto proprio come loro punto di maggiore forza; ma solo adesso lui si accorgeva che quello, rispetto a lui, rappresentava esattamente il loro punto debole.

Per questo, realizzò, se c’era qualcosa che doveva richiedere a se stesso, e se quell’unica cosa non era più la sua stessa sopravvivenza ma il riuscire ad evitare la morte di Uther e quella successivamente di almeno buona parte degli abitanti di Tairans, l’unica cosa che poteva e doveva fare era colpire esattamente quell’unico punto debole. Quel punto debole che coincideva con Mara, e quindi che coincideva con la sua stessa morte in lei incarnata.

 

 

Soundtrack: Voodoo people (the Prodigy)

 

 

Note per la comprensione:

* INIBIZIONE DEL MORSO: nell’ambito dell’etologia (in parole povere: studio del comportamento degli animali), e spiegato molto semplicemente, è il modo in cui i cuccioli di specie animali carnivore e predatorie imparano a gestire i propri denti e artigli, perché quando esagerano nel gioco e fanno troppo male vengono “puniti” da “ramanzine” della madre o di altri adulti e/o comunque dal fatto che chi è stato morso troppo forte emette forti versi di dolore e protesta e rabbia, così che si sentiranno istintivamente inibiti per il resto della loro vita dal mordere/graffiare troppo forte quando non ne hanno l’intenzione. Allo stesso modo se tutto va bene i canidi imparano fin da cuccioli a riconoscere e mostrare i segnali di “resa” (es. scaravoltarsi a pancia in su esponendo proprio i punti vitali), per evocare nell’altro proprio questa ‘inibizione del morso’ che lo spinge a non continuare ad attaccare perché se lo facesse con l’altro in tale posizione rischierebbe di ucciderlo. Naturalmente possono esserci eccezioni a seconda dei casi o del carattere dei singoli individui o da eventuali loro problemi nella loro vita durante l’apprendimento, potrebbero non avere imparato l’inibizione del morso o non averla imparata correttamente o ignorarla o superarla se hanno veramente intenzione di fare del male in senso grave o proprio di uccidere. Si dice per i cani che alcune razze da (sic!) combattimento siano state selezionate proprio facendo riprodurre gli individui che presentavano un’inibizione del morso più debole…

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Capitolo 44
*** 43 - Beyond and Momentum ***


Capitolo 43

(Beyond and Momentum)

 

Una pausa inattesamente un poco più lunga del dovuto si aprì di colpo, nel bel mezzo dello scontro tra i due mezzi lupi che da lunghi minuti – passati come se fossero una sparsa e disordinata pioggia di scheggiati frammenti di scatti e morsi dilanianti la carne – si stavano battagliando senza alcuno spazio per la pietà o l’esitazione, in mezzo ad una strada di Tairans semi-affondata nella relativa oscurità della notte.

Nell’aria relativamente appesantita dal calore estivo, Danny si concesse il tempo di prendere lunghi respiri a muso semi-aperto, riprendendo un poco fiato. Metri più in là, Mara lo fronteggiava, tenendogli incollato addosso uno sguardo la cui intensità andava ben oltre il semplice tenere d’occhio il proprio avversario durante uno scontro.

Lo sguardo della mezza lupa era addensato in un livore così profondo, che Danny seppe senza ombra di dubbio alcuno che lei era giunta all’apice del suo odio e della sua furia. E ora che stavano prendendo qualche istante di pausa dall’incessante avvicendarsi di scattanti affondi e ritirate della lotta vera e propria, sapeva anche bene che lei per prima lo avrebbe ora chiaramente realizzato: a che punto di massima intenzione e determinazione era arrivata la sua volontà di ucciderlo il prima possibile.

Ma per raggiungere tale scopo, le era necessario riuscire a batterlo. E per qualche motivo sembrava che entrambi avessero inspiegabilmente dimenticato quel determinante particolare fino a poco prima, quando mano a mano che lo scontro si prolungava erano stati costretti a ricordarselo molto bene.

Danny si ritrovò a fare un’automatica registrazione sommaria dello stato in cui erano ridotti ora entrambi: i corpi percorsi da diverse ferite da morso, alcune più superficiali ma altre così profonde e dilanianti che sanguinavano abbastanza copiosamente.

Lui poteva sentire il peso di quelle ferite così chiaramente, ora che si stava concedendo di realizzarlo appieno e che non si stava muovendo senza possibilità di pausa o distrazione nel combattimento, da provarne il conseguente stato di debolezza. La sua forza e le sue capacità fisiche ora erano ben lontane dall’essere al loro massimo; ma l’adrenalina, che aveva accuratamente centellinato per tutti quegli ultimi minuti in modo da evitare di esaurirla completamente all’inizio, gli teneva ancora pienamente lucida la distinzione di se stesso e di ciò che lo circondava. Era tutto il contrario di quanto normalmente avrebbe fatto un mezzo lupo durante una caccia, quando la regola basilare era quasi sempre declinata nell’ordine di utilizzare subito il massimo possibile di energia adrenalinica all’inizio, per il decisivo scatto iniziale e la breve corsa il più rapida possibile che doveva portare a raggiungere la preda. Quando si aveva a che fare con il lottare con un altro mezzo lupo, dispiegarla in modo che durasse il più a lungo possibile sembrava una tecnica molto più adatta.

Ma anche l’adrenalina aveva i suoi limiti, specialmente di fronte a danni di una certa gravità sul piano puramente fisico. E sebbene nessuno dei morsi che Mara era riuscita ad infliggergli fossero così profondi o in punti così fondamentali per la sopravvivenza da risultare da soli in qualche modo così gravemente preoccupanti, nel complesso avevano un peso specifico molto vicino a raggiungere la somma oltre la quale Danny sapeva nessun tipo di volontà o adrenalina o disperazione sarebbe stata in grado di condurre il suo corpo a continuare a tenersi sulle quattro zampe, tantomeno a continuare a battersi. Le membra appesantite sembravano gridargli – metaforicamente parlando ma non per questo meno importantemente – che erano ormai sul punto di essere non più disposte a muoversi ancora, specialmente nel modo forzato e al massimo delle loro capacità che richiedeva un combattimento, e che di lì a poco ci sarebbero riuscite solo se strettamente necessario, e anche in quel caso comunque non avrebbero potuto reggere ancora a lungo.

Quello era esattamente il senso ultimo della tecnica che Mara aveva acquisito da un certo punto in poi dello scontro, e che si poteva riassumere, in poche semplici parole, nel vincerlo per esaustione piuttosto che per effettiva superiorità strategica. Ma lei in quel momento, per quanto ne poteva vedere e intuire Danny, non sembrava conciata molto meglio di lui, a proposito della distanza che la separava dal raggiungere la completa esaustione. Con la non secondaria differenza che, tuttavia, Mara sembrava in grado di poter andare persino oltre i limiti fisiologicamente e biologicamente imposti dal suo stesso corpo pur di riuscire a raggiungere l’obbiettivo di staccargli la testa.

Forse, sospettò Danny in quel momento, la sostanziale differenza dopotutto era tutta lì: lei aveva un chiaro e semplice obbiettivo da raggiungere, che si poteva riassumere nell’ucciderlo. Mentre lui non era sicuro di avere un preciso obbiettivo, e anzi, riteneva che se l’avesse effettivamente avuto, a quell’ora avrebbe dovuto poterselo delineare chiaramente ormai. Il suo scopo aveva più a che fare, a cercare di guardarlo tra sé e sé, con una collezione a malapena riuscita di vari motivi più che altro presi a sprazzi, e in ogni caso nessuno di essi gli appariva al momento interamente e chiaramente delineabile.

Il suo scopo non avrebbe dovuto essere il cercare di evitare che Uther venisse ucciso o trasformato in un mezzo lupo, o che gli abitanti di Tairans fossero sterminati? D’altro canto, non aveva mai davvero sperato di poter ragionevolmente riuscire a vincere passando attraverso il battersi da solo contro Mara più tutti quei mezzi lupi lì riuniti; non aveva mai davvero sperato di cavarsela lui per primo, figurarsi di poter ottenere di difendere chicchesia altro.

Non era allora in realtà e piuttosto magari semplicemente una specie di modo di decidere che non poteva voltare le spalle né tirarsi indietro di fronte ad una sorta di regolamento di conti a lungo rimandato con Mara? Per che cosa esattamente… beh, avrebbe potuto fare un lungo elenco di singole volte in cui lei lo aveva aggredito e ferito per qualche motivo che secondo lei meritava quella reazione punitiva, nel periodo che avevano passato vivendo insieme come un branco a due. Ma a dire la verità, a cercare di essere completamente sincero con se stesso, quello che non sarebbe veramente mai riuscito a perdonarle era l’unica cosa che lei gli aveva fatto a cui lui non aveva mai avuto la possibilità nemmeno di tentare di opporsi o sottrarsi. Contrariamente a tutte le volte che, nonostante il comportamento di lei, era rimasto insieme a lei in quel loro branco a due pur potendo almeno tentare di andarsene, l’unica volta in cui lei aveva deciso per lui senza possibilità che lui avesse voce in capitolo era stato quando lo aveva trasformato.

Gli sovvenne allora alla memoria di nuovo, seppur vagamente all’inizio, quel sogno di qualche giorno prima, quando aveva sognato di nuovo di quella notte, con stavolta quello spiccare chiaro come un faro nell’oscurità della presenza di Zoal, totalmente inesatta da ogni punto di vista cronologico e biografico. Ma ora, mentre prima aveva assunto quel particolare come normale per via della natura dei sogni di mischiare a volte cose realmente successe con altre mai successe, o di modificarle o storpiarle a piacimento tra il realistico e l’impossibile, realizzò che quell’inesattezza temporale aveva avuto un significato particolare nel sogno. Di colpo e in quel momento ricordò abbastanza precisamente il contenuto della breve conversazione che aveva avuto con Zoal nel sogno, di come avesse a che fare con il prima e il dopo nel tempo, e con una specie di concetto di dover ripetere ciò che era successo per poter arrivare alla stessa conclusione, quella a cui voleva arrivare perché era stata, ed era ancora, la prima cosa veramente positiva, aldilà di tutto, che aveva avuto nella sua intera vita: incontrare e diventare parte dei ‘4 di picche’.

E allora ricordò che Zoal gli aveva fatto notare, con sicurezza, l’insensatezza di quel modo di pensare in pratica fantascientifico, e sostanzialmente ingenuo per chiunque potesse conoscere anche solo di base le teorie della relatività e della successione del tempo e della concatenazione di eventi. Guardarsi indietro come se il passato, il già accaduto potesse in qualche modo cambiare era assurdo. Ogni cosa che giaceva nel tempo era destinata e costretta solo ad una cosa: a procedere davanti a sé, e sempre e solo in avanti. Lui non faceva certo eccezione. Quindi, cercare di pensare come se le cose fossero altrimenti che senso poteva avere dopotutto? Non era in fondo come un cane che si morde la coda, il continuare a vedere Mara come colei che lo aveva trasformato senza lasciargli possibilità di scelta, o il suo aver incontrato i ‘4 di picche’ come conseguenza proprio di quello? E che senso poteva avere guardarsi alle spalle come se fosse arrivato alla fine della sua vita, mentre d’altro canto era ancora vivo?

Ma Zoal, nel sogno, gli aveva lasciato una carta che lui sapeva essere un impossibile asso di quattro di picche, come una sorta di promemoria, o di promessa. E solo adesso Danny realizzò che, stando proprio a ciò che lei gli aveva detto in quel sogno, quell’oggetto che aveva avuto la certezza fin dall’inizio lei non avesse scelto a caso non era rivolto al passato, e non voleva essere come una memoria preziosa da portarsi appresso per affrontare il futuro. Più esattamente, poteva essere qualcosa a cui puntare nel futuro. Il che andava molto vicino a sembrare in tutto e per tutto, a guardarlo da quel punto di vista, come un obbiettivo. Solo che lui aveva completamente travisato la strada per puntare ad esso.

Sospettò d’improvviso, e con improvvisa lucidità simile ad una sorta di rivelazione, che Zoal avesse capito meglio di quanto lui non era stato in grado di riuscire a fare con se stesso quale era sempre stato, negli ultimi anni a quella parte, il suo più reale e sincero desiderio. Non era forse sempre stato quello di tornare da loro, insieme a loro, insieme ai ‘4 di picche’? Ma se non si poteva tornare indietro nel tempo, né illudersi di ripercorrerlo esattamente uguale o tentare di sfruttarne i meccanismi ormai già scattati del passato, come si poteva tornare indietro andando in avanti?

Ora come ora, i ‘4 di picche’ sembravano alle sue spalle, e davanti aveva giusto Mara, la sua morte incarnata per elezione.

A meno che… A meno che non fosse tutto lì.

A meno che non fosse mai stato sufficiente, dopotutto, consolarsi col poter pensare che, da qualche parte nel mondo, ognuno dei ‘4 di picche’ stesse continuando a condurre la propria vita cavandosela abbastanza bene, ottenendone abbastanza soddisfazioni. A meno che non si trattasse piuttosto ed effettivamente di continuare ad essere uno dei ‘4 di picche’. Il fatto che i ‘4 di picche’ come gruppo e attività esistessero effettivamente ancora o meno, che si fossero sciolti o meno, almeno ufficialmente e per quanto riguardava la parte strettamente attinente all’accettare casi e tentare di risolverli, sembrava al momento un particolare scioccamente irrilevante e praticamente superfluo.

Sì… forse ora ci era arrivato, infine. Zoal non voleva ricordargli che era stato parte dei ‘4 di picche’, ma che non avrebbe mai potuto veramente smettere di esserlo, e sospettava che lei fosse sicura che lo stesso valesse per ognuno dei componenti d’esso.

Il suo sguardo sembrò cambiare di colpo totalmente: tecnicamente parlando, i suoi occhi stavano vedendo esattamente lo stesso di ciò che stavano guardando prima, ma era come vederlo da una prospettiva totalmente diversa, perciocché le stesse identiche cose apparivano come trasfigurate.

Mara di fronte a lui, la sua avversaria, non sembrava più né affatto colei che non avrebbe mai potuto perdonare per ciò che gli aveva fatto, quanto più che altro semplicemente un ostacolo che si frapponeva ad un obbiettivo che andava ben oltre di lei e del preciso punto dove si trovava. Come se ora, quando sarebbe arrivato di lì a poco il momento in cui avrebbe dovuto scattare di nuovo contro e incontro a lei per proseguire la battaglia, la sua meta ultima non potesse più essere lo scontro diretto contro di lei ma il passarle in qualche modo attraverso per proseguire oltre. Un oltre indefinibile ma che in qualche modo non poteva che puntare in un’unica direzione. Verso qualsiasi strada potesse condurlo dai ‘4 di picche’, di nuovo ed ex-novo.

E i mezzi lupi che avevano deciso di rendersi accoliti di lei non erano più come una minaccia sospesa su qualcosa da difendere senza requie, ma anch’essi come una sorta di ostacolo, qualcosa da infrangere e al di sopra del quale saltare allo stesso tempo, per andare comunque oltre.

E il dito di Uther sul grilletto del fucile puntato, metri al di sopra delle loro teste, sospeso tra il trattenersi come sapeva di dover fare e la tentazione di muoversi e porre fine a quello approfittando di quel momento in cui la sua mira non era intralciata dalla troppo stretta vicinanza tra Danny e Mara nel combattere, non appariva più come qualcosa da evitare ad ogni costo ma come semplicemente qualcosa che Danny sapeva avrebbe in qualche maniera trovato il modo di non giungere se non al momento più opportuno, né prima né dopo.

La sua stessa posizione nell’intero universo sembrava essere cambiata, irrimediabilmente e radicalmente, ora. Non era più lui stesso l’ultima barriera di resistenza contro una temibile ondata di portata tragica che poteva abbattersi da un momento all’altro tra capo e collo di Uther e degli abitanti di Tairans, e chissà dove a seguire. Era qualcosa di molto più simile a qualcuno che ha trovato la traccia da seguire quando non sapeva nemmeno di doverla cercare.

Ma di una cosa era ora inamovibilmente certo: non avrebbe perso quella traccia per nulla al mondo. Non si sarebbe distolto né distratto dal seguirla, ovunque lo avrebbe portato. Non era sulla scia del passato che gli ritornava incontro che lo aspettava la fine del suo percorso. Non era la morte incarnata da Mara che gli veniva ad attraversare il cammino come se lo avesse aspettato a Samarcanda* proprio mentre cercava di scappare da essa. Era nel seguire quella traccia aperta davanti a lui e di cui non vedeva la fine né forse essa esisteva, che gli spettava di cadere.

Un cupo ringhio basso e gutturale, appena udibile alle orecchie di un mezzo lupo, eruppe allora dalla gola di Mara, costante. Danny ebbe il sospetto che, qualsiasi cosa fosse esattamente che era cambiato nell’aria intorno a lui, lei lo avesse percepito; così come sospettò distintamente che lei non avesse assolutamente capito di che cosa potesse trattarsi, ma semplicemente lo avesse istintivamente interpretato come qualcosa che le poteva risultare assai sgradevole.

Danny si mosse appena, lentamente e con calma, di nuovo spostando il peso e le sue zampe in modo da allargare un poco la sua base d’appoggio, di nuovo abbassandosi leggermente verso il terreno e rendendo la sua posizione più visibilmente pronta ad attaccare ed essere attaccato. Di nuovo il messaggio, come sapeva, attraversò l’aria che lo separava da Mara, raggiungendola senza possibilità di essere malcompreso: la pausa era finita.

 

***

 

Mara scattò di nuovo per prima, e Danny di nuovo attese semplicemente che gli arrivasse abbastanza vicina. Non sapeva ancora esattamente che cosa avrebbe fatto, finché non si ritrovò a farlo. Ben lontano dal decidere lucidamente, strategicamente e ragionevolmente ogni suo singolo movimento ormai di vitale importanza, si ritrovò a metterli in atto uno dopo l’altro, come se assecondasse semplicemente il flusso di una sorta di nuova ispirazione improvvisa e affatto del tutto comprensibile o auto-cosciente. E mentre le sue membra si muovevano, pesanti per le ferite e a malapena abbastanza ancora veloci da riuscire ad evitare il peggio per lui, quella specie di ispirazione aveva un che di leggero che suonava quasi scherzoso alla sua stessa impressione.

Non tentò nemmeno una volta di affondare di nuovo i denti in un morso nel corpo di Mara, al contrario di lei che non desinò nemmeno per un istante da quel tentativo di morderlo ancora e anche più terribilmente di quanto non avesse fatto fino a quel momento; invece, nello stesso modo in cui evitava i suoi morsi con appena sufficiente destrezza, così si limitava a darle delle spallate quasi di tutto peso, come se all’improvviso avesse deciso che quello era in realtà uno scontro giocoso e scherzoso.

Ma sebbene a guardarlo si sarebbe avuta la vivida impressione che dovesse essere impazzito per comportarsi in quel modo, non stava in realtà facendo niente di tutto quello per caso. Prima ancora che lui stesso lo realizzasse razionalmente, quel suo modo di combattere ora stava provocando due conseguenze che erano perfettamente coincidenti con quello che voleva esattamente ottenere. Da un lato, di fronte a quella maniera apparentemente provocatoria e affatto seria di affrontare la lotta, Mara si stava infuriando ancora di più e sempre più ciecamente; dall’altro lato, con ogni singolo spintone che Danny riusciva ad assestarle, stava testando sempre più accuratamente quanta forza e resistenza avesse lei ancora per riuscire a reggere quelle spinte inferte dritte dritte con quasi tutto il peso di lui.

Finché Danny non ebbe l’impressione di sentire come nell’aria che era arrivato il momento, quello che era designato da quella nuova sorta di istintiva ispirazione per essere quello del tentare il tutto per tutto, il ‘o la va o la spacca’. L’ultimo, lo sapeva. Perché quello che stava per fare non era giocare a filo di rasoio, ma effettivamente rischiare di morire nell’arco di pochi istanti, se avesse fallito o se i suoi calcoli e il suo gioco in buona parte di fortuna avessero sbagliato anche di soli pochi fondamentali millimetri. Tanto sarebbe bastato.

Mara tentò un affondo dritto verso di lui, le fauci che già si spalancavano per morderlo, e Danny scartò di lato, rapidamente e violentemente; ma non si limitò a togliersi dalla traiettoria dell’attacco, bensì riuscì a compiere una sorta di mezza piroetta facendo perno sulle zampe anteriori e sfruttando la forza del movimento che lui stesso aveva fatto un istante prima in avanti. Ruotò su se stesso fino a trovarsi parallelo al fianco di Mara, che colpì con il suo stesso fianco con quasi tutta la sua forza e il suo peso. Mara non era così debole né così meno pesante di lui da perdere totalmente l’equilibrio, ma lo perse abbastanza da non riuscire a compiere con la massima efficienza il movimento per voltare di scatto la testa verso di lui e approfittare della sua prossimità per affondare i denti. Danny stava già compiendo un altro movimento sulla stessa scia, come se fosse semplicemente il proseguo di quello che aveva appena eseguito, alzandosi un poco sulle zampe posteriori in un mezzo balzo in parte laterale.

E sapeva che così avrebbe irreparabilmente messo allo scoperto la gola; e sapeva che Mara lo avrebbe immediatamente notato.

Sebbene tutti quei movimenti in sequenza avessero ognuno una sola possibilità di riuscire come dovevano e decine di possibilità di fallire, quel singolo movimento era quello il cui fallimento avrebbe maggiormente potuto coincidere con la sua immediata morte. Bastava che Mara riuscisse ad affondargli le zanne nella gola. E Mara stava rivolgendo il movimento scattante delle sue fauci spalancate proprio verso la sua gola ora scoperta.

Danny si alzò quel tanto necessario per afferrare tra le fauci la parte superiore del collo di Mara, affondarvi i denti e stringere abbastanza da effettuare un’efficace presa, e solo quando sentì lo schiocco delle fauci di lei chiudersi a vuoto nell’aria seppe che dopotutto era ancora vivo, che lei aveva mancato la sua gola a causa dell’inatteso muoversi verso l’alto di lui. Mara si rifece tuttavia mordendo di nuovo, e stavolta riuscendo ad azzannargli una delle zampe anteriori, che strinse con tutte le sue forze tra i denti. Danny trattenne un guaito quando il dolore lancinante lo attraversò come una scarica elettrica, e dal momento che ormai in buona parte il suo peso si era trasferito direttamente su Mara, riuscì ad effettuare un rapido movimento, calciando con tutta la forza dell’altra zampa anteriore verso il muso di lei, cercando di colpire gli occhi perché, se c’era qualcosa che poteva riuscire a farle mollare la presa di quel morso era solo un sufficiente apporto di dolore. Che fosse stata semplicemente la violenza del colpo o l’essere effettivamente riuscito a colpirle un occhio, ad ogni modo riuscì a strapparsi di dosso, non meno dolorosamente, i denti di Mara, e non appena libero da quella presa ne approfittò immediatamente.

In qualche modo che nemmeno lui avrebbe sperato, riuscì con il suo peso e la presa dei denti sul dorso del collo di lei, e col suo movimento di forzato girarsi su stesso sulla schiena e su quella di Mara, a farle perdere l’equilibrio, a farla cadere a sua volta in un movimento rotolante. Mollò la presa sul dorso del collo solo quando sentì dal contatto che aveva con il corpo di lei che Mara stava definitivamente cadendo e rotolando sulla schiena; e lo fece solo per scattare fulmineamente sopra di lei e prima di tutto col muso in avanti, diretto e rapido come una freccia, le fauci ancora spalancate e che tornò a chiudere nell’istante stesso in cui trovarono strada per la gola di Mara.

Il tempo parve rallentare paurosamente; e poi fermarsi di netto.

 

 

Soundtrack: Debaser (Pixies)

 

Note per la comprensione:

*SAMARCANDA (o Samarra) è il nome di un’antica città tutt’ora esistente e popolata (attualmente nello stato dell’Uzbekistan). Qui però va intesa in base ad un’antica leggenda/storia araba, ripresa in ‘Appointment in Samarra’ di John O’Hara, e poi ripresa anche per la canzone ‘Samarcanda’ di Roberto Vecchioni (da cui ho sentito per prima questa storia, un po’ modificata ma non nella sostanza). Per capirne il senso (che non sto a ricapitolare qui perché diventerei ancora più logorroico e noioso), potete andarvi a fare una ricerca in internet insomma, ma basterebbe anche leggere il testo della canzone di Roberto Vecchioni se volete fare prima. O dare una letta a questa pagina anche: https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=7914

Mi scuso con chi ha letto questo capitolo all’inizio e non ha trovato questa nota, l’avevo dimenticata, very sorry…

 

Note dello scribacchiatore:

Anche questo capitolo mi è venuto un po’ pesantuccio alla lettura. L’ho riguardato e corretto più volte (sì, credeteci o meno, era anche peggio di così in prima stesura :p Ma se siete già abituati/e a leggere quello che scrivo ci crederete senza difficoltà, ne sono certo). Magari lo riaffronterò in futuro, ma per ora vado avanti con la messa on-line abbastanza di gran carriera perché sennò si fanno le calende greche qui. ;p

Spero comunque che nel bene e nel male sia un perlomeno decente compromesso tra pesantezza di stile e leggibilità! (potete comunque insultarmi nei commenti o per messaggio personale per questo, pur rispettando le regole del sito riguardo a insulti, e tenendo presente che se non sono motivati poi mordo anch’io :p Che ci volete fare, io e il mio cane seguiamo la filosofia pratica del ‘bite back’ ;p )

 

 

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Capitolo 45
*** 44 - Dare you to move ***


Capitolo 44

(Dare you to move)

 

C’era qualcosa di pesante importanza che Danny sentiva essere sospeso nell’aria tutt’intorno, come se la permeasse completamente, e che allo stesso tempo gli sfuggiva: qualcosa come non essere in grado di vedere il classico ‘elefante nella stanza’, per quanto l’elefante possa essere in un certo senso invisibile, forse. E non era solo la certezza di quella sensazione e la contemporanea incapacità di decifrarla a farlo sentire in maniera estremamente sgradevole, ma qualcosa nella natura in sé di quell’“elefante” a risultargli terribilmente spiacevole. Come un retrogusto amaro in bocca.

Il gusto più tangibile che al momento sentiva era quello del sangue di Mara; poco, davvero troppo poco per significare la morte. E anche se non fosse stato quel dato istintivamente basato sulla quantità di sangue a dirglielo, lui sapeva bene che lei era ancora perfettamente viva. Con le fauci chiuse sulla sua gola, non poteva non sentire chiaramente la vita pulsare ancora distintamente in lei: il battito cardiaco e il respiro che ancora proseguivano lungo il loro naturale corso, anche se qualcosa nel loro ritmo sembrava alterato, ed era sicuramente quella sorta di scontatezza a proposito dell’essere vivi. Fu sentendo quel cambio di natura nel ritmo di quei fondamentali segni vitali che Danny comprese la natura dell’elefante invisibile nella stanza: non era affatto più scontato che lei fosse in vita; semmai, da quel preciso momento sembrava stare diventando sempre più scontato l’opposto, come se di colpo fosse assurdo che lei potesse ancora respirare, che il suo cuore battesse ancora.

Danny sapeva fin dal principio, dall’esatto momento in cui aveva chiuso le fauci sul suo collo, che lei non stava morendo; lo sapeva perché stava chiudendo la bocca in un morso superficiale, la forza basata più sui muscoli delle labbra che sull’affondo dei denti. Era quel tipo di morso consapevolmente scelto per utilizzare al massimo la propria capacità di tenere fermo qualcuno o qualcosa e al minimo la capacità di affondo dei denti; per immobilizzare completamente e sicuramente, e altrettanto sicuramente non uccidere. E all’inizio Danny aveva pensato che il significato fosse già tutto lì: non la stava uccidendo, la stava sconfiggendo.

Ed era quanto mai evidente, ora, che Mara aveva perso. Era qualcosa che apparteneva al linguaggio universale dei lupi e di qualsiasi altro canide. Mara era stata indubbiamente sconfitta perché giaceva completamente riversa a terra su un fianco, immobilizzata senza speranza dalla presa sul suo collo che, ad ogni eventuale tentativo da parte sua di movimento o altra reazione, sarebbe potuta tranquillamente diventare mortale in un battito di ciglia; e Danny aveva sicuramente vinto perché era in piedi sulle sue quattro zampe, sovrastandola parzialmente, le fauci chiuse sul suo collo solidamente, i muscoli di tutto il corpo tesi e pronti ad aumentare ulteriormente la forza concentrata su quell’unica presa decisiva non appena ce ne fosse stato eventualmente bisogno per tenerla ancora più decisamente ferma, o per ucciderla.

Ma Mara non provò nemmeno a muoversi, nemmeno per un istante tentò anche un solo minimo e pallido tentativo di reazione od opposizione; giaceva semplicemente immobile, e Danny poteva sentire chiaramente l’incredulità che traspirava da lei, che si appaiava perfettamente alla netta chiarezza che la battaglia era finita, e che quello era l’indiscutibile esito d’essa.

Incredulità che pesava nell’aria e avvolgeva ogni cosa, immobilizzandola come se un istante potesse cristallizzarsi e rimanere esattamente tale in se stesso, potenzialmente all’infinito. Danny non aveva bisogno di lanciare nemmeno un’occhiata di sbieco per percepire che gli altri mezzi lupi che avevano assistito allo scontro sembravano essersi tramutati in loro versioni di statue di sale, e in buona parte stavano come trattenendo il respiro. Non aveva bisogno di rendersi conto più chiaramente di così che il più incredulo di tutti loro era probabilmente lui stesso. Perché colei che era certo fosse venuta a incrociargli di nuovo il cammino per essere la puntuale incarnazione della sua morte giaceva sconfitta sotto di lui; perché lui era ancora vivo; perché tutto era finito e lui, a quanto pareva, si ritrovava improvvisamente nel ruolo di chi aveva vinto. Solo per realizzare di colpo che, non aspettandoselo nemmeno lontanamente, ora non aveva assolutamente idea di che farsene di quel ruolo calatogli improvvisamente addosso come dal nulla.

Per lunghi momenti, la sensazione di trovarsi avvinto in un ruolo troppo importante in cui doveva essere incappato per semplice errore fu tutto ciò che riuscì a provare chiaramente. E anche quando, lentamente e impegnativamente, iniziò a rendersi conto che volente o nolente doveva pensare e agire di conseguenza, quella sensazione di essere nel pieno epicentro di una specie di madornale tipo di errore non lo lasciò più, nemmeno per un istante.

Dissipandosi l’incredulità collettiva poco a poco, ciò che si stava disvelando sotto di essa sembrava ineluttabile come una conseguenza terribilmente ovvia, e Danny trovò quel tipo di aspettativa di peso praticamente universale ancora più sgradevole, specie perché non riusciva a ignorarla, per quanto avrebbe fatto del suo meglio per poterlo fare. Sembrava che Mara lo trovasse ovvio, che ora lui avrebbe cambiato la natura del morso che le teneva chiuso sulla gola, affondando i denti per reciderle la carotide, per reciderle via la vita. Sembrava che fosse esattamente l’unica cosa che ora gli altri mezzi lupi che stavano guardando si aspettassero che accadesse: di vedere il vincitore uccidere la perdente, alla fine di quello che fin da prima del suo inizio vero e proprio era designato per essere uno scontro mortale. Sembrava scontato che fosse esattamente quello che ora lui doveva fare, come se fosse incredibilmente semplice e fluidamente automatico; come se la vera fine della lotta attendesse ancora dietro l’angolo per poter andare a combaciare con il suo uccidere Mara.

Per lunghi momenti di immobilità, al centro dell’occhio di quella sorta di ciclone che attendeva sospeso sulle loro teste, Danny si trovò a chiedersi se non dovesse essere ovvio anche per lui, se non avrebbe dovuto esserlo già da tempo. Forse addirittura fin da quando aveva rivisto Mara per la prima volta, giorni prima. Non era forse esattamente quello ciò che aveva nettamente tinto l’aria che li separava, chiaro come una saetta a ciel sereno? Non era forse quello l’unico senso possibile, l’unica piega che poteva prendere il fatto che le loro strade si incrociassero di nuovo? Non era forse quello ciò che lui aveva sempre saputo in fondo in fondo così bene, anche senza bisogno di dirselo chiaramente? Che nel momento stesso in cui l’avrebbe re-incontrata, lei sarebbe stata lì a incrociare di nuovo la sua strada esattamente per delineare l’inizio di qualcosa che poteva finire di lì a breve solo con la morte o dell’uno o dell’altra? Il fatto che lui avesse pensato così implicitamente che l’esito sarebbe stata la propria morte, mentre ora si rivelava essere altrimenti, non era forse un particolare che non cambiava affatto il significato di quello?

Danny riuscì a schiarire meglio quei pensieri pericolosamente vicini a flirtare fin troppo intimamente con qualcosa di simile a credenze da destino ineluttabile, e a sforzarsi di riportarli su un piano più attinente ai particolari materiali della situazione. Situazione in cui, a tutti gli effetti, lui e Mara erano opponenti perché lei aveva intenzione di scatenare una specie di piccola setta di mezzi-lupi sul percorso di sterminio degli esseri umani, mentre lui… beh, lui semplicemente non poteva lasciare che ciò accadesse. E questo anche volendo tralasciare il particolare riguardante Uther, l’intenzione di Mara di trasformarlo o ucciderlo, e l’intenzione di Danny chiaramente di non permettere che gli succedesse niente del genere.

Con suo sommo fastidio, quella specie di cattivo sapore che ora sembrava riguardare più il suo intero sangue che semplicemente il suo senso del gusto peggiorò e si amplificò nel realizzare che anche la valutazione più terra-terra della situazione andava a coincidere con lo stesso tipo di conclusione che insisteva a spacciarsi per scontata: che altro modo c’era, essendo Mara dopotutto Mara, di assicurarsi veramente che lei non continuasse a cercare di guidare un gruppo di mezzi lupi impazziti in una macellazione di esseri umani, se non quello di ucciderla? Se qualcuno glielo avesse chiesto, Danny non avrebbe potuto mentire, perché sarebbe stata una menzogna semplicemente troppo enorme: avrebbe solo potuto tacere, oppure dire la verità. Perché lui sapeva che l’unica risposta assolutamente vera alla domanda di che come e con che cosa si potesse fermare Mara dal fare qualcosa che si era messa in testa di fare, era solo ucciderla.

Così, a quanto pareva, ogni singola cosa che esistesse sembrava aspettarsi che ora lui semplicemente affondasse i denti, e la uccidesse. Proprio tutto e tutti: i mezzi lupi lì riuniti e l’”etichetta” riguardante uno scontro mortale tra mezzi lupi; il passato della relazione che avevano avuto lui e Mara e il come si erano comportati reciprocamente, ma persino e più strettamente per come era fatto ognuno di loro due, quelli che erano i loro scopi e obbiettivi e la loro natura; la logica sensatezza di come evitare l’uccisione di diversi esseri umani da parte di un manipolo di mezzi lupi impazziti, e l’urgenza implicita di evitare che qualcosa del genere accadesse in ogni maniera possibile.

Di fronte a tutto quello, Danny evitò di porsi la domanda se poteva davvero fare qualcosa di diverso dall’ucciderla a quel punto, se poteva avere l’ardire da solo di prendere una sua decisione indipendentemente e a prescindere da tutto quello. Era chiaro che non poteva; era chiaro che non avrebbe assolutamente, mai e poi mai dovuto fare diversamente. Era chiaro che praticamente tutto l’universo – beh, o qualcosa del genere – aspettava che semplicemente lui lo facesse e basta; molto semplice, scorrevole, lineare. Perfettamente ragionevole, da ogni punto di vista.

Per sfortuna dell’universo – o di qualcosa del genere – Danny aveva forse da sempre posseduto, seppure perlopiù inconsapevolmente, la capacità di riuscire a prendere una propria decisione a prescindere da qualsiasi peso di aspettativa pressoché universale senza farsene un eccessivo cruccio. Singolarmente, per qualcuno che aveva la tendenza spesso a pensare fin troppo e ad avere una percezione estremamente sensibile da un sacco di punti di vista di ciò che lo circondava, Danny doveva avere imparato nel corso della sua vita anche una sorta di trucco che riguardava l’agire a volte senza starci a pensare su troppo, lasciando indietro ragionamenti e valutazioni più complicati e articolati come se fossero zavorra, o forse bruciando le tappe e i nodi d’essi in un scatto che puntasse dritto verso una risoluzione finale che sapeva essere quella che avrebbe comunque scelto, in un modo o nell’altro.

Perciò solamente poche parole gli percorsero la testa, un attimo prima di muoversi. Qualcosa che si sarebbe potuto schematizzare in due frasi. La prima fu ‘Al diavolo.’; e aveva un tono decisamente simile ad uno scrollarsi di dosso tutto quanto. La seconda fu ‘Non così.’; e aveva in sé un tono di risoluzione estremamente decisa nella sua candida assenza di maggiore esplicazione.

Il momento successivo, Danny stava rilasciando la presa del morso dal collo di Mara, e muovendosi lentamente e attentamente, senza staccare gli occhi da lei – perché, dopotutto, Mara era Mara, e lui non era così ingenuo da non aspettarsi che non appena liberata dalla presa lei si sarebbe potuta alzare e volargli addosso in un nuovo attacco – si fece lentamente indietro finché non ebbe guadagnato qualche abbondante metro di distanza da lei. A quel punto si rilassò giusto un poco, quel tanto che poteva permettersi di fare a quella distanza da Mara, senza peraltro perdere del tutto la sua attenzione e la sua relativa tensione pronta a difendersi e reagire in caso di attacco.

Per lunghi altri momenti, assolutamente nient’altro si mosse di un solo millimetro. Sembrava che il gelo onnicomprensivo fosse rimasto intatto, nonostante il movimento di Danny e tutto il peso che il gesto che aveva appena compiuto conteneva; ma lui riusciva a percepire che ora quel gelo aveva cambiato completamente natura. Di nuovo incredulità totale e assoluta, ma ora completamente diversa; quel tipo di incredulità non più della sorta che ‘anche l’improbabile dopotutto può accadere di tanto in tanto e inaspettatamente’, ma piuttosto chiaramente di sorta ‘questo è semplicemente del tutto impossibile’.

A pensarci ora, tuttavia, Danny trovava quasi surrealmente ridicolo il fatto che persino lui, per un momento, avesse pensato che avrebbe veramente ucciso Mara. Non che, beninteso, escludesse totalmente la possibilità che un giorno o l’altro nella sua vita lo avrebbe potuto fare; ma era più che sicuro ora, e aveva la sensazione che avrebbe fin da molto prima dovuto essergli chiaro, che non lo avrebbe fatto né lì né in quel modo.

Doveva avere a che fare, realizzò di colpo, nello stesso istante in cui il suo sguardo finì per cadere in quello di Mara ancora stesa immobile a terra sul fianco, che lo stava fissando quanto mai direttamente, con il fatto che persino scaravoltare le condizioni di lei di poterlo battere e sconfiggere e uccidere come se non fosse così complicato riuscirci dopotutto, non era sufficiente per lui. In quel contesto, che era stato chiaramente completamente costruito da Mara stessa, era ovvio che Danny non avrebbe fatto niente che potesse assecondare veramente un qualsiasi esito potesse confermare in qualsiasi modo un suo riconoscere la legittimità d’esso.

Lo sguardo di Mara lo stava guardando ora con tanta assoluta terribilità che lui fu certo che, se lei fosse stata capace col solo sguardo di far esplodere qualcuno fino a ridurlo in atomi, in quel momento lui avrebbe cessato di esistere da parecchio. Ma realizzò anche che ora lei aveva infine capito. Solo ora lei gli credeva completamente, a proposito del fatto che lui fosse cambiato abbastanza da che lei lo conosceva che non solo lei non poteva averne la più pallida idea, ma che doveva accettare il fatto che non poteva davvero riconoscerlo del tutto. E solo ora doveva ammettere, non solo con se stessa ma con entrambi, che la sua interpretazione del suo cambiamento come di qualcuno diventato semplicemente un “cane fedele agli esseri umani nemici e sterminatori di mezzi lupi” non era che un arrabattamento superficiale e artificialmente costruito. Aldilà di qualsiasi cosa potesse essere cambiata in lui a proposito del suo rapporto con degli esseri umani completi, Danny lesse nello sguardo di lei ancora incredulo, e probabilmente sconfitto su un piano molto più ampio del banale esito dello scontro che avevano appena avuto, che sicuramente era cambiato in lui qualcosa a proposito delle sue capacità di fronteggiarla su un piano anche aldilà dello scontro fisico tout-court.

Solo allora Danny realizzò che, inavvertitamente e collateralmente, non aveva solo appena spezzato la certezza universale che si aspettava che lui la uccidesse dopo averla sconfitta, non aveva solo appena ignorato e deliberatamente agito diversamente rispetto a qualsiasi regola generale e basilare di comportamento di un mezzo lupo alla fine di uno scontro mortale, ma aveva anche disintegrato con una mossa e una decisione compiuta tutto sommato con una certa spontanea semplicità anche l’architrave stessa delle convinzioni che tenevano uniti i mezzi lupi auto-resisi accoliti dei disegni e piani e visioni che Mara aveva dipinto per giustificare una sorta di sterminio degli esseri umani.

Sembrò che quella realizzazione stesse colpendo contemporaneamente anche Mara, perché mentre Danny girava la testa di scatto a guardare gli altri mezzi lupi, ricordandosi fin troppo bene che dopotutto anche loro avrebbero potuto muoversi e risultare potenzialmente assai offensivi e pericolosi, lei alzò ancora più velocemente la testa dal terreno e rivolse lo sguardo su di loro.

Gli altri mezzi lupi, che fino a quel momento sembravano essere rimasti compattamente raggelati sul posto, iniziarono lentamente a muoversi, come se fossero stati di nuovo animati da quell’attenzione ricevuta dai due. Danny si irrigidì, e in principio pensò che se li sarebbe ritrovati di lì ad un istante piovere addosso per attaccarlo. Per un momento un muto grido si alzò disperato nella sua testa: qualcosa a che vedere col fatto che, se c’era un modo in cui assolutamente voleva evitare di morire, quello era l’essere ucciso da un branco di mezzi lupi impazziti che credevano in qualche folle credenza settaria.

Poi, tutto si svolse così rapidamente e confusamente che a stento Danny riuscì a tenere il passo con gli eventi.

Mara scattò sulle sue quattro zampe, rialzandosi con un unico movimento fulmineo, e mentre Danny si irrigidiva automaticamente, colto dall’istintivo sospetto che lei lo stesse per attaccare di nuovo, la mezza lupa non gli dedicò nemmeno un briciolo di attenzione, e invece si lanciò in una corsa a tutta velocità lungo la strada di Tairans, a tutti gli effetti come se si stesse dando alla fuga con tutte le sue forze. Danny non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi o di cercare di capire cosa diavolo stesse facendo e perché, poiché in un battito di ciglia quasi tutti i mezzi lupi stavano iniziando a loro volta a correre, seguendola.

Per un momento, Danny credette semplicemente che i suoi accoliti la stessero seguendo con il proposito semplicemente di accondiscendere ad un suo ordine inespresso, oppure semplicemente perché in quanto accoliti era ciò che ci si aspettava facessero, seguire la loro leader. Ma poco dopo, mentre i suoi occhi registravano automaticamente nella natura di quella corsa che si trattava di tutt’altro, arrivò la voce di Badlands, il tono che sembrava un disperato tentativo di riuscire ad essere abbastanza imperioso da risultare efficace, a confermarglielo.

«No! Fermatevi! Fermi, ho detto!» gridò Badlands, invano. I mezzi lupi che si erano gettati all’inseguimento di Mara sembrarono non udirlo nemmeno. L’unica cosa che il grosso mezzo lupo riuscì effettivamente a fare con efficacia fu afferrare saldamente per il braccio un giovane mezzo lupo che, con una vaga indecisione di fondo e l’aria di non stare del tutto capendo razionalmente che cosa stava succedendo, stava per fare altrettanto, bloccandolo.

Danny aveva già capito abbastanza a quel punto da interpretare la scena appena svoltasi. Era nella natura della corsa di Mara, nel modo di correre come in una fuga disperata dalla quale dipendeva in quel momento la sua stessa sopravvivenza. Era nella natura della corsa dei mezzi lupi che si erano gettati dietro di lei, inseguendola così come si insegue una preda, e animati da qualcosa che sembrava possederli piuttosto che da una decisione presa individualmente e consapevolmente; sembravano una piccola folla animata da una profondamente irrazionale furia omicida, totalmente decerebrata in se e per sé. Ma solo apparentemente insensata.

Ora Danny riusciva a capirlo perfettamente. Giorni e giorni costretti a vivere riuniti in una forma di associazione innaturale già per un essere umano completo, figurarsi per un mezzo lupo la cui tendenza era tutt’al’più quella di condurre una vita solitaria o di formare un branco relativamente piccolo e i cui rapporti reciproci tra i componenti d’esso si costruivano col tempo per tentativi ed errori su una base strettamente di scambio individuale, esattamente come per un essere umano dopotutto. Giorni e giorni trascorsi in un attendamento in mezzo ai boschi, una sorta di mezza via tra la vita in forma umana e quella in forma di lupo, senza essere nessuna delle due. Giorni e giorni costretti a sopportare il regime di terrore di Mara che, lui lo sapeva per esperienza diretta, non poteva risultare che come vivere con una spada di Damocle che pende sul tuo collo ed impossibile da ignorare, appesa ad un filo così sottile – come era sottile la pazienza di Mara o il tempo e i motivi che potevano essere sufficienti per farla passare da una modalità freddamente tollerante ad una gelidamente omicida – che si potrebbe spezzare da un momento all’altro decretando automaticamente la tua morte. Era sgradevole per lui anche solo provare a immaginare quale tipo di frustrazione ammattente poteva riuscire a formare tutto quello messo assieme.

Poi, mostrate a qualcuno ridotto in tale stato un potenziale capro espiatorio. Mostrategli come capro espiatorio esattamente chi è stato la maggiore fonte del loro terrore e allo stesso tempo di tutte le promesse e le motivazioni per cui ha dovuto subire tutto quello che ha subito; mostrateglielo a terra, sconfitto, come un aguzzino pur tuttavia idolatrato che ora non sembra più né l’uno né l’altro, né un aguzzino né un idolo, ma solo qualcuno su cui poter sfogare tutto quanto e qualsiasi cosa senza requie.

Danny sentì il suo stomaco contrarsi e rivoltarsi, come se stesse per vomitare le sue stesse interiora dritte sull’asfalto davanti a lui. Non solo perché ciò che aveva appena visto era una perfetta incarnazione di alcuni dei lati più disgustosi che può produrre un meccanismo settario e autoritario, ma anche perché riusciva a immaginare che, non appena Mara fosse stata raggiunta – e sicuramente lo sarebbe stata di lì a non molto, perché dopotutto già provata dal consumo di energia e dalle ferite dello scontro che aveva appena sostenuto contro di lui – le sarebbe aspettato di essere fatta a pezzi da quel prodotto. Il fatto che lei stessa avesse raccolto e costruito e sistemato tutti gli elementi necessari per formare appunto quell’esito che ora le si stava rivoltando contro con orribile micidialità, era tutt’altro che un pensiero consolante; semmai, era esattamente un elemento in più nella perversione implicita di come funzionavano meccanismi di massa del genere.

Ma fu una ben più precisa constatazione a dare a Danny una sorta di colpo di grazia: il fatto che era stata esattamente la sua decisione e la sua conseguente determinante azione a designare tutto quello. E il fatto che lui non lo avesse immaginato nemmeno lontanamente, non prima di ora. Il fatto di essere stato così ingenuo da pensare che il ripercuotersi della sua azione, scelta sul momento con tanta certezza, poteva limitarsi a qualcosa di molto più ristretto di quello che stava ora accadendo a Mara, diede una nuova sfumatura alla sua nausea: ora era quella sua stessa stupidità a dargli la nausea. E tuttavia rimaneva senza risposta quella domanda implicita… che cos’altro avrebbe potuto fare, dopotutto? Che cosa avrebbe mai potuto fare che potesse non solo evitargli di dover uccidere Mara e al contempo permettergli di non assecondare quel contesto tra l’orribile e il delirante da lei stessa tracciato, ma che riuscisse a spezzare anche quel malsano meccanismo settario che ora stava spingendo i suoi stessi accoliti a inseguirla finché non l’avessero raggiunta e smembrata?

Danny fu scosso da un violento tremito momentaneo e la sua nausea raggiunse un nuovo picco, ma il suo stomaco doveva essere vuoto, e d’altro canto il suo organismo era ancora troppo concentrato su un piano di tenersi pronto alla lotta per consentirgli di vomitare semplicemente. Barcollò tuttavia, e sentì come se tutte le forze lo stessero gradualmente abbandonando, come se colassero via da lui iniziando a formare una sorta di pozza ai suoi piedi. Ma quello era solo il sangue che stava ancora perdendo dalle ferite aperte dai morsi spietati di Mara che gli costellavano il corpo in più punti; e tuttavia l’analogia non era così strettamente metaforica, perché dopotutto quell’emorragia pazientemente lenta lo stava continuando a privare delle ultime forze. L’adrenalina rimasta stava scemando di fronte al fatto che il suo istinto di sopravvivenza si stava facendo indietro, non solo perché a tutti gli effetti non aveva più di fronte una Mara pronta a cercare di ucciderlo, ma anche perché quella constatazione di esito in corso di quei malsani meccanismi settari lo stava facendo sentire come se non potesse che essere sconfitto fin dall’inizio e senza speranza e in ogni caso.

Arretrò lentamente, senza quasi rendersene conto, le zampe che sostennero a stento il suo peso, finché non si ritrovò con la parte posteriore del corpo che premeva contro qualcosa di solido. Quasi con sollievo realizzò che si trattava del muro esterno della casa dove si trovava l’appartamento in cui una volta avevano vissuto i componenti del primo nucleo dei ‘4 di picche’.

Mentre lentamente lasciava che lo scemare delle sue ultime forze facesse scivolare il suo corpo a terra, e mentre utilizzava buona parte di esse istintivamente per riacquisire la sua forma umana, una strana sorta di pensiero gli attraversò la mente, evocando con sé un miscuglio di emozioni che non riuscì a decifrare del tutto, ma che finirono per disegnargli in volto un’espressione piuttosto amara e tuttavia tutto sommato in qualche modo sottilmente divertita: qualcosa a metà tra l’ironico e l’affettuoso. Non era forse singolarmente strano che sembrasse esserci una tutto sommato quasi bizzarra coincidenza? Che lui fosse riuscito davvero a tornare dai ‘4 di picche’, dritto contro il muro che aveva racchiuso il loro inizio, e che stesse finendo lì contro proprio forse per trovarvi il termine della sua personale strada alfine?

Un momento dopo, una realizzazione molto più attinente alla realtà lo strappò brutalmente da quel momento di contemplazione divertita e solo per lui: Badlands lo stava fissando. A giudicare dal suo sguardo, sembrava così infuriato da non riuscire nemmeno a capacitarsi di poterlo diventare a tal punto contro un’unica persona. Danny lo contemplò senza riuscire a provarne un vero e proprio allarme: forse per via del fatto che si sentiva così esausto che non era più in grado di provare alcunché, o forse perché sapeva con istintività perfettamente naturale che in ogni caso, qualsiasi cosa fosse successa a quel punto, non c’era speranza che riuscisse a trovare in quel momento nelle sue membra abbastanza forza da reagire in alcun modo.

Tutto quello che poteva riuscire a fare al momento era semplicemente giacere lì, semi-seduto e semi-sdraiato, appoggiato con la schiena contro il solido e in qualche modo terribilmente confortante contatto del muro della casa alle sue spalle, guardando cosa sarebbe successo come se, dal momento che non sarebbe più riuscito a muoversi, la cosa non potesse riguardarlo più di tanto. Sapeva, in fondo, che ora non poteva che essere totalmente in balia di qualsiasi cosa fosse successa.

I mezzi lupi che invece di gettarsi all’inseguimento di Mara erano rimasti intorno a Badlands avevano ora tutta l’aria di un gruppetto sparuto e totalmente privo non solo dell’abilità di capacitarsi pienamente di che cosa esattamente fosse successo, stesse succedendo o potesse ancora succedere, ma anche di immaginarsi anche solo a grandi linee che cosa poter fare ora di se stessi. In mancanza di altro, sembrava che tutto ciò che stessero riuscendo a fare fosse rimanere intorno a Badlands come rifiuti abbandonati nell’universo orbitanti per pura legge fisica di attrazione tra masse di differenti dimensioni attorno al grosso mezzo lupo.

Ma Badlands al momento sembrava starli ignorando completamente. Lo sguardo intento, concentrato su Danny, furente ad un punto che superava le sue stesse capacità di immaginazione a riguardo di quale alto grado potesse raggiungere anche il solo concetto di essere furiosi, rimase a guardarlo per qualche lungo istante.

Dopodiché, Danny lo vide iniziare ad avanzare verso di lui a grandi passi. Da quel suo punto di vista sembrava quasi come se una montagna avesse all’improvviso scoperto di poter camminare e avesse deciso di iniziare a venirgli incontro, sicura della propria volontà di raggiungerlo, meno sicura di che cosa avrebbe esattamente fatto non appena lo avesse effettivamente raggiunto. Ma Danny si concesse che probabilmente la perdita di sangue stava iniziando ad intaccare la sua lucidità, e rimase semplicemente a guardare quella sorta di montagna che gli veniva incontro come se stesse assistendo ad una scena di una realtà altra alla quale solo teoricamente sospettava molto fortemente avrebbe dovuto ancora lui stesso appartenere.

 

 

 

Soundtrack: Got to let go (Charlotte Gainsbourg feat Charlie Fink)

Anche se il titolo ‘Dare you to move’ l’ho preso dall’omonima canzone degli ‘Switchfoot’ (è uno dei casi in cui mi è rimasto più impresso il titolo che la canzone in sé)

 

Note dello scribacchiatore:

Scusate come al solito (se vi riesce) se questo capitolo risulta alla lettura piuttosto pesante e complesso; l’ho rivisto più di una volta (probabilmente anche più di due o tre, ho perso il conto avendolo scritto diverso tempo fa e rivisto diverse volte a distanza di settimane e settimane), e per ora per mantenere un buon ritmo di messa on-line questo è quanto di meglio sono riuscito a fare senza intaccare troppo la natura che volevo dargli.

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Capitolo 46
*** 45 - Some good advises ***


Capitolo 45

(Some good advises)

 

Danny sentì il rumore risuonare così di colpo e seccamente che, se avesse avuto ancora forze nel suo corpo, sarebbe trasalito piuttosto violentemente.

Il suono dello sparo non si udì, ma all’udito di un mezzo lupo il rumore brevissimo di un proiettile che sferza l’aria e atterra sull’asfalto rimbalzando non avrebbe che potuto risuonare chiarissimo.

Il colpo cadde precisamente pochi centimetri davanti a Badlands, il quale si immobilizzò immediatamente e nettamente; il suo sguardo saettò subito verso l’alto, mentre quello di Danny seguì più lentamente, in parte perché sapeva già – perfettamente – di che cosa si trattava, e in parte perché era troppo drenato di ogni oncia di forza per poter riuscire ad avere fretta nel tentare di fare qualsiasi anche minimo movimento.

Il suo sguardo terminò il suo percorso su Uther, il braccio teso fuori dalla finestra in una direzione puntante verso il basso, stretta nel pugno una della pistola di Danny, quella che poteva essere dotata di silenziatore, come in effetti era in quel momento. E fu allora che Danny si ritrovò in balia di un sorprendentemente ampio e totale meravigliato stupore, per più di un motivo.

Prima di tutto perché, vedendo che Uther stava usando una delle sue pistole, era ora certo che lui avesse avuto la fredda prontezza – nonostante tutta la situazione – di raccogliere rapidamente dall’appartamento non solo il suo fucile ma anche le due pistole di Danny, e quindi in breve dotandosi del massimo delle armi utilmente utilizzabili contro mezzi lupi che erano in loro possesso in quel momento. E Danny non aveva dubbi che, anche se da quell’angolazione non lo poteva vedere, Uther stesse imbracciando con l’altro braccio il fucile, e che avesse l’altra pistola di Danny in qualche modo fissata alla cintola dei pantaloni, perché se tanto gli dava tanto, dal momento che era stato capace di raccogliere tutte le armi utili che possedevano, sicuramente le aveva ora tutte addosso ed era perfettamente pronto ad usare tutti i proiettili che possedevano fintanto che avesse avuto la possibilità materiale di ricaricare ogni volta che avesse terminato un caricatore.

E Uther aveva a quanto pare anche tranquillamente trovato lo spazio sufficiente per ragionare in maniera rapidamente e lucidamente utile, che lo aveva portato ad optare per iniziare a sparare con l’arma dotata di silenziatore, per evitare di rompere ogni eventuale indugio stesse trattenendo dal chiamare la polizia gli abitanti a portata di orecchio di tutto quello che era successo e stava succedendo.

Se avesse potuto ragionare in qualche maniera più comunemente e banalmente sensata, Danny avrebbe potuto pensare che quello fosse tutto il contrario di una decisione assennata: far scattare l’allarme, far arrivare la polizia avrebbe potuto garantire a lui e a Uther maggior possibilità di sopravvivenza, mettendo in fuga Badlands e gli altri mezzi lupi che si trovavano ancora lì. Ma nel modo in cui ragionavano loro… beh, era invece perfettamente sensato: niente e nessuno poteva loro garantire che Badlands e gli altri non avrebbero piuttosto deciso a quel punto, visto che tutto era perduto, di scatenarsi su qualsiasi essere umano fosse arrivato in quel momento in quella strada. O forse era solo il fatto che Danny sapeva che Uther avrebbe fatto pressoché di tutto per riuscire a uscire da qualsiasi situazione seria con quella parte di dignità che voleva conservare perfettamente intatta: cosa che sarebbe stata impossibile nel caso si fosse risolto per qualsiasi motivo a farsi anche solo aiutare dalle forze dell’ordine.

Ma quello che lo lasciava attonito era anche il fatto che non si era aspettato che sarebbe accaduto qualcosa del genere, nonostante sapesse benissimo che Uther era lì alla finestra pronto a far fuoco fin dall’inizio o quasi. Di nuovo non aveva dato praticamente per scontato che ci fosse qualcuno dei ‘4 di picche’, purché fisicamente perlomeno presente, a cercare di aiutarlo a salvarsi la pelle quando sembrava che la cosa fosse messa decisamente a repentaglio da quello che stava accadendo. Certe volte, su quel punto, la sua capacità di dimenticare certe incrollabili costanti gli dava l’impressione di essere veramente, interamente, completamente e inappellabilmente stupido.

Poi il suo sguardo tornò ad abbassarsi automaticamente su Badlands, nello stesso istante in cui una nuova realizzazione gli calava nel cervello. Lo sguardo con cui il grosso mezzo lupo stava fulminando Uther dall’alto in basso gli confermò il raggelante sospetto: ora che Uther non solo aveva così incerimoniosamente ricordato la propria presenza di essere umano armato, ma che aveva anche sparato quel colpo dalla chiara intenzione di impedire al mezzo lupo di fare ciò che voleva, inviando il messaggio di una quanto mai esplicita minaccia, era molto probabile che il mezzo lupo in questione, ed eventualmente gli altri ancora rimasti fermi in mezzo alla strada a guardare la scena, decidessero non solo di dare a Danny il colpo di grazia ma anche poi di salire le scale e di fare altrettanto con Uther.

Per un istante Danny sospettò che Uther stesse avendo la completa intenzione di se necessario sparare con due mani, con un’arma rivolta a proteggere lui dall’essere attaccato in quel momento in cui non era in grado ormai più di muoversi, e allo stesso tempo se stesso una volta che i mezzi lupi avessero fatto irruzione nell’appartamento.

Il momento dopo, un cupo ringhio gutturale gli stava rotolando lungo la gola, piuttosto debole ma chiaro e netto come la sua decisione.

Badlands riabbassò istantaneamente lo sguardo su di lui, ancora temibilmente serio, ma con una nuova sfumatura di sorpresa ora. Danny non faticò a interpretare la natura di quella sorpresa e il messaggio che ne derivava implicitamente di rimando: Badlands era sorpreso che lui sprecasse fiato a rivolgergli quella minaccia quando era abbastanza evidente che il suo corpo era ridotto in condizioni totalmente insufficienti per avere anche la più misera speranza di riuscire a contrastarlo fisicamente, figurarsi a mettere in atto qualsiasi cosa che sarebbe potuta sembrare una minaccia; Badlands gli stava implicitamente chiedendo se davvero pensava che gli sarebbe mai potuto servire a qualcosa dunque rivolgergli quel ringhio come messaggio, e come diavolo gli fosse venuto in mente di farlo in quelle condizioni senza speranza.

 Danny non smise tuttavia di ringhiare piano, ma un angolo delle sue labbra si piegò appena in un sorriso di sfida sarcasticamente feroce, e il suo sguardo divenne più intensamente tagliente, concentrandosi di quella sfumatura di sincera intenzione di minaccia selvatica che poteva assumere lo sguardo di un mezzo lupo. Badlands lo riconobbe, e capì che, se c’era qualche striminzita possibilità che Danny potesse a quel punto effettivamente riuscire ad alzarsi e a fare qualcos’altro oltre a quello, lo avrebbe senz’altro fatto per attaccarlo se solo avesse tentato di dirigersi verso la porta d’ingresso che conduceva alle scale verso l’appartamento dove si trovava Uther.

Fu allora che Badlands si accorse di qualcos’altro. Per quanto Danny fosse in tutto e per tutto assai capace di apparire molto intimidente, nonostante le sue attuali condizioni fisiche, Badlands non era abbastanza giovane né sprovveduto o mal dotato di forza fisica e sicurezza in se stesso da farsi prendere dal terrore davanti a quella vista. Ma qualcun altro lo era. Sentì chiaramente nell’aria l’ondata di improvvisa paura colpirgli le spalle, e lanciare una breve occhiata dietro di sé fu quanto gli bastò per rilevare che i mezzi lupi che erano rimasti lì con lui lungo la strada erano decisamente spaventati. Sebbene fossero comunque in buon numero, e non così tanto giovani dopotutto, la combinazione di un’arma da fuoco che poteva sparare loro addosso e un mezzo lupo che si era appena dimostrato in grado di battere Mara che stava rendendo chiaro come il sole che era ancora disposto a combattere era più che abbastanza e troppo per loro.

Badlands tornò a guardare Danny. Sebbene ora la lucidità stesse riuscendo a farsi strada attraverso la sua profonda furia, essa era ancora tutta lì. Quel mezzo lupo che si era ridotto a comportarsi come un cane aveva appena sconfitto Mara, e aveva appena distrutto tutto quanto, tutto quello per cui Badlands aveva lavorato e si era impegnato nelle ultime settimane con tutto se stesso. Ed ora, pur giacendo in condizioni tali da non essere evidentemente più in grado di battersi, osava persino produrre quel continuo ringhio gutturale di minaccia implicita, con quella testardaggine così irritante da mandare a chiunque il sangue alla testa.

Badlands si irrigidì ulteriormente.

Da qualche parte al di sopra della sua testa, una voce fin troppo fredda per risultare altrimenti che quietamente minacciosa disse, rivolgendosi indubbiamente direttamente a lui: «Lo sai. Un altro passo e sei morto.»

Lo sguardo di Badlands schizzò di nuovo verso l’alto all’istante, piantandosi con furia traboccante sull’essere umano che lo teneva sotto tiro e che aveva l’ardire di minacciarlo a quel modo.

Danny iniziò a irrigidire ogni singolo muscolo, tenendosi pronto a scattare, nonostante molti dei suoi muscoli non stessero affatto rispondendo all’appello, e quei pochi che lo stavano facendo lo stessero facendo così pallidamente che stavano chiaramente facendo presente che non sarebbero mai stati in grado di fare molto più di così. Sarebbe già stato tanto se avesse avuto la forza di effettivamente alzarsi in piedi e di camminare per quei possi necessari passi per solcare la distanza che lo separava da Badlands; sarebbe già stato tanto se la sua vista, la cui chiarezza si stava appannando, fosse stata sufficiente per concedergli di vedere abbastanza chiaramente Badlands da riuscire a raggiungerlo. Ciò nondimeno, era esattamente quello che avrebbe fatto.

Nonostante una voce dentro di lui continuasse a gridare disperatamente, per quanto si sforzasse di ignorarla, ‘Non così! Per favore… giusto non così!’. Perché sì, in fondo lo sapeva, che non era così che avrebbe mai voluto morire: non accasciato lungo la strada di una maledetta cittadina, abbandonato lì senza riuscire a fare altro di sé, nemmeno evitare di lasciarsi andare così come una sorta di rifiuto gettato in un angolo qualsiasi senza alcuna importanza o considerazione. Ma d’altro canto, non sempre si poteva scegliere. E tuttavia, quella voce dentro di lui non smetteva di continuare a gridarlo: ‘Per favore, almeno non così!’. Ma sapeva che non c’era niente che poteva farci.

Poi, una voce apparentemente proveniente dal nulla si schiarì gentilmente la gola.

Il suono stupì completamente Danny, cogliendolo di sorpresa. E tuttavia, aveva qualcosa che gli sembrava avrebbe dovuto riconoscere come in qualche modo piuttosto familiare, volendo tralasciare per un momento la stranezza di poter trovare qualcosa di familiare nel semplice e breve suono di uno schiarirsi di voce.

Lo sguardo di Badlands saettò di lato. Di nuovo, Danny cercò di spostare altrettanto il suo sguardo, ma anche muovere la testa al momento sembrava qualcosa che le sue membra erano disposte a consentirgli solo a malapena.

La sua vista doveva essersi appannata più di quanto avesse realizzato, perché inizialmente riuscì a intravedere solo una sagoma che aveva decisamente un contorno umano. Automaticamente, essendo dopotutto un mezzo lupo, si ritrovò ad affidarsi di più all’odore: sembrava un odore umano che avrebbe ugualmente potuto risultargli relativamente familiare, anche se buona parte di esso era celato da quello di ciò che sembrava acqua di colonia di ricetta piuttosto antica e vagamente sdolcinata, un sentore di qualcosa di simile ad una sostanza chimica ottenuta per lavorazione artificiale da qualcosa che in origine doveva essere stato un insieme di fiori.

La voce parlò allora, e solo in quel momento Danny non ebbe più dubbi sul fatto che gli risultava decisamente familiare.

«Se fossi in lei…» disse, con una calma apparentemente piatta e priva di ogni eccessiva emozione o agitazione, e allo stesso tempo molto seria, rivolgendosi a Badlands con una cortesia superficiale che per quanto sincera suonava singolarmente non adeguata né alla situazione né al contenuto di ciò che disse «Lo prenderei come un ottimo consiglio. Che a mia personale opinione sarebbe molto sensato e saggio accettare.»

Danny capì, non meno di Badlands, che si stava riferendo a quanto Uther aveva implicitamente appena detto a quest’ultimo: di non fare un solo altro passo in avanti verso Danny e il proposito di attaccarlo. E magari di andarsene e basta.

Danny si concentrò meglio per sforzare la vista sull’inquadrare meglio la sagoma umana che aveva parlato, anche se era come sulla punta della sua lingua capire esattamente di chi si trattasse. Notò ora che quella sagoma teneva un braccio alzato con calma verso Badlands, impugnando una pistola puntata. Una profonda inquietudine si fece strada in Danny: chiunque fosse, sembrava non avere nessun problema nonostante la sua natura umana ad avere l’ardire di stare puntando un’arma da fuoco addosso ad un mezzo lupo ad una distanza così relativamente ravvicinata di circa una decina di metri.

Badlands sembrò levitare nella sua stessa immobile furia per qualche altro lungo momento, e Danny si tenne di nuovo pronto a perlomeno tentare con tutto se stesso di lanciarglisi addosso.

Infine, lo sguardo del grosso mezzo lupo saettò di nuovo su di lui, con chiaro odio, per un lungo momento. Poi, Badlands iniziò ad arretrare ad ampi passi.

«Andiamocene! Qui le cose si stanno facendo fin troppo affollate. Le risolveremo in un momento più adatto.» tuonò infine la sua voce profonda, incupita dalla furia.

Gli altri mezzi lupi sembrarono riscuotersi dal loro stato di immobile, semi-incredula e semi-terrorizzata quasi-catatonia. E il momento dopo, mentre Danny ancora faticava a credere ai suoi occhi, stava guardando Badlands e gli altri mezzi lupi rimasti con lui andarsene lungo la strada.

Con la coda dell’occhio, vide la sagoma umana che era arrivata per ultima muoversi a sua volta, lentamente e con attenta circospezione, un passo dopo l’altro avvicinandosi a lui e voltandosi nel mentre per mantenere sempre sotto il tiro della pistola che impugnava il gruppetto che si andava allontanando a passo così rapido da essere sul ciglio di sfociare in corsa lungo la strada. Danny alzò lentamente lo sguardo seguendo i movimenti dell’uomo che gli si stava avvicinando. Finché Badlands e gli altri mezzi lupi non sparirono dietro un angolo prendendo una strada perpendicolare a quella, e la figura dopo qualche momento di attesa sembrò optare per la decisione che tanto poteva bastare al momento, perché si ripose la pistola in una qualche tasca degli indumenti che indossava, e si voltò verso Danny, avvicinandoglisi del tutto fino a rimanere in piedi svettando nonostante la sua limitata altezza sopra di lui, guardandolo con calma attenzione.

«Mordecai!» udì la voce di Uther esclamare da qualche parte metri al di sopra della sua testa, dando definitivamente un nome senza dubbio all’ometto che lo stava guardando.

Il nominato alzò lo sguardo, e Danny lo sentì dire semplicemente «Buonasera, Uther. Credo che sarebbe meglio se scendessi, ora. Credo che…» e lo vide sfilarsi il cappotto che indossava e chinarsi su di lui «Avrò bisogno di una mano qui.» terminò Mordecai, sistemandogli il cappotto addosso a coprirlo, per poi appoggiargli con gentile delicatezza una mano su una spalla e guardarlo con un tenue accenno di un sorriso dolente.

Danny continuò semplicemente a contemplarlo come se la realizzazione della sua presenza faticasse a calarsi completamente dentro la sua testa.

«Ora capisco…» mormorò con calma Mordecai «Perché la signorina Azaziel riteneva opportuno che io indossassi un indumento così pesante uscendo, nonostante la temperatura.»

Solo marginalmente, confusamente e quasi come se fosse un particolare dopotutto completamente trascurabile, Danny intuì che Mordecai si stesse riferendo al fatto che la sua cosiddetta cliente gli avesse dato un consiglio così appropriato alla situazione quale Mordecai non avrebbe mai potuto pensare da solo, non conoscendo ciò in cui stava per ritrovarsi.

«A dire la verità, credo che non sarà così semplice…» udì Uther replicare da sopra le loro teste.

Mordecai si rialzò in piedi con calma e tornò ad alzare lo sguardo. «Che cosa intendi, precisamente?»

Danny sentì Uther esitare qualche istante, come se cercasse le parole. Solo quando lo udì rispondere con tono relativamente irritato capì perché. «Sono chiuso a chiave dentro. Dall’esterno.» fu tutto ciò che disse.

Mordecai non sembrò affatto stupito né si scompose di un millimetro. Dava l’impressione di aver udito o visto cose tranquillamente molto più strane. Danny si ricordò che era amico di Kumals e che aveva collaborato ad alcuni dei primi casi dei ‘4 di picche’, perciò quella considerazione doveva essere quanto mai esatta. Inoltre, si ricordò ancora, era un necromante.

«Capisco.» disse semplicemente, aggrottando appena la fronte, ma in un modo che dava da pensare che il suo leggero turbamento fosse dovuto solo al tentativo di cercare una soluzione pratica al problema.

«Okay.» disse Uther, come se si fosse riscosso dal suo breve momento di malumore «Posso sfondare la porta con un colpo di pistola. O usare la grondaia per arrampicarmi giù.»

In altre circostante, Danny sarebbe riuscito a trovare divertente l’ultima prospettiva. Al momento tuttavia sembrava che non gli fossero rimaste abbastanza forze per riuscire a racimolare nemmeno una valida parvenza di emozione o di reale coinvolgimento. Si sentiva come se fosse ancora e anzi sempre più capace solo di assistere passivamente a qualsiasi cosa potesse succedere, tutt’al’più a capirla, e come se ogni singola cosa avesse già il suo bel daffare nello scavarsi il suo spazio per riuscire a stare tutta dentro il suo cervello. Le orecchie gli ronzavano, e non aveva idea da quanto, dando un aspetto ad ogni suono come se avvenisse a distanza decisamente maggiore rispetto a lui.

«La seconda è decisamente da escludersi.» sentì dire Mordecai «Non giurerei che questa grondaia possa reggerti. E al momento un ferito è più che sufficiente. Nonché il limite massimo che possiamo permetterci al momento di cui poter riuscire a occuparci.»

Un breve silenzio, apparentemente utile a ponderare rapidamente quelle osservazioni che già a prima vista apparivano comunque decisamente sensate. Poi Danny udì la voce di Uther rispondere «D’accordo. Allora non resta che la porta.»

«Concordo.» annuì Mordecai, lo sguardo sempre rivolto verso l’alto «Ma mi permetto di suggerire una diversa metodologia. Sapresti dirmi dove si trova esattamente la chiave?»

Danny ebbe la vivida sensazione che per un momento lo sguardo di Uther si stesse concentrando dritto su di lui, come se si aspettasse che dicesse qualcosa. Ma Danny era ben lungi dall’intenzione di provare anche solo a parlare. Riuscire a pensare a qualcosa da dire, mettere in fila le parole e pronunciarle al momento sembrava ben oltre le sue capacità. E lo stordimento che lo stava pervadendo sempre più poco a poco aveva di suo qualcosa di così singolarmente preponderante che sarebbe potuta quasi valere la pena di contemplare anche solo quello.

«Dentro quella fogna.» rispose infine Uther.

Mordecai riabbassò lo sguardo, spostandolo finché non individuò il tombino che evidentemente Uther doveva avergli indicato. Danny non tentò nemmeno di muovere la testa, ma quando vide Mordecai annuire con aria pragmatica e spostarsi, il suo sguardo lo seguì automaticamente.

Il necromante si fermò in piedi davanti alla fogna, quindi si infilò una mano in una tasca interna della giacchetta del completo leggero e sommariamente elegante che indossava, estraendone qualcosa che iniziò poi a sistemare un poco tra le mani, le dita che si muovevano come se stesse districando qualcosa. Danny lo vide stendere quello che sembrava un lungo filo di nylon abbastanza resistente, ad un capo del quale era annodata quella che aveva tutto l’aspetto di una calamita. Più che provarlo, registrò che lo stupore sarebbe stato a quel punto molto più che il minimo sindacale.

Mordecai calò la calamita dentro le fessure del tombino della fogna, e dopo qualche momento di tranquillo armeggiare la ritirò su, con la chiave decisamente attaccata ad essa.

Danny aveva la sensazione che, metri al di sopra della sua testa, Uther non stesse nemmeno tentando di commentare qualcosa perché semplicemente tutto quello aveva ormai un che di così assurdo e improbabile che tentare di recensirlo poteva risultare quasi superfluo.

Come se lo avesse perfettamente capito, dopo essere tornato sotto la finestra alla quale Uther era affacciato e avergli lanciato al volo la chiave staccata dalla calamita, Mordecai disse semplicemente e quietamente, come per pura informazione a beneficio di entrambi «Ora, se non avessi completa fiducia nei suggerimenti della signorina Azaziel, avrei trovato notevolmente singolare quello di portare con me proprio questi oggetti.», mentre tornava ad arrotolare sommariamente il filo di nylon e ad avvolgerlo insieme alla calamita in un fazzoletto di stoffa da taschino, reinfilandosi quindi il tutto in una tasca interna della giacca.

Danny lo guardò mentre il necromante gli dedicava un altro sguardo, e un altro accenno di sorriso simpateticamente dolente. «Abbi ancora un poco di pazienza, Danny. Non è qui che rimarrai ancora a lungo.»

La voce nella testa di Danny continuava tuttavia ad urlare ‘Solo… solo non così!’, senza posa. Per questo, mentre Mordecai si girava e iniziava a dirigersi verso dove giacevano ancora abbandonati a terra i vestiti che si era tolto prima, quando se ne era liberato per poter assumere la sua forma di lupo, in qualche modo la voce riuscì a farsi strada a fatica, raspando nella sua gola che sembrava terribilmente inaridita.

«Come ne puoi essere così sicuro?» riuscì a dire, piano e con voce terribilmente arrochita e riarsa. Il tono risultò così innaturalmente quieto e distante alle sue stesse orecchie, da dare l’impressione che non stesse parlando nemmeno di se stesso.

Mordecai si fermò e si voltò di nuovo verso di lui, uno sguardo appena leggermente stupito, e allo stesso tempo pazientemente comprensivo l’istante successivo. Con sorpresa di Danny, il necromante sembrò aver capito immediatamente che cosa voleva dire, o forse fin dalle sue stesse parole era proprio quello ciò che intendeva quando gliele aveva dette.

Lo guardò tornargli vicino e chinarsi di fronte a lui, guardandolo con calma ma profonda serietà.

Ciò che gli chiese lo lasciò semplicemente di stucco.

«Vedi forse alcun lupo bianco qui ora?»

C’era una leggenda. Una di quelle che potevano piacere a Mara, e doveva essere stata lei a raccontargliela, tanto tempo addietro. Una leggenda da mezzi lupi, naturalmente. Parlava di un lupo bianco che un mezzo lupo in punto di morte avrebbe potuto vedere, e che solo lui avrebbe potuto vedere e solo se fosse stato in punto di morte. Danny avrebbe voluto chiedere, la prima volta che l’aveva sentita narrare, come si facesse dunque a non sospettare di stare per morire se effettivamente capitava di incrociare per caso un lupo o un mezzo lupo con il manto naturalmente bianco per ragioni puramente genetiche; ma Mara non era mai stata avvezza a quel genere di tentativi di ironia sulle leggende che raccontava con trasporto mistico, e allo stesso tempo lasciando facilmente sospettare chi la stava ascoltando che lei non credesse affatto a quelle sciocchezze ma non per questo fosse permesso non portare ad esse il dovuto rispetto e averne il giusto assoluto e recondito timore.

Ora, Danny non avrebbe mai immaginato che qualcuno che non fosse un mezzo lupo potesse conoscere una leggenda da mezzi lupi. Ma a dirla tutta, non era nemmeno sicuro che quella non potesse essere in effetti una leggenda originariamente non inventata e tramandata da mezzi lupi; eventualmente poteva essere che Mara l’avesse presa da qualche altra parte e deciso di renderla parte della sua collezione casuale di misticherie varie da assegnare alla tramandazione orale dei mezzi lupi. Forse l’aveva fatto qualche altro mezzo lupo ancora prima di lei.

Danny si limitò a scuotere lentamente la testa. La voce aveva smesso di gridare, realizzò. E il sorriso gentile che Mordecai gli stava rivolgendo aveva un che di intrinsecamente piuttosto rincuorante, soprattutto per via di quella leggera sfumatura di ironia che lo accompagnava, dando segno che stava dicendo sul serio anche senza bisogno di credere ad una simile leggenda.

«Allora, non è qui che stai per morire.» gli disse con certezza rassicurante, annuendo una sola volta con convinzione, prima di rialzarsi in piedi e spostare lo sguardo di lato.

Spostando a sua volta le pupille, solo ora Danny realizzò che Uther li aveva raggiunti, e che se ne stava immobile e muto lì di fianco, lo sguardo fisso su di lui con un’espressione che non riuscì a decifrare ma che ebbe l’istintivo sentore non essere qualcosa che poteva piacere vedere in faccia a chiunque verso cui si potesse provare almeno un’oncia di affetto. Sembrava che quelle poche e semplici parole, che Uther doveva avere udito a giudicare dalla sua espressione, fossero state estremamente rivelanti e rilevanti anche per lui, per realizzare qualcosa, anche se non la stessa cosa che aveva appena realizzato Danny.

Dunque, a quanto pare non sarebbe davvero morto così, lì e in quel modo.

Come a conferma di ciò, sentì vagamente Mordecai dire qualcosa di breve a Uther, e li vide chinarsi per prenderlo per le braccia e iniziare a sollevarlo. Sentì gli occhi chiuderglisi, la coscienza tuffarsi alfine in qualche profondità buia e attraente nella sua promessa di almeno un po’ di riposo da tutto quello sforzo di cercare di seguire cosa ancora stesse succedendo.

A quanto pareva, non sarebbe morto in quel luogo e in quel modo, dopotutto. La voce nella sua testa aveva decisamente smesso di gridare.

 

Soundtrack: Make a deal with the city (East River Pipe)

 

Note dello scribacchiatore:

Prima di tutto: perdonatemi ma ho capito che in questo periodo non troverò mai il tempo di revisionare per bene da cima a fondo questo capitolo, quindi intanto lo metto on-line, comunque dovrebbe essere leggibile perché quasi sicuramente l’avevo rivisto già una volta tempo fa dopo averlo scritto. In caso non sia così, sentitevi liberissim* di farmelo sapere, così vedo che posso farci.

Come avevo premesso, ecco il perché ho cercato di pubblicare i precedenti capitoli a ritmo un po’ più alto del solito: semplicemente, per la parte di trama che racchiudono, penso che sia meglio leggerli abbastanza di fila (magari non proprio in un solo colpo, ma hey, se ci riuscite ben venga :) ). Più nello specifico… curiosità: inizialmente i capitoli precedenti (quelli dal 38 al 44, eventualmente con anche questo) dovevano essere un solo capitolo! Ma al di là del fatto che qui o là sbaglio più o meno tragicamente i calcoli di quanti capitoli mi prenderà una parte di trama… stavolta l’errore di calcolo è stato madornale (per la serie: se proprio si deve sbagliare, tanto vale farlo clamorosamente!). Posso solo dire che ‘it sort of happened’ (è in qualche modo successo), ma forse è più esatto ‘it sort had to happen’ (in qualche modo doveva succedere…) che questa parte di trama diventasse una sorta di arco (o parabola, se preferite geometricamente parlando :p ) portante di questa storia dei ‘4 di picche’ e del personaggio di Danny in particolare, una sorta di viaggio in cui ha finito per trascinare me (e chi legge, forse).

Ad ogni modo, a voi il vostro giudizio, per quanto mi riguarda, questa è una delle situazioni in cui mi sovviene l’ingombrante sentore che, essenzialmente, poteva andare ben peggio ;p

E comunque… molto altro è ancora da venire di… notevole ;) (no, niente panico, non a livello di numero di capitoli da leggersi quasi in un colpo solo, ma a livello di trama proprio)

 

Riferimenti: diavolo, quasi dimenticavo! La “leggenda” di un lupo bianco che apparirebbe prima della morte non è proprio originale mia… ma me la ritrovo in testa (tra molte altre cose, parecchie in effetti) da diversi anni, al punto che non riesco a ricordare dove ho pescato per la prima volta eventuali spunti. Di sicuro ricordo che compare nel cartone animato di ‘Balto’ qualcosa del genere, ma non ricordo proprio se avesse questo significato (e con questo spero di non aver spoilerato niente a nessuno).

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Capitolo 47
*** 46 - It's all coming back to me now ***


Capitolo 46

(It’s all coming back to me now*)

 

Danny doveva aver definitivamente perso conoscenza in qualche momento imprecisato mentre Uther e Mordecai lo trasportavano di peso – e non senza una certa difficoltà – su per le scale e fin dentro all’appartamento, perché quando ebbero finito di finalmente adagiarlo decentemente sul letto, e si rialzarono contemplandolo per un istante in silenzio mentre riprendevano fiato, rilevarono che era decisamente privo di sensi.

Uther non avrebbe dovuto stupirsene, e a tutti gli effetti non si stupì affatto; fu semplicemente improvvisamente colto da un accesso di semi-panico così improvviso e cospicuo che per un istante ne fu raggelato e trattenne il respiro. Mordecai sembrò reagire con molta più calma e opportunamente, perché si sporse di nuovo con un movimento rapido ma efficiente su Danny e gli tastò il polso. Vedendolo lasciargli andare il polso lentamente, con calma e gentilezza, e ritornare a rimanere in piedi accanto al letto, Uther non ebbe nemmeno bisogno di chiedergli conferma che era ancora perfettamente vivo; o forse la prospettiva che potesse anche solo essere altrimenti era semplicemente troppo terrorizzante per contemplarla, figurarsi per darle anche solo un minimo di credito chiedendo ad alta voce.

E sapeva che non avrebbe dovuto sentirsi esattamente così sospettosamente vicino ad uno stato molto simile allo shock: non dopo tutte le volte che era stato completamente nel bel mezzo, dalla punta dei piedi alla sommità della testa, a così tanti casi e situazioni che avevano molto più di un aspetto pericoloso in quella maniera decisamente potenzialmente mortale. Stranito, non riuscì nemmeno a pensare di provare a capire quindi perché.

«Credo che avrò ancora bisogno del tuo aiuto.»

La voce ancora improbabilmente e meravigliosamente calma e pratica di Mordecai lo riscosse di punto in bianco, e lui voltò finalmente lo sguardo sull’altro, segretamente profondamente grato, perché perlomeno così stava distogliendo gli occhi dallo spettacolo che rappresentava Danny steso sul letto esangue, pallido e sporco di sangue. Di fin troppo sangue, per quanto fosse dopotutto un mezzo lupo. Uther si ritrovò a doverselo attivamente ricordare per un momento che lo era, un mezzo lupo; per qualche motivo, stavolta non sembrava che quel promemoria fosse sufficiente a scacciare almeno buona parte di quella profonda angoscia suscitata dalla vista di tutto quel sangue.

L’odore metallico del sangue fresco sembrava permeare tutto quello che lo circondava, anche se più propriamente doveva stare permeando la sua stessa persona, perché naturalmente ora i suoi vestiti e parte delle sue mani e braccia si erano sporcate di sangue. La bocca del suo stomaco si chiuse con violenza, come cercando con tutta se stessa di resistere ad un probabile principio di imminente conato di vomito. Ma Uther aveva la sensazione che quella sorta di rifiuto profondo che stava iniziando a sommergerlo fosse radicata ben oltre la semplice speranza di potersene liberare con un istintivo conato di vomito.

Annuì verso Mordecai. Questi annuì brevemente di rimando, e già si stava togliendo di tracolla una borsa che solo ora Uther notò portava con sé. Lo guardò posarla sul letto accanto a Danny, aprirla e iniziare a frugarvi brevemente e rapidamente dentro con aria pragmatica, guardando solo distrattamente gli oggetti che ne estraeva, appoggiandoli ordinatamente sul letto, senza nemmeno cercare di capire che cosa fossero esattamente. Avevano dopotutto un generale aspetto di qualcosa di utile per medicare, e questo bastò a fargli sembrare il tutto appena un po’ meno terribile, anche se solo su un piano puramente pratico e materiale. Perlomeno, qualcuno stava facendo qualcosa di più utile di lui, qualcosa di meglio che starsene semplicemente fermo lì come immobilizzato e ipnotizzato da un indefinibile e generale senso di orrendo.

«Come hai fatto a… ?»

Uther sussultò quasi violentemente udendo la voce di Danny, e i suoi occhi saettarono di nuovo sul viso dell’altro, solo per vederlo giacere ancora perfettamente fermo e abbandonato sul letto, gli occhi ancora chiusi.

«… ad arrivare al momento giusto?» terminò Danny, la pausa di silenzio che sembrava fuori posto, come se fosse servita solo a trattenere un lamento di dolore. C’era eppure un accenno di leggero sorriso sulle sue labbra, che sembrò andare a punzecchiare direttamente qualcosa di simile ad un’enorme bestia nera che si stava condensando da qualche parte all’interno di Uther, che riusciva ancora solamente appena a percepirla, come in distanza.

Mordecai aveva a sua volta alzato lo sguardo su Danny, leggermente sorpreso. Sorrise gentilmente un poco di rimando, mentre continuava ad armeggiare con mosse sicure e tranquille con i suoi oggetti estratti dalla sua borsa.

«Qualcuno mi ha detto che sarebbe stato molto meglio anticipare la mia visita prevista per domattina.» rispose semplicemente.

Danny aprì uno spiraglio in una palpebra e puntò lo sguardo su di lui, il viso serio e in qualche maniera con un’espressione imperscrutabile, come se stesse evitando persino di muovere qualsiasi muscolo facciale, anche se solo inconsciamente.

«La tua cliente.» disse, come se fosse una semplice constatazione.

Mordecai annuì semplicemente, mentre apriva una piccola boccetta contenente un liquido e premeva sull’apertura un fazzoletto di stoffa, prima di rovesciarla per imbeverne il tessuto.

«Ricordami di ringraziarla. O meglio, ringraziala da parte mia.» disse allora Danny, dopo un piccolo verso simile ad un accenno di risata tra l’ironicamente divertito e il semi-incredulo, ma sentitamente grato, mentre il suo sguardo seguiva quei movimenti precisi con improvvisa attenzione.

«Lo farò.» garantì Mordecai, annuendo con un conciso e sicuro cenno della testa, prima di avvicinarglisi sporgendosi un poco sul letto.

Lo sguardo di Danny si puntò con più decisione sul fazzoletto bagnato che l’uomo teneva tra le mani, e Uther sentì l’odore pungente che emanava da esso nello stesso istante in cui lo udì dire «Che cos’è?», il tono attento e, pur se calmo, non per questo meno quasi d’avvertimento.

Uther si sentì come se avesse appena mancato di fare qualcosa di estremamente importante: come ad esempio di rivolgere lui stesso a Mordecai quella domanda per accertarsi di che cosa esattamente stesse per fare a Danny, dal momento che quest’ultimo giaceva in quelle condizioni piuttosto inermi, mentre in teoria lui era in perfette condizioni di salute fisica proprio lì accanto.

Mordecai si fermò e, guardando dritto dritto nello sguardo di Danny, disse con calma serietà «Non è necessario che tu rimanga cosciente ora. Anzi… penso sinceramente che sarebbe meglio altrimenti, considerando che queste ferite devono starti tormentando col dolore che devono stare producendoti.»

Danny inclinò di nuovo appena le labbra, e il suo sguardo si fece in qualche modo più intenso, e allo stesso tempo più gentilmente e spietatamente serio e netto. «Ci sono abituato.» fu tutto ciò che disse inizialmente, e Uther sentì come se stesse iniziando a sprofondare, e ne fu quasi grato, perché era come se stesse passando fin troppo tempo da quando avrebbe dovuto iniziare ad aprirsi una sorta di voragine sotto ai suoi piedi, anche se non riusciva a ricollegare ancora esattamente questo ad un qualche motivo in particolare.

«A soffrire senza ragione immediatamente utile, intendi?» chiese Mordecai. C’era qualcosa di gentilmente provocatorio e quasi affezionatamente pungente nel suo tono, e nel delicato accenno di sorriso che gli stava rivolgendo.

Danny sorrise un poco di rimando, poi richiuse lentamente le palpebre. C’era qualcosa di simile ad un accenno di accondiscendente resa nel suo tono, anche se non sembrava l’equivalente di essere propriamente concorde, quando disse «Dev’essere una specie di abitudine di voi necromanti, quella di narcotizzare la gente…»

Mordecai accennò di nuovo un piccolo sorriso gentile, nel rispondere piano «Probabilmente.», prima di premergli con delicata fermezza il fazzoletto su naso e bocca. Quando lo ritrasse poco dopo, ogni residuo di espressione cosciente aveva lasciato il volto di Danny, e stavolta i suoi lineamenti sembravano veramente rilassati.

Mordecai si rialzò, osservandolo solo per un istante di più, come se si stesse semplicemente accertando pragmaticamente dell’ottenuto effetto. Dopodiché, mise da parte il fazzoletto e la bottiglietta, si sbottonò i polsi della camicia che indossava e si arrotolò le maniche lungo le braccia.

«Dovrai farmi da assistente, Uther.» comunicò all’altro, che di nuovo si concentrò sulle sue parole immediatamente e allo stesso tempo come se fosse stato altrove per qualche incalcolabilmente lungo momento. «Farò del mio meglio. Dovrebbe bastare, nonostante le mie conoscenze di medicina siano quanto mai limitate. Per quello che ho potuto vedere, tuttavia, per nostra fortuna questo tipo di ferite non dovrebbe richiedere più di quello che posso e so fare, né qualcosa di più specifico di ciò che ho con me. Le puliremo, disinfetteremo, ricuciremo e fasceremo. E provvederemo con alcuni preparati che ho con me che hanno proprietà di aiutare e velocizzare la cicatrizzazione, oltreché di scoraggiare eventuali acuirsi dell’infiammazione oltre il livello di utilità in quanto reazione naturale. Per quanto riguarda queste ultime, in realtà non so se possono essere in qualche modo utili nel caso di un mezzo lupo, considerando che sono state pensate per migliorare le capacità di recupero di esseri umani… comunque potrebbe essere tutt’al’più semplicemente un di più inutile, nel caso le capacità di un mezzo lupo le superino in portata.»

Alla fine Mordecai si voltò verso Uther, e lo studiò per un momento in più dello strettamente necessario che per vederlo annuire. Con enorme sollievo di Uther, tuttavia, qualsiasi cosa potesse aver pensato il necromante dopo quell’occhiata, la tenne per sé, e le successive parole riguardavano già istruzioni pratiche per aiutarlo a rattoppare alla meno peggio Danny.

Uther eseguì meccanicamente, la testa vuota di qualsiasi altro pensiero andasse oltre il semplice pratico ascoltare, capire ed eseguire le istruzioni di Mordecai.

Finché, dopo un lavoro in qualche modo estenuante, non tanto per la lunghezza o la difficoltà, quanto perché costrinse Uther ad una cernita esatta di ogni singola ferita che solcava il corpo di Danny – e si impedì di anche solo rischiare di tenere inconsciamente il conto –, si ritrovarono di nuovo a fissare il loro “paziente”, nel bel mezzo di un letto sfatto, sporco di sangue, cosparso di pezzi di bende tagliate, oggetti vari sparsi, macchie di quella sorta di crema fatta in casa con chissà cosa che secondo Mordecai era efficace per le ferite, ma al centro di tutto comunque un Danny con le ferite ripulite, rattoppato e bendato in ogni punto fosse stato necessario.

Uther si ritrovò a riprendere fiato suo malgrado. E sentendo che qualcosa di più simile a veri e propri pensieri stavano minacciando di farsi strada nella sua testa, realizzò che aveva assolutamente bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa che non fosse rimanere lì fermo come se non ci fosse più niente da fare.

«Credo di avere bisogno del tuo aiuto ancora, per un’altra cosa.» disse a Mordecai, lo sguardo ancora abbassato su Danny.

Mordecai lo guardò con solo un lieve accenno di sorpresa, e poi annuì gentilmente. «Se posso. Per che cosa?» rispose semplicemente.

Uther alzò lo sguardo su di lui. «La poltrona.»

Il necromante continuò a guardarlo, in un modo che gli risultò in buona parte imperscrutabile, ma decisamente analitico. Con suo enorme sollievo, si limitò ad annuire, dire che non c’era problema, e a seguirlo quando si riavviò verso le scale per scendere di nuovo in strada, riprendendo automaticamente passandovi accanto il fucile, come se ormai fosse un’abitudine consolidata portarselo sempre appresso quando metteva piede fuori da quell’appartamento.

 

***

 

Uther si appoggiò al muro alle sue spalle di schiena, prendendo fiato, lo sguardo che passava in rassegna solo superficialmente, e con intento puramente di constatazione, la poltrona decisamente ammaccata e danneggiata che avevano appoggiato sul pianerottolo tra le uniche due rampe di scale che dovevano salire, e Mordecai che ugualmente riprendeva un momento fiato in piedi dalla parte opposta di essa.

Si sentiva ancora in qualche singolare modo come estraniato, come se la consuetamente automatica e inconscia consapevolezza di essere lì dove era avesse qualcosa che decisamente non andava in quel momento. Aveva anche la sgradevole sensazione che, se anche si fosse preso un momento per pensarci meglio e studiare meglio la cosa, avrebbe scoperto di non sapere da che parte cominciare per cercare di ripararla.

All’improvviso, una voce dal fondo delle scale esclamò qualcosa, facendolo sussultare molto nervosamente, e portò automaticamente le mani al fucile che indossava a tracolla, prima di ritrovarsi a riconoscere quella voce e chi li stava guardando con un che di semi-incredulo e vagamente stupito, oltre che con un principio di divertimento.

«Heylà! Uther…?» chiamò Ramo, rimanendo qualche istante a fissare loro due e la poltrona sul pianerottolo, come se non fosse sicuro dove stava lo scherzo ma non vedesse l’ora di capirlo, prima di salire i gradini a due a due per raggiungerli.

Uther lo guardò come se avesse rinunciato da parecchio a capire come qualsiasi cosa in assoluto che succedeva potesse semplicemente essere possibile o avere un qualche senso o spiegazione potenziale.

«Che succede? State traslocando?» domandò Ramo, ancora con quel sorrisetto divertito, guardandolo, e poi lanciando qualche occhiata implicitamente incuriosita e vagamente interrogativa verso Mordecai.

«Humm… lui è Mordecai.» decise infine di iniziare a dire Uther, semplicemente perché sembrava una specie di indizio mandatogli dalla realtà, e che lui avrebbe fatto meglio a cogliere e basta. «Un amico di Kumals.» aggiunse.

Ramo salutò con un cenno della testa, sporgendo una mano verso il necromante, che gliela strinse ricambiando il gesto e disse guardandolo «E lei è per caso Ramo?»

Ramo si stupì un momento, alzando un poco un sopracciglio. «Sì… sono io…»

«Oh, Kumals mi ha parlato qualche volta dei suoi validi colleghi.» spiegò Mordecai, come se avesse colto la sua leggera perplessità.

«Davvero?» sembrò ancora più sorpreso Ramo. «Cioè… ha davvero usato la parola ‘validi’?» specificò, lanciando uno sguardo complicemente ironico di sbieco a Uther, il quale non trovò di meglio che tentare a malapena di ricambiare con un assai stentoreo accenno di sorriso forzato.

Ramo gli dedicò uno sguardo appena un po’ più lungo, come se stesse iniziando ad avere la sensazione che ci fosse qualcosa di fuori posto.

«Per la verità…» intervenne di nuovo Mordecai, riattirando di nuovo su di lui lo sguardo di Ramo «Credo di poter dire in tutta coscienza che il suo arrivo proprio in questo momento potrebbe rivelarsi quanto mai appropriato. Kumals mi ha accennato, se non sbaglio, che lei è un veterinario…?»

Ramo gli dedicò di nuovo un’espressione piuttosto perplessa. «Sì… è così…» rispose «Ma…». E si interruppe. Qualcosa sembrò scattare andando a cadere infine nel posto giusto all’interno della sua testa. Si voltò subito verso Uther, che d’altra parte aveva ancora lo sguardo abbassato verso terra e sembrava stare cercando totalmente senza successo di trovare il modo di rispondere come se solo le sue scarpe o il pavimento del pianerottolo avessero potuto eventualmente dargli qualche suggerimento.

Ramo tirò fuori da chissà dove un tentativo di accenno di sorriso nervoso, e domandò con tono non meno forzatamente leggero «E Danny dove si è andato a cacciare?»

Fu allora che vide l’espressione di Uther adombrarsi profondamente e la sua mascella stringersi, e immediatamente una sgradevolissima e temibile sensazione gli si innestò dentro, come dal giorno alla notte. Voltò lo sguardo verso Mordecai, e poi di nuovo su Uther, di nuovo senza ottenerne nulla.

L’istante dopo, Ramo stava in rapida successione alzando lo sguardo verso l’alto, verso la porta aperta dell’appartamento, e stava correndo lungo la scala prendendo due o tre gradini alla volta ad ampi balzi. In pochissimi battiti di palpebre era sparito oltre la soglia all’interno dell’appartamento.

Mordecai si voltò di nuovo verso Uther, ancora con lo sguardo basso, un’espressione assai iscurita e la mascella stretta; sospirò appena e osservò con calma «Se non altro, ritengo che ora che è arrivato un veterinario, ovverosia un medico vero e proprio, ci sia da stare più tranquilli.»

Non ottenne alcun tipo di reazione da parte dell’altro, come se non l’avesse affatto udito.

«Immagino che Kumals abbia opportunatamente pensato… specialmente dopo che l’ho chiamato ieri sera per un breve ragguaglio della faccenda, dal mio personalissimo punto di vista d’essa per quello che mi è dato di saperne fino ad ora… che fosse il caso di consigliare al vostro collega di venire qui per dare il maggior supporto possibile.» osservò ancora il necromante, sempre in tono molto calmo.

Anche stavolta non ottenne assolutamente il più pallido accenno di reazione.

Allora si limitò ad aspettare per qualche momento con pazienza, finché Uther non rialzò infine lo sguardo su di lui.

«Che ne dici? Finiamo di riportare questa poltrona al suo posto prima che Kumals se ne accorga?» propose, con calmo accenno di stare offrendo semplicemente un consiglio potenzialmente utile e pratico.

Uther lo fissò con sorpresa. «Come fai a sapere che questa poltrona è di Kumals?» domandò.

Mordecai accennò un lieve sorriso, come se fosse contento di essere riuscito a rianimare quel tanto Uther da fargli perlomeno formulare una domanda esprimente almeno un poco di sincera curiosità. «Se non ricordo male, in un paio di occasioni in cui sono stato qui, anni fa, Kumals amava sedervicisi sopra per assumere qualcosa di simile ad una posa da momento di raccoglimento e riflessione… oltre che per fare da essa i suoi discorsi a suo giudizio più importanti.»

Uther accennò qualcosa di simile ad un verso sarcastico. «Ricordi bene…» commentò semplicemente, staccandosi dal muro.

Mordecai si limitò ad annuire con calma, prima di guardare l’altro giusto per sincronizzare i movimenti, quel tanto da permettere loro di tornare a sollevare la pesante poltrona per poter affrontare l’ultima rampa di scale fino all’appartamento.

Uther cercò di non soffermarsi nemmeno per un istante di più ad analizzare esattamente quanto la gratitudine che ormai provava intensamente per la presenza del necromante dovesse pur avere un’altra faccia della medaglia: quella nella quale era chiaramente inciso che lui gli doveva star facendo pietà, e non riusciva nemmeno a immaginare un solo striminzito argomento a favore di un perché chiunque sarebbe stato completamente in errore nel provare semplicemente pietà per lui in quel momento. Ancora più precisamente, per quanto odiasse intrinsecamente chiunque provasse pietà per lui, allo stesso tempo aveva la discreta sensazione che probabilmente se l’era meritata: tutta, e dall’inizio alla fine.

 

***

 

La strada di Tairans sembrava quasi esattamente la solita, uguale a se stessa in qualche modo che Uther trovava implicitamente terribilmente odioso. Così come le persone che si muovevano attraverso di essa come se esattamente nulla potesse essere successo.

Appollaiato sul davanzale della finestra, la schiena appoggiata al lato della cornice, un piede che penzolava verso l’esterno e il fucile appoggiato al petto, mentre le due pistole di Danny, sul quale evitava cocciutamente di posare lo sguardo, giacevano sul davanzale accanto a lui e a portata in caso di necessità, Uther era sicuro di poter perfettamente vedere che stavano completamente fingendo: la strada, le persone, la luminosità calda della giornata estiva con la sua casualità ingannevolmente qualunque, tutto quanto in generale.

Ed era una finzione ben oltre quella che normalmente potevano assumere contesti del genere. Ben oltre il fingere che vada tutto bene nonostante una pericolante pira di problemi, costituita da un misto che va dai problemi individuali e personali fino a quelli del mondo in generale. Era una finzione applicata con impietosa compattezza da tappeto che viene calato sulla sporcizia che è appena stata raccolta proprio in quel punto. Dopotutto, il sole illuminava e le persone camminavano proprio lungo e sopra quei metri quadrati che dovevano ancora essere macchiati di sangue, e in cui l’artigliare delle unghie di lupo negli scatti di battaglia doveva aver sollevato qualche frammento di cemento.

Per un momento la strada tornò buia e deserta e silenziosa come in piena notte, agli occhi di Uther. Per un momento rivide al centro di essa il branco di mezzi lupi che avrebbero potuto da un momento all’altro scattare in massa dilaniante su Danny, fermo da solo dalla parte opposta, solidamente davanti alla porta del condominio come se avesse in sé in quell’istante una certezza di inamovibilità come potrebbe averla una montagna; e poi i movimenti saettanti e terribilmente contenenti tutta la natura della potenzialità dell’istinto di ferire e uccidere di due mezzi lupi in forma di lupo che si affrontavano. Per un momento sentì un tremito attraversargli le braccia tra cui teneva il fucile, una insinuante scossa involontaria simile ad un brivido profondo che terminò sulla punta delle dita, come se stesse ancora imbracciando un’arma carica puntata su un mezzo lupo che stava per aggredire Danny con la palese intenzione di ucciderlo; come se si fosse ancora trovato nel bel mezzo di dover decidere se sparare o meno: se evitare del tutto il rischio pur sapendo di sbagliare a colpire per primo o in generale a immischiarsi in una resa dei conti che non lo riguardava in fondo se non tutt’al’più marginalmente, oppure fare la cosa giusta e aspettare che ci fosse effettiva necessità di sparare, anche se per allora eventualmente ormai sarebbe stato oltre una soglia che non avrebbe mai più potuto solcare in senso opposto, quella di un senso di colpa che l’avrebbe accompagnato per il resto della sua vita.

Chiuse gli occhi stanchi. Per un momento sentì come se avesse un nuovo significato quanto il suo equilibrio su quel davanzale fosse potenzialmente assai precario, quanto sarebbe bastato sbilanciarsi un attimo e un poco nella direzione giusta per cadere semplicemente giù verso la strada, senza nemmeno bisogno di riaprire gli occhi per vedere l’asfalto venirgli incontro a velocità troppo rapida per registrarla; per un momento si deliziò dell’idea che almeno, se qualcuno fosse finito spiaccicato dritto dritto in mezzo alla strada in pieno giorno, almeno quella strada e quelle persone non avrebbero più potuto fare così nauseantemente finta di nulla come se veramente non fosse successo nulla.

Poi, lontanamente sentì come un leggero solletichio ai margini della coscienza, come una sorta di accenno di intuizione, o più che altro sensazione.

Uther riaprì lentamente gli occhi, guardando giù lungo la strada. Per qualche motivo il suo sguardo finì per posarsi, tra tutte le persone che stavano camminando, entrando e uscendo da case e negozi o fermandosi a parlare lungo la strada, su una sagoma in particolare. Una figura che camminava niente più e nientemeno come avrebbe potuto fare una qualsiasi altra persona che stesse passando per quella strada con placida tranquillità, come se fosse solo un’altra sua giornata normale, ed essa stessa – la giornata – fosse soltanto di passaggio dopotutto.

Il suo sguardo la riconobbe tuttavia, mano a mano che si avvicinava senza fretta. Anche se non sarebbe riuscito a dire da che momento in poi del suo osservare quella figura in particolare – sulla quale il suo sguardo era stato attirato inizialmente come da una sensazione, poi probabilmente da un automatico riconoscimento quanto mai familiare –  l’aveva effettivamente riconosciuta razionalmente, o quanto piuttosto continuasse ad aspettarsi inconsciamente che non potesse trattarsi che proprio di lui.

Doveva essere la stanchezza, ma mentre la figura ormai stava camminando quasi sotto la finestra sulla quale lui giaceva appollaiato continuando a fissarla, Uther ebbe per un momento la sensazione che avrebbe saputo che si trattava proprio di lui anche se fosse stato in quel momento cieco: perché era come se fosse proprio quello il momento giusto in cui avrebbe dovuto apparirgli proprio lui. O almeno il momento giusto per Uther.

La figura che gli era ben familiare si fermò di netto, seppure sempre con una certa calma, proprio sotto la finestra da cui la stava guardando. E dopo qualche istante alzò la testa e guardò in su, posando lo sguardo proprio su di lui.

Uther lo vide fissarlo a lungo, con espressione attenta, analitica e imperscrutabile. Un’espressione ed uno sguardo che conosceva bene e ai quali era assai abituato. E capì allora il perché di quella sensazione che fosse proprio il momento giusto per lui per il suo arrivo. Perché doveva essere arrivato il momento, infine, in cui tutto gli stava tornando indietro. Tutto quello che era successo in quei giorni. O almeno, lo sguardo con cui lui lo fissava sembrava promettergli proprio quello.

Uther sentì e vide giusto con la coda dell’occhio, perché non provò nemmeno a staccare lo sguardo da quello che lo stava fissando dal basso verso l’alto, Ramo affacciarsi alla finestra accanto a lui, e poi sporgersi appena all’infuori. Ora che ci pensava, gli sembrava di aver distrattamente sentito che gli chiedeva da dentro la stanza che cosa ci fosse, probabilmente avendo notato il modo in cui stava fissando attentamente e continuamente qualcosa di fermo giù in strada.

«Ah!» fu tutto ciò che constatò Ramo con un’esclamazione non sorpresa, ma comunque piuttosto emozionata, riconoscendo anche lui indubbiamente la figura ferma sotto la finestra.

Per qualche altro breve istante rimasero tutti e tre a fissarsi così, due da sopra dalla finestra, e l’altro con la testa per aria fermo in strada. In qualche modo, non c’era nemmeno bisogno di sottolineare la potenziale bizzarria della scena che avrebbero potuto offrire a vederli dall’esterno; e in qualche modo per loro non era affatto bizzarro né soprattutto affatto superfluo o insignificante.

Dopodiché, la figura in strada si schiarì la voce, spezzando di netto quel momento di reciproca contemplazione in qualche modo sospesa.

«Beh? Avete intenzione di stare ancora a lungo a fissarmi a quel modo, o pensate che potreste prossimamente aprirmi la porta del mio stesso appartamento?» esordì alla fine affabilmente Kumals.

 

 

Soundtrack: Novocaine for the soul (the Eels)

 

Note per la comprensione e credits:

* IT’S ALL COMING BACK TO ME NOW – è il titolo di una canzone, scusate ma per stavolta lascio a voi andarne a cercare autori/trici perché ho dato una veloce occhiata on-line e non ho capito qual è l’originale; inoltre, non ne ho una versione favorita perché… a tutti gli effetti la canzone non mi piace. Mi piace giusto il titolo, o meglio, il significato d’esso. E ovviamente l’ho ritenuto in qualche modo appropriato per questo capitolo, altrimenti non l’avrei messo ;p

 

Note dello scribacchiatore: Al momento non ho trovato spazio-tempo e concentrazione-ispirazione per correggere questo capitolo meglio di così, scusate se certe parti risultano piuttosto pesantine alla lettura… Spero siano comunque comprensibili! Mi riservo di ridarci un’altra occhiata-sistemata prima che riesco, ma per ora mi sembra basilarmente leggibile e vado avanti con la messa on-line.

Succedono parecchie cose nonostante il carattere parecchio introspettivo, eh? E poi… ebbene sì, gente, tremate-tremate… e alla fine arriva Kumals! E questo significa che potete iniziare a prepararvi al peggio ;p

 

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Capitolo 48
*** 47 - Trust me, I'm a doctor ***


Capitolo 47

(Trust me, I’m a doctor)

 

Ramo non era decisamente il tipo da entrare in una stanza, vedere un amico privo di conoscenza e bendato alla meno peggio giacere su un letto sporco di sangue, e farsi prendere anche solo dalla più pallida ombra di momento di panico e immobilità.

Doveva essere perché dopotutto era quello che faceva per la maggior parte della sua vita, trovarsi di fronte a creature ridotte in condizioni a volte assai drammatiche, e non potersi concedere nemmeno il tempo di esitare, tantomeno quello di lasciarsi pericolosamente prendere troppo da qualsiasi tipo di emozione. O forse semplicemente perché, soprattutto in una certa parte della sua vita, era stato abituato anche a soccorrere e rappezzare varie ammaccature – fino a ferite più serie e profonde – dei suoi amici alla fine di qualche caso dei ‘4 di picche’ che aveva richiesto parecchio azzardo anche fisico.

D’altro canto, la maggior parte delle volte il tipo di ferite più gravi finivano in qualche modo per concentrarsi soprattutto proprio su Danny. E Ramo avrebbe voluto poter pensare che fosse solo una questione di probabilità del tipo che, quando i ‘4 di picche’ esistevano ancora, il numero di casi che affrontavano era più ampio, e quindi per forza di cose abbastanza vario da non andare a parare così spesso su qualcosa che portasse Danny ad essere ridotto così, mentre ora che si ritrovavano eventualmente coinvolti in qualcosa dopo lo scioglimento dei ‘4 di picche’, per forza doveva essere qualcosa di piuttosto notevole e grave, e che quindi era molto più probabile che portasse esattamente a quella conclusione. Ma lui sapeva che non era esattamente quello il motivo del perché si trattasse sempre di Danny, quando si trattava delle peggiori ferite.

Quando Mordecai entrò nella stanza, trovò Ramo già attivamente impegnato e concentrato nel controllare attentamente ogni singola ferita sul corpo di Danny, per quanto gli era possibile attraverso il bendaggio.

Ramo alzò dopo un poco lo sguardo su di lui, e iniziò a rivolgergli domande perfettamente utili e pratiche, come se non gli stesse più nemmeno passando per l’anticamera del cervello qualcosa a proposito dell’iniziale possibile imbarazzo di rivolgersi tanto direttamente a qualcuno che si è appena incontrato.

«Nessuna lesione di organi interni?»

Mordecai iniziò a rispondere ad ogni domanda con precisione netta e breve, calmo, togliendosi gli occhiali e iniziando a ripulirne sommariamente le lenti con un fazzoletto estrattosi da una tasca, col quale si tamponò anche un poco dal viso il sudore derivante dall’aver appena trascinato su per le scale una poltrona decisamente ingombrante e di ragguardevole peso.

«Da quanto ha perso i sensi?» domandò ad un certo punto Ramo, sempre con tono attento e in qualche modo professionale, che tradiva solo appena un coinvolgimento anche emotivo, mentre controllava la reazione pupillare tenendo aperto con le dita uno degli occhi di Danny e puntandovi la luce di un’apposita pila che impugnava, facente parte del bagaglio di pronto soccorso minimo ed essenziale che portava praticamente sempre con sé.

Mordecai continuò a riportare esattamente che cosa aveva fatto di sua iniziativa per cercare di almeno tamponare provvisoriamente il peggio delle condizioni di Danny, e disse «Non ha perso conoscenza spontaneamente. Ho pensato che fosse meglio porre fine alle sue sofferenze.»

Ramo si immobilizzò, e alzò direttamente su di lui uno sguardo fisso e in buona parte attonito. «Come?» domandò, con una voce un po’ più acuta del solito, incredulo e quasi senza fiato.

Mordecai sembrò realizzare meglio qualcosa, e si corresse in fretta «Intendevo che gli ho fatto inalare un mio preparato per fargli perdere i sensi, in modo da non fargli più provare il dolore delle ferite, soprattutto mentre gliele medicavamo.». Dopo un breve momento, aggiunse con sincerità «Mi scuso per l’infelice scelta delle parole. Dev’essere stato un lapsus professionale.»

Ramo continuò a guardarlo per un momento, aggrottando un poco la fronte. «Qual è esattamente la sua… professione?». C’era un che di leggermente sospettoso ed esitante nel suo tono, come se in fondo pensasse che non era del tutto sicuro di volerlo sapere.

«Direi sia riassumibile con il termine popolarmente diffuso di ‘necromante’.» rispose cortesemente Mordecai.

L’altro continuò a fissarlo senza sbattere le palpebre per qualche istante. Poi sembrò sforzarsi di riprendersi e mormorò solo «Giusto…». Quindi, con un ulteriore sforzo, sembrò riuscire a riscuotersi con più decisione e ricominciò a chiedergli cose perfettamente attinenti al curare Danny, alle quali Mordecai riprese a rispondere senza battere ciglio e sempre con puntuale precisione.

Fu in quel momento che Ramo iniziò a chiedersi dove fosse finito Uther, e solo allora realizzò parallelamente che non era nella stanza. Ma la sua implicita domanda, che tenne accuratamente per sé e relegata in un sottofondo di cui era appena solo consapevole mentre si concentrava sulle più pratiche necessità riguardanti le condizioni di Danny, aveva piuttosto una forma del tipo: dove diavolo si è andato a cacciare Uther quando sto cercando di capire perché sono qui a parlare di come aiutare Danny a non dissanguarsi insieme a questo tizio che sostiene di essere un necromante?

Ramo iniziò infine a studiare con attenzione il diverso grado di sangue intravedibile attraverso ogni singolo diverso punto fasciato lungo il corpo di Danny, valutando ad occhio in base a quanto aveva intriso il bendaggio quanto potesse ancora essere aperta e profonda ogni ferita, e quanto ancora attiva e abbondante l’emorragia che la riguardava. Nella sua testa si formò automaticamente una scala di gravità, e iniziò ben presto a svolgere il bendaggio di quella che aveva vinto la competizione in qualità di più preoccupante a vedersi, per esaminarla meglio.

Mordecai lo stava già aiutando come se fosse abituato a fare da assistente ad un medico, e Ramo non aveva idea se non gliel’avesse semplicemente chiesto ad un certo punto lui stesso, automaticamente e quindi senza rendersene troppo conto. Apprezzò immediatamente e senza altre complicazioni l’aiuto. Mordecai gli stava anche spiegando puntualmente che aveva cercato di ricucire le ferite più ampie, ma non aveva esattamente l’occorrente, e non aveva mai ricevuto una vera e propria istruzione né si era mai applicato nel vero senso della parola alla sutura.

Ramo si ritrovò a considerare tra le dita di una mano quella che sembrava una sostanza semidensa e cremosa, di una sfumatura tra il giallo e il grigio e il bruno, riflettendo rapidamente e riconoscendo che non aveva affatto l’aspetto di nessun fluido corporeo che avesse mai visto prima. E comprendendo con questo anche le precedenti volte in cui aveva prestato soccorso a Danny: il che escludeva automaticamente che potesse trattarsi eventualmente di qualche strana sostanza facente parte della normale fisiologia di un mezzo lupo.

«E questa… che roba è?» domandò con la fronte aggrottata, fissandola come se sospettasse, con un certo allarme tra il perplesso e l’innervosito, che potesse trattarsi di una specie di residuo di ectoplasma.

Mordecai gli spiegò prontamente, puntualmente e con calma precisione che si trattava di una crema che lui stesso preparava, e che aveva delle proprietà curativi utili in caso di lesioni della cute anche profonde. Ramo si ritrovò a guardarlo, senza nemmeno pensare di provare a chiedergli esattamente con quali ingredienti fosse fatta, in buona parte perché non era sicuro di volerlo sapere, e soprattutto astenendosi completamente da ogni sorta di commento a proposito dell’eventuale opportunità di lasciare perdere le cure naturali quando si trattava di ferite e lesioni di una notevole gravità alle quali la classica, banale e anche solo basilare medicina occidentale moderna avrebbe potuto provvedere in modo indubbiamente efficace. Aveva avuto nella sua esperienza già abbastanza discussioni di quel tipo con Yuta, e occasionalmente con Zoal, da sapere che era molto meglio limitarsi a lasciare cadere l’argomento ancora prima di aprirlo. D’altro canto, Mordecai si comportò esattamente come avrebbe fatto Yuta – o anche Zoal – in un frangente del genere, come era successo in precedenza e specialmente quando era Danny a giacere su qualche superficie di fortuna assunta per necessità a sostituta di un tavolo sterile di un ambulatorio medico: ovvero si limitò a continuare a fargli da assistenze senza commentare né tantomeno protestare per il ricorrere di Ramo al banale ripulire e disinfettare la ferita con sostanze della chirurgia medica classica occidentale, per poi suturarla con ago e filo appositi.

Mentre con l’assistenza di Mordecai controllava e suturava una per una tutte le singole ferite di Danny, Ramo iniziò a giungere ad alcune iniziali e personalissime intuizioni e conclusioni, che purtroppo sospettava intensamente potessero essere perlomeno molto vicine al vero.

La prima era che, qualsiasi cosa fosse successo a Danny, aveva tutto l’aspetto di essere stato un attacco condotto con una spietatezza furiosa e selvaggia, e con una precisa intenzione di cercare di ucciderlo tout-court.

La seconda era che Uther non si vedeva ancora. Logicamente Ramo sapeva che doveva semplicemente essere rimasto da qualche parte in qualche altra stanza nell’appartamento. E inizialmente questa assenza era solo un costante fastidio di sottofondo, come un sassolino nella scarpa: perché lo stava lasciando da solo con un Danny ridotto in quello stato e con quel tizio appena incontrato che sembrava essere convinto di essere un necromante, e che d’altra parte stava facendo un ottimo e puntuale lavoro di assistenza, e col quale aveva dovuto attentamente evitare di fare un qualsiasi commento a proposito della sua idea di usare creme di preparazione casalinga con prodotti di origine naturale su un tal genere di ferite?

Ma mano a mano che Uther continuava a non arrivare e che anche le ultime ferite di Danny stavano venendo decentemente sistemate, Ramo iniziò a comprendere che quell’assenza stava cominciando a disturbarlo per un motivo completamente diverso e anche peggiore. Aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di completamente fuori posto rispetto al solito.

Perché di solito, quando Danny giaceva in qualcheduna di quelle sue condizioni piuttosto masticate e risputate, Uther era uno di quelli che, se presente e purché non fosse stato anche lui masticato e risputato piuttosto malamente, era lì a guardarlo risistemare Danny il meglio possibile ingombrando l’aria della stanza con la parte che gli spettava della collettiva ansia e preoccupazione dolente per le condizioni di Danny. Dunque, dov’era Uther che si preoccupava per Danny standogli lì attorno, appena oltre lo spazio calpestabile oltre il quale gli sarebbe stato fisicamente d’intralcio e lo avrebbe portato a dirgli senza complimenti di fargli spazio o semplicemente a spingerlo gentilmente ma fermamente più in là con una leggera spallata, e in generale a mettergli implicitamente e semi-inconsciamente pressione col suo osservare ogni singolo gesto che faceva per rattoppare Danny?

E infine Ramo si ritrovò a prendere fiato e asciugarsi col dorso della mano il sudore dalla fronte, contemplando Danny distrattamente, perché buona parte della sua concentrazione in quel momento doveva per forza restare impietosamente focalizzata sul vederlo come un corpo con la sua fisiologia e le sue condizioni clinico-operatorie, piuttosto che come suo amico, mentre automaticamente controllava in rapida ed efficienza sequenza ognuno dei punti importanti per assicurarsi non più che rimanesse semplicemente vivo, ma anche che passasse senza conseguenze o effetti collaterali potenzialmente nocivi attraverso le future ore della sua convalescenza. Naturalmente la convalescenza di un mezzo lupo ferito anche gravemente presentava pochi ma solidamente diversi aspetti rispetto a quella di un essere umano; e naturalmente Ramo, dopo le varie volte che aveva eventualmente dovuto assistere ad un Danny conciato in qualche condizione non esattamente salutare, ormai li conosceva bene uno per uno quegli aspetti di decisiva differenza.

«Okay…» si concesse di dire infine, tirando un sospiro di stanchezza. Non aggiunse altro. Non era di molte parole a volte. Mordecai, fermo di fianco a lui, sembrò non trovarla una mancanza, e capire perfettamente che il senso era così ampio e indefinibile che sarebbe potuto risultare tranquillamente quasi impossibile tentare di renderlo a parole, nonché tutto sommato superfluo.

Ramo annuì a se stesso e trovò nella borsa che aveva portato con sé una scatola contenente alcune pastiglie. Ne scelse una dose adatta, andò in cucina e la frammentò con un bicchiere, le sciolse in un po’ d’acqua, e con una siringa a cui tolse l’ago la somministrò con attenzione a Danny, dopo averlo scosso un poco delicatamente ma fermamente per una spalla, quel tanto sufficiente da farlo riemergere solo in parte dal suo stato di incoscienza per permettergli di deglutire.

Era antidolorifico, e per un momento ebbe il lontano e recondito timore che Mordecai avrebbe potuto dire qualcosa in protesta rispetto a quello, ma non accadde. Invece, mentre Ramo lentamente si concedeva, ora che aveva fatto tutto il possibile per quanto poteva come medico, di guardare Danny giacere lì solamente e pienamente come amico, il necromante annunciò con calma che avrebbe fatto del tè, e dopo aver ripulito sommariamente il tutto dalla spazzatura risultante dalle operazioni di cura, sparì dalla stanza andando generalmente in direzione della cucina, per quello che poté registrare distrattamente Ramo con la coda dell’occhio.

Per qualche lungo minuto Ramo si limitò semplicemente allora a rimanere a guardare Danny. Chiedendogli nella sua testa che diavolo gli fosse successo e che diavolo avesse combinato stavolta. Chiedendosi implicitamente perché a volte le cose dovevano finire sempre con quella sorta di ripetizione odiosa di Danny riverso da qualche parte, e con quel brevissimo ma infinito momento che intercorreva tra il suo vederlo così e il sentire l’infinitamente rassicurante presenza dei suoi segni vitali controllandolo, che gli si incideva dentro come se fosse semplicemente un’altra tacca nella sua personale serie di istanti di incommensurabile terrore totale. Chiedendosi alla fine perché diavolo doveva persino ritrovarsi per qualche momento a fare i conti con il senso di colpa per essersene andato per un paio di giorni invece di rimanere lì a cercare di evitare che andasse a finire così per Danny; prima di dover ammettere che lasciare andare da sola Valentine in un viaggio on-the-road con una mezza lupa appena conosciuta, e appena fuggita da una banda di mezzi lupi impazziti che potevano eventualmente tentare di inseguirla e raggiungerla e fare del loro peggio, non sarebbe mai potuta essere in nessun caso un’opzione migliore.

E infine chiedendosi di nuovo dove fosse Uther. Anche se lo aveva intravisto, seduto sul davanzale della finestra del salotto, con il fucile tra le braccia. Se non altro, quella era una spiegazione minimamente necessaria e ragionevole del dove diavolo fosse finito: doveva essere costretto a rimanere a sorvegliare la strada, per tenere sott’occhio i mezzi lupi che dovevano stare facendo da sentinelle dall’esterno. Ramo non ne aveva visto traccia, prima di entrare nel condominio poco prima; ma d’altra parte, stando a quanto gli aveva accennato Danny e a quanto lui stesso aveva già visto e potuto capire, era comprensibile che potesse non essersi accorto di loro: dopotutto, se erano in forma umana poteva non averli notati, o meglio non averli riconosciuti come mezzi lupi, anche se di solito gli sembrava di aver dimostrato in più occasioni di avere un istinto decente riguardo a qualcuno che li spiasse o seguisse o sorvegliasse.

Ramo si sentì crollare le spalle per la stanchezza, e si decise ad andare nel salotto dell’appartamento, dove si lasciò crollare sul divano stancamente, con un lungo sospiro e un leggero verso di fatica. Chiuse gli occhi per un momento, lasciandosi invadere dall’esaustione. Perché non era stata nel complesso una passeggiata, guidare andata e ritorno tra lì e la casa di Yuta e Zoal, con solo una relativamente breve pausa nell’intermezzo in cui aveva dovuto avere a che fare con una Yuta decisamente fuori di sé – e potenzialmente disposta a prendersela con chiunque le fosse a portata perché stava iniziando seriamente a spazientirsi nel non capire esattamente cosa stesse succedendo, e soprattutto nell’avere la sensazione che Kumals, Danny e Uther stessero evitando di spiegarglielo meglio – per poi ritrovarsi a dover rappezzare Danny. Certo, non una delle più assurde o estenuanti sfide da sostenere per ore di fila attraverso un avvicendarsi di eventi improbabili e potenzialmente pericolosi alle quali gli era capitato di partecipare durante qualche caso dei ‘4 di picche’. Ma forse era che, da quando il gruppo non esisteva più – almeno “ufficialmente” – lui aveva semplicemente perso il ritmo e l’allenamento. Il che non gli piaceva particolarmente, come conclusione.

Il suo cervello tornò automaticamente e senza permesso a ripassare di nuovo esattamente tutte le operazioni di cura che aveva fatto su Danny stavolta, dalla prima all’ultima, ricontrollando per sicurezza. Niente sembrava fuori posto. Anzi, stavolta non sembrava nemmeno lontanamente fuori posto neanche l’antidolorifico che gli aveva somministrato.

C’era stato un travagliato percorso riguardo al somministrare anti-dolorifici a Danny. Aveva avuto a che fare con il suo iniziare a capire che cosa fosse un mezzo lupo, in particolare dal punto di vista medico.

All’inizio naturalmente era stata una scoperta a suo modo assai affascinante: qualcuno che vivesse allo stesso tempo come coi piedi in due staffe, a cavallo di due nature profondamente diverse come quella di un essere umano e quella di un lupo; e soprattutto che per Danny quello fosse naturale come in effetti era, essendo la sua natura. Poi, però, aveva iniziato a doverlo occasionalmente medicare dopo qualche scontro non proprio felice con qualcosa o qualcuno durante i loro casi più potenzialmente pericolosi. Ed era stato allora che, mano a mano, aveva iniziato a realizzare quell’altro aspetto, capace di evocare naturalmente in lui una nuova meraviglia: a quanto pareva, le capacità di ricovero spontaneo e naturale e fisiologico da parte dell’organismo di un mezzo lupo erano di gran lunga più rapide ed efficaci di quelle di un essere umano, e anche di quelle di un lupo, così come lo era la sua rapidità nei movimenti e nella prontezza di riflessi.

Infine, aveva suo malgrado iniziato a rendersi conto di qualcos’altro. All’inizio non aveva capito di che si trattasse; aveva l’aspetto di una realizzazione inconscia che inizia a farsi strada scavando in profondità, dando notevole fastidio e disagio, ma rifiutando di lasciarsi afferrare e portare alla luce di una piena realizzazione cosciente. Ma alla fine aveva capito.

Era qualcosa di perfettamente consequenziale alle maggiori capacità di resistenza e ricovero di Danny. E forse non poteva che essere così dopotutto, che fosse proprio lui a doverla realizzare più nettamente e spietatamente alla fine; perché era lui quello che lo soccorreva e si assicurava meticolosamente che le funzioni vitali fossero presenti, quello che stilava una sommatoria valutazione delle sue condizioni e di quali fossero gli aspetti più gravi d’esse, quello che tamponava e disinfettava e ricuciva le ferite, quello che vedeva quanto erano profonde e quanto avessero lacerato le carni.

Ma il corpo di Danny, il corpo di un mezzo lupo, sembrava necessitare sempre di molto di più di quanto gli era successo per poter arrivare vicino alla fine; ma Danny non urlava quasi mai di dolore, quasi mai si contorceva come posseduto scosso da quel tipo di dolore fisico così intenso da dare praticamente alla testa; ma a Danny occorreva davvero tanto per perdere i sensi, e a volte davvero poco come se fosse una sorta di alternativa allo shock che normalmente avrebbe colpito il corpo di qualsiasi umano o lupo.

Ed era così che Ramo aveva dovuto impattare contro quella diretta conseguenza di quella maggiore capacità da mezzo lupo: perché lui, vedendo quelle ferite con tanta precisione, poteva immaginare esattamente quanto dannato dolore folle potessero provocare in chi le aveva subite, e comprendere appieno infine che maggiori capacità di resistenza significavano implacabilmente poter sopportare una quota di dolore notevolmente maggiore.

C’era un solo punto a riguardo del quale Danny non apprezzava completamente e senza riserve il soccorso medico di Ramo, ed erano gli anti-dolorifici. Ramo se ne era accorto fin dalla prima volta che gliene aveva offerti e lo aveva visto arricciare appena il naso, istintivamente e inconsciamente, fissando le pasticche che gli stava porgendo con uno sguardo assai privo di entusiasmo, anche se ormai a quel punto sapeva che stava reagendo più all’odore di esse che non al loro innocuo aspetto perfettamente normale per delle compresse. All’inizio Ramo ne aveva semplicemente preso nota, rispettando automaticamente quello come una particolarità individuale dell’amico.

Ma una volta di quelle in cui Danny era ridotto in condizioni davvero abbastanza impressionanti, quando gli aveva porto gli antidolorifici dopo che aveva dovuto rappezzarlo e di conseguenza essere stato costretto ad avere una completa e particolareggiata panoramica della profondità di ogni singola ferita che aveva riportato, e Danny aveva rifiutato, Ramo aveva risposto semplicemente «Prendili.», con però una tale violenta e irremovibile fermezza nel tono, che per lunghi secondi non solo Danny ma anche tutti gli altri ‘4 di picche’ lo avevano fissato in totale silenzio, evidentemente sorpresi e scossi da quel tono che non gli avevano mai sentito usare. Danny aveva a quel punto preso le pasticche e le aveva ingoiate senza più proferire verbo, né tantomeno rivolgergli qualcosa di diverso da quello che gli era vividamente sembrato come uno sguardo di acuta comprensione.

In seguito, Ramo si era impegnato maggiormente per venire a patti con se stesso: col fatto che, per quanto a lui in quanto umano quelle condizioni in cui poteva vedere ridotto Danny fossero praticamente insostenibili nel’anche solo immaginare il dolore che dovevano provocare, d’altro canto in quanto mezzo lupo l’altro doveva avere per natura un qualche modo implicitamente funzionale di riuscire a sopportare molto meglio il dolore di quanto potesse riuscirvi un essere umano. Ma nonostante questo, e nonostante il fatto che in quanto veterinario Ramo avesse già dovuto fare i conti con qualcosa di simile, ovvero la diversità della capacità di sopportazione del dolore di animali non umani, comunque non aveva smesso di provare quella sorta di orrore di sottofondo quando vi ci si trovava suo malgrado davanti. Danny, dal canto suo, sembrava aver capito quale sfida stesse affrontando, e più propriamente comprenderne esattamente la natura e la profondità.

E con il passare del tempo sembrava che si fosse stabilito una sorta di patto non detto e non scritto, ma che funzionava in qualche modo sorprendentemente scorrevole nonostante la sua articolazione su diversi livelli. Un patto che scorreva attraverso diversi passaggi, da quando Danny gli permetteva di esaminare e medicare le sue ferite pur sapendo quale impressione gli producevano e sorvegliando dunque in qualche modo la sua reazione come se fosse in grado di farlo ancora meglio di quanto non riuscisse lui stesso, fino a quando Danny accettava le dosi di antidolorifici che lui gli dava da prendere senza protesta o quasi, fidandosi implicitamente della sua capacità nel frattempo coltivata di adattare le dosi considerandolo come qualcuno in grado di sopportare gradi di dolore ben diversamente da quanto non avrebbe mai potuto fare un essere umano.

Di quella sorta di patto implicito e non detto sembrava essere parte integrante anche il fatto di non fare mai parola di quella conclusione alla quale era giunto Ramo con nessun’altro, tanto meno con gli altri ‘4 di picche’; perché né lui né Danny ne avevano mai nemmeno lontanamente fatto cenno agli altri. Una sorta di patto tra un mezzo lupo ed un veterinario. E Ramo aveva improvvisamente capito,  soprattutto da quell’ultimo loro concerto silenzio della cosa agli altri, quale era probabilmente il terreno comune sul quale si erano alfine trovati: Danny non avrebbe mai detto apertamente a chi ci teneva a lui quanto fosse terribilmente doloroso poter sopportare una tale carica di ferite, per proteggerli da quella consapevolezza, così come Ramo aveva implicitamente e automaticamente imparato senza che ci fosse stato bisogno di chicchesia a spiegarglielo a tacere su quanto potesse essere travagliato il confronto con una malattia o ferita grave da parte di un qualsiasi suo paziente ai suoi cari.

Soprattutto, ma quello era un particolare che in sottofondo doveva essere ben noto a tutti i ‘4 di picche’, nessuno diceva mai ad alta voce che proprio per le sue maggiori capacità di resistenza e guarigione rispetto ai danni fisici, Danny era quasi automaticamente quello di loro che si sentiva maggiormente designato a rischiare di più, a gettarsi per primo e più in avanti di tutti gli altri contro il pericolo. E Ramo sapeva, conoscendolo, che era allo stesso tempo qualcosa che Danny faceva in modo totalmente non ragionato e puramente istintivo, perché aveva anche (o forse soprattutto) a che fare col suo carattere, specialmente con quelle tendenze più precipitosamente impulsive d’esso. Ma nei momenti di non imminente pericolo mortale o quasi, Ramo aveva la sensazione che ne fossero tutti perfettamente e lucidamente consapevoli, in fondo.

Di certo lo era diventato lui, perfettamente consapevole, da un certo punto in poi. E quella sorta di costante odiosamente ripetitiva a volte aveva l’aspetto di una specie di tragedia inevitabile che resta sempre in agguato dietro l’angolo. E Ramo l’aveva sempre detestata con tutto se stesso.

«Sa… Lei ha proprio l’aria di qualcuno che ha bisogno di una tazza di tè.» disse una voce dal tono gentilmente pieno di tatto, riscuotendolo dai suoi pensieri e facendogli alzare lo sguardo quel tanto da accorgersi dell’apparire di fronte a lui di un braccio che gli stava porgendo una tazza di tè fumante. Si concentrò su quest’ultimo particolare, corrugando la fronte, perché in quel caso era abbastanza facile intuire, nonostante la sua stanchezza, che c’era qualcosa di piuttosto fuori posto in una bevanda bollente in piena estate. Rialzò lo sguardo seguendo il percorso del braccio fino a trovare l’espressione tranquilla di Mordecai, che gli stava rivolgendo un accenno di sorriso sinceramente cortese.

E fu di fronte a quell’espressione e a quelle parole che Ramo si decise a prendere la tazza, mormorando un ringraziamento sincero cercando di non farlo suonare troppo perplesso, prima di aggiungere automaticamente «Ah… Comunque, puoi darmi del tu.»

Mordecai lo guardò per un momento come se in quelle semplici parole qualcosa che Ramo non riuscì affatto a collocare lo stesse un poco divertendo, ma poi semplicemente annuì. Seduto sul divano con la tazza in mano e un’aria e una sensazione ancora piuttosto stranite, Ramo contemplò i successivi movimenti con cui il necromante si limitò ad appoggiare un’altra tazza fumante sul tavolo nel punto più vicino a dove Uther era ancora appollaiato sulla finestra con il fucile tra le braccia, prima di tornare in cucina.

Lo sguardo di Ramo rimase su Uther, osservandolo meglio, iniziando a sorseggiare il tè senza nemmeno rendersene conto, concentrato improvvisamente e inaspettatamente sul cercare di capire meglio qualcosa che aveva la sensazione gli stesse sfuggendo in maniera colossale, e che aveva il sospetto potesse essere notevolmente importante e potenzialmente preoccupante.

Aveva l’impressione sempre più vivida che ci fosse in Uther qualcosa di diverso dal solito, che non riusciva effettivamente a collocare. Ma qualcosa gli diceva che avrebbe anche potuto semplicemente cominciare la sua osservazione dal come Uther sembrasse particolarmente chiuso in se stesso, persino di più rispetto al solito, e su come stesse guardando all’esterno con un compatto odio intenso e impenetrabile, sebbene, notò di colpo con perplessità, il suo sguardo mobile sembrava incompatibile con il principio di fissare delle sentinelle che si stessero mantenendo ferme in un punto ben preciso. Quest’ultimo particolare iniziò a fare ritenere a Ramo che avrebbe dovuto considerare seriamente l’opzione di trascinarsi in piedi nonostante la stanchezza, di avvicinarsi e di azzardare a sua volta un’occhiata all’esterno, per cercare meglio di capire.

Ma prima che potesse risolversi a farlo, vide improvvisamente lo sguardo di Uther concentrarsi su qualcosa, i suoi occhi muoversi lentamente come se stesse seguendo l’avvicinarsi senza fretta di qualcosa, e infine fermarsi in un punto che sembrava trovarsi proprio sotto la finestra.

Ramo si alzò in piedi con risoluzione a quel punto, e si avvicinò alla finestra, guardando fuori e sporgendosi per cercare di individuare più precisamente il punto che Uther stava fissando, seguendo la direzione del suo sguardo.

E Kumals era semplicemente lì. Lungo la strada di Tairans e sotto quella finestra. E li stava guardando a sua volta.

Dopo qualche momento, Ramo registrò infine il logico e reale particolare che non vedeva Kumals da circa sei mesi. E tutto ciò che gli uscì fu un’esclamazione semplice e spontaneamente senza alcun filtro.

«Ah!» fece solo.

A volte le parole sembravano davvero qualcosa di superficiale e insufficiente, forse persino di ridicolo.

 

Soundtrack: The cave (Mumford & Sons)

ANCHE SE (DISCLAIMER): il titolo del capitolo l’ho preso in prestito dall’omonima canzone ‘Trust me, I’m a doctor’ dei ‘The Blizzards’

 

Note dello scribacchiatore: avevo proprio voglia di dedicare un altro po’ di spazio a Ramo. E quindi, ecco il punto di vista un po’ più “professionale” del ‘veterinario personale di Danny’! ;)

Ho anche voluto provare ad utilizzare lo stratagemma di una ripetizione dello stesso momento cronologico della storia (lo stesso del capitolo precedente) dal punto di vista di un altro personaggio. Potete considerarlo un esperimento libero, ma in realtà direi proprio che tutto il mio scribacchiare in generale è un po’ sempre un esperimento molto libero… ;p

Come sempre, spero ne valga la pena alla lettura, anche se anche per questo capitolo la scrittura mi è venuta un po’ “contorta”… Sorry, non sono riuscito a sistemarlo meglio di così, per ora.

 

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Capitolo 49
*** 48 - Precarious balance ***


Capitolo 48

(Precarious balance)

 

Ramo si ritrovò improvvisamente immerso in una sorta di strana atmosfera.

Un momento prima Kumals stava entrando nell’appartamento, salutando con rispettosa profonda amicizia Mordecai, e con un trasporto più libero Ramo stesso; l’istante dopo era fermo in piedi in mezzo alla stanza, e stava guardando con un’occhiata lunga e imperscrutabilmente attenta e approfondita Uther. Il quale - Ramo realizzò solo in quel momento, e con una certa sorpresa - era ancora semplicemente seduto immobile sul davanzale della finestra, col fucile appoggiato al petto tra le braccia. E stava sostenendo quell’occhiata come se fosse questione di cercare di guardare un’ondata enorme che gli stesse venendo incontro, e nei confronti della quale non avrebbe mai nemmeno lontanamente potuto anche solo desiderare di sopravvivere.

Infine, Uther distolse lo sguardo. Kumals sembrò limitarsi a prenderne atto, e si diresse quindi verso la porta aperta della camera da letto. Ramo sentì i suoi piedi muoversi per seguirlo automaticamente ancora prima di rendersene del tutto conto. Kumals sostò sulla soglia per quelli che sembrarono infiniti istanti, guardando il letto in cui giaceva Danny, in completo silenzio. Ramo si ritrovò ad avere a che fare con un’atmosfera se non altro familiare: quel momento in cui giusto Kumals poteva essere capace di venire a patti in totale silenzio con il trovare Danny ridotto così, come se si prendesse un momento necessario per iniziare precisamente ad assorbire quella constatazione.

Dopodiché Kumals si stava avvicinando al letto e stava di nuovo parlando, con un tono sorprendentemente calmo e pratico che non avrebbe mai smesso di stupire Ramo quando glielo sentiva usare in quei frangenti, e gli stava già chiedendo informazioni sulle condizioni di Danny. Ramo gli rispose grazie al suo solito automatico riportare quel genere di risposte che entrava preziosamente in funzione in quelle situazioni, mentre Kumals sembrava in qualche modo capace di ascoltare con attenzione ogni sua singola parola pur mentre guardava Danny in quel modo, come se stesse immaginando abbastanza esattamente quello attraverso cui poteva essere passato pur senza di fatto poterlo sapere con precisione.

Infine, quando Ramo tacque non avendo più niente da riportare, Kumals rialzò lo sguardo su di lui, annuì e sorrise, e gli sembrò di colpo un po’ più vecchio del solito.

Kumals tornò verso il salotto, e Ramo si ritrovò ancora a seguirlo automaticamente, dopo aver lanciato un’ultima occhiata di rapido controllo a Danny, cercando di nuovo di ritornare quasi esclusivamente nella sua parte di medico piuttosto che di amico.

«Ti ringrazio, Mordecai.» disse Kumals, rivolgendosi all’uomo, che si limitò ad accennare brevemente con il capo un movimento di assenso, come ricevendo il ringraziamento con tranquillità.

«Sul serio.» insistette Kumals, con serietà profonda e sincera. «E tu puoi capire. Non credo che riuscirei nemmeno ad essere sufficientemente grato a qualcuno per quello che hai fatto. Ma fino a dove posso arrivare con l’esserti riconoscente, lo sono completamente.»

Mordecai semplicemente annuì di nuovo, stavolta però dopo avergli dedicato un’occhiata particolarmente seria, come a dare segno che aveva compreso perfettamente che cosa volesse dire.

Kumals tacque per un momento, guardandosi attorno nella stanza. E Ramo realizzò improvvisamente che probabilmente quella era la prima volta dopo chissà quanto tempo che l’altro rimetteva piede in quel luogo dove erano iniziate le attività dei ‘4 di picche’.

Poi ne vide lo sguardo distogliersi come se lo strappasse via con determinazione ad un inizio di potenziale perdersi nei ricordi, e focalizzarsi su Uther. Che stava di nuovo guardando fuori.

«Bene.» esordì allora Kumals, con tono pratico e quasi leggero, battendo le mani insieme. Era un tono molto più familiare a Ramo quello, e se ne sentì sollevato. «Allora, mi piacerebbe iniziare dalle solite domande di routine… tipo che diavolo è esattamente successo qui…»

Ramo cominciò ad accorgersi solo allora che il suo tono stava iniziando a prendere una piega gradualmente tagliente, di quel tipo che sapeva c’era da temere da parte sua.

«E specialmente in riferimento a come mai Danny sia al momento conciato in quel modo.» puntualizzò Kumals, la sua intonazione che virava ora con più decisione su un’incisività che sembrava sapere perfettamente dove voleva andare a parare e a colpire.

E Ramo capì che, anche se genericamente rivolte, quelle parole sembravano indirizzate soprattutto ad uno di loro in particolare.

Uther voltò la testa e fissò il suo sguardo dritto su Kumals. Uno sguardo che non prometteva niente di particolarmente buono e che iniziò ad inquietare notevolmente Ramo. La tensione nell’aria sembrava starsi gonfiando con una rapidità impressionante.

«Ma mi rendo conto che potrebbe essere una storia molto lunga e complessa, per quanto, ne sono sicuro, certamente affascinante a modo suo.» proseguì Kumals, e al di sotto della superficie ora palesemente di finta affabilità colloquiante, stava diventando sempre più dirompentemente corposa una sincera alterazione.

«Quindi… tralasciamo per ora questa parte…» disse ancora l’uomo, e c’era qualcosa nel suo tono e nel modo in cui il ritmo delle parole rallentò appositamente e studiatamente che sembrava indubbiamente rivolto a beneficio di Uther.

Questi continuava a fissarlo come se fosse determinato a non retrocedere nemmeno di mezzo passo, come se quelle parole stessero evocando una sepolta riserva di enorme rabbia meglio di un piffero suonato da un esperto ipnotizzatore di serpenti. La sua espressione già indurita sembrava stare peggiorando di secondo in secondo, di parola in parola.

«E piuttosto andiamo al sodo.» continuò imperterrito Kumals. «Più precisamente, suppongo che ci sia un accampamento di mezzi lupi potenzialmente e capricciosamente pericolosi e fuori controllo a cui potrebbe essere il caso di dare una controllatina. Oh…» aggiunse alla fine, chiaramente ora intento a recitare la parte di qualcuno che sia appena stato colpito da un’idea «A meno che naturalmente non abbiate già provveduto prima che arrivassi. A trattare quell’attendamento come andrebbe trattato, intendo. Ovvero come sostanzialmente un vulcano sull’orlo di una possibile esplosione con conseguente tragica colata di lava rovente su tutta la città. In altre circostanze sarei quasi sicuro che sarebbe esattamente così che questa situazione è stata affrontata qui. Ma, chissà perché, sarà il mio irrecuperabile vizio di dubitare di ogni cosa per sicurezza, sarei molto più tranquillo se qualcuno mi dicesse che cosa ne pensa in proposito. Perché sono sicurissimo che ci devono essere ottime motivazioni, dopotutto. Anzi, sono certissimo che ci devono essere come minimo eccellentissime spiegazioni.»

Ramo era ora in preda a quella familiare e suo malgrado quasi irresistibile tentazione di andare a rifugiarsi da qualche parte. Almeno in un'altra stanza, per cominciare, magari anche direttamente sotto ad un letto o ad un armadio. Era qualcosa che aveva decisamente a che vedere col modo in cui quel tono di Kumals riusciva a risultare insopportabile come un archetto di violino strisciato ripetutamente e insistentemente direttamente sui nervi nudi, e allo stesso tempo minaccioso come qualcosa di terribilmente pericoloso e così sprediugidicatamente perverso da fingersi con ottimo risultato – ma solo volutamente e solo superficialmente – totalmente innocuo.

E non aveva idea, pertanto, come Uther fosse capace invece di restarsene semplicemente ad ascoltare in silenzio quelle parole e quel tono, che non si facevano troppo mistero di essere rivolte particolarmente e miratamente a lui, e soprattutto sostenendo lo sguardo dell’altro. Quello era un particolare del rapporto dei due che era sempre andato ampiamente oltre ogni capacità di comprensione di Ramo.

Il silenzio sembrò prolungarsi in un’estenuante durata, anche se doveva essere passata solo qualche decina di secondi: secondi che, alle orecchie di Ramo, avevano qualcosa di sgradevolmente rassomigliante ad una specie di conto alla rovescia.

«D’accordo. Molto bene.» disse infine Kumals, come se avesse raggiunto una sua personale conclusione, sistemando meglio la valigia che si era portato appresso in un angolo della stanza contro al muro, e fermandosi poi vicino alla porta, prima di tornare a fissare direttamente Uther.

«Ora puoi anche smetterla di startene lì ammantato nel tuo drappo di autocommiserazione mentre fingi di fare qualcosa di utile come se veramente pensassi che lo sia, perché sinceramente…» iniziò a dire.

«Che diavolo pensi di saperne esattamente, tu?» esplose Uther, anche se il suo tono suonò poco più che un sibilo tra i denti, ma caratterizzato da una notevole ferocia. Sembrò prendere fiato per dire qualcos’altro e molto più di quello, ma non ne ebbe l’opportunità.

Kumals alzò la voce così di colpo, abbandonando il suo tono scorrevole e superficialmente pratico e semplice che aveva fino ad allora tutto sommato sostenuto, che Ramo sussultò suo malgrado.

«Perché non ho tempo per le tue stronzate Uther, non ora! Quindi fammi il favore di non provarci nemmeno. Qualsiasi accidenti di cosa sia esattamente successa qui, adesso è l’ora, sì, questa è sicuramente la tua chiamata: quindi scendi dal tuo dannato trespolo e riatterra nella realtà, hop hop! Perché dobbiamo occuparci di un dannato mucchio di mezzi lupi che potrebbero stare decidendo di fare una strage qui intorno, e dobbiamo farlo adesso! La realtà non ha tempo per nessuna delle tue stronzate, e nemmeno io. Quindi, ora, finiamola qui e andiamo.» disse Kumals, come se stesse semplicemente continuando quello che aveva iniziato a dire, e con incredibile autocontrollo nonostante l’evidente alterazione, spalancando la porta con un deciso movimento del braccio sul finire di quella tirata piuttosto breve e decisamente poco posata per essere una delle sue.

Con totale sorpresa di Ramo, Uther non si mosse di un millimetro, ma era dopotutto ammutolito. Questo non significava che non stesse fissando Kumals con uno sguardo penetrante e che potenzialmente avrebbe potuto essere capace di incenerire qualcuno sul posto.

Ramo iniziò a riconsiderare la possibilità di cercare di raggiungere la camera da letto e infilarsi sotto di esso per ogni evenienza; più razionalmente e maturamente, si stava sforzando di trovare qualcosa da dire, qualsiasi cosa a quel punto. Ma non riusciva a farsi venire in mente niente, a tutti gli effetti, e sospettava che quella metà della sua capacità di trovare le parole che non era al momento paralizzata dall’alta tensione che permeava l’aria tra i due - e sulla quale probabilmente passandoci attraverso si sarebbe potuti rimanere semplicemente fulminati sul colpo - fosse paralizzata dal fatto che non aveva precisamente idea di che cosa stessero parlando.

O meglio, in via di massima lo sapeva, aveva abbastanza informazioni per capirlo razionalmente. Ma conoscendo quei due e le loro usuali reazioni in condizioni di pressione dovute ad una situazione di pericolo del genere, era quanto mai sicuro che ci doveva essere un’intera miniera di cose fondamentali che lui non sapeva o non riusciva ad afferrare per farli comportare così. Per qualche motivo, la necessità di evitare che arrivassero al punto di dire qualcosa di anche peggio - o di ricorrere ad altre modalità di scontro ben più fisiche - non riusciva a convincerlo del tutto del fatto che, teoricamente, avrebbe dovuto aver bisogno di avere almeno una vaga idea di tutti quei sottintesi non detti, per poter fare qualcosa di abbastanza efficace per riuscire ad evitarlo. In altre parole, non era proprio sicuro di voler sapere tutto ciò che poteva starsi nascondendo tra le righe di quello che poteva essere un enorme, colossale corpo implicito del discorso; specialmente se poteva evitare di doverlo sapere, insomma.

E si ritrovò a dire qualcosa senza nemmeno pensarci due volte, né avere quindi l’opportunità di sottoporre ad una preventiva recensione più accuratamente critica le sue stesse parole.

«Qualsiasi cosa esattamente stiate pensando di fare… potete giusto evitare di svegliare Danny? Ha bisogno di riposare parecchio per riprendersi.»

Si ritrovò concentrati addosso gli sguardi di entrambi di colpo. La sensazione gli fece tornare alla mente singolarmente un’immagine precisa: quella delle due sfingi de ‘La storia infinita’* che si fronteggiavano senza battere ciglio né muoversi di un millimetro, ma che fulminavano a morte immediata con lo sguardo lanciante veri e propri lampi mortali chiunque osasse passare tra loro. Se non fosse stato così impegnato a cercare di capire che cosa ne sarebbe stato di lui a quel punto, probabilmente avrebbe trovato divertente quel paragone spuntato da un remoto ricordo di infanzia.

Si trattenne dal chiudere gli occhi per prepararsi istintivamente al peggio, e quando si azzardò a ricambiare direttamente lo sguardo dei due fisso su di lui, registrò con incredulo principio di sollievo che buona parte del belligerante modo in cui si stavano fissando tra loro poco prima sembrava essersi perso per strada nel rivolgersi verso di lui ora. Deglutì corposamente, cercando di non darlo troppo a vedere.

Poi Kumals sospirò e si passò una mano sul volto, guardando altro e in nessuna direzione in particolare, come se stesse cercando la forza di riprendere meglio padronanza di sé.

Ramo spiò verso Uther, registrando che anche lui aveva distolto lo sguardo, ma non sembrava affatto in procinto di decidersi a fare o dire alcunché.

Allora si costrinse a cercare qualcos’altro da dire; probabilmente non avrebbe dovuto ritentare la fortuna, ma se era riuscito a dire qualcosa che poteva funzionare puramente di istinto, forse poteva andargli bene una seconda volte, e servire perlomeno a far scendere giusto un altro poco quell’enorme tensione che improvvisamente saturava la stanza.

«Credo che… cioè, naturalmente hai ragione, Kumals. Ma penso che Uther stia… insomma, facendo qualcosa di utile. Sta sorvegliando delle sentinelle che ci stanno spiando in strada. Sono dei mezzi lupi. E…»

Qualcosa nel modo in cui Kumals lo stava guardando lo fece esitare e perdere il filo. Non era affatto uno sguardo intimorente; sembrava più un tipo di espressione che suggerisse che gli stesse completamente sfuggendo un enorme particolare determinante.

Kumals chiuse gli occhi per un momento, e con notevole sforzo di calma nel tono, sebbene tutto il suo decisamente spazientito trasporto avesse tutta l’aria di essere ancora rivolta unicamente in direzione di Uther, disse «Non c’è nessuna sentinella, o spia, o sorveglianza, o comunque la si voglia chiamare, là fuori.»

Per qualche motivo e tuttavia con sorpresa, Ramo non riuscì a provare un effettivo stupore di fronte a quello. Una parte di lui se l’era aspettato. Era qualcosa a che vedere con ciò che in Uther gli sembrava fuori posto e diverso, e che non riusciva esattamente a ricollocare con precisione, non ancora perlomeno.

«Oh.» fu tutto ciò che disse.

Poi aggrottò la fronte e sembrò sul punto di dire qualcos’altro, ma Kumals lo guardò con improvvisa pazienza familiare e sinceramente affettuosa nonostante tutto, e gli disse, come se fosse stato capace quasi di leggergli nel pensiero «E sì, ne sono sicuro. E no, non verrai tu con me perché sei chiaramente molto stanco e perché sai bene almeno quanto me che è molto meglio se resti qui a controllare le condizioni di Danny, per sicurezza.»

Ramo richiuse la bocca, realizzando che non gli veniva in mente nient’altro da replicare.

«Allora verrò io con te.» intervenne Mordecai, con il suo tono di composta e totale calma gentile.

Kumals lo guardò, e sembrò rifletterci per un lungo momento, nel corso del quale lanciò un rapido sguardo di sbieco di nuovo in direzione di Uther, e Ramo si trattenne dal portarsi una mano dietro la schiena e incrociare le dita. E infine Kumals sospirò e sembrò arrendersi definitivamente.

«D’accordo. Grazie, Mordecai.» fu tutto ciò che disse, prima di uscire seguito dal necromante.

La porta si richiuse dietro di loro, ma Ramo rimase per qualche altro secondo completamente fermo e in silenzio. Come se stesse inconsciamente temendo che la porta potesse riaprirsi di colpo da un momento all’altro, o come se non riuscisse del tutto a capacitarsi che fosse bastato così poco per mettere fine a quello che era appena successo, o come se stesse realizzando più esattamente che non aveva ancora idea di che cosa fosse appena successo esattamente. Probabilmente si trattava di una combinazione di tutte queste cose assieme, per la verità.

Alla fine sospirò, e si lasciò ricadere di nuovo a sedere sul divano, perché in quelle ultime ore a quanto pareva l’unica certezza vera e propria rimastagli era la stanchezza.

Da lì seduto, tornò infine a scoccare un altro sguardo in direzione di Uther, il quale sembrava avere sviluppato ultimamente un’inconcepibile capacità di non farsi notare al punto da rendere facilmente dimenticabile la sua presenza non appena si era anche solo un poco concentrati su qualsiasi altra cosa; una lampada sarebbe stata molto più capace di attirare l’attenzione di lui in quel momento. Il che era assurdo a ben pensarci, considerò Ramo, dal momento che se ne stava appollaiato su una finestra tenendo un fucile carico in grembo e due pistole altrettanto cariche appoggiate a portata di mano sul davanzale. Ma a volte trovava sorprendente il semplice fatto di essere ancora in grado di stupirsi di qualcosa, dopo il tempo che aveva passato a più stretto contatto con i componenti degli ex ‘4 di picche’, e nel bel mezzo di ciò in cui erano capaci di ritrovarsi, avendolo deciso oppure no.

Ebbe di nuovo la sensazione che avrebbe dovuto provare a dire qualcosa, perlomeno tentare di rivolgere la parola ad Uther. Così come aveva anche la sensazione che praticamente qualsiasi cosa che avrebbe potuto dire sarebbe stata facilmente semi-ignorata, o perlomeno avrebbe completamente fallito nel proposito di ottenere una vera e propria reazione da parte dell’altro, a giudicare dal modo in cui gli appariva in quel momento. Sembrava decisamente a miglia da lì, affondato da qualche altra parte.

Non avrebbe saputo dire con certezza se Kumals aveva centrato il punto parlando di ‘auto-commiserazione’, perché l’espressione di Uther, specialmente dopo quel confronto appena avvenuto, sembrava più che altro preda di una cocente e furente rabbia a stento repressa; anche se, sì, aveva una sfumatura che la faceva sembrare almeno in buona parte come una rabbia auto-rivolta contro se stesso. Ma gli sembrava che Kumals avesse centrato il punto giusto e se non altro a riguardo del fatto che Uther sembrava disconnesso, relegato in qualche luogo altro rispetto alla semplice concretezza del qui e ora. E doveva essere un luogo decisamente molto lontano, ovunque fosse, se Ramo stesso, con tutta la sua stanchezza e il suo riuscire a stento a restare ancora connesso alla lucidità, riusciva a notarlo così distintamente.

Alla fine, seppure sospettando che non fosse quella la cosa più giusta da fare, si ritrovò a desistere senza nemmeno provarci. Più che altro perché aveva la netta impressione che, se anche gli avesse risposto, Uther non gli avrebbe detto niente di particolarmente utile in quel momento. Perciò giunse alla conclusione che probabilmente quella non era semplicemente la circostanza adatta per cercare di capire meglio alcunché, foss’anche semplicemente che cos’era successo esattamente nelle ultime ore, e perché e percome Danny versasse in quelle condizioni nella stanza accanto.

Ramo sospirò nuovamente e si costrinse ad alzarsi dal divano e a trascinarsi a dare un’altra occhiata di rapido controllo a Danny. Quando tornò nel salotto, si accorse con sorpresa che Uther lo stava guardando. Senza nemmeno pensarci disse allora semplicemente e automaticamente «È fuori pericolo.»

Vide Uther annuire e tornare a guardare fuori, come se effettivamente ci fosse bisogno di fare la guardia. E anche se ormai, a guardarlo meglio e sotto la nuova prospettiva che Kumals aveva sottolineato con tanta sicurezza, a Ramo sembrava che lui stesse mantenendo quella posizione semplicemente per cercare – peraltro forse senza troppo successo – di tenersi occupato e impedirsi di pensare troppo, d’altro canto non era sicuro che Kumals avesse completamente e indubbiamente ragione, né su che cosa esattamente potesse averla.

Perciò, Ramo si trascinò semplicemente di nuovo sul divano, ci si lasciò cadere sopra pesantemente, e dopo un ultimo vago tentativo di raccogliere abbastanza gli elementi in suo possesso per prendere una definitiva risoluzione a proposito del da farsi, si sistemò sdraiato il meno scomodamente possibile e chiuse gli occhi.

Se l’unica certezza vera e propria che gli era rimasta in quel momento era dopotutto quella di essere esausto, tanto valeva iniziare da quella, iniziare dal recuperare un po’ di forze riposandosi per qualche momento. Dopodiché, se non altro avrebbe potuto poi cercare di avere a che fare con quant’altro dovesse succedere con un po’ più di energie.

 

 

Soundtrack: Jerk it out (Caesars Palace)

 

Note per la comprensione e disclaimer:

* LA STORIA INFINITA: il riferimento è proprio a ‘La storia infinita’ (titolo originale: The neverending story) di Michael Ende.

 

Note dello scribacchiatore: Ancora sostanzialmente dal punto di vista di Ramo, forse perché quando capita finisco per affezionarmici al suo punto di vista, ma anche perché mi sembrava adatto in questo punto.

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Capitolo 50
*** 49 - The boomerang effect ***


Capitolo 49

(The boomerang effect)

 

Ramo si svegliò in maniera sorprendentemente morbida, stupendosene quando realizzò che si trovava su un divano relativamente scomodo, almeno se considerato dal punto di vista di dormirci profondamente e in maniera riposante, ma soprattutto quando aprendo gli occhi la prima cosa che vide fu Kumals.

Si tirò immediatamente a sedere di scatto, il che attirò su di sé lo sguardo di Kumals, che lo fissò con una leggera sorpresa e alzando un sopracciglio, come se gli stesse implicitamente chiedendo il perché dell’estrema rapidità allarmata di quel movimento.

Ramo si rese conto che Kumals in quel momento non aveva affatto l’aria di qualcuno che stesse trasudando appena un sottile accenno di un enorme stato di alterazione; ma prima di concedersi di registrare quello come un particolare tranquillizzante si ritrovò a scoccare un rapido sguardo verso la finestra.

Manco a dirlo, Uther era ancora esattamente nella stessa posizione in cui l’aveva visto prima di addormentarsi quasi istantaneamente quando si era sdraiato su quel divano: seduto sul davanzale, la schiena appoggiata a lato della finestra aperta e il fucile appoggiato contro il petto e tra le braccia, lo sguardo rivolto all’esterno. Ramo iniziò sinceramente a sospettare che quello fosse a tutti gli effetti un voluto tentativo di essere il meno presente possibile in quella stanza, e più in generale in tutta quella situazione.

«Meglio?» udì chiedergli la voce di Kumals, e riportò immediatamente lo sguardo su di lui, guardandolo mentre prendeva qualcosa che sembrava una cartina piegata dalla sua valigia e si avvicinava al tavolo.

«Hummm… sì. Direi di sì.» rispose con una certa precauzione Ramo, intuendo che Kumals si riferiva al suo essere riuscito a dormire un poco, e per il resto continuando a seguire con lo sguardo i movimenti con cui l’altro aprì la cartina e la stese ordinatamente sul piano del tavolo.

In un angolo del medesimo tavolo, Ramo notò la tazza che Mordecai aveva appoggiato lì per Uther quelle che dovevano essere state ore prima – perché a giudicare dal colore della luce che illuminava la stanza in quel momento Ramo registrò che doveva essere quasi la fine del tramonto – e che sembrava non essere stata toccata. Vide Kumals prenderla e sorseggiare il tè ormai freddo con tranquillità, come se quella tazza fosse stata messa lì appositamente per lui, lo sguardo concentrato sulla contemplazione della mappa distesa davanti a sé.

Ramo si ricordò più lucidamente di un particolare importante. «Cosa avete…? Cioè, l’accampamento di mezzi lupi impazziti?»

Kumals sollevò giusto lo sguardo per un momento su di lui, prima di tornare a guardare la mappa. «Non appena tornerà Mordecai ne parleremo meglio.»

Ramo corrugò inconsciamente un poco la fronte, concentrandosi meglio. «Dov’è andato?»

«Passato un momento da casa sua per prendere qualcosa di necessario.» lo informò distrattamente e tranquillamente Kumals.

Ramo annuì sommariamente, più che altro tra sé e sé. Poi, mano a mano che gli tornava di più la lucidità, si ritrovò a balzare in piedi e ad andare velocemente nella camera da letto, per controllare Danny.

«E’ ancora vivo.» sentì la voce di Kumals informarlo dall’altra stanza, ancora con tono distratto e placido, come se avesse semplicemente intenzione di placare almeno per il momento la sua relativa agitazione puntualizzando qualcosa di ovvio come il fatto che naturalmente aveva già dato un’occhiata a Danny non appena era tornato. Ramo sospettava che probabilmente, mentre stava dormendo, anche Uther poteva aver quasi furtivamente abbandonato la sua postazione sul davanzale per andarsene ad accertare anche lui di tanto in tanto.

Dopo aver oculatamente ricontrollato le condizioni fisiche di Danny, Ramo tornò nel salotto, solo per ritrovarsi di nuovo in piedi in mezzo ad un’atmosfera che gli risultava ancora in qualche modo irreale e come sospesa. Probabilmente soprattutto a causa del fatto che gli altri due sembravano decisi a fare del loro meglio per ignorare la reciproca presenza nello stesso spazio-tempo. Dopo aver incrinato l’espressione in una leggera smorfia poco convinta, Ramo decise di dedicarsi a qualcosa di molto semplice e pratico come andare in cucina a cercare di arrabattare qualcosa che si potesse almeno avvicinare abbastanza ad un pasto; iniziava a voler decisamente lasciare quei due a vedersela da soli e nel loro stesso brodo, qualsiasi cosa ci fosse esattamente di mezzo.

Poco più tardi arrivò anche Mordecai, il quale sembrava avere avuto un’idea simile alla sua, perché aveva portato con sé altro cibo.

Ramo mangiò seduto sul divano, con Mordecai accomodato su una sedia, Kumals che masticava distrattamente mentre continuava a rimanere concentrato sulla mappa distesa davanti a lui, e Uther che mangiava come se fosse qualcosa che lo riguardava solo marginalmente, continuando a guardare fuori come se ci fosse qualcosa da sorvegliare.

Ramo si era definitivamente rassegnato a quel silenzio, e anche se sapeva che non era affatto la cosa più matura che poteva fare, aveva iniziato a decidere che lo avrebbe mantenuto lui stesso quasi a sfida: prima o poi qualcuno doveva decidersi a fare o dire qualsiasi cosa per smuovere quella situazione.

E non si stupì particolarmente quando fu Kumals a romperlo di nuovo il silenzio.

«D’accordo…» esordì, con rassegnazione incrinata dalla stanchezza, distogliendo infine lo sguardo dalla mappa che stava osservando. Attraversò la stanza dirigendosi verso la poltrona che Ramo aveva visto venir trascinata su per le scale da Uther e Mordecai quella mattina, e non aveva ancora idea del perché esattamente avesse trovato quei due a fare qualcosa del genere. A dire la verità, forse quello era il particolare che meno sembrava poter coincidere con un quadro complessivo di che cosa diavolo era successo; se non altro sembrava anche il meno preoccupante, e questo era un sollievo.

Kumals si fermò di netto, immobilizzandosi di fronte alla poltrona, e scrutandola a lungo e molto attentamente, come se qualcosa non gli tornasse. Infine, sembrò optare per tornare al tavolo e sedersi piuttosto su una sedia. Ramo lo vide assumere quella familiare posa di quando stava per iniziare un discorso serio e importante, e di lì a poco difatti stava sondando tutti loro uno per uno, spostando per la stanza la versione più seria e impegnata dei suoi sguardi ‘adatti all’occasione specifica’.

Ramo mise da parte il suo piatto ormai vuoto, si mise un po’ più comodo sul divano e cercò di concentrarsi al suo meglio, una vaga speranza che finalmente le cose stessero per diventargli più chiare che gli aleggiava dentro.

«Credo proprio che dovremo fare dei turni. Due tipo di turni, per la precisione.» esordì Kumals.

Ramo abbandonò con riluttanza la speranza che le cose potessero chiarirglisi meglio di lì a breve e così semplicemente, aggrottando la fronte. Un rapido sguardo in direzione delle espressioni attente di Mordecai e Uther gli confermò che era l’unico a non aver ancora afferrato immediatamente a cosa Kumals si stesse riferendo. D’altro canto, ebbe anche l’impressione che Kumals lo sapesse benissimo, che lui ancora non stava capendo.

 

***

 

Uther si stava quasi abituando.

A quella routine, fatta di passare dal turno di spiare cosa succedeva a quello che rimaneva dell’attendamento dei mezzi lupi rimasti, a quello di riposarsi nell’appartamento mentre si sorvegliavano sommariamente le condizioni di Danny. Il quale, a distanza di poco più di ventiquattr’ore, non si era svegliato nemmeno una volta né tantomeno si era mosso dal suo giacere sul letto bendato.

E a quella sensazione: come se avesse lanciato un boomerang e, non vedendolo tornare indietro, avesse proseguito facendo altro, finché qualcosa nell’aria gli avesse annunciato che il suo lancio stava tornando verso di lui con forza, e che l’avrebbe trovato ovunque fosse e senza pericolo di errore; perché dopotutto era un boomerang quello che aveva scagliato, e aveva il sospetto che all’inizio, un inizio che ora sembrava molto lontano indietro nel tempo, lo avesse perfettamente saputo.

Ma quella specie di boomerang che ritornava indietro con sempre più piena potenza sembrò concretizzarsi meglio nel momento in cui, mentre lui e Kumals erano appena tornati all’appartamento dopo un turno di osservazione a cosa succedeva all’attendamento di mezzi lupi, e poco dopo che Ramo e Mordecai erano usciti per dare loro il cambio nella stessa mansione, Kumals gli parlò per la prima volta da ore con un tono diverso da quello piatto e privo di emozione che aveva immancabilmente usato nel frattempo per rivolgergli parole riguardanti esclusivamente qualche stretta necessità immediata a proposito di quello che stavano facendo.

«Uther.» lo chiamò semplicemente, con una nota singolarmente tranquilla e colloquiale nel tono che lo colse di sorpresa. Prima di potersene rendere conto, si stava fermando, tralasciando di tornare ad arrampicarsi di nuovo sul davanzale della finestra, e si stava voltando a guardarlo dedicandogli più attenzione di quanto gli sarebbe piaciuto.

Kumals, fermo appena fuori dalla soglia della camera da letto, dalla quale era appena tornato dopo una sommaria occhiata di controllo a Danny, lo guardò con non meno apparentemente sincera calma innocua e disponibile, e disse «Che ne dici di un salto al bar?»

Uther alzò un sopracciglio. Perché quella aveva tutta l’aria di essere una proposta fin troppo innocentemente adatta a lui, e sapeva benissimo che Kumals lo conosceva fin troppo bene, e davvero non poteva essere che gli stesse offrendo una delle proposte che più gli potevano risultare gradite per semplice gentilezza, non in quella circostanza.

Ma in quel momento quello sembrava avere tutto l’aspetto del suo boomerang che stava infine arrivando sul serio abbastanza vicino da essere in procinto di raggiungerlo. E nonostante l’istinto gli stesse prepotentemente suggerendo di scappare nella direzione opposta, qualcosa gli diceva che non poteva scappare, perché prima o poi lo avrebbe raggiunto, e non solamente perché era un boomerang quanto perché soprattutto si stava incarnando in Kumals: e no, lui non avrebbe mai desistito, era fuori discussione. E poi perché, da qualche parte in fondo a sé, forse aveva aspettato quel momento, quello in cui finalmente il boomerang lo stava per colpire con piena forza. Era come se non potesse che succedere prima o poi, e si rendeva conto ora che attendere quel momento era stato così estenuante che anche solo qualche ora di più sembrava praticamente intollerabile.

Lo sguardo di Kumals lo stava tenendo sott’occhio con calma; ma conoscendolo come lo conosceva, Uther era capace benissimo di leggere in esso la quasi sicurezza di vederlo da un momento all’altro cercare di fare di tutto pur di sottrarsi a quella proposta, nonché altrettanta rassegnata determinazione a non lasciarlo scappare.

«Perché no?» rispose con un’alzata di spalle.

Kumals non sembrò esattamente sorpreso, come se avesse già calcolato anche quella possibile reazione. Ma stupì Uther vederlo lanciargli un leggero sorriso di apprezzamento approvante.

«Bene, andiamo.» aggiunse solo Kumals, voltandosi per tornare ad uscire.

Uther sentì per un momento la tentazione ultima di non seguirlo solleticargli i margini della coscienza come una possibilità assai affascinante; ma lo seguì comunque.

 

***

 

«A quanto pare…» iniziò ad osservare Kumals ancora con quel suo tono da semplice conversazione casuale, mentre camminavano verso il pub più vicino, guardandosi attorno con placida contemplazione quasi distratta «Tairans è ancora sempre… beh, la solita Tairans

Uther non riuscì a trattenersi dall’esprimersi con un accenno di verso nasale sarcastico, continuando dal canto suo invece a mantenere il più possibile lo sguardo concentrato verso terra; quello che sentiva della vita quotidiana e mondana che gli scorreva attorno era già sufficiente a infastidirlo, minacciando di risvegliare completamente quell’intenso odio nei confronti di come tutto lì intorno sembrasse continuare a comportarsi come se non fosse successo assolutamente niente di importante o grave o fuori dall’ordinario.

Ma Kumals era dopotutto pur sempre Kumals, perciò Uther sapeva che cosa voleva dire ancora prima che lo esplicitasse meglio, aggiungendo «Non manca mai di sorprendere a modo suo, e nonostante tutto, non è vero? La testarda capacità che possono avere a volte le persone di ignorare quello che vogliono ad ogni costo evitare di sapere, quello che non vogliono nemmeno rischiare di poter anche solo intuire a grandi linee e per puro errore.»

Ed essendo Kumals dopotutto pur sempre Kumals, ed essendo quella Tairans, Uther sapeva bene anche che l’altro doveva già essere riuscito nello spazio di una sola giornata a comprendere la natura dell’aria che aleggiava in quei giorni per quella città: il timore recondito e sospeso, come se tutto stesse facendo del suo meglio per trattenere il fiato e chiudere gli occhi con forza, cercando di non vedere, sembrando qualcuno che si aspetti che la minaccia incombente – e ancora più temibile in quanto non del tutto definibile – passi oltre senza colpo ferire.

Perciò Uther non disse niente. Sapeva che non ce n’era alcun bisogno, perché entrambi sapevano che entrambi capivano perfettamente tutto quello, sebbene il loro modo di prenderla fosse in buona parte assai diverso.

«Hai per caso sentito Yuta al telefono oggi?» gli chiese allora Kumals di punto in bianco, sempre con tono da semplice conversazione apparentemente rilassata.

Ma Uther non poteva essere ingannato proprio da lui così facilmente. Gli lanciò uno sguardo assai cosciente di sbieco. «Quindi stavi proprio origliando.» commentò, senza nessuno stupore.

«Certo che no.» ribatté Kumals, senza darsi nemmeno la pena di provare sul serio a risultare credibile «Ho solo supposto che potesse verosimilmente trattarsi di lei.»

«E… questo perché tu hai smesso di rispondere alle sue chiamate da quando sei arrivato qui?» chiese Uther, con appena un accenno di domanda nel tono, d’altro canto puramente retorica.

«Hummm…» sembrò ponderare per un momento tra sé e sé Kumals. «Il mio udito iniziava a risentirne in maniera sinceramente preoccupante.»

Non aveva bisogno di spiegarsi meglio di così, perché anche se non avesse dovuto affrontare qualche giusto qualche ora prima una conversazione al telefono con Yuta quasi fuori di sé, Uther la conosceva abbastanza da sapere di che cosa stava parlando.

«E questo spiega abbastanza bene perché mi hai dato il tuo telefono come se mi stessi affidando la custodia del Sacro Grahal.» commentò, di nuovo come se fosse così chiaro che era quasi superfluo specificarlo.

Kumals gli scoccò una breve occhiata laterale. «Quello… era perché tu non possiedi un cellulare da chissà quanti anni, forse in effetti fin da quando li hanno inventati i cellulari, e ho giustamente pensato che avresti potuto perderlo. Accidentalmente, s’intende. Cioè non come se volessi proprio farlo apposta. E che avresti avuto peraltro anche un’ottima scusa per giustificarti.» puntualizzò.

Uther parve rifletterci sopra brevemente. «E’ molto più probabile che finirò per smarrirlo, naturalmente del tutto accidentalmente, lasciandotelo addosso mentre dormi, sai?» disse infine.

«D’accordo…» sospirò Kumals «Comunque, che cosa ha detto Yuta

«Lo sapresti da te se le rispondessi…» commentò Uther con calma, deciso a non lasciar ancora perdere.

Kumals corrugò appena la fronte e assunse un tono borbottante e quasi lamentoso «Capiresti perfettamente perché ho smesso di farlo se l’avessi sentita urlare a quel modo nel tuo di orecchio.»

Uther diede una breve alzata di spalle, decisamente priva di compartecipazione. «Non è colpa mia se non avete mai smesso di comportarvi come se steste ancora insieme.»

«Questo non è vero!» protestò con improvvisa veemenza Kumals.

Uther gli scoccò uno sguardo significativo con un sopracciglio alzato.

Kumals sospirò di nuovo e più sonoramente. «Almeno, Andrea è ancora là?»

«Sì.» si limitò a confermare Uther, con un’aria come se la cosa non lo riguardasse.

Kumals lo guardò con più attenzione. «E…? L’ha dovuta legare ad una sedia o qualcosa del genere, per impedirle di precipitarsi qui? Ad assicurarsi tipo che Danny non sia in pericolo o giù di lì? Il che, essendo Danny, è praticamente impossibile…»

Uther alzò gli occhi al cielo brevemente. «Da quel che ho capito…» riportò con tono laconico e svogliato «Dopo l’ultima discussione Andrea le rivolge a stento la parola, e Yuta si odia per questo e per starla trattenendo lì, anche perché per essere sicura di riuscirci ha finito per metterle alle calcagna Vicky…»

Kumals lo occhieggiò alzando entrambe le sopracciglia. «Vuoi dire Nickj

Uther alzò le spalle con disinteresse. «Quello che è.» concesse. «E Valentine sta cercando di fare del suo meglio per aiutarla a gestire quelle due, ma Yuta pensa che se al più presto non… cito testualmente… ‘non ci prendiamo il disturbo di spiegare meglio che cosa diavolo di accidenti sta succedendo laggiù’… anche Valentine potrebbe presto… “farsi prendere dalla preoccupazione”.»

«Hummm…» si limitò a mugugnare riflessivamente Kumals tra sé e sé, con la fronte contemplativamente assai più corrugata.

Uther lo spiò di sbieco. «Ora capisci perché Yuta urlava così tanto?»

Kumals voltò di scatto lo sguardo su di lui. «Oh! Quindi ha effettivamente urlato anche con te!»

Uther alzò brevemente le spalle, come a scacciare via la cosa come trascurabile. «All’inizio. Soprattutto quando pensava che fossi tu che stavi rispondendo.» specificò. «Poi si è relativamente calmata. Molto relativamente. Per la precisione, ci ha concesso circa quarantott’ore per o risolvere la faccenda e andare tutti da lei sani e salvi, oppure per dirle di raggiungerci. Salvo nel frattempo lei stessa non cambi idea e non decida di venire qui con le altre. Prima di tutto e perlomeno per dirci esattamente che cosa ne pensa di tutto questo di persona.»

«Affascinante…» considerò Kumals con tono apparentemente leggero e disimpegnato «Sarei quasi tentato di sforare il tempo di questo ultimatum solo per godermi la scena…»

Uther gli scoccò uno sguardo eloquente alzando un sopracciglio. «Io credo invece che se succedesse te la daresti a gambe alla massima velocità…» osservò.

«Suvvia! Non abbiamo affrontato di peggio?» domandò Kumals, con piglio forzatamente e nervosamente alleggerente, non suonando affatto molto convinto.

Uther gli lanciò un’occhiata scettica. «Di peggio… di Yuta e Andrea in contemporanea incazzate nere, accompagnate da una mezza lupa potenzialmente altrettanto irritata, e Valentine non particolarmente di buon umore? Hummm, non so, suona come qualcosa di molto poco raccomandabile alle mie orecchie.»

Kumals sembrò contemplare per un momento la cosa, lo sguardo dritto davanti a sé fisso in nessun punto in particolare. Infine corrugò decisamente la fronte. «Okay… forse… dico forse… finiremo per darcela a gambe tutti quanti… » ammise suo malgrado, con una certa cautela.

«Stavo ponderando l’idea in effetti.» osservò Uther con tono casuale.

Kumals gli scoccò un’occhiata sagace. «Non mi dire…» commentò con acuta significanza, come se la cosa non potesse stupire nessuno dopotutto.

Uther gli gettò una breve occhiataccia. «Per la cronaca… Yuta mi considera come il possibile scatenatore di tutto questo… casino.» optò come scelta di parole alla fine, con una leggera smorfia poco convinta, come se non ne fosse pienamente soddisfatto e allo stesso tempo si fosse appena reso conto che poteva essere una definizione perfettamente calzante per rendere in sunto la situazione.

«Oh, davvero?» cinguettò con falsa sorpresa candida Kumals. «Incredibile.» commentò, scuotendo la testa ancora chiaramente recitando, l’intonazione ironica di sottofondo perfettamente apprezzabile. «Ma a proposito di questo… pensavo di parlarne meglio tra poco.»

Uther si bloccò di netto, fissandolo cupamente. Kumals si girò su se stesso dopo essersi fermato pochi passi più avanti, guardandolo con calma contemplativa.

«Quindi stiamo davvero andando in un pub in modo che tu mi possa sottoporre a questo.»

Kumals lo osservò meglio, inclinando appena la testa di lato a bella posta come per sottolineare l’intenzione vagamente sorpresa della sua occhiata. «Affrontare le cose, vuoi dire?»

Uther scosse appena la testa, ma continuò a guardarlo piuttosto duramente. «Non mi pare di non averlo fatto, finora, in vita mia.»

Le labbra di Kumals si piegarono in un leggero sorriso, sincero e gentile. «Quasi tutte, Uther. Quasi tutte…»

L’altro rimase immobile, continuando a guardarlo seriamente.

Il sorriso di Kumals si acuì appena un poco di più, ma acquisì anche una sfumatura decisamente e confidenzialmente astuta. «Sai bene che non c’è un solo posto in questa città dove non sarei capace di scovarti. Ma preferirei che non mi costringessi a mettere un guinzaglio a Danny e farlo calare nella parte del cane da traccia per essere certo di trovarti in ogni possibile angolo di mondo tu ti vada a cacciare per sfuggire…»

Per qualche istante Uther continuò a fissarlo con una certa mirata durezza; dopodiché riprese a camminare, senza aggiungere una parola, mantenendo un’espressione piuttosto inscurita.

Nemmeno Kumals aggiunse altro, riaffiancandoglisi e procedendo con lui verso il pub.

Fecero il resto della strada in silenzio.

 

 

Soundtrack: Gives you hell (the All-American Rejects)

 

Note dello scribacchiatore:

Qui e là ho la tentazione di stampare magliette per un fan-club di Kumals. Preoccupante, ne convengo. Il peggio sta arrivando comunque. Intendo ‘il peggio di Kumals’. Che già da sé potrebbe essere il titolo di una raccolta dei ‘peggiori momenti alla Kumals’.

L’‘effetto boomerang’ me lo sono inventato di sana pianta. Perfetto per il personaggio di Kumals, ma non solo, come avrete arguito dal capitolo. Ammetto anche un accenno di presa in giro del cosiddetto ‘butterfly effect’ (grossolanamente detto: lo sbattere d’ali di una farfalla da una parte del mondo potrebbe scatenare un ciclone dall’altra parte del globo). Sostanzialmente, quindi, il concetto della lunga e intricata concatenazione di causa-effetto nella realtà (incalcolabile nella sua completa e arzigogolata vastità). Ma più che altro potete anche considerarla una scherzosa strizzata d’occhio al principio del karma, su cui Uther stesso ironizzava capitoli fa. ;)

 

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Capitolo 51
*** 50 - Somebody that I used to know ***


Capitolo 50

(Somebody that I used to know)

 

Il pub aveva un’aria non meno estremamente normale, quotidiana e tranquilla rispetto alle strade di Tairans. Per questo Uther probabilmente l’avrebbe già detestato molto più di quanto era abituato a trovarsi a detestare un ambiente in particolare. Ovvero, anche se non si fosse trovato nella precisa circostanza in cui si trovava, con Kumals seduto di fronte a lui con un contegno apparentemente molto rilassato e casuale, come se stesse davvero credendo che fossero lì solo per bere una birra in compagnia e rilassarsi.

Kumals finì il suo primo sorso di birra e schioccò le labbra come per degustare meglio l’assaggio, con aria quasi distratta.

«Dunque… Nonostante abbiamo appena passato praticamente tutta la giornata a strisciare tra prati, cespugli e rovi, facendo i voyeur delle faccende quotidiane di un accampamento improvvisato di mezzi lupi impazziti che probabilmente stanno per scatenarsi per tutta Tairans per metterla a ferro e fuoco… è davvero piacevole ora essere qui seduti a bere qualcosa in compagnia.»

Uther lo fissò in silenzio. Nonostante lo conoscesse da diverso tempo e più che abbastanza, persino lui non riusciva a rimanere del tutto intonso da quell’effetto distopico tra la tranquilla rilassatezza del tono e dell’aspetto di Kumals e il significato preciso di quello che aveva appena detto. D’altro canto, parecchie volte in quella stessa sorta di distopia era stato perfettamente compartecipe anche lui.

Kumals gli dedicò un’occhiata. «Beh, certo. Potremmo anche non parlare affatto e goderci questo piacevole momento di mondana tranquillità in un pacifico silenzio contemplativo.»

Uther si mise seduto un po’ più dritto, appoggiandosi con i gomiti sul tavolo e assumendo un che di solo appena rassegnato. «Stavo solo pensando alla faccenda Tairans messa a ferro e fuoco…» disse, con tono non meno casuale.

«Sì…?» lo incoraggiò Kumals, mostrando una certa curiosità.

«Beh… ripetimi un po’: perché esattamente siamo così determinati a impedirlo?»

Kumals emise un leggero sbuffo sinceramente divertito, e persino a Uther sfuggì un leggero sogghigno.

«Ohhh… » sospirò Kumals, abbandonandosi contro lo schienale «Non so, immagino perché siamo anche noi vittime di questa generale e banale concezione di ‘bene e male’, secondo la quale dovremmo in via di massima purtroppo privarci del piacevole spettacolo che potrebbe rappresentare Tairans messa a ferro e fuoco…»

«Nah… Non credo sia per quello.» scosse appena la testa Uther, ancora in tono colloquiante.

Kumals gli scoccò uno sguardo complice, alzando appena un sopracciglio. «Ah no?»

«No.» confermò Uther, scuotendo la testa con un po’ più di intenzione, e chiaramente solo per reggere meglio la scena. «Penso piuttosto che sia perché, se qualcuno dovesse proprio mettere a ferro e fuoco questa città, gli unici che secondo noi dovrebbero farlo saremmo proprio noi.» spiegò, prendendo un sorso di birra.

«Humm… interessante teoria… e una specie di declinazione del concetto di ‘difesa del territorio’, direi…» osservò Kumals ironico, fingendo di ponderare la cosa con interesse. «Ma d’altra parte questo non è più il “nostro territorio” da tempo, no?» ribatté con un accenno di sorriso calorosamente gentile.

Uther diede una breve alzata di spalle e rivolse lo sguardo altrove. «Non ne sento affatto la mancanza, se è questo quello che stai pensando. Non particolarmente. Non di Tairans, se non altro. Forse di certe giornate che abbiamo passato qui… io, te, Zoal e Yuta… forse di quelle sì. Ma solo un po’. Perché per la maggior parte, Kumals, credimi… avere un oceano che ci separa è decisamente un’occasione imperdibile per non averti tra i piedi in continuazione.» terminò, riportando gli occhi su di lui con voluta intensità provocatoria e sogghignante.

«Già…» concesse Kumals, sostenendogli e ricambiandogli perfettamente quell’espressione «E anche un’ottima occasione per approfittare del mio appartamento a sbafo, no?»

«Anche, perché no?» concesse Uther con nonchalance, il sogghigno complice e soddisfatto un poco più accentuato.

«A questo proposito, mi stavo giusto chiedendo…» continuò Kumals.

Ma a Uther non sfuggirono affatto quegli appena percettibili cambiamenti nell’intonazione e nella postura, riconoscendoli immediatamente come i segnali tipici di quando l’altro stava per rendere una conversazione apparentemente innocua qualcosa di più stringente e strategicamente pilotato.

«Sta per iniziare l’interrogatorio, vero?» lo interruppe, mentre la sua espressione diveniva seria di colpo.

Kumals lo guardò e sbatté appena le palpebre, fingendosi stupefatto. «’Interrogatorio’?» ripeté «Oh, per favore… non potresti trovare un termine meno… poliziesco? Sul serio, specie se usato da te, lo trovo offensivo.» protestò leggermente, tra il serio e lo scherzoso, e con un falso accenno di lamentosa offesa.

«La ‘tortura verbale’, forse?» offrì impassibilmente Uther come alternativa.

Kumals emise un piccolo sbuffo. «Questa è una esagerazione, suvvia.»

«Sul serio… so bene che la tua moralità è decisamente qualcosa di originalmente arrabattato, ma com’è esattamente questa forma di perversione che hai nel torchiare i vecchi amici, specialmente quando li reincontri dopo un po’ che non li vedevi?» ribatté prontamente Uther.

Con sua sorpresa, invece che restituire immediatamente la stoccata verbale, Kumals alzò lo sguardo al soffitto con un che di vagamente contemplativo. «No, non direi una perversione. Direi piuttosto un’illusione…»

«Un’illusione?» ripeté Uther, alzando un sopracciglio, suo malgrado sinceramente incuriosito, oltreché incapace per il momento di anche solo intuire quale possibilmente contorta via stesse prendendo Kumals per arrivare a quello che doveva sicuramente essere un modo di restituirgli pan per focaccia; perché dopotutto era pur sempre Kumals e dopotutto lui lo conosceva fin troppo bene.

«Oh, sai, tutti ne abbiamo bisogno in qualche misura, e ne siamo soggetti. Alle illusioni.» disse Kumals, riprendendo un tono discorsivo e apparentemente quasi svagato «E la mia… la mia rosea illusione è che un giorno le persone a cui tengo avranno sviluppato, sotto la minaccia di essere altrimenti ancora una volta sottoposti ad una di queste chiacchierate con me, almeno un più decente spirito di auto-conservazione, se non proprio una salda refrattarietà a farsi del male gratuitamente e-o con mezzi tanto assurdi che in ogni caso non li porterebbero mai nemmeno lontanamente vicino a ciò che veramente desiderano.»

Uther rimase in silenzio qualche istante, la sua espressione incupita. Poi sembrò arrendersi appena un poco. «Va bene, Kumals. D’accordo.» disse, chinandosi sul tavolo a braccia incrociate per fissarlo più direttamente negli occhi, con uno sguardo piuttosto torvo e chiaramente di sfida «Allora, se è arrivato il momento della tua “ramanzina dell’occasione”, procedi pure.»

Kumals lo guardò con un’aria stupita, del tutto a bella posta naturalmente, ma perfettamente credibile. «Ma io non volevo farti una ramanzina. Affatto. Volevo solo… soddisfare la mia curiosità.»

Uther lo studiò più attentamente, cercando il tranello, senza riuscire nemmeno a intravederlo per il momento, ma non per questo meno deciso a continuare a cercarlo. «La tua curiosità.» ripeté perciò solamente, con attenzione seria e scettica.

«Esatto.» confermò Kumals, annuendo esageratamente. «Volevo chiederti com’è andata la tua dichiarazione a Danny.»

Uther, che aveva sfortunatamente scelto proprio quel momento per prendere un rapido sorso incoraggiante di birra, se la fece andare di traverso e tossì corposamente. «La mia cosa??»

Kumals sorrise, sibillinamente e vittoriosamente soddisfatto. «Nella cantina di Mordecai. Lui stesso mi ha detto di aver sentito qualcosa del genere. Naturalmente, non era affatto sua intenzione origliare. Stava solamente cercando di capire, ascoltando la conversazione tra le voci che provenivano dalla sua cantina dopo che era appena tornato a casa trovandola in uno stato decisamente diverso da come l’aveva lasciata, che cosa accidenti potesse mai stare succedendo. A proposito, mi ha confidato di essere stato sinceramente dispiaciuto di interrompere, ma ha anche pensato che a quel punto se avesse continuato ad ascoltare e avesse dovuto interrompere più avanti nella conversazione sarebbe stato anche molto peggio.»

Uther, ripresosi forzatamente dalla birra andatagli di traverso, lo stava semplicemente guardando tra il sorpreso e il suo malgrado privo di appigli di salvataggio. Kumals si trattenne dal sorridere ancora di più e più felinamente di quanto non stesse già facendo.

«É stato un malinteso.» disse infine Uther, riprendendo a sorseggiare la sua birra con aria studiatamente disinteressata «Era un tentativo di evocare l’agente del karma cosmico. E peraltro ha funzionato.»

Kumals lo contemplò per un poco, attentamente e pensierosamente: nonostante di solito fosse perfettamente in grado senza sforzo di riconoscere gli abilissimi modi in cui Uther era in grado di mentire in maniera perfettamente convincente e credibilissimamente casuale, stavolta non ci riusciva con sicurezza.

«Sai cosa è veramente sconcertante? Che sembri crederci davvero.» ammise infine, con studiata calma.

«Perché è così.» insistette Uther con ancora più calma, finendo di bere la sua birra. «E sai tu una cosa? Penso proprio che farò a meno del resto di questa conversazione, ma grazie Kumals. Per la birra intendo.»

Uther riappoggiò il bicchiere vuoto sul tavolo e si alzò in piedi per avviarsi verso l’uscita. Un braccio di Kumals si sporse con uno scatto fulmineo, afferrandolo con una ferrea presa per l’avambraccio.

«Siediti, Uther.» disse solo. Ma nel suo tono e nel suo sguardo, totalmente piatti e calmi a vedersi, c’era qualcosa che lo rendeva quasi irriconoscibile rispetto al suo solito aspetto, e una decisione che sembrava essere convinta di essere perfettamente in grado di incidere delle parole in un diamante se solo avesse voluto o dovuto farlo.

Uther lo fronteggiò per qualche istante, perché no, quello non era davvero qualcosa di capace di farlo cedere immediatamente, per quanto ne potesse perfettamente apprezzare e comprendere la portata. Forse semplicemente le cose che più si conoscono come totalmente intimorenti, proprio perché si ha familiarità con esse finiscono per intimorire ancora di più e allo stesso tempo per renderci incapaci di ubbidire all’impellente istinto di evitare di scatenarcele addosso nonostante ci stia tirando praticamente per i capelli e gridando a squarciagola e probabilmente anche rivolgendoci notevoli imprecazioni irripetibili.

E infine tornò a sedersi. Kumals gli lasciò andare con sciolta tranquillità il braccio, e riacquisì immediatamente, e con non meno altrettanto stupefacente e in qualche modo elegante naturalezza, un’espressione rilassata e quasi casualmente svagata.

Passarono alcuni momenti di silenzio. Kumals sorseggiava la sua birra con calma, e quando passò un cameriere lì vicino gli rivolse un breve cenno per indicare di portarne un’altra ad Uther. Tornò a parlare solo quando il secondo bicchiere pieno fu appoggiato davanti all’altro, anche se questi non diede alcun segno di essere intenzionato a riprendere a bere.

«Allora… mi dicevi? A proposito di come è andata la tua dichiarazione a Danny?»

Uther sembrò optare per iniziare a bere il suo secondo bicchiere di birra. «Splendidamente, per evocare l’agente del karma cosmico.» rispose con impassibile tranquillità.

«Oh, e quindi ne è nato qualcosa?» domandò ancora Kumals, come se avesse perfettamente e compattamente ignorato la seconda parte della frase. «Tra l’altro, avevo qualche sospetto, visto che a quanto pare la nostra Andrea sta ordendo piani omicidi perché Danny non la chiama da giorni. Voglio dire, da prima che pensasse bene di trovare un modo per ridursi di nuovo in quelle condizioni disastrose.»

Uther emise un leggero verso sarcastico. «Quello è perché Danny sa bene cosa lo aspetta quando le dovrà spiegare che cosa sta succedendo qui con quei mezzi lupi.»

«Ah, però! Non sapevo che avessi una così grande capacità di analisi delle situazioni di coppia.» commentò Kumals, con sincero stupore ironico.

«Non è niente del genere. Il mio è pessimismo realista.» corresse Uther con calma.

«D’accordo. Ti concedo che in quello ho conosciuto ben pochi così bravi come te.» ammise Kumals.

«Questione di pratica costante.» rispose Uther en passant.

«Bene. La successiva domanda è se sei tornato qui per malinconia dei tempi andati, per nasconderti dal mondo in un luogo in cui poter tranquillamente affondare nell’auto-commiserazione distruttiva, o perché già sapevi di quei mezzi lupi.» proseguì Kumals, ancora con quel tono da conversazione casuale.

«Tre possibilità. È un gioco ad eliminazione, forse?» ribatté Uther, con aria compassata.

«No. So per certo che è uno di questi tre motivi che ti ha spinto a tornare qui. Avanti, stiamo parlando di Tairans. Oh, sì, certo, cittadina pittoresca, almeno nella sua parte antica, e sono sicuro che il tramonto visto dal porto è ancora molto bello come lo ricordo. Tuttavia, persone come te e me potrebbero tornarci solo perché hanno chiuso col resto del mondo e questo luogo è tutto ciò che rimane come scena di alcuni dei loro migliori ricordi, o per metterla a ferro e fuoco.» illustrò Kumals.

«Sono sicuro che moltissimi psicologi potrebbero arricchirsi scrivendo libri sul tuo rapporto con Tairans.» osservò Uther.

«Probabile. Ma dovrebbero pagarmi i diritti per il resto della loro vita. E sopportare l’idea di starmi mantenendo per un’intera vita è qualcosa a cui molti rinuncerebbero tranquillamente insieme ad un sacco di soldi, ne sono sicuro. Ad ogni modo, quale delle tre opzioni ti ha portato qui, dunque?» non desistette Kumals.

Uther sorseggiò un altro po’ della sua birra. «Non sapevo dei mezzi lupi. Ed ero qui perché volevo staccare un po’ dal resto del mondo. Non ricordo che busta era esattamente, se era la uno o la due o la tre.»

Kumals annuì tra sé e sé come se si stesse confermando qualcosa da solo. «Quindi è stata Mara a venire da te.» concluse, come se fosse una ovvietà immediatamente e logicamente consecutiva.

Dopo qualche istante di silenzio, Uther disse semplicemente «Sì.»

Kumals sospirò appena e si appoggiò all’indietro contro lo schienale, acquisendo un che di più paziente. «Immagino avrai capito subito che c’era qualcosa che non andava… Una donna bella e giovane, almeno all’apparenza, e piuttosto intelligente, di un qualche tipo di intelligenza perlomeno, che si aggira per Tairans come se non avesse di meglio dove andare, e che ti approccia come se non avesse di meglio da fare.»

«Stai mettendo in dubbio il mio fascino, Kumals?» si informò Uther, con un accenno di ironia, incrinando un poco un sopracciglio.

Kumals lo fissò più direttamente, un accenno di sorriso in volto, e si sporse in avanti sul tavolo appoggiandosi con le braccia. «Sto mettendo in dubbio che tu sia un idiota che si lascia incantare dalla prima bella donna che passa quando è evidente che potrebbero esserci altre motivazioni dal puro e semplice ‘hey, che bel tipo quello laggiù!’. Il che, se ci pensi bene, è un po’ come un complimento. O forse sono addirittura due complimenti in uno.»

«Sono quasi commosso. Cercherò di non arrossire troppo.» commentò ironico Uther.

«Dunque?» incalzò Kumals, con calma ma solida determinazione attenta.

«Perché ho dato spago ad una bella donna che mi stava circuendo con evidenti fini altri? Non so.» disse Uther, alzando le spalle «Immagino perché mi stavo annoiando. E a quanto pare quando mi annoio ho una certa predisposizione per finire dentro la qualsiasi situazione più assurda e potenzialmente pericolosa più a portata di mano in quel momento, senza starci a pensare due volte.»

«Poco ma sicuro.» commentò Kumals, con un leggero verso sarcastico, tornando ad appoggiarsi all’indietro, ma continuando a tenergli addosso uno sguardo estremamente e acutamente attento. «Ma in questo caso, credo che invece sia stato perché lei ti ha fatto il nome di Danny.»

Uther alzò gli occhi su di lui, e rimase per un momento in silenzio. «… Potrebbe essere.» mormorò infine, con precauzione.

Kumals sospirò.

«D’accordo. Mettiamo per un momento che sia andata proprio così. Ora, per la verità sospetto che non si sia limitata a farne il nome, ma che abbia cercato di dimostrarti, gradatamente e apparentemente quasi con casualità, che non solo conosceva Danny ma che aveva congrui motivi per ritenere di averlo conosciuto molto bene, di esserci stata in notevole familiarità. Mi chiedo se ti abbia detto fin dalla prima volta che vi siete incontrati che era lei che lo aveva reso un mezzo lupo. Ma questo per ora non è un dettaglio importante. Perché il passo successivo, quello che mi premerebbe riassumere ora, è che ti sei lasciato condurre in quel villaggio di mezzi lupi. E che ci sei tornato più volte. E… non sei mai stato, nemmeno nelle tue peggiori sbronze, così sprovveduto da cacciarti di tua volontà in una situazione di così palese pericolo privandoti tranquillamente di qualsiasi anche solo pallida possibilità di salvarti la pelle, o almeno di riportarne via perlomeno la maggior parte abbastanza illesa. Così… non è certo per questione di mancanza di mezzi di conoscenza e intelligenza se sei andato là più volte e che sei stato al suo gioco. Potrei pensare che fosse un raffinato piano per sabotare quello che stavano organizzando là… ma la verità è che non avevi nessun piano, non è vero? Potrei pensare che volevi giusto raccogliere il maggior numero possibile di informazioni per capire di che si trattava esattamente, ma immagino che avrai saputo tutto quello che si poteva capire e intuire di quello che stavano combinando già dalla prima volta che hai messo piede là, o giù di lì. Potrei immaginare che avessi semplicemente perduto la testa per Mara, ma non mi sembra particolarmente il tuo tipo a giudicare da quello che so di lei.»

«E come sai delle cose di lei, esattamente?» domandò Uther, sinceramente incuriosito e con un che di appena sospettoso.

Kumals emise un leggero sbuffo, agitando sommariamente una mano a mezz’aria come a dissipare quello che sembrava ritenere un interrogativo piuttosto sciocco in fondo. «Andiamo, Uther. Sai benissimo che posso scovare tutte le informazioni di cui io possa aver bisogno, all’occorrenza, in un tempo abbastanza risibile, e purché sia possibile farlo. E per quanto il… “mondo dei mezzi lupi” sia decisamente a parte rispetto a quello degli esseri umani, in questo particolare caso sapevo a chi rivolgermi. E sono stato eccezionalmente fortunato, peraltro, perché nel giro di un paio di passaggi tra diverse mie fonti sono risalito addirittura a qualcuno che conosce quella donn… quella mezza lupa molto bene.» spiegò.

Uther lo stava fissando con un sopracciglio leggermente sollevato, come se stesse cercando di soppesare esattamente quanto lui si stesse eventualmente e più che altro dando delle arie.

«Ad ogni modo, se mi permetti continuerò quello che stavo dicendo.» proseguì imperterrito Kumals, sorseggiando brevemente la sua birra. «Ovvero, il motivo per cui ti sei inoltrato in quella situazione e hai assecondato Mara e via dicendo, rimanendo senza difese. Il vero motivo, intendo. Al resto… allo scoprire esattamente cosa stesse succedendo là per poi avvertire qualcuno di noi per cercare di evitare il peggio, come stiamo cercando di fare… al resto ci avresti pensato dopo, non è vero? Non appena avessi ottenuto ciò che volevi. E il vero motivo era sempre solo uno.»

Kumals tacque, osservandolo attentamente attraverso il tavolo che li separava. Ma Uther rimase a sua volta zitto, perciò il silenzio si estese per alcuni lenti momenti.

«E questo che cosa sarebbe?» domandò infine Uther, con chiara ironia «Il momento di suspense?»

Kumals scrollò brevemente le spalle, riabbassando lo sguardo sul tavolo con fare apparentemente casuale. «Oh, devo dirlo il motivo? O lo lasciamo non detto? Cioè, mi stupirebbe se ora si potesse dirlo ad alta voce, perché se non ricordo male ogni altra volta che abbiamo cercato di affrontare l’argomento negli ultimi mesi era una specie di tabù.»

«Negli ultimi mesi?» trasecolò Uther «Che cosa c’entra con quello che è successo qui negli ultimi giorni?»

Kumals rialzò su di lui quasi di scatto uno sguardo significativo. «Il motivo è sempre lo stesso.» disse con calma sicurezza. «Il motivo per cui sei venuto a rintanarti qui a Tairans per ritirarti dal resto del mondo, il motivo per cui hai seguito Mara, e il motivo per cui sei rimasto a fare amicizia con lei e il suo seguito di impiastri in quella baraccopoli mal-raffazzonata per giorni e giorni. Il motivo per cui ciò che in fondo pensavi che sarebbe successo e speravi che accadesse… che Mara, o magari qualcun altro dei suoi accoliti da strapazzo alla fine ti avrebbe morso per cercare di mutarti in un mezzo lupo, facendoti rischiare di concerto di morire, di impazzire, o di riuscire…»

Uther non disse una singola parola.

Kumals emise un debole ma lungo sospiro, distogliendo di nuovo lo sguardo per un momento. «Sai su che cosa potrei scrivere libri io, Uther? Sul fatto che qualsiasi strada tu possa prendere per cercare di arrivare ancora più vicino a Danny, almeno un po’ più vicino di quanto tu già non sia, non ci riuscirai mai.»

Di nuovo, Uther si limitò a fissarlo in silenzio, lo sguardo un po’ più incupito e terribilmente serio.

Kumals gli rivolse un accenno di sorriso sincero e dolente. «Posso solo immaginare quanto possa far male. Perciò, come non l’ho mai fatto prima, so bene di non poterti dire niente che possa veramente aiutare… Beh, oltreché ‘aiutare’ è un concetto inoltre sgradevole, specialmente in questi casi forse. ‘Alleviare’, sì, forse è il termine più esatto… Ma comunque, quello che mi ha fatto veramente pensare che tu stessi per passare sull’altra faccia della luna col cervello, è il fatto che questo tentativo in particolare ti avrebbe sicuramente portato nella direzione nettamente opposta.»

Uther sembrò decidersi a rompere a malincuore il suo muro di silenzio, per chiedere succintamente e quasi senza intonazione «Che cosa intendi dire…?»

Kumals sembrò nondimeno ritenerlo come qualcosa di vicino ad un buon segno, perché sorrise appena un poco di più, mentre rispondeva «Pensi veramente che se ti fosse accaduto… che se ti accadesse mai qualcosa del genere, che se fossi coinvolto in un tentativo di mutazione in mezzo lupo, allora le cose potrebbero in qualche modo migliorare per te su questo frangente? No… non penso che tu possa riuscire onestamente a pensare una cosa tanto superficiale e incongrua. Ma quello che mi ha stupito sul serio… è che tu sia stato capace di desiderare di tentare qualcosa per la quale, una volta che Danny l’avesse scoperta e soprattutto avesse scoperto che ti eri messo in balia di essa volontariamente, non ti avrebbe mai potuto perdonare. Mai.»

Uther sembrò colto da un sincero stupore confuso. «Perdonarmi?»

Kumals annuì lentamente. «Di avergli fatto questo.» precisò «Perché ci sarebbe arrivato, prima o poi. Coi suoi tempi. Magari un po’ lentamente… lento come riesce ad essere lui su queste cose… credo che sia questione che non ha un metodo valido. Magari qualcuno avrebbe dovuto fargli uno schema e illustrarglielo… Tuttavia, prima o poi ci sarebbe arrivato. Avrebbe capito com’era successo, e chi era stato. E avrebbe capito ciò per cui non avrebbe mai potuto perdonarti: che l’avessi fatto per lui.»

Uther fece una smorfia dolente e rivolse lo sguardo altrove. «Non l’avrei fatto per lui.» obbiettò.

Kumals sembrò sinceramente sorpreso. «No?» si informò, alzando un poco un sopracciglio, piuttosto dubbioso.

Uther scosse un poco la testa. «Non in quel senso. Non per… ‘essergli più vicino’, come dici tu. Penso che anzi l’avrei evitato apposta perché non sapesse mai cosa era successo. Ammesso che sopravvivessi.»

Kumals inclinò un poco la testa di lato, come se stesse ponderando qualcosa tra sé e sé con una certa curiosità. «Quindi era la tua garanzia per essere costretto ad evitarlo per il resto della vita?»

Uther gli scoccò un breve sguardo perplesso. «No.» rispose, come se fosse stupito che lui avesse potuto pensare ad un ragionamento così contorto.

«Che cos’era allora?» insistette gentilmente Kumals, con fare paziente.

Uther distolse di nuovo lo sguardo, facendolo vagare distrattamente e pensierosamente per l’ambiente. «Forse solo tu potresti capirlo, dopotutto… Sì… forse giusto tu.»

Kumals alzò di nuovo un sopracciglio, perplesso e interrogativo, ma si guardò bene dal tentare anche solo una mezza sillaba, avendo la sensazione che fosse in quel momento molto più tattico non rischiare nemmeno per sbaglio di interrompere quello che poteva essere forse un inizio di un flusso di coscienza aperta: un genere di cose che, nel caso di Uther, probabilmente avevano più o meno la rarità della morte e sostituzione di un papa, per quanto gli poteva dire la sua conoscenza di lui.

«Ti ricordi…» proseguì Uther, ancora con quel tono distratto e quasi contemplativamente pensieroso «Di quando passavi minuti e minuti a spiegarmi… a vantarti di quanto avessi studiato e riflettuto su come potesse essere il modo in cui un mezzo lupo percepisce e sta nel mondo? Quella faccenda dei ‘piani del reale’, e via dicendo?»

Kumals si lasciò sfuggire una piccola smorfia di leggero fastidio, ma ad ogni modo confermò con un semplice e attento «Sì, mi ricordo.»

Uther tornò a fissarlo direttamente. «Perché hai smesso di farlo?»

Kumals sbatté le palpebre. «Di parlartene? Non ho smesso di parlartene. Ho smesso di starci a rimuginare sopra così tanto.»

«Perché?» insistette Uther. C’era qualcosa di singolarmente intento e quasi disperatamente interrogativo che non sfuggì al suo interlocutore.

Kumals lo guardò bene, e infine appoggiò i gomiti sul tavolo, incrociò le dita delle mani e vi appoggiò il mento sopra, contemplandolo con nuovo interesse, mentre rispondeva «Perché… mi sono reso conto che avevi ragione.»

Uther si stupì. «Io?»

Kumals annuì. «Oh sì. Quello che dicevi… e che io pensavo fosse solo una specie di pigra scusa o di recondita paura verso l’approfondire un argomento così affascinante… ma avevi ragione, a proposito del fatto che è inutile arrovellarsi così tanto su qualcosa che qualcun altro semplicemente vive come la sua realtà. Si finisce per illudersi di poterla capire come se la si vivesse, quando in realtà per chi non la vive rimane solo qualcosa con cui giocare con la propria immaginazione, e pertanto decisamente e irrimediabilmente diverso dal viverla.»

Uther corrugò la fronte. «Non ricordavo quest’ultima parte…» commentò.

Kumals agitò appena la mano a mezz’aria, come se non fosse quello il punto importante. «L’ho aggiunta io forse, o forse l’hai rimossa… e così hai iniziato a tua volta a lambiccarti fin troppo su questa cosa della realtà vissuta da un mezzo lupo. Così, vedi, la mia preoccupazione non era rivolta ad un ‘ecco fino a che punto è arrivato Uther’, quanto al ‘che cosa diavolo deve stare passando, per essere arrivato fino a questo punto?’.»

Uther fece una smorfia e il suo tono suonò rimbrottante «Anche tu ti lambiccavi parecchio il cervello all’epoca, ma non mi pare che fossi infatuato di Danny.»

Kumals sollevò appena un sopracciglio, e abbassando lo sguardo, con un leggero sorriso scherzoso che gli aleggiava sulle labbra, commentò al di sopra del bicchiere di birra che si era portato alla bocca «Perché, se lo fossi stato saresti geloso?»

Uther lo fulminò con uno sguardo particolarmente duro, intento e con un che di ferito.

Kumals si bloccò e dedicandogli uno sguardo sinceramente pentito disse subito «Oh, scusami. Perdonami. Davvero. Questa era esagerata.»

Uther sospirò pesantemente, lasciandosi andare contro lo schienale e alzando gli occhi al soffitto con aria esasperatamente rassegnata. «D’accordo… ora hai verificato le tue teorie? Sei soddisfatto? Possiamo mettere fine a questo… questa cosa… questo parlare con te come se cercassi di scaravoltare come un calzino il tuo interlocutore?»

Kumals lo contemplò alzando un poco un sopracciglio. «Non so.» ammise quietamente, alzando brevemente le spalle «Di solito preferisco terminare quando ho l’impressione che ci sia stata almeno una certa rielaborazione cosciente.»

Uther gli lanciò un’occhiata scontenta, e si sporse infine in avanti sul tavolo, guardandolo con intenzione. «… E di che cosa esattamente pensi che non sia ancora così cosciente?» gli domandò, sinceramente interessato ma anche con una certa dose di sfida.

«Penso che ti sia sfuggito un punto, che ancora ti sfugga.» replicò con posata calma Kumals, e una certa nonchalance. «Un punto che a me sfuggiva completamente quando ero così preso dall’immaginare la condizione di un mezzo lupo.»

Uther alzò un sopracciglio, guardandolo con un certo scetticismo. «E quale sarebbe questo fatidico punto?»

«É stato come un punto di svolta per me.» proseguì Kumals, imperturbabile «E quando ci sono arrivato, pensavo che tu, a differenza mia, lo avessi invece colto subito. Forse non mi sbagliavo. Forse allora lo avevi colto, ma inconsapevolmente, e poi… poi ti dev’essere sfuggito.»

Uther sospirò. «Va bene… puoi smetterla di farla tanto lunga e dirmi quale sarebbe questa benedetta chiave di volta secondo te?»

Kumals rialzò di colpo lo sguardo dritto nel suo, con una sicurezza seria e intenta. «Danny non lo ha scelto.» puntualizzò dopo qualche istante di silenzio. «Di divenire un mezzo lupo.»

Uther lo continuò a guardare, ora completamente assorto in un’attenzione concentrata, ma sembrava non particolarmente colpito. Quella, se non altro, era abbastanza un’ovvietà per chiunque di loro.

«In base a quello che mi hanno detto di Mara…» proseguì Kumals «E a quello che lei ha messo su qui, quella specie di circo… Mi rendo conto che lei possa pensare che l’unico modo di prendere questa cosa di diventare un mezzo lupo sia una specie di “dono”, qualcosa di sicuramente e benevolmente rivoluzionario. Tuttavia… non mi sarei mai aspettato che proprio tu arrivassi a pensarla in questo modo… proprio perché conosci bene Danny. E lui non mi pare il tipo da idealizzare la sua natura; tutt’altro. Dunque… forse se sei stato capace di arrivare attualmente al punto di non aver più lucidamente presente ciò che all’epoca dovevi aver intuito a pelle riguardo a Danny… è perché non gliel’hai mai chiesto esplicitamente.»

Uther diede di nuovo segno, tramite la sua espressione, di non stare capendo cosa esattamente volesse dire, e allo stesso tempo come se lo sospettasse, ma non riuscisse ad afferrarlo precisamente. «Chiesto cosa…?» domandò, leggermente perplesso.

Kumals annuì un poco tra sé e sé, come confermandosi da solo la sua riflessione. «E questo è il mio consiglio, allora. Visto che non credo mi stessi sbagliando.» si interruppe brevemente e di nuovo fissò Uther direttamente negli occhi, con seria intenzione ma anche un palpabile accenno di sinceramente affettuosa gentilezza «Chiediglielo, Uther. Chiedigli com’è per lui essere un mezzo lupo, esserlo diventato senza sceglierlo…»

Uther si fece istintivamente indietro, muovendosi lentamente, e si mosse un poco come se si sentisse improvvisamente scomodo, una leggera smorfia di disagio. «Credo di poter già sufficientemente immaginare la risposta…» disse piano, abbassando lo sguardo.

Kumals gli sorrise un poco di più, ancora con quell’inclinazione di gentile affetto. «Ma è diverso, no…?» obbiettò con tranquillità, riprendendo il suo bicchiere di birra e abbassando lo sguardo per un momento. «È diverso, io credo, sentirlo dire direttamente da lui.» proseguì, mentre la sua espressione sembrava per un momento tornare alla memoria di qualcosa di relativamente lontano. I suoi occhi poi tornarono a puntare direttamente su Uther, con quell’acuta attenzione ora decisamente ammorbidita, ma non per questo meno incisiva. «E… se dopo avrai ancora intenzione di renderti così apertamente disponibile per farti morsicare da qualche mezzo lupo, ti prometto, Uther, che ti accompagnerò personalmente e ti aiuterò e sosterrò finché non ci sarai riuscito.» affermò.

Ora era il tono di Kumals a contenere un vibrante accenno di sfida, sebbene particolarmente e familiarmente affettuosa, così che suonò quasi accorata.

Uther sapeva che in un certo senso stava mentendo, ben sapendo che era qualcosa di sostanzialmente scontato per entrambi. Kumals non l’avrebbe mai davvero aiutato in qualcosa del genere. Ma la formula stava venendo comunque posta come una scommessa su cui puntare tutto, a segno del fatto che l’altro era davvero convinto che, se lui avesse seguito il suo consiglio, dopo non avrebbe mai e poi mai più nemmeno pensato di fare qualcosa del genere.

«… Kumals?» chiamò dopo qualche momento di silenzio Uther, ancora fissandolo dritto negli occhi, con tono serio ma ora quasi quieto.

«Sì…?» rispose l’altro con consimile calma, sorseggiando la sua birra senza fretta.

«Tu gliel’hai chiesto?»

Kumals alzò lo sguardo con un accenno di sorriso. «Sì, l’ho fatto. Diverso tempo fa.»

«Ah.» fu tutto ciò che commentò Uther dopo un poco, senza altra particolare inclinazione nel tono apparentemente, tranne quella di una semplice e piatta constatazione.

Kumals emise un piccolo verso burberamente ironico e piuttosto divertito. «Mpfh… Mi conosci abbastanza bene da non chiedermi che cosa mi disse. Sai che non te lo direi… dal momento che credo che dovresti chiederglielo tu stesso e sentire da te la risposta…» commentò quietamente.

Uther non si diede nemmeno la pena di rispondergli. Non c’era altro da aggiungere. E quello era quanto mai ovvio.

Perciò continuarono a bere le loro birre in un silenzio condiviso con tranquilla abitudine, e che aveva una natura quasi palpabile; qualcosa che sembrava sancire tacitamente che una qualche tempesta era appena passata, e che quello era pertanto un momento di quiete nuovo di zecca, e allo stesso tempo consueto e perfettamente familiare.

 

 

Soundtrack: Somebody that I used to know (Gotye feat Kimbra)

(dalla quale ho anche preso il titolo per questo capitolo, ovviamente)

 

Note dello scribacchiatore:

Questo capitolo mi è venuto decisamente lunghetto, ma spero ne valga la pena alla lettura!

Questi due personaggi sono davvero… terribili. Già se presi singolarmente cioè, ma in combo proprio… Immagino che se fosse stato presente Ramo avrebbe iniziato ad un certo punto a cercare di strisciare via senza farsi notare :p

Riguardo alla domanda che Kumals consiglia di porre a Uther, in realtà non è un mistero per nessuno la possibile risposta; è già comparsa in riflessioni o parole di Danny nei precedenti capitoli, e Uther stesso può facilmente già saperla per via della sua conoscenza di Danny, ma quella di Kumals è a tutti gli effetti una sorta di sfida ad avere il fegato di fare qualcosa che, se raccontato dalle parole stesse di chi lo ha vissuto, dovrebbe risultare affatto come un buon obbiettivo.

Alzi la mano chi vorrebbe Kumals come suo personale super-conscio in versione torturante per (forse) buoni fini dopotutto. Okay… no eh? Sì, certo, posso capire perfettamente… :p

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Capitolo 52
*** 51 - Wicked game ***


Capitolo 51

(WICKED GAME)

 

----- N.B.: questo capitolo è interamente un flashback. Precedentemente ho usato il corsivo per i flashback, ma a dirla tutta forse un intero capitolo in corsivo potrebbe essere un po’ pesuccio, fatto sta che stavolta vi avverto prima ;) ----

 

Era un qualche giorno della settimana; era una certa ora della molto tarda serata di un’estate come un’altra a Tairans; e quello era un bar che prima o poi, di lì a forse al massimo un paio d’ore, avrebbe finito per chiudere.

Questo era tutto quello che Uther aveva ben presente al momento. E non perché tutto il resto giacesse annebbiato, come accartocciato ai margini della consapevolezza, sospinto via quasi come se si trattasse di un processo fisiologico da alcool. Non aveva affatto bevuto così tanto, quella sera; francamente, riteneva impossibile per quasi chiunque potersi sbronzare così tanto con soli tre bicchierini di qualcosa di sì forte ma non certamente assegnabile alla categoria dei ‘torcibudella’ e ‘torcineuroni’ veri e propri. Tre bicchierini peraltro dilazionati nel corso di tre ore di starsene seduto lì, e peraltro dopo che aveva iniziato a stomaco pieno.

No, il fatto era che più propriamente stava da giorni piuttosto sistematicamente portando avanti questo esercizio di accantonare le cose che non gli sembravano immediatamente e direttamente fondamentali, momento per momento. E credeva di aver scoperto che gli riusciva particolarmente bene, dopotutto.

Per questo al momento le uniche cose di cui doveva veramente preoccuparsi erano il livello del liquido alcolico contenuto nel suo terzo bicchierino che si abbassava, il fatto che nessun’altro tra baristi e avventori gli dedicasse più di una semplice e distratta attestazione della sua presenza come se fosse stato una qualsiasi comparsa parte dello sfondo, e se i gestori di quel bar avrebbero deciso di lasciarlo lì col suo bicchierino mentre iniziavano a pulire e sistemare, come considerandolo una delle ultime cose da sistemare chiedendogli di uscire solo prima di chiudere effettivamente l’ingresso, o se fossero piuttosto quel tipo di baristi che prima si assicurano che tutti gli ultimi clienti siano usciti e solo a quel punto iniziano a sistemare e ripulire per la chiusura. Lui avrebbe decisamente preferito la prima opzione tra queste ultime due. Se non altro perché essere considerato con ancora meno attenzione, come se fosse un semplice oggetto innocuo che si poteva sistemare per ultimo, piuttosto che un vero e proprio cliente da trattare con una certa formalità di base, era per lui preferibile al momento.

O forse l’essere considerato come un qualcosa di piuttosto immancabilmente, pervicacemente e quasi sfacciatamente fuori posto era qualcosa che sembrava coincidere meglio con lui, e con la sua vita in generale. Non lo era sempre stato, in fondo, fuori posto? Fuori-luogo, sempre e comunque. Non sempre per scelta cosciente e voluta; anzi, la maggior parte delle volte nella sua vita a determinare il suo essere fuori-posto forse erano state dopotutto quel tipo di cose della vita che al massimo sembrano solo delle scelte, quando non sono piuttosto come una sorta di destino o di natura intrinseca della propria persona. Come se non potesse fare a meno, in quanto lui, di finire in un qualche modo comunque fuori posto.

Poteva tranquillamente essere stato semplicemente quello a portarlo a incontrare e finire dentro e di mezzo ai ‘4 di picche’, che per eccellenza erano sempre in qualche modo fuori-luogo. Con la differenza che, se lui da solo aveva in fondo sempre percepito quell’essere fuori posto come qualcosa di simile ad una specie di destino potenzialmente piuttosto malinconicamente deprimente, nei ‘4 di picche’ l’essere fuori-luogo era diventata una caratteristica non solo sbattuta in faccia al mondo con un qualche tipo di indefinibile e spensierato orgoglio animato con leggerezza attraverso i più disparati luoghi e attraverso le più svariate persone, ma anche consapevolmente accettata senza ombra di vergogna, anzi, vissuta fino in fondo senza risparmiarsi mai. E goduta fino in fondo, con una certa briosa auto-ironia perennemente sospesa in sottofondo. Non era dopotutto il modo migliore di prendere la vita quello? Con briosa e instancabile auto-ironia? Uther riteneva di sì. E avrebbe intimamente desiderato essere più continuatamente bravo in quello, ma sapeva in fondo che non lo era mai stato così tanto e così ininterrottamente come quando era stato parte dei ‘4 di picche’.

In definitiva, al momento non avrebbe più saputo dire se ora, proprio in quel momento e in quel bar e in quel qualsiasi giorno della settimana e ora della tarda serata fosse, quel suo tenerci ad essere fuori posto fosse più come un rivendicare il suo essere stato parte dei ‘4 di picche’ per un prezioso e rocambolesco periodo della sua vita, e sicuramente il migliore periodo della sua vita, oppure un semplice cercare di riadattarsi suo malgrado a quel suo essere fuori posto personale e individuale, privo di qualche vera e propria connotazione del tutto positiva o negativa, quanto piuttosto come un lasciarsi andare alla deriva in un indefinito e inafferrabile sorta di limbo liquido e fin troppo sgradevolmente denso e melassoso che sembrava appiccicarglisi addosso rifiutandosi di lasciarlo andare così facilmente.

Ma poteva essere più facilmente la seconda, delle due. Perché era quella che sembrava adattarsi meglio al suo stato d’animo di quei giorni. Dopotutto si trovava a Tairans da giorni. Lì dove aveva incontrato ed era finito di mezzo ai ‘4 di picche’ per la prima volta, anche se allora nessuno di loro aveva ancora avuto in mente di potersi battezzare in un modo del genere. Ma era pur sempre lì che si erano formati inizialmente i ‘4 di picche’, ancora prima che lui arrivasse per caso in quella città. Eppure, nel corso di quei giorni lui aveva scoperto che le uniche tracce rimaste di quello, del fatto che Tairans era stata inconsapevolmente – e probabilmente suo malgrado se qualcuno si fosse mai sprecato a fare una specie di sondaggio in giro tra gli abitanti, peraltro inconsapevoli appunto – la città natale dei ‘4 di picche’, ovvero semplicemente l’appartamento dove avevano abitato lui e Kumals, e a tratti semi-abitato anche Yuta e Zoal, non erano abbastanza. Non abbastanza a rendere l’idea di quanta importanza avrebbe potuto dare lui, per esempio, all’origine di ciò che erano stati, e che sarebbero sempre rimasti per lui, i ‘4 di picche’. Una natura decisamente inafferrabile e indefinibile, come doveva essere, come era condizione esserlo per tutte le cose migliori, a suo parere.

Uther sapeva perfettamente che tutto quello, il giocare nella propria testa e con le proprie emozioni attorno al passato guardando ad esso come se fosse stato una sottospecie di destino che doveva pur compiersi in un modo o nell’altro, guardandovi cioè dal presente voltandosi indietro come se fosse qualcosa di scontato, aveva qualcosa di intrinsecamente inutile, perso in partenza, pericolosamente ingannevole e facilmente auto-lesionista. Come uno strumento per auto-tormentarsi. Ne aveva tutta l’aria, di essere un esercizio eseguito con uno strumento fatto quasi apposta per farsi del male. Ma pur avendolo saputo fin dall’inizio, aveva pensato di poterlo invece usare come strumento di ricerca. Di che cosa, non avrebbe saputo dirlo con esattezza, nemmeno se avesse passato un’altra intera vita a pensarci, probabilmente. Non doveva forse rimanere qualcosa di completamente inafferrabile, la natura dei ‘4 di picche’, per poter rimanere così preziosamente unica ai suoi stessi occhi?

Forse stava solo cercando qualcosa più a proposito di sé, in effetti. Ma sospettava profondamente che lo stava facendo in un modo per sua natura completamente inutile, e in qualche modo non ben definibile del tutto a se stesso. Tornare a cercare di reincrociare le imperscrutabili strade della pura casualità che lo avevano portato a imbattersi all’inizio nei ‘4 di picche’ (che all’epoca nemmeno si chiamavano così) aveva tutta l’aria di essere una di quelle metodologie completamente sbagliate già in partenza; figurarsi se si poteva pretendere dunque, usando un metodo completamente sbagliato già dall’inizio, di poter approdare ad un qualche risultato in qualche modo veritiero o utile o rivelatorio.

Ma forse la verità era che non cercava nessun significato, spiegazione o rivelazione. Molto probabilmente non ne aveva bisogno. Molto probabilmente aveva già tutte le risposte già da molto tempo. E il come lui avesse per forza dovuto essere di suo addirittura così fuori posto da riuscire ad esserlo persino tra i ‘4 di picche’, per eccellenza fuori-luogo di loro implicita natura… beh, forse la risposta era semplicemente proprio nel fatto che era lui, che era nella sua natura.

Forse dopotutto non era finito a Tairans per cercare qualcosa che non c’era e non poteva esserci, un qualche segno profondo rimasto intaccato da qualche parte lì a segnare il suo inizio con i ‘4 di picche’ prima che anche solo si chiamassero a quel modo. Forse era finito lì per una sorta di implicita convinzione – sommersa da qualche parte diversi piedi al di sotto del livello della sua coscienza più auto-consapevole – a proposito del fatto di poter aver bisogno di mettere fine a qualsiasi cosa stesse continuando a trascinare come zavorra dietro di sé, tracciando un cerchio che poteva finalmente chiudersi su se stesso. Quindi, lì dove era iniziata, lì in qualche modo doveva finirla. Come, ancora non ne aveva alcuna idea, né indizio, né ispirazione.

Infine, forse stava solo aspettando qualcosa. Qualsiasi cosa che gli desse un qualche indizio o ispirazione a proposito di come poter riuscire a chiudere quello che qualcosa in lui aveva ostinatamente deciso dovesse rivelarsi alla fine della forma di un cerchio.

 

Ad un certo punto – mentre non proprio rifletteva su tutto questo, quanto piuttosto lasciava che un miscuglio di quelle e altre considerazioni scorresse come in sottofondo, mentre lui si preoccupava diligentemente solo del livello del liquido nel suo bicchierino e di come calava ad ogni suo sorso distratto, e di sorvegliare vagamente i movimenti dei baristi cercando di interpretare se e quando si fossero eventualmente decisi a chiudere il locale e se avrebbero iniziato dal fare uscire lui o dal sistemare i tavoli e pulire il bancone lasciandolo lì ancora un poco con una qualche sorta di sensibile concessione – qualcosa attirò il suo sguardo di colpo.

O meglio: qualcuno. Qualcuno che gli aveva fatto rivolgere gli occhi in quella direzione semplicemente perché si stava muovendo in un modo ostentatamente calmo e casuale, ma era evidente alla sua capacità di osservazione consumata e istintiva che si stava dirigendo miratamente verso il suo tavolo.

Per un momento si infastidì decisamente. Se c’era qualcosa che avrebbe volentieri evitato senza dubbio, era che chiunque decidesse di dedicargli fin troppa attenzione, figurarsi addirittura avvicinarglisi miratamente o, ancora peggio, pensare di provare a rivolgergli la parola. Ma poi qualcos’altro iniziò a risvegliare come istintivamente una certa curiosità, assieme ad una notevole e non meno istintiva attenzione penetrante e sul chi va là.

Forse era solo per via che quella che gli si stava avvicinando non era solo una donna relativamente giovane e di una bellezza affascinante in modo chiaramente conturbante, ma che aveva qualcosa nello sguardo e in ogni singola movenza che lasciava intendere, specialmente a lui forse, che c’era qualcos’altro in lei. Qualcosa di non comune, qualcosa che non si poteva semplicemente piazzare nella categoria delle eventuali particolarità individuali e caratteriali di una personalità decisa ed estremamente auto-cosciente; qualcosa che piuttosto sembrava richiedere di essere attenzionata con molta acutezza e perspicacia, per non rischiare di ritrovarsi facilmente e rapidamente in balia di qualcosa di pericoloso, e pericoloso in un modo non immediatamente categorizzabile e definibile lucidamente, e per questo intrinsecamente ancora più sottilmente inquietante.

La donna continuò ad avvicinarsi finché non si fermò praticamente di fronte a lui e lo fissò, ferma in piedi dall’altra parte del tavolo. E lui aveva nel frattempo deciso, ora che ce l’aveva proprio davanti e decisamente vicino, che quelle impressioni istintive che il vederla avvicinarsi miratamente a lui gli avevano suscitato, non potevano che essere confermate ora. Ma guardandola ancora più da vicino – e ancora molto prima che lei gli rivolgesse un sorriso solo apparentemente gentile e casuale, quanto piuttosto in qualche modo sottilmente sinistro, appena tagliente, ed estremamente intelligente, sicuro di sé e perfettamente auto-cosciente – Uther seppe con certezza che lei sapeva benissimo che lui aveva avuto quelle sensazioni al solo vederla avvicinarsi. E non sembrava per niente che la sua sicurezza fosse intaccata da quella consapevolezza, anzi, sembrava essersene piuttosto divertita.

Uther capì in quell’esatto momento e senza ombra di dubbio: che quel circuirlo che lei aveva iniziato a fare non appena aveva iniziato a incamminarsi nella sua direzione sapendo benissimo che lui l’avrebbe notata, non aveva strettamente a che fare con un approccio come un altro tra sconosciuti in un bar, ma qualcosa di predatorio in tutt’altro senso, e qualcosa di molto simile ad un lanciare una sfida che si è convinti di poter vincere facilmente.

Perciò, Uther sorrise un poco di rimando, lasciandole intendere tranquillamente, con solo una piccola sfumatura chiaramente tagliente e sottilmente ricambiante l’eventuale minaccia all’angolo delle labbra, che non aveva intenzione di tirarsi indietro. E forse era solo perché essendo lui non poteva tirarsi indietro; o forse era solo perché al momento non aveva in effetti di meglio da fare. Forse era solo perché era stato parte dei ‘4 di picche’ dopotutto, che diavolo, e aldilà del particolare che il gruppo esistesse ancora o meno, lui non poteva che riconoscere istintivamente ormai, e quasi immancabilmente, quando qualcosa di interessante e incuriosente, per quanto potenzialmente inquietantemente pericoloso, si presentava. Specialmente se si presentava così apertamente e direttamente e miratamente.

Perciò quando la donna gli chiese semplicemente «Heylà. Posso sedermi?», con quel tono trasudante una casualità solo apparente e di facciata che non si preoccupava affatto di essere del tutto credibile, e che molto più realmente aveva un che di supponentemente superiore e sicuro di sé e divertito di un divertimento tutto suo, e che sembrava accompagnarsi in qualche modo perfettamente all’aspetto di lei e alla natura taglientemente penetrante e attenta del suo sguardo in qualche modo predatorio, Uther si limitò ad alzare le spalle e a fare un sommario cenno verso la sedia libera di fronte a lui, scegliendo attentamente quella più lontana dalla sua e dall’altra parte del tavolo con pienamente consapevole strategia, e rispose solo «Fai pure.», come se per lui non facesse tutta quella differenza.

La giovane donna si sedette, sempre senza staccargli quello sguardo di dosso. Non era uno sguardo del tipo che si preoccupasse minimamente di poter fare provare un istintivo disagio a chi ne veniva fatto oggetto, e che allo stesso tempo sembrava perfettamente consapevole di questo e trovarlo parte integrante di una qualche specie di gioco.

Il fatto era che Uther iniziava ad avere anche un’altra singolare sensazione a proposito di lei: era come se avesse qualcosa di appena familiare; nonostante fosse assolutamente certo di non averla mai vista prima.

«Ci siamo forse già visti da qualche parte prima?» gli domandò lei proprio a quel punto, distendendo un poco l’appuntita meticolosità analitica del suo sguardo e optando per un tono ancora più da conversazione casuale e assolutamente comune, di quel tipo che si potrebbe svolgere con qualcuno che si è deciso di approcciare in un bar per pura sportività.

Uther si stupì suo malgrado solo per un momento, preso in contropiede da come lei sembrasse quasi avergli letto nel pensiero. Ma subito dopo si sforzò con impegno doveroso di scartare quell’assurda ipotesi, e di concentrarsi sul ben più realistico fatto che lei stava semplicemente portando avanti quella che sembrava voler intendere essere come un gioco a doppia lama, mostrando solo il lato tagliente più piacevole, quello che voleva apparire come un approccio casuale e flirtante in un bar.

«Non credo…» iniziò, prima di sorridere appena di nuovo, ma senza guardarla e con fare distratto. Molto bene, se quella donna voleva giocare, lui non si sarebbe certo tirato indietro. E se anche non aveva ancora idea esattamente di che gioco fosse, o meglio non riusciva ancora a vedere l’altro lato della lama, quello probabilmente tagliente in modo spiacevole, aveva tutta la curiosità e l’intenzione di partecipare alla sfida finché non l’avesse scoperto. «Ma forse è un peccato.»

Con sua sorpresa vide un fugace ma appuntito luccichio freddo e soddisfatto fiammeggiare nello sguardo della donna. «Oh, sì. Sicuramente lo è, un vero peccato. Ma possiamo rimediare ora, no? Che ne dici?»

Uther la guardò per un momento in un breve silenzio. Durante il quale si chiese quanto veramente potesse rivelarsi pericoloso quel lato della lama a doppio taglio che ancora non era scoperto, perché qualcosa iniziava a dirgli che poteva superare le sue peggiori aspettative a riguardo. Ma ricacciò indietro quella sensazione preoccupante e rispose con calma «Perché no?», alzando di nuovo appena le spalle e sorridendole nuovamente, in modo totalmente sogghignante e di sfida apparentemente complice.

«Mara.» disse lei a quel punto senza preamboli, facendo appena un gesto con la mano a mezz’aria per fingere un accenno di sarcastico inchino.

Lui esitò un momento, considerando l’ipotesi di dare un nome finto. Ma non riuscì a capire perfettamente il perché di quell’istintiva tentazione, perciò si limitò a dire, di nuovo con apparente calma disponibilmente compartecipe «Uther.»

Lei sorrise appena, con felina intelligenza. «Piacere allora, Uther.» rispose semplicemente tuttavia, con un accenno di a malapena presunta casualità colloquiante «Che cosa ti porta da queste parti?»

Uther alzò appena un sopracciglio. «Cosa ti fa pensare che io non ci viva, da queste parti?» ritorse.

Lei sogghignò di nuovo appena, divertita, ma Uther aveva la netta sensazione che un tipo del genere potesse divertirsi solo con giochi che tesseva lei stessa, mai in condivisione di divertimento con qualsiasi altra persona. «Non saprei. Un’intuizione. Forse due persone straniere rispetto ad uno stesso luogo possono riconoscersi come entrambe estranee al luogo in cui si trovano in quel momento. Non pensi?»

«Non ne sono sicuro.» rispose con attenzione Uther. «Potrebbe essere. Dunque, anche tu non sei di qui.»

Mara rise sinceramente divertita, anche se non pareva esserci nessuna vera e propria nota che Uther avrebbe accostato alla gioia in quel suono. Tutt’altro. Aveva un che di implicitamente sinistro e tagliente, come praticamente il resto di lei.

«Ottima deduzione.» si complimentò lei, ironica e falsamente complice, fissandolo con intenzione attenta. Il suo sguardo aveva una singolare capacità, nella sua intensità magnetica, di fare sentire qualcuno come se lei potesse tranquillamente tenerlo inchiodato sul posto semplicemente guardandolo in tal modo. E dava tutta l’impressione di esserne perfettamente consapevole, di esserci quanto mai abituata, al punto da ritenerla una cosa scontata e facile come un gioco di un gatto con una fragile farfalla. «In effetti, sto ancora cercando di capire che cos’abbia di così potenzialmente interessante questa città, dopotutto.»

Uther alzò appena le spalle, e bevve un altro sorso dal suo bicchierino, senza comunque perderla d’occhio. «Dubito che ne abbia affatto, a tutti gli effetti.»

«Tuttavia…» disse lei lentamente «Non sembri qualcuno che è capitato qui per caso.»

Uther la guardò con un po’ più di durezza nello sguardo. «Cosa te lo fa pensare?»

«Oh…» rispose con calma lei, come se ritenesse di avere tutto il tempo del mondo a sua disposizione per continuare quella sorta di gioco che lui ancora non riusciva del tutto a inquadrare chiaramente «Era solo una speranza, per così dire. Speravo che potessi mostrarmi qualcosa di interessante da vedere da queste parti.»

Uther alzò appena le spalle di nuovo. «Mi dispiace… Sono abbastanza sicuro che non ci sia assolutamente niente da queste parti degno di una gita turistica.»

Mara inclinò appena la testa da un lato, studiandolo con rinnovata attenzione. Per un istante il suo sguardo e la sua espressione divennero di botto completamente e assolutamente seri. Uther si irrigidì istintivamente di concerto, e cercò di non darlo a vedere, sospettando che di lì a poco avrebbe potuto iniziare a scoprire fin troppo chiaramente che cosa quella donna voleva esattamente da lui. Da diversi minuti aveva la vivida ma ancora puramente istintiva sensazione che lei volesse attaccarlo, in un modo quanto mai fisico e diretto e pericolosamente ferente. E con una fredda meticolosità micidialmente efficace.

L’istante successivo tuttavia lei stava di nuovo riprendendo la sua maschera di falsa cordialità casuale e scherzosamente complice, non per questo meno fredda a percepirsi, e sogghignando appena gli disse, con un tono però più basso e profondo, come se avesse deciso di fargli una confidenza «Chissà… Magari allora potrei conoscerlo io, un luogo interessante da queste parti da mostrarti.»

Uther lo trovò, con un certo stupore, un tentativo fin troppo banalmente scoperto ed evidente per appartenere ad una trappola, specialmente a giudicare da una certa raffinatezza sottile e intelligenza penetrante che sembrava emanare da quella donna. «Dici davvero?» domandò, senza nascondere un’ironia venata di sarcasmo cinico.

‘Che cosa sei? Che cosa diavolo sei?’ stava pensando tra sé e sé, con crescente irritazione e un certo nervosismo. Ed era qualcosa che gli risultava nuovo. Ogni altra volta che i ‘4 di picche’ si erano ritrovati per ore o giorni a non riuscire a capire esattamente che cosa o chi avevano di fronte, riguardo a qualcuno dei loro casi, era più che altro l’urgenza e la curiosità e l’impegno a farla da padroni. Ma ora si sentiva improvvisamente insufficiente, da solo, per cercare di capire questo. Se ne sentiva sgradevolmente in balia, come se avesse la fastidiosa sensazione che effettivamente non sarebbe mai riuscito a capire le intenzioni di quella donna o quali capacità non si premurasse troppo di nascondere, non fino a quando lei stessa non avrebbe deciso di passare ad una fase successiva del suo gioco in cui glielo avrebbe mostrato apertamente e senza ombra di dubbio alcuno. Per esperienza, sapeva bene che quel momento poteva essere un istante troppo tardi per lui per cavarsela decentemente.

La donna ridacchiò appena, con falsa giovialità, alla sua risposta. Dopodiché si chinò in avanti sul tavolo verso di lui e abbassò il tono della voce, lo sguardo magnetico incollato su di lui, e a Uther ancora non sfuggì nemmeno per un momento la natura sinistramente predatoria d’esso.

«Stavo solo pensando…» disse lei, con accorta lentezza «Visto che siamo così bravi a chiacchierare tra noi, perché non ci schiodiamo da questo inutile bar e andiamo a fare una passeggiata, Uther?»

Uther trattenne a stento una smorfia per l’utilizzo studiatamente e sgradevolmente confidenziale del suo nome, e le rivolse invece un sorriso volutamente falso e attento. Dopotutto, quella tizia non doveva essere così acuta come poteva sembrare, se riteneva che lui potesse cadere in un tranello talmente palese come quello di accettare un invito a seguirla in chissà quale strada poco trafficata della città in cui sarebbe stato facilmente esposto ad un agguato. Ancora, tuttavia, lo irritava non riuscire a capire che cosa fosse esattamente lei, o perché ci tenesse a considerarlo una sorta di vittima, per ottenere che cosa esattamente? Quella era la parte difficile di quando i ‘4 di picche’ avevano a che fare con… qualcosa… Fintanto che si trattava di semplici esseri umani, era relativamente facile e quasi scontato scegliere tra i possibili scopi che li spingevano a fare o dire qualcosa: i soldi, l’attrazione sessuale, il potere, i sentimenti, oggetti da ottenere, il successo, la vendetta, persone da trovare, la fama… e poco altro. Ma quando, come Uther aveva la sensazione in quel momento, non si trattava di qualcosa di del tutto e puramente umano… gli scopi potevano essere dedotti solo allorquando si fosse capito esattamente che cosa si aveva di fronte.

Uther alzò appena le spalle e prese un altro sorso del suo amaro, assumendo volutamente un’aria apparentemente tranquilla e svagata. Aveva deciso che avrebbe semplicemente atteso di vedere che cosa succedeva, perché in genere, se ci si limitava con la massima calma a non assecondare minimamente chi si aveva di fronte, c’era almeno qualche probabilità che le cose venissero in qualche modo esplicitate proprio dalla persona in questione.

«Non credo sia una buona idea, ma grazie. D’altra parte, credo che qui si stia molto comodi, in effetti.» rispose con calma.

La donna che si era presentata come Mara non sembrò tuttavia affatto delusa o irritata o sorpresa. Al contrario, si rifece di nuovo indietro sulla sedia con tranquillità, ma il suo sorrisetto astutamente divertito si accentuò, e mantenne il tono confidenzialmente abbassato. «Non sei affatto uno stupido…» iniziò ad osservare con placida calma.

Uther sollevò appena un sopracciglio, rivolgendole un attento ma comunque moderatamente significativo sguardo interrogativo.

«Tutt’altro, vero…?» proseguì impassibilmente lei, osservandolo ancora con quella sorta di sinistro divertimento. «Lo hai già capito. Non è così?»

Uther si limitò ad alzare ancora di più il sopracciglio, fingendosi un po’ più sorpreso e confuso, anche se tra sé e sé stava invece pensando semplicemente con soddisfazione affatto stupita ‘Ci siamo. Puntualmente…’. Perché la sua semplice strategia sembrava stare dando i soliti buoni frutti, dopotutto.

«E che cosa, dovrei aver capito?» chiese semplicemente.

Mara sogghignò ancora un poco di più, come se avesse perfettamente afferrato la finzione del suo comportamento. «Che non sono come tutte le altre, no?» ribatté tuttavia, scherzando calcolatmente.

Uther rifletté rapidamente. D’accordo, forse non sarebbe stato così semplice, dopotutto, ma si sentiva ancora abbastanza fiducioso. Era comunque un inizio. E lui non aveva alcuna intenzione di cedere. «Nessuno di noi è come tutti gli altri.» osservò, prendendola alla larga e genericamente «Ma nel tuo caso… immagino che riguardo a quello che ti riferisci, ce ne saranno altre come te.»

Era logico, dopotutto. Se quella donna non era semplicemente un’umana, dovevano esserci altri individui che condividevano la sua natura, qualsiasi essa fosse.

Un freddo baluginio sinistro e soddisfatto passò come un fugace lampo negli occhi di lei, che sogghignò di nuovo, con un significativo apprezzamento, dando a Uther la sgradevole sensazione di aver appena detto qualcosa che aveva involontariamente e del tutto erroneamente tirato acqua al mulino di lei più che al suo.

«Oh, sì, indubbiamente.» rispose Mara, sempre tenendolo inchiodato con quello sguardo intento «D’altro canto, avrei dovuto aspettarmelo… che tu fossi in grado di riconoscerci. Dopotutto, conosci uno di noi molto bene…»

Uther si irrigidì appena, istintivamente. Ora non aveva la più pallida idea di che cosa lei stesse parlando. E questo non gli piaceva per niente. Si limitò perciò a sostenere lo sguardo di lei, il suo un poco più indurito, senza rispondere nulla. Stava iniziando ad avere una brutta sensazione, ma così sottile che non riusciva ad afferrarla. E ancora non capiva, non capiva troppe cose. Ma aveva anche la sensazione che la sua capacità di gestire la situazione con preciso calcolo e per quanto possibile a suo vantaggio gli stesse rapidamente scivolando via tra le dita, come se improvvisamente ciò che fino ad un attimo prima pensava di stare impugnando abbastanza decentemente si fosse tramutato in acqua.

«E si dà il caso…» proseguì Mara, il suo sguardo attento che sembrava incresciosamente capace di cogliere esattamente quelle sue sensazioni, o almeno capace di darne tutta l’impressione «Oh, che combinazione, no? Si dà il caso che costui sia proprio una nostra comune conoscenza.»

Uther alzò anche l’altro sopracciglio, e il tono gli uscì ora apertamente duro come il suo sguardo. «Ovvero…?» domandò semplicemente. Quella sottile brutta sensazione si stava acuendo, come se lui non riuscisse a fare niente per impedirlo.

Mara stava di punto in bianco scoppiando in una breve risata, priva di gioia e volutamente esagerata. «Vuoi forse dire che Danny non ti ha mai parlato di me? Che maleducato…»

E Uther raggelò.

Gli occorsero diversi secondi, ma sapendo perfettamente quanto fosse strategicamente pessimo mostrarsi in qualche modo in balia di qualcuno che stesse usando una precisa strategia, si sforzò di replicare in tono ancora forzatamente neutro «Danny, dici? Perché questo nome dovrebbe dirmi qualcosa?»

Mara emise un piccolo sbuffo sarcastico e scosse appena la testa, un angolo delle labbra ancora piegato in quel sogghigno freddamente divertito. «D’accordo, cambiamo gioco Uther…» disse, il tono ora un po’ più cupo e ancora più sinistro. Si chinò nuovamente un poco in avanti sul tavolo. «Giochiamo a carte scoperte. So benissimo che conosci Danny molto bene. Anche se il vostro rapporto di colleghi non è lontanamente paragonabile a quello che ho avuto io con lui… Sì, sicuramente conosco Danny decisamente meglio di quanto possa conoscerlo tu. Molto meglio. Perché io conosco quello che Danny è veramente, molto più di questa sua facciata da brava caricatura di cane. Io conosco il lupo che Danny è… o, forse, almeno che è stato. Ma non è qualcosa che si può lasciare del tutto da parte, essere un lupo, come se fosse una scelta. Io conosco la vera natura di Danny, Uther. Potresti dire altrettanto?»

Uther ancora non riusciva a capire, ma si stava decisamente alterando. «Bene.» annunciò, in tono duro e compatto. «Poniamo per un momento che io stia capendo di che diavolo tu stia parlando… Ma prendi questa affermazione per le pinze… Che cosa vuoi da me?»

Mara sbatté appena le palpebre, fingendosi innocentemente stupita, e tornando ad appoggiarsi all’indietro alla sedia. «Come, non te l’ho forse appena detto? Mi piacerebbe semplicemente che venissi a fare una passeggiata con me. Vorrei mostrarti un luogo davvero molto interessante…»

Uther continuò a guardarla duramente, ma aprì uno spiraglio in quell’occhiata per dedicarle uno sguardo assai scettico e affatto amichevolmente sarcastico, inviandole chiaramente il messaggio implicito che se davvero sperava di fregarlo con così poco, poteva anche lasciare perdere.

Tra sé e sé, tuttavia, nella sua testa si stava scatenando una tempesta di pensieri che si scontravano burrascosamente e tragicamente in catastrofici incidenti multipli. Perché suo malgrado ora aveva un corposo sospetto… quello di aver capito che aveva per la prima volta in vita sua davanti un altro mezzo lupo che non fosse Danny… e che quel mezzo lupo non solo sembrava effettivamente conoscere Danny, ammesso che non stesse spudoratamente mentendo… ma a quanto pare ne sapeva fin troppo, non solo su Danny, ma anche su di lui e sui ‘4 di picche’. La prospettiva si scaravoltava: Uther realizzò che non era una semplice vittima scelta casualmente, ma che quella donna – o mezza lupa – aveva puntato miratamente su di lui, e conosceva il suo aspetto anche se lui non l’aveva mai vista prima. Uther si stava ancora chiedendo magistralmente: che diavolo sta succedendo? Ma non poteva concedersi abbastanza tempo per tentare di capirlo, o di prendere una decisione opportuna, o che almeno lo sembrasse; perché lì era da solo, non c’era nessun’altro dei ‘4 di picche’, e se quella che aveva di fronte era davvero una mezza lupa, lui sapeva perfettamente – conoscendo le capacità di Danny – che avrebbe potuto, se solo lo voleva, staccargli la testa in un attimo e senza troppo sforzo.

Come se gli avesse letto nel pensiero, o come se avesse una particolare – ma forse non troppo per un mezzo lupo – capacità di fiutare il timore, Mara sorrise di nuovo in quel suo modo pungentemente acuto e freddamente sinistro.

«Oh, non devi preoccuparti… Non ho intenzione di farti alcun male. In caso contrario, ti garantisco che non saremmo stati qui seduti a dialogare amabilmente tutto questo tempo… Non è mia abitudine perdere tanto tempo in queste sciocchezze quando ho intenzione di liberarmi di qualcuno. Ma nel tuo caso, Uther… sebbene tu sia solo un essere umano, devo confessare che sono molto incuriosita. Vedi, ho sentito circolare delle voci. Voci singolari. Si dice che tu abbia in qualche modo “ammaestrato” un lupo, tempo fa. Ora, vedi, io so che i lupi non sono ammaestrabili. Mai. In nessun caso. È proprio questo ciò che li distingue sostanzialmente dai cani. Quindi… questo che cosa fa esattamente di te, Uther? Colui che ha rivelato la natura di cane di Danny, o colui che si è illuso che un lupo possa diventare un cane, invece di fingere solamente di esserlo, o forse persino di auto-illudersi di poter essere un cane? Ammetterai che è un caso davvero interessante!».

E di nuovo rise, portando appena indietro la testa, con una risata priva di ogni gioia e volutamente calcata, chiaramente pregna di un deliziato divertimento di cui era certa essere l’unica a beneficiare in quel frangente.

Ora Uther non tacque perché lo scelse strategicamente, ma perché non aveva più nulla da dire. I suoi stessi pensieri si erano come spenti di colpo, e si sentiva la testa stranamente vuota, e come se le forze lo stessero abbandonando lasciandogli il corpo come quello di una bambola di pezza o poco più. Ora sapeva davvero che aveva perso, e che era inutile tentare di illudersi di poter gestire quella situazione: ora sapeva perfettamente che era inutile fare finta di non essere effettivamente e completamente in balia di quella che aveva di fronte. O forse lo era stato fin dall’inizio, fin da ancora prima di poterlo anche solo immaginare, fin da quando lei era venuta a cercarlo.

Mara lo stava fissando di nuovo. «Penso di poterti mostrare molto più sulla nostra natura… sulla natura che condivido con Danny… di quanto tu possa aver mai capito o immaginato da che hai conosciuto per la prima volta un mezzo lupo, Uther.» gli disse, la voce ridotta a poco più che un mormorio basso e cupo, ma invitante e convinto, certo come la notte.

Uther rimase ancora in silenzio.

E dopo qualche momento, la vide sogghignare un poco di più, con evidente completa soddisfazione. E seppe così, prima ancora di averlo capito lui, che lei per prima gli aveva letto in qualche modo addosso la resa.

 

Soundtrack (e credits) :

Closing time (Semisonic)

Wicked Game (versione originale di Chris Isaak / o la cover di Emika) – da cui ho preso il titolo del capitolo

 

Note dello scribacchiatore:

Lo stile di questo capitolo è… volutamente un po’ convoluto e fumosamente addensato su se stesso. Come dichiarato dallo stesso capitolo, ci sono qui una serie di “giochi potenzialmente malsani”, da quello di Uther con se stesso e i suoi pensieri, a quello tra Uther e Mara (che forse finisce per racchiudersi esattamente sulle stesse linee di quello di Uther con se stesso: ad un certo punto mi è sorta l’immagine, rileggendolo per correggerlo, di Mara che nella sua natura predatrice sa esattamente su quale preciso punto della sua preda andare a chiudere le fauci per averla definitivamente vinta alla fine, ovvero quando si è stancata di giocare e basta). Spero, a parte le mie intenzioni sullo stile, che sia leggibile senza farsi venire il mal di testa o giù di lì :p Anche questo capitolo mi è venuto un po’ più lunghetto della media che cerco di tenere… ma ogni volta che l’ho riletto, mi dispiaceva tagliare qualcosa. Ad ogni modo, come sempre sono interessato alle vostre osservazioni in merito, se vi va di farmela sapere!

D’accordo… è definitivo: le ambientazioni da bar (o pub) in questa storia hanno un che di decisamente ricorrente, nevvero? E, no, la serie non è ancora finita, sappiatelo! ;p Ma in realtà questa tradizione per i ‘4 di picche’ è cominciata molto prima in senso cronologico di trama…come scoprirete un giorno o l’altro ;)

Ebbene, ho finito per scegliere questo capitolo per rendervi partecipi di una cosa. Il nome ‘Mara’ è inteso come una delle versioni del nome ‘Marzanna’ (ci sono anche altre versioni di questo nome), ovvero il nome di una dea appartenente alla cultura dell’Europa dell’est, dalla Polonia fino a Russia e Bielorussia (almeno, da quel che ho capito), che rappresenta la morte e la rinascita nel ciclo della vita della natura in senso pagano (la morte in autunno e inverno, la rinascita in primavera). O almeno, così ho letto in giro (e non ne so molto di più di così, almeno per ora). Nel caso potesse incuriosirvi, prima ho scelto il nome Mara, poi ho scoperto la sua origine, quindi ho scoperto l’esistenza di una certa serie tv di cui mi sono innamorato (fino al punto di scrivere pure una fanfiction su di essa) in cui c’è un personaggio che alcuni chiamano proprio ‘Marzanna’. Coincidenze (i personaggi della serie su cui ho scritto una fanfiction dissentirebbero ;p). Non preoccupatevi, non vi serve assolutamente sapere nulla della fanfiction che sto scrivendo o della serie da cui prende spunto per continuare a leggere questa storia ;)

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Capitolo 53
*** 52 - Signs ***


Capitolo 52

(SIGNS)

 

[questo capitol è interamente un altro flashback, ebbene sì ;p]

 

Una volta, Mara lo aveva portato particolarmente lontano. Anche se non sarebbe stato esatto dirlo come se si trattasse di una vera e propria eccezione; per tutto il periodo che aveva passato insieme a lei, era sempre stato così: Mara girava in lungo e in largo, chilometri e chilometri macinati via senza troppo sforzo grazie al procedere in forma di lupo, quindi con la resistenza e capacità naturale di trottare a passo sostenuto per distanze notevoli

E Danny la seguiva, semplicemente. Era stato scontato, per tutto quel periodo, che lui l’avrebbe seguita e basta. Come se nient’altro dopotutto potesse avere senso da farsi o anche solo da pensarsi. E come ogni cosa che sembri perfettamente sensata in se stessa, e sia completamente priva di rivalità con una qualsiasi altra anche solo semplice concezione di alternativa, Danny non l’aveva mai messa in discussione nemmeno tra sé e sé allora, né tantomeno vi aveva riflettuto sopra.

Ma era piuttosto le cose che a volte Mara gli diceva, gli voleva insegnare, o gli mostrava, che gli evocavano spesso reazioni interne tra le più disparate e – quasi immancabilmente – così prepotentemente forti che risultava praticamente impossibile non impattarvi contro e dovervi più o meno avere a che fare in un modo o nell’altro.

Così era stato anche quella volta, anche se si era trattato di una di quelle pochissime volte in cui Mara non gli aveva voluto dare una lezione dura e spietata, terra-terra e crudamente pragmatica; bensì, quella volta era stata forse l’unica in cui gli avesse mostrato qualcosa che sembrava poter avere un respiro più ampio, in qualche modo. Forse, almeno un poco più ampio del semplice essere legati alle regole di preda e predatore, di sopravvivenza e morte, che lei riteneva parte integrante e spirito autentico dei mezzi lupi.

Forse era per questo che lui si ricordava ancora così bene quella volta, che gli era rimasta così impressa. Perché per una volta lui aveva avuto la sensazione di poter vedere, in una supposta lezione che lei gli impartiva, qualcosa di più, che lei non riusciva a vedere. Forse era stata quella la prima volta in cui aveva iniziato a concepire, anche se ancora inconsciamente, che la conoscenza ed esperienza di Mara potessero avere dei limiti; ma soprattutto, che lui avrebbe potuto incappare in quei limiti e vederli e individuarli abbastanza distintamente.

Mara percorreva territori quasi esclusivamente selvatici in lungo e il largo, instancabilmente. E lui la seguiva. Si muovevano per cacciare, perlopiù, e all’inizio Danny era perfettamente consapevole che lei si spostasse da una parte all’altra di mezzo mondo principalmente per mostrargli ambienti selvatici con caratteristiche diverse tra di loro, e per fargli cacciare con lei prede svariate, dai conigli fino ai caribù, nei boschi più morbidi dai climi temperati fino alle rigidità estreme delle tundre passando per l’arsura delle steppe: ogni luogo aveva i suoi punti di vantaggio e quelli di difficoltà per un lupo, per sopravvivere cacciando. E ogni luogo aveva anche la sua popolazione umana con le sue diverse abitudini di avere a che fare coi lupi. L’essere umano, l’unico vero nemico di un lupo, l’unico cacciatore di un lupo, l’unico per il quale il lupo potesse essere una preda… come gli aveva detto e ridetto Mara aspramente; ma aveva anche sottolineato che senza le proprie aggiunte artificialità, l’essere umano era più originariamente la preda e il lupo – se ne aveva voglia, o più che altro se aveva veramente molta fame e non c’era di meglio in giro da poter rimediare – il suo predatore.

Quella volta, Mara sembrava volergli mostrare qualcosa che rendesse più saldamente certo e radicato quello che lei diceva in proposito, come se fosse una legge antica e immortale che proveniva direttamente dagli albori del mondo… beh, o perlomeno di quel mondo dominato dai mammiferi, ovvero solo in una fascia d’età assai più recente e giovane rispetto all’età complessiva del pianeta. Ma, ad ogni modo, Danny non aveva idea, come ogni volta, dove lei lo stesse conducendo. Lui la seguiva, semplicemente, e aveva imparato fin dall’inizio che era inutile tentare di chiedere dove stessero andando, perché le risposte di Mara a quella domanda potevano andare, a seconda del suo umore del momento, da un divertito e superiore ‘Lo vedrai quando arriveremo.’, ad un doloroso ringhio o morso d’avvertimento di non irritarla con stupidaggini.

Quando si svegliavano dopo aver riposato, lei a volte sceglieva di intraprendere a partire da quel momento e da quel giorno uno spostamento particolarmente lungo, che sarebbe potuto durare giorni o settimane; così, semplicemente, lei si avviava e lui la seguiva, senza avere idea se stessero solo andando a cacciare qualcosa da mangiare nelle circostanze o piuttosto iniziando uno di quei lunghi spostamenti. Lo avrebbe scoperto mentre procedevano, e basta.

E quella volta si era ritrovato a seguire Mara in un qualche paese che lui non sapeva, perché raramente le strade che percorrevano, tra i boschi e le foreste e le praterie e le steppe o le distese innevate, erano dotate di segnali stradali o frontiere, cosicché ogni confine di stato o nazione perdeva ogni senso, così come era per ogni animale. C’erano praterie relativamente secche, e catene montuose di moderata altezza confondibili con colline dall’aspetto roccioso, una serie di rupi sparse come a casaccio sulle quali si arrampicavano e abbarbicavano sterpaglia e cespugli selvatici dall’aspetto riarso e sgraziato, qui o là decorati da piccoli fiorellini selvatici d’aspetto contrastantemente tenero e vagamente elegante.

Mara l’aveva condotto una notte addentro le strade di un piccolo paesino di pochi abitanti, naturalmente evitando accuratamente come al solito ogni contatto con qualsiasi essere umano.

L’entrare dentro centri abitati lo facevano raramente, di solito per procurarsi qualche abito più o meno della loro misura da poter indossare quando assumevano la forma umana per lo spazio di poche ore, o eventualmente quando Mara sembrava aver semplicemente voglia di aggirarsi tra gli esseri umani con la loro forma umana, tutta piena di una sua freddamente allegra e superiore letizia sinistra per il poterlo fare senza che nessuno sospettasse che i due che gli stavano passando accanto per la strada erano in realtà due mezzi lupi nella loro forma umana.

Anche quello era parte di un argomento di lezione da impartire da parte di Mara, di una sorta di addestramento per Danny; o meglio, com’era sempre stato da che stava insieme a lei, un’altra parte della sua nuova vita con la quale prendere confidenza, alla quale abituarsi così tanto quanto finalmente – soprattutto per la scarsa pazienza di Mara, e anche per un leggero ma persistente nervosismo e sospetto di inadeguatezza da parte di lui – non solo la sua razionalità, ma anche e soprattutto il resto di lui l’avrebbe considerato naturale come se l’avesse sempre fatto, come se avesse sempre vissuto a quel modo. E a quel tempo era ormai per gran parte proprio così; gli era divenuto naturale ad un certo punto, o doveva essere andata così, perché ora si muoveva seguendo lei e facendo ogni gesto nel modo più scorrevolmente corretto e preciso, senza pensarci nemmeno sopra, come se scivolasse attraverso quei luoghi e quei gesti quasi come in un sogno che gli apparteneva remotamente, o come se fosse il sogno di qualcun altro nel quale lui era un protagonista accidentale e casuale creato giusto per quello scopo, un personaggio in un sogno di qualche persona sconosciuta. E non pensava mai alla sua vita precedente, semplicemente non gli veniva più nemmeno da farlo spontaneamente, e a stento la ricordava bene, la sua vita precedente, come se quella fosse stata invece un suo sogno, sbiadito nel tempo, e comunque tutto sommato privo di tutta questa importanza.

Avevano trovato un negozio di abiti privo di allarmi, ed entrandovi dentro in piena notte, con Mara che aveva forzato la porta del retro semplicemente con un calcio che ne aveva rotto la serratura, avevano rapidamente ed efficientemente trovato dei vestiti della loro misura e più o meno di loro gusto, scegliendoli ognuno per sé, muovendosi individualmente tra la merce. Una volta vestiti, Mara era uscita, e lui ancora l’aveva seguita.

Con sua sorpresa, tuttavia, Mara era uscita di nuovo dal centro abitato, tornando a inoltrarsi tra macchie boschive e lande riarse sparse tra basse catene rocciose. In un bosco, Danny aveva semplicemente intuito immediatamente cosa Mara avesse intenzione di fare quando lei si era fermata in un punto e aveva ripreso a spogliarsi, e lui aveva fatto lo stesso di concerto. Dopo aver più o meno nascosto gli abiti nella vegetazione, dal momento che difficilmente qualche essere umano si sarebbe venuto ad aggirare da quelle parti come indicavano gli odori e le tracce presenti, nessuna delle quali di esseri umani ma solo di altri animali selvatici, avevano ripreso le loro forme di lupo.

Danny si era ritrovato a seguire di nuovo Mara per diverse ore, finché lei non si era fermata di fronte alla base di una delle tante montagne rocciose apparentemente tutte consimili, e aveva ripreso la sua forma umana. Danny aveva fatto altrettanto, senza ancora capire che cosa lei avesse intenzione di fare, semplicemente assecondandola e seguendola. E Mara, senza come al solito degnarlo di alcuna attenzione particolare, si era incamminata entrando in una specie di angusta grotta che si apriva nella roccia. E Danny, come al solito, l’aveva seguita.

All’interno della grotta c’era un vago odore di terra e, più forte, di roccia, e l’aria a contatto con la pelle divenne più fresca nell’ombra scura. Ma Mara non si inoltrò molto oltre nella grotta, che comunque appariva relativamente piccola. Si fermò invece in un punto preciso, girandosi a fronteggiare una parete, e quando Danny alzò lo sguardo, si ritrovò a trattenere appena il respiro per la sorpresa.

Le pitture rupestri erano sparse più o meno disordinatamente sulla roccia, alcune un po’ rovinate e sbiadite, altre un po’ più chiare nonostante la vernice primitiva un poco sgretolata.

Danny spalancò gli occhi, affascinato. Non aveva mai visto in vita sua prima d’allora delle pitture rupestri dal vivo; e forse era il disegno chiaramente primitivo, o la consapevolezza che le persone che le avevano immaginate e le mani che le avevano tracciate sulla nuda roccia lo avevano fatto molti secoli prima, o l’ambiente in penombra e leggermente freddo e silenzioso e un poco umido della piccola grotta, ma rimase incantato e osò respirare solo piano, come se non volesse disturbare il profondo sonno di qualcosa di antico. O, più propriamente, probabilmente era il fatto che non c’erano solo figure grezzamente e più o meno stilizzate di esseri umani e ungulati ritratti in quei disegni, ma anche delle forme canine.

‘Lupi…’ aveva pensato Danny tra sé e sé, incantato, mentre il suo sguardo si spostava senza fretta su ogni singola sagoma dipinta, contemplando i disegni primitivi attentamente.

Dopo qualche istante, una sensazione più fredda e pungente gli aveva fatto distogliere lo sguardo, avendo percepito l’attenzione di Mara concentrata su di lui in qualche modo assai significativamente; raramente lei lo degnava di molta attenzione, salvo quando aveva un motivo ben preciso per farlo. Guardandola, Danny aveva realizzato che in effetti lei lo stava fissando con quell’attenzione concentrata di quando sembrava aspettarsi che lui facesse qualcosa di ben preciso, qualcosa che lei voleva che facesse.

Per un momento era stato sul punto di chiederle qualcosa, ma si era saggiamente trattenuto all’ultimo, sapendo bene che puntualmente lei sarebbe stata più o meno assai indisposta da un suo porre una qualsiasi domanda, come se le considerasse sempre e comunque stupide, o come se il suo osare porre una domanda ad alta voce fosse il chiaro segnale per lei che lui stava già sbagliando tutto. Così aveva finto per tacere, e intuendo dallo sguardo di lei che Mara si stava assicurando che lui osservasse bene le pitture rupestri, Danny era tornato a volgere lo sguardo di nuovo sulla parete rocciosa tracciata da quei segni.

Erano quasi tutte scene di caccia, con piccoli gruppi di ungulati che correvano, e piccoli gruppetti di esseri umani ugualmente stilizzati che li rincorrevano impugnando delle lance alzate. Ma qui o là c’erano quelle pochissime figure canine, anch’esse tutte ritratte nell’atto di correre, intorno agli esseri umani e agli ungulati indistintamente, cosicché non sembrava facilmente interpretabile chi o cosa stessero inseguendo, o da chi o cosa stessero fuggendo.

‘Cani…’ aveva pensato vagamente Danny per un momento, ragionando che se erano stati umani a ritrarli in una scena di caccia, i canidi dovevano figurare come loro alleati nella caccia.

Ma poi il suo sguardo aveva trovato un angolo isolato della raffigurazione che non sembrava affatto una caccia, con sua sorpresa. Non era riuscito a capire che cosa sembrasse esattamente, ma i suoi occhi erano rimasti incollati sulle due figure rappresentate, come ipnotizzati da qualcosa della scena che non riusciva a interpretare esattamente. Una delle figure era un essere umano, e l’altra era un canide; una di fronte all’altra, immobili, le due figure sembravano semplicemente fronteggiarsi così, in una sorta di perenne sospensione che sembrava poter significare qualsiasi cosa, o forse non significarne alcuna.

Danny aveva perso il senso del tempo, continuando a scrutare quelle due figure come se cercasse di scorgervi qualcosa che sembrava essere il fulcro della raffigurazione, qualcosa di profondo e importante, che tuttavia pareva riuscire a correre appena un poco più davanti a quel suo impegnato tentativo, come una preda che inspiegabilmente continuasse a riuscire a sfuggirgli per appena poco di più di un soffio, giusto quel tanto da rimanere inafferrabile all’infinito.

Poi Mara si era mossa, di fianco a lui, e sempre senza proferire parola aveva iniziato ad uscire dalla grotta. Danny aveva esitato appena un momento in più, sentendosi tirato dal desiderio di rimanere ancora lì a fissare quell’immagine, a rincorrere quel senso che gli sembrava di percepire, anche se avesse finito per rivelarsi per sempre inafferrabile. Ma infine, suo malgrado si era mosso a sua volta, seguendo Mara, anche lui in completo silenzio, ancora come se non volesse rischiare di turbare il silenzio antico e profondo all’interno di quella grotta.

 

Ore più tardi, Danny si trovava a miglia da quella grotta persa chissà dove con le sue pitture antiche, testimoni di un passato estremamente remoto, e il cui senso si era forse ormai da moltissimo tempo perduto attraverso i secoli e l’evoluzione delle storie dei discendenti delle figure che vi erano rappresentate, che eppure un tempo dovevano aver vissuto calpestando quella stessa terra che calpestavano ora coloro che vi vivevano e morivano sopra.

Di nuovo nella sua forma umana e vestito con gli abiti umani di sua ultima e più recente acquisizione, Danny seguiva quasi affiancando Mara che passeggiava con ritmo agilmente leggero e privo di pensieri e sicuro di sé come sempre, lungo la sera tarda di una cittadina come un’altra, vicino alla zona periferica dalla quale erano entrati.

L’asfalto scorreva loro sotto i piedi come se non avesse importanza, e gli edifici passavano ai loro lati come se fossero trascurabili, gli esseri umani passanti lungo la strada parevano solo comparse insignificanti ai margini della loro attenzione. Quello era il modo in cui Mara si muoveva attraverso qualsiasi agglomerato umano: come se fosse estranea e superiore a qualsiasi cosa potesse accadervi che riguardava le vite degli esseri umani; come se trovasse il tutto così superfluamente sciocco e banale da essere noiosamente appena passabile di giusto un sogghigno superiore concesso a malapena en passant.

Danny aveva una consimile tendenza a non curarsi particolarmente di ciò che avveniva in una qualsiasi delle città che occasionalmente attraversavano in forma umana, ma non perché si sentisse superiore o lo trovasse uno spettacolo di inferiorità implicita. All’inizio, mentre Mara sembrava aspettarsi che lui cogliesse un qualche implicito divertimento sogghignante rispetto al passare in mezzo ad esseri umani perfettamente ignari di che cosa loro erano in realtà, Danny era stato piuttosto nervoso fino allo spasmo, temendo inconsciamente e senza poterne fare a meno che qualcuno si accorgesse di qualcosa di strano o diverso in loro. Ma poi aveva imparato, anche se non esattamente la lezione che Mara intendeva impartirgli, o forse più che altro si era ricordato chiaramente: non quanto loro due fossero così bravi a spacciarsi per essere umani perfettamente normali, ma quanto almeno la maggior parte delle persone di una città fossero così naturalmente capaci di ignorare chiunque ti passi accanto lungo la strada quasi quanto fossero capaci di ignorare anche se stessi per quanto possibile, o almeno ciò che realmente provavano e pensavano.

Danny aveva realizzato di essersi sentito estraneo in buona parte del mondo e delle situazioni in cui si era ritrovato ben prima di divenire un mezzo lupo, anche se sicuramente in modo in buona parte diverso; da quel punto di vista, dopotutto, non era dunque cambiato molto da quando era divenuto un mezzo lupo, e riusciva a percepire chiaramente il suo essere perfettamente estraneo in qualche modo anche e ancora, sebbene in un senso un poco diverso in quella sua nuova natura di mezzo lupo. Per certi versi, e singolarmente e spiazzantemente, era talvolta come essere ancora esattamente quello che era prima di diventare un mezzo lupo, solo in una versione un poco diversa della stessa solfa, come poter rivivere le stesse sensazioni da una prospettiva diversa ma non così discordante rispetto a prima. Semmai, anzi, ora era come avere una scusa più cospicua e precisa per dare un senso a quel modo di vivere le situazioni: che diamine, almeno ora poteva dire che era un mezzo lupo. Il fatto che quella continuasse a suonargli appunto come una debole scusa insufficiente a spiegare, più che una motivazione, beh, si era abituato anche a quella sorta di consapevolezza di sottofondo.

«Che cosa hai visto oggi, in quella grotta?» gli chiese Mara di punto in bianco, il tono vago e distratto; ma conoscendola quel tanto che la conosceva, Danny intuì che il suo disinteresse fosse solo un inganno apparente e superficiale: lei voleva che lui le desse la risposta giusta, quella che voleva sentire.

E come Danny aveva imparato a fare quando non aveva idea di quale potesse essere la risposta giusta secondo lei, e quando nondimeno iniziava a sentirsi invaso dal timore di uno o più dolorosi morsi punitivi dietro l’angolo, scelse la tattica risposta «Non ne sono sicuro.»

Mara gli scoccò un breve sguardo di sbieco, luccicante di intelligenza acuta e penetrante, ma Danny provò comunque un relativo sollievo, perché sapeva che lei non riteneva punibili i suoi tentativi di eludere la domanda di solito, come se li interpretasse come un suo ammettere la superiorità di lei e si rendesse disponibile ad accettare senza requie la lezione che sarebbe seguita.

All’inizio era stato così. All’inizio Danny era quanto mai propenso ad ascoltare ogni lezione e a cercare di assorbirla e impararla il più possibile, perché Mara era la sua unica guida e il suo unico appoggio in quella nuova dimensione della sua vita, come mezzo lupo. Ma ora che ormai da tempo aveva imparato a cavarsela decentemente – sebbene lui stesso non avesse ancora realizzato così coscientemente quanto la sua dipendenza da lei non avesse più a che fare con la stretta necessità di sopravvivere – tendeva piuttosto a lasciare che lei la pensasse così. Per evitare il peggio da parte di Mara a sue spese.

«I lupi sono sempre stati cacciatori, Danny.» disse Mara, tornando a guardare davanti a sé mentre camminava, parlando con quel tuo tono e quel suo sguardo profondi e intensi, come se stesse pronunciando una verità inconfutabile.

«È ciò che siamo. La nostra natura. E gli uomini sono sempre stati prede, fintanto che non hanno costruito oggetti artificiali che permettono loro di averla eventualmente vinta contro di noi in uno scontro non ad armi pari. Perché ad armi pari, non reggerebbero mai un confronto con noi senza perdere miserevolmente e in pochissimi istanti. Gli uomini sono sempre stati la nostra preda, è nella loro natura.»

Danny rabbrividì appena, ma quando notò che lei spiava appena verso di lui con la coda dell’occhio, si limitò ad annuire con un cenno della testa; si disse che era solo un gesto per segnalarle che aveva sentito e compreso le sue parole, e che lei lo interpretasse come un assenso, quello era solo il modo in cui lei decideva di prendere la cosa.

«Perciò, ora solo in un’occasione il lupo può diventare una preda.» proseguì Mara, tornando a guardare dritto davanti a sé mentre camminavano lungo le strade notturne semi-deserte a passo rapido ma senza fretta «E cioè, solo da una creatura può essere cacciato: l’essere umano.»

Di nuovo, Danny aveva accolto il tutto rimanendo in silenzio semplicemente, lasciando che Mara lo interpretasse come un implicito assenso scontato.

«Devi ricordarlo molto bene.» aveva detto ancora Mara, il tono incupito in cui trapelava una nota di seria rabbia fredda in profondità «L’unica cosa che può essere un nemico per noi sono gli esseri umani. E solamente quando si rifugiano codardamente dietro l’utilizzo di qualche arma da fuoco. Perché altrimenti non sarebbero mai capaci di sovrastarci con le loro sole deboli forze, così inferiori alle nostre.»

Danny aveva di nuovo appena accennato un assenso col capo, quando Mara lo aveva spiato di sbieco di nuovo con la coda dell’occhio, come per controllare automaticamente. Lei non aveva aggiunto più nient’altro, e avevano proseguito in silenzio, ovunque Mara avesse deciso si stessero dirigendo in quel momento.

Ma tra sé e sé, Danny aveva continuato a rigirarsi nella mente quelle immagini di pitture rupestri per giorni e giorni ancora, come se cercasse ancora in ogni modo di coglierne ogni possibile senso e significato, o meglio di afferrare quei sensi nella loro interezza, per quanto sembrasse sempre che almeno in parte gli sfuggissero, come se non riuscisse a contemplarli in una sola volta in tutto il loro vasto insieme.

Ma quella sera, mentre seguiva Mara attraverso le strade notturne di quella cittadina ai suoi occhi come qualsiasi altra in fondo, si era reso effettivamente conto di stare pensando qualcosa di completamente diverso dal riflettere solo sulle parole di lei.

Stava pensando che se loro erano mezzi lupi, e quindi sia esseri umani che lupi allo stesso tempo, e potendo assumere entrambe le forme a loro piacimento, forse erano allo stesso tempo la preda e il cacciatore. E dubitava che chi aveva dipinto secoli e secoli prima quelle immagini stilizzate sulla nuda pietra di quella grotta avesse avuto in mente proprio quello. E si era chiesto, invaso da un’enorme curiosità famelica e affascinata, se i mezzi lupi fossero esistiti già a quel tempo; se la loro origine potesse risalire indietro nel tempo almeno fin da quando erano esistiti sia l’essere umano che il lupo. Se eventualmente quell’immagine in particolare, quella di quella figura umana e quella figura di canide che si fronteggiavano immobili, non potesse essere la rappresentazione di quella domanda senza risposta, di come si fosse realizzato quel primo incontro. O forse, dopotutto, se chi aveva dipinto quelle immagini sarebbe piuttosto inorridito al solo immaginare qualcosa del genere, dell’esistenza di qualcuno che possedesse entrambe le nature, considerandola come un’orribile aberrazione.

Quella era stata forse la prima volta in cui aveva iniziato a realizzare che non la pensava esattamente come Mara in proposito. Non solo, ma molto di più: quella era stata forse la prima volta in cui aveva iniziato a sospettare che Mara non riuscisse a vedere e capire e concepire molte cose che potevano essere pensate oltre a quelle che erano le sue incrollabili certezze. Quella era probabilmente stata la prima volta che aveva iniziato a intuire che lui poteva avere idee e domande e riflessioni che andavano oltre e molto più in là qualsiasi cosa potesse rivelargli o insegnargli o spiegargli Mara.

 

 

 

Soundtrack

Arrows (Fences feat. Macklemore)

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Capitolo 54
*** 53 - 'Cause she walks mysterious ways ***


Capitolo 53

(‘CAUSE SHE WALKS MYSTERIOUS WAYS)

 

Danny si svegliò di soprassalto, e sussultò di conseguenza così violentemente da rischiare di cadere. Cadere da cosa… al momento gli sfuggiva.

Muovendosi più lentamente, e con più attenta circospezione istintiva, realizzò che giaceva appoggiato con la testa sulle braccia incrociate su quello che sembrava un bancone in legno – che peraltro gli risultava curiosamente piuttosto familiare – e seduto su uno sgabello dal quale appunto aveva rischiato di cadere.

Peccato che, non solo non ricordava affatto come era finito ad assopirsi in un qualche bar, e non solo non gli risultava che gli fosse ancora mai successo prima in vita sua, ma quella possibilità non apparteneva nemmeno al suo immaginario di cose che gli potessero accadere.

I suoi sensi furono di colpo pregni di odori e suoni di un pub, e spiandosi attorno cautamente riconobbe praticamente a prima vista l’interno del ‘Bone’s’, l’unico pub di Castle Mac’Hearty, nonché l’unico locale in cui - quando proprio aveva eventualmente la necessità di prendere qualcosa da bere che non consistesse in una bottiglia acquistata in supermercato e portata a casa del Conte - andava a finire occasionalmente per qualche minuto.

Tranne che in quel momento non riusciva affatto a ricordare esattamente di essere andato al Bone’s come l’ultima cosa di cui fosse stato cosciente.

Mentre ancora cercava di raccapezzarsi abbastanza da riordinare le sue memorie, di colpo il suo sguardo – e il resto dei suoi sensi – furono attirati dalla presenza di una massiccia figura in piedi di fronte a lui dall’altra parte del bancone. Alzando lo sguardo praticamente di scatto, Danny si ritrovò a fissare il proprietario del Bone’s; e a notare, con un’istintiva sorta di imbarazzo incerto, che quegli lo stava più precisamente fissando in attesa, con la sua solita espressione seria e chiusa appena incline ad un principio di spazientimento imminente.

A quel punto, non gli rimase altro che interpretare che l’uomo sembrava stare aspettando automaticamente – e con l’aria di qualcuno più che convinto che non ci sia alcun bisogno di esplicitare altrimenti qualcosa di così ovvio – di sentire che cosa lui volesse da bere.

Prima di pensarci, Danny si ritrovò a dire quasi di getto «Hum… Un… bicchiere d’acqua, grazie.»

Subito dopo gli sfuggì una notevole smorfia dolente, specialmente quando realizzò che era troppo tardi per correggersi e cambiare la richiesta.

Per quanto della semplice acqua fosse l’unica cosa che si sentiva di ingurgitare al momento, anche perché si sentiva piuttosto frastornato, non aveva mai sentito nessun’anima vivente osare una simile ordinazione al proprietario del Bone’s.

Danny si ritrovò a guardarlo in un conciso silenzio immobile e sospeso, sorvegliando appena qualsiasi reazione potenzialmente più o meno violenta potesse scaturirne a quel punto.

Ma l’uomo si limitò a considerarlo con quel suo sguardo terribilmente serio un momento di più, come se stesse suggerendo che, se quello era una specie di scherzo, aveva scelto proprio il posto e la persona sbagliate. Poi, come se avesse deciso da quel suo scrutinio che non sembrava uno scherzo, il proprietario del Bone’s annuì brevemente e nettamente, e si allontanò per andargli a riempire un bicchiere d’acqua.

Danny immaginò per un breve momento che si sarebbe sicuramente trattata di acqua di rubinetto, ma non aveva niente da obbiettare in proposito, specialmente perché non era nemmeno sicuro al momento di avere traccia di soldi in tasca. Soprattutto perché non ricordava affatto come diavolo era arrivato lì, quando o perché.

Ma di colpo e senza alcun preavviso, una ridda invadente di ricordi e immagini esplose in una sequenza di flash dentro la sua testa. E il più vivido, a causa della drastica violenza del suo contenuto e della recente posizione cronologica nella sua memoria, risultò quello dello scontro con Mara in forma di lupo, dei morsi micidiali dai quali era stato bersagliato ovunque tranne nei punti più strettamente vitali lungo il corpo, la sensazione di essere sul punto di morire che gli ritornò in mente chiara come un pugno dritto allo stomaco, più che sufficiente a togliergli il fiato per un momento.

Si irrigidì di concerto, come se temesse istintivamente di sentirsi da un momento all’altro invaso dal dolore di quelle ferite, e fece per abbassare lentamente lo sguardo sul suo stesso corpo, aspettandosi con timore di vedersi gli abiti zuppi di sangue e la pelle aperta dagli squarci dei morsi micidiali.

Ma una voce accanto a lui lo fece sussultare di sorpresa.

«Non preoccuparti. Avete la pelle dura, voialtri. Come dovresti ben sapere.» disse la voce, con calma e tono colloquiante.

Una voce assai familiare.

Danny girò la testa di scatto e spalancò gli occhi, vedendo Zoal, così semplicemente seduta sullo sgabello di fianco al suo, tranquillamente appoggiata al bancone con le mani, lo sguardo distrattamente fisso davanti a lei, un leggero sorriso che le aleggiava sulle labbra, composta e con qualcosa di implicitamente elegante. Di più elegante del solito, anche.

Danny boccheggiò per la sorpresa per qualche istante, e quindi corrugò la fronte e le sopracciglia, e spalancò gradualmente ancora di più gli occhi mentre registrava altri particolari incredibili. Come il fatto che Zoal indossasse un abito lungo e viola scuro, di foggia vagamente ottocentesca, elegante e decorato, dei guanti di abbinato colore, collant spessi e un paio di scarpe con tanto di tacco e di stile ugualmente elegante che si intravedevano appoggiate ai supporti dello sgabello appena al di sotto dell’orlo della lunga gonna.

«Z…oal…?» riuscì infine ad emettere, incerto.

C’era qualcosa di ancora più singolare di quello, tuttavia. Non che Danny non avesse mai visto, durante la loro attività come ‘4 di picche’, Zoal vestirsi in una simile maniera, anche se unicamente a preciso scopo di immergersi in un particolare ambiente con utilità immediatamente attinenti al caso che stavano seguendo, come una sorta di travestimento per così dire, e comunque l’ultima volta era stato anni prima. Ma Danny non aveva sicuramente mai visto metà del Bone’s, in particolare una metà che sembrava iniziare lungo una precisa linea che passava tra lui e Zoal, apparire come tutt’altro locale. E in particolare come un bar dall’aspetto assai più mondano e decentemente borghese di quello del pub senza pretese di Castle Mac’Hearty.

«Danny.» lo salutò di rimando lei, voltando lo sguardo su di lui e sorridendogli giusto un poco, ma amichevolmente e affettuosamente, sinceramente.

«Humm…» mugugnò lui riflessivamente, continuando a guardarsi intorno, registrando altri particolari che sembravano confermare, suo malgrado, quello che appariva impossibilmente al suo sguardo. Era come se lui e Zoal si trovassero in due luoghi diversi, ovvero in due bar totalmente diversi. Danny esitò un lungo momento, guardando come la metà del Bone’s in cui si trovava lui appariva esattamente come il solito pub che conosceva in tutto e per tutto, mentre la metà in cui si trovava Zoal, pur tuttavia essendo seduta accanto a lui, sembrava un altro bar, con tutto quanto diverso, incluso il fatto che ci fosse tutt’altro tipo di clientela seduta ai tavolini, e un certo rumoreggiare di sottofondo per via delle varie chiacchiere e risate ed esclamazioni di tutte quelle persone.

«Zoal… Dove… siamo…?» chiese, con precauzione. Non era del tutto sicuro di volerlo sapere esattamente. Ciò che vedeva era già abbastanza estraniante. Specialmente perché un rapido sguardo all’intorno sembrò confermargli l’impressione che né i pochi soliti clienti del Bone’s sparsi nei tavoli né quelli rumorosamente spensierati dell’altro bar sembravano essere affatto consapevoli di quell’assurda situazione, come di due diverse realtà accostate tra loro e separate da una sorta di parete invisibile.

Zoal si limitò a continuare a sorridergli gentilmente e non rispose, il suo sguardo intenso color verde come se stesse contemplando il suo studio della strana situazione. Danny, che aveva per un momento dubitato che Zoal stessa non fosse consapevole di quella situazione, si sentì quasi stupido per averlo pensato: certo che lei doveva esserne perfettamente consapevole.

Esitò a lungo, e infine, quasi ipnotizzato da ciò che stava vedendo, alzò lentamente una mano, allungandola pian piano a mezz’aria verso il punto in cui poteva o non poteva esserci quella sorta di netta separazione tra le due diverse realtà, come per tastarne incuriosito la natura, per vedere se si trattava proprio di una parete, o se la sua mano sarebbe semplicemente apparsa anche nell’altra realtà, come se fosse perfettamente normale.

«Non lo farei, se fossi in te…» suggerì con calma Zoal, quasi distrattamente, come se avesse visto il suo gesto anche se il suo sguardo era tornato ad abbassarsi sul bancone davanti a lei con placida tranquillità.

Danny si bloccò e ritrasse in fretta la mano.

Zoal sorrise appena, un poco divertita e affettuosamente, rivolta a delle carte da gioco che stava disponendo con fare come casuale sul bancone davanti a sé, con movimenti che avevano qualcosa di singolarmente elegante e preciso. «Non hai mai reagito molto bene a queste cose.» disse ancora, come per spiegare gentilmente il perché lo aveva detto.

Danny fece per dire qualcosa, ma in quella con la coda dell’occhio vide una massiccia figura comparire dall’altra parte del bancone di fronte a lui, e voltò immediatamente lo sguardo, appena in tempo per non sussultare troppo quando il proprietario del Bone’s appoggiò proprio davanti a lui, con una determinazione implicitamente significativa, il bicchiere d’acqua che aveva chiesto.

Danny si ritrovò a contemplare la sua faccia con un certo nervosismo comunque incuriosito, cercando di capire se l’uomo si rendeva conto che metà del suo pub era in quel momento un bar di un’altra realtà, peraltro assai diverso da come avrebbe gradito trovare regolarmente al proprio posto la solita metà del suo locale; ma quegli si limitò a fissarlo come se stesse ancora sospettando vagamente che la sua richiesta di un semplice bicchiere d’acqua fosse una specie di scherzo, e di concerto con l’anticamera di un che di minaccioso.

Danny raccolse prontamente il bicchiere dal bancone e accennò una smorfia che imitasse almeno vagamente un sorriso cortese. «Grazie…» tentò.

Il proprietario del Bone’s emise semplicemente una specie di grugnito, in qualche modo alquanto significativo, e si allontanò per tornare a sistemare qualcosa dietro il bancone. Non appena fu certo che si fosse allontanato abbastanza da non udirlo, e sospettando che comunque se lui non riusciva a vedere l’altra realtà probabilmente non vedeva nemmeno Zoal, e quindi ai suoi occhi sarebbe risultato come se stesse parlando da solo, Danny si voltò di nuovo prontamente verso di lei, e abbassando il tono più possibile chiese «Siamo in un… sogno…?»

Zoal alzò lo sguardo su di lui, di nuovo con quel tranquillo accenno di sorriso gentile, ma con una punta di leggero divertimento, e rispose solo «A me sembra un bar…»

Danny scosse appena la testa, sorridendo a sua volta piuttosto divertito, e rassegnato tutto sommato. «Beh, a me sembra un pub, invece…» contraccambiò lo scherzo.

Zoal gli sorrise un poco di più, un rapido piccolo lampo di divertito apprezzamento per la risposta che le attraversava come una stella cadente fuggente lo sguardo verde intenso.

Danny si decise infine a spiare in basso il proprio corpo, rilevando in effetti che i suoi vestiti non erano affatto zuppi di sangue, e che la sua pelle non era squarciata da orrendi risultati di una lotta all’ultimo sangue con Mara. La scoperta non lo rincuorò comunque particolarmente, anche se era automaticamente grato al fatto di non stare provando quel dolore lancinante, almeno per il momento.

Un nuovo dubbio lo colse di colpo, e impallidì di netto, rialzando di scatto lo sguardo su Zoal, sul punto di chiederle qualcosa con allarmata urgenza, quando vide qualcosa che lo fece sussultare violentemente.

Una persona che camminava dietro il bancone spuntò nella metà del bar dove si trovava Zoal, apparendo veramente come dal nulla. Danny intuì che quella persona doveva semplicemente starsi muovendo nella realtà dove si trovava Zoal, e che totalmente inconsapevole si era appena spostata dalla metà di essa che Danny non poteva vedere a quella che poteva vedere.

Ma rimase ancora più basito quando la persona si fermò di fronte a Zoal appoggiando davanti a lei una piccola tazza trasparente nella quale c’era un liquido relativamente denso che sembrava liquore all’assenzio, e le chiese con allegra familiarità «Si può sapere che hai stasera? Sembri più sorridente del solito. Che ti frulla per la testa, sorellina?»

E Danny riconobbe Yuta. Solo che sembrava più giovane di qualche anno, anche se quella non era la prima differenza che gli balzò allo sguardo, quanto piuttosto il fatto che vestiva più comunemente e un po’ più elegantemente del solito, con una pratica maglietta e un paio di fuseaux, entrambi di colori smagliantemente vivaci. Yuta si era appoggiata cospiratoriamente in avanti sul bancone, guardando Zoal direttamente, e ignorando lui totalmente. Danny sentì un piccolo groppo di magone di mancanza, desiderando poter salutare anche lei, ma intuì dal modo in cui Yuta lo stava ignorando troppo massicciamente persino per qualcuno che volesse farlo apposta, e da quello con cui Zoal non gli stava più dedicando nemmeno uno sguardo, ricambiando invece quello della sorella con un sorriso, che anche Yuta, così come il proprietario del Bone’s, non solo non era consapevole dell’altra realtà accostata a quella in cui si trovava, ma non riusciva a vederla.

«Oh, niente di che.» rispose semplicemente Zoal, senza fare alcuno sforzo per cambiare la sua espressione gentilmente e cospiratoriamente sorridente, sorseggiando il liquore all’assenzio e abbassando lo sguardo.

Yuta inarcò un sopracciglio, guardandola come se cercasse di capire che cosa stesse nascondendo, divertita ma anche con un evidente sospetto che probabilmente non l’avrebbe mai potuto indovinare, e infine scrollò appena le spalle e sogghignò verso Zoal, abbassando una mano e scombinandole le carte sul bancone con fare scherzoso. «E va bene. Beccati questo allora. Così impari a tenerti il divertimento tutto per te.» celiò, sorridendo.

Zoal alzò di nuovo lo sguardo su di lei e sorrise di più. «Oh, ma anche tu ti stai divertendo.»

Yuta si rialzò in piedi e si piazzò le mani sui fianchi. «Come no. Come una matta.»

Zoal le fece l’occhiolino, e Yuta roteò gli occhi emettendo un piccolo sbuffo che fallì quasi completamente l’intenzione di voler apparire almeno un poco pazientemente rassegnato e risultò più che altro divertito.

Quindi, un qualche cliente più in là lungo il bancone nella realtà in cui si trovavano chiamò «Signorina…»

«Credo che ce l’abbiano con te…» osservò con calma Zoal, abbassando di nuovo lo sguardo sul bancone con un accenno di sorriso divertito, mentre raccoglieva le carte di nuovo in un unico mazzo.

Yuta roteò di nuovo gli occhi, e si allontanò verso il cliente che aveva chiamato più in là lungo il bancone.

Danny si ritrovò allora a contemplare quasi solo Zoal, la quale lo spiò appena di sbieco lanciandogli un rapido sguardo, sempre continuando a sorridere quietamente tra sé e sé, mentre legava con un nastro sottile il mazzo di carte e lo riponeva in un sacchetto di stoffa colorato di un motivo arabescato di colori scuri che portava legato alla cintura dell’abito. E si sentì quasi chiudere la gola quando la sua attenzione ritornò sul dubbio che lo aveva assalito prima di vedere comparire quella versione di Yuta in quella sorta di altra realtà.

«Sono… Sono morto…?» chiese lentamente.

Zoal alzò lo sguardo su di lui senza fretta, ed inarcò eloquentemente un sopracciglio molto scetticamente, sorpresa e divertita dalla sua domanda.

Danny tirò un rapido sospiro di sollievo, e poi scosse la testa e gli venne da ridacchiare, nervosamente ma tutto sommato divertito. «D’accordo. Questa era stupida.»

«Un poco… sì… » ammise Zoal, fissando il suo bicchierino di liquore all’assenzio, facendovi ballare lentamente il liquido all’interno con un movimento circolare, sorridendo di nuovo un poco con quella gentile affettuosità di sottofondo.

Dall’altra parte del bancone, Yuta ripassò camminando con pragmatica rapidità, scoccando appena uno sguardo tra il divertito e l’incuriosito a Zoal di sbieco, prima di sparire alla vista di Danny quando attraversò la metà netta di separazione tra i due ambienti, o forse tra le due realtà. Danny non poté fare a meno di sussultare di nuovo automaticamente e istintivamente. Zoal lo spiò appena, affatto sorpresa da quella sua difficoltà, ma come se la tenesse comunque sotto controllo per sicurezza.

«Che cosa ci facc… fai… facciamo, qui… quindi… ovunque siamo, insomma?» chiese di nuovo Danny, tornando a guardarla. Poi, tuttavia, non poté trattenersi dal chiedere piuttosto «E Yuta… faceva veramente la barista??»

Zoal rise, appena e tenuamente, ma sinceramente. «Potrebbe essere.» disse.

Danny sorrise un poco. «Beh… non male.» constatò, come in mancanza di un migliore commento, prima di tornare a concentrarsi su quello che probabilmente doveva essere la sua più reale priorità. «Mi devi dire qualcosa, non è vero?»

Zoal tornò a guardarlo con quel suo sguardo verde, attento e concentrato ora, sebbene la sua espressione fosse ancora tranquillamente e appena sorridente, in quel suo modo relativamente enigmatico come sempre erano quasi tutti i suoi sorrisi, come per un’inclinazione naturale della sua espressività.

«L’altra volta… quando sei… entrata dentro un mio sogno? O ti ho sognato? Comunque sia, l’altra volta dovevi dirmi qualcosa. Anche se non sono sicuro di averlo capito.» proseguì il ragionamento Danny «Quindi… anche stavolta devi dirmi qualcosa…? Qualcosa di importante…?»

Zoal inclinò appena un poco di più un angolo delle labbra nel suo sorriso gentile, e con calma puntualizzò semplicemente «Tu hai detto qualcosa a me. Io ti ho solo risposto.»

Danny corrugò appena la fronte per la concentrazione. Non provò nemmeno a chiedersi se quello fosse una specie di modo in cui “funzionava” quella cosa di Zoal che entrava nei suoi sogni, sempre che quello fosse un sogno, sempre che quella fosse Zoal piuttosto che solo un personaggio del suo sogno. Aveva comunque la sensazione che Zoal non gliel’avrebbe mai veramente detto di che cosa si trattava esattamente, anche se lui gliel’avesse chiesto esplicitamente quando l’avesse vista da sveglio.

‘Gran parte della magia funziona quando le persone non sanno come funziona.’ Aveva detto una volta Zoal, tempo prima, in una delle sue rare, e non per questo meno enigmatiche, “spiegazioni”. ‘Non è molto diverso da un trucco da prestigiatore, per molti versi, per quello che ne possono percepire le persone…’

Ma Danny sapeva per esperienza, esattamente quanto lo sapeva Zoal, che per ingannare del tutto lui con un trucco del genere non ci si poteva basare solo sul senso della vista; in quanto mezzo lupo, aveva molti più sensi assai sviluppati ai quali si affidava quasi parimenti che alla vista, a differenza degli esseri umani completi. E il suo olfatto gli stava dicendo al momento che non percepiva niente di quello che c’era nella metà della realtà in cui si trovava Zoal, nemmeno l’odore di Zoal stessa, o quello dell’assenzio che aveva nel bicchiere. E lui era abbastanza sicuro del fatto che i suoi sogni non erano mai così strani come, a quanto pareva, quei due in cui gli era comparsa e gli stava comparendo Zoal.

Ad ogni modo, se questo era ciò che Zoal chiedeva per far funzionare il suo trucco, o se semplicemente non aveva niente a che fare con quello ma gli stava offrendo invece amichevolmente di darle lui un argomento perché era lì per ascoltarlo più che per parlare, Danny si fidava più che a sufficienza di lei ormai da tempo.

Sospirando appena, riportò lo sguardo sul bancone davanti a sé e mormorò piano «E’ stata solo colpa mia…»

«Per che cosa?» domandò quietamente Zoal, che aveva ripreso a sorseggiare con calma il suo liquore all’assenzio, guardando davanti a sé ma ascoltandolo con tutta la sua concentrazione apparentemente.

Danny esitò e fece una smorfia dolente. «Mara… è morta, non è vero?»

Zoal non rispose, ma dopo qualche istante disse «L’hai uccisa tu?»

Danny corrugò la fronte. «Non direttamente ma… sostanzialmente, sì. L’ho sconfitta. E di fronte ai suoi… “accoliti”…»

Zoal tacque per qualche istante come con calmo tatto. «E se non l’avessi sconfitta saresti morto tu. Giusto?» domandò con tranquillità.

Danny alzò lo sguardo di scatto davanti a sé. «Sì…»

Zoal accennò un sorriso tra il dolente e l’affettuosamente comprensivo. «Persino per te, Danny, a volte potrebbe risultare impossibile andare contro alla realtà. A volte non ci sono molte vie di uscita, né molte strade lungo le quali proseguire. A volte è solo che noi non riusciamo a vederne altre, o ad immaginarle. E forse in tali occasioni potremmo recriminarci di non aver trovato prima un’altra soluzione, quando poi ci viene in mente, troppo tardi per metterla in atto. Ma quando anche ripensandoci all’infinito non riusciamo ad immaginare un’altra possibile soluzione, che cosa ci rimane da recriminarci? Di non aver spiccato il volo senza essere uccelli?»

Danny strinse la mascella, combattuto. Sapeva che Zoal aveva ragione, e che era una semplice osservazione perfettamente sensata. «Ma questo non basta a mandare via il dolore, comunque… non è vero…?» mormorò quietamente, riabbassando lo sguardo.

Zoal spiò appena di sbieco verso di lui. «No…» disse infine, dopo qualche lungo istante di silenzio. «Quello è il tempo. Che lo attenua, almeno un poco. Almeno un poco…»

Danny annuì appena, distrattamente. «Non sembri stupita che io sia dispiaciuto per la morte di una che ha tentato di uccidere me. Ed Uther. E molti altri, quasi sicuramente.»

«Dovrei…?» replicò tranquillamente Zoal, restituendogli la domanda come un gentile invito semplicemente a proseguire.

Danny sbuffò appena, amaramente e sarcasticamente. E dopo qualche momento disse, in tono distratto e distante «C’è stato un tempo in cui lei era… come la mia unica chance di sopravvivere. L’unica cosa su cui potessi contare per sperare di cavarmela. Lei mi ha in effetti permesso di sopravvivere. Anche se… beh, anche se dubito seriamente… anzi, no, decisamente non si potrebbe mai dire che l’abbia fatto per “bontà”, o affetto, o gentilezza o qualsiasi altra cosa del genere…»

Zoal si limitò ad accennare un lento e calmo assenso, come a dare segno che lo stava ascoltando e, in qualche modo, comprendendo molto bene.

«E allo stesso tempo sapevo… no… ero convinto che sarebbe stata anche la mia morte. Letteralmente. Che prima o poi mi avrebbe ucciso. Probabilmente quando si sarebbe semplicemente stancata di me.» e Danny emise di nuovo un breve verso di risata profondamente amara e priva di ogni traccia di gioia o ilarità.

«Così, è ingombrante pensare che qualcosa di così totalizzante non esista più.» disse con tranquillità Zoal.

Danny voltò di scatto lo sguardo su di lei, stupito dalla precisione della sua osservazione, che lui per primo non avrebbe saputo spiegare così puntualmente, né capire da se stesso. Ora aveva più nettamente la sensazione che lei stesse capendo fin troppo bene di che cosa stesse parlando, e la guardò con sorpresa e una dolente interrogatività.

Ma Zoal si limitò a rivolgergli un tenue sorriso gentilmente affettuoso ed empatico. «Ma è passato molto tempo da allora. E altro ne passerà.» gli disse semplicemente.

Danny annuì, abbassando lo sguardo. «Ma credo che comunque Mara mi abbia insegnato qualcosa, alla fine…» Quando spiò di nuovo verso di lei, vide che Zoal non sembrava minimamente sorpresa o scioccata da quella cosa, ma anzi stava ancora ascoltando quietamente, come se lui non avesse appena detto che una mezza lupa follemente omicida gli aveva insegnato qualcosa di valido. «Una… dimostrazione chiara di che cosa non vorrei mai essere…» disse più piano, distogliendo lo sguardo e deglutendo, per poi emettere un piccolo verso amaramente auto-derisorio. «Qualcosa per non diventare la quale credo di aver fatto e che farò sempre del mio meglio…»

Con la coda dell’occhio, vide Zoal accennare un assenso leggero col capo, mentre prendeva la tazza dal bancone davanti a lei e beveva con calma un piccolo sorso di quel suo liquore all’assenzio. Danny non aveva ancora la più pallida idea di come facesse a sapere che era all’assenzio, dal momento che non riusciva a sentire nemmeno una pallida traccia dell’odore che emanava. Doveva davvero essere un sogno, dopotutto.

«Sei stato capace, e sarai ancora capace, di trarre da te stesso ben più di questo, Danny.» disse tranquillità seria Zoal, guardando davanti a sé come se allo stesso tempo stesse ripassando col pensiero anche qualcos’altro. «Dovresti saperlo.»

Danny la guardò sorpreso, ma lei continuò con calma a sorseggiare dalla sua tazza, inclinando appena un angolo delle labbra in un sorrisetto piuttosto affettuosamente divertito, come se avesse indovinato quanto lui non si aspettasse lontanamente parole come quelle semplicemente dal suo silenzio, e lo trovasse piuttosto divertente in qualche modo familiare.

E alla fine Danny si ritrovò ad accettare quelle parole, ma prima di rendersene conto mormorò anche «Grazie… Zoal

Stavolta, lei girò lo sguardo dritto su di lui, inarcò appena un sopracciglio, e poi scoppiò a ridere, leggermente ma cristallinamente, lasciandolo piuttosto stupito. In qualche modo, quando rideva Zoal riusciva a far appare il ridere da parte sua come qualcosa di allo stesso tempo sorprendentemente improbabile e totalmente naturale e spontaneo.

Zoal finì di ridere quasi di colpo, esattamente come aveva cominciato, e lo guardò dal sotto in su inclinando un poco la testa, con un accenno di sorrisetto complicemente divertito. «Perdonami, ma… questo è veramente sciocco.»

Danny la guardò con intenzione, sentendosi curiosamente impegnato in una sorta di testarda battaglia in cui stava cercando di convincerla ad accettare un ringraziamento, e con assieme la praticamente certa consapevolezza che l’avrebbe persa.

«Lo è. Sul serio…» confermò con calma Zoal, annuendo appena e tornando a sorseggiare il suo liquore. «E, oh, tu lo sai che lo è.»

Danny rimase per un altro poco in silenzio, ma alla fine si arrese. Non ricordava l’ultima volta che qualcuno degli ex ‘quattro di picche’ aveva rivolto un ringraziamento ad un altro di loro, se mai era successo. Perlomeno, non un ringraziamento così chiaro e a parole. Non ricordava da quando sapeva con la stessa certezza con cui sentiva il cuore che gli batteva e il suo corpo muoversi assecondando il modo in cui voleva farlo – e con altrettanta sconcertante, netta e assoluta naturalezza scontata – che loro si sarebbero sempre aiutati tra loro in caso di bisogno.

«Sì…» ammise infine con un sospiro arreso, ma scuotendo comunque un poco la testa. «Dopotutto, forse è piuttosto sciocco.»

Zoal si limitò a sorridere appena, gentilmente e con paziente approvazione, rivolta perlopiù al liquido all’assenzio che aveva ripreso a far ondeggiare distrattamente dentro la tazza che aveva in mano.

Danny fu colto da un altro pensiero, e di nuovo corrugò la fronte riflessivamente. «Tu… sapevi…?» mormorò, incredulo e sospettosamente, cercando invano di leggere eventuali reazioni sul viso di lei totalmente quieto. «Quando sei comparsa nel mio sogno… ho sognato proprio Mara. E non la sognavo da… da non ricordo nemmeno quanto. E non avevo mai sognato la prima volta che l’avevo incontrata.»

Zoal rimase in silenzio, limitandosi a guardarlo in ascolto, senza lasciare trapelare nulla dalla sua controllata espressione attenta.

Danny lo prese come una possibile conferma, o come semplicemente l’interesse di lei per quel ragionamento, e si sforzò di portarlo avanti. «Come se mi volessi avvertire… no… come se mi volessi dire qualcosa di utile per qualcosa che sarebbe successo… E siccome non mi risulta di aver mai avuto doti di… preveggenza…»

Di nuovo, esitò, ma di nuovo Zoal si limitò a guardarlo in attesa, senza dire nulla.

Il sospetto inquieto si rafforzò in Danny. «Zoal. Sta per succedere qualcos’altro.»

E lei distolse lo sguardo dopo qualche istante, riabbassandolo sull’assenzio che tornò a sorseggiare. «Sta sempre per succedere qualcos’altro…» mormorò, quasi distrattamente.

Danny strinse le labbra e si sporse un poco di più verso di lei, quel tanto possibile senza rischiare di venire in contatto con quella sorta di invisibile linea separatoria tra quelle che sembravano due realtà diverse. «Sì, ma... qualcosa di... particolarmente grave?»

Zoal rialzò lentamente lo sguardo su di lui, e gli sorrise di nuovo, gentilmente e affettuosamente, ma anche più di prima, la qual cosa preoccupò maggiormente Danny.

«C’è qualcosa nell’aria.» gli disse infine «Ma, Danny… Sembra che tu non ricordi per nulla quello che potrei averti detto una volta. Non esiste il futuro come qualcosa di già stabilito. Ogni cosa sia dietro o davanti a noi nel tempo o nello spazio, non può che essere in qualche modo, e in varia misura, storpiata dalla nostra capacità di ricordare, prevedere, immaginare, interpretare e accettare. Tutto è ridipinto dalle nostre stesse mani come se stessimo cercando di fare una copia da poter conservare e/o mostrare, ma di fatto, abbiamo solo pennelli e colori, e la realtà contiene sempre molte più e forse infinite altre sfumature. Ad ogni modo, è sempre stato vero quello che ti ho detto fin dall’inizio. Non devi temere. Andrà tutto bene, comunque…»

Danny deglutì. «Che cosa è nell’aria…?»

Zoal divenne di colpo più seria, e lo fissò dritto nello sguardo. «Forse sentirai qualcosa, più avanti, tu stesso. Ma non cercare di capirlo. Presto ci avremo a che fare. Dopotutto…» e di nuovo tornò a sorridere gentilmente e con sentito affetto con qualcosa di appena complice «Siamo sempre e comunque i ‘4 di picche’, noi.»

Danny rimase in silenzio per un poco, quindi fece per dire qualcos’altro, quando di nuovo con la coda dell’occhio notò un movimento dietro il bancone davanti a lui, e girando la testa di scatto si trovò di fronte il proprietario del Bone’s che gli porgeva la cornetta di un telefono che aveva portato fino a lì grazie ad un filo eccezionalmente lungo.

Danny abbassò lo sguardo sulla cornetta con aria confusa e incerta.

Dopo qualche istante, l’uomo si decise ad esplicitare verbalmente con una sorta di grugnito sull’orlo della pazienza, e assai significativo «È per te.»

Danny esitò, rivolgendo uno sguardo rapido di sbieco a Zoal, la quale tuttavia era tornata a sorseggiare tranquillamente il suo liquore all’assenzio guardando distrattamente davanti a sé. «Credo che tu debba andare, ora…» osservò solo, quietamente, senza guardarlo, ma sorridendo di nuovo un poco, affettuosamente.

Percependo la pazienza sempre più in bilico del proprietario del Bone’s, Danny trattenne la domanda che era sul punto di fare a Zoal a proposito di che cosa volesse dire, e si affrettò piuttosto a rivolgergli un accenno di sorriso tirato e a prendere in mano con precauzione la cornetta del telefono. L’uomo emise un altro breve grugnito che sembrava una sorta di ‘alla buon’ora’, e appoggiò pesantemente il telefono sul bancone, prima di allontanarsi di nuovo.

Danny studiò la cornetta del telefono con una sorta di esitante sospetto come se potesse esplodergli tra le mani da un momento all’altro, poi se la avvicinò lentamente all’orecchio e tentò un incerto «Pronto…?»

Tutto quello che udì dall’altra parte fu un debole «Danny…»

Rimase di sasso, prima di esclamare «Kumals??»

Ma dall’altra parte la voce di Kumals disse solo, come se non stesse affatto parlando con lui «Mi dispiace… sul serio…»

Danny corrugò la fronte perplesso. Non ricordava di aver mai sentito Kumals dire qualcosa del genere con tanta aperta sincerità. «Kumals? Ti dispiace per… che cosa…?»  domandò, ancora più incerto, scoccando uno sguardo verso Zoal, solo per trovare lo sgabello dove lei sedeva vuoto.

Voltò la testa, cercandola con lo sguardo, ma senza trovarla in tutto l’ambiente del bar dell’altra realtà. Come se fosse semplicemente andata via, o meglio, dal momento che lui avrebbe probabilmente notato il movimento con la coda dell’occhio, anche se non ne era certo dal momento che dopotutto si trattava di Zoal, come se fosse semplicemente scomparsa.

E l’istante successivo Danny aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il soffitto di una stanza. Quando abbassò lo sguardo di scatto, si ritrovò sdraiato in un letto, accanto al quale Kumals sedeva in una poltrona e lo stava contemplando con non così minore sorpresa di lui.

«Danny?» disse.

Lui si limitò a sbattere le palpebre più volte, dubitando di dove fosse ora esattamente, se fosse un altro sogno o la realtà o chissà che altro ancora, decisamente frastornato.

«Beh… ben svegliato.» sembrò riprendere la sua consueta aria casualmente ironica Kumals, osservandolo con qualcosa tra la curiosità e la relativa preoccupazione incuriosita. Poi si fermò e sembrò venir colto da un dubbio. «Aspetta un momento… da quanto sei sveglio esattamente?» gli domandò, inarcando un sopracciglio con un che di sospettoso.

 

Soundtrack:

Catch my fall (Billy Idol)

Probabile disclaimer: il titolo mi è stato probabilmente ispirato (anche se l’ho modificato) da un verso della canzone ‘Mysterious ways’ degli U2 (che non ascolto da così tanti anni che nemmeno me la ricordo).

 

Note dello scribacchiatore: ho l’impressione che questo capitolo mi abbia richiesto ere geologiche o giù di lì. Prima di ottenerne qualcosa che mi soddisfa abbastanza. Ma avevo buttato giù appunti prima, poi l’ho scritto interamente, poi riletto e risistemato più di una volta. Quindi, alla fine, chissà che ne è saltato fuori alla lettura, davvero! ;p Spero giusto sia leggibile, toh.

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Capitolo 55
*** 54 - Very stupid inclination that one of yours ***


Capitolo 54

(Very stupid inclination that one of yours)

 

Kumals finì di trascinare la poltrona traballante e ammaccata accanto al letto nella camera dell’appartamento, e si raddrizzò di nuovo in piedi,  riprendendo fiato e osservandola con le sopracciglia aggrottate. Non ricordava affatto che la sua poltrona fosse in uno stato così ammaccato l’ultima volta che l’aveva vista. E naturalmente aveva immediatamente notato quel particolare non appena ci si era riseduto da quando era tornato, dal momento che essa traballava ora notevolmente a causa di uno dei quattro piedi quasi spezzato. Altrettanto ovviamente, aveva chiesto agli altri se fosse successo qualcosa alla sua poltrona, ma Uther e Ramo avevano negato con le loro migliori espressioni di sincerità, anche se, conoscendoli abbastanza, lui non era ancora del tutto sicuro di potersi fidare. E anzi, avrebbe volentieri provveduto ad insistere maggiormente sull’argomento per costringere i due a crollare nel corso di un serrato interrogatorio spietato… o almeno fino a riuscire a farli desistere dall’ostentare tanto convincentemente quelle loro facce innocenti e ignare, ma il fatto che persino Mordecai avesse scosso appena la testa con la sua espressione placidamente tranquilla lo aveva in effetti lasciato un poco disorientato.

Alzò lo sguardo e gettò con una certa delusione un’occhiata a Danny, notando che, nonostante il notevole rumore di una poltrona trascinata per metri dal salotto fino a lì, non aveva dato segno di risvegliarsi.

Sospirò appena con annoiata pazienza, e si sistemò a sedere sulla poltrona, cercando di trovare un equilibrio decente nonostante il suo traballare vistosamente ad ogni minimo suo movimento; quindi si aprì sulle ginocchia un grosso album polveroso e vecchio, iniziando a sfogliarlo distrattamente ma con espressione intenta e immersa nei ricordi, mano a mano che il suo sguardo viaggiava tra le pagine, come sfiorando appena ogni singolo articolo di giornale ritagliato e altri appunti scribacchiati in fretta che si riferivano ai primi casi dei ‘4 di picche’.

Dopo qualche minuto, tuttavia, risollevò lo sguardo su Danny. Di nuovo, l’altro appariva perfettamente ancora del tutto addormentato. Kumals sospirò di nuovo, più profondamente e come arreso.

«D’accordo…» disse piano e con calma, parlando a se stesso, nonostante apparentemente si stesse in un certo senso riferendo al dormiente, ben consapevole che non lo poteva udire. Corrugò la fronte e, suo malgrado, disse «Danny… Mi dispiace… sul serio… »

Con sua enorme sorpresa, Danny esclamò «Kumals??»

Kumals trasecolò, guardandolo. E tuttavia sembrava che Danny stesse parlando nel sonno.

«Hummm…» mugugnò riflessivamente Kumals tra sé e sé «Questo non può essere quello che si definirebbe un buon segno…»

E poco dopo vide Danny spalancare gli occhi di colpo, fissando il soffitto per qualche istante, prima di abbassare lo sguardo e, individuandolo lì seduto di fianco al letto sulla poltrona, concentrarlo su di lui.

«Danny?» indagò Kumals dopo un poco, dal momento che l’altro continuava a guardarlo fisso, con uno sguardo tra l’assonnato e il quasi spiritato, con una strana calma assoluta e allo stesso tempo apparentemente assai confusa, senza dire nulla.

Danny continuò a guardarlo in silenzio in quel modo. Kumals si sentì un poco preoccupato, ma si sforzò di assumere un certo contegno e accolse il suo risveglio con un affabile «Beh… ben svegliato.»

Poi fu colto da un dubbio, uno scomodo dubbio. Principalmente sospettando che l’altro potesse aver udito le sue parole nel dormiveglia. Corrugò le sopracciglia. «Aspetta un momento… da quanto sei sveglio esattamente?» si informò.

Danny continuò semplicemente a fissarlo in quella maniera per qualche istante, e alla fine disse «Kumals… mi hai appena… fatto una telefonata dentro un sogno?»

Kumals sbatté le palpebre un paio di volte. «D’accordo…» disse poi, lentamente e circospettosamente, osservando Danny più accuratamente. «Questo è più preoccupante.» sancì.

Danny proseguì a guardarlo ancora con aria confusa e non del tutto sveglia. «Eh?»

Kumals alzò un indice davanti a sé per fargli segno di aspettare e disse cortesemente «Solo un attimo.»

Quindi si alzò dalla poltrona, attraversò la stanza fino a raggiungere la porta e la spalancò, gridando al di fuori di essa attraverso tutto l’appartamento per farsi udire, in tono tranquillamente interrogativo «Ramo! Quanto sono gravi esattamente gli effetti collaterali degli anti-dolorifici che gli hai somministrato?»

Danny udì provenire dall’altra stanza un confuso e rapido rumore come di qualcuno che si svegliasse di soprassalto, seguito da un tonfo assai simile a quello di qualcuno che cade giù dal divano sul pavimento.

«Che diavolo… che diavolo…?? Cosa?! Che succede?!» esclamò la voce allarmata e ancora confusa dal sonno di Ramo.

«Oh. Stavi dormendo?» si informò Kumals, con compassata e cinguettante gentilezza candida.

«No… certo che no… stavo solo meditando sul divano… l’ideale dopo una notte insonne, no?» rispose con pesante e irritato sarcasmo la voce di Ramo dall’altra stanza «Cavolo, Kumals, giuro che se mi hai svegliato per una stronzata a caso io…»

«Okay, come non detto, non preoccuparti.» lo interruppe giovialmente e pragmaticamente Kumals, facendosi indietro di nuovo dentro la camera da letto e iniziando a chiudere la porta.

«Cosa?» trasecolò la voce di Ramo «No, no, ora mi dici che cosa accidenti…!»

Kumals chiuse la porta tranquillamente in faccia al resto della frase e tornò con passo leggero accanto al letto, risistemandosi con una certa difficoltà sulla poltrona traballante, prima di tornare a guardare Danny e rivolgerglisi con un tono irritantemente imitante qualcuno che sta cercando di comunicare con un completo fuori di testa assecondandolo con paziente disponibilità per non farlo agitare. «Dunque, mi dicevi a proposito di quell’interurbana tra sogno e realtà?»

Danny sbatté di nuovo un poco le palpebre, come cercando ancora di mettere meglio a fuoco. «Sei qui.» disse semplicemente.

Kumals lo fissò per qualche istante in silenzio, quindi allungò un braccio e prese un barattolo di compresse dal comodino. «Humm… forse dovremmo dare un’occhiata al libretto delle istruzioni in effetti…» constatò, scrutando le piccole scritte sull’etichetta con sguardo piuttosto corrucciato.

«Voglio dire…» si schiarì la voce Danny «Sei arrivato.»

Kumals tornò a guardarlo alzando un sopracciglio. «Sì…» disse, ancora con quella sua paziente lentezza di chi è convinto di stare parlando con qualcuno in preda ad una qualche sorta di delirio «Mi sembra un’evidente concausa-effetto… una di quelle difficilmente eludibili, diciamo…»

Danny sorrise allora, tenuemente ma profondamente, e chiuse gli occhi scuotendo un poco la testa divertito, sbuffando un accenno di breve risata sardonica. Tentò di dire qualcosa, ma si ritrovò la voce bloccata dalla gola riarsa.

Come intuendo precisamente il problema, Kumals prese dal comodino una bottiglia di plastica piena di acqua, la aprì e gliela passò; Danny ne vuotò praticamente metà a lunghe sorsate, prima di riallungargliela e ritentare di parlare.

«Ne sono contento…» mormorò sinceramente, sospirando appena con un che di sollevato.

Kumals si bloccò nell’atto di riavvitare il tappo alla bottiglia e lo fissò incredulo. «Di tutte le cose che mi aspettavo dicessi… Dev’essere la febbre. Se siamo fortunati, intendo.»

Danny inarcò un sopracciglio, ancora con quel sorrisetto divertito. «Perché, non ti aspettavi che…?» accennò.

Kumals sospirò, riappoggiò la bottiglia e riprese a parlare con pazienza. «Onestamente, Danny… tralascerò la parte con le domande noiose… come quella sul come ti chiami…»

«Anche perché mi hai appena dato un suggerimento abbastanza scoperto, direi…» commentò Danny, sogghignando appena, impertinentemente.

Kumals ignorò con sciolta dimestichezza il commento e proseguì. «E quella sul dove ti trovi e in che anno siamo e in che continente e così via… Ma sai almeno che momento è questo?»

Danny lo fissò perplesso, aggrottando le sopracciglia. «Momento…?»

«Avanti, trova gli indizi!» lo esortò con la sua ironia salace Kumals «Tu sei in un letto conciato male, e io sono al tuo capezzale, giusto?»

«Hmmm…» mugugnò Danny, non particolarmente convinto, ma con un principio di sospetto ben poco piacevole, una nota di inizio di leggera protesta in sottofondo.

«Quindi, dal momento che sai benissimo che cosa seguirà…» proseguì Kumals, guardandolo più apertamente e familiarmente negli occhi «Sul serio, Danny, come puoi dire che sei felice di vedermi qui ora?»

«Una ramanzina.» constatò Danny.

Kumals inarcò un sopracciglio, con un’espressione ancora vagamente divertita ma non convinta. «Questo potrebbe risultare un eufemismo. In realtà, se dovessi scegliere un termine adatto a questi momenti… non ne sceglierei uno così… risibile.»

«Perché invece non torniamo alla parte precedente…?» propose Danny, lanciandogli un’occhiata che a Kumals non fece presentire nulla di buono.

«Quale parte?» domandò comunque, inarcando un sopracciglio.

«Quella in cui stavi dicendo che ti dispiace per qualcosa.» rispose Danny, godendosi l’espressione di Kumals che tentava al meglio possibile di rimanere impassibile. «Perché sai, non vedo l’ora di sentire per che cosa ti dispiace, esattamente…» precisò, sogghignando di nuovo un poco, impertinentemente e con gusto. Davvero non riusciva a ricordarsi una sola volta in cui Kumals avesse mai detto così sentitamente e onestamente qualcosa che andava vicino ad un’ammissione di un suo errore.

Kumals sbuffò appena, e agitò un poco la mano a mezz’aria come a scostare delle assurdità. «Quello te lo sei sognato…» ribatté, anche se sembrava assai consapevole di non poter essere del tutto credibile.

Dopo avergli lanciato un’ultima occhiata vittoriosamente soddisfatta e complicemente consapevole, Danny rivolse lo sguardo al soffitto come rilassandosi un poco di più, e sospirò appena. «Credo sia il caso di dire… alla buon’ora. No?»

Kumals gli rivolse un accenno di sorrisetto sogghignante e allo stesso tempo sinceramente un poco dolente. «Oh, beh… sai come si dice, no? Meglio mai che tardi.»

Danny riabbassò lo sguardo su di lui, inarcando le sopracciglia divertito. «Veramente, credo che l’espressione corretta sia tutto il contrario.»

«Già.» commentò placidamente Kumals, schioccando appena le labbra. «È un errore comune. Ma sono convinto che sia proprio così invece: meglio mai che tardi.»

Danny si rassegnò a lasciar perdere e tornò sull’argomento principale. «A questo proposito… non credi che potresti essere tu quello che si merita una ramanzina, stavolta?»

Kumals lo fissò con espressione più seria e sincera. «Danny… veramente… come ti ho detto, se avessi potuto arrivare prima…»

Danny sospirò appena e scosse la testa, interrompendolo con calma rassegnata «Okay, okay… ho capito. Motivi urgenti e irrimandabili e via dicendo… D’accordo…»

«Hum…» mugugnò Kumals, studiandolo senza troppa convinzione, notando che quello non sembrava esattamente un moto di comprensione o perdono vero e proprio, quanto piuttosto una resa «Comunque, sul serio… Sta iniziando a diventare un dejà-vou fin troppo ripetitivo e sgradevole, questo.»

Danny lo guardò senza capire.

Kumals sospirò e riprese, senza risultare particolarmente più comprensibile. «Sai, volevo raccontarti questa storia… di una bottiglia di ottimo spumante. Eccellente annata, marca prestigiosa, probabilmente sarà costato un sacco di soldi. Un cliente particolarmente riconoscente me l’ha regalata una volta dopo che avevo brillantemente risolto un caso, come mio solito naturalmente.»

Danny continuò a fissarlo, senza dire niente, evidentemente cercando invano di comprendere dove volesse andare a parare, anche se, se tanto gli dava tanto, sospettava già che Kumals stesse preparando con tranquilla meticolosità arzigogolata una stoccata pungente.

«Fin dalla prima volta che l’ho vista, ho capito subito che una cosa del genere non poteva che essere aperta in un’occasione eccezionalmentissimamente speciale.» proseguì Kumals in tono apparentemente tranquillo e colloquiale «Così mi sono detto: scegliamola bene questa occasione in cui brindare con qualcosa di così estremamente prezioso. E pensa che da allora questa bottiglia giace ancora intatta a prendere polvere, da diversi anni a dirla tutta. Tutta colpa del fatto che io abbia scelto un’occasione così estremamente eccezionale che… a quanto pare non si verifica mai. Vuoi sapere quale occasione ho scelto per celebrare con questa rarità meravigliosa? Beh, una volta in cui alla fine di un caso in cui io non sia stato esattamente dove ti trovavi tu per più di qualche ora, tu non abbia finito per quasi rimetterci la pelle in un modo o nell’altro.»

Danny si limitò a sostenerne lo sguardo per qualche momento in silenzio, mentre Kumals lo contemplava aspettando placidamente la sua reazione, le mani incrociate in grembo e l’aria più tranquilla e candida del mondo, a vedersi.

Infine disse «Non hai perso tutto questo tempo prima di arrivare qui per prepararti questa cosa, vero?»

Un angolo delle labbra di Kumals si piegò appena verso l’alto in un traditore segnale di sogghigno trattenuto, evidentemente apprezzando la replica a tono, ma comunque finse un’aria ponderante e rifletté ad alta voce «Hum, okay… forse questa era più adatta da usare con Uther, vero? A te cosa potrei promettere di allettante? Un giocattolo di gomma da mordere, forse?»

Danny alzò gli occhi al soffitto e sospirò eloquentemente. «Comunque… sono felice che tu sia qui… davvero.»

«Oh, anch’io sono felice di constatare che hai seguito le mie istruzioni alla lettera.» ribatté Kumals, in tono compostamente calmo, l’ironia già abbastanza scoperta nelle parole «Sul serio, Danny, sei stato impeccabile…»

Danny gli rivolse uno sguardo corrucciato, e a tono replicò «Sai come si dice… è facile giudicare quando non ci si è dentro con le proprie zampe… o piedi.»

Kumals si limitò a fissarlo con un che di significativo.

Danny sospirò più pesantemente. «D’accordo… immagino che tu abbia… ragione… da un certo punto di vista…» ammise cautamente, osservando le sopracciglia di Kumals inarcarsi mentre lui fingeva un’espressione teatralmente sorpresa «Ma non è stato…»

Danny esitò, guardando il soffitto e mordendosi un poco le labbra.

 «Stavolta era… diverso. Era una faccenda… tra mezzi lupi. Tra me e Mara. Non potevo… sottrarmi. O meglio, forse potevo. Ma ho scelto di non farlo. È così che volevo risolverla… Non in altro modo. Non con trucchi o astuzie o stratagemmi… o altro del genere.»

Kumals rimase in un quieto silenzio, l’espressione ora seria e riflessiva e intenta, e infine annuì un poco. «Capisco…»

Danny riabbassò lo sguardo spalancato e stupito su di lui. Kumals di rimando inarcò significativamente un sopracciglio.

Danny sospirò di nuovo e tornò a guardare il soffitto. «Sai…a volte penso proprio che le nostre vite non funzionino allo stesso modo, la tua e la mia.»

Kumals inarcò anche l’altro sopracciglio, incuriosito. «Che cosa intendi?»

«Beh… la tua vita sembra funzionare come se la organizzassi ordinatamente in sequenze, come una serie di cartelle di un archivio, o qualcosa del genere. La mia ha sempre funzionato più… a strappi… o a schegge…» mormorò Danny, riflessivamente e distrattamente. Non udendo alcuna replica, tornò a riabbassare lo sguardo su Kumals, che lo stava ancora osservando con attento interesse. «Lo so, detto così non sembra avere molto senso…»

«Oh, non ti preoccupare. Non lo stavo propriamente cercando, un vero e proprio senso a quello che stai dicendo. Non ci stavo nemmeno provando.» commentò tranquillamente Kumals.

Danny sbuffò un breve e nasale accenno di sarcastica risata. «Comunque…» proseguì, tornando a fissare il soffitto «Tutto quello che ho sempre potuto fare… è stato tentare di mantenere il ritmo, confuso e… frenetico. Di rimanere a galla o… cavarmela alla meno peggio in qualche modo. Non credo ci sia molto altro da fare quando hai una vita in schegge e strappi.»

Dopo qualche istante di silenzio, Kumals sospirò profondamente. «Va bene… mi dispiace, sul serio, di non essere riuscito ad arrivare prima. Mi rendo conto che dev’essere stato difficile. Molto, anche. Avrei voluto essere qui prima.»

Danny, che aveva riabbassato lo sguardo stupito e colpito su di lui, lo fissò con più calma intenta ora. «Dimmi che hai fatto del tuo meglio, allora… Andrà benissimo.»

Kumals gli rivolse un accenno di sorriso sincero. «Ho fatto del mio meglio…»

Danny gli sorrise tenuamente. «Sai… non avevo dubbi che l’avresti fatto.»

«Nemmeno io… a tuo riguardo.» contraccambiò Kumals.

Danny spalancò di nuovo gli occhi, colpito.

Kumals inarcò un sopracciglio. «La cosa ti sorprende così tanto?»

«Non avrei definito… quello che sono riuscito a fare qui così… in quel modo. Non così facilmente, perlomeno.» ammise Danny.

«Allora, è un bene che ci sia io a dirlo, dopotutto.» sorrise gentilmente Kumals, prima di riprendere un’espressione appena incuriosita «Ma di che cosa dubitavi così tanto esattamente? Che avresti fatto del tuo meglio, o che io avessi fiducia in te per questo?»

«Probabilmente… di entrambe. Sempre.» ammise Danny.

«Oh beh…» alzò le spalle Kumals, alleggerendo il tono «Un po’ di dubbio non fa mai male. Dà quella spinta irresistibile a rimettersi sempre in gioco per riconfermarsi prima di tutto a se stessi, di volta in volta, no? E magari a fare di tutto per evitare le mie ramanzine?»

Danny sorrise appena e sembrò osservarlo meglio «Sembra che tu abbia avuto qualcosa di veramente impegnativo a tenerti così occupato da non poter arrivare prima, sai…? Perché dai proprio l’impressione di essere così stanco da non riuscire nemmeno ad evitare di farti sfuggire queste bordate pericolosamente troppo gentili per appartenere ad una delle tue solite temibili ramanzine…»

Kumals alzò un sopracciglio, piuttosto divertito. «‘Temibili’, eh…? Questo è già un po’ meglio, come definizione. D’altro canto, se è per questo nemmeno tu stai lontanamente avendo un atteggiamento adeguato a quello di qualcuno che sa di meritarsi una… temibile ramanzina.»

Danny chiuse gli occhi, sorridendo quietamente soddisfatto. «Sì… lo so.» replicò con impertinente tranquillità.

«Quello seriamente stanco sembri tu.» osservò Kumals, gentilmente «Forse questo è uno di quei momenti in cui puoi concederti una pausa dal tuo… ‘cercare di tenerti al passo col ritmo frenetico’, e riposarti…»

«Tu dici…?» mormorò distrattamente e con tono assonnato Danny, a occhi chiusi.

«Dico.» rispose semplicemente Kumals.

«Allora… credo che…» mormorò ancora appena Danny, già scivolando di nuovo nel sonno.

Kumals si limitò a osservarlo per qualche momento ancora, mentre l’altro si riaddormentava del tutto

Quindi sussurrò distrattamente «Già…»

E recuperò dal letto su cui l’aveva appoggiato l’album di ritagli di giornale e di appunti dei vecchi casi, risistemandoselo in grembo e riaprendolo, riprendendo a sfogliarlo, immerso chissà dove in qualche punto dei suoi ricordi, con un tenue sorriso tra il malinconico e l’affettuosamente divertito.

 

 

 

Soundtrack:

Mr. E’s beautiful blues (the Eels)

See you again (Wiz Khalifa feat. Charlie Puth)

 

Note Sciocchezze dello scribacchiatore: il sindacato di Uther protesta vivacemente perché Uther si è beccato un’orribile ramanzina e Danny no; il fansclub di Kumals risponde con compassata e candida noncuranza.

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Capitolo 56
*** 55 - Invisible scars ***


Capitolo 55

(Invisible scars)

 

Quando le porte del treno fermo nella stazione di Tairans si aprirono rispondendo al meccanismo automatico, Yuta scese gli scalini trascinandosi dietro un’ingombrante valigia, sulla schiena i suoi due cerchi con lama da combattimento debitamente avvolti come al solito in due grandi teli di spessa stoffa che impedivano alla vista di chiunque non sapesse esattamente di cosa si trattasse di vederli, e facendo vagamente somigliare l’involto ad uno specchio avvolto alla belle’e’meglio in modo che non rischiasse di rompersi.

Ferma in piedi sulla banchina, Yuta appoggiò la valigia a terra e si rialzò, guardandosi intorno senza fretta, con espressione contemplativa e distante. «Quanto tempo…» mormorò tenuemente tra sé e sé.

Fermatasi di fianco a lei dopo essere a sua volta scesa dal treno, Andrea alzò lo sguardo sul suo viso, avendo a malapena distinto le parole tra il rumoreggiare della folla di passeggeri che salivano e scendevano sciamando loro intorno come un mare un poco agitato attorno ad una sorta di piccola isola.

«Devi avere molti ricordi qui…» disse piano Andrea, con tatto.

Yuta sorrise con gentile malinconia, come più che altro a se stessa o ai suoi ricordi, e infine scosse appena la testa, come riprendendosi, e si chinò tornando a raccogliere la propria valigia.

«Già. Ma non è il momento di farsi prendere da essi, giusto?» disse, con piglio più deciso, rivolgendo un sorriso ad Andrea. «Credo sia piuttosto il momento di andare a vedere che cosa diavolo hanno combinato quegli altri quaggiù.»

Andrea si limitò ad annuire, prima di incamminarsi con lei verso l’uscita della stazione, procedendo affiancate con un passo notevolmente determinato.

 

***

 

«Ti dispiacerebbe bussare, cara?» domandò gentilmente Yuta, mentre con uno sbuffo di fatica depositava di nuovo la sua valigia sul pianerottolo, per poi rialzarsi in piedi e piazzarsi le mani sulla schiena, riprendendo fiato.

Andrea si riscosse dalla sua osservazione dell’assolutamente comune aspetto dell’interno del piccolo condominio, che stava fissando senza posa come se stesse cercando di cogliere qualcosa di straordinario in esso che, tuttavia, sembrava mancare completamente, e annuì. «Certo…» rispose, prima di seguire con lo sguardo l’indice puntato con cui Yuta le stava indicando una delle due porte su quel pianerottolo, e avvicinarsi ad essa.

Bussò alla porta senza staccare gli occhi da essa, stringendo le labbra, avviluppata in un corposo turbinio di pensieri ed emozioni.

Pochi istanti dopo, la porta si spalancò con un energico svolazzo, e dietro di essa apparve Kumals, che la fissò per un momento completamente immobile e in silenzio, prima di sorridere luminosamente. «Oh, ben arrivata!» cinguettò amabilmente.

«Ciao, Kumals…» fu tutto ciò che riuscì a dire Andrea, con un che di irrigidito.

Kumals la studiò rapidamente da capo a piedi, e infine sorrise di nuovo, più sinceramente, e spalancò un poco le braccia. «Beh, è un po’ che non ci vediamo. Mi è concesso un abbraccio?» domandò, in tono scherzosamente imitante un che di quasi formale.

Un po’ più rilassata, Andrea riuscì a tirare fuori un piccolo sorriso e fece un passo avanti, abbracciandolo. Kumals le ricambiò l’abbraccio, poi, tenendola gentilmente per le spalle, si fece indietro e la guardò con un sorriso cortesemente affettuoso. «A proposito, bello questo nuovo colore di capelli.»

Andrea sorrise e annuì. «Grazie.»

«Se avete finito con i convenevoli… potremmo entrare?» intervenne Yuta, il tono piuttosto burbero.

Kumals alzò lo sguardo su di lei e spalancò di nuovo le braccia. «Yuta! Un abbraccio?» esclamò, con entusiasmo smaccato ed evidentemente scherzosamente esagerato.

«Sì, dopo, ora vuoi spostarti e farmi passare, per favore?» replicò Yuta, sbuffando e costringendolo di fatto a farsi in fretta da parte per evitare di essere travolto, mentre lei superava la soglia carica dei suoi bagagli. Andrea ne approfittò per seguirla prontamente dentro l’appartamento, nel quale riprese a guardarsi attentamente intorno con vivida curiosità, come se stesse cercando di registrarne ogni singolo particolare con accuratezza precisa.

Yuta depositò la valigia e si tolse l’involto dalle spalle facendogli seguire la stessa sorte sul pavimento, prima di guardarsi attorno a sua volta e schioccare appena la lingua significativamente.

Kumals le si affiancò e le diede un paio di leggere gomitatine nel fianco. «Quanti ricordi, eh?» chiese, con evocativa complicità.

Yuta corrugò appena la fronte e sorrise un poco, continuando a guardarsi intorno. «Ci sono cose che non cambiano mai. Come la vostra capacità di tenere un minimo di decente ordine e pulizia in questo posto.» osservò.

«Beh, ma siamo stati un po’ impegnati, ultimamente…» tentò di ribattere Kumals, sulla difensiva «E comunque, l’accoglienza di questo posto prescinde certamente dalle sue condizioni strettamente igieniche. È qualcosa che è racchiuso nel vero spirito di queste mura e…»

«Dov’è Danny?» chiese di punto in bianco Andrea.

Kumals si interruppe, e lui e Yuta si voltarono a guardarla.

«Oh, certo, non che io sia geloso di tante attenzioni, s’intende…» si riprese Kumals «Anche se forse, se avessi l’abitudine di trovare con tanta ammirevole costanza e testardaggine il modo di farmi del male, allora magari per qualche misterioso motivo potrei meritarmi un po’ più di genuina considerazione. E davvero, non che…»

Yuta roteò gli occhi e marciò con decisione verso la porta accostata della camera da letto, subito seguita dappresso da Andrea; Kumals rinunciò al suo discorso e le seguì prontamente, cambiando immediatamente registro. «Anche se non meno merito andrebbe riconosciuto a chi viene poi a raccogliere i cocci, bendare i feriti, accudirli amorevolmente senza far loro mancare nulla e…»

Yuta spalancò la porta e si dispose sulla soglia, le mani piantate con decisione sui fianchi.

Dopo un istante di silenzio, Danny esclamò dal letto un felice e sorpreso «Yuta!», mentre Ramo, seduto su una sedia lì accanto, le sorrise di affettuosa amicizia con un non meno sorpreso «Hey

«Danny! Per la miseria!» sorrise Yuta caldamente, dando l’idea di non essere in quel momento in grado come avrebbe voluto di riuscire a tirare fuori quella che sarebbe probabilmente risultata come una ramanzina.

 Quando il suo sguardo si spostò di nuovo su Ramo, questi iniziò subito a riportare in tono responsabile «Stavo giusto dicendo a Danny che dovrebbe pazientare almeno un altro giorno prima di alzarsi dal letto, dopodiché…»

La sua voce si affievolì e si spense quando Andrea si affacciò a sua volta sulla soglia.

Di colpo cadde un totale silenzio.

«Andrea…» mormorò infine Danny. Poi, dopo una lunga pausa, come se qualcosa lo avesse improvvisamente distratto dal suo cercare le parole adatte al momento, e dopo aver evidentemente deglutito, riuscì di nuovo a dire in tono impallidito «Hai… cambiato colore ai capelli.»

Kumals strinse le labbra e tentò di lanciare a Danny un’occhiata di sincero avvertimento, anche se probabilmente era troppo tardi, e soprattutto gli occhi di lui non sembravano essere disposti a staccarsi da Andrea. Yuta fece una sibilante inspirazione e trattenne il fiato.

E poi Andrea stava avanzando nella stanza ad ampi passi, salendo sul letto in ginocchio fermandosi di fianco a Danny, e gli stava tirando un schiaffo schioccante su una guancia.

Di nuovo cadde il silenzio.

Danny la stava ancora fissando, stavolta con sguardo decisamente spalancato.

E Andrea iniziò praticamente ad urlare con trasporto alterato «Tu sei quasi morto e tutto quello che ti viene in mente è che ho cambiato colore ai capelli?!?»

Danny sembrava ancora così perso nella sua contemplazione fra il frastornato, l’ammirato e il relativamente terrorizzato, da non riuscire nemmeno a boccheggiare senza suono come si deve.

Yuta sentì Kumals accanto a lei prendere fiato come per dire qualcosa, e repentinamente e scioltamente, con un che di perfettamente abituato, sporse il braccio di lato e gli premette una mano a tappargli la bocca, facendolo tossicchiare per la sorpresa e l’interruzione improvvisa di qualsiasi cosa stesse per dire.

«Ramo? Non dovevi parlarmi di…?» iniziò Yuta, e prima che riuscisse a proseguire Ramo stava già balzando in piedi come se la sedia fosse di punto in bianco diventata rovente, esclamando un fervente «Sì. Sì! Certamente!», e affrettandosi ad uscire dalla stanza con un trafelato e immediato tale trasporto da quasi travolgere sia lei che Kumals, i quali d’altro canto lo seguirono prontamente.

Yuta fece per chiudere la porta dietro di loro, quando Ramo si sporse di nuovo sulla soglia e, con notevole sforzo imbarazzato, disse con cautela «Hem… solo… viste le condizioni di ripresa, anche se tutto va bene, magari ci andrei un po’ piano con i pugni e magari cercando di non colpire proprio i punti che…»

Yuta lo prese gentilmente ma fermamente per un braccio, sospingendolo fuori dalla stanza, e chiuse la porta dietro di loro.

Danny e Andrea erano ancora immobili, come se non avessero affatto percepito che cosa stava accadendo loro intorno, fissandosi reciprocamente negli occhi.

Dopo un poco, Andrea disse con una calma quasi irreale «Sei un idiota, sai…?»

«Sì… credo… di sì.» ammise Danny, annuendo appena e tentando un vago accenno di sorriso. Vide gli occhi di lei inumidirsi un poco. «E… ti sta bene. Il nuovo colore. Non che con questo voglio affatto dire che quello di prima invece…» si affrettò ad aggiungere.

Andrea alzò di nuovo la mano e Danny socchiuse gli occhi in attesa di un altro schiaffo. Invece lei gli accarezzò la guancia colpita, osservandola per un momento distrattamente, come se stesse cercando di decidere quanto male potesse avergli veramente fatto.

«E… questo era il minimo sindacale…» gli mormorò ancora.

«Anche in questo caso… credo di sì.» disse piano Danny, riaprendo completamente gli occhi per guardarla. «E mi sei mancata moltissimo.» aggiunse in un sussurro limpidamente calmo e sincero.

Andrea tornò a fissarlo dritto negli occhi. «Tu lo sai che tutte queste non sono valide ragioni, vero?»

Danny annuì con aria tranquillamente aperta. «Sì. Non credo di averle, a dirla tutta… delle valide ragioni. Ma non è per questo che te lo sto dicendo… È perché è dannatamente vero.»

Andrea emise un sospiro quasi sbuffante. «Sei un dannato idiota, ecco che cosa è dannatamente vero.» ribatté, con calma sicurezza.

Danny annuì di nuovo un poco, distrattamente.

Dopo qualche altro istante di assoluta immobilità e scambio di sguardi, si mossero quasi all’unisono, e Andrea gli si gettò tra le braccia allacciandogli le sue al collo.

Danny inalò bruscamente attraverso il naso e dopo un piccolo sussulto si irrigidì appena, e Andrea si staccò subito, tirandosi un poco su di nuovo e mormorando in fretta dispiaciuta «Scusa, scusa… Sei ferito, ti farò male.»

«No.» replicò Danny con calma, guardandola negli occhi e trattenendola appena per le braccia. «O non importa così tanto al momento.» aggiunse caparbiamente.

Andrea si chinò a baciarlo.

Qualche momento dopo, Andrea si era ormai sistemata a pancia in giù sul letto, accanto a lui e un poco tra le sue braccia, ancora cercando di non avere troppo del suo peso su di lui, e lo stava guardando accarezzandogli ancora la guancia colpita.

Danny le passò le dita tra i capelli, ora tinti di un acceso fucsia scuro, con un che di profondamente affettuoso e allo stesso tempo complicemente scherzoso e sbarazzino. «Ti stanno bene davvero.» osservò, sorridendole.

Andrea sornacchiò un leggero verso ironico ma sinceramente divertito, e dopo avergli stampato un altro bacio sulle labbra si tirò su a sedere sul bordo del letto, iniziando a togliersi le scarpe. «Certo che mi stanno bene. Altrimenti non li avrei colorati così.» ribatté in tono leggero e colloquialmente divertito.

Improvvisamente, per Andrea era come se non fosse così importante quanto fossero terribili le storie che Yuta le aveva raccontato, con esitazione e suo malgrado, di quello che era successo lì in quei giorni; improvvisamente si sentiva come se l’intero universo le potesse anche garantire che sarebbe andato tutto bene da quel momento in poi, che le cose terribili non possono veramente succedere e devono essere solo una specie di leggenda metropolitana, o un’esagerazione drammatica.

«Come è andata in Germania da tua madre?» chiese Danny, il tono sospeso in una sorta di stato trasognatamente distratto e pacifico, lo sguardo che seguiva ogni minimo gesto di lei come se fosse saturato di un suo particolare fascino e di un significato che andasse oltre la prosaica apparenza, o come se stesse ancora cercando di persuadersi che lei era veramente lì e non era un suo delirio da sogno causato eventualmente dagli anti-dolorifici di Ramo.

Andrea fece spallucce, mentre si liberava definitivamente delle scarpe e si infilava sotto le coperte sistemandosi di nuovo accanto a lui.

«Bene. Le solite cose. Come giro di saluti a tutti i parenti, minimizzazione di quello che è successo alla scuola d’arte mesi fa e di come è tutto a posto e sto bene e procedono bene gli studi, shopping e film e così via, conoscere meglio il fidanzato di mia madre…» riportò con tono leggero, prima di tornare a fissarlo più intenzionalmente dritto negli occhi «Ma credevo che le cose interessanti fossero successe qui, piuttosto…?»

Danny la accolse abbracciandola intorno alla vita e tirandola un po’ più contro il suo fianco, con un ché di profondamente grato e un accenno di sospiro quasi di sollievo.

«È… una lunga storia… » ammise infine, rivolgendo lo sguardo al soffitto.

Andrea annuì un poco, poi abbassò lo sguardo e iniziò a sfiorare appena in punta di dita, con precauzione attenta, le fasciature che sporgevano dal collo della maglietta di lui. Rabbrividì quando notò quanto fossero vicine al collo di Danny, pensando che chi gliele aveva inferte dovesse stare a tutti gli effetti cercando di ucciderlo senza mezzi termini.

Sentendola tremare, Danny le prese istintivamente la mano nella sua, stringendola, e riabbassò lo sguardo su di lei. «Non è così brutta come sembra.» le mormorò, guardandola serio e intento.

Andrea rialzò lo sguardo nel suo e inarcò un sopracciglio, come a chiedergli implicitamente se pensava che lei fosse davvero così stupida.

Danny sospirò e chiuse gli occhi, mentre Andrea riprese tranquillamente ad accarezzargli il petto e le spalle, e lui nonostante tutto si stava profondamente rilassando. «D’accordo… non è stata esattamente una… hum… passeggiata.» ammise «Ma ora sto bene. Mi sto riprendendo. Hai sentito Ramo, giusto un’altra giornata e sarò come nuovo.»

«Devi essere tornato come nuovo molte volte, non è vero?» mormorò lei, fissando le bendature sulle quali stava scorrendo la punta delle dita, con un che di riflessivo.

Danny riaprì gli occhi e la guardo, sorpreso. «Che cosa intendi?» chiese quietamente, studiando la sua espressione assorta.

«Sei stato ferito molte volte, vero?» mormorò ancora lei, continuando a fissare le fasciature.

Danny si irrigidì appena, e Andrea alzò lo sguardo nel suo, proseguendo con calma riflessiva e dolente «Ogni volta sparisce tutto. Perciò, potresti anche essere stato ferito molte volte… e anche se fossero state brutte ferite… Non ne è rimasto nemmeno un segno, quasi di nessuna. Nemmeno una cicatrice. Tutte… cicatrici invisibili…»

Danny deglutì, sostenendo il suo sguardo, e poi appoggiò la fronte contr la sua e domandò in un mormorio «Ha tutta… questa importanza…

Andrea sembrò rifletterci sopra per un poco. Dopodiché si sporse a dargli un morbido bacio a stampo. «Forse.» disse, in tono gradualmente più leggero «Magari… pensi che essere ricoperto di cicatrici ti renderebbe più affascinante?»

Danny ridacchiò di cuore, riconoscendo con gratitudine lo scherzo alleggerente «Ne dubito.»

«Beh, sì… anch’io…» mormorò Andrea, tornando ad abbassare lo sguardo sui bendaggi che stava sfiorando con tocco leggero, fissandole con sguardo di nuovo tendente al corrucciato e dolente.

Danny le prese le mani tra le sue, stringendole gentilmente. Dopo un poco, lei rialzò lo sguardo nel suo, e lui disse «Onestamente… penso che la cosa più difficile sia stato sopportare Kumals al mio capezzale. A pensarci bene, di solito è sempre questa la parte peggiore.»

«Oh… Dunque è per questo che sei così felice che sia arrivata io? Così posso tenerti Kumals alla larga?» celiò lei, sorridendo complicemente ironica.

Danny ridacchiò. «Non oserei chiedere tanto a nessuno.» ribatté in scherzo, prima di tirarla un poco più vicina e baciarla di nuovo.

«Ah, quasi dimenticavo.» fece Andrea dopo un poco, staccandosi.

«Che cosa?» chiese distrattamente Danny.

Andrea sorrise in modo accattivante e in qualche modo un po’ preoccupante, alzandosi dal letto.

Danny sospirò appena, mettendo su un procinto di broncio deluso. «Non rimarresti qui un altro po’…?»

Andrea agitò vagamente la mano a mezz’aria mentre si incamminava verso la porta «Torno subito.»

Dopo un poco, in effetti, Andrea fu di ritorno nella stanza e tornò a sistemarsi accanto a lui, ma stavolta aveva in mano quella che Danny riconobbe come la sua macchina fotografica, con la quale stava tranquillamente trafficando con fare abituato.

«Dal momento che non sei potuto venire con me, mi sa che ti toccherà sorbirti una sequenza di foto di casa, di mia madre e il suo fidanzato, e cose del genere. Non preoccuparti, sarò magnanima e rapida ed efficace. Ma mamma ci teneva che vedessi almeno le loro facce, o qualcosa del genere…» lo informò Andrea, con piglio pratico e leggero.

Tuttavia Danny si irrigidì un poco, e lei lo guardò interrogativamente. Ma lui abbassò lo sguardo sembrando combattuto e leggermente a disagio.

Come intuendo, Andrea disse «Non importa, sai…? Che vi conosciate di persona e roba del genere. Mia madre non è quel tipo di persona… genitoriale soffocante o simili. E comunque… immagino che potrebbe essere un po’ difficile riuscire a condurre una conversazione convenzionale con le domande tipo come ‘che fai nella vita?’ e cose del genere… intendo, trattenendosi dal ridere per le risposte che si potrebbero inventare.»

Danny rialzò lo sguardo guardandola sorridere complicemente divertita, e d’impulso la tirò verso di se per baciarla, abbracciandola poi stretta e affondandole il viso nel collo, ispirando il suo odore.

Accarezzandogli la nuca con calma, lei aggiunse ancora in tono affettuosamente divertito «E comunque… trovo quasi offensivo che mi consideri il tipo di persona che ci tiene ad apparenze di questo tipo, come presentare ai genitori chi si sta frequentando, e cose del genere.»

Danny sorrise contro il collo di lei. «Magari sono io quello che verrebbe anche a farsi un giro in Germania e a fare un saluto rapido e indolore a tua madre e al suo ragazzo. Beh, non appena mi sarò procurato una versione credibile di ‘che cosa faccio nella vita’… e cose del genere.»

Andrea ridacchiò, e lo sentì rilassarsi di nuovo contro di lei, come se stesse lasciando scivolare via da sé tutta la tensione. Lo sentì iniziare ad addormentarsi quietamente, come se fosse terribilmente stanco e non fosse riuscito da giorni a dormire sul serio. Sorrise tra sé e sé allora, pur continuando a ritenere, dopotutto, che quella sensazione che tutto sarebbe andato in ogni caso bene da quel momento in poi, fosse comunque piuttosto stupida.

Ma non era male, come sensazione. Non era affatto male.

 

***

 

Kumals si mosse per l’ennesima volta sulla sua poltrona ora decisamente traballante, come cercando di trovare l’esatta posizione in cui essa riusciva ancora a stare relativamente ferma, a patto di non spostare troppo il proprio peso.

«Sei proprio sicuro che non hai idea di che cosa possa essere successo alla mia poltrona, Ramo?» domandò, concentrandosi con una smorfia piuttosto irritata sul suo tentativo di trovare l’esatta posizione che stava cercando.

«Sì. No. Cioè, non ne ho idea.» disse Ramo in fretta, prima di sparire in cucina annunciando evasivamente «Farò del tè. O del caffè. O qualcosa.»

«Caffè per me, grazie.» disse automaticamente Yuta.

Seduta sul divano del salotto, Yuta stava sfogliando distrattamente uno degli album di ritagli di giornale che parlavano di fatti paranormali che stava tenendo sulle ginocchia, come se nemmeno stesse veramente guardandolo, e più che altro lo stesse usando come un antistress, almeno a giudicare dal modo relativamente rabbioso con cui girava le pagine.

Kumals guardò i suoi movimenti corrugando le sopracciglia. «Potresti andarci piano, con quel libro? È un po’ vecchiotto, e già era in condizioni decisamente economiche quando lo abbiamo acquistato “nuovo”… figuriamoci adesso.»

Yuta alzò su di lui uno sguardo temibilmente corrucciato. «Come minimo è già sorprendente che non finisca in polvere solo a guardarlo.» commentò, chiuse sonoramente il tomo senza tanti complimenti, e lo gettò sul divano accanto a lei, ignorando tranquillamente lo sguardo disapprovante di Kumals, e anzi puntandogli negli occhi il suo con decisione. «Come ti è saltato in mente?»

Kumals alzò le sopracciglia rivolgendole un’occhiata quanto mai innocentemente confusa «Di fare cosa?»

«Non ci provare nemmeno.» lo avvertì Yuta, tradendo appena un sorrisetto di familiare riconoscimento dei suoi modi «Lo sai benissimo. Mandare qui Danny quando Uther… a proposito, dove diavolo è esattamente Uther?»

Kumals assunse un modo e una posizione compassatamente composti, nonostante il dondolio della poltrona zoppa «Come ho detto, il nostro Uther è attualmente coraggiosamente impegnato in una delicata missione che…»

«Stronzate a parte.» lo interruppe Yuta caparbiamente «Dove – diavolo – si – è – cacciato – Uther?» scandì, prima di considerarlo con sospettosa superiorità dubbiosa «Sempre che tu lo sappia, naturalmente. È sparito di nuovo, per caso?»

Kumals la fissò con aria sdegnata. «D’accordo, forse avevo tralasciato di calcolare che un nutrito gruppo di mezzi lupi decidesse di piazzare la sede della loro setta proprio qui vicino a Tairans, e mentre proprio Uther e Danny erano qui. D’altro canto, non è mia abitudine informarmi quotidianamente sugli spostamenti di ogni mezzo lupo esistente al mondo, ammesso che ciò sia lontanamente possibile. Ma di certo non sono ancora messo così male da permettere a Uther di andarsene in giro a scorazzare da solo dopo quello che è successo qui, e…»

«Quindi? Dov’è?» incalzò Yuta, perfettamente immune al suo tono da convincente oratore, tenendolo inchiodato con lo sguardo.

Kumals sospirò, comunque mantenendo un contegno di arieggiata serietà. «Oh, è andato a tenere sott’occhio l’accampamento dei sopramenzionati mezzi lupi. Con un nostro fido collaboratore, naturalmente.»

Yuta spalancò gli occhi e si alzò in piedi, alzando significativamente la voce. «Stai scherzando, vero?»

Kumals la guardò con apparente imperturbabile calma. «Non c’è affatto bisogno di agitarsi.» puntualizzò, tuttavia dovendosi sforzare di rimanere del tutto calmo di fronte al modo in cui lei lo stava fissando con fare battagliero. «C’è Mordecai con lui.»

Yuta rimase suo malgrado interdetta per un momento. «Mordecai?»

Kumals annuì tranquillamente. «Sì, esatto, Mordecai. Ricordi? L’esperto che…»

«Quello che ci ha dato una mano con quella faccenda al porto quando…?» lo interruppe Yuta, ancora piuttosto sorpresa.

Kumals annuì di nuovo, interrompendola a sua volta. «Precisamente lui.»

Yuta sembrò ponderare attentamente la cosa per un poco, e infine si lasciò ricadere a sedere sul divano, pur continuando a fissarla affatto soddisfatta. «Hai stabilito dei turni di sorveglianza all’accampamento dei mezzi lupi.» osservò, senza propriamente chiederlo.

Kumals le rivolse uno sguardo saputo e quasi altezzoso. «Certo. Come minimo. E in caso di problemi lo sapremmo immediatamente…» riportò, sfilandosi di tasca un cellulare, e agitandolo a mezz’aria per mostrarglielo, come se si stesse rivolgendo ad una platea di mormoni allo scopo di convincerli dell’utilità della tecnologia moderna.

Yuta fissò il telefonino, poi tornò a guardarlo come se gli stesse chiedendo implicitamente se si fosse rincretinito, e in ogni caso per fargli presente che stava esagerando con i suoi modi.

Dopo un momento di esitazione, Kumals rifece sparire il cellulare in tasca. «Come vedi…» insistette tuttavia «Tutto sotto controllo, al momento.»

Yuta inarcò significativamente un sopracciglio. «Ah, davvero? Al momento… già. E per quanto riguarda come risolvere la situazione con quei mezzi lupi fuori di testa?»

Kumals assunse un contegno ancora più sostenuto, ma allo sguardo di Yuta non sfuggì il furtivo movimento – peraltro sottolineato in modo traditore dal traballare della poltrona – con cui si agitò appena come per mettersi più comodo.

«Naturalmente, questa è una faccenda che va affrontata con la massima attenzione e delicatezza, e dobbiamo muoverci con una certa fermezza e senza perderci troppo sugli allori, dal momento che…»

«Non abbiamo molto tempo, vero?» lo interruppe lei senza mezzi termini, chinandosi in avanti, incrociando le mani e guardandolo con ancora maggiore attenzione decisa.

Kumals esitò solo brevemente, e lei stava già chiedendo «Quanto?»

Kumals fece una leggera smorfia e distolse lo sguardo, come se fingesse di pensarci sopra.

«Kumals.» lo richiamò in tono severo e stringente Yuta. «Quanto – tempo – abbiamo – esattamente?» lo interrogò con voce bassa e seria, scandendo le parole.

Kumals si schiarì la voce e agguantò una tazza di tè probabilmente freddo già da parecchio dal tavolo lì vicino, bevendone strategicamente un lungo sorso come se avesse deciso di vuotarla in un colpo.

«Quattro giorni a partire da domani.» le rispose un’altra voce.

Yuta si girò a guardare Ramo, fermo sulla soglia della cucina con le braccia incrociate al petto, il tono serio e lo sguardo tinto di una grave nota di preoccupazione abbassato sul pavimento.

Lei lo studiò per un poco, poi tornò a girarsi verso Kumals, e trovò conferma nel modo in cui lui stava fissando Ramo con una certa disapprovazione.

Yuta sospirò profondamente e si lasciò ricadere contro lo schienale del divano pesantemente. «Merda.» commentò, con generosa significatività.

Kumals si schiarì nuovamente la voce e iniziò in tono ordinatamente composto «Tutto considerato…», ma si interruppe prontamente quando la porta della camera da letto si aprì, e tutti fissarono in quella direzione.

Andrea uscì dalla stanza guardandosi tranquillamente intorno sul pavimento, individuò il suo zaino e si inginocchiò accanto ad esso iniziando a frugarvi dentro finché non ne estrasse la sua macchina fotografica.

Rialzatasi in piedi, sembrò improvvisamente realizzare che tutti la stavano fissando e si immobilizzò. «Che succede?» domandò.

Dopo un breve ma compatto silenzio, Kumals prese fiato per dire qualcosa, e Yuta lo precedette prontamente con un «Niente. Proprio niente.». Le sorrise quindi caldamente e in modo rassicurante. «Come sta Danny?»

«Bene. Beh, per come può stare bene visto che…» iniziò a rispondere Andrea, poi fermandosi un momento come se non sapesse bene come continuare. «Bene, tutto sommato.» si corresse definitivamente.

«Splendido.» annuì Yuta, instillando nella parola tutto il più sincero significato d’essa.

Andrea rivolse a tutti loro un ultimo sguardo non particolarmente persuaso, e ancora relativamente sospettoso, ma infine sembrò decidersi a voltarsi su se stessa e a tornare nella camera da letto chiudendosi la porta alle spalle.

Dopo qualche altro istante di silenzio, Ramo occhieggiò verso gli altri due con un certo nervosismo. «Non l’avrà… cioè…?»

Yuta si voltò a guardarlo, alzando un sopracciglio, incoraggiandolo implicitamente a continuare, piuttosto incuriosita.

Ramo abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle, muovendo un poco i piedi sul pavimento a disagio. «…picchiato…ancora?» si costrinse a terminare, come se non fosse per nulla convinto nemmeno lui della domanda.

Yuta sbatté rapidamente le palpebre un paio di volte, poi sbuffò appena e agitò un poco una mano a mezz’aria. «Niente più del necessario.» commentò distrattamente.

Ramo rialzò di colpo lo sguardo su di lei, inquieto, e Kumals emise un lieve sbuffo divertito.

«Quindi, fra quattro giorni esatti si scatenerà l’inferno qui?» riprese Yuta, piantando impietosamente uno sguardo deciso su Kumals.

Lui le ricambiò lo sguardo con composta serietà, alzando le sopracciglia. «Certo che no. Noi faremo in modo che non accada.» disse come se ne fosse certo.

Yuta gettò le braccia al cielo con un sonoro verso sarcastico. «Certo. E con noi intendi… quanti siamo, esattamente? Cinque persone, contando Mordecai? Sei, contando Danny conciato in quel modo? Sette con Andrea che come minimo dovremmo fare in modo che lasciasse la città e se ne andasse il più lontano possibile, magari chiudendola direttamente in una scatola da imballaggio con i buchi per respirare e spedirla via perché altrimenti col cavolo che si tirerebbe indietro…?»

Kumals la osservò per un momento piuttosto colpito da quel particolare di pragmatica pianificazione improbabile.

«E questo è quanto.» proseguì imperterrita Yuta «Contro un nutrito manipolo di mezzi lupi impazziti e coordinati che tra quattro giorni saranno al meglio della loro incontrollabilità scatenata in mezzo ad una cittadina di persone praticamente inermi e quasi sicuramente totalmente ignare.»

Kumals sembrò concentrarsi meglio per cercare qualcosa di valido da controribattere, mentre Ramo abbassava lo sguardo a terra mordendosi il labbro con aria preoccupata e seria.

«Oh, ma giusto, d’altra parte io sono solo l’ultima arrivata…» continuò Yuta, ironica «Quindi sono certa che avrai già sviluppato un ottimo piano per risolvere tutto brillantemente, e devo essere io che mi sto agitando per nulla. Anche perché, un ottimo piano a prova di mezzi lupi impazziti durante la notte senza luna che scorazzano per tutta… ah… Tairans, nientemeno!... è il minimo che spiegherebbe perché siete così tranquilli voialtri qui ora.»

Per qualche denso momento cadde un pesante silenzio.

Infine, Kumals tentò speranzosamente uno sguardo amichevolmente accattivante in direzione di Yuta. «Beh, abbiamo affrontato di peggio…»

Richiuse prontamente la bocca notando il modo praticamente omicida con cui lei lo stava inchiodando seriamente con lo sguardo alla sua traballante poltrona ammaccata.

«Forse…» mormorò Ramo sconsolato, come se stesse ragionando ad alta voce «Dovremmo procurarci quella scatola coi buchi che dicevi…»

Yuta si voltò a guardarlo. Assai esplicitamente basita, oltre che come se gli stesse implicitamente chiedendo se stava dicendo sul serio, o se stava anche solo pensando a quello che stava dicendo.

Ramo tornò a zittirsi con un leggero tossicchiare imbarazzato, dopo aver notato lo sguardo di lei, e tornò a fissare il pavimento con la fronte aggrottata come se fosse tornato a immergersi in un’impegnata e profonda riflessione alla ricerca di qualcosa di più utile da dire.

Yuta riprese a fissare Kumals con le sopracciglia significativamente sollevate. Come a sottolineare che, dopotutto, forse l’ultima arrivata era anche quella che stava avendo uno straccio di prospettiva più realistica di quella di tutti loro sulla situazione.

 

 

 Soundtrack:

Read my mind (the Killers) o Human (the Killers) – per la 1a parte (okay, tecnicamente la seconda)

Cannonball (the Breeders)

 

Sciocchezze dello scribacchiatore: e noi che ci preoccupavamo dell’arrivo di Kumals. Poveri sciocchi.

 

Perdonatemi (oppure no), non ho revisionato tantissimo, ma dovrebbe essere tutto nella norma diterribilità” in cui scribacchio io.

 

Inoltre (dettagli più tecnici): se la dimensione del carattere è cambiata rispetto ai precedenti capitoli: sorry, il mio computer ha avuto un accidente, ho dovuto reinstallare word eccetera, e per qualche misterioso motivo che supera le mie capacità di comprensione (non molto vaste, anzi) risulta questa modifica e devo ancora capire se e come riesco a venirci a patti nella messa on-line. Fatto ancora più affascinante: ho recentemente scoperto che alcuni errori di calligrafia non sono dovuti a me, ma al fatto che (sempre per ragioni assai oscuramente misteriose) nel passaggio da format word a formato html sparisce qualche lettera. Giuro che è vero. L’ho visto coi miei occhi. Comunque, mentre pondero la possibilità che il mio computer sia posseduto e che ci vorrebbe un/a esorcista e basta, sono lieto di informarvi che ho trovato una semplice soluzione: correggere gli errori direttamente in format html. Ma spero capirete che è una faticaccia assurda (da tutti i punti di vista: tanto più perché è demenziale che accada qualcosa di simile). Quindi non garantisco nulla. , so che ci tenevate da morire a sapere per filo e per segno i bizzarri acciacchi del mio computer (sicuramente dovuti in buona parte al mio beatamente non capire dove-come-cosa sia il problema tecnico); sicuramente il modo migliore di finire/iniziare una settimana, ne convengo.

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Capitolo 57
*** 56 - Sospira Pereira ***


Capitolo 56

(Sospira Pereira)

 

Era mattina inoltrata quando Kumals – reduce da un turno di sorveglianza all’attendamento dei mezzi lupi, dopo aver salutato Mordecai a sua volta diretto a casa propria per riposarsi, una volta che Yuta e Uther avevano dato loro il cambio – si trascinò su stancamente per le scale del suo ex appartamento a Tairans, aprì la porta, e si trovò davanti la scena di Danny, Andrea e Ramo stipati sul divano che facevano colazione pescando fette di pizza da un enorme cartone da asporto.

Kumals li contemplò per un istante con un sorrisetto e un sopracciglio inarcato, un’espressione ironicamente divertita.

«Sembrate una specie di gruppo punk all’ultima spiaggia. O qualcosa del genere…» commentò quindi entrando, chiudendo la porta, e raggiungendo la sua poltrona sulla quale si abbatté a sedere stancamente. La poltrona ondeggiò ampiamente. Kumals istintivamente si aggrappò un poco ai braccioli, e corrugò le sopracciglia con infastidita disapprovazione.

«Bentornato.» lo accolse Ramo, con un accenno di sincero sorriso. Danny gli porse il cartone della pizza.

Kumals sospirò piuttosto teatralmente. «Non c’è niente di più simile ad una vera e propria colazione…?» lamentò.

Ramo si alzò dal divano mentre finiva di ingurgitare una fetta di pizza e si diresse in cucina. «Cercherò…» offrì.

Andrea si era seduta più dritta e lo stava guardando con aria attenta e seria. «Tutto bene… là?» chiese.

«Mh-mh.» annuì distrattamente Kumals, le braccia piegate con i gomiti appoggiati sui braccioli, ora che aveva trovato il modo di stare seduto senza che la poltrona traballasse troppo; aveva tutta l’aria di un equilibrio precario. Alzò le mani e le incrociò davanti al viso, osservando Danny al di sopra di esse con aria riflessiva e ponderante. «Sembri sentirti meglio…» osservò, con fare attentamente casuale.

Danny smise di masticare e lo studiò con espressione tra il sorpreso e il vagamente sospettoso. «Sì… meglio.» si limitò a confermare, con quella che sembrava una tattica cautela. Raramente Kumals era tipo da dedicarsi alle formalità tra di loro, non senza tutt’altro scopo preciso in mente almeno.

Kumals annuì distrattamente, ancora osservandolo per un poco con aria riflessiva. Poi di punto in bianco si alzò in piedi e annunciò verso la cucina «Lascia perdere, Ramo. Faccio colazione fuori. Ah, e Danny viene con me.»

«Cosa?» fece Ramo, affacciandosi alla soglia della cucina con aria stupita.

«Dove?» domandò Danny, fissandolo basito e ancora più sospettoso.

«Perché?» chiese immediatamente Andrea.

Kumals si fermò, guardandoli ad uno ad uno significativamente. Andrea e Danny si scambiarono una breve occhiata, anche loro piuttosto colpiti dal profluvio di domande ridondanti. Poi stavano tutti e tre guardando compattamente Kumals, con una sfumatura chiaramente dubbiosa nello sguardo, quella di Danny più tendente al sospettoso, quella di Ramo all’incerto, quella di Andrea al preoccupato.

«Beh, a fare colazione, no?» Kumals optò per rispondere direttamente a Danny, agitando appena una mano a mezz’aria come per dissipare tutta quell’importanza che sembrava essersi addensata sulla questione, e cercando quindi di farla passare per semplice e banale. Non sembrò poter convincere nessuno degli altri.

«Dove?» domandò di nuovo Danny.

Kumals alzò gli occhi al soffitto. «In un… bar?» disse, il tono che suggeriva chiaramente quanto ritenesse la domanda stupida e inutile.

Danny alzò un sopracciglio, palesando che non aveva nessuna intenzione di bersela.

Kumals riabbassò lo sguardo su di lui, e in particolare sul bendaggio assortito ben intravedibile al di sotto della maglietta. «Oh, e potresti metterti una giacca addosso? Qualcosa di largo, magari, in modo da non sembrare una specie di mummia. Sai meglio di me che la gente ha strane concezioni a proposito di come sia appropriato vestirsi, ma meglio non attirare troppa attenzione su di noi… come al solito, d’altro canto.»

«Perché, è una cosa possibile riuscirci, da parte nostra?» ironizzò Ramo.

Kumals emise un lungo sospiro sardonico, e tornò a guardare Danny – che non si era mosso né sembrava in procinto di farlo nel prossimo futuro – con una certa paziente aspettativa. «Allora? Andiamo?»

Danny si corrucciò, ancora studiandolo sospettosamente. «Okay… Cosa c’è sotto?»

Kumals iniziò a fingere una delle sue più candide espressioni di sincera sorpresa e offesa; ma quando sembrò ricordarsi che era stanco e che Danny non si sarebbe mosso così facilmente, parve decidere di cambiare tattica. «E va bene. Avrei bisogno di scambiare due parole con te, ecco tutto. È così… difficile riuscirci? O vuoi un invito più formale?» ribatté con calma pazienza.

Danny esitò cocciutamente per un altro lungo momento, ma poi sembrò prendere una decisione e si alzò, agguantando il suo giubbetto e iniziando a infilarselo.

Kumals emise un leggero sospiro sollevato, poi individuò immediatamente che Andrea stava per aprire la bocca con tutta l’aria di voler protestare, e si rivolse rapidamente a lei con un sorriso rassicurante. «Niente di, hum, grave. Solo due parole tra di noi, e, beh, visto che devo fare colazione, nel frattempo…»

Danny emise un piccolo verso rassegnato, aprendo la porta. «Va bene… andiamo e basta.» lo interruppe «Prima andiamo prima torniamo, giusto?» aggiunse, scoccando ad Andrea uno sguardo come per rivolgersi soprattutto a lei.

Andrea sembrò decidere di non alzarsi dal divano né di protestare, come sembrava sul punto di fare, anche se con notevoli riserve in proposito a giudicare dalla sua espressione.

«Splendido.» schioccò la lingua Kumals affabilmente. «Andrea, Ramo… a dopo.» si accomiatò sventolando brevemente un sommario saluto con la mano, e uscendo dietro di Danny.

Fece per battergli una mano sulla spalla amichevolmente mentre si accingevano a scendere le scale, ma evitò all’ultimo con un’occhiata al bendaggio che ancora lo avvolgeva in più punti, accompagnata da una piccola smorfia.

Danny sospirò e roteò appena gli occhi, mentre scendevano le scale. «Sto meglio davvero.» gli disse.

Kumals annuì un poco e sorrise tra sé e sé. «Ne sono lieto.» disse sinceramente.

 

***

 

Danny era praticamente certo che Kumals gli volesse parlare di cose molto serie, come chiedergli una sincera opinione di quali speranze avessero di cavarsela con i suoi consimili mezzi lupi rimasti attendati poco fuori Tairans; o tutt’al’più come Uther fosse rimasto coinvolto in tutto quello.

Ma Kumals si limitò ad avviarsi lungo le strade di Tairans in un silenzio quieto e sereno, districandosi tra esse con tranquilla familiarità. E quando Danny fece per iniziare a dire qualcosa, Kumals lo interruppe con uno spensieratamente allegro «Non ora… Prima la colazione, poi le chiacchiere.»

Danny corrugò la fronte, stranito, ma si limitò per il momento ad assecondarlo.

Quando tuttavia spuntarono in una piccola e tranquilla piazzetta pigramente illuminata dalla luce della tarda mattinata, e Kumals si diresse pacificamente verso i tavolini disposti fuori da un bar dall’aria domesticamente accogliente, Danny si fermò stupito e buttò fuori «Aspetta un momento. Vuoi dire che stiamo sul serio andando semplicemente a fare colazione?»

Kumals si girò a dedicargli un’espressione sorpresa, inarcando un sopracciglio. «Non è quello che ho detto?»

Danny gli scoccò uno sguardo significativo che la diceva lunga in proposito a quanto – conoscendolo – si potesse decidere di prenderlo sempre alla lettera, ma riprese a camminare di fianco a lui, limitandosi ad un «Con te non si può mai sapere…» in tono scherzoso ma con ogni intenzione.

Kumals lo spiò appena di sbieco, sorridendo un poco. «Non capisco proprio cosa ci trovi di così strano… In tempi come questi, avere un mezzo lupo al proprio fianco è probabilmente la maniera più sicura di aggirarsi per questa città.»

Danny alzò un sopracciglio. «Non direi proprio che tu sia il tipo da avere bisogno di una guardia del corpo. O da ammetterlo.»

Kumals accennò un sorrisetto. «Attento… questo sembrava quasi un complimento.»

«Hai ragione. Errore mio.» rispose Danny a tono, facendolo sogghignare di nuovo.

Una volta raggiunti i tavolini fuori dal cafè, Danny vide con sua sorpresa Kumals approcciarne uno già occupato, nonostante fossero quasi tutti liberi. L’uomo che vi sedeva sembrò agli occhi di Danny il più innocuo e comune dei cittadini, con la sua aria comune di abituale cliente qualsiasi da bar, la sua corporatura bassa e piuttosto rotonda, i capelli diradati dall’età sulla cinquantina, e il suo alzare lo sguardo al loro approcciarsi dal giornale che stava sfogliando con la fronte corrugata come in un erculeo tentativo di concentrazione nella lettura al di là di un tempestoso e ostinato coagulo di preoccupazioni assortite.

Tuttavia, vedendo Kumals fece un cenno con la testa, e immediatamente la sua espressione si corrucciò in una sorta di riconoscimento familiare e soprattutto affatto entusiasta. Il che apparve a Danny un’espressione potenzialmente molto adatta a chi fosse avvicinato da Kumals e in generale lo conoscesse abbastanza, ma non avesse avuto modo di affezionarcisi in qualche modo; Kumals d’altro canto tendeva a renderlo difficile come se fosse una sorta di suo hobby a tempo perso.

«Capitano Pereira…» salutò Kumals sommariamente, sedendosi bellamente su una delle sedie libere. «Quanto tempo…»

Danny si bloccò di netto dove si trovava e spalancò gli occhi, studiando rapidamente meglio l’uomo, mentre quella sottile sensazione di qualcosa che non lo convinceva del tutto in lui si concretizzava istantaneamente in una conferma sfacciatamente palese. Era un poliziotto in borghese. Anzi, un capo della polizia locale.

L’uomo piegò il giornale mettendolo da parte con un piccolo grugnito, fissando Kumals con un ché di rassegnato e sempre meno entusiasta. «Mai abbastanza…» mugugnò.

Kumals sorrise appena, impassibile, con aria accondiscendente. Poi fissò Danny, affatto sorpreso di trovarlo ancora fermo in piedi e intento a studiare l’uomo da capo a piedi e viceversa con espressione inscurita. «Puoi sederti, se vuoi.» offrì «Il nostro capitano Pereira, qui, non morde, anche se a volte abbaia.»

Danny gli rivolse uno sguardo estremamente significativo, alzando entrambe le sopracciglia, con un ché di piuttosto accusatorio e vagamente tradito.

«Come puoi notare c’è abbondanza di sedie… Non resta che sceglierne una.» insistette tuttavia Kumals, fissandolo a sua volta con intenzione, come se avesse colto perfettamente il suo sguardo e gliene stesse restituendo uno che conteneva una richiesta di dargli fiducia per il momento.

Danny rimase perfettamente fermo dove si trovava, mentre l’uomo contemplava la scena con vaga curiosità attenta, tamponandosi un poco di sudore dal collo con un fazzoletto di tessuto.

Kumals sospirò appena, sebbene un angolo delle labbra inclinato decisamente e forse inconsciamente in un sorrisetto tradisse una sorta di comprensione abituata e piuttosto apprezzante in fondo.

«Ebbene sì, il nostro Pereira qui è uno sbirro. Ma è anche incidentalmente una persona abbastanza onesta per i nostri standard.»

Pereira gli dedicò un’occhiata decisamente corrucciata pur senza troppe speranze, che infatti Kumals ignorò con la sua consueta ed elegante nonchalance. Danny iniziò a percepire un leggero ma spontaneo sogghigno cercare di farglisi strada sul volto; perché quella sembrava una situazione in cui Kumals non avrebbe perso occasione di far pentire a quel poliziotto di trovarsi lì con loro, e suo malgrado si sentì tentato di sedersi per godersi la scena.

 Come se gli avesse letto nel pensiero – o più probabilmente come se avesse notato puntualmente quel minuto mutamento nella sua espressione, e avesse tutte le intenzioni di approfittarsi immediatamente di quel sottile vantaggio captato grazie alla sua capacità d’osservazione e al fatto che lo conosceva bene – Kumals aggiunse prontamente «Non devi farci amicizia, e nemmeno parlarci, come immagino tu preferisca evitare di fare. Mi stai semplicemente accompagnando. Indi per cui, non credo che ora prendere una sedia e sederti qui possa infrangere così madornalmente il tuo codice personale a riguardo degli sbirri, no?»

Kumals ignorò di nuovo bellamente un’altra smorfia di Pereira nel sentire quella definizione, e spinse gentilmente una sedia libera verso Danny.

Danny si arrese e si sedette, con espressione comunque acutamente contrariata, e non lesinando nel lanciare a Kumals un’ultima occhiata che faceva chiaramente sapere che quella non gliel’avrebbe perdonata così facilmente.

«Un giovane anarchico…?» domandò Pereira rivolto a Kumals, con appena un accenno di vago interesse.

«Uno di questi due termini sicuramente non si adatta a lui, anche se non ti dirò quale, Pereira.» rispose Kumals con compassata calma.

Danny sapeva che si riferiva al fatto che, a causa del suo essere un mezzo lupo, aveva più anni di quanti non si potesse desumere dal suo aspetto esteriore.

Pereira, d’altro canto, non poteva saperlo, e lanciò l’ennesima occhiata a Kumals tra il rassegnato e il decisamente confuso, aggrottando la fronte come di fronte ad un complicato indovinello in cui lui non trovava alcun particolare divertimento, e anzi sospettava fosse scortese porgli con tanta beneamata tranquillità.

«Ma tutto quello che devi sapere, è che un amico.» proseguì colloquiantemente Kumals «Un mio amico. Detto questo, va da sé che ha tutta la mia fiducia e protezione. E spero che ti ricorderai bene della sua faccia, perché se un domani dovesse mai venire a chiedere la tua collaborazione, o viceversa come del resto è assai più probabile, potrai rivolgerti a lui come se fossi io. Sempre che nel frattempo Danny abbia deciso di essere disposto a fare una piccola eccezione per te…» aggiunse, con una chiaramente percettibile sfumatura di complimentosa e divertita soddisfazione.

Danny spiò verso Kumals per un istante confuso. Ma per il resto rimase seduto a braccia incrociate continuando a tenere incollato sul loro interlocutore uno sguardo penetrante e di pessimo umore, come se niente potesse convincerlo a non tenerlo sotto vigile controllo, né trattenendosi dal lasciar trapelare che non gli piaceva affatto stargli tanto vicino.

Pereira emise un altro lungo sospiro con aria arresa. «Quante volte devo dirti, Kappa, che la polizia di Tairans non è a tua disposizione quando ritieni di averne bisogno… e che il fatto che io parli con te non significa e non potrà mai significare questo?»

Danny si stupì per quel nome, ma rimase in silenzio ascoltando attentamente.

Kumals stava sorridendo appena, divertito. «Almeno tante volte quante io dovrò ripeterti che non mi servirà mai a nulla l’aiuto di qualsiasi polizia, e che sono sempre stato propenso a desiderare piuttosto che chiunque dei tuoi colleghi di qualsiasi parte del mondo possa avere l’opportuna intuizione che il meglio che potrebbe fare è togliersi dai piedi e non intralciarci quando c’è qualche problema che ci compete da risolvere…» rispose con la sua amabile tranquillità.

Da quel momento in poi sulla faccia di Danny si insediò un accenno si sorrisetto divertito, perché stava definitivamente realizzando che, dopotutto, rimanere ad assistere mentre Kumals faceva il gradasso con uno sbirro non era affatto male.

«Kappa…» ribatté Pereira con pazienza e una smorfia rassegnata «Io sono il vice-commissario della polizia di Tairans, e come sai tutto quello che succede nel territorio sotto la nostra giurisdizione è sempre di nostra competenza. Tu e i tuoi… colleghi siete abituati ad andare e venire a chiamata, ma io e i miei uomini siamo sempre qui ad occuparci di qualsiasi problema possa riguardare questa città. A dirla tutta… è casa nostra, in un certo senso, e dovresti essere tu in realtà a chiedere semmai il nostro via libera per fare… cose come… quelle che fate di solito…»

Danny osservò come, nonostante i suoi sforzi, l’uomo sembrasse piuttosto in difficoltà, come se francamente riconoscesse per primo di non avere nessuna reale speranza di poter gestire Kumals; come se avesse abbandonato quella speranza già da molto tempo.

La proprietaria del cafè si avvicinò al loro tavolo, e Kumals ordinò la sua colazione, poi, dopo aver invano atteso che Danny aprisse bocca, aggiunse all’ordinazione un caffè per lui.

«Vice?» notò poi Kumals, dopo che la donna si fu allontanata, scoccando un’occhiata incuriosita a Pereira. «Mi pareva di ricordare che tu fossi l’ispettore capo…»

Pereira sospirò pesantemente. «Lo sono stato fino al vostro ultimo… intervento. Dopodiché, sono stato invitato a farmi da parte. Specialmente dopo che alcune delle cose che erano successe sono risultate un po’ troppo… strane per poter essere giustificate col fatto che avessi ricevuto precise informazioni da… ‘fonti confidenziali’…»

«Oh. Spero che non sia stata colpa nostra.» commentò Kumals, senza darsi pena di sembrare dispiaciuto «Un fulgido esempio di come quando non si ha qualche immanicamento con i giusti personaggi importanti, tendano a prendersela un po’ troppo sul personale per certe questioni.»

Pereira scosse la testa, con evidente rassegnazione. «Ad ogni modo… È appunto come stavo dicendo. Dopo quella… situazione particolare… voi siete tutti quanti spariti, e a raccogliere i cocci sono rimasto io. Quindi… ti sarei estremamente grato se stavolta mi dicessi prima di tutto quanto… è grave la situazione… e quanto devo preoccuparmi esattamente?» domandò, con una smorfia incerta, come se avrebbe preferito non sapere, non saperne proprio nulla di nulla per sicurezza.

«‘Situazione’? Che cosa ti fa pensare che ci sia una qualche ‘situazione’ in corso?» fece Kumals, sbattendo appena le palpebre, e facendo scopertamente il finto tonto con candida innocenza.

«Kappa… per favore…» sospirò Pereira, in tono sostanzialmente di preghiera.

Il ritorno della proprietaria con le loro ordinazioni lo costrinse a interrompersi per un momento, e aggiunse altro zucchero al proprio caffè come se stesse cercando di farsi forza, mescolandolo con sguardo basso e aria praticamente depressa.

«Prima di tutto…» riprese dopo che la donna si fu allontanata, prendendo fiato come se stesse cercando di fare appello a tutta la sua pazienza «So benissimo che non è tua abitudine chiamarmi per un incontro di amichevole cortesia.»

«Hey, a quanto pare nonostante il cambio di incarico le tue doti nel campo dell’indagine brillano ancora fulgidamente.» commentò affabilmente Kumals, mentre faceva la sua colazione con fare placidamente pacifico.

«E d’altro canto, sono anche abbastanza sicuro che il tuo contegno nei miei confronti non sarebbe molto diverso da quello del tuo amico qui…» proseguì Pereira rassegnato, accennando appena verso Danny con un lieve movimento della testa, senza guardarlo «Se non fosse perché l’esperienza ti ha insegnato che a volte collaborare con la polizia locale può rivelarsi utile…»

«No, non direi utile.» osservò distrattamente Kumals, sorseggiando tranquillamente il suo caffè, e corresse come per amore di precisione «Dalla mia esperienza è sempre stata piuttosto decisamente una tediosa perdita di tempo, nel migliore dei casi. E non direi nemmeno ‘collaborare’. Avanti, Pereira, non offendermi così. Sono certo che in fondo sai benissimo che mi guarderei bene dall’avere a che fare con le sacre forze dello stato se non fosse strettamente necessario talvolta… E devo dire che tu sei l’unico rappresentante d’esse con cui abbia mai avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere.»

Pereira lo fissò. «Dubito che la cosa più adatta da dire potrebbe essere qualcosa come ‘ne sono onorato’, giusto?»

Kumals annuì tra sé e sé e si rivolse a Danny. «Che dicevo? Ottimo intuito.»

Pereira sospirò di nuovo pesantemente. «Comunque, come dicevo è abbastanza ovvio che se sei di nuovo da queste parti e hai pensato bene di… “perdere il tuo tempo” a invitarmi a prendere un caffè… beh… dev’esserci una grande e grossa e brutta ‘situazione’ del tipo strano di cui ti occupi in arrivo dritta dritta su Tairans

Kumals scoccò un altro sguardo a Danny. «Visto? Eccellenti doti investigative.» disse, facendogli l’occhiolino.

Pereira emise un verso lamentoso, scuotendo la testa. «Avanti, allora… Di quale maledizione o prossima fine del mondo stiamo parlando questa volta? Che razza di micidiale minaccia di morte e distruzione starebbe per calare sulla mia città e saresti venuto ad annunciarmi?»

Kumals sorrise appena, piegandosi in avanti appoggiato con i gomiti sul tavolino, guardandolo per la prima volta con una sorta di penosa compassione relativamente sincera. «Suvvia, non essere così pessimista… Non devi preoccuparti, come sempre d’altro canto quando sono io a occuparmi della faccenda. È vero, sta in effetti e potenzialmente per arrivare qualcosa di bello grosso e minaccioso. Ma se sono qui significa anche che ci penserò io a disinnescare il pericolo ancora prima che si scateni al suo massimo. Su questo mi pare di non essermi mai smentito, sbaglio?»

Pereira sornacchiò un commento assertivo, suo malgrado.

Kumals sorrise un poco di più, felinamente. «Esatto. E… beh, è per questo che la polizia non può che guadagnarne dall’avere l’onore di ricevere una mia dritta. Tramite naturalmente la tua copertura eccellente della mia identità e dei reali motivi per cui vengono prese certe misure. Per questo, come sempre: non c’è di ché. Sai che i ringraziamenti troppo smaccati non sono il mio genere…»

Pereira alzò lo sguardo al cielo con aria totalmente rassegnata.

«Ad ogni modo…» proseguì tranquillamente imperturbabile Kumals «Il motivo per cui ti ho contattato è essenzialmente questo: ci serve una rete di sicurezza, perché stavolta potremmo dover funambolare non poco, nonostante la nostra indubbia abilità… E so bene che entrambi ci troviamo d’accordo sul fatto che non vorremmo mai che un eventualissimo fallimento temporaneo da parte mia e dei miei consociati rischiasse di mettere in pericolo l’incolumità di tutta quanta Tairans. Giusto?»

Pereira impallidì e tossì nel suo caffè, facendoselo andare di traverso e iniziando a tossire corposamente.

«Stavo pensando…» suggerì Kumals affabilmente, battendogli qualche pacca sulla schiena come per non farlo strozzare «Che l’evacuazione della città potrebbe essere un buon rimedio di sicurezza.»

Pereira strabuzzò gli occhi, divenne paonazzo, lo fissò orrorificato, ed esclamò «Che cosa?!», abbastanza forte da far voltare un pacifico vecchietto seduto dall’altra parte dello schieramento di tavolini che stavo sfogliando un giornale, almeno altre due persone che stavano transitando per la piazzetta, e far alzare in volo un gruppetto di piccioni intenti a beccare briciole sparse lì intorno dalla colazione di precedenti clienti.

Kumals gli dedicò uno sguardo criticamente significativo alzando entrambe le sopracciglia.

Pereira sembrò sforzarsi di riprendersi con impegno, rivolgendo intorno un paio di tirati sorrisi che si supponeva dovessero essere rassicuranti verso chi si era girato. Poi si sporse tuttavia verso Kumals, chinandosi sul tavolino il più possibile, e guardandolo dritto negli occhi sibilò concitatamente «Kappa… di che cosa diavolo stiamo parlando??»

Kumals riprese a sorseggiare il suo caffè tranquillamente. «Sì, un’evacuazione generale mi sembra un’eccellente idea. Direi il minimo, almeno per cominciare.»

Da quel momento in poi, Pereira iniziò a tamponarsi senza posa col suo fazzoletto di stoffa il sudore sempre più cospicuo, e continuò a guardarlo come se avrebbe voluto disperatamente credere che Kumals stesse scherzando o volesse prenderlo in giro o stesse comunque esagerando, ma allo stesso tempo non riuscisse nemmeno a sperare che si trattasse di un simile caso, o che lui sarebbe mai riuscito veramente a persuadersene.

 

***

 

Occorsero diversi altri minuti a Kumals per spiegare – o meglio, Danny non poté fare a meno di ammirare l’abilità con cui lui riuscì ad essere perfettamente convincente sulla reale gravità della situazione senza allo stesso tempo rivelare cosa stesse effettivamente succedendo – e soprattutto a Pereira per calmarsi un poco.

Il vice commissario ascoltava sempre più pallido e sudato, e ordinava un tè freddo dietro l’altro zuccherandoli come se non ci fosse un domani, o come se stesse iniziando a convincersi sempre più che potesse davvero e quanto mai letteralmente ‘non esserci un domani’, mano a mano che Kumals parlava.

Non sembrava nemmeno che Pereira fosse così determinato a capire veramente di che cosa si trattasse in sé e per sé, ovvero aldilà delle conseguenze pericolose che potevano riguardare Tairans e i suoi cittadini, perché quando Kumals rispose ad una delle sue domande con un significativo e allo stesso tempo singolarmente pacifico «Preferisci non saperlo, Pereira. Credimi.», l’uomo non tentò di saperne di più.

Quando alla fine Kumals si alzò dal tavolino, e Danny fece altrettanto, Pereira sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.

«Te ne stai andando?» domandò, fissando Kumals ancora stravolto, pesantemente appoggiato al tavolino come se invece di tè freddo avesse bevuto qualcosa di molto più pesante, continuando a tamponarsi il collo e i lati della faccia col fazzoletto di stoffa, come se tentasse di riprendersi almeno in parte.

Ebbene sì… Questi nostri incontri sono sempre così tragicamente brevi, non è vero?» confermò con piglio leggero Kumals, appoggiando qualche moneta sul tavolino per lasciare la sua parte del conto.

Pereira lo squadrò con un misto di disperazione e rassegnazione irritata e critica. «Tanto per saperlo… Semmai anche questa… cosa… dovesse andare a finire senza… troppi… danni… Tu e i tuoi soci pensate di tornare a stabilirvi da queste parti, per caso?»

Kumals guardò in distanza e sospirò appena. «Quell’epoca della mia vita è finita, ormai. Purtroppo, forse…» disse distrattamente, con un’intonazione praticamente malinconicamente contemplativa.

Danny lo spiò di sottecchi, piuttosto sorpreso.

Pereira, dal canto suo, commentò piuttosto con un sospiro profondamente sollevato.

 

Soundtrack: Der Kommissar (Falco)

 

Credits: il nome di Pereira l’ho preso dall’ottimo romanzo di Tabucchi ‘Sostiene Pereira’, di cui il titolo di questo capitolo è una giocosa storpiatura. A differenza di quello che scribacchio malamente io, il romanzo di Tabucchi vale la pena di leggerlo.

 

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Capitolo 58
*** 57 - Mister Kappa ***


Capitolo 57

(MISTER KAPPA)

 

Danny non protestò quando si rese conto che Kumals stava prendendo una strada particolarmente lunga per tornare verso l’appartamento. Aveva la sensazione che scambiare due parole tra loro a quel punto fosse se non altro il minimo, vista la scena alla quale aveva appena assistito.

Ma Kumals procedeva come se stesse semplicemente spensieratamente passeggiando in una tranquilla mattina estiva per le strade di una cittadina apparentemente tranquilla, e non sembrava sul punto di iniziare una conversazione seria; almeno per quanto fosse possibile intuire – dall’esperienza di Danny – quando e se Kumals stesse per iniziarne una.

Così si decise a farlo lui. Non dovette sforzarsi per trovare qualche ottimo argomento con cui iniziare, ma scelse comunque quello più leggero. Forse l’atteggiamento di Kumals era contagioso, ma si sentiva tutto sommato anche lui improbabilmente e relativamente tranquillo in quel momento.

«Kappa…» commentò solo in tono significativo, scoccandogli un’occhiata tra il divertito e l’incredulo, alzando le sopracciglia.

Kumals si accese una sigaretta con calma e rimase imperturbabilmente tranquillo. «O, quello è solo un modo per evitare che Pereira abbia l’ingannevole impressione di potersi permettere troppa confidenza…»

Danny soppesò la cosa per un momento. «In altre parole… un modo per darti un’aria di mistero tipo agente segreto e metterlo in soggezione? Non che sembri difficile, mettere in soggezione quello…»

«Hum…» rifletté pacificamente Kumals. «Credo che a metterlo in soggezione siano di solito gli elementi dei nostri casi. Il resto… beh, anche se come hai visto non gli piace ammetterlo, dev’essere gratitudine per il fatto che ci pensiamo noi a togliergli l’incombenza di gestire tali elementi direttamente. Anche perché sono abbastanza sicuro che non gli basterebbero diverse vite per riuscire anche solo ad iniziare a comprenderli.»

Danny emise un breve verso sarcastico.

Kumals gli dedicò un’occhiata divertita di sbieco e gli passò la sigaretta. «D’altro canto… insomma… tu ti fai chiamare Danny.»

Lui prese la sigaretta e lo guardò confuso. «Come sarebbe?»

«Beh… immagino non sia il tuo vero nome… che tu l’abbia scelto dopo che sei diventato un mezzo lupo o qualcosa del genere…» arieggiò Kumals, agitando appena una mano a mezz’aria.

Danny corrugò la fronte. «Kumals… Danny è il mio nome. Lo è sempre stato.»

Kumals lo fissò per un istante. «Ah.»

«Sei tu quello che si fa chiamare con nomi in codice improbabili…» celiò Danny.

«Beh…» Kumals tentò di difendersi appena «Insomma, avevo pensato che potesse essere usuale per i mezzi lupi cambiare nome o scegliersi uno pseudonimo… Dopotutto… insomma… ‘Badlands’??»

Danny rise appena, scuotendo la testa. «Non per tutti, evidentemente. Non tanto diversamente dai… ‘non mezzi lupi’… direi.»

«Okay. Okay. Ho capito. Errore mio.» alzò un poco le mani Kumals, prima di riprendergli scioltamente la sigaretta dalle dita. «E… dimmi. La tua opinione di me è cambiata molto nel corso dell’ultima ora?»

Danny sollevò le sopracciglia, guardandolo perplesso. «Per via della tua doppia identità, o per via del fatto che l’altra tua identità si fa chiamare Kappa?» ironizzò.

Kumals gli lanciò un’occhiata significativa mentre gli porgeva di nuovo la sigaretta. «Per via del fatto che all’occorrenza intrattengo conversazioni con Pereira nonostante la sua professione… e anzi, in realtà proprio per approfittare di essa.» specificò.

Danny sembrò riflettervi sopra un momento, quindi scosse la testa e sospirò appena. «Credo di poter dire che… non finisci mai di stupire, Kumals

L’altro annuì un poco, come tra sé e sé, guardando lungo la via. «Una scelta accuratamente piena di tatto per commentare il fatto che hai appena scoperto uno dei miei più vergognosi segreti, mezzo lupo…» osservò in un tono scherzosamente formale, assai simile a quello che usava tempo addietro quando ancora usava quell’appellativo accattivantemente complice, all’inizio della loro conoscenza.

Danny scosse un poco la testa con un sorrisetto che gli aleggiava sulle labbra. «Beh, sai… è un segreto abbastanza orribile da meritare parecchio tatto…» commentò. «Ma capisco perché l’hai fatto.» aggiunse in tono più sinceramente serio.

«Beh…» fece Kumals, scoccandogli un’occhiata relativamente incuriosita di sbieco «Lo immaginavo. O lo speravo, perlomeno.»

Danny alzò un poco le spalle, accennando un sorrisetto divertito.

«Posso anche sperare che ti asterrai dal parlarne con gli altri, del mio piccolo segreto?» disse ancora Kumals.

Danny gli lanciò un’occhiata sorpresa. «Vuoi dire che nessuno degli altri lo sa?»

Kumals sospirò. «Danny… Hai ancora questa assurda convinzione di essere l’ultimo che viene a sapere le cose o qualcosa del genere?»

«Hum…» fece Danny, guardandolo dubbioso.

Kumals scosse la testa con fare rassegnato. «Comunque, Zoal sa che l’ho fatto anni fa, in un’altra occasione. E Yuta credo lo abbia intuito, visto che ha sempre evitato di chiedermelo direttamente. Per quanto riguarda Uther… penso che preferisca far finta di non sospettarlo nemmeno.»

«Quindi… sostanzialmente stiamo parlando solo di Ramo…» notò Danny, significativamente.

«Beh… sì.» ammise Kumals annuendo.

«Okay. No, non sono l’ultimo a sapere le cose. Io e Ramo lo siamo, tendenzialmente.» corresse Danny.

Kumals emise un verso pazientemente esasperato, riprendendogli la sigaretta di mano. «Non è affatto vero…»

Danny lo fissò con intenzione. Kumals tentò comunque di mantenere il suo punto a suon di spensierata espressione da turista convinto.

Lasciarono ricadere tranquillamente il silenzio per un poco.

Poi Danny allungò una mano e gli sottrasse la sigaretta dalle dita. «Kumals… Perché mi hai portato con te?» domandò in tono pacifico ma attento. «Voglio dire, oltre al fatto che non ti servivo a niente in questa occasione… Per qualche motivo hai portato me?» aggiunse, prima che l’altro potesse presumibilmente tentare di rispondere assumendo una delle sue espressioni da innocente sorpreso.

Kumals lo osservò per un istante, con calma serietà. «Pensi che avrei dovuto avere un motivo in particolare?»

«Prima, con lo sbirro, hai detto una cosa.» ribatté ancora in tono tranquillo Danny «Hai detto che… dovrà fare affidamento su di me, semmai un giorno dovessi rivolgermi a lui, come se si trattasse di te.»

«Beh, ho anche specificato che forse non accadrà mai che tu ti persuada che una situazione sia così terribile da dover cambiare a tal punto la tua basilare condotta etica, non l’ho forse fatto?» specificò Kumals, come se cercasse di lasciare ad intendere di aver mal compreso quale fosse il punto.

Danny lo fissò dritto negli occhi. «Perché io, Kumals?» gli chiese, direttamente e semplicemente.

Kumals sospirò leggermente, e sorrise malinconicamente un poco, lo sguardo rivolto davanti a sé lungo la strada, a niente in particolare, come se stesse contemplando tutto e niente insieme.

«Per quanto possa piacermi pensarlo, dopotutto non sono immortale, Danny. E semmai dovesse accadermi qualcosa… o, semplicemente se non dovessi esserci quando serve, visto che ora vivo oltreoceano, o se fossi impossibilitato, o irraggiungibile, o magari in vacanza… Insomma, per qualsiasi eventualità un domani io non dovessi esserci all’occorrenza, quando serve davvero, mi piace pensare che niente potrà andare troppo storto se ci sarai tu, Danny.»

Danny quasi trattenne il fiato, e lo fissò basito, sbattendo le palpebre più volte. «Hey… Kumals? Che ti prende? Pensavo che fossi convinto che fare testamento portasse male…» tentò di alleggerire la conversazione.

Kumals emise un breve verso divertito, accogliendo lo scherzo, ma gli rivolse anche un’occhiata sorridente e particolarmente gentile e affezionata. «Beh, forse è proprio quello che sto facendo… Forse. Spero che vorrai tenerti anche questo per te.»

Danny sbatté un altro paio di volte le palpebre, quindi gli ripassò la sigaretta e scosse la testa, sorridendo un poco tra sé e sé, in parte ancora stupito, ma anche scettico ora. «In ogni caso… Non credo che tu stia parlando con la persona giusta.»

«Che cosa vuoi dire?» si informò Kumals, tranquillamente attento.

Danny tornò a guardarlo alzando un sopracciglio. «Non so… tipo che forse dovresti dire questa cosa a… non so… Zoal? Yuta? Uther?»

Kumals accennò un sorrisetto alla strada. «Prima di tutto, Yuta mi darebbe come minimo dell’imbecille.»

«Hum… probabile…» concesse Danny.

«Per quanto riguarda Zoal…» proseguì Kumals «Lei… beh, come me si ritrova spesso ad avere a che fare suo malgrado con forze molto grandi e potenti. Di quel tipo che potrebbero ingoiarti e disgregarti in un attimo… Hai visto cosa è successo a Castle MacHearty qualche mese fa… o cosa potrebbe succedere ogni volta… Oh, al diavolo. Checché io possa lasciare intendere a Pereira per fargli credere che io possa servire davvero a qualcosa, credo che tu possa sapere più che bene che è lei la nostra vera rete di sicurezza. Qualsiasi cosa possa andare storta in qualcuna delle situazioni in cui il rischio collaterale è davvero molto alto, è lei l’unica di noi che avrebbe veramente la capacità di evitare il peggio. Ma per farlo… non è sempre detto che riuscirebbe ad uscirne lei stessa.»

Danny si limitò a guardarlo impressionato. Se non tanto da ciò che stava dicendo, dal fatto che stesse apparentemente parlando così apertamente.

«Ultimamente ho avuto un po’ di tempo per riflettere su alcune cose.» continuò Kumals «E ho avuto l’impressione che troppo spesso io e Zoal abbiamo dato l’impressione a voialtri di essere… appunto, qualcosa come immortali. Quelli che in una maniera o nell’altra se la cavano sempre come se fosse praticamente garantito, quelli che riescono sempre ad evitare il peggio e a farci saltare tutti fuori da qualsiasi inferno di situazione vittoriosi. Come se avessimo sempre un piano ‘B’ a prova di qualsiasi cosa. Beh… d’accordo… in realtà abbiamo sempre un piano ‘B’, e anche un piano ‘C’ e ‘D’, e molte altre lettere… quasi sempre, in effetti. Tuttavia… decisamente non siamo a prova di qualsiasi cosa possa capitare. La realtà può essere in ogni momento molto più fantasiosa della più sfrenata fantasia di tutti noi messi assieme, come tu sai bene. E forse sono giunto alla conclusione che sia l’ora che almeno qualcuno di voi si renda conto di essere abbastanza cresciuto da abbastanza tempo da non dover più guardare a noi come una specie di genitori o… “risolutori assoluti”, che con il semplice mettere in piedi qualche trucco possono riuscire a risolvere una situazione con un elegante schiocco di dita come se si trattasse di un gioco da ragazzi. Insomma, che siete abbastanza svezzati e vaccinati da poter essere voi da soli a risolvere una situazione da cima a fondo e uscirne vittoriosi, con o senza di noi.»

Danny non riuscì ad emettere nemmeno mezza parola, continuando a guardarlo incredibiliato.

Kumals prese un altro tiro dalla sigaretta con calma. «Riguardo a Uther…» e sornacchiò una breve risata affettuosamente divertita «Non fraintendermi, gli affiderei la mia stessa vita. E lo dico con coscienza di causa. Ma a parte le sue ultime tendenza a lasciarsi un po’ troppo travolgere dai suoi… “problemi personali”… con una decisa punta di autodistruzione… Semplicemente non è la mia prima scelta, in questo caso.»

«E io sarei la tua ‘prima scelta’??» trasecolò Danny, molto più che scettico, e ancora frastornato dall’incredulità.

Kumals gli dedicò uno sguardo tra l’affettuosamente divertito e il gentilmente attento. «Ti sembra così incredibile?»

«Onestamente? Sì. Eccome! Tu sai bene che sono un mezzo lupo, prima di qualsiasi altra cosa. E sicuramente ben prima di essere un… “risolutore di situazioni paranormali”. Quello è ciò che sei tu. Non io.» ribatté Danny.

«Non intendevo che devi diventare come me.» replicò Kumals con calma «Intendevo che, a parte Zoal, essendo te stesso sarai, o sei già, quello a cui penserei se dovessi immaginarmi chi possa gestire una situazione problematica con almeno buone probabilità di risolvere le cose e uscirne vivi.»

«Kumals…» obbiettò Danny, lentamente e significativamente «Ultimamente quando ci rivediamo sono appena uscito da un momento di quasi-morte-certa, e tu sei lì appositamente per farmi una colossale ramanzina…»

«D’accordo, d’accordo…» interloquì Kumals «Ammetto che dovresti lavorare ancora un po’ su questa terribile tendenza kamikaze che hai… Ma almeno in generale… Suvvia, dai uno sguardo al quadro generale! Cosa si può vedere? Ti dirò cosa vedo io. E anche solo in quello che è successo qui negli ultimi giorni. Sei riuscito ad evitare che Uther facesse del suo peggio in una delle sue… “crisi autodistruttive” delle più significative che io ricordi. Hai tirato fuori una giovane mezzo lupa da un miscuglio di lavaggio mentale e possibile morte per scannamento da parte degli altri accoliti. Hai sconfitto la tua creatrice ed ex-mentore che voleva farti fuori e scatenare il pandemonio qui. Hai fronteggiato altri mezzi lupi tenendo tutto sommato al sicuro te stesso, Uther, Ramo e Valentine. In generale sei riuscito ad evitare che qualcuno potesse rischiare la giugulare semplicemente camminando per queste strade come stiamo facendo adesso io e te. E se non fosse stato per il fatto che hai avvertito anche noialtri di quello che stava succedendo qui, questa intera città starebbe per precipitare in uno spargimento di sangue non indifferente, così come anche quei mezzi lupi impazziti non troverebbero una felice fine ad attenderli dopo di questo, senza che nessun’altro a parte loro ne abbia idea e cerchi di evitarlo. Quello che vedo io, è che puoi considerarti il fautore di quello che, se tutto va bene, sarà il nostro evitare che avvenga una carneficina di umani e mezzi lupi qui e nei dintorni. E… beh, non so se forse hai qualche problema a vedere per un momento le cose dall’esterno, ma a mia impressione tu qui hai fatto tutto ciò che potevi e anche di più per evitare il peggio. E ci sei riuscito fino ad ora, Danny…»

«Può anche essere che me la sia cavata, ma l’ho fatto aspettando che arrivassi tu!» buttò fuori Danny, prima di rendersi conto che le implicazioni di quello che stava dicendo non facevano che confermare quello che Kumals aveva detto poco prima.

Kumals stesso l’aveva colto perfettamente, notò dalla sua espressione significativa.

Dopo qualche istante di silenzio, Kumals disse con calma paziente «Danny… non esistono i “risolutori assoluti”… per quanto possa essere più rassicurante guardare a me e/o a Zoal in questo modo qualche volta. Tutto ciò che siamo io e Zoal… è tutto quello che abbiamo guadagnato dall’essercela cavata volta dopo volta nel mentre evitando il peggio o almeno una parte d’esso… esattamente come hai fatto tu qui. Non è questione così tanto di risorse o doti particolari, è più che altro questione, credo, di riuscire un po’ a istinto, un po’ per intuizione e un po’ per fortuna a individuare dove mirare per trovare ciò che si può fare e a metterlo subito in atto senza quasi nemmeno doverci troppo riflettere. E poi mettercisi con tutti se stessi e fino in fondo. E questo, beh, penso sia quello che hai anche tu, Danny. Il tuo “lieve” problema con la tendenza kamikaze, non è forse questo, in fondo? Certo, magari col tempo potresti affinare un po’ di più le tue capacità logiche, abbastanza da trovare alternative valide al buttarti a corpo morto in uno scontro potenzialmente molto fatale… insomma, un po’ d’astuzia con cui raffinare la tecnica generale non guasterebbe per niente. Ma comunque… capisci quello che voglio dire?»

«No… non credo.» scosse la testa Danny, guardandolo ancora con una certa precauzione incredula e frastornata, come se non riuscisse a trovare un modo di avere a che fare con quello che stava dicendo.

Kumals sospirò appena.

«Che tu sei un sopravvissuto, come noi. Un sopravvissuto naturale. E no, certo che non sei e non sarai mai come me o come Zoal, questo è ovvio, è il minimo. Ma non è il diventare come me o lei il punto. Come hai detto, sei prima di tutto un mezzo lupo, e lo sarai sempre. E probabilmente questo ha aiutato generalmente il tuo essere un sopravvissuto… e i tuoi istinti sono preziosi per questo tipo di cose, e non solo dal punto di vista più pratico e tecnico. Ma, insomma, tu sei come noialtri, un sopravvissuto naturale, ognuno di noi lo è, a modo suo. Ti risulta forse di esserti mai sorbito insieme agli altri una qualche specie di “corso di addestramento” da parte mia o di Zoal o di Yuta su come tentare di risolvere questo genere di situazioni?»

«No… ma… che vuoi dire?» cercò a malapena di tenere il passo Danny.

«Come ho detto, siete sopravvissuti naturali. E significa che avete già evitato il peggio o almeno una parte d’esso la maggior parte delle volte se non ogni singola volta nelle vostre vite. Fino ad ora, certo, perché domani chissà, come si suol dire. Ma questo fino ad ora non è qualcosa che ti potresti almeno riconoscere, Danny? Si tratta semplicemente di guardare cosa traccia la linea che unisce i puntini che rappresentano tutte le singole situazioni che abbiamo fronteggiato, e anche quelle che hai affrontato prima ancora di incontrarci…» proseguì imperterrito Kumals.

«E che cosa traccerebbe…?» chiese Danny retoricamente benché ancora perplesso, ormai arreso a quel discorso, anche se non aveva la più pallida idea esattamente da dove o cosa, e soprattutto perché, fosse scaturito.

«Ciò che sei e ciò che puoi fare, Danny. Tutto qui. Niente di più e niente di meno.» rispose Kumals «E per quello che vedo, è una linea abbastanza netta. E che non potrai cambiare così facilmente, persino se ti ci impegnassi sul serio per farlo. Oppure potresti darle un’occhiata riconoscendo che questa linea ti appartiene, e che rappresenta qualcosa di simile a ciò che sei. E che la direzione è già abbastanza segnata da poter aprire uno scorcio abbastanza ampio per farsi un’idea di ciò che potresti diventare ancora più di così in ogni tuo prossimo giorno, qualsiasi siano i giorni che avrai ancora a disposizione nella tua vita. E se vedi bene e i tuoi occhi non mentono, puoi davvero stupirti così tanto del fatto che io creda che saresti un degno successore non accreditato dello spirito che abbiamo sempre messo in ciò che abbiamo fatto come ‘4 di picche’? E intendo… persino quando abbiamo smesso di essere “ufficialmente” i ‘4 di picche’…» specificò con un sorriso complicemente sentito.

Danny si sforzò di riscuotersi abbastanza dal suo stupore da poter dire scherzosamente «Stai dicendo qualcosa di simile a… ‘4 di picche’ si nasce, non si diventa, Kumals

«Beh…» sospirò Kumals, cogliendo divertito «Ammetto che non sarebbe un brutto slogan per una maglietta…»

«Non la indosserei mai.» chiarì Danny, scherzoso ma non poco convinto in proposito, e giusto per sicurezza.

«Stavo cercando di dirti…» disse ancora Kumals «Che puoi anche rifiutarti di indossarla, ma sei sempre stato un ‘4 di picche’ – qualsiasi cosa possa voler dire esattamente – ancora prima di inciampare in noialtri, mezzo lupo…»

Danny tacque. Perché aveva l’improvvisa e strana impressione che quello che gli aveva appena detto avesse una qualche obliqua e singolare attinenza – o almeno così gli pareva – con ciò che Zoal gli aveva detto in quel sogno, il primo in cui se l’era ritrovata dentro un sogno, quando ancora era a Castle MacHearty. Il sogno che non ricordava ancora così bene. Ma ricordava quella carta da gioco inesistente che lei gli aveva dato da tenere come se fosse tutto ciò di cui non si doveva dimenticare, quella sorta di asso e quattro di picche insieme. E ricordava vagamente frammenti delle sue parole… che qualsiasi cosa fosse già successa o potesse succedere, e se anche le cose fossero andate diversamente da un qualsiasi modo di cui si fosse persuasi, si sarebbero incontrati comunque. Per un momento si chiese se non fosse qualcosa del genere che lei aveva voluto dire.

«Credo che voialtri vi siate abituati davvero un po’ troppo a considerarmi il capitano della compagnia o qualcosa di simile…» disse ancora Kumals.

«Beh, togliendo Zoal… che è il cervello…» celiò ancora Danny.

Kumals emise un breve sornacchio divertito. «Esatto.»

«Mi pare che tu sia un buon capitano, tutto sommato…» ammise Danny, se non altro perché forse Kumals era diventato sul serio così contagioso che si poteva permettere di dire qualcosa del genere, giusto ed esclusivamente in un simile momento.

«Oh, lo so…» commentò pacificamente Kumals, non lasciandosi sfuggire l’occasione di rispondere ad una simile affermazione a modo suo. «Ma vedi… credo di aver capito nel corso della mia vita che… un buon capitano è qualcuno che per prima cosa si prende cura e tiene al sicuro i suoi. Ma un ottimo capitano è colui che è disposto a sacrificarli per vincere la battaglia.»

«Che intendi…?» si stranì Danny, lanciandogli un’occhiata interrogativa.

«Oh beh… che non voglio mai arrivare ad essere un ottimo capitano?» disse Kumals, come se non fosse nemmeno lui del tutto sicuro di quello che stava dicendo. Ma gli lanciò un tenue sorriso. «Ma tu, Danny, non devi nemmeno preoccuparti di qualcosa del genere. Tu non hai affatto la stoffa del capitano.»

«E non è appunto quello che stavo cercando di dire prima?» obbiettò Danny, significativamente.

Kumals sospirò un poco, divertito e tra sé e sé. E proseguì dando l’impressione di ignorare totalmente il suo commento.

«E dal momento che sei prima di tutto un mezzo lupo… se c’è qualcosa che credo di ammirare sinceramente nei lupi… anzi, due cose… ebbene, esse sono… la saggia capacità di cercare sempre come prima cosa – ove esista – la strada per la sopravvivenza. Non solo la loro. Paradossalmente, nel cercare di evitare in ogni modo lo scontro diretto e mortale, sembra quasi che cerchino anche quella per il loro avversario. Come se volessero fare di tutto per evitare sempre che finisca nel peggiore modo possibile, per quanto siano messi alle strette. E poi l’altra cosa. Forse la mia preferita. Ecco, sì, questa… che metterebbero l’incolumità di coloro a cui tengono, dei loro compagni di branco, al di sopra di qualsiasi cosa.»

«Non ti sapevo un… appassionato di documentari sui lupi…» commentò Danny, occhieggiandolo.

«Mpfh…! Ad ogni modo… se c’è qualcosa che vorrei per i ‘4 di picche’, non è la “vittoria”. Ma che alla fine potessero sempre portare tutti quanti a casa la pelle. E magari la capacità di trovare ogni volta la scappatoia più opportuna e vicina per fregare la morte. Come una riserva di assi nella manica per truccare la partita quando si mette male. Ricorda… siamo sempre stati prima di tutto dei bari che… qualsiasi cosa possa sembrare che siamo ora… che cosa poi? Una specie di… “salvatori dell’umanità” contro quei tuoi conspecifici impazziti? !» disse Kumals.

Danny lo considerò con sincera confusione.

«Oh, non fare quella faccia stupita, ora. Comunque possano ingannevolmente sembrare le cose ad una prima vista superficiale, noi non siamo una specie di “ultima risorsa per la salvezza dell’umanità”, o castronate di tal fattispecie. Ogni tipo di potere dà alla testa, prima o poi. Ed ogni causa da condurre come una specie di crociata porta prima o poi a farsi accecare dal miraggio di un sacrosanto sacrificio, piuttosto che mirare alla scappatoia più utile. E credo che nessuno di noi due abbia bisogno di dover per forza finire a meditare di notte in un cavolo di giardino di ulivi sapendo che all’alba morirà, senza nemmeno tentare di tagliare la corda, o di cercare di ottenere perlomeno la soddisfazione di far seriamente pentire a chi sta arrivando a farlo fuori di avere mai avuto una simile intenzione. E, soprattutto, credo che si rischi di essere terribilmente ipocriti a lottare contro un gruppo di mezzi lupi accecati da una fede se si è altrettanto accecati da un’altra fede.»

«Okay… credo di averti definitivamente perso, ora.» ammise Danny «Stai dicendo che cercare di impedire che quei mezzi lupi facciano una strage qui sarebbe una crociata o…?»

«Sto dicendo che io e te, Danny, e gli altri, non saremo mai l’ultima speranza dell’umanità. E per fortuna! Gli esseri umani sono dotati di eserciti e bombe e quant’altro… di certo un gruppetto di mezzi lupi impazziti non può essere una seria minaccia.» esplicò Kumals.

«E fin qui…» commentò Danny.

«Quindi, stiamo solo cercando di evitare il peggio. Come l’inizio di una guerra. Dopotutto, credo che la sopravvivenza dell’umanità non sia mai un sacrosanto obbiettivo a cui tendere. Il punto è piuttosto evitare come si potrebbe ridurre l’umanità. Non è mai, in fondo, il non morire, ma come ci si riduce finché si è vivi, la cosa più temibile di tutte.»

Dopo un momento di silenzio, Danny prese fiato con calma e disse «Sai che se non ti conoscessi abbastanza da cogliere le sottilissime implicazioni di quello che stai dicendo, ora come chiunque sarei perfettamente convinto che hai appena detto esattamente il contrario di quello che affermavi poco fa, vero? Il che mi porta a dire che… hai ragione. Sei sprecato come capitano. Dovresti fare il filosofo.»

«Oh, beh, un giorno mi troverò una montagna tutta per me da cui dispensare perle di saggezza, non ti preoccupare.» commentò salacemente Kumals.

«Non me ne preoccupo affatto.» ribatté Danny, sostenendo senza sforzo il tono complicemente scherzoso «È proprio così che immagino la tua versione di pensionamento…»

«Mhm... Già.» concesse Kumals, con un accenno di verso fintamente offeso e più che altro divertito, già distratto dal suo tornare a contemplare con aria svagata la cittadina sonnecchiante nel calore estivo. Sospirò appena, con un ché di quasi sollevato e conclusivo, e allungò un braccio attorno alle spalle di Danny tirandolo cameratescamente un poco contro il fianco mentre proseguivano, sottraendogli scioltamente con l’altra mano la nuova sigaretta che lui aveva appena finito di confezionare e accendersi.

Danny lo lasciò fare, scoccandogli appena uno sguardo divertito e critico di sbieco. Lo meravigliava ancora l’espressione di singolare serenità sul volto di Kumals, che ora sembrava persino accentuatasi. Per quello, ma non solo, si guardò bene dal rompere ancora il tranquillo silenzio con cui proseguirono verso l’appartamento.

Poco ma sicuro, Kumals sapeva sempre come essere imbarazzante, in un modo o nell’altro. Ed era una sorta di sport condiviso da tutti gli altri degli (ex)4-di-picche – o attuali ‘indefinito gruppo casuale riunito all’occorrenza o più che altro dall’occorrenza’ – il finire per cercare di fare istintivamente di tutto per non dargli l’occasione di poterlo essere ancora di più.

 

Soundtrack: Wicked Campaign (The Modest Mouse)

 

Note Inutilità dello scribacchiatore:

Sicuramente esistono diversi personaggi chiamati Mr. K qui e là. Non che li volessi richiamare, affatto, ma non potevo fare altrimenti, vista qual è l’iniziale del nome… Di sicuro c’è una Mr. K in ‘the Blacklist’, dal soundtrack della quale proviene anche la canzone di cui sopra tra l’altro.

Se vi siete persi/e più di una volta cercando di seguire il filo del discorso di Kumals, non preoccupatevi: è del tutto normale.

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Capitolo 59
*** 58 - I would like to see you trying ***


Capitolo 58

(I would like to see you trying)

 

Tenere sotto sorveglianza l’attendamento di mezzi lupi fuori da Tairans, o meglio ciò che ne rimaneva, consisteva sostanzialmente nel passare ore nascosti tra i cespugli sdraiati a terra sulla pancia, rigorosamente sotto vento rispetto all’accampamento, e spiandone ogni movimento con un binocolo.

Uther emise un verso lamentosamente annoiato e si staccò il binocolo dagli occhi, passandolo a Ramo steso pancia a terra di fianco a lui. «Tocca a te.»

Ramo non provò nemmeno a protestare, e mentre Uther cercava di muoversi un poco per trovare sollievo alle articolazioni anchilosate dal lungo tempo passato in quella posizione, e si sistemava meglio il fucile che teneva sempre accuratamente con sé durante quegli appostamenti, si dispose a puntare il binocolo sull’obbiettivo.

Erano in un punto collinare lievemente rialzato rispetto all’attendamento, e il fatto che fosse in una boscaglia rendeva più difficile riuscire a scorgerlo interamente e chiaramente.

Pur tuttavia, come già avevano rilevato loro e anche gli altri durante tutti quegli appostamenti, dell’accampamento non rimaneva granché.

Non che le tende non ci fossero ancora, comprese quelle varie cose per garantire la minima sopravvivenza di base. Ma i suoi occupanti erano diminuiti. Almeno a detta di Uther, che era l’unico di loro a poterlo dire, dal momento che Danny era ancora escluso da quei turni di appostamento, sia per le sue condizioni fisiche di ripresa costante e rapida ma comunque ancora in corso, sia per il pericolo che l’odore di un altro mezzo lupo fosse chiaramente più percettibile dai suoi consimili. E, Ramo sospettava, anche perché nessuno di loro aveva voglia di vederlo rischiare di nuovo di buttarsi in un confronto fisico diretto con altri mezzi lupi.

Anche se, da quello che ne aveva capito Ramo, non c’era tutto questo pericolo nell’immediato.

Prima di tutto perché quella Mara non si era più vista, e Danny era certo che fosse morta. E inoltre, con loro rinnovato sollievo, non solo a giudicare dai movimenti che vedevano nell’attendamento i mezzi lupi non sembravano avere intenzione nell’immediato di allontanarsi da esso, ma anche perché il loro numero continuava a diminuire di ora in ora. Non in modo consistente, beninteso, ma era come una sorta di lento e incessante centellinarsi.

Ramo aveva anche avuto occasione di vedere almeno qualche volta chiaramente, pur attraverso il binocolo, quello che avevano chiamato – o meglio, che si faceva chiamare – Badlands. Il mezzo lupo, abbastanza nettamente distinguibile a causa della sua massiccia stazza, si contraddistingueva anche per essere quello che a quanto pareva stava cercando in ogni modo di evitare che il numero dei mezzi lupi rimasti diminuisse ulteriormente.

Il modo in cui lo faceva non sembrava troppo chiaro nemmeno a lui. Ma comunque lo potevano vedere abbastanza frequentemente radunare tutti i mezzi lupi rimasti all’attendamento in lunghe ore di discussione. Loro naturalmente non potevano udirne una sola parola, a quella distanza, ma sembrava che fosse soprattutto lui a parlare, e che cercasse di farlo in toni da discorso convincente.

A sentire Danny e Uther, entrambi dubitavano che Badlands fosse dotato di grandi doti oratorie o capacità espressive dal punto di vista discorsivo; nondimeno, sembrava metterci tutta l’anima possibile. Nondimeno, sembrava di intuire da quelle osservazioni che il maggior motivo per cui gran parte dei mezzi lupi rimasti non stavano abbandonando la zona era più il timore di essere malmenati dal grosso Badlands senza che nessuno degli altri li difendesse, oppure da una loro totale e sperduta indecisione, piuttosto che per reale convincimento nella causa.

Causa che, loro temevano, poteva essere sempre la stessa impostata da Mara: non appena fosse giunta la notte senza luna, scatenarsi su Tairans uccidendo tutti gli esseri umani a portata, e provocando la disordinata fuga in preda al terrore dei superstiti.

Ramo udì Uther di fianco a lui crollare la testa a faccia in giù nell’incavo di un braccio piegato, emettendo un altro pesantemente stanco verso di lamento annoiato.

«Non sono ancora sicuro di capire perché stai facendo un doppio turno di sorveglianza…» osservò Ramo, con precauzione.

Uther non rialzò nemmeno la testa, e comunque rispose solo dopo qualche momento. «Perché non c’era nessun altro che non stesse riposando, o straparlando, o guarendo, o pianificando, o altro…?»

«Hum…» fece Ramo, con calma riflessiva «Andrea si è offerta.»

Stavolta il silenzio fu un po’ più lungo. «Come no.» commentò solo Uther, come se la ritenesse una risposta abbastanza eloquente.

Ramo ponderò per un momento le possibili interpretazioni, prima di dire con un certo tatto «E con questo intendi… perché non sa usare né fucile né pistola. O perché Danny sarebbe impazzito se avessimo accettato la sua offerta. O perché tu preferiresti non dover essere di turno per ore con lei…?»

Uther rialzò la faccia e lo fissò per un momento. «Tutte sembrano piuttosto valide…» disse infine senza particolare intenzione apparente, alzando le spalle e tornando a guardare più o meno in direzione dell’attendamento.

«Hum… già…» si limitò a dire Ramo, lasciando cadere l’argomento.

C’erano ancora parecchie domande che avrebbe prima o poi potuto rivolgere a qualcuno. Ad esempio, in generale non era ancora sicuro di capire che cosa esattamente fosse successo lì in quegli ultimi giorni. E aveva la vivida impressione che si sarebbe potuto parlare per ore anche solo delle cose in sospeso tra Danny e quella Mara. Ma gli unici che forse avrebbero potuto darne una spiegazione soddisfacente… beh, Ramo non aveva l’impressione che ci fosse un modo – per quanto con tutto il tatto possibile – di provare a domandarlo direttamente a loro.

In ogni caso, ogni volta che vedeva Yuta gli dava la precisa sensazione che, non appena tutto quello fosse finito, ci avrebbe pensato lei a inchiodare metaforicamente (o meno) i diretti interessati, interrogandoli senza mezzi termini per capire cosa esattamente di diavolo era successo da quelle parti.

Ma al momento l’unica cosa se non altro perfettamente chiara a tutti loro era che la priorità era impedire che un manipolo di mezzi lupi impazziti si scatenasse sanguinariamente per tutta Tairans.

Il come farlo, esattamente, era ancora oggetto di lunghe discussioni, qui o là più o meno accanite.

E per quanto Ramo si fidasse e avesse il massimo rispetto di tutti gli altri ‘4 di picche’, al momento e tutto sommato, e considerando tutte le idee che aveva sentito scaturire da tutti loro durante quei loro estenuanti brainstorming, riponeva le sue più accorate speranze in Mordecai. Non che lui avesse già stilato un buon piano. Ma stando a Yuta e a Kumals, le sue capacità “professionali” erano ottimali. E se non altro era l’unico che sembrava veramente capace di partecipare a quelle discussioni mantenendo un’assoluta calma lucida e seria.

Ramo trasse un breve sospiro e disse «Anch’io comunque non so nemmeno sparare.»

Uther gli lanciò uno sguardo di sbieco. «E quindi?»

«E quindi… beh… se alla fine dovremo basarci su quello per… riuscire a risolvere la situazione qui… non so quanto potrò essere utile.»

Uther sembrò rifletterci sopra per un po’, poi alzò le spalle e gli diede un paio di pacche amichevoli su una spalla. «Non ti preoccupare. Nessuno di noi potrebbe realmente cavarsela sparando, con quelli.»

Manco a dirsi, questo non rincuorò affatto Ramo, che gli scoccò uno sguardo incerto e immusonito. «Perché… un mezzo lupo può essere tranquillamente più veloce della capacità umana di puntargli un’arma addosso e premere il grilletto…?» riportò da quello che aveva sentito ripetere più volte durante quelle discussioni.

Uther annuì con aria compassata e distrattamente stanca. «Già.»

Ramo si ritrovò istintivamente ad abbassare lo sguardo sul fucile di Uther, e lui parve notarlo.

«Beh… una volta ne ho colpito uno…» disse Uther, come tra sé e sé, e sorrise un poco rivolto alla boscaglia notturna, con un ché di amaro e malinconico «Ma credo sia stata un’eccezione.»

Ramo annuì appena, e non disse altro. Conosceva la storia, anche se gli era stata riportata solo sommariamente da Yuta, e quando Kumals era intervenuto qui o là per aggiungere dettagli… beh, di Kumals non ci si poteva mai fidare troppo quando raccontava storie. Aveva la tendenza ad inventarseli i dettagli, giusto per suo divertimento.

Improvvisamente, Uther mosse un braccio di scatto e gli afferrò l’avambraccio con una solida presa. Ramo intuì che gli stava dicendo in quel modo di rimanere silenzioso e immobile, e comprese esattamente perché solo un momento dopo, quando udì un fruscio di vegetazione che si scostava come se qualcuno la stesse solcando, dietro di loro.

Il rumore si fece sempre più vicino, muovendosi con grande calma. Finché Uther non sottrasse con uno scatto repentino la mano dal suo braccio e si mosse, e Ramo si mosse altrettanto istantaneamente.

In un attimo si erano girati rizzandosi a sedere, e poi balzando in piedi, Uther col fucile spianato puntato in direzione del rumore alle loro spalle, e Ramo brandendo la mazza da baseball che impugnava saldamente.

Due tizi si bloccarono sussultando lì dove si trovavano, vedendoli sbucare a quel modo dai cespugli.

E Ramo si trovò a fissare, come Uther, due ragazzi che dovevano avere intorno ai venticinque anni forse, l’uno dalla corporatura alta e esile, e l’altro invece basso e tracagnotto ma robusto.

«Porca vaccaccia!» esclamò quest’ultimo, fissandoli come se fosse rimasto sinceramente allarmato dal loro improvviso sbucare, e ritenesse il loro un modo assai maleducato di comparire.

Per un istante, Ramo fu tentato di crederli semplicemente due tipi che si stavano facendo un giro nei boschi di notte, perché avevano un’aria praticamente innocua, quello più alto con i suoi jeans e largo maglione marrone scuro quasi nero, e l’altro che sembrava in tutto e per tutto un raver, con i capelli raccolti in dreds e dilatatori alle orecchie e piercings al naso e i vestiti sommariamente da punkabbestia da marciapiede.

Ma sentì Uther disinnescare la sicura del fucile, e il suono metallico si distinse chiaramente nel silenzio del bosco di notte solcato solo da un coro di insetti notturni estivi.

Quello produsse anche un netto cambiamento nell’atteggiamento dei due ragazzi che li stavano fissando ad occhi spalancati, anche se il più alto aveva già notato fin da subito il fucile e lo stava già osservando con un acuto timore serio e attento.

Il più basso dei due iniziò a ringhiare gutturalmente e cupamente, in sorda minaccia, assumendo una posa difensiva-aggressiva e facendosi davanti all’altro come per proteggerlo. Quello più alto, in compenso, gli afferrò una spalla in un gesto appena un poco e solo temporaneamente ammonitorio, e si rivolse loro in fretta.

«Aspettate… hey… aspettate un momento…» disse, sinceramente intimorito, ma con un nervoso tentativo di essere ragionevole.

«Chi diavolo siete?? Cacciatori maledetti?!» sbraitò aggressivamente l’altro.

Il più alto gli scoccò un rapido sguardo criticamente esasperato. «Bree… per la miseria… non vedi che quello è il tipo che lei faceva andare e venire dall’accampamento?»

Ramo ebbe allora l’assoluta certezza definitiva che dovevano essere proprio mezzi lupi, anche se comunque non avrebbe scommesso un centesimo su un’alternativa a quel punto.

L’altro dei due stava sbattendo le palpebre, con aria confusa. «Che stai dicendo?» fece scetticamente, scrutando meglio sia Ramo che Uther, uno dopo l’altro, assottigliando le palpebre e assumendo un’espressione praticamente comica per lo sforzo. Poi spalancò gli occhi su di Uther, ed esclamò «Hey! È vero! È proprio lui!»

Ramo spiò appena verso Uther, ma lui stava continuando a tenerli sotto tiro del fucile con seria precisione concentrata.

«Va bene… sentite.» disse Uther, parlando appena tra i denti, ma in tono conciliante e tutto sommato relativamente tranquillo «Non costringetemi a spararvi, d’accordo?»

Il più basso sembrò inalberarsi, sdegnato. E poi gli rivolse una smorfia tra il derisorio e il minaccioso, ribattendo «! Beh, vorrei proprio vederti provarci!»

Ramo ricordò di nuovo tra sé e sé che i mezzi lupi, volendolo, potevano anche riuscire ad essere troppo veloci per permettere ad un essere umano di prendere la mira e premere il grilletto, e sentì un brivido freddo percorrergli la schiena. Tuttavia, rafforzò la presa sull’impugnatura della sua mazza da baseball e perfezionò la sua posizione saldamente piazzata sul terreno, tenendosi pronto.

«Ma se ci attaccate sarò costretto a farlo.» disse comunque ancora Uther.

Il più alto sbatté le palpebre, incredulo. «Ma se sei tu che ci stai puntando un fucile addosso!» protestò, quanto mai ragionevole.

Ramo esitò, scoccando un’altra occhiata di sbieco ad Uther, relativamente dubbioso. Se non altro perché non era affatto quella l’impressione che si era fatta di un potenziale scontro micidiale con dei mezzi lupi. Quello sembrava un po’ troppo stranamente assurdo per essere qualcosa del genere.

Dopo un lungo momento di eventuale attenta ponderazione, Uther abbassò giusto un poco la canna del fucile. Il che significava che ora era puntato “solo” all’altezza delle gambe dei due.

«Non siete qui per attaccarci?» domandò quindi ai due, scrutandoli attentamente da capo a piedi.

I due si scambiarono uno sguardo basito, poi tornarono a voltarsi verso di loro e a parlare praticamente insieme.

«Cosa? Ma no! Perché dovremmo farlo?» esclamò il più alto.

«E che diavolo! Stavamo solo facendo un giro per i fatti nostri e tu salti fuori con un fucile puntandocelo addosso e quell’altro con una… una…» disse l’altro, mettendosi poi a scrutare Ramo e ciò che impugnava come se stesse cercando di farsene una ragione.

«Una mazza da baseball.» puntualizzò il più alto, come dandogli pazientemente un suggerimento.

«È una mazza da baseball… una mazza da baseball… Quella è una mazza da baseball?? Cioè, sul serio?!» sbraitò quello che sembrava provenire da un branco di ravers, fissando Ramo in faccia, incredulo e schernente ad un tempo.

Ramo continuò comunque a brandire la sua unica arma, corrugando la fronte.

Il più alto stava roteando gli occhi, anche se poi tornò a concentrare lo sguardo preoccupato sul fucile di Uther. «Quindi se… qui nessuno vuole aggredire nessuno… potresti abbassare quella cosa? È piuttosto… snervante.»

«Hum…» finse di rifletterci sopra Uther, lentamente. «Datemene un valido motivo.» disse serio.

Il più alto dei due lo fissò con un che di confuso, e poi una smorfia incerta. «Che cosa vuoi dire?»

«Sul serio, che diavolo vi abbiamo fatto??» sbraitò ancora l’altro «E poi che cosa ci fate voi qui??»

«A pochi chilometri da qui c’è un accampamento di mezzi lupi che si stanno preparando a cercare di sterminare l’umanità…» riportò Uther con apparente calma, come se non l’avesse sentito «E voi siete due di loro. Quindi… sì, convincetemi che non ci sia bisogno di tenervi un fucile puntato addosso.»

I due li fissarono per un istante in silenzio, sbattendo le palpebre come se stessero registrando le sue parole.

«Ah. Capisco…» iniziò poi lentamente a dire quello più alto, con più comprensiva ragionevolezza «In effetti…»

«Ma noi non abbiamo niente a che fare con quei rintronati laggiù!» protestò l’altro con un sornacchio schifato e superiore, interrompendolo «Non più. Insomma, ma li avete visti? Sono fuori di testa. E non poco!»

Ramo e Uther si scambiarono un breve sguardo, piuttosto perplesso.

«Quindi… voi siete… tipo… hum… cioè, avete cambiato idea?» domandò Ramo, cercando di concentrarsi sulla ricerca di un senso di tutto quello.

I due si scambiarono a loro volta uno sguardo. Quindi il più basso dei due scoppiò in un sarcastico e ampio sghignazzo. «Su che cosa? Sterminare l’umanità e altre cazzate simili?»

Il più alto stava scuotendo la testa, guardandoli comunque con seria pazienza sincera. «Non siamo mai stati di quell’idea…»

«Già!» confermò l’altro, annuendo energicamente «Insomma, ma per favore! Volevamo solo… sapete, curiosare in giro.»

Uther e Ramo alzarono le sopracciglia, dando chiaramente l’idea che… no, non sapevano.

Il più alto sospirò. «Eravamo andati lì solo per curiosità. Avevamo sentito dire in giro di questa specie di grossa… reunion. E sospettavamo che fosse una specie di enorme bufala, ma insomma…»

«Non avevamo di meglio da fare.» alzò le spalle l’altro.

«Ma quando siamo arrivati e abbiamo sentito quello che dicevano…» tentò di proseguire il più alto.

«Insomma, era roba da pazzi!» lo interruppe nuovamente il più basso «Così ci siamo detti: hey, restiamo giusto un altro po’ a divertirci ad ascoltare questa roba.»

«Ma poi… Mara…» continuò il più alto, il tono che si abbassava e diveniva più serio e grave nel pronunciarne il nome «Ha praticamente stabilito la regola che nessuno poteva andarsene. Diceva che era come… tradire.»

«Completamente fuori di testa!» esclamò ancora con convinzione l’altro, strabuzzando gli occhi.

«E… beh… era un po’ difficile cercare di allontanarsi senza rischiare la pelle a quel punto…» osservò ancora il più alto.

«Già!» confermò il più basso con una smorfia così generosa che gli deformò praticamente tutta la faccia «Cioè! Io avrei anche voluto provare a dirle qualcosa come: hey, bellina, sentì un po’! Qui non ci siamo per niente, d’accordo?»

Il più alto gli scoccò un’occhiata assai dubbiosamente critica di sbieco «Sì… e lei ti avrebbe cavato la testa…»

«Beh! Questo era da vedere!» obbiettò l’altro, muovendo le spalle come se cercasse di mettere in evidenza tutta la sua muscolatura, comunque non così cospicua sebbene fosse di costituzione abbastanza ben piantato.

Il più alto alzò gli occhi al cielo, emettendo un breve verso sospirante e sardonico.

Ramo occhieggiò verso Uther, trovando semplicemente che lui stava osservando quei due come se fossero una specie di singolare e bizzarro spettacolo, e stesse ancora cercando di trarre una qualche conclusione tra sé e sé, per decidere che cosa farci con due personaggi del genere, qualsiasi cosa fossero esattamente.

«Quindi…» tentò allora Ramo, con precauzione «Ora ve la stavate… squagliando dall’attendamento visto che non c’è più pericolo di… hum… rimetterci la pelle?»

I due lo fissarono tuttavia stupiti.

«Oh, no, affatto.» replicò il più alto.

«Figuriamoci! Ce la siamo data* appena abbiamo saputo che quella matta era stata sconfitta.» rincarò l’altro.

Uther corrugò la fronte. «Ma… siete ancora qui…» osservò, lentamente e significativamente.

«Hey! È perché siamo pur sempre delle persone… come si dice… altruiste!» protestò vivacemente quello che sembrava una specie di raver-punkabbestia.

Il più alto gli dedicò una breve occhiata critica, ma annuì sommariamente. «Eravamo preoccupati che quelli che sono rimasti stiano ancora pensando di fare qualche grosso casino… Così siamo venuti a dare un’occhiata.»

«Ma c’è ancora quella massa di muscoli senza cervello! Tsk, Badlands!» commentò l’altro con fare superiore.

«Non sapevamo esattamente come… fare qualcosa. Cioè, non lo sappiamo ancora…» spiegò meglio il più alto, con aria dispiaciuta e combattuta, oltre che piuttosto frustrata.

«Hey hey hey! Aspetta un momento!» esclamò ancora il più basso, fissando Uther e Ramo a sguardo spalancato. «Voi non siete compari di quello che ha sconfitto quella matta??»

Uther e Ramo si scambiarono un breve sguardo.

«Bree…» lo rimproverò a bassa voce il più alto, scoccandogli uno sguardo disapprovante.

«No, ascolta!» ribatté quello che a quanto pareva si chiamava Bree, aggrappandosi con una mano ad una manica del maglione dell’altro «Loro potrebbero fare qualcosa magari!»

Il più alto tornò a considerarli con una lunga occhiata, da capo a piedi, evidentemente dubbioso, ma cercando gentilmente di non darlo troppo a vedere.

«Beh…» aggiunse l’altro, più lentamente, scrutandoli a sua volta di nuovo «Magari… almeno il vostro amico. Quello che ha sconfitto la pazza.»

Ramo e Uther si scambiarono un lungo sguardo in silenzio.

Ramo non aveva più la nemmeno pallida idea di che cosa dire o fare a quel punto.

Ma Uther di punto in bianco scrollò le spalle e disse «Sapete che vi dico? Perché non restate un altro po’ qui a chiacchierare con noi? E poi… beh, poi si vedrà.»

Ramo lo fissò con sguardo tra l’allucinato e l’incredulo, ma Uther sembrò non darvi tanto peso.

«Mpf! E tu potresti abbassare quel maledetto fucile magari?» ribatté Bree.

Uther sembrò di nuovo prendere in considerazione l’idea per un poco. «Nah. Non per il momento. Ma sembrate… beh… sembrate abbastanza a posto.»

«Oh, grazie.» ironizzò il più alto degli altri due.

«E poi… si vedrà.» ripeté Uther, alzando di nuovo le spalle.

Bree emise un verso sarcastico. «Tanto probabilmente ci mancheresti.» disse con superiorità convinta e leggera, come a voler avere l’ultima parola.

«Voi continuate a fare in modo di non mettermi alla prova, e potremmo continuare a credere che sia vero, okay?» ribatté Uther.

E Ramo lo sapeva che non era facile avere l’ultima parola con lui.

Nondimeno, Bree sembrava già pronto a replicare senza risparmiarsi.

«Io mi chiamo Malcolm. Ma preferisco Malk.» gli si presentò quello più alto dei due, avvicinandoglisi, dal momento che Uther aveva comunque abbassato la canna del fucile verso terra, pur tenendolo ancora impugnato e carico.

«Ramo…» disse lui, lentamente e circospettosamente, guardando Bree e Uther che sembravano aver instaurato una sorta di lotta a suon di rapide battute taglienti, cercando ancora di capacitarsi.

Anche Malk sembrava starli guardando, ma come se fosse molto meno sorpreso di lui. «E questa, temo di doverti dire, sarà una lunga notte.» lo informò.

E Ramo, davvero, prima di quel momento aveva pensato che sarebbe già stata abbastanza lunga, tanto che sarebbe stato impossibile renderla ancora più interminabile. Ma a giudicare dal modo in cui gli altri due sembravano decisi ognuno ad averla vinta, iniziò ad avere un cospicuo mal di testa, e il sospetto che quel Malk avesse quanto mai ragione.

 

 

Soundtrack: Unbelievable (EMF)

 

Note per la comprensione:

*DARSELA: l’espressione completa è il classico ‘darsela a gambe’, o sempre nel colloquiale ‘squagliarsela’, ma in una versione slang che conosco si usa anche abbreviare con un semplice ‘darsela’. Bree potrebbe avere una certa tendenza a utilizzare termini molto colloquiali se non proprio slang, ma aggiungerò note per la comprensione ogni qual volta mi paia arduo intuirne il significato.

 

Sciocchezze dello scribacchiatore (e qualche appunto potenzialmente utile sulla messa on-line dei capitoli):

Sono quasi ridicolmente entusiasta nell’introdurre i personaggi di Malk e Bree. Insomma: eccovi anche questi due. E lo dico con affetto.

Potreste aver notato che questo capitolo giunge on-line dopo un bel po’ di tempo dal precedente. Molte cose sono accadute, parecchio impegnato, e bla bla bla. Non do garanzie, ma se tutto va decentemente non dovrei metterci così tanto per il prossimo capitolo.

Tra le altre cose, il mio (ex) disco fisso ha avuto un brutto accidente, e alcuni capitoli che avevo già scritto sono andati (forse irrimediabilmente) perduti. Niente di troppo drammatico, non sono tanti quelli andati perduti e posso sempre riscriverli tranquillamente mantenendo intatta la trama prevista, ma con tempo (e soldi) a disposizione non mi dispiacerebbe tentare di recuperare gli originali. Vedremo che riesco a combinare.

 

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Capitolo 60
*** 59 - We're underground ***


Capitolo 59

(We’re underground)

 

Tutto avvenne così rapidamente, che Andrea ebbe notevoli difficoltà a starvi dietro.

Un attimo prima se ne stava seduta sul divano di fianco a Danny, curiosando insieme a lui un album di ritagli di giornale dei vecchi casi più o meno seguiti dall’originale nucleo dei ‘4 di picche’ quando aveva fatto base a Tairans, mentre Kumals sonnecchiava sulla sua poltrona mezzo sghemba per il piede d’essa spezzato.

Yuta e Mordecai erano andati a casa di quest’ultimo a racimolare cose potenzialmente utili che non erano state meglio specificate, ma ad una veloce spiegazione da parte di Yuta sembravano poter comprendere da intrugli più o meno curativi fino a possibili cose che forse potevano infastidire mezzi lupi impazziti che tentassero di scatenare la loro furia su Tairans nel corso della notte senza luna, alla quale mancava poco ormai. Nessuno di loro sembrava avere ancora un piano ben preciso.

L’istante successivo, Andrea ebbe appena il tempo di registrare la rapidità con cui Danny si irrigidì di colpo, e poi lui balzò in piedi rivolgendo uno sguardo feroce verso la porta d’ingresso, un cupo e basso ringhio gutturale che scaturiva sempre più crescente dalla sua gola. Né lei né Kumals fecero in tempo a fare altro che inquietarsi, allarmarsi, e alzarsi in piedi rapidamente a loro volta, prima che il rumore di passi lungo le scale raggiungesse la porta e la stessa venisse aperta.

Kumals e Andrea rimasero dapprima stupiti, vedendo comparire sulla soglia semplicemente Ramo e Uther, evidentemente di ritorno dal loro turno di sorveglianza dell’attendamento dei mezzi lupi, ma con notevole anticipo inspiegabile rispetto ai loro turni; c’era comunque la possibilità che per qualche motivo avessero deciso di farsi sostituire prima dell’ora concordata da Yuta e Mordecai. Ma questo non spiegava ancora la reazione di Danny.

A spiegarla bastò invece che Uther e Ramo facessero qualche passo dentro la stanza e si scostassero un poco di lato, mostrando i due dietro di loro, i quali rimasero sulla soglia, guardando soprattutto Danny con una certa attenzione istintiva, perché era chiaro che lui stava rivolgendo la sua sorda minaccia verso di loro; e probabilmente l’unico motivo per cui non li stava ancora attaccando era perché, inspiegabilmente, quei due erano arrivati con Ramo e Uther. Andrea ebbe la distinta percezione che l’unica spiegazione per la reazione di Danny potesse essere che quei due erano… mezzi lupi.

Come a confermarglielo definitivamente, Kumals, dopo un compatto momento di incredulo stupore e senza smettere di guardare fisso i due nuovi arrivati tenendoli d’occhio, si rivolse agli altri due praticamente urlando.

«Ramo! Uther!! Credevo che le istruzioni fossero semplici! Tenere d’occhio i mezzi lupi impazziti. E non portarli qui!»

Il più relativamente basso e ben piazzato dei due corrugò la fronte e spostò lo sguardo da Danny a Kumals, con un’espressione e un tono decisamente risentiti e di protesta. «Hey, vacci piano tu! Impazziti a chi??»

L’altro, quello più alto e snello, gli appoggiò lentamente una mano su una spalla, mentre manteneva accuratamente lo sguardo su Danny per sicurezza, e gli disse semplicemente «Bree… Per favore…»

Quello che sembrava chiamarsi Bree voltò la testa verso di lui e di nuovo protestò «Ci sta dando degli impazziti! Questo… chiunque sia questo tipo poi!» terminò, scoccando un’occhiata critica a Kumals e agitando appena una mano verso di lui.

Kumals sbatté le palpebre, fissandolo ancora più seriamente, e ancora cercando di capacitarsi, evidentemente.

Il più alto dei due nuovi arrivati sospirò appena, con un ché di rassegnato. «Non sta parlando di noi…»

«Beh, io credo proprio di sì, invece.» replicò Bree, piazzandosi le mani sui fianchi e fissando Kumals con aria di sfacciata sfida a provare a sostenere il contrario.

Dal canto suo, Kumals quasi urlò di nuovo «Uther!! Ramo! Volete spiegare che diavolo succede?»

Uther disse semplicemente «Loro sono a posto.», con aria piuttosto tranquilla, indicando i due nuovi arrivati vagamente con il pollice.

Kumals concentrò uno sguardo molto intenso su di lui. «‘Loro sono a posto’…» ripeté lentamente, e perciò in un modo assai inquietante a udirsi «Loro sono a posto?? Questa sarebbe una spiegazione?!»

«Hem… Non stanno con… gli altri… Insomma, con quelli…» tentò Ramo.

«Impazziti.» completò ancora piuttosto tranquillamente Uther, annuendo come in conferma.

Bree emise un verso scetticamente sprezzante. «Certo che no! Ci mancherebbe altro!»

Kumals sollevò un sopracciglio al massimo, e iniziò a rivolgersi a tutti e quattro, molto significativamente e scandendo le parole, esercitando un notevole sforzo per dominarsi. «Bene… bene… Ora… qualcuno mi spiega, immediatamente, che cosa sta succedendo?»

Uther diede una sommaria scrollata di spalle. «Ci siamo incrociati nel bosco.»

Kumals gli spedì uno sguardo a dir poco fulminante. «Uther… sul serio… Io…» iniziò ad avvertire.

«Ci siamo incrociati per caso, in effetti…» intervenne Ramo, con un certo imbarazzo «E abbiamo… parlato un po’, così…» e sembrò non sapere bene come continuare.

Kumals lo guardò sollevando anche l’altro sopracciglio. «E di che cosa? Politica?»

Uther emise un leggero sornacchio divertito, ma poi occhieggiò anche verso Danny per un momento, il quale era ancora ritto in piedi, immobile e con tutti i muscoli tesi, il cupo ringhio gutturale appena udibile ancora in sottofondo, e lo sguardo inchiodato sui due nuovi arrivati. «Kumals, sul serio, calmati un attimo… E, Danny… non sono pericolosi. Non a vedersi almeno.»

«Hey!!» protestò vivamente Bree, lanciandogli un’occhiataccia.

«Bree…» sospirò l’altro.

Ma Bree spostò lo sguardo su Danny, e come se avesse notato meglio i suoi connotati solo in quel momento, esclamò molto interessato «Hey, tu sei quello che ha sconfitto la pazza, vero??»

Danny tirò un po’ indietro la testa, preso in contropiede. «La… pazza…?» ripeté lentamente, perplesso e confuso. Ma se non altro sembrava aver momentaneamente deciso che il tutto aveva un ché di davvero troppo assurdo per essere considerato così minaccioso, e si stava prudentemente rilassando giusto un poco, e molto gradualmente.

Il mezzo lupo più alto e snello sospirò di nuovo. «Intende Mara.» specificò, pur anche lui guardando Danny con una certa curiosità, anche se decisamente più contenuta per basilare gentilezza.

«Hum…» fu tutto quello che uscì a quel punto da Danny, con un’intonazione assai dubbiosa.

«Perché sono qui? Perché diavolo questi due sono qui?!» ritornò alla carica Kumals, guardando Ramo e Uther con lo sguardo che sembrava quasi capace di poter iniziare a scagliare saette.

«Loro vorrebbero… hum… essere… d’aiuto?» si azzardò a dire Ramo, il quale aveva l’infelicissima aria di qualcuno che si sta rendendo sempre più conto di aver tragicamente sottovalutato il particolare di prepararsi una migliore spiegazione, ma che allo stesso tempo sospetti che il non essere troppo convinto lui per primo di quella reale glielo avrebbe drasticamente reso assai difficile in ogni caso.

Kumals lo continuò a fissare significativamente solo per un altro istante, poi spostò lo sguardo su Uther come se ormai stesse praticamente dando per scontato che fosse il suo turno di dire qualcosa di assurdo.

E Uther sembrò non volerlo deludere, perché alzò le spalle e disse semplicemente «Ho pensato che un paio in più dalla nostra parte potessero farci comodo.»

«Prego?» fece Malk, inarcando un sopracciglio.

«Guarda che noi non stiamo dalla parte di nessuno, carino.» specificò Bree con uno scettico sbuffo nasale, schioccando significativamente le labbra come a sottolineare la sua sicurezza su quel punto.

Uther lo guardò con una leggera smorfia tra il sorpreso e l’irritato per l’appellativo, Kumals rimase in un preoccupante silenzio a stento contenuto ma chiaramente traboccante di ancora crescente spazientimento.

«Ma…» soggiunse Malk, gettando nella direzione di Kumals uno sguardo relativamente preoccupato «Vorremmo dare una mano. Per evitare che quelli… facciano una strage o simili…»

«Visto?» commentò Uther, annuendo una sola volta verso Kumals, apparentemente con perfetta calma soddisfatta.

«Per il sacrosanto…!» iniziò a dire Kumals, il tono pericolosamente crescente in volume e levitante di ira.

«E comunque, chi sareste voialtri?» si informò Bree, guardando tra Kumals e Andrea con aria incuriosita e allo stesso tempo piuttosto valutante.

Kumals si limitò a puntargli addosso uno sguardo inviperito e, suo malgrado, apparentemente troppo incredulo per riuscire a rispondere prontamente, o forse ritenendo che non aveva nessuna intenzione di dargli corda al momento.

«Hem… Andrea…» disse allora lei, occhieggiando attentamente tra tutti quanti, senza sapere più bene chi fosse da tenere maggiormente sott’occhio in quel momento.

«Hey, ciao!» sorrise Bree amichevolmente, come se finalmente avesse individuato qualcuno che poteva riscuotere la sua simpatia in tutta la stanza. «Io sono Bree! E lui è Malk

Kumals emise un sonoro sbuffo e gettò le braccia in alto, esasperato. «Oh, certo, perché no! Volete anche qualcosa da bere, finché ci siamo?» commentò con chiaro sarcasmo pungente.

«Beh, male non farebbe!» replicò con tranquillità spudorata e sincera Bree.

«Bree…» fece Malk, muovendo giusto l’angolo delle labbra verso di lui, con un tono da richiamo nemmeno troppo speranzoso di poter ottenere qualche effettivo risultato.

«Ah, comunque, lui è il mio ragazzo.» disse in compenso Bree, come se si fosse ricordato di quel particolare in quel momento, agitando un poco una mano verso di lui «Perciò, annuncio per tutti e tutte: non pensateci nemmeno.»

«Bree!» richiamò stavolta più a voce alta Malk.

Uther alzò lo sguardo verso il soffitto ed emise un verso di critico lamento semi-sospirante, e altamente rassegnato.

«Vale anche per te, sai? Guarda che ti tengo d’occhio.» disse ancora Bree, lanciandogli uno sguardo.

Uther abbassò gli occhi verso di lui e incrinò con decisione un sopracciglio assai scetticamente. «Io e Ramo ti abbiamo già assicurato, più volte, che non abbiamo nessuna intenzione di… fare delle avances a nessuno di voi due, tranquillo.» commentò semplicemente, con una netta vena di aperta ironia.

Bree emise uno sbuffo nasale. «Tsk! Non si può mai sapere. Sapete com’è, le cose cambiano.»

«Bree…» praticamente gemette Malk, passandosi una mano sulla faccia con fare arreso.

E inaspettatamente Kumals inclinò un poco la testa di lato e, occhieggiando tra tutti e quattro, disse «Hum… divertente…»

Ramo lo guardò con gli occhi spalancati di esausta sincerità convinta e scosse un poco la testa. «No, per niente… te lo assicuro.» disse.

«Va bene…» riprese Kumals, prendendo fiato con impegno «Ora… qualcuno – mi – spieghi – che – diavolo – succede – qui. Adesso!» sentenziò con un tono che non ammetteva repliche.

Bree si rivolse a Ramo. «È sempre così agitato come se gli stessero per scoppiare le coronarie oppure è una giornata particolarmente brutta?»

Ramo contorse il viso in una leggera ma sentita smorfia di disagio e si guardò bene dal dire qualcosa, ma Uther rispose tranquillamente «Nah, è pressappoco sempre così.»

«Sul serio…» ritentò Malk, guardando in particolare Danny con espressione seria «Volevamo solo… cercare di aiutare per evitare che quegli altri combinino una… hum… strage.»

«Perfetto.» commentò Kumals, battendo appena le mani tra di loro, con un tono pericolosamente ironico e falsamente allegro «Ragazzi? A qualcuno di voi risulta per caso che abbiamo aperto un’agenzia di arruolamento per una crociata dei pezzenti o simile?»

«Hey! Pezzenti a chi?!» scattò subito Bree.

«È una citazione storica…» sospirò Malk, pur sapendo che non per quello non conteneva implicitamente e comunque qualcosa di molto significativo come commento1.

«Una cosa?» fece Bree, scoccandogli uno sguardo assai scettico.

«Quindi… Per intenderci… Non volete sterminare l’umanità, voi due…» tentò di ricapitolare almeno quel punto fondamentale Andrea, per sicurezza.

Malk le rivolse uno sguardo grato e scosse la testa con aria dignitosa e seria. «No.»

«Ma ti sembriamo fuori di testa? Cioè, sinceramente.» le chiese invece Bree, con un ché di significativo nonostante il tono amichevole.

«Probabilmente è molto meglio che invece io non lo sia, sincero, in questo momento.» commentò Kumals.

Bree gli rivolse una smorfia. «Va bene, nonno, abbiamo capito che non ti piacciamo. Ma sai cosa? Beh, amen!» disse, ignorando bellamente lo sguardo sempre più trasecolante di Kumals, per poi guardare Danny e concludere con «E comunque, quella che ci interessa è la sua opinione.»

Danny sbatté un momento le palpebre, sorpreso. «Perché… la mia…?» chiese, confuso.

Bree sembrò in compenso altrettanto sorpreso dalla sua domanda. «Cavolo, è chiaro no? Sei tu quello che ha sconfitto quella folle scatenata.»

Danny piegò le labbra in una smorfia di profondo disagio dolente e disse solo «Io… non…»

«Ci hai… praticamente salvato, per la verità…» disse Malk, guardandolo serio e gentile, con un ché di profondamente grato.

Danny spostò lo sguardo su di lui, ancora più confuso. «Cosa…?»

«Quella ci teneva tipo sotto sequestro!!» esclamò Bree, con un’animazione che risultava assai teatrale, per quanto in buona parte sincera, ma anche decisamente calcata, per semplice abitudine espressiva a quanto sembrava.

«Ci avrebbe ucciso se avessimo lasciato l’attendamento. Ma volevamo farlo.» riformulò meglio Malk.

«Quindi ci hai… sì, insomma… come si dice… salvato le chiappe.» annuì Bree. Malk gli lanciò una concisa occhiata critica di sbieco.

Uther iniziò tranquillamente a canticchiare ‘I need a hero2 a mezza voce, mentre si dirigeva al frigorifero in cucina.

Kumals sornacchiò un verso ironico, e si rivolse a Danny. «E va bene. Danny?»

Danny lo guardò a sua volta, significativamente perplesso. «Cosa?» disse semplicemente.

«Che ne facciamo di questi due, capo?» chiese ironico Kumals, agitando appena una mano verso Bree e Malk, continuando a guardarlo.

Danny sbatté le palpebre e si limitò a inarcare le sopracciglia, senza rispondere, e assolutamente per scelta.

«Perché non… facciamo due parole con più calma magari… intanto?» propose Malk.

«Sì, ecco!» approvò Bree come se la domanda fosse rivolta anche a lui «Ah, c’è della birra?»

Uther, che stava già sorseggiando da una bottiglia di birra aperta che si era procurato, appoggiato di lato alla cornice della porta della cucina, gli lanciò uno sguardo relativamente storto.

Kumals emise un sospiro enormemente pesante. «Dagli della maledetta birra, Uther. E, oh, ora parlare con calma è tornato di moda? Fantastico. Allora, che diavolo, ma sì, facciamolo!» esclamò pesantemente sarcastico, lasciandosi cadere affondato nella sua poltrona, che naturalmente essendo ora azzoppata si inclinò pericolosamente e quasi si scaravoltò su se stessa con Kumals al seguito.

«Quella cosa è rotta.» notò Bree, indicando la poltrona.

Kumals gli lanciò uno sguardo tetro e grugnì di pessimo umore tra i denti «Non mi dire…»

Ramo richiuse con precauzione la porta d’ingresso, Danny osò rilassarsi abbastanza da risedersi sul divano e così fece anche Andrea, e Uther rimase a sorseggiare tranquillamente la propria birra appoggiato alla soglia della cucina. Bree sembrò optare per andare a prendere lui stesso due bottiglie di birra dal frigo, tornato indietro ne diede una a Malk, e la aprì dopo essersi seduto a gambe incrociate sul pavimento, dopo un poco imitato da Malk che si sistemò di fianco a lui con decisamente meno ostentazione di sfacciato agio.

«Allora gente, qual è il piano?» esordì quindi Bree spensieratamente, dopo aver inghiottito una lunga sorsata di birra come se fosse acqua.

Kumals si prese la base del naso tra pollice e indice e strinse forte, chiudendo gli occhi per un lungo momento.

«Hey, avanti amico. Puoi fidarti di noi. Siamo tipi alla mano!» invitò Bree.

«Bree…» sospirò Malk, scuotendo un poco la testa.

 

***

 

Yuta era ancora sorpresa e relativamente preoccupata quando lei e Mordecai raggiunsero la porta dell’appartamento; Ramo li aveva chiamati per telefono dicendo loro che per ora non c’era bisogno che andassero a sostituirli per il turno di sorveglianza all’attendamento dei mezzi lupi, e di tornare piuttosto direttamente lì. Non aveva specificato il perché, ma aveva detto e ridetto – in risposta alle incalzanti domandi di lei – che non c’era nulla di cui preoccuparsi.

Quando comunque Yuta non aveva mollato il colpo, Ramo aveva spiegato che a quanto pareva avevano saputo da certe fonti che sì, era confermato: i mezzi lupi ancora presenti all’attendamento non si sarebbero mossi prima della notte senza luna, quindi sarebbe dovuto essere sufficiente tornare di tanto in tanto a vedere giusto per fare una conta generale sperando che il loro numero fosse ulteriormente diminuito. Quando lei aveva chiesto che cosa volesse dire esattamente con ‘fonti’, Ramo si era corretto praticamente con nervoso imbarazzo dicendo che si era sbagliato, che voleva dire che era stato un ragionamento collettivo.

Yuta avrebbe potuto intuire da molto più lontano di così che c’era qualcosa sotto, ma aveva deciso di troncare la comunicazione telefonica e di andare a verificare di persona che cosa stava succedendo. Il tentativo gentile e correttamente giudizioso di Mordecai di dirle che dovevano esserci buone ragioni per tutto quello si spense definitivamente mentre salivano le scale. E soprattutto perché iniziarono a sentire fin da lì un certo animato chiacchiericcio dai toni perlopiù apparentemente allegri che proveniva da dietro la porta, come se fosse in corso una festa o qualcosa del genere.

Yuta allungò perciò il passo che divenne definitivamente marciante, raggiunse la porta e la spalancò di netto, piazzandosi sulla soglia, pronta a esplodere in una generale e impietosa ramanzina. Ma si bloccò perché, prima di tutto, rimase molto più stupita dai due estranei seduti sul pavimento che bevevano birra, piuttosto che dalla generale aria di tranquilla bevuta e chiacchierata di gruppo. Mordecai si affiancò appena a lei e da dietro di lei spiò all’interno con cortese e compunto rispetto tuttavia attento.

«Heylà!» salutò con amichevole curiosità Bree, alzando il braccio con la bottiglia di birra in mano verso di loro «E voi chi siete?»

Yuta lo guardò bene, molto bene, da capo a piedi. E poi iniziò con un semplice ma assai significativo «… Kumals

«Non chiedere a me.» replicò quegli tranquillamente, indicando con il pollice verso Ramo e Uther che ora sedevano sul divano, probabilmente ceduto loro per riposarsi dal turno di sorveglianza. «Rivolgiti a quei due laggiù. Li hanno portati loro.»

«Per vostra fortuna! He he…» sghignazzò Bree, scoccando a Kumals un’occhiata bellamente fiera.

«Molto piacere…» esordì cortesemente Mordecai «Il mio nome è Mordecai. E i vostri…

«Bree! E Malk!» rispose prontamente Bree, rivolgendogli uno sguardo di apprezzante simpatia «Hey, che nome figo, Mordecai.»

«Molto gentile.» si limitò ad annuire appena il necromante, sembrando affatto impressionato.

«Chi diavolo sono questi due??» esplose Yuta.

«Hey, tesoro, calmati, d’accordo? Così farai venire il mal di testa a qualcuno.» le consigliò con sincera disponibilità Bree, l’espressione seria in modo quasi da professionale delle regole di bevuta collettiva amichevole.

Yuta rifiondò uno sguardo tra l’incredulo e l’ammonimento intimidatorio verso di lui, e Malk quasi pregò con una leggera smorfia d’imbarazzo «Non farci caso… per favore. Lui è… fuori luogo. Spesso. Ma noi siamo… hum…»

«Rinforzi.» disse tranquillamente Uther, sorseggiando birra comodamente seduto sul divano.

«Mezzi lupi…» precisò comunque Danny, seduto per terra con la schiena appoggiata alla parete.

«Vorrebbero aiutarci con… contro gli altri, insomma.» aggiunse Andrea, seduta sul tavolo.

Yuta li guardò uno dopo l’altro mano a mano che parlavano, e infine il suo sguardo si fermò su Kumals. «Kumals

Quegli rilasciò un verso di protesta esasperata e si agitò sulla poltrona che traballò ampiamente. «Beh… e che diavolo! Perché dovrei essere sempre io quello che butta fuori a calci le persone simpatiche che si presentano al momento meno opportuno, specialmente se non li ho invitati io?»

La scena non sembrò sortire alcun effetto su Yuta, che incrociò le braccia sul petto e continuò a guardarlo significativamente.

«Hey!» esclamò invece Bree, sorridendo con apprezzamento «No, aspetta… hai detto che siamo simpatici?»

«Sono quasi sicuro che fosse ironico…» commentò quietamente Malk, sorseggiando la propria birra.

Kumals sembrò ponderare la cosa per un momento. «Non lo ero…» e sospirò «Ma sul serio, ragazzi…» tentò di proseguire con pazienza.

«Io sono Yuta.» lo interruppe lei con tono apparentemente tranquillo e un accenno di sorriso, indicandosi con una mano, e attirando su di sé lo sguardo tra l’interrogativo, il sorpreso e il preoccupato di Kumals. «E voi avete detto di essere… mezzi lupi?» si informò ancora, assai puntualmente.

«Nah.» scosse la testa Bree, evidentemente alticcio «Bree. E Malk. Oh, e lui è il mio ragazzo. Quindi niente colpi dietro le spalle, d’accordo?»

«Bree… la vuoi piantare?» protestò Malk.

«Che c’è?» ribatté lui, guardandolo «È meglio essere chiari prima che si combinino pasticci.»

«Su questo sono d’accordo.» annuì con placida calma Kumals.

Yuta roteò gli occhi, e sembrò optare per una più accurata strategia, perché entrò definitivamente, permettendo anche a Mordecai di fare altrettanto e di richiudere la porta dietro di loro, e si sistemò a sedere su un bracciolo del divano. «Humpf… E va bene. Sentiamo un po’, di che parlavate di bello?»

Il suo tono era così zuccherosamente casuale che Kumals aveva un brutto presentimento, che poteva riguardarlo direttamente nel momento in cui non ci fossero stati troppi sguardi indiscreti che potessero essere testimoni del suo subire giusto un leggero pestaggio.

«Oh… Bree, qui, aveva un’idea.» disse comunque Kumals, agitando appena una mano verso il nominato, con un ché di altrettanto impalpabilmente ironico.

«No…» commentò Yuta, guardando Bree con ancora un sorriso fin troppo gentile per essere proprio del tutto sincero, e dai bordi alquanto taglientemente preoccupanti almeno per chi la conoscesse abbastanza bene.

«Sì, proprio così!» esclamò prontamente Bree «Stavo dicendo che se scavassimo delle grosse trappole tutt’intorno all’attendamento e poi le coprissimo in modo che non si vedano…»

«Probabilmente ci finiremmo dentro noi per primi…» commentò cupamente Danny. Yuta gli lanciò una seconda occhiata e registrò meglio la sua espressione apparentemente profondamente rassegnata e relativamente esausta.

«Cosa?» fece Bree, guardandolo per un momento confuso, prima di scuotere la testa con decisione «No, non è per quello. Diavolo, che razza di modi avete di divertirvi voialtri?»

«Ah, sapessi…» commentò Uther, chiaramente ironico, dedicando peraltro più attenzione alla birra che stava bevendo che ad, apparentemente, qualsiasi altra cosa in generale.

Yuta registrò meglio anche l’umore di lui per quello che si poteva cogliere a prima vista, e intanto ripeté semplicemente «Hum… grosse trappole tutt’intorno…» come per essere sicura di aver capito bene, e senza nemmeno stupirsi troppo che, visto il clima che sembrava regnare in quella stanza, potessero davvero aver parlato di quello fino a quel momento.

Malk si schiarì appena la voce. «Forse ha dimenticato di dirti prima che è una fantastica idea totalmente impraticabile.» disse con netta ragionevolezza, che Yuta apprezzò molto.

«Hey, ma lasciami arrivare alla parte delle esche almeno!» insistette Bree, scoccandogli un’occhiata.

«Oh sì, giusto, quella era davvero… come dire…» commentò Malk, ancora affettuosamente ironico e tutto sommato divertito, ma rivolgendogli anche in ricambio uno sguardo significativo.

«Eccezionale.» completò Kumals, non meno ironico, anche se con il suo tipo tutto particolare di ironia particolarmente pungente benché priva di ogni possibile sfumatura di vera e propria cattiveria.

Yuta si era nel frattempo soffermata a registrare anche il come appariva Ramo, che le lanciò un furtivo sguardo come di richiesta semi-disperata di un qualsiasi tipo di aiuto, e come appariva Andrea, che alzò appena le spalle e le rivolse uno sguardo di scusa che sembrava anche sottintendere che, per quanto ci avesse provato, non era ancora giunta a una sua definitiva conclusione nemmeno di come prendere esattamente quella nuova svolta.

«Bene…» iniziò allora Yuta con calma decisività «Visto che siete tutti più o meno sbronzi…»

«Io no.» puntualizzò Ramo, anche se sembrava suggerire che avrebbe preferito anche esserlo se quello avesse mai potuto alleviare l’assurdità di come gli appariva il tutto in quel momento.

«Tantomeno.» commentò Danny, come a sottolineare che non poteva permettersi di esserlo se doveva tenere d’occhio due mezzi lupi che non conosceva da più di sì e no un paio d’ore che ora sedevano tranquillamente a bere birra in mezzo a tutti loro.

«Neanch’io…» scosse la testa Andrea, come a garantirle che se aveva una buona idea sul come cercare di gestire sensatamente la faccenda, era più che pronta e in grado di darle manforte se quell’idea l’avesse convinta.

Yuta sospirò e si alzò in piedi, dirigendosi alla cucina. «… io prenderò una birra.» completò semplicemente, mentre sentiva gli sguardi tra il sorpreso e/o il deluso degli ultimi tre sopraddetti che la fissavano più o meno allibiti.

«Frigo.» indicò semplicemente e distrattamente Uther, apparentemente più per esplicitare la sua approvazione verso la sua saggia scelta, piuttosto che per fornirle un’indicazione che non le serviva.

«Sul serio…» proseguì Yuta tornando a sedersi sul bracciolo del divano con la sua birra «Questo qua mi sembra più che altro un piano di Uther…»

«Ah, ecco, mi sembrava…» commentò tranquillamente Kumals.

Uther si limitò a dedicarle di sbieco un’occhiata tra il divertito e la protesta imbronciata e ad emettere un sornacchio esattamente accordato a quello sguardo.

«Beh… Prima stavamo anche provando a ragionarci seriamente…» tentò Ramo, senza troppa convinzione, come se lui per primo non ne fosse ancora del tutto certo del grado di serietà.

«Uh, sì… Devo aver perso il filo all’altezza dell’altro piano di Bree…» fece Kumals.

«Oh, quello della colla a presa rapida??» chiese subito Bree, con aria fiera di sé.

«Oh, no. Quello di incendiare circoscrittamente il bosco.» specificò placidamente Kumals, con aria apparentemente seria.

Yuta gli scoccò un lungo sguardo valutante, come a chiedergli implicitamente se dicesse sul serio.

«Era per stanarli col fumo.» annuì Bree con aria seria e convinta, guardandola.

Yuta lo fissò a sua volta e chiese solo «Da dove avete detto che venite voi due, esattamente?»

«Lontano.» disse semplicemente Malk.

«Siamo un po’ cittadini del mondo. Beh, neanche cittadini.» rispose Bree.

«Ah, ecco…» fece semplicemente Yuta, come se a quel punto difficilmente qualcosa potesse stupirla ormai. Anche Mordecai stava annuendo in maniera molto simile, sebbene molto più cortesemente rispettosa, seduto ora su una sedia vicino al tavolo con la sua aria tranquilla, composta e attenta.

«Vergognoso che non ci siamo mai incrociati prima, sul serio…» commentò Kumals, placido.

«Oh, che cosa carina da dire…» disse Bree, sembrando sinceramente colpito e sorridendo.

«Stavolta ne sono certo, Bree.» fece Malk, annuendo «Era ironico.»

«Ah.» emise Bree, la sua espressione che cambiava immediatamente in una di critico disappunto.

«Non fateci caso… Fa sempre così con tutti. Più o meno.» disse Yuta distrattamente.

«Quindi praticamente vuol dire che vi ha già accettato nel giro.» tradusse Uther.

«Ora… non esageriamo.» fece Kumals, alzando un sopracciglio, e con una smorfia per quel modo di definire la cosa.

«D’accordo. Quasi.» riformulò tranquillamente Uther, con una scrollata di spalle.

«Credo di essermi persa… quale ‘giro’, esattamente?» si informò Yuta, apparentemente tutta tranquilla curiosità amichevole, quando in realtà, e diversi di quelli che erano nella stanza e che la conoscevano bene ne erano perfettamente consapevoli al momento, stava adottando la tecnica di capire che cosa accidenti stava succedendo con domande ben mirate ma poste in modo apparentemente casuale in una chiacchierata su quasi il più e il meno.

«Oh, non so. Non abbiamo ancora trovato un nome adatto per l’unione di quelli che tentavano di impedire il tracollo di Tairans causato da mezzi lupi impazziti…» rispose Kumals, con pacifica ironia perlopiù e per il momento rassegnata.

Bree lo guardò molto seriamente e disse «Guarda… te lo dico in confidenza, ma… Sai, questo modo di parlare è piuttosto razzista.». Kumals lo guardò come cercando di interpretare, se non proprio il senso delle parole, almeno un’adeguata possibile risposta, e Bree sembrò rifletterci meglio prima di aggiungere pensierosamente «Hum… o specista magari…?»

Malk emise un sospiro rassegnato.

«Oh, non lo fa con cattiveria.» commentò Uther, giocherellando a far girare in tondo la birra che rimaneva in quella che verosimilmente non era la sua prima bottiglia «Chiedete a Danny.»

Kumals di punto in bianco lo guardò un po’ più apertamente, confidenzialmente e assai onestamente. «Uther… è una specie di vendetta questa, vero? Sii onesto.»

Uther ricambiò il suo sguardo con un ché di beatamente tranquillo. «Non so di che cosa stai parlando.»

«Sì. Lo sai.» ribatté molto quietamente Kumals «E lo è.» concluse con sicurezza tra sé e sé.

«Mi sono perso qualcosa?» chiese Bree tra il confuso, il sospettoso e l’incuriosito, guardando rapidamente dall’uno all’altro come se stesse cercando di seguire una raffica di colpi in una partita di ping pong.

«No…» gli rispose Malk con fare abituato e gentile, mettendogli una mano su un ginocchio come per essere ancora più rabbonente e tranquillizzante «Tranquillo… no…»

 

 

Soundtrack: Underground (Broder Daniel)

 

 

Riferimenti:

1.      CROCIATA DEI PEZZENTI / DEI POVERI: no, sul serio è una citazione storica (https://it.wikipedia.org/wiki/Crociata_dei_poveri), e tuttavia può tranquillamente essere anche un’offesa… perlomeno sul piano del ‘a proposito di come organizzare un fallimento totale e disastroso’. Beh, è Kumals, insomma, se già non ve ne siete fatte/i una ragione… non saprei più come dirvelo ;p

2.       I NEED A HERO (titolo vero e proprio è in realtà ‘Holding out for a hero’) è una (famosa) canzone originalmente di Bonnie Tyler

 

Note di pubblicazione: ebbene sì, ho trovato il tempo di mettere on-line un altro capitolo. È passato giusto un po’ di tempo eh? Comunque, il prossimo capitolo è uno di quelli la cui versione originale è al momento perduta – non so ancora quanto definitivamente – nel mio ex disco-fisso. Se trovo il tempo di capire quanto definitivamente mi è impossibile recuperare la versione originale, saprò anche se devo riscriverlo oppure no, da cui la relatività del tempo che passerà prima che metta on-line il prossimo capitolo… Sì, lo so. Non proprio eccellenti notizie. Con un po’ di fortuna e tempo a disposizione, magari riuscirò a riscriverlo e basta senza che passi una mezza eternità o giù di lì.

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Capitolo 61
*** 60 - Wrong legends ***


Capitolo 60

(Wrong legends)

 

Mordecai risalì le scale dalla cantina della sua casa e si fermò sulla soglia della stanza principale del pianterreno che fungeva da salotto, sala di ricevimento ospiti e parte del suo laboratorio complessivamente. Guardò per un momento le due che stavano cercando di sistemare un altro po’ il disordine che ancora vi regnava dopo che, durante la sua assenza, il fantoccio inviato da qualcuno aveva fatto del suo peggio per scombinare tutto, e sorrise.

«Vi ringrazio molto. Davvero… non era necessario.» ringraziò con gentile gratitudine, raggiungendo il tavolino presso il quale si sedette, poggiando con accurata delicatezza qualcosa sopra di esso.

Yuta gli gettò appena un’occhiata da sopra la spalla, scrollò le spalle con leggerezza ed emise un piccolo sbuffo amichevolmente accondiscendente.

«Non dire sciocchezze, Mordecai.» ribatté semplicemente, mentre – armata di strofinaccio – continuava a cercare di spolverare abbastanza efficacemente una mensola che era riuscita a svuotare, appoggiando tutto ciò che era ancora integro sul bancone.

Andrea si girò un poco verso di lui, mentre studiava ancora con lo sguardo un barattolo di vetro che forse in origine era stato un contenitore di marmellata da supermercato, ma che ora conteneva una specie di indefinibile liquido gelatinoso che assomigliava vagamente ad argento fuso; l’etichetta artigianale recava una scritta in caratteri che lei era abbastanza sicura di non avere mai visto, e che per quanto ne sapeva potevano essere un codice così come un’antica lingua morta.

«Quindi… lei è un… necromante?» chiese cercando di essere il più gentile possibile, ovvero di sospendere ogni nota di puro stupore e una certa indecisione piuttosto scettica. Scoccò comunque un rapido sguardo laterale verso Yuta, la quale tuttavia continuò a pulire la mensola, limitandosi a sorridere un poco tra sé e sé.

Mordecai annuì tranquillamente e cortesemente. «Esatto, Andrea. Dammi pure del tu, a proposito e se non ti dispiace, preferirei. Oh, e… non aprire quel barattolo. Quella sostanza può essere poco simpatica se non la si tratta con molta cura.»

Andrea sussultò davvero poco tutto sommato, e appoggiò molto lentamente il barattolo sul ripiano, trattandolo sostanzialmente come se la minima agitazione fisica avesse potuto farglielo deflagrare tra le dita. Non chiese nemmeno di che cosa si trattasse esattamente.

Yuta si era girata a guardare Mordecai, o meglio, il suo sguardo si abbassò quasi subito su ciò che aveva appoggiato sul tavolino davanti a sé. «È rimasto abbastanza di quel… coso? » chiese, agitando vagamente una mano.

«Fantoccio. Gergalmente parlando. Il termine originale è piuttosto antico e inutilmente complicato tanto nella scrittura che nella pronuncia. Persiano, per la precisione.» informò Mordecai, tranquillamente e colloquialmente.

«Hum… già…» schioccò appena le labbra Yuta, annuendo con una leggera smorfia di concentrazione, mentre Andrea si girava a sua volta e notava l’oggetto appoggiato sul tavolo.

Sembrava una di quelle provette antidiluviane, ovvero di grandi dimensioni, di spesso vetro, e chiusa da un grosso tappo di sughero, appoggiata sdraiata sul tavolino; dentro c’era una sorta di polvere un poco terrosa e rossastra, e aveva un’aria così innocua che per qualche motivo Andrea se ne sentì ancora più sospettosa.

«Quindi, ne è rimasto abbastanza in modo che tu possa farti un’idea di chi potrebbe avertelo mandato?» specificò meglio Yuta con fare pragmatico più esplicito.

Mordecai si raccolse con calma le mani incrociandole sul petto, appoggiandosi meglio contro lo schienale della sedia, e assunse un’aria un poco più seria e precisa.

«Normalmente, direi che potrei provarci e scoprirlo. Normalmente, direi che potrebbe esserci qualche possibilità di successo nel tentativo, che lo renderebbe quindi qualcosa di cui valga la pena.»

Il necromante sembrò prendere una pausa. Che si prolungò per diversi momenti.

L’espressione di Yuta si era incupita e aveva crollato le spalle piuttosto amareggiata, inarcando un sopracciglio. «Ma in questo caso?» incalzò dopo un poco, e comunque il più cortesemente possibile. Un atteggiamento che sembrava sorgerle spontaneo verso Mordecai, nonostante la sua impazienza indisposta verso ciò che le sembrava di intuire si sarebbe rivelata come una risposta negativa.

Andrea gliene fu grata. Lei non avrebbe saputo dire per niente se il necromante stesse semplicemente riflettendo sulla scelta delle prossime parole, o se si fosse effettivamente perso nelle sue riflessioni, dimenticandosi di proseguire ad alta voce.

«In questo caso, il “fantoccio” aveva assunto un’indipendenza che potremmo definire anomala, naturalmente dal punto di vista del suo creatore o creatrice. Mentre a voler essere comprensibilmente sensibili verso la sorte della persona che era originalmente, potremmo definirla comunque non propriamente “sana”.»

Andrea stava corrugando la fronte, cercando di interpretare con concentrazione le sue parole, anche basandosi sui racconti di Danny in proposito all’incontro di lui e Uther – o piuttosto sequestro, a tutti gli effetti – con il fantoccio di terracotta, e alle cosiddette spiegazioni di Kumals, che francamente le avevano dato l’impressioni di qualcuno che ha letto qualche frammento di teoria in proposito ma non ha mai avuto il… dispiacere di incontrare direttamente il fenomeno in sé. Yuta stava invece corrucciando l’espressione come se il suo sospetto di risposta che non le piaceva per niente stesse drasticamente aumentando ad ogni singola parola pronunciata da Mordecai.

«Questa sorta di “ribellione”…» proseguì Mordecai «che non è così inusuale come si potrebbe pensare, o checché piaccia pensare a chi si diletta nella deformazione dell’umanità degli infelici che finiscono nelle sue mani rendendoli dei fantocci, tende non solo a verificarsi come possibile conseguenza di una prolungata distanza fisica – e non solo – tra il fantoccio e il suo padrone, ma anche a rendere tale distanza più grave.»

Mordecai fece un’altra pausa, stavolta dando maggiormente l’impressione di stare organizzando meglio le sue prossime parole, apparentemente a beneficio di un tentativo di rendersi maggiormente comprensibile per due non… addette alla necromanzia come Yuta e Andrea. Quest’ultima, a dirla tutta, era sempre più sollevata di non esserlo, addetta alla negromanzia. Si rendeva conto che poteva non essere esattamente un complimento, quello, verso Mordecai, e le dispiaceva sinceramente. Mordecai sembrava… particolarmente gentile e sensibile e assennato ed equilibrato, per essere un necromante. Ma più ne sentiva di roba negromantica, più lui le sembrava una sorta di eccezione alla regola. Le sembrava di poter quasi dire, a mo’ di riassunto della sua prima impressione della negromanzia, che essa non era per niente… gentile e quant’altro degli aggettivi sopraddetti, mentre Mordecai lo era, e – più o meno incidentalmente o coincidenzialmente – era anche un necromante.

Yuta sospirò pesantemente, con una smorfia chiaramente scontenta e irritata. «Quindi, potremmo anche avere chili di quella… specie di terra, ma vista questa ‘distanza’ non sarebbe possibile risalire al – ugh – padrone di quella cosa? Al suo emissario insomma?»

Mordecai annuì. «Temo di sì.» confermò.

Andrea corrugò la fronte e aprì bocca per dire qualcosa, ma Yuta esplose un’improvvisa e sonora imprecazione, sbattendo un piede con forza sullo sgabello in cima al quale si era piazzata per arrivare meglio a spolverare le mensole più alte. Andrea quasi sussultò per la sorpresa, mentre Mordecai si limitò a lanciare uno sguardo a Yuta, decisamente meno scomposto se anche era sorpreso. La prima cosa che assurdamente colpì Andrea, fu il fatto che Yuta era riuscita a mantenere perfettamente l’equilibrio nonostante il pericoloso traballare dello sgabello in reazione al suo gesto irritato.

«Maledizione.» ripeté Yuta, in tono più relativamente calmo ma comunque a denti stretti, sospirando e scendendo dallo sgabello con un semplice balzo, con quella sua solita nonchalance da agilità spontanea che Andrea qui o là un po’ le invidiava e soprattutto le ammirava. «Quindi, non c’è modo di capire chi ha tentato di… vendere Danny e liberarsi di Uther? E ha combinato questo casino qua dentro, tra l’altro.» aggiunse, agitando sommariamente lo strofinaccio da cui piovve una nuvoletta di polvere densa. La sua espressione era piuttosto omicida, come se stesse ponderando se strangolare lo strofinaccio al posto del responsabile che sembrava irrintracciabile.

Mordecai accennò un piccolo sorriso di simpatia comprensiva. «A dire la verità, parte di questo scompiglio dev’essere colpa mia. Era da tempo che non riordinavo un po’, e la prolungata intrusione del fantoccio non sembra avere migliorato le cose in tal senso.» Il necromante si guardò intorno per la stanza e sospirò con rassegnazione compassata, e tuttavia il sorrisetto ancora pazientemente aggrappato ad un angolo delle labbra sottili. «Comunque, immagino che il tuo risentimento sia soprattutto dovuto a quanto successo a Danny e Uther, comprensibilmente.»

«Ah… non so.» Yuta scrollò le spalle e si avvicinò ad un punto del bancone steso per quasi tutta la lunghezza di una delle pareti, studiando il caos di oggetti sparsi lì sopra con aria critica. «Forse quei due un po’ se lo meritavano…» sembrò pentirsi un momento e rivolse un rapido sguardo come in scusa verso Andrea. «Insomma, non proprio. Ma comunque, si sono infilati loro dentro a tutto questo, tanto per cominciare. E non intendo casa tua, ma anche tutto questo casino con quei mezzi lupi. E in realtà si dovrebbe persino concludere che è stato meglio così, altrimenti forse qui non ci sarebbe nessuno a tentare di sistemare le cose. Eppure…»

Yuta sospirò di nuovo e scosse la testa. «Okay. Credo che avrò bisogno di bere qualcosa, per continuare questa conversazione. Per la miseria, giurerei di avere della polvere persino dentro le orecchie!»

Ora Yuta stava studiando la disposizione caotica di oggetti sul bancone di fronte a sé. Andrea intuì, con un moto piuttosto empatico, che stava cercando – perlopiù invano – di capire quali oggetti potevano essere effettivamente comuni utensili da cucina, e quali potevano solo sembrarlo ed essere in realtà qualcosa di insospettabilmente necromantico. O viceversa, per quello che ormai ne sapeva Andrea.

«Oh. Colpa mia. Sono un pessimo ospite, tanto più considerando il vostro aiuto disinteressato per tentare di ripristinare un qualche ordine qui dentro, e non vi ho ancora offerto da bere.» si scusò Mordecai, alzandosi e avviandosi al bancone.

Yuta gli lasciò spazio con aria praticamente sollevata, abbandonando ogni altro suo tentativo di venire a capo di una distinzione tra utensili da cucina e oggetti negromantici, in favore di raggiungere a sua volta il tavolino e lasciarsi cadere praticamente di peso su una delle sedie intorno ad esso. «Andrea, prenditi una pausa anche tu…» propose distrattamente, fissando piuttosto in cagnesco la fiala di foggia antica ancora appoggiata sul tavolino.

Andrea stava già raggiungendo una sedia a sua volta, e dopo essersi seduta riponderò per un momento tutto quello che stava pensando, prima di schiarirsi la voce un po’ timidamente, e decidersi a rompere il rumore di sottofondo creato dal trafficare di Mordecai per mettere sul fuoco un bollitore – Andrea cercò di non pensare a come Danny e Uther fossero stati messi fuori combattimento proprio con qualcosa da bere non appena avevano messo piede lì dentro – e l’atmosfera incupita con cui Yuta continuava a fissare la fiala con dentro il terriccio come se stesse valutando di prendere lezioni di negromanzia solo per poter tentare lei stessa di rintracciare il responsabile di tutto quello.

«Hem, mi stavo chiedendo…» Andrea esitò un momento, ma gli sguardi che gli rivolsero sia Yuta che Mordecai erano più o meno gentilmente o del tutto disponibilmente interessati. «Se non si può tentare di rintracciare il… hum… padrone del fantoccio con… una specie di indagine?»

Mordecai sorrise simpaticamente, Yuta in un modo che sembrava complimentosamente complice.

«Volete dire che vi offrireste di indagare per me?» chiese il necromante.

Andrea spalancò un poco gli occhi. «No, io… Cioè, io non sono nemmeno… Voglio dire…» ribatté precipitosamente.

«Stava scherzando…» commentò Yuta con un piccolo grugnito, rivolgendo uno sguardo piuttosto divertito a Mordecai.

«Lo ammetto.» disse lui, lasciando il bollitore sul fuoco per sedersi a sua volta attorno al tavolino. «E, non perché dubito della vostra abilità. Ma perché i necromanti possono essere… come dire? Piuttosto sgradevoli, talvolta. E dal momento che questo – o questa – necromante in particolare sembra aver voluto prendersela con me, ritengo mio personale dovere, diciamo, occuparmi io stesso del problema. Semmai si ripresenterà, beninteso.»

Andrea sbatté le palpebre. «Scusate…» disse, incerta, e vagamente irritata per come la sua voce continuava a prendere una nota piuttosto intimidita, per via del fatto che – tanto per cambiare – le sembrava di essere l’ultima arrivata su quelle cose. «Non capisco, credo. Lei si occupa di… insomma… cerca di aiutare le persone, no? Insomma, permettendo loro di… parlare coi loro cari defunti, se ho ben capito. Quello che volevo dire, riguardo al capire chi possa essere il colpevole in base anche solo ad un lavoro di intuizione, è… Hem, insomma. Quanti nemici potrebbe mai avere, se tutto quello che fa è cercare di aiutare le persone?»

Yuta emise un piccolo verso divertito ma complimentoso. «Ottimo ragionamento.»

Andrea spostò lo sguardo tra lei e Mordecai, il quale si limitò ad annuire gentilmente, come se concordasse con quel commento, e con le sue implicazioni.

«Hum… clienti che… non sono stati felici di come ha cercato di aiutarli? Cioè, potrebbero aver… pagato un altro necromante per giocarle un brutto tiro?» tentò Andrea, incerta.

Mordecai rise appena, gentilmente, e si alzò per andare a recuperare alcune tazze e sciacquarle e asciugarle senza fretta. «Potrebbe essere. Ma temo che le motivazioni di chi ha cercato di giocarmi questo brutto tiro potrebbero essere più legate a… il mio passato.»

Andrea lo guardò con stupore, anche se lui ora le girava la schiena. Un rapido sguardo di sbieco verso Yuta non le suggerì alcuna possibile interpretazione. «Intende… prima che diventasse un necromante

«Penso piuttosto…» intervenne Yuta, come per moderare gentilmente la domanda «Che intenda quando era già un necromante, ma ancora non si dedicava solo – o soprattutto – al mettere in contatto le persone con i loro… come abbiamo detto? Affetti defunti, o quello che è.»

«Ah, okay.» disse subito Andrea, annuendo generosamente, cercando di dare a vedere che quella risposta era sufficiente – o meglio, se la sarebbe fatta bastare – e non intendeva fare altre domande che rischiavano di risultare in qualche modo indiscrete. Tuttavia, quella risposta la inquietava abbastanza. Soprattutto se tentava di calarla nelle conclusioni a cui era giunta a riguardo della necromanzia e di Mordecai: l’una poteva rivelarsi affatto gentile, mentre Mordecai lo era. Ma forse non lo era sempre stato…

Yuta sembrò avere intuito quello che stava pensando semplicemente dalla sua espressione piuttosto innervosita, e si scambiò un rapido sguardo con Mordecai. Poi sospirò e si appoggiò coi gomiti sul tavolo. «Ho il sospetto che Mordecai un tempo fosse più combattivo, e si dedicasse anche a mettere i bastoni tra le ruote a qualche necromanteo… si dice necromantessa? – che esercitasse la necromanzia in modi piuttosto… crudeli. Come rendere una persona un fantoccio, ad esempio…»

Andrea la guardò stupita, ma Yuta stava rivolgendo un sorrisetto complicemente sussiegoso e moderatamente provocatorio verso il necromante. Il quale sospirò, mentre tornava al tavolino portando un vassoio di tazze, piattini, quelli che sembravano biscotti – Andrea sperò che lo fossero, e in ogni caso si azzardò a mangiarli solo dopo aver visto Yuta e Mordecai farlo – e un bollitore di tè caldo. Almeno quest’ultimo particolare non la rese perplessa; Danny le aveva accennato anche del tè alla menta bevuto caldo nel deserto.

«Colto in fragrante, suppongo.» concesse Mordecai con un accenno di sorriso gentile, annuendo verso Yuta. «Anche se il tuo modo di descrivere alcuni dei miei… alterchi del passato con altri necromanti, è decisamente fin troppo complimentoso, e rischia di essere piuttosto… aulicizzante

Andrea corrugò la fronte, fissando rigorosamente solo la tazza da cui stava sorseggiando, mentre la sua immaginazione cercava invano di coniugare due sorta di immagini che sembravano diametralmente opposte nel descrivere qualcosa di simile ad uno scontro a singolar tenzone tra due necromanti (o necromantesse). In una delle immagini, i due contendenti erano due persone dall’aria meticolosamente magica e austera e seria, ammantate sia metaforicamente di mistero sia di grossi mantelli, che si sfidavano con lo sguardo e un braccio alzato come recitando formule arcane, guidando due enormi golem l’uno contro l’altro; l’altra immagine rappresentava quelli che sembravano due vecchi mezzi rincitrulliti che si tiravano addosso manate di terra e imprecazioni, senza essere ammantati di altro che di una certa ridicolaggine pietosa, della quale sembravano peraltro cocciutamente e completamente inconsapevoli, presi com’erano dal loro bisticcio probabilmente generatosi sulla base di futilissimi motivi puerili.

«Ah, non preoccuparti di questo.» Yuta agitò vagamente una mano per aria. «Andrea ha ormai visto noialtri “in azione”, e allo stesso tempo dev’essersi beccata almeno qualche dozzina di racconti miticizzanti di Kumals in proposito ai nostri casi, quindi, beh, deve aver presente.»

Andrea rialzò prontamente lo sguardo su di loro. «Oh, no, io…» poi corrugò la fronte, e di fronte all’espressione piuttosto divertita di Yuta e a quella perennemente gentilmente disponibile di Mordecai, scosse la testa ed esalò un sospiro. «Beh, sì. In realtà è… così.»

Yuta rise sonoramente, annuendo come in conferma.

«Capisco.» annuì Mordecai, prendendo con calma un altro sorso di tè, e sembrare raccogliere altre parole con accurata attenzione, prima di pronunciarle. «Mi stavo piuttosto chiedendo… se la mia impressione fosse sbagliata, a proposito del fatto che potresti avere delle domande, Andrea?»

Lei lo guardò basita, e Yuta la studiò con più vivida attenzione, sensibilmente attenta e preoccupata.

«Sicuramente non intendevo essere sgarbatamente inquisitorio.» aggiunse subito Mordecai, con un piccolo sorriso di scusa. «Ma se per caso desiderassi porle a me o a Yuta… E qui mi scuso se parlo anche per lei, ma suppongo di poter essere sicuro che Yuta, quanto me, sarebbe quanto mai disponibile ad ascoltare e rispondere, per quanto e fin dove ci è possibile avere delle risposte.»

«Io…» Andrea esitò per un lungo momento, combattuta. Poi sembrò prendere una risoluzione, incoraggiata dagli sguardi di Mordecai e di Yuta, e sospirò crollando un poco le spalle. «È solo che… riguardo alla notte senza luna, e ai mezzi lupi.» Tacque per un momento, lo sguardo abbassato e la fronte corrugata per la concentrazione. Nessuno degli altri due le mise la benché minima fretta, e lei ne fu loro immensamente grata. Alla fine prese fiato e tentò di cominciare dall’inizio.

«Tempo fa, Zoal mi disse che la notte senza luna, per dei mezzi lupi, è un momento in cui non sono in grado di… prendere la forma di lupo.» Fece una breve pausa, studiando le espressioni degli altri due. Quella di Yuta sembrava piuttosto perplessa, quella di Mordecai più riflessiva. «Ma ora qui il problema a Tairans sembra essere che nella notte senza luna dei mezzi lupi si… scatenerebbero micidialmente in mezzo ad una città.»

Per quanto tentasse di mantenere il suo tono in qualche modo… professionalmente concentrato, Andrea sospettava che gli altri due stessero intuendo bene quanto il suo interesse fosse anche personale. Riflettendoci, nelle ultime ore si era resa conto che non ricordava di aver mai passato con Danny una notte senza luna. Non ne era del tutto sicura, d’altro canto. Dal momento che lui sembrava gestire abbastanza tranquillamente la sua natura di mezzo lupo, non aveva mai avuto l’impressione che potesse esserci un problema così grave come… Andrea abbassò lo sguardo, sentendo una fitta traditrice al petto, così come ogni altra volta che – soprattutto recentemente forse – aveva compreso di aver colpevolmente sottovalutato forse quanto potesse essere a volte molto sofferto, essere un mezzo lupo. Per quanto Danny non lo mostrasse. O… lo nascondesse appositamente. Ma Zoal… non riusciva a capire perché avrebbe dovuto mentirle in proposito.

«Sono sicuro che Zoal non volesse dirti qualcosa di non vero appositamente.» iniziò Mordecai, come se avesse intuito il corso dei suoi pensieri. Andrea rialzò rapidamente il suo sguardo su di lui. E quando occhieggiò verso Yuta, rimase stupita dal vederla combattuta.

«O forse sì…» disse piano Yuta, stupendola ancora di più. «E anche se non sono sicura di indovinare le sue intenzioni… conoscendola, immagino che non volesse… farti preoccupare.»

Andrea deglutì, e chiese precipitosamente «Quindi, a tutti gli effetti nelle notti senza luna un mezzo lupo… perde il controllo? Diventa… feroce e pericoloso?»

«No. Non proprio.» Yuta corrugò la fronte e scosse la testa con decisione. Poi si morse le labbra e lanciò un rapido sguardo quasi inconsciamente alla ricerca di aiuto verso Mordecai. «Non Danny, almeno.» puntualizzò comunque, con sicurezza.

Andrea ebbe la singolare sensazione che nemmeno Yuta fosse troppo sicura in realtà di quello che stava dicendo.

«Io credo che…» iniziò Mordecai, in tono molto calmo e controllato, quasi in singolare contrasto con l’espressione gentile che stava rivolgendo a loro, e soprattutto ad Andrea «Danny potrebbe aver omesso questo particolare per non renderlo una vostra responsabilità, in qualche modo, e lo dico puramente per impressione, dal momento che non lo conosco così bene né da tanto…»

Yuta sospirò enormemente, esasperata. «Suona da lui, comunque.» mugugnò, incrociandosi le braccia sul petto. Sembrava irritata con se stessa, prima di tutto.

«E che Zoal abbia voluto rispettare questa sua scelta, oppure, semplicemente, stesse riportando quello che ne sa in proposito, in base magari a quello che le ha detto Danny stesso.» ponderò ancora Mordecai, il più sensibilmente possibile.

«Più probabile la prima…» borbottò ancora Yuta, come se stesse ora meditando di aggiungere anche Zoal alla lista di persone a cui avrebbe avuto qualcosa da ridire non appena si fossero riviste, subito sotto al nome di Danny naturalmente.

«Ma tu… sai com’è in realtà?» chiese Andrea, protendendosi un poco verso Mordecai, attentissima.

Mordecai le rivolse un sorriso gentile e con intento rassicurante.

«Non potrei dirlo con queste parole, dal momento che, prima di tutto, non sono io stesso un mezzo lupo. Tuttavia, da quello che so, la luna ha una sorta di ascendente sui mezzi lupi per cui è per loro come un… faro, una guida, un bilanciamento, in un certo senso. Pur nelle eventuali declinazioni individuali di ogni singolo mezzo lupo, naturalmente, e a seconda di come lui o lei si rapporta con questo. Dunque, temo che in mancanza d’essa, nelle notti senza luna, i mezzi lupi rimangano privi di questa sorta di guida e bilanciamento. Non intendo dire, con questo, che perdono quindi il lume della ragione, ma forse che rimangono privi di un lume per vedere e sentire le cose come in ogni altro giorno o notte del mese. Il come possano reagire, credo sia strettamente dipendente dalla loro natura ed emozioni ed esperienze individuali. Da quello che ho sentito dire, ci sono mezzi lupi che perdono il controllo sulla forma del loro corpo, e pertanto possono rimanere “intrappolati” in forma umana o di lupo senza cambiarla volontariamente, o che traslano confusamente dall’una all’altra più volte, e assai dolorosamente, senza poterci fare niente.»

Andrea si era aggrappata al bordo del tavolo senza nemmeno accorgersene, l’espressione ora terrea.

«Non credo che questo sia il caso di Danny.» aggiunse subito Mordecai. «Da quello che ho capito, è un mezzo lupo già da diverso tempo, e quindi deve avere avuto occasione di sviluppare la sua autogestione in modo che si ritorca il meno possibile contro di lui, o contro altri che gli sono vicino. Inoltre, la sua “iniziazione” come mezzo lupo, da quel che ho capito, è stata condotta sotto la guida di una mezza lupa. Riguardo alla quale, certo, potremmo criticare le sue ragioni e motivazioni e scelte…»

«Se non altro perché ha radunato dei mezzi lupi da scatenare in una follia omicida su un’intera cittadina, ad esempio…» buttò lì come commento incupito Yuta.

Lui annuì concordemente. «Ma ad ogni modo, ho avuto l’impressione che fosse una mezza lupa abbastanza sicura di sé e stabile, in qualche modo. Abbastanza da poter offrire un qualche tipo di guida sicura per un giovane mezzo lupo. Tornando ai possibili effetti della mancanza di luna, in quelle notti da quel che dicevo un mezzo lupo tende a perdere buona parte di controllo sulla sua volontà, o su come esprimerla ed esercitarla. Ancora, ho sentito di mezzi lupi che passano queste notti interamente a correre, ad esempio, altri che si nascondono in qualche rifugio e aspettano che la notte finisca, e la stragrande maggioranza, da quel che ne so, sceglie di mantenersi lontano da qualsiasi possibile fonte di… eccessiva stimolazione sensoriale ed emotiva, poiché le sue reazioni in quel caso potrebbero diventare quasi matematicamente sproporzionate, prive di scelta cosciente e di consapevolezza.»

«Ma qui…» puntualizzò Yuta dopo qualche momento di silenzio, inarcando notevolmente le sopracciglia «Abbiamo a che fare con un intero branco di mezzi lupi che intendono fare esattamente l’opposto…»

«Ne sono consapevole, purtroppo.» annuì Mordecai con aria seria, ma non per questo particolarmente intaccata nella sua consueta compostezza «Anche se non lo definirei propriamente un ‘branco’, quanto piuttosto una sorta di raduno di accoliti, per così dire. Comunque, immagino che dipenda dai presupposti. E forse da… una componente di selezione naturale, in un certo senso, e di apprendimento finalizzato alla sopravvivenza.»

«Okay, ovvero?» chiese di specificare Yuta, sorseggiando dalla tazza che ora praticamente artigliava, lo sguardo fisso su di lui con una concentrazione battaglieramente attenta.

«Ovverosia…» risposte Mordecai, con disponibile imperturbabilità, ma una venatura della fronte che tradiva la sua apprensione per l’argomento in questione «Se mai qualche mezzo lupo, eventualmente alle prime armi e/o dotato diciamo di scarsa sensibilità per la propria e altrui conservazione, abbia trascorso una notte senza luna abbastanza pericolosamente vicino a qualche insediamento umano così da incappare probabilmente in uno scontro diretto e mortale con le persone ivi residenti, potrebbe aver avuto… la peggio. Da ciò…»

«Okay, la cosiddetta selezione naturale, diciamo.» completò Yuta, annuendo con comprensione «Per cui i mezzi lupi che si sono ritrovati a scatenare una ferocia aggressiva e incontrollata sono stati… eliminati, e tra di loro hanno sviluppato la trasmissione di conoscenza di come autogestirsi nelle notti senza luna, mantenendosi lontano da eventuali pericoli che in quelle condizioni finirebbero per crearsi da soli.»

«Precisamente.» annuì Mordecai. «D’altro canto, quella mezza lupa, Mara, ha pensato di scaravoltare questo principio, per così dire. Ovvero di avvalersi della ferocia aggressiva e incontrollata per attaccare gli esseri umani, con gli intenti che… beh, temo ormai abbiamo afferrato.»

«Ci serve un ottimo piano…» mugugnò Yuta.

«Concordo. E da ciò anche la necessità di agire prima della notte senza luna. Perché in quel caso, le nostre possibilità di evitare il peggio, specialmente cercando di minimizzare la violenza e le vittime, saranno nel culmine del loro assottigliamento.»

«Fantastico…» borbottò Yuta, a quanto pare sul punto di immergersi in una rinnovata riflessione alla ricerca di idee.

«Mi chiedo…» disse Andrea piano, riflettendo ad alta voce senza rendersene del tutto conto «Se fosse una notte senza luna. Quella in cui… Danny ha incrociato Kumals e Uther

«Mhm. Ritengo che sia possibile.» disse Mordecai, con tono ponderante e sensibilmente attento. «Tuttavia, ne dubito. Se così fosse stato, temo sarebbe stato così privo di autocontrollo che non si sarebbe mai sottratto allo scontro. Temo che un mezzo lupo che si ritrovi in uno scontro in quelle condizioni, tenda piuttosto a… combattere fino alla morte.»

Andrea deglutì e annuì appena, distrattamente, fissando nel vuoto davanti a sé. Riappoggiò la tazza sul piattino, improvvisamente piuttosto nauseata.

E Yuta praticamente urlò «Kumals! E Uther!», sbattendo la tazza e un pugno sul tavolino così forte da farlo traballare.

Andrea voltò lo sguardo spalancato su di lei per istintiva reazione praticamente allarmata. Mordecai si limitò a considerarla con un accenno di pura contemplazione, come se avesse intuito perfettamente la conclusione alla quale lei era appena giunta.

«Quei due… Quei due maledetti… Per la miseria, dovevano saperlo! Almeno Kumals! E naturalmente nemmeno loro due ne hanno mai anche solo accennato!» esclamò Yuta, ancora in tono decisamente combattivo. Nemmeno per un momento sembrò prendere in considerazione che Ramo potesse saperne qualcosa, e sembrò in compenso aver trovato finalmente con chi prendersela, dopo aver almeno per il momento posticipato un regolamento di conti più diretto con Danny o Zoal.

«Oh, mi sentiranno. Eccome se mi sentiranno…» borbottò Yuta tra sé e sé, lo sguardo colmo di recondita minaccia, mentre riprendeva a bere il tè, stavolta buttandolo giù ad ampie sorsate, nemmeno avesse appena deciso di finirlo il prima possibile per potersi avviare marciando alla ricerca dei due in questione.

Per quanto la conoscesse ormai – o forse proprio per quello – Andrea percepì quasi con timore l’aura densa di rimprovero minaccioso che emanava da lei, e si sentì improvvisamente molto, molto grata di non essere né KumalsUther in quel momento.

Mordecai si schiarì appena e cortesemente la voce. «Non oserei mai intromettermi, ma se posso esprimere giusto una mia impressione, credo che Kumals e Uther, ammesso che siano a conoscenza di questo, avranno avuto i loro motivi per…»

«Mordecai…» sospirò Yuta, il suo tono che assumeva una nota decisamente più gentile, ma non per questo meno risoluta «Ti assicuro che prendere le difese di quei due è, in ogni caso, completamente inutile. Sempre. Perché matematicamente non hanno scusanti. Non che non ci provino, ad averne, eventualmente. Ma di fatto non le hanno mai, non veramente.»

Andrea ebbe la discreta impressione che Mordecai stesse sorridendo appena ma nettamente, dietro la tazza che si stava portando alle labbra. «Capisco.» si limitò a dire.

D’altro canto, in quel momento Andrea aveva molto a cui pensare. Ma si sforzò di concentrarsi piuttosto su quella che sembrava dover essere la loro priorità. A dirla tutta, le sembrava improvvisamente una stupida e assurda perdita di tempo, essere lì a sorseggiare tè e a riordinare il caos della casa di Mordecai, quando c’era una minaccia mortale che pendeva su un’intera cittadina. Tuttavia, non l’avrebbe stupita particolarmente scoprire che anche quello aveva un qualche suo… motivo, calato eventualmente nel momento giusto al punto giusto, per orchestrazione cosciente o piuttosto per spontaneo modo di fare di buona parte dei ‘4 di picche’. Certo non di lei, Danny, Ramo, e forse nemmeno di Uther. Ma per quanto riguardava Kumals e Yuta, e Zoal, se fosse stata lì… aveva ormai la costante impressione, o il costante sospetto, che in qualche modo sapessero benissimo cosa stavano facendo. Non che questo garantisse automaticamente che fosse qualcosa che avrebbe avuto successo. Ma forse non era mai così casuale e decerebrato come sembrava. Solo forse, e magari non sempre.

Come a rispondere in anticipo alla domanda che stava comunque per porre – perché per quanto potesse essere (o sentirsi come) l’ultima arrivata, e per quanto potesse fidarsi di Yuta e Kumals, dopotutto aveva la testarda propensione a sentirsi in diritto e dovere di potere riflettere con la propria testa, e di dover capire – Yuta cambiò tono e si rivolse a Mordecai guardandolo direttamente negli occhi, improvvisamente seria ma gentile.

«Sono molto felice di poter contare anche su di te, Mordecai, in questa situazione da strapazzo. Sempre che tu abbia ancora tempo e voglia di dare una mano, s’intende.»

Andrea si ritrovò a tornare a guardare di scatto il necromante, improvvisamente in attesa speranzosa di una sua risposta positiva. Ora capiva, o almeno credeva, quello che forse Yuta e Kumals avevano avuto ben presente, almeno da un certo punto in poi. Dopotutto, non era così difficile intuirlo, se si mettevano insieme diversi elementi: era da lui che Kumals aveva mandato Danny e Uther in cerca di manforte, lui che li aveva liberati quando erano rimasti intrappolati nella sua stessa cantina, lui che aveva soccorso Danny dopo la battaglia con Mara impedendo che fosse sbranato da Badlands e qualche altro mezzo lupo, lui che aveva appena dimostrato di saperne abbastanza sui mezzi lupi, e lui che in generale sembrava… molto preparato in qualche modo, e potenzialmente a qualsiasi cosa. Lui che, come sembrava da ciò che faceva con la sua necromanzia, e da ciò che aveva fatto in passato, pareva essere intenzionato ad aiutare, a combattere ingiustizie e crudeltà, ad… evitare il peggio, da sue stesse parole. Lui che ora stava guardando Yuta con un sorriso sincero sebbene appena accennato, e lo sguardo serio, composto, ma ferreo di una decisione tranquilla e profonda come se gli sorgesse estremamente spontanea e naturale.

Andrea non aveva ancora ben chiaro come potesse essere d’aiuto un necromante in tutto quello, esattamente, e peraltro non avevano ancora nemmeno un piano loro per primi. Ma si sentì comunque così sollevata da trattenere all’ultimo un sospiro di sollievo, quando Mordecai rispose con sicurezza diamantina un semplice ma definitivo «Certamente.»

 

Soundtrack: Bad moon rising (Creedence Clearwater Revival)

 

 

Inutili note dello scribacchiatore: e questa è la nuova versione di questo capitolo, perché l’originale è ancora sepolta nel mio ex disco fisso, pace all’anima sua. I necromanti potrebbero occuparsi anche del recupero file da hard-disk praticamente defunti? Chi lo sa. Comunque, in realtà questa nuova versione del capitolo mi soddisfa di più dell’originale, quindi chissà, a volte ‘non tutto il mal vien per nuocere’, come si suol dire.

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Capitolo 62
*** 61 - Tre mezzi lupi entrano in un bar... ***


Capitolo 61

(Tre mezzi lupi entrano in un bar…)


«Molto bene.» esordì Kumals, in modo così tranquillo e rilassato che Danny quasi istantaneamente lo considerò con uno sguardo piuttosto sospettoso. 

Kumals si stava semplicemente alzando in piedi dalla sua – chiaramente zoppa, e ormai decisamente barcollante – poltrona, che sembrava diventata un curioso incrocio con un malfatto tentativo di sedia a dondolo, e stava alzando le braccia sopra la testa per stirarsi sommariamente.

Danny ebbe la discreta impressione che fosse molto meglio mantenere ben vivi i suoi sospetti, ma si limitò a sorseggiare altro caffè, occhieggiandolo. Il fatto che dovesse anche occhieggiare i due mezzi lupi che sembravano essersi praticamente accampati nella stanza principale dell’appartamento – e riguardo a loro era ancora decisamente sospettoso, ma anche ormai piuttosto irritato dal fatto che ogni cosa di loro sembrava non confermare nessuno dei suoi motivi di tenerli d’occhio per ogni evenienza – gli stava facendo venire un discreto mal di testa nelle ultime ore.

Ramo e Uther avevano optato poco prima per andare ad abbattersi sul letto e dormire, dopo tutte quelle ore tra sorvegliare un accampamento di mezzi lupi, incrociare due di essi, portarli lì, e sorbirsi altre ore di brainstorming su improbabili piani per risolvere il grosso problema che pendeva come una spada di Damocle sulla cittadina di Tairans. Danny si sentiva anche decisamente irritato da quello, che gli sembrava un motivo ben più che sufficiente per essere di malumore: no, non avevano ancora il benché minimo straccio di un piano.

Per qualche motivo che non gli era ancora del tutto chiaro, Andrea e Yuta avevano preferito accompagnare Mordecai che era tornato di nuovo a casa propria, e se non fosse stato per il disagio ancora ben vivo nella sua memoria come risultato del trovarsi in casa del necromante – e non si riferiva al rapimento nella cantina, ma soprattutto all’aver bevuto del tè sotto gli occhi immobili di tutti quei ritratti appesi alle pareti che a quanto pare potevano comunicare con Mordecai e viceversa – oltre che per la generica sensazione che fosse soprattutto e in qualche modo suo dovere tenere d’occhio i due mezzi lupi appena atterrati nell’appartamento, Danny avrebbe di gran lunga preferito accodarsi a loro.

Invece si trovava lì con Kumals, che si stava guardando intorno con aria fin troppo pacificamente tranquilla e pericolosamente ponderante, come se gli stesse venendo un’idea – ecco, Danny sapeva che aveva buoni motivi per essere sospettoso, tanto per cominciare – e con i due mezzi lupi di cui ancora non si fidava che stavano… apparentemente sfogliando uno degli album di ritagli di casi “risolti” dai 4 di picche, seduti stretti tra loro sul divano, sorseggiando caffè e birra come una tranquilla coppietta borghese che stia trascorrendo una tranquillissima mattinata domenicale a leggere insieme il giornale. Ora anche Kumals li stava guardando.

E la sua espressione iniziò a fare smorfie decisamente poco felici, da quel che Danny poteva intuire per almeno due motivi: uno era il fatto che i due – in realtà solo Bree con la sua tranquilla nonchalance – stavano di fatto rischiando di versare un po’ di birra sull’album di ritagli; l’altro era che praticamente ad ogni pagina Bree rideva sonoramente e in modo chiaramente incredulo, e Malk roteava così tanto gli occhi che sembrava le sue pupille potessero dotarsi da un momento all’altro di vita propria.

Kumals schioccò le labbra in modo decisamente critico, poi esordì affabilmente con un innocuo «Stavo pensando…»

Danny si fece praticamente andare di traverso il caffè, e cercò rapidamente e mentalmente di trovare una scusa per cavarsi fuori da… qualsiasi cosa fosse venuta in mente a Kumals. Malk e Bree avevano alzato lo sguardo su Kumals, sulle loro facce due diverse declinazioni di chiaro scetticismo piuttosto motteggiante.

«Hem, quindi voi…» Malk si schiarì appena la voce, cercò gentilmente di moderare la sua espressione, e indicò vagamente con un dito il libro di ritagli aperto sulle ginocchia sue e di Bree. «Cioè, veramente…?»

Bree scoppiò in una grassa risata, praticamente tenendosi la pancia. «La gente ci casca veramente, in questa roba?» praticamente ululò dal ridere, gli occhi lacrimanti.

Kumals espirò con una certa irritazione e mosse un poco le spalle, sembrando curiosamente qualcuno che arruffa le penne offeso, cercando di non sembrarlo troppo nel contempo, e anzi di darsi un certo contegno. «Stavo pensando che potremmo andare a bere qualcosa insieme, noialtri.»

Danny aveva già finito il caffè in un solo sorso, e si stava strategicamente muovendo verso la porta del bagno cercando di non farsi notare. Bree e Malk mostrarono due diversi ma comunque compartecipi sorrisetti, evidentemente pensando che l’uscita di Kumals fosse un modo per deviare l’argomento. Anche a Danny sarebbe molto piaciuto pensarla così, ma se tanto gli dava tanto, ormai conosceva certe sottili sfumature strategiche del tono e dell’espressione di Kumals.

«Perché no?» esclamò Bree, balzando in piedi e offrendo una mano sporta verso Malk, senza nemmeno guardare. «Insomma, stiamo iniziando a fare la muffa qui dentro.»

Malk roteò gli occhi e gli prese comunque la mano, come assecondando il suo gesto, anche se chiaramente era ben lungi dall’aver bisogno di aiuto per alzarsi in piedi. «Perché?» chiese invece.

Oh, a Danny sarebbe piaciuto così tanto poter credere che bastasse così poco per far vuotare il sacco a Kumals.

Lui stava infatti sorridendo nel suo modo più tranquillamente e sfacciatamente innocuo. «Beh, giusto per fare una passeggiata, sgranchirci le gambe, fare due chiacchiere amichevoli. Danny, che ne dici?»

E Danny seppe definitivamente che aveva fatto un grosso errore, nel suo esitare sulla soglia del bagno. Lanciò uno sguardo incerto verso Kumals, che naturalmente ancora sorrideva nel suo modo apparentemente più privo di secondi fini. «Io… hum. Stavo andando a… fare una doccia?»

Kumals inarcò un sopracciglio, il suo sorrisetto ora più puntualmente significante una domanda implicita, qualcosa a proposito del fatto se veramente pensava di cavarsela così. «Oh, avanti, non fare il guastafeste.» cinguettò amabilmente.

«Sì, infatti, dai! Una bevuta è quel che ci vuole!» appoggiò Bree. 

Danny si guardò bene dal fargli notare che avevano appena finito di bere birra a go-go sì e no qualche ora prima, e invece optò per appoggiare la fronte contro la cornice della porta del bagno, praticamente sbattendocela, ed emettendo un verso di arresa esasperazione. 

Malk si stava opportunamente trattenendo dal dire qualsiasi cosa, e a giudicare dal suo sguardo che si spostava tra Danny e Kumals, era ben consapevole che poteva stargli sfuggendo qualche contesto che ancora non conosceva.

«Non essere melodrammatico, Danny.» Kumals si stava già infilando il suo lungo pastrano consunto, e avviandosi alla porta, battendo un paio di pacchette su una spalla di Danny nel passargli vicino. «Sono sicuro che dopo ti sentirai meglio.»

«Ne dubito vivamente…» borbottò Danny, ma si arrese ad accodarsi ai tre che stavano ormai già uscendo.

Danny si trovò comunque a camminare di pessimo umore lungo le strade di Tairans, scaldate da un tramonto estivo effettivamente mozzafiato, e gremite da una leggera folla di gente tra turisti e locali; procedendo con le mani piantate nelle tasche dei jeans, praticamente pestando ogni passo e quasi digrignando i denti, si tenne ostinatamente un po’ indietro dagli altri tre che procedevano più avanti. Kumals aveva detto qualcosa a proposito di un bar che ricordava da quando aveva vissuto lì, ma di fatto stava ora impersonando una specie di guida turistica, indicando qui e là con svolazzi pigri della mano un punto o l’altro a caso della città.

«E là è dove io e Yuta abbiamo agguantato un poltergeist, in quella casa. Zoal se n’è liberata in un battito di ciglia. Uther ha quasi vomitato sulle scarpe di Yuta e lei gli ha tirato un pugno. Non diteglielo, penso che se lo sia dimenticato poche ore dopo, quando si è sbronzato ed è finito coinvolto in una specie di malinteso con un gatto randagio e una gattara molto agguerrita…»

Malk e Bree sembravano starsi adattando piuttosto rapidamente all’idea di come andavano presi in media i racconti di Kumals, il quale d’altro canto sembrava non starci nemmeno provando, ad essere veramente credibile. I due mezzi lupi si alternavano perciò tra commenti salacemente scettici e qualche presa in giro alla buona.

«Quindi, chi era alla fine il vostro cliente? La gattara?» stava ridendo Bree.

«E il gatto randagio lo avevate catturato per fargli fare di nascosto la parte del poltergeist?» accennò Malk, le sue sopracciglia ormai perennemente inarcate durante quei racconti di Kumals.

«Ah, ecco.» Kumals sembrava d’altro canto perfettamente capace di non sentire i loro commenti, e di procedere ad indicare un altro punto. «E là è dove qualcuno aveva abbandonato un coccodrillo dentro la fontana, sì, quella che vedete. Era un piccolo coccodrillo, beninteso. Uther era in realtà convinto che fosse più un alligatore, mentre Yuta…»

«E alla fine era un girino?» commentò Malk.

«Nah, io punto su una tartaruga.» sghignazzò Bree.

Danny fece l’ennesima smorfia irritata e lasciò perdere del tutto l’ascoltarli, concentrandosi interamente sul sondare tutto ciò che lo circondava con i suoi sensi da mezzo lupo. Per quanto sembrassero ormai tutti sicuri che Badlands e i rimanenti mezzi lupi avessero adottato il piano di rimanere confinati nell’attendamento a confabulare fino alla notte senza luna, alla quale mancavano ormai tragicamente pochi giorni, lui era ben lungi dal lasciarsi cullare dall’accettazione di quella prospettiva e dal lasciare conseguentemente calare la guardia.

Per quanto spingesse i suoi sensi di mezzo lupo fino al limite, tuttavia, non riusciva a percepire altro riguardante la presenza di mezzi lupi lì vicino, a parte lui stesso, Bree e Malk, e qualche debole traccia rimasta del passaggio di qualche mezzo lupo molte ore prima. Prima ancora che Mara… Il suo animo si rabbuiò, e Danny insistette caparbiamente sul suo sondare coi suoi sensi amplificati tutto ciò che lo circondava, come se stesse cercando di trasformarsi in una specie di segugio alla ricerca di mezzi lupi.

«Non è così male, vero?» la voce di Kumals, improvvisamente più vicina a lui, lo fece quasi sussultare. Voltò lo sguardo corrucciato su di lui, che a quanto pare aveva rallentato il passo per affiancarglisi, e Danny era così concentrato sulla ricerca di mezzi lupi ostili da non averlo praticamente notato. Per quanto riguardava gli altri due, gli unici mezzi lupi nelle vicinanze al momento a parte lui stesso, come continuavano a rispondere i suoi sensi spinti al massimo che gli era possibile, ora camminavano da soli più avanti. Adesso sembravano una spensierata giovane coppietta in vacanza o giù di lì.

Danny quasi emise un piccolo ruggito gutturale di irritazione.

«Danny? Puoi sentirmi?» insistette pacificamente Kumals.

«Cosa c’è?» scattò praticamente Danny.

Kumals inarcò un sopracciglio. Danny sospirò e scosse la testa. «Che stiamo facendo…?» borbottò infine.

«Andando… al bar?» offrì tranquillamente Kumals a mo’ di risposta.

Danny gli rifilò un’occhiataccia. «Giusto. Siamo le uniche persone consapevoli di quello che si sta per scatenare su questa città, e… usciamo allegramente a bere qualcosa. Chissà come mai mi sembra strano.» ironizzò alla fine tra i denti.

«Mhm. Capisco il tuo punto di vista.» disse Kumals in tono improvvisamente conciliante, accendendosi una sigaretta. Danny gli lanciò uno sguardo di sbieco, semi-incredulo, e piuttosto sospettoso. «Completamente sbagliato, d’altro canto.» terminò Kumals, esalando una nuvoletta di fumo e scuotendo la testa con un’espressione fintamente triste.

Danny lanciò uno sguardo al pacchetto di tabacco che Kumals stava richiudendo. «Quello è il mio tabacco?»

Kumals glielo passò con naturalezza tranquilla, come se avesse chiesto una sigaretta e fosse lui che glielo stava prestando. «Ho solo pensato che potevamo fare due chiacchiere per conoscerci meglio.» accennò placidamente, il suo sguardo che vagava senza precisa intenzione verso i due mezzi lupi che procedevano qualche passo davanti a loro. «Sai, mi sembra il minimo, se dobbiamo fare questa cosa insieme.»

Danny notò benissimo il modo in cui sia Malk che Bree si lanciarono una breve occhiata da sopra una spalla, verso di loro. Bree sembrò sul punto di fermarsi e girarsi, ma Malk lo prese sottobraccio e lo tirò con sé nel proseguire, somministrandogli apparentemente qualche pacchetta sulla mano che teneva tra le proprie.

Danny roteò gli occhi. «Ricordi l’udito sviluppato dei mezzi lupi, vero? Lo sai, cioè, che possono sentirti benissimo a questa distanza?»

«Non vedo che male ci sia.» arieggiò tranquillamente Kumals. «Non è un segreto per nessuno. E il meglio che si può sperare in questi casi è che conoscersi un po’ meglio possa aiutare. Specialmente nel tuo caso, forse.»

«Il mio… caso?» Danny gli dedicò un’occhiata pungentemente interrogativa.

«Sì, mi sembri ancora un po’ teso. Comprensibile, visto… tutto quello che è successo in questi ultimi giorni. Ma dimmi… non hai deciso che tutti gli altri mezzi lupi a parte te sono potenziali minacce, spero?»

Danny trasecolò per un momento. Quindi strinse le labbra e riportò lo sguardo in avanti, i nervi tesi. Malk e Bree avevano ripreso a parlare tra loro e a guardarsi intorno, e qualcosa gli diceva che – forse soprattutto per iniziativa di Malk – lo stavano facendo apposta per non origliare anche involontariamente la loro conversazione.

Danny emise un verso di lamento irritato e si passò una mano sulla faccia. «Non tutti. Ma quelli intorno a questa maledetta città in questo maledetto frangente? Beh, stare in guardia mi sembra il minimo.»

«Concordo…» mormorò Kumals tranquillamente, in tono di voce ora decisamente più basso.

Danny non poté fare a meno di gettargli un’altra occhiata di sbieco, basito. «Prego?»

«Quindi, meglio cercare di conoscerci meglio.»

«E tu…» Danny scosse un poco la testa, esalando un altro sospiro praticamente lamentoso, e decisamente critico. «Pensi che uscire a bere una cosa tutti insieme potrebbe garantirci che ci conosciamo abbastanza da fidarci gli uni degli altri o qualcosa del genere?»

«Questo…» confermò Kumals, scrollando le spalle e annuendo pacificatamente «è il meglio che si può fare viste le circostanze e lo scarso tempo a disposizione. Poi, non ho mai passato una serata a bere con tre mezzi lupi.»

«Io penso che tornerò a casa…» gemette Danny, dopo diversi lunghi istanti di silenzio attonito ed esasperato. Si fermò in effetti, e si girò a mezzo su se stesso.

«Vuoi dire che mi lascerai andare da solo con due mezzi lupi di cui non ti fidi ancora abbastanza?» chiese Kumals, praticamente cinguettandolo in tono oltremodo innocente.

Danny si bloccò, strinse i pugni lungo i fianchi, e si prese un lungo momento e un lungo respiro per dominarsi. Dopodiché si voltò di nuovo e tornò praticamente a marciare di pessimo umore. «Come se non ti stessi cacciando tu stesso in questa assurda situazione, tanto per cominciare…» non trovò di meglio da ribattere, borbottando tra i denti.

«Proprio come pensavo…» commentò in tono flautato Kumals, passandogli la mezza sigaretta che gli era avanzata. Danny gliela strappò praticamente di mano e mugugnò altre vaghe imprecazioni, che Kumals ignorò scioltamente e tranquillamente, in favore di alzare un po’ la voce per suggerire ai due più avanti di loro di svoltare a sinistra.


***


L’impressione di Danny non fece che lievitare nella sua auto-conferma nell’arco di sì e no poche ore. A cominciare da quando scoprì che Kumals li aveva portati in un locale dove fornivano della sangria in intere brocche ai tavoli animati da avventori relativamente numerosi, e continuando stabilmente a peggiorare quando Malk e Bree iniziarono a chiedere altre cose sui 4 di picche. E Kumals a rispondere, naturalmente. Solo per finire col fatto che di lì a poco erano tutti piuttosto alticci; beh, tutti tranne Danny, che più che altro sorseggiava a malapena dal suo bicchiere e cercava di allontanare la sgradevole idea che, oltre a non concludere niente di niente nel corso di quella serata, si sarebbe eventualmente trovato a dover trascinare fino all’appartamento un Kumals ubriaco e due mezzi lupi altrettanto fradici che conosceva a malapena.

«Beh, sì, ma com’è possibile che un mezzo lupo solitario abbia deciso così…» Bree schioccò le dita a mezz’aria «dall’oggi al domani, di unirsi ad un gruppo di truffatori che si fingono acchiappa-spettri o quello che è?»

«Truffatori? Fingono? Non capisco proprio di cosa tu stia parlando.» Kumals scosse la testa tranquillamente, bevendo come se fosse proprio una semplice serata tra amici.

«Sì, vabbhé…» Bree fece una smorfia tra il divertito e l’esasperato, agitando una mano come a dissipare il commento di Kumals. Malk allungò un braccio e spostò il bicchiere semi-pieno che con quel movimento Bree stava per rovesciare senza nemmeno accorgersene, con un tempismo così automaticamente perfetto che sembrava un gesto per lui naturale e abituato. «Ma com’è successo esattamente?» insistette Bree, optando per incollare il suo sguardo piuttosto paonazzo d’alcool e spalancato di curiosità semi-incredula e indagatoria su Danny stesso.

Lui scrollò le spalle, rivolgendo lo sguardo e la sua espressione decisamente poco entusiasta – anche per l’argomento in questione – da tutt’altra parte «Beh, a volte le cose vanno in modo imprevedibile…» borbottò solo.

«Uther gli ha sparato.» disse tranquillamente Kumals, appoggiato all’indietro con un braccio piegato sulla cima dello schienale della sedia, facendo roteare pigramente gli ultimi sorsi di sangria nel suo bicchiere.

«Cosa?!» praticamente strepitò Bree, quasi buttandosi sul tavolo con tutto il busto.

«Davvero…?» chiese Malk, con una smorfia decisamente più empaticamente dolente, ma anche preoccupata, guardando a sua volta Danny. Inarcò leggermente un sopracciglio, dando chiaramente segno che non stava affatto prendendo ciecamente sul serio la risposta di Kumals.

«Oh sì.» annuì Kumals, versandosi altra sangria e sorseggiandola.

Danny sospirò. «E va bene… tecnicamente sì. Ma non è andata proprio così. Le cose erano un po’ più complicate…»

«Poi lo ha convinto che non gli avremmo fatto del male, e gli ha portato del cibo nel bosco finché non è guarito.» proseguì tranquillamente Kumals, il tono perfettamente sintonizzato su quello di una conversazione sul più e il meno, con persino tracce di vaga noia.

«No! Veramente?!» Bree stava praticamente strabuzzando gli occhi, fissando tra lui e Danny.

«D’accordo, più o meno, si può dire che…» iniziò a dire quest’ultimo.

«E alla fine lo ha invitato a conoscere noialtri. Allora Danny era decisamente e risolutamente antisociale.» pensò bene di completare la storia Kumals, ignorando scioltamente l’occhiataccia di Danny.

«Mhmm… Hà-hà!» esclamò di colpo Bree.

Danny lo ignorò e chiese piuttosto «Senti un po’, Kumals, quanti bicchieri hai bevuto, esattamente?»

«Non così tanti, a giudicare da quanti avverbi usa…» commentò quietamente Malk, in scherzo. Che Danny apprezzò sghignazzando un poco.

«E così, tu e Uther, eh?» Bree sembrò decidere di continuare a dire, come se non ci fossero state interruzioni dopo la sua epifania.

Danny lo guardò corrugando la fronte confuso. «Cosa?»

Ma Bree stava già rivolgendo a Malk un sorrisone tutto soddisfatto. «Visto Malk? Chi aveva ragione, eh, eh?»

«Ragione a proposito di che cosa, scusate?» chiese Danny.

«Beh, su te e Uther.» Bree annuì con convinzione.

Danny iniziava a chiedersi quanto fosse di qualità terribilmente economica il vino che usavano per quella sangria. Specialmente visto che la servivano a brocche, dopotutto. «Io e Uther cosa?»

Bree rise sguaiatamente. «Oh, ma dai, fai sul serio?»

Danny lanciò un vago sguardo verso Malk, come alla ricerca di qualche suggerimento d’interpretazione – o forse di gestione – di Bree. E quegli sospirò e roteò gli occhi, limitandosi a dire «Tu e Andrea state insieme?»

«Cosa… c’entra Andrea adesso?» Danny iniziava a chiedersi se quella sangria non fosse direttamente ottenuta mischiandoci dentro anche un po’ di antigelo, magari.

«Siete una coppia?» chiese Malk, mentre Bree gli tirava una manata su un braccio di protesta, dicendo «Hey, lo stai imbeccando? Vi siete messi d’accordo per fregarmi?»

Danny guardò lentamente dall’uno all’altro. «Avete fatto… una specie di scommessa su… se e con chi sto assieme?»

Malk roteò gli occhi e scrollò appena le spalle, con una leggera smorfia come di scusa, ma Bree di nuovo praticamente si slanciò sul tavolo e annuì «Ben arrivato. E quindi?»

«Andrea.» disse Kumals. «Io invece ho sette mogli e mariti, quindici amanti di cui solo circa cinque in segreto, e diciassette pesciolini rossi.» Malk e Bree gli lanciarono un breve sguardo affatto impressionato. Kumals alzò le spalle. «Beh, nessuno stava scommettendo su con chi sto io. Mi sentivo escluso, ecco. Comunque, chi ha vinto la scommessa?»

Bree emise un verso teatralmente lamentoso e abbatté la fronte sul tavolo così forte da far tintinnare i bicchieri. «Io, naturalmente.» disse con compassata calma elegante Malk, bevendo un sorso della sua sangria.

«Ma andiamo, la scommessa era chiaramente truccata!» protestò Bree, rialzando la testa.

Malk sbatté le palpebre, con un sorrisetto piuttosto accondiscentemente divertito. «Oppure hai la capacità di sensibilizzare con le situazioni già in corso di… un rinoceronte che entra in un paniere d’uova? E come, comunque, sarebbe stata truccata?»

Bree alzò il mento e affermò con sicurezza «In realtà tecnicamente ho vinto io, perché è chiaro che si tratta di un problema di omofobia.»

«Ah, ecco…» Kumals annuì a sua volta, chiaramente ironicamente assecondante senza darlo minimamente a vedere, mentre Malk roteava gli occhi e commentava «Sì certo, o puoi dire semplicemente che non sai perdere…»

«Dove sarebbe il problema di… di che cosa stiamo parlando?» Danny era a metà tra il confuso e l’esasperato.

«Beh, sai, è ancora fin troppo comune anche tra i mezzi lupi, l’omofobia.» continuò imperterrito Bree con convinzione, fissando Danny.

Lui si accigliò decisamente. «Mi stai dando dell’omofobo?» trasecolò.

«Beh, sei fidanzato con una donna!» Bree gettò in fuori le mani come se fosse ovvio.

«Quella è la differenza tra l’eterosessualità e l’omosessualità…» disse distrattamente e piuttosto pazientemente Malk. «O la bisessualità.»

«Oh, quella è una cosa splendida.» commentò Kumals, annuendo. «Come diceva Woody Allen? Il doppio delle possibilità il sabato sera?»

«Si può sapere di che cosa stiamo parlando?» quasi gemette Danny, scuotendo la testa.

«Vedi, non sa nemmeno cos’è, l’omofobia!» insistette caparbiamente Bree, battendo un pugno sul tavolo in sostegno della sua tesi.

«Cos…? Certo che lo so!» protestò Danny, suo malgrado irritato. «Ma non ho nessun problema con…»

«Ecco, primo sintomo: negare di esserlo.» fece Bree.

Danny spiò verso Malk, e iniziò a sospettare che visto che lui stava sorridendo un poco al proprio bicchiere piuttosto che cercare di moderare Bree, quest’ultimo stesse in effetti prendendolo in giro. «Quindi se dico che sono omofobo vuol dire che non lo sono?» propose perciò il ragionamento inverso. Malk apprezzò abbastanza lo scherzo da emettere un piccolo sbuffo divertito.

«E va bene, c’è solo un modo per scoprirlo!» sentenziò Bree.

«E sarebbe?» Danny inarcò un sopracciglio. E fece giusto in tempo a sentire Malk mormorare distrattamente qualcosa come «Ecco, ci siamo…» prima che Bree scattasse un braccio in avanti e gli afferrasse un lembo della maglietta.

Danny si irrigidì e per un istante lo scambiò per un attacco, ma per fortuna realizzò abbastanza prontamente che non lo era, e di fatto si ritrovò con Bree che gli stampava un lungo bacio sulle labbra, prima di farsi indietro e studiarlo con espressione concentrata e poco convinta.

«Ha usato anche scuse peggiori di questa per dare baci in giro…» commentò Malk, rivolgendosi a Kumals con un sospiro esasperato e comunque piuttosto divertito.

«Lo immagino…» disse Kumals, non meno divertito.

«Hey, non è una scusa, è un test!» insistette Bree.

«E l’esito è…?» si informò placidamente Kumals.

«Hum…» Bree studiò per un altro poco Danny con lo sguardo corrucciato per la concentrazione. «È un osso duro. Lo nasconde bene.» concluse infine, tornando a spostarsi contro una spalla di Malk praticamente di peso, e buttando giù un altro mezzo bicchiere di sangria come se fosse acqua fresca.

«Quindi se uno non è felice di baciare te dev’essere omofobo?» commentò Danny sardonico.

Bree gli lanciò uno sguardo relativamente indisposto. «Stai dicendo che non sono terribilmente attraente?»

«No…» Danny alzò gli occhi al soffitto «Solo che parlare con te è inutile…»

«Hey…» protestò Bree, ma stava di fatto sghignazzando, mentre di fianco a lui Malk aveva una smorfia simile a qualcuno che non stia proprio cercando di nascondere un sorrisetto anche più divertito, e generalmente concorde.

«Dobbiamo uscire più spesso insieme… E avremmo proprio dovuto portare con noi anche Yuta e Ramo.» sospirò beatamente e malinconicamente Kumals. «Si sarebbero divertiti un sacco.»

«Ne dubito…» commentò Danny. L’immagine che gli sovvenne all’immaginazione del momento era quella di una Yuta che cercava di affogare Kumals nella sangria, e di Ramo che cercava di ubriacarsi il più in fretta possibile per non essere troppo consapevole di ciò che accadeva intorno a quel tavolo in generale. «Comunque, non dovremmo parlare di cose più importanti, piuttosto che di… queste scenette degne da film per adolescenti degli anni ’80 o giù di lì?»

«L’omofobia è una cosa seria.» obbiettò Bree, annuendo con aria battagliera. Poi sembrò essere colpito da un’altra idea e chiese con interesse «Hey, c’è un cinema in questa noiosa città?»

Danny incrociò le braccia sul petto e gli lanciò un’occhiata incupita. «No. Però c’è un accampamento pieno di mezzi lupi che stanno per fare una strage. Ma perché no, certo, potremmo sempre andare al cinema invece!»

Bree sembrò un po’ preso in contropiede dal suo atteggiamento improvvisamente incupito, ma ben presto stava obbiettando allegramente «Eddai, non fare troppo il serioso ora…»

Stavolta, Danny vide chiaramente Malk appoggiare una mano su un braccio di Bree come per suggerirgli di moderarsi, o forse anche con fare relativamente protettivo, mentre guardava la sua espressione con un leggero ma netto disagio preoccupato.

Danny si rese conto che la rabbia stava montando in lui, e la lasciò immediatamente andare, solo per finire dritto dritto in un pozzo di definitiva esasperazione irritata. Emise un verso arreso e frustrato e praticamente lasciò cadere la testa sul tavolo, sopra le braccia incrociate.

Di lì a poco, qualcuno gli stava tirando leggere gomitatine su un fianco. «Suvvia, Danny…» disse la voce di Kumals, che sembrava essersi spostato con la sedia un po’ più vicino a lui. Danny girò la testa di malavoglia per lanciargli un’occhiata praticamente di sfida irritata. Kumals non si scompose minimamente, e prese un sorso di sangria con calma. «Dov’è finita la tua fiducia nei 4 di picche?»

Danny corrugò la fronte e alzò un poco la testa per guardarlo meglio. Un fugace sguardo di sbieco verso gli altri due gli indicò semplicemente che sembravano essersi allontanati temporaneamente. Li individuò muovendo giusto appena oltre la sua occhiata: Bree stava praticamente balzellando allegramente verso il bancone agitando spensieratamente la caraffa ormai vuota, interpellando i baristi per chiederne un’altra, mentre Malk lo accompagnava come per essere sicuro che anche quella semplice commissione non degenerasse in chissà che cosa.

«Cosa vuoi dire?» mugugnò Danny, tornando a guardare Kumals.

Lui gli sorrise un poco, sinceramente tuttavia. «Puoi lasciare andare ora, non vedi? Siamo qui. Puoi smetterla di sentirti come se dovessi essere l’unico ad affrontare tutta questa faccenda.» Danny prese un respiro spezzato, spalancando gli occhi, stupito. Kumals annuì un poco, come se vedere la sua espressione gli stesse tranquillamente confermando che aveva colto nel segno in qualche modo, sebbene nemmeno Danny stesso avesse sospettato prima che ci fosse un bersaglio – o quel bersaglio – in lui, ancora. «Quindi… te lo chiederò di nuovo.» disse con calma Kumals. «Dov’è finita la tua fiducia nei 4 di picche, Danny? Dov’è finita la tua fiducia in me?»

Danny sospirò e chiuse gli occhi per un momento. Poi li riaprì e tornò ad alzarsi più dritto a sedere, fissando davanti a sé. Malk e Bree stavano tornando verso il tavolo, Malk con passo straordinariamente lento, prendendo la caraffa di nuovo piena dalle mani di Bree come per essere sicuro che raggiungesse il tavolo abbastanza intatta, e distraendo l’altro chiacchierando con lui mentre occhieggiava verso di loro, evidentemente prendendo tempo nel caso dovessero finire di parlare tra loro due.

Danny emise un piccolo sbuffo e un mezzo sorriso amaro ma sincero. «È ancora lì dov’è sempre stata…» rispose.

«Molto bene.» annuì Kumals, alzando un poco il bicchiere per brindare contro quello di Danny appoggiato sul tavolo. «Allora, altri cinque minuti, qualche chiacchiera tranquilla, e potremo parlare di cose più serie.»

«Mhm.» Danny gli lanciò uno sguardo e un mezzo sorriso più divertito e sospettoso di sbieco. «Non sono sicuro che io e te condividiamo la stessa idea di cose serie, Kumals.»

«Possibile.» scrollò le spalle lui, bevendo un sorso di sangria.

«Oh, stiamo facendo un brindisi? A che cosa, a che cosa?» si informò Bree, raggiungendo il tavolo praticamente quasi atterrandoci sopra, e afferrando il proprio bicchiere vuoto. Malk glielo tolse dalle mani con scioltezza e quando Bree gli rivolse un broncio abbattuto e lamentoso roteò gli occhi e glielo riempì, prima di fare lo stesso col proprio. Bree accettò il bicchiere di nuovo pieno che gli stava porgendo sghignazzando beato e allungandogli un breve ma sentito bacio sulle labbra.

«Dannazione, voi due mi fate quasi pentire di essere felicemente single.» commentò Kumals, scuotendo la testa con un sorriso. «Beh, brindiamo alle coppie aperte, direi.» concluse, alzando il bicchiere.

«Hey, no no.» Bree scosse la testa e avvolse un braccio attorno al busto di Malk. «Noi non siamo una coppia aperta.»

«Ah, beh, allora…» iniziò a dire Kumals.

«Mi hai appena baciato.» sottolineò Danny, giusto per scherzare.

«Quello era un test!» insistette Bree.

«Sì, la sua idea della nostra coppia è che lui fa la parte del marito musulmano…» commentò Malk divertito. Bree gli rivolse un altro broncio e fece per protestare.

Ma di colpo l’atmosfera sembrò cambiare di netto nell’aria attorno a loro. Kumals se ne accorse quasi subito, benché apparentemente non ci fosse stato nessun movimento o rumore fuori dall’ordinario. Eppure fu come sentire l’aria attorno al tavolo raggelare di colpo, e in un istante il suo sguardo stava saettando rapidamente tra l’uno e l’altro dei tre.

Fu soprattutto la sua conoscenza con Danny che gli permise comunque di riconoscere l’improvviso cambio di atteggiamento a colpo d’occhio: i tre si erano irrigiditi di colpo, le narici lievemente dilatate, le teste che si giravano di scatto in varie direzioni come alla ricerca di qualcosa…

Kumals girò il suo sguardo invece immediatamente sulla porta d’ingresso del locale, appena prima che anche le loro occhiate si focalizzassero in quel punto. E non ebbe bisogno di chiedere di che cosa si trattasse, non ad alta voce almeno. Non poteva che essere un’unica cosa, quella per cui Danny continuava ad essere sul chi va là fin da quando aveva messo piede in quella città praticamente.

Un altro mezzo lupo doveva essere entrato nella stanza.

O meglio, un’altra mezza lupa, notò di lì a poco Kumals, quando individuò tra le persone che affollavano il locale una giovane donna. La notò perché anche lei si era come immobilizzata sul posto, irrigidita, con ogni singolo muscolo pronto a scattare in un istante non appena lo avesse ritenuto necessario. 

E perché stava fissando proprio loro, o meglio, soprattutto gli altri tre mezzi lupi al tavolo con Kumals.



Soundtrack: C’est la vie (Stereophonics)


Note per la letturaattenzione, sto pubblicando in una sola volta (lo stesso giorno) una mezza dozzina di capitoli. Lo dico perché se siete in qualche modo iscritti al sistema del sito che vi segnala automaticamente l’aggiornamento di questa storia, se non sbaglio vi invia direttamente all’ultimo capitolo, il ché significa che quando si pubblicano più capitoli insieme se seguite il link del sistema automatico finite all’ultimo saltando dei capitoli. A questo proposito, siccome non aggiorno da un (bel) po’, e per chi non ricordasse il numero/titolo dell’ultimo capitolo che avevo pubblicato e che aveva (eventualmente) già letto: l’ultimo capitolo che avevo pubblicato era il n° 60 (61 con la numerazione automatica del sito perché conta come n° 1 il cap. 0) ‘Wrong legends’, e ora sto pubblicando in una volta sola i capitoli dal 61 al 66 (da ‘Tre mezzi lupi entrano in un bar’ a ‘Then humour me’). Abbiate pazienza, copio-incollo questa nota in tutti questi 6 capitoli per (presumo) vostra utilità.

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Capitolo 63
*** 62 - Nice chat ***


Capitolo 62

(Nice chat)


Danny spostò lo sguardo diverse volte, con crescente preoccupazione, tra la mezza lupa fermatasi in piedi appena pochi passi oltre la soglia del locale, e i due che sedevano attorno al tavolo con lui e Kumals. I quali si stavano squadrando a loro volta, in modo assai ostile, i muscoli tesi, chiaramente pronti ad uno scontro offensivo-difensivo, e le labbra leggermente arricciate a scoprire un frammento dei denti. Una minaccia fin troppo chiara, che funzionava perfettamente anche in forma umana, e che nemmeno un essere umano avrebbe potuto scambiare per un bizzarro sorriso.

Sentendo un altro sguardo su di sé, Danny occhieggiò molto rapidamente – giusto per una frazione di secondo – verso Kumals. Tanto gli bastò comunque per cogliere la sua occhiata significativa.

Un leggero ringhio gutturale riportò prepotentemente la sua attenzione su Bree, che stava facendo per alzarsi in piedi, molto lentamente. Sembrò l’equivalente di un fiammifero che veniva pericolosamente avvicinato ad una polveriera, l’aria che diventava ancora più tesa attorno al tavolo, e in una compatta scia che andava tra lì e la mezza lupa ancora ferma in piedi poco oltre la soglia del locale. Sebbene tutti gli altri umani presenti sembrassero perfettamente ignari, Danny percepì chiaramente il cambiamento come l’equivalente di un prepotente fremito lungo la parte metallica di una trappola che stia per scattare irrimediabilmente.

E prima ancora di rendersene del tutto conto, Danny stava appoggiando con movimento ostentatamente e cautamente lento, ma in un gesto di richiesta decisa, una mano sulla spalla di Bree, e allo stesso tempo scoccando uno sguardo duro dritto negli occhi della mezza lupa ferma ad alcuni metri da loro. Era comunque una distanza ridicolmente breve per un mezzo lupo, una che avrebbe potuto superare in un battito di ciglia senza difficoltà.

Danny sentì Bree esitare un momento, ma un leggero verso appena udibile di Malk sembrò convincerlo del tutto, e Bree restò seduto. Danny sentì i suoi muscoli rilassarsi, ma solo a malapena, e una domanda implicita, chiaramente rivolta a lui. Un rapido sguardo verso Malk gli confermò quell’interrogatività, e tutta l’intenzione di sospendere il potenziale scontro immediato solo momentaneamente. 

Kumals si schiarì appena la voce, anche lui molto lentamente e come per non essere con anche solo quello il responsabile della scintilla nella polveriera, evidentemente. «Non si tratta di Mara, vero?» chiese, come per esserne sicuro.

Danny era già tornato a fissare direttamente la mezza lupa. La quale lo stava fissando di rimando leggermente meno pronta ad una lotta, ma altrettanto interrogativa, con tanto di sopracciglio decisamente sollevato, come se aspettasse impazientemente una sua motivazione per quella richiesta di sospensione delle ostilità.

«No…» iniziò a dire Danny.

«Cosa?» trasecolò Bree, almeno abbastanza distratto dalla domanda da acquietarsi appena un altro poco. «Ma no! Quella è Nickj.»

«Ah.» annuì solo Kumals, comunque continuando a tenere d’occhio tutti e quattro i mezzi lupi, chiaramente sorvegliando la tensione a malapena contenuta.

«La conoscete?» si stupì leggermente Danny, occhieggiando appena verso Bree, incerto.

«Lei…» rispose invece Malk, il tono e lo sguardo chiaramente incupiti «Certo che la conosciamo. Lei e il suo gruppetto di amici facevano il bello e il cattivo tempo all’accampamento. Quando non c’era Mara in vista, naturalmente.»

«Bulli, ecco cos’erano.» ringhiò appena Bree, con decisione. 

Danny rafforzò appena la presa della mano sulla sua spalla, e si morse le labbra nervosamente, di nuovo tenendo d’occhio Nickj. Lei ora aveva inarcato anche l’altro sopracciglio, ma la sua posizione pronta al combattimento si stava relativamente e ulteriormente rilassando un poco, come se avesse definitivamente registrato il suo deciso intento di inframezzarsi, e non per questo stesse comunque smettendo di chiedergli implicitamente il perché, o anche che cosa gli facesse pensare che aveva il diritto di farlo, o che lei glielo avrebbe permesso senza una valida e convincente motivazione.

«Danny…» suggerì o esortò delicatamente ma significativamente Kumals.

E lui sospirò pesantemente. «Ora non è più… beh, ha… riflettuto su alcune cose e…» Gli parve di sentire chiaramente trapelare da tutti e quattro gli altri una significativa critica sorpresa e interrogativa per la sua scelta stentata di parole. «Hum. Beh, non è più pericolosa.»

«Prego?» fece Malk.

«Stai scherzando, vero?» rincarò Bree, come se sospettasse veramente che lui stesse cercando di fare del sarcasmo o qualcosa del genere.

Un’occhiata nella direzione di Nickj bastò a confermare a Danny che anche lei lo aveva sentito benissimo grazie all’udito da mezza lupa, e gli stava rivolgendo un puntuale sguardo incredulo del tipo ‘Ma fai sul serio, ora?’

«Io… hum… Siamo tutti dalla stessa parte, per ora.» cercò di riformulare Danny.

«Quale parte, esattamente?» chiese Bree, decisamente scettico.

«Credo che intenda che anche lei… ha intenzione di aiutarci contro gli altri, ora. Credo.» specificò Malk, chiaramente conservando i suoi notevoli dubbi.

«Sì, insomma, è quello che intendevo.» borbottò Danny, piuttosto irritato.

«Perfetto.» Kumals alzò appena il suo bicchiere, sembrando rasserenato, ma chiaramente ancora molto attento e pronto ad ogni evenienza. «Quindi, perché non la invitiamo a bere qualcosa con noi? Oh, e naturalmente, garantisce Danny, giusto?»

Danny lo fissò allibito. «Cosa? No!»

Kumals sospirò e scosse la testa con aria delusa e relativamente esasperata. «Beh, sarebbe molto carino se poteste temporaneamente rimandare lo squartarvi, o quello che fate tra voi mezzi lupi quando siete arrabbiati, e provare prima a parlarne? Sapete, tipo, appellandovi alla vostra metà umana, quella che sa anche parlare, o almeno provarci?»

Malk fece vagare lo sguardo con aria valutante e ancora decisamente nervosa, ma alla fine si scambiò una lunga occhiata con Bree, che sembrava decisamente contrario alla cosa, e lanciò a Danny uno sguardo serio ma annuì, appoggiando una mano sull’altra spalla di Bree.

Danny deglutì, e tornò a guardare verso Nickj. Lei inarcò di nuovo un sopracciglio, poi spostò lo sguardo lentamente, in modo molto soppesante, sugli altri. Malk e Bree sembravano essersi rilassati abbastanza da lasciare cadere ogni tensione fisica e da scontro imminente, sebbene rimanendo su una pronta difensiva. Quanto a Kumals, accennò con il bicchiere verso di lei come invitandola esplicitamente ad un brindisi.

Nickj si decise ad avvicinarsi al tavolo, molto lentamente e in guardia, occhieggiando soprattutto verso Bree e Malk per sicurezza, ma anche lanciando lunghi sguardi ancora scettici e interrogativi a Danny.

«Heylà, Nickj, giusto?» la salutò affabilmente Kumals, quando lei si fermò ostinatamente ad almeno due ampi passi dal tavolo.

Lei praticamente lo ignorò, scoccandogli a malapena uno sguardo relativamente infastidito, e si rivolse nettamente a Danny «E questi due cosa ci fanno qui?»

«Hà! Senti chi parla!» dardeggiò prontamente in risposta Bree, sembrando di nuovo sul punto di alzarsi, salvo essere trattenuto stolidamente dalla mano sulla sua spalla. Malk, d’altro canto, stava facendo del suo meglio per non guardarla, con espressione ancora decisamente irritata e a malapena contenuta.

«Hanno lasciato… l’attendamento, e sono… sono rimasti qui per aiutare a cercare di fermare gli altri. All’accampamento…» iniziò a cercare di mettere insieme una risposta Danny.

«Lo so già.» disse Nickj, guardandolo come accusandolo di aver pensato erroneamente che fosse stupida o qualcosa del genere, incrociando le braccia sul petto. «Anche a distanza di kilometri si sente che sono rimasti diversi di noi là.»

«Noi…?» ripeté accuratamente Malk.

«In realtà è strano che tu non sia là con loro, no?» buttò fuori pungentemente Bree, guardandola con le palpebre gravemente assottigliate in un sospetto scontroso.

Nickj li contraccambiò con uno sguardo di ira repressa. «Potrei dire lo stesso di voi.»

«Ma…!» puntualizzò Kumals con intenzione paziente e testarda, il tono ancora accuratamente intonato su una nota di apparente tranquillità colloquiale «Come ha appena detto Danny, in realtà nessuno di voi è più là, e invece è qua.»

Nickj gli lanciò un’occhiata di malavoglia. «E tu chi saresti?»

«Oh, Kumals, molto piacere.» salutò lui gentilmente, alzando appena di nuovo il suo bicchiere, da cui stava ostentando lenti sorsi, come se anche quelli fossero parte del suo modo di allentare la tensione. Degli altri, non la sua.

Nickj occhieggiò verso Danny. «Quindi… la vostra idea di fermare gli altri è quella di ubriacarvi?»

«Hum…» iniziò a dire Danny, corrugando la fronte «A dire la verità, non è stata affatto una mia idea.» precisò, lanciando un’occhiata accusatoria verso Kumals.

Il quale offrì con un sorriso apparentemente tutto simpaticamente gentile a Nickj «Perché non ci fai compagnia?»

Nickj optò tranquillamente per ignorarlo di nuovo, tornando a rivolgersi nettamente a Danny. «Comunque, ho sentito dire che hai sconfitto Mara.» disse in tono improvvisamente serio, guardandolo dritto negli occhi.

Danny strinse le labbra in una smorfia di disagio netto e distolse lo sguardo. «Non avevo… altra scelta.»

Nickj lo guardò sinceramente incredula per un momento. Poi sorrise appena con un angolo delle labbra, relativamente amara, e scosse la testa con un leggero sbuffo ancora scettico. «Cos’è, ti stai atteggiando di nuovo ad eroe modesto o qualcosa del genere?»

«Io… cosa? No!» protestò Danny, tornando a guardarla confuso.

Nickj inclinò appena la testa di lato, valutandolo da capo a piedi, sorridendo appena un po’ di più. «Meglio così. Ti verrebbe comunque molto male.»

Kumals commentò con un leggero verso sinceramente divertito, ma poi assunse un tono improvvisamente serio e guardò Nickj direttamente, la sua occhiata severamente inchiodante. «E tu che cosa ci fai da queste parti, Nickj?» domandò, con un accenno di sorriso pericolosamente gentile in apparenza.

Stavolta lei girò di netto lo sguardo e lo puntò su di lui, la sua espressione seria e irritata che sembrava contenere un’implicita minaccia. «E tu saresti quello che…?» iniziò a dire in tono pericolosamente aggressivo, tanto che per poco Danny non fece un passo per mettersi stavolta fisicamente un po’ più tra loro due, per sicurezza.

«Kumals.» la interruppe d’altro canto Kumals. Nonostante il suo atteggiamento apparentemente ancora amichevole, una sfumatura di serietà decisa emanava corposamente da lui. «Come ho detto. E, come dicevo, sono semplicemente curioso di sapere come mai sei tornata da queste parti, Nickj, visto che se non sbaglio l’ultima volta che ho sentito il tuo nome era a riguardo di come stessi aiutando Valentine con gli animali a casa di Yuta e Zoal. Quindi…»

«Già!» esclamò di colpo Bree «Non è sospetto??» Malk praticamente gli artigliò la spalla su cui gli teneva ancora saldamente appoggiata una mano, mentre Nickj dardeggiava rapidamente uno sguardo verso di loro.

Tuttavia, la mezza lupa subito dopo guardò Danny dritto negli occhi, e disse tra i denti in tono cupo. «Ascolta, Danny. Non dico che siamo amici, ma comunque, sono tornata per cercare di dare una mano. E ti ritrovo con due dei mezzi lupi che erano con quelli di Mara…»

Bree spalancò la bocca per protestare, praticamente lievitando su se stesso per l’affronto, ma Malk lo teneva ancora incollato alla sedia con la mano sulla sua spalla, e comunque disse molto piano «Lo stesso si potrebbe dire di te d’altro canto…»

«Io penso che…» iniziò a dire Danny, in fretta e a disagio.

«E un tuo amico che mi interroga tenendomi puntata un’arma addosso.» terminò Nickj, il suo tono ora così tetramente minaccioso che avrebbe potuto far rabbrividire praticamente chiunque.

Danny e Bree, che stavano ancora cercando di dire qualcosa, ammutolirono nettamente. Poi, tanto loro due quanto Danny la fissarono per un istante confusi, prima di fiondare sguardi allibiti verso Kumals. E quasi nello stesso istante Malk e Bree si alzarono in piedi come un sol uomo, ma molto lentamente, ora anche loro fissando Kumals con incerta minaccia appena trattenuta.

«Kumals!» quasi gridò Danny, in un sibilo teso e chiaramente di protesta.

Quegli d’altra parte si limitò a scrollare appena una spalla, e a ribattere con calma «È per questo che stavo chiedendo…»

«Cos… Cosa?!» Danny era oltremodo confuso e preda di un nervosismo terrificante. Ora che aveva la giusta chiave di lettura, poteva intuire che con la mano con cui non teneva il proprio bicchiere, Kumals stava impugnando una delle pistole – di Danny, peraltro! – tenendola accuratamente sotto al tavolo.

«Hey, sentite bene!» esclamò Bree in viva protesta «Non so che diavolo di problemi avete voialtri con le armi, ma è tipo una cosa… come si dice, Malk…?»

«Pericolosa?» suggerì lui, fissando tetramente Kumals, o meglio il suo braccio in parte nascosto sotto il tavolo.

«Cioè, sì, anche. Ma è tipo una cosa maleducata da fare, le armi, con i mezzi lupi. Siamo… sensibili, okay?»

Malk sbatté un momento le palpebre e dedicò un’occhiata decisamente critica e di sbieco a Bree.

«Lui lo sa benissimo.» puntualizzò Danny, guardando Kumals ora sempre più con fare rimproverante.

«Come stavo dicendo…» tentò testardamente di riprendere Kumals.

«Volevi chiedermi se sono tornata qui perché ho cambiato idea e ho deciso di unirmi di nuovo al piano di Mara.» lo precedette Nickj, cupamente.

Danny trasecolò nuovamente, guardando dall’uno all’altra basito. «Cosa? Kumals!»

Lui stava sorridendo appena, in un modo tagliente e non particolarmente amichevole quanto serio, ma stava anche annuendo concorde, fissando Nickj con un scintillio di apprezzamento nello sguardo. «Ottima intuizione! Quindi…?»

«Kumals. Metti. Via. Quella. Pistola.» disse di colpo Danny, in tono impressionantemente serio. Kumals lo guardò sinceramente colpito, benché affatto intimidito. Ma di nuovo sembrava apprezzare qualcosa in ciò che sentiva e vedeva. «Ora.» disse Danny, sebbene il suo tono stesse perdendo gradualmente di ferrea decisione ora che Kumals lo guardava direttamente.

Kumals tuttavia sorrise di nuovo, un poco di più e decisamente con maggiore sincerità soddisfatta. «Ottima idea. Immagino che Nickj qui comunque ci racconterà cos’è successo agli animali e a Valentine, giusto…?» offrì amabilmente, mentre i quattro mezzi lupi seguivano attentamente il movimento del suo braccio, sorvegliando che stesse riponendo effettivamente l’arma ovunque la tenesse sotto il pastrano.

«Che cosa pensi, che li abbia uccisi tutti?» replicò Nickj, chiaramente irritata, inarcando un sopracciglio e scoccando di nuovo un significativo sguardo a Danny.

«Lui vuole solo…» iniziò a dire Danny. Poi si fermò un istante e guardò Kumals, del quale si rendeva conto stava per prendere le difese, mentre lui a sua volta se ne stava lì seduto a sorseggiare sangria con aria apparentemente placida, aspettando il resto delle sue parole con un’aspettativa leggermente ironica.

Danny decise che ne aveva abbastanza. «Beh, sai cosa Nickj?» sbottò, abbandonandosi a sedere sulla sedia con aria esausta, incrociando le braccia sul petto. Al diavolo Kumals, pensò. Al diavolo questi tre mezzi lupi che sembravano volersi lanciare accuse e guardarsi sospettosamente come anticamera di uno scontro sovrumano e potenzialmente mortale nel bel mezzo di un bar in una serata estiva nel pieno della stagione turistica di Tairans o giù di lì. E sì, perché no, al diavolo anche tutta Tairans, che si facesse distruggere da dei mezzi lupi impazziti radunatisi in una specie di rimasuglio di assurda setta, e per inciso al diavolo anche quel rimasuglio di setta.

«È il suo modo di fare amicizia, questo.» terminò Danny.

Per un momento gli altri quattro si limitarono a fissarlo in silenzio, con varie gamme di relativo stupore e/o tentativo di interpretazione.

Alla fine, Nickj decise di commentare con un piccolo verso decisamente sarcastico, pur muovendo attorno lo sguardo con un certo disagio imbronciato «Beh, begli amici hai.»

«Grazie.» offrì Kumals, alzando un poco il bicchiere. «Immagino possiamo condividere il complimento, a questo punto.»

«Hey!» protestò Bree, teatralmente offeso.

«Non sono sua amica.» puntualizzò Nickj, lanciando di sbieco uno sguardo incerto a Danny, come cercando ancora vagamente di interpretare il suo atteggiamento ora decisamente imbronciato, e che sembrava deciso a ignorarli tutti almeno per qualche lungo momento.

Malk scosse la testa con un sospiro, e iniziò a sedersi lentamente di nuovo sulla propria sedia, oltre a trascinare leggermente ma con determinazione Bree per una manica affinché facesse altrettanto. «Quindi… anche tu ora vorresti, hum, cercare di aiutarci?»

Nickj lo guardò un momento sorpresa dal tono incerto ma chiaramente privo di ostilità, poi scrollò le spalle e distolse lo sguardo, di nuovo un piccolo verso irritato a fior di labbra. «Dipende. Qual è il piano esattamente?»

«Mhm. Quello che volevo dire…» tentò di chiarire meglio Malk, anche se sembrava voler sottolineare il suo ritenere che lei stesse praticamente facendo apposta a non voler capire cosa intendesse più in generale.

«Non ne abbiamo uno.» commentò cupamente Danny, fissando il tavolo.

Nickj tornò a guardarlo, inarcando enormemente le sopracciglia. «Che cosa? E che diavolo avete fatto esattamente in tutto questo tempo, scusa?»

Un altro breve ma compatto silenzio calò copiosamente tutt’intorno al tavolo, come se tutti gli altri si stessero chiaramente astenendo dal rispondere. Nickj li occhieggiò tutti uno ad uno, ancora incredula.

Kumals si schiarì la voce. «Che ne diresti di sederti? Non ti senti un po’ stupida a startene lì così in piedi da sola e…?»

«Hai ancora intenzione di puntarmi una pistola addosso?» lo interruppe nettamente Nickj, lanciandogli un’occhiataccia accusatoria.

Kumals sospirò appena, ma sollevò entrambe le mani e le appoggiò di palmo sul tavolo, come facendo bella mostra del suo essere al momento disarmato. «Così va meglio?» offrì, lanciandole uno dei suoi impeccabili sorrisetti candidamente amichevoli che allo stesso tempo non lo sembravano affatto del tutto.

Nickj emise uno sbuffo assai scettico e critico, roteò gli occhi e si allontanò di qualche passo, giusto per afferrare una sedia e spostarla appresso al tavolo, lasciandocisi cadere sopra di peso e incrociando le braccia sul petto, in una sorta di scontroso contraltare vagamente simile all’atteggiamento che aveva Danny, tranne che lui sembrava ancora deciso a mantenere la sua linea generale di averne abbastanza di tutto e tutti al momento.

«Molto bene.» annuì Kumals amabilmente, per poi spostare lo sguardo tra Nicky e la caraffa sul tavolo e offrire un cortese «Un po’ di sangria?»

Nickj inarcò un sopracciglio al massimo. «Non ho fatto fuori nessuno, comunque. I tuoi animali stanno bene, e anche Valentine. A parte il fatto che non le ho detto che me ne andavo, per quello si sarà arrabbiata immagino. Ma mi stavo annoiando a morte là.»

Danny spostò lo sguardo su di lei, suo malgrado sorpreso.

Kumals annuì tranquillamente, si trasse un bicchiere pulito da una tasca del pastrano, sotto gli sguardi peraltro ora decisamente ancora più straniti di Nickj, Bree e Malk, e lo riempì di sangria, sospingendolo con cura sul tavolo fin davanti a Nickj con mosse ostentamente lente, prima di riappoggiare le mani a palmo in giù sul tavolo. «Mhm-mhm. Eccezionale. Lo speravo. In effetti, posso capire perfettamente. Quel posto è molto carino, ma sa essere anche terribilmente noioso, a lungo andare. Inoltre, quegli animali sono tremendamente viziati.»

Nickj inarcò anche l’altro sopracciglio e scoccò a Danny l’ennesimo sguardo alla ricerca di spiegazioni. Ma visto che lui sembrava aver deciso di lavarsene le mani a proposito di offrire qualche delucidazione, lei scrollò le spalle e agguantò il bicchiere svuotandolo ad ampi sorsi, lo risbatté sul tavolo, e fissando Kumals con la fronte aggrottata commentò «Stai iniziando a stancarmi, vecchietto.»

Bree emise un piccolo sornacchio decisamente divertito, prima di ricordarsi evidentemente che non si fidava ancora di lei e riprendere a squadrarla con un broncio poco convinto. Di fianco a lui, come se avesse perfettamente colto l’intero passaggio, Malk roteò appena gli occhi.

Kumals sorrise ancora di più, ma la sua espressione stava prendendo quella piega taglientemente decisa che Danny conosceva fin troppo bene. Tuttavia, Danny si limitò a sorvegliare la scena attentamente.

«Quindi, dicevamo, dopo questa noiosa vacanza hai riflettuto sugli ultimi eventi e possiamo dire che… hai deciso di tornare qui?» riassunse Kumals.

«Non vedo ancora perché dovrei spiegarti i fatti miei, in effetti.» ribatté prontamente Nickj, fulminandolo con un’occhiata risentita.

Kumals svolazzò appena una mano a indicarla, prima di riappoggiarla sul tavolo di palmo. «Eppure sei qui. Quindi immagino ci stessi cercando. Data la nostra professionalità ad occuparci di…»

«Mhm…» emise Bree, in tono evidentemente dubbioso, mentre Malk si limitava a stringere le labbra non meno incerto.

Nickj fece un verso pungentemente sardonico e girò attorno lo sguardo come se fosse sempre più incredula. «Non sono certo qui per voi, vecchietto.»

«Okay.» annuì Kumals con calma. «Per Danny allora.» accennò col capo appena verso la direzione di lui.

«Cosa?» replicò Nickj, inarcando le sopracciglia scetticamente.

«Beh, non sono certo di aver capito benissimo tutta la storia, specialmente visto che me l’hanno raccontata Uther e Ramo, e ho avuto poca occasione di parlare con Valentine ultimamente, ma…» proseguì imperterrito Kumals.

«Potrei essere lasciato fuori da questa… cosa?» replicò Danny.

Kumals gli rivolse uno sguardo affettuosamente comprensivo ma anche deciso «Temo che sia troppo tardi per questo, Danny.»

«Quale storia?» Bree era diventato immediatamente interessatissimo.

«Non credo sia proprio materia da gossip…» commentò Malk, parlando con cautela, e occhieggiando con ancora più cautela tra gli altri tre «Se si tratta di quello che è successo quando…»

«Ah!» esclamò Bree, a voce troppo alta. «Ma certo! Ora ricordo! All’accampamento c’erano tizi e tizie che parlottavano di come tu fossi stata pestata da Mitch e gli altri del vostro branchetto e te ne fossi andata e Mara non potesse venirti a fare la pelle per aver abbandonato perché eri stata presa da… Ah, ma certo! Da Danny e quelli con lui!»

Malk chiuse gli occhi ed emise un pesante sospiro. Quando li riaprì, scoprì che Nickj li stava guardando come se stesse considerando l’idea di ucciderli sul posto, Danny incredulo, e Kumals lieto del riassunto. «Non volevo dire questo.» puntualizzò subito Malk, alzando un poco le mani.

«Ma è così che è andata, giusto?» incoraggiò invece Kumals.

«Beh, non è che siano fatti miei, quindi non sta a me dirlo…» disse Bree, scrollando le spalle.

Malk gli dedicò un’occhiata consumatamente paziente e piuttosto critica. «Hai appena buttato fuori tutto come se niente fosse, tesoro. E la tua scelta di parole, beh…»

«Non sono stata ‘pestata’ – né – ‘presa’ da nessuno.» disse Nickj tra i denti.

«Okay, ‘quasi uccisa’ e ‘aiutata’.» offrì Kumals tranquillamente in alternativa.

Nickj lo guardò come se stesse seriamente pensando di cavargli la testa. «Ancora non capisco come tutto questo possa riguardart…!»

«Visto che Danny non te lo chiederà, a quanto pare…» la interruppe Kumals, piegandosi un poco in avanti e guardandola dritta negli occhi con improvvisa serietà netta, sebbene ancora con quel leggero sorriso apparentemente amabile «Lo farò io, Nickj, se non ti spiace.»

Kumals prese brevemente fiato. «Kumals.» disse Danny, in tono basso, e pregno di un’indicibile miscuglio di avvertimento – soprattutto a riguardo di come stesse rischiando che Nickj gli staccasse la testa – e praticamente di preghiera – perché dubitava vivamente che Kumals avrebbe mai ascoltato un suo qualsiasi avvertimento a quel punto.

«Perché sei qui, ora, Nickj?»

Lei sostenne senza difficoltà per un poco lo sguardo deciso e penetrante di Kumals, sebbene fosse evidente che sembrava ancora stare ponderando se rispondergli in modo molto fisicamente offensivo. Il suo sguardo dardeggiò appena di lato.

«E ti sconsiglio di cercare di ottenere suggerimenti da Danny in proposito.» disse immediatamente Kumals, con calma «Non solo perché Danny al momento si sta prendendo una pausa.» Nickj lo stava di nuovo guardando in un modo che avrebbe potuto rendere perfettamente la definizione di ‘incenerire con lo sguardo’ «Ma anche perché lui ne ha abbastanza di me per oggi, a quanto pare.»

Nickj optò per muoversi appena sulla sedia, come per rilasciare un poco la tensione del suo corpo ed evitare di aggredire Kumals almeno per il momento, e di rispondere con un appena ma chiaramente ringhiante e sarcastico «Non capisco proprio come potrebbe essere successo…»

Bree emise un debole piccolo verso istintivamente divertito per il commento.

Malk gli tirò un piccolo calcio contro una gamba sotto al tavolo, e con viva sorpresa di Danny – che continuava a sorvegliare la scena, deciso a intervenire sul serio solo se gli altri attorno a quel tavolo avessero iniziato a tentare di uccidersi tra loro o qualcosa di simile – si intromise con quello che sembrava un approccio leggermente teso a prendere le difese di Nickj.

«A noi non lo avete chiesto. Non… così, almeno.» osservò con una leggera ma chiara nota di protesta.

«Questo è perché voi eravate praticamente in ostaggio, e ve ne siete andati non appena avete potuto. E avete scelto di rimanere nei paraggi per cercare comunque di evitare il peggio.» riassunse con calma Kumals, con una leggera intonazione interrogativa come a chiedere conferma. «Ma la nostra Nickj qui, lei se n’è andata solo quando le cose le si sono rivolte contro, dopotutto.» terminò, senza staccare nemmeno per un momento lo sguardo deciso da quello di Nickj. «In altre parole, solo quando i predicamenti prima di Mara e poi del cosiddetto Badlands si sono rivoltati contro di lei. Solo allora è fuggita.»

Lo sguardo di Nickj si infiammò definitivamente e lei fece quella smorfia che a Kumals era familiare per quanto conosceva Danny, quel tirarsi e arricciarsi delle labbra per lasciare baluginare appena i denti, che sembrava un istintivo corredo dell’essere mezzi lupi. Per un istante sembrò che Nickj stesse per saltargli alla gola e Danny stesse per scattare per cercare di fermarla o almeno frapporsi, ma Bree sbatté un pugno sul tavolo con tanta intenzione da farlo quasi incrinare e distraendoli momentaneamente.

«Hey, sul serio, non è giusto Kumals, perché devi sempre fare così con tutti? Cioè essere tutto così…» Bree agitò le mani a indicarlo con aria estremamente disapprovante.

«Eccessivo?» suggerì appena Malk.

«Sì, ecco, quello!» approvò Bree, prima di sembrare colto da un dubbio e spiare verso Malk. «Hey, no, aspetta. Dicevi lui o me?» 

Malk scosse appena la testa come a suggerire che per quanto lo riguardava il commento poteva essere applicabile ad entrambi dopotutto. «Comunque, lei ha detto di essere qui per aiutare, no? Quindi…»

«Giusto.» annuì Kumals, tornando a guardare Nickj con il suo accenno di mezzo sorriso fintamente amabile e l’occhiata penetrantemente seria. «Ma vorrei sentirlo dire meglio da lei.»

E Nickj scattò. Danny balzò in piedi per frapporsi, ma si bloccò di lì ad un istante rendendosi conto che lei si era semplicemente chinata in avanti molto rapidamente per fissare Kumals di rimando negli occhi molto da vicino mentre rispondeva in tono basso e terribilmente deciso.

«Se sono scappata è perché altrimenti sarei morta. Ma non ho più alcuna intenzione di farlo, chiaro? Ed è proprio per questo che sono qui, ora, vecchio. Sono una mezza lupa, e so perfettamente che cosa potrebbero riuscire a fare quelli se mettono in atto il piano. So che cosa succederà e so che… So che era quello di cui ero convinta anch’io. Ma l’ho visto, su di altri, su di me, e non è quello che voglio. Quello che voglio ora è fermarli, e non vedere mai più delle carneficine. Non di mezzi lupi, non di non mezzi lupi, quello che è. E non sono venuta a chiedere il tuo permesso, né quello di Danny, per farlo. Li fermerò o morirò provandoci, chissenefrega. È quello che ho scelto. E comunque, tu sei solo l’ultimo arrivato, giusto? Quindi non vedo come dovresti sentirti in diritto di fare prediche a destra e a manca.»

Dopo un lungo momento di silenzio, Kumals si tirò indietro con calma e prese un sorso di sangria, sorridendo ora sinceramente contento. «Beh, allora ottimo. Grazie, Nickj. E, per quanto riguarda il mio essere qui, è semplicemente per dare una mano anch’io, ovvio. E aldilà che tu decida di aiutare con noi o senza di noi, nulla ci impedisce ora di fare due chiacchiere bevendo qualcosa insieme, giusto?» commentò allegramente.

Nickj lo fissò un attimo sbalordita, presa in contropiede dal subitaneo cambiamento di atteggiamento. Spiò verso Danny, il quale stava crollando le spalle ed emettendo un enorme verso di esasperazione che sembrava sospettosamente rassomigliare anche ad uno di potenziale rilassamento dal suo aver temuto il peggio di lì ad un istante prima.

«Beh, porco diavolo!» esclamò Bree, fissando Kumals con netta disapprovazione suo malgrado impressionata «Eccessivo, sì, sul serio cioè!» Malk stava scuotendo di nuovo la testa e passandosi un poco una mano sulla faccia.

«Danny? Che ci fai lì in piedi?» chiese Kumals in tono da tranquilla chiacchiera amichevole, mentre si assicurava che tutti i loro bicchieri fossero di nuovo pieni di sangria. «Bisogno di andare al bagno?»

Danny emise un altro enorme sospiro, gli somministrò un’occhiata decisamente scettica e di implicita critica, ma suo malgrado si risedette e prese il proprio bicchiere come se avesse deciso che ora aveva bisogno di bere anche lui. Tuttavia aveva un’espressione pensierosa e rivalutante, e allo stesso tempo un leggero accenno di sorriso se non altro sollevato.

Nickj tornò a studiare di nuovo Kumals, inarcando un sopracciglio quando lui le porse il bicchiere di nuovo pieno e guardandola ora con una significatività completamente diversa, veramente potenzialmente amichevole e sinceramente gentile e aperta, offrì un «Cin-cin?»

«Ah!» esclamò Nickj dopo un momento, prendendo il bicchiere e buttandolo di nuovo giù in un sorso. «Dubito che da sbronza ti troverò più simpatico.» commentò, schioccando le labbra.

Bree esplose in una risata approvante, così spensierata che sembrò poter praticamente dissipare quasi tutto ciò che rimaneva della tensione raccoltasi attorno a quel tavolo negli ultimi minuti. Malk stava guardando Kumals con un sorrisetto che sembrava suggerire che se l’era meritato.

Sebbene molto stentatamente, intorno al tavolo iniziò a prendere piede poco a poco qualcosa di simile ad una conversazione. E dopo qualche altro bicchiere di sangria, Kumals si sporse verso Danny, che sembrava ancora non esattamente entusiasta del tutto, e disse piano «Beh, chi l’avrebbe mai detto che mi sarei trovato a bere con quattro mezzi lupi, eh?»

Danny occhieggiò verso di lui, e sogghignò appena, anche se sembrava ancora tenere d’occhio la situazione come se non avesse del tutto escluso la possibilità che da un momento all’altro potesse tornare molto tesa. «Il fatto che potremmo sostenere l’alcool meglio di te ti mette in soggezione, per caso?»

«Hum, nah…» Kumals scrollò le spalle affabilmente. «È tutto da dimostrare.»



Soundtrack: Heart of the matter (the Libertines) 


Note per la letturaattenzione, sto pubblicando in una sola volta (lo stesso giorno) una mezza dozzina di capitoli. Lo dico perché se siete in qualche modo iscritti al sistema del sito che vi segnala automaticamente l’aggiornamento di questa storia, se non sbaglio vi invia direttamente all’ultimo capitolo, il ché significa che quando si pubblicano più capitoli insieme se seguite il link del sistema automatico finite all’ultimo saltando dei capitoli. A questo proposito, siccome non aggiorno da un (bel) po’, e per chi non ricordasse il numero/titolo dell’ultimo capitolo che avevo pubblicato e che aveva (eventualmente) già letto: l’ultimo capitolo che avevo pubblicato era il n° 60 (61 con la numerazione automatica del sito perché conta come n° 1 il cap. 0) ‘Wrong legends’, e ora sto pubblicando in una volta sola i capitoli dal 61 al 66 (da ‘Tre mezzi lupi entrano in un bar’ a ‘Then humour me’). Abbiate pazienza, copio-incollo questa nota in tutti questi 6 capitoli per (presumo) vostra utilità.

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Capitolo 64
*** 63 - We have a plan?? ***


Capitolo 63

(We have a plan??)


C’erano momenti in cui Andrea aveva quasi sul serio paura di Yuta. Non che l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, chiaramente. Specialmente non in quei specifici momenti, chiaramente. Che erano quasi puntualmente situazioni in cui qualcuno degli altri degli ex 4 di picche la faceva seriamente indisporre; quasi puntualmente, quel qualcuno coincideva con Kumals. E quello era precisamente uno di quei momenti.

«Hum.» esordì con calma Mordecai, appoggiando con cura su una sedia dell’appartamento dove erano appena tornati la pesante sacca da viaggio che si era portato appresso, stipata di oggetti non meglio identificati – e che Andrea non era sicura di voler diventare in grado di identificare in un immediato futuro – che aveva raccolto con scelta accurata dalla sua abitazione. «Mi auguro non si tratti di niente di preoccupante.»

Andrea continuò a studiare nervosamente il modo crescentemente alterato con cui Yuta stava leggendo quella che sembrava una breve nota lasciata sul tavolo della stanza, che avevano trovato buia e deserta. Aveva ormai un preciso sospetto riguardo a chi potesse averla scritta.

«Io…» Yuta prese fiato e stritolò il pezzetto di carta, stringendo i pugni lungo i fianchi, sembrando qualcuno ormai pronto ad un omicidio. Andrea deglutì e si strinse istintivamente su se stessa. 

«Penso che stavolta lo ucciderò sul serio!» ruggì Yuta alla fine, praticamente con tutta la sua voce.

Dopo diversi secondi di teso silenzio, Mordecai disse solo, con la sua compassata neutralità cortese «Ah.»

Yuta staccò lo sguardo dal muro che stava fissando impietosamente come per prendere la mira per un colpo mortale, solo per rivolgerlo verso la porta della camera da letto che si stava spalancando, lasciando emergere due evidentemente appena svegliatisi e ancora confusi Ramo e Uther.

Andrea non li invidiò nemmeno per un momento, quando li vide bloccarsi di lì ad un attimo, inchiodati dallo sguardo di Yuta: Ramo non meno intimorito di lei, e anzi con tutta l’aria di qualcuno che stia valutando le sue possibilità di capire cosa sia successo prima di essere ucciso, Uther molto meno impressionato e con la fronte aggrottata.

«Cos’ha fatto Kumals stavolta?» si informò Uther alla fine con uno sbadiglio, avviandosi al bagno mentre si grattava distrattamente la schiena.

Andrea e Ramo tornarono a irrigidirsi ancora di più, spiando appena verso Yuta come qualcuno che stia per lanciarsi disperatamente lontano all’ultimo momento dalla probabile fonte di un’imminente deflagrazione.

In effetti, Yuta urlò per parecchi minuti di fila, perlopiù improperi all’indirizzo di Kumals, impressionantemente articolati. Uther fece in tempo ad andare e tornare dal bagno, lasciando spazio a Ramo per fare altrettanto. La differenza nel loro prendere la cosa era ancora lampante comunque, visto che Uther sembrava quasi uno studente pigramente impegnato in una routine casalinga post serata da sbronzo, tipo cambiarsi con vestiti abbastanza puliti e bere avanzi di caffè mentre ascolta solo marginalmente cosa sta succedendo intorno a lui nel resto della casa senza particolare interesse o sorpresa, mentre Ramo praticamente strisciava contro le pareti come se non volesse assolutamente rischiare di ritrovarsi troppo vicino a Yuta in quel momento, per ogni evenienza.

Yuta urlò un altro po’ e lanciò una bottiglia vuota contro una parete, schiantandola, e poi si mise a raccogliere i pezzi ancora tirando improperi, mentre Andrea prendeva quasi automaticamente la nota stropicciatissima che Mordecai le stava porgendo dopo averla raccolta da dove l’aveva lanciata Yuta e letta a sua volta.

‘Andiamo a bere qualcosa, ci vediamo più tardi. Baci, Kumals.’ lesse semplicemente Andrea sul pezzo di carta.

«Okay…» Yuta smise alla fine di imprecare e prese un lungo respiro, immobilizzandosi nella stanza e facendo un movimento auto-calmante con le mani, molto lentamente. Non sembrò funzionare molto bene per calmarla, ma gli altri la stavano guardando con rinnovata attenzione; o, per dirla meglio, ora Uther la stava guardando sul serio, e Andrea e Ramo stavano considerando se concedersi un piccolo sollievo almeno momentaneo.

«So dove potrebbero essere andati. Quindi, andiamo a riprenderli.» annunciò Yuta magistralmente.

«Mmhmm…» iniziò a commentare Uther a labbra strette.

«Non è in discussione.» Yuta gli lanciò uno sguardo terribilmente penetrante e deciso. Uther sembrò considerare per un momento di controribattere, e alla fine scrollò le spalle e parve arrendersi, sospirando stancamente e alzandosi per andare a cercare le sue scarpe.

Yuta spostò lo sguardo micidialmente deciso sugli altri.

«Okay. Mi sembra… una buona idea.» concordò immediatamente Andrea, annuendo.

«Io…» Ramo deglutì, poi sembrò considerare il fatto che nemmeno Uther aveva provato sul serio a protestare e crollò le spalle. «D’accordo.»

«Per quanto mi riguarda…» iniziò Mordecai con la sua placida tranquillità.

«No.» interruppe gentilmente ma fermamente Yuta. «Se non ti dispiace, Mordecai, preferirei che tu non assistessi a scene cruente.»

Andrea non poté fare a meno di trovarlo strano, specialmente se detto ad un necromante. O forse non lo era, dopotutto, specialmente se detto ad un necromante?

Mordecai annuì compostamente. «Bene. Allora rimarrò qui ad aspettare il vostro ritorno. Nel frattempo rimetterò un po’ d’ordine nelle cose che ho preso in caso di evenienza.»

Uther lo occhieggiò iniziare ad aprire la bisaccia che si era portato dietro, muovendo le sopracciglia in modo valutante e non troppo convinto. «Sul serio, tutta quella roba dovrebbe servirci?»

Mordecai gli sorrise in quel suo modo troppo gentile per potervi cogliere qualche particolare inclinazione d’umore aldilà di una certa professionalità. «Ho preso solo alcune cose. Che, sottolineo il condizionale, semplicemente potrebbero risultare utili.»

«Oh beh… Grazie?» tentò Ramo, ancora meno convinto e allo stesso tempo sinceramente grato.

Andrea iniziava a sentirsi sempre meno l’unica di loro che non aveva nessuna idea di come prendere il necromante esattamente.

«Andiamo?» incalzò Yuta dalla soglia della porta già aperta, in tono veramente inappellabile. 

Nessuno osò fare appello, d’altro canto, e di lì a poco Andrea, Ramo e Uther erano accodati a lei, che marciava lungo le strade di Tairans come se fosse a caccia di qualcuno da uccidere sul serio. Andrea lanciò di sbieco un’occhiata non meno nervosa verso Uther, il quale camminava in mezzo ad una serata cittadina animata da turisti con sulla spalla una custodia da chitarra che nascondeva nientemeno che un fucile carico. Ramo notò l’occhiata e non trovò di meglio che replicare, quando Andrea lo guardò, con una breve alzata di spalle rassegnata e relativamente abituata.

Andrea si ricordò meglio che appena fuori dalla città c’era un accampamento di mezzi lupi impazziti che potevano avercela davvero – e letteralmente – a morte con Danny, e di concerto e per estensione con chiunque individuassero come suo alleato. E, suo malgrado, si ricordò comunque come Danny le avesse spiegato di come un mezzo lupo potesse essere tranquillamente più veloce della capacità di un essere umano di puntargli un’arma addosso e sparare con buona probabilità di colpire l’obbiettivo.

D’improvviso, Andrea si ritrovò un po’ più rassicurata. E non tanto dal fatto che Uther si fosse portato dietro il fucile, o da Ramo e dalla sua aria concentrata e determinata, quanto da come Yuta marciasse disarmata, ma con aria così micidialmente decisa e arrabbiata da sembrare perfettamente in grado – in quel momento – praticamente di strozzare persino un mezzo lupo a mani nude.


***


«Hey, hey, Kumals!» sbraitò allegramente Bree, praticamente ululando in mezzo alla strada. E agitandosi così tanto di concerto nel suo stato decisamente ubriaco da rischiare per l’ennesima volta di perdere l’equilibrio, che peraltro era mantenuto in gran parte da Malk che lo sorreggeva tenendosi un suo braccio attorno alle spalle e imponendo alla loro andatura una traiettoria abbastanza relativamente dritta.

«Quindi, vedi Nickj…» stava proseguendo Kumals, con il suo fare di quando riusciva a sembrare convinto nei suoi discorsi persino da ubriaco «In realtà, per quanto possiamo essere in gamba, non significa che la nostra professione non abbia richiesto una notevole dose di… Hum, di… Danny, su, qual è la parola? Presta un po’ di attenzione, per favore.»

«Spiacente, sto già cercando di convincermi a non lasciarti semplicemente qui per terra e andarmene.» ribatté Danny con un sospiro. Kumals lo stava sostenendo praticamente lui di peso invece, oltre che facendolo camminare abbastanza relativamente dritto. Aveva ancora il vivido sospetto che, se proprio avesse voluto o lo avesse ritenuto estremamente necessario, Kumals non avrebbe avuto bisogno di tanto appoggio. Era comunque estremamente grato al fatto che lui, Malk e Nickj fossero al massimo pesantemente alticci al momento. Non che si potesse imputare strettamente alle capacità da mezzi lupi di reggere l’alcool più degli esseri umani – forse, e solo forse; lui era più che altro convinto che avesse molto più a che fare con la propensione individuale a bere quantità stordenti d’alcool e a reggerle più o meno bene o male – visto soprattutto come era riuscito a ridursi Bree.

«Voglio solo dire che…» commentò Nickj, sorridendo appena di sbieco, come a volersi ancora impegnare a nascondere un certo divertimento suo malgrado «Nel caso prenderai questa scelta, non mi opporrò per niente.»

«Posso capirlo. Pienamente. Sul serio.» annuì Danny, con un piccolo sbuffo divertito.

«Esperienza! Ecco la parola che cercavo, esperienza!» Kumals schioccò le dita a mezz’aria, con aria molto soddisfatta di se stesso.

«Signor Kumaaaals?» praticamente ululò di nuovo Bree, da pochi passi dietro di loro, come se invece ci fossero decine e decine di metri a separarli.

Malk iniziò a dirgli qualcosa per tentare vagamente di moderarlo, mentre Danny sospirava per l’ennesima volta, e notava che se non altro tutti gli atteggiamenti esagerati di quei due evidentemente ubriachi stavano aiutando il loro procedere lungo la strada, sgombrandola un poco da tutti gli altri passanti che facevano deviazioni di qualche generoso metro per evitare di capitare troppo vicino a loro.

«Ti prego, rispondigli. Qualsiasi cosa, davvero. Mi sta assordando.» commentò Danny.

«Sì, e aumentando di diverse tacche la soglia della tolleranza di tutto il quartiere in generale.» aggiunse Nickj, roteando gli occhi.

«Bree caro, dimmi tutto.» invitò affabilmente Kumals, con fare quasi pomposo, e complessivamente ridicolo per il modo in cui barcollava appoggiato ad un Danny ben lungi dall’essere particolarmente entusiasta del tutto.

«Ecco, allora.» biascicò Bree allegramente, per proseguire a briglia totalmente sciolta e sconclusionata. Più del suo solito cioè anche. «Volevo dirti che all’inizio sembravi… sai, tutto… tutto così, no? Cioè, insopportabile, no? Ma ho cambiato idea! Sei simpatico, dopotutto!»

Danny udì Malk mormorare un ‘Bree…’ ammonitorio senza troppe speranze, ben due volte. Per entrambe le affermazioni cioè: sia quelle che potevano risultare troppo sinceramente offensive, all’inizio, e poi non con meno convinzione per quelle che potevano risultare fin troppo complimentose.

«Uao.» commentò ironicamente Nickj. «Dovresti aprire un fan club o qualcosa del genere.»

A dirla tutta, Danny non era grato solo del fatto che Nickj e Malk non fossero completamente sbronzi al momento; ma anche, e non di meno, al fatto che non fossero affatto aspiranti ad iscriversi a quel fan club, o in generale propensi a dare corda a Kumals.

«Splendida idea!» concordò Kumals, indicando verso Nickj con un indice e poi schioccando di nuovo le dita a mezz’aria. «E comunque, senti chi parla. Tu potresti aprirne uno per lui.» ribatté allegramente, indicando Danny.

Nickj scoppiò in una breve ma netta risata. «Un fan club di questo qui?»

«Hey, ora…» iniziò a protestare vagamente Danny, ma si interruppe quando i suoi sensi captarono una serie di odori familiari. E si bloccò quasi subito di netto.

Kumals rischiò per un momento di perdere l’equilibrio e scaravoltarsi in avanti, ma Nickj e Malk – e di concerto anche Bree sorretto da quest’ultimo – si fermarono altrettanto in un momento.

«Cosa c’è?» chiese Nickj, in dubbio se allarmarsi, e quanto.

«Danny?» chiese anche Malk.

«Oh, merda…» quasi gemette Danny.

«Oi. Cosa c’è?» insistette Nickj, iniziando a guardarsi attorno con attenzione in guardia per la strada affollata, sebbene ancora scettica. Naturalmente stava sondando tutto ciò che la circondava con i suoi sensi da mezza lupa ora, ma non percepiva la presenza di altri mezzi lupi a parte loro.

«Ah, niente di troppo preoccupante, sicuramente.» assicurò Kumals, con la sua affabilità tranquilla da alticcio, agitando scoordinatamente una mano a mezz’aria. «Vedi? Non ha la sua espressione da enorme preoccupazione gravissima.» illustrò, facendo per piantare la mano sulla faccia di Danny nel suo scomposto tentativo di indicare qualche particolare.

Danny gli scacciò la mano con un rapido ma tranquillo gesto con la propria, e continuò a guardare verso un punto gradualmente sempre più preciso della strada davanti a loro, mordendosi un poco le labbra.

«Merda.» ripeté.

«Ma in effetti… ora che ci guardo bene, è la sua espressione moderatamente piuttosto tanto preoccupata. Del tipo, non sono pericoli mortali, di quelli che vi scatenano quella cosa da mezzi lupi che diventate tutti… coi peli ritti.» continuò a osservare ad alta voce Kumals, corrugando la fronte, mentre Nickj li fissava sempre più scetticamente e sempre meno pazientemente. «Potrebbe essere comunque qualcosa di discretamente preoccupant…»

«Ah. Sono gli altri.» commentò Malk da dietro di loro.

Nickj tornò a guardare davanti a sé lungo la strada e li vide anche lei.

Appena spuntati dalla folla, Yuta, Andrea, Ramo e Uther si stavano fermando avendoli visti a loro volta, e li stavano contemplando per registrare il loro stato.

«Merda.» concordò Kumals, impallidendo un poco, specialmente nel notare l’atteggiamento decisamente alterato di Yuta. Danny deglutì e assunse una smorfia nervosa, mentre Nickj roteava gli occhi.

«Ragazzi!» sbraitò Bree allegramente, sbracciandosi scompostamente con il braccio, quello libero dalla ferrea presa con cui Malk lo stava sostenendo. «Vi siete persi una serata semplicemente f-a-n-t-a-s-t-i-c-a-!»

Uther finì di squadrarli con calma da capo a piedi e commentò con un semplice piatto «Uao.» sogghignando appena di sghembo, specialmente quando notò lo stato di Kumals in particolare. Per un momento gli brillarono gli occhi, come se stesse contemplando alcuni modi in cui poteva amichevolmente approfittarsene.

Kumals lo ignorò scioltamente come al solito, e improvvisamente sembrò aver recuperato diversi gradi di lucidità in modo praticamente traumatico, al solo vedere come Yuta stava concentrando su di lui uno sguardo a dir poco omicida. Sfoderò al meglio possibile un sorriso smagliante sebbene piuttosto nervoso, ed esordì con un affabilissimo «Yuta cara…»

E lei riprese a camminare a lunghi passi marzialmente decisi, dritta verso di lui. 

Di puro istinto di sopravvivenza, Danny iniziò subito a cercare di staccarsi da Kumals per retrocedere e abbandonarlo al suo destino. «Voglio solo dire che non è stato affatto una mia idea…!» disse rapidamente.

Come avendolo preventivato, tuttavia, Kumals si era aggrappato praticamente di peso col braccio che gli teneva attorno alle spalle. Ramo e Andrea stavano lanciando a Danny sguardi di avvertimento, con smorfie praticamente dolenti. Uther invece sembrava qualcuno che si stia così godendo la scena che gli manca al massimo del pop-corn e una bottiglia di birra per potersela godere ancora meglio.

Yuta si bloccò di colpo giusto ad un passo da Kumals – e, suo assoluto malgrado, Danny – per qualcosa che catturò la sua attenzione. Voltò lo sguardo di netto verso Nickj, con sincero stupore ancora più irritato. «E tu non dovresti essere con i nostri animali e Valentine?»

Nickj tirò appena indietro la testa, momentaneamente sorpresa. E forse comprensibilmente preoccupata anche lei dall’aria decisamente alterata che aveva Yuta in quel momento.

«Ah, giusto!» esclamò Bree, come grato che qualcuno glielo avesse ricordato. «Ecco cosa mi sono dimenticato di chiedere prima. Chi è che è questa Valentine, esattamente?» 

Malk praticamente gli avvolse la faccia con un braccio per zittirlo almeno parzialmente.

«Stanno bene.» garantì automaticamente Nickj. 

Yuta le dedicò uno sguardo trasecolato. «Questo è il minimo. Assolutamente il minimo

«E ho pensato che vi servisse una mano quaggiù. E a giudicare da come ho capito che siete messi…» Nickj dedicò una rapida occhiata di sbieco a indicare gli altri che erano con lei. Yuta seguì il percorso del suo sguardo con aria non meno omicida di prima.

«Non una mia idea…» ripeté debolmente Danny.

«Probabilmente potrei essere più d’aiuto qui che là a fare da baby-sitter a degli animali.» concluse Nickj, tornando a guardare Yuta con l’aria di chi sta cautamente optando per sfidare – assolutamente non in modo troppo aperto – qualcuno a darle torto.

Uther schioccò appena le labbra, sembrando un po’ deluso che la scena che si stava apprestando a godersi fosse stata interrotta. «Difficile contraddirla su questo.» commentò con una scrollata di spalle.

Andrea e Ramo assunsero delle espressioni relativamente imbarazzate di chi non può proprio fare onestamente a meno di pensarla non dissimilmente, e comunque non sentirsi eventualmente un po’ in colpa in sospetto di essere stato parte del problema in qualche modo.

Yuta tornò a guardare Nickj, prendendo un lungo respiro per dominarsi. «È una novità, davvero, finire per parlare con qualcuno di decentemente responsabile in tutto questo. A parte Andrea e Mordecai, cioè.»

«Hey.» protestò Uther, senza particolare mordente «Io e Ramo qui abbiamo passato tutta la scorsa notte a sorvegliare quei pazzi di nascosto, rischiando la pelle.» Yuta gli dedicò un’occhiata per niente impressionata. «E siamo persino tornati con due alleati in più.» Uther indicò verso Malk e Bree.

«Urrààààhhhh!» strepitò Bree, pompando in aria un braccio e cercando persino di saltellare sul posto, mentre Malk roteava gli occhi rassegnato e lo teneva fermo per evitare che rotolasse per terra da solo.

Uther riabbassò il braccio con una smorfia. «D’accordo. Non il mio migliore argomento, lo ammetto.» alzò un poco le mani con aria seria verso Yuta.

«E ad eccezione anche di Ramo, al massimo.» completò Yuta, ancora per niente impressionata.

«Sul serio?» protestò ancora vagamente Uther.

«Sul serio hai lasciato incustodito Kumals in questo frangente?» ribatté Yuta.

«A mia discolpa…» esordì Kumals, con tono da grande discorso impegnato «Di solito sono io che devo custodire Uther. O meglio, le bottiglie. Da lui. Cioè, l’inverso, praticamente.»

«Quali bottiglie? Erano dannate brocche. E voglio sapere sempre meno che diavolo c’era dentro esattamente…» borbottò Danny, prima di irrigidirsi, concertamente con Kumals, quando notarono più precisamente che Yuta stava di nuovo fissando loro due in particolare, in modo affatto placato.

Kumals si schiarì appena la voce. Sembrava avere la gola improvvisamente secca.

«Sceglile bene.» suggerì Uther a mezza voce, a mo’ di finto consiglio in confidenza, con aria assolutamente divertita «Potrebbero essere le tue ultime parole.»

Kumals gli lanciò una breve occhiataccia, prima di rivolgere a Yuta di nuovo un sorriso stentato, e cambiarlo di lì a un frammento di secondo con un’aria che tentava di essere più seria e impegnata. 

«So come potrebbe sembrare…» esordì. Gli occhi di Yuta praticamente fiammeggiarono. «Come può sembrare, ma non è. Abbiamo avuto una proficua discussione su cose serie che ci riguardano tutti.» si affrettò ad aggiungere Kumals.

«Questo è vero! Ad esempio sull’omofobia, che è spaventosamente ancora troppo, troppo diffusissimissima anche tra mezzi lupi!» affermò Bree con entusiasmo battagliero.

Kumals strinse le labbra per un intenso momento, mentre Malk decideva definitivamente di tappare la bocca con una mano a Bree e di distrarlo dal suo cercare di parlare ancora mormorandogli qualcosa senza interruzione.

«E.» proseguì ancora in fretta Kumals «Abbiamo trovato la nostra Nickj, qui. La quale…»

Nickj sbuffò scetticamente. «Sono io che ho trovato voi.»

«La quale.» proseguì imperterrito Kumals «Dopo aver passato un periodo molto terapeutico in compagnia di Valentine e di animali appena appena un po’ troppo viziati…» 

Yuta incrinò pericolosamente un sopracciglio, Nickj lanciò uno sguardo scorbuticamente scettico verso Kumals, e gli altri – tranne un Bree troppo ubriaco per prendere sul serio la situazione – temettero il peggio.

«Ha deciso di darci una mano. Quindi…» tentò di proseguire Kumals, sfoggiando il massimo delle sue capacità più rabbonenti e convincenti.

«Al massimo di collaborare, per pura coincidenza di circostanze.» corresse comunque Nickj.

«Siamo comunque ancora due a uno, riguardo al reclutare alleati.» osservò Uther.

«Okay. Ora ne ho abbastanza. Non sei affatto di aiuto, Uther.» Kumals gli dedicò un’altra occhiataccia.

E Yuta iniziò definitivamente a urlare. «Tu? Tu ne hai abbastanza?!» sbraitò, afferrandolo per il collo dei vestiti con un pugno ferreo, sembrando seriamente sul punto di strangolarlo a mani nude di lì a poco.

«Non è stata una mia idea, lo giuro!» esclamò Danny nervosamente e istintivamente.

«Ma abbiamo un piano ora!» buttò fuori Kumals precipitosamente.

Yuta si fermò un momento, fissandolo tra le palpebre assottigliate, e molto da vicino. Calò un improvviso silenzio collettivo e sospeso. Poi, Uther sghignazzò appena, chiaramente senza credergli per nulla, mentre Ramo e Andrea lo fissavano incerti. Yuta lanciò una rapida occhiata scrutinizzante verso Danny – che aveva l’espressione che la diceva lunga a proposito di come fosse convinto che Kumals avesse appena commesso un madornale errore di tattica – Nickj – che scosse appena la testa con una smorfia significativa – e Malk – che sospirò enormemente.

«Cosa? Davvero?!» esclamò Bree, placidamente incredulo e strabiliato.

«Ma certo che…» fece per proseguire Kumals.

«Kumals.» avvertì Yuta, praticamente tra i denti, perforandolo con lo sguardo.

«Lo abbiamo.» annuì lui, con aria da garantirlo.

«O… vuoi dire che lo hai solo tu?» corresse Nickj, ancora assai scettica. «E sto superando ogni livello credibile di ottimismo. O pessimismo, se dici sul serio ed è un tuo piano, forse.»

«Non avrei saputo dirlo meglio, in effetti.» annuì Uther, come ammettendo suo malgrado una totale condivisione su quel commento.

«E va bene…» Yuta prese un sospiro molto profondo, e lasciò andare Kumals, incrociando le braccia sul petto. «Hai un minuto. Non un secondo di più.»

«Grazie…» disse Kumals, lasciando finalmente andare Danny per sistemarsi ostentatamente gli abiti stropicciati dalla presa micidiale di Yuta. Danny gli dedicò un’occhiataccia nel constatare che, pur barcollando sul posto, dopotutto Kumals riusciva effettivamente a tenersi in piedi da solo, come aveva sospettato.

«E, comunque, voi due siete terribilmente sabotanti per l’umore della squadra.» commentò Kumals, schioccando le labbra in modo disapprovante mentre lanciava un’occhiata a Uther e Nickj.

«Hey.» richiamò in tono lapidariamente serio Yuta, schiocchiandogli le dita ad un millimetro dalla faccia. «Prima di tutto devi convincere me. E intendo, convincere davvero

«Beh, in realtà deve convincerci tutti, no? Insomma, siamo tutti dentro questa roba, dico bene? Con entrambi i piedi. O tutte e quattro le zampe.» puntualizzò Bree, in tono apparentemente serio nonostante il suo biascicare, e nonostante una certa risatina finale.

Yuta gli dedicò un breve sguardo come di serio avvertimento sul tacere un momento. Ma Malk si mosse un poco sul posto e con una smorfia praticamente di scusa. «Effettivamente…»

«Non so se potrebbe mai convincermi di qualsiasi cosa, sinceramente.» disse Nickj.

Yuta roteò gli occhi, prima di piazzare nuovamente un ferreo sguardo dritto in faccia a Kumals. «Giusto, mi correggo. Convincerci tutti

«E tutte.» puntualizzò Bree, alzando un indice. Malk tornò a tappargli la bocca con una mano, con fare abituato e praticamente automatico.

Kumals sorrise con aria soddisfatta e lo sguardo piuttosto scintillante di convinzione. «Oh, lo farò.»

«Solo per chiarirlo subito, io non lo trascino, il suo cadavere.» commentò spassionatamente Uther a mezza voce, perlopiù all’indirizzo di Andrea e Ramo ancora fermi di fianco a lui.

«In realtà… Il piano è di Uther e Bree.» annunciò Kumals.

Lo sguardo di Yuta si indurì particolarmente, e Danny si agitò nervosamente sul posto.

«Se questo è un patetico tentativo di darmi la colpa…» iniziò a ribattere Uther.

«Sul serio?! Uao! Lo sapevo che alla fine avresti capito che le mie idee erano ottime!» si entusiasmò Bree «E che non sei una persona così terribile come sembri all’inizio.»

Yuta lanciò uno sguardo praticamente di richiesta a Malk, che annuì concordemente e fece per tornare a tappare la bocca di Bree, il quale tuttavia mosse stavolta la testa per evitarlo, sebbene molto scordinatamente. «Hey, andiamo, sono io che ho avuto il piano!»

«Siamo tutti morti. Ora ne sono certa.» commentò Nickj. «E, Malk, grazie per essere, sì insomma, ancora abbastanza sobrio.»

«Oh, ora sembra tutto… serio e così. Ma non l’avete mai visto da ubriaco. Tutta un’altra storia, ve lo garantisco.» sghignazzò affettuosamente Bree, come se ne fosse fiero.

«Anche se lo fossi, sarei comunque quello che sta sorreggendo te per evitare che ti spiaccichi sull’asfalto di naso, tesoro.» ribatté tranquillamente Malk.

«L’ho già detto che mi fate rimpiangere di essere felicemente single, vero?» disse Kumals.

«Il piano. Ora!» praticamente urlò Yuta. 

Alcuni dei passanti, che sciamavano attorno all’isoletta di persone riunite ferme in mezzo alla strada che ormai formavano, le dedicarono rapide occhiate prima stupite, poi abbastanza allarmate da testimoniare un loro pronto auto-convincimento a starle alla larga per sicurezza.

Kumals tornò a guardarla e a irrigidirsi in una posa che voleva perlomeno sembrare abbastanza seria per la situazione. «Giusto. Come stavo dicendo, si tratterà di una perfetta combinazione di elementi diversificati e tra di loro ingranati perfettamente a formare una complessiva arma rivolta precisamente verso i punti deboli dei mezzi lupi.» disse, praticamente tutto d’un fiato, e con impressionante scioltezza nonostante un certo leggero biascicare.

Yuta inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia sul petto con aria sempre meno paziente.

«Se stiamo parlando di armi da fuoco…» iniziò a puntualizzare Nickj.

«Kumals.» avvertì Yuta, impietosamente.

«In breve, e semplificando molto ma molto, un incendio controllato del bosco, unito ad un accerchiamento strategico, trappole mirate e accuratamente posizionate, e ad un apparato acustico ad hoc.» elencò Kumals.

Seguirono alcuni istanti di denso silenzio.

«Okay, ora è morto.» disse piano Uther, con convinzione.

«Un… incendio controllato?» ripeté Nickj, inarcando al massimo le sopracciglia.

«Oh, quella è stata un’idea di Uther.» Kumals indicò il nominato come se volesse semplicemente riconoscere dei meriti in modo illustrativo.

«Io… No.» disse semplicemente Uther. «Cioè, non perché tecnicamente non ne sarei perfettamente in grado, ma…»

«Uther. No. Andava benissimo la prima risposta.» specificò Yuta in tono ancora lapidario, senza smettere di perforare Kumals con lo sguardo.

«Visto? Perfettamente in grado, cito testualmente. E direttamente.» annuì Kumals con convinzione.

«Oh! La parte delle trappole è la mia parte del piano?» si entusiasmò Bree.

«Corretto.» concordò Kumals, annuendo ancora.

«Accerchiare il loro attendamento?» buttò fuori Danny. L’unico pensiero che lo consolava era che quella doveva essere un’improvvisazione di Kumals in un improbabile tentativo di non farsi spellare sul posto da Yuta. Era una strategia terribilmente priva di contorta intelligenza per essere di Kumals, tuttavia, conoscendolo. E di colpo corrugò la fronte e spalancò gli occhi, fissando Kumals incredulo. «Oh, no no no…»

«Cosa…?» fece Ramo, confuso.

Andrea, terribilmente preoccupata, scosse la testa come se volesse istintivamente rifiutare tutto quello anche fisicamente. «Kumals non proverebbe mai a cercare di evitare in questo modo le… rimostranze di Yuta se non… Se non fosse che…»

Ramo capì cosa stava per dire appena prima che Yuta trasecolasse e quasi strillasse incredula «Aspetta un momento! Vuoi dire che questo è veramente il tuo piano??»

Kumals sorrise di sghembo, gli occhi nuovamente brillanti per un breve ma intenso momento, di pura soddisfazione. «Di nuovo… Corretto.»

Calò un breve ma corposo silenzio. Prima che cominciassero quasi tutti a parlare, praticamente sovrapposti.

«Assolutamente no.» sancì Danny.

«Okay, dovremo prendere in esame le varie componenti per accertarci che siano tra loro perfettamente compatibili, e…» iniziò Kumals.

«No a tutto quello che hai detto.» quasi urlò Danny con convinzione.

«È un piano suicida.» commentò Nickj, sinceramente basita.

«Già lo adoro.» giulivò Bree, mentre Malk sospirava pesantemente e si passava una mano sulla faccia.

«Io non credo proprio che…» iniziò a dire Andrea.

«A me sembra una totale follia.» scosse la testa Ramo.

«Non che non abbia un certo potenziale affascinante, a suo modo, ma… Devi averla presa veramente brutta, stavolta, la sbronza.» stava dicendo Uther.

La cosa più preoccupante, era comunque che Yuta non stava invece dicendo più niente. E non perché sembrasse ancora sul punto di stare per strangolare Kumals, ma perché sembrava stesse riflettendo e considerandone l’espressione con attenzione.

«E va bene, sì, lo so.» Kumals alzò le mani con fare placante. «I piani più sfavillantemente audaci richiedono molto, specialmente nella fase di accettazione, e sorvolando sulla pianificazione di base, ma questa parte l’ho già sviluppata io, quindi…»

«Categoricamente no.» esclamò ancora Danny, guardandolo come se si fosse definitivamente convinto che doveva essere impazzito.

«Quindi, ne parleremo. E a lungo. E saranno necessari opportuni approfondimenti e calcoli. Ma ora, se volete scusarmi, ho bisogno giusto di un momento.» annunciò Kumals.

E mentre gli altri lo guardavano con scettica incredulità, lui fece un gesto di sommario congedo elegante, e barcollando si allontanò di diversi passi, per raggiungere l’imbocco di un vicolo laterale e stretto che si intravedeva a malapena lungo la strada. Lì si fermò, e spostando accuratamente i lembi del pastrano con una mano, si appoggiò con l’altra al muro per chinarsi in avanti e vomitare.

«Ecco. Mi sembra un commento ancora più adeguato al suo cosiddetto piano.» disse Nickj.

Yuta sospirò pesantemente e si strinse un momento la base del naso tra due dita. «D’accordo. Prima di tutto, torniamo a casa. E quando avrete smaltito abbastanza quello che avete bevuto, ne riparliamo.»

«Parlare di cosa?» replicò Danny, sembrando quasi nevrastenico. Perché ormai conosceva fin troppo bene la fase di sviluppo dei cosiddetti ‘piani’ dei 4 di picche. Ma non si era mai trattato prima di… «Yuta, quelli sono mezzi lupi, d’accordo?»

«Danny.» ricambiò lei, con aria seria e decisa «Prima torniamo a casa.»

Lui strinse appena le labbra, e scosse la testa nervosamente ma distolse lo sguardo. «Okay, ma io l’ho trascinato fino a qui, quindi chiedo il cambio.»

Dalla sua espressione, Andrea intuì che lui fosse al momento troppo irritato con Kumals per vedere di buon occhio il doverlo sorreggere ancora lungo la strada. «Potrei…»

«No.» disse con calma Yuta. «Troppo pesante. E non mi riferisco al suo peso fisico.»

«Io…» iniziò a dire Ramo, incerto.

«Non contate su di me. Non so se avrei i nervi per reggerlo fino al posto. E non intendo neanch’io fisicamente.» si tirò prontamente indietro Nickj.

«Per la miseria. Lasciate perdere.» Yuta sospirò stancamente e si girò andando di fronte a Uther. «Abbiamo un nostro modo per queste situazioni.»

Uther iniziò a fare una smorfia svogliata. «Ma…»

«E questo è il minimo per aver tirato fuori un’idea come quella di un incendio controllato.» disse Yuta in tono definitivo, guardandolo significativamente.

«Che nessuno di noi… voi… farà mai, giusto?» puntualizzò Nickj.

Suo malgrado, nessuno le rispose, a parte sonore imprecazioni di Danny che si avviò rabbiosamente per precederli. Andrea rimase un momento incerta, si scambiò uno sguardo con Ramo, e alla fine loro due lo seguirono.

I tre mezzi lupi rimasti si trattennero giusto qualche momento di più, guardando Uther che si arrendeva con un lamento e sporgeva la mano davanti a sé, rispecchiando Yuta che stava già facendo altrettanto. 

«Ne voglio tre.» stabilì Uther.

«Andata.» concesse Yuta.

Si giocarono tre colpi di sasso-carta-forbici, e Uther perse con un lamento ancora più sentito, prima di andare a recuperare Kumals per trascinarlo di peso fino all’appartamento.

«Bene. Almeno questa è sistemata.» concluse Yuta, spazzandosi sommariamente le mani, sembrando piuttosto qualcuna che è lieta di potersele metaforicamente lavare di un problema in meno.

Si rese conto che i tre mezzi lupi la stavano ancora fissando, e dedicò loro uno sguardo con un sopracciglio inarcato, come quasi sfidandoli – e invitandoli nel contempo – a esprimersi.

«Non sono abbastanza ubriaco per tutto questo. Non potrei mai arrivare ad esserlo abbastanza.» disse Malk.

«Siete una forza, sapete?» Bree le dedicò un sorrisone sbronzamente entusiasta.

«O, per dirla meglio, siete completamente pazzi. Lo sapete, vero?» disse Nicki.

Yuta annuì come a prendere atto delle loro opinioni, e si incamminò dietro ad un rimbrottante Uther che sorreggeva Kumals lungo la strada verso l’appartamento.

«Sottoscriverei ogni singola parola.» concordò. «Senza pensarci due volte.»



Soundtrack: Just another night (Ian Hunter)


Note per la letturaattenzione, sto pubblicando in una sola volta (lo stesso giorno) una mezza dozzina di capitoli. Lo dico perché se siete in qualche modo iscritti al sistema del sito che vi segnala automaticamente l’aggiornamento di questa storia, se non sbaglio vi invia direttamente all’ultimo capitolo, il ché significa che quando si pubblicano più capitoli insieme se seguite il link del sistema automatico finite all’ultimo saltando dei capitoli. A questo proposito, siccome non aggiorno da un (bel) po’, e per chi non ricordasse il numero/titolo dell’ultimo capitolo che avevo pubblicato e che aveva (eventualmente) già letto: l’ultimo capitolo che avevo pubblicato era il n° 60 (61 con la numerazione automatica del sito perché conta come n° 1 il cap. 0) ‘Wrong legends’, e ora sto pubblicando in una volta sola i capitoli dal 61 al 66 (da ‘Tre mezzi lupi entrano in un bar’ a ‘Then humour me’). Abbiate pazienza, copio-incollo questa nota in tutti questi 6 capitoli per (presumo) vostra utilità.

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Capitolo 65
*** 64 - Call it as you want ***


Capitolo 64

(Call it as you want)


Le luci naturali si stavano appena accendendo fuori, ma già con quell’esuberanza dell’alba della piena estate, e sembravano fin troppo da reggere per chi aveva i postumi di una discreta sbornia a base di sangria dispensata in brocche in un locale disposto per accogliere manciate di turisti con le preoccupazioni mondane in pausa forzata per l’occasione delle vacanze.

Kumals emise un sonoro e sentito lamento, vuotò con un sorso l’ennesima tazza di caffè, e quasi sussultò quando si accorse che c’era qualcuno che era scivolato praticamente in silenzio di fianco a lui. Si rese conto che era Mordecai, il quale gli stava porgendo la brocca del bollitore, piena di altro caffè.

«Oh, grazie, gentilissimo.» Kumals porse la tazza, che Mordecai gli riempì con un cenno del capo e un’impeccabile espressione tranquillamente gentile, prima di continuare il giro della stanza per fare lo stesso con chi altro gli porgeva la tazza vuota.

Kumals prese lentamente un altro piccolo sorso di caffè, del tutto strumentale a permettergli di studiare la stanza per un momento. Tutti gli altri erano riuniti, un po’ stretti, nella stanza principale dell’appartamento. E praticamente tutti lo stavano fissando, con varie espressioni di scarso entusiasmo, dubbio o timore, se non praticamente sfida o aperto scetticismo sarcastico.

Pubblico difficile, dunque. Non una novità.

Kumals trattenne un sorriso, e con ostentati calma e passo leggero - sebbene ancora un po’ incerto per la sangria - si fece strada fino alla vecchia ma solida poltrona che lo aspettava in un angolo. Si accomodò su di essa… e per poco non si scaravoltò insieme ad essa, quando traballò pericolosamente. Kumals riuscì a stabilizzare se stesso, più o meno la poltrona zoppa, e a constatare che perlomeno non si era rovesciato addosso il caffè. Ma c’era mancato poco. E la sua vecchia e affezionata poltrona non poteva più godere appieno anche di aggettivi riguardanti la solidità, a quanto pareva.

Kumals lanciò un’occhiata decisamente sospettosa verso Danny, Ramo e Uther.

«Siete proprio sicuri che nessuno di voi sa che cosa è successo alla mia poltrona…?»

Ramo distolse lo sguardo con aria piuttosto nervosa. Ma Uther schioccò la lingua nel suo finire di prendere un sorso di birra e scosse tranquillamente la testa. «Nah. Nessuna idea.»

Kumals assottigliò lo sguardo, fissando soprattutto lui ora.

Uther scrollò le spalle. «Tarli, magari?»

«Nel tuo cervello, probabilmente.» ribatté a ritmo serrato Kumals.

«Segatura, nel tuo.» ricambiò Uther con scioltezza e un leggero sogghigno divertito.

«Hem, ragazzi…» tentò Ramo, spiando di sottecchi l’espressione soprattutto di Yuta.

«Piantala.» sancì lei lapidariamente, fissando Kumals con perentorietà.

Kumals si finse piuttosto offeso. «Perché solo io? E Uther? E soprattutto, chi gli ha dato dell’altra birra?»

Uther inarcò le sopracciglia. «Me la sono presa. Non ho bisogno che…»

«Ramo, togli dalle mani di Uther quella birra.» istruì distrattamente Yuta.

Ramo esitò corposamente, guardando appena di sbieco Uther.

«Oh beh… Questo forse è persino un poco troppo crudele…» mormorò Kumals con apparente dispiacere empatico. 

Uther gli rivolse amichevolmente il dito medio. Poi notò l’espressione decisamente stanca e non per questo particolarmente meno potenzialmente omicida di Yuta, e con un enorme sospiro appoggiò la bottiglia di birra sul pavimento e alzò le mani. «Siamo a posto?»

«Lo saremo dopo che Kumals ci avrà spiegato meglio il suo piano.» specificò Yuta.

«Se così lo vogliamo chiamare.» borbottò assai cupamente Danny. Andrea, seduta accanto a lui, si sentì se non altro un po’ sollevata che ora almeno parlasse. Non aveva praticamente spiccicato mezza parola da quando erano tornati, o meglio, non in presenza di altri a parte lei.

«Chiamalo come vuoi…» Kumals agitò amabilmente una mano a mezz’aria, come a scostare un’inutile arzigogolamento di parole «Comunque lo è, un piano.»

«E ce n’è anche uno per evitare che quello che dovrebbe occuparsi dell’incendio controllato sia sbronzo marcio per allora?» chiese Nickj, decisamente ironica. Uther le lanciò una moderata occhiataccia, pur constatando il tono meno pungentemente aggressivo del solito.

«Il piano in questione comprende un incendio controllato, dunque?» si informò con educato interesse Mordecai.

Yuta nascose la faccia tra le mani. «È un piano ancora molto, molto in via di sviluppo.»

Kumals emise un lieve sornacchio praticamente offeso. «Non esattamente, in realtà ho già in mente tutti i diversi particolari. Dobbiamo solo… distribuirci i compiti e cose del genere.»

«O cambiare del tutto piano.» borbottò Danny, ancora deciso a fissare il pavimento con aria decisamente contrariata e chiusa con fare scostante, le braccia incrociate sul petto.

«Quindi hai avuto un’illuminazione.» sospirò Yuta esasperata all’indirizzo di Kumals, gettando le braccia per aria. «Al bar mentre vi ubriacavate. L’hai trovata sul fondo di un bicchiere o cosa?»

Kumals stavolta agitò appena una mano verso di lei con fare bonario, o piuttosto da imbonitore. «Aldilà del come e quando e perché, ho avuto occasione di riflettere su alcune delle proposte che erano già uscite…»

«Come la mia a riguardo delle trappole.» Bree rivolse uno sguardo particolarmente fiero a Mordecai, e Malk roteò enormemente gli occhi pur con un leggero sorriso affezionato. Mordecai annuì con la sua inincrinabile cortesia, ascoltando con attenzione.

«E ho osservato i nostri mezzi lupi.» continuò Kumals.

«Vostri?» ripeté Nickj con uno scetticismo debordante, mentre Malk inarcava decisamente le sopracciglia a sua volta.

«Insomma, avete capito…» Kumals svolazzò appena una mano come per accantonare altri dettagli inutili.

«No, per niente.» avvertì Yuta, fissandolo praticamente minacciosamente.

Andrea si schiarì la voce «Potresti solo, sai, provare a descriverlo? Iniziando dall’inizio, magari.»

Kumals le sorrise come se fosse un’intervistatrice che gli aveva appena rivolto proprio la domanda che voleva. «Ottimo, ecco qua allora.» esordì, come se non avesse aspettato altro che un invito vero e proprio. «Dunque, abbiamo un accampamento di mezzi lupi forsennati che vogliono scatenare un putiferio per la città durante la notte senza luna, fin qui ci siamo tutti. E quali sono i nostri vantaggi, per cominciare?»

«La follia spensierata?» provò Nickj, chiaramente ironica.

«No, un altro tentativo?» rispose Kumals.

«Kumals.» Yuta praticamente digrignò i denti. «Non siamo ad un maledetto quiz a premi.»

«Sappiamo il loro piano…» disse comunque Ramo, senza troppa convinzione.

«E quale sarebbe il vantaggio esattamente?» ribatté Nickj.

«Sappiamo dove si trovano, all’incirca quanti sono rimasti, e robe così.» offrì spassionatamente Uther. Kumals schioccò le dita verso di lui, e aprì la bocca. «Grazie a me e Ramo, soprattutto.» specificò Uther, precedendolo.

«E sappiamo come sono organizzati, grazie a… beh, loro. Visto che erano… con loro, prima.» disse lentamente Andrea, occhieggiando verso Nickj, Malk, e Bree.

«Il peggiore errore della mia vita.» confermò Bree, annuendo spassionatamente.

«Siamo… noi, il vostro vantaggio.» disse di punto in bianco Malk, come se lo avesse appena realizzato, guardando Kumals con lo sguardo un po’ spalancato.

«Prego?» fece Yuta, confusa.

Ma Kumals stava annuendo con apprezzamento. «Il nostro vantaggio.» corresse comunque.

«Lui stava dicendo che ci ha… osservati.» spiegò Malk a Yuta, che stava rivolgendo un altro sguardo accusatorio all’indirizzo di Kumals «Quindi… praticamente, per concentrarsi sui punti deboli di un mezzo lupo…»

«O mezza lupa.» corresse automaticamente Bree.

«E sfruttarli.» terminò Malk, senza nemmeno sprecarsi a roteare nuovamente gli occhi.

«Ah, okay.» sospirò Ramo, in tono decisamente sollevato. «Quindi non stavamo dicendo di sfruttare il fatto che alcuni di noi sono mezzi lupi contro altri mezzi lupi…»

«Oh, a questo ci arriveremo dopo.» disse con calma Kumals.

«Ne dubito.» praticamente sibilò Danny, concentrando un’occhiata perforante su Kumals, e facendo calare per un momento il gelo nella stanza.

Kumals lo ricambiò con uno sguardo fermo ma tranquillamente aperto e improvvisamente serio. «Posso finire di presentarlo, il mio piano, prima di eventuali rimostranze?»

Danny non rispose, se non per un lapido lampeggiamento del suo sguardo alterato, prima di rivolgerlo di nuovo al pavimento, e continuò a esalare una densa aura di compatto disaccordo incupito.

Dopo qualche momento di silenzio, Nickj si azzardò ad emettere un leggero verso scettico. «Comunque, è un’assurdità. I mezzi lupi non hanno punti deboli, non per degli esseri umani perlomeno.»

«E questo non sarebbe razzista?» Kumals rivolse a Bree le sopracciglia sollevate.

«Tutti abbiamo delle cose su cui lavorare ancora.» alzò le spalle Bree.

«Orbene, comunque…» proseguì rapidamente Kumals, notando un’altra occhiata più omicida che esortante da parte di Yuta «Qui ti sbagli Nickj.» E sorrise con una soddisfazione sibillina che gli illuminava lo sguardo. «A parte il fatto che anche voi siete stati esseri umani prima di tutto, cioè. E che lo siete ancora in buona parte, per metà circa almeno o giù di lì. Comunque, è la prospettiva che è sbagliata. Basta volgere il tipo di competizione a proprio vantaggio, e si possono esaltare i propri punti di forza e quelli di debolezza degli avversari.»

«Quindi a cosa vorresti sfidare dei mezzi lupi, esattamente?» ritorse lei, con un tono appunto praticamente di sfida.

Kumals si appoggiò allo schienale della sua pericolante poltrona con aria sornionamente soddisfatta per la domanda. «Quello che i mezzi lupi hanno sicuramente di maggiormente risvegliato e attivato rispetto ai non, è il loro istinto. E i loro sensi in generale. Perciò sfrutteremo quelli. A nostro vantaggio, ovviamente.»

«Potremmo passare… dalla parte teorica a quella pratica? E concreta?» osservò Malk, corrugando la fronte. Yuta sospirò con un debole sollievo, ormai sapendo che difficilmente poteva bastare così poco per portare i discorsi di Kumals al sodo, non quando lui non voleva ancora arrivarci perlomeno.

Kumals tuttavia sorrise amabilmente e annunciò «Prima di tutto, li precederemo sul tempo. Ovvero, non aspetteremo la notte senza luna, ovviamente.»

«Perché… vogliamo coglierli di sorpresa?» tentò Ramo, decisamente ancora dubbioso.

«Bingo. E non solo. Sicuramente nessuno penserà che la nostra opzione migliore sia quella di affrontare un branco di mezzi lupi nella notte senza luna.»

«E con cosa, esattamente, li prenderemmo di sorpresa?» chiese Andrea, concentrata ma non particolarmente più convinta.

«Oh beh.» Il sorriso di Kumals si accentuò. «Uno spettacolo in piena regola.»

«Uno spettacolo.» ripeté significativamente Yuta, inarcando terribilmente un sopracciglio.

«Certo. Fumo, luci, musica, effetti speciali e tutto il resto.» annunciò Kumals agitando un po’ le mani come a dipingere un quadro teatrale in piena regola d’arte.

«Per colpire i sensi più sviluppati! Fin qui ha senso.» annuì Bree. «Okay, ora sì che ti seguo amico. Ma le trappole?»

«A quello ci arriverò.» promise Kumals facendogli l’occhiolino.

Nickj fece un sornacchio scettico «Sensi più sviluppati significa anche saper distinguere tra qualcosa di finto o vero, genio.» notò.

«Beh, non sarà proprio tutto finto finto. L’incendio, ad esempio, sarà vero.» ribatté placidamente Kumals.

«Non stiamo dicendo che… daremo fuoco all’accampamento con tutta quella gente dentro, vero?» puntualizzò Malk, acutamente preoccupato.

«Cosa? No. Prima di tutto, Uther farà in modo che l’incendio sia perfettamente mirato a produrre semplicemente uno stato di allarme e scompiglio.» spiegò Kumals, dopo aver fissato per un momento Malk come se stesse delirando. «Insomma, per cominciare semineremo un po’ di panico…»

«Quindi, faremo agitare e spaventare un intero branco di mezzi lupi…» disse piano Ramo.

«Sì, lo so. Esalteremo la loro parte peggiore, per così dire, come quella di tutti in effetti. Niente di buono da aspettarsi quando la gente va nel panico. Ma nel caso di mezzi lupi, potremo aspettarci che - in questo ne convengo, probabilmente più intelligentemente ed efficacemente degli esseri umani e basta - ricorrano all’istinto di sopravvivenza.»

«Vuoi metterli in fuga.» specificò Yuta, ancora decisamente scettica. «Con un incendio.»

«Beh, il fuoco sarà vero, ma quello che useremo sarà essenzialmente il fumo.»

«Come con le api?» Uther dedicò a Kumals un’occhiata chiaramente provocatoria.

«Non è male…» commentò Bree con aria riflessiva «Ma sai, non credo basterà.»

«Per questo c’è dell’altro, giusto?» notò Malk.

Kumals annuì. «Naturalmente, ho detto spettacolo in piena regola, giusto? Bene, aggiungeremo rumori e luci, naturalmente. Il tutto praticamente per far loro credere…»

«Di essere sotto attacco.» completò Andrea, mordendosi le labbra. «Ma questo non li spingerà a lottare? Non fa parte anche questo dell’istinto di sopravvivenza?»

«Giusto.» annuì Kumals «Ma tutto questo dovrà essere strutturato non per farli sentire - o meglio fargli percepire - di essere in trappola. In altre parole, non un accerchiamento, ma piazzando il tutto in modo da minacciare da un solo lato e lasciare chiaramente una enorme, magistrale, chiarissima via di fuga aperta. Con la saggezza che dicevamo tipica dell’istinto non umano, la tendenza sarebbe quella di scegliere la fuga piuttosto che di buttarsi contro ad un indeterminato qualcuno o qualcosa che sta attaccando usando quello che faremo loro credere essere un arsenale infernale.»

«Scatenare l’inferno, praticamente.» ridacchiò Bree, piuttosto entusiasta, come se stesse visionando la sua scherzosa vendetta perfetta. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa e mise su il broncio «Hey, ma le trappole quindi?»

«Beh, non pensavo a trappole convenzionali, ma tipo luci a trappola. E magari anche casse acustiche ad attivazione a trappola col movimento. Ora, non sono del tutto sicuro che si dica così, comunque…»

«Non si chiamano così.» confermò Andrea.

Kumals concentrò lo sguardo su di lei. «Eccoci qui. Abbiamo qualcuno che sa di cosa parla. O meglio, di cosa parlo.»

«Come?» Andrea sbatté le palpebre. Danny spostò impercettibilmente lo sguardo come per sorvegliare cosa stava per dire Kumals.

«Arte e cose simili. Quindi, dovresti… potresti?… essere in grado di allestire un po’ di trucchi di luci e suoni? Specchi per le allodole insomma. No, cancella questa definizione, è l’esatto opposto in effetti. Qualcosa che si attivi a comando, preferibilmente molto a distanza o in base al movimento in avvicinamento, e crei un gioco atto a dare impressioni e spavento inducendo a scappare, insomma.»

«Io…» Andrea esitò un momento, riflettendo, poi annuì. «Potrei riuscire ad allestire qualcosa. Magari dovrei fare qualche chiamata a qualche amica, ma…»

«Vorrebbe dire che dovrebbe avvicinarsi all’accampamento per piazzare tutta questa roba?» si informò Danny, tirandosi più su dritto a sedere e fissando Kumals ora direttamente, e assai cupamente.

«Troveremo il modo di farlo il più in sicurezza possibile.» promise Kumals, ricambiandogli lo sguardo con calma serietà.

Danny scosse la testa. «Penso che dovremmo lasciare perdere queste assurdità. Il modo più ovvio di…»

«No.» disse Andrea.

Danny la guardò stupito. «Ma non ho ancora detto nient…»

«Infatti, niente da fare.» annuì Kumals concorde.

«Ma non sapete nemmeno cosa stavo per dir…» tentò di protestare ancora Danny.

Yuta roteò gli occhi. «Okay, qui nessuno farà il kamikaze, in nessun piano o sedicente tale. Tanto per cambiare un po’.»

Danny fissò stupito anche lei, quindi si corrucciò e borbottò scontrosamente qualcosa di simile a un «Non era affatto quello che stavo per dire…»

«Comunque, tutto questo piano praticamente… escluderebbe uno scontro fisico diretto con loro, giusto?» chiese Andrea, guardando Kumals con attenzione, ma lanciando anche a Danny poi un’occhiata significativa.

Kumals le sorrise ampiamente e annuì. «Precisamente.»

«Convengo che potrebbe essere una saggia scelta tattica, evitare questo aspetto.» notò Mordecai. «E, nel caso approvassimo questa idea generale, potrei dare una mano con quelli che potremmo definire effetti speciali, Andrea.»

«Oh. Beh, grazie.» Lei lo guardò un po’ stupita, e si guardò bene dal fare una domanda che sembrava esserle sorta sulla punta della lingua. Così come stavano evidentemente evitando di fare anche Ramo e Uther. La domanda riguardava pressappoco quanto il necromante fosse in effetti in familiarità con il mondo dello spettacolo perché… ne utilizzava gli artifizi nelle sue sedute, magari.

Kumals stava già per proseguire, quando notò che Mordecai stava riaprendo la bocca e chiuse la propria, con rispetto e soprattutto vivido interesse attento.

«A dire la verità, anch’io mi sono permesso di osservare un aspetto che potrebbe essere interessante da rivolgere a nostro vantaggio in questo frangente, a riguardo dei mezzi lupi.» disse con calma Mordecai.

«Che… sarebbe?» chiese Ramo, con una smorfia incerta, come se non fosse sicuro di volerlo sapere, mentre i mezzi lupi presenti nella stanza lanciavano a Mordecai caute occhiate più o meno soppesanti, incerte, o nettamente infastidite.

«Non ho potuto fare a meno di notare, nel corso della visita di Danny presso il mio studio di ricevimento, che i mezzi lupi sembrano non avere quello che si potrebbe definire un buon rapporto con ciò che non riescono a definire né come propriamente ‘vivo’ né come propriamente ‘morto’.»

«Con che cosa?» chiese Bree, fissandolo ad occhi piuttosto strabuzzati.

«Di che cosa sta parlando?» Nickj rivolse a Danny uno sguardo scettico.

«Carino. Puoi evocare una specie di esercito di fantasmi o roba simile?» chiese Uther, con tono da conversazione sul più e il meno, e una certa ironia.

Malk stava spostando dall’uno all’altro un’espressione decisamente perplessa. «È una specie di scherzo o…?»

«Oh no, niente del genere.» Mordecai stava rivolgendo un tenue sorriso gentilmente divertito alle parole di Uther. «Ma penso che la signorina Azaziel, e forse qualcun altro dei miei clienti più affezionati, potrebbe accettare la mia richiesta di un aiuto. Una loro vaga comparsa e presenza sul posto potrebbe essere sufficiente a mettere in difficoltà diversi dei mezzi lupi, suppongo.»

«Con questo… stai comprendendo anche quelli qui presenti, temo.» notò Ramo, lanciando di sbieco un’occhiata a Danny, il quale era appena stato involontariamente percorso da una serie di ravvicinati brividi freddi di disagio lungo tutto il corpo.

«Oh, beh…» Mordecai assunse un’espressione sinceramente dispiaciuta, e corrugò riflessivamente la fronte, come cercando altri particolari per perfezionare la sua proposta.

«Splendido. E quasi sicuramente il contributo di svolta.» si complimentò Kumals soddisfatto, con un certo modo gentile e composto che sembrava riservare solo a Mordecai, come se fosse un serio collaboratore indipendente che meritava - o richiedeva - di essere trattato con pieno rispetto.

«Giusto per essere sicura, non stiamo parlando di coinvolgimento di… ouff, “civili” che possono riportare ferite diciamo molto “fisiche”, giusto?» specificò Yuta, articolando le virgolette con movimenti delle dita a mezz’aria, e roteando un po’ gli occhi come se lo trovasse stupido per quanto suo malgrado forse necessario.

«Si può sapere di che accidenti state parlando?» Si informò Nickj, incrociando le braccia sul petto con aria ancora più scettica.

«Fantasmi.» accennò tranquillamente Uther.

«Come scusa?» Malk aveva una smorfia incerta, come se fosse ormai pienamente convinto di non stare cogliendo una specie di scherzo tra di loro.

Uther sbuffò e si grattò distrattamente la nuca. «È un trucco, una specie. Lui può fare dei trucchi per fare apparire dei fantasmi molto credibili.» disse infine, lanciando uno sguardo significativo a Mordecai, cercando di comunicargli che lo stava dicendo solo per non fare ulteriormente innervosire - nel caso di Danny - o ulteriormente incredulizzare - nel caso degli altri tre - i mezzi lupi presenti.

«Uao. Cioè, sul serio signore, mitico.» Bree lanciò uno sguardo ammirato a Mordecai, il quale agitò appena la mano in un composto gesto come a scacciare elegantemente il complimento per modestia.

«E questo dovrebbe ingannare dei mezzi lupi?» disse Nickj con un verso scettico. «Noi ci basiamo principalmente sull’olfatto, non sulla vista, tanto per cominciare.»

«Ah, per quello ci sarà il fumo dell’incendio…» intervenne Kumals.

«Controllato.» sottolineò Yuta severamente.

«Dell’incendio assolutamente controllato.» proseguì scioltamente Kumals. «Quindi, con il senso dell’olfatto impossibilitato giusto quel tanto, costringerli a finire preda degli altri sensi, per quanto sviluppati, e quindi farsi spaventare anche da luci, suoni, eccetera eccetera, sarà il naturale proseguo del nostro piano perfettamente ingranato.»

«Quindi, come volevasi dimostrare, voi non date veramente la caccia a cose soprannaturali e simili, vero? Voi… li create.» Malk stava lanciando un altro sguardo piuttosto sospettoso a Mordecai.

«Sì. Cioè, no. Beh…» Kumals si impappinò un momento.

«Dipende dalle circostanze.» optò per dire Uther distrattamente.

«No.» Kumals corrugò la fronte. «Insomma, comunque sentirlo dire da un vero e proprio mezzo lupo è… come dire, qualcosa.» sembrò non trovare alla fine di meglio da ribattere, piuttosto infantilmente.

«Hey!» Protestò vivamente Bree.

«Quindi, praticamente siete degli impostori.» sogghignò Nickj, con una certa soddisfazione da chi pensa di poter avere l’ultima parola su una questione, finalmente.

«Come che sia, a seconda delle circostanze…» Kumals finì per alzare le spalle, e per riprendere suo malgrado le parole di Uther, prima di recuperare anche uno dei suoi sorrisi smaccatamente sornioni. «Ma sappiamo essere molto convincenti, quando occorre.»

«Di solito sappiamo esserlo con degli esseri umani. Con dei mezzi lupi… non ci abbiamo mai provato prima.» sottolineò Danny, in tono ancora piuttosto incupito.

«Beh, tu sei qui, no?» ribatté Kumals, sorridendogli. Danny distolse lo sguardo roteando gli occhi ed emise un sommesso lamento di protesta. Nickj sbuffò divertita, e Kumals guardò lei. «Oh, e anche voi tre, naturalmente.»

«Non è ancora detto che ci resterò molto a lungo, chiariamo.» obbiettò lei, inarcando un sopracciglio.

«E noi… beh, non avevamo molte alternative.» Malk scrollò una spalla.

«Oh, io mi sto divertendo un sacco! Non vedo l’ora di dare a quegli idioti il fatto loro!» esclamò invece Bree.

«Moriremo tutti…» borbottò Ramo tra sé e sé, prima di rendersi conto di essere stato udito, e guardare in giro per la stanza con un certo imbarazzo. «Hem, insomma, tu vuoi dare sul serio… fuoco al bosco?»

«Suvvia… non dare fuoco a tutto quanto, giusto un… com’era che si diceva? Sì, ecco, un incendio controllato.» corresse Kumals, con aria pazientemente rabbonente.

«Controllatissimo.» disse Yuta, scandendo praticamente ogni singola lettera in tono micidialmente serio.

«Uther?» Kumals indicò verso il nominato con un leggero svolazzo della mano, come invitandolo formalmente a parlare.

«Si può fare.» offrì lui, scrollando appena le spalle. «Non facile, ma fattibile, in via generale.»

«In via generale…» ripeté Malk, con aria decisamente preoccupata.

«Che dovrà essere così perfettamente controllato che non rischierà minimamente di dare fuoco a tutto quanto il bosco, né di intaccare Tairans.» Yuta lo risottolineò perentoriamente, fissando Kumals e Uther con l’aria di qualcuno che abbia appena deciso di aggiungere altri dieci volte i loro nomi sulla sua personale lista nera.

«Ah, sì, quello ce lo terremo per più avanti, giusto Uther?» disse amabilmente Kumals en passant, con un leggero sospiro nostalgico e quasi sognante a bella posta. «Com’era? Bruciare direttamente la città. Beh, immagino sarà per quando saremo dei noiosi vecchi in pensione in vacanza.» Per un momento Kumals si trovò fissato con occhiate molto varie da tutto il resto della stanza, qualcosa che andava dall’inorridito all’omicida, passando per il divertito e il sarcastico. Kumals si schiarì la voce. «Comunque, come dicevo, tra il fumo e le fiamme il meglio che sarà suggerito all’istinto di ogni mezzo lupo, e che quindi diventerà praticamente imperativo, sarà di mettersi in fuga. Inoltre, il fumo annebbierà il resto dei loro sensi sviluppati facendoli cadere preda più facilmente delle altre trappole di luci, suoni e quant’altro, e ci offrirà un’ottima copertura visiva. E odorifica.»

«Non per essere… insomma.» Malk sembrò optare per rinunciare a cercare un termine appropriato «Ma per quanto offuscati, i nostri sensi non sono… così facilmente ingannabili.»

«Beh, qualcosa sarà anche vero, tipo gli spari magari.» ragionò Kumals.

«Hey, no, aspettate un momento. Mica vorrete sparargli!» Bree spalancò gli occhi.

«No, naturalmente. Intendo sparare in aria. E nemmeno devono per forza essere tutti spari… Uther?» Kumals agitò di nuovo spassionatamente una mano verso di lui.

«Capito. Fuochi d’artificio.» annuì Uther tranquillamente.

«Oh, certo… Mancavano giusto quelli.» Ironizzò Nickj.

«E stiamo sempre parlando di una cosa molto… controllata, giusto, Uther?» risottolineò Yuta.

«Controllatissima.» Annuì di nuovo Uther.

«Oddio…» Yuta si nascose di nuovo la faccia tra le mani per un momento.

«Non ci stiamo… dimenticando di qualcosa?» fece di nuovo presente Malk.

«Badlands…» mormorò cupamente Danny.

«Non ce ne stiamo dimenticando affatto. Ma dopotutto, cos’è di Badlands che porta tutti quegli altri lì all’accampamento a non andarsene?» continuò imperterrito Kumals.

«La… paura di lui?» Tentò con incertezza Malk.

«Corretto. E che cosa vince la paura?»

«La… ragionevolezza?» tentò Ramo.

«Sbagliato. Beh, anche quella, ma ci mette più tempo, e noi non ne abbiamo abbastanza.» fece notare Kumals.

«Una… paura maggiore.» disse piano Andrea, riflettendo ad alta voce.

«Esatto.» confermò Kumals annuendo.

«Beh, non è che Badlands incuta proprio tutto questo timore, insomma, non come…» osservò Bree, prima di esitare un momento.

«Mara.» mormorò Malk, annuendo concorde.

«Problema rimosso, se non altro.» osservò Kumals.

«Comunque, quelli sono tipo degli invasati, okay? Cioè, tipo roba da setta praticamente.» insistette Bree.

«In altre parole, non è detto che proprio tutti quelli che sono rimasti all’accampamento non cerchino di resistere ad oltranza, contro ogni più logico senso, come farebbero degli affiliati di un culto, piuttosto che degli individui pensanti o perlomeno… guidati dall’istinto di sopravvivenza, insomma.» notò Yuta, corrugando la fronte e incrociando le braccia. «E con quelli come facciamo?»

«Beh, qui è dove viene la parte potenzialmente critica…» ammise Kumals, incrociando le mani e sospirando.

«Ovvero… la parte solo per i mezzi lupi…» elaborò Nickj, con tutta l’aria di stare intuendo più che bene.

«Hey, no.» obbiettò Andrea, con vivida preoccupazione. «Tutto questo piano si baserebbe proprio sull’evitare uno scontro diretto, o no?»

Kumals fece una smorfia piuttosto dolente. «Confermo, lo spirito generale è fare di tutto, e di più, per evitarlo il più possibile. Ma non possiamo escluderlo totalmente, purtroppo. Come effetto assolutamente collaterale, diciamo…»

«Come volevasi dimostrare…» borbottò Danny con vivido malumore.

«Quindi, indicativamente armi da fuoco per tutti i non mezzi lupi qui presenti, o qualcosa del genere.» annunciò Kumals.

«Soprattutto ‘qualcosa del genere’, visto che ne abbiamo tre in tutto.» osservò Uther «E siamo in sei non mezzi lupi.»

«Beh, ad ogni modo… Alzino la mano i non mezzi lupi che sanno usare un’arma da fuoco qui, grazie.» invitò Kumals. Oltre a lui, alzarono la mano Uther e Yuta. «Ottimo, e questo è quanto per la distribuzione delle armi da fuoco. Gli altri dovranno prendere posizioni più in retroguardia, il fumo comunque offrirà una buona copertura come abbiamo detto, e magari dietro la linea dell’incendio. Dopotutto, ci vuole qualcuno che lo tenga controllato, questo incendio…»

«Oh beh, certo… Alzi la mano chi ha mai avuto occasione di fare esperienza nel campo di gestire un incendio controllato.» ironizzò Yuta. Uther alzò di nuovo placidamente la mano. Yuta lo guardò assottigliando le palpebre. «Non voglio nemmeno sapere come o perché, giuro.» sospirò pesantemente.

«Uther, hai appena guadagnato un’eccellente classe di almeno due membri. Indicativamente Ramo e Andrea, direi.» annunciò Kumals. «Magari anche il caro Mordecai.»

«Non posso essere anch’io tra quelli che appiccano il fuoco e lo controllano?» chiese Bree, praticamente deluso.

«Bree… Noi siamo la squadra dei mezzi lupi.» gli ricordò Malk.

«Ah, giusto. Però questo è piuttosto…»

«Sì, razzista, okay.» Kumals roteò gli occhi «Per tornare a noi…»

«Io non sono di nessuna squadra, tanto per chiarire.» disse Nickj corrucciata.

Kumals le sorrise affabilmente. «Oh, sì che lo sei…»

«Tu dici?» praticamente lo sfidò Nickj.

«Okay, hai tempo fino a stasera per squagliartela, dopodiché sei della squadra, ci stai?» offrì Kumals amabilmente.

Nickj sornacchiò scetticamente. «Hey, guarda che non sono scema. Mi stai dicendo che se non sono dentro allora faccio la figura della codarda, per caso?»

«Hum… guastafeste, tuttalpiù?» riformulò Kumals.

«D’accordo, ascolta…» sospirò Andrea, rivolgendosi a Nickj con uno sguardo diretto e serio «So che non ho il diritto di dirlo o qualcosa del genere, ma li ho visti risolvere una specie di invasione di zombie, alcuni mesi fa…»

«Una cosa?» la interruppe lei, alzando un sopracciglio e fissandola come se pensasse che fosse impazzita.

«E… possono farcela!» insistette Andrea. «Anzi, possiamo farcela. O, almeno, abbiamo molte più possibilità tutti insieme che ognuno per i cavoli propri, non pensi…?»

Nickj esitò, e finì per distogliere lo sguardo. «Forse…» masticò di malavoglia.

«Il problema principale qui… beh, non il principale, magari fosse il principale, è che tutto questo richiede un bel po’ di pianificazione, e noi non abbiamo tutto questo tempo.» sottolineò Yuta.

«Sì, ci vorrà un bel po’ di olio di gomito. Non ho mai detto ‘facile’. L’ho forse detto?» disse Kumals.

«E per piazzare tutti questi… effetti speciali, dovremo aggirarci intorno all’attendamento senza farci scoprire.» rincarò Danny, grevemente serio.

«Beh, hum, potremmo approfittare di una… cosa.» disse lentamente Malk.

«Ovvero?» chiese subito Yuta.

«Ma certo!» esclamò Bree «La ricognizione generale!»

«La… cosa?» fece Ramo, confuso.

«Il piano originale di Mara, e ammesso che Badlands abbia ancora intenzione di rispettarlo, il ché potrebbe essere visto che è scarsamente creativo…» sbuffò Nickj «Era una specie di ricognizione per la città tre notti prima di quella senza luna.»

Malk annuì. «Quindi, praticamente dovrebbero essere tutti fuori dall’attendamento per qualche ora almeno, e…»

«Sarà lì che li fregheremo! Bam!» esclamò Bree.

«Oh. Questo sì che è un colpo di fortuna.» commentò Kumals sinceramente - e positivamente - sorpreso, prima di rivolgere un sorrisetto piuttosto compiaciuto a Yuta, la quale non mancò di ricambiare con un’occhiataccia.

«E voi ve la cavate soprattutto di quelli, vero?» provocò Nickj ironica.

«Assolutamente sì.» annuì Uther con solenne convinzione.

«Principalmente… sì.» sospirò Yuta.

«Saremmo tutti morti a quest’ora senza quelli.» commentò tetramente Ramo.

«Suvvia, bisogna avere notevoli doti per saper approfittare di ogni piega che prenda la sorte, e farne tesoro, e rivolgerle a proprio favore…» iniziò a ricamare Kumals.

«Se Badlands per qualche motivo cambia il piano, siamo spacciati.» disse cupamente Danny.

«E perché mai dovrebbe? Mi sembra un ottimo piano!» obbiettò Kumals «Okay ragazzi…»

«E ragazze.» completò Bree.

«Passiamo alla prossima parte.» proseguì Kumals come se non l’avesse nemmeno sentito «Bandane e occhialini da piscina per tutti!»

«Cosa…?» Ramo lo guardò confuso.

«Per il fumo dell’incendio.» spiegò tranquillamente Uther.

«Controllato!» sancì di nuovo Yuta.

«Controllato.» concesse Uther.

«Per fortuna siamo in una città di mare in piena estate. Coraggio, questa parte non sarà affatto difficile!» esortò Kumals affabilmente.

«E sarà l’unica…» mormorò Ramo, fissando il pavimento ad occhi spalancati «Non difficile. O praticamente impossibile.»

Kumals lo contemplò per un momento. «Sul serio, Ramo. La prossima volta dovresti proprio uscire con noi. Ti vedo parecchio giù di morale.»

«Chissà come mai…» commentò Nickj.



Soundtrack: Settin’ the woods on fire (Hank Williams)


Note per la letturaattenzione, sto pubblicando in una sola volta (lo stesso giorno) una mezza dozzina di capitoli. Lo dico perché se siete in qualche modo iscritti al sistema del sito che vi segnala automaticamente l’aggiornamento di questa storia, se non sbaglio vi invia direttamente all’ultimo capitolo, il ché significa che quando si pubblicano più capitoli insieme se seguite il link del sistema automatico finite all’ultimo saltando dei capitoli. A questo proposito, siccome non aggiorno da un (bel) po’, e per chi non ricordasse il numero/titolo dell’ultimo capitolo che avevo pubblicato e che aveva (eventualmente) già letto: l’ultimo capitolo che avevo pubblicato era il n° 60 (61 con la numerazione automatica del sito perché conta come n° 1 il cap. 0) ‘Wrong legends’, e ora sto pubblicando in una volta sola i capitoli dal 61 al 66 (da ‘Tre mezzi lupi entrano in un bar’ a ‘Then humour me’). Abbiate pazienza, copio-incollo questa nota in tutti questi 6 capitoli per (presumo) vostra utilità.

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Capitolo 66
*** 65 - Pure foolishness ***


Capitolo 65

(Pure foolishness)


Ora, Ramo avrebbe voluto riuscire a sperare onestamente che a volte - e specialmente in quell’occasione - il peggio fosse affrontare il primo ostacolo. Ma aveva la vivida sensazione che sarebbe stata nel complesso una serrata, folle corsa ad ostacoli dall’inizio alla fine, considerando che avevano una manciata di ore per definire meglio il piano, ammesso che lo approvassero tutti e non avessero bisogno di ricominciare da capo, trovare e preparare tutto quello che occorreva loro per riuscire a cercare di metterlo in atto, e non da ultimo metterlo in atto. Aveva il terribile sospetto che enormi dosi di caffeina non sarebbero lontanamente servite a sostenerli nel vero senso della parola in tutto quello; nonostante Yuta cioè, nelle ultime ore, avesse sfornato un’impressionante quantità di caffè, sembrando una specie di macchina da guerra impietosamente in funzione, nel fare caffè.

Come che fosse, di certo il primo ostacolo non era nemmeno quello più facile. Valeva a dire, che tutti approvassero il - folle, se c’era bisogno di risottolinearlo - piano di Kumals.

«So che l’ho già detto, ma… Sul serio, siete matti senza speranza.» disse Nickj con piena convinzione.

Okay. Forse allora c’era bisogno di risottolinearlo.

«Sì, già detto, grazie per l’opinione.» disse tranquillamente Kumals. «E, a proposito, mi dispiace ma non si accettano simili commenti da una che fino a qualche giorno fa era tra quelli convinti di sterminare l’umanità e conquistare il mondo, okay?»

«Kumals!» praticamente gridò Yuta.

«Oh, questo è un colpo basso.» commentò Bree.

«Non ascoltarlo…» sospirò Yuta scuotendo la testa. «È solo il suo modo di fare amicizia. Ne convengo, orribile.»

Nickj schioccò la lingua. «Beh, almeno quel piano aveva persino più senso di questo.»

«Il ché è tutto dire…» commentò Malk.

«Esatto…» rincarò Nickj.

«E va bene. Gente, l’ufficio delle lamentele è da quella parte.» annunciò Kumals, indicando Ramo con un pollice.

«Hey, perché io?? Il piano è tuo!» protestò lui.

«Lui è più paziente di me, in media.» disse Kumals, ancora come se stesse dando istruzioni ad una comitiva in gita presso un ufficio postale.

«Come dicevo, mai ascoltarlo troppo. O letteralmente. Nel dubbio: mai.» commentò Yuta.

«E l’ufficio sfoghi invece è da quella parte.» Kumals indicò verso Yuta con uno svolazzo della mano.

Yuta lo perforò con lo sguardo. «L’ufficio sfoghi sta raccogliendo elementi per presentarti un’ampia rassegna complessiva quanto più direttamente tu abbia mai temuto, credimi.»

«Oh… ci conto. Come minimo.» Kumals le fece l’occhiolino.

Nickj sbuffò. «C’è una sola persona sana qui?» chiese alla stanza.

«Nah.» disse semplicemente e spassionatamente Uther, raccogliendo da terra la sua bottiglia di birra messa prima da parte e riprendendo a sorseggiarla.

«E con questo sei inclusa anche tu comunque, quindi…» disse ancora Kumals, come se avesse optato per cercare di avere infantilmente l’ultima parola.

Nickj lo occhieggiò di traverso. «Hey, re dei matti. Prima o poi ti beccherai un morso, sappilo.»

«Ho avuto di peggio.» Kumals accennò con la testa con aria apparentemente seria. «Chiedete all’ufficio sfoghi.»

«Avrai. Aggiungi pure avrai.» minacciò Yuta, fissandolo tra le palpebre assottigliate.

«Molto generosa.» commentò Kumals, annuendo ancora come qualcuno che volesse dare l’idea di stare accettando una condanna a morte con tutta la tragica dignità possibile.

«Quindi… stiamo davvero approvando questo - uh - piano?» chiese Ramo con precauzione.

Nickj sbuffò sonoramente e si alzò in piedi, guardando verso Danny, Malk e Bree. «Possiamo fare due parole in privato tra mezzi lupi?»

«Bof, e questo? Questo non sarebbe razzista? O mezzo-lupista, non so.» Kumals lanciò un’occhiata a Bree, inarcando le sopracciglia.

«Che ne so, magari è una questione tipo strategica.» lui alzò le spalle e si alzò insieme a Malk. «Dopotutto, siamo la squadra mezzi lupi, no?»

«Io non sono ancora di nessuna squadra!» precisò Nickj, piuttosto piccata, già sulla soglia della porta della cucina, dopo essersi assicurata che anche Danny, sebbene non prima di una corposa esitazione, si era alzato per seguirla.

«Non ancora.» cinguettò amabilmente Kumals, prima che Nickj sbattesse la porta della cucina dietro di loro, imprecando.


***


Stipati nella cucina non propriamente ampia dell’appartamento, Nickj lanciò un’occhiata a Danny e si incrociò le braccia sul petto con un cipiglio decisamente poco convinto. «Okay, quindi? Che ne pensi?»

Lui sbatté le palpebre. «Perché lo chiedi a me?»

Malk si schiarì la voce. «Hum, beh, forse perché tu li conosci. Di sicuro più di noi. E…»

«Hai sconfitto Mara, quella pazza scatenata.» sottolineò Bree.

«Io non…» Danny chiuse gli occhi per un momento con una sentita smorfia dolente.

«Insomma, non c’era da scherzare con quella pazza.» continuò Bree. «Cioè, magari anche io avrei potuto…»

«No.» Malk scosse la testa con calma ma decisione. Bree mise su un broncio, lanciandogli un’occhiata piuttosto offesa. Malk roteò gli occhi con un sorriso e gli diede un bacio su una guancia e qualche pacchetta su una spalla. «Senza offesa, ma no davvero.»

Danny sospirò pesantemente. «Sentite, solo perché me la sono… sostanzialmente cavata, non significa che non… mi sia trovato seriamente in difficoltà. Inoltre, non è stata per niente una mia idea, né mia intenzione. Non sono venuto fino a qui col proposito di… attaccarla, o qualcosa di simile. E anche se fosse stato, come non lo è stato, che fossi più… forte di lei, questo non mi rende automaticamente qualcuno che può… distribuire opinioni di peso maggiore di quelle altrui, o roba simile.» riuscì infine a dire, con una successione di varie smorfie di disagio.

Solo per trovarsi fissato da sguardi completamente stupiti.

«Che cosa stai blaterando di preciso ora?» chiese Nickj senza peli sulla lingua.

«Credo che ci sia stato un fraintendimento…» disse più diplomaticamente Malk.

«Non è certo questione di forza.» Bree lo disse come se la cosa fosse totalmente risibile.

«Il fatto è che… beh, lei terrorizzava tutti quanti, all’accampamento. Nessuno avrebbe osato nemmeno rischiare di infastidirla, avrebbe fatto di tutto per evitarlo. Ma tu non avevi paura di lei.» disse Malk, con calma serietà, come se fosse un semplice dato di fatto, e allo stesso tempo che gli risultava ancora incredibile.

«Appunto. In che modo sarebbe qualcosa di… “saggio”?» insistette Danny, confuso. «Mara è… era, qualcuno da temere.»

«Ma lei temeva te, invece.» disse piano Malk. Danny lo fissò basito. «E non è questione di forza. È questione di paura. Di non averne. O di non lasciarsi sopraffare, almeno. Magari di essere abbastanza folli da non farlo. Il ché… forse è di nuovo il punto della cosa, qui.» terminò, occhieggiando verso Nickj.

Lei fece un verso infastidito e roteò gli occhi, ma tornò a fissare fermamente Danny. «Come che sia, ti sembra sensato quello di cui parlano quegli altri di la? Il cosiddetto piano di Kumals?» Danny esitò e abbassò lo sguardo un momento, corrugando la fronte. «Sono mezzi lupi…» disse ancora Nickj, con sguardo incupito e la voce nervosamente un po’ più acuta. «E noi sappiamo cosa siamo in grado di fare. E quel piano, oltre a essere semplicemente folle, è una cosa assurdamente complicata. E pericolosa.»

Dopo qualche istante di silenzio, Danny rialzò lo sguardo. «Non posso certo garantire che andrà tutto come speriamo. Folle lo sarei se lo facessi, anzi. E nemmeno gli altri possono garantirlo. Ma… ho visto… No, sono stato dentro a situazioni persino più folli. Con piani ancora più folli, se anche solo c’era un piano. E ho fatto cose più folli. Abbiamo.»

Per lungo momento, gli altri lo guardarono semplicemente in silenzio, come soppesando la sua espressione. Danny non aveva idea della sua stessa espressione al momento, in realtà. E alla fine la tensione sembrò rompersi di netto.

Nickj emise un lungo sospiro sofferto e alzò la testa verso il soffitto. «Fantastico. E follia sia, quindi.»

«Io non sto assolutamente dicendo che dovreste…» iniziò a ribattere Danny. Ma fu interrotto dal rumore di un educato bussare alla porta della cucina. Voltarono tutti la testa in quella direzione.

Dopo alcuni istanti, sebbene nessuno di loro avesse ancora detto niente, nella porta si aprì giusto uno spiraglio, e l’inconfondibile tono ostentatamente soddisfatto di Kumals chiese semplicemente «Quindi, abbiamo una deliberazione abbastanza definitiva dal Consiglio dei mezzi lupi qui riunito?»

Nickj sbuffò con insofferenza. «Stavi origliando, vero?»

Kumals aprì la porta abbastanza da infilarsi dentro tranquillamente, e la riaccostò alle sue spalle. «Ho giusto pensato che ci sarebbe qualcosa che vorrei presentare all’attenzione del Consiglio delle Code, umilmente.» annunciò.

«E sarebbe?» Nickj gli lanciò un’occhiataccia, mentre Bree sghignazzava appena commentando qualcosa di divertito a proposito dello scherzoso nome coniato da Kumals. Danny lo stava fissando come se non si aspettasse niente di buono. Non si sbagliava.

Kumals guardò Nickj con un debole accenno di sorriso gentile. «Mi è sembrato opportuno ricordarti che se ti avvicinerai anche solo a quell’attendamento, probabilmente i mezzi lupi rimasti non saranno esattamente bendisposti nei tuoi confronti in particolare. Immagino che ti considerino una specie di traditrice passata dalla parte del nemico, o qualcosa del genere.»

Nickj indurì l’espressione. «Se è per questo, vale anche per loro due.» disse, indicando verso Bree e Malk.

«Beh, ma noi non eravamo quelli che prima se ne andavano in giro per l’attendamento con il gruppetto di Mitch a fare i bulli con tutti gli altri.» ribatté Bree. «Insomma, se fossi al loro posto e avessi l’occasione di…»

Malk si schiarì la voce significativamente per interromperlo, e Kumals ne approfittò nettamente per intromettersi. «Ecco, e in particolare potrebbero esserci i tuoi ex compari più stretti. Tendenzialmente decisi a guidare una folla di mezzi lupi verso il proposito di squartarti o qualcosa di simile.» osservò, guardandola serio.

Nickj strinse i denti e i pugni lungo i fianchi, guardandolo come se stesse valutando la possibilità di aggredirlo fisicamente. «Si può sapere qual’è il tuo gioco? Prima fai tutte quelle scenate per farmi essere “della squadra”, e ora vuoi dire che dovrei starmene da parte?»

Kumals sospirò appena, ma non distolse lo sguardo con cui sosteneva il suo ferreamente. «No. Vorrei solo assicurarmi che tu sappia a che cosa andresti incontro, nel caso decidessi di venire.»

Nickj emise un verso chiaramente sarcastico. «Oh beh, grazie per la preoccupazione, ma non ce n’è alcun bisogno. Affronterò quello che c’è da affrontare e basta.»

«Comunque…» disse lentamente Malk, sbirciando con precauzione tra i due «Mitch e gli altri si sono parecchio “calmati”, da dopo che te ne sei andata.»

«Oh sì, specialmente dopo che Mara ha dato una bella ripassata a Mitch.» esclamò Bree «Praticamente, nessuno avrebbe scommesso sul fatto che lo lasciasse andare via vivo e sulle proprie gambe. Beh, vivo lo è rimasto, probabilmente a stento. Sulle proprie gambe per niente. Stava ricominciando ad alzarsi, quando ce la siamo battuta.»

Nickj spostò su di loro uno sguardo per un momento nudamente impressionato, prima di riprendere a fatica la sua espressione corrucciata e incrociarsi le braccia sul petto. «Che me ne importa. Farò quello che c’è da fare, come ho detto.» ripeté. «Anche perché, dopotutto, quale sarebbe esattamente l’alternativa, a parte il vostro folle piano cioè?»

Kumals sospirò appena. «Non che non apprezzi lo spirito, per così dire. Ma quindi ti rendi conto che potresti trovarti di fronte a Mitch e gli altri della vostra piccola ex combriccola, giusto?»

«Certo che lo so, e allora?» praticamente sibilò Nickj.

Kumals sembrò rinunciare a sottolineare qualcosa, con un altro leggero sospiro.

«Magari…» tentò Danny, senza troppa convinzione «Potresti rimanere nelle retrovie. Con Uther, che ha un fucile, e almeno potrebbe fungere da qualche deterrente. E Mordecai con i suoi…» Danny rabbrividì «Effetti speciali o quello che sono.»

Nickj gli spedì un’occhiata corrucciata. «Non ho intenzione di farmi fare da balia a Uther. O piuttosto viceversa, come sicuramente sarebbe.»

«Comunque, il fatto che alcuni mezzi lupi particolarmente animati da una sorta di follia di branco omicida tentino di concentrarsi su uno di noi potrebbe rappresentare un notevole problema strategico…» ragionò Kumals, aggrottando la fronte. 

Nickj lo guardò decisamente infastidita. «Ho detto che me la posso cavare da sola.»

Kumals sorrise a labbra strette. «Permettimi di dubitarne.»

Nickj stava spalancando la bocca, probabilmente per urlargli contro, ma Bree si animò di colpo esclamando «Hey, col cavolo che sarà da sola. Voglio dire, quelli sono dei bulli da strapazzo, e sono abbastanza sicuro terribilmente sessisti. Se provano ad attaccarla, solo perché è tipo rinsavita e si è resa conto che razza di stronzi sono, mica io e Malk staremo a guardare, ovvio!»

Gli altri lo occhieggiarono per un momento relativamente attoniti. Dopodiché Kumals si illuminò ostentatamente e appoggiò le braccia sulle spalle di Bree e Malk, annunciando allegramente «Ottimo, conto su di voi allora ragazzi.»

Nickj strabuzzò gli occhi e, sì, stavolta praticamente urlò. «Non ho bisogno di maledetta protezione! E non me ne frega niente delle tue stronzate da politically correct, Bree! Anzi, se qualcuno di voi si azzarderà a mettersi in mezzo ai miei affari personali proprio quando li sto risolvendo, se ne pentirà amaramente, capito?!»

Per un momento calò il silenzio. Bree cercò lo sguardo di Malk, il quale tuttavia glielo ricambiò con uno che diceva pressappoco che poteva ben aspettarsi una reazione simile. Bree sbuffò con aria praticamente offesa e borbottò «Beh, e va bene! Come preferisci, solo supporto morale allora.»

Nickj lo fissò praticamente incredula, ma Kumals osservò piuttosto «Oh, in effetti, errore mio, a questo non avevo pensato. Con il riferimento al fatto che la cosa potrebbe essere un problema strategico, intendevo anche il viceversa. Cioè se qualcuno di noi si mette a inseguire i suoi ex compagni di merende e attuali acerrimi nemici in cerca di vendetta per squartarli.»

La mezza lupa lo fulminò con un’occhiataccia. «Divertente. Sembri avere ancora ostinatamente l’impressione che in qualche modo potrai aver parola in quello che deciderò di fare.»

Kumals sospirò. «Si chiama lavoro di squadra, ad essere precisi. Altrimenti, beh, ognuno vada in pace e amen per i cavoli suoi, ma questo, vedi, tendenzialmente tende a rendere completamente insensato l’avere un piano coordinato, capisci?»

«Potremmo semplicemente fare…» propose Danny, con aria praticamente esausta di quella sfida a parole «Che ripenseremo ancora a questo problema e ci riaggiorneremo quando avremo riflettuto su delle possibili soluzioni strategiche?»

Kumals fissò ancora per un lungo momento Nickj, come per voler essere definitivamente significativo, prima di rivolgere a tutti un sorriso apparentemente solare. «Splendido.» si congedò, prima di voltarsi e uscire dalla cucina.

Passarono, sorprendentemente, diversi istanti prima che Nickj rivolgesse a Danny uno sguardo praticamente allucinato. «Non capisco proprio come fai a tollerarlo.»

«Anni di pratica.» Danny alzò lo sguardo al soffitto, prima di riabbassarlo su Nickj e tornare particolarmente serio. «Comunque, davvero, sei sicura di…? Insomma, potresti effettivamente reincrociarli. E non in una bella situazione, semmai potrebbe essercene una nel vostro rivedervi.»

Nickj distolse lo sguardo con una smorfia un po’ più sincera. «Beh, chissà… Magari le cose così saranno più semplici. Si tratterà solo di dover combattere per sopravvivere.»

Lo sguardo di Danny si incupì particolarmente. «Sai che proprio per questo potremmo essere costretti ad uccidere…» disse, con netta difficoltà, come se si dovesse cavare le parole di bocca amaramente.

Nickj lo guardò sorpresa. «Come puoi essere ancora così… esitante? Visto come sei stato conciato…» e occhieggiò rapidamente ma significativamente i frammenti di bendaggi bianchi che ancora spuntavano da sotto i vestiti di Danny. La guarigione accelerata di un mezzo lupo, rispetto a quella degli esseri umani completi, non poteva che palesare a chiara voce - agli occhi di un mezzo lupo almeno - quanto potessero essere state gravi inizialmente delle lesioni che impiegavano interi lunghi giorni a risanarsi. Non che chiunque avesse conosciuto Mara potesse aspettarsi di meno.

Danny sorrise pallidamente, e ancora amaramente. «Non per questo uccidere mi è mai sembrata una cosa piacevole da farsi. Mai.»

Nickj corrugò la fronte, e nel suo tono ora c’era quasi qualcosa di preghiera inconscia, al di sotto di quello di sfida. «Ma tu sei un mezzo lupo. Devi pur aver ucciso per nutrirti.»

Danny sospirò e fece vagare lo sguardo per la stanza. «Non è completamente diverso, tuttavia? Quella è una caccia, non una guerra o una battaglia. Proprio i mezzi lupi forse, che posseggono entrambe le nature, potrebbero avere una posizione privilegiata per notare chiaramente questa differenza. Cosa che invece quelli in quell’accampamento sembrano avere completamente perso. O voler ignorare forzatamente.»

Nickj rimase un momento in silenzio. Poi disse «Sarebbe stupido se non lo facessi. Se non mi preparassi all’eventualità di dover uccidere. Persino Mitch e gli altri, se necessario.»

Lo sguardo di Danny lampeggiò per un momento, vivido e netto, e apparentemente del tutto inconscio. «Purché sia assolutamente l’ultima, l’ultimissima spiaggia. Abbiamo un piano per cercare in ogni modo di evitare lo scontro diretto.»

Nickj distolse lo sguardo, ma annuì. «D’accordo.» disse, tornando a guardarlo in modo fermo. «Non intendevo che voglio tipo… cercare vendetta o roba simile. Come avete detto, l’ultima spiaggia. Anche perché, sì, a dirla tutta non ci tengo a rivedere proprio nessuno di loro. Ma… insomma, ne ho fatto parte, giusto? Non posso far finta di niente e non prendermi le mie responsabilità. Come immagino valga per loro, più o meno.»

Malk scosse appena una spalla, con un piccolo sorriso. «Qualcosa del genere.»

«E la soddisfazione di buttare giù un culto con un po’ di effetti speciali, ovviamente.» Bree sogghignò di gusto.

Danny roteò gli occhi, ma per un momento sorrise più rasserenato. «Ben detto, immagino.»

«Questo non toglie che siete completamente pazzi. Anzi, siamo, a quanto pare.» puntualizzò Nickj.

«Sì, questo è appurato.» concordò Malk, il sorriso che si accentuava un po’ di più.

«Mai provato a sostenere il contrario.» confermò Bree.

«Di nuovo…» sospirò Danny «Ben detto, immagino.»


***


Quando i mezzi lupi tornarono nella stanza più grande, scoprirono che Yuta stava buttando sul tavolo quella che sembrava una raccolta di tutto ciò che c’era di utile per scrivere che aveva potuto collezionare perquisendo l’appartamento da cima a fondo. A giudicare dalle espressioni di Ramo e Andrea, dovevano averla aiutata. Forse più per timore dell’aura da battaglia che sembrava aleggiarle intorno che per altro, a dirla tutta.

Yuta si piazzò le mani sui fianchi e fissò micidialmente il suo bottino per un momento, come se avesse deciso di cercare di accendervi un falò applicandovi semplicemente il suo sguardo determinato. «E va bene. Ora, cerchiamo di dare un senso a questa cosa.»

«Sarà difficile.» commentò spassionatamente Uther, sorseggiando la sua birra.

Yuta gli piazzò addosso il suo sguardo temibile. «Tu e Ramo siete quelli che avete passato più tempo a tenere d’occhio l’attendamento, giusto?»

«Così si potrebbe dire…» Uther inarcò un sopracciglio e soppesò sospettosamente la domanda, cercando di indovinarne le intenzioni.

«Ottimo. Quindi, tu e lui buttate giù una mappa il più sensata possibile. Prendete delle mappe della zona, stampatele da internet, satellitari, geografiche, quello che è che può essere meglio e vi può servire. Tu, Andrea e Mordecai dovrete capire dove piazzare le vostre trappole, e l’incendio controllato. Studiate le previsioni, il vento, quello che vi serve insomma. Ramo, dovrai capire anche tu come fare per gestire il tutto, e anch’io naturalmente, visto che non ne sappiamo niente di incendi controllati e luci a trappola o come diavolo si chiamano. O non abbastanza almeno.» Yuta si interruppe a malapena per riprendere il fiato, mentre gli altri la guardavano tra l’impressionato e l’apprezzamento, a seconda delle inclinazioni. «Mordecai, hai tutto quello che può occorrerti per fare… la tua cosa?»

«Sì, dovrei.» annuì semplicemente e compostamente lui, indicando un momento semplicemente con le pupille la grossa borsa con le cose che aveva recuperato da casa sua.

«Ottimo. Ti aiuteremo in ogni modo possibile seguendo le tue istruzioni per quanto riguarda la tua parte, naturalmente. Andrea e Uther, fatemi una lista di tutto quello che vi occorre. Farò in modo di procurarmelo il più rapidamente possibile, costi quel che costi. Tutto quello che mi servirà è un telefono e un computer, che ho, e dei corrieri abbastanza decenti. Oh, e abbiamo ventiquattr’ore al massimo per questa parte.»

«Quanto, scusa?» chiese Ramo, praticamente senza fiato.

Lei lo fissò per un momento, praticamente come se gli vedesse attraverso, chiaramente ancora del tutto presa dal suo calcolo mentale. «Stanotte dovremo approfittare della loro ricognizione per piazzare tutto quello che ci serve. E dovrà essere bello nascosto, e incrociamo le dita che abbiano mantenuto il piano, e che nessuno di quei geni se ne vada in giro e inciampi in una delle trappole prima del dovuto.»

«Tecnicamente… potremmo sperare sul fatto che Badlands ordinerà di non bighellonare in giro proprio nelle ore prima della notte senza luna…» disse Malk, con una smorfia non troppo convinta. «Non ci metterei la mano sul fuoco, comunque.» precisò come per onestà.

«Fantastico.» ironizzò Yuta. «Poi…»

«Chi dovrebbe andare esattamente ad aggirarsi intorno all’attendamento stanotte?» si informò Danny, lo sguardo chiuso in una preoccupazione incupita.

Yuta lo guardò, e sembrò decidere di saltare tranquillamente a piedi pari diverse parti di conversazione che, oltre a esserle superflue, potevano rischiare di deviare il suo percorso da macchina da guerra in azione. «Dovrà andare anche Andrea, sì. E vedremo di fare le cose per bene. Con questo intendo assicurarci prima che almeno la gran parte di loro sia uscita per scorazzare per tutta Tairans. A questo proposito, questo appartamento stanotte sarà vuoto, e non intendo solo di noi, ma anche delle cose che potrebbero far in qualche modo intuire quello che stiamo facendo. Non voglio sorprese, nel caso quei ritardati mentre sono nei paraggi decidessero di farsi venir voglia di venire a litigare con qualcuno di noi.»

«Litigare… un eufemismo carino.» disse Nickj.

«Beh, devono solo provarci!» affermò Bree, con quella che riteneva un’aria minacciosa e che risultava più che altro come un broncio di un ragazzino scorbutico sul piede di guerra.

«Andrò anch’io.» sancì semplicemente Danny. «Ad aiutare a piazzare le trappole, intend…»

«Pessima idea. Odore di un mezzo lupo per un altro mezzo lupo, troppo individuabile, e per giunta intorno al loro attendamento. Praticamente un faro nella notte. O un bersaglio illuminato nella nott…» replicò Kumals ragionevolmente ma fermamente.

«Non è in discussione.» sancì lapidariamente Danny, interrompendolo.

«Danny…» sospirò pazientemente Yuta «Se solo si potesse fare diversamente, credimi, io…»

«Hem, in realtà forse ci sarebbe qualcosa che possiamo provare…» si inserì Malk con precauzione. Naturalmente si trovò di lì a un attimo concentrati addosso tutti gli sguardi degli altri. Ma prima che potesse continuare Bree lo precedette nettamente.

«Ohhh! Ho capito! La spazzatura!»

«Prego?» Yuta inarcò un sopracciglio, praticamente in avvertimento.

«Beh, è stato una volta che…» Bree sghignazzò un momento «In realtà è una storia piuttosto divertente. Sapete, io e Malk una sera avevamo bevuto un po’ troppo, e…»

«Possiamo… sicuramente saltare la storia.» disse in fretta Malk. «Il punto è che, a quanto pare, e piuttosto ovviamente a pensarci, gli odori molto forti possono mascherare l’odore di un mezzo lupo per un altro mezzo lupo.»

«Aspettate. Aspettate un momento.» Kumals aveva un’espressione apparentemente seria. «Stiamo dicendo che Danny dovrebbe… rotolarsi nella spazzatura per ricoprire il suo odore?» disse, dopo una voluta pausa ad effetto.

Uther si mandò di traverso la birra per un’improvviso gettito di sbuffo divertito.

«Io… cosa? No.» affermò Danny deciso.

«Beh, se questo è l’unico modo…» arieggiò Kumals con un leggero sorrisetto. «Ottima pensata, ragazzi.»

«Non ha alcun senso.» Protestò Danny.

«In effetti, la vedo difficile che per un mezzo lupo, per quanto squinternato, possa sembrare normale sentire odore di discarica in un bosco, no?» osservò Nickj.

«D’accordo, magari non proprio della spazzatura allora. Che cosa ci può essere di terribilmente maleodorante da coprire qualsiasi altro odore e che possa sembrare logico trovare in un bosco?» rifletté di nuovo ad alta voce Kumals.

«La volete piantare di discutere di in che cosa di disgustoso mi dovrei rotolare, per favore?» protestò vivacemente Danny.

Calò per un momento il silenzio.

«Magari delle carcasse di animali morti, o i loro…» iniziò di nuovo a dire Kumals, come se ci stesse tranquillamente ancora riflettendo con interesse puramente scientifico.

«Insomma!» strepitò Danny.


Soundtrack: Crazy (Alanis Morissette, Seal cover)


Note per la letturaattenzione, sto pubblicando in una sola volta (lo stesso giorno) una mezza dozzina di capitoli. Lo dico perché se siete in qualche modo iscritti al sistema del sito che vi segnala automaticamente l’aggiornamento di questa storia, se non sbaglio vi invia direttamente all’ultimo capitolo, il ché significa che quando si pubblicano più capitoli insieme se seguite il link del sistema automatico finite all’ultimo saltando dei capitoli. A questo proposito, siccome non aggiorno da un (bel) po’, e per chi non ricordasse il numero/titolo dell’ultimo capitolo che avevo pubblicato e che aveva (eventualmente) già letto: l’ultimo capitolo che avevo pubblicato era il n° 60 (61 con la numerazione automatica del sito perché conta come n° 1 il cap. 0) ‘Wrong legends’, e ora sto pubblicando in una volta sola i capitoli dal 61 al 66 (da ‘Tre mezzi lupi entrano in un bar’ a ‘Then humour me’). Abbiate pazienza, copio-incollo questa nota in tutti questi 6 capitoli per (presumo) vostra utilità.

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Capitolo 67
*** 66 - Then humour me ***


Capitolo 66

(Then humour me)


L’aria notturna estiva non era così fastidiosamente umida e densa, lì nei boschi. Così constatò perlomeno Andrea, quando si prese giusto un altro breve momento per fare un respiro profondo. In effetti non avrebbe dovuto stupirsene particolarmente, considerando che negli ultimi mesi lo stretto contatto con un mezzo lupo le aveva dato occasione di provare a percepire l’ambiente circostante anche oltre i suoi sensi. Era una sfida vana e praticamente ridicola, in effetti. Per quanto si sforzasse, dopotutto, la sua natura unicamente umana le avrebbe ben presto - prima di quanto le piacesse - presentato dritti in faccia i limiti dei sensi rattrappiti di un essere umano; mentre quelli di Danny, quelli dei mezzi lupi in generale, ancora ben vividi nella loro natura più originariamente viva e attiva, potevano andare ancora oltre. Non per questo non aveva avuto occasione di scoprire, con una notevole meraviglia, come imparare a concentrarsi e allo stesso a svuotare la mente da altri pensieri distraenti potesse renderla capace di affinare e liberare i suoi sensi, fin dove potevano spingersi, umani o non, e ben oltre quello che avrebbe potuto immaginare. E a quel punto, rendersi conto di quanto un ambiente boschivo potesse essere infinitamente più affascinante di uno cittadino era praticamente una sciocchezza ovvia.

Ma in quel particolare frangente, cioè non certo una tranquilla passeggiata notturna alla riscoperta della natura, i suoi sensi sembravano essere continuamente intralciati e distorti dal nervosismo e dalla preoccupazione che li avvinghiavano impietosamente, confondendoli e bistrattandoli. E l’immaginazione che temeva il peggio ad ogni istante sembrava calare a dare il colpo di grazia impietosamente, facendole scambiare ogni pacato rumore, lontano o vicino, immaginato o non, come una possibile minaccia in avvicinamento. 

Era terribilmente irritante, a dirla tutta. E lei stava prendendo quel respiro anche per cercare di riscuotersi, o di riscuotere ogni sua capacità percettiva da quella morsa. Ma quel tentativo non sembrava produrre grandi risultati, fino a quel momento. Aveva la pruriginosa tentazione di chiedere a Danny consigli in proposito, ma, di nuovo, non si trattava di una passeggiata e chiacchiere e ragionamenti a briglia sciolta e spontanea in una gradevole notte estiva nel bosco.

Andrea corrugò la fronte e concentrò di nuovo lo sguardo in un punto specifico, a pochi passi da lei. Danny era piuttosto occupato, al momento. E in una posizione piuttosto delicata, anche.

Il suo sguardo stava fissando ora tre figure ferme in piedi una di fianco all’altra nel buio del bosco rischiarato dalla luna, quasi tragicamente piena. Tutte e tre intente a contemplare una pozza di fango dall’aspetto francamente pestilenziale, di fronte alla quale si erano fermati dopo altro peregrinare.

Alla fine, Uther schioccò le labbra. «Carino.»

Danny emise un basso lamento gutturale che sembrò eruttare praticamente da tutto il suo essere.

«Forse… potrebbe andare bene?» tentò Ramo, scoccando di sbieco a Danny un’occhiata incerta e una smorfia particolarmente dolente, praticamente di scusa.

Danny sembrò non poter fare a meno di lanciargli un’occhiata significativamente rimbrottante.

«Qui dentro c’è sicuramente morto qualcosa.» commentò ancora Uther spassionatamente.

Ramo strinse le labbra, e Danny sancì «Okay, sentite, ci dev’essere un altro modo!»

«Forse. Ma non è che abbiamo tutta la notte per pensare a qualcos’altro.» Uther scosse appena una spalla, muovendo un poco e distrattamente il fucile che teneva tra le mani, e non come al solito, mai nel corso di quella notte da quando avevano raggiunto i boschi, a tracolla.

Danny mugugnò qualcosa di incomprensibile, probabilmente una serie di imprecazioni, ancora più probabilmente rivolte soprattutto a Kumals, e sembrò concentrarsi intensamente e nettamente per trovare su due piedi un’alternativa. Una qualsiasi.

Ramo spostò un poco il peso da un piede all’altro e impugnò meglio la mazza da baseball. «Beh, abbiamo già escluso i profumi, detergenti, benzina… » Danny tornò a focalizzare su di lui un’occhiata scontrosa, e Ramo si affrettò a completare «Praticamente tutto quello che ci è venuto in mente. Ma sembra che - hum - roba tipo questa sia in effetti l’unica specie di… ehm, schifezza maleodorante che possa aver senso annusare in un bosco, quindi temo che…»

«Sì, va bene, va bene.» Danny emise un enorme sospiro e chiuse per un momento gli occhi. Ramo sembrò praticamente sul punto di scusarsi per aver ri-sottolineato l’ovvio.

Dopo qualche altro istante di silenzio, in cui Danny stava apparentemente cercando di trovare la motivazione che gli serviva, Uther osservò in tono casuale «Potremmo dare un’altra occhiata in giro. Sicuro di non aver sentito odore di qualche carcassa semi-decomposta nei paraggi?»

Danny riaprì gli occhi, lentamente, e finì per fissare il vuoto davanti a sé. «Okay. Ci sono.»

Ramo trattenne a stento un sospiro di sollievo. Poi notò Uther fare un paio di passi indietro con la sua aria apparentemente del tutto tranquilla, e si affrettò a fare altrettanto. Dopo qualche altro momento, Danny si voltò a fissarli significativamente.

«Potreste…?» Danny lasciò un momento in sospeso la frase, lanciando un’occhiata anche verso Andrea, la quale sembrò capire perfettamente e annuì, iniziando a muoversi, mentre gli altri due continuavano a fissarlo evidentemente senza cogliere. Danny sospirò, praticamente sgonfiandosi su se stesso. «Non assistere, almeno?»

«Ah. Sì, certo, scusa. Allora…» Ramo iniziò ad indicare vagamente dietro di sé.

«Ti aspettiamo un po’ più in là.» disse Uther tranquillamente, allontanandosi nella direzione in cui stava andando Andrea.

Ramo riabbassò il braccio e rivolse un ultimo sguardo a Danny, come cercando qualcosa di amichevolmente incoraggiante da dire. Danny si voltò a fissare di nuovo la maleodorante pozza di fanghiglia ai suoi piedi, densa di un putridume di rami e foglie morte, e chissà cos’altro. Preferiva sicuramente non saperlo. A giudicare dall’odore, probabilmente Uther aveva tutte le ragioni; doveva esserci morto dentro qualcosa, qualcosa di più grosso e mobile di semplici foglie, oltre a, sicuramente, una moltitudine di insetti. Avrebbe sicuramente preferito non sentirlo dire ad alta voce, comunque.

«Non dire niente, per favore.» disse solo Danny.

Ramo annuì e con un’ultima smorfia empaticamente dolente ingoiò qualsiasi altro tentativo di esprimere a parole un qualche tipo di incoraggiamento, si voltò e si allontanò.

Raggiunse Uther con una piccola corsa, e prima che arrivassero più vicino ad Andrea si affrettò a sibilargli «Perché ho l’impressione che ti stia praticamente divertendo?»

Uther scrollò appena una spalla, ma sotto lo sguardo inquisitore di Ramo sembrò non tradire nemmeno l’ombra di un sogghigno. «Tutti hanno delle impressioni. Ma sì, vero che abbiamo fatto cazzate peggiori di questa.»

Ramo si portò una mano alla fronte. «E con questo intendi l’aggirarsi intorno ad un attendamento di una setta di mezzi lupi per piazzare delle trappole, o il rotolarsi in fanghiglie putride?»

«Tutte sembrano valide.» offrì semplicemente Uther, naturalmente senza far sentire Ramo particolarmente meglio.

«Okay…» li accolse Andrea quando la raggiunsero, gli occhi fissi su una mappa particolarmente scarabocchiata che teneva piegata in una mano, con altre mappature sullo schermo del cellulare che impugnava con l’altra. «Quindi, qui siamo a nord-est. E in base a come dovrebbe soffiare il vento quella notte, questa dovrebbe essere la via che dovrebbe rimanere aperta per la fuga.»

Andrea non si prese il disturbo di rivangare l’ovvio, cioè che era anche il punto in cui in quel momento - per come tirava la debole brezza estiva - erano sopravvento rispetto all’attendamento, ovvero il più al coperto possibile per il fiuto dei mezzi lupi. Né le serviva particolarmente la conferma degli altri due, anche se Ramo stava annuendo con concentrazione, e Uther guardandosi intorno distrattamente, il suo modo di concordare si poteva supporre, conoscendolo quel tanto.

Perciò lei si limitò ad avvicinarsi in modo da mostrare anche a loro le mappe cartacea e digitale, e continuò a ripassare i loro ragionamenti già fatti, e a proporne di nuovi e alternativi o ulteriori, in base a come sarebbe proceduta la loro esplorazione, per il dove e come fosse più opportuno piazzare tutto quello che sarebbe servito per il piano. Ramo fece del suo meglio per aiutare a rimpinguare i ragionamenti, anche se non aveva nessuna specifica tecnica da applicare riguardo all’approntamento di incendi controllati o altri artifici, e nondimeno aveva dalla sua che era lesto a imparare e ad ascoltare, e gli altri gli avevano fornito una qualche delucidazione in proposito. Uther partecipò più svogliatamente, ma sia Andrea che Ramo sembrarono sopportare abbastanza d’abitudine la sua apparente scarsa collaborazione, conoscendolo - soprattutto Ramo - abbastanza da fidarsi che al momento buono si sarebbe attivato. O almeno così speravano.

Finché qualcosa sembrò effettivamente attivare Uther, perché fece di colpo un gesto perentorio e scarsamente comprensibile con un braccio, ma si rese comprensibile comunque col suo sollevare altrettanto istantaneamente il fucile con l’altro braccio, puntandolo in una direzione in cui si girò di scatto. Andrea si irrigidì e zittì di netto, intrappolata a tradimento da una morsa di istintivo allarme, mentre Ramo impugnava e alzava la mazza da baseball e cercava di assumere una posizione pronta a tutto, rivolta verso dove Uther stava puntando il fucile.

«Oh che diav…!» La sagoma che stava uscendo dai cespugli ebbe un violento scatto praticamente all’indietro, e alzò una mano istintivamente come per pararsi. Si riprese comunque abbastanza in fretta da piazzare in faccia ad Uther uno sguardo decisamente perforante. «La vuoi piantare di puntare quel coso?!» sibilò Nickj.

Uther stava già abbassando il fucile, passando da una modalità pronta a tutto ad una decisamente più tranquilla come dal giorno alla notte. Ramo abbassò più lentamente la mazza da baseball con un enorme sospiro di sollievo, mentre anche Bree e Malk uscivano dalla boscaglia al seguito di Nickj.

«Forse ci servirebbe una specie di segnale per farci riconoscere… e, tipo, evitare di farci venire un infarto a vicenda.» notò Malk, guardando criticamente ancora il fucile, e sbattendo significativamente le palpebre.

«Sì, ed evitare magari di spararci tra di noi!» rincarò Bree, incrociando le braccia sul petto con aria offesa, prima di lanciare uno sguardo a Ramo in particolare. «E ancora di meno capisco perché tu continui a portarti dietro quella cosa.»

«Tipo deterrente comico, immagino…» sghignazzò appena Nickj.

«Oi, sentite…» iniziò a protestare debolmente Ramo.

«Quindi? Tutto… a posto?» chiese più urgentemente Andrea.

Bree le rivolse un sorrisone entusiasta e alzò il pollice «Campo pulito, sorella. Lindo lindo.»

Lei corrugò la fronte per un momento, ma Malk stava già offrendo in ulteriore delucidazione «Sembra che stiano effettivamente seguendo il piano originale. A giudicare da tracce e odori recenti sono andati tutti a fare il sopralluogo in città.»

Andrea e Ramo emisero profondi sospiri di sollievo.

«Quello che dicevo, appunto.» confermò Bree, sogghignando tutto contento. «Anzi, sembra proprio che non abbiano nemmeno lasciato qualcuno di guardia all’attendamento. Mai stato una cima, quel Badlands.»

«Non che ci siamo avvicinati così tanto da esserne certi.» precisò Malk.

«A dirla tutta, forse potremmo persino lasciare perdere la mia geniale idea delle trappole, e andare direttamente a distruggergli le tende eccetera, no?? Cioè, stavo pensando…» disse ancora Bree, animato da nuovo entusiasmo.

«Okay, basta con le idee “geniali”.» intervenne Nickj, e quando Bree le scoccò un’occhiata risentita, lei roteò gli occhi «Ovviamente non possiamo sperare che rinuncino solo per quello. Potrebbero anche rimanere radunati in un altro punto del bosco e cavarsela per un altro paio di giorni e notti e mantenere comunque il piano. Comunque, non abbiamo sicuramente tutta la notte. Cioè, non sappiamo con certezza quando torneranno dalla perlustrazione o quel che è, perciò dovremmo darci una mossa.» Nickj occhieggiò per un momento i tre umani da capo a piedi «Quindi, che cosa stiamo aspettando?»

«Me…» disse una voce che esalava quanto più corposamente immaginabile un umore davvero sotto le suole.

Si voltarono tutti a guardare Danny che li raggiungeva praticamente trascinandosi a testa bassa e spalle incurvate. O meglio, che fece per raggiungerli, e finì per fermarsi a diversi passi di distanza da loro, quando sembrò venirgli in mente qualcosa in particolare, o forse perché notò il modo in cui le facce degli altri tre mezzi lupi si stavano contorcendo nel loro storcere il naso.

Non che ci fosse bisogno di avere il fiuto di un mezzo lupo, al momento, per poter sentire Danny anche a diversi passi di distanza. O notare il modo in cui era imbrattato praticamente da capo a piedi di quello che sembrava un miscuglio di fanghiglia e svariato putridume forse solo esclusivamente vegetale.

Per un momento calò un netto silenzio. Poi, naturalmente, Bree lo ruppe scoppiando a ridere di cuore. «Uao. Hai fatto proprio un lavoro completo, eh? Cioè, sul serio, niente di personale, ma cerca di starmi lontano, d’accordo?»

«In realtà, manca un po’ un punto lì, sopra a…» iniziò a dire tranquillamente Uther, alzando pigramente un braccio per indicare. Ramo gli appoggiò con calma determinazione una mano sul braccio per farglielo abbassare subito, e Uther gli lanciò un’occhiata di sbieco scrollando le spalle. «Che c’è? Stavo solo cercando di essere utile…»

«Prima di tutto, non è stata proprio una tua idea?» stava replicando Danny, praticamente fulminando Bree con un’occhiataccia.

«Ah, già, è vero.» sembrò ricordarsi Bree, sorridendo ampiamente. «Sono davvero brillante quando mi ci metto, no?» Danny aprì la bocca per obbiettare, ma lui sembrò di colpo notare qualcosa su di lui. «Hey, ma ti ci sei buttato dentro vestito??»

Danny fece una smorfia terribile, e Malk intervenne in fretta «Mi sembra abbia senso, visto che…»

Bree lo guardò confuso, interrompendolo «Ma noi lo avevamo fatto nudi.»

«Non avevamo detto che avremmo saltato le parti di storia superflue?» praticamente gemette Ramo.

«A me non sembra superfluo, no? Visto che ora è una questione strategica, giusto?» sottolineò Bree, incrociando le braccia sul petto. 

Ramo esalò qualcosa di simile ad un «Oddio…» e si coprì la faccia con una mano.

«Ma lo eravamo. Vestiti.» Puntualizzò nettamente Malk, e quando Bree fece per replicare, gli lanciò un’occhiata decisa «È solo che eri troppo ubriaco per ricordartelo, tesoro.»

Bree corrugò la fronte. «Ah. Allora quell’altro doveva essere un sogno che ho fatto.»

Ramo gemette di nuovo, più flebilmente e praticamente senza speranze, ma Nickj notò più puntualmente «È ovvio che dobbiamo essere vestiti, altrimenti l’odore sui vestiti rimarrebbe scoperto dal camuffamento olfattorio.»

«Ohhh… giusto.» approvò Bree, annuendo. «Peccato.» aggiunse dopo un momento.

«Dobbiamo?» ripeté il plurale Malk, inarcando un sopracciglio.

Nickj gli rivolse le sue sopracciglia inarcate. «Anche questo mi sembra ovvio. Dovremmo camuffarci anche noi tre.»

Malk alzò gli occhi al cielo. «Lo temevo.»

«Quindi, anche noi dovremmo farlo con o senza i…?» iniziò a specificare Bree, come per essere sicuro di aver capito bene.

«Assolutamente con i vestiti.» sancì Malk, prendendolo gentilmente ma fermamente per un braccio e iniziando a sospingerlo oltre - e accuratamente a distanza di sicurezza da - Danny «Hum, dove hai trovato quella… roba che hai addosso?» si soffermò a chiedere.

Danny esalò un sospiro drammatico e indicò vagamente alle sue spalle col pollice. «Seguite l’odore, non potete sbagliare…»

«Hmmm. Giusto. Colpa mia ad averlo chiesto.» annuì Malk, proseguendo e sospingendo tranquillamente Bree con sé, il quale sembrava d’altro canto procedere con aspettativa.

Nickj sospirò e borbottò qualcosa di simile a un «Sapevo che me ne sarei pentita…» seguendoli.

«Scusate, ma se gli altri mezzi lupi sono tutti, uhm, impegnati nella loro perlustrazione, c’è davvero bisogno di…» Ramo esitò con una smorfia di scusa occhieggiando brevemente Danny «Ridursi così…?»

«Ah. In questo caso, Danny l’avrebbe fatto per niente.» scrollò le spalle Nickj.

Danny spalancò gli occhi e praticamente rabbrividì su se stesso. Ramo strinse le labbra come se volesse rimangiarsi le parole, e tirò una gomitatina nelle costole di Uther, il quale si stava evidentemente trattenendo dallo sghignazzare.

«Credo che…» offrì Andrea «Sia meglio essere prudenti, nel caso tornassero prima, e comunque…»

«Sì, tutto quello di cui abbiamo già discusso più che abbastanza.» la interruppe Nickj con uno schiocco di labbra tra l’annoiato e l’infastidito «Nemici mortali e via dicendo…» terminò vagamente, agitando una mano come a dissipare ulteriori discussioni, mentre riprendeva a camminare sulle tracce di Bree e Malk.

Andrea emise un breve verso soppesante a labbra chiuse, prima di tornare a rivolgersi agli altri. Li considerò per un momento uno per uno: Danny che si teneva a debita distanza di qualche passo da tutti loro e aveva un atteggiamento decisamente stizzito, Uther che si stava apparentemente impegnando a trattenersi dal sogghignare, e Ramo che lo sorvegliava di sbieco tenendo probabilmente in carica un’altra gomitata tra le costole.

Andrea roteò gli occhi. «Dovremmo… tornare a concentrarci sul piano, intanto?»

Dopotutto, c’era ancora molto altro da fare. Avevano solo una notte, se i mezzi lupi non tornavano prima dalla ricognizione, per individuare i punti adatti intorno all’attendamento, e piazzarvi le trappole e i vari marchingegni che servivano, dopo averli scaricati dal furgone a noleggio parcheggiato a distanza di sicurezza, presso il quale aspettava Mordecai.

«Sì, per favore.» esalò Danny.


***


«Quindi… com’era quella? Zombie?» disse distrattamente Nickj di punto in bianco, mentre, con una smorfia svogliata e stanca, pescava con una mano da un cestone del negozio pieno di occhialini da piscina e maschere da immersione, in una moltitudine di sgargianti colori di gomma.

«Cosa?» Andrea quasi sussultò. 

I suoi nervi erano come stati assottigliati fino alla loro nuda anima interna dalla mancanza di sonno e preoccupazione, e la sua mente continuava ogni tre per due a sprofondare in un infernale labirinto fatto di rivalutazioni critiche di come avevano piazzato le trappole e gli inneschi per l’incendio controllato tutt’attorno all’attendamento. Non aveva idea di quanto era riuscita a dormire, praticamente crollando non appena rimesso piede nell’appartamento, ma preferiva non sapere il numero esatto di ore, più che altro di insonnia forzata, attraverso le quali stava ormai scivolando come in una specie di caleidoscopico sogno allucinogeno ad occhi aperti, nel corso degli ultimi giorni e - suo malgrado - notti. Tutto quello che sapeva, era che Nickj l’aveva svegliata scuotendola tutto sommato piuttosto gentilmente, benché sommariamente, per una spalla. Lei aveva fatto giusto in tempo a constatare che praticamente tutti gli altri erano crollati nel sonno in vari punti dell’appartamento, tranne Danny che si stava facendo una doccia per togliersi di dosso tutto il marciume di bosco in cui si erano rotolati quella notte, e Uther che sembrava aspettare qualcosa, seduto sul davanzale della finestra, vestito e con le scarpe indosso e con la custodia a tracolla di una chitarra che in realtà nascondeva il fucile. Dopodiché Nickj le aveva praticamente porto uno dietro l’altro del caffè e delle brioche da asporto, perché sembrava che praticamente nessuno di loro avesse più nemmeno la forza di cucinare in quelle ore, e appena era riuscita a finire di buttarli giù si era trovata per strada con lei e Uther, diretti a quanto pareva ad un indirizzo che Yuta aveva scribacchiato su un foglietto e consegnato a Nickj, solo per trovarsi di fronte poi ad un negozio di svariati accessori da spiaggia e mare per turisti.

Andrea sbatté le palpebre, cercando di recuperare un altro po’ di lucidità, perlopiù invano, e riuscì a coordinarsi abbastanza da voltarsi a guardare Nickj, dimenticando per un momento il suo allucinato frugare tra accessori per raccogliere delle bandane, o delle fasce per capelli, o dei foulard o parasole. Davvero qualsiasi cosa che potesse servire, debitamente bagnata magari, per coprirsi le vie respiratorie nel bel mezzo del fumo di un incendio. Per un folle momento la sua - ormai evidentemente alterata - ragione le aveva suggerito che Nickj stesse parlando di zombie veri e propri entrati nel negozio come se nulla fosse. Si sentiva una zombie lei, al momento. E mentre Nickj la occhieggiava per un momento da capo a piedi, il suo cervello ormai strafatto di mancanza di sonno non trovò trovare di meglio da fare che cacciarsi giù per un’altra tana di coniglio, dritto in un tunnel fatto di febbrili dubbi a proposito del fatto che servissero maschere da gas vere e proprie piuttosto che stupide bandane, o che se proprio dovevano essere bandane forse dovevano sceglierle di colori non stupidamente sgargianti ma in tonalità stile militare, quindi più adatte a mimetizzarsi in ambiente boschivo, ma dopotutto il fumo probabilmente avrebbe oscurato la vista, quindi probabilmente era un’idea inutile, e tuttavia…

Nickj la guardava come se stesse soppesando qualcosa. «Quella storia assurda a cui accennavi prima. Beh, l’altro giorno, quello che era. Roba su degli zombie che Danny e voialtri avreste tipo sconfitto?» disse, come a sottolinearne l’assurdità.

Andrea sospirò appena e si sforzò di riprendere a valutare le bandane e tutto il resto mentre parlavano. «Beh, non erano veri e propri zombie.»

«Non mi dire…» commentò divertita Nickj, scegliendo con una smorfia un altro paio di occhialini da piscina a caso e aggiungendoli alla manciata di quelli che stava raccogliendo con l’altro braccio piegato contro il corpo.

«In realtà è una storia un po’ lunga, comunque… Aspetta un momento.» Andrea si ricordò di qualcosa e si guardò intorno «Dov’è finito Uther?»

Nickj scosse distrattamente una spalla, facendosi cadere una maschera da sub che non si preoccupò di raccogliere, e indicò in un punto senza nemmeno guardare. «Ha lasciato perdere e si è sepolto in quel bar.»

Andrea aggrottò la fronte e seguì con lo sguardo il punto indicato. Si trovò a guardare la strada, attraverso la vetrina del negozio in cui si trovavano. Dall’altra parte d’essa c’era in effetti un bar, e sopra ad un tavolino giaceva Uther, appoggiato con tutto il busto e la testa sopra alle braccia piegate, come se praticamente ci fosse svenuto sopra, con una bottiglia di birra ancora mezza piena davanti a lui.

La parte più - o forse meno - assurda, era che con quella custodia di chitarra appoggiata alla sedia di fianco a lui, il vestiario sommario e piuttosto trasandato, e i capelli che sembravano non vedere un taglio regolarmente eseguito da probabilmente anni se non da sempre, Uther poteva passare tranquillamente per il luogo comune di un artista che beve e passa le notti insonni e finisce per addormentarsi sul tavolo di un bar.

«Non si sarà… addormentato?» si chiese ad alta voce Andrea.

«Chissà. O svenuto, magari. Smette mai di bere?» Nickj scrollò di nuovo le spalle. «Beh, lo sveglieremo quando avremo finito questa sottospecie di maledetto shopping.» risolse con una smorfia.

Andrea la guardò per un momento. «Voi mezzi lupi avete… tipo bisogno di meno ore di sonno?»

Nickj la guardò, inarcando un sopracciglio. «Non dovresti saperlo, a quest’ora? Stai tipo insieme ad un mezzo lupo, no? Comunque, nah, niente del genere. È solo che abbiamo maggiore resistenza alla fatica fisica e mentale, credo.»

«Credi.» ripeté Andrea, sorpresa. «Ad ogni modo, non è che io e Danny ci passiamo il tempo a fare sfide a chi riesce a restare sveglio più a lungo senza impazzire…»

Nickj la guardò. «O, potresti semplicemente chiederlo.»

«Non è quello che sto facendo?» ribatté Andrea «E tutto quello che ho, a quanto pare, è un ‘credo’.»

Nickj sbuffò e scrollò le spalle. «Non è che io passo il tempo a cercare di vedere a che punto inizio ad impazzire a forza di non dormire, di solito.» ribatté, in un tono che, ora Andrea se ne rendeva conto, suonava effettivamente piuttosto esausto.

«Dovreste… dormire. Soprattutto voi cioè, credo. Prima di domani notte.» notò Andrea, con una certa apprensione.

Nickj le scoccò uno sguardo, inarcando un sopracciglio. La guardò da capo a piedi di nuovo, e sembrò infine per optare di lasciare perdere di dire qualcosa, e invece sospirò e tornò a pescare occhialini e maschere da immersione a caso dalla cesta del negozio. «Quando tutto questo sarà finito, lo farò eccome. Specialmente quando sarà finita questa parte del maledetto shopping. Ora, assecondami, e raccontami di questi zombie-ma-non-proprio, tienmi sveglia.»

Andre sorrise, stancamente ma sinceramente, e prese a raccontare, o cercare di farlo perlomeno. E Nickj a commentare puntualmente qualcosa di perlopiù ironico, anche solo a suon di sornacchi significativi, e a fare domande decisamente scettiche su diversi punti. Se non altro, scoprì Andrea, il doversi concentrare sul parlare le impediva di risprofondare con la mente in allucinanti tane di coniglio e labirinti infernali.

Erano così assorte, o ormai così fuori di sé per la stanchezza, che la prima cosa che segnalò effettivamente loro il ritorno di Uther sembrò essere la sua voce.

«Perché ci state mettendo così tanto?» chiese lui, inarcando un sopracciglio.

Nickj si voltò su se stessa e gli scagliò direttamente addosso una manciata di occhialini colorati alla rinfusa, oltre che una sentita imprecazione. Uther si appoggiò di riflesso una mano sulla pancia, dove l’aveva colpito particolarmente la parte più dura di uno degli occhialini (non avrebbe immaginato prima che degli occhialini lanciati addosso, o forse in particolare con la forza di una mezza lupa, potessero sentirsi tanto), e la guardò sinceramente confuso dalla reazione.

Una commessa si avvicinò con fare nervosamente preoccupato e chiese se per favore potevano evitare di lanciarsi addosso la merce, occhieggiando dall’uno all’altra come se stesse ponderando di chiamare la polizia. E prima che Nickj o Uther potessero dire qualcosa, Andrea si fece avanti e affermò con voce eccessivamente alta che prendevano quelle, grazie, porgendo la raccolta di bandane che aveva collezionato fino a quel momento.

Nickj lanciò un ultimo sguardo critico e optò per seguire Andrea. Uther sbatté un momento le palpebre, ancora confuso, quindi sospirò e raccolse da terra gli occhialini con cui era stato bersagliato, decidendo che dovevano essere quelli selezionati, dirigendosi a sua volta alle casse. Si consolò col pensiero che poteva andare peggio; avrebbe potuto dover andare a fare quella commissione con Kumals e/o Bree.

«Io le avrei semplicemente rubate.» commentò comunque Nickj tranquillamente mentre si trascinavano lungo la strada del ritorno, come tenendoci a chiarirlo. Sembrò per un momento una singolare combinazione di ribellione giovanile umana e di orgoglio del tipo ‘io posso permettermi questo e altro’ da mezzo lupo.

Uther emise un breve sornacchio scettico. «Troppe cose. E non abbastanza vestiti indosso, visto il caldo.» osservò, come se avesse delle precise opinioni pragmatiche da personale esperienza, riguardo al taccheggio.

«O, soprattutto, meglio evitare di avere a che fare con la polizia, visto quello che stiamo cercando di fare…» osservò Andrea, solo per chiedersi - mentre ancora lo diceva - perché mai stesse cercando di dire qualcosa di serio in quella conversazione.

«Ah. Sì, ci può stare.» commentò comunque Nickj, annuendo.

A nemmeno metà strada verso l’appartamento, si ritrovarono Danny che correva loro incontro.

Andrea si irrigidì, notandone l’espressione preoccupata e seria, almeno prima che li vedesse. «È successo qualcosa?» chiese subito.

Danny si fermò di fronte a loro e prese un respiro. «No. Stavo solo… se mi aveste aspettato, sarei venuto con voi.» disse, corrugando la fronte.

Nickj sembrò intuire perfettamente l’intento protettivo, e si limitò a sbuffare un sogghigno. «Perché, hai particolari doti nascoste riguardo la scelta di occhialini e bandane?»

Uther sembrava aver intuito altrettanto bene, e ancora meglio quanto l’intento protettivo fosse rivolto soprattutto verso Andrea. «Ho il fucile, abbiamo una mezza lupa…» indicò con un pollice verso Nickj scioltamente «Eravamo abbastanza ben equipaggiati.»

Danny gli lanciò un’occhiata dubbiosa.

Andrea sospirò. «Immagino che quelli all’attendamento staranno dormendo là, piuttosto che tornare a scorrazzare in città. Per riposarsi prima. Come dovremmo fare anche noi.»

Danny la guardò un momento e annuì, voltandosi per tornare insieme a loro verso l’appartamento. O a trascinarcisi abbastanza efficacemente da riuscire a raggiungere il prima possibile il momento in cui abbattersi in qualunque punto d’esso e, finalmente, dormire.



Soundtrack: You ain’t seen nothing yet (Bachman Turner Overdrive)


Note per la letturaattenzione, sto pubblicando in una sola volta (lo stesso giorno) una mezza dozzina di capitoli. Lo dico perché se siete in qualche modo iscritti al sistema del sito che vi segnala automaticamente l’aggiornamento di questa storia, se non sbaglio vi invia direttamente all’ultimo capitolo, il ché significa che quando si pubblicano più capitoli insieme se seguite il link del sistema automatico finite all’ultimo saltando dei capitoli. A questo proposito, siccome non aggiorno da un (bel) po’, e per chi non ricordasse il numero/titolo dell’ultimo capitolo che avevo pubblicato e che aveva (eventualmente) già letto: l’ultimo capitolo che avevo pubblicato era il n° 60 (61 con la numerazione automatica del sito perché conta come n° 1 il cap. 0) ‘Wrong legends’, e ora sto pubblicando in una volta sola i capitoli dal 61 al 66 (da ‘Tre mezzi lupi entrano in un bar’ a ‘Then humour me’). Abbiate pazienza, copio-incollo questa nota in tutti questi 6 capitoli per (presumo) vostra utilità.

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