TRE GIORNI

di Brume
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: verso Arras. 26 dicembre 1788 ***
Capitolo 2: *** 2. Se... ***
Capitolo 3: *** Quando il mondo si ferma ***
Capitolo 4: *** Ci vediamo a casa ***
Capitolo 5: *** Vie ***



Capitolo 1
*** Prologo: verso Arras. 26 dicembre 1788 ***


TRE GIORNI



 

Prologo :  Verso Arras. 26 dicembre 1788 

 

Il paesaggio, irreale, sembrava uscito da una di quelle fiabe che Nanny leggeva loro quando erano piccoli e non volevano assolutamente andare a letto ed Oscar e Andrè, fermati i cavalli qualche metro oltre il cancello della proprietà,  osservavano rapiti ciò che avevano davanti:  il palazzo di Arras, una costruzione a pianta quadrata, era completamente avvolto dal manto bianco così come ciò che aveva intorno...solo gli alberi piantati sapientemente a formare una sorta di confine naturale spiccavano, scuri, con i loro rami ormai stanchi. Non si sarebbero stupiti se, all’ improvviso, avessero visto spuntare qualche essere soprannaturale.
"...è….è...bellissimo" disse Andrè, quasi sottovoce, senza mai distogliere lo sguardo da quella visione. Ogni rumore era soffuso. Tutto, immobile e fermo, fissato in un eterno e lungo magico  istante.

Oscar, sovrappensiero, sembrò non fare caso alle parole dell'amico, tuttavia, dopo pochi attimi, arrivò anche la sua risposta.

"Si, Andrè….è davvero magnifico" aveva detto, gli occhi sgranati a godersi il panorama,  prima di ripartire al passo, precedendo di qualche metro. 

Niente di più, niente di meno; Andrè distaccò lo sgaurdo dal paesaggio e  la osservò andare via, senza mai distoglierle gli occhi di dosso.Infine, con la stanchezza che ormai aveva avvolto ogni fibra del suo corpo, diede un leggero colpetto con i talloni al cavallo, che ripartì al passo. Voleva entrare in casa, sistemarsi, farsi una bella dormita.

Erano partiti presto, quella mattina. Il sole doveva ancora sorgere.

La nutrice aveva preparato loro una colazione sostanziosa e delle leggere sacche da viaggio; al caldo del camino sito nella grande cucina si erano sfamati ed infine  sistemati addosso gli spessi e pesanti mantelli di lana e pelliccia, adatti per quelle occasioni.

Nanny li aveva redarguiti più volte riguardo  quella pazzia: Mettersi in viaggio con questo tempo...Mademoiselle, ma che idea! Potresti riposarvi anche qui! aveva detto, ripetuto con fino allo spasimo e con enfasi rivolgendosi alla sua protetta, dando di tanto in tanto occhiate a suo nipote; ma loro, soprattutto Oscar, avevano già deciso. 

Quei giorni di licenza li avrebbero passati ad Arras, nella casa di campagna. Lontano da tutto e tutti.

Così...si erano messi in viaggio, facendo solo una piccola sosta per far riposare i cavalli...Ed erano, prima del tramonto, arrivati a destinazione.

 

“Andrè...ho freddo, sbrigati” disse Oscar una volta arrivata davanti la casa del custode, Luc. Lui senza battere ciglio l'aveva raggiunta e, una volta sceso,  si era avvicinato alla porta battendo vigorosamente le nocche infreddolite sul legno ghiacciato della porta. Luc aveva aperto quasi subito.

“...Mademoiselle! Andrè!” disse  con sorpresa l’ uomo, strappato probabilmente ad un sonnellino pre-serale, nel momento in cui erano comparsi davanti ai suoi occhi. 

“Scusateci,Luc, per la sorpresa. Mademoiselle ed io vorremmo passare qualche giorno qui. Pensa di potermi dare una mano ad accendere i camini? Sua moglie potrebbe prepararci qualcosa da mettere sotto i denti?” chiese Andrè con modi affabili: anche se quell'uomo e quella donna erano pagati per farlo, non gli piaceva essere sgarbato.
Luc annuì e  allungò la mano alla sua destra prendendo un mantello ed un cappello.

“Al vostro servizio” rispose poi, semplicemente, avviandosi verso la magione e chiacchierando del più e del meno con l'attendente del Conte. 

Oscar, poco distante dai due uomini,  li seguì; la piccola compagnia si avviò dunque verso la casa, seguiti pure da Gisele, la moglie di Luc. Cominciava a calare la sera, il cielo iniziava a scurirsi regalando sfumature surreali; era davvero uno spettacolo della natura. 

“Mademoiselle” disse Luc rivolto ad Oscar “ abbiate pazienza. Ci vorrà un attimo prima che tutto sia in funzione e che la casa si scaldi.

“Non è un problema, davvero.Piuttosto, Gisele...potrebbe prepararci qualcosa da mangiare, nel frattempo?” rispose lei. La donna annuì, fece un piccolo inchino; parlò con il marito e poi tornò verso casa. Andrè osservò Oscar.
“Vai, Oscar. Vai al caldo, almeno te...ti raggiungerò tra poco” disse Andrè spogliandosi del mantello, seguendo Luc un una delle stanze del piano terra. 

“D’ accordo, Andrè” rispose la donna. Era una buona idea: non avrebbe potuto fare nulla, li, se non prendere freddo.

La casa, una residenza di campagna, non era gigantesca; possedeva solo una decina di stanze, una cucina, la dispensa, una sala da pranzo ed una biblioteca. Certo, gli ambienti erano molto più ridotti: anche per questo avrebbe fatto alla svelta a scaldarsi ed, effettivamente, nel giro di un'oretta e mezzo tutto fu sistemato.

Quando Andrè e Luc rientrarono, stanchi, Gisele sedeva davanti alla stufa ed Oscar era accanto a lei. Stanca, i suoi occhi avevano ceduto al viaggio ed al freddo e si erano chiusi ed il suo petto si alzava ed abbassava ad un ritmo costante. 

“Si è addormentata” disse Gisele quando Andrè si avvicinò alla tavola per la sua razione di zuppa; sorrise dolcemente, tentato dall’ allungare una mano e regalare una carezza alla donna , l'uomo...ma non volle mostrare del tutto ciò che il suo cuore provava in quell'istante. Non era il caso.

“La porterò in casa io, se mi fa la cortesia di preparare la sua stanza. Io mi arrangerò” rispose.

Gisele annuì e lo stesso fece Luc.

“Vi fermerete molto?” chiese quest'ultimo, addentando un pezzo di pane.

“A dire la verità, Luc, non lo so. Dovremmo rientrare a Parigi tra qualche giorno, ma dovrei...dovrei chiedere ad Oscar. In ogni caso, non credo che resteremo più di tre, quattro giorni” rispose.

Luc annuì ed il resto della cena passò veloce. L’ uomo domandò di eventuali novità ad Andrè, si fece raccontare gli ultimi avvenimenti; intorno alle undici , stanchi, decisero di ritirarsi.

Andrè si infilò la giacca ed il mantello; con gesti misurati e delicati prese Oscar tra le braccia e, solo quando fu sicuro di avere la presa, chiese a Gisele di ricoprirla con il mantello.

“...la stanza del Conte è pronta?” domandò.

“Si, è sempre pronta. Basterà togliere il telo che ho messo per la polvere. Ci sono anche dei bauli, con abiti di ricambio.” rispose la donna.

Andrè li ringraziò, dunque; dopo una decina di minuti uscirono, rischiarati solo dalla luce di una piccola lanterna.

“Grazie” disse Andrè una volta in casa; Luc salutò e uscì chiudendo il pesante portone dietro di lui.

 

Andiamo,Oscar, ti porto nel tuo letto pensò Andrè indirizzandosi verso le scale a poca distanza da loro, posando leggero un bacio sui suoi capelli.
 








 

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Capitolo 2
*** 2. Se... ***



CAP.1 - Se...


Quel bacio rubato, le labbra appena poggiate sui capelli soffici: Andrè non fece altro che pensare a quell' attimo,  durante la notte, in una sorta di sonno che sonno non era tanto fu travagliato ed inquieto. Dopo molto tempo, quel contatto e quella confidenza lo avevano fatto sentire fuori luogo e,  al pari di quella sera sentì...sentì di avere quasi violato, ancora una volta, quel corpo e quella fiducia che da sempre la donna aveva  riposto in lui.

 

Solo al mattino parve sprofondare in un sonno profondo.

Poco dopo i primi raggi di un’alba smunta finalmente le palpebre cedettero e non sentì più nulla: non un rumore, non le voci di Luc e Gisele che aiutati dal figlio spalavano la neve, scesa copiosa quasi tutta la notte,  per creare un passaggio.

Si svegliò solo nel primo pomeriggio quando il fuoco della sua stanza era ormai spento.Quando il freddo gli arrivò alle ossa si levò da dosso le pesanti coperte, scese dal letto e si vestì  come avesse orde di nemici alle calcagna pronti a colpirlo e solo allora, dopo essersi un attimo ricomposto,  raggiunse il salone dove vi trovò Oscar.

“Scusami, Oscar. Non succederà mai più” disse, avvicinandosi con passo svelto alla donna che in quell'istante  stava leggendo un libro seduta sul divanetto verde. 

“Non fa niente, Andrè. Hai fatto bene a riposare. Ora vieni, fai colazione con me ” rispose lei senza mai distogliere gli occhi dalle pagine del tomo che teneva sulle ginocchia, con voce delicata; lui, sorpreso, la raggiunse sedendosi sulla poltroncina  di fronte. Tra di loro solo un piccolo tavolo.

“C’è qualcosa che posso fare per te, Oscar?” chiese, quindi, impacciato per quella situazione così strana.

Oscar non rispose subito. Le sue labbra si aprirono ma non ne uscì alcun alito, nemmeno mezza parola, quasi dovesse soppesarle. 

“Nulla, Andrè. Non sei più un mio servitore...io...ti ho chiesto di venire con me solo...solo per potere stare insieme. Ci sono molte cose delle quali parlare” rispose  dopo pochi minuti con voce quasi leggera,  posando il libro sul tavolo vicino e sospirando, sollevata, come se si fosse tolta un peso dallo stomaco.

"Va...va bene..." balbettò lui, sorpreso ed impacciato, restando fermo dove era e cerando un appiglio sul quale posare gli occhi che inevitabilmente sempre su di lei andavano a finire.

Oscar sorrise, il viso disteso e gli occhi momentaneamente liberi da qualsiasi preoccupazione. Quel sorriso riempì il cuore di Andrè, lo riempi a tal punto che parve scoppiare poi, così come era stata dolce e affabile, tornò seria:  a quel punto Andrè, poco aver sorseggiando la bevanda ambrata dalla pregiata porcellana che aveva trovato sul tavolo da pranzo,  le fece una domanda.

" ... di cosa volevo parlarmi, Oscar?" disse  cercando di tenere a bada una certa inquietudine.

Lei posò il piattino con la fetta di torta che stava mangiando. 

Lo fissò, prese fiato, poi si spostò alcune ciocche di capelli dietro le orecchie.

"...i tempi che ci aspettano sono piuttosto duri, Andrè..." esordì "...il nuovo anno...credo ci riserverà molte sorprese."

Andrè  annuì. Non era una novità per nessuno.

“Andrè...siamo cresciuti insieme, mi conosci meglio di chiunque altro. Sai...sai tutto di me.Dimmi, Andrè: se tu fossi al mio posto, cosa faresti?” chiese Oscar, tralasciando volutamente argomentazioni che non si sentiva di affrontare e preferiva lasciare nascoste.

Andrè, sorpreso dalla domanda, strabuzzò gli occhi e per poco non si strozzò con del pane e formaggio che stava poco elegantemente addentando. Oscar lo fissò, senza battere ciglio; spostò la sua sedia qualche centimetro indietro, accavallò le gambe e fissò l’ amico attendendo la risposta.  I suoi occhi erano limpidi; il mare al loro interno sembrava calmo ma in realtà onde, onde alte, cominciavano a formarsi.
L’ uomo deglutì la sua colazione e prese il tovagliolo posato  accanto alla tazza ed al piatto, pulendosi le labbra; infine, ancora con quel pezzo di stoffa tra le mani, appoggiò i gomiti sul tavolo e chinò la testa. I suoi occhi osservarono a lungo le venature di quel legno così antico e così pregiato; percorsero lunghi tratti, vie, arzigogolature varie ed al contempo la sua mente cercò di elaborare una risposta. Ciò che Oscar gli aveva chiesto , all’ apparenza così semplice, conteneva in sè un infinito numero di sfumature. 

Non era il tipo di domanda al quale rispondere senza mettersi in gioco.

“....Oscar, la tua domanda è troppo articolata per avere una risposta univoca e semplice” disse rialzando il capo e guardando la donna. Il vento, fuori, iniziò a soffiare forte spazzando via le ultime nubi cariche di neve. Erano si e no le quattordici, ma pareva già sera.

“Cosa intendi dire?” chiese lei.

Andrè , con un movimento fluido, si alzò. 

Fece alcuni passi sentendo gli occhi di lei alle sue spalle e camminò, avanti ed indietro; infine si appoggiò allo stipite del camino poco distante e allungò la mano a sfiorare uno dei vari ninnoli disposti qui e la.

“...Intendo dire che ci vorrebbero ore e ore per parlarne, Oscar. Potrei risponderti semplicemente coaì:  se sei serena e contenta di te e della tua vita non vedo cosa dovresti fare...ma non credo che sia questo ciò che tu voglia sentire...così come non credo che tu mi stia chiedendo consigli di tipo militare o gestionale…sbaglio?” rispose , senza censure, Andrè.

Oscar rimase ferma al suo posto. 

Prese la sua tazza di te sorseggiandolo lentamente e  dopo alcuni minuti di silenzio si alzò andando alla finestra sfiorando le pesanti tende con la punta delle dita.

“No, non sbagli. La verità, Andrè, è che non sono più sicura di ciò che ho sempre voluto essere. Beninteso, io ho affrontato seriamente la mia vita fino ad ora e tu lo sai. Non ho mai vacillato. Ma da un pò di tempo….” Oscar si fermò per prendere tempo, o forse per paura e Andrè si allontanò dal camino, raggiungendola, tenendosi comunque a debita distanza. Lei si voltò, guardandolo negli occhi. 

Il volto si era fatto improvvisamente tirato, le guance rosse.

“Stai bene? Ho forse detto qualcosa che ti ha offesa? In tal caso ti chiedo perdono” si affrettò a dire Andrè, preoccupato.

“...No, tutto a posto, Andrè...volevo solo dire che...questi panni cominciano ad essermi stretti. Sono un soldato, fedele ai Reali. Ho vissuto come credevo fosse giusto e fatto ciò che mi è sempre piaciuto. Ora però, alcuni pensieri occupano la mia mente.” rispose. Gli occhi di lei si velarono, piano piano. Andrè si avvicinò di qualche passo.

Avrebbe voluto prenderla tra le braccia e dirle che tutto si sarebbe risolto gettando alle ortiche quella divisa, le mostrine, correre con lei nella neve  come quando erano bambini e rincorrersi tirandosi palle di neve…

“Oscar, dimmi...ti andrebbe di uscire a fare palle di neve?” le domandò.

“Andrè io…” rispose, spaesata, guardandosi intorno senza decidersi.

“Vuoi o non vuoi?” incalzò lui avviandosi verso la piccola stanza dove erano posati cappotti e mantelli pesanti, poco distante dall'ingresso.

Lei esitò, guardò oltre la finestra, non rispose.

Lui tornò sui suoi passi.

 Forse aveva trovato quella risposta.

“Ecco, Oscar, la risposta alla tua domanda.  Prova a lasciarti andare...lasciarti andare davvero. Capire che solo tu puoi decidere della tua vita e che non c’è nulla di sbagliato in ciò che fai, se ci credi. Ma se hai dubbi è altrettanto giusto affrontarli. Non sei una condannata a morte, Oscar; puoi decidere della tua vita. Nessuno, qui, ti giudicherà. Nessuno dovrebbe farlo nemmeno altrove.” disse.

L’uno in faccia all’ altra anche se con qualche metro a dividerli, si fissarono ancora, per l’ ennesima volta. Lo sguardo di Oscar ed il suo viso fecero capire ad Andrè che forse aveva colpito nel segno. 

La pesante pendola, una delle tante disseminate per la casa, si fece sentire. Nella casa vuota e silenziosa, libera dal vociare di inservienti e camerieri ma riempita solo dai loro cuori e quel ticchettare, l’ atmosfera sembrò farsi pesante.

“...queste parole mi ricordano tanto quella sera, Andrè. Mi dicesti qualcosa...qualcosa di simile...dicesti...sia essa bianca o rossa,  una rosa è sempre una rosa. Una rosa non sarà mai un lillà...è questo, Andrè? Mi stai dicendo che è inutile continuare a tormentarsi?Che davvero posso scegliere?” chiese Oscar. La sua voce bassa tremava, così come il corpo esile.

Il corpo, la mente ed il cuore di Andrè si fermarono, per un attimo. 

Tutto pareva essersi fermato, anche il respiro faceva fatica ad uscire….

“...quella sera...Oscar….” mormorò appena, senza avere il coraggio di guardarla e sudando freddo “ quella sera ero disperato...in ogni caso si: ti sto dicendo che è inutile tormentarsi, ma devi accettare la realtà, accettare ciò che dice il cuore e la mente. Ecco la mia risposta, Oscar. Se io fossi al tuo posto cercherei di essere me stesso, davvero...ed ogni cosa arriverebbe di conseguenza. Se io fossi al tuo posto...” disse.

 L’ animo parve quietarsi e Andrè rimase immobile dov’era, fissandola.
Oscar chinò il capo.

“Io...io non ne sono capace, Andrè. Ho sempre obbedito agli ordini, non mi sono mai chiesta molto…Non so come si fa!” disse.

Il cuore dell’ uomo si strinse, le lacrime salirono agli occhi. Silenziosamente, avanzò verso di lei.

 

“...scusate...mia moglie non sta molto bene, devo portarla da un dottore...vi chiedo il permesso di assentarmi, Monsieur”.

 

La voce  contrita e preoccupata di Luc li fece sobbalzare. Entrambi , all’ unisono, si voltarono verso la piccola porta della cucina.

“Cosa succede, Luc? ... posso dare una mano?” rispose Andrè dopo aver realizzato ciò che stava accadendo. L’ uomo, ritto in piedi con indosso il mantello ed un cappellaccio tra le mani, negò.

“No, grazie; la porterò in paese con il carretto” rispose “ tuttavia...volevo chiedervi  il permesso”.

Entrambi gli uomini si girarono verso Oscar.

“Certo, Luc. Ci mancherebbe altro” rispose “anzi...io e Andrè ti accompagneremo, per ogni evenienza”.

Andrè guardò Oscar, poi annuì. Infine, andò a vestirsi per affrontare il freddo e quando fu pronto si recò a sistemare i cavalli.



 

Fortunatamente, Gisele non presentò nulla di grave. 

Il freddo e la scarsità di cibo l’ avevano costretta a nutrirsi unicamente di alcuni alimenti e questo le aveva creato alcuni scompensi ma per il resto non vi era di che preoccuparsi;  il marito, sollevato, questo disse ad Andrè ed Oscar che attendevano nella piccolissima sala di quella abitazione- studio.

“Per fortuna. ...meglio cos’! Ditele di prendersi quanti giorni di riposo possano servirle; noi possiamo arrangiarci e mangiare in una locanda” rispose  Oscar.

“Grazie, Signore” disse Luc, sollevato.

 Oscar posò una mano sulla spalla dell’ uomo ed infine uscì dalla porta. Una volta fuori, senza nemmeno guardarlo negli occhi, si rivolse ad Andrè.

“Andiamo, Andrè” disse salendo in sella  “ voglio far correre un pò questo cavallo. Ho bisogno di aria fresca” 

“Fa molto freddo. Sei sicura?” domandò aggiustandosi il mantello il compagno. 

“Si” rispose, prima di partire al galoppo sollevando nugoli di fiocchi, terra, sassi.



 

Quella giornata passò così.

 Correndo a perdifiato, saltando ostacoli, passando tra rami secchi che parevano essere dita affilate ed adunche si qualche mostro nascosto sotto la terra; per ore, finchè i cavalli ebbero forza, batterono il terreno ed i pascoli intorno ad Arras. Senza mai dire una parola.

Quando arrivarono all'entrata di  palazzo il sole stava tramontando e gli stomaci iniziavano a reclamare cibo; tutto ciò che era accaduto quella mattina sembrava lontano, talmente lontano che Andrè si chiese se fosse stato reale. Ma Oscar, il suo viso, tradirono qualsiasi dubbio; era scuro, tirato, man mano si avvicinavano all’ entrata, quasi nel palazzo l’ aspettasse un plotone di esecuzione.

Andrè la osservò, attento.

“...andiamo a mangiare, Oscar?” gli propose.

Lei si voltò. 

“...Non ho molta fame” rispose.

Andrè sospirò.

“Vorrà dire che… cucinerò io!...almeno un brodo lo prenderai, spero” chiese , scendendo da cavallo e aiutandola. 

Lei annuì.

“Va bene. Vai in casa, sistemo i cavalli e vado in cucina….” disse lui, avviandosi verso la scuderia poco distante. Il viso gli bruciava tanto era freddo, in realtà avrebbe voluto prendersi un bagno e mettersi davanti al fuoco...Ma lei veniva prima di tutto e di tutti. 

Andrè ci mise poco a finire le sue faccende. 

Oscar era sparita dalla sua vista, forse era rientrata.

 Dopo aver dato da mangiare ai cavalli si avviò allora verso casa; fece alcuni passi nella neve scricchiolante, stando attendo a non scivolare; era quasi arrivato quando sentì il rumore di altri passi dietro di lui.

Era Oscar, e l’ aveva quasi raggiunto; lui rimase ad aspettarla, le redini in una mano e l’ altro braccio lungo i fianchi.

“..Oscar  ma che...dove eri? Non ti ho vista, nè sentita ” disse sorpreso, circondato nel frattempo dalle braccia della donna che lo avvolsero piano, senza nè chiedere nè dire nulla.

 La bocca di Andrè non pronunciò più una parola. Il suo corpo fu scosso da brividi. 

Nel chiarore di un tramonto,  emozionato e stupito, ribaltò la situazione e strinse a sè lasciando andare qualsiasi pensiero, il buonsenso, tutto. Era così bello… 

"....scusami, Andrè " pronunciò Oscar con voce calma e soffusa appoggiata al petto dell' uomo " non so cosa mi sia preso...avevo voglia di un abbraccio. Di sentire il tuo profumo..."

Lo sguardo di Andrè, perso nel tramonto, cercò gli occhi di Oscar. Le braccia forti la strinsero ancora di più, come un tesoro prezioso. Era aria, era respiro; era gioia, era amore. 

Rimasero silenziosi, legati l’ uno all’ altra , per un tempo che nemmeno loro calcolarono; solo quando il sole era ormai nascosto, lentamente si distaccarono.
Con le mani l' uomo sollevò il viso stanco di lei.

"...di cosa dovrei scusarti, Oscar? Sono io quello pieno di colpe, non tu" mormorò  riprendendo il discorso e regalandole una carezza.

"...io..io non avrei dovuto farlo ma ...ecco, mi sono tornate in mente le tue parole in cui mi hai detto...di essere me stessa, di seguire i miei desideri…" rispose mentre le lacrime iniziavano ad affiorare " ed io...da troppo tempo desideravo farlo".

L'uomo, sorpreso, per un attimo smise perfino di respirare.
Avrebbe voluto baciarla ma no...non era il caso.
Non era ancora pronta.

Andrè, allora, silenzioso, lasciò cadere la sua mano verso quella di Oscar, stringendola.

“Fa freddo, entriamo. Avremo tutto il tempo di parlare” disse dolcemente.

Insieme, senza dire altro, si incamminarono verso la porta, i cuori e l’ anima leggeri come le piume trasportate dal vento.

 
Illustration2

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Capitolo 3
*** Quando il mondo si ferma ***


 

Cap.2  Quando il mondo si ferma


La colazione o, meglio, ciò che ne restava, faceva ancora bella mostra sul tavolino del grazioso salottino: la piccola forchetta da dolce appoggiata sul piattino con la mezza fetta di torta,  le tazze decorate a motivi floreali  con l'immancabile stemma nobiliare...tutto pareva quasi pronto per essere dipinto in una natura morta. Mancava solamente l’ artista.
 

"Per fortuna il fuoco è acceso" disse Andrè chiudendo la porta alle sue spalle ringraziando fra sé il figlio dei custodi che evidentemente aveva fatto un giro di controllo, nel frattempo. 

"Ne ho proprio bisogno, il  freddo mi è antenato nelle ossa" rispose Oscar.

“Forza, vai a sederti, ora... “ disse allora lui accompagnandola verso la chaise longue, proprio dinnanzi al camino  “ io, nel frattempo, vado  a preparare qualcosa di caldo…”

"...aspetta, ti do una mano" rispose lei. Andrè fu irremovibile; un altro sguardo ed un altro sorriso convinsero la donna a restare dove era. Si affrettò a raccogliere le varie stoviglie e sparì in cucina. 

Oscar quindi si accomodò, togliendosi i pesanti stivali e gettandoli in un angolo; poi, allungò le gambe e subito una benevola sensazione si impadronì di lei mentre il calore di diffondeva. Sospirò, lasciando ricadere all’ indietro la testa finchè il capo non toccò i cuscini morbidi della seduta. 

Rimase così tutto il tempo che l’ uomo passò in cucina: occhi aperti a guardare il soffitto a cassettoni scuro, qua e là rischiarato dai riflessi delle fiamme che si alzavano alte; era piacevole e non ricordava di aver mai provato una sensazione simile….forse anche perchè non se l'era mai concessa, sempre di corsa, sempre agli ordini di qualcuno a Versailles come a Parigi. Non si fermava mai e quando lo faceva era per compilare e firmare permessi, dispacci o relazioni.

Ma… voleva davvero andare avanti così?

Il suo cuore ed il suo corpo già una volta l’ avevano stravolta lasciandola stordita; ora questa sensazione si ripresentava chiedendo, però, un conto molto più alto: lei stessa. Non  una carezza, non un sorriso. 

La sua vita. Il suo essere donna. 

 

L’ amore non aspetta, l’ amore arriva e se sei bravo ad afferrarlo, se è il momento giusto, ti prende e ti travolge lasciandoti senza fiato. L’ amore non è solo  anelare disperatamente lo sguardo, il gesto o la voce di qualcuno nè tantomeno è fatto di tattiche, offensive e controffensive.

L’ amore è una tempesta ma, al contrario di quella, non distrugge raccolti; no, l’ amore è un vento forte che ti prende, ti travolge e riversa in te la gioia completa pensò Oscar in quegli attimi, in quella attesa; quasi trasalì sentendo la voce di Andrè.

“Sei pensierosa… c’è qualcosa che non va?” gli domandò.

 Oscar si mise a sedere , la testa gli girò un attimo.

 Andrè era appoggiato con la schiena al muro accanto al focolare, le braccia incrociate sul petto. Aveva sciolto i capelli che, dopo la faccenda del Cavaliere Nero , erano un poco ricresciuti; il ciuffo scuro copriva ancora l’ occhio offeso.

“Stavo...stavo pensando all'amore” disse lei.

“Sono riflessioni impegnative” rispose lui, smorzando l’ atmosfera con una risatina che nulla aveva della presa in giro ed era forse stata dettata dall’ imbarazzo.

“Si, decisamente...” rispose Oscar arrossendo e coprendosi il viso con le mani.

Andrè le si fece vicino.

“Perchè nascondi le tue guance? Perchè mi nascondi il tuo viso?” domandò.
Oscar non rispose. 

Voltò il capo dall’ altra parte.

Andrè rimase a guardarla, estasiato.

Come sei bella, Oscar pensò in quegli attimi; se solo...se solo potessimo amarci liberamente….

“...Ora sei tu pensieroso, Andrè….” disse lei dopo un attimo liberandosi dallo scudo di dita e nervi.

“...mmm...dici? No, stavo solo pensando di andare a controllare la zuppa” rispose, mentendo. Patetico. Sapeva benissimo che ci sarebbero voluti altri venti minuti affinché fosse pronta.

“.... bugiardo. Ti ho sempre scoperto, quando dicevi le bugie. Anche ora che siamo cresciuti riesco a leggerti dentro, non l’ ho persa questa abitudine” disse.

Andrè , colpito nel segno, divenne a sua volta rosso. 

Ma reagì. 

Si avvicinò a lei, chiese di potersi sedere accanto; appoggiò le braccia sulle ginocchia e voltò il capo per vederla.

“...D’ accordo… allora, Oscar, cosa sto pensando in questo momento?” chiese.

Lei alzò gli occhi al cielo, poi li rivolse a qualsiasi cosa ci fosse nella stanza. Aveva una risposta ma...non voleva essere sfacciata.

“Stai pensando che sono strana” rispose di getto.  La stanza di riempì della risata di Andrè.

“Quello lo penso da sempre. Riprova, Oscar” rispose.

Lei sbuffò, come una bambina alla quale hanno rovinato un gioco.

“...stai pensando… a me” disse, d’ un fiato.

“...anche quello...è una cosa ovvia. Conosci i miei sentimenti, e non sono cambiati di una virgola” rispose. 

 

Oscar diventò improvvisamente seria.

Andrè rimase a guardarla ancora un pò; gli occhi spalancati di lei ora guardavano il pavimento. 

Gli prese la mano.

“...Mi dispiace averti turbata, Oscar. Ho fatto il passo più lungo della gamba. Ora...vado a controllare la cena” disse.
Oscar annuì. 

Non appena si fu allontanato, si lasciò andare nuovamente sulla poltrona; di nuovo le vecchie sensazioni fecero capolino, in lei.

No, non ora...ora basta! ...adesso voglio...voglio provare a vivere. Mi sono negata sempre tutto….perchè dovrei rinunciare alla gioia? Io...credo di amarti, Andrè...ma non potrò mai saperlo...se non provo a lasciarmi andare. Mio Dio...mi sembra di impazzire ! pensò; no, non poteva più attendere, non voleva attendere. 

 

Avrebbe parlato con lui. 

 

Andrè arrivò dopo una decina di minuti recando un vassoio sul quale erano posate due ciotole ed i rispettivi cucchiai. In un piatto aveva appoggiato del prosciutto e del formaggio.

“E’ pronta la cena” disse, appoggiando il tutto sul tavolo grande, da pranzo, sull'altro lato della stanza.

“Andrè, se è possibile vorrei mangiare qui, davanti al camino. Come quando eravamo bambini. Ricordi?” disse Oscar mentre si alzava per lasciare spazio all'uomo di gestirsi.

“Va bene, come desideri” rispose lui.

L’ uomo appoggiò dunque quella frugale cena sul grande tappeto davanti al fuoco. Oscar prese i cuscini e li posò a terra.

“....E’ bello qui. Non me ne andrei mai” disse lei sedendosi

“E’ vero. Se le cose fossero diverse… piacerebbe anche a me restarci. Per sempre. ”

Oscar si incupì. 

“...Vedrai, Andrè. Cambieranno, le cose. La Francia cambierà, a breve...tutti saremo liberi” disse.

Lui la fissò stupito.

 Non l’ aveva mai sentita parlare, così.

“Stai forse rinnegando le tue origini e la tua classe sociale, tutto ciò in cui credi?” rispose porgendogli la scodella colma di zuppa.

“...sto semplicemente dicendo che, indipendentemente da ciò che penso, è inevitabile un cambiamento. Tu stesso mi hai aperto gli occhi, qualche tempo fa. Mi sto rendendo conto di tante cose”.

 Ora la voce e lo sguardo della donna si erano fatti seri.

 Prese la scodella , si scaldò un pò le mani e poi iniziò a mangiare.Andrè si sistemò anch'esso, poco distante, con il suo companatico.Il resto del tempo , il resto di quella cena, passò così.

Tra silenzi e pensieri,consapevolezze e paure. Tra sguardi rubati e la voglia di un nuovo e tenero abbraccio.

“Il destino è un essere mutevole” disse Oscar. I suoi occhi fissavano il fuoco.

Andrè guardò Oscar. 

Che le saltava in mente?

“... e questa citazione da dove arriva? “ chiese Andrè, posando la sua scodella e quella di lei  sul vassoio.

“Onestamente non ricordo. Ha importanza?” rispose Oscar.

“No, a dire la verità no…” disse lui alzandosi per portare i resti della cena in cucina.

“Non andare, Andrè...resta qui. Stiamo così bene, no? Non rovinare l'atmosfera.”

Andrè lasciò il vassoio, tornandosi a sedere.

 

 Che ore saranno? Questo tempo è infinito  pensò, abbracciando le sue ginocchia. Il fuoco era ancora vispo ed in ogni caso la legna non era distante da lui. Decise di rimanere così, era comodo. Aspettò. 

“Ascoltami, Andrè… io… tu… mi ami davvero? Mi ami ancora?” chiese lei.
Andrè si voltò nella sua direzione, spalancando gli occhi: fu come...come se Oscar lo avesse pugnalato. La sensazione era quella; gli mancava il fiato, non riuscì a parlare.Gli sembrò di soffocare e con una mano sciolse il fiocco della camicia. 

Aveva caldo. 

Sudava.

“Non parli?Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese la avvicinandosi talmente tanto che lui poteva percepire il profumo della sua pelle.

Anche Andrè si fece avanti; raggiunse Oscar, fece scivolare gli occhi dentro i suoi e anche se in realtà ci vedeva solo da uno di questi, i suoi sentimenti gli fecero percepire una visione completa.  Oscar, la sua Oscar, era davanti a lui. La sua Dea. Il suo tutto. Ad un respiro dal suo viso.

“Mi chiedi se ti amo, se ti amo ancora? Non ho mai smesso. Per vent’ anni ho atteso pazientemente, per vent'anni ho serbato ogni parola, ogni sguardo, ogni sfumatura del tuo essere. Sei tutto ciò che potrei desiderare. Sei la mia metà. Ti amo, Oscar e ...questo non è un mistero per nessuno. Ma il destino è beffardo e ama scherzare: sai quanto me che questo sentimento non potrà avere mai un domani” disse, triste. 

Un rumore, quello di una porta che sbatteva, li fece sobbalzare; ma nessuno si mosse, nemmeno quando il vento e la neve entrarono portando con sè il gelo.

Oscar continuò a fissarlo, le labbra dischiuse, gli occhi lucidi.

“...No, Andrè. Il destino lo creiamo noi stessi. Non può essere beffardo e nemmeno crudele, se non non vogliamo. Ed io voglio creare il mio. Ho aspettato fin troppo...Io penso...di volerti be- di amarti, Andrè!” disse, dopo una pausa.

Lui impallidì.

Le sue mani iniziarono a tremare, nell’ avvicinarsi ulteriormente  a lei.

Cosa era accaduto, quale divinità era intervenuta per cambiare così le carte, per regale questa felicità infinita?

Tutto ciò che accadde, dopo, fu dettato dall'istinto che per troppo tempo avevano celato dietro ragionamenti assurdi: senza chiedere alcun permesso le loro labbra si cercarono. Ora in ginocchio, davanti l'uno all'altra, non di domandarono più nulla; lasciarono le parole da parte e come due ragazzini giocarono. Con gli occhi, con le mani, con la voce, con le labbra.

Passarono ore, ridendo e baciandosi, dimentichi del mondo che in quel momento si era , in quella casa, fermato a guardarli. 

Dimentichi di tutto.

Il mondo, in fondo, era tutto li. Tutto li.

 

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Capitolo 4
*** Ci vediamo a casa ***


Mille scuse e altrettanti ringraziamenti! 
Entrambi: Fenice64, Tetide, Dorabella, Etienne86, Galla88, Kiara69 , Epices, Valeria78.
Ho letto tutte le vostre preziose recensioni, i vostri punti di vista, ogni singola parola: Grazie! Quando avrò un pò di tempo, giuro che passerò da tutti. 
Grazie di cuore, B.




Cap.3
  Ci vediamo a casa

 

"Comandante! Comandante!"

Una voce concitata unita a forti colpi alla porta riempì l'aria è quel tepore che li vedeva ancora stretti, l'uno all'altra, sotto le colti create dai pesanti mantelli.

Andrè fu il primo ad aprire gli occhi; pallido, balzò in piedi, svegliando inevitabilmente Oscar e  poi si avviò con passi distesi verso la porta, che aprì non senza fatica dopo aver imprecato i santi i quel giorno e di quelli a venire. 

Quando vi riuscì, davanti a sé trovò due dei suoi compagni d' armi che lo squadrarono da capo a piedi.

“Andrè, ci siamo dati ai bagordi? Quante bottiglie hai scolato mentre il Comandante dormiva?” domandò uno di questi. L’ uomo fece finta di niente e sorrise. "Jerome! Bastian!" esclamò poi,  facendoli entrare. 

I visi dei due ragazzi erano rossi, la pelle seccata del vento della notte pareva percorsa da piccole ferite.

"Cosa è  accaduto?" domandò; un gran mal di testa - dovuto a tutto quel trambusto-  si fece sentire con dolorose fitte. I due uomini entrarono, lasciando i cavalli li dove erano. 

"Andrè, dove sta il comandante? Dobbiamo assolutamente parlare con lui" dissero, quasi all ' unisoni.

"...sta...sta arrivando" rispose impacciato lui, sperando che Oscar arrivasse quanto prima e che i due non notassero nulla di strano.

"...è successa una cosa….Alain...Alain non si presenta in caserma da giorni" disse Bastian sottovoce.  " bisogna che tornate subito a Parigi….oh, buongiorno comandante!!!” 

Andrè girò su sè stesso: Oscar stava arrivand in quel momento,  il viso liscio ed i capelli in ordine così come il resto del suo abbigliamento.

"Grazie Andrè per avermi preceduta. Dunque...che è successo ad Alain? " chiese.

Andrè la osservò: era tornata lei, era tornato il comandante fidato ed integerrimo lontano anni luce dalla donna che aveva conoscito la sera prima.

"...Alain non si presenta in caserma da giorni...abbiamo ricevuto disposizioni di raggiungervi e chiedervi di tornare in città " rispose  Bastian.

Oscar guardò Andre.

I suoi occhi parvero chiedergli quasi scusa, per un frazione di secondo la delusione passò attraverso le iridi chiare.

"...Andrè...prepara i cavalli. Dobbiamo partire " disse quindi la donna; senza battere ciglio quindi lui recuperò uno dei mantelli, si sistemò ed uscì seguito fai due compagni.

Oscar rimase quindi sola.

Quel risveglio , un risveglio che nella sua immaginazione avrebbe dovuto regalare ancora qualche tenerezza, fu decisamente brutale; sospirò, si guardò intorno…

Il fuoco, le cui braci sotto la cenere regalavano ancora un pò di caldo, si stava pian piano estinguendo; il vassoio con la cena...il suo mantello…

La donna osservò quella casa. 

I marmi scuri così come il legno dei cassettoni e dei mobili; le scale che portavano al piano superiore, ed al piano basso una serie di locali, la porticina che dava sulle stanze destinare alla servitù….

Sospirò. Lo aveva immaginato diverso, questo  rientro. Sperava di avere ancora un pò di tempo per loro, di rubare ancora qualche prezioso istante e perchè no, parlare del futuro…. pazienza si disse recuperando il suo  mantello e sistemandosi  le vestì. Quando  uscì da quella casa e scese le scale, dove gli altri l' attendevano, si fermò ancora un attimo facendo vagare gli occhi  per raccogliere un pò di questi ricordi. Fu ancora una volta Andrè a riportarla alla realtà.

“Sono pronto, Oscar " disse: era già a cavallo e teneva il suo per le redini. Lei gli sorrise. Bastian e Jerome attendevano poco più avanti.

"Arrivo" rispose lei, avvicinandosi e salendo in sella.

Andrè la guardò, senza  dire nulla.

 Solo un lungo sguardo passò tra quegli occhi, un lungo silenzio ne seguì.

 L'indecisione,la voglia di condurre le bestie in una direzione contraria era forte. Dovette combattere non poco in quelle frazioni di secondo per non mandare il suo mondo e la sua vita all’ aria...si, forse lo avrebbe fatto.

Ma non ora. 

Non è ancora tempo, pensò. 

Fu così’ che, in tutta fretta, si chiuse non solo la porta della magione ma pure quella parentesi che molto a loro aveva regalato; troppo in fretta e  senza nemmeno avere il tempo di realizzare cosa fosse accaduto in quei due giorni fuori dal mondo Oscar e Andrè rientrano nei rispettivi ranghi. Certo: ciò che era accaduto era  l’ inizio di un qualcosa che solo il tempo avrebbe spiegato, molte cose sarebbero accadute ancora. La consapevolezza di essere legati e di un sentimento che andasse oltre la ragione, diritto al cuore, li avrebbe accompagnati per il resto dei loro giorni.

“Qualcuno sa... cosa potrebbe essere successo?” domandò la donna, dopo due ore buone di cammino silenzioso e di continuo rimuginare; si erano fermati per sistemare una cinghia della sella di Andrè che si era allentata e ne avevano approfittato per fare quella che con tutta probabilità sarebbe stata l'unica sosta della giornata.

Bastian si fece avanti. I suoi occhietti vispi che tradivano la giovanissima età si fecero accesi.

“De Soisson si è assentato una decina di  giorni fa, questo credo lo sappiate. Sua sorella Diane doveva sposarsi” disse, battendo i piedi per il freddo nonostante quella giornata appena iniziata fosse, a dispetto delle precedenti, completamente libera di nubi e con un sole caldo in cielo.

Oscar guardò Andrè.

“Si, lo sapevo ” rispose Oscar. I suoi piedi disegnavano cerchi nella neve che si stava ghiacciando.Bastian attese che finisse la frase e che gli rivolgesse lo sguardo. Quando avvenne, riprese a parlare. 

“Avrebbe dovuto rientrare l’altro ieri e fin qui...nulla di strano; alcune voci tuttavia dicono sia potuto succedere qualcosa” disse il ragazzo.

“...Che...che cosa, esattamente?” intervenne Andrè, molto preoccupato per l’ amico, facendosi più vicino a Bastian.

“Sai come è la gente...sai come siamo noi popolani" disse sorridendo" ci divertiamo a fare gli affari degli altri e le voci!.... Ecco,  mia sorella lavora al forno con  una ragazza,  la cui cugina vive nello stesso palazzo di Alain, e chi vive lì dice sia accaduto qualcosa. Dicono che Diane non si sia sposata e che la famiglia, da quel giorno, non esca più di casa. Potrebbe essere fuggito, potrebbe essere accaduta una disgrazia” intervenne Jerome.

Oscar alzò gli occhi al cielo. 

"...e voi mi siete venuti a chiamare per un pettegolezzo? Non potevate mandare qualcuno?" rispose quasi scocciata. Bastian e Jerome si fecero da parte. 

Oscar osservò la splendida distesa bianco che all'orizzonte andava a fondersi con un blu ceruleo  limpido come non mai; osservò alberi e cespugli sparuti che facevano capolino qui e la. 

Davvero  quei due ragazzi erano giunti fin lì per un pettegolezzo? 

Pensò che avrebbe voluto iniziare diversamente quella giornata, magari tra le braccia di Andrè: tra i suoi pensieri comparvero, quindi, le immagini di ciò che tra loro era accaduto. Il loro primo bacio, il suo primo bacio; le risate, gli abbracci, quelle carezze sul suo viso. Lei che avrebbe voluto donarsi completamente ma che alla fine non ne aveva avuto il coraggio, il viso di Andrè che sorrideva dolcemente dicendole che l’ avrebbe attesa….

“Oscar….Oscar!”  la chiamò Andrè, quasi sottovoce, per farla tornare alla realtà "magari è accaduto seriamente qualcosa!c”

“...Ci sono Andrè, ci sono...non alzate la voce. In ogni caso..si, potrebbe. Alain non è tipo da fuga o strani scherzi….” rispose la donna. 

“Comandante...cosa...cosa facciamo ora?” domandò Bastian.

Oscar risalì in sella.

“ Andiamo a Parigi: che altro vuoi fare?  Voi rientrerete in caserma, io e Andrè passeremo da Alain” disse. 

 

Oscar e Andrè si lanciarono uno sguardo complice e, un pò delusi ed un pò rassegnati, ripreso la via verso casa. Sarebbe stato troppo bello, restare ancora li, fuori dal mondo pensò la donna mentre l’ aria gelida percorreva il suo volto. La stessa cosa balendò nella testa di Andrè.

Si...Sarebbe davvero stato magnifico, riuscire a restare ancora quel giorno in quella casa, parlando di loro, del loro destino, del loro domani.

Andrè...anche lui era distante, immerso nei suo pensieri; di tanto in tanto, cavalcando accanto a lei, i loro sguardi continuarono ad  incrociarsi  un pò per caso, un pò volutamente. Più di tanto non potevano fare, non potevano osare.  

“Andrè...quando arriveremo in caserma vorrei tu venissi nel mio ufficio… “ disse lei approfittando di un momentaneo allontanamente fisiologico dei due uomini che li accompagnavano.

“Va bene, Oscar” rispose tenendo lo sguardo verso e con il cuore in subbuglio. Lei notò la cosa.

“C’è qualcosa che non va? Sei strano. Non mi guardi….” ammise lei ed 

Andrè sorrise, forzatamente.

“Sto solo pensando a noi….a come sarà...dopo tutti i nostri discorsi” rispose.

Oscar abbassò lo sguardo. 

Avvicinò il cavallo di qualche passo, allungò la mano verso quella dell’ uomo.

“Sarà come deve essere, Andrè. Io non ritiro e nemmeno ritratto le mie parole. Cercherò...cercheremo di fare del nostro meglio...n’est pas?” rispose. 

“Certo, Oscar… sono solo preoccupato…” disse lui.

“E di cosa?” chiese lei, sorpresa. Certo, lo era anche lei: sarebbe obiettivamente complicato gestire qualsiasi cosa si fosse evoluto tra loro,ma ce l'avrebbero fatta.

“Faremo come abbiamo sempre fatto, Andrè. Io...devo ancora decidere molte cose; ormai...ne sento l’ esigenza, vorrei davvero riflettere...su ciò che ti ho detto. Sulla mia vita” rispose.

Le mani di Andrè strinsero forte quelle di Oscar, per poi lasciarle giusto un attimo prima che arrivassero Bastian e Jerome.

“Dai..andiamo. Non vedo l’ ora di potermi fare un bel bagno” disse Andrè alzando il bavero del mantello e attendendo che i due risalissero a cavallo.



 

Quando arrivarono a Parigi, distrutti dal viaggio, era ormai notte. 

La città  li accolse con un frotta di ubriachi che tagliò loro il passaggio, urlando frasi sconnesse contro il Re e la Regina ed ovunque, in ogni angolo, erano riversi uomini, donne, bambini: appoggiati ai muri dei grandi palazzi  queste figure quasi trasparenti, magre e smunte, dormivano un sonno profondo o così preferì pensare Oscar. Alcuni erano talmente magri che si poteva contare loro le ossa e i lineamenti del viso parevano quelli di un teschio; i topi, con il loro sguardo maligno, attendevano che l’ odore della morte li raggiungesse per poter iniziare il loro banchetto.

“Non ti sei ancora abituata, eh?” disse Andrè con voce bassa, triste. 

Oscarsi girò in direzione dell’ uomo.  

Era pallida, gli occhi fuori dalle orbite.

Andrè la fissava con occhi tristi. 

“...Come potrei farlo? Come potrei accettare queste cose? Come...come siamo arrivati a questo? ” chiese al contempo  ascoltando l’ incedere lento dei cavalli e le voci che si alzavano da case e taverne.

“Da molto, molto tempo. Ricordi quel discorso che ti feci, appena arrivata la tua Regina? Davanti agli sperperi, dopo aver visto l’ ennesimo vestito di seta passare sotto le sue mani, aspettai di uscire e poi ti dissi che ci avrebbe mandato alla rovina.”

La voce di Andrè era sera. Il suo sguardo, malinconico. 

Oscar abbasso la testa e sfiorò il crine del cavallo con la mano guantata.

“Si, lo ricordo. Molto bene. Ricordo anche che feci finta di nulla: Fersen era appena partito….”

A sentire quel nome Andrè parve quasi incupirsi; sperò che lei non lo stesse osservando e attese, prima di risponderle. Non voleva essere troppo duro.

“...Forse, avesse avuto vicino qualcuno con più testa…non sarmmo arrivati qui” disse. Poi, all’ improvviso,  fermò il cavallo; erano quasi arrivati.

Scese, lo legò ad alcuni anelli che trovò nel muro delle abitazioni alla sua destra e si guardò ancora una volta in giro.  Una serie di palazzi, più o meno della stessa altezza, si stagliavano contro il cielo. Tutti avevano visto tempi migliori.

“..E’ qui vicino , credo sia quello laggiù “ disse indicando un portone semi- divelto.”  Dammi il tuo cavallo, ci penso io” 

Oscar tergiversò un attimo. Il suo sguardo andò a posarsi su alcune vetrine i cui vetri erano andati in frantumi, dalle quali una frotta di persone faceva man bassa di pane; dopo di chè, scese da cavallo. e di aggiustò gli abiti guardandosi intorno  mentre che Andrè sistemava i cavalli.

Il suo sguardo, lo sguardo di una donna improvvisamente consapevole di un amore, osservò i dintorni, le case in decadenza. Ascoltò le voci, le urla ed i pianti dei bambini che arrivavano un pò da tutte le parti. Quella realtà che non aveva mai e poi mai voluto ammettere le comparve davanti agli occhi sottoforma di dolore.

Perchè? Lei...è così bella, gentile...perchè la mia Regina ha ridotto il popolo alla fame? Perchè sta succedendo questo?  si chiese mentre le lacrime riempirono gli occhi.

Perchè è tutto così...perchè..perchè proprio ora la vita mi pone davanti tutto ciò, perchè? 

Il suo Andrè, silenzioso, la raggiunse.

“....Oscar, è meglio andare. Dobbiamo anche rientrare in caserma,è davvero tardi e siamo stanchi” disse Andrè, porgendogli la mano: in quell'istante non indossava ancora divisa,  rimasta a casa, a palazzo. 

Lei era...anzi, loro non erano altro che due semplici persone. 

Un uomo e una donna.

Oscar ricacciò indietro le lacrime e prese la mano di Andrè.

Insieme entrarono nel palazzo di Rue des Fours . Dovevano raggiungere l’ utlima porta. 

Come aprirono la porta, in un angolo, nello spazio angusto e lercio  accanto la scala di legno che alla loro destra inziava a salire  era disteso un uomo ed accanto a lui alcune bottiglie; un piccolo cane dormiva ai suoi piedi. Subito un odore forte, acre, giunse alle loro narici. Entrambi presero i fazzoletti e li portarono al naso, prendendo le scale e tappandosi il naso.Molte persone, udendo i loro passi, si affacciarono e presto su ogni pianerottolo una madre, un uomo o un vecchio fecero la loro comparsa. 

“State cercando i Soisson? Sono all’ ultimo piano. Per fortuna siete arrivati: a nessuno di noi hanno risposto, e dal loro apartmento giunge una puzza insopportabile, come potete sentire” disse una di queste figure, una vecchia tutta rattrappita che spuntava a malapena dalla porta.

Andrè ed Oscar si guardarono, spalancando gli occhi: un triste presagio li avvolse. Meno di cinque minuti dopo, entrarono nella soffitta e ciò che videro e sentirono li avrebbe accompagnati per il resto dei loro giorni.

 

La madre di Andrè, una donna che avrà avuto a malapena quarantacinque anni, sedeva composta su una sedia, il capo chino  coperto da un fazzoletto. Fissava un punto non ben precisato delle proprie ginocchia, coperte da una gonna lisa e sporca; uno scialle copriva invece il corpetto e le spalle della signora.

Andrè si avvicinò, inginocchiandosi , per potere scorgere il suo sguardo; nell’ appartamento la puzza di….morte era tangibile. 

“Madame….Stiamo cercando Alain: dove si trova?” domandò con voce tremante.

Attese: nulla. 

Non un alito.

Ripetè la domanda un paio di volte. 

La risposta fu sempre il silenzio.

Oscar, in piedi accanto a lui, cercava intanto di capire da dove provenisse quell’ odore; ad aiutarla arrivò la donna, che alzò  improvvisamente lentamente il braccio, con il dito ossuto ad indicare  una tenda.

Andrè si alzò in fretta, urtando la il tavolo alla sua sinistra;  corse subito in quella direzione, aprì la tenda: Alain stava li, in ginocchio, accanto al corpo della sorella ormai in decomposizione.

“Alain...Alain, alzati!” disse Andrè afferrandolo per le spalle , senza guardare il corpo gonfio e sformato e le mosche che lo circondavano. Alain non emise nemmeno una voce e André tutta risposta ricevette una spinta che a momenti lo buttò a terra.

“Lasciami stare. Vai via” disse rabbioso l’ amico.
Il suo viso parve una maschera, deformato dal dolore, dalla barba sfatta.

Andrè non lo volle ascoltare e tentò di avvicinarsi ancora una volta...ed anche questa volta venne fermato. In quella stanza maleodorante e fissando la scenda, Oscar si rese per la prima volta cosa significasse morte e dolore. Piano piano arretrò, quasi presa da una sensazione di panico, andando ad inciampare contro una trave del pavimento, sollevata, e finendo ruzzoloni.

Andrè rivolse subito lo sguardo alla donna.

“Non è nulla. Cerchiamo di portare Alain fuori di qui” disse lei sottovoce. Era pallida. Tremendamente pallida.

Andrè rimase dunque vicino all’ amico; bisbigliando parole alle sue orecche e abbracciando le grandi e possenti spalle, dopo una ventina di minuti riuscì a farsi guardare in faccia.

Andrè tirò un sospiro di sollievo.

Abbracciò Alain,  lo portò via da quella scena.

 Cercò ancora di parlare con la madre, ricaduta nello stato catatonico in cui

 l'avevano trovata;  insieme ad Oscar, alla sua Oscar, dopo una mezzora varcarono le scale di quella casa e la lenta processione scese le scalesotto lo sguardo stanco e pietoso degli ultimi curiosi rimasti che, ad ogni passaggio, muovevano le mani facendo il segno della croce. 



 

Quando rientrarono in caserma, ormai faceva l’ alba. 

Da più di ventiquattro ore non dormivano nè mangiavano ed i loro corpi reclamavano riposo ed il loro stomaco cibo che non sarebbero riusciti comunque a deglutire; fu un rientro mesto, di tanto in tanto interrotto dal vociare della popolazione che ancora possedeva un lavoro ed era per la strada , pronti ad affrontare un nuovo giorno.

“...Vai a riposare, Andrè. Controllerò i turni e vedrò di ricavare una serata libera, di modo che si possa rientrare a casa, magari domani” disse con voce fioca.

“Tu come stai? Cosa farai ora?” chiese.

Lei alzò  lo sguardo stanco dal selciato della piazza d’ Armi. Alcuni soldati della brigata passarono loro accanto mentre altri uscivano per il turno di guardia.

“Ora andrò nei miei alloggi, mi darò una rinfrescata. Oggi non dovrebbero esservi grandi cose...chiederò a D’ Agout, in ogni caso” rispose  guardandolo negli occhi.

Andrè sorrise e, approfittando del fatto che non ci fosse nessuno, la trascinò con sè dietro una delle colonne. L’ abbracciò forte , la baciò; poi posò la fronte su quella dell’ amata.

“Ci vediamo a casa, allora, una di queste sere” rispose tuttavia sereno.

“Si, Andrè. Ci vediamo a casa” rispose lei, avviandosi a malincuore verso il suo lavoro ma con il cuore che batteva a mille, tenendosi strette quelle quattro semplici parole: Ci vediamo a casa.

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Capitolo 5
*** Vie ***


 

Cap.4   Vie

 

Lungo le rive della Senna, quelle in cui sole stentava ad arrivare e le acque si facevano scure, non mancava giorno in cui non si vedesse passare un cadavere.Corpi sformati e verdastri sovente  andavano a sbattere contro la chiglia delle barche in legno; altre volte i corpi finivano per incagliarsi ed i più fortunati, invece, proseguivano il loro silenzioso viaggio cullati dall’ acqua, con il viso rivolto al cielo. Alcuni erano corpi di poveri disperati che conservavano ancora la corda con la quale si erano impiccati. Altre, invece, portavano i segni della fame...ed erano quelli.  che Oscar stava osservando.

"...povera gente" mormorò la donna, segnandosi e tergendo con la manica della giacca il sudore dalla fronte; iniziava a fare caldo e al comando non avevano ancora sostituito le divise.

Alain, accanto a lei, fece lo stesso.

Ma il suo sguardo era diverso, più duro e tagliente. 

Lui di scene simile ne vedeva tutti i giorni.

"...questa donna la conosceva. Faceva il giro delle Osterie e delle taverne di tanto in tanto: quando i pochi soldi finivano per con il vino nello stomaco del marito  l'unica alternativa era cercarsi clienti" rispose.

La durezza di quella verità colpi Oscar come uno schiaffo in pieno viso. L’ ennesimo.

 

Silenziosamente, i due lasciarono la riva sporca e melmosa raggiungendo gli altri, poco distanti. 


 

" Andrè come sta? Si è ripreso?" Chiese Alain mentre rientravano.

"...credo di sì. Non torno a casa da cinque  giorni " rispose Oscar " Se fosse peggiorato credo che qualcuno mi avrebbe avvisato".

Alain annuì, pensando a quella coppia così...perfetta.  

Ricordò sorridendo il momento in cui  Andrè gli aveva confidato quel suo importante segreto, di cui era diventato depositario e testimone; era felice, davvero, per loro. Ma era anche conscio che la vita non sarebbe stata facile per quei due ragazzi.

"...scusate se vi faccio questa domanda, comandante.  Cosa intendete fare, con lui, riguardo ai suoi prossimi compiti?" chiese d’ un tratto.

Oscar si girò a guardare l' uomo.

" Alain io...non ne ho idea.. ma prima o poi dovrò parlargli. Mi manca però il tempo ...ed il modo" rispose, tristemente. 

Alain la osservò per tutto il viaggio. 

Pensò al suo amico immobilizzato a letto dalle continue febbri ma soprattutto  a lei, suo amore segreto, che avrebbe voluto consolare, ricoprire di carezze.

Lei così forte, lei che non mollava mai. Lei che in questo momento  tirava avanti, in qualche modo, nonostante la forte tosse.

Già….se va avanti così, tra non molto crollerà a terra come un sacco di patate disse fra sé senza staccarle gli occhi da dosso. I tempi erano duri ed il peggio, che portava l'importante nome di Rivoluzione, era alle porte. Un mezzo comandante non sarebbe servito a nulla.

Tuttavia Alain non ebbe il coraggio di dire nulla. 

Conosceva Oscar e la sua caparbietà ed a nulla sarebbero servite le parole quindi ricacciò indietro tutto e si limitò a cavalcare, al suo fianco, silenzioso, mentre il suo cuore si scaldava sempre di più per quella donna così forte e delicata allo stesso tempo. 

" Quando arriveremo in caserma"   gli disse lei senza nemmeno voltarsi,  ad un certo punto, poco prima di entrare lungo il vialone che li avrebbe portati a destinazione  " vieni da me in ufficio. Ti consegnerò i turni di riposo: saranno gli ultimi, per moltissimo tempo. Poi vi consegnerò quelli per i giorni degli Stati Generali".

Alain annuì: il sole era ancora alto in cielo e scaldava sempre di più ma in quell' attimo senti freddo...molto freddo, mentre quella donna procedeva a capo chino, quasi l' ombra di sé stessa.

 

Oscar rientrò a Palazzo qualche ora più tardi dopo aver firmato gli ultimi dispacci.

Tutto era in fermento, in quei giorni; presto avrebbe ricevuto la visita di alcune sue sorelle e l'enorme casa era in subbuglio.

 Chi lucidata i marmi, chi uno dei servizi delle grandi occasioni e chi, ancora, provvedeva a cambiare i pesanti tendoni: tutti erano indaffarati.

 

"Oscar! Sei arrivata...ma..che faccia hai?" chiese Nanny, andandole incontro. Oscar si levò la pesante giacca e la consegnò alla nutrice in modo che le cameriere potessero lavarla. 

"Non è nulla, Nanny. Sono solo stanca…" rispose  " Andrè? Sta meglio?"

" ...sembra di sì. Se vuoi andare a trovarlo, tuo padre prima di partire  gli ha concesso di riposare un pò nel salottino dove andate di solito” rispose, senza nascondere la preoccupazione.

Oscar sorrise amaramente di cotanta magnificenza e regalò una carezza alla cara vecchietta,  poi lo raggiunse.

André era steso sulla chaise longue, una coperta sulle gambe. 

I capelli sciolti ricadevano sulle spalle e sulla camicia di stoffa leggera ed il viso,  finalmente,  sembrava avere un colorito sano.

"Ciao, André " disse non appena fu accanto a lui, sfiorandogli i capelli mossi.

L’uomo, che stava sonnecchiando, aprì gli occhi beandosi della sua una magnifica visione. 

" Bentornata, Oscar. Mi sei mancata molto in questi giorni" rispose quasi sottovoce ,   per non farsi sentire dalle mille orecchie di quella casa. Oscar sorrise e dovette trattenersi dal non posare le labbra sulle sue; poggiò invece la propria mano sulla fronte.

"Sto meglio, Oscar. Non ti devi preoccupare . Piuttosto...non ci vediamo da giorni...come stai? Ti vedo pallida...pensierosa" disse lui mettendosi a sedere notando che, per il secondo giorno di fila, il mal di testa lo aveva lasciato.

"È stata una giornata più pesante del solito...e stavo….stavo pensando una cosa. Inoltre sono stanchissima, sono giorni e notti che non dormo…" rispose.  

André osservò la sua donna: era dimagrita, non stava bene. Prese la sua mano, la strinse.

"...cosa c'è che ti preoccupa, amore mio?" domandò . 

Lei chinò il capo. 

“Niente...davvero.” Ogni suo singolo muscolo era  teso e sue le mani erano chiuse in un pugno.

"Oscar, dimmi cosa c'è. Sono mesi che ci vediamo a malapena, di sfuggita. Dopo quel viaggi ad Arras… ci siamo dedicati davvero poco tempo. I tuoi sentimenti sono forse cambiati?" la incalzò lui; il volto dell’ uomo si era fatto teso,  le sopracciglia incurvate creavano delle rughe in mezzo alla fronte. 

"....André come puoi pensare una cosa del genere…?.Meglio parlarne da soli, con calme" rispose lei quasi risentita. 

André  si lasciò cadere sulla poltrona, all' indietro. 

" ...da soli!.ma quando, Oscar? Non ci riusciremo mai. Siamo tornati da quattro mesi e le uniche volte che riusciamo a stare insieme è quando la casa è vuota o siamo in caserma, tra un dispaccio e l' altro..." disse amareggiato, facendo cenno con il capo verso il grande salone dove il trambusto non accennava a diminuire. 

Oscar si mise le mani tra i capelli, poi si  alzò, fece pochi passi e si appoggiò con la spalla allo stipite della porta dando le spalle al suo uomo.Guardò tutto ciò che li circondava in quell' istante ma soprattutto quella casa, la sua casa….

…..e si accorse che gli stava stretta. 

Molto stretta .

 Sicuramente la loro relazione era facilitata dal fatto che lui, da sempre, aveva giovato della quasi completa libertà di movimento in quegli ambienti, ma ciò non bastava.  Vi era il lavoro, vi erano i turni in caserma; vi erano gli sguardi di chi li conosceva, la famiglia di Oscar.Bisognava stare  sempre attenti, anche solo per scambiarsi una carezza. Senza parlare, poi dell'impossibilità  impossibilità di andare oltre, dovuta alla differenza di classi sociali. 

Cosa che non li avrebbe fermati ma…che pesava.
Parecchio 

 

No.

Non è questo ciò che voglio pensò Oscar. 

 

La libertà assaporata in quei tre giorni le aveva fatto capire molte cose che già nella sua anima avevano fatto capolino; la libertà di vivere, di amare, la libertà di essere se stessa e di non essere più chi aveva creduto di rappresentare fino a poco tempo prima. 

 

No.

 

Non era più lei, ormai, da qualche tempo:non era più la vecchia Oscar, perché tutto aveva ceduto, davanti alla consapevolezza; qualsiasi sicurezza , prima solida quando un muro di assi e cemento, ora sembrava fatta di carta velina.

Lei era nobile, da sempre chiamata a rispondere a diversi obblighi.

 Aveva immolato, letteralmente, la sua vita ai Reali.

Ma tutto questo aveva forse avuto un senso? 

Cosa rimaneva di quella vita nelle sue mani, in questo momento?

 Forse le promozioni, le pesanti patacche che portava appresso, sulla divisa. Niente di più.

La fiducia in un mondo destinato a scomparire aveva inziato a venir meno da parecchio tempo ovvero da quando si rese conto che il mondo da lei sognato  si era infranto dietro ai capricci di una regina poco più che bambina, piuttosto che nei cadaveri che ultimamente le capitava di vedere nella Senna.

Inoltre...cosa ne sarebbe stato di lei, di loro? 

Avrebbero fatto come tante altre coppie di quel tempo, incontrandosi in una alcova appositamente acquistata nel centro di Parigi per tale scopo?

 

No. 

Ancora una volta no.

 

“Oscar….”

Andrè era al suo fianco.Lei nemmeno lo aveva sentito arrivare.

Gli occhi pieni di lacrime affondarono in quelli dell'uomo, cercando una risposta, cercando la salvezza. 

“...più tardi...vieni in camera mia. I miei genitori non ci sono...alla nonna penserò io. Ci faremo servire la cena nel mio salottino privato” disse solo. Andrè, il cuore stretto in una morsa,  si limitò ad annuire e la osservò andare via facendo appena in tempo a sfiorarle la punta delle dita.

 

Cosa sta succedendo, amore mio? 

Sei diversa, quasi sfuggente...cosa ti sta accadendo, cosa suggerisce la tua anima? si domandò. 

In seguito, con piccoli passi, raggiunse le cucine dove parlò a lungo con Nanny che,  di li a due ore,  avrebbe portato loro la cena. 

Quindi  tornò in camera, si sistemò e raggiunse Oscar.

 

“André, finalmente. Non vedevo l’ ora di abbracciarti…” disse lei non appena l'uomo entrò. 

Vestita con gli abiti comodi che di solito portava in casa, lo attendeva seduta al pianoforte, ma le sue dita erano ferme.  Quando lo vide staccò le mani dalla tastiera, alzandosi e andandogli incontro. Lui sorrise e aprì le sue braccia pronto ad accoglierla.

“....scusami, Andrè. Sono stata assente, troppo lontana. Perdonami, ti prego” disse lei non appena poggiò il viso sul petto ampio dell’ uomo e ne sentì il profumo. 

“Non fa nulla” rispose André ” però...mi hai fatto un pò preoccupare”.

Un sorriso rischiarò gli occhi lucidi dei due ragazzi, che rimasero silenziosi a godere della reciproca compagnia per qualche attimo.

“Nonna ci ha preparato un arrosto. Arriverà tra poco” disse. Oscar rispose con un cenno del capo; quindi i  due si presero per mano e andarono ad accomodarsi sul divano. Oscar si lasciò letteralmente cadere. 

“....Oggi è stata una giornata pesante. Più del solito. Ancora cadaveri,ancora morti lungo la Senna; inoltre… sono arrivate notizie preoccupanti” disse  coprendosi il viso con le mani. 

André scosse il capo.

“Dimmi cosa c’è che non va” chiese, serio. 

Lei, senza scoprire il suo volto, rispose.

“...tra dieci giorni si apriranno gli Stati Generali ed io  ho il terrore che questo non farà che  peggiorare che la situazione. Ho paura, André….tanta paura….e non so che fare. Se resto,dovrò comandare le truppe e sparare contro la folla. Se me ne vado, perderò tutto. Poi...ci sei tu. Non voglio che tu sia presente, nel caso ci sia da combattere. Sei debole, i tuoi occhi non sono in forma” disse. Parlò in fretta, d’ un fiato.

 Un colpo di tosse molto più forte del solito la scosse fin quasi a farla tremare. André le fu vicino, ancora più vicino del solito. 

Il suo braccio cinse le spalle della donna, il suo capo si chinò delicatamente sulla spalla.

Quella piccola anticamera dai toni rosati, i quadri alle pareti, i mobili...tutto apparve ancora più piccolo del solito.  

I pensieri riempivano, colmavano la stanza.

La mano di Andrè prese quella di Oscar. 

Una lacrima cadde sul palmo.

“Non piangere, amore mio” disse sospirando lui. 

Ma Oscar non riuscì a fermarsi. Una valanga di lacrime, quelle che probabilmente non aveva mai versato in tutta la sua vita, prese il sopravvento ancora una volta.Calde, copiose, salate... scesero  ininterrottamente  senza che lei levasse il capo e lui, distrutto da quel dolore, non potè far altro che starle vicino. 

“...Andrè, io ...non voglio più andare avanti così. Voglio rivivere quella notte, quei tre giorni. Voglio essere libera. Non voglio morire per una cosa nella quale non credo più” disse tra i singhiozzi.

“Non ti succederà nulla, Oscar” rispose lui tranquillizzandola “ non ti accadrà nulla perché sarò sempre al tuo fianco. Qualsiasi cosa tu scelga io ci sarò….ma la decisione, quella tocca solo a te. Io sono...io sono solo un servo; non ho grandi cose, grandi scelte da fare.  Non ho mai avuto grandi speranze ed ho avuto una vita agiata solo perchè sono cresciuto qui. Tu sei ciò che ho di più prezioso. ” disse.Oscar lo osservò senza dire nulla. 

Un altro colpo di tosse si fece avanti, sempre più forte; quindi lui si alzò per versarle dell’ acqua. 

 

Nanny arrivò qualche minuto più tardi.  

Andrè cercò di tergiversare affinchè Oscar potesse riprendersi un attimo, ma gli occhi ancora vispi della donna e soprattutto il suo sesto senso sentirono che qualcosa non andava così, chiese ancora una volta al nipote di lasciarla entrare e  posato il vassoio sul piccolo tavolo tondo da pranzo, la donna corse dalla sua protetta.

Oscar le si lanciò tra le braccia; singhiozzando, non si fece pregare le sue parole parevano tutte sformate, senza senso ma la vecchia aveva inteso ormai da tempo ciò che passava nell’ anima di quella donna. 

Così come aveva capito, perfettamente, ciò che stava accadendo a quei due cuori. 

“Siete diventati grandi, bambini” disse ad un certo punto, cullando Oscar tra le braccia e osservando il nipote “ ...e posso anche capire...cosa vi passi per la testa e nel cuore. Siete chiamati a rispondere al destino e non sempre sono decisioni facili…” .

La giovane donna fissò Andrè, poi la sua nutrice.

“Nanny, aiutami. Io non so più che fare” disse infine.

La nutrice chiamò al suo fianco il nipote, che si era alzato e stava di fronte a loro. I tre tornarono a sedersi: Nanny in mezzo, i due al suo fianco.

“Sono vecchia, ma non così vecchia da non sapere cosa passa per la vostra testa. Da anni vi osservo. Da anni sapevo che, prima o poi, questo momento sarebbe arrivato” disse.

Oscar si asciugò le lacrime e guardò con occhi sgranati Andrè, altrettando sorpreso. Nessuno pensava più alla cena. I loro occhi erano fissi su quelli della donna anziana.

Lei, da sotto i suoi occhialini, rivolse uno sguardo pieno di tenerezza ad Oscar e poi ad Andrè.

“Oscar, nipote mio: fate ciò che il cuore vi chiede. Oggi ci siamo ma del domani, chi conosce davvero le intenzioni? Siamo sull’ orlo di un precipizio, tutto è perso ormai, i tempi antichi non torneranno. Il vostro destino non è segnato, potete ancora salvarvi” disse.

Gli occhi piccoli e coperti di rughe si velarono di lacrime. 

Subito la nutrice prese dalla manica del vestito scuro - che indossava da anni quasi fosse una divisa- il fazzoletto ricamato; poi, cercò di ricomporsi, si aggiustò la cuffietta.

“Nonna, io…” balbettò Andrè, cercando le sue mani “ io...non so che…”

“Non dire nulla, Andrè. Che voi restiate o andate è fuori questione che dovrai prenderti cura della mia bambina quindi… tu riprenditi alla svelta” disse recuperando il solito, vecchio tono “ e tu, Oscar...deciditi ad indossare uno di quegli abiti che ho rinchiuso nei bauli. Qualsiasi cosa succede, siate voi stessi” .

 

Detto ciò Nanny non lasciò loro altro tempo; uscì, di corsa, chiudendo la porta dietro le sue spalle.

 Ma prima fece in tempo, in ogni caso, a dire che il Generale non sarebbe rientrato che tra due giorni.

 

Fu l’ ultima volta che la videro.

 

Era ormai giunta la notte, a Palazzo, tra parole e sospiri: il cibo si era freddato, i rumori erano cessati.

 Tutto, nel giro di poco, era silenzioso ed  i due ragazzi erano ancora fermi, silenziosi, meditabondi. Quasi avessero paura di rompere qualcosa, di pronunciare una decisione.

 

Fu lui a muoversi per primo.

 A parlare.

"...io ti amo, Oscar. Qualsiasi decisione prenderai sarò con te.Ascolterò ogni tua parola e rispetterò gli ordini che mi darai" disse con voce calma, pacata, prendendola per mano.

Oscar strinse la sua mano forte, fino quasi a farli e farsi male. 

Lo sguardo di André si posò in quello di Oscar ed altri, lunghissimi attimi passarono; attimi carichi, elettrici, conditi da baci soffici , dolci. 

Senza dire nulla e lasciandosi guidare dal suo istinto, senza pensare alle conseguenze, senza pensare a nulla ...Oscar iniziò a camminare, conducendo l'uomo verso la sua camera. 

Sul suo letto.

 

Sentiva che era giunto quel momento. 

Quello in  cui si sarebbe consacrata a lui, come moglie, donna, amante, amica. 

André, incredulo, la fissò. Poi guardò quella enorme stanza, i doppieri con la loro fioca luce. Osservò, fuori dalle grandi finestre, le luci lontane della Reggia; poi, prese quelle mani, quel viso, quel corpo e li fece suoi. Non ci furono cerimonie o fiori posati su quelle coperte di seta, non vi furono auguri o melodie di violini e pianoforte.  Furono solo loro e la notte, che accolse sorniona  la loro gioia, la loro vita, i loro gemiti; accolse le parole, le carezze, i sospiri. Accolse le parole, infinite...ed accolse le loro decisioni finché, stanchi, non crollarono tra le braccia di Morfeo.

 Occhi negli occhi, pelle contro pelle, Oscar e Andrè lasciarono che la calda notte li avvolgesse , addormentandosi l’ uno nel respiro dell’ altra.  

 

Quando, al mattino, una delle cameriere entro nella stanza per svegliare Oscar, trovò solo che un biglietto ad attenderla. 

Un biglietto per Nanny.

 

...grazie vi era scritto. 

 

Solo quello.

 

La donna, commossa, sorrise e capì; avrebbe avuto qualcosa da spiegare, ma era il male minore. La vita andava avanti, tutto doveva seguire il suo corso.

Nanny si alzò dalla panca su cui si era seduta , si aggiustò la veste e iniziò la sua giornata. Lontano da li, lontano da lei qualche  migliaio di tese, Oscar e Andrè cavalcavano nell'alba da poco sorta, tra i colori rosso violacei e le stelle che stavano andando a dormire. 

 

Tre giorni li avevano aiutati a capire.
A conoscere l’ amore.

Tre giorni di cammino...li avrebbero condotti ancora dove tutto iniziò e da li...via. Lontani. Verso la libertà. 



 

FINE

 
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