Qual è il tuo nome?

di Nao Yoshikawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi sei? ***
Capitolo 2: *** Vite diverse ***
Capitolo 3: *** Uguali ***
Capitolo 4: *** Salvare ***
Capitolo 5: *** Un filo invisibile ***



Capitolo 1
*** Chi sei? ***


Qual è il tuo nome?
1
 
The time finally came
Yesterday seemed nothing
More than a prologue to the prologue
But you can skim trough is you wish
From here on out is my story
 
New York
 
Vivendo vicino una stazione ferroviaria, Wanda Maximoff era abituata ad essere svegliata dal rumore dei treni in arrivo o in partenza.
Ma quella mattina nessun rumore l’aveva svegliata, fatta eccezione per la sveglia sul cellulare.
Non ricordava di averla impostata.
Wanda trovò il telefono sul comodino e lo spense, rimanendo sotto le coperte. Il suo letto le sembrava strano quella mattina, non ricordava fosse così grande e comodo. E soprattutto, si sentiva pesante.
Anche nell’incoscienza percepiva che qualcosa non andava.
Poi, come se si fosse ricordata di qualcosa d’importante, si mise seduta, scostandosi di dosso le coperte.
Un momento, si disse. Ma questa non è la mia camera.
«Cosa…?» si spaventò nell’udire la sua stessa voce. Anzi, quella non poteva essere la sua voce, era troppo profonda e maschile.
Si alzò col fiato corto. Che stesse sognando? Se davvero era un sogno, perché diamine non si svegliava ancora?
Finalmente capì perché si era sentita così strana fino a quel momento. Quello non era il suo corpo. Con le mani tremanti si sfiorò il viso, il collo, le spalle. Poi strinse il petto, muscoloso e senza l’ombra di seno. Abbassò lo sguardo e cercò uno specchio, ma dovette andare in bagno prima di trovarne uno.
Quando vide il suo riflesso per poco non cacciò un urlo. Lì vedeva un uomo che non conosceva. Lei era lì, dentro di lui e questo bastava per convincerla che sì, doveva necessariamente essere un sogno.
Ma allora perché non mi sveglio?
 
Sokovia, Novi Grad
 
Stephen Strange, abituato al silenzio perfetto di casa sua, si lasciò andare ad un gemito infastidito quando sentì distintamente un treno che fischiava. Non c’era stazioni ferroviarie vicino casa. E poi viveva al decimo piano, non avrebbe dovuto sentire niente a priori.
«Wanda! Sbrigati, dobbiamo andare! Non sei ancora pronta?»
Chi è che continua a urlare? E chi è questa Wanda, soprattutto? Ma sto forse sognando?
Più il tempo passava, più Stephen si sentiva sveglio. Era tutto molto strano. Si mise seduto e la prima cosa che avvertì furono i lunghi capelli ricadergli sulle spalle. Li sfiorò con le dita, per rendersi conto che quelle non erano le sue mani.
«Eh?» chiese ad alta voce, rendendosi conto che nemmeno quella voce gli apparteneva. Sì, indubbiamente era un sogno, di quelli molto realistici.
Abbassò lo sguardo, osservando quel corpo diverso da quello a cui era abituato. Le gambe erano scoperte e indossava una maglietta piuttosto larga.
«O è un sogno o sono impazzito» disse, non sentendo dei passi che si avvicinavano.
Qualcuno aprì la porta.
«Ah, allora sei sveglia. Dai, sbrigati o perderemo il treno» disse un ragazzo che non conosceva.
Poi richiuse la porta e lui rimase lì, con un’espressione scettica.
«Bene, è ufficiale. Anche io alla fine ho perso la ragione.»
 
Stephen si alzò a fatica. Non si sentiva affatto stabile su quelle gambe, era più basso e poi… era tutto diverso, tanto per cominciare non aveva idea di dove si trovasse, quella non era casa sua.
Cercò di essere ragionevole e si disse che quello doveva necessariamente essere un sogno, a volte capitava di farne di così realistici, non si impazziva certo dall’oggi al domani. Si guardò allo specchio: la ragazza a cui quel corpo apparteneva era piuttosto giovane, sui vent’anni. Aveva grandi occhi chiari e un’espressione un po’ impertinente. Alla parete del muro erano appese alcune foto che la ritraevano accanto a quel ragazzo di poco prima. Inizialmente si chiese se non fosse il suo ragazzo, ma quando vide altre fotografie che ritraevano sempre loro, ma da bambini, capì che più probabilmente erano fratelli. E che il nome di quel ragazzo era Pietro.
«Wanda! Non dovresti mangiare?»
Dannazione, è piuttosto frustrante, per essere un sogno.
«Io… sto arrivando!» si sforzò di parlare, ma quella voce era molto più acuta della sua.
Non gli rimaneva molta scelta. Prima però doveva indossare dei vestiti. E per indossarli, doveva spogliarsi.
«Vogliamo scherzare, spero» si guardò, pieno di dissenso. Se era davvero solo un sogno, non c’era niente di cui preoccuparsi. Tuttavia, non era molto educato guardare e toccare il corpo di una ragazza che nemmeno si conosceva.
Alzò gli occhi al cielo.
Non sono certo nato ieri, che vuoi che sia.
 
In fondo vestirsi non era stato poi così traumatico. Stephen però avrebbe voluto capire dove si trovava, aveva intuito solo di vivere vicino una stazione, in un appartamento molto angusto e illuminato da una luce fioca. Pietro era in cucina e aveva appena finito di tostare del pano.
«Ah, eccoti finalmente. Ma cosa…? Wanda, stai forse male?»
Si può sapere chi è questa Wanda?
«Ah? No, perché?»
«Beh…» Pietro la indicò. «Sei tutta in disordine.»
Stephen in effetti non si era pettinato i capelli e aveva indossato i primi abiti che aveva trovato. Non piaceva neanche a lui sentirsi così sciatto, ma non è che i bei vestiti fossero il suo primo pensiero.
«Ah, sì. Non è niente, è solo che stamattina sono un po’ stanca, tutto qui» si guardò intorno, cercando di familiarizzare con l’ambiente.
Quanto dura questo sogno?
«D’accordo. Allora, oggi a che ora finiscono le tue lezioni? Io finirò alle due di questo pomeriggio, ma poi dovrò andare a lavoro e…»
«Io vado all’università?» domandò Stephen senza pensare.
Chiunque sia questa Wanda, se davvero esiste, studia anche.
Pietro fece una smorfia.
«Sempre con quell’aria sarcastica, ma perché mi prendi sempre in giro? E poi non avevi un esame di filosofia, oggi?»
Stephen alzò gli occhi al cielo.
Una facoltà umanistica, ottimo.
«Sì, credo di sì… comunque non ho fame…» disse mentre giocherellava con una forchetta, ignorando Pietro che si domandava cosa diamine avesse sua sorella quel giorno.
 
*
 
 
Wanda si svegliò di soprassalto e si rese conto di essere felice come non mai, quando capì di essere di nuovo sé stessa. Finalmente il suo corpo, la sua camera, la sua vita!
Allora era stato veramente un sogno alla fine, un sogno molto spaventoso, anche se in realtà non lo ricordava alla perfezione. L’importante però è che adesso fosse sveglia, anche se si sentiva piuttosto stordita.
«Wanda, ti prego, dimmi che oggi sei di nuovo te stessa.»
Suo fratello la guardava un po’ intimorito.
«Pietro, ma che… me stessa?» domandò portandosi una mano sulla testa dolorante.
«Non dirmi che adesso hai anche perso la memoria. Altrimenti giuro che questa volta ti porto davvero in ospedale.»
 
Wanda non capì subito a cosa Pietro si stesse riferendo. Dovette aspettare di arrivare in università per capirci qualcosa: Peter Parker era il suo migliore amico, ed era uno studente straniero (precisamente dell’Inghilterra) che studiava storia del cinema. Due anni più piccolo di lei, Wanda provava per lui un sentimento d’affetto profondo, come se fosse un fratello minore. E poi, uno dei pregi di Peter era la sincerità.
«Te lo giuro, Wanda. Ieri sembravi fuori di te. Sei venuta all’esame con i capelli tutti in disordine e hai fatto scena muta al tuo esame. Anzi, hai anche fatto una scenata dicendo che di queste sciocchezze non t’importava. Ed eri molto scostante, mi facevi un po’ paura.»
Queste erano state le parole di Peter che l’avevano lasciata piuttosto perplessa. Lei non ricordava niente di tutto ciò.
«Vedi? Te lo avevo detto io» disse Pietro guardando la sua tazza di cappuccino. Wanda scosse la testa. Adesso iniziava a sentirsi un po’ intimorita. Prima quello strano sogno, adesso quello… Cosa le stava succedendo?
«Io… mi spiace. Sono solo molto stressata ultimamente.»
Ma certo, lo stress poteva essere una buona giustificazione, ma non avrebbe accettato di essere pazza.
«Va bene, però la prossima volta non trattarmi male. Lo sai che sono sensibile!» Peter bevve il suo succo di frutta tutto ad un fiato. «Ah, ma sto facendo tardi! Wanda, allora ci vediamo più tardi in libreria, va bene? E questa volta presentati!»
«Non preoccuparti, oggi sono me stessa» disse con un sorriso. Stava cercando di ignorare Pietro che la guardava con sospetto.
Essere gemelli voleva dire avere un grande legame e suo fratello capiva sempre quando c’era qualcosa che non andava. Forse nemmeno lui capiva fino in fondo quale fosse il problema, motivo per cui ancora taceva.
Andò in aula poco dopo per la prima lezione di latino. Tutti la guardavano in modo strano, sogghignando, ma li ignorò mentre cercava nervosamente il quaderno degli appunti. Quando lo aprì trovò una scritta al centro del foglio, in una calligrafia che non conosceva.
Chi sei?
Lo lasciò cadere. Di certo non lo aveva scritto lei e dubitava si trattasse di uno scherzo. Eccetto Peter non aveva molti amici con una tale confidenza.
Okay. Sono davvero impazzita.
Se ho davvero vissuto la vita di qualcun altro, qualcuno deve aver vissuto la mia vita.
Ma è possibile?
 
*
 
New York
 
L’incubo era finito. Era pian piano sfumato, ma Stephen aveva addosso ancora una spiacevole sensazione. Comunque i sogni erano sogni, non potevano influenzare la vita vera, motivo per cui decise di ignorare le sue sensazioni. Quella mattina aveva un appuntamento con Tony Stark delle Stark Industries, che era colui che più si avvicinava alla figura di migliore amico, anche se i due non mancavano mai di discutere.
«Ah, guarda chi c’è. Sei tornato te stesso?» domandò Tony con indosso gli occhiali da sole.
«Di che stai parlando?» domandò Stephen sedendosi.
«Fai il finto tonto? La giornata di ieri è stata abbastanza indimenticabile. Mi hanno detto che sei scappato da lavoro, sembrava che ad un tratto ti fossi dimenticato come fare il neurochirurgo. Ti hanno visto andare in giro come un turista e hai anche mangiato tanto, questo non ti fa bene alla salute.»
Stephen era certo che Tony lo stesse prendendo in giro a causa di quel suo ghigno divertito, ma le sue parole non fecero altro che crescere quell’orribile sensazione che ci fosse qualcosa di strano.
«Ti hanno detto male, allora. Non ho fatto niente di tutto ciò.»
O almeno, non lo ricordo.
«Beh, ha fatto scalpore, ti ho anche chiamato e sembrava che non mi conoscessi. Non hai assunto qualche droga, vero? Non è etico per un medico. O forse è lo stress, te lo dico sempre che ti ammazzi di lavoro.»
«Piantala di parlare, adesso!» lo zittì. «Io sono perfettamente me stesso.»
«Oh, d’accordo» Tony Stark alzò le mani in segno di resa. «È solo che saresti più simpatico se ti lasciassi andare, tutto qui.»
Stephen lo ignorò.
Mettendo il caso che quello che era successo non fosse un sogno – ma di certo lo era – allora voleva dire che per un giorno aveva vissuto la vita di qualcun altro. E che qualcun altro aveva vissuto la sua vita.
Ma è possibile?
Tirò fuori il portafoglio per pagare il caffè che aveva ordinato e fu sorpreso di trovarci dentro un bigliettino, su cui era scritta frase in una calligrafia elegante.
Anzi, più che una frase era una domanda e Stephen era sicuro che fosse rivolta a lui.
Chi sei?
Questo era inquietante. E frustrante. Non stava riuscendo a venirne a capo e questo non era da lui.
«Stephen?» chiamò Tony. «Non devi andare a lavoro?»
«Cosa? Ah, sì. Sì, è vero. Devo andare» disse assorto nei suoi pensieri.
Non sono pazzo, ci deve essere una spiegazione.
Una cosa del genere non succederà più.
Ma quella domanda continuava a tornare.
 
Tu                                            
                                               Chi sei?
Tu
 
 
 
While dozing off
I deamed i saw a place different from here
Whitin my lukewarm cola
Outise the windows of my classroom
On mornings spent swaying to and from the train

 
Nota dell'autrice
Le strofe all'inizio e la fine sono prese dalla colonna sonora di Your Name (tradotta in inglese ovviamenre). You Name è uno dei miei film preferiti di Shinkai, nonché mia ispirazione per questa storia, dove per forza di cose ci saranno delle cose diverse, anche se i punti cardine rimangono quelli. So che la coppia è un po' strana, ma a me piace tanto ed ero nel mood perfetto per scrivere qualcosa, quindi vi prego apprezzate il coraggio :P
Spero vi sia piaciuto, mi rendo conto che per chi non conosce il film forse è un inizio un po' confusionario, ma tutto sarà più chiaro dopo (circa).
 

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Capitolo 2
*** Vite diverse ***


Qual è il tuo nome?
2
 
New York
 
Ancora una volta Wanda era stata svegliata da una sveglia che non era la sua. Ancora una volta si era svegliata in una casa che non era la sua, in un corpo che non era il suo. Questa volta però era consapevole del fatto che non fosse tutto frutto della sua immaginazione: in sogno si scambiava con qualcuno, con quell’uomo che invece dall’altro lato dell’oceano viveva la sua vita.
Giusto, si trovava a New York. Wanda aveva sempre desiderato lasciare la Sokovia per trasferirsi a New York, dove tutto era più grande, più vivo, più tutto.
Per questo, dopo lo spavento iniziale si era lasciata trascinare alla frenesia. Non solo quella era la città dei suoi sogni, ma quella casa era magnifica, molto più luminosa e spaziosa del suo triste appartamento che condivideva con Pietro.
Si affacciò alla finestra. Niente treni, niente stazioni.
«È davvero fortunato questo Strange» sussurrò.
Poi si ricordò del messaggio che gli aveva lasciato nella speranza di ricevere una risposta e nella fretta di rientrare batté la testa. Con un lamento cercò il portafoglio e ritrovò il bigliettino. Sotto la sua domanda “Chi sei?”, c’era una risposta scritta da qualcun altro-
Io sono il dottor Stephen Strange. Com’è possibile che io sia te e tu sia me?
Oh, se solo avesse avuto una risposta decente. Ma perché si scambiavano? Perché proprio loro? Sembravano due persone totalmente diverse, eppure si ritrovavano l’uno nel corpo dell’altro.
Un rumore improvviso la fece sussultare. Andò ad aprire e si rese conto che si trattava di quel tipo. Com’è che si chiamava? Ah, sì. Tony qualcosa, doveva essere un amico di Stephen.
«Ciao, Stephen. Ma che ci fai ancora in questo stato? Lo sai che ore sono?» domandò Tony guardandosi l’orologio.
«Eh? Ah, sì. Vado… vado a vestirmi. Tu accomodati.»
Wanda era sempre molto controllata, ma in quella situazione si sentiva terribilmente goffa, non sapeva neanche dove mettere le mani.
Stava iniziando a ricordare. Giusto, Strange era un neurochirurgo. Ma lei no, lei odiava anche solo la vista del sangue.
«Ehi, Stephen, credo che Christine ti stia chiamando?»
«Chi?» domandò mentre cercava di vestirsi.
«Come sarebbe a dire chi?» Tony si tolse gli occhiali da sole. «Non dirmi che non sei di nuovo in te, altrimenti mi preoccuperò. La dottoressa Palmer, uscite insieme, ricordi?»
Ha pure la ragazza? La mia vita è molto più semplice di così.
Con fare riluttante si avvicinò al telefono, rispondendo.
«Sì?» cercò di essere convincente.
«Stephen! Ma dove sei? Non sarai di nuovo in ritardo?»
«Ammmh. No, non sono in ritardo, sto arrivando. Sono con Tony» rispose in evidente difficoltà. Non era abituata ad avere a che fare con tutta quella gente.
«Va bene, allora. Mi raccomando, sbrigati.»
Lasciò cadere il telefono e si lasciò andare ad un gemito.
«Io non posso andare» si lamentò, dimenticandosi di non essere nel suo corpo.
«Non puoi… andare?» chiese Tony confuso.
«La vista del sangue mi terrorizza. Non posso andare, mi do malato.»
«Ma tu non puoi darti malato, sei tu il medico! No, davvero, inizio a pensare che tu soffra di un disturbo di personalità.»
«La verità non è molto lontana da quello che dici, in effetti» Wanda sospirò e per un attimo i suoi occhi si posarono sul sacchetto pieno di ciambelle che Tony aveva poggiato sul tavolo. «Posso?»
Tony era ancora più sorpreso. Allora era vero, Strange aveva perso la testa, infine era impazzito come dicevano tutti!
«Sì, certo.»
Wanda aveva bisogno di mangiare zuccheri al mattino e poi tendeva ad essere piuttosto golosa, anche se quello non era il suo corpo. Alla fine, fu costretta ad uscire davvero, ma per fortuna fu Tony a dargli un passaggio. Lei non aveva la patente, sebbene avesse provato a guidare a volte. E poi guidare a New York doveva essere diverso che guidare in Sokovia.
«Beh… grazie per il passaggio, Tony» sussurrò Wanda, aprendo lo sportello.
«Tu che mi ringrazi? Sai, forse non mi dispiace poi tanto questa tua versione un po’ fuori dagli schemi. E mi raccomando, non scappare di nuovo.»
Questo non avrebbe potuto prometterlo. Entrò in clinica, sentendo le gambe tremanti. Odiava quel genere di posti, odiava il pensiero del sangue e odiava le malattie. E Strange era un famoso neurochirurgo, che fortuna.
Indossò il camice e quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla sussultò.
«Stephen, sono io!»
Si voltò. Si trattava di una donna, immaginò fosse Christine.
«Ah. Christine. Scusa, oggi sono un po’ teso.»
«In realtà si vede. Abbiamo bisogno di te in sala operatoria subito.»
Ma che diamine.
«I-io prima devo andare al bagno.»
«Cosa? Stephen, è un’emergenza, non scherzare!»
Non sto scherzando, io voglio scappare.
Proprio un neurochirurgo doveva capitarmi.
Sospirò.
«Va… va bene, arrivo.»
E adesso che faccio? Io non sobo lui, non so cosa devo fare.
Mentre si disinfettava le mani e indossava i guanti, Wanda pensò ad un modo per pendere tempo. Forse avrebbe potuto fingere un malore, non aveva altra scelta. Entrò in sala operatoria, tesa. Da quello che aveva capito, Strange era molto sicuro di sé, anche un po’ arrogante, tutto il suo contrario: lei era insicura e l’arroganza era solo brava a fingerla. Tutti la guardarono e lei si avvicinò.
«Emh… S-salve…» sussurrò. I suoi colleghi si guardarono sorpresi e confusi.
«Dottor Strange?» chiamò la dottoressa Palmer, porgendogli uno… strano strumento.
Forte odore di disinfettante. Odio gli ospedali, odio l’idea del sangue.
Il suo cuore iniziò a battere forte e tutto divenne sfocato.
Forse alla fine non era stato necessario fingere di svenire.
 
Sokovia
 
Di nuovo qui, alla fine. Di nuovo nel corpo di quella ragazza, di nuovo in quella strana cittadina così diversa dalla grande New York.
Io sono Wanda Maximoff e credo proprio che tu sia nel mio corpo. Hai idea del perché stia accadendo?
Oh, magari ne avesse avuto idea! Lui che aveva sempre una risposta a tutto, non riusciva a capire. E come se non bastasse, si ritrovava a vivere la vita di un’universitaria.
E doveva anche lavorare in biblioteca, per non parlare poi di quel Pietro, che gli stava sempre addosso.
E ora quale spiegazione logica vorresti dare a questo, eh Strange?
Forse doveva semplicemente trovare il modo di contattare quella ragazza. Aveva anche provato a cercarla sui social (per quanto lui odiasse i social), senza però trovarla.
E mentre cercava disperatamente una soluzione, doveva anche sopportare il ragazzino.
«Oooh, Wandaaa! Guarda in camera!»
Erano in biblioteca ed era quasi l’orario di chiusura, Peter ad un tratto aveva tirato fuori una videocamera.
«Si può sapere che stai facendo?»
«Come che sto facendo? Lo sai che devo girare un film, è per un progetto. Non avevi detto di voler farne parte?»
«Non ricordo una cosa del genere» Stephen coprì l’obiettivo con una mano. Odiava i ragazzini e soprattutto odiava i ragazzini così allegri e petulanti. «Non potresti fare altro? Tipo, non so, trovarti una ragazza?»
Peter arrossì.
«Woah, Wanda! Non è gentile da parte tua. E poi di che parli? Lo sai che sono gay.»
Ah.
Lei lo sapeva, io no di certo.
«Va bene. Allora trovati un ragazzo.»
Peter mise via la videocamera, divenendo ad un tratto timido e silenzioso.
«Non ho ancora trovato quello giusto. In questo direi che siamo uguali.»
Stephen arrossì. O per meglio dire, il viso di Wanda arrossì.
«Ragazzino insolente» farfugliò, facendolo ridere.
«Dai, sto scherzando. Comunque vedrai quando ci laureeremo e andremo a New York. Sai quanti ragazzi conosceremo?»
Quindi l’ambizione di Wanda era trasferirsi a New York. Stephen non capì perché, ma ad un tratto si sentì curioso.
«E… perché dovrei andarci?»
Peter sollevò le sopracciglia.
«Beh, dici sempre che questa città è troppo piccola per te. E che ha… brutti ricordi.»
Brutti ricordi.
Ragazza dal passato difficile. Perché era capitato proprio a lui?
«Oh, si è fatto tardi» disse Peter guardando l’orologio. «Vuoi che ti accompagni a casa?»
«No, credo che Pietro dovrebbe venirmi a prendere. Piuttosto tu stai attento, sei così. mingherlino.»
«Non so di che parli, io sono fortissimo» scherzò Peter.
Alla fine, quel ragazzino non era poi così male.
Finito il suo turno di lavoro, tornò a casa con Pietro, il quale continuava a stargli addosso e lo faceva nella maniera più fastidiosa: fissandolo e osservando ogni sua mossa.
Così Stephen si chiuse in camera sua (in quella di Wanda) e decise di scriverne quattro a colei che si trovava dentro il suo corpo. Certo, la colpa non era di nessuno dei due. Ma al diavolo, rivoleva la sua vita, non poteva andare avanti in quel modo.
Così prese il quaderno su cui aveva già scritto.
 
Immagino tu sappia già io chi sono. Non so perché ci sta accadendo questo, né perché, ma è una cosa che dobbiamo risolvere. Ma finché non troviamo un modo ecco alcune regole:
1 – Non rovinare la mia reputazione. Non posso perdere il lavoro e sono sicura che non sai niente di medicina. Quindi, dovrai – dovrò – prenderti un periodo di vacanza. Penso cosa accadrebbe se uccidessi qualcuno mentre sei me?
2 – Non mangiare troppo ed evita tutti quegli zuccheri. Forse una cosa del genere puoi farla nel tuo corpo giovane, non nel mio.
3 – Mantieni un certo contegno, Tony Stark mi prende già abbastanza in giro.
4 – Non rovinare tutto con Christine.
 
P.S Tuo fratello è inquietante e il tuo migliore amico è fastidioso.
 
Infine, lasciò cadere la penna.
Quindi era così? Lui e Wanda erano legati da quel filo, che lo volesse o meno?
 
New York
 
Stephen era tornato di nuovo in sé, ma prima di rendersene conto era caduto dal letto, con le coperte avvolte intorno alle gambe.
«Maledizione» sibilò, alzandosi. Era ancora presto, il sole doveva essere sorto da poco. Nella penombra vide qualcosa appeso vicino al calendario.
Sembrava un foglio, che Wanda gli avesse lasciato un messaggio?
Lo afferrò e si avvicinò alla finestra per leggere.
 
Io non ti conosco, Stephen Strange, ma la tua vita è difficile.
DIFFICILE.
Non so perché io sia te e tu sia me, ma nel caso in cui dovesse accadere ancora(e penso proprio che sarà così), queste sono le mie condizioni:
Regola n.1: NON trattare male Peter, lui è un ragazzo sensibile. E mio fratello mi conosce meglio di chiunque altro, quindi stai attento quello che dici.
 
«Me ne sono accorto.»
 
Regola n.2: Non puoi andare in giro conciato come un pazzo. Cioè, io non posso! E soprattutto… evita di guardare il mio corpo. È da maniaci.
 
«Che cosa? Ragazzina ingrata, come osa darmi del maniaco?»
 
Regola n.3: Ho una buona carriera universitaria, non rovinarla.
 
«Lei dice a me non di rovinarla? Lei mi sta rovinando la reputazione. Tutto questo sta iniziando a infastidirmi.»
 
P.S Comunque sono svenuta a lavoro. Io ODIO gli ospedali, e odio il SANGUE.
 
Stephen lasciò cadere il foglio, sospirando.
«Perché sta succedendo a me?»
 
 
Sokovia
 
Wanda si era alzata presto quella mattina, ma nonostante ciò aveva trovato Pietro a studiare in cucina. Sospirò nel vederlo chino sui libri. Era stanco, avrebbe dovuto dormire di più. Ma se gliel’avesse fatto notare, Pietro avrebbe detto che non c’era motivo di preoccuparsi.
Da quando i loro genitori erano morti in quell’incidente dìauto, la vita non era mai stata facile. Erano passati quasi otto anni e nessuno dei due poteva dire di vivere la vita che voleva. Dopo aver passato l’adolescenza in un istituto, appena compiuta la maggiore età si erano dati da fare per cercare di sopravvivere. All’inizio non era stato facile, avevano sofferto la fame e anche il freddo. Avevano compiuto anche qualche piccolo furto, di ciò non andavano fieri, ma la fame li aveva spinti a tanto. Poi le cose erano iniziate ad andare meglio e avevano trovato un piccolo appartamento. Avevano trovato un lavoro e poi si erano scritti all’università, un sogno che entrambi avevano e a cui non erano disposti a rinunciare, anche se ciò voleva dire fare dei sacrifici. Una volta laureati, con i soldi che stavano faticosamente mettendo da parte, se ne sarebbero andati. E tutto sarebbe andato meglio, anche se per il momento Wanda pensava a tutt’altro.
«Pietro? A che ora ti sei svegliato?»
«Eh? Oh, alle cinque e mezza» rispose senza alzare la testa dal libro. Studiava economia ed era anche piuttosto bravo in quel campo.
«Sul serio, non è salutare questo stile di vita» disse apprensiva, sedendosi di fronte a lui.
«A dire il vero, se qui c’è qualcuno che dovrebbe essere preoccupato, quello sono io. Ultimamente non sembri te stessa.»
Wanda abbassò lo sguardo. Avrebbe voluto dirgli tutto, lei e Pietro non si nascondevano mai nulla, ma la sola idea risultava folle. Perché avrebbe dovuto crederle? Nemmeno lei riusciva a crederci del tutto.
«Sono solo un po’ distratta.»
Pietro la guardò, serio.
«Sei forse innamorata? Chi è lui? O lei? Insomma, è una persona che conosco?»
Wanda arrossì. Accidenti! Suo fratello era fuoristrada.
«Come se avessi tempo per queste cose.»
«Guarda che non ci sarebbe nulla di male a frequentare qualcuno. Abbiamo sofferto tanto, è vero. Questo però non vuol dire che non possiamo affezionarci a qualcuno.»
Era vero, Wanda difficilmente riusciva ad affezionarsi a qualcuno. Era terrorizzata all’idea di essere così vulnerabile ed esposta. La gente poteva ferirti, poteva scomparire da un momento all’altro. E dopo tutti quegli anni non aveva ancora superato certi timori.
«Tu e Peter vi preoccupate troppo. Quando incontrerò la persona giusta… saprò come comportarmi, almeno spero. Comunque ora vado a prepararmi.»
La casa in quel momento tremò. Succedeva spesso quando un treno passava molto velocemente.
«Parola mia, la mia prossima casa sarà su una montagna» sbuffò Pietro.
 
Wanda tornò in camera sua e, per distrarsi dalla conversazione avuto con suo fratello, decise di rispondere al messaggio di Stephen.
Era così arrogante che spesso non sapeva come rispondergli, ma lei non era di certo una che si lasciava sottomettere.
 
Tanto per cominciare, mio fratello non è inquietante e Peter non è fastidioso. Io non ho fatto commenti negativi sulla gente che ti sta attorno. Ad ogni modo, finché non troviamo una soluzione, penso che dovremmo fare un elenco di tutto ciò che possiamo e non possiamo fare quando siamo l’uno nel corpo dell’altro. Abbiamo due vite totalmente diverse. Inoltre, per quanto trovi affascinante questo nostro scambiarci messaggi su carta, preferisco avere il tuo numero. È più pratico e più sicuro.
Te lo scrivo sotto.
 
Wanda smise un attimo di scrivere e alzò lo sguardo. Doveva ammettere che era un po’ curiosa di conoscere di persona l’uomo con cui aveva stabilito un legame così strano. Ma dubitava sarebbe mai successo. Anche se in realtà Stephen viveva a New York, che era la sua meta dei sogni.
«Ehi, eh» si diede un colpetto in testa. «Non devo nemmeno pensarci. Niente sentimentalismi, questa storia è già abbastanza strana. E poi lui è impegnato, e anche se è molto affascinante è troppo vecchio per me. Non l’ho neanche mai incontrato.»
Però ho vissuto la sua vita.
Wanda sospirò, ascoltando il silenzio. Chissà se sarebbe mai riuscita ad aprire il suo cuore a qualcuno. E ad amare, amare così tanto da non avere più paura.
«Ma non adesso» si disse.
 
Le cose continuarono ad andare così. L’uno viveva nel corpo dell’altro, viveva la vita dell’altro e intanto gli stessi Stephen e Wanda imparavano a conoscersi. E avevano entrambi capito molto presto di non avere niente in comune. Anzi, erano diametralmente opposti, anche se forse c’era qualcosa del loro carattere che li rendeva incredibilmente simili.
 
Ascolta, dottore, tu non puoi trattare male i clienti. E non puoi trattare male le persone in generale, loro pensano che sia io!
 
Quante storia. Per colpa tua ho dovuto momentaneamente rinunciare al mio lavoro. Perché, OPS, loro credono che sia io. E io non sono un medico da quattro soldi, sono il migliore.
 
Senti, signor il migliore, la tua ragazza vuole vedermi ogni giorno. E fa domande. Io non so che cosa dire, e soprattutto non gradisco questo contatto fisico. Mi doveva capitare anche il tizio impegnato…
 
Non vedo perché essere così acidi. Prendi esempio, piuttosto. Dovresti avere un ragazzo anche tu.
 
IO non ho bisogno di nessuno e non fare cose strane o ti mando a monte tutto.
 
Temo che per questo sia troppo tardi.
 
  •  
 
Sokovia
 
Per Stephen quella era un’ingiustizia. Non solo perché si stava ritrovando a vivere un a vita che poco aveva a che fare con la sua, ma anche perché doveva ritrovarsi a fare cose che non avrebbe mai fatto. Tipo studiare roba assurda a cui non era interessato. Lui era un uomo di scienza, Wanda amava la letteratura e la filosofia. Ma almeno alla fine non si era rivelato così difficile avere a che fare con Pietro e soprattutto con Peter. Anzi, probabilmente era meglio di Tony per certi aspetti.
Probabilmente quei due farebbero subito amicizia, nonostante la differenza di età.
Adesso l’ennesima seccatura, cercare la sua copia – quella di Wanda – sulla Divina Commedia.
Doveva ammettere però che approfondire e studiare quelle letture non era poi così male.
«È anche disordinata» sussurrò mentre era piegato sotto il letto. «Anche in questo siamo totalmente diversi. Se riesco ad uscire questa situazione, dovrò andarmene in analisi!»
Allungò il braccio sotto il letto un po’ impolverato e tossì. Invece del libro si ritrovò in mano quello che sembrava un diario.
È proprio una ragazzina, pensò. Ma al contempo fu spinto da una grande curiosità. Di Wanda conosceva tutto, tranne ciò che pensava. Esitò un po’, poiché dopotutto non erano fatti suoi e perché a lui non sarebbe piaciuto se qualcuno avesse violato la sua privacy.
Invece sono affari miei, visto che sono nel suo corpo.
Quindi lo aprì. C’erano pagine e pagine scritte, alcune in modo più ordinato, altro in maniera frettolosa, quasi furiosa.
Abbassò lo sguardo.
 
15 aprile
Non ce la faccio più. Anche se fingo che vada tutto bene, non va bene per niente! Sono molto felice del percorso che ho intrapreso e di avere un lavoro, ma mi chiedo quando potrò smettere di sopravvivere per vivere davvero.
Vivo sempre nella paura ed è una che odio, una cosa che non posso controllare. Le uniche persone che ho sono Pietro e Peter e io ringrazio di averli nella mia vita, ma vorrei anche allargare i miei orizzonti. Ma la verità è che da quando mamma e papà sono morti, io non sono stata più la stessa. È come se mi fossi inaridita, sento sempre di dovermi proteggere da qualcosa o qualcuno.
 
18 aprile
 
Seguendo il consiglio di Peter, sono uscita con un ragazzo, si tratta di un mio compagno di corso carino e intelligente, ma… non è andata benissimo. Penso addirittura che fosse terrorizzato da me, e non posso biasimarlo, perché ho un carattere difficile, ma non amo essere temuta, anche se così potrebbe sembrare.
Non riuscire a legarmi a nessuno è difficile. Le ragazze della mia età si innamorano, vivono storie d’amore degne di film… io non riesco neanche a parlare con qualcuno.
Magari non esiste la persona adatta a me.
 
«Accidenti» susurrò Stephen.
Si sentiva strano. In qualche modo era come se la capisse. Lui che capiva lei e le sue paturnie da ragazzina.
Così era questo il dolore che si portava dentro? Non l’avrebbe mai detto, ma dopotutto non l’aveva conosciuta bene fino a quel momento. Richiuse il diario e lo mise al suo posto.
Dopotutto non è poi così irritante e insulsa.
 
New York
 
Wanda stava facendo del suo meglio per vivere una vita che non le apparteneva. La gioia di trovarsi a New York era ben presto stata sostituita dall’angoscia: Strange frequentava troppa gente, era troppo popolare. Lei era abituata ad essere circondata da pochissime persone, solo due a dire il vero.
Tony Stark tuttavia le stava simpatico, sebbene fosse molto diverso da Peter. E poi c’era la dottoressa Palmer, nonché fidanzata di Strange.
Quella situazione rendeva tutto più difficile. Doveva fingere di essere chi non era e doveva anche di approcciarsi a qualcosa che per lei era totalmente nuovo. Strange le aveva detto di non mandare tutto a monte, ma avrebbe potuto essere un po’ più specifico.
«Mi ha sorpreso molto che tu abbia preso un congedo da lavoro, così all’improvviso. Stai forse male e cerchi di nasconderlo?»
Le coppie si frequentavano e passavano molto tempo insieme. Christine era a casa sua quella sera e le sedeva accanto con un bicchiere di vino in mano. Wanda sperava tanto che la situazione non diventasse strana, perché non poteva spingersi a tanto.
«Sì, beh… sto lavorando. Ad un progetto. È segreto» cercò di essere convincente, ma Christine non parve badarci. Anzi, a giudicare dal suo sguardo, stava pensando a tutt’altro.
«D’accordo, indagherò in seguito. Un lato positivo però c’è. Abbiamo più tempo per noi.»
Si avvicinò, suadente. Wanda si irrigidì, stava odiando maledettamente quella situazione. Christine si avvicinò e poggiò le labbra sulle sue. Nel sentire quel contatto Wanda si scostò all’improvviso, facendola cadere in avanti.
«Stephen!»
«Mi dispiace! Io… non posso. Non posso fare questo, ti prego. Non fare domande!» esclamò, agitata. Forse Christine avrebbe voluto una spiegazione più approfondita e infatti la donna la guardava adesso a braccia conserte.
«Stephen, tu sei molto strano ultimamente. Lasci il lavoro, ti comporti da pazzo, sembri un ragazzino. E adesso questo? Se c’è qualcosa che non va, vorrei saperlo.»
Wanda si voltò, non aveva il coraggio di guardarla negli occhi.
«Non posso dirti cosa c’è che non va, non capiresti. Sappi però che non mi sento me stesso, men che meno quando sono insieme a te» Wanda si rese conto troppo tardi di aver usato le parole sbagliate. Non che fosse sorpresa, sapeva di essere un disastro nelle relazioni.
Christine sospirò, con le lacrime agli occhi.
«Oh. Immagino che sarà sempre così, vero? Un continuo tira e molla che alla fine non va da nessuna parte»
Wanda si voltò a guardarla. Quindi la loro relazione non era perfetta come aveva pensato.
«Lui si è… cioè… io mi sono comportato male nei tuoi confronti?»
«Non sapresti rispondere da solo? Comunque, penso che la questione sia… che sei troppo instabile. Adesso più che mai.»
Maledetto bastardo, fai a me tante storie e poi guarda. La tua via non è perfetta, fai solo finta che sia così.
Wanda non disse nulla. Non poteva dire nulla perché non sapeva come comportarsi. Ma a che razza di persona la sua vita era legata a doppio filo?
Qualche minuto dopo Christine se ne andò e lei rimase ad annegare i suoi pensieri nel viso.
«Mi ucciderò quando saprà cosa ho combinato» sussurrò.
E no. Sarò io ad uccidere lui se mi nasconde aspetti così importanti della sua vita.

Nota dell'autrice
Spero che questo capitolo vi piaccia, a me piace molto scrivere le interazioni tra Wanda e Strange... non è facile vivere la vita l'uno dell'altro, ma probabilmente adesso troveranno un punto d'incontro. 
Alla prossima settimana :)

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Capitolo 3
*** Uguali ***


Qual è il tuo nome?
Uguali
 
New York
 
«Prima prendi un congedo e adesso rompi con Christine. In genere non mi sorprenderei, ma adesso so che c’è qualcosa sotto.»
Da quando in qua Tony Stark si preoccupava tanto per lui?
Forse però non poteva dargli torto. Stavano succedendo cose strane e la colpa non era sua.
«Perché ho l’impressione che se non te lo dico, mi tormenterai?»
Tony gli porse un bicchiere di vino. Affogare le proprie preoccupazioni nell’alcol non era salutare né maturo, ma Stephen ne aveva bisogno.
Dopo qualche sorso si sentiva pronto a parlare a cuore aperto. All’incirca.
«Ho conosciuto una ragazza» iniziò a dire, il che non era una bugia. Tony si fece attento, divertito.
«Ma tu pensa. Una ragazza ti ha fatto perdere la testa? In effetti spiegherebbe perché sembri pazzo. Chi è lei? Come l’hai conosciuta?»
«Lei… si chiama Wanda…» iniziò a raccontare, guardando il bicchiere. «Ha ventun anni e…»
«Ti piacciono giovani? Ma bravo il nostro dottore!»
Stephen arrossì. Tony stava travisando tutto.
«Non è come sembra.»
«Oh, fammi il favore. Se me ne stai parlando deve essere importante. Dove l’hai conosciuta?»
Si portò una mano sulla testa, spiegarlo era molto più difficile che dirlo.
«Il problema è questo, lei non è di qui, vive nell’est Europa.»
Tony parve confuso.
«Ti sei iscritto a qualche strano sito d’incontri? Questo non sarebbe da te.»
Per il momento Stephen gli avrebbe risparmiato quella strana spiegazione sul fatto che si scambiavano di corpo e vivevano l’uno la vita dell’altro. Aveva già parlato troppo e Tony aveva travisato. O almeno credeva. In realtà non ci aveva mai pensato. Ma adesso, forse a causa dell’alcol, si domandava se in qualche modo Wanda non gli interessasse anche in un altro modo.
 
Sokovia
 
«Peter, ho conosciuto una persona.»
Wanda ci aveva pensato a lungo se dire o no se riferire ciò al suo migliore amico. Di certo non avrebbe potuto rivelargli proprio tutto, ma era sempre meglio di niente. Peter si era strozzato mentre mangiava le sue noccioline.
«Che cosa?! Tu me lo dici così? Ma Wanda…!»
Fu costretta a tappargli la bocca, prima che tutti si voltassero a guardarli.
«Peter!» gemette, rossa in viso.
«M-mi dispiace…» tossì lui, rimettendosi seduto. «Ecco perché eri strana. Tu… io… Chi è? Frequenta la nostra università?»
Wanda mordicchiò la cannuccia senza guardarlo.
«No, è un neurochirurgo…»
«Eh?! Scusa, ma quanti anni ha?!» Peter si era alzato, facendo cadere la sedia.
«Peter!» Wanda nascose il viso per nascondere il rossore. Doveva immaginarsi una sua reazione del genere. «D’accordo, è più grande di me, ma non è… non è questo il punto.»
Il punto era che lei e quell’uomo si scambiavano in continuazione, vivendo l’uno la vita dell’altro, malgrado non si fossero mai visti.
Peter si sedette, cercando di contenersi, ma senza riuscirsi.
«Adesso tu devi dirmi tutto. Dove l’hai conosciuto, e quando? E soprattutto, perché non me l’hai detto?»
Wanda distolse lo sguardo. Non era brava a mentire a Peter, lui era uno dei pochi a conoscere le sue debolezze e sofferenze.
«È un po’ difficile da spiegare. Lui non è di queste parti, vive… a New York.»
A quel punto lo shock di Peter aveva raggiunto i massimi livelli.
«Ma non è giusto, anche io voglio conoscere un uomo figo che vive a New York, ma come hai fatto?»
Wanda si lasciò andare ad una risatina nervosa.
«Sinceramente? Non lo so! È capitato, tutto qui. Comunque non è come credi, tra noi non c’è un sentimento romantico.»
«Certo, come no. Non sono mica nato ieri» rispose Peter con un’espressione maliziosa. «Me lo farai conoscere?»
La ragazza sospirò.
«Penso che tu lo conosci già meglio di quanto pensi.»
 
Era stata una lunga giornata e Wanda si sentiva stanca. Pietro non era in casa e l’unica cosa che voleva era farsi un bagno e andare a dormire. Mentre si trovava nella vasca da bagno a pensare ad un modo per spiegare a Peter la sua situazione (se non avesse parlato sarebbe impazzita), gli arrivò un messaggio da parte di Stephen.
Sembrava che non gli importasse nulla del fuso orario.
 
Grazie per aver mandato tutto a monte con Christine, alla fine. Ti avevo chiesto poco!
 
«Ma con quale coraggio si rivolge a me così?» domandò stringendo i denti.
 
A quanto ho capito, tu non sei esattamente perfetto. Anzi, non era la prima volta che tu e lei vi lasciavate, vero?
 
Stephen aveva letto il messaggio e poi aveva imprecato.
 
Dannazione, lascia stare. Non vedo cosa tu potresti capirne di relazioni.
 
«Bastardo» lo insultò Wanda.
 
Vorrai perdonarmi, dottore, se ho serie difficoltà a creare legami stabili.
 
Stephen allora aveva scritto senza pensare:
 
È per quello che è successo ai tuoi genitori?
 
Ci mancò poco che Wanda non facesse cadere il telefono in acqua. Come faceva a saperlo?
 
Tu, brutto…come… come lo sai? Te l’ha detto Pietro? Ne avete parlato?
 
In quel momento Strange ringraziò la sua buona stella di trovarsi dall’altra parte dell’oceano.
 
Come posso spiegarlo. Ho trovato accidentalmente il tuo diario… e così ho letto. Ma non ho letto tutto.
 
«No!» esclamò Wanda, desiderando solo di immergersi e scomparire sul fondo della vasca. Quell’uomo aveva letto i suoi più intimi segreti, aveva scoperto la sua debolezza. E questo non le piaceva per niente, odiava essere fragile.
 
Strange, ringrazia di essere lontano perché saresti già morto. Come ti è venuto in mente, sei forse impazzito?! Mio Dio, che vergogna.
 
Mi.. mi dispiace, d’accordo? Lo so, non è stato gentile. È solo che mi sono sentito un po’ in colpa. Prima che ti arrabbi, non è pietà la mia, ma umanità (a volte so esserlo anche io). Non conoscevo questo lato di te, adesso che lo so…è diverso.
 
Non avrebbe saputo spiegarlo in altre parole. Sapeva solo che adesso che la conosceva meglio, si sentiva più vicina a lei, nonostante fosse così lontana.
Wanda si rilassò appena. Era ancora arrabbiata, ma considerando la loro situazione, era forse assurdo che conoscessero i segreti l’uno dell’altro?
No, ripensandoci non lo era.
Wanda sospirò.
In questo momento volevo solo farmi un bagno e rilassarmi, ma vedo che non è possibile.
 
Senza volerlo, Strange arrossì. Iniziava a sentirsi molto strano e non era sicuro che gli dispiacesse del tutto. Senza neanche avvertirla, la chiamò.
 
Quando Wanda vide la chiamata in arrivo, rischiò di far nuovamente cadere il cellulare in acqua.
Avrebbe potuto quanto meno avvisarla. Prese un respiro profondo e rispose.
«Pronto?»
Sentire la sua voce era strano. Non che l’avesse già sentita, ma sentir parlare proprio lei gli diede una sensazione particolare.
«Wanda? Sono io.»
Lei arrossì, il cuore le batteva forte come se lui fosse lì, ma perché?
«Sì, so che sei tu… ma perché mi hai chiamato? Che ore sono da te?»
«Le tre del pomeriggio» sussurrò Strange. «Spero di non dovermi pentire di questa mia brillante idea. Però… se volessi urlarmi contro…»
A Wanda venne da ridere senza potersi trattenere. Non capiva perché si sentisse così, come una ragazzina sciocca e innamorata.
«La situazione è un po’ strana, io sono nella vasca e tu mi chiami…» disse Wanda.
«Oh, ti prego. Non farmi passare per un maniaco. E poi oramai conosco bene il tuo corpo. Voglio dire…»
«Sì, ho capito. Ad ogni modo non servirebbe a nulla arrabbiarmi. Voglio dire, sto parlando con l’uomo che ogni tanto vive la mia vita, dentro il mio corpo. Ma ti sarei molto grata se non invadessi più la mia privacy» Wanda chiuse gli occhi, sentendosi più rilassata.
«Ho detto che mi dispiace. Pensavo che forse volessi parlarmi…» tentò Strange.
Forse si stava facendo coinvolgere troppo. Quelli non erano affari suoi e Wanda avrebbe avuto ragione di rifiutare.
La ragazza stessa si rese conto che, in qualsiasi altro caso, si sarebbe richiusa nel mutismo. Ma non con lui.
«Io non ne ho… mai parlato con nessuno» iniziò a dire. «Solo Peter sa che vita ho avuto. Il fatto è che odio la pietà negli occhi degli altri, quindi preferisco che nessuno sappia. Però è vero che soffro, soffro ogni giorno e mi sembra di non riuscire a venirne fuori e… cavolo, che scena patetica, dovrei fermarmi.»
«No, non credo tu sia patetica» rispose Strange, sorprendendosi di come si trovasse bene a parlare con lei. «Non c’è niente di patetico nella sofferenza. Deve essere stata dura.»
«Lo è stato» ammise Wanda, sentendosi leggermente più leggera. «Perché… insomma, perché fra te e Christine va male?»
Una cosa in comune l’avevano di certo, entrambi faticavano nel legarsi a qualcuno, nel stabilire legami duraturi.
«Le persone scappano dal mio modo di fare arrogante e presuntuoso. E poi… non so. Innamorarsi è… è pericoloso, non c’è ragione nell’amore … perché stai ridendo?»
Wanda non era una che si lasciava andare così tanto all’emotività, ma con Strange cambiava. Questo era terribile, ma non tanto come pensava.
«Io e te siamo proprio uguali, abbiamo gli stessi timori. Lo avresti mai detto?»
Anche Strange aveva preso a sorridere.
«No, in effetti no.»
Continuarono a parlare, scoprendosi man mano. Stephen scoprì che Wanda nascondeva una grande dolcezza e che era fondamentalmente timida e insicura, ma che aveva tanto da dare. Scoprì anche che voleva diventare un’insegnante e ciò lo stupì piacevolmente. E Wanda scoprì che Strange non era poi così odioso, anzi. La faceva ridere, era intelligente e sapeva ascoltarla, sapeva dire sempre la cosa giusta al momento giusto (questa era forse la cosa che più l’aveva sorpresa).
Avevano parlato fino a quando Wanda non era scivolata sotto le coperte. Avrebbe dovuto dargli la buonanotte, ma era totalmente presa dalla loro conversazione.
«Pensi che ci incontreremo mai?» domandò lei ad un tratto. Lentamente aveva maturato dentro di sé il desiderio di vederlo.
«Il tuo sogno è trasferirti qui, non è vero? Allora è molto probabile.»
«Sì, ma prima devo finire gli studi e mettere dei soldi da parte, non è così facile. E non hai motivo di venire in questa cittadina sperduta, come tu la chiami.»
«Non è poi così male come credevo.»
Wanda uscì la testa fuori dal lenzuolo.
«Stai pensando di venire qui per vedermi? Magari insieme a Tony.»
Stephen arrossì. Sembrava che lei gli leggesse nel pensiero, cosa non poi così strana considerato il loro legame.
«Potrei.»
«Stephen…?»
«Sì?»
Wanda si raggomitolò.
«Ti stai innamorando di me?» chiese in un tono di curiosità e presa in giro. Cosa non avrebbe dato per vedere la sua espressione!
«Sei davvero sfacciata, ragazzina» fu la sua risposta.
Né sì, né no.
Wanda andò a dormire con il sorriso stampato sulle labbra. Era una sensazione nuova, tuttavia molto piacevole.
 
New York
 
Le cose cambiavano in fretta. In quelle ultime settimane Stephen Strange aveva avvertito in sé quel cambiamento profondo. Vivendo una vita che non era la sua e conoscendo Wanda aveva capito molte cose e aveva incontrato una persona che, per quanyo diversa da lui, era molto simile.
Tony ovviamente non gli aveva lasciato tregua, desiderava conoscere tutto della ragazza che palesemente gli aveva rubato il cuore (anche se Stephen faticava ancora ad ammetterlo). Ma forse c’era un motivo se tutto ciò stesse avvenendo, forse c’era stato un motivo se tutte le sue relazioni passate erano finite male. Cose come l’anima gemella non potevano esistere, eppure Wanda era ciò che più si avvicinava ad essa.
Per questo, quella volta decise di essere quasi del tutto sincero con Tony.
«Se è per negare quanto dico, non voglio ascoltarti. Tu sei testardo, ma io so esserlo di più» proferì Tony.
«… Non devo negare nulla, al massimo devo darti ragione» Stephen si sorprese di provare tanto imbarazzo. «D’accordo, hai sempre avuto ragione. Probabilmente lei, Wanda… non mi è indifferente.»
Tony sorrise, soddisfatto.
«Era ovvio che avessi ragione, finalmente l’hai ammesso. Ebbene, cosa intendi fare? Vorresti incontrarla?»
«Oh, per l’amor di… questo non è da me» Stephen si massaggiò le tempie. Era tutto così assurdo, ma anche così naturale.
«Sei un essere umano anche tu. Se vuoi farlo, buttati e basta. Io approvo.»
«Non era la tua approvazione che cercavo, ma grazie!» borbottò.
In realtà adesso si sentiva meglio. Forse era sciocco desiderare di incontrarla. Ma in fondo perché non avrebbe dovuto farlo?
Era arrivato il momento di darci un taglio con le idiozie.
Ma decise che sarebbe stato meglio avvisarla delle sue intenzioni, poco importava che lo avrebbe preso in giro. Quando arrivò un orario consono in cui potesse chiamarla (Stephen si era oramai abituato al fuso orario), selezionò il suo numero.
Il numero da lei chiamato è inesistente o irraggiungibile.
Sgranò gli occhi, piuttosto turbato. L’aveva chiamata fino al giorno prima senza troppi problemi.
Riprovò, ma udì soltanto la voce della segreteria. Così anche la seconda, la terza e la quarta volta.
«Ma che diamine! D’accordo, provo a scriverle» disse fra sé e sé. Quando però cercò i suoi messaggi, si rese conto con orrore che essi stavano scomparendo, come se una gomma invisibile li cancellasse davanti ai suoi occhi. Lasciò cadere il telefono, un po’ spaventato. Forse quella non era la cosa più bizzarra, ma lo preoccupò abbastanza.
Non solo Wanda risultava irraggiungibile, ma i messaggi sul suo telefono stavano venendo cancellati l’uno dietro l’altro. Stava succedendo qualcosa.
Così capì che forse era necessario fare un piccolo cambio di programma.
 
«Aspetta, tu vuoi che venga con te? Che parta con te? Adesso?»
«Stark, dì sì o no, non farmi perdere tempo!»
Forse era stata un’idea sciocca, ma Tony era l’unico che potesse accompagnarlo in quell’avventura piuttosto strana.
«Accidenti. Quella ragazza ti ha proprio stregato» sussurrò Tony.
«Non è questo il punto! È che lei… è come scomparsa…»
«Ah. Non accetti il rifiuto, eh?»
«Stark, sono serio!» Strange lo guardò negli occhi. «Ti dico che sta succedendo qualcosa di strano. Il suo numero risulta irraggiungibile. Ci siamo scambiati molti messaggi nelle ultime settimane, ma ora non ci sono più. Si sono auto-cancellati, come se non fossero mai esistiti.»
A quel punto Tony smise di scherzare. Non aveva mai visto Stephen così serio, e ciò lo convinse che doveva tenere a quella ragazza molto più di quanto pensasse.
«E va bene Strange, non c’è bisogno di agitarsi» sospirò Tony. «Se vuoi volare dall’altra parte dell’oceano, ovviamente non posso lasciarti andare da solo. Quindi sì, accetto volentieri.»
Strange chiuse gli occhi. Sentiva male alla testa, ma non aveva tempo da perdere. Doveva prenotare un volo. E, cosa più importante, doveva trovare il modo di arrivare in quella città sperduta. Ci aveva vissuto, ma arrivarci era tutt’altra storia.
Due giorni dopo fu tutto pronto per partire.
«Tony, spero per te che tu non mi faccia perdere il volo, hai capito bene? Sì, non importa, sbrigati e basta!»
Erano stati giorni caotici e tutt’ora Stephen si sentiva fuori di testa. Era preoccupato per Wanda e il non sapere lo stava facendo impazzire. Adesso mancava poco, pochissimo e l’avrebbe vista.
Ma non era solo quello a preoccuparlo.
Gli scambi erano cessati. Lui non si era più trovato nel corpo di lei, non aveva più vissuto la sua vita e questo non aveva fatto altro che aumentare la sua ansia e le sue preoccupazioni. E non era certo da lui preoccuparsi in quel modo.
Lui e Tony concordarono di vedersi direttamente in aeroporto, ma prima doveva prendere un taxi. Mentre usciva di casa e si trascinava dietro la valigia, incontrò l’ultima persona che si aspettava di vedere: Christine.
«Stephen, vai da qualche parte?»
Strange si fermò, con un’espressione vagamente colpevole sul viso.
«In effetti dovrei prendere un volo tra… tra poco, pochissimo.»
«A-Aspetta» balbettò lei afferrandolo per un braccio. «Volevo solo dirti che mi spiace per quella volta.»
Lei non aveva nulla di cui scusarsi. Semplicemente ci teneva davvero, e per quanto fosse difficile, Stephen doveva cercare di essere sincero. Ora che aveva conosciuto Wanda aveva anche imparato a mettersi in discussione.
«No, aspetta Christine. Tu hai ragione.»
«Io ho… ragione?»
«Sì. Hai ragione, tra noi andrà sempre male perché… perché non funziona e se continuo a stare con te ti ferirò solo di più.»
«Oh. Quindi… mi stai lasciando?» domandò lei con gli occhi lucidi.
Stephen lasciò un attimo da parte la valigia, afferrandole un polso.
Era così difficile essere sinceri riguardo i propri sentimenti.
«Ascolta. So che è non è quello che vuoi sentirti dire. Ma ho conosciuto una ragazza e… da quel momento la mia vita è cambiata. Io non so se la amo, ma so che devo andare da lei ora, adesso, perché ci sono delle cose che devo capire. Penso di essere impazzito…»
In effetti Stephen sembrava diverso dal solito, nei suoi occhi c’era una luce che non aveva mai visto, segno che doveva essere sincera. Ciò la ferì, ma allo stesso tempo le diede una sensazione di… liberazione.
«Beh… in effetti questo spiega molte cose, tipo le tue stranezze dell’ultimo periodo.»
«È proprio così. Mi dispiace.»
Christine sospirò.
«Se sei innamorato sul serio, e io penso che sia così, non credo di poter fare molto. Però Stephen, davvero. Se ci tieni, non mandare tutto a monte.»
Non era sua intenzione. Era per questo che aveva improvvisato quel viaggio.
«Farò del mio meglio» sussurrò.
E per la prima volta non negò i suoi sentimenti.
Forse l’amore era qualcosa di molto simile a ciò che sentiva.
 
Il loro volo partì alle 10.45. Sarebbe stato un viaggio lungo e Tony era curioso di capirci qualcosa in più, visto che Stephen era stato molto vago.
«Sokovia, eh? Non è il paese in cui c’è stato quel forte terremoto, tre anni fa?»
«Sì, d’accordo, come vuoi» lo zittì Stephen distrattamente. «Trovarla non sarà difficile, e se non trovo lei posso pur sempre cercare Peter.»
«Chi?»
«Il suo migliore amico. È un bravo ragazzo, forse un po’ fastidioso.»
«Ah, beh. Spero che non sia una fregatura allora, perché questo viaggio mi sta costando sudore, fatica e soldi» borbottò Tony mettendosi comodo.  In realtà anche lui era curioso di conoscere la ragazza che aveva rubato il cuore di Strange.
Alla fine, Stephen aveva finito con l’addormentarsi e almeno per qualche ora i suoi pensieri si erano quietati. Perché da sveglio riusciva solo a domandarsi cosa ci fosse che non andava.
 
Il furo orario aveva finito con l’intontirli entrambi, ma Stephen era abbastanza lucido da dare inizio alla sua ricerca.
«Va bene, d’accordo. Devo chiamare un taxi» Tony sbadigliò. «Precisamente dov’è che dobbiamo andare?»
«Novi Grad» rispose distrattamente Stephen, non accorgendosi quindi dello sguardo turbato di Tony. «Che c’è?»
«Novi Grad? Scherzi, vero?»
«Perché mai dovrei scherzare? Perché mi guardi come se fossi pazzo?» Stephen stava iniziando ad innervosirsi, il fatto era che Tony sembrava serio.
«Stephen» raramente lo chiamava per nome. «Quella città non esiste più. Tre anni fa è stata rasa al suolo dal terremoto. Lo hai dimenticato?»
Udì un rumore, alto nel cielo, il rombo del motore di un aereo.
 
Nota dell'autrice
Ed ecco qua anche il terzo capitolo, dove Strange apprende una verità terribile. Da questo punto in poi le cose saranno piuttosto diverse da Your Name, ma non voglio fare spoiler. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che non vi sembri troppo affrettato, di fatto mi stanno venendo fuori dei capitoli piuttosto lunghi dove succedono un sacco di cose. Alla prossima settimana :)
Nao

 

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Capitolo 4
*** Salvare ***


Qual è il tuo nome?
Salvare
 
«Tony ma di cosa stai parlando?»
La testa aveva iniziato a fargli male, a pulsargli.
Certo, come aveva potuto dimenticarsene? Il terremoto c’era stato veramente, in tv ne avevano parlato per tanto tempo. Una tragedia terribile.
«No, tu di cosa stai parlando. Sei proprio certo di non esserti sbagliato?»
Non si era sbagliato. Aveva vissuto lì, nel corpo di Wanda. Ma se era vero che la città era stata distrutta e che non ci viveva più nessuno, con chi aveva parlato?
Stephen prese il cellulare. I messaggi erano spariti, cancellati.
Come se non fossero mai esistiti.
«Io… senti, prendiamo un taxi. Dobbiamo andare fino a lì.»
«Ma Stephen, te l’ho detto. Lì non c’è niente, solo mac-»
«Facciamo come dico, punto e basta!» alzò la voce tanto che Tony non osò andargli contro.
Era terrorizzato e confuso. Non aveva senso tutto ciò, niente aveva senso.
Presero il taxi, il quale li lasciò vicino a Novi Grad. Per il resto dovettero proseguire a piedi. Durante il loro tragitto avevano incontrato qualche persona ca cui avevano chiesto delle informazioni.
«A Novi Grand non vive più nessuno da dopo il terremoto. Nelle zone limitrofe troverete forse qualche abitazione, qualche negozio, ma niente di più» aveva detto loro un uomo.
Tony non osava proferire parola, per quanto assurdo gli sembrasse tutto ciò, motivo per cui il loro viaggio proferì in silenzio.
Quando arrivarono, circa un’ora e mezza dopo, Stephen si rese conto che era tutto vero: sembrava che il tempo si fosse fermato e quella era una città fantasma. C’erano diverse macerie e lì dove erano state rimosse, un tempo dovevano esserci state delle cose.
«È davvero inquietante» sussurrò Tony. «Come può questa ragazza vivere qui?»
Ci mancò poco che Stephen non crollasse sulle sue stesse gambe. Aveva bisogno di sapere, di avere la certezza che Wanda fosse viva, perché la sensazione che aveva addosso era terribile.
Visitarono per un po’ quella città abbandonata e distrutta, dopodiché decisero di chiedere informazioni, ma per far ciò dovevano tornare indietro.
Appena fuori città c’erano alcuni negozi poco frequentati e ciò che a Stephen interessò subito fu una biblioteca. Dopotutto, quando si trovava nel corpo di Wanda, ci aveva lavorato per un certo periodo. Ad accoglierli c’era una signora anziana.
«Clienti! E stranieri per giunta, questo non capita tutti i giorni. Da dove venite?»
«Da New York» rispose subito Tony. «Il mio amico sta cercando una persona, una ragazza. Vive… viveva a Novi Grad, credo» dopodiché lanciò uno sguardo a Stephen che stava cercando sconsolato fra i libri.
«Oh, povero caro» sospirò l’anziana. «Non sono sopravvissuti in molti. Sa, quel terremoto è stato terribile, ha distrutto praticamente tutto nonostante sia durato così poco.»
«Non c’è una lista… una sorta di registro degli abitanti della città? Ho bisogno di controllare una cosa» disse ad un tratto Stephen. Quello era l’unico modo che aveva.
«Dovrebbe esserci qualcosa del genere in quegli scatoloni lassù. Da quando la biblioteca è stata distrutta, molti dei libri si trovano qui.»
Stephen non se lo fece ripetere due volte, così si armò si pazienza e iniziò a cercare. Nel frattempo, si era degnato di raccontare a Tony la verità, che lo chiamasse pazzo o altro non gli importava.
«Mio Dio, ma sei davvero impazzito!» esclamò Tony esasperato. «Ti rendi conto che quello che dici non è possibile?»
«Lo pensavo anche io, ma evidentemente è possibile eccome!» esclamò Stephen spazientito. «Io e lei ci siamo scambiati di corpo più e più volte, per questo ero così strano.»
«D’accordo, va bene! Mettiamo pure il caso che questa storia sia vera. Qui non ci vive nessuno, il terremoto ha distrutto tutto, e se lei fosse…?»
«Parli troppo e mi sconcentri!» lo zittì. In realtà temeva di scoprire una spiacevole realtà. Dopo varie ricerche trovò finalmente ciò che cercava: in fondo ad uno scatolone aveva trovato un registro su cui erano segnate le vittime del terremoto di Novi Grad.
«Eccolo» sussurrò. Fece scorrere velocemente lo sguardo.
Ti prego, non il suo nome non il suo nome.
Arrivò alla lettera M e poi il suo cuore perse un battito.
Maximoff Pietro, 21 anni
Maximoff Wanda, 21 anni
E poi, qualche pagina dopo, Stephen avrebbe trovato un altro nome.
Parker Peter, 19 anni
Stephen lasciò cadere il registro e sentì le lacrime pungergli gli occhi. Lui non piangeva mai.
«Stephen? Ehi…?» sussurrò Tony. Lui si voltò a guardarlo, aveva sul viso un’espressione turbata.
«Com’è possibile, com’è possibile che lei sia morta tre anni fa? Io ho parlato con lei, ho vissuto la sua vita, come… come…?»
«Strange, Strange, respira, okay?» Tony si chinò su di lui. «Non posso credere che io ti stia dando retta, ma… se davvero questa cosa dello scambio dei corpi è vero, allora è possibile che in qualche modo c’entri anche il viaggio nel tempo?»
Viaggio nel tempo? Che altro c’era ancora?
«Mi fa male la testa e ho la nausea» sussurrò.
«Va bene, aspetta, ti porto fuori di qui…»
Tony lo afferrò e lo aiutò ad uscire dalla biblioteca.
«Avete trovato quello che stavate cercando?» chiese la proprietaria quando Tony fu rientrata.
«Purtroppo, sì. Poveraccio, ha scoperto che la ragazza che ama è morta in quel terremoto.»
Stephen ascoltava la loro discussione anche se con la mente pensava a tutt’altro. Nonostante non fumasse da anni, in quel momento avrebbe tanto voluto una sigaretta.
«Ci sono stati altri terremoti dopo quelli di Novi Grad che ha distrutto la città. L’ultimo è stato il mese scorso, ma non ci sono stati danni per fortuna. Deve essere terribile per il suo amico.»
Se doveva prendere in considerazione la possibilità del viaggio nel tempo (e Stephen era portato a credere che fosse vero), allora voleva dire che c’era un punto del tempo in cui lei era ancora viva.
Ma non sapeva come raggiungerla, ovunque lei fosse.
Lui e Tony avrebbero passato la notte in un modesto hotel lì vicino, nell’attesa di capire cosa fare. Stephen non voleva tornare a New York dopo tutta quella fatica, motivo per cui aveva deciso di prendersi un paio di giorni per riflettere.
Ma riflettere su qualcosa? Tutto ciò non aveva senso e quella sera faticò ad addormentarsi. Alla fine però la stanchezza lo colse e Stephen passò dal pensare al sognare. O almeno così credeva.
 
Si svegliò in un posto che non era il suo e che oramai tuttavia conosceva molto bene. Quella era la camera di Wanda, quei suoni provenivano dalla stazione. Rimase qualche istante immobile e non poté fare a meno di chiedersi come fosse possibile.
Era lì, nel suo corpo, in quella vita che, ora se ne rendeva conto più che mai, aveva imparato ad amare.
La porta si aprì e davanti a lui comparve Peter.
«Ehi, ma sei ancora in pigiama? Non dovevamo andare a fare una gita fuori porta?»
Gli occhi gli divennero lucidi. Stephen era diventato un po’ troppo sentimentale, ma cosa importava? Quel ragazzino era vivo.
Si alzò tremante, abbracciandolo.
«Peter! Sei vivo!»
Il ragazzo arrossì, soffocato nel suo abbraccio, cosa a cui non era assolutamente abituato.
«Wanda, m-ma che? Pietro! Dammi una mano, tua sorella ha perso la testa!»
«Pietro! Anche lui è vivo!» esclamò senza pensare. Era incredibile quanto si fosse affezionato ad entrambi. Andò fino alla cucina, abbracciandolo.
«Ehi!» esclamò Pietro. «Ma che succede?»
«Non lo so, te l’ho detto che è impazzita!» gli rispose Peter ancora turbato.
Stephen lo guardò, con le guance bagnate di lacrime.
«Temevo di non rivedervi più» sussurrò. Se Peter era ancora confuso, Pietro aveva invece assunto l’espressione di chi era consapevole.
«Tu non sei Wanda, vero?»
Rimase interdetto per qualche attimo, e con lui anche Peter.
«Ma di che parli, non riconosci più tua sorella?» domandò infatti quest’ultimo in un sorriso poco convinto.
Strange socchiuse gli occhi.
«Come fai a sapere che non sono lei?»
Pietro sorrise.
«Io conosco Wanda. E ho sempre saputo fin dal principio che c’era qualcosa di diverso.»
Accidenti, Wanda. Tuo fratello è molto più in gamba di quanto pensassi.
Poco dopo tutti e tre si sedettero attorno al tavolo. Stephen iniziò a raccontare tutto sin dal principio, avvertendoli soprattutto del pericolo che correvano. Pietro aveva ascoltato tutto senza battere ciglio, Peter invece appariva sconvolto a causa di tutte quelle informazioni.
«C-cioè, tu non sei Wanda? Tu sei Stephen Strange? E vieni tipo dal futuro? Oh, mi fa male la testa…»
«Mi sorprende il fatto che ti sconvolga più questo che non il fatto che morirai. Morirete tutti a causa di un terremoto, dico sul serio.»
Pietro rimase in silenzio per qualche istante.
«Che tipo di legame hai con mia sorella?» domandò all’improvviso. Strange credette che fosse una domanda poco opportuna, soprattutto perché non avrebbe saputo cosa rispondere? Cos’erano? Amici, amanti, anime gemelle? Anime gemelle unite da un filo invisibile nel tempo e nello spazio?
Trovare le parole era difficile.
 «Lei ha stravolto il mio mondo. Sono venuto fino a qui per incontrarla e quando ho capito che era morta mi è sembrato di impazzire. Devo fare qualcosa per aiutarla, per aiutare tutti voi.»
Pietro chinò il viso senza smettere di guardarlo.
«Hai ragione. Però penso anche che tu stia per svegliarti.»
Il tetto prese a tremare. Era causa dal treno che passava o…?
Eh?
Lui e Peter sparirono dalla sua vita e Stephen si ritrovò nel suo letto, nella camera d’albero. Si mise seduto, era sudato e respirava a fatica. Era stato solo un sogno? No, impossibile, quello che aveva vissuto era reale, ma perché era tornato indietro?
«Cazzo…» gemette a voce alta, tanto da svegliare Tony, il quale accese l’abat-jour.
«Strange, che c’è che non va…?»
«I-io… io credo di essere tornato indietro nel tempo» mormorò, confuso. Tony stava per chiedergli di cosa stesse parlando, quando avvertirono entrambi qualcosa: tutto intorno a loro aveva preso a tremare e solo per un istante si erano guardati e avevano capito. Un terremoto. Poi era diventato tutto buio.
 
Qualcosa doveva averlo colpito in testa, Strange era sicuro. Avvertiva dolore, però era cosciente.
«Ahi… accidenti, ne ho abbastanza» si mise seduto. Forse la corrente era saltata. «Tony, ci sei?»
«Sì, ci sono. Ma cos’era, una scossa di terremoto? Che fortuna, eh?»
Si mossero nel buio e ad un tratto Stephen provò ad accendere l’interruttore. Quando la stanza fu illuminata, rimasero entrambi immobili.
«Amh, giurerei che non eravamo qui prima» disse Tony.
Infatti non erano lì. In qualche modo erano tornati indietro. Indietro, dove lei era viva.
Wanda entrò e nel ritrovarsi davanti quei due uomini, che conosceva ma che non si aspettava di vedere lì, per poco non cacciò un urlo.
«Wanda…» sussurrò Stephen.
«Aspetta. Lei è Wanda?» domandò Tony guardando prima lui e poi lei.
La ragazza si portò una mano davanti al viso, era sorpresa e visibilmente commosso.
«Stephen, ma sei tu? Sei… ma come hai fatto ad entrare, quando sei arrivato?»
Lui non le rispose. L’abbracciò stretta, strinse quel corpo che oramai conosceva bene e respirò l’odore sui suoi capelli. Wanda lasciò che una lacrima le rigasse il viso e ricambiò la stretta, in quel momento non le importava né come né quando fosse arrivato.
Tony, un po’ in imbarazzo, si schiarì la voce.
«Qualcuno potrebbe spiegarmi?»
Stephen si staccò da lei. Avrebbe desiderato stringerla ancora, baciarla e ammirarla, ma non c’era tempo da perdere.
«Wanda, so che questo ti confonderà, ma la situazione è più complicata di quanto pensiamo.»
«Aspetta… in che senso?» chiese lei turbata.
«Ascoltami. Io vengo dal futuro… tre anni più avanti. In qualche modo io e te siamo venuti in contatto, ma la verità è che sei stata uccisa da un terremoto. Sei in pericolo e anche gli altri lo sono!» Stephen parlava veloce, aveva l’affanno, sembrava che stesse delirando, motivo per cui Wanda si spaventò un po’.
«Come… sono morta?»
«Vuoi forse farmi credere che abbiamo viaggiato nel tempo?!» esclamò Tony. «No, non ci posso credere, ditemi che è uno scherzo.»
«Per questo sono venuto qui, per avvisarti. Tu, Pietro e Peter dovete lasciare la città, subito, immediatamente!»
Wanda indietreggiò, spaventata a morte. Doveva metabolizzare troppe cose tutte insieme: Stephen era lì e portava con sé notizia terribili.
Era tutto troppo per lei.
La situazione divenne ancora più strana e imbarazzante quando si unirono anche Pietro e Peter. Quest’ultimo in particolare non poteva fare a meno di guardare Stephen, e soprattutto di guardare Tony.
«Io penso di aver capito» sussurrò. «Ma non ho capito chi sei tu.»
«Te l’ho detto, mi chiamo Tony Stark e sono il migliore amico di Strange» rispose seccato.
«Ah. Io invece sono il migliore amico di Wanda. E sono molto turbato perché mi sento come se fosse finito dentro un film» mormorò, lanciando un’occhiata in direzione di Stephen, Pietro e Wanda che invece se ne stavano in silenzio. C’era così tanto da dire che paradossalmente non sapevano da dove iniziare.
«Quand’è che ci sarà il terremoto?» chiese ad un tratto Pietro.
«Il 15 marzo. Quindi domani.»
«Ah! Ma è terribile!» sussultò Peter. «Se è davvero così, dobbiamo andarcene. Io non voglio morire, accidenti!»
Wanda teneva lo sguardo mani, le mani congiunte. Se era possibile lo scambio di corpi, perché non avrebbe dovuto credere ad un possibile viaggio nel tempo?
Anche se non era così che aveva immaginato il loro primo incontro.
«D’accordo. Se è così allora, non possiamo fare finta di niente» disse Pietro.
«Vuol dire che tu ci credi? Intendo… a tutto questo?» domandò Wanda sorpresa.
«Naturalmente sì. Credi che non abbia capito sin dal principio che c’era qualcosa di strano?» domandò e Stephen sorrise perché, ora se ne rendeva conto, sia in lui che in Peter aveva trovato degli amici.
«Amh, ovviamente anche io avevo capito tutto!» esclamò Peter arrossendo.
«Lascia stare ragazzino, nemmeno io avevo capito nulla» lo tranquillizzò Tony.
Allora era tutto deciso, più o meno. Avrebbero dovuto lasciare la città e questo sembrava molto più facile per gli altri piuttosto che per lei.
Wanda aveva bisogno di parlare con Stephen in privato o avrebbe rischiato di impazzire. Così si alzò, nervosa e lì Strange capì di doverle andare dietro.
Fuori l’aria era stranamente calda e davanti a loro c’era la stazione dei treni.
«Wanda?» la chiamò.
Lei non si voltò.
«Tutto questo è pazzesco. Ho aspettato di conoscerti e adesso scopro che tu vieni da… da un’altra linea temporale! E che sono morta…»
«Io sono qui adesso, quindi questo non può più accadere. Mi dispiace se ti ho turbato» disse avvicinandosi.
Fu solo allora che Wanda si voltò a guardarlo. Era arrossita e sembrava spaventata, oltre che arrabbiata.
«Ti dispiace? Si, fai bene a dispiacerti! Aspettavo di incontrarti e adesso che finalmente sei qui… è tutto tragico e assurdo e non posso fare a meno di farmi mille domande.»
Stephen sospirò. Non aveva tutti i torti, le loro vita avevano preso una piega inaspettata e difficile.
«Hai ragione. Forse avresti preferito non avermi mai conosciuto.»
Non era una domanda. Wanda fece una smorfia e si avvicinò, abbracciandolo.
L’abbraccio di prima non aveva potuto goderselo appieno, ma adesso era bellissimo.
Lui sfiorò i suoi capelli, godette del respiro sulla sua pelle. Era stato così impegnato, così preoccupato, da non poter godere della sua presenza. Le baciò la fronte e dovette trattenersi dal cercare le sue labbra.
«Mi saresti mancato lo stesso» sussurrò Wanda.
Forse non aveva senso, ma cosa aveva davvero senso per loro?
Lei lo aveva reso più umano, lui le aveva insegnato a lasciarsi andare.
Le accarezzò una guancia e poi incrociò i suoi occhi chiari.
Al diavolo tutto, il tempo è così relativo.
Chiuse gli occhi e si chinò su di lei.
«Scusate rag-ah!»
Peter era rimasto immobile ed era arrossito, soprattutto quando entrambi si erano voltati a guardarlo, un po’ accigliati.
«Amh, io… emh… Volevo solo dire una cosa… però torno dopo.»
«Peter, che c’è che non va?» domandò Wanda, ancora tra le braccia di Strange.
«Emh. C’è una cosa di cui dobbiamo parlare.»
 
«Voi siete impazziti! No, questa cosa non si può fare!»
Pietro aveva avuto un’idea impossibile da realizzare.
«Ma dobbiamo farlo. Novi Grad è una piccola città, non può essere così difficile da evacuare!» protestò lui.
Stephen serrò la mascella. Oh, perché doveva capitargli uno così altruista? Non potevano salvarsi loro e accontentarsi?
«Io sarei dalla sua parte» disse timidamente Peter. «E poi… beh, tu sei un medico, sai anche tu quanto è importante tentare di salvare una vita.»
Tony annuì, pensando che Peter fosse davvero forte.
«Ci sai fare con le parole, ragazzino.»
«E va bene, d’accordo!» esclamò Stephen. «Ma come avreste intenzione di realizzare questa cosa?»
Wanda, che invece era stata d’accordo sin da subito con l’idea del fratello, si fece pensierosa.
«Bisognerebbe lanciare un allarme.»
«Ma non possiamo dire che ci sarà un terremoto, nessuno ci crederebbe» aggiunse Peter.
«No» s’intromise Tony. «Ma possiamo inventarci qualcosa. Un incendio o una cosa del genere.»
Peter tremò.
«Sembra pericoloso e sono sicuro che sia anche illegale!»
«Non ti succederà niente e poi sei con ben due adulti!» lo tranquillizzò. «Ma nel pratico, come facciamo a dare l’allarme?»
«Ci sono!» disse Wanda. «Dall’università. Ma basterà.»
«Per quello non preoccupatevi. Ho un’idea su chi potrebbe aiutarci» aggiunse Pietro.
Peter si lasciò andare ad un lamento.
«Adesso sì che sembra proprio illegale. Ma al diavolo, voglio farlo!»
Stephen cercò di ridimensionare il suo entusiasmo. Si trattava comunque di un’impresa difficile.
«Va bene, d’accordo! Possiamo tentare, abbiamo un giorno, dopo tutto. Ma non metteremo a repentaglio le nostre vite, d’accordo?»
Wanda annuì.
«D’accordo.»
Alla fine si misero d’accordo di dover fare almeno un tentativo. Se non ci fossero riusciti, si sarebbero messi in salvo. Quando arrivò la sera, nessuno riuscì a dormire, Pietro stava pensando ad un piano più dettagliato, Peter era troppo eccitato e aveva preso a riempire Tony di chiacchiere, il quale però non era affatto seccato, anzi.
Wanda se ne stava affacciata alla finestra della sua camera, dalla quale poteva vedere le luci delle case e la stazione. L’ultimo treno stava arrivando.
«Stephen» sussurrò. «Pensi che ci riusciremo? Che io mi salverò?»
«Assolutamente sì. Sono tornato indietro per questo, anche se mi chiedo ancora come sia possibile. In realtà è dall’inizio che me lo chiedo, ma oramai ho smesso di trovarci un senso. Sei felice di vedermi?»
Wanda sorrise, un po’ amareggiata.
«Sarei stata più felice se il motivo della tua vita fosse stato diverso. Ma come hai fatto ad arrivare qui?»
«Ero venuto a cercarti. C’è stata una scossa di terremoto e non so come sono finito qui. Forse sono morto, avrebbe senso. Ma spero tanto che non sia così perché altrimenti sarebbe stato tutto inutile.»
Wanda cercò la sua mano, la trovò poco dopo e la strinse. Si era chiesta tante volte come avrebbe dovuto comportarsi, se avrebbe dovuto trattenersi o lasciarsi andare, ma oramai nulla aveva importanza.
«Grazie per essere venuto da me.»
Stephen la strinse più forte.
«Grazie a te.»
Si guardarono per un istante. Lo sapevano, quello non era il momento giusto, ma a chi importava? A chi importava del tempo, oramai?
Stephen poggiò le labbra sulla sua fronte, poi scese a baciarle le labbra e finalmente la baciò come aveva sempre sognato. E Wanda non oppose resistenza, per la prima volta decise di lasciarsi andare, di chiudere gli occhi e di sentirlo totalmente.
Non riuscirono a staccarsi per quella che sembrò una vita, mentre invece si era trattato solo di pochi minuti.
«Stephen, io ti…»
Forse l’amore era quello, dopotutto. Così coinvolgente, così passionale, così forte da provocarle quasi dolore. Stephen le posò le dita sulle labbra.
«Aspetta, ti prego. Non adesso, non così.»
Provava gli stessi sentimenti, ma aveva paura per quello che sarebbe dovuto succedere adesso. Wanda questo lo capì e baciò la punta delle sue dita.
«Tu sai quello che penso. Sei stato dentro di me e hai vissuto la mia vita abbastanza da saperlo. Tu mi conosci come nessuno, oramai.»
E pensando ciò, Wanda capì che doveva essere lui e nessun altro la persona adatta a lei. Anche se pareva ridicolo. Anche se erano divisi dallo spazio e dal tempo.
Videro da sotto la porta la luce accendersi. Pietro entrò, osservandoli nel buio.
«Dobbiamo andare. Il sole sorgerà tra non molto.»
Il terremoto era avvenuto (sarebbe avvenuto) a mezzogiorno, questo aveva dato loro modo di pensare ad un piano, anche se più volte Stephen l’aveva giustamente definita un’impresa impossibile.
«La gente non ci prenderà sul serio. Penserà che sia uno scherzo» aveva detto Tony.
«Già, a meno che non diamo loro un motivo serio per lasciare la città» era stata la risposta di Pietro.
«Aspetta un momento?! Non dirmi che vuoi davvero appiccare un incendio?! La gente la vogliamo salvare, non uccidere!» era invece l’idea di Stephen.
«Rilassati, non voglio dare fuoco a niente. Lasciate fare a me. Peter, tu sai quello che devi fare.»
Peter Parker sentiva di essere finto davvero all’interno di un film e solo quest’idea gli aveva dato tutto il coraggio di cui aveva bisogno. Tony era andato con lui in modo che non si mettesse nei guai.
Più o meno.
Il sole sarebbe sorto tra qualche minuto e l’università era vuota, oltre che chiusa.
«Come dovremmo entrare?»
Peter tirò fuori un mazzo di chiavi.
«Lavoro nella biblioteca e mi occupo dell’aula multimediale, ci andremo da lì.»
«Wow» disse Tony sinceramente stupito. «Sei pieno di risorse, ragazzino.»
Lui arrossì.
«Ricordamelo quado saremo nei guai» disse infilando le chiavi nella serratura.
 
Wanda si era stretta nella felpa, il sole non era ancora spuntato in cielo e faceva fresco. Quindi tutto quello che aveva conosciuto fino a quel momento sarebbe scomparso.
«Sei preoccupata per Peter? L’ho conosciuto abbastanza da poter dire con certezza che ce la farà.»
Lei abbassò lo sguardo.
«Non è questo, Stephen. Ma sono preoccupata per il dopo. Che ne sarà di noi? Questa cosa del viaggio nel tempo mi spaventa.»
Stephen la attirò a sé, stringendola. Non avrebbe detto che anche lui aveva la medesima paura.

Nota dell'autrice
Come avevo anticipato, a questo punto la storia prende una piega abbastanza diversa, a partire da come Stephen ( anche Tony) tornano indietro nel tempo e al "come" tenteranno di salvare la città (anzi, i suoi cittadini). Il prossimo sarà l'ultimo capitolo, spero che questo vi sia piaciuto ;)

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Capitolo 5
*** Un filo invisibile ***


Qual è il tuo nome?
Un filo invisibile
 
Peter entrò, raggiungendo uno degli uffici. La prima cosa che fece fu afferrare il microfono, sotto il braccio teneva un megafono preso dall’aula di storia del cinema.
«Sicuro che non avremo guai con la polizia?» domandò Tony.
«Probabilmente sì, ma oramai cosa importa?» Peter aveva abbandonato ogni paura. Si schiarì la voce e accese il microfono: doveva parlare forte e chiaro e assicurarsi di apparire credibile.
A tutti i cittadini, è necessaria un’evacuazione a causa di un incendio. Siete pregati di lasciare la città immediatamente. Ripeto, è necessaria un’evacuazione a casa di un incendio, lasciare la città immediatamente.
Wanda udì la voce di Peter da fuori e guardò Stephen.
«Pensi che la gente ci prenderà sul serio?»
«Possiamo sperarlo. Ma dove diamine è Pietro?»
 
Pietro non stava perdendo tempo. Lui lavorava come fattorino e una delle sue tappe era la stazione della polizia dove si trovava uno dei suoi amici più fidati: Clint Barton, il quale lo aveva preso in simpatia sin dall’inizio.
Quando Pietro arrivò per la consegna, però, trovò esattamente ciò che aveva creduto: un gran caos causato dall’annuncio di Peter che, a quanto sembrava, aveva iniziato a destare un po’ di confusione.
«Ciao, Clint» salutò.
«Ciao, Pietro. Scusa, non è il momento, adesso. Devo andare. Qualcuno sta dando falsi allarmi, e dire che la giornata non è ancora iniziata!» esclamò lui infilandosi la giacca.
Pietro non perse il controllo, semplicemente batté una mano sulla scrivania per attirare la sua attenzione.
«Barton, noi siamo amici, no? Questo vuol dire che mi prenderesti sempre sul serio?»
«Ma che domande sono così all’improvviso? Sì, credo di sì.»
«Molto bene, allora sappi che devi farmi un favore enorme. Non solo a me, ma a questa città» disse indicando tutto intorno a sé. «Tu sei a capo della polizia, questo vuol dire che hai il potere di far evacuare la zona.»
«Non è possibile» sospirò Clint. «Cos’è, uno scherzo di voi giovani studenti? Non è legale.»
«Ascoltami!» lo interruppe. «Tu mi conosci e sai che io non scherzo mai su certe cose. Non posso spiegarti tutto, ma sappi che se non facciamo qualcosa, ci saranno centinaia di morti, tra cui io e le persone che amo. Stiamo provando a salvarne il più possibile, ma non possiamo riuscirci da soli!»
«Ma io non capisco… Qual è il pericolo? C’è davvero un incendio?»
Pietro si fece vicino, prendendo a sussurrare.
«No, ma c’è davvero un pericolo. Per favore, lo so che sembra una follia, giuro che se scoprirai che non è come ti dico, potrai anche arrestarmi. Ma ti prego, non ignorare le mie parole.»
Pietro lo guardava dritto negli occhi, al punto che per Clint divenne impossibile pensare che stesse mentendo, nonostante l’assurdità della situazione.
E poiché quello era il suo lavoro, non poteva permettersi di avere delle incertezze.
«Accidenti a te, Pietro. Non so cosa voi abbiate in mente, ma giuro che non ci andrò leggero con voi, se scopro che si tratta di uno scherzo idiota!»
 
L’annuncio di Peter aveva messo in allarme molti degli abitanti. Alcuni erano già usciti in strada, molti altri erano ancora chiusi in casa, ma in allerta.
«Non so perché, ma inizio ad avere ansia»
«E ti sorprendi?» Stephen le poggiò una mano su una spalla. «Direi che è normale. Ma sapere vuol dire poter agire. Non ti succederà niente.»
 «Non è di questo che ho paura. Ma immagino che quanto la tua missione sarà finita, dovrai tornare nel tuo tempo, no?»
Era una cosa a cui Strange aveva evitato di pensare, troppo preso da altro. Ma dopotutto, era logico.
«Sì, ovviamente. Ma questo non cambia niente, vuol dire solo che ci ritroveremo più avanti.»
Wanda fece una smorfia, aggrappata a lui. Ma ancora una volta si interruppe. Iniziava ad esserci caos intorno a lei e in più adesso iniziava a sentire il rumore delle sirene.
 
«Beh, io il mio lavoro l’ho fatto» sospirò Peter, massaggiandosi la testa. «Io non riesco ancora a credere che sia vero. Sto salvando una città e parlo con un uomo venuto dal futuro!»
«Ehi, io mi chiamo Tony, ti ricordo» si lamentò Stark. «Devo dire che sei giovane, ma in gamba. E mi stai simpatico, non è scontato.»
Peter arrossì.
«Davvero? Ci sono tante persone che mi trovano irritante» sussurrò abbassando lo sguardo.
Forse si era scelto un momento pessimo considerando la situazione.
«Molta gente non capisce niente, credimi. Anche se abbiamo una notevole differenza di età, non mi dispiaci. E poi immagino che ci ritroveremo a passare molto tempo insieme, dato che è ovvio che quei due diventeranno una coppia.»
A Peter l’idea piacque molto. Se fosse sopravvissuto a quella situazione, sarebbe potuto sopravvivere a tutto. Ad un tratto anche la loro conversazione era stata interrotta dalle sirene.
«Aiuto, sono venuti ad arrestarci!» piagnucolò Peter nascondendosi dietro Tony.
«Ah, beh. Che vuoi che sia. Forza» sospirò, stranamente tranquillo.
 
Wanda era rimasta sorpresa di vedere Pietro scendere dalla volante di polizia.
«Ma dov’eri finito?!» domandò infatti, ancora aggrappata a Stephen.
«A risolvere la situazione. Avere un amico poliziotto può essere utile in questo caso» disse indicando Clint, il quale aveva fatto una smorfia.
«Se alla fine verrà fuori che tutto ciò è stato uno scherzo o chissà che altro, Pietro sarà arrestato. Eccome se lo sarà» Clint avvertì Wanda. «Ad ogni modo, il vostro complice ha portato un po’ avanti il lavoro.»
Dopodiché si rivolse agli abitanti, i quali a quel punto credettero davvero che si fosse scatenato un incendio lì vicino e che fosse necessario evacuare. Peter e Tony li raggiunsero poco dopo.
«Allora, non ci arrestano?» domandò il più giovane.
«No, Peter. Penso che adesso andrà tutto per il meglio» lo rassicurò Wanda, che però non riusciva a liberarsi da quella terribile sensazione di pesantezza al cuore.
Ci vollero alcune ore prima che la città si svuotasse per tutto. Gli abitanti Novi Grad furono costretti ad accamparsi nelle colline lì vicine, in attesa di un cambiamento, di qualsiasi cosa. Stephen osservava l’orologio al suo polso, contando i secondi che passavano.
Ancora un minuto,
Quaranta seconda, poi trenta.
Solo loro quattro potevano sapere ovviamente, al contrario della gente attorno a loro.
Poi, all’improvviso, scattò l’ora tanto temuta. Avvertirono il tremore sotto la terra, anche se ben più lieve di quella che stava invece devastando la città. Wanda si strinse a Stephen, affondando il viso sul suo petto.
Era strano, era un po’ come il tremore di un treno che passava. Peter chiuse gli occhi e come un bambino spaventato si era portato le mani davanti al viso, mentre Tony portava una mano sulla sua testa. Pietro invece era uno dei pochi a non avere reazione. Semplicemente guardava un punto indefinito, sapendo che oramai avrebbero perso la loro casa e la città in cui erano cresciuti. Ma andava bene così, dopotutto erano riusciti a salvarsi. Si levarono dei mormorii di stupore e paura, alcuni gridarono nel capire cosa stava effettivamente accadendo.
La scossa di terremoto non durò tanto, ma Wanda sapeva che non sarebbero più potuti tornare in quella città.
«Ma cosa… che è successo, un terremoto?» domandò Clint ad alta voce, cercando di sovrastare il vociare della gente attorno a lui. Subito il suo pensiero era andato a Pietro, che aveva tanto insistito per far evacuare la città. «Come facevi a sapere che sarebbe successo? È per questo che hai insistito tanto?»
Pietro si volse a guardarlo, ma senza rispondere. Non era necessario che sapesse, l’importante è che si fossero tutti messi in salvo.
«Farai meglio ad occuparti degli altri. La città è stata distrutta, siamo letteralmente degli sfollati» disse serio e tranquillo.
Come uno che si era già preparato al peggio, come d’altronde era.
«Va tutto bene, è finita adesso. È passato» sussurrò Tony a Peter, il quale aprì lentamente gli occhi.
Mise a fuoco il mondo intorno a sé e poi si lasciò andare alle lacrime, abbracciando Tony.
«Sono vivooo! Siamo vivi tutti, ha funzionato!»
Nel sentire la sua voce, Wanda si alzò e guardò Stephen negli occhi. Era viva, erano tutti vivi e il merito era solo suo.
«Tu… sei andato oltre il tempo per salvarmi» mormorò incredula.
Stephen le accarezzò i capelli.
«Evidentemente questo era il mio compito sin dall’inizio.»
Sentiva una sensazione di calore al petto. Doveva essere quello il tanto famigerato e ricercato amore.
Quello che spingeva le persone a fare cose folli, un po’ come il suo salvataggio.
Anche Wanda si rese conto che per lei non era impossibile legarsi a qualcuno, amarlo completamente.
E che si trovava lì era perché meritava una seconda possibilità.
Ti amo. Queste le parole in bilico tra le loro labbra, le parole che avrebbero voluto dirsi.
«Wanda, io…» Stephen era disposto a farlo, a esporsi completamente.
Ma non appena pronunciò il suo nome si sentì ad un tratto debole e indietreggiò.
«Stephen, cosa c’è?» chiese. In realtà sapevano benissimo entrambi cosa stava succedendo: loro non appartenevano a quella linea temporale, non avrebbero dovuto trovarsi lì in quel momento. Dovevano tornare indietro.
Tony si alzò, avvertendo la medesima sensazione, come se una forza invisibile lo stesse afferrando e trascinando via.
«Ehi, che succede?» chiese Peter.
Stephen si aggrappò a Wanda. Non aveva tempo, non avevano più tempo, nessuno dei due.
«Wanda, trovami, d’accordo? E io troverò te. Non dimenticarlo. Non dimenticare.»
La ragazza singhiozzò. Perché piangeva? Dopotutto non sarebbero stati separati per sempre.
«Stephen, non ti dimenticherò!»
Dopodiché lo strinse tra le braccia, posandogli un bacio sulle labbra. Ma poté godere del suo calore solo qualche istante, perché all’improvviso si era ritrovata a stringere l’aria.
«Ehi! Signor Stark, Tony!» piagnucolò. «Maledizione, non l’ho neanche salutato come si deve!»
Pietro si avvicinò alla sorella, la quale era caduta in ginocchio sull’erba. Le poggiò una mano su una spalla.
«Wanda, non ti disperare. Mi rivedrete.»
Lei annuì, asciugandosi una guancia umida.
«Sì che lo rivedrò… perché non gli ho ancora detto che ti amo, anche se lo sa già. Sì, io voglio…» lasciò la frase in sospeso. In quel momento qualcosa nella sua mente si era annebbiato. «Io… non ricordo più il suo nome.»
«Eh…? Cosa?» domandò Pietro confuso. Wanda ai aggrappò poi al suo braccio, disperata.
«Il suo nome, non ricordo più il suo nome. Peter, tu ricordi il suo nome?»
«Il nome di chi?» chiese il ragazzo attonito.
Si era chiesta a lungo cosa fosse successo quando si sarebbero separati. E tutto si sarebbe aspettata, ma non di dimenticare. Non era giusto, perché unirli se poi separarli in quel modo?
Cercò di scavare a fondo alla sua memoria divenuta così nebulosa, cercava di aggrapparsi a quei ricordi che stavano ingiustamente scomparendo.
E cercò il suo nome senza trovarlo, mentre le lacrime le bagnavano il viso.
Fino a quando non dimenticò il motivo per cui piangeva e si sorprese di trovare il viso bagnato di lacrime.
 
Stephen batté il braccio da qualche parte. Gli ci era voluto qualche istante per capire di essere tornato indietro. O avanti. Nel suo tempo in ogni caso.
«Strange!» esclamò Tony accendendo la luce. «Stai bene?»
L’altro si rialzò da terra, confuso.
«Credo di sì. Siamo tornati indietro… cioè nel futuro» sussurrò. «Ce l’abbiamo fatta.»
«Non ci avrei scommesso, ma è così. Allora dovrebbe essere tutto a posto, puoi provare a chiamarla, a metterti in contatto con lei» suggerì.
Ancora stordito, Stephen prese il telefono, avvertendo poco dopo una fastidiosa fitta alla testa.
«Ahi… diamine…»
Wanda, Wanda. È il suo nome, Wanda, Wanda.
Non sparire. Non sparire.
Non…
Tony chiuse gli occhi e poi li riaprì, sentendo improvvisamente la testa pesante.
«Strange…?»
Stephen sentì gli occhi bruciare. Che strano, pensò, improvvisamente si sentiva triste, così tanto che le lacrime gli rigavano il viso. Non ricordava più il nome di quella ragazza e man mano che i minuti passavano, anche il suo viso gli appariva sempre più sfocato.
L’avrebbe dimenticata del tutto, ma non avrebbe dimenticato il senso di profondo vuoto che avrebbe scandito i suoi giorni per il tempo avvenire.
 
 
Tre anni dopo…
 
Da circa tre anni non mi sento più me stesso. Mi sveglio la mattina, svolgo il mio lavoro, sono sempre popolare e stimato, eppure c’è qualcosa che mi manca. Il fatto è che non ricordo cosa, ma so che è importante. E quindi ogni giorno cerco di ricambiare, anche se in parte sono solo rassegnato.
Come ogni mercoledì mattina, Stephen e Tony si videro prima di andare a lavoro. Né lui né Tony ricordavano quasi nulla del loro viaggio nell’Est Europa, come se fosse avvenuto molti anni prima. Ma da allora nessuno dei due era mai stato lo stesso.
«Sai Stephen, sono piuttosto depresso» ammise Tony fissando la tazza di caffè oramai vuoto. «Oramai sono perfettamente a posto nella vita, nel lavoro… e mi piacerebbe molto trovare qualcuno. Ma immagino che queste cose non si cerchino. No?»
«Ti sei risposto da solo» disse Stephen, distratto. Tony sapeva bene che anche lui provava lo stesso, avrebbe voluto trovare quel qualcuno.
Quel qualcuno che forse aveva già trovato, senza poterlo ricordare.
«Ehi, ma oggi non sono passati tre anni dal nostro viaggio?» chiese Tony. Glielo ricordava tutte le volte, ma non c’era molto da dire.
«Sì. È un peccato il fatto che non ricordiamo niente. Ed è anche strano. Eravamo andate lì per incontrare chi…?»
Tony però non gli rispose. Si alzò di scatto, afferrando la giacca.
«Cavolo, sono in ritardo. Ti chiamo dopo» disse frettolosamente. Stephen sospirò, annoiato.
Qual è la cosa che ho dimenticato?
 
Dopo tanti sacrifici, finalmente io, Peter e Pietro siamo qui. Abbiamo sognato New York per tanto tempo. Mi sembra incredibile che a breve inizierò a fare l’insegnante. Eppure sento che non posso essere del tutto felice, che c’è qualcosa che manca nella mia vita. Ho questa sensazione dal giorno in cui siamo sfuggiti al terremoto. Sento che c’era una persona importante con me, con cui ho condiviso qualcosa di importante. Questa sensazione di incompletezza non mi piace.
Wanda sentì Peter trascinare la bicicletta verso la porta.
«Io vado! Oggi mi aspetta una lunga giornata di lavoro!»
«Sai tu dormi e mangi davvero poco, non è salutare» disse Pietro mentre si alzava e si sistemava la cravatta.
«Ma io ho un film a cui lavorare. Vedrai quando diventerò un famoso regista.»
«Non farti investire!» esclamò Wanda. Peter stava iniziando a lavorare al suo primo film, anche se in forma ancor amatoriale. Diceva di voler realizzare una pellicola sul viaggio nel tempo e che l’idea gli era venuto proprio il giorno del terremoto. Che cosa strana.
«Beh, sarà il caso che vada anche io» sussurrò Wanda. «Penso che andrò in biblioteca.»
«Sicura che non vuoi un passaggio?»
«Mh, no» disse sorridendo. «Oggi sono proprio in vena di andare a piedi.»
 
Peter si era ambientato subito in una città come New York, che tanto aveva nutrito la sua ispirazione. Si sentiva molto soddisfatto, adesso gli sarebbe bastato solo innamorarsi.
Pensava a questo e nonostante non fosse mai una buona idea avere la testa fra le nuvole mentre si andava in bici, quella volta per Peter sarebbe cruciale. Arrivato all’incrocio, venendo da una strada in discesa, non fece in tempo a frenare a ci mancò poco che un’auto non lo investisse in pieno. Ma per lo spavento e un movimento brusco aveva finito con il cadere dalla bici.
Tony Stark uscì dall’auto. Dannazione, proprio a lui doveva capitare di investire dei ragazzini?
«Dannazione! Ragazzo, stai bene? Dimmi che sei vivo.»
Peter si alzò con un lamento. Non aveva battuto la testa, forse si era tagliato le ginocchia.
«Io sto bene, non si preoccupi.»
«Fermo, rimani lì!» ordinò Tony. «Devo chiamare un’ambulanza.»
«No! La prego, nessuna ambulanza. Sto bene, vede?» Peter piagnucolò e allargò le braccia. Sono in quell’attimo Tony lo guardò per davvero. Quel ragazzo gli era familiare in modo spaventoso e ciò che gli faceva provare era sollievo, una felicità mista a malinconia. Lo stesso era per Peter, che per anni aveva vissuto con quel vuoto dentro.
«Sei… proprio sicuro?»
Peter annuì, lentamente.
«Ma non è che ci siamo già incontrati, noi?»
Tony lo aiutò a sollevare la bici. Sì, insieme avevano salvato una città, si erano trovati per uno strano caso. O forse no.
«Io… credo di sì» sussurrò. «Sei di qui?»
«No, io sono… ho vissuto gli ultimi anni a Novi Grad, prima di arrivare qui.»
Quel nome risvegliò in lui qualcosa e nel momento in cui la sua mano sfiorò quella di Peter, entrambi si sentirono accaldati e riempiti di una sensazione dolce e malinconica.
Peter iniziò a piangere senza che potesse fermarlo.
«Tu sei…?»
«E tu sei… Peter?»
Quest’ultimo annuì, lasciò cadere di nuovo la bici e lo abbracciò. Tony ricambiò subito la stretta e finalmente fu tutto chiaro. Due persone che credevano di non conoscersi, ma che in realtà avevano solo dimenticato. L’uomo gli accarezzò i capelli, capendo il perché non aveva ancora “trovato” la persona giusta. Perché era già successo. E alzando lo sguardo, pensò a Stephen e al fatto che anche lui, da qualche parte, doveva aver ritrovato il pezzo mancante della sua anima.
 
Stephen aveva deciso di proseguire a piedi. La città a quell’ora del mattino non gli dispiaceva affatto. E poi passeggiare gli dava occasione di pensare, anche se di ciò ad un certo punto ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Nello stesso momento, proveniente dalla direzione opposta, si affrettava ad andare in biblioteca. Per arrivarci doveva scendere lungo una scalinata, mentre invece Stephen doveva salirci. Entrambi la percorsero, fino a quando non si ritrovarono a passarsi l’uno accanto all’altro. Poi si fermarono, Stephen per primo. Aveva la sensazione di conoscere il rosso di quei capelli e quel profumo, come se fossero stati sui, un tempo. Anche Wanda si rese conto di conoscere quella figura slanciata e malinconica, quello sguardo duro ma che in realtà nascondeva ben altro. Lentamente si voltarono a guardarsi. Arrossirono entrambi e furono colti da una sensazione strana. L’avrebbero paragonata al cielo che si schiariva dopo una tempesta. Come le loro menti, i loro ricordi, dopo tre anni di vuoto.
Improvvisamente era sparito il resto del mondo.
«Ehi!» esclamò Stephen. Wanda si voltò a guardarlo. Avevano entrambi da fare la stessa domanda.
«Qual è il tuo nome?» domandarono nello stesso momento. Poi sorrisero, forse per l’imbarazzo.
Wanda divenne serie all’improvviso.
«Stephen?!»
Gli ci volle qualche istante per capire che quello ovviamente non era il nome della ragazza. Stava chiamando il suo.
«Wanda?» sussurrò.
Si vennero incontro su quegli scalini e poi si sfiorarono le mani. Si erano venuti in contro nel tempo, trovando il loro momento.
Come se un filo rosso e invisibile li avesse tenuti uniti, da tutta la vita.

Nota dell'autrice
Come avevo scritto precedentemente, la storia ad un certo punto si differenza da Your Name, anche se il finale è praticamente uguale (più o meno in realtà).  È stata una storia molto particolare da scrivere, in alcuni punti anche complicata. Sicuramente tornerò a scrivere di questa coppia, perché mi piace molto. Spero abbiate apprezzato questa storia!

Nao

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