Climbing the Walls

di Clementine84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO – Backstreet’s Back ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 – Come Sail Away ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 – Last Cigarette ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 – Just Want You to Know ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 – Story of My Life ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 – Knee Deep in My Heart ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 – You and Me ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7 – Never Gone ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8 – Incomplete ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 9 – Everything ***



Capitolo 1
*** PROLOGO – Backstreet’s Back ***


Questa storia necessita di una premessa piuttosto lunga. Per iniziare, non sono una fan dei Backstreet Boys. Lo sono stata, per un breve periodo, da adolescente, ma mai in modo serio, quindi mi affaccio a questa fandom da neofita. Perché ho deciso di scrivere su di loro? Perché ultimamente ho ripreso ad ascoltarli, recuperando più di 20 anni di musica e notizie che mi ero persa, complice un’intervista ad A.J. vista per caso su YouTube per questioni di lavoro (e lo so che adesso vi starete chiedendo che diavolo di lavoro faccio, per dover guardare interviste ai cantanti su internet, ma non posso dire di più senza svelare particolari della mia vita privata, cosa che non voglio fare. Vi basti sapere che mi stavo interessando al tema delle dipendenze e, se non l’avete ancora vista, vi consiglio l’intervista fattagli da Mayim Bialik: fa venire la pelle d’oca). Ho scoperto un sacco di cose interessanti che non sapevo, e altre che, curiosamente, ho in comune con qualcuno di loro, tipo che A.J. adora gli Aerosmith e Friends, e anch’io, o che io e Nick tifiamo per la stessa squadra di football – Go Bucs! Ho anche scoperto le Backstreet Boys cruises ed è stato quello che mi ha fatto scattare l’idea per la storia, dato che le considero una trovata di marketing a dir poco geniale.

Sono di mio una perfezionista, quindi mi sono documentata a lungo, prima di imbarcarmi in questa impresa. Nonostante questo, più di vent’anni di informazioni sono difficili da immagazzinare in poco più di un mese, quindi chiedo un favore a voi vere fan: scrivetemi. Commentate. Ditemi cosa funziona e cosa, invece, non torna. Fatemi sapere se ho centrato le personalità dei ragazzi, almeno un po’. Sono sinceramente interessata alle vostre opinioni e alle informazioni che vorrete darmi.

La storia è praticamente già scritta, devo solo revisionare l’ultimo capitolo (a meno che non decida di aggiungerne altri, magari dietro vostro suggerimento) ma, se avete delle richieste particolari o ritenete che siano necessarie alcune modifiche imprescindibili, fatemelo sapere. Sono a disposizione. E, se questo primo tentativo in un nuovo universo non facesse troppo schifo, potrei tentarne un secondo. Ho già una mezza idea. Ma dipende da quanti commenti riceverò. Grazie della collaborazione e buona lettura.

 

PROLOGO – Backstreet’s Back

 

Stavo entrando in casa con le buste della spesa, quando il mio cellulare iniziò a squillare. Maledicendo il tempismo di chiunque avesse deciso di disturbarmi proprio in quel momento, mi richiusi la porta alle spalle con un calcio e feci quei pochi passi che mi dividevano dal bancone della cucina, dove posai le borse. Poi, senza nemmeno togliermi il cappotto, infilai una mano in tasca e presi il cellulare, che stava ancora squillando. Guardai il display, su cui vidi lampeggiare il nome della mia migliore amica, Jessica. Sorrisi. Era proprio da lei chiamare nei momenti meno opportuni. In ormai ventun anni di amicizia – ci eravamo conosciute alle scuole medie – potevo contare centinaia di volte in cui era successo qualcosa di simile. Sembrava un suo tratto distintivo.

“Ciao, Je” dissi, accettando la chiamata.

Non si preoccupò nemmeno di rispondere al saluto. Con voce piuttosto alta, disse soltanto “Prendi ferie dal 9 al 15 maggio”.

Posai le chiavi di casa, che ancora stringevo in mano, sul mobiletto dell’ingresso e, con gesti meccanici, dettati dall’abitudine, ritirai la borsa nel ripostiglio. Nel frattempo, mi sedetti sul divano e tolsi le scarpe.

“Perché?” chiesi, accorgendomi d’un tratto che il tono di voce elevato della mia amica tradiva una notevole eccitazione.

“Andiamo in crociera” mi rispose, sempre più su di giri.

Mi lasciai sfuggire una risata. “In crociera? Io e te?” domandai, incredula.

Non era la prima volta che io e Jessica andavamo in vacanza insieme. Lo avevamo fatto spesso, da ragazze, poi avevamo smesso per parecchio tempo, gli anni in cui io ero stata fidanzata con Luca, durante i quali, ovviamente, preferivo trascorrere le vacanze con lui. Quando, due anni prima, la nostra storia era finita, però, avevamo ripreso quell’abitudine che, dovevo ammettere, mi aveva permesso di superare uno dei periodi più brutti della mia vita.

Mai, però, eravamo andate in crociera. Anzi, eravamo solite prendere in giro chi prediligeva quel tipo di vacanza, che consideravamo prerogativa di pensionati ricchi e annoiati. Quando, anni prima, io e Luca avevamo fatto una mini crociera in Norvegia, per vedere i fiordi, Jessica mi aveva presa in giro per mesi. La sua proposta, quindi, mi lasciava alquanto spiazzata.

Capendo la mia perplessità, lei si affrettò a spiegare. “I Backstreet Boys fanno una crociera sul Mediterraneo. Ho preso i biglietti”.

Senza che potessi fare nulla per controllarlo, mi lasciai scappare un gemito e, istintivamente, alzai gli occhi al cielo. I Backstreet Boys. Ecco spiegato l’arcano. Jessica era fan del gruppo da che la conoscevo. Alle scuole medie, mentre io mi struggevo d’amore per il bel Leo di Caprio che moriva da eroe romantico in Titanic, lei passava pomeriggi interi a guardare a ripetizione il video di As Long As You Love Me, provando a replicare il balletto con le sedie del terrazzo. Dato che eravamo amiche e, quindi, come accade a quell’età, condividevamo tutto, lei si era sorbita le dieci visioni di Titanic al cinema con me, e io ero stata resa partecipe del suo amore per il quintetto americano, accettando di imparare le canzoni, guardare i video musicali insieme a lei – e sopportarla mentre fantasticava su cosa avrebbe fatto se avesse potuto incontrare Nick – e l’avevo addirittura aiutata a scrivere una lettera al suo biondino preferito, dato che me la cavavo decisamente meglio di lei con l’inglese. Qualche anno dopo, quando i cinque erano venuti a Milano in concerto, avevo accettato di accompagnarla e le avevo tenuto la mano per tutto il tempo, mentre lei urlava come una disperata ogni volta che, anche solo nella sua testa, il bel Nick incrociava il suo sguardo. Se dovevo essere onesta, non è che i Backstreet Boys non mi piacessero. Le canzoni erano orecchiabili e alcune delle loro ballate più romantiche facevano battere il mio cuore di ragazzina sognatrice. Avevano delle belle voci, specialmente Brian, il biondino ricciolino con gli occhi azzurri che avevo deciso, dietro pressioni della mia amica, essere il mio preferito. In realtà, quello che mi piaceva veramente di lui era la voce e avevo detto che era carino solo per far contenta la mia amica. Non che fosse brutto, per carità, ma non ci trovavo niente di speciale. Non trovavo niente di speciale in nessuno di loro, a dire il vero, e il mio interesse era puramente musicale. Nonostante questo, sopportavo stoicamente la mia amica che mi elencava tutte le caratteristiche che amava di Nick Carter.

Crescendo, i miei interessi erano decisamente cambiati. Mi ero avvicinata ad altra musica e i miei gusti erano diventati molto più rock, dimenticando completamente i Backstreet Boys. Jessica, invece, non li aveva mai abbandonati e, per quanto avesse smesso di sospirare sulle foto di Nick, continuava a seguirne la carriera musicale, aggiornandomi, di tanto in tanto, se pensava che qualche nuova canzone potesse essere di mio gradimento. Non mi stupiva, quindi, la decisione di cogliere l’occasione e partecipare a quella crociera, di cui non capivo ancora bene il senso. Ricordavo, vagamente, che la mia amica mi avesse parlato di una serie di crociere a tema che il quintetto aveva organizzato negli Stati Uniti e di come lei avrebbe tanto voluto partecipare, ma erano conversazioni sbiadite e conservate nei meandri più nascosti della mia mente, certa che non mi sarebbe mai servito riesumarle. Invece mi sbagliavo. Jessica voleva andare in crociera con il suo gruppo preferito e voleva che io andassi con lei.

“No”. La risposta arrivò secca, quasi prima che potessi rendermi conto di aver parlato, e non ammetteva repliche. Ma la mia amica aveva idee ben diverse dalle mie.

“Sì, invece” ribatté. “Non posso perdere un’occasione del genere”.

“Non ti sto dicendo di perderla. Solo non voglio essere coinvolta”.

“Ti prego” piagnucolò lei, decidendo di passare alle suppliche. “Se non trovo qualcuno che venga con me, mi toccherà dividere la cabina con una sconosciuta e sai quanto possano essere psicopatiche le fan dei BSB”.

“Sì, ne ho una vaga idea” commentai, ridacchiando.

“Scema” mi rimproverò Jessica. “Io sono una di quelle sane”.

“Ho paura a conoscere le altre, allora” confessai, ironica, ma la mia amica prese quella mia affermazione come una conferma.

“Quindi verrai?”

Sospirai. Non volevo andare. Non volevo sprecare una preziosa settimana di ferie per chiudermi su una nave piena di pazze scatenate che sognavano di toccare cinque uomini – ormai non erano più ragazzi da un pezzo – che continuavano a divertirsi a risvegliare i loro ormoni sculettando e ammiccando da un palco. Ma non avevo nemmeno voglia di discutere con Jessica. Conoscevo abbastanza bene la mia amica da sapere quanto poteva essere testarda, specialmente se c’era di mezzo il suo tanto amato gruppo musicale. Avrebbe vinto lei, ne ero certa. Avremmo discusso per ore, forse per giorni, ma, alla fine, mi avrebbe presa per sfinimento e convinta a salire su quella dannata nave. Tanto valeva rassegnarmi, accontentarla subito e farla finita, così avrei potuto finalmente togliermi il cappotto, che mi stava facendo sudare, e magari lenire il mio dolore con un bicchiere del Gewurtztraminer che avevo comprato al supermercato, poco prima. Oltre alla stanchezza e alla consapevolezza che ne sarei uscita comunque sconfitta, c’era anche un altro fattore che giocava a favore della mia amica. Il senso di colpa. Quella caratteristica così peculiare che accompagnava ogni mia decisione da tutta la vita e per la quale Jessica mi prendeva spesso in giro, chiamandomi martire, in quel momento la stava regalando una facile vittoria. Non potevo negare che la mia amica fosse stata un’ancora di salvezza, per me, dopo la rottura con Luca. Uscire da una storia lunga dieci anni di per sé non era facile, in più il motivo della rottura aveva causato ferite profonde dentro di me, che si erano cicatrizzate, col tempo, ma avevano lasciato segni indelebili, che mi avevano impedito di instaurare un altro rapporto serio con un uomo. Avevo passato due anni a scappare da qualsiasi possibilità di relazione, ancora troppo ferita per riprovarci e, soprattutto, decisa a non lasciare avvicinare nessuno a me perché l’amara verità era che mi sentivo in colpa, di nuovo e tanto per cambiare. Nel profondo del mio cuore sapevo che la rottura con Luca era stata tutta colpa mia e non volevo far soffrire qualcun altro allo stesso modo. Jessica, l’unica che avevo reso partecipe delle mie paranoie, mi diceva che ero pazza a pensarla così, che sì, forse la rottura era stata colpa mia, ma, in quella storia, la vera vittima ero io e, se avevo fatto soffrire Luca, era stato perché stavo soffrendo io, in primis. Aveva ragione, sapevo che era così. Ciononostante, non riuscivo a fare a meno di sentirmi in colpa, perché faceva parte del mio carattere. Ero consapevole che, se mi fossi ostinata a tener testa alla mia amica e l’avessi spuntata, mi sarei sentita in colpa a vita per non aver accontentato questa sua innocua richiesta, quando lei era stata così importante durante il mio processo di guarigione. Per tutta questa serie di motivi, mi ritrovai a sorridere e a rispondere “Mandami i dettagli, così so di che morte devo morire”.

Quella sera, dopo aver ordinato una pizza, in attesa che mi fosse consegnata, mi sedetti sul divano con il tanto agognato bicchiere di vino e il portatile sulle ginocchia. Per prima cosa, andai su Amazon e ordinai tutti i CD dei Backstreet Boys che mi ero persa, dal 1999 ad oggi – cinque più un Greatest Hits, diamine, ma dormivano ogni tanto? - poi mi spostai su YouTube e iniziai a guardare video e interviste più recenti, fino a ritrovarmi, a notte inoltrata, a guardare un documentario sulla vita di quei cinque ragazzi, di cui ricordavo nomi e canzoni ma per i quali non avevo mai nutrito un grande interesse. Scoprii cose che non avrei mai immaginato, tra le quali, quella che più mi sconvolse, fu sapere che il mio Brian, quel ragazzo dalla voce angelica che mi aveva aiutato a sopportare i deliri amorosi della mia amica da adolescente, aveva sviluppato un problema neurologico che aveva danneggiato le sue corde vocali. Ecco spiegato perché non mi era sembrato lo stesso, nei video che avevo visto online. Mi ritrovai a piangere, come se avessi visto un film strappalacrime, perché mi dispiaceva enormemente per lui. Allo stesso modo, quando vidi Nick, il vecchio amore della mia amica, scoppiare a piangere come un bambino davanti alla sua insegnante delle elementari, mi venne un’improvvisa voglia di abbracciarlo. Poi scossi la testa, come a scacciare quell’idea. Erano persone che non conoscevo e mai avrei conosciuto, dovevo piantarla di essere così sentimentale. Anzi, dovevo piantarla di leggere e guardare cose su di loro. Cosa diavolo mi era saltato in mente? Però, in fondo, se dovevo restare su una nave con loro per cinque giorni, tanto valeva essere preparata, no?

 

Now throw your hands up in the air
And wave 'em around like you just don't care
If you wanna party let me hear you yell
'Cause we've got it goin' on again

(Everybody – Backstreet Boys)

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 – Come Sail Away ***


CAPITOLO 1 – Come Sail Away

 

I'm sailing away
Set an open course for the Virgin Sea
'Cause I've got to be free
Free to face the life that's ahead of me

(Come Sail Away - Styx)

 

Mentre porgevo il mio biglietto e la carta d’identità all’addetto agli imbarchi, alzai lo sguardo sull’imponente nave da crociera che avevo davanti agli occhi. Miseria se era enorme. Non me la immaginavo così gigantesca. Mi aspettavo una cosa tipo quella che mi aveva portato tra i fiordi norvegesi, non quel mostro di metallo a dieci piani. Inconsciamente, mi misi a contarli. Forse erano anche di più. Dodici o tredici probabilmente. Un palazzo che solcava i mari.

Mi sentii toccare un braccio e, voltandomi, mi accorsi che Jessica mi stava parlando. Tolsi le cuffie dalle orecchie e la canzone che stavo ascoltano si interruppe bruscamente. Prima di partire, mi ero preparata una playlist a tema nautico da sentire nei giorni precedenti l’imbarco, certa che, una volta a bordo, l’unica musica che avrei ascoltato ininterrottamente per cinque giorni sarebbe stata quella dei Backstreet Boys, che mi piaceva, per carità, ma avevo come l’impressione che, al momento dello sbarco, ne avrei avuto la nausea.

La mia amica mi mise in mano un pass plastificato, attaccato a un laccetto da mettere al collo, una tessera magnetica, probabilmente la chiave della cabina, un braccialettino di gomma azzurro con la scritta BSB – European Adventure Cruise e un volantino con il programma dettagliato di tutte le attività. Poi mi disse “Vieni, andiamo alla nostra cabina”.

Io annuii, mettendomi distrattamente al collo il pass, e la seguii, trascinandomi dietro il trolley che mi ero portata e che conteneva anche una selezione di abiti piuttosto bizzarri, che Jessica mi aveva costretta a preparare in vista delle serate a tema.

Arrivammo alla nostra cabina, di cui io avevo colto soltanto il numero del ponte, ma che non avrei saputo assolutamente raggiungere da sola, entrammo e iniziammo a sistemarci. Jessica si mise a leggere il programma e annunciò che la prima cosa che dovevamo fare era una sorta di esercitazione di emergenza. Scoppiai a ridere e le chiesi se stesse dicendo sul serio. Lei si limitò ad annuire. Rassegnata, la seguii sul ponte dove, devo ammettere, passai tutto il tempo dell’esercitazione a ridere, divertita dalla situazione.

Finite quelle formalità, ci sarebbe stata una specie di festa di partenza e, successivamente, una cosa chiamata Game Night, che mi incuriosiva parecchio. Quando Jessica mi afferrò una mano, per trascinarmi il più vicino possibile al palco, dove sarebbero presto apparsi i protagonisti della crociera, presi un respiro profondo e sorrisi. A quanto pareva, la mia crociera con i Backstreet Boys era iniziata. Tanto valeva cercare di godermela.

 

I look to the sea
Reflections in the waves spark my memory
Some happy some sad
I think of childhood friends and the dreams we had
We live happily forever
So the story goes
But somehow we missed out
On that pot of gold
But we'll try best that we can
To carry on

(Come Sail Away - Styx)

 

Mi tolsi gli occhiali da sole e diedi un’occhiata alla nave che si stagliava davanti a me. Era enorme. E sembrava figa, molto più bella di quelle a cui eravamo abituati nelle crociere che facevamo negli Stati Uniti. Opulenza europea, pensai tra me. Mike, la mia guardia del corpo, mi toccò leggermente un braccio, facendomi cenno di seguirlo. Annuii e mi rimisi gli occhiali, trascinandomi stancamente dietro di lui. Sapevo che avrei dovuto essere più entusiasta. Era una crociera, diamine, non stavo andando in miniera. Quante altre persone al mondo potevano dire di guadagnare facendo quello che più amavano – che, per me, era cantare – mentre si crogiolavano su una lussuosa nave da crociera nel Mediterraneo per cinque giorni? Molto poche. Mi bastavano le dita di una sola mano per contarle. E, la cosa curiosa era che conoscevo perfettamente anche le altre quattro, dato che erano i miei colleghi di lavoro, i miei migliori amici e, sostanzialmente, quanto di più vicino a una famiglia avessi mai avuto. Di solito ero entusiasta di partire per una delle nostre crociere. Mi divertivo. Ma, quella volta, era diverso. Uscivo da un brutto periodo, la relazione forse più importante della mia vita era finita, in malo modo, circa sei mesi prima e stavo ancora tentando di rimettere insieme i cocci della mia incasinatissima esistenza. Ero esauto e dilaniato da un senso di colpa che non mi abbandonava mai, perché, se c’era una cosa di cui ero certo al cento per cento, era che la fine della mia relazione con Lauren fosse completamente colpa mia. Io che, a trentasei anni, avrei dovuto essere un uomo maturo e, invece, continuavo a comportarmi da ragazzino immaturo, scappando dalle responsabilità che mi terrorizzavano. Potevo trovare un milione di scuse per giustificare il mio comportamento: una famiglia manipolatrice e anaffettiva, un’infanzia difficile e un’adolescenza praticamente negata, dato che l’avevo trascorsa calcando i maggiori palchi del mondo con i Backstreet Boys. Senza contare la fama improvvisa e un’enorme disponibilità economica, impossibile da gestire per un ragazzo appena maggiorenne. La verità, però, è che ero un vigliacco. Dentro di me, sapevo che i Backstreet Boys erano stati la mia salvezza e che, se non avessi avuto i ragazzi e quel lavoro, probabilmente la mia vita sarebbe stata una lenta discesa all’inferno. E, il fatto di saperlo, ma di imputare comunque a quello la motivazione delle mie scelte sbagliate, mi faceva sentire ancora più in colpa. Al mondo davo l’immagine di un uomo spensierato e sicuro di sé, quasi al limite dell’arroganza, ma la realtà era che passavo metà della mia vita a sentirmi in colpa, e l’altra metà a cercare di gestire – o, nella maggior parte dei casi, ignorare – le mie insicurezze.

Avrei potuto avere una vita fantastica, ma qualcosa evidentemente era andato storto e, in quel momento, stavo semplicemente cercando di restare a galla. Mi lasciai sfuggire un sorriso, pensando a quanto quella scelta di termini fosse curiosa, considerato che stavo salendo su una nave. Ma, restare a galla era quello che mi ero imposto di fare in quei cinque giorni, non solo letteralmente, ‘galleggiando’ sul mare, ma anche metaforicamente. Dovevo indossare una maschera, fingere di divertirmi, fare il carino con le fan e non creare problemi ai ragazzi. Solo quello. Non contavo di godermi il viaggio, le mie aspettative non erano così alte. Mi bastava arrivare vivo alla fine, per poi potermene tornare a casa mia, a Las Vegas, e rifugiarmi a leccarmi le ferite in solitudine.

Salito sulla nave, fui scortato alla mia cabina, accorgendomi a mala pena delle mani che mi toccavano e delle urla intorno a me, che mi arrivavano attutite dalla musica che usciva dagli auricolari alle mie orecchie. Entrai e chiusi la porta dietro di me, sospirando. Chiusi e riaprii lentamente gli occhi, quasi senza notare l’arredamento curato e i fiori che decoravano la suite in cui mi trovavo. Solo allora, mi tolsi le cuffie, mettendo in pausa la musica che mi suonava nelle orecchie. A.J. aveva preparato per tutti una playlist a tema nautico da ascoltare durante il viaggio in aereo, come introduzione alla crociera, ed era proprio quella che stavo ascoltando, in quel momento. Ironia della sorte, le ultime parole della canzone che avevo bruscamente interrotto a metà dicevano ‘But we'll try best that we can to carry on’ e tirare avanti era esattamente quello che avevo intenzione di fare.

Capisco che sul prologo ci fosse poco da dire, ma per questo primo capitolo (molto breve, i prossimi saranno molto più sostanziosi, promesso) mi aspetto qualche commento da voi fa. Compare Nick, quindo ditemi cosa ne pensate. Ci conto, ok?

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 – Last Cigarette ***


CAPITOLO 2 – Last Cigarette

 

‘Basta, non ce la faccio più. Devo uscire di qui’ pensai, quando il gomito della ragazza che saltava accanto a me mi si conficcò per l’ennesima volta in un fianco. La situazione in cui mi trovavo rappresentava alla perfezione la mia personale concezione di inferno e ancora non avevo bene idea di come ci fossi finita. Dopo il party di partenza, in cui i Backstreet Boys si erano presentati sul palco vestiti da marinai, avevamo assistito alla Game Night e dovevo ammettere, senza vergognarmene, di essermi divertita come una matta. I giochi proposti erano stati semplici ma geniali e la mia opinione dei cinque ragazzi era migliorata moltissimo vedendo con quanta autoironia e naturalezza si erano prestati alle varie attività. Avevo deciso che il mio nuovo preferito era A.J., che in gioventù non avevo mai considerato ma che, adesso, scoprivo dotato di un senso dell’umorismo molto nelle mie corde, oltre che di una bellissima voce, molto particolare, e una discreta dose di fascino.

Dopo una cena veloce, a cui, con grande disappunto di Jessica, i ragazzi non avevano partecipato, eravamo tornate in cabina per prepararci per la prima serata a tema. Il tema era il titolo di una delle loro canzoni, In a World Like This, e le indicazioni erano di vestirsi in modo da rappresentare il proprio Paese d’origine. Per quanto l’idea fosse divertente, non mi erano venute grandi illuminazioni su come metterla in pratica e, dato che avvolgermi in una bandiera italiana non mi sembrava una soluzione molto pratica, mi ero limitata a riprodurla indossando delle sneakers rosse, un paio di jeans bianchi e una maglia verde smeraldo. Jessica aveva trovato un buffo vestito di paillettes con i colori della nostra bandiera, che mi ricordava molto quello famoso indossato da Ginger Spice negli anni ‘90, e così abbigliate, ci eravamo recate sul ponte, dove avrebbe dovuto svolgersi la festa, solo per scoprire che stava piovendo e l’evento era stato spostato all’interno. Raggiunto il punto indicatoci, ci eravamo subito rese conto che avvicinarsi al palco era fuori discussione, perché centinaia di fan molto più organizzate di noi ci avevano precedute, occupando i posti migliori. Decidemmo quindi di restare defilate, posizionandoci lateralmente e sperare che, a un certo punto, i ragazzi decidessero di scendere dal palco e mischiarsi tra la folla, come Jessica mi aveva assicurato avevano fatto nelle crociere passate. Speravo avesse ragione, non tanto per me, che comunque non avrei disdegnato un incontro a quattr’occhi con il mio nuovo preferito, quanto per lei, che ci teneva molto a scattarsi un selfie con loro. Dopo l’arrivo dei protagonisti della serata, però, le cose erano un pochino degenerate. L’atmosfera si era surriscaldata, le fan erano impazzite e sembrava di essere a una partita di football piuttosto che a una festa su una nave. Non ero preparata a una cosa del genere, nessuno lo era – a parte, forse, Nick Carter, che si era presentato vestito da giocatore di football, ma non credo fosse calcolato – e, dopo un’oretta circa, iniziai ad annaspare per la mancanza di aria. Tentai di attirare l’attenzione di Jessica, per proporle di levarci di torno, ma la mia amica aveva intercettato Brian nelle vicinanze e stava sgomitando per riuscire ad avvicinarsi per farsi una foto con lui, quindi non mi diede retta. Sconsolata e sentendo un attacco di panico avvicinarsi, decisi che non avrei resistito un minuto di più in quel carnaio, e iniziai a guardarmi in giro alla ricerca dell’uscita più vicina. Non appena la individuai, mi feci largo tra la folla in quella direzione, anelando un po’ di aria fresca. Purtroppo, fui bloccata da un addetto alla sicurezza, che mi spiegò che non potevo uscire perché, da lì, si accedeva a una zona del ponte riservata allo staff. Avevo il cuore che batteva all’impazzata e la salivazione azzerata e sentivo che stava iniziando a girarmi la testa. Dovevo uscire a tutti i costi, se non volevo svenire in mezzo alla calca ed essere, con tutta probabilità, calpestata a morte. Facendo appello a tutta la mia forza di volontà, gli rivolsi il mio miglior sguardo da cerbiatta e lo pregai “Posso uscire a fumare una sigaretta? Rientro subito, è solo per non fare il giro di tutto il salone. Col casino che c’è mi ci andrebbe mezz’ora”.

Lui mi rivolse uno sguardo serio, poi sorrise. “Okay” acconsentì. “Ma ti tengo d’occhio”.

Rivolgendogli il saluto militare, che lo fece ridere, spinsi la porta e uscii, nel freddo della notte, riuscendo, finalmente, a respirare.

Mi diressi subito verso il parapetto, a cui mi appoggiai, inspirando ed espirando, lentamente, in attesa che la vista annebbiata tornasse normale. Piano piano, i battiti del cuore rallentarono, riuscii a deglutire un po’ di saliva e mi accorsi che i puntini neri che mi danzavano davanti agli occhi erano spariti. Espirai un’ultima volta. Scampato pericolo. A quel punto, presi il pacchetto di sigarette e l’accendino dalla minuscola borsetta che mi trascinavo in giro per la nave, estrassi una sigaretta e la accesi, inspirando profondamente. Quando rilasciai il fumo, emisi un sospiro di soddisfazione. Era proprio quello che mi serviva.

Avevo iniziato a fumare alla fine della scuole superiori, perché tutti, nel mio gruppo di amici, lo facevano. Avevo proseguito per tutta l’università, riuscendo a smettere qualche anno dopo essere andata a convivere con Luca. Dopo la fine della nostra storia, però, avevo ricominciato, sebbene fumassi molto meno di un tempo. Di solito mi concedevo una sola sigaretta al giorno, la sera, dopo cena, e salivo fino a tre in momenti di particolare stress. Quello era assolutamente da considerarsi un momento di stress, pensai, e non avevo fumato la mia solita sigaretta dopo cena, quindi potevo decisamente concedermene due e prolungare quel momento di beatitudine.

Restai a godermi la sigaretta in silenzio, guardando il buio davanti a me e lasciando che la brezza della notte facesse tornare il mio corpo accaldato a una temperatura accettabile. Stavo per accendere la seconda sigaretta, quando la mia attenzione fu catturata da un certo trambusto proveniente dalla porta da cui ero uscita poco prima. Vidi uscire un uomo vestito di nero, seguito, subito dopo, da un altro uomo, alto e vestito da giocatore di football. Non ci andava una laurea per capire chi fosse, anche perché l’avevo visto poco prima salire sul palco. Nick Carter, accompagnato dalla sua guardia del corpo, che si avvicinava al parapetto e iniziava a frugarsi nelle tasche per fare, probabilmente, la stessa cosa che stavo facendo io in quel momento. Spostai lo sguardo da lui all’addetto che mi aveva fatto uscire, aspettando che mi ordinasse di rientrare, e maledicendo la mia sfortuna che non mi permetteva di godermi la seconda sigaretta in santa pace. Inaspettatamente, invece, lui mi sorrise e mi fece un cenno di saluto, prima di richiudersi la porta alle spalle. Tornai a volgere lo sguardo oltre la nave, nell’oscurità e, finalmente, mi accesi la seconda sigaretta. Vinta dalla curiosità, con la coda dell’occhio, controllai cosa stesse facendo la celebrità a pochi passi da me. Notai che si era tolto il casco da football, che effettivamente avrebbe reso l’operazione di fumare un tantino difficoltosa, e aveva una sigaretta tra le labbra. Si tastò nuovamente le tasche dei pantaloni, probabilmente cercando l’accendino, poi si voltò e lo sentii chiedere qualcosa alla sua guardia del corpo, anche se non riuscii a decifrare esattamente cosa a causa del vento. L’uomo scosse la testa e, in quell’istante, Nick si volse verso di me, forse registrando la mia presenza per la prima volta. Mi voltai anch’io verso di lui, inspirando un’altra boccata di fumo. A quel punto, lo vidi fare un passo verso di me e, quando mi fu davanti, chiese “Ehi, hai da accendere?”

“Certo” risposi, recuperando l’accendino dalla borsetta e porgendoglielo, senza però avvicinarmi troppo.

Lui lo afferrò, si accese la sigaretta e me lo restituì.

“Grazie”.

“Figurati”.

Senza riuscire a impedirmelo, lanciai un’occhiata preoccupata alla sua guardia del corpo, che non mi aveva tolto gli occhi di dosso un solo istante, da quando Nick mi aveva rivolto la parola. Quando lo sentii ridere, però, spostai nuovamente lo sguardo su di lui che, nel frattempo, aveva appoggiato i gomiti alla ringhiera e stava aspirando il fumo della sua sigaretta.

“Guarda che puoi avvicinarti” scherzò, notando la mia preoccupazione e accorgendosi che stavo volutamente mantenendo le distanze. “Le spalle sono finte. Non mordo”.

“Tu no, ma lui mi fa paura” replicai, con un cenno del capo verso il bodyguard.

Il ragazzo scoppiò a ridere. “È tutta scena, sai? Per tenere lontane le fan pazze” confessò. Poi, guardandomi con più attenzione, aggiunse “Ma tu non mi sembri una di quelle”.

Decisamente più rilassata, mi ritrovai a ridacchiare. “No, decisamente no” risposi.

 

La serata sembrava non finire mai e io ero esausto. Avevo tenuto botta tutto il giorno, tra il party di inizio viaggio e la Game Night, ma quell’evento serale, spostato all’interno per il maltempo, in quell’auditorium pieno zeppo di gente, mi stava mettendo duramente alla prova. Come se non bastasse, avevo ingenuamente deciso di vestirmi da giocatore di football della mia squadra del cuore, con tanto di protezioni e casco, senza considerare che la temperatura all’interno della nave aveva iniziato a rasentare quella su Marte. A un certo punto non ce l’avevo più fatta. Mi ero avvicinato a Kevin e gli avevo bisbigliato all’orecchio che avevo bisogno di prendere una boccata d’aria e mi sarei assentato qualche minuto per fumare una sigaretta. Lui aveva annuito, comprensivo. Sapeva che poteva fidarsi e che non sarei sparito, nascondendomi nei meandri della nave, per sfuggire ai miei doveri. Non ero più il quindicenne indisciplinato degli esordi e il mio amico aveva imparato a riconoscermelo. Facendo un cenno a Mike, la mia guardia del corpo, scesi dal palco e mi lasciai guidare verso l’uscita più vicina, dove un gentile inserviente ci tenne aperta la porta, per permetterci di passare. Non appena il vento freddo della notte mi sferzò il viso, chiusi gli occhi e presi un respiro profondo. Adesso si cominciava a ragionare. Mi tolsi subito il casco, mettendolo in mano a Mike, e mi avvicinai alla balaustra, tastandomi le tasche alla ricerca del pacchetto di sigarette. Quando lo trovai, ne presi una e me la misi tra le labbra, mentre ricominciavo a frugare nelle tasche per cercare l’accendino. Non trovandolo, iniziai a imprecare a bassa voce. Dove diavolo si era ficcato quell’aggeggio? Mi voltai verso Mike e gli chiesi se ne avesse uno da prestarmi. Purtroppo, l’uomo fece segno di no con la testa.

Dannazione” mi lasciai sfuggire, togliendomi la sigaretta dalla bocca. Alzai le spalle e sospirai, rassegnato a rientrare, rinunciando alla mia dose di nicotina. Poi, con la coda dell’occhio, intercettai un movimento alla mia sinistra e, per la prima volta, mi accorsi di non essere solo, in quell’angolino remoto del ponte. A circa un metro da me c’era una ragazza, appoggiata alla ringhiera, che fissava la notte, con i capelli che svolazzavano al vento, mentre fumava tranquillamente. Senza nemmeno domandarmi come diavolo fosse arrivata lì, la considerai immediatamente la mia ancora di salvezza. Stava fumando, quindi doveva aver acceso la sigaretta in qualche modo. Forse non tutto era perduto. Sentendomi lo sguardo di Mike sulla schiena, feci due passi nella sua direzione, fermandomi davanti a lei, abbastanza vicino da farmi sentire senza dover alzare la voce per sovrastare il rumore del vento, ma non troppo da spaventarla o da mettere a rischio la mia incolumità, se si fosse rivelata una fan isterica, pronta a saltarmi al collo. Nel frattempo, lei si voltò a guardarmi, incuriosita e, per una ragione che non avrei saputo spiegarmi, mi convinsi che potevo stare tranquillo, non correvo assolutamente alcun rischio.

Ehi, hai da accendere?” le chiesi, accennando un sorriso.

Certo” rispose lei, recuperando l’accendino dalla borsetta e porgendomelo, senza avvicinarsi più del necessario. Quel solo fatto mi convinse di averci visto giusto.

Presi l’accendino che mi porgeva, mi accesi la sigaretta e glielo restituii, dicendo “Grazie”.

Figurati” replicò, distogliendo subito lo sguardo.

Senza smettere di fissarla, presi una boccata dalla sigaretta, sentendo i muscoli tesi del collo che si rilassavano istantaneamente. No, l’idea di vestirmi da giocatore di football, casco compreso, non era stata una trovata geniale. Non avevo assolutamente nessuna intenzione di rimettermi quell’affare in testa. Mentre riflettevo su dove avrei potuto lasciarlo, per non dovermelo portare dietro in mano per il resto della serata, mi accorsi che la ragazza accanto a me aveva lanciato un’occhiata preoccupata a Mike, quasi avesse paura di lui. Mi venne da ridere e, sentendomi, lei si voltò di nuovo verso di me.

Guarda che puoi avvicinarti” le dissi, in quello che speravo fosse un tono rassicurante. “Le spalle sono finte. Non mordo”.

Tu no, ma lui mi fa paura” replicò lei, con un cenno del capo verso il mio bodyguard.

A quel punto, scoppiai decisamente a ridere di gusto. “È tutta scena, sai? Per tenere lontane le fan pazze” confessai, concentrandomi ancora di più su di lei. “Ma tu non mi sembri una di quelle” aggiunsi, dopo un istante.

La sentii ridacchiare e mi sembrò più rilassata, quando rispose “No, decisamente no”.

Facendo un ulteriore passo verso di lei, decisi che potevo approfittarne per fare due chiacchiere, dato che la ragazza che avevo di fronte non sembrava aver perso l’uso della parola, dopo avermi riconosciuto. Perché, se c’era una cosa di cui ero certo, era che sapesse esattamente chi ero. Era una crociera dei Backstreet Boys quindi le probabilità che fosse una nostra fan erano altissime. Inoltre, non potevo sperare che non mi avesse riconosciuto, conciato com’ero e con Mike che mi seguiva come se fosse la mia ombra. Ogni tanto, succedeva di imbattersi in qualcuno che non aveva idea di chi fossi e, per quanto fosse raro, era una sensazione che mi piaceva. Mi faceva sentire libero e rilassato, come se potessi essere chiunque, per un momento. Ma, ovviamente, non era quello il caso. Ad ogni modo, non sembrava particolarmente colpita dal fatto di trovarsi a trenta centimetri o poco più di distanza da una celebrità che, con ogni probabilità, le piaceva anche, quindi valeva la pena tentare un approccio.

Come ti chiami?” domandai, continuando a fumare la mia sigaretta.

Alice”.

E di dove sei?”

Italia” disse, lanciando uno sguardo ai suoi vestiti. La osservai meglio e, solo allora, mi accorsi che indossava Converse rosse, un paio di jeans bianchi e una maglia verde, a rappresentare i colori della bandiera italiana. Sorrisi e commentai “Oh, Italia. Sì, potevo arrivarci, in effetti”. Poi, sentendo crescere dentro di me un’inspiegabile urgenza di fare colpo su di lei, che sembrava indifferente alla mia presenza, aggiunsi “Come stai, bella?” in italiano. “È l’unica cosa che so, a parte la canzone che abbiamo fatto” confessai, passandomi una mano tra i capelli, improvvisamente imbarazzato da quell’uscita che, a posteriori, non mi era sembrata particolarmente felice.

Vidi i suoi occhi farsi più larghi e mi accorsi che aveva alzato leggermente un sopracciglio. Poi, con una nonchalance che mi lasciò spiazzato, sentenziò “Che, scusami, non è stato il vostro momento più alto nella storia della musica”.

Per la seconda volta, nel giro di pochi minuti, scoppiai a ridere, di fronte alla sua battuta. “No, decisamente no” ammisi, abbassando la testa.

Restammo a fumare per un attimo in silenzio, poi lei spense la sua sigaretta contro la ringhiera e si mise il mozzicone in tasca, gesto che, da amante del mare, apprezzai moltissimo. Temendo che rientrasse e improvvisamente restio a fare a meno della sua compagnia, decisi di dire qualcosa per far proseguire la conversazione e trattenerla ancora un po’.

Com’è che non sei dentro a urlare con le altre?” le chiesi, ben sapendo che era una domanda idiota.

E tu com’è che non sei dentro a fare il tuo lavoro?” replicò, senza scomporsi.

Sforzandomi di non scoppiare a ridere di nuovo, per quanto ne avessi voglia, risposi “Avevo bisogno di aria”.

Anch’io” convenne lei, voltandosi e appoggiandosi al parapetto con la schiena.

È la tua prima crociera?” proseguii, contento di vedere che non sembrava avere fretta di andarsene.

In generale o vostra?”

Entrambe”.

In generale no, sono stata in crociera in Norvegia, anni fa” spiegò. “Vostra, decisamente sì”.

Cosa te ne pare, per adesso?” mi informai, mentre finivo la sigaretta e la spegnevo anch’io contro il ferro della ringhiera.

Carina. Ben organizzata. Gli eventi sono divertenti. Forse un pelo affollata”.

Risi di nuovo. “Decisamente affollata” concordai, ripensando alla bolgia da cui ero scappato. “Sei qui da sola?”

Scosse la testa. “No, ho accompagnato un’amica”.

Spalancai gli occhi, sorpreso ma, allo stesso tempo, iniziando a comprendere il suo atteggiamento. “Quindi non sei una fan?”

Lo ero, intorno ai 15 anni. Sono anche venuta al vostro concerto a Milano, credo fosse il Millennium Tour” rammentò.

Annuii. Era l’unico tour che avevamo portato in Italia, non c’era modo di sbagliarsi. “E poi?” domandai, curioso.

Lei alzò le spalle. “Sono cresciuta, immagino. Ho scoperto altra musica e vi ho un po’ dimenticati”.

È un colpo al cuore, lo sai?” scherzai, portandomi una mano al petto, all’altezza del cuore, e improvvisando una faccia delusa.

La ragazza rise e si giustificò “Scusa. Ho recuperato prima della crociera, però. Ho comprato tutti i CD che mi ero persa, sai, per documentarmi”.

Risi anch’io e la presi in giro “Wow, hai fatto i compiti. Complimenti!”

Grazie” fece lei, con un mezzo inchino. “Mi piace fare le cose per bene”.

E qual è il responso?” chiesi, sinceramente interessato alla sua opinione “Siamo migliorati da Millennium?”

Mi rivolse un sorrisino furbo. “Beh, tu sicuramente”

Spalancai gli occhi, incredulo di aver veramente sentito quelle parole. “Scusa?”

Lei si passò una mano sugli occhi ed emise un lieve gemito. “Oddio, non ci credo che ti sto dicendo questa cosa sul serio,” farfugliò “ma non amavo molto la tua voce, da ragazzina”. Poi, prima che potessi ribattere, aggiunse “Ma adesso è cambiata, è più matura e mi piace molto di più”.

Tu vuoi spezzarmi il cuore, di’ la verità” scherzai, stupito dalla sua sincerità.

Rise di nuovo. “Ma no, figurati. È che sono onesta” spiegò.

Allora, sulla scia dell’onestà, chi ha la voce che ti piace di più?” le chiesi.

La vidi farsi improvvisamente seria. “Beh, era Brian, ma…” si interruppe, senza terminare la frase.

Già” commentai, mentre cercavo di combattere il solito nodo alla gola, che mi prendeva ogni volta che pensavo ai problemi di salute del mio migliore amico.

Mi dispiace” disse lei, a bassa voce e, guardandola meglio, mi accorsi il suo sguardo allegro era stato adombrato da un velo di tristezza, come se fosse veramente preoccupata per Brian, sebbene non lo conoscesse.

Sentii il bisogno di rassicurarla e dissi “È forte. Ne verrà fuori”.

Sorrise e annuì. “Ne sono sicura. E voi lo state supportando magnificamente”.

Grazie” risposi, ricambiando il sorriso.

Figurati. Onesta, te l’ho detto”.

Quindi? Se non è più Brian, chi è?” insistetti, nella speranza di alleggerire l’atmosfera.

Ci pensò su un instante, poi disse “Credo A.J.”.

Inspiegabilmente, ci restai male. Avrei voluto che dicesse me. E mi domandai perché mi importasse tanto, dopotutto, non era nemmeno una nostra grande fan ed era la prima volta che la vedevo in vita mia. Eppure non potevo ignorare che quella insignificante sconfitta a favore del mio amico mi bruciasse. Stavo cercando di inventarmi qualcosa da ribattere, magari una battuta stupida, in modo da non farle capire che ci ero rimasto male, quando Mike mi si avvicinò, sussurrandomi all’orecchio che era opportuno rientrare. Annuii, riluttante, e mi voltai per salutare la ragazza, stupendomi di ricordare perfettamente il suo nome – di solito ero bravo con le facce, ma con i nomi ero un disastro.

Beh, Alice, grazie per l’accendino e per la chiacchierata. Goditi la crociera e ci vediamo in giro”.

Suppongo che io ti vedrò spesso” osservò, ridacchiando.

Direi di sì” concordai, unendomi alla sua risata.

Ciao, buona serata” mi salutò, con un sorriso.

Le feci un cenno con la mano e mi voltai per rientrare. Stavo per oltrepassare la porta, quando non riuscii a resistere all’impulso di voltarmi indietro. Non so perché lo feci e nemmeno cosa sperassi di trovare. Mi aspettavo che fosse rimasta a guardarmi andare via con aria sognante? Da quel poco che avevo potuto cogliere, durante la nostra breve conversazione, non era da lei. Infatti, la trovai di nuovo appoggiata alla balaustra, lo sguardo perso nella notte. Sospirai e feci per rientrare. In quel momento, lei girò la testa e i nostri sguardi si incrociarono. Le sorrisi e lei mi salutò con la mano. Risposi facendole l’occhiolino ma mi stupii di come, in realtà, avrei voluto tornare sui miei passi, dimenticare la festa e i miei doveri e passare il resto della serata nascosto in quell’angolo di ponte a chiacchierare con quella strana ma simpatica ragazza italiana, che mi aveva decisamente colpito.

 

Just to breathe reminds me of what used to be
The smoke's the ghost that keeps you close when I can't sleep
Don't ask the past to last, it's about to change
The memories don't answer when I call your name
No one told me, she told me
Your love's like one last cigarette, last cigarette

(Last Cigarette – Bon Jovi)

Quando la porta si richiuse dietro alle spalle di Nick, allontanando le luci e i rumori della festa e facendo ripiombare il ponte nell’oscurità e nella quiete, mi trovai a sorridere, tra me. Era stato un incontro alquanto singolare ma decisamente piacevole. Tra tutti i Backstreet Boys, Nick era sempre stato quello che mi era piaciuto di meno. Non era colpa sua, non aveva niente che non andava, semplicemente, l’ossessione della mia amica nei suoi confronti, me l’aveva reso antipatico di riflesso. Mi ero convinta che fosse un ragazzino fortunato e viziato, senza particolare talento, ma con un’altissima opinione di sé, rafforzata dai miliardi di ragazze adoranti che cadevano ai suoi piedi. Quell’opinione, affrettata e superficiale, si era già modificata dopo aver visto quel documentario, che mostrava un Nick totalmente diverso, più sensibile e introspettivo, ben lontano dall’immagine del ragazzino egoista e pieno di sé che avevo nella mia testa. Quello che aveva chiacchierato con me quella sera, poi, era ancora un’altra persona, molto più reale, questa volta. Per quanto lo scambio di battute fosse stato breve, mi era sembrato gentile e simpatico e mi aveva veramente fatto piacere parlare con lui. Oddio, pensai, che scema. Avrei dovuto chiedergli una foto, almeno per Jessica. Non mi era nemmeno venuto in mente. Quando la mia amica l’avesse saputo, me ne avrebbe dette di tutti i colori e non potevo biasimarla. Non mi sarebbe certo ricapitata un’occasione del genere. Sospirando, mi avvicinai alla porta e rientrai nel salone affollato e surriscaldato.

“Va meglio?” mi chiese l’addetto alla sicurezza che mi aveva fatta uscire.

“Sì, grazie” risposi, con un sorriso. “È stato molto gentile”.

“Figurati” minimizzò. Poi, con espressione curiosa, aggiunse “Piaciuta la chiacchierata?”

Mi venne da ridere. “Sì, piacevole”.

“Che botta di fortuna, eh?” osservò. “Pensare che ci sono ragazze che passano la notte davanti alla porta della sua cabina, sperando di vederlo. E tu lo incontri per caso mentre fumi una sigaretta e ci parli per dieci minuti buoni”.

Alzai le spalle. “La fortuna del principiante” commentai. “Comunque, è simpatico”.

“Sì, me l’hanno detto” concordò. “I miei colleghi, che ci hanno avuto a che fare, dicono che questi tipi sono famosissimi, ma trattano tutti con estrema gentilezza e rispetto. Fa piacere vedere delle brave persone, ogni tanto”.

Annuii, per fargli capire che concordavo con lui, poi lo salutai dicendo “Meglio che vada a cercare la mia amica. Grazie ancora” e mi feci largo tra la folla.

Ci misi un po’ a trovare Jessica. Aveva abbandonato la postazione al lato del palco per accomodarsi su un divanetto, accanto a un’altra ragazza, che non conoscevo, ma che doveva essere italiana, dato che stavano parlando in quella lingua. Peccato che non fosse sola, volevo raccontarle dell’incontro con Nick, ma non mi andava di farlo di fronte a estranei.

“Ehi, dov’eri finita?” mi chiese, non appena mi vide.

“Sono uscita a fumare una sigaretta” spiegai, lasciandomi cadere sul divanetto accanto a lei.

“Lei è Cristina” mi presentò e io strinsi la mano alla ragazza. Poi Jessica tirò fuori il cellulare e iniziò a farmi vedere le foto che aveva scattato a Brian e con Brian, raccontandomi con tono eccitatissimo di come fosse stato carino e avesse fatto una serie di facce buffe che le avevano fatte morire dalle risate. La ascoltai distrattamente, chiedendomi come avrebbe reagito se le avessi raccontato del mio incontro con Nick. Già aver parlato per un minuto con Brian, che non era nemmeno il suo preferito, l’aveva decisamente mandata su di giri, se avesse saputo che avevo chiacchierato per più di dieci minuti con il suo Nick, mi avrebbe sicuramente fatto il terzo grado, pretendendo di sapere anche particolari a cui non avevo fatto minimamente caso, tipo che marca di sigarette stesse fumando. Era stata una lunga giornata, ero esausta e volevo solo buttarmi sul letto e dormire. Non avevo voglia di passare la notte a gestire una Jessica sovreccitata di riflesso perché io avevo parlato con Nick Carter. All’improvviso, decisi che non le avrei detto un bel niente. Tanto non era successo niente di che e non avevo nemmeno una foto a dimostrare che l’incontro era avvenuto. Potevo omettere quel particolare, o magari raccontarglielo più avanti, quando saremmo tornate a casa e non avrei dovuto dividere la stanza con lei.

 

Quando, finalmente, dopo aver finito la festa ed aver faticosamente raggiunto la mia cabina, fermandomi a scattare foto con tutte le fan che avevo incrociato lungo il tragitto, riuscii a buttarmi sul letto, ero sfinito. Solo fisicamente, però, perché la mia testa continuava a lavorare ai cento all’ora da quando ero rientrato dal ponte. Da quando avevo incontrato Alice. Non riuscivo a spiegarmi il perché, ero anche troppo esausto per provarci, ma quell’incontro casuale mi aveva scosso, in senso positivo. Era come se avessi passato gli ultimi mesi anestetizzato e, d’improvviso, mi fossi risvegliato, accorgendomi di essere di nuovo nel pieno delle mie facoltà mentali. Mi tolsi in fretta il costume da giocatore di football e indossai un paio di pantaloni della tuta e una maglietta. Poi presi il telefono e composi il numero interno per chiamare la cabina di Brian, sperando di non svegliare Leighanne. Il telefono squillò a vuoto per un paio di volte e stavo per riagganciare, convinto che il mio amico non fosse ancora rientrato, quando, finalmente, sentii la sua voce rispondere “Sì?”

Bri, sono io”.

Nick”. Una sola parola, una constatazione. “Cosa vuoi a quest’ora?”

Devo parlarti” annunciai.

Adesso?” chiese lui, incredulo. “Vai a dormire, Nick. Parliamo domani”.

Non riesco a dormire, se non ti parlo” piagnucolai.

Sentii il mio amico sospirare, rassegnato. “Si può sapere cos’è successo di così urgente da non poter aspettare domani?”

Vieni da me e te lo racconto” proposi, contando sul fatto che la sua cabina fosse proprio accanto alla mia.

Lui rispose solo “Arrivo” e buttò giù il telefono.

Sorrisi e attesi di sentirlo bussare alla porta. Dovevo assolutamente raccontare a qualcuno di quello strano incontro che avevo avuto, sul ponte, e chi meglio di Brian, che era come un fratello maggiore e mi conosceva come le sue tasche?

 

Your love's like one last cigarette, last cigarette
I will savor it, the last cigarette
Take it in and hold your breath
Hope it never ends but when it's gone, it's gone
One last cigarette, last cigarette
One I can't forget, the last cigarette
Right there at my fingertips
Got your taste still on my lips, right or wron

(Last Cigarette – Bon Jovi)

Ed ecco finalmente l'incontro tra i nostri due protaginisti. Un incontro casuale, banale, se vogliamo, ma allo stesso tempo abbastanza significativo da colpire uno e far cambiare idea all'altra. I primi incontri sono la parte che mi risulta più difficile da scrivere perché temo sempre di risultare banale, quindi mi dite cosa ne pensate?
Altra cosa: sul carattere di Alice garantisco io, lei è così, schietta, sincera e ironica. E forse un po' lo fa anche perché ha sofferto e nasconde le sue vere emozioni dietro all'ironia. Non è una maschera la sua, piuttosto un meccanismo di difesa. E Nick? Non lo so, io me lo sono immaginato così. Insicuro, leggermente tormentato, bisognoso di approvazione. E gentile. Non so perché ma sono convinta che sia estremamente gentile (tutti e cinque mi sembrano adorabili e lo si vedrà nel prossimo capitolo). Ma potrei sbagliarmi. Non l'ho mai incontrato (ovviamente), non ho mai letto nulla su di lui, mi baso solo su un'impressione scaturita dalle interviste che ho visto. Ci ho preso? Voi che siete più esperte, ditremi la vostra. Buona domenica!

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 – Just Want You to Know ***


CAPITOLO 3 – Just Want You to Know

 

Looking at your picture from when we first met
You gave me a smile that I could never forget
And nothing I could do could protect me from you that night

(Just Want You to Know – Backstreet Boys)

 

Il giorno seguente, io e Jessica ci svegliammo con calma. Ci vestimmo e andammo a fare colazione. Nel salone, incontrammo Cristina e la sua amica Laura, che dividevano il tavolo con due ragazze spagnole, Carmen e Paola, che ci presentarono. Mentre mangiavamo, scambiandoci impressioni sulla giornata precedente, decidemmo di andare a farci un giro a Cannes, giusto per approfittare della mezza giornata di libertà. Dopo esserci date appuntamento tra mezz’ora, tornammo in cabina per sistemarci e prendere le cose che ci sarebbero servite durante la giornata, dopodiché sbarcammo e passammo una bella giornata, girovagando per Cannes, curiosando lungo il tappeto rosso posizionato per il Festival del Cinema, nella speranza di scorgere qualche attore famoso, e mangiandoci degli ottimi croissant. Verso sera, tornammo sulla nave e ci preparammo per la cena a cui, ci era stato assicurato, i Basckstreet Boys sarebbero stati presenti, per la gioia di Jessica.

Quando entrammo nel salone, andammo alla ricerca di Cristina, Laura, Carmen e Paola, con cui ci eravamo date appuntamento. Le trovammo ad aspettarci a un tavolo, purtroppo non vicinissimo a quello dov’erano seduti i ragazzi, ma con una buona visuale. La cena iniziò e, mentre io chiacchieravo con Carmen e Paola, tentando di rispolverare il mio spagnolo arrugginito, Jessica, Cristina e Laura non staccavano gli occhi dal tavolo dei ragazzi, beandosi della loro presenza.

 

Allora, la vedi?” mi bisbigliò Brian, sporgendosi verso di me.

Feci correre gli occhi in giro per la sala per l’ennesima volta, poi scossi la testa. “No,” risposi “ma dev’essere qui per forza”.

Cos’avete da confabulare, voi due?” chiese Kevin, osservandoci dall’altra parte del tavolo.

Cosa vuoi che abbiano?” sentenziò A.J., ironico. “Sono Frick e Frack, sono fatti così”.

Nick sta cercando qualcuno, ma non lo trova” spiegò Brian, con un sospiro esasperato.

Gli occhi di A.J. si fecero improvvisamente più grandi. “Qualcuno o qualcuna?” domandò, interessato.

Qualcuna” gli rispose Brian, lanciandomi un’occhiata divertita.

Lo incenerii con lo sguardo. Avrei fatto volentieri a meno di condividere la cosa con gli altri tre. Il mio amico se ne accorse e si giustificò “Andiamo, non volevi che glielo dicessi? E come pensavi di fare, se l’avessi trovata?”

Non lo so,” ammisi “ci avrei pensato in seguito”.

Beh, comunque,” tagliò corto A.J. “cos’è questa storia?”

Mi limitai a fissarlo, senza aprire bocca, così Brian alzò gli occhi al cielo e spiegò al posto mio.

Ieri sera, Nick ha incontrato una ragazza”.

Una fan?” chiese subito Kevin, con una punta di preoccupazione.

Una specie” risposi, riluttante.

Una del tipo tranquillo e ragionevole” precisò Brian, tenendomi d’occhio di sottecchi.

Te la sei portata a letto?” chiese Kevin, in tono di rimprovero.

No!” esclamai, offeso.

Ma avresti voluto” si intromise Howie, parlando per la prima volta.

No!” esclamai, di nuovo. “Possibile che abbiate una così bassa opinione di me?”

Bassa o alta, a seconda dei punti di vista” commentò A.J., intrecciando le mani sotto al mento e fissandomi, con aria maliziosa.

Sbuffai. “Ci ho soltanto parlato, okay? Niente di che. Ma l’ho trovata simpatica e mi piacerebbe rivederla”.

Stai tranquillo, prima della fine del viaggio, si butterà ai tuoi piedi, come tutte le altre” sentenziò Kevin, bevendo un sorso di vino.

Scossi la testa. “Non credo, Kev. Non è quel tipo di fan”.

Siete già così intimi da sapere che tipo di fan è?” mi canzonò A.J..

Alzai gli occhi al cielo. “Mi chiedo perché perda tempo a parlare con voi” mi lamentai.

Perché non puoi evitarlo” rispose Howie, pratico.

Lasciamo stare, fate finta che non vi abbia detto nulla” borbottai, mettendo il broncio. Concentrai la mia attenzione sul cibo che avevo nel piatto, iniziando a giocherellare con la forchetta. Dopo qualche istante, mi sentii toccare e alzai lo sguardo. A.J. mi aveva posato una mano sul braccio e le sue unghie, laccate di nero, stringevano le pieghe della mia camicia.

Sai almeno come si chiama?” mi chiese, comprensivo.

Annuii. “Alice” risposi, guardandolo negli occhi. “È italiana”.

È un po’ pochino per rintracciare qualcuno su una nave di queste dimensioni” osservò Howie.

Pochino, sì” concordò A.J. “ma meglio di nulla”.

Cos’hai in mente?” gli chiese Brian, incuriosito dallo sguardo determinato dell’amico.

Avranno un elenco dei passeggeri, no? Basta scoprire in che cabina sta e poi controllare se si è registrata all’ingresso della sala, per la cena. Una volta che saremo certi che è qui, non sarà più così impossibile rintracciarla” spiegò, come se stesse parlando a dei bambini dell’asilo.

Sentii che le labbra mi si curvavano in un sorriso. Che idiota che ero stato! Potevo pensarci prima. Mentre mi maledicevo per la mia imbranataggine, vidi A.J. chiamare Justin, uno degli organizzatori, e lo sentii spiegargli la situazione. L’uomo annuì e scomparve fuori dalla sala. A.J. mi sorrise, sornione e, unendo le punte delle dita e iniziando a piccchiettarle una contro l’altra, nella perfetta rappresentazione di un genio del male, disse “La macchina si è messa in moto” prima di scoppiare in una risata non molto diversa da quella che si sente all’inizio di Larger than Life.

 

Avevamo finito di cenare e stavamo decidendo se tornare in cabina e iniziare a cambiarci per la serata a tema, oppure se restare ancora un po’ lì, dato che i ragazzi erano ancora comodamente seduti al loro tavolo. Improvvisamente, percepii una presenza, accanto a me e, voltandomi, mi trovai davanti un uomo, che avevo imparato a riconoscere grazie alle dritte delle nostre nuove amiche. Si chiamava Justin ed era uno degli organizzatori della crociera. Subito mi spaventai, pensando che avessimo fatto qualcosa di male, ma poi pensai che, magari, era solo venuto a scegliere qualcuno da far interagire con i ragazzi nel corso della serata, e sperai che scegliesse Jessica, che ci teneva tanto a mostrare ai suoi idoli il costume da Marilyn Monroe che aveva scelto per l’occasione. Invece, l’uomo si limitò a chiedere “Scusate il disturbo. C’è per caso una Alice, italiana, tra di voi?”

Strabuzzai gli occhi e annuii. “Sì, sono io” risposi. “C’è qualche problema?”

Vidi i muscoli del suo collo distendersi. “Hai per caso parlato con Nick ieri sera, sul ponte?” chiese ancora.

“Ehm...sì” farfugliai, sentendomi gli occhi di tutto il resto del tavolo addosso.

Jessica spalancò la bocca e mi strinse un braccio, esclamando, in italiano “Cos’hai fatto tu?”

Le lanciai un’occhiataccia e bofonchiai, a denti stretti, nella stessa lingua “Gli ho prestato l’accendino, non farla tanto lunga”.

“Perché non me l’hai detto?” insistette lei.

“Perché volevo evitarmi una reazione del genere” sbottai, spazientita. Poi mi girai di nuovo verso Justin e, in inglese, confermai “Comunque, sì”.

Lui mi sorrise. “Bene, allora sei tu. Nick chiede se vuoi fargli l’onore di andare al suo tavolo”.

Mi sentii mancare la terra da sotto i piedi e ringraziai di essere seduta, se no, forse sarei caduta per la sorpresa. Spalancai gli occhi e aprii la bocca per rispondere, ma non mi veniva in mente niente di sensato da dire. Intanto, le altre ragazze sedute al tavolo con me avevano iniziato a confabulare, domandandosi l’un l’altra cosa stesse succedendo.

“Nick cosa?” riuscii finalmente a domandare, ritrovando la voce.

“Ha chiesto se vuoi fargli l’onore di andare al suo tavolo” ripeté Justin, tranquillo, pensando che non avessi capito la prima volta mentre, invece, il mio era solo stupore.

“Perché?” chiesi, cercando di capire.

Lui scosse la testa. “Non lo so, mi ha solo chiesto di venire a cercarti”.

Jessica mi strinse più forte il braccio. “Cosa te ne frega del perché?” bofonchiò “Vai no? Sei scema?”

“Ma io...e tu?” farfugliai, presa in contropiede.

“Non preoccuparti, starò benissimo con le ragazze” mi rassicurò. Poi, con un sorrisino malizioso, aggiunse “E capirò se non torni in cabina, stanotte”.

Mi venne da ridere. “Scema” commentai.

“Vai!” mi spronò lei, dandomi una leggera spinta.

Annuii e mi alzai, afferrando la borsetta e seguendo Justin verso il punto della sala dove, sapevo, c’era il tavolo dei ragazzi.

Non appena mi avvicinai, tutti si voltarono a guardarmi e mi sentii tremendamente in imbarazzo. Poi Nick mi sorrise e si alzò, venendomi incontro. “Ciao!” esclamò, come se fosse sinceramente felice di vedermi. “Justin è riuscito a trovarti”.

“Pare di sì” farfugliai, cercando di concentrare la mia attenzione su di lui, ignorando gli altri quattro paia di occhi fissi su di me.

“Vieni, siediti qui tra me ed A.J.” mi spronò.

Annuii e feci come mi diceva.

“Ragazzi, questa è Alice” mi presentò, non appena presi posto. “Ci siamo incontrati ieri sera sul ponte, mentre fumavamo una sigaretta”.

Abbozzai un timido sorriso e dissi “Ciao”. I ragazzi si alzarono e vennero a salutarmi, abbracciandomi a uno a uno. Ero sempre più sbalordita e mi sembrava di essere finita dentro un film o uno spot pubblicitario. Era tutto troppo surreale perché stesse succedendo davvero. In ogni caso, presi un respiro profondo e mi costrinsi a darmi un contegno. Farmi prendere dal panico non sarebbe comunque servito a gestire meglio la situazione. Finito il giro di abbracci e saluti, mi risedetti al mio posto, osando, per la prima volta, spostare lo sguardo dalle mie mani alle altre persone sedute al tavolo. Incrociai subito lo sguardo di A.J., seduto alla mia sinistra.

“Vuoi qualcosa da bere, Alice?” chiese, sorridendo.

“Cosa stavi bevendo al tavolo?” si intromise Nick, cercando di rendersi utile.

“Vino bianco” dissi, distogliendo lo sguardo da A.J., prima di ritrovarmi ad arrossire.

‘Scema’ mi dissi. ‘Cosa diavolo ti prende? Da quando sei così in imbarazzo a parlare con degli sconosciuti?’

‘Forse, da quando gli sconosciuti sono dei cantanti famosi e uno di loro ha espressamente richiesto la mia presenza a questo tavolo’ mi risposi, beffarda.

Scossi la testa, per scacciare via quei pensieri, e mi concentrai su ciò che stava avvenendo intorno a me.

“Okay, allora Justin, fai portare un bicchiere di vino bianco alla signorina, per favore” diss A.J. all’uomo che era venuto a chiamarmi e che scomparve subito verso le cucine.

“Grazie” sussurrai, rivolgendo un timido sorriso al ragazzo seduto alla mia sinistra.

“Non c’è di che” rispose lui, facendomi l’occhiolino.

“Quindi, Alice” esordì Kevin, richiamando la mia attenzione al sentir pronunciare il mio nome con l’accento inglese. “Nick ci ha detto che sei italiana”.

“Sì” confermai, spostando lo sguardo su di lui.

“Nord, centro o sud?” chiese Howie, inserendosi nel discorso.

“Nord”.

“Milano?” tentò A.J..

Scossi la testa. “Non proprio. Abito in una cittadina più piccola, circa a metà strada tra Milano e Torino”.

“E di cosa ti occupi?” chiese Brian, parlando per la prima volta.

Mi voltai a guardarlo e gli sorrisi. Sebbene non stesse sorridendo, in quel momento, il suo viso mi ispirava simpatia. “Lavoro in un’azienda tessile, sono commerciale estero”.

“Ti piace?” chiese ancora lui.

Alzai le spalle. “Non è il lavoro dei miei sogni, ma non mi lamento”.

“E quale sarebbe il lavoro dei tuoi sogni?” domandò A.J..

“Mi piacerebbe fare l’insegnante” confessai. “Ma, in Italia, il percorso per arrivarci è lungo e complicato”.

“Non basta che il preside della scuola ti chiami?” si informò Kevin.

Scossi la testa. “Purtroppo no”.

“E quindi? Come funziona?” chiese Brian, interessato.

“È tutta una questione di graduatorie, punteggi…” iniziai a spiegare “ma non lo volete sapere veramente. È difficile e soprattutto noioso” conclusi.

“A Las Vegas mi basterebbe fare un paio di telefonate per trovarti un posto” sentenziò Nick, con un sorrisino di circostanza.

Mi voltai a guardarlo, divertita, e commentai “Non dirlo di nuovo, che mi trasferisco domani”.

Lui rise e io pensai che, se c’era qualcosa che mi piaceva di lui, era proprio il sorriso. O, meglio, mi piaceva la sua faccia quando rideva. Era come se si illuminasse di colpo.

“Quindi, fammi capire,” riprese Kevin, tornando alla discussione principale “nel tuo lavoro tieni i contatti con i clienti stranieri?”.

“Esatto” confermai.

“Per questo parli così bene inglese” commentò Howie.

Gli sorrisi, grata per il complimento. “Sì, ho una laurea”.

“In inglese?” chiese A.J..

“No. Lingue moderne. E letteratura” precisai.

“Che altre lingue parli?” si informò Brian.

“Beh, a parte l’italiano, ho studiato spagnolo, ma l’ho quasi dimenticato del tutto” confessai. “Infatti, stavo cercando di fare pratica con le mie compagne di tavolo spagnole”.

“Temo che noi non possiamo esserti d’aiuto” scherzò A.J.. “Le uniche parole spagnole che sappiamo sono le canzoni che abbiamo fatto”.

“Lascia stare, A.J., ci ho già provato io ieri sera con la versione italiana di Quit Playing Games, ma la signorina non apprezza” sentenziò Nick, lanciandomi uno sguardo di finto rimprovero.

Mi lasciai scappare una risatina, al ricordo della nostra conversazione della sera precedente.

“Come non apprezzi?” domandò Brian, fingendosi offeso, per poi scoppiare a ridere, dicendo “Scherzo, erano orribili, hai ragione”.

Risi anch’io, insieme a tutti gli altri, e commentai “Diciamo che avete fatto pezzi migliori, ecco”.

“Decisamente” concordò A.J..

“Per esempio? Qual è la tua canzone preferita?” mi chiese Howie.

“Alice non è una fan, Howie” gli disse Nick.

“Come non è una fan? Cosa ci fai qui, allora?” domandò Kevin, confuso.

“Ha accompagnato un’amica” spiegò Nick.

“Quindi non conosci le nostre canzoni?” chiese ancora Howie, leggermente dispiaciuto.

Mi affrettai a dissentire. “No, no. Fermi. Nick sta dando una versione sbagliata della storia. Ero una fan da ragazzina, ho anche visto il concerto del Millennium Tour a Milano. Poi vi ho un po’ persi di vista. Ma, come ho detto ieri a Nick, prima della crociera ho fatto i compiti e ho recuperato tutti i vostri CD”.

I ragazzi scoppiarono tutti a ridere.

“Molto bene” commentò Kevin.

“Brava” disse A.J.

“Allora ti è permesso restare al nostro tavolo” scherzò Brian.

“Quindi hai una canzone preferita?” domandò Howie.

“Certo che ce l’ho” confermai

“Immagino sia una di quelle più vecchie” azzardò A.J., basandosi su quello che gli avevo appena detto.

Scossi la testa. “In realtà no. È Climbing the Walls”.

“Davvero?” chiese Nick, stupito.

Annuii. “Sì. Non so perché ma ha qualcosa. Appena l’ho sentita, mi sono innamorata”.

“Beh, è bella” commentò Brian, annuendo in segno di apprezzamento.

La conversazione proseguì per un po’ e iniziai a rilassarmi. Sì, stavo parlando con i Backstreet Boys, ma sembravano dei ragazzi simpatici e stavano facendo del loro meglio per mettermi a mio agio. A un certo punto, A.J. propose “Giochiamo a obbligo o verità”.

“Non mi va di alzarmi dal tavolo” si lamentò Howie.

“Basta che scegli sempre verità, Howie” lo canzonò l’amico.

“Allora giochiamo a verità e basta” ribatté Kevin.

“Io ci sto” accettò subito Nick.

“Okay anche per me, basta non alzarmi” disse Howie.

“Anche per me okay” aggiunse Kevin.

“Brian?” chiese Nick, guardando l’amico.

Brian sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Se dico di no non mi mollate più, quindi okay” accettò.

“Alice?” mi chiese A.J.

Alzai le spalle. “D’accordo”.

“Perfetto. Vale qualsiasi domanda e massima onestà” spiegò A.J.

“Si può passare?” si informò Howie.

“No, non si può. Devi rispondere” lo rimproverò Nick.

“Lo rendiamo più divertente?” propose ancora A.J.

“Come?” chiese Nick.

“Una volta che tutti hanno risposto, votiamo la risposta più originale e gli altri devono bere uno shot di qualcosa”.

“Finiremo ubriachi marci” osservò Kevin, ma non bocciò l’idea.

“Probabile” commentò Nick, ridacchiando. “Però sembra divertente. Ci sto”.

“Okay. Cosa volete bere? Faccio portare bottiglie e bicchieri” disse A.J., passando alle questioni pratiche.

“Io rum” rispose Kevin.

“Io tequila” disse Nick.

“Vado di gin, se proprio devo” scelse Brian.

“Okay, io vodka. Tu Alice?” mi chiese A.J..

“Whiskey” gli risposi.

“Ah, però” commentò, stupito.

Chiamò Justin e gli spiegò cosa voleva. Vennero portate bottiglie e bicchierini e il gioco iniziò. I ragazzi iniziarono con domande curiose ma innocue, poi passarono ad argomenti un po’ più piccanti, che spesso sfociavano in prese in giro e risate. Quando venne il mio turno di fare la domanda, non avevo idea di cosa chiedere. Per quanto ormai mi sentissi abbastanza a mio agio, complice forse l’alcool che iniziava a scorrermi nelle vene, non li conoscevo ancora abbastanza bene per azzardare domande troppo personali. Stavo cercando di inventarmi qualcosa, quando Kevin mi spronò “Okay, Alice è il tuo turno. Spara. Chiedici qualsiasi cosa”.

“Non saprei” tentennai, per poi optare per un banale “Con chi andate più d’accordo nel gruppo?”

“Kevin” disse subito A.J., lasciandomi alquanto stupita.

“Howie” rispose Kevin.

Il ragazzo gli posò un mano sul braccio e annuì. “Io con te, ovviamente”.

“Nick” disse Brian.

“Brian” ricambiò Nick.

‘Figurati’ pensai. ‘Li chiamano Frick e Frack mica per niente’.

“E tu? Con chi pensi che andresti più d’accordo?” mi chiese a bruciapelo Nick.

Ci pensai un attimo, poi risposi “Credo A.J.”.

“Grazie” disse lui, rivolgendomi un enorme sorriso.

“Cosa?” sbottò Nick “Perché A.J.?”

“Nick voleva essere lui. Ci è rimasto male” lo prese in giro Brian, guadagnandosi un’occhiataccia dall’amico.

“Perché abbiamo lo stesso senso dell’umorismo” spiegai. Poi, rivolta a A.J., aggiunsi “Ogni volta che fai una battuta, mi ritrovo sempre a ridere. Ieri, durante la Game Night, sei stato esilarante”.

A.J. rise, battendomi il cinque, e commentò “Grande, sorella”.

Risi anch’io, pensando che era l’ennesima conferma di quanto fosse simpatico.

“Il clown ufficiale del gruppo sono io, comunque” commentò Brian, fingendo di fare l’offeso.

“Lascia stare, Frick. Lei ha gusti tutti particolari” ribatté Nick, continuando a tenere il broncio.

“Adesso sono curioso” iniziò A.J.. “E se non si parlasse di umorismo ma di altro?”

“In che senso?” domandai.

“Vuole sapere con chi andresti a letto” mi spiegò Howie.

“Oh” commentai, arrossendo.

“Grazie per la traduzione, amico” ribatté A.J., dando una pacca sulla spalla di Howie. Poi, rivolto a me, aggiunse “Avrai avuto un preferito, da ragazzina, quando eri una fan”.

“Onestamente? No” risposi.

“No?” ripeté lui, stupito.

Scossi la testa. “Le mie amiche erano tutte innamorate di Nick” spiegai, voltandomi a guardarlo e lui sorrise, compiaciuto.

“Ma scommetto che tu non lo eri, invece” mi incalzò Brian.

“Esatto” confermai.

Brian scoppiò a ridere e commentò “Finalmente ne abbiamo trovata una immune al tuo fascino, Carter”.

“Ah ah, spiritoso” lo freddò lui.

“E adesso?” insistette A.J.. “Chi è il tuo preferito?”

“Stiamo parlando di voce o…” mi informai.

“O” disse lui, facendomi ridere.

“Esteticamente parlando, trovo che il più affascinante sia A.J.” risposi, evitando di guardarlo negli occhi, per non arrossire.

“E McLean colpisce ancora, signori” esclamò lui, costringendomi a voltarmi.

“Ma smettila! Se ti sente Rochelle sei morto” lo rimproverò Howie.

A.J. si rivolse a me e, cercando di restare serio per in istante, disse “Howie ha ragione. Grazie per l’apprezzamento, sono sinceramente commosso. Ma sono un marito fedele, non potrei mai venire a letto con te”. Dopodiché scoppiò a ridere, segno che tutto il discorso era una baggianata.

“Tranquillo, nemmeno io potrei mai venire a letto con te” lo rassicurai. “Non sopporterei l’idea di farti tradire tua moglie”.

“Eh, ma così ti restano ben poche possibilità” osservò Kevin.

“Lo so,” ammisi “so che siete tutti sposati, tranne…”

“Tranne Nick” concluse A.J., facendo un cenno col capo in direzione dell’amico.

Sospirai. “Immagino che dovrei ripiegare su di lui”.

“Ehi!” sbottò Nick, offeso.

“Ne stai uscendo malissimo, fratello” ridacchiò Brian.

“Questa constatazione necessita uno shot di whiskey, per digerire il fatto che ti tocchi Carter” scherzò A.J., riempiendomi il bicchiere.

Lo alzai e buttai giù il contenuto, in un solo sorso.

“Ehi, la signorina sa bere” commentò Kevin, impressionato.

“Sì, me la cavo discretamente” ribattei. “Anche se, scusatemi, ma il Jack Daniel’s non è molto nelle mie corde”.

“Hai chiesto tu il whiskey” mi fece notare Nick.

“Sì, ma, senza offesa, il Jack Daniel’s è un whiskaccio. Va bene per i cocktail, non da solo” spiegai.

“E cosa preferisci allora?” si informò A.J., incuriosito.

“Non so, qualcosa tipo Laphroaig o Talisker” dissi.

“Mai provati” commentò Howie.

“Quelli sono whiskey seri” sentenziai.

“Facciamoceli portare” propose A.J. “Justin! Chiedi se hanno uno di quei due whiskey che ha citato”.

Justin sparì di nuovo in cucina e tornò, poco dopo, con una bottiglia di Laphroaig.

A.J. la prese e disse “Ecco qui, assaggiamo”, riempiendo i bicchieri.

“Ragazzi, non so se vi piace” li avvisai.

“Perché?” chiese Howie.

“Perché è molto torbato. Ha un gusto forte”.

“Smettila, che sarà mai” mi zittì Nick, buttando giù il whiskey contenuto nel suo bicchiere in un sorso. Non appena il liquido raggiunse la sua gola, iniziò a fare una serie di facce schifate, che fecero scoppiare tutti a ridere.

“Oddio!” esclamò. “È disgustoso”.

“Io te l’avevo detto” ribattei, ridendo.

“È...curioso” osservò Howie, assaggiandone un sorso.

“Molto particolare” concordò Kevin.

“Sa di affumicato” commentò A.J., con una faccia poco convinta. “Non mi aspettavo potesse piacere a una donna”.

“In effetti è strano, ma mi piace” convenni.

“Brian, ne vuoi?” chiese A.J. allungando la bottiglia verso l’amico.

Il ragazzo scosse energicamente la testa. “No, grazie. Vedendo le vostre facce, passo”.

A quel punto, Justin si avvicinò al tavolo e disse ai ragazzi che era ora di prepararsi per il concerto.

Nick si voltò verso di me. “Vieni?” chiese.

Scossi la testa. “Sono nel gruppo B. Vi vedrò domani”.

“Okay. Allora ci vediamo dopo alla festa”.

Annuii.

“Da cosa ti vesti, tra l’altro? Così ti riconosco”.

Gli sorrisi. “Lo vedrai” risposi, criptica.

Lui mi rivolse un sorrisino divertito. “Mi stai sfidando? Credi che non ti riconoscerò?”

“Ho grande fiducia nelle tue capacità, ma voglio lasciarti un po’ di mistero” replicai, facendolo ridere.

“Okay, allora vedremo chi avrà il costume più originale” propose.

Ci alzammo tutti dal tavolo e si ripeté il teatrino degli abbracci di saluto che aveva avuto luogo quando ero arrivata. Li ringraziai per la serata e gli feci un in bocca al lupo per il concerto. Prima di andare via, Brian mi si avvicinò e, senza farsi vedere dagli altri, mi mise in mano due braccialetti di plastica. Li guardai, confusa, e notai che recavano la scritta VIP. Gli rivolsi uno sguardo sorpreso, lui si avvicinò al mio orecchio e mi bisbigliò “Nick non lo sa, così avrà una sorpresa”. Poi mi sorrise, posandomi una mano sulla spalla, e io pensai che fosse davvero carino da parte sua voler fare felice il suo amico. Mentre tornavo alla cabina, con i braccialetti ancora stretti in mano, mi chiedevo, però, per che diavolo di motivo la mia presenza alla festa privata dovesse costituire una sorpresa per Nick Carter. Ma quella sera si stava rivelando l’esperienza più surreale della mia vita, quindi, forse, non era il caso di farsi troppe domande ed era meglio accettare quello che succedeva, senza rifletterci troppo sopra.

Arrivata in cabina, entrai e trovai Jessica intenta a sistemarsi i capelli biondi con il ferro, in modo da renderli il più simili possibile a quelli di Marilyn Monroe.

“Ehi, sei tornata” mi disse, non appena mi vide.

Annuii. “Sì, e ti porto anche una sorpresa”.

“Non è che ti sei portata dietro Nick, vero?” scherzò lei.

Risi. “No. Il tuo Nick è a cantare in questo momento”.

“Da quello che ho visto, è più il tuo Nick, che il mio” commentò, lanciandomi un’occhiata divertita.

Sospirai. “Non scherzare”.

“Mi racconti cos’è successo ieri?” mi pregò.

Mi lasciai cadere sul letto. “Niente di che, davvero. Sono uscita a fumare una sigaretta, un tipo della sicurezza mi ha permesso di accedere a un’area riservata del ponte perché era la più vicina a dove stavamo noi, in modo da non dover attraversare tutta la sala piena di gente. Mentre ero lì, esce Nick con la sua guardia del corpo, voleva fumare anche lui. Non aveva l’accendino e gli ho prestato il mio. Abbiamo fatto due chiacchiere”.

“Del tipo?”

“Cose banali. Mi ha chiesto di dov’ero, cosa ne pensavo della crociera, chi era il mio preferito…”

“E tu cos’hai risposto?” domandò, interessata.

“Gli ho detto che mi piace la voce di A.J.” confessai.

“Ci sarà rimasto male, poverino” osservò la mia amica.

“Ma figurati” minimizzai. “È Nick Carter, sai quante ragazze muoiono ai suoi piedi?”

“Hai ragione,” concordò “ma non tu. Ed, evidentemente, a lui interessi tu”.

“No che non gli interesso” obiettai.

“Hai visto altre invitate al loro tavolo, per caso?” mi fece notare, alzando un sopracciglio.

Mi strinsi nelle spalle. “Non so perché l’ha fatto, Je. Continuo a chiedermelo, ma non ne vengo a capo”.

“L’avrai colpito” azzardò lei.

“Ma come? Non ho fatto nulla di speciale per colpirlo”.

“Forse è proprio questo il punto” osservò.

Chiusi leggermente gli occhi, sforzandomi di capire. “Non ti seguo” confessai.

“L’hai detto anche tu, è abituato ad avere tutte le ragazze ai suoi piedi. Ogni persona, su questa nave, tenta di attirare la sua attenzione. Ma tu no. E Nick è famoso per essere piuttosto testardo. Come te, d’altro canto”.

“Grazie” commentai, riferita alla frecciatina che mi aveva lanciato. “Quindi, fammi capire, mi stai dicendo che si è intestardito con me solo perché non gli muoio dietro?”

“Non solo per quello” rispose Jessica. “Ma potrebbe aver influito”.

Mi lasciai sfuggire un sospiro. “Tipo strano, il tuo Nick”.

“Potrebbe diventare il tuo Nick, mia cara”.

Scoppiai a ridere di fronte all’assurdità di quel commento. “Ma fammi il piacere. Vorrà solo divertirsi un po’”.

“E ti lamenti?” sbottò la mia amica. “Goditela, perdiana. Sai quante ragazze vorrebbero essere al tuo posto? Io per prima”.

“Se vuoi prendere il mio posto, prego” la spronai, facendo un gesto con le mani come a volerle lasciare libero il passaggio.

Lei scosse la testa. “Oh, io vorrei anche. È da quando ho 15 anni che sogno una notte di sesso con Nick Carter. Ma lui vuole te”.

Le rivolsi uno sguardo scandalizzato. “Non ho intenzione di andare a letto con lui!” esclamai, scioccata.

Jessica si alzò dalla sedia su cui era seduta, mi venne davanti e mi posò le mani sulle spalle. Poi, guardandomi fissa negli occhi, chiese “Vuoi farmi credere che, se ti chiedesse di andare nella sua cabina, gli daresti picche?”

Sospirai. “Uno: non sono il tipo, e lo sai. Due: lui non è il mio tipo. E sai anche questo”.

La mia amica alzò gli occhi al cielo e si lasciò sfuggire un gemito. “Dio, sei impossibile”.

“Se fosse stato A.J., forse ci avrei fatto un pensierino” scherzai, facendola ridere.

“Non è vero” obiettò. “Avresti dato picche anche a lui perché è sposato e ti saresti fatta venire i sensi di colpa”.

“Probabile” concordai. Jessica mi conosceva troppo bene.

“Ascolta, me lo fai un favore?” mi chiese, a bruciapelo.

Annuii.

“Provi a goderti la vacanza, senza farti troppe paranoie? Prendi le cose come vengono. Cos’hai da perdere?”

“Niente” ammisi.

“Appunto. Divertiti. Lasciati coccolare da Nick, se è quello che vuole. Alla peggio, avrai qualcosa da raccontare quando torniamo” propose.

Annuii, di nuovo. Dopotutto, aveva ragione.

“E niente sensi di colpa. Ti stanno rovinando la vita. Devi finirla” mi rimproverò.

“Hai ragione” concordai, anche se sapevo che era più facile a dirsi che a farsi.

“Bene. Risolta la questione Nick che corteggia Ali, direi che è il caso che inizi a prepararti per la serata” mi spronò.

In quel momento, mi accorsi che stringevo ancora in mano i braccialetti che mi aveva dato Brian. Sorrisi alla mia amica e annunciai “A questo proposito, ti avevo detto che avevo una sorpresa, ricordi?” e glieli sventolai sotto al naso.

Jessica li prese e spalancò gli occhi. “Oddio. L’accesso all’aera VIP” esclamò. “Dove li hai presi?”

“Me li ha dati Brian” confessai. Evitai di dirle che l’aveva fatto per far contento il suo amico. Jessica era già partita per la tangente con i suoi castelli in aria su Nick e me e non volevo alimentare quelle fantasie. La mia amica fece un paio di saltelli di gioia e mi abbracciò, felice. Io sorrisi, lieta di aver fatto qualcosa per lei, e commentai “Credo che riuscirai a farti le foto che volevi, dopotutto”.

 

Stavamo dirigendoci verso il teatro dove si sarebbe tenuto il concerto e camminavo fianco a fianco a Brian. Ero ancora elettrizzato da ciò che era successo in sala da pranzo. Non solo avevo rintracciato la ragazza che mi aveva colpito, la sera prima, ma avevo potuto presentarla agli altri e avevamo passato una piacevole serata. Più la conoscevo e più mi intrigava. Ovviamente, sulle prime era rimasta spiazzata a trovarsi davanti i ragazzi. Era comprensibile. Ma, poi, avevo trovato eccezionale come si fosse adattata alla situazione, chiacchierando tranquillamente e arrivando persino a prendersi gioco di me insieme a A.J.. Ecco, su questo punto, forse, c’era da lavorarci. Non ero abituato ad essere ignorato in quel modo. Di solito, il mio fascino non falliva e, nei casi sporadici in cui non riuscissi a fare colpo, il fatto di essere ricco e famoso giocava a mio favore. A lei sembrava non importare nulla. Non mi trovava particolarmente affascinante – e dovevo ammettere che era stato un brutto colpo da accusare – e la mia fama la lasciava totalmente indifferente. Forse, potevo ancora giocarmi la carta soldi, ma qualcosa mi diceva che avrei fatto un altro buco nell’acqua. In ogni caso, non volevo rinunciare. Mentre camminavo, mi abbassai leggermente, in modo da arrivare a tiro d’orecchio di Brian, e gli bisbigliai Allora, non la trovi eccezionale?”

Lui si voltò a guardarmi, di scatto. “È sicuramente interessante” convenne.

Mi ha folgorato” confessai, con sguardo sognante.

Il mio amico sorrise. “Per la prima volta, dopo Lauren, non ho nulla da obiettare. Ma…”

Ma?”

Dovevi proprio ossessionarti per l’unica che sembra insensibile al tuo fascino, vero?” osservò.

Alzai le spalle. “Forse è proprio per quello che mi piace. Non muore ai miei piedi come le altre”.

Poco ma sicuro. Mi pare abbia messo in chiaro che non sei il suo tipo” mi rammentò.

Lo diventerò” gli assicurai, con un mezzo sorriso.

Ti vedo determinato” disse lui, alzando un sopracciglio.

Annuii. “Mi piace, te l’ho detto”.

L’ho capito. Ma potresti non piacere a lei. L’hai considerato?”

Sì, ma conto di farle cambiare idea” sentenziai, ostentando una sicurezza che, in realtà, non avevo.

È così da te desiderare l’unica cosa che non puoi avere” commentò Brian, alzando gli occhi al cielo.

Non è questo” obiettai. “Sento che c’è del feeling e non voglio perdere l’occasione”.

Come ti pare” tagliò corto lui.

Gli afferrai un braccio, bloccandolo prima che entrasse nel camerino. “No, voi dovete aiutarmi”.

E come?” domandò, spalancando gli occhi.

Dobbiamo coinvolgerla in tutte le attività, così posso stare con lei” spiegai.

Dillo a Jen” mi suggerì, riferendosi alla nostra manager, nonché organizzatrice della crociera, che si occupava di scegliere le fan che venivano coinvolte nei vari giochi.

Lo farò. Ma voi reggetemi il gioco” lo pregai.

Solo una domanda, Nick: non credi che le altre fan si accorgeranno se lei è sempre coinvolta e avranno qualcosa da ridire?” mi fece notare il mio amico.

Sbuffai. “Oh, chi se ne frega, Frick! Voglio giocarmi ogni possibilità”.

Brian mi posò una mano sulla spalla e, guardandomi negli occhi, disse “Posso darti un consiglio?”

Annuii, sorpreso.

Se ti piace davvero, invece di cercare di fare colpo su di lei a tutti i costi, giocati la carta della sincerità”.

Cosa intendi?” domandai, confuso.

Falle conoscere il vero Nick, non quello dei giornali e della TV. Magari, quello le piace” mi consigliò, facendomi l’occhiolino.

 

La festa era praticamente finita e io non ero riuscito a localizzare Alice. Avevo scattato foto con decine di fan e passato il tempo sul palco scrutando la folla alla disperata ricerca dell’unico viso che volevo vedere, ma senza risultato. Era come cercare un ago in un pagliaio. Mi chiusi nella stanza che ci avevano riservato, per togliermi il costume da Principessa Leia e rimettermi i miei vestiti, imprecando tra me. Al diavolo la sua idea di tenermi nascosto come si sarebbe vestita. Se l’avessi saputo, almeno avrei avuto idea di cosa cercare. Sconsolato e frustrato, entrai nell’area VIP, sperando che Jen non avesse fatto entrare troppa gente in modo da potermela sbrigare in fretta con le fan e tornare in cabina a sbollire il malumore. Mi avvicinai agli altri, che erano arrivati un istante prima di me, e notai, con soddisfazione, che non c’era troppo casino. Mentre ci disperdevamo nella sala, per chiacchierare con le ragazze e fare qualche foto, Brian mi diede una pacca sulla spalla. Quando mi voltai, per capirne il motivo, mi fece semplicemente l’occhiolino. Confuso, mi lasciai avvicinare da un gruppo di ragazze, cercando di concentrarmi su quello che mi stavano dicendo e sforzandomi di sorridere alle fotografie. Avevo appena alzato la testa, dopo l’ennesimo abbraccio a una fan, quando notai qualcuno che mi fissava, da un angolo della sala. Strabuzzai un attimo gli occhi, perplesso. Sembrava...ma sì, era un personaggio di Harry Potter. La maghetta secchiona, come diavolo si chiamava? Stavo ancora cercando di ricordare il nome, quando la vidi agitare una mano nella mia direzione. Improvvisamente capii e sorrisi. Non sapevo come diavolo avesse fatto a entrare, ma qualcosa di diceva che aveva a che fare con l’occhiolino che mi aveva fatto Brian, poco prima. Dovevo ricordarmi di ringraziarlo. Terminato il mio dovere con il gruppo di fan che mi aveva intercettato, mi diressi deciso nella sua direzione e, intanto, studiai attentamente il suo abbigliamento. Gonna grigia fino alle ginocchia, calzettoni dello stesso colore e scarpe nere. Camicia bianca, maglione grigio, con lo scollo a V, e cravatta a righe gialle e bordeaux. Aveva i capelli puntati di lato con una mollettina, che le ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle. E mi sorrideva. Un sorriso tutto per me. Sentendomi felice come non mai, le arrivai davanti e la salutai.

Ehi”.

Ehi”.

Dove hai lasciato il mantello?” scherzai.

In camera. Faceva troppo caldo con il mantello, qui dentro” rispose, senza smettere di sorridere.

Ah, però ce l’hai” osservai.

Certo che ce l’ho. Che razza di Hermione sarei senza mantello?” replicò. “Ho anche la bacchetta”.

Risi e lei mi fece compagnia. Era carina quando rideva.

Sei qui da sola?” le chiesi.

Scosse la testa. “No. C’è la mia amica”. Mi indicò una ragazza bionda con i capelli vaporosi e un vestito bianco, che stava chiacchierando con Howie.

Marilyn?” domandai.

Lei annuì. “Marilyn. O Jessica, come preferisci”. Poi aggiunse “Tra l’altro, ci terrebbe molto a fare una foto con te”.

Sorrisi e, avvicinandomi al suo orecchio, bisbigliai “Se la accontento, dici che se la prende se poi ti rapisco?”

La vidi spalancare gli occhi. “Lei no, ma io sì”.

Restai spiazzato da quella risposta. Possibile che se la fosse presa? Fortunatamente, si accorse della mia espressione confusa, perché si mise a ridere e si affrettò a precisare “Stavo scherzando. Dovresti vedere la tua faccia”.

Risi anch’io, rilassandomi. “Credevo di averti spaventata” confessai.

Scosse la testa. “Siamo su una nave piena di gente. Dove potresti mai portarmi?”

Mi avvicinai nuovamente al suo orecchio e, con un tono di voce basso e leggermente roco, che voleva risultare sexy, sentenziai “Potrei stupirti”.

Lei aprì la bocca, sorpresa, e si voltò di scatto a guardarmi, trovandosi a pochi centimetri dal mio viso. Improvvisamente e in maniera del tutto inaspettata, provai l’impulso di baciarla. Mi bloccai, costernato. Era vero, mi piaceva, ma mi aveva colpito soprattutto per la sua personalità. Non credevo di poter essere attratto da lei anche fisicamente. Invece, a quanto pareva, il mio corpo la pensava diversamente. In ogni caso, anche avessi deciso di assecondare l’istinto, non era né il luogo né il momento adatto. Eravamo in un salone pieno di gente, soprattutto fan dotate di telefonini, con cui immortalare qualsiasi cosa succedesse. Se Nick Carter avesse agito d’impulso e baciato una ragazza, potevo essere certo che tutto il mondo l’avrebbe saputo non appena ci fossimo avvicinati abbastanza alla costa da permettere ai cellulari di agganciarsi al segnale. E, forse, ad Alice non avrebbe fatto particolarmente piacere. Senza contare che avrebbe potuto essere un totale fallimento. Avrei potuto scegliere di baciare qualunque delle ragazze presenti in quella sala, sapendo che non avrei incontrato altro che occhi a cuore e urla di gioia. Ma con lei non si poteva mai dire. Avrebbe potuto tirarmi uno schiaffo, facendomi fare la figura dell’idiota. No, decisamente. Se volevo tentare un approccio più intimo, dovevo trovare il modo di restare da solo con lei in un posto più appartato. Che, alla fine, era il mio scopo principale della serata fin dall’inizio.

Ehi, stavo scherzando” la rassicurai, notando il suo sguardo preoccupato. “Non ho una stanza segreta dove porto le mie vittime, stile Cinquanta Sfumature di Grigio. Volevo solo offrirti da bere”.

Alice si lasciò scappare una risatina e annuì. “Okay, in quel caso si può fare”.

Bene. Allora andiamo a fare la foto con la tua amica e poi ci dileguiamo” proposi. La presi per mano e la trascinai verso il centro della sala.

 

Stavo ascoltando Nick che, concentratissimo, mi raccontava la trama di un film dell’orrore che, apparentemente, aveva girato poco tempo prima, e intanto sorseggiavo un bicchiere di champagne, che il mio interlocutore aveva fatto comparire magicamente da non so dove. Eravamo seduti sul ponte, sui lettini intorno alla piscina, dove ci eravamo rifugiati dopo essere fuggiti dalla sala VIP, per trovare un po’ di pace. Non avevo idea di che ora fosse, il che era strano, dato che di solito buttavo sempre un occhio all’orologio del cellulare. Ma non avevo guardato il telefono per tutta la sera, troppo occupata ad ascoltare e interagire con quello che Nick aveva da dire. Non credevo che fosse così loquace. Era un fiume in piena, non aveva smesso di chiacchierare da quando ci eravamo incontrati. Non che mi dispiacesse, anzi. Almeno si evitavano quei momenti imbarazzanti in cui nessuno sapeva più cosa dire. Aveva smesso di piovere e, anche se l’aria era decisamente freschina, io ero sufficientemente vestita da sentirmi bene. Avevo abbandonato Jessica, lasciandola chiacchierare con Brian e Kevin, dopo aver finalmente realizzato il suo obiettivo di farsi una foto con Nick. Dovevo ammettere che era stato incredibilmente carino con lei, complimentandosi per il costume e abbracciandola stretta al momento di scattare la foto. Gliene ero molto grata. Mi era dispiaciuto lasciare da sola la mia amica, ma sapevo che, se mi fossi rifiutata di andare con Nick per restare con lei, Jessica mi avrebbe fatto le paranoie per tutto il resto del viaggio. D’altra parte, era stata proprio lei a dirmi di non dare retta al mio senso di colpa, ed era quello che stavo cercando di fare in quel momento, godendomi la serata e le chiacchiere con Nick, senza arrovellarmi sul perché volesse passare il tempo con me, invece che divertirsi con i suoi amici. Per quanto mi riguardava, io mi stavo divertendo, ben più di quanto avrei immaginato. Una volta liberata la mente dai preconcetti che avevo su di lui, avevo scoperto un ragazzo simpatico, divertente, alla mano e che, almeno con me, non se la tirava per niente. Anzi, in un paio di occasioni, quando aveva ammesso di non conoscere un determinato argomento perché la sua istruzione non era stata convenzionale, a causa degli impegni con il gruppo, mi aveva addirittura fatto tenerezza. Sembrava quasi che si sentisse in difetto per non avere le stesse conoscenze degli altri quando, invece, mi sembrava una persona sveglia, curiosa e potenzialmente intelligente.

Per quanto la mia opinione su di lui stesse cambiando, non riuscivo a lasciarmi andare completamente. Finché non avessi capito perché si fosse intestardito a trascorrere del tempo con me, non sarei riuscita a fidarmi al cento per cento. Non che avessi paura di lui, questo no. Mi sembrava una persona corretta e sincera. Ma c’era qualcosa che non m mi quadrava e non riuscivo a capire cosa. Se ne avessi parlato con Jessica, mi avrebbe detto di smettere di farmi paranoie e godermela. Ma io non ero Jessica e continuavo a tenere alta la guardia.

La mia attenzione fu catturata da una figura che si avvicinava, accompagnata da due uomini vestiti di nero. Distogliendo un attimo lo sguardo da Nick, mi voltai per vedere di chi si trattasse e mi accorsi che era A.J..

Anche Nick l’aveva visto e gli chiese “Cosa ci fai qui?”

“Spiacente di disturbare il vostro party privato,” scherzò, con un sorrisino malizioso “ma mi hanno sfidato a buttarmi in piscina e sai che non rinuncio mai a una sfida”.

“Sei scemo?” esclamò Nick, incredulo. “Fa freddo”.

Il ragazzo alzò le spalle e sentenziando “A.J. deve fare quello che A.J. deve fare” si buttò in piscina.

Restai a bocca aperta, portandomi le mani sulle guance. Poi, quando riemerse, lamentandosi del freddo, scoppiai a ridere, insieme a Nick, che scuoteva la testa commentando “È completamente suonato”.

Lo osservammo uscire dalla piscina, aiutato da Nick, che gli aveva porto una mano, e osannato dalle ragazze presenti, che erano accorse fuori per assistere alla sua impresa. A.J. ne approfittò per stringere Nick in un abbraccio bagnato, con lui che si divincolava, lamentandosi, mentre io sghignazzavo. Poi si fermò a salutare gli spettatori, prima di correre all’interno per proteggersi dal freddo.

Nick tornò a sedersi, strattonandosi la maglietta umida, e dichiarò “E addio posticino tranquillo. Tante grazie A.J.”.

“Non fa niente, dai” minimizzai. “Tanto dovevo comunque tornare in cabina”.

“Ti accompagno” si offrì lui, alzandosi e porgendomi una mano per aiutarmi.

La accettai e mi alzai dal lettino. Poi lo seguii, mentre andava alla ricerca della sua guardia del corpo, sempre tenendomi per mano. Mi sentivo gli occhi di tutte le ragazze presenti addosso ed ero terribilmente in imbarazzo. Ma, allo stesso tempo, non volevo lasciargli la mano, per paura di risultare scortese. ‘Smettila di preoccuparti’ mi ammonii. ‘Non stai facendo niente di male. È lui che ti ha preso per mano’. Era vero, io non avevo niente per cui sentirmi in colpa. Se si escludeva il piccolo, insignificante particolare che trovavo la sensazione della mano di Nick che stringeva la mia estremamente piacevole.

 

Prendemmo l’ascensore, accompagnati da Mike, che non mi mollava un secondo, e arrivammo al ponte su cui stava Alice. Quando l’ascensore si fermò e le porte si aprirono, uscimmo e mi sorpresi di non trovare il solito capannello di fan in attesa. Poi mi ricordai che era un ponte diverso da quello dove stavamo noi e non c’era motivo per immaginare che qualcuno di noi potesse essere lì. Lo trovai confortante.

Riluttante, lasciai andare la mano di Alice, che avevo continuato a tenere stretta nella mia da quando l’avevo aiutata ad alzarsi dal lettino. Non sapevo spiegarmi il perché, ma la sensazione della mia pelle a contatto con la sua mi tranquillizzava.

Lei mi sorrise. “Grazie per la serata, Nick. E buonanotte”.

Buonanotte e grazie a te” risposi, ricambiando il sorriso. “Ci vediamo domani”.

Poi, come spinto da una forza incontrollabile, le posai le mani sulle spalle e mi chinai per darle un bacio sulla guancia.

Mi rivolse uno sguardo leggermente stupito, ma non si fece prendere da una crisi isterica, come succedeva spesso alle ragazze, quando le baciavo. Mi ritrovai a chiedermi come avrebbe reagito se, invece della guancia, l’avessi baciata sulle labbra. Volevo farlo, ci avevo pensato tutta la sera. Ma ero convinto che non avrebbe apprezzato, per quanto insolito mi potesse sembrare. Mi ripromisi, però, che sarei riuscito a baciarla prima della fine della crociera. E, magari, mi sarei anche fatto lasciare il suo numero di telefono. Non sapevo come e non sapevo quando, ma volevo rivederla. Più stavo con lei e imparavo a conoscerla, più mi affascinava.

Mentre la guardavo allontanarsi lungo il corridoio, agitando una mano per salutarmi, fui colpito, all’improvviso, da una rivelazione: se fosse stata una situazione normale, avrei cercato di portarmela in camera e sarei andato a letto con lei. Ma quella non era una situazione normale, lei non era come le altre. Mi piaceva, mi piaceva veramente. Mi faceva stare bene e dimenticare chi ero, per un po’. Scossi la testa. No, non dimenticavo chi ero, non era esatto. Ricordavo chi ero veramente, senza la maschera da celebrità che mi ero cucito addosso. Ed era una sensazione straordinaria.

 

Un appunto su questo capitolo. La scena di Justin che va al tavolo a cercare Alice è autobiografica. Ovviamente non sono stata invitata al tavolo dal Nick Carter, che non ho nemmeno mai incontrato, ma mi è successo con il mio scrittore preferito. Senza entrare nei dettagli, sono stata invitata al suo tavolo, usando più o meno le stesse parole che ho fatto usare a Justin qui, ovvero "chiede se può avere l'onore di parlare con te". Iniutile che vi dica che la mia reazione è stata più o meno quella di Alice (perché sì, sono una terribile nerd letteraria e poter parlare con lui, per me, è stato come coronare un sogno). Questo per dirvi che la scena, almeno dal punto di vista delle emozioni della protagonista, è abbastanza veritiera.
Aspetto ancora dei commenti. Dai, sbizzarritevi, così magari mi fate venire voglia di scrivere altro sul genere. Adesso vado a farmi l'ennesima tazza di caffè della mattinata, sperando di sopravvivere fino a stasera (cosa diavolo mi è venuto in mente di seguire la partita dei Bucccaneers in diretta, ieri sera, sapendo che avrei dovuto svegliarmi alle sei?)

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 – Story of My Life ***


CAPITOLO 4 – Story of My Life

 

This is the story of my life
And I write it everyday
I know, it isn't black and white
And it's anything but grey
I know, you know I'm not alright
But I’ll be okay 'cause anything can
Everything can happen

That's the story of my life

(Story of My Life – Bon Jovi)


 

Entrai nella saletta a noi riservata per la colazione, agguantai un croissant e una tazza di caffè, che mi affrettai a bere, in modo da poter essere pronto per la giornata il prima possibile. Stranamente, ero libero fino a sera. La nave aveva attraccato al porto di Livorno, per permettere agli ospiti di scendere e visitare Pisa o Firenze, e non erano previsti eventi per quella giornata, nulla che richiedesse la mia presenza a bordo. Avevo quindi deciso di sbarcare anch’io. La sera prima, dopo aver salutato Alice, avevo fatto chiamare Jen, chiedendole di organizzarmi una macchina che venisse a prendermi per portarmi a Firenze. Ovviamente, non avevo intenzione di andarci da solo. Lo scopo finale della mia gita, era passare del tempo con Alice, senza fan che ci disturbassero per chiedere foto e autografi e senza orecchie e occhi indiscreti, pronti a captare ogni sussurro e ogni gesto, per ricamarci su chissà quali storie. Avevo bisogno di stare con lei in tranquillità, da persona normale, per quanto fosse possibile. Sapevo che non avrei potuto fare a meno di portarmi dietro Mike, Kevin non mi avrebbe mai permesso di scendere dalla nave senza sicurezza, era molto scrupoloso su quell’aspetto. Ma conoscevo Mike da sempre, ormai eravamo amici, e sapevo che era in grado di essere molto discreto, se glielo avessi chiesto. L’unica incognita era se lei avrebbe voluto accompagnarmi, ma contavo sull’effetto sorpresa. Appena finita la colazione, sarei andato a prenderla alla sua cabina, di cui mi ero fatto trovare il numero da Jen. Posai la tazza vuota sul tavolo, davanti a me, mi alzai e mi diressi verso l’uscita, fischiettando. Prima di oltrepassare la soglia, fui intercettato da Kevin, che entrava nella sala insieme a Brian e sua moglie. Leighanne mi salutò, con un sorriso, per poi dirigersi verso il buffet. Kevin, invece, mi rivolse uno sguardo incuriosito, alzò un sopracciglio e chiese “Dove stai andando?”

A Firenze” risposi, sbrigativo.

Scusa?” fece lui, confuso.

Vado a Firenze, Kev. Sei sordo?” dissi, iniziando a perdere la pazienza.

No. Incredulo” commentò, lapidario.

Perché?” domandai, offeso.

Devo ricordarti che stiamo lavorando e non sei in vacanza?” mi rimproverò.

Sbuffai. “Non ho niente programmato per oggi” mi giustificai.

Lo so. Ma potresti restare qui e fare un po’ il carino con le fan, ti pare? Mezza nave è qui per te” mi fece notare, serio.

Ti prego, fammi andare” lo supplicai. “Ti prometto che sarò di ritorno in perfetto orario”.

Cos’è all’improvviso tutta questa smania di visitare Firenze? Da quando sei diventato intellettuale?” mi canzonò, con un sorriso beffardo.

Da mai” si intromise Brian, lanciandomi un’occhiata divertita. “Il suo interesse per Firenze ha lunghi capelli castani, occhioni marroni da cerbiatta e risponde al nome di Alice”.

Ah. Ora si spiega tutto” sentenziò Kevin, ridacchiando.

Voglio passare la giornata con lei, d’accordo?” confessai. “È un reato?”

No, certo che no. Però…” iniziò Kevin.

Lascialo andare Kev” lo interruppe Brian. “Lascia che si diverta”.

Kevin sospirò, rassegnato. “Okay. Ma ti voglio qui puntuale, non più tardi delle 6:30”.

Promesso” dissi, scappando via, prima che potesse cambiare idea.

Rimasti soli, Kevin guardò Brian e gli chiese “Come mai questa intercessione? Era un po’ che non prendevi le parti del tuo amichetto in maniera così esplicita”.

Era un po’ che non lo vedevo così” ribatté il cugino.

Così come?”

Felice. Oserei dire innamorato, anche se mi rendo conto che è prematuro” ripose Brian.

Addirittura?”

Da quando ha rotto con Lauren, si era come spento. Te ne sarai accorto anche tu”.

Kevin annuì, tornando serio. Tutti si erano accorti di quanto la fine della storia con Lauren fosse stata un brutto colpo per Nick. A differenza delle relazioni precedenti, tutte nate sotto una cattiva stella, per svariati motivi, quella con Lauren era stata una storia seria e tutti credevano che Nick avesse finalmente trovato la persona giusta con cui sistemarsi. Ma poi qualcosa era andato storto e, senza stare a giudicare di chi fosse la colpa, il piccolo del gruppo si era ritrovato di nuovo solo, con il cuore spezzato e un senso di colpa che lo opprimeva, impedendogli di cicatrizzare le ferite. Brian, però, aveva ragione. Da un paio di giorni, sembrava più sereno e rilassato, e non faticava più così tanto a mantenersi sorridente davanti a fan e telecamere. Qualsiasi cosa fosse successa, era sicuramente positiva.

Hai notato com’era euforico alla festa, ieri sera? Sembrava tornato il Nick di vent’anni fa” gli fece notare il cugino, sempre attento a tutto ciò che riguardava Nick, che aveva preso sotto la sua ala fin dagli inizi del gruppo.

Ma leggermente più gestibile, spero, dato che non ha più 15 anni” scherzò Kevin, cercando di alleggerire la conversazione.

Brian rise. “Sì, decisamente più gestibile” convenne.

Credi che questa storia abbia un futuro? Non ce lo ritroveremo con il cuore spezzato tra due giorni?” gli domandò Kevin, preoccupato per l’amico.

Brian alzò le spalle. “Non posso promettertelo, ma lui sembra veramente preso e lei non mi pare una che vuole divertirsi con lui e basta. Voglio dire, non è nemmeno una grande fan e, soprattutto, sembra l’unica su questa nave a non perdere la ragione quando lui le rivolge la parola. Di scuro non sta con lui perché si chiama Nick Carter e fa parte dei Backstreet Boys”.

Ma potrebbe essere interessata ai suoi soldi” osservò Kevin.

Vero” concordò Brian. “Ma, come mi hai appena fatto notare, Nick non ha più 15 anni e dovrebbe essere in grado di giudicare da solo”.

Kevin si lasciò sfuggire un sospiro preoccupato, come sempre, quando si trattava di Nick. Non avrà più avuto 15 anni, ma era sempre un campione a cacciarsi nei guai. “Lo spero. Tu, comunque, tienilo d’occhio” pregò il cugino.

Brian annuì. “Come al solito, Kev. Sono più di vent’anni che lo tengo d’occhio”.

 

Jessica stava riguardando le foto che aveva fatto la sera precedente, quando sentì bussare alla porta. Pensando che potessero essere le nuove amiche che avevano conosciuto sulla nave, che venivano a chiamarle per la colazione, abbandonò distrattamente il cellulare sul letto e andò ad aprire. Quando si trovò davanti il viso sorridente di colui che aveva popolato i suoi sogni da ragazzina, per poco non svenne.

“Ciao. Alice è qui?” domandò il ragazzo.

Jessica si limitò ad annuire, incapace di parlare.

“Me la chiami, per favore?” la pregò lui, gentile.

Lei annuì di nuovo e, senza togliergli gli occhi di dosso, quasi avesse paura di vederlo scomparire all’improvviso, urlò “Aliiiii! Ti vogliono”.

Immediatamente, da dietro la porta del bagno, le arrivò la risposta dell’amica “Un attimo”.

Nick sentì e sorrise. Jessica continuò a fissarlo, senza sapere cos’altro fare. La situazione si stava facendo imbarazzante, Jessica se ne rendeva conto, ma aveva la salivazione azzerata e la sua lingua e il suo cervello non sembravano collegati tra loro. Un conto era avvicinarlo in una sala piena di gente per chiedergli una foto, un’altra cosa era trovarselo sulla porta della cabina che chiedeva della sua amica, come se fosse un qualunque ragazzo passato a prenderla per un appuntamento. Anche Nick sembrava iniziare a stufarsi di quell’atmosfera tesa perché, per togliersi dall’imbarazzo, le chiese “Tu devi essere la sua amica, vero? Quella che ha accompagnato”.

Jessica annuì e riuscì a farfugliare “Ci-ci siamo incontrati ieri sera”.

“Mi ricordo” ribatté lui, con un sorriso. “Marilyn vero?”

La ragazza annuì di nuovo.

“Come ti chiami?” le chiese Nick.

“Je-Jessica” balbettò.

Lui le tese la mano e lei gliela strinse, incredula.

“Piacere” le disse. “Immagino non serva che mi presenti”.

Sentendo un po’ della tensione abbandonarla, Jessica ridacchiò e riuscì a rispondergli “No, credo di no”.

In quel momento, la porta del bagno si aprì e Alice fece irruzione in camera, fortunatamente vestita.

“Chi è che mi vuole?” chiesi, voltandomi verso la porta.

Vedendo Nick, mi bloccai. “Oh. Ciao” dissi, sorpresa.

La mia parte razionale mi diceva che non poteva essere vero, non poteva essere lì. Già la sera precedente mi era sembrata surreale e non riuscivo a spiegarmela, ma avevo voluto convincermi che desiderasse passare del tempo con me per un capriccio. Per non so bene quale motivo, sembrava essersi intestardito con me, forse perché gli avevo detto che non mi piaceva e, abituato com’era a veder cadere tutte le ragazze ai suoi piedi, ne faceva una specie di questione personale. Non lo sapevo e nemmeno mi interessava. La sera precedente mi ero divertita. Anche se mi costava ammetterlo, perché l’avevo sempre considerato solo un ragazzino famoso e viziato, abituato a ottenere tutto quello che voleva, dovevo confessare che, invece, si era rivelato simpatico. Sebbene, nel corso della serata, man mano che la conversazione diventava più personale, mi fossi convinta delle sue buone intenzioni, non mi vergognavo ad ammettere che, all’inizio, avevo pensato che avesse messo gli occhi su di me come preda per la serata e il suo unico scopo, per quanto inconcepibile, fosse portarmi a letto. Non riuscivo a capire perché avesse scelto proprio me, che non ero certo bellissima e nemmeno cercavo di mettermi in mostra, quando aveva a disposizione un’intera nave piena di donne più che disposte a passare la notte con lui, ma era l’unica spiegazione che il mio cervello scombussolato era riuscito a trovare per giustificare le sue attenzioni. Malauguratamente per lui, però, aveva fatto male i suoi calcoli. Non solo non ero il tipo di persona che si concedeva una scappatella ogni tanto, ma, anche se avessi deciso di fare un’eccezione e concedermi un po’ do divertimento durante quella breve vacanza, non avrei sicuramente scelto lui. Non potevo dire che fosse brutto, questo no. Sarebbe stato mentire. Ma non lo trovavo nemmeno così attraente da buttare al vento tutti i miei principi e gettarmi tra le sue braccia, solo perché era ricco, famoso e si dimostrava interessato a me. Quindi, quando l’avevo salutato all’ascensore, al termine della serata, con un semplice bacio sulla guancia – che lui mi aveva dato – e un grazie per il divertimento, mandando in fumo qualsiasi fantasia si potesse essere fatto, avevo ignorato il suo “Ci vediamo domani”, considerandolo solo una frase di circostanza, e avevo archiviato quella serata come un avvenimento bizzarro, ma piacevole, che avrei raccontato alle amiche una volta tornata a casa. Ne avevo parlato con Jessica, che smaniava di sapere cos’era successo, e che mi aveva dato della cretina per non essermi intrufolata in camera sua. Ma la mia amica mi conosceva abbastanza bene da sapere che non l’avrei mai fatto. Non ero mai stata il tipo da una botta e via, per andare a letto con qualcuno dovevo essere coinvolta emotivamente, non bastava l’attrazione fisica. Che, per quanto alla mia amica potesse sembrare impossibile, in questo caso nemmeno c’era. Ai miei occhi, Nick Carter non era il dio greco che vedevano tutte le altre e non lo era mai stato, nemmeno da ragazzina in preda agli ormoni. Mentre le mie amiche, Jessica compresa, morivano dietro ai video in cui lui faceva quelle mossette sexy, tutte un alternarsi di fianchi e bacino, io ero persa in contemplazione della voce angelica di Brian. Ero sempre stata una ragazzina strana. E, adesso, per quanto fosse decisamente migliorato, rispetto al ragazzetto allampanato con i capelli a scodella degli esordi, io vedevo solo un ragazzo belloccio ma alquanto ordinario, se si escludevano gli occhi azzurri e i capelli biondi, che di sicuro spiccavano. Se dovevo essere onesta, la cosa che più mi piaceva di lui, esteticamente parlando, era il sorriso. Ma non quello malizioso e provocante, appositamente studiato per le telecamere, bensì la risata spontanea che gli scappava quando trovava qualcosa veramente divertente. Era capitato un paio di volte, durante la sera precedente, ed erano state le uniche in cui l’avevo trovato veramente attraente e avevo compreso cosa potesse trovarci Jessica di così affascinante. In ogni caso, non era abbastanza da farmi perdere la testa per lui e avevo freddato la mia amica con un “Adesso basta. Dormi, che domani altrimenti somiglierai a uno zombie e, anche se ti si avvicinasse, scapperebbe terrorizzato”, considerando chiuso il discorso.

Di certo non mi aspettavo di trovarlo alla porta della nostra cabina, la mattina successiva.

“Ciao” ricambiò lui, sorridendo.

Mi sentii un groppo in gola quando mi accorsi che il sorriso che mi aveva rivolto non era quello di circostanza, che gli avevo visto fare alle ragazze che incontrava sulla nave, ma sembrava sincero.

“Co-cosa ci fai qui?” farfugliai, cercando di riprendermi dallo shock.

“Ti porto a fare un giro” annunciò, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

“Dove?” domandai, incuriosita.

“A Firenze. Siamo appena attraccati a Livorno”.

“Io...veramente non contavo di scendere” spiegai, imbarazzata.

“Perché?” mi chiese, stupito.

“Beh, ho già visto Firenze parecchie volte e…”

“Beh, io no” mi interruppe, prendendomi in contropiede. “Mi accompagni?”

“Certo che ti accompagna” si intromise Jessica. “Tempo di cambiarsi ed è subito da te”.

Mentre io mi voltavo a guardare la mia amica, sorpresa dall’intraprendenza con cui aveva preso in mano la situazione, Nick disse “Okay. Ti aspetto alla mia cabina, allora. Dico a Mike di farti passare”.

Non appena il mio cervello registrò quell’informazione, mi accorsi che qualcosa non quadrava. Fortunatamente, riuscii a capire cosa prima che lui si allontanasse e lo richiamai. “Ehm, Nick?”

“Sì?” fece lui, con una mano appoggiata allo stipite della porta.

“Non so dov’è la tua cabina” confessai, con un mezzo sorriso.

Lui si mise a ridere e, per l’ennesima volta, pensai che fosse proprio carino, quando rideva. “Davvero? Devi essere l’unica in tutta la nave” ironizzò.

Mi strinsi nelle spalle, senza nulla da dire in mia discolpa.

Lui scosse la testa e mi informò “Ponte 10, numero 145”.

 

Un quarto d’ora dopo, percorrevo il corridoio del ponte 10, su cui si affacciavano le suite in cui alloggiavano i ragazzi. Ero stata bloccata almeno tre volte da personale della sicurezza, prima di arrivare lì. Mi avevano chiesto chi fossi e dove stessi andando e, una volta detto il mio nome e che Nick mi stava aspettando, mi avevano lasciata passare. Speravo che Nick gli avesse fatto un identikit abbastanza preciso, per spiegargli a chi dovessero concedere l’accesso, altrimenti il loro sistema di sicurezza faceva acqua da tutte le parti. Mi stavo guardando in giro, controllando i numeri sulle porte, quando quella a cui stavo passando davanti si aprì e mi trovai improvvisamente di fronte A.J..

“Ehi, ciao” mi salutò, vagamente sorpreso di vedermi.

“Ciao” risposi, sperando non si fosse accorto del passo indietro che avevo fatto dallo spavento di essermelo trovato davanti di colpo.

“Cerchi Nick?” mi chiese, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Annuii, pregando con tutta me stessa che non fraintendesse la situazione.

Mi indicò con la mano un punto imprecisato davanti a me e disse “Due porte più avanti”.

“Grazie” farfugliai e poi, sentendomi in dovere di spiegare, aggiunsi “Mi ha chiesto di accompagnarlo a Firenze”.

A.J. sorrise. “Divertitevi!” mi augurò, facendomi l’occhiolino. Poi proseguì per la sua strada, diretto chissà dove, ma non credevo molto lontano, dato che era in ciabatte.

Scossi la testa e avanzai nella direzione che mi aveva indicato, cercando di convincermi che era perfettamente normale incontrare un cantante famoso che usciva dalla sua stanza, la mattina, e scambiarci due chiacchiere, come se niente fosse.

‘Normale un corno’ mi dissi. Ultimamente, la mia vita era diventata così...odiavo ripetermi, ma l’unico aggettivo che mi veniva in mente era surreale. Da quando avevo deciso di uscire a fumare una sigaretta e avevo incontrato Nick, due sere prima, tutto era diventato talmente surreale che avevo quasi smesso di farci caso. Anche in quel momento, mentre mi fermavo davanti alla porta della cabina numero 145 e bussavo, evitai di chiedermi come diavolo mi fossi cacciata in quella situazione...surreale. Era inutile farmi domande. Non ne avevo idea e, probabilmente, non l’avrei mai capito. Tanto valeva smettere di chiedermelo e lasciarmi trasportare dagli eventi.

Un istante dopo, la porta si aprì e mi trovai davanti Nick.

“Sei arrivata” disse, sorridente.

Io annuii. “Pronta per la gita”.

Lui prese un cappellino da baseball, che aveva abbandonato sul letto, e uscì, richiudendosi la porta della cabina alle spalle.

“Vieni” mi disse, prendendomi per mano. “Mike ci aspetta all’ascensore”.

Mi lasciai guidare lungo il corridoio, verso l’atrio in cui si trovava l’ascensore, cercando di non pensare all’assurdità della situazione e concentrandomi sulla piacevole sensazione che, di nuovo, provavo nel sentire la mia mano stretta in quella di Nick. A cose normali, mi sarei domandata perché quel semplice gesto mi facesse sentire così bene, ma quella situazione era tutt’altro che normale e avevo deciso di non farmi domande, quindi mi limitai a godermi il momento, senza paranoie, fantasticando su cos’altro mi avrebbe riservato quella giornata.

 

Sbarcati dalla nave, trovammo un’auto ad attenderci. Salimmo, Mike sul sedile anteriore e io e Nick dietro, e partimmo alla volta di Firenze. Il viaggio durò un’ora o poco più, che impiegammo chiacchierando e, soprattutto, stilando un programma di cose da fare. Nick chiese a me quali erano le cose imperdibili da vedere e io gli consigliai gli Uffizi e Piazza Duomo, con eventuale salita al campanile di Giotto. Lui accettò le mie proposte, aggiungendo un pranzo in qualche posto carino, e io concordai. Chiese a Mike di chiamare la galleria per prenotarci un biglietto salta coda e mi domandò se volevo fare una visita guidata. Scossi la testa, preferendo starmene tranquilla con lui. Era già abbastanza imbarazzante girare con una celebrità, volevo evitare gli sguardi curiosi di una guida personale. Farfugliai qualcosa riguardo al fatto che avrei tentato di spiegargli qualcosa io, richiamando alla mente i ricordi di quanto studiato alle superiori, e lui rise, dichiarando che non gli importava nulla dei quadri, voleva solo scendere dalla nave e stare un po’ con me senza avere fan attorno. Distolsi lo sguardo e mi concentrai sul paesaggio che scorreva fuori dal finestrino, per non fargli vedere che ero arrossita ma, in realtà, quel commento mi aveva fatto piacere e stavo sorridendo. Arrivati a Firenze, Nick scese dall’auto con cappellino e occhiali scuri. Mi prese di nuovo per mano – ormai mi stavo abituando e non mi domandai nemmeno più perché lo facesse – e ci dirigemmo agli Uffizi, dove avevamo la visita prenotata. Poco prima di raggiungere la galleria, Nick si voltò a guardare Mike, abbassando leggermente gli occhiali da sole.

“Ehi, Mike” gli disse, scherzando. “Puoi evitare di starmi proprio col fiato sul collo? Ti assicuro che nessuno vuole uccidermi e, se mi cammini a qualche metro di distanza, forse c’è la possibilità che mi scambino per un normale turista e non mi riconoscano”.

L’uomo si mise a ridere e lo accontentò, senza però smettere di tenerlo d’occhio. Pur divertita da quel buffo scambio di battute, pensai che non doveva essere facile essere sempre scortato dappertutto. Decisi di chiedere a Nick come lo faceva sentire e lui alzò le spalle, dicendo semplicemente che ci era abituato.

“È così da quando ho 15 anni. Ci ho fatto il callo”.

Entrammo al museo e iniziammo a passeggiare, fermandoci a guardare i quadri esposti. Di tanto in tanto, buttavo lì qualche commento, quando riuscivo a riesumare dalla memoria qualcuna delle informazioni che avevo appreso durante le lezioni di Storia dell’Arte al liceo. Quando, finalmente, arrivammo davanti al mio dipinto preferito, La Primavera di Botticelli, mi fermai a contemplarlo, estasiata. Ero talmente presa che nemmeno mi accorsi che Nick mi stava osservando, con un’espressione indecifrabile sul viso. Dopo un po’, mi voltai verso di lui e lo trovai a fissarmi.

“Scusami” dissi, distogliendo lo sguardo. “Mi sono incantata. Mi succede sempre, davanti a questo quadro. Lo sapevi che ci sono più di 130 piante diverse dipinte?”

“Interessante” commentò, distratto.

“Sì. Lo trovo bellissimo” osservai, tornando a guardare il quadro, con aria sognante.

“Concordo. Bellissima” convenne lui ma, girandomi a guardarlo, mi resi contro che non stava osservando il quadro e, quindi, non si riferiva a quello, bensì a me.

“Nick…” sussurrai, abbassando la testa, imbarazzatissima.

“Scusa. Mi ero incantato anch’io” sentenziò, con un sorrisino.

Mi venne da ridere e gli fui grata per quel commento sciocco, che aveva alleggerito un po’ l’atmosfera.

“Ti prego, non uscirtene con qualche frase ad effetto” lo pregai.

“Tipo?” domandò, curioso.

“Quelle cose da film o, nel tuo caso, da canzone d’amore, tipo il quadro più bello sei tu. Roba così” spiegai.

“Non funzionerebbe?” mi chiese, incerto.

Scossi la testa. “No” gli assicurai, decisa. “Ti scoppierei a ridere in faccia”.

Lui alzò le spalle. “Okay, niente allora”.

Spalancai gli occhi. “Volevi farlo veramente?”

“Ammetto di averci pensato” confessò, ridacchiando.

“Ti prego!” esclamai, soffocando una risata.

“Cosa? Di solito funziona” obiettò.

“Sul serio?”

“Beh, nella maggior parte dei casi, non mi serve nemmeno corteggiarle. Mi bastano un paio di occhiate ammiccanti. Ma con te non funziona” si lamentò.

Restai un istante in silenzio, riflettendo sulle sue parole, poi mi decisi a chiedere “Quindi è questo che stai facendo? Mi stai corteggiando?”

“Non era chiaro?” replicò, sorpreso.

“Speravo di sbagliarmi” ammisi.

“Perché? Non ti fa piacere?”

“Non è questo. A tutte le donne piace essere corteggiate” gli concessi.

“E allora?”

Decisi di dare voce al dubbio che mi solleticava la gola, premendo per uscire. “Non dovresti conoscermi, prima di corteggiarmi?”

“Forse sì” concordò. “Ma ho poco tempo e ho pensato di farti capire subito che mi piaci”.

“Come faccio a piacerti se non sai nulla di me?” gli chiesi, perplessa.

“Hai ragione. Ma so come mi sento io quando sono con te e mi basta” sentenziò.

Restai spiazzata dalla semplice sincerità della sua osservazione e non trovai nulla di intelligente da ribattere. Lui mi fissò per un attimo, poi mi prese la mano e mi sorrise.

“Ma capisco il tuo punto di vista e ti faccio una proposta” disse, a voce bassa.

“Quale?” domandai, mentre la solita piacevole sensazione che provavo quando mi prendeva la mano si impossessava di me, impedendomi di ragionare in maniera lucida.

“Usciamo di qui, troviamo un ristorantino carino, e, mentre mangiamo un piatto di...qualsiasi sia la specialità di questo posto, proviamo a conoscerci meglio. Cosa ne dici?”

Annuii. “Accetto. Ma a una condizione”.

“Spara” mi spronò.

Lo guardai negli occhi, decisa a sostenere il suo sguardo e, per la prima volta, capii cosa intendeva Jessica quando diceva che si perdeva nei suoi occhi azzurri. Ma non era il momento di comportarmi da ragazzina delle medie, dovevo restare lucida. “Voglio conoscere il vero Nick, non quello delle interviste alla TV. Credi sia possibile?” gli domandai.

Nick sorrise e, con una punta di soddisfazione, rispose “Assolutamente sì”.

 

Uscimmo dalla galleria e ci lasciammo guidare da Mike al ristorante che aveva prenotato, mentre stavamo visitando il museo. Ci fecero sedere e ordinammo due fiorentine con patate al forno e una bottiglia di vino rosso, dopodiché iniziammo a chiacchierare, per mettere in pratica il piano di Nick di conoscerci meglio. Dapprima, partimmo con cose banali, come hobby, preferenze e abitudini. Scoprii che gli piaceva la musica rock e che avevamo parecchi gusti musicali in comune e lui mi prese in giro quando gli confessai di aver avuto una terribile cotta per Kurt Cobain, quando ero alle superiori. Adorava i videogiochi, specialmente quelli anni ‘90, e amava fare colazione con il porridge di avena. Gli confidai che io, invece, ero una schiappa con i videogiochi, ma avevo una passione per i cartoni animati degli anni ‘90 e, non so come, ci ritrovammo a cantare la sigla di Ghostbusters, stupendoci di come entrambi ricordassimo perfettamente le parole, pur senza averla sentita per anni. Poi passammo a raccontarci episodi della nostra infanzia e adolescenza. Gli confessai di non essermi mai perfettamente integrata con i compagni delle medie e superiori e di non avere moltissimi amici, Jessica a parte. Lui, senza nemmeno rendersene conto, si trovò a raccontarmi della sua incasinatissima famiglia, malfunzionale e interessata solo ai suoi soldi, di come si fosse sentito usato e, per questo, avesse troncato i rapporti con tutti, tranne la sorella minore, trasferendosi a Las Vegas, per preservare la sua sanità mentale. Confessò anche che i Bascktreet Boys erano stati la sua salvezza. Se non fosse entrato nel gruppo, fuggendo dalla situazione assurda che viveva a casa, era sicuro che a quest’ora sarebbe stato come minimo in prigione, se non addirittura morto.

“Non volevo allontanarli,” spiegò “mi ha fatto male. Ma ho dovuto farlo, se volevo provare ad avere una vita normale, capisci?”

Annuii e, senza riflettere, posai una mano sulla sua, che teneva abbandonata sopra al tavolo. “Capisco. E ti ammiro” confessai.

“Mi ammiri?” ripeté, stupito.

“Sì”.

“Perché?”

“Non c’entra la fama o il fatto che sei un bravo cantante – sì, lo penso davvero, ma non montarti la testa” dissi, facendolo ridere. “Ti ammiro perché sei forte”.

Si lasciò sfuggire un sospiro. “Non mi sento molto forte, sai?”

“Invece lo sei” replicai, decisa. “Hai avuto oggettivamente un’infanzia di merda, scusa la franchezza, ma ne sei venuto fuori e sei diventato una brava persona”.

“Lo pensi veramente?” domandò, speranzoso e, per la prima volta, mi accorsi di quanto, in realtà, fosse insicuro e desideroso di approvazione, nonostante la maschera di spensierata arroganza che indossava di fronte al mondo.

Sorrisi. “Sì. Onesta, ricordi?” risposi, facendo riferimento alla nostra prima conversazione, sul ponte della nave.

Sorrise anche lui. “Grazie”.

“Grazie a te per aver condiviso con me questa parte così privata della tua vita”.

“Beh, hai detto che volevi conoscere il vero Nick. Io sono questo, non quello che vedi in TV” ammise.

“Sto iniziando a capirlo”.

“E cosa ne pensi?” chiese.

“Che mi piace molto di più questa versione” dissi, sincera.

Nick mi sorrise e, spostando leggermente la mano, in modo da liberare il pollice, iniziò ad accarezzare delicatamente la mia.

“Basta parlare di me adesso. Tocca a te” annunciò, prendendo un sorso di vino.

“Cosa vuoi sapere?” lo spronai.

“Non te l’ho mai chiesto apertamente, ma mi è sembrato di dedurre che non sei fidanzata” azzardò.

Scossi la testa. “No, non lo sono”.

“Non c’è proprio nessuno?”

“Non c’è nessuno” confermai.

“Come mai?” volle sapere.

Alzai le spalle. “Nessuno di mio interesse, suppongo”.

“Ma c’è stato qualcuno, in passato?” si informò.

“Certo, ma non è finita bene” confessai.

Mi guardò, curioso ma restio a chiedere. Io gli sorrisi, colpita dal tatto che stava dimostrando. “Puoi chiedermelo. Non è un segreto di stato”.

“Cos’è successo?”

“Sono stata con un ragazzo per dieci anni. Ci amavamo. Eravamo anche andati a convivere. Volevamo sposarci e volevamo un figlio, anche se non in questo preciso ordine. Poi ho scoperto di non poterne avere e non l’ho presa bene. Lui ha cercato di starmi vicino ma io ero diventata intrattabile e, invece che accettare il suo supporto, l’ho allontanato. A un certo punto non ce l’ha fatta più e mi ha lasciato” raccontai.

“Come? Quando avevi più bisogno di lui?” sbottò, indignato.

“Non è stata colpa sua, ci ha provato” lo giustificai. “Sono io che non gli ho permesso di aiutarmi. Non lo biasimo”.

“E come ne sei uscita?” domandò, sinceramente interessato.

“Terapia. Amici. Viaggi. Non l’ho superata del tutto, ma riesco a conviverci” ammisi.

“Mi dispiace” disse, rivolgendomi un sorriso incerto.

Alzai le spalle, ostentando indifferenza. “Non fa niente. Doveva andare così”.

“Non è vero” obiettò, diventando improvvisamente serio e alzando il tono di voce. “Siamo nel 2016, diamine, ci sarà un modo per…”

“Nick, calmati” dissi, decisa, e lui mi rivolse uno sguardo sorpreso, quasi non si aspettasse tanta fermezza da parte mia. Non sapevo perché, ma era chiaro che si stava arrabbiando e la prima cosa che mi era venuta in mente di fare era stata tranquillizzarlo. “Certo che c’è un modo. Ci sono milioni di modi, ma bisogna essere pronti”.

“Non lo sei?”

“Non lo ero. L’ho vissuta come una sconfitta e mi sono convinta che l’universo ce l’avesse con me” spiegai. “È da egoisti, lo so. Ma almeno conosci anche questo lato di me”.

Mi sentii stringere la mano e mi accorsi che aveva girato la sua, in modo da poter intrecciare le dita con le mie. “Non credo che sia da egoisti. Penso sia una reazione naturale. Per quanto non possa capire fino in fondo”.

Gli sorrisi, riconoscente. “Credo che tu abbia capito più di tante altre persone che mi conoscono da molto più tempo, invece”.

Restammo un attimo in silenzio, come se fossimo esausti e avessimo esaurito le parole. Poi mi riscossi e gli proposi “Ti va se cambiamo discorso? Non voglio rovinarmi la giornata ripensando a quel periodo. Tanto ti ho detto tutto quello che c’era da sapere”.

Lui annuì. “Okay, nessun problema”.

“Parliamo di te, adesso” dissi, cambiando bruscamente discorso. “So che una vera fan lo saprebbe, ma abbiamo appurato che io non lo sono” scherzai. “Quindi, cosa mi dici della vita sentimentale di Nick Carter?”

Iniziò a raccontare. “Te la faccio breve. Dopo una serie di relazioni disastrose, alcune delle quali mi hanno scatenato comportamenti autodistruttivi per cui sono anche finito in riabilitazione per abuso di alcool e medicinali, ho trovato una ragazza che mi faceva stare bene e siamo stati insieme per quattro anni. Credevo fosse quella giusta, volevo chiederle di sposarmi. Poi è rimasta incinta e mi sono reso conto di non essere pronto. Ero letteralmente terrorizzato, ma non in senso positivo. Ho iniziato a mettere tutto in discussione e, quando ha perso il bambino, invece di essere devastato, mi sono sentito sollevato. E, ovviamente, mi sono sentito uno schifo perché mi sentivo sollevato, perché sono quel genere di persona, che rimugina e si colpevolizza fino a uscire di testa. Ad ogni modo, il nostro rapporto si è deteriorato, io cercavo di fingere di essere dispiaciuto ma temo che lei se ne sia accorta e, comunque, non potevo continuare fingere a vita, e alla fine ci siamo lasciati. Fine della storia”.

Rilasciai il fiato che, mi accorsi solo in quel momento, avevo trattenuto per tutta la durata del racconto. “Mi dispiace, Nick”.

“Non so nemmeno perché te l’ho raccontato. Intendo, così nel dettaglio. Non l’ho praticamente mai detto a nessuno, tranne a Brian” confessò.

“Perché?” domandai.

“Perché esco malissimo da questa storia, mi sento un verme per come mi sono comportato e probabilmente tutte le cose belle che pensavi su di me fino a poco fa sono evaporate” sentenziò.

Scossi la testa. “Non è vero”.

“Onesta” mi rammentò, alzando un sopracciglio.

“Onesta. Davvero” gli assicurai. “Forse non hai gestito la cosa nel migliore dei modi e capisco che lei – come si chiama, tra l’altro?”

“Lauren”.

“Lauren. Capisco che Lauren si sia sentita ferita, è naturale. Ma non puoi colpevolizzarti per quello che provi. I sentimenti non si controllano”.

“Ho avuto paura” ammise. “Credevo di non essere in grado”.

“Secondo me lo saresti stato, invece” replicai.

“Può darsi” concordò, stringendosi nelle spalle. “Ma non so se sarei stato felice. Forse, alla fine, Lauren non era la donna giusta per me e questo brutto episodio è solo servito a farmelo capire”.

“Forse”.

“Grazie, comunque. Mi ha fatto bene parlarne” disse, rivolgendomi un sorriso.

“Figurati. Altro che conoscenza, oggi abbiamo fatto terapia di gruppo” scherzai, tentando di sdrammatizzare.

Lui colse al volo l’occasione e precisò “Più che di gruppo, di coppia, dato che siamo in due”.

“Sì, ma non siamo una coppia” gli feci notare.

“Non ancora” ribatté, con un sorrisino malizioso

“Nick…” lo rimproverai.

“Scusa. Mi parte il corteggiamento in automatico. Forza dell’abitudine” disse, facendomi scoppiare a ridere.

 

Usciti dal ristorante, camminammo fino a Piazza del Duomo. Avevo preso di nuovo la mano di Alice e mi stavo godendo la sensazione di calore emanata dalle nostre dita intrecciate. Era difficile da spiegare, ma sapevo con certezza che qualcosa era cambiato, tra noi, dopo quella chiacchierata a cuore aperto al ristorante. Lei non era più la ragazza misteriosa che sembrava insensibile al mio fascino, ma una persona reale e complessa, con un passato, forse meno ricco di avvenimenti rispetto al mio, ma non per questo meno doloroso. E qualcosa mi diceva che anche io, ai suoi occhi, non ero più il cantante famoso a cui piaceva far innamorare le ragazze per avere conferma del suo fascino, ma un uomo vero, a tutto tondo, con pregi e difetti, luci e ombre. Le avevo mostrato il vero Nick, come mi aveva consigliato Brian e come, d’altra parte, mi aveva espressamente chiesto di fare, ed ero convinto che il mio amico ci avesse visto giusto e fosse stata la mossa vincente per conquistarla. Non aveva detto o fatto nulla per farmi intendere che il nostro rapporto fosse cambiato, ma mi ero accorto che non aveva trovato strano il fatto che la stessi tenendo per mano e, invece di abbassare lo sguardo, imbarazzata, mi aveva guardato negli occhi e aveva riso quando le avevo messo in testa il cappellino che indossavo, per vedere come le stava, e avevo decretato che donava molto più a lei che a me e, pertanto, doveva tenerlo. Era come se avesse deciso di potersi fidare di me e la cosa mi riempiva di gioia.

Arrivammo davanti all’ingresso del campanile di Giotto e Alice insistette per salire, sostenendo che sarebbe servito a smaltire il pranzo. Acconsentii, senza pensarci troppo. A quel punto, ero talmente affascinato che probabilmente l’avrei seguita anche all’inferno. Non ricordavo quando era stata l’ultima volta che mi ero sentito così, forse al primo appuntamento con Lauren, ma non ne ero sicuro. Mi lasciai trascinare su per i gradini, che diventavano sempre più ripidi, mano a mano che ci avvicinavamo alla cima. A metà strada, iniziai a non poterne più e maledissi la mia distrazione quando avevo accettato la proposta, senza preoccuparmi di leggere quanti gradini avrei dovuto salire. Quando ormai credevo che non ce l’avremmo mai fatta, raggiungemmo la cima e ci appoggiammo al parapetto, per goderci la vista sulla città.

È bellissimo” commentò Alice, estasiata. “Valeva la pena fare tutta questa fatica, non credi?”

Si voltò a guardarmi, con le guance arrossate per aver affrontato la salita e i capelli che le svolazzavano intorno al viso, lambiti dal vento, e la trovai improvvisamente bellissima. Non riuscii a resistere, feci un passo verso di lei, le presi il viso tra le mani e incollai le mie labbra alle sue, facendo, finalmente, quello che sognavo di fare dalla sera prima. Avevo agito d’impulso, senza riflettere, e non sapevo esattamente cosa aspettarmi. Avrebbe potuto restare impalata, troppo sconvolta per reagire, oppure addirittura tirarmi uno schiaffo e allontanarsi, disgustata e arrabbiata per quella mossa avventata. Inizialmente, non ci fu nessuna reazione da parte sua e iniziai a temere il peggio. Poi, inaspettatamente, sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi e socchiuse leggermente le labbra, in modo da permettere alla mia lingua di incontrare la sua. Quando lo feci, rispose al mio bacio e a me parve di sentire un ronzio nelle orecchie, quasi mi fossero esplosi dei fuochi d’artificio direttamente in testa. Stava andando tutto molto meglio di quanto avessi osato immaginare. Quando ci allontanammo, entrambi senza fiato, le sorrisi e domandai “Cosa ne dici, adesso siamo una coppia?”

Lei rise e rispose “Non lo so. Fammi controllare”. Poi si alzò sulle punte, mi appoggiò le mani sul petto e posò nuovamente le labbra sulle mie, baciandomi per la seconda volta.

 

Dopo la visita al campanile, tornammo all’auto perché era giunta l’ora di tornare alla nave. Nick non smise mai di stringermi la mano e ci baciammo numerose altre volte, incuranti della presenza dell’autista e di Mike che, d’altro canto, doveva essere abituato ad assistere alla vita sentimentale di Nick e non sembrava farci particolarmente caso. Io mi sentivo inspiegabilmente tranquilla, considerata la situazione. Da quando ci eravamo confidati l’un l’altro, al ristorante, avevo smesso di vederlo come un cantante famoso e avevo preso in considerazione, forse per la prima volta, la possibilità che fosse sinceramente interessato a me. Ancora non riuscivo a spiegarmene il motivo ma, in fondo, non era importante. Stavo bene, in sua compagnia, mi faceva sentire bene. E non c’era motivo di rinunciare a quella sensazione solo perché non capivo cosa ci vedesse in me uno come lui. Per la prima volta nella mia vita, avevo deciso di spegnere il cervello e affidarmi all’istinto, per quello non mi ero ritratta, quando mi aveva baciato ma, al contrario, avevo risposto con entusiasmo. Era vero, avevo sempre detto che Nick Carter non era il mio tipo, ma questo prima di conoscerlo, quando era solo un viso sorridente che ammiccava dallo schermo della televisione. Adesso, dopo averlo conosciuto meglio, non era Nick Carter dei Backstreet Boys o, meglio, non era solo quello, ma era soprattutto Nick, ragazzino della Florida che aveva trovato una famiglia amorevole in quegli altri quattro ragazzi che cantavano con lui e che l’avevano cresciuto come se fosse stato il loro fratellino minore. Era il ragazzo che faceva finta di essere offeso se gli dicevo che era molto più affascinante vestito da mummia, come nel video di Everybody, quello che mi raccontava, con un misto di affetto e orgoglio, di come Brian gli avesse insegnato a suonare la chitarra, cosa che aveva sempre voluto imparare a fare, ma era convinto di non essere in grado. E, soprattutto, era Nick, colui che mi aveva ascoltato raccontare la parte più dolorosa della mia vita, seguendo il discorso con sguardo sinceramente dispiaciuto e commentando con poche parole, ma giuste, esattamente quelle che avevo bisogno di sentire, pur senza saperlo. E, quel Nick, mi piaceva. Così come mi piaceva il suo viso, illuminato da un sorriso radioso, mentre raggiungevamo il ponte della nave, tenendoci ancora per mano.

Arrivati al mio piano, uscii dall’ascensore e Nick mi seguì.

“Ciao” mi salutò, avvicinando il viso al mio per baciarmi.

Gli posai una mano sul petto e lo bloccai. Lui mi rivolse uno sguardo stupito, poi mi vide guardarmi intorno e capì. Non sembrava esserci nessuno in giro, ma era comunque troppo rischioso farsi cogliere in atteggiamenti affettuosi in mezzo al corridoio della nave, dove avrebbe potuto passare chiunque e vederci.

“Ci vediamo dopo al concerto” mi sussurrò, sfiorandomi il viso con un dito.

Gli sorrisi. “Io ti vedrò di sicuro, ma dubito che tu mi vedrai” ironizzai.

“Non importa, saprò che ci sei. Mi basta. E canterò una canzone per te” annunciò.

“E come faccio a sapere qual’è?” domandai, confusa.

“Scommetto che lo indovini appena la sentirai” rispose, toccandomi la punta del naso.

Poi entrò nuovamente nell’ascensore, sparendo dalla mia vista.

Con un sospiro, mi avviai lungo il corridoio, diretta alla mia cabina. Aprii la porta con la chiave magnetica e trovai Jessica in accappatoio, che si asciugava i capelli. Quando entrai, mi sorrise, poi qualcosa attirò la sua attenzione e mi chiese “Quello è il cappellino di Nick, per caso?”

Mi portai una mano alla testa, accorgendomi di avere ancora addosso il berretto che Nick mi aveva messo mentre andavamo al campanile. Dopo, ero stata impegnata in altre questioni e me ne ero completamente dimenticata. Annuii e me lo tolsi, osservando lo stemma dei Buccaneers, la squadra di football per cui Nick tifava, con un sorrisino ebete, e ripensando alla giornata appena trascorsa.

Ovviamente, Jessica non si lasciò sfuggire la mia espressione trasognata e mi domandò “E quel sorrisino cosa significa? Che il biondino ha fatto colpo anche su di te, finalmente?”

Risi e alzai gli occhi al cielo. “Forse” ammisi.

La mia amica sollevò le braccia verso il soffitto ed esclamò “Grazie al cielo. Allora sei normale anche tu. Stavo iniziando a preoccuparmi”.

 

Non appena intercettai i ragazzi, prima del concerto, dissi loro che avevo bisogno di parlargli. Si riunirono tutti intorno a me, curiosi di sentire cosa volessi dirgli. Sapevo che non potevano essere preoccupati, bastava guardarmi in faccia per capire che non ero mai stato così felice.

Ehi, ragazzi. È possibile aggiungere una canzone alla setlist?” domandai, quando ebbi ottenuto la loro attenzione.

Quale?” si informò A.J.

Perché?” chiese Howie, contemporaneamente.

Climbing the Walls” risposi a A.J.. Poi aggiunsi, per spiegare a Howie “Ho promesso ad Alice che avrei cantato una canzone per lei e quella è la sua preferita”.

A.J. mi diede una pacca sulla spalla e sorrise. “Per me okay”.

Anche per me” concordò Howie. “Però dobbiamo dirlo ai musicisti. Se vuoi ci penso io” si offrì.

Grazie” sussurrai, riconoscente.

No”. Una sola sillaba, secca e decisa. Ci voltammo tutti verso Kevin, che aveva parlato.

Perché?” chiesi, stupito dalla sua reazione.

Dai, Kev...lasciagli fare il romantico” lo pregò A.J..

No” ripeté lui, serio. “La canta quasi tutta Brian ed è troppo faticoso per lui”.

Mi voltai a guardare il mio amico, che aveva seguito tutta la discussione in silenzio. “Oh. Non ci avevo pensato” ammisi.

È questo il problema, Nick. Tu non pensi” mi rimproverò Kevin.

Iniziai ad irritarmi. Come si permetteva di parlarmi con quel tono saccente? E implicando che non mi importasse della salute di Brian, oltretutto. Stavo per ribattere qualcosa di non troppo carino, quando fui preceduto proprio da Brian, che intervenne per la prima volta nel discorso. “Non c’è problema, Kev. Posso farlo”.

No, Bri. Non è necessario. Scusa” mi affrettai a replicare.

Lui si voltò a guardarmi e mi sorrise. “Sì, invece. Finalmente ti rivedo felice e, se è merito di questa ragazza, voglio aiutarti a conquistarla, Frack”.

Rispondendo a un impulso, lo abbracciai, sussurrandogli “Grazie”.

 

Io e Jessica ci eravamo godute il concerto dalla nostra postazione defilata ma da cui, comunque, si riusciva a vedere piuttosto bene. Avevamo riso alle battute che avevano fatto e cantato a squarciagola tutte le canzoni proposte. Sulle ultime note di Everybody, la setlist risultava conclusa ma, curiosamente, i ragazzi non salutarono il pubblico, come avrebbero dovuto. Brian avanzò sul palco e annunciò che avrebbero fatto una canzone fuori scaletta, dietro esplicita richiesta di Nick. Lui non poteva vedermi, ma io potevo vedere benissimo lui e notai che aveva un sorrisino soddisfatto. Non avevo nemmeno fatto in tempo a chiedermi cosa stesse succedendo che le prime note di Climbing the Walls riempirono l’auditorium, accompagnate da un boato di apprezzamento da parte delle fan. Il mio cuore mancò un battito e mi portai una mano alla bocca.

“Cosa c’è?” mi chiese Jessica, a cui non era sfuggito il mio gesto.

“La sta cantando per me” farfugliai, senza distogliere gli occhi dal palco, come ipnotizzata dalle voci dei cinque ragazzi che si armonizzavano alla perfezione.

La verità era che il mio cervello non stava connettendo come avrebbe dovuto. Sentivo la canzone, ma nella mia testa continuavano a risuonare le parole che Nick aveva pronunciato quando ci eravamo salutati davanti all’ascensore.

Canterò una canzone per te.

E come faccio a sapere qual’è?

Scommetto che lo indovini appena la sentirai.

Era quella. Doveva essere quella. Sapeva che era la mia preferita. Non poteva trattarsi di una coincidenza.

“Scusa?” fece la mia amica, confusa.

“Mi ha detto che avrebbe cantato una canzone per me e che avrei capito quale non appena l’avessi sentita. È questa. È la mia preferita. E lui lo sa” spiegai.

Non ricevetti risposta. Jessica si limitò a fissarmi, con un’espressione imperscrutabile sul volto. Il che era strano, soprattutto per una persona come lei, che aveva un’opinione su tutto e, di solito, ci teneva a farla sapere al mondo.

“Ti prego, di’ qualcosa” la spronai, preoccupata.

“Non so cosa dire” confessò. “Davvero”.

“Fai un commento qualsiasi. È già abbastanza strano così, senza che tu peggiori la situazione fissandomi come se fossi un’aliena” mi lamentai.

Lei fece un mezzo sorriso. “Se dico quello che penso ti arrabbi”.

“Giuro che non mi arrabbio. Non so nemmeno io quello che penso, in questo momento” ammisi.

“Io non lo so cosa sia successo esattamente o cosa vi siate detti, ma, se volesse solo portarti a letto, non si darebbe tutta questa pena. Voglio dire, ha messo di mezzo tutto il gruppo, musicisti compresi, per fare una sorpresa a te. È tipo la cosa più carina che avrebbe potuto fare. E onestamente non capisco come tu possa restare indifferente”.

“Il problema è che non sono per niente indifferente” balbettai, mentre, con gli occhi lucidi, osservavo i ragazzi lasciare il palco.

“Non vedo dove sia il problema. Sei umana. Hai dei sentimenti. Siete entrambi liberi e avete scoperto che vi piacete” osservò, alzando le spalle.

“Non posso innamorarmi di Nick Carter, Je” sbottai, tornando in me.

“Non puoi scegliere di chi innamorarti, invece” insistette lei.

“Ma non ho più 15 anni. Dovrei far prevalere la parte razionale” ribattei.

“E lo stai facendo. Quando io dicevo di essere innamorata di lui, a 15 anni, non lo conoscevo. Era solo un bel viso che mi sorrideva da un poster e una voce su un CD che mi faceva tremare le gambe. Per te è diverso. È reale. Gli hai parlato. Hai passato la giornata con lui. E ti ha appena dedicato la tua canzone preferita. Non importa se è famoso, fregatene. È uno che ti sta dimostrando che ci tiene a te. Io non me lo lascerei scappare” sentenziò.

“È complicato” mormorai.

“Non ho mai detto che non lo sia. Ma non è impossibile. Dagli una chance” mi pregò.

Le rivolsi un sorrisino divertito e, per alleggerire la tensione, commentai “Se fossi una psicologa, ti direi che stai proiettando i tuoi desideri da quindicenne su di me”.

Jessica scoppiò a ridere. “Può darsi” ammise. “Ma, molto più banalmente, ti confesso che ho sempre sognato un’amica che vive in una villa con piscina a Las Vegas”.

“Stai correndo decisamente un po’ troppo” la rimproverai, alzando un sopracciglio. “E, comunque, non so se vive in una villa con piscina”.

La mia amica alzò le spalle. “Dettagli” minimizzò. Poi, trascinandomi verso l’uscita del teatro, annunciò “Adesso basta rimuginare sui problemi e le complicazioni, però. Andiamo in cabina e ci facciamo belle per la Casino Royale Night. E tu mi perdonerai se farò commenti poco politically correct sul tuo ragazzo, se si presenta vestito da James Bond”.

Mi misi a ridere ed evitai di precisare che Nick non era il mio ragazzo. Non sarebbe servito a niente, Jessica ci vedeva già felicemente sposati. Decisi che, però, in fondo aveva in parte ragione. Nick non mi era più indifferente. Anzi, a essere onesta, mi piaceva. E, soprattutto, mi piaceva il modo in cui mi faceva sentire. Non ero mai stata così bene con un ragazzo, dopo Luca. Certo, il fatto che fosse Nick Carter dei Backstreet Boys complicava notevolmente le cose, ma non me lo ero andata a cercare. Come mi aveva fatto notare Jessica, non potevo scegliere di chi innamorarmi. Succedeva e basta. E, contro ogni previsione e del tutto inaspettatamente, a me stava succedendo con Nick. Non potevo farci niente e non sarebbe servito a niente combatterlo. Dovevo accettarlo e cercare di gestire la cosa nel miglior modo possibile per entrambi. Peccato che, al momento, non avessi assolutamente idea di quale fosse questo modo.

 

Dopo il concerto, tornammo alle nostre cabine per prepararci per la serata. Fortunatamente, non erano previsti travestimenti particolari, per quella sera, dovevamo semplicemente metterci in tiro per somigliare a James Bond. Solitamente non amavo mettermi in ghingheri, preferivo di gran lunga jeans e maglietta a camicia e giacca, ma decisi di fare del mio meglio, sperando di potermela svignare presto, rintracciare Alice e passare del tempo con lei. Non avevo avuto modo di vederla, dopo il concerto, e morivo dalla voglia di sapere se le era piaciuta la sorpresa. Era assurdo come, da quando l’avevo conosciuta, ogni mia azione sembrasse ruotare attorno a lei, senza che potessi evitarlo. ‘Ti stai innamorando, Nick’ mi dissi. Il che, per quanto improbabile e inaspettato, era anche l’unica spiegazione possibile al mio comportamento degli ultimi giorni. La giornata trascorsa a Firenze con lei era stata fantastica e avrei tanto voluto essere un ragazzo normale, per non dover lavorare e starmene rinchiuso in cabina a coccolarla, in quel momento. Scossi la testa. Se non fossi stato quello che ero, probabilmente non ci saremmo mai conosciuti. ‘Ma le saresti piaciuto lo stesso’ disse una vocina, dentro di me. E aveva ragione. Se c’era una cosa di cui ero certo era proprio che ad Alice piaceva Nick Carter, non Nick dei Backstreet Boys, ed era esattamente ciò che la rendeva così speciale. Mi era successo, a volte, di uscire con una ragazza che non aveva idea di chi fossi. All’inizio, era elettrizzante. Mi sentivo libero di essere me stesso, senza maschere. Poi, però, inevitabilmente lo veniva a sapere e subentrava la curiosità, spesso morbosa e non sempre disinteressata, verso il mio lavoro e la fama. Con lei era diverso. Sapeva chi ero, non c’era nulla da spiegare. Ma non le interessava. Essere nei Backstreet Boys mi aveva permesso di conoscerla ma, per il resto, non semplificava le cose, semmai le complicava.

Mi guardai allo specchio e sistemai il colletto della camicia bianca. Niente male. Controllai l’orologio e sospirai. Sarebbe stata una lunga nottata. Speravo soltanto che potesse essere piacevole quanto lo era stata la giornata.

 

La Casino Royale Night era quasi terminata e non ero riuscita ad avvicinare Nick. I nostri sguardi si erano incrociati un paio di volte e lui aveva tentato di venire verso di me, ma era sempre stato intercettato da fan che volevano una foto, un abbraccio o parlare con lui. Avevo finto che non mi importasse ma, in realtà, ci ero rimasta male. Dopo gli avvenimenti della giornata, non avevamo più avuto modo di parlare e sapevo che c’erano delle cose da dire. Prima su tutte, volevo ringraziarlo per la canzone. Sentivo di doverlo fare. Non avevo voluto darlo troppo a vedere, specialmente con Jessica, ma la verità era che il suo gesto mi aveva colpita. Nessuno aveva mai fatto una cosa così carina per me. E, sì, sapevo che era un cantante e, quindi, trasformare i sentimenti in musica era il suo mestiere, ma questo non rendeva la cosa meno carina.

Jessica stava cercando di convincermi a spostarci al piano superiore, dove c’era un sorta di club. Non ero dell’umore giusto e, a dirla tutta, i club non erano il mio genere, ma mi dispiaceva dirle di no, specialmente perché sapevo di averla un po’ trascurata, durante quella crociera, e mi sentivo in colpa. Di nuovo il mio fidato senso di colpa. Quando glielo avevo detto, lei erta scoppiata a ridere, commentando che ero del tutto giustificata, dato quanto era figo il mio ragazzo in completo elegante, e che lei avrebbe fatto lo stesso, senza nemmeno sentirsi in colpa, poi aveva aggiunto “Mi piacerebbe che venissi con me al club per divertirti, non per farmi un favore”.

“Sai che io e te abbiamo un concetto un pelo diverso di divertimento,” le feci notare “comunque potremmo anche andare a dare un’occhiata”.

“Se state parlando di andare al club, ti conviene farlo” disse una voce alle mie spalle, in inglese.

Mi voltai di scatto, spaventata, e mi trovai davanti Brian che, vedendo la mia faccia, scoppiò a ridere di gusto.

“Mi hai fatto prendere un colpo” gli dissi, tenendomi una mano sul cuore.

“Scusa, non volevo” si giustificò lui, posandomi una mano sulla spalla. “Se mi muori di spavento, poi Nick chi lo sente?”

Mi lasciai sfuggire una risatina e tentai di concentrarmi su quello che mi stava dicendo, senza far caso alle fan intorno a noi che ci stavano guardando. Brian si accorse che la situazione mi stava imbarazzando, si avvicinò al mio orecchio e mi bisbigliò “Vieni su al club. Ci saremo anche noi. Vedremo di fare in modo che Nick si sganci presto, così potete parlare”.

Spalancai gli occhi e mi chiesi cosa sapesse Brian di quello che era successo tra me e Nick. Lui parve leggermi nel pensiero perché mi sorrise e disse “Non so nulla, ma non ha mai pubblicamente dedicato una canzone a nessuna, prima, quindi suppongo che le cose, tra voi, stiano progredendo”.

Restai senza parole. Sia perché non credevo che Brian fosse dotato di tanta sensibilità e perché l’affetto che evidentemente nutriva per Nick mi commuoveva, ma soprattutto per la scoperta di essere stata la prima persona a cui Nick aveva dedicato una canzone.

‘Vorrei essere anche l’ultima’ pensai, per poi scacciare immediatamente quell’idea, come se fosse una fantasticheria adolescenziale.

Mi riscossi, ricambiai il sorriso di Brian e gli assicurai “Grazie. Ci sarò”.

Lui mi sfiorò il braccio con una mano, in una sorta di affettuosa carezza che trovai molto tenera, poi si allontanò, strizzandomi l’occhio.

Jessica, che durante la conversazione si era tenuta a sufficiente distanza da non risultare indiscreta ma, allo stesso tempo, era dotata di un udito sufficientemente fino da averne colto gli aspetti salienti, mi si avvicinò e chiese “Immagino che tu abbia deciso di andare al club, vero?”

Mi lasciai sfuggire una risata. “Come sei perspicace!” commentai, facendo ridere anche lei.

 

Alzai la testa dopo l’ennesimo abbraccio a una fan e sorrisi a un’altra ragazza che mi aveva appena fatto un complimento. Dopo la serata Casino Royale, ci eravamo spostati al club. Non ne avevo voglia, ma ero stato assente tutto il giorno e sapevo di dover fare del mio meglio per far vedere a Kevin che meritavo la fiducia che mi aveva accordato. Era assurdo come, pur essendo ormai un uomo adulto, sentissi ancora la necessità dell’approvazione di quella figura che, a tutti gli effetti, mi aveva fatto da padre, esattamente come quando avevo 13 anni. Sentii una mano che mi si posava sulla spalla e, voltandomi, mi trovai Brian accanto.

Ehi, Romeo” mi apostrofò. “Guarda che se non presti qualche attenzione alla tua bella finisce che si offende”.

Gli rivolsi uno sguardo perplesso. “Scusa?”

Lui mi fece un cenno con la testa, indicando un punto imprecisato verso il bancone. Guardai nella direzione che mi stava indicando e notai Alice, che beveva un cocktail, seduta accanto alla sua amica bionda. Indossava una gonna lunga di tulle nero, con dei piccoli pois a rilievo, e un top di raso dorato, con spalline sottili. Ai piedi, aveva dei sandali dello stesso colore, con il tacco alto ma piuttosto largo. Alle orecchie si intravedevano degli orecchini con una pietra ovale nera e mi sembrava avesse un anello coordinato, mentre al polso destro luccicava un bracciale rigido dorato. Registrati tutti questi particolari, mi stupii di quanto fosse diversa da com’ero abituato a vederla di solito ma, allo stesso tempo, assolutamente in linea con la sua personalità. Per quanto elegante e, in un certo senso, sofisticato, quell’outfit era anche spontaneo e anticonvenzionale e la rappresentava totalmente.

Devo ammettere che stasera è proprio carina” commentò Brian, con un sorrisino.

Annuii, sorridendo a mia volta, perso in contemplazione.

Conti di andare a parlarci o hai intenzione di restare lì a fissarla per tutta la sera con gli occhi a cuore, come un idiota?” mi canzonò.

Scoppiai a ridere. “Non vedo l’ora di andare da lei,” confessai “ma a Kev lo dici tu?”

Brian annuì. “Kev lo sa già. Gliel’ho detto io”.

Strabuzzai gli occhi, incredulo. Brian mi sorrise. “Vai! Cosa aspetti?” mi spronò.

Gli diedi una pacca sulla spalla e scavalcai il cordone che limitava la zona VIP, dov’eravamo noi, da quella aperta a tutti, affrettandomi per arrivare al bancone prima di essere intercettato da qualche fan.

Le arrivai alle spalle e lei non se ne accorse, a causa della musica alta e del brusio del locale. In compenso, la sua amica mi notò subito, ma io mi misi un dito davanti alle labbra, pregandola di fare finta di niente. Lei capì subito, mi strizzò impercettibilmente l’occhio e continuò a chiacchierare, come se niente fosse. Avrei voluto cingerle la vita e baciarle il collo, ma non potevo farlo. Sapevo di avere addosso gli occhi di almeno metà delle persone presenti e il mio gesto sarebbe stato non solo notato ma, probabilmente, anche filmato, quindi preferii optare per qualcosa di più innocente e le coprii gli occhi con le mani. Immediatamente, lei posò le sue mani sulle mie, cercando di capire di chi si trattasse usando il tatto. Lasciai che facesse scorrere il palmi delle sue mani sul dorso delle mie, cercando di ignorare, per quanto possibile, le scariche elettriche che mi percorrevano la schiena a quel contatto. Dopo aver raccolto dati sufficienti, disse, semplicemente “Nick”.

Sorrisi e le scoprii gli occhi, facendo un passo, per arrivarle accanto. “Come hai fatto a indovinare?” chiesi.

Lei alzò le spalle. “Ho riconosciuto le tue mani”.

Cos’hanno di speciale che le rende riconoscibili?” mi informai, curioso.

Nulla,” confessò “ma mi piacciono”. Poi distolse lo sguardo, imbarazzata per quell’ammissione.

Dovetti fare appello a tutta la mia forza di volontà per non prenderla tra le braccia e baciarla, ma ero consapevole che non avrei resistito a lungo.

In quel momento, Jessica si intromise nel discorso, commentando “Siete così dolci da essere quasi disgustosi” scherzò. “Mi levo di torno e vi lascio amoreggiare in pace”.

Alice rise e anch’io mi lasciai scappare una risatina, però mi affrettai a ribattere “Tranquilla, non ce n’è bisogno. Ci dileguiamo noi”. Presi la mano di Alice, la feci scendere dallo sgabello e la trascinai verso la zona VIP, da cui ero venuto, alla ricerca di Mike. Mentre ci allontanavamo, la sua mano stretta nella mia e centinaia di occhi che seguivano ogni nostro movimento, notai che lei si era voltata a salutare l’amica, la quale le aveva fatto l’occhiolino. Quella ragazza mi piaceva, dovevo ricordarmi di ringraziarla, prima o poi.

Dove stiamo andando?” mi chiese, avvicinando il viso al mio orecchio.

Voglio un posto tranquillo dove poterti finalmente baciare in pace” risposi.

Tipo?”

Scossi la testa. “Non lo so” ammisi. “Sto cercando di pensare, ma non mi viene in mente nulla. A parte la mia cabina”.

Le rivolsi uno sguardo preoccupato. Dio solo sapeva quanto avrei voluto portarla nella mia cabina e chiudermi il mondo alle spalle, ma non volevo spaventarla e, soprattutto, non volevo che fraintendesse le mie intenzioni. Non stavo architettando di portarmela a letto. Non che non mi sarebbe piaciuto, anzi, ma non era la mia priorità. A differenza di tutte le altre volte, in cui non mi era mai importato un granché di cosa pensasse la fortunata di turno, ci tenevo che Alice mantenesse un’alta opinione di me e non volevo rischiare di rovinare tutto per aver affrettato i tempi. Potevo aspettare. Volevo solo stare con lei, da solo, senza sentirmi un riflettore puntato addosso.

Okay” sussurrò, prima di distogliere lo sguardo, imbarazzata.

Spalancai gli occhi, stupito. “Davvero?” domandai.

Lei annuì. “Almeno non ci disturberà nessuno. Qui mi sento osservata”.

Le strinsi più forte la mano e sorrisi. Non vedevo l’ora di poterla toccare, sfiorarle il viso, sentire di nuovo il sapore delle sue labbra.

Andiamo, allora” dissi.

Intercettato Mike, gli chiesi di accompagnarci alla mia cabina e lui eseguì immediatamente, scortandoci fuori dal club, fino all’ascensore. Non smisi mai di stringere la mano di Alice, nemmeno quando alcune ragazze mi fermarono per fare due chiacchiere. Scambiai due parole, cercando di essere gentile, poi mi affrettai a raggiungere l’ascensore. Arrivati al piano, uscimmo e Mike ci accompagnò fino alla porta della mia cabina.

Se hai bisogno, chiama” mi disse.

Io annuii. “Grazie”.

Lui fece un sorriso ad Alice e si dileguò.

Aprii la porta con la chiave magnetica che tenevo in tasca, la feci entrare e me la richiusi alle spalle.

Finalmente” mi lasciai sfuggire, non appena fummo soli.

Alice si voltò a guardarmi e sorrise. “Sì, finalmente”.

Feci un passo verso di lei. “Lo sai che sei particolarmente carina, stasera?” le dissi, ricambiando il sorriso.

Anche tu non sei niente male” confessò. “Mi piaci vestito elegante”.

Beh, grazie” risposi, onorato del complimento.

Lei mi osservò con attenzione, piegando leggermente la testa di lato, poi chiese “Com’è che gli altri avevano il papillon e tu no?”

Perché mi sarei sentito un pinguino” osservai.

Non è vero,” replicò “A.J. non sembrava un pinguino”. Poi, dopo averci riflettuto un istante, aggiunse “Forse Brian e Kevin un pochino sì, ma credo avesse più a che fare con la giacca bianca che con il papillon”.

Non riuscii a resistere e scoppiai a ridere e lei mi fece compagnia. Quando esaurimmo l’ilarità, mi avvicinai e le misi le mani sulla vita.

Ehi” sussurrai, guardandola negli occhi.

Ehi” fece lei, senza staccare gli occhi dai miei.

Mi abbassai leggermente, fino a posare la mia fronte contro la sua, e lei chiuse gli occhi. Staccai le mani dalla sua vita, per prenderle il viso e, finalmente, fare ciò che sognavo di fare da tutta la sera. Non appena le nostre labbra si incontrarono, mi sembrò di essere tornato a casa. Il momento non poteva essere più perfetto, ero esattamente dove avrei voluto essere, in pace con l’universo. Senza nemmeno rendermi conto di quello che stavo facendo, le feci scivolare le mani lungo il collo, affondandole nei suoi capelli, mentre approfondivo il bacio. Preso dalla passione, mi allontanai dalle labbra, scendendo lungo la mascella e trovandomi a baciarle il collo. Lei chiuse gli occhi, buttò indietro la testa e mi passò le mani tra i capelli. Stavo già spostandomi verso la spalla, quando realizzai cosa stava succedendo e mi bloccai di colpo. Stavo giocando col fuoco e sapevo che, se non mi fossi fermato in quel momento, non sarei stato più in grado di farlo. Alice aprì gli occhi e mi rivolse uno sguardo sorpreso, come se non capisse perché all’improvviso avessi smesso di fare quello che stavo facendo.

Sei sicura?” le chiesi, sfiorandole il viso con la punta di un dito. “Non voglio farti fare qualcosa che non ti senti”.

Lei sorrise. “Se non fossi stata sicura, non avrei oltrepassato quella porta” disse.

Le presi una mano e, posando l’altra sulla parte bassa della sua schiena, le feci fare un passo indietro, fino ad aiutarla a distendersi sul letto. Poi mi tolsi la giacca e, con qualche difficoltà, le sfilai i sandali, facendola sorridere. Quando mi sdraiai sopra di lei, ricominciando a baciarla, e sentii le sue mani che mi si posavano sul petto, iniziando ad armeggiare con i bottoni della camicia, chiusi gli occhi e mi lasciai sfuggire un sospiro. Non vedevo l’ora di poter esplorare ogni centimetro della sua pelle per sentirmi il più possibile vicino a lei e, considerato come le sue mani si erano infilate sotto alla mia camicia, cominciando ad accarezzarmi la schiena, doveva essere lo stesso per lei.

 

I've been thinking
Maybe you can
Help me write the story of my life
Hey what do you say?

(Story of My Life – Bon Jovi)
 

Ecco finalmente arrivato il momento in cui qualcosa si muove per i nostri due protagonisti. Alice ha modo di conoscere il vero Nick e scopre che, se Nick dei Backstreet Boys non è il suo tipo, forse NIck Carter potrebbe esserlo. C'è parecchio fluff in questo lungo capitolo ed è giusto che sia così. Ahimè - e ahiloro soprattutto - non sarà tutto rose e fiori. Soprattutto perché non si può restare in crociera per sempre... 
Spero sempre di leggere qualche commento da parte delle due sparute anime che stanno seguendo la storia. Mi farebbe piacere fare la vostra conoscenza, davvero. Resto in attesa di un miracolo...

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 5 – Knee Deep in My Heart ***


 

CAPITOLO 5 – Knee Deep in My Heart

 

I never saw it coming
You took me by surprise
'Cause you ain't done the cover
Without an alibi
You done the perfect crime girl
Now I wanna do the time
'Cause I got no defense but hell
I'm gonna walk the line

(Knee Deep in My Heart – Shane Filan)

 

Mi svegliai, il mattino seguente, a causa dello stomaco che brontolava e, solo allora, mi accorsi di una piacevole sensazione alla schiena. Senza aprire gli occhi, cercai di indovinare di cosa si trattava e dedussi che qualcuno di mi stava accarezzando, delicatamente, formando dei piccoli cerchi con la punta delle dita. Sorrisi. Non potevo sperare in un risveglio migliore. Aprii lentamente gli occhi e trovai Alice che mi sorrideva, una mano sotto al cuscino e l’altra che tracciava disegni circolari sulla mia schiena. Allungai il collo, fino a raggiungere le sue labbra, e vi posai un bacio leggero, sussurrando “Buongiorno”.

Buongiorno” rispose lei, sorridendo. “Dai rumori che provengono dal tuo stomaco, deduco che qualcuno abbia fame”.

Annuii, liberando un braccio da sotto al corpo e passandoglielo dietro alla schiena, tirandola a me.

Tu non hai fame?” le chiesi, mentre le baciavo il collo.

Lei annuì. “In effetti, sì”.

Allora faccio portare la colazione” annunciai, allungando un braccio, fino ad afferrare il telefono sul comodino.

 

Addentai un croissant al cioccolato e mi voltai a guardare Nick, commentando, soddisfatta “Buono”.

Lui rise, poi allungò una mano verso il mio viso e mi sfiorò il labbro inferiore con il pollice, pulendo una traccia di cioccolato che il mio morso aveva lasciato.

“Grazie” farfugliai, con la bocca piena, mentre lui si succhiava il dito.

Mi diede un bacio sulla guancia, poi bevve un sorso di cappuccino e chiese “Siamo già ai ringraziamenti? Perché ne ho qualcuno anch’io”.

“Del tipo?” domandai, curiosa.

“Beh, grazie per stanotte. Non me l’aspettavo” confessò.

Alzai le spalle. “Nemmeno io” ammisi. “Non l’avevo programmato. Ma, poi, quando siamo arrivati qui e ti ho guardato, nel tuo bel completo elegante, ho pensato perché no?”

Nick spalancò gli occhi “Ah, è questo che hai pensato, quindi?” chiese, fingendosi offeso. “E io che credevo che avessi fatto l’amore con me perché mi ami alla follia”.

Ridacchiai, cercando di ignorare i battiti accelerati del mio cuore, quando l’avevo sentito pronunciare quelle parole, sebbene per scherzo.

“Beh, ovviamente non mi sei del tutto indifferente, se no non l’avrei fatto” sussurrai, avvicinandomi e sfregando il naso contro il suo.

Lui mi prese il viso tra le mani e mi baciò. Poi guardò l’orologio che aveva al polso e si lasciò sfuggire un sospiro. “Vorrei poter restare qui con te tutto il giorno, ma purtroppo il dovere mi chiama” si giustificò.

“Cosa fai di bello oggi?” gli domandai, sorseggiando il mio caffè e guardandolo, mentre si alzava e recuperava gli indumenti sparsi sul pavimento.

“Abbiamo la mattinata impegnata per le foto con le fan, e anche parte del pomeriggio” spiegò. “Poi una serie di attività singole, tra cui la proiezione del mio film, se vuoi venire, un evento privato per chi ha prenotato le suite e un Q&A sul ponte. È una giornata infernale, temo che non riusciremo a parlarci fino a stasera” concluse, rivolgendomi uno sguardo dispiaciuto.

“Non fare quella faccia da cane bastonato” lo rimproverai. “Non fa niente. Devi lavorare, lo capisco. Ci vedremo quando potrai”. Poi aggiunsi “E, comunque, oggi tocca anche a noi fare la foto con voi, quindi ci vedremo comunque”.

Mi sorrise. “Io sto sempre in mezzo, tra A.J. e Kevin. Non azzardarti a metterti da un’altra parte, ti voglio vicino a me”.

“Tranquillo. Non sarà questo grande sacrificio mettermi tra te ed A.J.” commentai, con un sorrisino allusivo.

Lui capì subito che lo stavo prendendo in giro, dimenticò quello che stava facendo e tornò sul letto con me. Mi prese per la vita e mi trascinò più vicina, finché non mi ritrovai praticamente sotto di lui. “Ehi,” disse “speravo che avessi un nuovo preferito”.

“Diciamo che sto iniziando a cambiare gusti” sentenziai, ridacchiando.

Mi diede un altro bacio e annunciò “Vado a fare la doccia”.

 

Mentre ero sotto il getto caldo, con l’acqua che mi scorreva sulla faccia, pensai che ero felice. Anzi, più che felice, ero sereno. Appagato. Non era quella sensazione di euforia che di solito provavo all’inizio di una nuova relazione, dove mi sembrava di essere sulle montagne russe, con l’adrenalina che mi scorreva nelle vene. Con Alice era diverso. Non provavo eccitazione quanto, piuttosto, una confortante sensazione di benessere e tranquillità. Non mi ero mai sentito così prima di allora, almeno agli inizi. Quella sensazione arrivava molto più in là, quando le cose si assestavano. Odiavo l’idea di non poterla vedere per tutto il giorno, ma sapevo che non potevo farci nulla. E, comunque, contavo sul fatto che avremmo ancora avuto una notte tutta per noi, prima di sbarcare a Barcellona. La sola idea che la crociera finisse mi provocò una fitta al petto. Non sapevo cos’avrei fatto, ma non volevo lasciarla. Dovevo trovare il modo di tenerla con me. Era azzardato, affrettato, irrazionale e tutta una serie di altri aggettivi che sottolineavano la follia intrinseca in quel progetto, ma non mi importava. Sapevo solo che volevo stare con lei, a tutti i costi. Dovevo trovare un modo per gestire la situazione, non potevo perderla. Purtroppo, non avevo tempo per riflettere sul da farsi perché il dovere chiamava.

Uscii dalla doccia, strofinandomi i capelli con un asciugamano, mi avvolsi un telo intorno ai fianchi e tornai in camera, sorridendo alla vista di Alice che curiosava tra il mucchio di regali che mi avevano lasciato le fan e che, ogni giorno, mi venivano recapitati in camera da qualcuno dello staff.

Mi appoggiai allo stipite della porta, perso in contemplazione del suo sguardo concentrato, mentre leggeva un biglietto scritto a mano. Accortasi che la stavo osservando, alzò la testa e mi sorrise. “Questa ragazza ti ha fatto un ritratto bellissimo” disse, sventolando un foglio da disegno.

Annuii. “Ne ho una caterva a casa” commentai. “Abbiamo delle fan molto creative”.

E poi ci sono io, che so a malapena i titoli dei vostri CD” sentenziò, ridacchiando.

Mi avvicinai e le posai un bacio sulla punta del naso, provocando una buffa smorfia da parte sua. “Non è vero,” obiettai “sai molto più di quello che credi. E, comunque, sei perfetta così”.

Lei mi sorrise e mi sentii pervadere da una sensazione di calore, come se il sole avesse improvvisamente inondato la stanza. Solo che di sole non ce n’era nemmeno traccia.

Meglio che mi prepari anch’io e torni alla mia cabina” disse, scostando le coperte e alzandosi dal letto”.

Aspetta che io sia uscito” le consigliai. “Così non ci saranno più fan in attesa in fondo al corridoio e nessuno ti noterà”.

Alice annuì, iniziando a raccattare i suoi vestiti. Improvvisamente, realizzai che, forse, la vaporosa gonna di tulle con il top dorato e i sandali eleganti che indossava la sera prima non erano proprio l’abbigliamento migliore per passare inosservata. Chiunque l’avesse vista avrebbe capito che non aveva passato la notte nella sua cabina e, se qualcuno ci aveva notato allontanarci dal club insieme, la sera precedente, avrebbe subito fatto due più due. Non che mi importasse, non mi vergognavo di essermi portato una ragazza in cabina, men che meno considerato che, questa volta, non si era trattato solo di sesso, ma stavo iniziando a provare qualcosa per lei. Ma sospettavo che lei non fosse della mia stessa idea e non la biasimavo. Io avevo scelto la fama e, avendoci avuto a che fare da quando ero un ragazzino, ormai sapevo come gestirla. Lei aveva scelto me e si era trovata a dover gestire la mia fama come diretta conseguenza. Non era facile, me ne rendevo conto. Avrebbe dovuto farci l’abitudine se, come speravo, la nostra storia avesse avuto un futuro. Ma, forse, una nave da crociera non era il posto migliore per imparare a gestire i pettegolezzi. Senza dire nulla, mi avvicinai alla mia valigia, recuperai un paio di pantaloncini di felpa grigi e una t-shirt nera, con lo stemma della mia squadra di football. Ci ero molto affezionato ma, per una serie di motivi, mi faceva piacere sapere che l’aveva lei, come il cappellino che le avevo dato il giorno prima.

Tieni, mettiti questi” le dissi, porgendole i vestiti. “Ti staranno un po’ larghi, ma almeno darai meno nell’occhio mentre torni in cabina”.

Grazie” mi sussurrò, sorridendo.

Ma ti pare”.

Ci vestimmo entrambi in silenzio, lei infilò gli indumenti della sera prima in una busta di plastica del servizio lavanderia e ci dirigemmo alla porta. Le misi le mani sulle spalle e lei mi cinse la vita con le sue.

Aspetta una decina di minuti, prima di uscire” le suggerii, guardandola negli occhi.

Okay” rispose, annuendo.

Ci vediamo più tardi per la foto” dissi, baciandole la fronte.

A dopo” mi salutò, con un sorriso.

Avevo già abbassato la maniglia della porta per uscire, quando ci ripensai e mi voltai di nuovo verso di lei. La presi tra le braccia e incollai le labbra sulle sue, in un bacio appassionato.

E questo per che cos’era?” mi chiese, ridendo.

Perché so già che mi mancherai da morire e dovrò aspettare fino a stasera per baciarti di nuovo” spiegai.

Adesso vai,” mi spronò, spingendomi fuori dalla porta “se no fai tardi e non voglio essere sgridata da Kevin perché ti ho trattenuto”.

Uscii dalla stanza ridendo, sotto lo sguardo stupito di Mike che, lo sapevo, era da parecchio che non mi vedeva così di buon umore.

 

Feci come mi aveva detto, aspettai ancora una decina di minuti, poi aprii la porta della cabina e misi fuori la testa, dando un’occhiata al corridoio, per controllare che non ci fosse nessuno. Appurato che il passaggio era sgombro, mi avviai furtiva verso l’atrio, per prendere l’ascensore. Non incontrai nessuno, a parte un paio di addetti alla sicurezza, che mi salutarono con un sorriso. Decisi di non chiedermi se fossero abituati a vedere ragazze sgattaiolare fuori dalla stanza di Nick, non ero sicura di volerlo veramente sapere. Salii in ascensore e fui molto sollevata di arrivare al mio piano senza incontrare nessuno. Mentre raggiungevo la porta della nostra cabina, incrociai diverse ragazze, ma nessuna sembrava interessata a me. Sospirai di sollievo e ringraziai Nick per la fantastica idea di non farmi indossare i vestiti della sera prima, con cui sarei stata un pesce fuor d’acqua. Arrivata alla nostra porta, presi la chiave magnetica dalla borsetta e feci scattare la serratura. Appena messo piede all’interno della cabina, fui accolta dallo sguardo stupito di Jessica, che stava frugando nella sua valigia alla ricerca di qualcosa. Notai che i suoi occhi passavano dai pantaloncini, decisamente troppo grandi e lunghi per me, alla maglietta che, per qualsiasi vera fan del biondino del gruppo, gridava a gran voce il nome del suo proprietario, per poi soffermarsi sulla busta di plastica contenente i miei vestiti.

“Ti prego, non dire niente” la supplicai, con un sospiro.

Lei si lasciò sfuggire un sorrisino divertito. “Giuro che non fiato, ma tu adesso mi racconti tutto”.

 

Passai la giornata con Jessica e le altre due ragazze italiane che avevamo conosciuto. Facemmo colazione insieme – io bevvi solo una tazza di caffè, inventandomi un mal di mare inesistente per giustificare la mia inappetenza – e assistemmo agli eventi della giornata, senza mischiarci alla calca di fan sotto al palco, ma tenendoci in posizione defilata. Oltre ai concerti di A.J. e Kevin, Howie che giocava a beer pong e Brian e sua moglie che preparavano burritos sul ponte, aiutati dagli chef della nave, andammo a guardare A.J. che giocava a blackjack. Per un caso fortuito, ci trovammo accanto alla via d’accesso al salone e, mentre passava, A.J. mi notò. Si fermò inaspettatamente davanti a me, provocando la gioia delle amiche italiane che erano con noi, si abbassò gli occhiali da sole e, con un sorriso, mi disse “Dammi un bacio, tesoro, ho bisogno di fortuna”.

Mi venne da ridere perché era chiaro che non fosse stato un caso. Mi aveva notata e aveva deciso di fare quella scena di proposito. Decisi comunque di stare al gioco, gli posai le mani sulle spalle e gli baciai una guancia. Mentre mi avvicinavo, mi bisbigliò, all’orecchio “Non vedo l’ora di dirlo a Nick e vedere la sua faccia”. A quel punto non riuscii a resistere e scoppiai a ridere, pensando che adoravo il suo senso dell’umorismo.

Nel pomeriggio, dopo aver pranzato tutte insieme, io, Jessica e le altre due italiane tornammo in cabina per prepararci alla foto con i ragazzi. Indossai un vestitino nero e bianco con dei fiori stilizzati, mi truccai e Jessica mi sistemò un po’ i capelli, poi andammo al punto stabilito e ci mettemmo in fila, in attesa del nostro turno. Per ingannare il tempo, iniziammo a chiacchierare e a decidere come posizionarci per la foto.

“Ho sentito che la disposizione dovrebbe essere Brian, A.J., Nick, Kevin e Howie” ci informò Laura.

Annuii, distrattamente. Combaciava con quanto mi aveva detto Nick ma, ovviamente, non potevo rivelarlo.

“Alice si deve mettere vicino a Nick” annunciò Jessica, passandomi un braccio intorno alle spalle.

Spalancai gli occhi. Le avevo raccontato nel dettaglio cos’era successo la sera precedente e quella mattina, compresa la richiesta di Nick di avermi vicina durante la foto, ma non immaginavo che l’avrebbe fatto sapere alle altre ragazze.

“Ma a te non piaceva A.J.?” mi chiese Cristina, rivolgendomi un’occhiata perplessa.

Annuii, iniziando ad andare nel panico. Qualcosa mi diceva che mi stavo cacciando nei guai.

“Sì, ma ha cambiato un po’ idea ultimamente” mi prese in giro Jessica.

Le rifilai una gomitata nel fianco, sibilando “Piantala”, ma non potei fare a meno di spiegare, date le espressioni curiose delle altre due ragazze. Sospirando, rassegnata, raccontai di come avessi prestato l’accendino a Nick, la prima sera, e avessimo fatto amicizia, motivo per cui mi aveva invitata al loro tavolo, la sera che Justin era venuto a chiamarmi. Dissi anche che ci eravamo parlati ancora, nei giorni successivi, perché avevamo scoperto di avere parecchie cose in comune e andavamo d’accordo, omettendo, ovviamente, particolari personali come aver trascorso un’intera giornata a Firenze insieme – e aver passato la notte precedente con lui.

“Ieri mi ha fatto promettere di stare vicino a lui, per la foto” conclusi, sperando di averle convinte.

“Quindi...sei tu la misteriosa ragazza con cui è stato visto allontanarsi dal club, ieri notte?” domandò Laura.

Iniziai a sudare freddo. Ci avevano visti, ovviamente. Come potevo sperare il contrario?

Cercai di sdrammatizzare. “Non mi definirei misteriosa ma, sì, ero io”.

“Cos’avete combinato?” mi chiese Cristina, curiosa. “Girano le teorie più assurde”.

“Del tipo?” domandai, terrorizzata.

La ragazza alzò le spalle. “C’è chi dice che abbiate passato una notte di travolgente passione nella sua cabina e chi sostiene che lui abbia perso la testa per questa ragazza – per te. Altre sostengono che lui stia cercando di conquistarla per capriccio, perché lei gli ha detto che non gli piace. Il che, conoscendoti, potrebbe anche essere” sentenziò, ridendo.

Risi anch’io, ostentando indifferenza, mentre, in realtà, avevo il cuore che batteva a mille.

“Nulla di tutto ciò” minimizzai mentre, dentro di me, dicevo ‘praticamente tutto quello di cui sopra’. “In realtà abbiamo soltanto chiacchierato. Tutte le volte”.

“Cosa ti ha detto?” volle sapere Laura. “Racconta! Non è da tutte fare amicizia con Nick Carter”.

Alzai le spalle. “Mi ha raccontato della sua famiglia e della sua ex”.

“Lauren?” chiese Cristina.

Annuii.

“Hai scoperto perché si sono lasciati?” si informò Laura.

‘Eccome se l’ho scoperto’ pensai, ma scossi la testa. “Non è entrato nei dettagli. Mi ha detto solo che ha capito che non era quella giusta per lui”.

“Sai se si vede con qualcuna, adesso?” domandò Cristina.

Mi venne da ridere. ‘Tipo io?’ pensai. “Non ne ho idea” risposi. “Dice di essere molto preso con il lavoro e mi è sembrato di capire che debba ancora superare del tutto la rottura”.

“Povero cucciolo, se vuole mi offro volontaria per fargli dimenticare quell’arpia” commentò Laura, ridacchiando.

Risi anch’io ma, sotto sotto, provai una punta di gelosia che mi stupì. Okay, ci eravamo baciati, eravamo andati a letto insieme e avevo scoperto che mi piaceva, ma non potevo essere gelosa di Nick Carter. Cosa mi stava succedendo? Che stessi iniziando a provare qualcosa per lui? Fui percorsa da un brivido e scossi la testa. Se fosse stato vero, avrebbe rappresentato un gran bel problema.

In quel momento, la nostra attenzione fu richiamata da un membro dello staff che ci faceva cenno di entrare, perché era il nostro turno. Avanzammo e, in pochi istanti, ci trovammo davanti ai ragazzi, vestiti da marinai, come il primo giorno. Mentre le altre andavano in visibilio, ad averli tutti così vicini e a poter parlare con loro, io ero abbastanza tranquilla. Non era la prima volta che mi capitava di trovarmi accanto a loro e ci avevo parlato per una sera intera, quindi non mi impressionava più. Spostai immediatamente lo sguardo su Nick e lui mi sorrise. Il mio cuore mancò un battito e pensai che fosse bellissimo in uniforme. Allo stesso tempo, mi sentii stupida a fare certe riflessioni, ma non potevo controllare i pensieri. Dopo aver salutato le altre ragazze, e mentre io salutavo gli altri Backstreet Boys – con A.J. che mi bisbigliava all’orecchio che Nick aveva minacciato di ucciderlo se si fosse azzardato a baciarmi di nuovo – Nick allungò una mano verso di me, che mi affrettai a stringergliela. Mi tirò a sé e mi cinse la vita con un braccio, facendomi posizionare tra lui ed A.J. per la foto. Nel frattempo, anche le altre ragazze si erano sistemate, aiutate dai ragazzi: Laura tra Brian ed A.J., Jessica tra Nick e Kevin e Cristina tra Kevin e Howie. Un paio di flash e tutto terminò. Mi staccai da Nick, farfugliando un grazie generico, rivolto a tutti, poi feci un passo verso l’uscita, per allontanarmi, insieme alle altre. Lui mi trattenne per un braccio e mi tirò a sé, stringendomi in un abbraccio, che mi colse del tutto di sorpresa. Chiusi gli occhi e, cercando di non farmi notare troppo, nascosi il viso nel suo collo, respirando il suo profumo.

“Ci vediamo dopo” mi sussurrò, prima di lasciarmi andare.

Gli sorrisi e annuii, allontanandomi, con il cuore che batteva velocissimo.

Non appena uscii dalla stanza, chiusi gli occhi e presi un respiro profondo, cercando di riprendermi. Non tanto dall’incontro, quanto dalla consapevolezza, che mi si era appena rivelata in tutta la sua lampante semplicità, di essermi innamorata di Nick Carter.

 

La guardai allontanarsi, senza staccarle gli occhi di dosso, finché non scomparve dalla mia vista, e fui richiamato alla realtà soltanto quando Kevin mi mise una mano sulla spalla e, con un sorrisino divertito, commentò “Sei proprio cotto, Carter”.

Sorrisi e non mi diedi nemmeno la pena di negare. Era vero, ero cotto. E non vedevo l’ora di poterla stringere di nuovo tra le mie braccia.

 

Dopo la foto di gruppo, tornammo in cabina a cambiarci e la povera Jessica dovette sopportarmi mentre la rimproveravo di avermi fatto confessare il mio rapporto privilegiato con Nick alle altre ragazze.

“Smettila di lamentarti e pensa a che putiferio verrebbe fuori se scoprissero che sei andata a letto con lui” sentenziò.

“Oddio, credo che tenterebbero di uccidermi” commentai, terrorizzata.

Ci guardammo e scoppiammo a ridere, iniziando a elencare tutti i modi più cruenti in cui avrebbero potuto tentare di liberarsi di me. Stavamo ancora sghignazzando quando raggiungemmo il ponte per assistere al Q&A. Ci incontrammo nuovamente con Laura e Cristina, e anche con le due ragazze spagnole che ormai facevano parte del nostro gruppetto, le quali, debitamente informate dalle altre due, mi subissarono di domande su Nick a cui dovetti arrampicarmi sugli specchi per rispondere senza svelare nulla di compromettente. Finalmente, l’evento iniziò e ci concentrammo tutte sulle domande che venivano poste ai ragazzi. Alcune risposte furono molto divertenti, specialmente quando qualcuno non capiva di dover rispondere o Brian iniziava a fare le sue facce buffe. In particolare, mi colpì il fatto che, alla domanda ‘Qual è la parte migliore delle crociere?’, Nick rispose ‘Non dormire’, accompagnando la risposta con un sorrisino malizioso, mentre il suo sguardo vagava sulla folla, come se la stesse scrutando in cerca di qualcuno. Mi domandai se fossi stata l’unica a notarlo, ma subito dopo Howie, seduto accanto a lui, gli diede una leggera gomitata nel fianco e scoppiarono a ridere. Sorrisi, tra me, certa che Nick si fosse confidato con i ragazzi. Non lo biasimavo. D’altra parte, io avevo raccontato tutto nel dettaglio a Jessica.

Quando, mezz’oretta dopo, l’evento terminò, era ormai ora di cena, e ci dirigemmo tutte verso la sala da pranzo, per goderci l’ultimo pasto in compagnia.

Dopo cena, tornammo in cabina a cambiarci per l’ennesima volta, in vista della serata a tema. Il titolo era Leather and Lace e, incurante degli outfit opinabili scelti da molte altre ragazze, che sembravano usciti direttamente dal set di Cinquanta sfumature di grigio, io avevo optato per qualcosa di leggermente più sobrio: pantaloni di pelle neri, maglietta di pizzo un po’ trasparente, con una canotta in tinta, a fornire la copertura adeguata, stivaletti neri alla caviglia con un po’ di tacco e un bracciale di pelle dello stesso colore. Jessica mi aveva aiutata a truccarmi e sfoggiavo un fantastico smoky eye con tanto di eyeliner. Avevo deciso di legarmi i capelli in una coda alta, anche perché la festa era stata nuovamente spostata all’interno a causa del maltempo e ricordavo fin troppo bene come la temperatura si fosse fatta presto insostenibile, la prima sera.

All’orario stabilito, raggiungemmo il salone, trovandolo già gremito di fan scatenate in attesa dei ragazzi, che arrivarono poco dopo, con una serie di costumi pseudo sadomaso, uno più improponibile dell’altro. Nick era vestito di nero, con una maglietta attillata e una maschera dorata che gli copriva metà viso. La situazione degenerò molto in fretta, non appena la musica partì e Kevin, Nick e Howie iniziarono a chiamare ragazze sul palco, a cui facevamo indossare manette e fasce per coprire gli occhi, per poi strusciarsi contro di loro a ritmo di musica, con la folla che li incitava. Nel frattempo, A.J. e Brian giravano per la sala, scattando foto e facendo gli scemi. Io e Jessica osservavamo il tutto dalla nostra postazione defilata, sul fondo. A un certo punto, guardando Nick che ballava con una ragazza sul palco, il viso a pochi centimetri dalle sue labbra, la mia amica si voltò e mi rivolse uno sguardo preoccupato. “Ti dà fastidio?” domandò.

Sorrisi e scossi la testa. “Ma no, figurati” la rassicurai. “Fa tutto parte dello show”.

Anche Jessica sorrise e commentò “Mi piace questa consapevolezza che, tanto, quella a cui toglierà i vestiti sarai tu”.

Spalancai gli occhi, stupita, ma non potei fare a meno di scoppiare a ridere.

In quel momento, mi sentii afferrare la vita da qualcuno alle mie spalle e mi voltai, spaventata, solo per trovare Brian che mi sorrideva, con una buffa bandana di pizzo in testa e l’occhio sinistro truccato di nero. Presi un respiro profondo e lo rimproverai “Devi smetterla di spaventarmi”.

“Scusa,” replicò lui, ridendo “è che sei buffa quando ti prendo di sorpresa”.

Gli sorrisi, benevola. Non riuscivo a restare arrabbiata quando mi faceva quei sorrisi.

“Dai, vieni” mi disse, prendendomi per mano. “Nick ti vuole sul palco”.

Scossi la testa e puntai i piedi. “Non ci penso nemmeno. Mi vergogno”.

“Gli dico di andarci piano, stai tranquilla” mi rassicurò.

“Non ti darà retta, lo sai” ribattei, scettica.

“Allora prova a dirglielo tu. A te dà ascolto” mi suggerì.

Sospirai, rassegnata e, lanciando uno sguardo disperato a Jessica, che ridacchiava, mi lasciai trascinare fin sotto al palco. Non appena mi vide, Nick sorrise e mi porse una mano per aiutarmi a salire.

“Ciao bellezza” mi salutò, facendo passare le mie mani attorno al suo collo e iniziando a ballare, il corpo incollato al mio.

Cercai di rilassarmi e non pensare che mi trovavo su un palco, davanti a centinaia di persone, mentre uno dei Backstreet Boys si stava strusciando addosso a me. Per un po’ riuscii a resistere, poi, però, Nick decise di passarmi la lingua sul collo e non riuscii a sopportare oltre l’imbarazzo.

“Smettila, ti prego” gli bisbigliai. “Mi stai facendo morire d’imbarazzo”.

Sentii le sue labbra, che ancora erano sulla mia pelle, curvarsi in un sorriso. “Solo se prometti di venire con me, dopo” replicò, con voce bassa e roca.

“Dove?” gli domandai, in un sussurro.

“Nella mia cabina”.

“Nick!” mi lasciai sfuggire, indignata.

“Cosa?” chiese lui, allontanandosi e guardandomi negli occhi. Poi, avvicinandosi di nuovo al mio orecchio e fingendo di mordermelo, aggiunse “Voglio stare con te e lo sai che la mia cabina è l’unico posto tranquillo, dove non ci disturberanno”.

Sospirai. “Okay” cedetti, sorridendo.

“Bene. Allora puoi scendere dal palco” mi concesse. “Dirò a Mike di farti entrare in cabina. Aspettami là”.

 

Non appena riuscii a liberarmi, intercettai Mike e mi feci accompagnare in cabina. Era l’ultima notte e desideravo passarla con Alice, senza sprecare nemmeno un secondo. Aprii la porta e la trovai che mi aspettava, seduta a gambe incrociate sul letto, con il telecomando della TV in mano.

Ciao” mi salutò, con un enorme sorriso. “Hai fatto presto”.

Ho cercato di liberarmi il prima possibile” confessai, togliendomi la maschera e le scarpe e andando a raggiungerla sul letto. Mi avvicinai e le presi il viso tra le mani, baciandola con passione. Lei ricambiò, passandomi le mani tra i capelli.

Sei tremendamente sexy, stasera” le sussurrai, baciandole il collo.

Lei rise. “Tu invece sei piuttosto ridicolo,” disse ma, vedendo il mio sguardo offeso, aggiunse “ma mi piaci lo stesso”.

Ricominciammo a baciarci e, piano piano, ci lasciammo prendere dalla passione. Entrambe le nostre magliette erano già volate da qualche parte, in giro per la stanza, e io stavo trafficando con la cerniera dei suoi pantaloni, mentre le sue mani mi scivolavano su e giù per la schiena, quando sentii l’urgenza di dirle “Dobbiamo parlare”. Lei smise di baciarmi e mi rivolse uno sguardo stupito. Le sorrisi “Ma direi di farlo dopo”. La sentii ridere e affondai il viso nel suo collo, riprendendo a baciarla e cercando di non pensare a quanto tempo sarebbe passato fino a quando avrei potuto farlo di nuovo.

 

Ero abbracciata a Nick, la testa sul suo petto, la sua mano che mi accarezzava la schiena e la mia che percorreva ogni centimetro del suo petto, quasi a volerlo studiare, per imprimerselo nella memoria. Non avevo idea di che ora fosse e nemmeno mi interessava. Sospirai, beata. Mai avrei pensato di trovarmi in quella situazione, specialmente con lui, ma non avrei voluto essere da nessun’altra parte, in quel momento. Avrei voluto che il tempo si fermasse. Lui mi posò un bacio sui capelli e mi canticchiò, a voce bassa “Close your eyes, make a wish, this could last forever…”.

Sorrisi. “Non ti ho mai ringraziato per la canzone” dissi, senza muovere un muscolo.

“Ti è piaciuta?” mi chiese, iniziando a giocare con i miei capelli.

“Molto”.

“Ne ero sicuro” commentò.

Restammo un attimo in silenzio, i nostri respiri coordinati al battito del cuore dell’altro. Poi Nick disse “Vieni a Las Vegas con me”.

Alzai la testa di scatto, per guardarlo negli occhi. “Cosa?”

“Vieni a Las Vegas con me” ripetè, serio.

“Nick, sei ubriaco?”

“No, perché?” mi domandò, confuso.

“Dimmi che stai scherzando” lo pregai.

“Non sto scherzando” ribatté, deciso. “Non so più come fartelo capire. Mi piaci. Mi piace stare con te. Ti voglio. Devo tatuarmelo?”

Mi lasciai scappare una risata. “Propongo la fronte” scherzai.

Lui alzò un sopracciglio, scettico. Non era in vena di battute.

“Okay, afferrato il concetto” mi scusai, abbassando lo sguardo.

Mi prese una mano tra le sue. “Quindi?”

“Quindi no” risposi.

“Perché?”

“Perché non posso”.

“Perché no?” insistette.

“Ci conosciamo da tre giorni. Non puoi chiedermi di mollare tutto per venire con te dall’altra parte del mondo” tentai di farlo ragionare.

“Io lo farei” sentenziò.

“Tu sei pazzo” commentai, con un mezzo sorriso, cercando di alleggerire l’atmosfera.

“Forse. Di te sicuramente” ribatté, sorridendo a sua volta.

Alzai gli occhi al cielo. “Che frase da cliché” osservai, ironica. “Ma davvero rimorchi le ragazze con questa roba?”

Nick rise. “Sei crudele”.

“Sono realista” replicai e aggiunsi “e non riesco a capire cosa ci trovi in me il grande Nick Carter”.

Si tirò su, facendo leva sui gomiti, in modo da avere il viso alla stessa altezza del mio e potermi guardare dritta negli occhi. “Vuoi sapere cosa mi piace di te?” domandò. “Bene, ti accontento. Mi piace che non ti piaccio”.

Gli rivolsi uno sguardo confuso. “Scusa? Non ti seguo”.

Lui sospirò e tentò di spiegare. “Sai perfettamente chi sono, ma non sei una grande fan. Non sono mai stato il tuo preferito. Non sei in imbarazzo con me ed è qualcosa che succede molto raramente. E mi piace. Mi piace come mi fa sentire perché so che, se stai con me, è perché ti piace Nickolas Gene Carter e non Nick dei Backstreet Boys”.

“Mi piace quello che ho potuto conoscere di Nickolas in tre giorni” precisai.

“Vuoi conoscermi meglio? Vieni a Las Vegas con me e passiamo del tempo insieme” tornò alla carica.

“Non posso, te l’ho già spiegato”.

“Non mi hai ancora detto perché”.

“Devo lavorare” improvvisai. Era vero, anche se non era il motivo principale per cui non sarei andata a Las Vegas con lui.

“Okay. Io no. Ho una settimana completamente libera da impegni. Vengo io in Italia con te” propose, cogliendomi di sorpresa.

“Cosa?” esclamai, senza parole.

“Se non puoi venire tu, vengo io. Semplice” disse, come se stesse spiegando un concetto troppo difficile a un bambino delle elementari particolarmente lento.

“A casa mia?” farfugliai, cercando di riprendermi.

“Non mi vuoi?” domandò, incredulo.

Scossi la testa. “No, certo che ti voglio. Non è questo”.

“E allora cosa c’è?”

“C’è che ti annoierai a morte. Io sarò al lavoro tutto il giorno” tentai di farlo ragionare.

“Ma la sera tornerai e potremo stare insieme” osservò.

Lo fissai, senza dire nulla. Non riuscivo a trovare niente da obiettare alla sua proposta. Anzi, sotto sotto, anche se non l’avrei mai ammesso, l’idea di averlo una settimana intera a casa mia mi elettrizzava.

“Quindi?” mi spronò, senza staccare gli occhi dai miei.

“Okay” cedetti, con un sospiro rassegnato.

“Ottimo” commentò, sorridendo, felice. “Però mi devi fare una promessa”.

“Sentiamo. Ho già paura” lo incitai.

“Se questa settimana va bene, prenderai in considerazione l’idea di venire a Las Vegas”.

“A trovarti, intendi, vero?” ironizzai, tentando di nascondere il terrore che mi provocava la sola idea.

Nick sorrise e, sfiorandomi il viso con la mano, sussurrò “Inizialmente sì. Poi vedremo…”.

 

Posai la cornetta del telefono e mi voltai a guardare Alice, con un sorriso rassicurante.

Okay, tutto sistemato” annunciai. “Mi sono fatto prenotare un posto sul tuo stesso volo da Jen e ho chiesto l’upgrade in prima classe anche per te e la tua amica, così possiamo sederci vicini”.

Ecco, a questo proposito…” iniziò lei.

Sì?” le chiesi.

Jessica”.

La tua amica?”

Annuì. “Bisogna avvertirla. Prima che ti veda venire con noi e le prenda un colpo” mi spiegò.

Le sorrisi, di nuovo. “Stai tranquilla. Mando subito qualcuno a dirglielo. E le chiedo anche di preparare la tua roba, così non devi tornare nella tua cabina per fare i bagagli e puoi stare tutta la notte con me” aggiunsi, dandole un bacio.

D’accordo. Fammi anche portare un cambio per domani, già che ci sei” mi pregò.

Agli ordini, capo” commentai, facendole il saluto militare.


Ancora parecchio fluff in questo capitolo (tenerino Nick che se la vuole portare a casa), ma preparate i fazzoletti per il prossimo. Lettrici (due, immagino sempre le stesse, grazie per la fedeltà) avvisate...

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 6 – You and Me ***


CAPITOLO 6 – You and Me

 

What we have is beautiful
If I lost you
Then I'd lose it all
'Cause this world would be
Empty without you
It scares me that this life would mean
Nothing without you
Someday we'll have to say goodbye
I need to let you know that I
Will never try
To fill the space between
It'll only ever be
You and me

(You and Me – Shane Filan)

 

Arrivammo davanti alla porta del mio appartamento, presi le chiavi dalla borsa e aprii, spostandomi leggermente di lato per permettere a Nick di entrare e portare dentro le valigie.

“Eccoci arrivati” annunciai. “Benvenuto nella mia umile dimora”.

Lui fece un passo dentro e io lo seguii, chiudendo la porta. Poi si voltò e mi prese tra le braccia, baciandomi.

“Sono felice” disse, con un enorme sorriso stampato sul viso.

“Di essere qui?” domandai, stupita.

Lui annuì. “Di essere qui con te. Da soli. Senza fan intorno”.

“Se è solo per questo, c’è un’altissima probabilità che la maggior parte della gente nemmeno ti riconosca, qui” commentai, ridacchiando.

“Tanto meglio. Non potrei chiedere nulla di più” replicò, sereno.

Mi abbandonai tra le sue braccia e sospirai, chiudendo gli occhi. Ero esausta. Era stata una giornata assurda e la tensione non aveva smesso di divorarmi un solo minuto.

Io e Nick eravamo sbarcati dalla nave separatamente. Lui avrebbe voluto scendere con me, ma io avevo cercato di dissuaderlo. Non era il caso di tirarsi addosso le ire di tutte le fan dato che, fino a quel momento, eravamo riusciti a gestire la cosa con discrezione. Fortunatamente, non appena attraccati al porto di Barcellona, Jen era venuta a bussare alla porta di Nick, spiegandogli che aveva chiamato un’auto che ci aspettava per portarci all’aeroporto e offrendosi di accompagnarmi e poi andare a prendere anche Jessica che, nel frattempo, era stata avvertita del cambio di programma. Alla fine, Nick aveva ceduto, io avevo preso le mie cose e avevo seguito Jen alla macchina, dove, poco dopo, ero stata raggiunta da Jessica. Nick e gli altri erano sbarcati poco più tardi, in pompa magna, accolti dalle fan urlanti che volevano vedere i loro idoli per l’ultima volta e salutarli prima di partire. Poi aveva salutato gli amici e, scortato da Mike, mi aveva raggiunto all’auto, che ci aveva portato all’aeroporto. Non era stato semplice convincere Jen che Mike poteva tornarsene tranquillamente in America, lasciando Nick a cavarsela da solo, per quella settimana, perché non avrebbe avuto bisogno della sicurezza, dove stavamo andando. Avevo dovuto usare tutta la mia capacità di persuasione per spiegarle che, davvero, non ce n’era bisogno e che, anzi, avremmo attirato molto di più l’attenzione se Mike fosse stato con noi. Alla fine l’avevo convinta e aveva ceduto, raccomandandoci di non fare nulla di avventato e di tenere alta la guardia.

Il volo era stato tranquillo, complice il fatto che nessuno si aspettava che Nick venisse in Italia con me, quindi tutte le fan attendevano i ragazzi a un altro terminal. Una volta arrivati in Italia, avevo ricominciato a respirare regolarmente ma, solo una volta varcata la porta di casa, mi ero davvero rilassata.

“Sei stanca?” mi chiese, dandomi un bacio sui capelli.

Annuii. “È stata una giornata pesante”.

“Ma adesso siamo qui e posso finalmente coccolarti” mi sussurrò, avvicinando il viso al mio collo.

Sorrisi. “Sogno una serata sul divano, con la copertina e un film romantico” confessai.

“E l’avremo” mi promise. “Ma prima, se non ti dispiace, mangerei qualcosa”.

“Certo” concordai, ridendo e allontanandomi da lui. “Ma non ho voglia di cucinare, stasera, quindi ti va una pizza?” domandai, aprendo un cassetto e mostrandogli il menù della pizzeria d’asporto.

Lui sorrise e il suo sguardo si illuminò alla mia proposta. “Vera pizza italiana per cena” commentò. “E me lo chiedi anche?”

 

Tornai a casa dall’ufficio piuttosto stanca ma, mentre infilavo la chiave nella toppa, mi ritrovai a sorridere al pensiero di trovare Nick ad aspettarmi. Erano ormai passati quattro giorni da quando era tornato a casa con me, dopo la crociera, e tre da quando avevo ripreso a lavorare, dopo una domenica fantastica passata a coccolarci sul divano, guardando vecchi film. Ormai avevamo trovato una sorta di routine e, ogni sera, lo trovavo ad aspettarmi sul divano, mentre guardava qualche strano sport alla TV. Non appena mettevo piede in casa, mi veniva incontro e mi abbracciava stretta, sollevandomi da terra e sussurrandomi “Mi sei mancata”.

Odiavo ammetterlo, perché avevo cercato di evitarlo con tutta me stessa, ma mi ero affezionata tantissimo a lui e, più lo conoscevo, più imparavo ad apprezzarlo, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Adoravo averlo intorno, mia faceva sentire meno il peso della quotidianità, ed era bello passare la giornata in ufficio aspettando il momento in cui avrei potuto tornare a casa e riabbracciarlo. Sapevo che il momento della partenza sarebbe stato duro per entrambi, e pregavo che quei pochi giorni che ci restavano da trascorrere insieme, passassero il più lentamente possibile.

Quella sera, entrando nel mio appartamento, puntai subito lo sguardo sul divano, aspettandomi di trovarlo lì che mi sorrideva, con il viso illuminato e gli occhi che brillavano. Invece, il divano era desolatamente vuoto e il mio cuore ebbe un tuffo, presagendo quello che mi sarebbe aspettato di lì a poco, dopo la sua partenza. Quando la mia parte razionale riprese il sopravvento e realizzai che non poteva essere sparito, mi guardai intorno e avvertii dei rumori in cucina. Mi avvicinai e lo trovai che armeggiava tra pentole e fornelli, con un buffo grembiule a fiori, che doveva aver scovato in qualche cassetto, e il bancone della cucina che sembrava un campo di battaglia di qualche zona di guerra. Mi appoggiai allo stipite della porta e rimasi incantata a guardarlo. Dopo qualche istante, si accorse di essere osservato, alzò lo sguardo e, non appena mi notò, sorrise.

“Ehi, ciao” mi salutò, venendo a baciarmi. “Non ti ho sentita entrare”.

“Eri troppo occupato a...cosa stai facendo esattamente?” domandai, portandogli via della salsa di pomodoro dal naso e leccandomi il dito.

“Ti preparo il chili” annunciò. “Volevo farti una sorpresa”.

“E ci stai riuscendo” commentai, dando un’occhiata alla pila di stoviglie sporche impilata nel lavello. “Non ti ho mai visto cucinare”.

“Sì, poi pulisco, promesso” mi assicurò, seguendo il mio sguardo. “Non sono molto bravo, ma mi piace provare”.

Gli presi le mani e mi alzai sulle punte dei piedi, per raggiungere le sue labbra. “Grazie” sussurrai, sfregando il naso contro il suo.

“Di nulla” rispose, sfiorandomi il viso con il dorso della mano. “Mi piace coccolarti”.

 

Dopo cena, e dopo aver risistemato il caos che Nick aveva combinato in cucina, ci ritrovammo come al solito sul divano, io con la testa sulle sue gambe, mentre lui mi accarezzava i capelli. A un certo punto, buttai indietro la testa per poterlo guardare e domandai “A proposito, dove hai preso la roba per cucinare?”

“Ehm...nei cassetti?” rispose, confuso.

Scossi la testa. “No, intendo la carne e le altre cose che abbiamo mangiato”.

“Ah,” disse, capendo a cosa mi riferivo “sono andato a fare la spesa”.

Spalancai gli occhi. “Da solo?”

Rise. “Certo. Con chi dovevo andare?”

“Con nessuno” farfugliai. “È che...nemmeno sapevi dov’era il supermercato”.

“Per tua informazione, esiste Google Maps e funziona anche qui” sentenziò, divertito.

“Lo so benissimo, scemo” lo rimproverai. “Comunque non avresti dovuto andare in giro da solo”.

“E perché?” chiese, perplesso.

“Avrebbero potuto riconoscerti”.

“Ma non è successo” mi tranquillizzò. “Avevi ragione, qui non mi riconosce nessuno. Mi piace poter essere normale”.

“Puoi sempre trasferirti, se ti piace tanto” scherzai.

“Vorrei tanto” confessò.

Mi rizzai a sedere e lo fissai. “Stavo scherzando” spiegai.

Lui mi prese il viso tra le mani. “Io no, invece. Lo farei davvero, se potessi”.

Gli sorrisi, poi mi spostai, fino a mettermi a cavalcioni sulle sue ginocchia. “Ehi” gli dissi, guardandolo negli occhi. “Lo so che non è possibile, non è colpa tua. Non farti venire i sensi di colpa, adesso”.

Nick mi rivolse un sorriso triste e mi baciò. “Lo so. So che lo sai. Ma odio l’idea di doverti lasciare tra pochi giorni”.

Gli posai la testa sulla spalla e lo abbracciai stretto, chiudendo gli occhi. “Non ci pensiamo, adesso, okay? Non voglio rovinarmi il poco tempo che ci resta”.

“Okay” acconsentì, dandomi un bacio sulla testa, e io sospirai, inalando il suo profumo e ignorando la fitta al cuore che avevo provato quando aveva parlato della partenza.

 

Era l’ultima sera. L’ultima notte che avremmo passato insieme. L’ultima volta che avrei potuto sentire il suo profumo e assaporare le sue labbra. Eravamo stesi a letto, abbracciati, dopo aver fatto l’amore, anche quello per l’ultima volta, e nessuno dei due sembrava aver voglia di dormire. Il mattino seguente, avrei dovuto accompagnarlo all’aeroporto per prendere l’aereo che l’avrebbe riportato a casa. Chiusi gli occhi, pregando che le lancette dell’orologio rallentassero la loro corsa e non arrivasse mai l’alba. A un certo punto, sentii le sue labbra posarsi sulla mia fronte e mi supplicò, per l’ennesima volta “Vieni a Las Vegas con me. Ti prego”.

Sospirai. “Nick, ne abbiamo già parlato” dissi, senza guardarlo negli occhi.

“Sì, e non mi è piaciuto il finale, quindi riparliamone” replicò, testardo.

“Non posso trasferirmi a Las Vegas” ripetei, con tono piatto.

“Perché?” domandò.

“Il lavoro?” azzardai.

“Mollalo” sentenziò.

“E come vivo?”

“Forse non ci hai fatto caso, ma sono piuttosto ricco” disse, sarcastico.

“Forse non ci hai fatto caso, ma non sono il tipo da farmi mantenere” ribattei, piccata.

“Avevi detto che ti saresti trasferita, se ti avessi trovato un lavoro come insegnante” mi ricordò. “Posso farlo”.

“Stavo scherzando. Non posso mollare tutto per andare a vivere con una persona che conosco da, quanto? Una settimana?” gli feci notare.

“E tre giorni” precisò.

Mi lasciai sfuggire una risata. “Scusa, Mr. precisino”.

“A me sono bastati quei tre giorni per capire che volevo stare con te. Quanto tempo ti serve?” mi chiese, iniziando a perdere la pazienza.

“Non lo so, Nick, okay? Non sono impulsiva come te” sbottai, mettendomi a sedere.

“Forse dovresti provare a esserlo, ogni tanto” mi attaccò, alzandosi anche lui.

“Non ci riesco” ammisi, con un sospiro. “Faccio liste di pro e contro, ci ragiono, valuto. Sono fatta così”.

“Bene” cedette. “Quali sono i pro, allora?”

“Sicuramente che mi piaci” confessai.

Lui sorrise, abbandonando l’aria arrabbiata, e io mi lasciai scappare una risatina. “Sì, non credevo che avrei mai detto una cosa del genere, ma ho scoperto che mi piace Nick Carter” constatai. “Avanti, prenditi gioco di me” lo spronai, incrociando le braccia e guardandolo con aria di sfida.

“Non mi sogno minimamente di farlo” mi rassicurò, piegando leggermente la testa.

“Grazie”.

“Vai avanti” mi spronò, facendo un gesto con la mano per indicarmi di proseguire.

“Con te sto bene. Tiri fuori il mio lato più spontaneo. Mi fai ridere. Sei tenero, anche se non lo fai vedere. E sei sincero” elencai.

“Bene. Adesso i contro. Se ce ne sono” continuò.

“Oh, ce ne sono” sentenziai.

“Ad esempio?” domandò, accigliato.

“Nulla che riguardi direttamente te, tranquillo” lo rassicurai. “Ma capisci che, se le cose non funzionassero, mi ritroverei all’altro capo del mondo, da sola?”

“E se invece le cose funzionassero?” sbottò lui, esasperato. “Se andasse tutto bene e il prossimo anno ci sposassimo? Prova a pensare anche in positivo, ogni tanto”.

“Non ci riesco” sussurrai, abbassando lo sguardo sulle mie mani.

Nick sospirò e mi prese una mano. “Non riesco proprio a farti cambiare idea, vero?”

Scossi la testa. “Mi dispiace”.

“Quindi è un addio?” chiese, con gli occhi lucidi.

Gli sfiorai il viso con la mano. “Un arrivederci. Possiamo restare amici. Posso venire a trovarti a Las Vegas. Non ci sono mai stata, mi piacerebbe”.

“Non voglio essere tuo amico. O, meglio, non voglio essere solo tuo amico” disse, serio.

“Ascolta, anche a me piacerebbe qualcosa di più, ma non è proprio possibile” tentai di farlo ragionare.

“Se non vivessimo così lontani, prenderesti in considerazione l’idea di provarci?” volle sapere.

Annuii. “Sì, probabilmente correrei il rischio”.

“Quale rischio?”

“Il rischio di innamorarmi di te” risposi, sincera.

“Io lo sono già” confessò.

“Nick…”

“Sono pazzo, lo so” mi interruppe, prevedendo la mia obiezione. “Ma è così. E vorrei poter mollare tutto e trasferirmi in Italia per stare con te”.

“Non pensarci neanche. Non voglio essere odiata da tutte le vostre fan e dagli altri quattro” tentai di dissuaderlo.

“Farò finta di accettare la tua decisione ma, sotto sotto, continuo a sperare che tu cambi idea e a un certo punto capisca che non puoi vivere senza di me e decida di raggiungermi” sentenziò.

Gli sorrisi. “Chissà, magari succede davvero”.

“Vorrei tanto che fosse così” disse, tirandomi a sé e avvolgendomi in un abbraccio.


Altro capitoletto fluffoso ma, da qui in avanti, traggggedia e disperazione (com'è che si dice, in questi casi? Angst mi pare. Non sono ferrata in queste cose e si vede. Quella roba lì, comunque) e un po' già si percepisce dal finale di questo capitolo. Poi non dite che non vi avevo avvertito!

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 7 – Never Gone ***


CAPITOLO 7 – Never Gone

 

Though the distance that's between us
Now may seem to be too far
It will never separate us
Deep inside, I know you are
Never gone, never far
In my heart is where you are
Always close, everyday
Every step along the way
Even though for now we've got to say goodbye
I know you will be forever in my life
Never gone

(Never Gone – Backstreet Boys)

 

Mi svegliai di soprassalto, nel cuore della notte, a causa di un rumore così forte da far tremare i vetri delle finestre. Spalancai gli occhi e, inconsciamente, allungai una mano sul letto. Di fianco a me trovai solo un freddo spazio vuoto. Sospirando, mi alzai e andai a chiudere la finestra, che avevo lasciato aperta per trovare un po’ di sollievo dal caldo afoso di quella notte di metà giugno, bloccando il rumore del temporale che infuriava all’esterno. Prima di tornare a letto, aprii l’anta dell’armadio e afferrai qualcosa di morbido, buttato in un angolo facilmente raggiungibile. Poi mi stesi di nuovo, rannicchiata in posizione fetale, stringendo forte quella felpa sgualcita e respirandone il profumo che ancora la impregnava. Chiusi gli occhi e li strizzai forte, per impedire alle lacrime di scendere, ma il mio corpo fu comunque scosso da un singhiozzo strozzato. Era passato un mese da quando avevo salutato Nick all’aeroporto, in quello che era entrato di diritto nella rosa dei giorni più brutti e difficili della mia vita. Sapevo di aver fatto la scelta giusta, ma allora perché faceva così male?

Mi mancava immensamente, come mai avrei creduto possibile. Mi mancava il suo sorriso ad accogliermi quando tornavo dal lavoro, il sapore delle sue labbra che sfioravano le mie in un bacio di bentornata e il suo abbraccio caldo e confortante in cui mi rannicchiavo, nascondendomi dal mondo. Ed era proprio quello che stavo facendo, da quell’orribile giorno. Mi nascondevo. Esternamente, sembrava che tutto fosse rimasto uguale a prima della mia partenza per la crociera che mi aveva cambiato la vita ma, in realtà, era una normalità di facciata. Dentro di me, soffrivo come un cane e impiegavo tutte le mie forze semplicemente per tirare avanti, tanto che, quando mi richiudevo la porta di casa alle spalle, ero sempre esausta, come se avessi scalato una montagna. Non credevo di potermi affezionare così tanto a qualcuno in così poco tempo, ma era successo e adesso dovevo farci i conti. A volte mi domandavo perché avesse dovuto capitare proprio con Nick. Non poteva essere una persona normale, che viveva vicino a me e con cui poter iniziare una relazione senza drammi e complicazioni ulteriori a quelle del semplice conoscersi e imparare ad accettarsi? Ma, poi, mi ripetevo che no, non poteva. Non poteva essere nessun altro perché Nick era l’unica persona che volevo, per quanto assurdo e impossibile potesse sembrare, anche e soprattutto a me stessa.

Ci sentivamo ogni giorno, per quanto il fuso orario e i suoi mille impegni remassero contro di noi. Sentire la sua voce era l’unica cosa che mi dava quel po’ di forza necessaria a tirare avanti. Allo stesso tempo, però, sapevo che stavo solo torturandomi e prolungando il supplizio. Prima o poi, sarebbe dovuta finire. Non aveva senso continuare a tenerci in contatto, fingendo di restare amici, quando entrambi sapevamo che non era ciò che volevamo veramente, ma che non avrebbe mai potuto esserci null’altro, tra noi. Un giorno, avevo preso coraggio e avevo tentato di affrontare la questione con lui.

“Nick, forse sarebbe meglio se smettessimo di sentirci. Sarebbe più facile per entrambi” gli avevo detto, durante una delle nostre conversazioni al telefono.

Lui era rimasto un istante in silenzio, per poi quasi urlare “No, non dirlo nemmeno per scherzo”.

“Farebbe meno male” gli avevo fatto notare.

“Non è vero. Sarebbe terribile. Non riuscirei a sopportarlo” aveva obiettato.

“Forse all’inizio, ma poi ce ne faremmo una ragione e la supereremmo”.

“No” aveva sentenziato. “Non importa se fa male”.

“Questo è masochismo” avevo commentato, con una punta di disperazione nella voce.

“Può darsi, ma tu non capisci. Ho bisogno di sentire la tua voce e di sapere che mi pensi” aveva detto lui.

“Certo che ti penso” l’avevo rassicurato.

“Anch’io. Ogni minuto di ogni giorno” mi aveva confessato, con il tono che si era fatto più dolce.

“Non esagerare” avevo sdrammatizzato, sperando di alleggerire la tensione.

“Non sto esagerando. È vero. Ti penso continuamente e vorrei poterti stringere. A volte sogno che siamo insieme e, quando mi sveglio e non ci sei, è come ricevere un pugno nello stomaco”.

Avevo sospirato. Anche per me era così. Non contavo più le notti in cui mi ero svegliata in preda a incubi in cui lo vedevo allontanarsi da me, come quel giorno all’aeroporto, e poi scomparire in un baratro buio da cui, sapevo, non sarebbe più tornato. Ma non aveva senso dirglielo, l’avrebbe solo fatto stare peggio. Dovevo fingere di essere forte, anche se significava mentirgli.

“Vedi che fa male? Se non ci sentissimo, mi dimenticheresti più in fretta” tentai, un’ultima volta.

“Non ci provare. Non voglio dimenticarti. Guai a te se smetti di scrivermi e di chiamarmi. E non ti venga in mente di ignorare le mie telefonate o addirittura non farti rintracciare. Do fuori di testa, non scherzo. Mollo tutto e salgo sul primo aereo per l’Italia per venirti a cercare” mi minacciò. Non l’avevo mai sentito così deciso e, per un attimo, mi spaventai. Sapevo che sarebbe stato benissimo in grado di fare quello che aveva promesso.

“Okay, prometto che non lo faccio” gli assicurai.

“Grazie”.

“No, grazie a te” mi sentii di dirgli.

“Di cosa?” domandò, confuso.

“Di...questo. Questa cosa che senti per me. È bella. Grazie” farfugliai, cercando di ricacciare indietro le lacrime che sentivo salirmi in gola.

“Amore. Chiamalo con il suo nome” disse, in un sussurro.

“Nick…” tentai di obiettare, debolmente.

“Non mi importa cosa pensi” mi interruppe. “Io ti amo e non ho paura di ammetterlo. Non questa volta, non con te. Non sono mai stato più sicuro dei miei sentimenti in vita mia”.

Era stata la prima volta che mi aveva detto che mi amava. Non che non lo avessi capito, me l’aveva dimostrato in ogni modo e non ne dubitavo, ma sentire quelle tre semplici parole, mi aveva fatto realizzare l’enormità del guaio in cui mi ero cacciata. Perché il problema non era tanto che lui mi amasse, ma che anch’io mi ero irrimediabilmente innamorata di lui, Nick Carter dei Backstreet Boys. E potevo sforzarmi quanto volevo, smettere di sentirlo, cercare di togliermelo dalla testa e andare avanti fingendo di stare bene e che non fosse successo nulla, ma, dentro di me, sapevo che non se ne sarebbe mai andato dal mio cuore.

 

Il telefono stava squillando da qualche minuto, ma lo percepivo solo in lontananza, come se fosse un fastidioso moscerino che si aggirava tra le nubi che annebbiavano la mia mente. Inconsciamente, sapevo di cosa si trattava. Riconoscevo la mia suoneria. Ma, allo stesso tempo, sapevo che non ero obbligato a rispondere per forza. Non avevo voglia di parlare con nessuno o, meglio, l’unica persona che bramavo di sentire, non poteva essere colei che mi stava chiamando. Per sicurezza, diedi una rapida occhiata all’orologio che avevo al polso. Le cinque e venti di pomeriggio. In Italia erano le due e venti di notte, – ero diventato bravissimo con il calcolo del fuso orario – Alice non mi avrebbe mai chiamato a quell’ora e, se l’avesse fatto, sarei probabilmente saltato sul primo aereo per raggiungerla il prima possibile perché significava che le era successo qualcosa e aveva bisogno di me. Perso in quelle riflessioni, non mi ero nemmeno reso conto che il cellulare aveva smesso di suonare, per poi ricominciare subito dopo. Sapevo che non era possibile, perché la suoneria era sempre la stessa e doveva trattarsi solo di un’illusione, ma avevo l’impressione che si fosse fatto più insistente. Sbuffando, rotolai giù dal divano e mi allungai fino al muro, per prendere il telefono, che avevo lasciato in carica quando mi ero steso a guardare la TV. Non ricordavo nemmeno che programma stavo seguendo. Probabilmente, a un certo punto dovevo essermi assopito, perché adesso c’era un film che ero certo di non aver deciso di guardare. Sospirai. Non c’era da stupirsi, considerato che non avevo chiuso occhio tutta la notte. Andava avanti così da un po’ di settimane, precisamente da quando avevamo iniziato il nostro periodo di pausa, prima degli impegni di fine estate. Non era accaduto in modo inaspettato, in un certo modo, l’avevo previsto. Finché ero stato impegnato col lavoro, avevo fatto in modo di mantenermi concentrato, senza lasciare che il mio malessere prendesse il sopravvento. Non volevo creare problemi ai ragazzi. Ma, non appena gli impegni si erano diradati, fino a cessare del tutto per la pausa estiva, la mia testa era tornata immediatamente là, in quell’aeroporto affollato, quando avevo dovuto rinunciare a quello che, ormai ne ero certo, era l’amore della mia vita. Non riuscivo a farmene una ragione e tanto meno a darmi pace. Avevo trovato la persona perfetta per me ma, per una serie di motivazioni anche potenzialmente valide ma che, a me, sembravano ridicole, non poteva essere mia. Non volevo nemmeno provare a togliermela dalla testa, tanto sapevo che non ci sarei riuscito. Mi era entrata sotto la pelle ed era diventata parte di me. Una parte che non potevo e non volevo sostituire.

Il cellulare smise e riprese a squillare altre due volte, prima che trovassi anche solo la forza di guardare il display, per capire chi mi stava chiamando. Avevo appena realizzato di avere due chiamate perse da Kevin, una da A.J., una da Howie e due da Brian, quando ricominciò a suonare e mi decisi ad accettare la chiamata.

Nick”. Una sola parola, il mio nome, pronunciato in un tono pieno di apprensione.

Ciao, Bri” salutai, mettendomi comodo sul pavimento, la schiena appoggiata al divano.

Cristo, perché non rispondi?” mi urlò nell’orecchio, e io rimasi stupito nel sentire quell’esclamazione. Brian era molto religioso e non nominava mai Dio o Gesù al di fuori delle preghiere. Doveva essere veramente arrabbiato. O spaventato.

Scusa. Ho avuto una brutta nottata e mi sono appisolato sul divano” mi giustificai.

A.J. e Kevin erano pronti a mettersi in macchina per venire a controllare che fossi vivo, se non avessi risposto nemmeno stavolta” mi confessò e notai che il suo tono era cambiato, non era più aggressivo ma molto più calmo, quasi dolce.

L’enormità delle implicazioni di ciò che mi aveva appena detto mi colpì come un pugno allo stomaco, dissipando la sonnolenza che ancora mi avvolgeva e svegliandomi completamente. Ci volevano quattro ore da Los Angeles, dove abitavano Kevin ed A.J., a Las Vegas, e i miei amici erano così preoccupati per me da essere disposti a farsele, senza battere ciglio, solo per accertarsi che stessi bene. Per la prima volta mi resi conto che, forse, la convinzione di essere riuscito a tenere insieme tutti i pezzi della mia anima distrutta, nei mesi precedenti, era completamente sbagliata e, in realtà, i miei amici si erano accorti perfettamente di quanto stessi male.

Non ce n’è bisogno, davvero” lo rassicurai. “Te l’ho detto, non sono riuscito a dormire stanotte e ho preso un sonnifero per rimediare un paio di ore di riposo. Tutto qui. Ma sto bene”.

No, Nick. Non stai bene” replicò lui, lapidario. “Non hai risposto a nessuno dei messaggi che ti abbiamo mandato e, ogni volta che riusciamo a parlarti, dici che non hai dormito. Da quanto va avanti?”

Non lo so,” ammisi “forse un paio di settimane”.

Praticamente da quando abbiamo finito gli impegni con il gruppo” calcolò il mio amico.

Sorrisi. Brian era sempre stato quello più bravo, con i numeri. Non per niente era stato lui ad accorgersi che il nostro primo manager ci stava truffando.

Bri, non preoccuparti” dissi, dispiaciuto di averlo spaventato. “Hai ragione, sto di merda, ma me la caverò”.

Sei sicuro?” chiese, poco convinto.

Sì. Non dico che passerà, perché ne dubito, ma troverò il modo per venirne fuori. L’ho già fatto altre volte” gli ricordai.

Non sei mai stato così a terra” constatò lui. “Nemmeno dopo Lauren”.

Perché questa volta non ha senso” spiegai. “Sono certo che provi qualcosa per me, ma ha troppa paura di ammetterlo e lasciarsi andare. È spaventata dalla fama, dalla distanza, dal fatto che ci conosciamo da poco. E io non riesco ad accettare che non voglia nemmeno provarci”.

Sentii Brian sospirare. “Sei proprio sicuro che non ci sia un modo per stare insieme?” mi domandò.

Scossi la testa, anche se sapevo che non poteva vedermi. “Certo che c’è un modo,” risposi, esasperato “ma lei è più che decisa a non prenderlo nemmeno in considerazione”.

Restammo entrambi un istante in silenzio, senza sapere cosa dire. Non c’era nulla che potesse alleviare la gravità di quella constatazione. Poi Brian parlò, non per dispensare chissà quale consiglio colmo di saggezza e nemmeno per buttare lì una frase di circostanza, di quelle che mi facevano saltare i nervi, quando le sentivo usare in una conversazione sincera, a cuore aperto. E gliene fui immensamente grato.

Chiama A.J. e Kev, per favore, prima che si mettano per strada” mi supplicò. “Ad Howie penso io”.

Certo” gli assicurai. “Grazie, Bri. E scusa ancora”.

Non importa” minimizzò lui. “È che odio veder soffrire il mio fratellino e vorrei poter fare qualcosa per riportartela indietro”.

Non c’è niente da fare, purtroppo” commentai, rassegnato. “A meno di non sperare in un miracolo che le faccia cambiare idea”.

 

Sentii suonare il campanello e mi alzai di mala voglia dal letto, dove mi ero rannicchiata, con le tapparelle abbassate e gli occhi chiusi, tentando di chiudere fuori il mondo esterno. Era un’afosa domenica di agosto, con il sole che splendeva alto nel cielo, e non si sentiva nemmeno un rumore provenire dalla strada. Tutti erano in vacanza, o a godersi la giornata in piscina, solo io me ne stavo chiusa in casa, con una nube nera di pensieri che mi affollava la testa.

Il campanello suonò di nuovo e io urlai “Arrivo” mentre mi avvicinavo alla porta e facevo scattare la serratura. Fui piuttosto stupita di trovarmi davanti Jessica, che mi sorrideva, con una vaschetta di gelato in mano.

“Tieni. Mettilo in freezer, prima che si sciolga” mi ordinò, passandomi il pacchetto.

Obbedii e mi diressi verso la cucina, come un automa. Lei, nel frattempo, entrò, si richiuse la porta alle spalle, e mi seguì in cucina, dove abbandonò la borsa su una sedia.

“Che ci fai qui?” domandai, incuriosita, richiudendo lo sportello del freezer. “Non dovevi essere in piscina?”

Jessica mi aveva chiamata quella mattina, proponendomi di andare in piscina con lei e due sue colleghe, ma avevo gentilmente declinato l’invito, inventandomi delle mestruazioni inesistenti. Non ero in vena di caldo, gente, chiasso e chiacchiere di circostanza.

Alzò le spalle. “Ho preferito venire a coccolare la mia amica che sta male” sentenziò.

Sollevai un sopracciglio. “Cosa ti fa pensare che stia male?”

Lei mi rivolse uno sguardo scettico. “Primo: mi hai raccontato una balla. Non hai il ciclo. Non è possibile, l’hai avuto due settimane fa. Non avevi voglia di venire. Secondo: guardati” e fece un gesto a indicare la mia figura.

Abbassai lo sguardo e osservai i miei vestiti. Indossavo i pantaloncini e la maglietta che Nick mi aveva prestato per tornare alla mia cabina, la mattina successiva alla prima volta che avevamo fatto l’amore, e che non si era più ripreso. Aveva detto che gli faceva piacere sapere che li avessi io.

“Cosa?” domandai, guardandola con espressione vuota.

Jessica sospirò, poi si avvicinò e mi mise le mani sulle spalle. “Hai addosso dei vestiti di almeno una taglia e mezza più grande della tua e che, tra l’altro, ti stanno malissimo, solo perché sono di Nick” mi fece notare.

“È che…” farfugliai, tentando di giustificarmi.

Lei annuì. “È che ti fanno illudere di averlo ancora vicino. Lo so” disse, con un mezzo sorriso.

La guardai negli occhi, cercando di trattenere le lacrime, ma non ci riuscii e due grossi lacrimoni mi scivolarono sulle guance, mentre mi morsicavo il labbro inferiore per non singhiozzare.

La mia amica mi tirò a sé e mi strinse in un abbraccio, sussurrandomi “Sfogati. Non puoi tenerti sempre tutto dentro”.

Mi conosceva bene e sapeva com’ero fatta. Quando stavo male, non ne parlavo mai, non chiedevo mai aiuto a nessuno, mi limitavo a rifugiarmi in me stessa, nascondendomi dal mondo. Ed ero maledettamente brava a farlo.

Mi aggrappai alla sua maglietta, iniziando a singhiozzare.

“Mi manca” balbettai, con la voce rotta dal pianto.

“Lo so” disse lei, accarezzandomi la schiena.

“Non so se ce la faccio a stare senza di lui” continuai, ormai senza freno.

“È normale,” osservò “sei innamorata”.

“Non volevo innamorarmi di Nick Carter” confessai, scostandomi da lei e guardandola negli occhi, come se potesse svelarmi la soluzione ai miei problemi.

Jessica sospirò. “Te l’ho già detto una volta e te lo ripeto: non puoi scegliere di chi innamorarti. È successo, ti sei innamorata di lui, che ti piaccia o no. Devi accettarlo”.

“E stare così male?” sbottai, lasciandomi pervadere dalla rabbia.

“No. E trovare una soluzione” replicò, in tono secco.

Alzai gli occhi al cielo. “Ci sarebbe un’unica soluzione, lo sai anche tu”.

“Certo che lo so”.

“E?” domandai, percependo che c’era dell’altro, ma si stava trattenendo dall’esprimere la sua opinione.

“E non capisco cosa stai aspettando per metterla in pratica” mi rimproverò.

“È una follia” sentenziai, incrociando le braccia e rivolgendole uno sguardo quasi di sfida.

Lei scosse la testa. “E il fatto che io stia consolando la mia migliore amica che, a 32 anni, si strugge d’amore per Nick Carter non è forse folle?”

Nonostante l’atmosfera tesa, mi lasciai sfuggire una risata amara. “Grazie tante. Mi sento già abbastanza ridicola senza le tue prese in giro”.

La mia amica fece un passo verso di me e mi posò le mani sulle braccia, che ancora tenevo incrociate sul petto. “Non sei ridicola” mi disse, dolcemente. “Sai cos’è ridicolo? Che tu debba stare male solo perché non hai le palle per fare una follia”.

“Tu la fai facile” commentai, scettica.

“Perché è facile” replicò lei, decisa. “Lui ti ama. Tu lo ami. Potete stare insieme, per quanto assurdo possa sembrare. Devi solo prendere coraggio e deciderti a farlo”.

Non dissi nulla, limitandomi a sospirare. Dentro di me, sapevo che aveva ragione, ma non volevo ammetterlo perché avrebbe significato, innanzitutto, prendere atto di aver commesso un errore gravissimo e, in seconda battuta, accettare il fatto che l’unica soluzione possibile a quella situazione, quella follia di cui avevo parlato, era, in realtà, quello che il mio cuore mi consigliava di fare dal primo momento che Nick me l’aveva proposto, per quanto avventato e impulsivo potesse sembrare.

 

Poveri cuccioli innamorati che non possono stare insieme. Stavo male per loro scrivendo il capitolo. Più per Nick, in realtà, perché lui è la vittima, ma anche Alice, tesoro, ha paura ed è comprensibile. Vi lascio a struggervi con loro e a domandarvi come risolveranno la questione. Idee? Suggerimenti? Sarei curiosa di sapere cosa ne pensate.

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 8 – Incomplete ***


CAPITOLO 8 – Incomplete

 

I tried to go on like I never knew you
I'm awake but my world is half asleep
I pray for this heart to be unbroken
But without you all I'm going to be is, incomplete

(Incomplete – Backstreet Boys)

 

Deglutii, sforzandomi di ricacciare indietro le lacrime, maledicendo la mia debolezza e il tempismo con cui mi ero lasciato sopraffare. Non avrei potuto scegliere momento peggiore. Sebbene, il fatto che stessimo cantando Incomplete, il cui testo parlava fondamentalmente di qualcuno che si struggeva per amore, potesse far credere che stessi semplicemente interpretando la canzone con particolare passione. In realtà, ero letteralmente scoppiato a piangere come un bambino e tutte le volte che avevo chiuso gli occhi o mi ero preso la testa tra le mani, non era stato perché mi immedesimavo nelle parole, ma piuttosto per nascondere le lacrime.

Non appena la canzone finì e il presentatore, il nostro vecchio amico JoJo, salì sul palco per scambiare qualche parola con noi, mi nascosi alle sue spalle, passandomi una mano sugli occhi e portandomi via le lacrime, mentre fingevo di asciugarmi il sudore dalla fronte. Speravo che il mio crollo non fosse stato troppo evidente, anche se temevo non fosse passato del tutto inosservato. Odiavo piangere e odiavo ancora di più farmi vedere piangere. Evitavo che succedesse anche davanti ai miei amici. E, adesso, era accaduto in diretta TV. Non sapevo se essere più arrabbiato o imbarazzato.

Mentre A.J. rispondeva a una domanda sugli show che avevamo in programma a Las Vegas per l’anno successivo, Brian, che era accanto a me, si avvicinò al mio orecchio e mi domandò “Tutto okay?”

Sì” farfugliai, indispettito dall’apprendere che si era reso conto dell’accaduto. Ma, d’altra parte, era di Brian che stavamo parlando, il mio migliore amico. Non potevo aspettarmi che gli sfuggisse una cosa del genere. “Scusate”.

Lui non disse nulla, si limitò a rivolgermi un fugace sguardo colmo di preoccupazione, prima di rivolgere la sua attenzione a ciò che stava dicendo A.J., facendo finta di niente.

Io presi un paio di respiri profondi, cercando di ricompormi e riprendermi, prima di ricominciare l’esibizione. La canzone successiva era Show Me the Meaning of Being Lonely e, forse, potevo sperare di cavarmela ancora ma, dopo, ci sarebbe stata All I have to Give e le espressioni disperate non si addicevano al testo. Dovevo tornare in me.

 

Tutti si erano accorti del crollo di Nick, non solo Brian. Avevano fatto finta di niente perché sapevano che odiava farsi vedere piangere, ma non potevano fare a meno di essere preoccupati per lui. Sapevano quanto stava soffrendo, era sotto gli occhi di tutti e solo un cieco non se ne sarebbe reso conto. Avevano discusso più volte se era il caso di fare qualcosa per aiutarlo, senza mai giungere a un accordo. A.J. e Brian avrebbero voluto prendere in mano la situazione, mentre Howie e Kevin sostenevano che non fossero affari loro e che impicciarsi nelle questioni private di Nick fosse poco rispettoso nei suoi confronti. E in quelli di Alice, che era l’altra parte coinvolta. Il tutto fino a quel giorno. Vedendo Nick piangere in diretta televisiva, tutti avevano finalmente realizzato che la situazione era fuori controllo e che non potevano più affidarsi al buon senso delle due parti in causa. Bisognava fare qualcosa, e in fretta anche. Dopo essersi scambiati un paio di occhiate allusive, di nascosto dall’amico, contando sulla comprensione immediata, senza bisogno di parole, che veniva da più di un ventennio di amicizia, tutti concordarono che era arrivato il momento di agire e, quando A.J. annunciò “Lo faccio io”, tutti sapevano esattamente a cosa si riferiva.

 

 

Era un soleggiato sabato sera di fine settembre e Jessica mi aveva convinta a uscire di casa per andare a fare un aperitivo in un nuovo locale che aveva appena aperto. Stavo sorseggiando un bicchiere di prosecco, meravigliandomi di come fossi riuscita a sopravvivere all’intera giornata senza essere colta da un’irrefrenabile voglia di piangere e domandandomi se, per caso, significasse che ero in fase di guarigione, sebbene, dentro di me, sospettassi che fosse solo una tregua temporanea e la disperazione per l’assenza di Nick sarebbe tornata a tormentarmi molto presto. Improvvisamente, la quiete del vicolo, dove si trovava il dehor del locale, fu squarciata dalla suoneria del mio cellulare. Mi affrettai a estrarlo dalla borsa, imbarazzata, sotto lo sguardo infastidito degli altri avventori. Guardai il display, per vedere chi mi stava disturbando, e mi stupii quando notai che il numero che lampeggiava sullo schermo, e che non avevo idea di a chi appartenesse perché non era salvato in rubrica, aveva il prefisso internazionale degli Stati Uniti. Immediatamente dopo, il cuore iniziò a martellarmi nel petto, mentre scenari apocalittici in cui Nick era vittima dei peggiori degli incidenti mi passavano davanti agli occhi, come tanti fermo immagine di un brutto film dell’orrore. Jessica si accorse che qualcosa non andava perché mi chiese “Cosa c’è?” guardandomi con aria preoccupata.

“Mi stanno chiamando dall’America” riuscii a rispondere, in un sussurro, mentre continuavo a fissare lo schermo del telefono, che stava ancora squillando, come se fosse una bomba pronta a esplodere.

“Nick?” domandò la mia amica, senza togliermi gli occhi di dosso.

Scossi la testa. “Non è il suo numero”.

“Beh, rispondi, no?” mi spronò. “Cosa stai aspettando?”.

Deglutii, cercando di prendere coraggio, e mi decisi ad accettare la chiamata.

“Pronto” risposi, in inglese.

“Alice?” chiese una voce bassa e roca, che mi fece vibrare qualcosa nella pancia.

“Sì, sono io” confermai, riconoscendo all’istante il mio interlocutore.

“Ciao. Sono A.J.”.

Non c’era bisogno che si identificasse, avrei riconosciuto quella voce ovunque. “Ciao, A.J.” lo salutai, cercando di mantenere la calma, senza grandi risultati.

“Senti, scusa se ti chiamo, ma…” iniziò.

“È successo qualcosa a Nick?” lo interruppi, non riuscendo più a mantenere i nervi saldi. La preoccupazione mi stava divorando, dovevo sapere.

“Cosa?” sbottò lui, sorpreso. “No”.

“Sta bene?” chiesi, per sicurezza.

“Sì. Sì che sta bene” mi assicurò.

Aprii la bocca, permettendo all’ossigeno di entrare e raggiungere di nuovo i miei polmoni. “Okay. Scusa. Dimmi pure”.

“Pensavi che ti stessi chiamando perché gli era successo qualcosa?” mi domandò, come per accertarsi di aver interpretato bene la mia reazione.

“Io...sì” ammisi, sentendomi improvvisamente un’idiota per essere saltata a conclusioni affrettate.

“Ti sei preoccupata?”

“Credo di aver smesso di respirare per qualche secondo” confessai, con un mezzo sorriso nervoso.

“Mi dispiace. Non volevo spaventarti” si scusò, desolato.

Scossi la testa. “Non fa niente, l’importante è che sia tutto okay” lo rassicurai.

“Lo è” mi confermò, prima di aggiungere, criptico “A dire la verità, lo è ancora di più dopo la tua reazione”.

“Non capisco” dissi, confusa.

Lui non si diede la pena di chiarire il mio dubbio e cambiò drasticamente discorso. “Non ti è capitato di andare su YouTube oggi, vero?”

“Ehm...no”.

“Quindi non hai visto la nostra esibizione di ieri sera?” insistette.

“No, non l’ho ancora vista. Perché?” domandai, evitando di dirgli che non avevo la più pallida idea di vedere la loro esibizione perché, ogni volta che anche solo sentivo la voce di Nick che cantava, mi si attorcigliavano le budella e venivo colta da una nausea improvvisa, all’idea che non avrei mai più potuto abbracciarlo.

“Beh, è successa una cosa” annunciò, serio.

“Che cosa?”

“Nick si è messo a piangere mentre cantavamo Incomplete” mi informò.

Restai a bocca aperta, con Jessica che mi fissava, preoccupata.

“Oddio, davvero? Cos’è successo?” chiesi, incredula. A Nick non piaceva piangere e mi sconvolgeva l’idea che l’avesse fatto davanti a tutti.

“È successo che gli manchi da morire e non ce la fa più” disse A.J., semplicemente.

“Ma….” farfugliai, ancora troppo scioccata per formulare un pensiero coerente.

“Lo conosco da 23 anni e non l’ho mai visto così. Giuro. Non è mai successo che lasciasse trapelare i suoi sentimenti in pubblico, nemmeno durante i suoi momenti peggiori. Odia farsi vedere piangere anche da noi, figurati in diretta TV” mi spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Non so cosa dire” ammisi, con mille pensieri che mi giravano in testa.

“Dimmi se lo ami” propose A.J., con un tono di voce che si fece più dolce.

“Caspita che domanda” commentai, prendendo tempo.

“Non è difficile” osservò lui, tranquillo.

“Beh, nemmeno facile” obiettai.

“Ascolta. Io ti capisco. Capisco che l’idea di mollare tutto per venire qui, con lui, ti spaventa a morte. È normale. Sarebbe strano il contrario” mi concesse. “Ma, se lo ami, devi trovare il coraggio”.

“Io...non lo so” sbottai, in preda a una miriade di sentimenti contrastanti. Una parte di me, avrebbe voluto saltare sul primo aereo per andare da Nick e stringerlo in un abbraccio, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene. L’altra, invece, veniva colta da un vero e proprio attacco di panico alla sola idea di mettere in pratica quello che la prima parte aveva immaginato di fare.

“Sì che lo sai” mi spronò, convinto.

“Cosa te lo fa pensare?” gli chiesi, stupita da tanta fiducia nei miei confronti.

“Il tono che avevi quando mi hai chiesto se gli era successo qualcosa” rispose.

“Che tono?”

“Terrore” disse, semplicemente.

“Mi sono spaventata, te l’ho detto” mi giustificai.

“Ti sei spaventata perché tieni a lui” mi fece notare.

“Beh, sì” ammisi.

A.J. non replicò subito. Restò un istante in silenzio e, quando parlò di nuovo, lo fece per pormi una domanda. “Toglimi una curiosità. Cos’avresti fatto se ti avessi risposto di sì?” volle sapere.

“Non voglio nemmeno pensarci” risposi, chiudendo gli occhi per cacciare via le immagini di Nick su un letto d’ospedale che mi si erano di nuovo presentate in testa.

“Bingo” commentò, con una mezza risatina.

“Cosa?”

“Lo ami tanto quanto ti ama lui, solo che non vuoi ammetterlo perché hai paura” sentenziò.

“Sono terrorizzata” confessai, con un sospiro.

“Da cosa? Trasferimento a parte, intendo” chiese lui.

“Da tutto!” sbottai, iniziando a sfogarmi. “Ci conosciamo da poco, è un azzardo, temo che le cose possano non funzionare. E, non ultimo, non ho mai voluto innamorarmi di una celebrità”.

“Non puoi controllare queste cose” tentò di farmi ragionare.

“Lo so. Non hai idea di quanto ci abbia provato”.

“E ci sei riuscita?”

“No. Non riesco a togliermelo dalla testa” cedetti.

A.J. rise. Poi, con voce dolce, disse “E allora, fai la brava ragazza e ascolta lo zio Alex. Prendi tutte le ferie che hai, prenota un aereo e vieni a Las Vegas il prima possibile. Vedi come va. Provateci, almeno”.

Sospirai. “Okay. Più tardi lo chiamo e gli dico che arrivo”.

“No!” esclamò lui. “Non dirglielo”.

“Perché?” domandai, confusa.

“Facciamogli una sorpresa” propose, felice.

“Okay. Quindi come ci organizziamo?” mi informai.

“Salvati il mio numero. Fammi sapere come vanno i preparativi. Poi, appena sai esattamente quando arrivi, mi chiami e vedo di farti venire a prendere in aeroporto e portare direttamente da lui” pianificò.

Annuii, tra me. “D’accordo”.

“Grazie” sussurrò. “Io e i ragazzi vogliamo vederlo felice, finalmente. E crediamo che tu sia quella giusta”.

“Grazie della fiducia” gli dissi, sinceramente commossa.

“Ehi, sono il tuo preferito. Si vede che hai buon gusto” scherzò lui, facendomi ridere.

Ci salutammo e chiusi la chiamata. Alzai lo sguardo su Jessica e la trovai che mi sorrideva.

“Ce l’ha fatta, vero?” mi chiese.

“A fare cosa?” domandai, non capendo a cosa si riferiva.

“A convincerti” spiegò.

“Più o meno” risposi, sorridendo a mia volta.

“Vai in America, quindi?” volle sapere.

Annuii. “A quanto pare, Nick ha bisogno di me” spiegai.

“E tu hai bisogno di lui” ribatté la mia amica. “Quindi spero che tu abbia intenzione di restare là con lui”.

Sospirai. “Non lo so, Je” confessai.

Lei scosse energicamente la testa e, fissandomi con espressione seria e determinata, mi minacciò “Forse non sono stata chiara. Se ti azzardi a tornare, giuro che ti prendo a calci e ti ci rimando io”.

Le rivolsi uno sguardo offeso, ma lei lo sostenne, senza accennare a cedere. Dopo un istante, scoppiammo entrambe a ridere e ci abbracciammo. Non potevo desiderare un’amica migliore di lei e sapevo che mi sarebbe mancata da morire.

 

Scesi dall’aereo, recuperai la mia valigia e mi avviai verso l’uscita, pregando che A.J. avesse mantenuto la promessa e avesse mandato qualcuno a prendermi. Non appena superate le porte scorrevoli, notai subito un uomo di colore, con un completo grigio, occhiali da sole e un cartello con scritto il mio nome. Tirando un sospiro di sollievo, mi avvicinai, porgendogli la mano. Lui la strinse e si presentò come John, poi prese le mie valigie e mi fece strada verso l’esterno, dove aveva lasciato l’auto che mi avrebbe portata dai ragazzi.

Erano passati due mesi dalla telefonata di A.J.. Il motivo di tutto quel ritardo era che, opportunamente spronata da Jessica, avevo deciso di smettere di nascondermi, ascoltare il mio cuore, seguire l’istinto, o in qualsiasi altro modo si volesse metterla, e non andare in America soltanto per una vacanza, ma in modo definitivo. Il lunedì successivo alla chiamata, avevo rassegnato le dimissioni, utilizzando i due mesi di preavviso che dovevo all’azienda per organizzare il trasferimento. Avevo volutamente deciso di non pensare a quanto fosse folle ciò che stavo facendo – mollare tutto per trasferirmi dall’altra parte del mondo a vivere con un uomo famoso con cui avevo trascorso, sì e no, una decina di giorni in tutto e che nemmeno sapeva del mio arrivo – altrimenti mi sarei lasciata bloccare dalla paura e avrei mandato tutto all’aria. Adesso che avevo messo piede in terra americana e tutto si stava facendo tremendamente reale, però, sentivo l’ansia salire sempre di più. E se Nick non mi avesse voluta con lui? Se, nel frattempo, mi avesse dimenticata? Sapevo che non era possibile. Avevamo continuato a sentirci, in quei due mesi di preparativi, ed era stato terribilmente difficile tenergli nascosto tutto. Ma dovevo farlo, se volevo che fosse una sorpresa. E, comunque, non era stata dura nemmeno la metà di quanto lo era stata per i ragazzi, che avevano fatto una fatica enorme a non lasciarsi sfuggire nulla. Mi ero tenuta costantemente in contatto con A.J., che era al corrente di tutti i miei piani e, a sua volta, teneva informati gli altri tre. A quanto mi diceva, erano tutti entusiasti della mia decisione e non vedevano l’ora di assistere al nostro ricongiungimento. In quei giorni, i ragazzi si trovavano a Dallas per esibirsi al Jingle Ball, che si sarebbe tenuto il 29 di novembre. Quella sera. Avevo proposto ad A.J. di aspettare che Nick fosse tornato a casa, per presentarmi da lui, ma lui aveva insistito perché li raggiungessi a Dallas, senza perdere ulteriore tempo, per fargli una sorpresa ancora migliore. Mi aveva proposto di salire sul palco durante il concerto ma avevo respinto l’idea. Già ero abbastanza in apprensione così, senza dovermi presentare davanti a Nick, che non vedevo da sei mesi, sotto gli occhi di migliaia di persone. Seppur un po’ deluso dalla mia mancanza di coraggio, A.J. aveva capito e, considerando gli orari dei miei voli, aveva calcolato che sarebbero stati impegnati nel soundcheck, quando io fossi arrivata, quindi eravamo rimasti d’accordo che li avrei raggiunti all’arena, dove mi stavano portando in quel momento.

Il viaggio in auto fu più breve del previsto, o forse fu solo una mia impressione, impaziente e allo stesso tempo terrorizzata com’ero di riabbracciare Nick. John oltrepassò un cancello, a cui aveva avuto accesso mostrando un pass, fermò l’auto sul retro dell’arena e mi fece scendere. Poi prese il cellulare e chiamò qualcuno. Poco dopo, una porta si aprì e comparve Mike, la guardia del corpo di Nick, che mi sorrise, non appena i nostri sguardi si incrociarono.

“Benvenuta” mi salutò, con un abbraccio. “Ti porto subito da Nick”.

“Aspetta” gli dissi, rammentando le raccomandazioni che mi aveva fatto A.J.. “Devo prima avvertire A.J.”.

Vedendo il suo sguardo stupito, mi affrettai a spiegare “Non ho idea di cos’abbia in mente, ma mi ha detto che mi fa sapere quando salire sul palco”.

Mike rise e commentò “Nessuno ha mai idea di cos’abbia in mente A.J.”, poi salutammo John, che mi assicurò che avrebbe portato i miei bagagli in albergo e li avrebbe fatti lasciare in camera di Nick.

Prima di entrare, mandai un messaggio ad A.J., sperando che lo leggesse e mi istruisse su cosa fare. Dopo qualche istante, il mio cellulare vibrò e lessi quello che mi aveva scritto:

‘Fatti accompagnare nel backstage da Mike. Non appena finiamo di cantare Incomplete, vengo a prenderti e sconvolgiamo la vita a Carter’.

Sorrisi e presi un respiro profondo. Si andava in scena.

 

La musica di Everybody era appena terminata e ci prendemmo un attimo di pausa, prima di provare la canzone successiva. Mi avvicinai a un angolo del palco, per prendere la bottiglietta d’acqua che avevo posato lì accanto e, nel frattempo, notai A.J. che stava digitando qualcosa sul cellulare.

Cosa fai?” gli chiesi, incuriosito. Non si era staccato da quell’affare per tutta la giornata e non era da lui essere così ossessivo.

Il mio amico alzò gli occhi dal telefono e mi guardò, con un sorrisino ebete. “Controllo una cosa”.

È tutta la giornata che non lo perdi d’occhio un momento” gli feci notare. “Spero tu non abbia l’amante perché, se non ci pensa Rochelle, ti ammazzo io” lo minacciai, in tono scherzoso.

Lui scoppiò a ridere e scosse la testa. “No, tranquillo. Ho adocchiato il regalo di Natale perfetto per Rochelle su eBay e sto tenendo d’occhio l’asta” spiegò.

Sorrisi e annuii, per poi tornare alla mia postazione, in attesa di provare la prossima canzone. Arrivato davanti al palco, feci un cenno con la mano ad alcune fan, che avevano vinto la possibilità di assistere al soundcheck attraverso un concorso radiofonico e mi stavano salutando e, in quel modo, non notai A.J. che, alle mie spalle, si avvicinava a Brian e gli bisbigliava qualcosa all’orecchio.

 

Sulle ultime note di Incomplete, A.J. si allontanò dal palco e mi raggiunse dietro alle quinte, da dove avevo seguito le prove delle due canzoni precedenti. Nick non si era accorto dei movimenti dell’amico perché era impegnato a parlare con delle ragazze che stavano assistendo al soundcheck. Non avevo previsto di avere altro pubblico, a parte i ragazzi, per il mio piccolo show di sorpresa e la cosa mi agitava ulteriormente. Ma ormai ero lì e non potevo tirarmi indietro. Appena mi vide, A.J. si avvicinò e mi abbracciò, sussurrandomi “Che bello averti qui”, poi mi prese per mano e mi trascinò sul palco, avendo cura di arrivare alle spalle di Nick il più silenziosamente possibile.

Nel frattempo, Brian si era avvicinato all’amico, che aveva smesso di parlare con le ragazze e, passandogli un braccio intorno alle spalle, aveva detto “Siamo solo alle prove. Puoi smettere di sforzarti di far finta di stare bene”.

Nick aveva strabuzzato gli occhi. “Di cosa diavolo stai parlando?” gli aveva chiesto. “Sto bene”.

A quel punto, Brian, accortosi che io ed A.J. eravamo comparsi alle spalle di Nick, annunciò “Abbiamo una sorpresa che ti farà stare decisamente meglio”.

“Del tipo?” domandò Nick, sempre più confuso.

A.J. mi diede una leggera spinta, io feci un passo avanti e, combattendo con la voce che mi tremava, dissi “Ciao, Carter”.

Nick si voltò di scatto, sentendo e probabilmente riconoscendo la mia voce. Quando mi vide, spalancò gli occhi e urlò “Oddio”. Poi, tutto quello che ricordavo erano le sue braccia che mi stringevano e io che mi aggrappavo alla sua maglietta, come se temessi di vederlo scomparire, mentre lui affondava il viso nel mio collo. Potevo sentire il suo respiro sulla mia pelle e, guidata da un impulso incontrollabile, gli strinsi i capelli tra le dita. Dopo un tempo che non avrei saputo calcolare, rendendomi conto che non potevamo restare così per sempre, per quanto fosse piacevole, tentai di dire qualcosa per sbloccare la situazione.

“Ehi, anch’io sono felice di vederti” ironizzai, lasciandomi scappare una risatina.

Lui sollevò il viso, senza smettere di stringermi la vita, e intercettò la mano che stavo allontanando dai suoi capelli, stringendomela. “Non puoi capire quanto sia felice io”.

“Forse un po’ posso” replicai, sorridendogli.

“Cosa ci fai qui?” mi chiese, cercando di capire la situazione.

“Sorpresa” farfugliai, completamente persa nei suoi occhi azzurri che mi fissavano, sognanti.

“Non mi hai detto niente” osservò, stupito.

“Se no che sorpresa sarebbe stata?” gli feci notare.

“Ti fermi per Natale, vero?” domandò, riferendosi a una conversazione che avevamo avuto, qualche settimana prima, durante la quale aveva cercato di convincermi ad andare a passare il Natale con lui a Las Vegas.

“Mi fermo un po’ di più, se posso” annunciai, aspettando con ansia la sua reazione. Che non tardò ad arrivare. Mi rivolse uno sguardo incredulo, occhi spalancati e labbra leggermente aperte, poi chiese “Quanto?”

Gli strinsi ancora di più la mano e risposi “Indefinitamente”.

Era stato solo un sussurro, l’emozione e il sollievo per aver potuto constatare che era sinceramente felice di vedermi mi avevano tradita e la voce mi era uscita strozzata. Ma non aveva importanza, Nick sembrava avere orecchi solo per me. E aveva capito benissimo.

“Stai scherzando?” chiese e, più che incredulo, mi parve speranzoso.

Scossi la testa. “No”.

“Dici sul serio?”

“Uh uh” annuii.

Lentamente, il suo viso fu illuminato da un sorriso, uno di quelli sinceri e imprevisti, che tanto adoravo, perché gli facevano brillare gli occhi come un bambino in un negozio di giocattoli. “Oddio” commentò. “Babbo Natale è passato prima, quest’anno”. Poi mi abbracciò di nuovo, sollevandomi da terra e facendomi girare, mentre gli tenevo le braccia strette intorno al collo e ridevo, con il cuore che scoppiava letteralmente di gioia. Quando mi rimise a terra, feci scivolare le mani sul suo petto, lui mi prese il viso tra le mani e posò le labbra sulle mie. Fu un bacio lungo, dolcissimo e, allo stesso tempo, appassionato. Non avevo dimenticato il sapore delle sue labbra, ma solo quando le sentii di nuovo a contatto con le mie mi accorsi di quanto mi fossero mancati i suoi baci. In lontananza, come se fosse la musica di sottofondo nella scena di un film, sentii partire un applauso, che immaginai provenire dai ragazzi, che avevano assistito alla scena. Percepii anche alcuni lampi di luce, forse provenienti dai flash delle fotocamere delle ragazze tra il pubblico. Il giorno successivo, quella scena sarebbe rimbalzata su tutti i social ma, onestamente, non mi importava. L’unica cosa a cui volevo pensare era che, finalmente, ero di nuovo tra le braccia di Nick e, nel momento esatto in cui i nostri sguardi si erano rincontrati, avevo capito che era l’unico posto dove avrei voluto essere. Possibilmente per sempre.

Sentii il suo fiato vicino al mio orecchio e, con voce dolce e roca, che mi fece tremare le gambe, mi sussurrò “Sono la persona più felice del mondo. Ti amo”.

“Anch’io” bisbigliai, strofinando il viso contro il suo.

“Cosa?” chiese lui, rivolgendomi uno sguardo divertito. “Anche tu sei felice o anche tu mi ami?”

Risi e risposi “Entrambe le cose”.

Nick mi guardò negli occhi, quasi come se non riuscisse a credere alle sue orecchie. Era la prima volta che ammettevo di amarlo e probabilmente non se l’aspettava. Mi prese le braccia e se le passò nuovamente dietro al collo, poi, facendo presa sulle mie gambe, mi sollevò, prendendomi in braccio. Scoppiai a ridere, allacciandogli le gambe alla vita e stringendomi ancora di più al suo collo. Rise anche lui, poi si voltò verso gli amici e disse “Mi scusate un momento, per favore?”

I ragazzi annuirono, tra le risate. Kevin aveva le lacrime agli occhi ma, per una volta, non erano di commozione bensì di divertimento. Brian lo prese in giro, rammentandogli “Siamo in un luogo pubblico. Niente porcherie!”

Senza farselo ripetere ulteriormente, Nick mi portò nel backstage dove, finalmente, mi rimise a terra. Mi prese di nuovo il viso tra le mani e mi baciò, questa volta con molta più passione che dolcezza, mentre io mi passavo i suoi capelli tra le mani.

“Ti amo” mi ripeté, tra un bacio e l’altro, mentre le nostre lingue si rincorrevano, senza riuscire a smettere di cercarsi.

“Ti amo anch’io” risposi, finalmente pronunciando quelle tre parole che il mio cuore sapeva da tempo, ma la mia testa si rifiutava di accettare e ammettere.

“Devo finire le prove, ma tu non scomparire, okay?” mi pregò, tenendomi una mano sulla guancia.

Posai una mano sulla sua e gli sorrisi. “Non vado da nessuna parte” lo rassicurai. “Resto qui con te”.

“Per sempre?” mi chiese, con una punta di apprensione nella voce.

Annuii. “Per sempre”.

 

Lo so, lo so che questo poteva benissimo essere l'ultimo capitolo e, in origine, doveva esserlo. Poi, però, ho desciso di farli soffrire ancora un pochino, perché sono sadica (non è vero, voglio bene a questi due, ma un po' di tribolazioni non hanno mai fatto male a nessuno - nelle storie, per carità, che la vita fa già abbastanza schifo di suo). Quindi godetevi questo po' di fluff finale perché il prossimo capitolo, che sarà anche l'ultimo, sarà un bel mix di emozioni contrastanti. Enjoy!

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 9 – Everything ***


CAPITOLO 9 – Everything

 

You see everything
You see every part
You see all my light
And you love my dark
You dig everything
Of which I'm ashamed
There's not anything
To which you can't relate
And you're still here

(Everything – Alanis Morrisette)

 

“Mi dispiace abbandonarti, amore, ma devo proprio andare a fare questa intervista” mi disse Nick, dandomi l’ennesimo bacio, sulla porta di casa.

Mi venne da ridere. “Sembra che dispiaccia molto di più a te che a me” commentai, sarcastica.

Lui fece una faccia offesa, io gli posai i palmi delle mani sul petto e lo spinsi fuori dalla porta.

“Prima vai, prima torni” sentenziai, dandogli un ultimo veloce bacio.

Quando mi richiusi la porta alle spalle, tornai in cucina, mi preparai una tazza di the e andai sul divano, decisa a guardare un film.

Era un freddo – per gli standard di Las Vegas – pomeriggio di metà gennaio, e ormai vivevo con Nick da più di un mese. Non potevo ancora affermare di essermi completamente ambientata in quella nuova realtà, così diversa da tutto quello a cui ero abituata, ma, tutto sommato, la mia nuova vita mi piaceva. Soprattutto, mi piaceva svegliarmi ogni mattina accanto a Nick, con una sua mano sul fianco, e guardarlo stropicciarsi gli occhi, con quella faccia buffa da bambino imbronciato e i capelli arruffati. Adoravo le domeniche lente, passate sul divano a guardare le partite di football, con la testa posata sulle gambe di Nick e una sua mano che giocava distrattamente con i miei capelli. Non avrei più potuto fare a meno di sentire le sue braccia che mi cingevano la vita, mentre mi stavo lavando i denti, prima di andare a dormire, le labbra che si posavano sul mio collo, lasciando una scia di piccoli baci delicati, con il preciso scopo di farmi venire la pelle d’oca. Adesso che ero con lui, mi chiedevo come avessi fatto a resistere sei lunghi mesi senza averlo vicino.

Sapevo che si trattava dell’idillio dei primi tempi e che, presto, le cose si sarebbero complicate ma, per adesso, tutto andava a gonfie vele e anche i reciproci difetti, che ovviamente stavamo iniziando a scoprire – io lasciavo sempre il tubetto del dentifricio aperto e Nick sembrava non essere in grado di far arrivare i vestiti sporchi nella cesta della biancheria, preferendo spargerli per casa, ad esempio – non ci infastidivano più di tanto. Ci amavamo e, piano piano, stavamo imparando a conoscere tutto l’uno dell’altra, nella speranza di riuscire a costruire un radioso futuro insieme.

Avevamo passato il Natale da Kevin, nella sua casa in montagna. Nick avrebbe preferito restarsene a casa con me, ma Kevin e Kristin avevano insistito e, alla fine, ci eravamo divertiti ed era stato bello passare le feste in una sorta di famiglia. Per capodanno, invece, eravamo stati invitati da A.J. e Rochelle. Nessuna festa da celebrità, soltanto una cena in casa, a base di pizza – preparata da me – e tacos, ma dovevo ammettere che era stato uno dei capodanni migliori della mia vita, il cui punto più alto era stato quando io ed A.J. avevamo deciso di sfidarci al karaoke con le canzoni della Disney, sotto lo sguardo affascinato della piccola Ava, e con Nick e Rochelle che ridevano fino alle lacrime, osservando la nostra eccessiva competitività. Allo scoccare della mezzanotte, mentre i padroni di casa erano in giardino con Ava a far scoppiare i fuochi d’artificio, Nick mi aveva baciata, annunciandomi che il suo desiderio per l’anno nuovo era passare il resto della vita insieme a me. Per confermare la sua risoluzione, aveva tirato fuori dalla tasca della giacca una scatoletta di velluto nero, che mi aveva consegnato, con gli occhi lucidi. Quando l’avevo aperta, e vi avevo trovato un anello col diamante, gli avevo rivolto uno sguardo sconvolto.

“Tu sei matto” avevo farfugliato, sotto shock.

Lui mi aveva sorriso e, dopo avermi preso le mani, si era inginocchiato davanti a me.

“Non ti sto proponendo di sposarmi subito” aveva spiegato. “Possiamo farlo, se vuoi, ti sposerei anche domani. Ma possiamo anche aspettare. Non ho fretta. Questo anello è per chiederti se vuoi passare tutta la vita con me”.

Cercando di non scoppiare a piangere dall’emozione, gli avevo preso il viso tra le mani e mi ero chinata a baciarlo.

“Mi sono trasferita dall’altra parte del mondo, per te. Credo che tu sappia già la risposta”.

Lui aveva annuito. “Sì, ma volevo sentirtelo dire” aveva ammesso.

Gli avevo preso le mani, facendolo alzare, poi gli avevo cinto la vita con le braccia, bloccandolo in un abbraccio. Lui mi aveva passato le mani dietro alla schiena, nascondendo il viso nei miei capelli.

“Sì,” avevo sussurrato, con la guancia appoggiata al suo torace, dove potevo sentire il battito del suo cuore “voglio passare tutta la vita con te. E voglio sposarti, Mr. Carter. Quando vorrai e quando potrai. Non ho più paura”.

Nick mi aveva baciato i capelli, per poi appoggiare il mento sulla mia testa. “Il prima possibile” aveva sentenziato.

Io mi ero stretta di più a lui ed eravamo rimasti in quella piacevole posizione finché il rumore dei fuochi d’artificio, che A.J. stava facendo scoppiare per Ava, non si era zittito. Poi ci eravamo presi per mano e avevamo raggiunto i nostri ospiti in giardino, dove, dopo esserci scambiati gli auguri di buon anno, Nick aveva annunciato, con nonchalance “Io e Alice ci sposiamo”.

Rochelle aveva lanciato un gridolino di gioia ed era corsa ad abbracciarmi, mentre A.J., ancora leggermente sconvolto da quella rivelazione inaspettata, aveva abbracciato Nick, commentando “Tu sei completamente pazzo ma, per una volta, non ho niente da obiettare e sono felice per te”.

Nick era scoppiato a ridere, poi A.J. aveva proposto di chiamare gli altri per dargli la bella notizia e avevamo passato il resto della serata al telefono, cerando di contenere l’entusiasmo di Brian, Howie, Kevin e le rispettive consorti.

Dovevo essermi appisolata senza rendermene conto perché, quando il suono del citofono mi svegliò, mi accorsi che si era fatto già più buio. Alzandomi per andare a rispondere, accesi un paio di luci, in modo che la stanza fosse rischiarata. Era Derek, il portiere del palazzo, che si scusava per il disturbo e mi annunciava che il fratello di Nick era nella hall e chiedeva di salire. Tentennai un istante. Nick si era raccomandato di non far entrare nessuno in casa, ma di sicuro la regola non valeva per i famigliari ed ero certa che Derek avesse controllato che il ragazzo fosse veramente chi diceva di essere, prima di chiamare, perché era molto scrupoloso nel suo lavoro e mi fidavo ciecamente di lui. Gli dissi di farlo salire e restai ad aspettarlo sulla porta dell’appartamento. Dopo qualche minuto, l’ascensore si aprì al piano e ne uscì un ragazzo alto e magro, con i capelli biondo chiarissimo e il collo e le braccia coperti di tatuaggi. Era molto magro e il viso era solcato da profonde occhiaie, che gli conferivano un aspetto non proprio sanissimo ma, in ogni caso, la somiglianza con Nick era indubbia.

Mi rivolse uno sguardo sorpreso e mi domandai se Nick gli avesse detto chi ero. Gli sorrisi e gli porsi una mano, salutandolo. “Ciao,” dissi “tu devi essere Aaron. Io sono Alice, la fidanzata di Nick”.

Aaron mi strinse la mano, titubante, e farfugliò “Piacere”.

“Vieni, entra” lo invitai, scostandomi leggermente per farlo passare. Lui mi seguì e io gli feci strada fino al salotto, dove gli dissi di accomodarsi sul divano.

“Posso offrirti qualcosa?” domandai, cercando di comportarmi da brava padrona di casa.

Aaron si guardò intorno e, notando la tazza, che avevo posato sul tavolino di fronte al divano, chiese “Tu cosa stavi bevendo?”

“The,” risposi “ma mi sono addormentata e ormai è freddo”.

“Del the andrà benissimo, grazie” mi disse e io sorrisi.

“Perfetto. Vado a farne un’altra tazza anche per me, allora, e poi ti raggiungo subito”.

Poco dopo, tornai in salotto, con in mano due tazze di the fumanti, e gliene porsi una. Nel prenderla, le nostre mani si sfiorarono e mi accorsi che Aaron aveva notato l’anello che Nick mi aveva regalato. Feci finta di niente e mi accomodai sul divano, accanto a lui.

“Mi dispiace,” dissi “Nick non c’è. Aveva un’intervista e non ho idea di quando sarà di ritorno”.

Il ragazzo scosse la testa. “Non fa niente. Passavo di qui e ho pensato di fargli un saluto. Ma non l’avevo avvertito, quindi non poteva sapere che sarei venuto”.

Entrambi bevemmo un sorso di the, in silenzio, e io ne approfittai per scrutarlo da sopra il bordo della tazza. Aveva gli occhi spenti e gli tremavano le mani. Ed era dannatamente magro, così magro che mi veniva voglia di offrirgli qualcosa da mangiare. Non sembrava stare bene. Ero in difficoltà perché non sapevo praticamente nulla di lui. Nick non amava parlare della sua famiglia e mi aveva detto poco o niente, oltre alle confessioni di quel giorno a Firenze. Sapevo che, in passato, lui e il fratello erano stati molto uniti. Poi era successo qualcosa, avevano litigato e adesso si parlavano lo stretto indispensabile. Lo stesso si poteva dire per la sorella maggiore, con la quale aveva troncato i rapporti in seguito a un litigio avvenuto dopo la morte dell’altra sorella, che aveva minato le fondamenta del loro rapporto. Nick non parlava nemmeno con il padre e la madre, ma era stato molto vago sui motivi che l’avevano portato ad allontanarsi così drasticamente dalla famiglia. L’unica che sentiva regolarmente era Angel, la sorella più piccola, che non avevo ancora avuto modo di conoscere, ma di cui Nick mi parlava spesso.

Anche Aaron sembrava non sapere come comportarsi e si guardava in giro, quasi impaurito. A un certo punto, forse non riuscendo più a sostenere il silenzio opprimente che avvolgeva la stanza, mi chiese “Allora...Alice, giusto?”

Annuii. “Giusto”.

“È da tanto che state insieme, tu e Nick?” domandò.

Scossi la testa. “In realtà no. Ci conosciamo da circa otto mesi, ma stiamo insieme seriamente solo da un mese e mezzo”.

“Tu non sei americana, vero?” si informò.

“No, sono italiana” ammisi.

“Dove vi siete conosciuti?”

“L’ho incontrato durante una delle crociere dei Backstreet Boys” spiegai, sorridendo al ricordo.

“Lavoravi sulla nave?” volle sapere.

Feci cenno di no con la testa. “No, avevo accompagnato una mia amica e gli ho prestato l’accendino”.

Lui annuì. “Ho visto il video della sorpresa che gli hai fatto a Dallas su internet” confessò.

Arrossii. Come avevo previsto, la mia performance sul palco al soundcheck del Jingle Ball era stata filmata dalle ragazze presenti ed era finita online poche ore dopo. Fortunatamente, la reazione delle fan era stata in generale molto positiva ed erano veramente poche quelle che non nutrivano una grande simpatia nei miei confronti. Dopo quello scoop, la notizia che Nick aveva una nuova ragazza si era sparsa a macchia d’olio e Jen aveva iniziato a chiamare tutti i giorni per comunicarci che svariati giornali e televisioni richiedevano a gran voce una nostra intervista ufficiale. Mi ero rifiutata categoricamente di mettere in piazza la mia vita privata e Nick, che inizialmente era stato quasi sul punto di cedere alle insistenze della manager, vedendomi così risoluta – e terrorizzata – alla fine mi aveva accontentata. Non volevo nascondermi, non mi importava se ci vedevano insieme e le foto finivano sui giornali, ma andare a raccontare i fatti nostri in diretta era decisamente un’altra questione. Dopo capodanno, e dopo quella singolare proposta di matrimonio, Jen era tornata alla carica e Nick era stato costretto a rilasciare una dichiarazione per confermare il nostro fidanzamento. Una sera, dopo averne ampiamente discusso, avevo acconsentito a partecipare a una diretta Instagram sul profilo di Nick, così che tutte le fan potessero vedermi, ed eventualmente pormi delle domande. Ero tesissima e non sapevo come comportarmi, ma Nick mi era stato di grande aiuto, facendomi sedere sulle sue gambe e accarezzandomi la schiena per tranquillizzarmi durante tutta la durata della live. Dopo un po’, avevo iniziato a rilassarmi e, verso la fine, avevo addirittura ammesso che era stato divertente. Ovviamente, non tutte le reazioni erano state positive e, dopo quella diretta, avevano iniziato ad arrivare le critiche. Leighanne, la moglie di Brian, nonché la veterana delle mogli dei Backstreet Boys, insieme a Kristin, mi aveva telefonato, chiedendo se poteva essermi d’aiuto a spiegarmi come gestire la cosa. L’avevo ringraziata, dicendole che era stata molto carina a preoccuparsi per me, ma che non mi importava. Non avevo mai avuto la pretesa di piacere a tutti e sapevo che le fan di Nick potevano essere molto possessive. Col tempo avrebbero imparato almeno ad accettarmi, se non ad apprezzarmi.

“Sì, non avevo calcolato di avere pubblico” sentenziai, lasciandomi scappare una risatina nervosa.

Aaron sorrise poi, lanciando un’altra occhiata all’anello che portavo al dito, domandò “Vi sposate?”

“Sì” confermai. “Non abbiamo ancora deciso quando, ma l’idea c’è”.

“Congratulazioni” mi disse, distogliendo lo sguardo.

“Grazie. Ti faremo avere l’invito, quando fisseremo una data”.

Il ragazzo si voltò di scatto a guardarmi, quasi stupito dalla mia affermazione. Mi limitai a sostenere il suo sguardo, senza parlare. Non riuscivo a interpretare la sua reazione e nemmeno a indovinare cosa gli stesse passando per la testa.

Aaron finì di bere il the, poi si voltò a guardarmi e mi fece un timido sorriso. “Grazie mille per il the e la chiacchierata” disse, alzandosi dal divano. “È stato un piacere conoscerti, Alice”.

“Ha fatto piacere anche a me, Aaron” ribattei, alzandomi a mia volta e posandogli una mano sulla spalla. “Dirò a Nick che sei passato”.

Lui annuì, poi lo accompagnai alla porta e lo salutai, restando a osservarlo mentre spariva nell’ascensore. Quando richiusi la porta, mi ritrovai a domandarmi come mai i rapporti tra lui e Nick si fossero ridotti al minimo. Non potevo certo dire di conoscerlo, ma Aaron mi era sembrato un ragazzo gentile ed educato, per lo meno con me. Sospirai e mi strinsi nelle spalle. Ne avrei parlato con Nick non appena fosse tornato a casa.

 

Chiusi lo sportello del forno, dove avevo inserito le lasagne, e impostai il timer. In quel momento, sentii la porta di casa che si apriva e mi voltai, aspettando di veder comparire Nick. Dopo un istante, infatti, il suo viso sorridente fece capolino sulla soglia del grande open space che comprendeva cucina e salotto.

“Scusa, ho fatto tardi. Non mi lasciavano più venire via” si giustificò, avvicinandosi.

“Non importa” lo rassicurai, mentre mi cingeva la vita, baciandomi il collo.

“Cosa mi hai preparato di buono?” chiese, guardandosi in giro e annusando il profumo proveniente dal forno.

“Lasagne” annunciai, certa di incontrare la sua approvazione.

Infatti, sorrise e sentenziò “La fortuna di avere una fidanzata italiana”. Poi si chinò a baciarmi sulle labbra.

Mentre le lasagne cuocevano, ci sedemmo sul divano, con un bicchiere di vino. Nick si appoggiò al bracciolo, tenendo le gambe leggermente allargate, e io mi ci accomodai in mezzo, con la schiena contro il suo petto. Lo ascoltai, serena, mentre mi raccontava dell’intervista, dandomi dei piccoli baci sul collo, di tanto in tanto, durante il discorso. Quando ebbe esaurito la narrazione, mi domandò “E tu invece? Cos’hai fatto per ingannare il tempo, senza di me?”

“Niente di che” confessai. “Mi sono messa a guardare un film, ma poi mi sono appisolata e mi ha svegliato il campanello”.

Nick mi rivolse uno sguardo stupito. “Il campanello?” si informò. “Chi era?”

“Derek” spiegai. “Mi avvertiva che avevamo una visita”.

Si limitò a fissarmi, incuriosito, quindi annunciai “È passato tuo fratello”.

Non seppi dire esattamente cosa mi mise in guardia, ma la sensazione dei suoi muscoli che si irrigidivano, a contatto con il mio corpo, mi convinse a posare il bicchiere sul tavolino e a scostarmi da lui, per poterlo guardare in faccia. Aveva gli occhi spalancati, la mascella tesa, le labbra serrate e una strana luce negli occhi, ben diversa da quella di quando rideva e che tanto adoravo. Questa mi faceva quasi paura.

“Cosa c’è?” chiesi, spaventata.

Lui non rispose, domandò solamente “Mio fratello?”

Annuii, sempre più confusa. Si stava comportando in modo strano, quasi gli avessi comunicato che avevo ricevuto una visita da Jack lo Squartatore.

“Perché l’hai fatto salire?” mi chiese, in tono severo.

“Perché è tuo fratello?” risposi, incerta. Era chiaro che non era contento di sapere che Aaron era stato lì, ma non riuscivo a capirne il motivo.

“Ti avevo detto di non far salire nessuno” mi rimproverò, fissandomi con aria accusatoria.

“Io...non credevo valesse anche per i famigliari” mi giustificai, sull’orlo delle lacrime.

La reazione di Nick mi sembrava eccessiva e mi stava veramente spaventando. Lui parve accorgersene perché mi sfiorò il viso con la mano e il suo sguardo si fece più dolce.

“Scusa, non volevo essere duro con te” mi sussurrò. “Ma Aaron non può stare qui. Non è il benvenuto”.

“Perché?” domandai, cercando di calmare i battiti del mio cuore.

Nick distolse lo sguardo. “È una storia lunga. Ti basti sapere che c’è un’ordinanza restrittiva che gli vieta di avvicinarsi a me e a chiunque mi sia in qualche modo collegato. Quindi, anche a te” spiegò.

“Non...non lo sapevo” farfugliai, sentendomi una stupida.

Mi sentii prendere il viso tra le mani. “Ehi, non potevi saperlo. È colpa mia. Avrei dovuto dirtelo” mi tranquillizzò.

Gli sorrisi, lieta che la tensione si fosse leggermente smorzata.

“Dimmi cos’è successo” mi spronò, serio.

“Non è successo niente, davvero” raccontai. “Ci siamo presentati, gli ho offerto una tazza di the e mi ha chiesto come ci eravamo conosciuti e da quanto stavamo insieme. Poi ha notato l’anello e ha voluto sapere se avevamo intenzione di sposarci. Finito il the, se n’è andato. Tutto qui”.

“Ti ha detto il motivo per cui è venuto?”

Scossi la testa. “Ha detto che era di passaggio e voleva salutarti”.

Nick alzò gli occhi al cielo e sospirò. Poi si alzò dal divano e si diresse verso il suo studio – o stanza dei giochi, come la chiamavo scherzosamente io, dato che la maggior parte del tempo che passava chiuso là dentro lo dedicava a giocare ai videogiochi, più che a comporre musica – dicendo “Devo chiamare il mio avvocato”.

Mi alzai anch’io. “Ma le lasagne sono quasi pronte” dissi, con una punta di disperazione nella voce. “Si fredderanno”.

“Scusami. Mangiale tu” replicò, prima di voltarsi e sparire lungo il corridoio, lasciandomi con un groppo in gola a chiedermi cosa diavolo fosse andato storto.

 

Terminai la chiamata e sospirai, passandomi una mano sugli occhi. Non sapevo che ora fosse, tutto aveva perso significato nel momento esatto in cui Alice mi aveva comunicato la visita di Aaron. Avevo avuto paura. Sapere mio fratello così vicino alla donna che amavo, da soli, senza nessuno intorno, mi aveva fatto letteralmente gelare il sangue nelle vene. Avrebbe potuto succedere qualsiasi cosa.

Sentii un lieve bussare alla porta, poi il viso di Alice fece capolino da una fessura. Non aveva la sua solita espressione allegra, sembrava triste e preoccupata. Dovevo aver terrorizzato anche lei, con il mio comportamento. Le rivolsi un debole sorriso, sperando di rassicurarla.

Ti ho portato la cena” disse, avvicinandosi con un piatto di lasagne in mano. “E sono venuta a salutarti, prima di andare a letto”.

Solo in quel momento, mi accorsi che era in pigiama o, meglio, che indossava una delle magliette che io non sapevo nemmeno più di avere nell’armadio, come al solito.

Vieni qui” le dissi, prendendole il piatto dalle mani e posandolo sulla scrivania davanti a me, per poi farla sedere sulle mie gambe. “Scusami,” sussurrai, scostandole una ciocca di capelli dal viso “devo esserti sembrato un pazzo”.

Mi rivolse un sorriso stentato. “Mi hai spaventata” confessò, passandomi un braccio intorno al collo.

Lo so e mi dispiace. Ma mi sono spaventato anch’io” mi giustificai.

Ma perché?” mi chiese, ancora confusa. “Non è successo niente. Abbiamo solo parlato”.

Lo so, grazie al cielo” commentai. “Ma avrebbe potuto andare diversamente. Non me lo sarei mai perdonato, se ti fosse successo qualcosa”.

Non ti sembra di esagerare?” domandò. “Ne parli come se fosse un assassino”.

Scossi la testa. “Tu non capisci. Aaron è schizofrenico, Alice. Se non prende le medicine, diventa aggressivo e violento. Avrebbe potuto farti del male”.

Ma non è successo” mi fece notare lei. “È stato molto carino, invece”.

Questa volta è andata bene, ma non posso rischiare che succeda di nuovo” sentenziai, deciso.

Alice mi rivolse uno sguardo preoccupato. “Cosa pensi di fare?”

Devo proteggerti,” spiegai “almeno finché non saremo sicuri che non ci riprovi. Dirò a Derek di non far salire nessuno, neanche il Padre Eterno. E tu devi promettermi di non uscire di casa senza di me”.

Non puoi rinchiudermi in casa, Nick” sbottò, indispettita.

Mi rendo conto che ti sto chiedendo tanto, ma non posso correre il rischio che ti succeda qualcosa” tentai di farla ragionare.

Ma cosa potrebbe succedermi?” domandò, esasperata. “Cosa potrebbe farmi?”

Potrebbe tentare di avvicinarti, per strada, e farti del male” spiegai.

Del tipo?” volle sapere.

Presi un respiro profondo. Non volevo spaventarla ulteriormente, ma era necessario che capisse la gravità della situazione.

Potrebbe tentare di ucciderti”.

Alice aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono e le mie parole, con tutto il loro potere distruttivo, rimasero sospese, ad aleggiare nella stanza buia, rischiarata solo dalla luce azzurrina del monitor del computer. Rimasi in attesa, guardandola, e sperando che non distruggessero quello che avevamo costruito fino a quel momento e che era, senza dubbio, la cosa più bella che avessi mai avuto nella vita.

Perché dovrebbe farlo?” mi chiese, con un filo di voce.

Perché non sta bene. È malato. Ma non accetta di esserlo e si rifiuta di prendere le medicine. E io ti amo, e se dovesse succederti qualcosa, credo che impazzirei. Quindi, ti prego, lascia che ti protegga. Fallo per me, se non vuoi farlo per te” la supplicai, sforzandomi di trattenere le lacrime.

Lei mi passò anche l’altro braccio intorno al collo, stringendosi a me e posandomi la testa sulla spalla. Io le baciai la fronte e la strinsi forte, nascondendo il viso nei suoi capelli e sentendo una lacrima scendermi lungo la guancia.

Cosa vuoi che faccia?” sussurrò, senza muoversi di un millimetro.

Il mio cuore ebbe un sussulto e mi sentii improvvisamente più leggero. Sollevato. E colmo di amore per quella splendida creatura che si era trovata in mezzo a qualcosa di troppo più grande di lei, ma mi amava così tanto da fidarsi ciecamente di me e lasciarsi guidare.

Ti porto da Kevin” proposi. “Resti da lui finché non avrò sistemato le cose e sarò certo che stare qui sia di nuovo sicuro per entrambi”.

La sentii annuire, quasi impercettibilmente. “Poi tornerai a prendermi?”

Mi chinai su di lei, fino ad appoggiare le labbra sulle sue. “Sempre” dichiarai, guardandola negli occhi. “Tornerò sempre da te. Non dimenticarlo mai”.

 

Stavo finendo di sistemare i pochi vestiti che mi ero portata nell’armadio della stanza degli ospiti, quando sentii bussare alla porta e la testa di Kevin fece capolino.

“Ciao” disse. “Volevo solo accertarmi che fosse tutto okay e vedere se ti serviva qualcosa”.

Gli sorrisi, chiudendo il borsone e sistemandolo sul fondo dell’armadio. “È tutto okay, grazie” lo rassicurai.

Nick mi aveva accompagnata a Los Angeles, da Kevin e Kristin, quella mattina. Si era fermato a pranzo, poi era tornato a Las Vegas, dove aveva in programma una serie di incontri con avvocato, giudice e polizia, per capire quali erano le condizioni di Aaron e come gestire la situazione. Odiavo stargli lontano, ma sarebbe stato ancora più terribile restare chiusa in casa, da sola, con i nervi a fior di pelle a ogni minimo rumore, cercando di trovare il modo di ingannare il tempo e far trascorrere quelle interminabili ore che mi separavano dal suo ritorno. Quindi, tutto sommato, l’idea di essere ospite di Kevin e Kristin per qualche giorno mi era sembrata quasi una sorta di liberazione. In ogni caso, Nick era così preoccupato che non me la sarei sentita di rifiutarmi.

Kevin fece un passo dentro alla stanza, stropicciandosi le mani, come se fosse in imbarazzo.

“Mi chiedevo anche se per caso volessi parlare” aggiunse, facendomi un sorriso.

Annuii e mi sedetti sul letto. Lui si avvicinò e prese posto accanto a me.

“Posso solo immaginare come devi sentirti” iniziò, lanciandomi un’occhiata preoccupata.

Alzai le spalle. “La verità è che non lo so nemmeno io come mi sento” confessai. “Sono solo molto confusa. Non credo di capire esattamente cosa sta succedendo”.

“Nick non ti ha spiegato?” domandò.

Scossi la testa. “Non proprio. Ha farfugliato qualcosa riguardo un’ordinanza restrittiva e che temeva che Aaron potesse farmi del male. Non so nient’altro. Credevo esagerasse, ma era così sinceramente preoccupato che non me la sono sentita di andargli contro”.

Kevin sospirò e mi posò una mano sul ginocchio. Poi iniziò a parlare. “Non sta a me raccontarti i dettagli, ma devi sapere che la situazione è piuttosto complicata. La famiglia di Nick è complicata e Aaron è solo un’altra vittima dell’avidità e della totale incapacità di dimostrare affetto disinteressato dei suoi genitori. Nick ha avuto noi, e i Backstreet Boys sono stati la sua salvezza. Ha trovato delle persone che gli hanno dato l’affetto che i suoi genitori non sono mai stati in grado di offrirgli e di cui aveva disperatamente bisogno. L’abbiamo praticamente cresciuto e sono orgoglioso dell’uomo che è diventato. La conferma della splendida persona che è venuta fuori da quel ragazzino indisciplinato e bisognoso di amore l’ho avuta quando ha scelto te. Poteva avere chiunque, ma ha deciso di donare il suo cuore a qualcuno che era disposto ad amarlo in modo totalmente disinteressato, come aveva sempre sognato di essere amato. Purtroppo, i suoi fratelli non sono stati altrettanto fortunati e alcuni hanno sofferto più di altri, come la povera Leslie, ad esempio, che non è riuscita a sopportare il peso del baratro in cui l’aveva gettata la malattia che la tormentava, e si è rifugiata nella droga, finendo per uccidersi. Per Aaron è lo stesso. È sotto i riflettori fin da piccolissimo, perché i genitori avevano bisogno di un’altra gallina dalle uova d’oro da spennare per farsi mantenere, quando Nick è diventato maggiorenne e ha deciso che ne aveva avuto abbastanza. Ma, a differenza di Nick, lui era da solo, senza nessuno con cui condividere le difficoltà di un mondo che un giorno ti considera un dio e quello successivo si è già dimenticato di te o, peggio, ti ha fatto diventare il peggiore criminale in circolazione. Senza contare che ha sempre avuto bisogno di approvazione, da parte di Nick ma, soprattutto, da parte dei genitori, la madre in particolare. E, lungi da me voler giudicare la gente, ma quella donna è cattiva e opportunista. Le interessa solo il suo tornaconto personale e non le importa se sono i suoi stessi figli a farne le spese”.

Mentre Kevin raccontava, io ero rimasta ad ascoltarlo in silenzio, colpita nello scoprire tutte quei particolari sulla famiglia di Nick. Sapevo che non avrei dovuto ma, una parte di me, provava un profondo risentimento e continuavo a chiedermi perché non me ne avesse mai parlato. Non si fidava abbastanza di me? Non mi amava abbastanza? O, forse, credeva che io non lo amassi abbastanza da potersi confidare?

Il ragazzo di fronte a me parve leggermi nel pensiero perché disse “Lo so che ti stai chiedendo perché non te l’ha detto ma, credimi, non è colpa tua. Nick è fatto così. È in grado di fare una diretta mentre si fa la doccia ma, poi, quando si tratta di parlare dei suoi problemi, si chiude come un riccio e non c’è verso di tirargli fuori una parola. Credo che anche quello abbia a che fare con l’educazione che ha ricevuto. Il padre è un uomo molto autoritario che ha educato i figli con il metodo del terrore. Non c’era spazio per i sentimenti e Nick ha dovuto imparare presto a nascondere le emozioni. Per fortuna, poi ha incontrato noi e ha iniziato a lavorare in un campo in cui i sentimenti sono fondamentali, altrimenti temo che sarebbe diventato completamente incapace di amare”.

Rabbrividii all’idea del mio Nick, che era una delle persone più dolci che avessi mai conosciuto, costretto a vivere in un ambiente del genere. Sospirai e chiesi a Kevin “Cosa posso fare per aiutarlo? Voglio che sappia che può contare su di me”.

Lui mi sorrise. “Lo sa. Deve solo convincersi che si merita il tuo aiuto e la tua comprensione e che lasciarsi supportare dalla persona che si ama non significa farsi compatire, ma dimostrarsi fiducia a vicenda, come fanno tutte le coppie”.

Gli rivolsi uno sguardo triste e preoccupato. Temevo che non sarebbe mai successo e che Nick non si sarebbe mai fidato completamente di me. Kevin mi mise una mano sulla spalla e sussurrò “Dagli tempo. Sono certo che l’amore che prova per te gli farà aprire gli occhi”.

 

Parcheggiai l’auto davanti a casa di Kevin, recuperai il borsone dal bagagliaio e mi avviai verso la porta d’ingresso. Prima di entrare, mi fermai un istante a osservare il paesaggio e sospirai. Era stata una settimana pesante e Alice mi era mancata da morire. Era la prima volta, da quando ci eravamo ricongiunti, che passavamo così tanto tempo separati e, sebbene ci fossimo sentiti ogni giorno, più volte, mi era servito per rendermi conto di quanto fosse diventata una parte indispensabile della mia vita. Non sarei più riuscito a immaginare di vivere senza averla accanto, il che, ironicamente, rendeva ancora più importante tutto ciò che era successo in quella interminabile settimana. Non vedevo l’ora di riabbracciarla, ma esitai prima di suonare il campanello, fermandomi ancora un attimo a riflettere, per cercare di riordinare le idee. Sapevo di non essermi comportato bene, con lei. L’avevo tenuta all’oscuro di una parte importante della mia vita e non sapevo come l’avesse presa, avendolo scoperto. Si era comportata come se nulla fosse e non mi aveva dato modo di presagire rancori o recriminazioni, ma poteva essere solo una facciata di circostanza. La verità era che non sapevo esattamente cosa mi aspettava, una volta varcata quella soglia. Avrei potuto trovare delle braccia pronte ad accogliermi, come una fredda steppa desolata carica di risentimento. Da parte mia, sapevo solo che le dovevo delle spiegazioni e volevo dargliele ma, per farlo, avevo bisogno di riflettere ancora un attimo sugli eventi di quella settimana.

Una volta tornato a Las Vegas, per prima cosa avevo cercato di capire come fosse stato possibile, per mio fratello, raggiungere casa mia, nonostante l’ordinanza restrittiva. Era venuto fuori, banalmente, che Aaron si era comportato bene per un lungo periodo e, quindi, la polizia aveva allentato i controlli su di lui. Mio fratello, o meglio il suo legale, era stato contattato e, come sempre, aveva fatto leva sulla sua malattia per ottenere benevolenza e dissuadermi dallo sporgere denuncia. A detta del suo avvocato, Aaron aveva giurato che non era sua intenzione spaventare né me né, tanto meno, la mia fidanzata e che si era presentato a casa mia nella speranza di poter parlare con me. Non sapevo se credere a quella versione. Ero tentato, in fondo era pur sempre mio fratello, nonostante tutto il male che mi aveva fatto, ma sapevo fin troppo bene quanto fosse bravo a fingere, specialmente se era manipolato da nostra madre. Non mi fidavo. Non tanto per me, quanto per Alice. La sola idea che potesse succederle qualcosa per causa mia mi faceva letteralmente uscire di testa. Dopotutto, lei aveva abbandonato una vita sicura per poter stare con me e io cosa le stavo offrendo? Paura e pericolo. Non se lo meritava. Non volevo che andasse in quel modo. A quanto pareva, comunque, c’era ben poco che io potessi fare per farla sentire più sicura. L’unico modo di procedere era sporgere denuncia, ma avrebbe significato far mettere Aaron agli arresti domiciliari e non me la sentivo. Il mio legale mi aveva suggerito di assumere una guardia del corpo o, quanto meno, ingaggiare Mike, di cui mi fidavo ciecamente, anche quando non stavo lavorando, in modo che potesse proteggere sia me, sia Alice. Non era la soluzione ideale ed ero certo che Alice non sarebbe stata entusiasta all’idea, ma non sapevo cos’altro fare. Mi ero quasi convinto a contattare Mike, quando, una sera, il mio avvocato mi aveva chiamato per informarmi che era stato contattato dal legale di Aaron per richiedere un incontro. Mi ero categoricamente rifiutato di incontrarlo. Ci avevo già provato, in passato, e mi ero presentato carico delle migliori intenzioni, sperando, se non in una riconciliazione, almeno in un chiarimento. Invece, lui aveva iniziato ad accusarmi per ogni singola cosa che era andata storta nella sua vita, imputando tutto al mio successo, che mi aveva tenuto lontano da casa, e da lui, quando più aveva bisogno di me. Il fatto di non essere stato sufficientemente vicino ai miei fratelli, specialmente a Leslie, era uno dei più grandi rimorsi della mia vita e, per quanto sapessi che non avevo avuto scelta e avevo comunque fatto del mio meglio per gestire la situazione, avrei dovuto convivere per tutto il resto della vita con quella colpa. Non mi serviva che Aaron me lo rinfacciasse. Non era il modo giusto per tentare di recuperare il nostro rapporto. Da quando avevo incontrato Alice, quel senso di colpa si era leggermente affievolito. Non sarebbe mai scomparso del tutto ma, in prospettiva, ero felice e potevo affermare di non essere mai stato così sereno. Non volevo che mio fratello avvelenasse quel periodo di pace con le sue cattiverie. Tuttavia, pressato dalle insistenze del mio avvocato, avevo acconsentito a parlargli al telefono, a patto che la chiamata venisse registrata e potesse essere messa agli atti nel caso fossero partite di nuovo minacce nei miei confronti. Così, il pomeriggio precedente, avevo parlato al telefono con Aaron, dopo almeno tre anni che non ci rivolgevamo la parola. Era stata una conversazione strana, quasi surreale. Ero partito comprensibilmente sulla difensiva, aspettandomi parole piene di rancore e toni freddi. Invece, avevo trovato un Aaron completamente diverso da quello che, l’ultima volta, mi aveva sputato addosso tutto l’odio che conosceva, e mi era quasi sembrato di essere tornato indietro di vent’anni, quando era ancora il mio fratellino adolescente. Mi aveva chiesto scusa, non per tutto quello che mi aveva fatto, sarebbe stato chiedere troppo, ma per essersi presentato a casa mia, sapendo di non poterlo fare. Aveva confessato di averlo fatto perché aveva visto online il video della sorpresa che Alice mi aveva fatto quando era arrivata dall’Italia ed era stato colto dalla curiosità di vedere di persona se tutta la felicità che traspariva fosse reale. Era sembrato sinceramente dispiaciuto, specialmente quando aveva saputo di aver spaventato a morte Alice.

Non era mia intenzione spaventarla. Davvero. Mi dispiace” aveva detto. “Lei è stata così carina con me”.

Lei è carina con tutti” avevo ribattuto. “Per questo è così speciale”.

Hai ragione” aveva concordato lui. “E sei fortunato ad averla”.

Come fai a sapere quanto è speciale?” avevo sbottato, pieno di rabbia al pensiero di quello che Alice stava passando a causa sua. “Non la conosci”.

È vero, ma mi è bastata quella chiacchierata per farmi un’idea” aveva obiettato Aaron. “Nonostante il mio aspetto urlasse tossico pazzo, lei mi ha trattato da persona normale. Si è fidata di me e questo solo perché sono tuo fratello. È speciale, Nick, e ti ama”.

Lo so” avevo commentato, colpito dalle sue parole.

Te lo meriti. Ti meriti di avere accanto qualcuno che creda così ciecamente in te” mi aveva detto, con un tono di voce dolce, che non gli sentivo più da troppo tempo.

E allora perché ci stai facendo questo?” avevo domandato. “Perché hai dovuto sconvolgere il nostro equilibrio, solo per un capriccio, costringendoci a vivere nel terrore?”

Non volevo, te lo giuro” mi aveva assicurato. “Qualsiasi cosa sia successa tra noi, Alice non c’entra niente ed è una brava persona. Non potrei mai farle del male. O fare qualcosa che la faccia soffrire”.

Ma lo stai facendo. Non ci permetti di avere una vita normale” gli avevo fatto notare.

Lui era rimasto un attimo in silenzio, poi aveva promesso “Vi lascio in pace, Nick. Me ne vado. Lontano da voi. Non sarò più un problema. Avete diritto di essere felici, soprattutto Alice. Vi auguro il meglio. Magari vi manderò un mazzo di fiori per il matrimonio”.

Mi ero sentito uno schifo. Non sarebbe dovuta andare così. Mio fratello avrebbe dovuto essere presente al mio matrimonio, avrei voluto che lo fosse. Ma sapevo che non era possibile, almeno fino a quando non fosse stato meglio. Avevo sospirato e detto, in tono calmo “Non è un addio, Aaron. La mia porta è sempre aperta e sono certo che lo pensi anche lei. Quando starai meglio, forse potremo riprovarci”.

Forse” aveva ripetuto lui. “Per adesso, vi auguro una vita meravigliosa”.

Quella conversazione mi aveva decisamente tranquillizzato perché, per la prima volta, avevo avuto la sensazione che Aaron intendesse veramente quello che mi aveva detto. Ed era tutto merito di Alice che, con la sua spontanea sincerità, aveva compiuto un piccolo miracolo, pur senza saperlo.

Adesso, però, arrivava la parte difficile, ossia spiegarglielo. E sperare che mi accettasse, anche con il mio passato problematico che a volte tornava a galla, e mi perdonasse per non aver avuto sufficiente fiducia in lei da parlargliene subito.

Presi un respiro profondo e mi decisi a suonare il campanello, aspettando, e allo stesso tempo temendo, il momento in cui l’avrei riabbracciata.

 

Kevin venne ad accogliermi alla porta e mi guidò fino al soggiorno, dove Alice stava costruendo un’astronave Lego con Mason. Era concentrata a studiare il disegno, mentre il bambino cercava i mattoncini giusti, in base alle sue indicazioni. Non ci sentì arrivare e io mi fermai a osservarla, appoggiato allo stipite della porta. Kevin, dietro di me, mi posò una mano sulla spalla.

Devi parlarle” mi suggerì. “Se volete davvero passare la vita insieme, non potete avere segreti”.

Annuii. “Lo so. È che speravo di risparmiarle questo peso” spiegai.

Sentii la presa sulla spalla farsi più salda. “Non puoi” obiettò il mio amico. “È la tua famiglia, il tuo passato. Che tu lo voglia o no, ha contribuito a farti diventare quello che sei, l’uomo di cui si è innamorata. Vedrai che accetterà anche questa parte di te”.

Mi voltai a guardarlo e, quando incrociai i suoi occhi verdi, gli rivolsi un debole sorriso. Lui ricambiò e mi fece un cenno con la testa, per indicarmi di andare da Alice.

Feci un passo all’interno della stanza, lei si accorse della mia presenza e alzò la testa di scatto. I nostri occhi si incontrarono e restammo un istante a fissarci, in silenzio, nessuno dei due abbastanza coraggioso da fare la prima mossa. Poi, si alzò lentamente dal pavimento, abbandonando il foglio con le istruzioni sul divano, e mi venne incontro.

Ciao” mi salutò, rivolgendomi un timido sorriso.

Ciao” ricambiai. “Mi sei mancata”.

Anche tu” ammise.

Senza riuscire a resistere oltre, allargai le braccia e lei non esitò a rifugiarvisi dentro. La strinsi in un abbraccio, posandole un bacio sui capelli.

Risolto?” mi chiese, senza staccarsi da me.

Credo di sì” la rassicurai. Poi, prendendo coraggio, aggiunsi “Dobbiamo parlare”.

I suoi occhi furono subito su di me, un’espressione preoccupata le oscurava il viso. “Non mi stai lasciando, vero?”

Sorrisi e scossi la testa. “Cosa ti viene in mente?” esclamai. “Non potrei mai”.

Si strinse di nuovo a me e sussurrò. “Parleremo. Più tardi. Adesso voglio solo abbracciarti”.

 

Ero a letto, nella camera degli ospiti di Kevin e Kristin, e stavo aspettando che Alice uscisse dal bagno, dove si stava preparando per la notte. A cose normali, se fossimo stati a casa, sarei entrato in bagno con lei, le sarei arrivato alle spalle e l’avrei abbracciata, le mani sulla sua vita, mentre le baciavo il collo, facendole il solletico. Ma non quella sera. Quella sera ero nervoso e avevo bisogno di restare solo qualche minuto per racimolare il coraggio necessario ad affrontare il gesto che stavo per compiere. Era stupido, me ne rendevo conto, ma avevo paura. Non di cos’avrebbe potuto pensare di me, ero certo che mi avrebbe amato ugualmente, se non addirittura di più, dopo aver saputo la mia storia. Temevo di veder comparire sul suo volto quello sguardo compassionevole che avevo visto tutte le altre volte che avevo raccontato a qualcuno della mia famiglia. E sarebbe stato difficile da sopportare. Non volevo che Alice mi compatisse. Non doveva vedermi come lo sfortunato ragazzino bisognoso di affetto che ero stato per tanti anni. Non lo ero più. Ero cresciuto, ero cambiato. Grazie, soprattutto, all’amore e al supporto dei ragazzi, ero diventato un uomo maturo e responsabile, che non si vergognava a esprimere i propri sentimenti ma, allo stesso tempo, perfettamente in grado di prendersi cura della sua compagna, proteggendola da qualsiasi cosa avesse potuto minacciarla.

A cena, avevo raccontato gli ultimi avvenimenti, compreso un riassunto abbastanza dettagliato della conversazione con Aaron. Tutti si erano dimostrati entusiasti dell’evolversi della situazione e Alice aveva messo una mano sulla mia, stringendomela, e rivolgendomi un sorriso pieno di amore. Ma non c’era solo quello. C’era anche dell’altro. Ci avevo messo un po’ a riconoscerlo, perché non mi capitava spesso di vedere quello sguardo e, quando succedeva, erano quasi sempre Brian o Kevin a rivolgermelo, ma poi l’avevo identificato. Era orgoglio. Per come avevo gestito la situazione, per non essermi lasciato sopraffare da paure e risentimento e, soprattutto, per non aver chiuso del tutto la porta in faccia a mio fratello. Sentirmi addosso quello sguardo, mi aveva fatto trovare il coraggio necessario e avevo deciso di parlare ad Alice quella sera stessa. Adesso, però, mentre la sentivo chiudere il rubinetto del lavandino, segno che aveva finito di lavarsi i denti e, tra poco, mi avrebbe raggiunto nel letto, tutta quella convinzione sembrava avermi abbandonato e avrei soltanto voluto abbracciarla, dimenticare tutto e addormentarmi tra le sue braccia, cullato dal battito del suo cuore. Ma non potevo. La amavo come non avevo mai amato nessuna, prima di allora, e meritava la mia onestà. Glielo dovevo.

La luce del bagno si spense e la vidi comparire sulla porta, con addosso la maglietta dei Buccaneers che le avevo regalato dopo la prima notte che avevamo passato insieme. Sosteneva che fosse la sua preferita e che, nonostante i lavaggi, fosse impregnata del mio profumo, per quello la indossava spesso. Non mi stupiva che se la fosse portata, anzi, mi faceva venire voglia di togliergliela e fare l’amore con lei, al diavolo tutti di discorsi che mi ero preparato.

Si avvicinò, salì a carponi sul letto e mi si fermò davanti, le gambe piegate sotto di sé. Mi appoggiò il palmo della mano su una gamba e si sporse a darmi un bacio.

E questo per che cos’era?” domandai, sorridendo.

Alzò le spalle. “Niente di particolare. Avevo solo voglia di baciarti”.

Le presi una mano e la tirai a me, cingendole le spalle e facendole posare la testa sul mio torace. Appoggiai il mento sulla sua testa e annunciai “È arrivato il momento delle spiegazioni”.

La sentii prendere un respiro profondo, poi disse solo “Ti ascolto”.

Chiusi gli occhi e iniziai a raccontare.

Sono cresciuto con tre sorelle e un fratello. Io sono il più grande. I miei genitori hanno sempre avuto un rapporto problematico, litigavano di continuo, anche violentemente e, spesso, noi figli finivamo in mezzo. Non ci hanno mai picchiato, ma la pressione psicologica era enorme, tipo che, durante i litigi, ci obbligavano a scegliere da che parte stare. Mia madre era perennemente insoddisfatta, mentre mio padre autoritario e totalmente incapace di dimostrare affetto. Come sai, ho iniziato la carriera con i Backstreet Boys quando ero poco più che un bambino, avevo a mala pena dodici anni. Non capivo del tutto cosa stava succedendo, sapevo solo che amavo cantare e mi davano dei soldi per farlo. I ragazzi mi hanno subito adottato, sono diventati una famiglia migliore di quella che avevo. Mi hanno insegnato ad accettare i miei sentimenti e non a reprimerli, come voleva mio padre. Gli devo tutto. Se non fosse stato per loro, probabilmente a quest’ora sarei entrato in qualche brutto giro di droga o di malavita e sarei già morto.

Da quando ho iniziato a lavorare, mi sono sempre sentito in dovere di provvedere al mantenimento della mia famiglia, dato che ero quello che guadagnava di più, ed è una bella responsabilità da caricare sulle spalle di un adolescente. Non mi sono mai lamentato, anzi, ero orgoglioso di poter fare qualcosa per loro e, in qualche modo, ripagarli per avermi permesso di realizzare il mio sogno. Gli ho comprato un ranch in California e ci siamo trasferiti lì. Speravo che, portandoli via dalla Florida, dove avevamo passato anni terribili, le cose sarebbero cambiate e sarebbero diventati la famiglia che desideravo. Purtroppo, non è stato così. I miei genitori non erano mai soddisfatti e i miei fratelli hanno iniziato a essere gelosi delle attenzioni che mi riservavano, sentendosi esclusi. Quando ho compiuto diciotto anni, l’atmosfera era talmente tesa che non mi sentivo più a mio agio in famiglia e tornare a casa, ogni volta, era una tortura. Così me ne sono andato. Inizialmente da Brian, poi ho comprato una casa nelle Isole Keys, anche se passavo la maggior parte del tempo a Los Angeles, ospite di amici. Nel frattempo, però, il mio malessere cresceva e, complice un’eccessiva disponibilità economica, ho iniziato a frequentare brutte compagnie. Andavo a tutte le feste, bevevo troppo e ben presto ho anche iniziato a fare uso di droghe. Marijuana e sonniferi, per lo più, ma ogni tanto non disdegnavo la coca. Un giorno, mi sono guardato allo specchio e non ho più riconosciuto la persona che vedevo riflessa. A quel punto, ho deciso di darci un taglio. Sono tornato da Brian, ho smesso di bere e di assumere sostanze e ho iniziato a vedere una terapeuta. Mi sono rimesso in sesto, lavorando su me stesso.

Poi, mia sorella Leslie, che avevo tentato di aiutare a sfondare come cantante, è morta di overdose. È stato un brutto colpo e i sensi di colpa hanno ricominciato a farsi sentire. Mi dicevo che, se le fossi stato vicino, non sarebbe successo anche se, in realtà, sapevo che non avrei potuto fare nulla per salvarla. Temevo di averle dato un modello di riferimento sbagliato, con i miei trascorsi di alcool e droghe, e i miei genitori pensarono bene di metterci il carico da undici, dichiarando pubblicamente che la morte di Leslie era colpa mia. Capii che non sarebbero mai cambiati, e che il loro comportamento serviva solo a nascondere la loro totale incapacità di fare i genitori. Ma mi avevano ferito e mi allontanai di nuovo, questa volta definitivamente. Non andai nemmeno al funerale di Leslie, anche se avrei voluto, perché sapevo che mi avrebbero accusato di nuovo, davanti a tutti, pur di creare uno scoop, e non volevo scandali, non quando stavo soffrendo così tanto per lei.

Aaron ha avuto una storia simile alla mia, anche lui è stato spinto da nostra madre a sfondare nel mondo della musica, così da poter sostenere economicamente la famiglia, dato che io avevo smesso di farlo. Solo che lui era da solo, non aveva una seconda famiglia su cui contare, e non ce l’ha fatta. Ha intrapreso una discesa nel baratro, culminata con la diagnosi di schizofrenia, qualche anno fa. Ho provato a stargli vicino, ma mia madre non me lo ha permesso, fomentando in lui una gelosia e un risentimento nei miei confronti che ancora mi risultano difficili da comprendere. È come se mi odiasse perché ho ottenuto quello che lui non è mai riuscito ad avere e ha fatto di tutto per portarmelo via. Un paio di anni fa, ha pubblicamente dichiarato di essere stato molestato da me, quando era un ragazzino. Non sto nemmeno a dirti che, ovviamente, non è vero. Voglio credere che ti fidi abbastanza di me da non aver pensato nemmeno per un momento che lo fosse. In ogni caso, ho dovuto sporgere denuncia per calunnia, perché era un’accusa troppo grave per lasciargliela passare. Lui ha postato su Instagram un video in cui mi aspettava sul retro del palazzetto, in cui io e i ragazzi stavamo facendo le prove per uno spettacolo, con una pistola, sostenendo di volermi uccidere. Fortunatamente, il video è stato visto da un sacco di persone, tra cui molte nostre fan, e qualcuno ha avvertito la polizia. È scattata la denuncia ed è stata emessa un’ordinanza restrittiva che impedisce ad Aaron di avvicinarsi a meno di due metri da me e da qualsiasi persona che mi sia accanto. Non avrei voluto arrivare a tanto, ma non ho avuto scelta. Era questo quello di cui parlavo, quando ti dicevo che poteva farti del male. Ci aveva già provato una volta con me, ed ero stato fortunato, non potevo permettere che succedesse qualcosa a te”.

Mi fermai, riprendendo fiato, e mi accorsi solo allora che Alice mi aveva preso una mano tra le sue e l’aveva tenuta stretta per tutto il tempo della mia confessione. Quando realizzò che il fiume di parole era finito, si voltò verso di me e mi strinse in un abbraccio lungo e caldo, senza dire nulla.

Le passai una mano tra i capelli, posando le labbra sulla sommità della sua testa e respirando il profumo del suo shampoo al cocco. Poi sussurrai “Scusami. Non volevo buttarti addosso tutti questi problemi, ma non voglio nasconderti più niente. Se voglio proteggerti, devi sapere”.

La sentii sospirare e, senza sciogliersi dall’abbraccio in cui mi aveva avvolto, replicò “Non puoi proteggermi da tutto, Nick. Non sei la mia guardia del corpo. E, soprattutto, non devi proteggermi da te”.

Cosa vuoi dire?” domandai, non riuscendo a capire a cosa alludeva.

Lei si allontanò leggermente, per potermi guardare negli occhi, e rispose “Voglio dire che ti amo. Senza se e senza ma. Amo ogni parte di te, anche quelle di cui ti vergogni o per cui credi di non meritare di essere amato. Compresa la tua incasinatissima famiglia. Amo anche loro”.

Scossi la testa, incredulo. “Non puoi amarli. Nemmeno li conosci. E, se li conoscessi, di certo non li ameresti”.

D’accordo,” ammise “forse non li amo. Ma gli sono grata. Perché, anche se ti hanno fatto soffrire, hanno contribuito a farti diventare quello che sei ora. Lo straordinario essere umano di cui mi sono innamorata e con cui voglio passare tutta la vita”.

Cercando di non lasciarmi sopraffare dalle emozioni e combattendo per scacciare il groppo in gola che minacciava di risalire da un momento all’altro, le misi le mani sulle spalle e la tirai a me, abbracciandola di nuovo e stringendomi a lei come se fosse l’unica roccia nella corrente che mi stava trascinando al largo.

Ti amo” le sussurrai, commosso “e non so cosa farei senza di te. Adesso sei tu la mia famiglia. Promettimi che non mi lascerai mai, ti prego”.

Non lo farò” mi assicurò. “Sarò sempre qui. E, adesso che conosco tutto di te, luci e ombre, ne sono ancora più convinta e ti amo ancora di più”.

Chinai il viso verso di lei, cercando le sue labbra e, quando le trovai, ci posai sopra le mie, prendendole il viso tra le mani. Era quello l’amore, finalmente l’avevo capito. Era trovare qualcuno che accettasse luci e ombre, anche quello di cui ci si vergognava di più, e che riuscisse a comprendere perché ci faceva sentire così vulnerabili. E io ero così fortunato da averlo trovato.

Siamo arrivati alla fine di questa mia prima avventura in una fandom che non mi appartiene. Non so se ce ne saranno altre. Mi piacerebbe, perché in fondo mi sono divertita a giocare con personaggi per me nuovi, ma mi sarebbe piaciuto avere un dialogo con chi legge che, invece, non c'è stato, quindi non so. Ringrazio comunque coloro che hanno perso qualche minuto del loro tempo per leggere questa storia. Se, al di là dei personaggi, vi piace il mio stile, trovate e troverete altre storie originali (ne ho parecchie pronte e le sto caricando un po' alla volta, oltre, ovviamente, a quelle che sto scrivendo). Per quanto riguarda i Backstreet Boys, sto scrivendo qualcosa ma è tutto ancora molto nebuloso e in fase di bozza, quindi non prometto nulla. Se, però, qualcuno fosse così carino da lasciarmi due righe per dirmi cosa ne pensa di questa storia, magari potrei farci un pensierino... Buona domenica a tutti e Go Bucs!

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