Dear Connor Murphy di arashinosora5927 (/viewuser.php?uid=821446)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Connor ***
Capitolo 2: *** Connor Murphy è morto ***
Capitolo 3: *** Grieving ***
Capitolo 4: *** For forever ***
Capitolo 5: *** Sincerely, us ***
Capitolo 6: *** No requiem ***
Capitolo 7: *** If I could tell ***
Capitolo 8: *** Disappear ***
Capitolo 9: *** The Connor Project ***
Capitolo 10: *** You will be found ***
Capitolo 11: *** Him ***
Capitolo 12: *** Them ***
Capitolo 13: *** Viral ***
Capitolo 14: *** Her/Us/Me ***
Capitolo 15: *** I'm back ***
Capitolo 16: *** A cute couple ***
Capitolo 1 *** Connor ***
Questa
è la mia uscita di scena, ho scelto di non svegliarmi domani.
Meglio bruciare che spegnersi lentamente? Lo ha detto Kurt Cobain nella
sua lettera.
Ho visto un video dei più famosi: Ernest Hemingway, Robin
Williams, Virginia Woolf, Hunter S. Thompson, Sylvia Plath, David
Foster Wallace, Van Gogh... non mi sto paragonando, credetemi, quelle
persone hanno effettivamente avuto un impatto, io non ho fatto niente,
non sono nemmeno riuscito a scrivere una spiegazione.
"Bruciare" è il modo giusto per dipingerla.
Senti che stai diventando sempre più incandescente, giorno
dopo giorno, più caldo e ancora più caldo.
Diventa troppo anche per le stelle. Arriva il momento in cui svaniscono
o esplodono. Smettono di esistere, ma se guardate il cielo non vi
sembra così: pensate che tutte quelle stelle siano ancora
lì. Alcune non lo sono. Alcune sono già morte da
tempo.
Immagino che ora lo sono anche io.
Non ho scritto un lettera di addio, l'ultimo segno del mio passaggio
sulla terra l'ho lasciato impresso sul gesso di un ragazzo.
Un arto rotto per conservare il nome di una persona rotta, se ci
pensate è poetico e pensare attualmente è tutto
ciò che posso fare.
La giornata è iniziata come tutte le altre l'intera felice
famiglia Murphy seduta al tavolo della cucina per fare colazione se non
fosse che io non stavo mangiando e nemmeno Larry, troppo impegnato col
suo telefono, né Cynthia, troppo occupata a servirci. I miei
genitori adorano quando li chiamo per nome.
Zoe, l'unica a mettere davvero qualcosa sotto i denti e di certo
neanche lei era felice.
"È il tuo ultimo anno Connor, non mancherai al primo giorno"
la voce di Cynthia è più fastidiosa che mai
specialmente perché ne abbiano già parlato.
"Ho già detto che ci vado domani!" la mia protesta.
Mia madre non è disposta a contrattare è convinta
che la scuola mi possa fare bene e dopo avermi guardato a dormire per
tutta l'estate sta disperatamente cercando di farmi uscire di casa.
Quale è il punto di andare a scuola? Non hanno mai saputo
che farsene di me: se non rientri in una delle loro scatole vieni
buttato da parte e dimenticato. Posso imparare molto di più
a casa, leggere i miei libri, guardare programmi che fanno
informazione, non mi serve la scuola, specialmente non quella che
frequento adesso. Almeno quando ero ad Hannover potevo menzionare
Nietzsche senza che un insegnante mi fissasse con lo guardò
perso nel vuoto. Sfortunatamente tutto l'esperimento della scuola
privata è stato un fallimento. A quanto pare imbottirsi
Adderall per superare gli esami è okay, ma un po' di erba
nel tuo armadietto è imperdonabile. Ipocriti!
Forse ora capiranno come funziona.
Hey, geni, nessuno muore con la marijuana.
Le pillole? Quelle sì che uccidono.
Poi Cynthia ha cercato di coinvolgere Larry è sempre
l'ideale per farsi quattro risate.
"Andrai a scuola, Connor" è tutto ciò che
è riuscito a mettere insieme. Mia madre è
esausta, ciò che la sfinisce di più è
constatare mio padre ormai si è arreso al punto tale che non
ha più reazioni al mio comportamento.
"Davvero questo è tutto ciò che sai dire?" ha
domandato Cynthia.
Larry ha chiuso il cellulare solo per aprire il giornale.
"Non ascolta. Guardalo, probabilmente è fatto" ha detto.
"È decisamente fatto" è intervenuta Zoe, poi i
miei consaguinei hanno continuato a parlare per un po' come se non
fossi lì a tavola con loro a riempirmi una tazza di latte
per darmi una parvenza di normalità.
Benvenuti nella famiglia Murphy: se sei Zoe allaccia pure le cinture
per la corsa della tua vita, se invece ti capita di essere Connor, beh,
vorrai rimanere in silenzio e desiderare di non sentire più
nulla.
"Vaffanculo!" ho urlato a mia sorella.
"Vaffanculo tu!" mi ha risposto.
"Moderiamo i toni" è intervenuta Cynthia.
"Non voglio che tu vada a scuola sotto stupefacenti, Connor."
"Perfetto, allora non ci vado. Grazie mamma!" ho detto prima di
andarmene dalla cucina.
Per la cronaca sì, ero fatto, ma mi dà fastidio
che lo diano per scontato, che mi vedano solo come un drogato che non
ha niente di meglio da fare che fumare erba piuttosto che chiedermi
perché preferisca esistere in uno stato alterato di
coscienza.
Sono salito in camera mia e ho guardato il mio riflesso allo specchio,
la cosa interessante è che adesso ricordo a tutti gli
effetti un ragazzino emo, cosa che non posso negare di essere, con
questo ciuffo di capelli che copre solo il mio occhio eterocromatico.
L'unica cosa etero in me!
Sul mobiletto del bagno ci sono tutta una serie di scatoline tonde
arancioni per la mia terapia, ci sono medicine per l'ansia, per la
depressione, per il disturbo paranoide e onestamente non so
più quale dovrei prendere, dovrei fare un cocktail. Questo
valrebbe se servissero a qualcosa, dal momento che l'erba invece
è l'unico conforto reale che ho trovato non ho preso niente
e sono uscito di casa.
Alcuni combattimenti non valgono lo sforzo.
Ho ricevuto un passaggio da Zoe, un altro dei numerosi vantaggi di
essere me. La tua sorellina ti porta in giro e tutto perché
la Subaru Luxury che Larry ti ha consegnato come se fosse la cosa
più preziosa al mondo è in una discarica da
qualche parte.
Non c'erano cervi per strada quella notte, posso dirlo con certezza, mi
sono schiantato contro quell'albero perché ne avevo voglia.
Le mie decisioni più folli sono sempre così,
prese in una frazione di secondo. Nove volte su dieci mi sono ferito,
poi alla decima...
Comunque avevo ragione a voler saltare la scuola perché sono
stato messo in punizione nonostante non fossi l'unico a usare il
telefono in classe, in mensa poi mi hanno provocato e pensare che stavo
solo cercando di farmi i cazzi miei. Neanche più questo
è concesso al terribile Connor Murphy?
"Hey Connor, adoro la nuova lunghezza dei tuoi capelli, fa molto
sparatoria a scuola" Jared fottuto Kleinman ha osato dire ricordandomi
due cose: che ho passato l'estate a vegetare sperando che bastasse a
farmi morire e che esistono esemplari di homo sapiens che sono stati
classificati in maniera errata.
"Hey rilassati, era solo una battuta" ha detto Jared, dall'espressione
sul suo viso ho concluso di averlo intimidito il che deve essere stato
un effetto immediato del fastidio che ho percepito sotto ogni
centimetro della mia pelle.
"Sì infatti era divertente. Sto ridendo, non vedi?" ho detto
sfoderando tutto il sarcasmo che è cresciuto in me in questi
anni.
A giudicare dal rumore dei miei stivali che si infrangono contro il
pavimento devo aver fatto un passo in avanti, di quelli minacciosi,
anche perché Jared ne ha fatto uno indietro.
"Non sto ridendo abbastanza per te?!" credo di aver urlato stavolta.
Jared mi ha guardato per un istante solo per dire "sei fuori di testa"
e poi si è dileguato.
Vorrei urlargli contro molte più cattiverie fosse anche solo
per fargli provare il brivido di essere paragonato a un criminale e poi
a un malato mentale il tutto nella frazione di un minuto, ma la mia
voce si blocca perché parla la rabbia. Sebbene io non sia un
assassino di sicuro non posso dire di stare bene con la testa ed
è quando dicono qualcosa di vero che resti in silenzio.
Comunque suppongo che il mio gesto abbia fatto di me anche un assassino.
Accanto a Jared c'era Evan, a stento lo avevo notato. Quel ragazzo ha
la capacità di mimetizzarsi neanche fosse un camaleonte, ma
non come se sapesse adattarsi più come se volesse sparire e
da questo punto di vista io e Hansen siamo uguali. Per questo volevo
ricominciare, ricominciare con lui, presentandomi di nuovo anche se ci
conosciamo dalla prima elementare. C'è qualcosa in lui che
mi ha attirato quando quest'estate l'ho intravisto di tanto in tanto
vicino a Ellison Park, forse perché sono andato oltre
un'anonima maglietta a righe blu.
Io ed Evan siamo uguali, pezzi di un puzzle senza forma che non trovano
il loro posto forse perché semplicemente non ne hanno uno e
non c'è spazio per loro in quel disegno.
Evan fottuto Hansen ha riso, riso di me. Un ragazzo che cammina sotto i
muri come se volesse farsi assorbire si è permesso di ridere
di me.
"Che cazzo ti ridi?" gli ho domandato, suppongo che la mia voce mi
abbia tradito stavolta e non abbia fatto mistero della mia sofferenza.
"Cosa?" ha detto Evan, sembrava confuso, ma non me la sono bevuta.
"Smettila di deridermi!"
"No, io non-"
"Pensi che io sia fuori di testa?! Io non sono pazzo!"
"Non lo pe-"
"Tu sei il fottuto pazzo!"
Prima che me ne possa davvero rendermene conto Hansen è a
terra esattamente come la mia speranza di poter ricominciare. Pensare
che per un attimo mi ero davvero convinto di poterlo approcciare e
chissà magari col tempo instaurare un'amicizia, invece era
proprio come tutti gli altri.
Buono a sapersi che ho ancora un po' di forza in queste braccia,
potrebbe tornare utile se a qualcuno saltasse in mente di aggredirmi
giusto per migliorarmi la giornata.
Stavo quasi per dimenticarmi che non avrò più
giornate e mi sento quasi in colpa per provare sollievo, ma proseguiamo.
Durante le altre ore di lezione mi sono reso conto che come al solito
ho lasciato che i miei demoni mi convincessero della loro versione dei
fatti quando Hansen normalmente è talmente assente che
quando un insegnante si rivolge a lui lo deve chiamare più
volte. Quanto egocentrismo da parte mia, pensare che stesse ridendo
proprio di me.
Più tardi nel laboratorio di informatica per qualche ragione
c'eravamo solo io ed Evan e mi è sembrato come se il mio
dannato destino mi stesse dando una seconda occasione.
"E allora che è successo al tuo braccio?" gli ho chiesto.
Appena mi sono avvicinato ha tremato come una foglia. Faccio davvero
così paura?
Voglio risparmiarvi i miei sensi di colpa per avere intenzionalmente
fatto cadere qualcuno con un braccio rotto, ma se ve lo stavate
domandando sì, ce li ho.
"Stavo lavorando come apprendista a Ellison Park... una mattina stavo
facendo il mio giro e-e ho visto questa incredibile quercia
alta quaranta piedi e ho iniziato a scalarla e sono semplicemente ...
caduto. Ma in realtà è una storia divertente,
perché sono passati dieci minuti buoni da quando sono caduto
a quando ero sdraiato a terra, in attesa che qualcuno venisse a
prendermi. 'Da un momento all'altro', continuavo a pensare.
'Da un momento all'altro.' Ma non è venuto nessuno,
quindi..." mi ha risposto.
La prima cosa che mi sono chiesto è se qualcuno abbia mai
insegnato ad Hansen a respirare perché ha detto questa frase
lunghissima con un solo fiato, la seconda invece è 'Quanto
devi essere distrutto per reputare questa una storia divertente?!'. Ma
dopotutto se è questo che vuole mi mostrerò
divertito e con questa idea nella mente ho iniziato a ridere
sguaiatamente. Voglio piacergli, voglio parlare con lui, voglio fare
amicizia, non ho idea di come cazzo si faccia perché ho
mandato a puttane l'unico vero rapporto della mia vita, ma suppongo che
dando alle persone ciò che vogliono le metti nell'ottica di
costruire qualcosa con te.
"Sei caduto da un albero? Questa è la cosa più
fottutamente triste che io abbia mai sentito" gli ho detto.
Non sono un esperto in materia, ma penso di aver sbagliato e avere
appena annullato ogni possibilità di essere sulla lista
delle persone con cui Hansen vorrebbe interfacciarsi, non che ne abbia
davvero una.
Evan emana uno strano odore tipo bagnoschiuma, quelli per bambini,
è tutto il suo aspetto a essere sinceri a ricordare
più un bambino che un ragazzo, eppure è
decisamente più in carne e sembra anche più in
salute di me. Magari ha una routine un attimo più sistemata,
non lo so dire, non che ci voglia molto. Sembra conoscer la sofferenza
sì, ma al contempo è attaccato al mondo delle
favole e se ne racconta continuamente per non guardare in faccia al
lieto fine che non c'è.
"Segui il mio consiglio, dovresti inventare una storia migliore" gli ho
detto e questo onestamente suona di più come qualcosa che un
amico, qualcuno che tiene a te e vuole il tuo bene, direbbe.
"Sì, probabilmente" ha ammesso Hansen, almeno è
d'accordo.
"Dì soltanto che stavi picchiando un razzista, che lo hai
inseguito nel buio oltre la siepe."
Hansen era confuso dalle mie parole, poi è sembrato che gli
si fosse accesa una lampadina.
"Oh intendi il libro?" mi ha domandato.
"Alla fine, ricordi? Jem e Scout stanno scappando da quel tizio rosso e
lui rompe il braccio di Jem. È come una ferita in battaglia"
gli ho detto e mi è bastato guadarlo in faccia per sentire i
suoi pensieri, probabilmente anche lui non ha idea del fatto che sono
uno che fa i compiti e anche più di quanto assegnato.
Evan non ha parlato, come se stesse elaborando ancora le troppe
informazioni, se non altro non sembrava più terrorizzato
dalla mia mera esistenza il che deponeva a mio favore.
"Nessuno ha firmato il tuo gesso... lo faccio io!" ho detto rendendomi
conto che questa è la mia occasione, che ora che ho rotto il
ghiaccio posso instaurare qualcosa, mettere la prima pietra di
normalità e guarigione.
"Non devi..." sono stato sordo alle sue proteste.
"Ce l'hai un pennarello?" ho chiesto.
Sì, Hansen aveva un pennarello e lo aveva nella tasca
esterna della cartella come se non aspettasse altro che qualcuno che
gli chiedesse di usarlo.
Dopo aver tolto il tappo con i denti probabilmente perché
non sono capace di fare le cose come una persona normale mi sono reso
conto di aver preso il braccio di Hansen con troppa forza visto che ha
emesso un lamento.
Ho scritto il mio nome a caratteri cubitali, il che testimonia ancora
una volta il mio egocentrismo, ma giuro che non l'ho fatto per
dispetto, volevo anzi dimostrargli che ci tenevo davvero a firmare il
gesso e volevo che mi notasse e non come il mostro che tutti conoscono,
ma come Connor che non conosce nessuno, nemmeno io stesso probabilmente.
"Adesso entrambi potremo fingere di avere degli amici" gli ho detto
restituendogli il pennarello. Ero stupito, non ricordavo l'ultima volta
in cui il mio tono era stato così calmo e pacato, quasi
dolce, avrei usato questo termine se non fosse che lo trovo
inappropriato per parlare di me.
"Hai ragione" ha detto Hansen e ora lo vedevo chiaramente, c'era
qualcosa tra di noi, si era creata una connessione e non avevo alcuna
intenzione di disattivare il Wi-Fi.
Ho mentito, sapevo già del braccio, le persone nel mio
quartiere parlano e ho sentito il proprietario del parco lamentarsi del
ragazzo che era caduto dall'albero perché diversamente da
come crede Cynthia non ho passato proprio ogni secondo della mia estate
confinato in camera.
Tuttavia nessuno sa la vera storia meglio del protagonista e anche se
sono ancora poco convinto -perché andiamo, quanto devi
essere impacciato per cadere da un albero e quanto sprovveduto per
arrampicarti anche se sei consapevole che inciampi sui tuoi stessi
piedi?!- ho deciso di credergli almeno per ora.
"A proposito" ho detto prendendo il foglio che avevo sotto al braccio.
"È tuo? L'ho trovato sulla stampante.
'Caro Evan Hansen.' Sei tu, vero?"
Evan sembrava sul punto di urlare o qualcosa del genere quando con tono
ansioso mi ha risposto "Oh, quello? Non è
niente. È solo una cosa che ho scritto."
La mia curiosità è stata stuzzicata come non
ricordavo da tempo.
"Sei uno scrittore?" gli ho chiesto con entusiasmo, questo stesso
è morto non appena i miei occhi curiosi hanno incontrato un
nome.
"Perché c'è Zoe? Si tratta di mia sorella?"
Ero fuori di me, ho visto le mie mani che impugnavano le forbici per
tagliare il filo sottile che aveva unito me ed Evan Hansen.
"Tua sorella? Chi è tua sorella? No, non si tratta di lei"
ha fatto il finto tonto Hansen.
Con un passo minaccioso ho ingoiato spazio tra di noi.
"Non sono fottutamente stupido" ho mormorato, la mia voce si
è spezzata così come la mia speranza di trovare
in Evan un amico.
"Non ho mai detto che lo fossi."
"Ma lo hai pensato..."
"No."
"Non mentire, cazzo. So cos'è questo. Hai scritto questa
merda perché sapevi che l'avrei trovata."
"Che cosa?"
"Hai visto che ero l'unico nel laboratorio di informatica, quindi hai
scritto questa merda e l'hai stampata in modo che io la trovassi."
"Perchè dovrei farlo?"
"Così che leggendo queste schifezze inquietanti che hai
scritto su mia sorella sarei andato fuori di testa, no?"
"No! Aspetta! Che cosa?"
"E così potrai dire a tutti che sono pazzo, vero?"
"No. Non ho ... "
"Vaffanculo."
Per fortuna sono veloce al punto tale che Hansen farebbe meglio ad
allenare quelle gambe se vuole raggiungermi. Ho stretto la sua lettera
in un pugno mentre ho lasciato andare le lacrime, stavolta mi ero messo
in gioco davvero.
"Connor!" Evan è sgolato, ha perso la voce perché
è a corto di fiato, io invece sono a corto di pazienza.
E quello era solo il primo giorno. E il resto dell'anno?
Mancano solo centosettantaqualcosa giorni. Come si suppone io possa
farcela? Non ho potuto, infatti. Ho saltato le ultime due lezioni e
sono uscito dall'edificio.
Non riuscivo a scrollarmi di dosso la sensazione di essere in caduta
libera come se non ci fosse niente a cui aggrapparsi, come se non
avessi niente a cui aggrapparmi, nessuno a cui aggrapparmi.
Evan, il mio futuro mi aveva chiuso le porte in faccia.
Magari, però il mio passato...
ho contattato l'unica persona che pensavo potesse aiutarmi e
ciò che ne ho guadagnato sono state le spunte blu... e
poi... mi sono svegliato in ospedale. La mia famiglia era
lì. Tutti loro. Guardandavano il pavimento, i loro
cellulari, persino l'interno delle palpebre, ovunque, tranne che gli
occhi di un altro o me.
Sapevo cosa stava per succedere, la solita ramanzina, come se il mio
gesto potesse essere sminuito con così poco.
Sì Larry, sono un bastardo, lo so. Risparmiami.
Mi sono alzato dal letto prima che qualcuno potesse dire anche solo una
parola una parola e ho lasciato la stanza. Nessuno si è
preso la briga di seguirmi.
Alla reception c'erano due infermiere. Una ha detto "...nella stanza
124...che tragedia. Ha la stessa età di Evan."
"Lo so" ha detto l'altra. sospirando.
La prima infermiera ha fatto una chiamata, ha lasciato un messaggio:
Ehi, tesoro, volevo sapere come è andato il resto della tua
giornata. Hai ottenuto delle le firme sul tuo gesso? Probabilmente
starai dormendo quando sarò tornata a casa, ma ci vediamo
domani. Ti amo tanto, voglio solo che tu lo sappia.
Ha messo giù il telefono. Mani sulla fronte per
lenire le sue tempie. Non ci potevo credere, so chi è questa
donna.
"Penso di conoscere tuo figlio, ho firmato il suo gesso oggi" ho detto.
Non ha risposto, si è semplicemente allontanata. Un altra
mia fan insomma.
Suppongo che Evan le abbia detto cosa è successo tra noi e
probabilmente l'ha raccontata come se lui fosse un santo e io il
cattivo della situazione perché ecco che arriva il terribile
Connor Murphy che ha sempre torto, non importa la circostanza e non
importa nemmeno cosa provi a raccontare, è solo un ragazzo
violento che non ragiona.
Non volevo davvero spingere Hansen, è stata un'altra di
quelle decisioni in frazioni di secondo. Onestamente, sono
più simili a reazioni istintive o qualcosa di più
profondo parte della mia natura. È proprio questo che faccio
io: rovino le cose, sempre, che lo voglia o no. Ciò che sto
rovinando può essere la cosa più bella della mia
vita e io ne avrò coscienza e non smetterò di
rovinarla ugualmente e forse sarò incapace di fermarmi e o
troppo spaventato.
Ho rovinato tante cose, ma quella in cui sono riuscito meglio
è la mia vita.
Sono tornato indietro nel corridoio, giurando di essere più
paziente con la mia famiglia, ho raggiunto la mia stanza, la 124.
Cosa?! Son entrato e allora l'ho visto: il ragazzo nel letto sono io.
La mia pelle è ingrigita, la mia bocca è aperta.
Immagino che ho ottenuto quello che volevo, sono libero ora. Nessuno
sulla mia strada, nessuno in attesa dietro l'angolo per tendermi una
trappola, nessuno che controlla il rossore nei miei occhi chiedendo
dove sono stato tutta la notte, nessuna promessa che non so mantenere.
Sono qui all'ospedale, ci sono riuscito.
Ora sono tutti come me, tutti distrutti, dalla mia famiglia al
personale medico specialmente la mamma di Evan.
Sembra una brava infermiera, ma soprattutto sembra una mamma decente.
Durante la pausa pranzo ha a malapena toccato il suo panino per trovare
informazioni per il college di Evan. Non riesco a immaginare Cynthia
fare la stessa cosa anche se in teoria dovevo essere il lavoro della
sua vita. Mia madre ha preferito delegare, mi ha trattato come uno dei
suoi progetti di ristrutturazione della casa.
"Assumerò i migliori specialisti, facciamo sistemare questo
ragazzo!"
Fai quello che devi fare, tienitelo per la notte o per settimane
intere. Riempilo di medicine. Terapia individuale, terapia di
gruppo. Abbiamo i soldi, quanti ne servono. Non badare a
spese. Risolvi solo questo nostro problema. E sbrigati, mio
marito sta diventando impaziente.
Mi chiedo perché abbiano continuato a buttare soldi per
aggiustarmi. Finora non ha funzionato, dopo tutti questi anni.
Forse è meglio abbandonare il progetto.
Ferma il lavoro. Almeno per il momento. Aspettiamo, vediamo cosa
succede.
Ecco cosa è successo, mamma.
Pensavo fosse un sogno. Come avrei potuto saperlo? Non è che
qualcuno ti dia un avvertimento: hey, giusto perché tu lo
sappia sei morto.
Quanto più le ore passano tanto più mi rendo
conto che è reale, che non posso tornare indietro, ma
evidentemente non riesco neanche ad andare avanti, oppure la morte fa
schifo esattamente come la vita con la piccola differenza che adesso
non posso nemmeno più alleviare la mia sofferenza con l'erba
perché no, non ho più il senso del tatto e le mie
mani attraversano ogni materiale così come il mio corpo, il
che è figo se mi concentro per un attimo solo su quante
leggi della fisica sto contraddicendo e non sul fatto che sono morto.
Cynthia è rossa in viso sembra aver perso tutto, Larry
è più nervoso del solito e sembra mandare mail di
lavoro per togliere dalla testa qualunque pensiero lo stia
attraversando, Zoe resta in silenzio.
Non so come sentirmi onestamente, mi sembra quasi che non sia cambiato
niente. Nessuno poteva sentirmi prima e nessuno mi sente adesso,
nessuno mi vedeva prima e nessuno mi vede adesso.
Ho proprio un brutto aspetto, la sofferenza è dipinta sul
mio viso, mi domando se anche io abbia questo aspetto adesso e con
l'intento di scoprirlo mi avvicino allo specchio del bagno della
stanza. Ovviamente non ho più un riflesso, dimenticavo la
base delle basi.
Un'altra infermiera prende da parte i miei genitori, le sento dire che
è meglio che vadano a casa, che è il caso di
organizzare il funerale e che hanno fatto tutto il possibile lei e i
suoi colleghi per salvarmi, ma è stato inutile, un caso
disperato, come al solito.
Cynthia è a terra, un po' come Hansen il giorno che l'ho
spinto, Larry la regge a malapena e Zoe è paralizzata.
"Sono sicura che..." prova a dire l'infermiera.
I miei la guardano chiedendosi di cosa possa essere tanto sicura in un
momento simile.
L'infermiera fa un passo indietro e un inchino, esce senza mormorare le
parole che voleva dire.
"Sono sicura che adesso sia in un posto migliore" rivela solo a se
stessa, come se fosse un segreto mentre stringe il proprio petto.
Vorrei urlarle che sono proprio qui, che la sto guardando camminare
mentre entra nella stanza accanto a quella dove giace il mio cadavere,
ma ovviamente non serve a niente perché la solitudine
è il mio destino e lo è sempre stato.
Sono stupito all'idea di avere avuto un impatto: il personale trema
solo a sentire il mio nome, i miei finalmente si rendono conto che non
stavo facendo i capricci e Zoe forse è infastidita dal fatto
che per una volta l'attenzione è su di me o non mi spiego
quello sguardo carico di astio.
Non so che fare, la vita da fantasma è terribilmente noiosa.
Non ho voglia di tornare nel posto dove mi sono sentito morto per la
prima volta, né di rimanere qui dove di gente ne muore ogni
giorno per i motivi più disparati.
Per questo forse mi sono ritrovato a seguire Heidi, la mamma di Evan,
stanca morta dopo il suo ultimo turno.
L'ho osservata e lo seguita fino a casa per scoprire che Hansen abita
in un posticino piuttosto umile e che probabilmente la sua famiglia ha
problemi economici.
Evan è nella sua stanza, sta fingendo di dormire o qualcosa
del genere, posso dirlo perché sono davanti alla sua
finestra. I suoi occhi si spostano verso di me e Hansen si alza dal
letto per avvicinarsi lì proprio dove sono io.
Si stropiccia gli occhi, sembra in qualche modo turbato, ritorna vicino
al comodino, accende la luce e tira un sospiro di sollievo guardando
verso la finestra.
Si rimette a letto, spegne la luce, rilassa le spalle e si sistema
comodamente con la testa sul cuscino.
Mi avvicino furtivo, forse è stata solo una mia impressione,
ma è meglio verificare.
"Hansen?"
Evan spalanca gli occhi, lo vedo sbiancare e poi perdere i sensi.
Non so se mi abbia anche visto o solo sentito, quello che è
certo è che farlo svenire non è esattamente il
modo migliore per avvicinarmi a lui, ma al contempo non nego che se
è questa la reazione che hanno i vivi a vedermi potrei
prendermi un paio di rivincite niente male.
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Capitolo 2 *** Connor Murphy è morto ***
Hansen è rimasto incosciente solo per una manciata di minuti
poi si è svegliato e si è rimesso a dormire, il
tutto nel giro di pochi secondi. Mi ha quasi spaventato la
velocità con cui si è riaddormentato e devo
ammettere che l'ho invidiato perché neanche quando ero
ancora vivo riuscivo a fare una cosa simile.
Ah già, un'altra cosa molto interessante che ho scoperto
dell' essere un fantasma in questa giornata è che i tuoi
bisogni primordiali non vanno più soddisfatti. Niente acqua,
o cibo, minzione, defecazione, né tantomeno il sonno.
Quest'ultima si aggiunge all'elenco delle cose che non sono cambiate
perché ho sempre sofferto di insonnia e ora soffro del fatto
che resterò per sempre cosciente senza potermi beare di
quella sensazione quando è tutto confuso e ti sembra davvero
che non sia mai esistito nessun problema.
L'unico bisogno reale che sento di soddisfare è
intrattenermi in un modo o nell'altro perché
sennò credo che i miei demoni, che sono venuti con me,
prenderanno il sopravvento di nuovo e stavolta non avrò via
di scampo.
Non mi è mai importato niente della moda, mi sono sempre
limitato a indossare le cose che almeno incontravano il mio gusto
personale, ma improvvisamente mi sento turbato dal fatto che questi che
ho addosso sono gli unici abiti che continuerò a indossare
perché sono divenuti parte del mio corpo.
Nota personale: credo di non potermi neanche più spogliare,
ci ho già provato e così come attraversano i muri
le mie mani attraversano anche ciò che resta di me.
Non che questo sia il mio primo problema, ma ci ho pensato quando
questa mattina ho visto Hansen togliere la camicia del pigiama e
indossare una maglietta. Mi sembra assurdo non poter più
fare un gesto semplice come quello che ho sempre dato per scontato.
La notte l'ho trascorsa a curiosare nella sua stanza, piuttosto
anonima, un po' come lui sembra voler rimanere. Ci sono libri, una
marea di libri sugli alberi, qualche videogame che sembra aver preso
solo polvere negli ultimi anni, un computer e poco altro. Considerando
che camera mia strabordava di oggetti questa mi sembra praticamente
vuota.
Hansen si guarda attorno, destra, sinistra, in alto, in basso. Mi metto
sulla sua traiettoria per cercare di capire se mi veda o meno,
sembrerebbe di no, ciò nonostante però
rabbrividisce continuamente come se percepisse qualcosa.
Ho avuto modo anche di ispezionare il suo comodino e mi sono stupito di
trovarci in gran parte le mie stesse medicine, le stesse scatoline
arancioni.
Anche lui questa mattina le ha guardate come se non sapesse che farsene
prima di uscire di casa salvo poi prenderne una manciata e ingoiarle
come se volesse farle sparire il prima possibile.
I brividi stavolta li ho avuti io, ho già visto questa
scena, ero io il protagonista e non è finita bene, ma
andiamo per ordine o meglio, andiamo per le cose che riesco ancora a
raccontare.
Hansen è a scuola, la stessa scuola in cui ci siamo visti
nella giornata di ieri, la stessa insignificante scuola che forse,
Kleinman ha ragione, dopotutto non mi dispiacerebbe vedere saltare in
aria.
Ho scoperto che sebbene io non possa più rispondere di
essere presente all'appello posso ancora frequentare la scuola, anzi
credo che sia proprio ciò che farò, lasciarmi
intrattenere da quelle poche lezioni degne di nota come quelle di Mrs.
Kiczek.
Letteratura inglese è sempre stata la mia materia preferita
anche se penso che la mia insegnasse non ne avesse idea, non penso di
aver fatto molto per farglielo comprendere.
Evan è terribilmente nervoso, irrequieto e inquieto,
continua a guardarsi intorno come se sapesse che sono dietro le sue
spalle e che ho letto che ha scritto con due "n" la parola
"environment" sui suoi appunti.
Sembra.che stia cercando qualcosa o qualcuno, una parte di me si illude
che si tratti di me, forse semplicemente perché mi piace
l'idea che sia così. Lo ha fatto anche all'entrata davanti
al cancello, ha ispezionato ogni singolo studente come se stesse
cercando di evitarne uno preciso e poi lentamente si è fatto
strada lungo i corridoi.
"Mark Evan Hansen è pregato di recarsi in presidenza.
Ripeto: Mark Evan Hansen è pregato di recarsi in presidenza"
l'altoparlante interrompe la lezione di Mrs. Kiczek proprio mentre
stava parlando dei poeti maledetti e ora Evan sembra di nuovo sul punto
di perdere i sensi.
Non sapevo avesse un secondo nome o meglio, non avevo idea che "Evan"
non fosse il primo, forse nei miei ricordi delle elementari
c'è qualcosa, ma non saprei dirlo. Io e Hansen eravamo nella
stessa classe al tempo e lo ricordo come un bambino terribilmente
silenzioso, uno di quelli che ti domandi che abbiano mai imparato a
parlare o se abbiano capito troppo presto che è meglio stare
zitti per non avere rotture di coglioni.
Il silenzio però fa rumore.
Evan si alza dalla sedia dopo aver sbattuto le palpebre più
e più volte. Solo ora mi rendo conto che i suoi occhi sono
di una sfumatura azzurra mista al verde, credo di non averli mai
guardati veramente, il contatto visivo non lo sapevo mantenere.
Nello spostare la sedia la fa sbattere contro il banco alle sue spalle,
rischia di inciampare nel piede di un compagno rischiando di far cadere
lo zaino che ha recuperato al volo. Questo ragazzo è
veramente impedito, non me la bevo che si è arrampicato su
un albero perché voleva.
Lo seguo e ora siamo entrambi davanti alla segreteria ad aspettare di
essere indirizzati.
È strano perché le persone come Evan Hansen di
solito non vengono convocate in presidenza, un posto simile
è riservato a quelli come me, ai teppisti, agli
attaccabrighe, ai problematici.
Se pensavo che le cose non potessero essere più strane mi
sbagliavo di grosso perché nell'ufficio di Mr. Howard ci
sono i miei genitori sprofondati su un divano, gli occhi di mia madre
sembrano fatti di sangue, solo di sangue.
"Scusatemi" mormora Evan terrorizzato. Ammetto che anche io mi sarei
spaventato trovandomi davanti due adulti che sembrano aver attraversato
l'inferno.
"Hanno detto sull'altoparlante che dovevo andare nell'ufficio del
preside..." cerca di spiegare.
"Sei Evan" dice Larry, non è un domanda, è
proprio un'affermazione convinta.
"Mr. Howard tornerà più tardi, volevamo parlarti
in privato."
Larry indica la poltrona vuota dall'altro lato della scrivania, fa
cenno a Evan di sedersi, Hansen si stringe nelle spalle e dopo quella
che sembra un'eternità sprofonda a sua volta nella poltrona,
è sulla difensiva, sembra pronto a ricevere un attacco.
Larry si aggiusta l'estremità della cravatta in modo che
ricada dritta tra le sue gambe. "Siamo i genitori di Con-nor" dice e
sembra avere difficoltà a pronunciare il mio nome.
Evan adesso sembra un lenzuolo, il suo cuore batte così
rapidamente che lo sento persino mettendomi a sei piedi di distanza da
lui. Chissà cosa gli sta frullando per la testa, mi viene
voglia di entrare nei suoi pensieri e darci un'occhiata approfondita,
ma non credo rientri in ciò che posso fare nel mio stato
attuale.
"Va avanti, tesoro" dice Larry appoggiando una mano su quella di
Cynthia che è visibilmente ancora in stato di shock.
"Sto facendo più velocemente che posso" sibila Cynthia in
protesta.
Mi ricordo che quando ero ancora solo un bambino qualche volta i miei
genitori si scambiavano tenerezze. Un abbraccio, una carezza, tutto
questo era scomparso negli ultimi anni, il mio cuore si sente
più leggero a riconoscere dolcezza tra loro.
Cala il silenzio, uno di quelli lunghissimi e pesanti che dovevo subire
ai pranzi della domenica quando di fatto ci rendevamo conto che sarebbe
stato meglio se ognuno avesse mangiato per conto suo. Poi Cynthia
prende qualcosa dalla borsa e lo allunga spingendolo contro le mani di
Hansen.
"Questa è di Connor. Voleva che la avessi tu."
Sono confuso, se c'è una certezza che ho nella vita
è di non aver mai e poi mai scritto niente per Hansen.
Dopo qualche primo istante di smarrimento riesco a capire di cosa si
tratti, è la lettera con cui Evan mi ha fatto saltare i
nervi, un altro splendido ricordo della giornata di ieri.
Le mani sudate anzi forse dovrei dire spugnate di sudore di Hansen
aprono la lettera e la sua espressione è uno spettacolo,
sembra non sapere che strada prendere a metà tra lo spavento
e il sollievo. Suppongo fosse preoccupato che chissà cosa
avrei fatto con quello scritto, sfortunatamente per entrambi non sono
lo stronzo che pensa io sia.
Non avevo letto davvero che cosa ci fosse scritto e ora che l'ho fatto
mi rendo conto che con Hansen ho fatto vincere i miei demoni
egocentrici per ben due volte. La lettera che ha scritto era per se
stesso ed è una confessione, sofferenza su carta di chi vive
le mie stesse cose. Avevo visto solo Zoe, solo il suo nome e questo mi
aveva fatto scattare.
Non si direbbe, ma io amo la mia sorellina. È una piccola
perla di cui mi faccio conchiglia anche se credo di aver finito per
incastrarla e i ruoli si sono invertiti, le è stata data una
parte che non è la sua.
Caro Evan Hansen, si è scoperto che dopotutto non
è stata una giornata fantastica. Questa non sarà
una settimana o un anno fantastico. Perché
perché dovrebbe esserlo? Oh, lo so, perché
c'è Zoe e tutta la mia speranza è riposta in Zoe,
che non conosco nemmeno e che non mi conosce, ma se solo lo facessi, se
solo potessi parlarle, parlarle davvero, allora forse ... forse niente
sarebbe affatto diverso. Vorrei che tutto fosse diverso. Vorrei essere
parte di qualcosa. Vorrei che tutto quello che ho detto avesse
importanza... per qualcuno. Voglio dire, ammettiamolo: qualcuno se ne
accorgerebbe se domani sparissi?
In fede, il tuo migliore e più caro amico, io.
Sono ancora capace di piangere, sento il viso che tecnicamente non ho
più umido forse perché in quelle parole rivedo me
stesso e ora so con certezza di aver accusato un ragazzino che si sente
invisibile di avermi teso una trappola.
In Evan rivedo me stesso, il che è preoccupante stando ai
fatti così come sono adesso. Credo abbia una cotta per mia
sorella e questo decisamente non depone a mio favore.
Tornerò più tardi su questo punto.
"Non avevamo mai sentito il tuo nome prima" dice Larry. "Connor non ti
ha mai menzionato, ma poi abbiamo visto 'Caro Evan Hansen' e..."
Larry sembra avere difficoltà a trovare le parole, niente di
nuovo. Non trovo molto sensato il fatto che parli del mio menzionare
cose e persone come se fossimo soliti avere grandi conversazioni
stimolanti.
"Non sapevamo che voi due foste amici."
Vedo chiaramente che Evan sta per scoppiare a ridere in maniera
isterica e come non potrebbe? Chi chiamerebbe "amico" qualcuno che ti
attacca e ti spinge facendoti cadere per terra.
"Non pensavamo che Connor avesse amici."
Per l'appunto, i miei genitori non si sono mai presi la briga di
controllare i miei rapporti, cioè, hanno sempre verificato
che me la facessi con persone di "buona famiglia", ma niente di
più. Non si sono mai interessati a seguirmi, tutte le
attenzioni erano su Zoe, la più piccola, esattamente
perché più piccola. Io sono stato lasciato alla
deriva mentre a lei hanno regalato una nave e le hanno insegnato come
tenere il timone anche quando le onde sembrano insormontabili.
"Ma questo foglio" prosegue Larry "sembra suggerire abbastanza
chiaramente che tu e Connor eravate, o almeno per Connor, lui pensava a
voi come ..." si interrompe di nuovo.
Credo che i miei genitori stiano facendo miracoli per l'autostima di
Evan: quando non riesci a comunicare come una persona normale vedere
qualcuno che ha difficoltà anche solo a pronunciare delle
parole ed è per giunta un adulto non puoi che trarne
conforto dalla massima mal comune mezzo gaudio.
"Voglio dire, è proprio lì: 'Caro Evan Hansen.' "
Evan guarda le sue parole come se le stesse leggendo per la prima
volta, stringe un pugno sentendo le unghie nel palmo.
"Va avanti, Evan. Leggila..." gli dice Cynthia cercando di usare un
tono affettuoso, ha la stessa incrinazione che assumeva quando mi
diceva che avevo bisogno di fare terapia, ma poi non si degnava di
attendere che i risultati potessero arrivare.
Sono confuso, lo siamo entrambi, Evan non sa perché dovrebbe
leggere e rileggere quelle parole che gli fanno tanto male e io
onestamente mi domando perché i miei genitori continuino a
torturarlo.
"È okay, è indirizzata a te, puoi leggerla"
insiste Cynthia. "Connor l'ha scritta per te.."
Oh no, oh no no no. Ho capito cosa è successo, credono che
la lettera che Evan ha scritto a se stesso sia in realtà...
"Pensate che Connor..." mormora Evan, posso vedere ogni increspatura
sul suo viso data dalla confusione. "No... non avete capito..."
"Sì" ribatté Cynthia. "Queste sono le parole che
voleva condividere con te."
"Le sue ultime parole" aggiunge Larry.
Suppongo che nessuno avesse informato Evan della mia prematura
dipartita.
"Scusatemi... in che senso ultime parole?" domanda infatti.
"Connor non è più tra noi" spiega Larry. "Si
è tolto la vita."
"Lui ... cosa?" domanda Hansen. "Ma io l'ho visto appena ieri sera, era
fuori alla mia finestra.."
Allora mi hai visto, Hansen! Non era una mia sensazione.
"Che stai dicendo?" domanda Cynthia, la sua voce rivela
speranza.
"Non ne sono sicuro" risponde Hansen “Pensavo fosse lui. Era
buio."
Larry sospira, si massaggia le tempie e fa una carezza sulla schiena di
Cynthia.
"È successo due notti fa" dice.
Adesso sono io confuso, credevo di essere morto nella giornata di ieri
e a meno che Larry non abbia fatto male i calcoli, ma ne dubito..
Evan trema, come una foglia credo non sia il paragone corretto, direi
che trema più come qualcuno che ha veramente freddo e non
importa quante coperte si metta addosso il freddo lo ha dentro.
"So che è troppo da accettare.." prosegue Larry.
Cynthia lo interrompe. "Evan, davvero hai visto nostro figlio ieri
notte?" domanda.
"Non abbiamo tempo per questo, Cynthia."
"No Larry, non abbiamo avuto tempo per Connor quando era qui e adesso
abbiamo tutta la vita per ripensare ai nostri errori, lasciami rivedere
mio figlio!"
"Cynthia, il ragazzo è sotto shock, non capisci?"
"Evan, dove era Connor? Come era il suo viso?"
"Cynthia, i fantasmi non esistono e se pure esistessero Connor
sicuramente non vorrebbe parlare con noi."
Woah... questa non me la aspettavo, cioè mi aspettavo di
vedere i miei genitori litigare, ma questa presa di coscienza e mia
madre così coinvolta dall'occulto. Credo che Hansen abbia
bisogno di una pasticca di Xanax, ma è solo una mia opinione.
"Questa lettera è tutto ciò che abbiamo trovato
con lui, la teneva ripiegata in tasca" insiste Larry cercando di
riportare la conversazione lì dove si suppone dovesse
proseguire.
"Come puoi vedere...voleva spiegarlo, è tutto lì.
"
La cosa assurda è che se avessi davvero voluto spiegarlo
probabilmente avrei scritto la stessa cosa, ogni singola parola tranne
quel nome tanto sconosciuto quanto adesso mio, come se mi fosse sempre
appartenuto. Evan ha saputo dare una forma e una voce ai miei
sentimenti, agli stessi che ho sempre provato a esprimere e i miei
genitori mi stanno finalmente ascoltando.
"Lascia che la legga da solo, Larry" cerca di parlare Cynthia.
" 'Vorrei che tutto quello che ho detto avesse importanza ...' " legge
Larry.
"Larry, per favore!"
"... per qualcuno."
È ufficiale, Hansen sta avendo un attacco di panico e io non
posso fare niente per aiutarlo e i miei sicuramente non sanno cosa fare
e neanche lo avranno notato visto che non notavano nemmeno i miei
quando erano evidenti. Ero sempre e solo in cerca di attenzione.
Evan apre la bocca, la richiude, cerca di parlare, non esce alcun suono.
"Questa lettera, non è..."
"Non è cosa?" chiede Larry.
"Non è Connor."
Cynthia prende Evan per una mano, quella sana.
"Che cosa significa?"
"Connor ..."
"Sì?"
"Connor non ..."
"Non cosa?"
"Ha scritto questa.."
"Cosa significa, Larry?" domanda Cynthia voltandosi verso mio padre
mentre ancora accarezza la mano di Hansen.
"È ovviamente sotto shock" le risponde Larry ribadendo il
concetto.
"No... non è sua... non l'ha scritta..."
"È proprio qui" dice Cynthia indicando la lettera.
"Mi dispiace, ma probabilmente dovrei ..."
Cynthia rafforza la presa. "Se questo non è ... se Connor
non ha scritto questo, allora ..."
"Cynthia. Per favore. Calmati."
"Devo andare" quasi urla Evan.
"Ti ha detto qualcosa?" lo supplica Cybthia. "Hai
visto qualcosa?"
"Cynthia, tesoro. Non è il momento."
Mia madre lascia andare le sue mani e scoppia di nuovo in lacrime, la
lettera adesso ce l'ha lei.
"Questo è tutto ciò che abbiamo" dice "Questa
è l'unica cosa che ci resta."
"Dovrei davvero andare" insiste Evan.
"Certo" dice Larry. "Comprendiamo. Volevamo solo che tu fossi tra i
primi a saperlo."
Cynthia nasconde il viso tra le mani e singhiozza, ha fatto del suo
meglio per nasconderlo, ma è completamente spezzata e ora
Evan le fa da specchio.
"Prima che tu vada" mormora Larry estraendo un biglietto dalla tasca
interna della giacca, lo capovolge e inizia a scrivere sul retro con
una delle penne del signor Howard. Restituisce la penna al suo
contenitore e con gli occhi che a stento si tengono aperti porge il
biglietto a Evan.
"Il funerale è riservato ai parenti stretti, ma ecco le
informazioni per la veglia di stasera".
Evan si alza di scatto, annuisce stringendo tra le mani il biglietto.
"Larry. Guarda." succede così in fretta che non
riesco a elaborarlo. "Guarda il suo gesso!"
L'inchiostro indelebile porta il mio nome sul braccio di Evan.
"È vero. È proprio vero. Il suo 'migliore e
più caro amico' "
Penso che Evan non sappia più parlare, non che la cosa sia
molto diversa dal solito, ma sembra un lenzuolo e non mi è
difficile immaginare come si senta.
Mi sento in colpa, mi sento terribilmente in colpa. Volevo vedere i
miei genitori soffrire per me, preoccuparsi per me, l'ho ottenuto e fa
schifo. Ho incastrato un povero ragazzo che non c'entra niente nella
mia vita di merda, testimonianza che tutto ciò che faccio mi
si ritorce contro.
Seguo Evan in bagno, che detta così fa molto stalker, ma
sono sinceramente preoccupato per la sua salute psicofisica. Si guarda
allo specchio, sciacqua i polsi sotto l'acqua fredda, sembra sul punto
di vomitare, anzi sembra voler vomitare, ma non riuscirci.
Probabilmente voleva ribadire ai miei genitori che non eravamo amici,
figurarsi migliori amici. Ci conoscevamo da una vita, ma non avevamo
mai parlato, ma dai davvero. Se fossimo stati amici tutto questo non
sarebbe mai successo.
Siamo di nuovo a inglese, Evan è in classe solo col corpo, i
suoi occhi sono fissi nel vuoto e a tratti sulle scarpe. So che non
sono così interessanti un paio di sneakers blu.
L'alto parlante dà la notizia che ora capisco nessuno avesse
ancora sentito.
"È con enorme dolore che vi informiamo del decesso di uno
dei nostri amati studenti. Connor Murphy si è suicidato
nella notte... se sentite il bisogno di parlare con qualcuno Mrs.
Alvarez è a vostra disposizione..."
Non sento bene tutto il messaggio, non ce la faccio, mi sembra
surreale. Tutti gli studenti si girano sconvolti verso la cassa da cui
proviene la voce del preside Howard. Una ragazza seduta al primo banco
scoppia in lacrime, un ragazzo sulla sinistra di Evan sviene, persino
la cheerleader che mi squadrava ogni mattina da capo a piedi si copre
la bocca sconvolta.
Evan crolla, appoggia la testa sul banco e piange. Chissà se
anche lui sta pensando che potevamo essere amici o se si sente
responsabile per quello che è successo, forse nessuna, forse
entrambe.
È il delirio, non si parla di altro. Sono morto, sono morto
veramente e ora mi rendo conto di quanto sia spaventoso tutto questo.
"Oh cazzo, oh porco cazzo"
"Lo so"
"Oh fottutissimo cazzo"
"Ho provato a dire loro la verità. Non posso crederci...
Connor... non lo rivedrò mai più..."
È questo il breve scambio di battute tra Evan e Kleinman. Mi
stavo giusto chiedendo perché abbia scritto proprio a quel
coglione, ma forse dopotutto sono amici.
Che acquisto, Hansen! Dovresti sceglierteli meglio gli amici. Non che
io possa parlare, ma meglio soli che con Jared Kleinman.
"Andrai alla sua veglia?"
"No, perché dovrei?"
"Non lo so, non è la cosa giusta da fare? Sento come se
dovessi andare."
"Ti rendi conto che non eravate amici, vero?"
"Lo so, ma avresti dovuto vedere i loro occhi. Sua madre
... e suo padre mi ha guardato in quel modo mentre me ne
andavo. Penso che si aspettino che io sia lì. Cosa dovrei
fare?"
"Tu rimani a casa. Questo è quello che fai."
"Ma se un giorno dovessi incontrarli e mi chiedessero perché
non sono mai venuto alla veglia di Connor?"
"Quante volte nella vita ti capita di incontrare i Murphy?"
"Cosa si indossa per una veglia?"
"E io che cazzo posso saperne? La mia gente non lo fa così.
Andiamo a casa di qualcuno, prepariamo ciambelle"
"Inizia tra due ore. Puoi incontrarmi lì?"
Anche Evan viene lasciato con un visualizzato senza risposta.
|
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Capitolo 3 *** Grieving ***
Tutti a scuola parlano di me, i poster su Twitter traboccano.
Rox scrive: Riposa in pace fratello!
Kristen Caballero: Così triste in questo momento
Kayla Mitchell: Non avrei mai pensato che CM sarebbe uscito
così.
Alana Beck: Ancora non riesco a credere alle terribili notizie su
Connor Murphy. Sembra così felice in questa foto. Mostra
davvero il suo spirito. È così che dovremmo
ricordarlo. Condividi questo post se sei d'accordo.
Stanno facendo girare la mia stessa mia foto, quella in cui ho i
capelli più corti e le orecchie più proninciate.
Indosso una camicia azzurra che non ricordavo di avere
perché non è un colore che sono più
abituato a vedermi addosso. Il mio braccio poggia sulla spalla di
qualcuno, so perfettamente di chi, anche se lo hanno tagliato fuori.
Guardo la mia immagine, cazzo quanto ero diverso. Hanno ritratto un
istante di felicità, forse era davvero tutto lì.
L'aria aperta e una persona che sapesse e volesse ascoltarti.
Non sono pronto a parlare di lui anche perché a stento mi
riconosco. Sono davvero stato questo? È esistito un altro
Connor Murphy che è il mio opposto.
Evan si sta ancora facendo non so quante pippe mentali su se debba o
meno andare alla mia veglia, si è cambiato di abito
già tre volte e sembra quasi che si stia preparando per un
appuntamento tanto che si è tirato a lucido.
Beh, Hansen, ti ringrazio, ma tutto questo non è necessario.
Ha Twitter aperto e sembra voler scrivere qualcosa. Forse è
sbagliato o forse no, il suo tributo alla mia scomparsa.
"Non sembra strano? Quando muore qualcuno improvvisamente tutti lo
notano. Connor si è dovuto togliere la vita
perché qualcuno notasse che stesse soffrendo e ora tutti ci
tengono a lavarsene le mani, a dire che lo conoscevano, a ricordarlo
come se si fossero mai preoccupati di rivolgergli la parola. La gente
non parla di Connor, parla di sé e vuole che vengano loro
offerte condoglianze per un dolore che non danno. Tutto per apparenza,
per follower. Non esiste più il rispetto."
Hansen, tu mi piaci! Hai fegato e cervello!
Evan ha cancellato tutto, non che mi aspettassi diversamente, le sue
dita tremavano mentre digitava i tasti i quali ancora riportano le
impronte del sudore.
Non può esporsi e non gli dò torto. Inoltre non
c'è bisogno di scriverlo sui social, passerebbe per un
ipocrita del suo stesso pensiero.
Eccoci, ci siamo, Hansen è uscito di casa per recarsi alla
mia veglia e niente, trovo appropriato che mi abbiano cremato, ho
bruciato fino alla fine.
Torno da Hansen che è rimasto bloccato sulla porta come se
non sapesse più camminare.
"Andiamo" sussurro, voglio vedere come va a finire questa storia.
Evan sobbalza, forse mi ha sentito, forse no, non ho ancora capito che
tipo di connessione ci sia tra noi.
Ci sono persino più persone del previsto, siamo addirittura
venti, cazzo. Ci sono i miei genitori, i nonni, gli zii, i cugini,
insomma sembra che alla mia famiglia tutto sommato qualcosa importasse
di me.
Evan cerca di non farsi notare, ma sa che non ha speranze tanto per
cominciare perché è l'unico che non indossa un
completo giacca e cravatta e poi perché i miei hanno
già detto a tutti del mio caro migliore amico e non
aspettano altro che poterlo rivedere.
Tra i presenti c'è lei, un viso che non pensavo di rivedere
così, io ed Evan abbiamo la stessa reazione.
"Mrs. G? Cosa ci fa qui?" Hansen dà voce ai miei pensieri,
di nuovo. Si corregge, abbassa la voce.
"È bello vederla.. voglio dire che lei sia... qui."
Hansen non sa cosa sta dicendo, il che è piuttosto la norma
per lui, ma ho la sensazione di aver preso in qualche modo possesso
della sua mente.
Con un sorriso stoico Mrs. G dice solo "Connor era un ragazzo speciale."
Hansen annuisce e corre via trovando un posto nell'ultima fila. Fissa
la testa di Mrs. G, le vene del suo collo, i suoi forti capelli grigi.
È l'ultima persona che avrei pensato di trovarmi qui visto
che Mrs G per me è stata un po' come le patate per Becky
Wilson. Becky Wilson, la ragazza a cui Rita Martinez una volta aveva
minacciato di infilare le patate non si capisce bene se per la porta
anteriore o posteriore, Connor Murphy, il bambino che ha tirato una
stampante a Mrs. G. Le nostre eterne etichette. Niente più
che i nostri errori siamo e così come Becky ha continuato a
ricevere patate per anni perché i nostri compagni di classe
sono rimasti all'asilo non c'è stato giorno in cui non abbia
sentito il mio nome accanto all'incidente della stampante
Mrs. G era severa, il tipo di insegnante che anche se ti muovevi a
malapena per il corridoio ti avrebbe urlato di rallentare. Io e lei
eravamo una combo esplosiva, ma in realtà andavamo
più d'accordo di quanto si possa immaginare.
Evan è sorpreso, capisco perfettamente il motivo.
"Lui le ha tirato una stampante e lei è qui" posso sentire i
suoi pensieri.
Hansen, lascia che ti dica una cosa, che ti racconti la storia che
nessuno si è mai degnato di ascoltare.
Mrs. Gorblinski era l'unica che se ne fottesse qualcosa di me quando
chiunque avrebbe scommesso che fosse la mia nemesi. Per via della
leggenda suppongo perché è questo che succede con
le leggende: i fatti vengono messi da parte e sostituiti con
qualcosa di più drammatico, a nessuno interessa come stanno
davvero le cose.
Ho le mie colpe, non lo nego. Ho sentito questa storia così
tante volte, l'ho anche raccontata io stesso. Ho cominciato a credere
alla versione semplice: Connor Murphy ha lanciato una stampante a Mrs
G.
Beh sì, ho lanciato una stampante, ma non è
così semplice.
Al tempo avevamo tutti un ruolo, sul muro della classe c'era un
grafico: assistente del pranzo, annunciatore del programma, cancellino
per lavagna, compagno per l'infermeria, riciclatore etc.
Il lavoro a cui ambivamo tutti era il capofila. Per me era l'idea di
essere al comando, di avere per una volta le cose sotto controllo.
Ogni giorno Mrs. G faceva ruotare i nomi così che tutti
ricoprissero ogni ruolo.
Avevo aspettato per settimane il mio turno e finalmente l'indomani
sarebbe toccato a me. Non stavamo curando il cancro o altre cose
importanti, ma credetemi, al tempo era questione di vita o di morte.
Il giorno dopo sono entrato in classe con un entusiasmo che non mi
apparteneva, mi ero persino impegnato per vestirmi, questo a
testimonianza di quanto fossi eccitato.
Era il mio giorno, finalmente potevo dimostrare di saper fare qualcosa,
di sapere gestire qualcosa, doveva essere il mio giorno.
Sul grafico il mio nome era rotto un altro compito e i miei compagni si
stavano già radunando sotto il richiamo di un altro bambino.
Volevo dirlo a Mrs. G, segnalarle l'errore e lei mi avrebbe sicuramente
restituito il mio momento di gloria.
L'ho chiamata, ma mi ha ignorato, ho insisto e sono stato liquidato.
"Mettiti in fila, Connor" ha detto.
"Ma tocca a me essere..."
"Mi hai sentito."
"No. Non è giusto!"
Mi sono messo in prima linea e uno dei miei compagni mi ha spinto
dicendo di togliermi.
Ricordate il bruciare di cui vi avevo parlato? Quella sensazione di
andare a fuoco, vederci rosso come un toro imbestialito?
La stanza è scomparsa e sento solo le mie lacrime, anche
queste bruciano.
"Connor, per favore trova il tuo posto e mettiti in fila" le parole
della mia insegnante mi arrivano ovattate.
"Ma..."
"Connor, questo è l'ultimo avvertimento!"
"Ma è il mio turno di essere capofila!"
Il mio è urlo disumano, sfogo con quel pretesto tutta la
sofferenza accumulata. Cerco qualcosa a cui aggrapparmi, trovo la
stampante, la faccio cadere per terra spazzandola giù dalla
scrivania con un colpo secco.
La stampante scivola sul pavimento, arriva ai piedi di Mrs. G, il
vassoio si rompe, vola dall'altra parte della stanza, la stanza diviene
silenzio e ho tutti gli occhi addosso adesso.
Mrs. Emerson mi porta fuori dalla classe, Mrs. G invece resta con me e
cerca di calmarmi.
E questo è ciò che sanno tutti: sono uscito fuori
di testa e ho lanciato una stampante contro la mia insegnante.
Non è questa la fine della storia, nessuno si è
mai preso la briga di leggere il capitolo successivo forse
perché meno avvicintente.
Il giorno dopo la stampante è di nuovo al suo posto, integra
tranne per il vassoio e sul grafico spicca il mio nome sotto il titolo
di "capofila".
Mrs. G mi dà un blocco di fogli in privato, mi dice che se
ho un problema, una domanda non devo fare altro che strappare una
pagina e scriverci sopra, accartocciarla e metterla nel barattolo di
vetro sulla sua scrivania.
"È per te, io ti ascolterò, ma non
tollererò più interruzioni come quella di ieri"
dice.
Dovevo essere paziente, se lo fossi stato lei avrebbe ascoltato ogni
mia parola. Mi avrebbe sentito. Sarei stato visto finalmente.
È ora di uscire dalla classe, ma i miei compagni non si
vogliono mettere in fila dietro di me.
"Datti una mossa sennò ci tira qualcosa" sento dire a un
bambino.
"Mi fa paura."
"È pazzo!".
Da quel giorno sono stato terrorizzato dalle miei reazioni, esagerate,
a detta di Larry, troppo grandi e sovrastanti perché il mio
corpo le possa reggere.
Suppongo che questo episodio sia diventano la mia condanna, l'anteprima
del mio film, ciò che dice alla gente cosa aspettarsi da me.
Io ero io cattivo, quello era il mio ruolo, Mrs. G era la vittima e per
anni questa è stata la nostra storia.
Permettetemi di correggerla: Mrs. G ha commesso un errore e
così io e la gente ricorda solo quelli.
Evan sta dissociando, sembra che non sappia neanche esattamente dove
sia.
"Hansen!" gli dico, lui sussulta, si guarda intorno e si tortura le
dita.
Delle persone che conosco dalle elementari c'è solo Evan e
deve averlo notato perché si sta di nuovo avvicinando
all'uscita. Cynthia però lo vede e alzando una mano gli fa
cenno di avvicinarsi. Quell'idiota di Hansen si gira per capire se ci
sia qualcuno dietro di lui, tipico, e quando capisce che sì,
mia madre sta parlando proprio con te, vedo le sue gambe cedere per poi
trascinarsi da Cynthia.
Mia madre gli apre la strada facendolo passare in mezzo agli invitati
come se fosse la stella della serata, Larry gli allunga una mano e gli
accarezza le spalle con una delicatezza che non mi è mai
stata riservata.
"È bello vederti, Evan. Grazie per essere venuto" gli
stringe la mano spaventosamente forte ed ecco che sì, questo
è più da lui.
Cynthia indossa una di quelle collane ingombranti che ti trafiggono
solo a guardarle, avvolge Evan tra le sue braccia e lo stringe
più forte di quanto io abbia tremato.
"Oh, stai tremando, povero tesoro."
Lo prende per le spalle e lo espone a tutti i presenti come se fosse un
oggetto per l'asta. Povero Hansen, non lo invidio per niente. L'ansia
lo sta divorando vivo.
"Miei stimati presenti, permettetemi di presentarvi Evan."
Si leva un coro "Ciao Evan."
Fa molto alcolisti anonimi.
"Evan era il miglior amico di Connor.
'Non eravamo amici, ma mi piaceva molto' sento dire anzi no pensare ad
Hansen. Oddio, forse ci siamo, ho capito come si fa, ora sento i suoi
pensieri che sono caotici e confusi.
Come fa a vivere questo ragazzo con tutto questo casino in testa? Non
che io sia da meno, ma se non altro metto un pausa tra un argomento e
l'altro.
Lusingato, Hansen. Mi piaci anche tu.
"Siamo così dispiaciuti per la tua perdita" dice uno dei
presenti, gli tende una mano come se volesse fargli una carezza, ma
resta a mezz'aria.
Cynthia lo porta in disparte e menomale perché mi stavo
sentendo male solo a guardarlo.
"Sono così felice che tu sia qui" dice Cynthia,
eppure assolutamente niente sul suo viso sembra parlare di
felicità.
'Ho scritto la lettera per il mio terapista. Connor me l'ha presa'
ancora i suoi pensieri. Credo che queste siano le parole che Evan
voglia dire, ma senza successo.
"Larry e io stavamo pensando" dice Cynthia fermandosi per fare un
respiro lungo e profondo, la sua mano sembra voler aiutare il suo petto
ad assorbire l'ossigeno.
"Che ci piacerebbe averti a casa nostra per cena. Abbiamo
così tante domande su ..." si interrompe di nuovo ingerendo
altra aria.
"Di tutto. Di te e Connor. La vostra amicizia. Se potessi trovare una
sera libera da passare con noi, te ne saremmo così grati.
Così grati. Anche solo sederci con te significherebbe
così tanto."
"Io ..." balbetta Evan..
"Pensaci. Nessuna fretta" esala Cynthia, lo abbraccia di
nuovo prima di ritornare nel gruppo.
Hansen ora può scappare e non perde un solo secondo. Si
imbatte in mia sorella proprio all'uscita.
"Cosa ci fai tu qui?" gli domanda.
Hansen è rosso, viola, blu, bianco, cerca parole non le
trova, ma onestamente Zoe, cosa pensi possa mai farci Evan alla mia
veglia? Vendere ortaggi? Coltivare cereali? So in che senso lo hai
detto, so che forse ti dà fastidio la sua presenza, ma
Hansen è l'unico che si è degnato a ricordarmi
per davvero e non sul social.
Zoe ha pianto, lo capisco dai suoi occhi gonfi e arrossati, sembra
incazzata più ancora che triste e vorrei poterla proteggere.
"Mi dispiace" mette insieme Hansen "per fratello... intendo."
Grazie al cazzo, Evan. Per cosa sennò? Per la fame nel
mondo? La gente che muore di cancro?
Ripensandoci sareste una bella coppia di deficienti.
Zoe ha le braccia incrociate, così strette che sembra che si
stia abbracciando. Vorrei che quelle braccia fossero le mie, che si
sentisse al sicuro e potesse vedere che sono ancora qui.
Le sono passato attraverso e lei si è fermata per un istante
poi ha ripreso a camminare per raggiungere i miei.
Evan guarda l'urna che continente le mie ceneri e trema appena, lascia
quel posto e posso giurarci che non ci tornerà mai
più.
Siamo rientrando a casa Hansen ed Evan sta di nuovo aggiornando Jared
per qualche ragione che onestamente non riesco a capire. Che strana
forma di masochismo è questa?
"Perché sono andato?"
"Ti avevo detto di non farlo"
"Stavo solo cercando di fare la cosa giusta."
"Chi ti ha detto di farlo?"
"Mi hanno invitato a cena. Vogliono sapere di più su Connor
e me. Sulla nostra "amicizia" "
"Oh questo è interessante. Quando vai?"
"Non credo di poterlo fare."
"Puoi invece e devi, devi fare anche le foto. Mi piacerebbe sapere che
aspetto ha quella casa."
Evan si ferma a un incrocio trafficato, le macchine sfrecciano, si
sbottona appena la camicia, si sente soffocare, posso dirlo dallo
sguardo che conosco così bene in me stesso.
Vuole sparire, nascondersi, come suo solito del resto. Non ha mentito
ai miei, ma non è riuscito a dire la verità che
né io né lui avremmo voluto.
È verde, Hansen riprende a camminare e riprende anche a
scrivere a quel coglione maledetto di Kleinman.
"Quindi pensi che dovrei andare a cena?"
"Adesso devi. Cosa dirai loro?"
"La verità. Devo dire loro la verità una volta
per tutte."
"La verità? Seriamente?"
"Sì?"
"Pensi di andare a casa dei Murphy e spiegare loro che l'unica cosa che
resta di loro figlio è una strana lettera sessuale che hai
scritto a te stesso? Ti rendi conto che potresti andare in prigione se
ti beccano, vero?"
"Ma non ho fatto niente."
"Mi dispiace dirtelo, Evan, ma ci sei già fin troppo dentro."
Mi sono rotto di guardare il cellulare di Hasen e le stronzate di
Kleinman, la mia attenzione adesso è del tutto spostata su
mia sorella, sui suoi occhi gonfi, sul sorriso spezzato. È
da lei che dovrei andare al posto di fare l'ombra di Hansen manco fossi
il suo angelo custode.
La veglia è finita, Zoe è nella sua camera
appoggiata alla finestra, non piange, non parla, forse pensa, ma a
stento ho capito come si entra nella testa di Hansen.
"Mi dispiace" mormoro.
Non una reazione, impassibile, non penso che mi senta, forse nessuno mi
sente, forse nessuno mi sentirà mai più e
continuerò a vagare per la terra a cercare quelli come me e
accumulare informazioni che non so come smaltire.
I sentimenti mi sono rimasti, potevano andarsene anche quelli e invece
no, solo i contro delle situazioni.
C'è un pensiero che mi sta tormentando, credevo di essere
morto nella giornata di ieri invece a quanto pare sono già
passati tre giorni e ci avviciniamo al quarto. Il tempo vola quando sei
morto, suppongo.
C'è qualcosa che mi sono perso? Qualcosa che è
stato cancellato dalla mia memoria perché a quanto ricordo
io ho constatato il mio decesso, seguito la madre di Hansen a casa e
fatto prendere un colpo ad Hansen. Forse sono rimasto incosciente per
più tempo del previsto. Chissà come hanno reagito
quando mi hanno trovato. Mi dispiace non saperlo, ma forse è
meglio così.
Torno da Hansen, guardare la mia sorellina che affronta un dolore
così grande non è esattamente qualcosa che sta
facendo bene alla mia psiche danneggiata.
Evan siede di nuovo sul suo letto, scommetto che quel ragazzo ci vive
come se fosse una vera è propria casa e posso decisamente
rivedermici.
Non sta più scrivendo a Jared, saggia decisione, non sta
più scrollando la home di Twitter, altra saggia decisione.
Anche lui ha uno sguardo simile a quello di Zoe, sofferente e perso nel
vuoto.
'Caro Evan Hansen, un tuo compagno di scuola si è suicidato,
aveva solo diciassette anni esattamente come li hai tu e i suoi
genitori ora credono che foste migliori amici e tutto per quelle
lettere del Dr. Sherman che non servono a niente se non a riempire il
suo ego. Mi domando se sia colpa mia, se Connor si sia suicidato
perché l'ho spinto io anche se in realtà lui mi
ha spinto fisicamente, ma io metaforicamente, magari non volendo sono
stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso e vorrei che non fosse
mai successo, vorrei vederlo un'ultima volta per dirgli che ha ragione,
non è lui il pazzo, sono io quello fuori di testa e
chiedergli scusa perché non avrei mai voluto...
perché anche solo per un glorioso istante ho creduto che
potessimo essere amici...'
Sono senza parole, quello che prova Evan nei miei confronti mi scalda e
al contempo mi devasta.
Mi metto a gambe incrociate davanti al suo letto, sporgo la testa oltre
il computer perennemente acceso che poggia sulle sue gambe accavallate.
"Hansen?"
Evan si fa cadere il computer di mano, indietreggia schiacciandosi
contro la spalliera del letto urlando in preda al terrore.
"N-No" mormora.
"T-Tu... sei morto... i-io... sono stato alla tua veglia poco fa e
adesso soffro anche di allucinazioni... benissimo" dice indicandomi.
Allunga una mano verso il comodino per prendere le pillole che non
ricorda di aver messo nello zaino e che dire, suppongo che mi veda e mi
senta e anche che sia convinto che prendendo le medicine
sparirò come se fossi frutto della sua mente.
"Sì, sono morto, ma questo non vuol dire che io non sia qui"
gli rispondo cercando di mantenermi pacato. Devo stare attento a come
mi rivolgo ad Hansen o rischio di trovarmelo accanto nello stesso stato
in cui sono io adesso.
"E sei tornato per vendicarti o qualcosa del genere?" mi chiede
timidamente.
Scoppio a ridere.
"Beh in effetti l'intenzione iniziale suppongo fosse quella, ma
c'è stato un cambio di programma per la strada" gli rispondo.
"Quindi non sei qui per uccidermi?"
"Direi di no, Hansen."
Evan tira un sospiro di sollievo e non passa molto prima che ricominci
a respirare normalmente.
"Connor, io volevo chiederti scusa. Se quello che è successo
tra noi è in qualche modo legati al fatto che... insomma hai
capito... voglio dirti che mi dispiace che non era assolutamente mia
intenzione."
Sento una strana pressione alle labbra e un piacevole calore in petto.
"Non è colpa tua" gli dico.
Così come quelle parole abbandonano la mia bocca mi rendo
conto che è vero, che gli avevo scaricato addosso una colpa
che non aveva maledicendolo per avermi portato al limite della mia
sopportazione. Me la sono rovinata io la giornata, perché
nessuno mi ha obbligato a prendere così sul personale
l'essere stato messo in punizione per aver usato il cellulare in classe
e no, Jared può andare a farsi fottere, non è
salvabile. Evan, però, lui non aveva fatto niente e sono
stati i miei demoni a dipingerlo con quelle sfumature.
È questo ciò che succede quando le emozioni ti
dominano completamente e a stento senti più di essere in te.
Cerchi un colpevole quando hai solo te stesso, perché
è tutto lì, è tutto in come reagisci.
"No davvero, Connor. Mi dispiace. Credi che possiamo ricominciare da
capo?" mi domanda Evan.
Annuisco, non può neanche immaginare quanto mi renda felice
questa proposta, ma non sono mai stato bravo a esprimere le emozioni
positive e onestamente neanche quelle negative.
"Bene. Posso offrirti qualcosa? Dovrei avere ancora dei biscotti e del
succo di frutta di là in cucina."
Rido di nuovo, questo ragazzo è veramente assurdo.
"Hansen, ma come ragioni? Sono uno spirito non ho bisogno di mangiare o
bere. Inoltre credo che se dovessi provare qualunque cosa finirebbe sul
pavimento, sono inconsistente."
"Eppure a me sembri così reale" mormora Evan.
Guardo i tratti del mio corpo ed è vero, mi sembra di essere
meno trasparente, il che ha senso anche da un punto di vista puramente
metaforico.
"Comunque sia... grazie per l'offerta e per aver partecipato alla mia
veglia" gli dico, non conosco bene questo sentimento, ma credo si
chiami gratitudine.
"Non so se è stata la scelta giusta" mormora Evan. "Aspetta!
Tu eri lì?" mi domanda come se avesse appena collegato i due
punti.
"Ti sto seguendo da tre giorni, ma grazie per averlo notato, Hansen."
Evan rabbrividisce e solo adesso che l'ho detto capisco quanto sia
inquietante come concetto.
"Allora è vero, io ho visto e ti ho sentito e tua madre..."
"Non dirle niente!"
Evan mi guarda spaventato, devo avere urlato di nuovo.
"Andiamo per gradi" gli dico cercando di modulare la voce. "Cynthia
è sconvolta, Larry potrebbe interpretarlo come un delirio
generale e già la tua reputazione non è il
massimo, Hansen."
Evan mi fissa, sbatte le palpebre e sembra cercare delle parole.
"Chiami i tuoi per nome?"
"Sì, a loro piace."
C'è uno strano silenzio tra noi che vorrei se ne andasse
perché stavo iniziando a sentirmi a mio agio.
"Io non posso mentire ai tuoi..." mormora Evan.
"Ah già... a tal proposito... non è detto che
dobbiamo mentire..."
Evan mi guarda di nuovo come se gli avessi detto che la terra
è piatta e l'aborto è un costrutto sociale e il
gender ucciderà la famiglia.
"Che intendi dire?"
"Beh se... io... e te..." mi interrompo, cielo Connor, datti un
contegno. È lui quello che soffre di ansia sociale, non tu,
tu non balbetti, non esiti, parli spedito ed esprimi tutto
ciò che vuoi dire, male, ma lo fai.
"Amici, noi... per davvero."
È ufficiale: l'ansia sociale si passa come l'herpes e sono
stato troppo con Hansen per scamparla.
"Vuoi essere mio amico?" mi domanda. Evan ha degli occhi grandissimi,
credo si siano ingranditi di qualche millimetro negli ultimi secondi o
non si spiega e stanno brillando carichi di speranza.
"Credo..." rispondo.
È strano, anche se sono morto una parte di me continua a
pensare che io possa solo essere un problema per Evan, il che ha senso
visto che sono un fantasma e i fantasmi portano guai, ma a conti fatti
il ragazzo è nella merda e io gli sto parando il culo.
Dovrebbe essermi riconoscente.
"Riscriviamo insieme le nostre storie, Hansen."
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Capitolo 4 *** For forever ***
Per una volta nella mia -vita? Non sono più sicuro di
poterla chiamare così, cioè tecnicamente sono
morto anche se mi sembra di fare più cose di quanto non lo
ero- esistenza penso di aver fatto la cosa giusta, ho detto una frase a
effetto. La cosa giusta non universalmente, quella che suggerivano i
miei sentimenti autentici.
"Ti piacciono i pancakes?" mi ha domandato Hansen.
Trovo ridicolo come io non sappia niente circa i miei gusti personali a
causa di mia madre -tornerò su questo punto in seguito- e
forse trovo anche più ridicolo che Evan continui a trattarmi
come se fossi un essere che può ancora mangiare.
"Non lo so, perché?" gli ho chiesto.
"Lascia stare, magari non succederà neanche" mi ha risposto.
Avrei voluto chiedergli di cosa si trattasse, ma il suo sguardo triste
mi ha ammutolito. Ho una capacità di consolare gli altri che
fa veramente pena, se Hansen mi avesse raccontato cosa provava in quel
momento probabilmente avrei messo del sale sulla ferita con qualcosa
tipo "beh che schifo essere te."
"E adesso come funziona?" mi ha chiesto. Ce lo stavamo domandando
entrambi probabilmente. Non so se sia il caso di dirgli che ho passato
la precedente notte a vagare per la sua stanza come un'anima in pena
-che effettivamente sono quindi il paragone calza- perché ho
paura che si spaventi di nuovo e onestamente l'ultima cosa che voglio
è creargli altri problemi.
"Credo che "vivrò" qui..."
L'espressione sul volto di Evan è indecifrabile, come se
stesse provando tutto e il contrario di tutto nello stesso momento.
"Beh almeno ci sarà qualcuno in casa" ha detto.
Di nuovo, non ho voluto chiedere altro, ma me ne sono stato in silenzio
a guardarmi intorno.
"Buonanotte, Connor" è arrivata quella frase all'improvviso.
Non ho fatto in tempo a dirgli che non deve sprecarsi ad augurarmi
niente perché non ho più bisogno di dormire.
Ho capito perché Hansen mi ha chiesto se mi piacessero i
pancakes nella giornata di ieri, è collegato alla nostra
attuale presenza Bell House.
Questa mattina Evan si è alzato presto, si è
guardato intorno e ci ho messo qualche secondo a realizzare che mi
stava cercando, si stava assicurando forse che non fosse stato tutto un
sogno o forse ancora era davvero preoccupato di dove fossi, che ci
fossi ancora.
"Buongiorno" mi ha detto guardandomi negli occhi.
"Giorno" ho replicato.
"Hai dormito bene?"
"Non ho chiuso occhio, Hansen. Volevo per l'appunto informarti che come
non ho bisogno di mangiare o bere non ho neanche bisogno di dormire."
C'è stato un silenzio tra noi prima che Evan si alzasse dal
letto e si portasse in bagno per prepararsi. Quando è
riemerso mi ha chiesto di nuovo se mi andasse i pancakes e prima che
potessi rispondere la mamma di Hansen ha detto che dovevano prepararsi
perché c'era una cascata di sciroppo d'acero che li
attendeva.
"Sei così lontano, mi sento come se dovessi sedermi dalla
tua parte" dice la mamma di Hansen, non so decifrare l'espressione sul
suo volto, forse è apprensione.
"No" ribatte Evan e ora che mi sono sintonizzato sui suoi pensieri so
anche il perché di tanta enfasi.
'Mi sento come se fossimo a un appuntamento. Mia madre si è
messa in tiro ed è imbarazzante.'
Hansen è strano, si fa problemi che neanche esistono. Voglio
dire, a chi importa se la propria madre si è vestita
giovanile e si sente figa? Non sta facendo niente per metterlo a
disagio. Heidi è una regina, Hansen, lo è per le
corsie come fuori ed è stanca di indossare sempre un camice
e mai qualcosa che la faccia sentire bella.
In tutta onestà non so da dove vengano questi pensieri, non
ero così empatico quando ero... insomma è chiaro
il concetto, no? O forse lo sono sempre stato, ma mi sono lasciato
convincere del contrario, del resto sono sempre gli animi
più sensibili a patire.
Vedo gli occhi di Heidi e leggo la stanchezza, non è dovuta
all'età, sono i segni della sofferenza dipinti in ogni
increspatura del suo volto. Sta facendo del suo meglio, è
questo che sta cercando di dirgli, ma Evan è cieco.
"Hey Hansen, tua madre si sta facendo un quattro per te e tu non glielo
riconosci" non so perché ma è questo che vorrei
urlargli. Come apro la bocca però mi restano incastrate come
insetti in una ragnatela e più cerco di sbrogliarle
più le vedo annodarsi tra loro.
Heidi non c'è più, ora c'è Cynthia al
suo posto.
"Sto facendo del mio meglio, Connor!" mi sta gridando addosso e io non
sono sicuro di crederle, ma sento il cuore pesante e le lacrime agli
occhi.
Bruciano ancora, fresche come il primo giorno.
"Quello che sto cercando di dire è che hai così
tante cose meravigliose davanti a te. Ricordalo e basta. La strada
verso la vetta è lunga, ma ne vale assolutamente la pena."
Non è più Cynthia, è di nuovo Heidi
che stringe le mani di Evan come se fosse paralizzata, lo sguardo fisso
sul cibo.
"Mamma" la chiama Evan. Heidi sobbalza. "Scusa" gli dice. Prende un
tovagliolo di carta, lo apre e lo posiziona nel colletto della maglia.
"Stavo solo pensando" mormora.
"A cosa?" domanda Evan, è indispettito dal suo atteggiamento.
"A quel ragazzo che..."
Un brivido dietro la schiena, la gente mi pensa, sono sulla bocca di
tutti. Ora che ci penso Heidi si è presa cura di me in
ospedale, sono sicuro di aver sentito la sua voce da qualche parte tra
la vita e la morte. Deve essere terrorizzata, io ed Evan abbiamo la
stessa età, forse ha paura che anche lui..
'Come ti sei ucciso?'
"Stai parlando con me, Hansen?" gli domando.
Evan sobbalza, non credo si sia abituato al fatto che esisto e gli
gravito intorno o qualcosa del genere.
'Tu... tu puoi sentire i miei pensieri?'
"Solo se mi ci focalizzo o se lo fai in maniera eccessiva. Quello che
c'è nella tua testa diventa ingombrante, non trova
più spazio e trova il modo di raggiungermi."
Evan se la sta facendo sotto, è bianco come un lenzuolo e la
sua fronte è sudata, penso sia preoccupato di non avere
più privacy e non so come fare a tranquillizzarlo
perché sono molto più corretto di quanto pensa e
anche meno interessato probabilmente.
Evan respira, a pieni polmoni, li riempie d'aria e li svuota lentamente.
'Lamette? Cappio? Monossido di carbonio? Pillole? La tua bara era
chiusa alla veglia funebre quindi forse hai usato una pistola? So per
certo che non sei saltato giù da un ponte
considerando le condizioni immacolate della mia lettera. Le persone
online continuano a dire che probabilmente è stata
un'overdose, il che sarebbe appropriato e indolore o forse no. Mi
chiedo se a un certo punto te ne sia pentito. Se c'è stato
un momento tra la decisione e la morte in cui hai cambiato idea.'
Hansen mi terrorizza, sta cercando davvero di capire come mi sono
suicidato, cosa ho provato e sentirgli elencare tutti quei metodi mi
distrugge perché li ho valutati tutti, uno per uno, nessuno
escluso. Non sono pronto a parlarne.
“Quei poveri genitori. Non riesco proprio a immaginare."
Sia io che Hansen riemergiamo dalla nostra non conversazione davanti
alle parole di Heidi ed entrambi pensiamo a Cynthia e Larry,
sicuramente in maniera differente.
Mi fa girare i coglioni che quando muore qualcuno, anche muore per la
propria volontà, il discorso verte attorno ai genitori di
quel qualcuno, intorno a chi è rimasto e non a chi se ne
è andato. Probabilmente nessuno immagina che potrebbe
rimanere lì, sentire ogni parola e odiare non poter
annullarne l'ascolto.
"Qualcuno vuole chiedersi perché mi sono suicidato io!"
'Te l'ho appena chiesto!'
Evan mi guarda e mi rendo conto di star fluttuando sopra la testa di
Heidi.
La mamma di Hansen ha detto qualcos'altro, ma non stavo prestando
attenzione, Evan mi fissa in attesa di una risposta che non
avrà.
"Che t'importa?" gli domando e prima che me ne renda conto le parole
sono già fuori e il viso di Hansen è triste.
Faccio schifo proprio a relazionarmi.
I miei hanno insistito perché Evan andasse a cena da loro e
questo è il motivo per cui adesso sono davanti al cancello
della mia prigione.
'L'unico motivo per cui sono qui è perché Connor
non c'è' pensa Hansen.
"Scusa tanto, io sarei qui!" gli urlo contro, mi dà fastidio
che si parli di me come se non fossi presente.
"E come dovrei sentirmi al riguardo?" mi chiede Evan, lo fa ad alta
voce, noncurante o forse non consapevole del fatto che senza un
cellulare in mano aver parlato in questo modo è solo
reputabile come segno di squilibrio.
"Che ci fai là fuori?" la voce di Cynthia.
Evan inciampa nelle sue parole mentre mia madre gli apre la porta
d'ingresso.
"Buonanotte... voglio dire, buona sera, signora Murphy. "
"Ciao mamma..." mormoro non convinto, sono talmente abituato a
chiamarla per nome che quel termine caldo che dovrebbe portarmi
conforto mi risuona fuori posto.
"Accomodati e per favore chiamami Cynthia."
Appunto.
Osservo Hansen porgerle dei fiori.
"Quelli dovevi portarli al mio funerale" scherzo, ma Evan non ride anzi
trema.
Che poi tornando alla veglia, Evan ha parlato di una bara, ma io
ricordo di avere visto un'urna. Di cosa stiamo parlando? Che hanno
scelto di fare i miei genitori? Ma soprattutto che me ne frega? Non
è che io avessi una preferenza di fatto o comunque non
l'avrebbero rispettata né ascoltata anche se l'avessi avuta.
È questo che mi domando, perché tutti vedono solo
l'effetto e non la causa. Chi piange spesso è il carnefice,
chi è morto è senza dubbio la vittima.
Ipocrisia?
"Oh, è molto dolce, Evan. Grazie."
Cynthia sta abbracciando Evan e io mi domando se ci sia modo di
prendere possesso del suo corpo e scoprire che effetto fa avere le sue
braccia in cui rifugiarmi. Dalle scale scende Zoe, sembra turbata e per
nulla felice di vedere Evan e posso perfettamente immaginare
perché.
Che tipo di rapporto c'era tra me e Hansen prima della mia morte?
Nessuno e Zoe lo sa.
Evan siede in quello che appena tre/quattro -ma che cazzo ne so? Il
tempo è diverso in questa forma- giorni era il mio posto e
mi rendo conto che mi dà fastidio. Mi piazzo di fronte a
lui, fluttuando a mezz'aria, al centro del tavolo, Evan sgrana gli
occhi, ma nessuno ci fa caso.
La mia assenza equivale alla sua presenza, mi sembra ci stia
così meglio di me al mio posto, nella mia famiglia. I demoni
sono venuti tutti con me, confermo.
"Fa caldo qui" dice Cynthia sventolandosi.
"Qualcun altro si sente accaldato?"
Evan sicuramente, ma non è nella facoltà di
rispondere, la situazione che sta vivendo lo sta mettendo fin troppo in
ansia. Se lo chiedono a me invece posso dire tranquillamente di no.
Bruciavo solo dentro, ma il mio corpo sembrava sempre bramare un calore
incapace di sciogliere il ghiaccio di cui era costituito.
"È afoso per essere settembre. Posso abbassare la
temperatura dell'aria condizionata se vuoi" conviene Larry. "No, va
bene" risponde Cynthia tamponando la fronte con un tovagliolo.
Zoe non ha detto una sola parola da quando siamo arrivati.
Larry solleva un piatto. "Qualcun altro vorrebbe più pollo?"
domanda.
"Penso che tu sia l'unico ad avere appetito, Larry" commenta Cynthia.
Dopo aver esitato Larry si riempie piatto. "Beh, non ho intenzione di
sprecarlo. È stato molto premuroso da parte degli Harris
portarcelo."
"Connor ti ha parlato degli Harris?" domanda Cynthia a Evan e ora mi
sento in colpa perché dopo avergli detto che avremmo
riscritto le nostre storie non mi sono nemmeno degnato di dargli un
copione da imparare.
È successo qualcosa è Bell House, sono andato
sulla difensiva e sono scomparso. Quando sono tornato era
già passato un intero giorno ed Evan non sapeva come
rivolgersi a me, suppongo ci sia rimasto male per come gli ho risposto.
Hansen annuisce, la scampa con l'improvvisazione. Gli Harris non mi
sono mai stati troppo simpatici probabilmente perché anche
loro come i miei genitori mi hanno sempre guardato come la pecora nera
della famiglia.
"Sono nostri amici di vecchia data" spiega Cynthia. "Andavamo a sciare
insieme. Abbiamo trascorso dei bei momenti là fuori sulle
piste."
Hansen annuisce e poi annuisce e annuisce ancora, poi apre la bocca.
"Connor amava sciare."
"Connor odiava sciare" incalza Zoe.
“Esatto, lo odiava. Ecco cosa intendevo. Solo puro odio ogni
volta che si usciva l'argomento. Amava parlare di quanto
odiasse sciare" si arrampica Evan strappandomi una risata.
“Quindi voi ragazzi vi vedevate spesso? Tu e Connor? "
domanda Cynthia.
"Abbastanza" risponde Evan, direi che per essere del tutto improvvisato
se la sta cavando alla grande.
Ora che noto la sudorazione del suo corpo, il panico negli occhi mi
rendo conto che la devo smettere di comportarmi come l'adolescente
irritabile che sono/ero, non è chiaro ancora come mi devo
rivolgere a me stesso e aiutare Hansen.
"Dove?" indaga Zoe.
"Intendi... dove ci vedevamo?" domanda in risposta Hansen.
"Sì, dove?"
Sto per aprire la bocca, gli sto fornendo le risposte di cui ha
bisogno, ma Evan ha gli occhi su mia sorella e non se ne è
reso conto.
"Bene" dice fingendo di tossire per schiarirsi la voce.
"Per la maggior parte del tempo stavamo a casa mia. Voglio dire a volte
andavamo anche a casa sua- voglio dire, qui - se non c'era nessun
altro. "
Sgrano gli occhi, Larry squadra Evan da capo a piedi, io non so se si
è reso conto di quello che ha detto, ma probabilmente no.
Ora mi rivolge lo sguardo in cerca di aiuto e io sento la gola secca e
caldo, non so che dire, mi viene da ridere istericamente ed
è ciò che faccio.
Evan sospira, rilassa le spalle.
'Non dovevi salvarmi?' mi chiede col pensiero.
Beh si dà il caso che una cosa era l'immaginazione, ma ora
che ci siamo davvero dentro mi sembra solo assurdo che i miei genitori
credano alle parole di chiunque. Ora so fino a che punto non mi
conoscevano.
"E-mail" dice Hansen, come se gli si fosse appena accesa una lampadina.
“Ci inviavamo molte email, a volte non voleva uscire, il che
lo capisco, avevamo questo in comune, immagino."
Per un istante sorrido perché forse davvero io e Hansen
saremmo stati i migliori amici di tutti i tempi, comprendendoci a un
livello così profondo, rispettando le problematiche
dell'altro...
"Abbiamo controllato le sue e-mail" interviene Zoe. "Non ce ne sono da
parte tua."
"Beh sì, voglio dire, è perché aveva
un account diverso. Un account segreto. Avrei dovuto dirlo prima.
Probabilmente è stato molto confusionario.Scusate."
"Hansen, fermati!" quasi urlo, ci sta mettendo in una situazione
scomoda e lui è ancora vivo quindi cazzi suoi.
"Perché era segreto?" chiede Zoe.
"Perché era segreto?" mi chiede Hansen in panico guardandomi
negli occhi.
"Era segreto perché era solo ... Connor pensava che avremmo
avuto più privacy così."
Facepalm del secolo, grazie Hansen, adesso i miei genitori pensano
ufficialmente che stavamo insieme.
"Te l'ho detto, Larry. Lo sapeva che leggevi le sue e-mail" inveisce
Cynthia.
In realtà no e ora sono sconvolto, ma anche fiero di me
perché ho sempre cestinato tutto. Ero ossessionato dall'idea
che qualcuno mi stesse osservando, che stesse ficcando il naso nelle
mie cose e a quanto pare ne avevo motivo altro che la paranoia di cui
parlava vai a capire quale terapeuta.
"E non me ne pento" dice Larry versandosi del vino. "Qualcuno doveva
recitare la parte del cattivo."
Cynthia e Larry si fissano scambiandosi parole silenziose e cariche di
sentimenti forti.
"È così strano" dice Zoe. "L'unica volta che ho
visto te e mio fratello insieme è stato quando ti ha spinto
a scuola la scorsa settimana."
Non avevo idea che Zoe mi avesse visto, suppongo che ci fossero molte
più persone in corridoio di quante ne avessi viste.
"Connor ti ha spinto?" domanda Cynthia turbata.
"Non lo direi così, signora Murphy. Sono inciampato, ecco
cosa è successo davvero" ribatte prontamente Evan.
Per essere uno che si spaventa anche del suo riflesso sta andando forte.
Gli accenno un sorriso, mi viene naturale, pensare che mi stia
difendendo anche dopo che l'ho abbandonato in questa situazione scomoda.
"Per favore, Evan, chiamami Cynthia." sottolinea mia madre.
"Oh, giusto, mi dispiace, Cynthia" mormora Hansen sorridendole.
"Io ero lì, ho visto tutto! Ti ha spinto, con forza!"
interviene Zoe, sembra determinata a non fare cadere lontano
l'argomento.
Gocce di sudore scivolano lungo il corpo di Evan, sono piuttosto sicuro
che abbia persino i pantaloni sudati e un po' mi sento in colpa.
"Oh, ora ricordo" dice Hansen come se avesse appena fatto
un'incredibile scoperta.
"È stato un malinteso... perché il fatto era che
non voleva che parlassimo a scuola, ed è esattamente quello
che ho fatto. Ho provato a parlargli a scuola. Non è stato
niente di che, sul serio. È stata colpa mia."
Faccio cenno ad Hansen di tagliare corto perché mi sta
mettendo nei casini, non che la cosa mi riguardi più
personalmente, ma è veramente una formula equivoca.
"Perché non voleva che gli parlassi a scuola?" domanda Zoe.
Sto per dargli un suggerimento, ma Evan mi precede. "Non voleva che si
sapesse che eravamo amici. "Era imbarazzato, immagino."
Mi ammutolisco, potrebbe essere più fraintendibile?!
"Perché imbarazzato?" gli chiede Cynthia.
Hansen stampa la propria fronte su uno dei tovaglioli di stoffa.
"Immagino perché pensava che fossi una specie di ..."
risponde.
"Un nerd?" incalza Zoe.
"Zoe!" la richiama Larry come se avesse detto una parolaccia, ma mia
sorella lo ignora, non ha intenzione di accettare questa versione dei
fatti.
"Non è questo che intendevi?" domanda.
Hansen annuisce, si stringe nelle spalle come se volesse scomparire.
“Sfigato, stavo per dire, in realtà, ma va bene
anche nerd."
Cynthia gli posa una mano sul braccio sano. "Non è stato
molto gentile..." mormora.
"Beh" insiste Zoe. "Connor non era molto gentile, quindi ha senso."
Cynthia sospira. "Connor era ... una persona complicata."
"No, Connor era una persona cattiva. C'è una differenza."
"Zoe, per favore" la riprende Larry.
"Papà, non fingere di non essere d'accordo con me!"
"Fa troppo caldo qui" mormora Cynthia.
"Abbasso la temperatura dell'aria condizionata", conviene Larry, ma non
si alza dal tavolo.
Che dire? Se non altro la famiglia Murphy non finge di essere felice
neanche davanti agli estranei e non si sforza di sembrare perfetta.
"Ti rifiuti di ricordare le cose buone. Ti rifiuti di vedere qualcosa
di positivo" prosegue Cynthia.
"Perché non c'erano cose buone!" urla Zoe. "Di quali cose
buone stai parlando?"
"Non voglio fare questa conversazione di fronte al nostro
ospite!" afferma Cynthia.
"Quali sono state le cose buone, mamma?"
"C'erano cose buone!"
"Va bene, allora dimmele!"
"C'erano cose buone."
"Sì, continui a dirlo, ma non mi dici quali."
"Io ricordo molte cose buone di Connor" dice improvvisamente Evan, mi
guarda per un istante in cerca di approvazione, ma dalla sua
espressione deduco che non ne abbia trovata.
"Tipo cosa?" chiede Zoe, vuole sapere.
"Non importa... non avrei dovuto ... mi dispiace" si affoga Hansen con
le sue stesse parole.
"Ancora una volta ti dispiace" commenta Zoe.
"Proseguì pure, Evan. Stavi dicendo qualcosa" lo invita
Cynthia.
"Non importa. Veramente."
"Vogliamo sentire cosa hai da dire. Ti prego, Evan."
Guardo i miei genitori e mia sorella, leggo nei loro occhi il bisogno
di sentire qualcosa, di avere qualcosa a cui aggrapparsi. Mi metto
nella visuale di Hansen tra lui e mia madre e lo supplico di inventarsi
qualcosa perché tra i due è lui quello con la
fantasia.
"D'accordo" mormora Evan, credo che abbia risposto a me stavolta anche
se sta parlando con i miei consanguinei.
"Connor e io siamo stati davvero benissimo insieme, questo un giorno,
di recente. È una cosa buona che ricordo di Connor. Questo
è ciò a cui continuo a pensare. Quel giorno. Quel
giorno."
Evan fissa la ciotola al centro del tavolo, accarezza la frutta come se
servisse a dargli coraggio.
"Mele" dice. "Siamo andati al posto delle mele..." alza lo sguardo.
“Comunque è stupido, non so nemmeno
perché ne ho parlato."
"Ti ha portato nel frutteto?" domanda Cynthia estasiata e non so
è solo lei, in ogni membro della mia famiglia c'è
una nuova luce.
"Sì lo ha fatto" risponde Evan.
"Quando?"
"Una volta. È stato solo quella volta" si mantiene vago
Hansen.
"Pensavo che quel posto fosse chiuso" commenta Larry. "Da anni ormai."
"Esatto, ecco perché eravamo così delusi quando
siamo arrivati lì, perché era completamente
chiuso e Connor ha detto che le mele erano le migliori".
Cynthia sorride con le lacrime agli occhi. “Andavamo sempre
al frutteto. Facevamo picnic sul prato. Te lo ricordi, Zoe?"
"Sì" mormora la mia sorellina malinconica sforzandosi di
provare indifferenza.
Cynthia guarda Larry dall'altra parte del tavolo. "Tu e Connor avevate
quel piccolo aeroplano giocattolo con cui vi divertivate
insieme...finché non l'hai fatto volare nel torrente."
Larry sorride. "Quello era un atterraggio di emergenza."
"Oh Evan, non posso credere che Connor ti abbia portato lì"
dice Cynthia. "Scommetto che è stato divertente. Scommetto
che vi siete divertiti davvero."
"L'intera giornata è stata semplicemente ... fantastica.
È successo in primavera, credo. "
"Evan, ti prego raccontaci tutto, vogliamo sapere tutto di te e Connor
insieme al frutteto" dice mia madre, gli prende una mano tra le sue e
la stringe piano, i suoi occhi brillano di speranza.
Hansen alza lo sguardo verso di me, ingoia a vuoto, mi sta pregando di
dire qualcosa, ma ho così tante cose da dire che non riesco
a parlare.
"F-Fine m-maggio o i-inizio giugno" comincia cercando di non inciampare
troppo su ogni parola.
"Abbiamo condiviso un pomeriggio perfetto..."
Dall'altro lato della stanza alzo un sopracciglio e incrociò
le braccia appoggiandomi su un lato al muro a mezz'aria.
"Certo Hansen, racconta del nostro pomeriggio perfetto mai esistito ai
miei genitori, chissà magari si rendono conto che stai
dicendo una marea di puttanate e ti sbattono fuori" dico.
Evan si sistema il colletto della maglietta e ingoia a vuoto, cerca di
ignorare le mie parole. Tornerò sul mio atteggiamento,
più tardi.
"Guidando per la campagna" prosegue Evan.
"Con quale macchina e quale patente, Hansen? Vuoi un assaggio di come
guido? Prova le montagne russe e poi mi fai sapere" commento.
"Larry, come si chiamava quella gelateria che amavamo?" lo
interrompe Cynthia. "
À La Mode” risponde Larry senza entusiasmo
né partecipazione.
"Esatto, À la mode" dice Cynthia con coinvolgimento.
"Ci siamo fermati a prendere un gelato da À la mode e poi
siamo arrivati a destinazione" prosegue Evan cogliendo il suggerimento.
"Beh in realtà poi siamo tornati a Ellison Park dal momento
che il frutteto era chiuso" cerca di spiegare Hansen, ma Cynthia non lo
ascolta.
"Erano tutte cose artigianali" mormora Larry.
"Ci sedevamo nel prato e tu e tuo fratello cercavate i quadrifogli"
aggiunge Cynthia guardando Zoe.
"Mi ero completamente dimenticato di quel posto" dice Larry.
"Beh, immagino che Connor non l'abbia fatto", dice Cynthia. "Non
è vero, Evan?"
Hansen annuisce come se stesse cercando di staccare la testa dal collo
e sospira.
"E poi, Evan?" posso vedere l'istante esatto in cui Hansen si rassegna
e capisce di essersi solo illuso di averla scampata.
"Uno spazio aperto pieno di alberi, abbiamo scelto un posto e fatto
quattro chiacchiere come fanno gli amici."
"Fai degli esempi" riesco a suggerirgli. "I miei non ti lasceranno mai
andare senza contenuti.
"Menzionando le canzoni delle nostre band preferite..." tenta Evan e
viene immediatamente interrotto dalla mia risata sguaiata.
"Hansen! Ti rendi conto che abbiamo gusti diametralmente opposti? La
tua cultura musicale probabilmente si limita alla jazz band in cui
suona mia sorella..." mentre parlo un un colpo di vento mi
scompiglia i capelli e alcune foglie si depositarono tra loro prima di
cadere a terra. Taccio.
"Dicendo barzellette che nessuno avrebbe capito se non noi due"
prosegue Evan, un po' titubante.
Mi guardo attorno agitato, mi chiedo quando sia spuntato un albero
dietro le mie spalle e perché Hansen sia così
vicino a me appoggiato allo stesso tronco.
"Hansen, ma che cazzo hai fatto?!" gli domando resistendo a malapena
alla tentazione di strattonarlo per il colletto della maglietta e
allora mi rendo conto che ho consistenza e riesco a toccare le cose.
"E poi abbiamo parlato e goduto del panorama... solo parlato e goduto
del panorama" dice Evan, mi guarda e sorride, sul suo viso non
c'è più traccia di panico né disagio.
Fa caldo, mia madre ha ragione e Hansen è adorabile. Dovrei
essere incazzato con lui, mi sentivo incazzato fino a poco fa, ma
adesso...
"Tutto ciò che vediamo è un cielo eterno. Abbiamo
lasciato il mondo fuori per sempre. Sembrava che potesse continuare
così per sempre... due amici in un incontro perfetto" come
Evan conclude la frase si mette all'impiedi e mi tende una mano. La
afferro come se ne valesse della mia esistenza e mi alzo.
"Sembra un appuntamento..." mormoro lasciandomi trascinare nella
distesa immensa del frutteto.
"Abbiamo camminato e parlato di ciò che avremmo fatto una
volta fuori scuola."
Sento la mano di Evan contro la mia, la sento morbida, calda, una
sensazione piacevole. Mi domando se lui invece stia sentendo i calli
sul mio palmo.
"Come..." mormora Evan.
"Ha, adesso ti voglio, Hansen. Come cosa? Non sai niente di me, i miei
ti sgameranno di sicuro" gli dico guardandolo negli occhi.
"Pedalare sul sentiero degli Appalachi o scrivere un libro o imparare a
navigare, non sarebbe figo?"
Sospiro. "Come suicidarsi senza successo, scritto da Connor Murphy"
mormoro.
Evan ride appena e di colpo fa anche più caldo.
"Non c'è niente di cui non potessimo parlare, come le
ragazze che speravamo ci notassero, ma non lo hanno mai fatto..."
Distolgo lo sguardo, mi seggo nuovamente sul prato e mi mordo il labbro
colpevole. È una cosa che faccio quando mi sento a disagio,
a differenza di Hansen non sono bravo a mentire, ma su questo punto ci
ritornerò più tardi.
Evan si siede al mio fianco, si porta le ginocchia al petto e mi guarda
in silenzio. Mi domando se ho qualcosa sulla faccia, probabilmente
c'è un motivo per cui sento le guance in fiamme.
"Quindi al nostro appuntamento parliamo delle ragazze che vorremmo ci
notassero come due bravi gay repressi?" domando perplesso cercando di
provocare una qualche reazione in Evan.
"Lui si guarda attorno e mi dice.."
"Non c'è nessun altro posto dove preferirei essere" completo
la frase.
Non capisco, è semplicemente uscita. Forse è vero
che mi piace questo momento e che mi sento leggero, in un luogo dove ho
bei ricordi sepolti della mia infanzia e i demoni sembrano non potermi
raggiungere. Forse non sono mai stato meglio.
L'unica cosa è che non ho capito come siamo passati dalla
mia cucina al frutteto. Ci rifletterò più tardi.
"E io ho detto "anche io" " mormora Evan, il suo viso ora è
inequivocabilmente rosso.
Siamo seduti vicini, occhi negli occhi, le nostre dita si sfiorano
senza nemmeno sapere come sia successo. Evan mi accarezza le unghie
sangue e ricoperte con lo smalto nero di Zoe, io passo le mie dita
sulle sue. Anche lui si fa la manicure con i denti.
È come se ci conoscessimo da sempre, come se Hansen fosse il
mio riflesso e io il suo. Come se avessi appena ritrovato me stesso.
"E poi abbiamo solo guardato il panorama ancora un po', solo questo
abbiamo fatto" sussurra Evan incerto su come proseguire il racconto.
Guardo nei suoi occhi, percepisco ogni emozione che li attraversa. Sono
così chiari e diversi dai miei, io ce li ho uno di una
sfumatura di azzurro che dà nel grigio, l'altro invece
è così solo per metà, l'altra
metà è marrone castagna.
Sto sorridendo, davvero, dal più profondo della mia anima,
come non ricordavo di poter fare. Evan mi trascina giù,
vuole che anche io mi distenda sul prato, vuole che anche io veda il
suo stesso cielo.
Non mi dice una sola parola che non direbbe anche ai miei genitori,
probabilmente perché mentre io sono solo perso in questo
luogo lui è ancora a tavola con i miei e non può
sembrare fuori di testa.
Dopotutto forse siamo nella mente di Evan, ma questo è il
frutteto dove andavo da bambino. Non lo so, è tutto confuso.
Forse siamo nei miei ricordi.
Evan alza una mano verso il cielo sembra voler accarezzare le nuvole,
lo seguo mandando a fanculo il mondo e osservo la manica lunga della
felpa nera scendere e lasciarmi nudom Sotto quello strato di stoffa
nascondevo i segni dei tagli delle lamette e delle bruciature da
candela sui polsi. Con l'altra mano cerco di proteggermi dai suoi
occhi, ma Evan mi accarezza le ferite per un istante e nega con un
cenno del capo.
'Non avere paura' sento i suoi pensieri.
Prima di saperlo davvero afferro la sua mano e la stringo forte, le
nostre dita si intrecciano in una stretta solida fuori da ogni tempo.
"Perché sarebbe stato perfetto per sempre
così..." mormora Evan e ora sento una lacrima accarezzarmi
il viso con dolcezza.
Potevamo davvero essere tutto questo, ma io ho messo fine a ogni cosa
prima ancora che potesse iniziare.
"Ed eccolo che corre verso l'albero più alto. Da lontano nel
campo dorato lo sento dire "seguimi!" Ed eccoci a domandarci come ci
sarebbe sembrato il mondo guardandolo dall'alto..."
Ciò che Evan dice si tramuta nelle mie azioni, per questo
adesso mi sto arrampicando su albero. Non è la mia
attività preferita, ma mi affascina l'idea di vedere le cose
da un'altra prospettiva.
"Un piede dopo l'altro, un ramo dopo l'altro, io continuo a salire
sempre più in alto finché il sole non splende sul
mio viso."
Sono rimasto qualche ramo più in basso mentre Evan e in
cima. Hansen tiene entrambi i piedi su un ramo, ma improvvisamente
perde aderenza... anzi no...
"E improvvisamente il ramo cede..." mormora
"Sono per terra, non sento più il braccio. Mi guardo attorno
e vedo che sta venendo a soccorrermi, che sta venendo a
raccogliermi..." Evan si ferma, tira su col naso, si specchia nei miei
occhi mentre lo accolgo tra le braccia e lo sollevo.
"Io e te per sempre" mi sussurra Evan lasciandosi aiutare a mettersi
almeno seduto e si ritrova stretto in un abbraccio di cui né
lui né io sapevano di avere così disperato
bisogno.
"Tutto ciò che vediamo è la luce
perché il sole brucia splendente... noi staremo bene per
sempre... due amici, due veri amici... e una giornata perfetta."
Il campo sta svanendo, è di nuovo etereo, io sono di nuovo
trasparente ed Evan è un mucchio di foglie tra le mie mani.
Siamo di nuovo in cucina, Evan siede a tavola con la mia famiglia,
Cynthia lo abbraccia ringraziandolo a profusione, Larry e Zoe si
guardavano invece attoniti, perplessi.
"Mannaggia a te, Hansen. Vedi se non devi farmi vivere il momento
più bello della mia vita quando sono morto" commento, Evan
mi sorride di rimando.
Dopo qualche altra chiacchiera di circostanza Evan si congeda dalla mia
famiglia, tirando un sospiro di sollievo trattenuto per non so quanto
tempo.
"Beh tralasciando che hai inventato una marea di palle direi che
è andata bene" convengo.
Zoe ci segue fuori. "Ti porto a casa" dice.
"Non devi" ribatte Hansen.
"Devo prendere la macchina in ogni caso, salta sù."
Hansen si sente in soggezione, sa mia sorella vuole indagare
più a fondo e stavolta sono pronto a coprirgli le spalle,
credo.
Una arrivati al parcheggio Zoe lo scruta con attenzione, uno sguardo
tagliente. "Probabilmente pensi che io sia solo una stupida all'oscuro
di tutto, ma so cosa sta realmente succedendo" gli dice.
Non mi sorprende, è sempre stata spaventosamente perspicace.
"N- Non so di cosa parli" balbetta Hansen.
"Tu e Connor non vi inviavate e-mail segrete perché eravate
amici."
C'è una strana sensazione piacevole in me mentre sento mia
sorella pronunciare quelle parole.
"No, non stavamo insieme, lo giuro!" ribatte Hansen prima che mia
sorella possa dire qualunque cosa. "Connor era etero!"
Ora stiamo ridendo entrambi.
"Passi che era migliore di come lo ricordo, ma Connor decisamente non
era etero. Per quanto mi piaccia l'idea che avesse una relazione
sappiamo entrambi che sapeva solo allontanarle le persone..." dice Zoe.
"Non devi fingere con me, Evan. Lo so di cosa parli quando dici
"alberi." Lasciami indovinare... fumavate erba insieme? Lui te la
spacciava ed eri in ritardo col pagamento? Connor si era messo nei
casini per questo si è la vita!"
Hansen esprime perfettamente le emozioni che sto provando, uno sguardo
triste, l'incapacità di articolare le frasi.
"Che cosa?" le domanda.
"Mi sono scervellata per tutto il tempo cercando di capire di cosa
poteste parlare. Si trattava di droghe? "
"Droghe?"
"È per questo che era arrabbiato l'altro giorno a pranzo,
non è vero? Quando ti ha spinto? Sii
onesto con me, per favore. Voglio solo sapere la
verità".
"No. Sei pazza? Io? Non lo farei mai. Non ne ero coinvolto. Lo giuro."
"Lo giuri?"
Cynthia continua a ricoprirlo di abbracci, ma Zoe non fa che fissarlo
con astio.
"Lo giuro" mormora Evan, mi guarda per un attimo poi saliamo entrambi
in macchina e cala il silenzio finché non raggiungiamo la
meta.
"Hansen, guarda che dopo tutto questo corteggiamento se non ti metti
con me non ti farò mai più chiudere occhio. I
morti non hanno bisogno di dormire, ma dal momento che soffro
d'insonnia forse semplicemente non è cambiato molto" dico.
Ci sono molte altre cose che vorrei dire, ma adesso ho bisogno di
dimenticare che mia sorella mia vede solo come un tossicodipendente.
Evan sospira nuovamente, credo si sia reso conto che non possiamo
comunicare in pubblico. Arrossisce e accelera il passo, non dice una
sola parola finché non si è assicurato che non ci
sia nessuno in casa.
"Quindi è vero?" mi domanda.
"Cosa?"
"Che non sei etero?"
"È davvero questo che ti interessa sapere, Hansen?
Sì, sono etero solo la domenica a pranzo con i parenti" gli
rispondo. Con tutto quello che è successo non so davvero
come prendere questa domanda.
"I-Io... s-scusa... f-forse..." mormora Evan.
Sospiro rassegnato.
"Di cosa ti stai scusando adesso?"
"Non lo so."
"Se vuoi puoi provare a scrivermelo, non ti obbligo a parlare se non ti
senti a tuo agio. Dovresti essere più indulgente nei tuoi
confronti..." gli rispondo.
"A-Anche tu..." prosegue Evan.
"Senti piuttosto... è così che è
andata davvero?" gli chiedo cercando di avere una cosa che non mi
è mai appartenuta, il tatto.
"D-Di cosa parli?" rispose Evan accarezzandogli istericamente il gesso
sul quale spicca a caratteri cubitali il mio nome.
"Come ti sei rotto il braccio? Come ti sei rotto il braccio, Evan?"
incalzo con trasporto, ho visto un'immagine e non è piaciuta
per nulla.
"Non è così, ho solo inventato una storia"
risponde Evan.
"Una storia molto realistica..." commento.
Evan fissa il pavimento, stringe i pugni con le lacrime agli occhi.
"Piuttosto, tu non dovevi darmi dei suggerimenti? Mi hai completamente
abbandonato!"
Eh sì, hai ragione Hansen, ma che posso dirti? Quando ti ho
visto lì al mio posto nella mia famiglia e mi è
sembrato semplicemente che fosse il tuo che ci stessi meglio di me non
ce l'ho fatta anche a darti una mano per migliorare la situazione.
Forse è questo che hanno sempre voluto, un piccolo Evan
Hansen tutto loro, perché sei il mio esatto opposto, sei il
figlio che ogni genitore vorrebbe e per questo credo di averti odiato
oggi.
"Connor, io non voglio prendermi la tua famiglia, voglio solo dare loro
conforto. Sento di non poterli lasciare da soli. Lo capisci?"
Annuisco e accenno un sorriso amaro.
"Sei nato per essere la versione migliore di me" gli dico e adesso ho
davvero voglia di sparire completamente.
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Capitolo 5 *** Sincerely, us ***
Tra me e Hansen funziona così: io mi comporto male, mi
allontano, dopo qualche minuto torno facendo finta di niente e lui
è anche più gentile di prima. Non so se vada bene
questa dinamica relazionale, ma credo che mi stia dando la
possibilità di rendermi conto quando vengo sopraffatto dai
miei demoni.
Evan ha scritto a quel coglione di Kleinman, lo ha aggiornato su come
è andata a casa mia. Onestamente non penso si sia reso conto
che sono alle sue spalle e sto leggendo le sue conversazioni o forse
non ci sta dando peso.
"I suoi genitori adesso penseranno che stavate insieme. Te ne rendi
conto, vero?"
"Che cosa? Perché dovrebbero pensarlo?"
"Eravate migliori amici, ma lui non ti permetteva di parlargli a scuola
e quando l'hai fatto ti ha preso a calci in culo? È l'esatta
formula per le relazioni gay segrete alle superiori" si scrivono.
"Beh almeno Kleinman non butta soldi dall'ottico, quegli occhiali
funzionano bene" commento alle spalle di Evan.
"Connor!" squittisce sobbalzando, dalla reazione deduco che non si
fosse accorto di me.
"Era questo che volevo dirti tra le tante cose che mi sono passate per
la mente mentre parlavi con i miei. Ci hai messo in una situazione
scomoda."
Evan digita "Dio mio" rispondendo a Jared e poi mi guarda preoccupato.
"Cosa avevo detto? Annuisci e conferma" scrive Kleinman.
"Ci ho provato, non capisci. È diverso quando ti guardano
negli occhi. Mi sono innervosito. Ho iniziato a parlare e una volta
iniziato..."
"Non potevi fermarti?!"
"Non volevano che mi fermassi!"
"Quindi in che altro modo ti sei messo nella merda?"
"Beh, sono abbastanza sicuro che Zoe mi odi. Crede che io e
Connor ci drogassimo insieme."
"Sei il migliore. Lo dico davvero. Cos'altro?"
"Niente."
"Niente?"
"Voglio dire, ho detto loro che ci scrivevamo e-mail."
"E-mail?"
"Sì... che io e Connor ci scambiavamo e-mail e che lui aveva
un account di posta elettronica segreto."
"Oh, giusto, uno di quegli account di posta elettronica "segreti".
Sicuro. Per inviarvi le foto dei vostri peni."
"No, ho solo detto che aveva questo account segreto e che scambiavano
e-mail."
"Voglio dire, seriamente? Potresti essere messo peggio?"
"È così grave?"
"Vorranno vedere le vostre e-mail."
"Oh no."
"Oh sì."
"Sono fottuto. Come diavolo farò?"
"Posso farti le e-mail."
"Cosa intendi?"
"Che posso crearle"
"Puoi? Come?"
"È facile. Ti fai un account e selezioni una data
differente. C'è un motivo se quest'estate sono stato l'unico
tecnico ad avere accesso con chiave magnetica alla struttura del
computer: ho delle capacità, figliolo."
Credevo che Hansen mi stesse ignorando invece sta solo andando in
panico: il sudore sul suo corpo non è neanche lontanamente
comparabile con quello che ho visto a tavola con i miei, credo che stia
sudando persino dagli occhi. Non serve a niente richiamare la sua
attenzione, l'unica è piazzarmi davanti a lui
così che veda solo me e sia costretto a rispondermi.
"Perché ti agiti tanto?" gli domando, forse ho avuto poco
tatto o forse mi dà fastidio che sto cercando di interagire
con lui senza successo da una buona decina di minuti.
"Perché adesso dovrò mostrare delle e-mail che
non esistono e i tuoi genitori capiranno che ho mentito e allora anche
Zoe mi odierà, tutti mi odieranno e sarò esiliato
e lasciato a morire su un'isola deserta" risponde Evan, si lascia
trasportare dalle sue emozioni, si stringe in se stesso.
"Woah, frena. Nessuno scoprirà che niente era vero. Non hai
bisogno di Kleinman."
"Neanche io vorrei lavorare con lui, ma lui è l'unico che mi
può aiutare..."
Storco il naso, alzo un sopracciglio. "Fino a prova contraria sono io
l'esperto sull'argomento Connor Murphy e Kleinman non è
l'unico che sappia un po' di trucchi base di elettronica."
Hansen è incredulo, tira un sospiro di sollievo e scrive
nuovamente a Jared.
"Ripensandoci faccio da solo, hai già fatto abbastanza."
Non so perché, ma ho sentito un moto di orgoglio proprio in
questo momento e continua a crescere mentre Kleinman insiste con dei
messaggi a cui Evan non sta dedicando la minima attenzione.
"Quindi scriviamo queste lettere insieme?" mi domanda.
"No, Hansen. Le scrivi tu, tra noi sei quello con la fantasia. Io ti
spiego come renderle realistiche anche se è fatica sprecata
per Larry e Cynthia, non saprebbero distinguere una mail da un foglio
Word, ma Zoe, lei ti incastrerebbe in un attimo" gli spiego.
"P-Perché devo scriverle da solo?"
Ci penso per un istante, poi la risposta scivola dalle mie labbra. "Hai
dato loro ciò che volevano, mi hai reinventato. Scommetto
che non pensi una sola parola di ciò che hai detto,
probabilmente la pensi come Zoe e mi vedi solo come un drogato o come
Larry e pensi che io sia fuori di testa..."
Hansen mi interrompe mentre il mio tono cresce e con esso anche la sua
violenza. "Non penso niente di tutto questo, Connor..." sussurra.
"Voglio dire non ti conoscevo, ma non mi sembri una cattiva persona...
è vero che ho inventato tante cose, ma ho inventato qualcosa
che credevo possibile e soprattutto... tu non c'eri quel giorno a
Ellison Park, ma suppongo che... ci saresti potuto essere e... mi
avresti senza dubbio aiutato a rialzarmi..."
Le parole di Evan mi spiazzano e sono indeciso su se parlare o meno.
"Io c'ero!" dico poi senza pensare.
Evan mi guarda confuso, ma anche carico di speranza.
"Io ero lì e ti ho visto, però...
però..." a volte funziona così, inizi una frase
sai come si conclude, ma hai paura di pronunciare quelle parole.
"Ellison Park è un bel posto, ci facevo le passeggiate di
tanto in tanto tra un crollo nervoso e l'altro. Quando ti ho visto ero
sotto... Hansen, io sarei venuto ad aiutarti se ne fossi stato nelle
condizioni. Lo capisci?"
Evan annuisce, abbassa lo sguardo, lo rialza, sorride, lo riabbassa, mi
guarda intensamente. "Quindi ho fatto rumore dopotutto..." mormora.
Ha un'espressione sul viso che mi spezza, mi fa sentire come se fossi
composto da frantumi di qualcosa che è stato scagliato da
un'altezza elevata contro il pavimento molto tempo prima che forse
è una metafora appropriata per farvi capire che sento di non
poter mai più tornare integro... sempre che io lo sia mai
stato.
Hansen si stende sul letto, mette le cuffie nelle orecchie, conosco
questo stato fin troppo bene. Fa partire una playlist chiamata "Jazz
per novellini" e la mette a tutto volume per coprire il rumore dei suoi
pensieri. Intravedo le lacrime nei suoi occhi e resto solo
lì a guardare, di nuovo.
Heidi appare sulla porta, Hansen alza la testa dal cuscino e rimuove le
cuffie per sentire cosa sta dicendo.
"Hai già mangiato?"
“Ehm...sì" risponde Evan, non sta a me
dirgli che dovrebbe avvisare sua madre circa dove, con chi e
perché.
"Accidenti" dice Heidi, dal tono sembra quasi sperasse che il figlio
non avesse cenato.
"È stato divertente l'altro giorno, vero?"
"Fare colazione?"
Sono successe così tante cose che mi sembrano passati secoli.
"Sì, decisamente...lo è stato."
"Stavo pensando, che ne dici se mi prendo una serata libera questa
settimana? Quando è stata l'ultima volta che abbiamo fatto
una serata taco?"
"Oh, non devi."
“No, voglio. Forse potremmo anche iniziare a fare
brainstorming insieme per quelle domande del saggio."
"Certo... sarebbe grandioso."
"Oh, è eccitante. Sono emozionata adesso. Abbiamo qualcosa
di programmato."
"Sì"
Come Heidi lascia la stanza decido di prendere Evan di petto il quale
però mi intima di tacere portandosi un dito alle labbra ed
emettendo un tenue "sssh." Prende poi il computer e digita "io non so
niente di te e tu non sai niente di me. Forse ti sembrerò un
ingrato, ma tu non conosci mia madre."
Annuisco in silenzio, suppongo che non sono nessuno per dirgli come
dovrebbe trattarla tuttavia mi dispiace, Heidi ci sta provando a
seguirlo, da sola, senza che ci siano figure professionali a cui
delegare.
È un altro giorno, Hansen è andato a scuola e io
sono rimasto a casa sua a boh, guardarmi intorno credo. Ormai conosco
ogni centimetro della sua abitazione, ogni crepa sul muro, ogni angolo
in cui ha proliferato una specie fungina, ogni singolo dettaglio.
La noia mi assale al punto tale che quando intravedo Evan sulla strada
del ritorno corro alla porta come un cagnolino che accoglie il proprio
padre.
"Ciao Connor" dice lui con sicurezza ancora prima che mi possa vedere,
credo si sia abituato alla nostra convivenza.
"Quanto ha fatto schifo oggi la tua giornata, Hansen?"
Mi detesto. Perché non posso chiedergli semplicemente "come
stai?" come le persone normali?!
Evan mi guarda, accenna un sorriso chiudendosi la porta alle spalle.
"Non di più degli altri giorni" sospira.
Un messaggio da Kleinman, Evan prende il cellulare per leggerlo.
"Prezzo amico: 10 mail complete e lunghe per 200 dollari."
Evan non si spreca neanche a rispondere e con lo sguardo mi prega di
non dire nulla interrompendo qualunque mio commento negativo sul
nascere.
"Allora, le facciamo queste e-mail? Devo mostrarle ai tuoi."
Piano di sopra cioè camera di Evan, ci mettiamo alla
scrivania, o meglio lui è seduto alla scrivania io fluttuo
in aria godendomi l'unica cosa che proprio mi piace dell'essere un
fantasma.
Quando ero ancora vivo immaginavo di poter volare, quanto sarebbe stata
più facile la vita se con un battito d'ali mi fossi riuscito
a spostare dai guai.
"Caro Evan Hansen,
È un po' che non ci sentiamo..." inizia a digitare Evan.
"Perché ti chiamo con nome e cognome se siamo amici?" gli
domando confuso. Come al solito non ne so niente, ma mi sembra che i
miei coetanei usino termini diversi tipo "fratello", "amico", "compare"
per riferirsi a un amico.
"Perché mi hai scritto così nella 'tua ultima
lettera', ricordi?" risponde Hansen. In effetti ha senso, mantiene
l'atmosfera e dà credibilità.
"E perché hai deciso che era da un po' che non ci
sentivamo?" chiedo.
"Perché hai l'aspetto di una persona che lascia accumulare
le e-mail nella posta elettronica finché non ti arriva la
notifica che non hai più spazio."
Ottima intuizione, ma al contempo...
"A te avrei risposto..." mormoro spontaneamente.
Evan alza appena le spalle e accenna un sorriso stanco. "Cosa dovrei
dire ai tuoi genitori?" chiede.
"Non lo so, qualunque cosa vogliano sentirsi dire, suppongo... creami a
tuo piacimento."
Evan sospira, mi rivolge uno sguardo triste. "Connor, io non voglio
questo. Hai finalmente la possibilità di farti conoscere dai
tuoi genitori, di dire loro come ti sentivi, cosa ti tormentava. Sii
solo te stesso e lascia uscire tutto, io voglio sapere
perché te ne sei andato..."
Maledetto Hansen, lui e le sue parole giuste dette al momento giusto,
maledetto me, io e i miei occhi lucidi.
"Tu non capisci, a loro non importa sapere come stavano le cose
davvero, loro hanno bisogno di continuare a credere nella favoletta in
cui io sono il cattivo e loro i poveri genitori disperati che hanno
fatto sempre tutto il possibile."
Hansen mi porge un fazzoletto, credo che ancora non abbia capito che
non lo posso prendere. Allungo una mano per provarci e incredibilmente
riesco a stringerlo, a portarmelo sugli occhi per asciugarli con
sgomento.
Ha visto quanto è disfunzionale la mia famiglia e anche se
non sa tutto il retroscena, ma ora sono piuttosto sicuro che comprenda
il mio comportamento da dove deriva.
"La gente è cieca" commenta.
"La gente vede solo ciò che vuole vedere" gli dico tirando
appena su col naso.
"E tu devi costringerla ad aprire gli occhi" mi dice Evan, il suo
sguardo brucia di determinazione.
"I tuoi genitori ti vogliono bene, Connor. La tua assenza li dilania.
Hanno fatto degli errori e tanti, ne ho avuto un assaggio anche solo
alla cena... ma se tu fornisci loro una versione diversa dalla
realtà dei fatti allora sarai sempre il cattivo di questa
storia. Invece Connor, non c'è nessun cattivo, dipende solo
da chi è il narratore."
Hansen potrebbe scrivere, il suo modo di accostare le parole
è così poetico ed efficace. Sto per dirglielo, ma
mi interrompe.
"Quindi raccontami come stavano le cose davvero."
"Le cose erano difficili..." mormoro.
"Le cose sono difficili" scrive Evan nella mail.
"E vorrei che fosse diverso..." gli dico e alle mie parole segue
immediatamente il suo digitare.
Vorrei aprirmi, ma per me è difficile anche con uno come
Hansen che sa di cosa parlo sia perché lo sa fino a un certo
punto sia perché se lo ammetto è vero ed
è spaventoso.
"Comunque sentivi la mia mancanza, no? In teoria sono il tuo migliore
amico. Che ne pensi di 'però ti penso sempre così
tanto che prima di andare a dormire guardo le tue foto'?"
Mi strappa un sorriso, ma anche una risata.
"Hansen, questa è la cosa più gay che io abbia
mai sentito."
Evan arrossisce, distoglie lo sguardo. "Non lo so, mi sembrava una
buona idea per specificare che anche se non ci sentivamo da un po'
eravamo sempre molto uniti."
Mi avvicino un po' di più alla scrivania e sorprendentemente
riesco a cliccare i tasti.
"Devo ammettere che la vita senza te è..." non so come
concludere.
"Frustrante" digita Hansen.
"Frustante?" gli domando. Non lo so, vuole dare altri elementi
perché Larry creda che Hansen fosse il mio ragazzo?!
"Dura"
"Non stai migliorando la situazione"
"Ardua"
" 'Caro Evan Hansen, devo ammettere che la vita senza te è
ardua' disse il principe Connor Murphy" mi metto a scherzare.
"Peggiore? Io miglioravo la tua vita, è questo che
dovrebbero fare di amici, no?" mi domanda.
"Sì, va bene" convengo.
"E mi manca parlare con te della vita e altre cose?"
"Sei troppo generico, Hasen. Dici solo che mi manca parlare con te."
Evan sospira, mi guarda perplesso. "Tu sei sicuro che questa sia una
buona idea?" mi chiede.
"Inventarci un'amicizia mai esistita che non so se nascerà
mai tra noi mentre io sono un fantasma e tu ti fai portavoce dei miei
sentimenti perché i miei genitori finalmente mi ascoltino
per dare conforto alle nostre esistenze vuote? Devo davvero
risponderti?"
"Amo i miei genitori ma..." digita Evan cercando di sfuggire alla mia
domanda.
"Hey, io non parlo così!" gli faccio notare. In
realtà mi dà fastidio che dia per scontato che
amo i miei quando ha stento ho coscienza di cosa provo per loro.
"Scrivi tu allora, per favore. Sei tu Connor e per qualche ragione ora
riesci anche a usare la tastiera. Se vuoi me ne vado..."
Lo interrompo subito, afferro il suo braccio prima che possa alzarsi
dalla scrivania. "No, non farlo."
Gli occhi di Evan si spalancano, so che ha visto qualcosa e ora mi
sento nudo, ma Hansen ha visto anche le "gloriose" cicatrici da
autolesionismo quindi...
"Quale era il vero problema, Connor? Dimmelo, ti prego. Voglio solo
aiutarti."
"I miei genitori mi fanno sentire sbagliato, fuori posto, rotto. Ogni
giorno litighiamo per qualunque cosa e mi rendo conto che sono quasi
sempre io a iniziare. Non ricordo quando è stato l'ultimo
giorno in cui abbiamo avuto un pasto normale, senza parolacce, insulti,
commenti sul mio stile di vita, invalidazione dei miei pensieri. Li
odio, Evan, li odio da morire. Mi hanno distrutto giorno dopo giorno e
recitano la parte degli sfortunati. Ho detto loro che volevo farla
finita e Larry mi ha riso in faccia. "Sei solo un bambino viziato" ha
detto. "Buttati giù da un palazzo, fallo adesso. Vediamo se
ne hai il coraggio o se vuoi solo attirare l'attenzione." Mi sento
perso in questa gabbia di matti che si spaccia per mia famiglia, mi
sento abbandonato dalle persone che dicono di amarmi di più
al mondo. Sai, Evan, sono loro a essere rotti, forse più di
me, a vedere sempre il peggio, a ignorare la complessità
della psiche umana. "Sì, mamma, la smetterò di
fumare erba" toglimi anche l'ultimo dei miei conforti già
che ci sei. Evan, per loro sono solo un drogato e niente di
più. Credono che la marijuana sia il problema non hanno
capito che è la soluzione. Sono loro il problema, loro, Zoe,
quei deficienti dei nostri compagni di scuola, l'intero mondo universo
tranne te e lui."
Cancello immediatamente le ultime due parole, ma Evan ormai ha
già letto tutto.
"Lui?" mormora con una flebile domanda. "Avevi un ragazzo?"
Non rispondo, non perché non voglia, ma perché
non lo so fare.
"Tocca a te, rispondi" gli dico semplicemente, Evan lo fa.
"Caro Connor Murphy anche a me mancano moltissimo le nostre
conversazioni.
Smettila di fumare droghe..."
Interrompo il digitare di Evan con un sospiro affranto. "Quindi
è così che stanno le cose? Anche per te sono solo
un drogato?!"
"No!" quasi urla Hansen. "Ma il fumo fa danni a lungo andare, Connor.
Un buon amico non vorrebbe che ti cadessero i denti o avessi vuoti di
memoria, vorrebbe sapere che stai bene senza l'uso di sostanze."
Resto in silenzio, colpito, non dico niente, ma credo che questa
sensazione di calore allo stomaco sia nuovamente gratitudine.
"Cerca di fare respiri profondi e vai a fare delle passeggiate o a
correre. Possiamo andarci insieme, possiamo andare a Ellison Park o
dove preferisci. Ti manderò le foto dei più begli
alberi.." lo interrompo di nuovo.
"Ti rendi conto di quanto sia frustrante ricevere immagini degli alberi
per qualcuno che sta cercando di smettere di fumare erba?"
Evan cancella, ma la cosa non migliora.
"Ci arrampicheremo sugli alberi..."
"Perché insisti con gli alberi?!"
"Mi piacciono e mi servono a fini di trama!"
"D'accordo, ma qui si parla di me..."
"Beh un amico può mandare al suo migliore amico qualcosa di
cui non ha alcun interesse, ma l'interesse nascerà
ugualmente perché ti interessa chi te lo ha mandato..."
Hansen ha un punto, come al solito. Annuisco, lascio che prosegua.
"Sarai ossessionato dalle mie conoscenze in botanica.."
"Ora stai tirando un po' la corda..."
"Oh andiamo" mi dice Hansen con un sorriso luminoso in viso. "Gli
alberi sono fighissimi e tutti diversi tra loro. Ci sono le querce, i
salici, i cipressi, gli abeti..." la lista prosegue così a
lungo che mi trovo a sbadigliare.
"Gli alberi ti permettono di respirare e ci puoi costruire le case,
fare la carta..." un'altra lunga lista di perché gli alberi
sono così speciali.
"Gli alberi sono bellissimi" finalmente conclude.
"E tu ne sposerai uno..." commento.
"Non lo so, non penso di poterlo fare" risponde sovrappensiero. Non
posso crederci che lo abbia preso in considerazione per davvero.
"Senti come tu sarai 100% Connor Murphy senza ricami io voglio essere
100% Evan Hasen. Se non ti piaccio pace, ci togliamo di mezzo le e-mail
e puoi anche andare a infestare la casa di qualcun altro."
Ci sono tante cose che vorrei dirgli in questo momento, ma i miei
pensieri vanno dritti a tutte le persone che mi ero ripromesso di
spaventare. Il punto è che mi vede solo Hansen e ho una vaga
idea del motivo quindi tutto questo discorso è inutile e
poi...
"Tu non vuoi fingere per piacermi, è proprio per questo che
mi piaci" gli dico.
"E tu sei gentile..." mormora. Lo trovo così inappropriato
che mi viene da ridere istericamente.
"Gentile io? Sono aggressivo, sono impertinente e offensivo, oltre che
volgare..." Hansen mi interrompe.
"Stai facendo del tuo meglio, tutto il tuo meglio per aiutarmi..."
"E tu stai facendo lo stesso per me..." gli dico.
Evan sorride, io credo di fargli da specchio, non mi è
chiarissimo.
"Sono fiero di te, continua così. Le cose cambieranno..."
mormora. Dopo di che scrive testuali parole nella mail.
Nessuno aveva mai espresso orgoglio per me, nessuno mi aveva mai
riconosciuto i miei sforzi o rassicurato che non sarebbe stata per
sempre la stessa merda.
"Di cosa sei fiero?" gli domando un po' spaesato, è
destabilizzante conoscere nuovi sentimenti dopo diciassette anni di
vita e cinque giorni di morte.
"Ti stai impegnando, ci stai davvero provando a buttare tutto fuori, a
raccontarti per chi sei veramente. Non è da tutti, io nuoto
un mare di bugie ogni giorno e per questo io ti ammiro. Senza contare
che ti ho visto per tutti questi anni, ti comportavi come se non
aspettassi altro che ti pugnalassero e tenevi un coltello ben nascosto
dietro la schiena per difenderti. A undici anni indossavi solo vestiti
con le borchie perché ti facevano sentire al sicuro,
perché così potevi allontanare tutti a
prescindere dalle intenzioni, come un porcospino che sentendosi
minacciato caccia fuori gli aculei. Io ti vedo Connor, io ti ho sempre
visto."
Le parole di Hansen mi spiazzano, la gola brucia e si stringe, ma
è una sensazione che non definirei esattamente spiacevole.
"C-Con questo non intendo dire che t-ti spiavo o c-chissà
che, ma-ma quando sei sempre-sempre s-solo osservi gli altri... hai
molto tempo per farlo" subito si giustifica andando in panico.
Gli sorrido, mi viene naturale sfiorargli il braccio ingessato. "Anche
io ti vedo e ti ho sempre visto, ma sembrava che tu non volessi, non
volessi essere visto. Il primo giorno, insomma il giorno in cui sono
morto, ti ho salutato al cancello e tu non mi hai neanche guardato. Mi
sono sentito invisibile ancora una volta."
Hansen sgrana gli occhi, abbassa lo sguardo. "T-Tu d-davvero? I-Io...
io... Io...mi sento sempre come se tra me e gli altri ci fosse una...un
vetro... insomma qualcosa che ci divide...che non mi permette di
entrare davvero in connessione. Guardo il mondo da una finestra, ma non
sono in casa, sono fuori mentre tutti dentro hanno qualcuno... io sono
solo e guardo le cene con i parenti, guardo i videogiochi con gli amici
e nessuno mai mi saluta...cioè... almeno credevo prima che
tu dicessi che... lo hai fatto..."
Non so che dire, è più profondo di dove voglio
arrivare, non ho gli strumenti per stargli accanto, non li ho per
sostenere me stesso.
"Lol same" dico senza ritegno, è l'unica cosa sensata che mi
viene da dire.
"No, Connor, tu allontani le persone, le persone da me si allontanano
senza che io faccia niente, c'è una differenza" mi spiega.
"Hansen è la stessa cosa. Il nostro cervello è un
magnete ed emana delle onde che rispecchiano ciò che
sentiamo. La gente si allontana da te perché tu ne hai
paura, in altre parole perché sei tu ad allontanarla."
Evan sbatte le palpebre, credo di avergli aperto un mondo che non
è pronto a esplorare.
"Tutto ciò che ci vuole è un po' di invenzione,
è facile se ci metti determinazione. Credici di
più, puoi diventare chi vuoi tu, amico, mio. In fede io"
digita in risposta alle mie parole.
"Ah, ora che ci penso, tutte le mail devono anche finire con "in fede
io" " mi dice.
"Ma è proprio necessario?" chiedo.
"È fondamentale" stabilisce Evan.
"Ed è fondamentale anche che siano in rima?"
"No, questa è una mia vecchia abitudine... correggo."
Qualche ora dopo abbiamo sì e no scritto dodici mail, botta
e risposta, credo che bastino.
"Il nostro rapporto va oltre il legame che di solito c'è tra
i nostri compagni" vedo Evan digitare. Ora che ci penso sto davvero
facendo scrivere queste lettere a un ragazzo con un braccio ingessato
guardandolo e prendendomi la tastiera solo quando è il mio
turno?!
"Scrivo io" gli dico senza ascoltare obiezioni.
"Allora inserisci questo 'però non siamo gay',
così Larry non penserà più che tra noi
ci fosse di più di una bella amicizia" mi dice.
Questo ragazzo è uno spasso. "Hansen, innanzitutto parla per
te e poi questa è una frase che solo un ragazzo omosessuale
che vuole nascondere una relazione direbbe. Quindi no, passi che
eravamo veri amici e quindi il nostro non era un rapporto di carta
pesta come quei deficienti a scuola che fanno tanto gli amici e poi
dicono le peggiori cattiverie alle spalle, ma questa specifica ci mette
nella merda."
" 'Però non sono gay'?" azzarda Hansen fiducioso.
"È anche peggio. Ti fa sembrare interessato a me. Che
bisogno hai di specificare che non sei gay quando stai solo esprimendo
il bene che provi per un amico? Nessuno, a meno che tu non voglia
scoparti tale amico."
Evan è bordeaux, si prende la tastiera e mi allontana appena.
"La nostra è un'amicizia sincera di cui sono davvero grato.
Però comunque l'unico uomo che amo è mio padre.."
"Ancora?! Hansen, se continui così penserò che
sei nell'armadio. Non c'è bisogno di specificare. Non
è una cosa gay tenerci a un amico, non è gay
neanche abbracciarlo, volere solo il suo bene e dirglielo..."
Evan annuisce, cancella di nuovo.
È stato un parto, ma abbiamo del materiale, del materiale
reale.
Ultimo click sul tasto per mettere un punto alla lettera e ci diamo il
cinque e poi un pugno. Siamo entrambi soddisfatti e credo che abbiamo
creato un nuovo saluto.
"È stato divertente" mormora Hansen stampando le mail.
Annuisco, è vero, è stato strano, è
stato intenso, ma divertente.
"I tuoi non sanno che sei gay, vero? Non pensi che sia il momento
giusto per dirlo?" mi domanda.
"Così mio padre potrà cantare 'I love my dead gay
son' tratto dal musical 'Heathers'?"
Evan ride, una risata cristallina e pura. "No, così sapranno
qualcosa di importante su di te."
"E i tuoi lo sanno che sei gay, Hansen?" gli domando per provocarlo.
"No, c-cioè non sono gay... quindi non lo sanno
perché non è vero..."
"Mmm sounds fake, ma per il momento fingerò di crederti" gli
dico dandogli una gomitata affettuosa.
È strano, è bello, è ciò
che ho sempre voluto, è simile e al contempo completamente
diverso da qualcosa che ho conosciuto in vita.
"Connor, io non so cosa sia un amico, non ne ho mai avuto uno, ma credo
che quello che c'è tra di noi adesso è essere
amici" mi dice.
Gli sorrido e gli dò un'altra gomitata. "Ripensandoci,
Hansen anche il tuo modo di esprimere di tenerci per un amico
è piuttosto gay."
"Ultima offerta, ti faccio quelle mail per 100 dollari" Jared ha
approcciato Evan a mensa.
"Ho già risolto."
"Ed è proprio questo che mi preoccupa. Fammele vedere."
Evan ha tirato fuori una serie di fogli dallo zaino e li ha passati a
Jared. Non l'ho fermato perché penso sia un buon modo per
dimostrare a quello stronzo di Kleinman che Evan non ha bisogno delle
sue cazzate.
"Beh devo ammettere che te la sei cavata piuttosto bene. Ti ho
sottovalutato" ha detto Jared dopo aver letto sì e no tre
righi.
"Tu e Connor avete proprio un bel rapporto..."
"Vero?" ha chiesto Evan pieno di entusiasmo.
Jared ha sgranato gli occhi, lo ha guardato come se stesse delirando.
"Ti ricordi ancora che è tutto finto? Sembra quasi tu abbia
una cotta di cui non sapevo niente per Connor Murphy. È
così, Evan?"
"N-No, che dici?!"
"Perché mi sembra che sei passato dalla sorella al fratello
nel giro di pochi giorni e sono piuttosto sicuro che sia necrofilia.
Chi segue? La madre?"
Evan ha sospirato, so che voleva gestirla da solo, ma in quel momento
un pugno in faccia a Kleinman glielo avrei dato più che
volentieri.
"Piuttosto, mi faresti un favore?"
"Va bene, ma ti costerà almeno 200 dollari."
"Te ne posso dare al massimo 20 o andare da solo a casa di Connor.
Ricordavo che volessi vedere dove abita e come era la sua casa, ma
forse mi sto sbagliando. Vero, Jared?"
Un moto di orgoglio mi ha travolto, credo che la mia influenza gli stia
facendo bene.
"Hai ragione..." infatti ha risposto Kleinman disorientato.
"Quindi non avrai alcun problema a portarmi dai Murphy in macchina."
E così siamo andati a casa mia, Evan ha messo le lettere in
delle buste e poi ha infilato queste nella cassetta della posta sul
viale davanti al mio giardino.
'La corrispondenza di Evan Hansen e Connor Murphy' ha scritto sul retro
delle buste. Avrei voluto fare delle battute, ma è successa
una cosa strana.
Siamo rientrati in macchina e Jared ha chiesto a Evan di battergli il
pugno, Hansen non lo ha fatto ha invece detto "accosta!"
"Perché?" ha domandato Jared. Ci eravamo messi in marcia
sì e no da dieci minuti.
"Sto per vomitare" ha detto Evan. Poi Jared ha effettivamente fermato
la macchina e Hansen ha effettivamente cacciato fuori anche l'anima.
Istintivamente gli ho accarezzato la schiena durante tutto il processo.
Mi sono spaventato tantissimo, ma non riuscivo a chiedergli che cosa
gli stesse succedendo.
Jared lo ha riaccompagnato a casa e lo ha persino aiutato a rientrare e
sedersi sul divano.
"Ti prendo un po' d'acqua" ha detto sparendo in cucina.
Siamo rimasti soli, mi sono seduto vicino a lui e gli ho accarezzato
una spalla. "Che hai?" gli ho chiesto.
Evan mi ha guardato solo un instante, poi entrambi ci siamo ricordati
che non poteva parlarmi ad alta voce. 'Non lo so, questa situazione
è stressante. Ho paura che i tuoi capiranno che sto mentendo
e mi odieranno e poi tutta la scuola saprà che io mento e
non entrerò mai al college con questa reputazione, ma
soprattutto nessuno vorrà più assumermi a Ellison
Park...'
Lo interrompo prima che la cosa degeneri. "Non stai mentendo,
è solo una verità post datata e in ogni caso le
bugie le diciamo tutti. Non sei speciale, Hansen."
"Ma almeno è legale?" mi chiede a voce alta.
"Evan, non stai compiendo nessun crimine. La gente inventa
continuamente una diversa versione dei fatti e ne esce pulita,
c'è chi mette in giro voci false e non ha alcun problema.
Rilassati, la legge ha di meglio a cui pensare delle nostre e-mail."
"Hai ragione" risponde.
"Con chi stai parlando?" gli chiede Jared dandogli il bicchiere d'acqua
e aiutandolo persino a bere.
"C-Con nessuno" balbetta Hansen incerto.
"Comunque per sicurezza io resto qui finché non torna tua
madre."
"Ma..."
"Niente "ma", Evan. Hai bisogno di rimetterti e io non ho niente da
fare stasera."
Evan sorride e forse Kleinman non è lo stronzo bastardo
idiota maledetto coglione che credevo, non così tanto.
"E poi, Evan, se veramente ti piacesse Connor e per tutto questo tempo
mi avessi parlato di Zoe per nascondermi che sei gay non ci sarebbe
niente di male, sai?"
Ridacchio appena, anche Evan lo fa. "Non sono gay, ma io e Connor...
noi eravamo qualcosa insieme..."
Sospiro, vorrei dare la testa nel muro. Hansen continua a dire cose
incredibilmente equivoche.
"Mi dispiace... non immaginavo avessi perso il tuo ragazzo... ora mi
sento quasi in colpa per aver venduto per la scuola spille e fasce con
la sua faccia solo per fare soldi, ma hey non sono stato l'unico."
"No Jared, io e Connor non eravamo... noi eravamo... intendo che...
Connor mi capiva e io capivo lui però non ce lo siamo mai
detto, non quando era ancora vivo."
Jared mette un braccio attorno alle spalle di Evan e lo stringe a
sé. "Hey, il tuo segreto è al sicuro, non lo
userò per farci soldi."
Non lo so provo emozioni contrastanti e sono sicuro che le provi anche
Evan, ma in questo momento fa l'unica cosa di cui sente il bisogno si
stringe a Jared.
La mia famiglia è riunita in soggiorno. Ho lasciato questa
casa per un motivo, vero? Beh ho scoperto che non riesco a starci
lontano, non per troppo tempo.
Larry ha in mano un bicchiere di scotch, Cynthia e Zoe stanno leggendo
lo stesso insieme di fogli. Le nostre lettere.
"Non mi ero mai resa conto che Connor fosse così interessato
agli alberi" dice Cynthia.
Ovviamente, perché Hansen ha spinto sull'acceleratore della
sua passione e l'ha fatta passare anche per mia.
"Stanno parlando di erba" dice Zoe.
"Dove?" domanda Cynthia.
"Ogni volta che si nominano gli alberi?" incalza Zoe con un tono
tagliente.
"Oh" sospira Cynthia. "Oh..." lo fa di nuovo con più
delusione nel tono. "Devi leggerle, Larry."
Mio padre annuisce, sorseggia il suo Laphroaig.
Ho provato la collezione di Larry, non mi piace, del resto l'alcol
è sempre stato l'ultimo dei metodi con cui gradivo alterare
la mia coscienza.
"Sembra, solo, non so, diverso" dice Cynthia. " 'Ho adorato quel
documentario di cui mi hai parlato.' 'Sono entusiasta di fare lunghe
passeggiate con te quest'estate.' 'Ho riflettuto seriamente su quello
che hai detto, la mia famiglia è importante.' 'Caro Evan
Hansen, sei il mio uomo!' voglio dire... Connor non si esprimeva
così, non con noi..."
Larry si avvicina, ma non guarda davvero i fogli.
"Connor guardava documentari? Faceva passeggiate?"
Cynthia si asciuga una lacrima solitaria. "Connor ci riteneva
importanti?"
È più o meno così che immaginavo la
loro reazione quando avrebbero letto le mie parole, quelle vere, quelle
mai ascoltate.
"E leggeva libri?" domanda Larry incredulo.
"E suonava la tua chitarra quando non eri in casa?" chiede Cynthia
guardando Zoe la quale alza semplicemente le spalle. "Mi vergogno, non
lo conoscevamo affatto!"
"Puoi biasimarci? In nostra presenza era una statua di sale che apriva
bocca solo per provocare!"
"Magari non parlava perché pensava non ce ne fregasse
niente, Larry. Non hai letto cosa ha scritto al suo amico? 'Non mi
ascoltano, si comportano come se non esistessi.' Lo abbiamo ucciso noi
Connor..."
Cynthia singhiozza, l'ultima parola le esce come un urlo, Larry si
allontana, Zoe continua a rimanere in silenzio.
Fa male, fa malissimo, è una presa di coscienza importante,
ma al contempo sembra semplicemente sbagliato. Mi sono ucciso da solo,
forse è vero che ero troppo problematico e che loro hanno
fatto tutto ciò che era in loro potere per salvarmi.
" 'La vita potrebbe sorridere adesso' 'Sono pronto a cambiare grazie a
te'" continua a leggere Cynthia tra le lacrime.
Mia madre si toglie gli occhiali da lettura, quelli con cui non avrebbe
mai voluto essere fotografata.
"Non avevo idea di quanto significassero per lui i nostri picnic al
meleto" mormora.
Il meleto. Prima della storia di Hansen quel posto non mi aveva
sfiorato l'anticamera del cervello per anni. Concentrandomi
attentamente devo dire che non mi viene in mente nulla di terribile.
Nessuna rissa né episodi traumatici. Di solito è
questo che trovo quando scavo troppo a fondo nei ricordi, le cose
peggiori saltano fuori per prime. Per il frutteto non esiste niente del
genere, solo tranquillità. Ci comportavamo come una famiglia
normale. Mia madre preparava il pranzo, Zoe e io rotolavamo
giù per la collina accidentata, mio padre lasciava a casa il
lavoro e ci prestava attenzione.
Perché non poteva accadere più spesso?
Perché non potevamo portarci quella sensazione a casa?
Perché non era questa l'atmosfera di tutti i giorni?
"Qui dice che quando il meleto ha chiuso, si è sentito come
se la sua infanzia fosse finita. Se ci pensi ha senso... questo
è il periodo in cui il suo comportamento ha iniziato a
cambiare."
No, mamma. Penso che hai letto male il che conferma la mia tesi:
comunicazione non significa comprensione ed è proprio questo
il motivo per cui pensavo fosse meglio se Hansen continuasse a
inventare un Connor perfetto da sbattere in faccia ai miei come a dire
"Hey stronzi, guardate che vostro figlio con altre persone era
perfettamente normale e anzi persino piacevole."
Se sono le risposte che vuoi, mamma, stai scavando nel posto sbagliato.
Questa è una cosa di mia madre. Vedete, mio padre
è convinto che ci sia una sola risposta giusta a ogni
domanda, ma mia madre continuerà a cercarla per sempre.
Proverà di tutto e di più. Sembra nobile e forse
lo è, ma anche questo approccio può iniziare a
sembrare una tortura soprattutto quando sei il suo topo da laboratorio.
"Non ce la faccio" dice Zoe, lascia cadere i fogli e si alza dal
divano. Larry la intercetta prima che possa lasciare la stanza.
"Come è andata a scuola?" chiede non avendo niente di meglio
nel repertorio.
"Alla grande" risponde Zoe ironica. "All'improvviso tutti vogliono
essere miei amici. Sono la sorella del ragazzo morto."
Il ragazzo morto. Io.
"Sono certa che Mr. Contrell è felice di riaverti a fare
pratica" dice mia madre.
"Lo apprezzo davvero, ma non c'è bisogno di fingere..."
mormora la mia sorellina.
"Fingere?" chiedono Larry e Cynthia all'unisono.
"Solo perché Connor non è qui a cercare di
sfondare la mia porta, urlando a squarciagola che mi
ucciderà senza motivo, non significa che all'improvviso
siamo diventati la fottuta famiglia del Mulino bianco" urla Zoe.
Provo emozioni contrastanti, ma uno dei miei pensieri più
ricorrenti si fa avanti prepotente.
Forse non sono io a contaminare lo stagno di famiglia, ma viceversa.
Zoe lascia la stanza, ricorda una pioggerella estiva, non una tempesta.
Se fossi stato io probabilmente avrei rotto qualcosa e poi mi sarei
sentito in colpa, ma non abbastanza da scusarmi o non farlo mai
più.
"Starà bene" dice mia madre. "Stiamo tutti piangendo Connor
a modo proprio."
Larry lascia scivolare lo scotch lungo la gola, mia madre torna alle
e-mail.
"Mi sembra di vedere un nuovo lato di lui. Sembra molto
più leggero qui. Non ricordo l'ultima volta che l'ho sentito
ridere" commenta Cynthia.
Cara mamma, rido molto, Hansen è uno spasso. È un
ragazzo veramente strano, ma non in senso negativo, quello strano bello
che una volta che lo hai scoperto sembra non ce ne sia mai abbastanza.
Puoi ridere o puoi piangere. Io le faccio un sacco entrambe. Vedete,
mia madre ha avuto un assaggio del me crudo e non
è riuscita a sopportarlo. Così tanta paura nei
suoi occhi. C'era anche l'amore, l'ho visto, ma la paura...
è ciò che mi è rimasto. Cogli quello
sguardo e non ti viene più da aprirti. Blocchi la porta in
un istante.
"Vado a letto" annuncia Larry.
"Vieni a sederti con me" mormora Cynthia.
"Sono esausto" risponde mio padre e veramente posso testimoniare che lo
è, ogni cosa in lui mi convince. Non l'ho mai visto
così, sembra stia per piangere, le spalle curve, il viso
stanco.
"Sai Larry, a un certo punto dovrai iniziare..."
"Non stasera. Per favore" supplica Larry prima di andarsene anche lui.
Suppongo che questo sia ciò che mi spetta per aver costruito
le mie mura così alte. La mia famiglia non ha mai saputo
niente della mia vita e ora che sa più di qualcosa non sa
come prenderla.
Occasionalmente facevo riferimento a un amico. "Esco con amico" "l'ho
preso da un amico", ma non penso ci abbiano mai creduto specialmente
dal momento che non ho mai menzionato un nome. Suppongo che adesso
credano che fosse Evan, ma non è così, c'era lui,
lui era il mio amico.
Ancora non riesco a pronunciare il suo nome, ma da giorni mi domando se
se ne sia accorto. Se lo sa che sono morto. Non mi ha risposto, ora non
potrò mai più rispondergli.
A tal proposito credo che i miei genitori abbiano preso il mio
cellulare e aperto le mie conversazioni. Se è
così che stanno le cose allora hanno visto tutto e Hansen
non deve neanche più preoccuparsi di aiutarmi a fare coming
out. Una parte di me vorrebbe tanto che avessero letto ogni parola,
un'altra si sente privata dell'unico luogo sicuro che abbia mai avuto
in vita.
Fino a che punto vi ho delusi?
Cynthia continua a leggere ogni singola parola, più e
più volte. "Menomale che c'era Evan, Connor. Non eri solo
come pensavo..."
Fa male da morire perché non c'era Evan, c'era lui e adesso
non ci sarà mai più, un po' come me. Darei
qualsiasi cosa per potergli rivolgere ancora anche solo una volta la
parola, per potergli spiegare e scusarmi, perché a lui le
devo delle scuse.
"È un ottimo amico, chissà come sta soffrendo,
poverino..." sussurra Cynthia, stringe le lettere al petto e piange.
"Connor, bambino mio, io sento la tua voce e ti sento vicino, in queste
parole ti ho finalmente trovato. E ora che so che sei ancora qui con me
non penso che canterò nessun requiem."
Per un istante, un istante di pura follia mi avvicino a lei e le
accarezzo il viso, la guardo dolcemente negli occhi per quanto me lo
consenta.
"Scusa mamma..." mormoro piangendo a mia volta. Le lacrime mi sferzano
il viso, il vento si agita fuori alla finestra. Cynthia sorride per un
solo istante e si porta le dita lì dove le ho poggiato la
mano.
"Quando eri piccolo ti addormentavi con una delle tue manine sulla mia
guancia sinistra" mormora.
Resto qui per un po', accanto alla mia mamma, non a Cynthia, non
più
|
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Capitolo 6 *** No requiem ***
L'ho abbracciata tanto, per quelli che mi sono sembrati minuti
interminabili e per un istante mi è persino sembrato che lei
potesse sentirmi.
Poi la mia mamma è salita al piano di sopra ed è
entrata nella mia stanza, si è seduta sul letto e ha
continuato a leggere le lettere, Larry è passato davanti
alla porta aperta camminando per il corridoio.
"Larry, vieni qui, vieni a conoscere Connor" ha detto mia madre
facendogli cenno di sedersi vicino a lei.
Larry ha sospirato, si è messo le mani nei capelli, ha fatto
un passo dentro la mia stanza e poi è uscito fuori
augurandole buonanotte.
"Possibile tu non riesca a stare in questa stanza per più di
cinque secondi?!" ha urlato mia madre.
"Sì, Cynthia! Questa stanza è vuota, Connor
è morto... devo dirti altro?" ha risposto Larry con lo
stesso tono carico di dolore.
Mia madre è rimasta in silenzio e si è limitata a
stringersi una mano in petto.
"Lascio la luce accesa in corridoio..." ha detto Larry allontanandosi.
Ho deciso di seguirlo ed è sceso di nuovo al piano di sotto
diversamente da quanto dichiarato.
Ha tenuto lo sguardo basso finché non siamo passati davanti
al grande specchio in salotto. Non so cosa abbia visto, forse se
stesso, tutti i suoi errori, forse me, fatto sta che è
scoppiato a piangere come non lo avevo mai visto prima.
"Ti ho dato il mondo e tu lo hai buttato lasciandoti dietro solo
frantumi... è tutto perso e non ho niente da dire. Non posso
cantarti un requiem... il mio mondo si è oscurato..." ha
mormorato.
Per la prima volta ho desiderato abbracciare Larry, mettere da parte il
fatto che non abbia capito e stringerlo semplicemente perché
è mio padre e sta soffrendo, ma così come mi sono
avvicinato ha fatto un gesto con la mano come se volesse scacciare una
mosca proprio attragerso di me e ho sentito ancora una volta che Larry
non mi accoglie, non mi vuole.
Lascio Larry e vado da Zoe, è lì che sarei voluto
andare dall'inizio, nella sua stanzetta a consolare la mia sorellina.
La trovo a strimpellare la sua chitarra elettrica scollegata. Le sue
dita eleganti accarezzano le corde facendole vibrare e conseguentemente
suonare.
"Perché dovrei fingere? Ricordandoti attraverso un dolore
usato..." canta con una voce sottile e melodiosa.
"Figlio affettuoso e un ottimo amico..." mormora con un tono carico di
ironia.
"Oh... non vi viene da piangere?"
Mi ci vuole qualche istante per rendermi conto che Zoe mi ha scritto
una canzone, queste parole raccontano di me, di noi, di come eravamo,
della sua versione dei fatti che non è falsa, ma
è incompleta.
Le ho urlato contro un paio di volte. Le ho sbattuto la porta in
faccia. Ho bussato come un pazzo a quella porta. Ho minacciato di
ucciderla, però lei ci crede davvero? Non le avrei mai fatto
del male. È come in quella citazione: "pieno di rumore e
furia che non significa nulla". Questo ero io. Okay no, quello era
Shakespeare, ma solo perché non ho consegnato il mio saggio
su Macbeth non significa che non ho prestato attenzione. Anzi forse ho
prestato troppa attenzione.
Ora Zoe è sul tappeto, poggia la schiena contro il letto. Il
suo strimpellare si ferma, adagia il plettro in bocca e scarabocchia su
un taccuino. Non riesco a ricordare l'ultima volta che sono
stato nella sua camera da letto: eravamo come vicini di casa che hanno
smesso di salutarsi. Pensavo fosse lei quella ordinata, ma qui dentro
è il caos: vestiti sparsi, foto sfocate scattate con
un'istantanea, un mucchio di corde di chitarra rotte, un vecchio toast
su un piatto accanto a un coltello sporco.
Lady Macbeth è un altro famoso suicidio. C'è una
sua battuta che ho sottolineato. Qualcosa su come non si ottiene una
soddisfazione duratura nel causare distruzione. Alla fine, l'unica vera
soluzione è distruggere se stessi.
Un nuovo suono, Zoe ha ripreso a cantare dolcemente.
"Potrei rannicchiarmi e nascondermi in camera... qui nel mio letto
piangendo fino a domani... potrei cedere alla tristezza... ma dimmi,
dimmi per cosa?"
Si ferma di nuovo, scribacchia sul taccuino il testo di questa canzone
e canta a cappella. Avvicina la chitarra al petto come faceva con
quell'orso lacerato che portava in giro quando eravamo passeggeri sui
sedili posteriori della stessa corsa, quando condividevamo i letti
durante le vacanze. Prima che Larry avesse una carta intestata ci
ammucchiavamo tutti in una stanza d'albergo, davamo da mangiare ai
gatti sotto il nostro terrazzo. Questo era ciò che succedeva
nella nostra vecchia casa, Cynthia non voleva che li facessimo entrare.
"Portano malattie" diceva.
Ci scambiavamo caramelle ad Halloween, a Zoe piaceva la cioccolata, a
me solo le cose aspre. La mia sorellina voleva fare tutto
ciò che facevo io: giocare con le mie macchinine e gli
X-Men, fingere che fosse un soldato nel mio esercito. A un certo punto
però ha smesso di combattere per me.
Dove è finita la sua lealtà? L'altro giorno
quando io ed Evan abbiamo litigato è andata a vedere se
stava bene. Se Evan stava bene. E io? Chi stava verificando se io
stessi bene?
"Perché dovrei avere il cuore pesante? Perché
dovrei iniziare a cadere a pezzi? Perché dovrei spezzarmi
per...te?"
Ora che la sto ascoltando, non c'è modo di non sentire.
Enuncia ogni sillaba richiamando la mia attenzione. Un momento privato
inconsapevolmente condiviso. C'è così tanto
dolore nella sua voce e e ancora di più nelle sue parole.
"Perché dovrei interpretare la ragazza a lutto e mentire?
Dicendo che mi manchi e che il mio mondo è diventato buio
senza la tua luce. Non canterò un requiem stanotte."
Dunque per la prima volta nella storia della famiglia Murphy sono tutti
d'accordo e l'argomento è "non canteremo un requiem per
Connor." Spiacente di informarti Zoe, che lo stai già
facendo e ci stai riuscendo benissimo. Questa roba spacca, sorella.
Dovresti proporla a qualche casa discografica e mi azzarderei anche a
crederci se non fosse che mi stai sbattendo in faccia che ero un
fratello di merda e non è esattamente qualcosa che voglio
sentire risuonare alla radio.
"Sto piangendo di nuovo nella mia stanza. Perché non mi hai
permesso di essere tua amica? Sei fuori controllo, non fai che
mentire... mi hai tagliata fuori..."
Le lacrime le bagnano il viso e io mi chino di fronte a lei per
asciugarle, ci riesco e ne sento l'umidità sul retro del mio
indice, ma lei non sente me.
"Perché quando il cattivo muore il regno non si dispera...
nessuno accende una candela per ricordarlo... nessuno lo piange...
vanno tutti a dormire...quindi non mi dire che..."
Zoe estrae dalla tasca dei jeans la lettera, quella lettera, le mie
'ultime parole', non avevo idea la tenesse lei. Legge e rilegge,
stringe la carta in un pugno.
"Non avevo ragione..." conclude la frase.
"Non dirmi che non era tutto bianco e nero. Dopo tutto ciò
che mi hai fatto passare non dirmi che non è vero, che tu
non eri il MOSTRO...che conoscevo..." Zoe canta con una potenza
crescente, arriva al culmine con la parola che mi ha detto
più spesso nella sua vita e poi crolla con una voce rotta e
silenziosa sulle ultime parole.
Si alza dal pavimento, esce in corridoio, prende una delle nostre foto
scattate al frutteto, una di quelle che Cynthia ha voluto esporre in
corridoio. Ci ritrae abbracciati, io ho un cerotto sulla guancia
sinistra e Zoe mi dà un bacio sulla guancia destra.
Avrà avuto sei anni in questa foto, ma non ne sono sicuro,
il punto è che noi eravamo questo. Come abbiamo potuto
smettere?
La vedo baciare la nostra foto, stringerla al petto e poi scoppiare in
un pianto che non sa frenare con singhiozzi e urla. Larry e Cynthia
accorrono, si stringono attorno a lei, mi inserisco anche io
nell'abbraccio.
Finalmente siamo insieme.
"Continuo a vedere Connor nella bara, con il sangue alla bocca e la
pelle ingrigita... non ricordo più come era mio fratello..."
mormora.
Larry la stringe più forte, Cynthia le accarezza i capelli.
"Dobbiamo essere forti e cercare di ricordarlo quando aveva quel suo
bel colorito, pallido, ma vivo" sussurra.
"Vi voglio bene" riesco finalmente a dire e dopo qualche minuto mi
allontano, lasciandoli nell'abbraccio di cui hanno sempre avuto bisogno.
Torno da Evan, lo trovo nel suo letto, non dorme, sta fissando il
soffitto, solo questo.
"Ti sono mancato?" gli domando forzando un sorriso sulle labbra.
"Connor!" esclama lui, sembra decisamente felice di vedermi.
Probabilmente è mancato più lui a me specialmente
perché nessun altro mi può sentire e il silenzio
è spaventoso.
"Quel deficiente di Kleinman si è preso cura di te?" gli
domando. Mi risponde annuendo.
"E hai cenato?"
Annuisce di nuovo.
"Tua madre è in casa?"
L'ennesimo cenno del capo.
"Puoi sussurrare o parlarmi col pensiero, non devi preoccuparti."
Evan lo fa di nuovo, annuire. "Ero preoccupato per te... sei
scomparso... ho paura che te ne andrai anche tu..."
Lo guardo, mi metto seduto su un lato del suo letto, accenno un sorriso
che non raggiunge gli occhi.
"Aspetta, hai pianto? Dove sei stato? Cosa è successo?"
Gli è bastato vedermi per dimenticarsi di se stesso e
concentrarsi sulla mia sofferenza.
"Dai miei, da Zoe... ora sanno la verità ed è
grazie a te."
Prima che io possa dire qualsiasi altra cosa Evan mi abbraccia, mi
stringe talmente forte che mi domando se non stia cercando di spezzarmi
a metà.
"È la cosa giusta, Connor, abbiamo fatto la cosa giusta"
mormora.
Devo ammetterlo, si sta bene tra queste braccia, si sta bene con questo
calore, con il profumo di Evan che mi solletica le narici e le sue
labbra che quasi sfiorano il mio collo.
"Come hanno reagito?" chiede.
"Hanno bisogno di tempo... un po' come me" rispondo.
"Tu invece? Stai meglio?"
Evan annuisce, penso che perderò la testa se lo
farà ancora nei prossimi minuti. "Ora che sei tornato
sì... continuo a sentirmi in colpa perché stiamo
mentendo ai tuoi..." mormora.
"Evan, non devi" gli dico con sicurezza. "Le nostre bugie li stanno
unendo, la verità non avrebbe fatto altrettanto e penso sia
questo il punto."
Evan si allontana appena, mi guarda negli occhi, mi asciuga le lacrime.
"Vuoi dormire con me stasera?" mi domanda.
È buffo perché il suo tono mi ricorda quello dei
miei quando alcune notti mi svegliavo in preda al panico a causa degli
incubi e loro mi chiedevano se volessi entrare nel lettone e quello
stesso sembrava un posto così sicuro nonostante ci fossero
dentro i miei aguzzini.
"Io non dormo, Hansen" gli ripeto per l'ennesima volta.
"Non è questo che intendevo e lo sai... volevo solo dirti
che io ci sono e questo è tutto ciò che posso
offrirti..."
Ci deve essere una ragione per cui sto singhiozzando tra le sue
braccia, ma non ho voglia di concentrarmici.
Siamo a scuola, Evan ha appena ricevuto i risultati di un test per il
quale non aveva studiato manco per sbaglio e per sua fortuna era solo
autovalutativo, lo stringe ancora in mano mentre entriamo in mensa.
'Non eri parte del mio quotidiano, le nostre strade non si erano mai
davvero incrociate. Come me vivevi solo nello sfondo e se ci siamo
incontrati a metà strada in questa vita da comparse io non
me ne sono mai reso conto. Mi fa rabbia che la tua morte ci abbia
uniti, io... volevo un amico vivo...' mi comunica Hansen. Le sue parole
mi feriscono in una certa misura, ma ci leggo tutto l'affetto di cui
sono riempite.
"È questo l'incipit del tuo libro?" cerco di sdrammatizzare.
'Dico sul serio, Connor. Hai una vaga idea di quanto faccia male tutto
questo? Mi distrugge sapere che sei morto e anche se quando mi
relaziono con te quasi me ne dimentico di certo non posso raccontare a
nessuno della nostra amicizia...' risponde.
Sospiro, svolazzo dietro la sua testa, c'è la fila per la
mensa quindi il minimo che posso fare è fargli sapere in
anticipo le opzioni.
"Porridge e pollo arrosto, per contorno spinaci e fagiolini" dico.
Evan alza lo sguardo, mi sorride. "Di cosa hai voglia?" chiede a bassa
voce.
"Porridge e spinaci" rispondo.
Evan ridacchia. "Prenderò il pollo arrosto e i fagiolini"
dice.
"Perché? È un dispetto?!" chiedo.
"No" risponde Hansen. "È che abbiamo gusti diametralmente
opposti."
Una ragazza si gira verso Hansen, lo squadra da capo a piedi e poi
ride. Vorrei tirarle i capelli perché lo so che sta
deridendo Evan, ma resto buono buono cercando di cambiare discorso
prima che Hansen abbia un attacco di panico per questo evento che per
molti potrebbe essere insignificante, ma per me ed Evan è
più che una condanna a morte.
"Dove è finito il tuo fedele panino con burro di arachidi e
marmellata?" gli domando.
'Stamattina mi sono dimenticato di prepararlo e poi dopo ieri... non
avevo molta fame' risponde col pensiero.
Ci andiamo a sedere, Evan poggia il vassoio sul tavolo in fondo alla
mensa, lancia sguardi furtivi a mia sorella immaginando un mondo in cui
stanno insieme. Abbassa lo sguardo spaventato, forse non vuole che Zoe
lo veda o forse il problema sono io.
'Sì, mi piace tua sorella, scusami' ammette col pensiero.
'Jared adesso è convinto che stavamo insieme e io non riesco
a fargli capire diversamente. Ho deciso di stare al suo gioco
perché finalmente mi sta trattando in maniera decente e non
sospetterà che abbiamo inventato tutto.'
"Lo avevo capito, Evan" gli dico tranquillamente. "Mia sorella
è fantastica, non vedo perché non ci si possa
innamorare di lei."
Forse questa frase mi è uscita più amara di
quanto sperassi.
'Però mi sembra una mancanza di rispetto nei tuoi
confronti...mi sembra di starti tradendo...'
Sospiro, mi seggo di fronte a lui e gli sfiorò il braccio
ingessato con una mano delicatamente. "È mia sorella, non
mia figlia e anche se lo fosse stata la vita è tua,
è sua, siete liberi di provare ciò che provate. E
poi non è che stessimo davvero insieme, Hansen, non mi stai
tradendo."
"Non intendevo in quel senso!" squittisce Hansen attirando gli sguardi
di alcune persone a mensa. Prende il cellulare ridacchiando
istericamente. "M-Madri... a volte ti fanno... perdere il senno" dice.
Sono veramente fiero di lui, prima risponde a Jared, poi riesce a
gestire molto meglio queste situazioni imbarazzanti. Sta facendo molti
progressi!
Ciò nonostante... "Ricordati di comunicarmi col pensiero
quando non puoi parlare ad alta voce" dico.
"Hey Evan" qualcuno si siede su di me, Evan ridacchia appena mentre mi
sposto accanto a lui. "Sam" dice il ragazzo seduto di fronte a noi.
"Siamo compagni a inglese."
Evan mi guarda spaesato, poi guarda l'altro ragazzo altrettanto
spaesato. "Oh giusto. Ciao" dice poco convinto.
Sam riprende a mangiare, Evan fissa la riga tra i suoi capelli. 'Da
dove viene? È sempre stato qui? Fondamentalmente ho
trascorso questi anni di liceo come una nullità. Essere
riconosciuti all'improvviso mi inquieta' mi dice.
Tutti in mensa stanno fissando Hansen e non capisco perché,
ha solo espresso un pensiero ad alta voce, niente di più.
Tuttavia non è un guardare costante, in effetti ho usato il
termine sbagliato, semplicemente l'occhio cade su Hansen, le persone si
girano appositamente per guardarlo anche solo per un istante e poi
tornare a mangiare e non lo fanno tutte insieme.
Lasciamo la mensa, Evan si sente in soggezione, andiamo fuori su una
panchina. Il vassoio resta sul tavolo. Salta fuori che Hansen ce lo
aveva il panino suo solito, il suo SunButter, ma per ragioni a me
sconosciute mi ha mentito.
"Perché Evan? Perché mi hai detto che non ce
l'avevi?" gli chiedo cercando di mostrarmi benevolo.
'Volevo davvero riuscire a mangiare qualcosa di diverso, scusami
Connor.'
"Lo farai stasera" dico senza farmi problemi. "Serata tacos con la tua
mamma, no?"
Evan adesso ha l'acquolina in bocca, i suoi occhi sono vispi e lo
stomaco brontola pronto a ricevere il suo cibo.
La panchina improvvisamente trema e qualcuno si è seduto di
nuovo su di me.
"Oh mio Dio, come stai?" domanda Alana Beck. Non so perché
tutto a un tratto le interessi.
"Sto bene, credo" le risponde Hansen. Lei sussulta come se stesse
soffrendo. "Sei fantastico."
"Io?"
"Jared ha raccontato a tutti di te e Connor, quanto eravate intimi..."
Mi sto incazzando, tanto. Fottuto Kleinman, lo sapevo che eri solo un
bastardo. Io trovo il modo per ammazzarlo se la storia del mio suicidio
viene imputata in qualche modo all'omosessualità, all'unica
cosa mia con cui mi sia mai trovato davvero a mio fottuto agio.
"Che eravate... tipo, migliori amici" conclude Alana.
Ora è Evan a tremare.
"Tutti parlano di quanto sei stato coraggioso questa settimana" dice
Alana, le mani giunte, una suora che consola un paziente costretto a
letto.
"Tutti?" la voce di Hansen si incrina e quasi si spezza. È
per questo che tutti continuano a guardarlo anche da fuori la mensa.
Sam da lontano annuisce come se avesse risposto alla domanda di Evan.
"Voglio dire, chiunque altro nella tua posizione cadrebbe a pezzi" dice
Alana. "Dana P. ieri a pranzo ha pianto così forte che si
è stirata un muscolo in faccia. È dovuta andare
in ospedale".
"Dana P. non è nuova quest'anno? Neanche lo
conosceva Connor" commenta Evan.
"Ecco perché stava piangendo. Perché ora non ne
avrà mai la possibilità" mormora Alana. "Connor
sta unendo la scuola. È pazzesco! Persone con cui non ho mai
parlato prima vogliono parlare con me ora perché sanno
quanto Connor significava per me."
Alzo un sopracciglio perplesso. "Quanto significavo per te?"
Che io ricordi tra me e Alana Beck c'è stato forse un
progetto di inglese quando avevamo dodici anni.
"È molto stimolante. In realtà ho aperto un blog
su di lui, una sorta di pagina commemorativa" prosegue Alana.
Il battito cardiaco di Hansen triplica, un lungo sorso d'acqua aiuta a
malapena. "Non avevo capito che fossi amica di Connor" mormora.
"Non lo eravamo, Hansen. Questa è l'ipocrisia di cui volevi
scrivere su Twitter l'altro giorno" gli dico subito per calmarlo.
"Non amici, davvero. Più come conoscenti, ma conoscenti
stretti" risponde Alana, almeno ha la decenza di dire la
verità.
Il mio battito cardiaco di Hansen rallenta, ma non abbastanza.
"Probabilmente non ti hai mai parlato di me" mormora Alana. "Se devo
essere sincera penso che una parte di me abbia sempre saputo che voi
due eravate amici. Hai fatto davvero un buon lavoro nel nasconderlo, ma
lo sapevo perfettamente." Si avvicina di più a Evan.
"Raccontami."
"Cosa?"
"Raccontami di voi, della vostra amicizia. La foto di Connor che tutti
continuano a postare? Quella in cui l'altro ragazzo
è tagliato fuori. L'altro ragazzo sei tu, vero?"
Alana lo studia e Hansen ha troppa paura anche solo per respirare.
"No" rispondo io al posto di Hansen. Evan è Evan, ma lui era
lui.
Alana sorride "lo sapevo" dice. Anche Sam sorride da lontano e Hansen
è confuso perché non solo non ha detto niente, ma
non ha neanche mosso un muscolo facciale che potesse parlare al suo
posto.
"Aspetta Evan" mormora Alana mentre si alza, Hansen la afferra per una
mano prima che sia troppo tardi.
"No, non sono io" specifica. "Connor aveva un altro amico che mi aveva
menzionato qualche volta, ma non so niente su di lui, credo sia lui."
Potrei quasi piangere, per me è fondamentale che Evan abbia
detto la verità. Istintivamente mi metto alle sue spalle e
gli accarezzo la schiena.
"Grazie" mormoro.
"Non mi piace mentire" dice Evan a bassa voce, Alana si allontana
diretta chissà dove.
Evan toglie le tende, punta alle porte della mensa, Jared gli si para
davanti a braccia aperte. Evan si inserisce per ricevere un abbraccio,
ma Kleinman lo spinge via.
"Che fai?" domanda l'idiota.
"Scusa... pensavo..." mormora Evan.
"Sto cercando di mostrarti una cosa, stronzo" dice Jared indicando suo
petto, lì dove c'è una spilla con la mia faccia
sorridente. Sempre la stessa foto. Jared infila una mano nella tracolla
e ne estrae una spilla identica alla sua, la appunta sulla camicia di
Evan.
"Li vendo a cinque dollari l'uno, ma tu puoi avere la tua per soli
quattro" dice Kleinman.
Evan è ferito, mantiene lo sguardo basso e gli occhi lucidi.
"Fai soldi su... di Connor..." mormora. "Continui..."
"Hey, lo sto facendo per un buon fine adesso. Stiamo raccogliendo dei
soldi per un gruppo di ascolto. Per evitare che altri facciano la fine
del tuo ragazzo."
Ora sia io che Hansen siamo sorpresi. "Stiamo?" domandiamo all'unisono.
"Non hai visto i braccialetti con le iniziali di Connor che Sabrina
Patel ha iniziato a vendere? O le magliette fatte dalla mamma di Matt
Holtzer?"
"No, non posso credere che lo stiano facendo."
"Forse ti sembrerà strano Evan, ma questa scuola ha bisogno
di un vero e proprio gruppo di aiuto e quello che è successo
a Connor ha fatto capire a tutti noi che non si può
più rimandare. Ho inoltrato una richiesta al preside Howard
perché si promuovano iniziative di consapevolezza sulla
salute mentale. Ringraziami dopo."
Io e Hansen siamo sbalorditi, quella testa di cazzo non è
così testa di cazzo come sembra. La testa di cazzo parziale
si allontana e stavolta Evan viene avvicinato dalla mia sorellina.
"Oh ti prego, togliti quella spilla ridicola" mormora Zoe. Mi ha tolto
le parole di bocca.
"Connor l'avrebbe odiata, non credi?"
"Confermo" gli dico fluttuando alle spalle di Zoe. Evan rimuove la
spilla e sorride, come un ebete.
La mia sorellina si allontana e Hansen continua a fissarla mentre
sparisce tra la folla, schiocco le dita per attirare la sua attenzione.
Hansen trema, essere nel laboratorio di informatica lo rende nervoso,
forse perché appena la settimana scorsa gli ho preso la
lettera, abbiamo avuto quello scontro e poi mi sono... vabbè
andiamo avanti.
Si guarda intorno, non so cosa stia cercando. "Saresti ancora vivo se
non avessi mai stampato quella lettera" mormora.
Sbuffo profondamente. "Di nuovo con questa storia, Hansen? Non
prenderti colpe che non hai."
'Ma è vero... tu saresti qui se io..." gli occhi di Hansen
si riempiono di lacrime, di nuovo. Io gli volo davanti e gliele asciugo
così come ho fatto con mia sorella. "E allora? Pure che
fosse? Guarda cosa ci ha dato la mia morte? Vuoi davvero tornare
indietro a quando non avevi nessuno se non te stesso a cui scrivere una
lettera?"
Hansen nega con un cenno del capo. "No, però... non mi
sembra comunque giusto... non si dovrebbe morire a 17 anni e non per
suicidio" dice a voce alta senza rendersene conto attirando di nuovo
tutti gli occhi su di sé.
'Se la connessione Wi-Fi non avesse funzionato e il comando non avesse
mai raggiunto la stampante tu saresti ancora vivo. Se mia madre non
avesse fissato quell'appuntamento con il Dr. Sherman in quel giorno
specifico, tu saresti ancora vivo. Inoltre, se non mi fossi mai rotto
il braccio non ci sarebbe stato nessun gesso da farti firmare. Sono
stato fortunato considerando che sono caduto da molto in alto, questo
è ciò che mi hanno detto tutti. Non mi sentivo
molto fortunato, sdraiato lì nel dolore fisico
più atroce della mia vita. Avrei potuto rompermi la schiena,
mi si sarebbe potuta aprire la testa. Il ranger Gus mi ha portato
all'ospedale, continuava a chiedermi cosa stessi facendo
lassù su quell'albero. Non sapevo come dirgli che
all'improvviso mi era venuta voglia di arrampicarmi su un albero quando
avrei dovuto lavorare. Ho inventato una storia sul momento, volevo
trovare un cane che si era smarrito. "Chiamami sul walkie-talkie.
Quante volte te l'ho detto? Qualsiasi cosa fuori dall'ordinario, mi
chiami sul walkie-talkie." Era arrabbiato. Ci ho messo un po' a capire
che Gus per quanto si comportasse come un amico era in
realtà il mio capo. "Le regole esistono per tenerti al
sicuro" ha detto. "Per tenere tutti al sicuro, compreso il parco. Mi
sembra che tu abbia appena buttato queste nozioni fuori dalla
finestra." Aveva ragione, sinceramente, non mi importava
della sicurezza in quel momento. Non era lì che avevo la
testa. "Guarda, so che stai soffrendo" ha detto. "Ma se non impari da
questa esperienza allora tutto il dolore è inutile." Non mi
importava quanto fosse duro con me, ne ero grato in realtà.
Almeno a qualcuno gliene importava qualcosa. "Hai chiamato i tuoi?" mi
ha chiesto. La reazione del ranger Gus è stata migliore di
quella che ho ricevuto da mio padre quando gli ho parlato il giorno
dopo. "Haley, la mia figliastra, si è rotta il polso l'anno
scorso ed è tornata ad allenarsi nel giro di pochissimi
giorni" ha detto. Pensava di farmi sentire meglio? Beh non ha
funzionato. Avrei preferito una risposta diversa da quella che mi ha
dato, anche ridicolizzarmi per essere stato goffo, o solo scherzare su
quanto sia sfigato o condividere la storia di quella frattura ossea che
ha avuto quando era piccolo. Tutto, purché parlasse di me e
non della sua nuova famiglia, anzi della sua famiglia. "Ho lasciato un
messaggio a mia madre" ho detto a Gus. "Penso che sia di
turno." Guarda caso proprio quel giorno non era in ospedale invece.
Ricordo di essermi sentito sollevato quando l'ho capito. Non
parlo con il ranger Gus da quando è finito il mio
apprendistato. Sono stato con lui cinque giorni alla settimana per due
mesi, e ora non abbiamo più niente a che fare l'uno con
l'altro. Non lo so. Sembra solo un po' incasinato.
Un minuto prima siamo una squadra o qualcosa del genere e ora
è probabilmente impegnato a insegnare il mestiere a una
nuova recluta. Vorrei scrivergli qualcosa, ma non legge le e-mail e non
entra negli account dei social network che gli ho creato sotto
richiesta. Tutti mi abbandonano, Connor, però io forse... ti
ho ucciso.'
Nel momento in cui Evan conclude il suo pensiero è a terra,
accovacciato su se stesso, stretto come un feto che non vuole nascere e
spera sua madre prenda un qualcosa per abortire.
"Evan..." riesco solo a mormorare. I compagni del corso di informatica
si accalcano, fanno la gara a chi lo deve aiutare ad alzarsi e portarlo
in infermeria. Vorrei che ci lasciassero soli invece perché
questa è una questione tra me e lui.
"Connor..." mormora lui a sua volta, guadagnandosi tutti gli sguardi di
apprensione e tenerezza dei presenti.
"Perché ti sei ucciso, ti prego, ho bisogno di sapere
perché... cosa ti ha fatto scattare? È colpa
mia?!"
L'infermiera che hanno chiamato arriva mentre cerco di convincere me
stesso a dire o meno la verità.
"Mi sono tolto la vita per delle spunte blu" mormoro mentre Evan viene
portato in infermeria di corsa. "Tu non avevi neanche il mio numero, se
lo avessi avuto probabilmente adesso sarebbe tutto diverso."
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Capitolo 7 *** If I could tell ***
Quello che è seguito sono stati i venti minuti
più lunghi della mia... è sempre difficile capire
che vocabolo usare.
Evan è stato raccolto da terra come se fosse un animale
ferito ed è stato portato in infermeria. Lì ha
iniziato invece a dimenarsi come ho visto fare ai pazienti psichiatrici
rinchiusi nei manicomi in un documentario sull' igiene mentale negli
anni '30.
"Non mi serve il Diazepam!" ha urlato probabilmente riconoscendo la
confezione.
"Sono solo triste, non sono pazzo! Ho paura... ma non sono pazzo!"
Era un ridente pomeriggio primaverile quando a casa Murphy fece
ingresso la prima confezione di benzodiazepine che avessi mai visto,
Larry la teneva tra le mani e la sventolava come se fosse uno splendido
gioco che non vedevo l'ora di ricevere.
"Dai Connor, prendiamo le medicine che starai meglio" aveva detto e
io... io gli urlai addosso le stesse parole che aveva appena
pronunciato Evan.
Larry voleva seriamente imbottirmi di una roba ipnotica in giardino
davanti agli occhi curiosi di qualsiasi passante?
È così, drammatico, tragico addirittura, sei tu
quello che sta male eppure sei dottore di te stesso e sembri essere
l'unico che sappia cosa fare, di cosa avresti bisogno e non lo fai
ugualmente.
L'infermiera ha continuato a ripetere a Evan di calmarsi e tante altre
stronzate, poi Evan si è dimenato ancora sul lettino urtando
sia l'apparecchio per le flebo che il comodino dove erano state
appoggiate le pillole. È stato il momento in cui Evan ha
vinto la sua lotta contro gli psicofarmaci sedativi.
"Non ho bisogno di farmaci, ho bisogno di qualcuno che mi ascolti,
qualcuno a cui io possa dire la verità, qualcuno a cui
importi davvero..."
Ho avuto paura, paura che si rimangiasse tutto e buttasse i nostri
piani all'aria.
"Io...ti ho ucciso... Connor, ti ho ucciso io..." ha insistito con
questa storia davanti agli occhi sconvolti del personale sanitario
scolastico.
"Evan, no! Per l'ennesima volta, non mi hai ucciso tu. Mi hai forse
puntato una pistola alla testa? Me lo hai detto tu di fare
ciò che ho fatto?!"
"Connor, cazzo! È colpa mia, sono stato io la goccia che ha
fatto traboccare il vaso..."
"Basta, Evan!" non ricordavo di avere urlato così da... mai
forse.
Ho preso un respiro profondo, ho fatto del mio meglio per non crollare
e poi ho aperto di nuovo la mia bocca.
"Questa è la cazzata che mi sono raccontato... la
verità è..."
Sorpresona della vita mentre stavo per dire le parole che entrambi
attendevamo sono entrati i miei genitori nella stanza.
"Evan, tesoro" ha detto mia madre quasi gettandosi su di lui, Larry
è rimasto all'impiedi vicino allo stipite salutandolo con un
cenno della mano e un sorriso forzato.
Hansen ha tremato, si è guardato intorno spaventato e
confuso e ai suoi occhi l'infermiera ha saputo rispondere solo "abbiamo
provato a chiamare tua madre, ma non ha risposto. Allora abbiamo
pensato di chiamare i genitori di Connor dal momento che eravate tanto
amici."
Nessuno ha fiatato, tranne Cynthia che ha continuato a ripetere "povero
tesoro mio."
Qualche lacrima più tardi mia madre si è
asciugata gli occhi e ha tamponato anche il viso di Hansen con un altro
fazzoletto. Né io né lui ci eravamo resi conto
che avesse pianto prima di vedere le zone più scure sul
panno appena usato.
"L'ho ucciso io... Connor è morto a causa mia" ha detto poi
Hansen con una serietà tale che per un secondo ho pensato
che Evan fosse venuto ad assassinarmi e sarebbe stata anche un'opzione
da prendere in considerazione se non fosse che l'Evan che conosco io
chiede scusa anche alle mosche se per puro caso chiude la finestra
prima che siano uscite.
"Che stai dicendo?" abbiamo detto io e mia madre all'unisono, Larry
è subito intervenuto con un classico "non vedi che
è sconvolto, Cynthia? Sta delirando." Cynthia gli intimato
di tacere con un sonoro "sssh!"
La situazione era talmente surreale che non riuscivo a fare altro che
partecipare da esterno, da spettatore.
"Quella mattina io e Connor abbiamo litigato... io penso sia stato
troppo per lui..." ha detto Hansen tirando su col naso.
Cynthia lo ha abbracciato, gli ha accarezzato i capelli con infinita
premura. "Tesoro, tesoro mio meraviglioso, quella mattina abbiamo
litigato tutti con Connor, io, Larry, Zoe...nessuno di noi voleva che
succedesse quello che è successo. Non siamo assassini, Evan.
Mio figlio, mio figlio era arrivato al limite, ma tu non c'entri
niente..."
Cynthia si è allontanata ha chiesto all'infermeria di uscire
e lasciarci da soli, poi ha preso una lettera dalla borsa e ha iniziato
a leggerla.
"Caro Evan Hansen, parlare con te mi è di conforto. Tu sei
l'unico che mi capisce veramente e sei anche l'unico che mi ascolta. A
volte non so esprimermi, ma dove non arrivano le parole arrivano i
sentimenti. Grazie per quello che c'è adesso tra noi,
è bello" ha letto, poi ha preso le mani di Evan tra le sue e
gli ha sorriso.
"Tu gli facevi del bene, non puoi averlo ucciso... lascia che la colpa
ricada su chi ce l'ha davvero..."
Ho sentito un brivido, non ricordavo di essere stato così
sentimentale, forse volevo essere poetico, ma è vero che mi
piace il mio rapporto con Hansen ed è vero che dà
quando parlo con lui mi sento più leggero e no, non
è perché sono incorporeo, non solo almeno. Il
mondo al suo fianco è la stessa merda, ma non sono
più solo. Non sembra più bello, semplicemente ho
qualcuno con cui condividere questo panorama raccapricciante, qualcuno
che non cerca di convincermi che non ci vedo bene.
"Evan, abbiamo letto tutte le lettere che hai voluto condividere con
noi e non potremo mai ringraziarti abbastanza per averci affidato i
vostri scambi privati. Ci hai mostrato Connor, lo stesso Connor che
avevamo sotto gli occhi e non riuscivamo a vedere. Dalle vostre parole
si vede che Connor era un buon amico per te, che si prendeva cura e
preoccupava per te. Non riesco neanche a immaginarlo perché
ero così abituata a vederlo soffrire che il pensiero di
sentirlo ridere mi sembra così falso. Eppure lui stava bene
con te, anche se i suoi problemi non erano risolti lui era felice in
una certa misura" ha continuato a dire Cynthia accarezzando con
delicatezza le mani di Hansen.
"Hai detto che ci sono altre e-mail. Io e Larry ti siamo grati per
qualunque cosa tu scelga di mostrarci con tutto il tempo che ti
occorre, ma in queste parole Connor vive e io lo vedo chiaramente,
è come se fosse ancora qui. Vorrei poter continuare a
sentirlo vivo per sempre e mi domandavo se ci sono e-mail relative alla
sua lotta contro l'abuso di sostanze. Se ti ha mai parlato delle
persone da cui acquistava la droga..."
Larry l'ha interrotta. "Ne abbiamo parlato, Cynthia. Non è
questo il punto."
"P-Potresti solo controllare?" lo supplica mia madre. "Vorrei dei nomi,
qualcuno a cui chiedere di più. Larry pensa che sia una
perdita di tempo, ma se sapessi anche solo un nome la notte dormirei...
voi fumavate insieme quindi..."
Avrei voluto urlare qualcosa, dire che alla fine dei conti per mia
madre si riduce sempre tutto alla droga, ma Hansen mi ha preceduto.
"Non ho mai fumato, né da solo né con Connor"
c'era una strana sicurezza nel suo tono.
"Ma Zoe ha detto che quando parlate di alberi..." Hansen l'ha bloccata
di nuovo.
"Sono alberi, non droga. Io sono un appassionato di botanica, Connor se
l'è fatta piacere a furia di ascoltarmi. Insieme ci siamo
arrampicati o ci siamo messi al riparo sotto le folte chiome a leggere
un libro. Prima che se ne rendesse davvero conto ha iniziato ad
apprezzare molto il contatto con la natura, ha detto che gli ricordava
la sua infanzia, la spensieratezza, i giorni felici, i momenti in cui
bastava prendere un ramoscello da terra per sentirsi bene. Per questo,
nonostante gli alberi siano una passione mia e solo mia, in qualche
modo Connor ha finito per condividerla."
Cynthia stava per dire qualcosa, ma Hansen ha proseguito imperterrito
fermandosi solo per riprendere fiato.
"Inoltre è vero che Connor faceva uso di marijuana, ma non
era quello il problema. È una pianta con comprovate
proprietà terapeutiche ed era l'unica che lo faceva sentire
come se non stesse vivendo un incubo da cui non poteva svegliarsi.
Certo, a lungo andare gli avrebbe fatto male per questo volevo
smettesse, ma al contempo l'erba, perché solo di erba si
trattava, non era il problema."
Larry e Cynthia lo hanno guardato con sgomento, poi hanno elaborato le
informazioni.
"Grazie" ho mormorato col labiale piazzandomi davanti a lui. Evan
è davvero la mia voce.
I miei genitori si sono scambiati sguardi preoccupati, benevoli, poi
hanno entrambi accennato un sorriso.
"Connor era bipolare, aveva bisogno di medicine che non ha mai preso,
ma se quelle sostanze lo hanno aiutato a stare meglio allora... allora
sono felice che qualcuno gliele abbia fornite" ha detto Cynthia.
Evan mi ha guardato carico di sorpresa e potevo sentire i suoi
pensieri, non in maniera figurata, per davvero.
'Non mi avevi detto che sei bipolare...'
"E che cosa sarebbe cambiato? Sarebbe stato solo peggiore" ho chiuso la
conversazione sul nascere.
Cynthia ha rimesso le lettere in borsa, accarezzato il viso di Evan e
sorriso un po' di più.
"Allora, chiarito il punto che hai fatto solo bene a Connor... quando
vieni di nuovo a cena da noi? Sei parte della famiglia ormai. Ci sono
delle lettere in cui chiami Connor "fratello" e questa cosa la sento
dentro a livello spirituale. Sono sicura che anche Connor vorrebbe che
tu stessi con la tua famiglia, cioè noi."
Ho capito cosa sta facendo mia madre: sempre in uno di quei documentari
bizzarri che guardavo -neanche mi stessi preparando per questo momento-
hanno detto che ogni persona elabora il lutto a modo proprio e alcune
persone non si arrendono alla scomparsa. Può succedere
pertanto che cerchino di sostituire, di colmare quel vuoto con qualcuno
che non potrà mai essere come la persona che se ne
è andata. Mia madre ha dimenticato che Evan non è
me, cioè da una parte lo ricorda molto bene, vede le
differenze, si comporta come non ha mai fatto, dall'altra mi domando se
non abbia già compilato i moduli per adottarlo. Forse una
parte di lei pensa che trattando bene Evan potrà guarire
dagli errori commessi con me? Io sono seriamente preoccupato che invece
abbia semplicemente trovato un nuovo figlio.
Comunque sia, tornando al mio racconto: Hansen mi ha guardato
sbalordito, Larry si è messo a dire "Cynthia, Evan ce li ha
già dei genitori" con un tono amaro che non gli riconosco.
"Larry, la tua famiglia è un concetto complesso. Non c'entra
il sangue, c'entra il legame. Evan allora, quando vieni a cena da noi?"
ha detto Cynthia.
"P-Presto..." ha mormorato Evan probabilmente non sapendo che dire.
l'infermiera è tornata nella stanza assistendo
all'entusiasmo di Cynthia, che ha abbracciato Evan per la terza o forse
quarta volta in pochi minuti, e poi ha chiesto di uscire. I miei lo
hanno salutato con un bel sorriso sulle labbra.
"Hansen, se ti senti meglio puoi tornare in classe" ha detto
l'infermiera.
Evan non ha risposto, è sceso dal lettino con un sorriso
sulle labbra simile a quello dei miei, un'espressione che non mi
spiegavo e non sapevo indagare.
Abbiamo terminato la giornata scolastica e ora siamo qui, di nuovo
nella sua camera, oggi è la serata tacos ed Evan
è molto emozionato.
"Ti piacciono così tanto?" gli domando.
Evan mi sorride, i suoi occhi brillano. "Non lo so, ho l'acquolina in
bocca solo a pensarci, ma penso che mi piaccia di più
condividerli."
Ora mi è chiaro, Evan sta aspettando sua madre, lo sta
facendo come la moglie di un Marine che finalmente riceve la notizia
del ritorno del suo amato.
"Evan, stai bene?" eccola Heidi, irrompe nella stanza facendo
ondeggiare il cappotto marroncino e i lunghi capelli biondi. "Mi hanno
chiamata da scuola oggi, mi hanno detto che sei stato portato in
infermeria, che è successo?"
Osservo Hansen chiudere gli occhi mentre sua madre gli accarezza la
testa con delicatezza e la accoglie sul suo petto sedendosi al bordo
del letto. "Sto bene" risponde Evan. "Ho avuto un calo di pressione,
niente di rilevante..."
"Dovresti dirle la verità" mormoro, ma Hansen non mi
ascolta, né mi rivolge qualunque forma di attenzione.
"Mi dispiace tesoro, ero bloccata a lavoro, la figlia degli Hunter si
è ingoiata una Dash pod per una stupida sfida sui social e
dopo poco sono arrivate altre ragazzine tutte di quell'età,
è stata una giornata pesante."
Un cosa che mi dà molto fastidio da suicida quale sono
è vedere tutti questi ragazzini che scrivono di voler morire
sui social, che accettano queste sfide folli solo per avere
visibilità. A volte penso che sono come me solo che io avevo
una dignità o qualcosa di simile, altre volte penso solo che
la popolarità ha dato alla testa e farebbero di tutto pur di
far parlare di loro come Lola Nigel che a dieci anni ha raccontato di
essersi fatta scopare da tre ragazzi delle superiori.
"Chi si è preso cura di te? La scuola mi ha detto che hanno
trovato qualcuno che ti potesse aiutare."
"Jared" risponde Evan senza pensare.
Heidi è euforica, parla con un tono che sembra quasi
malizioso, penso che anche lei sospetti che il figlio non sia
esattamente etero come crede o forse mi piace pensarlo, ci
ritornerò in seguito.
"Uuuh sembra che tu e Jared andate sempre più d'accordo,
adesso passate più tempo insieme. Mi sento sollevata se
c'era lui con te. Ho sempre detto che è un ottimo amico per
te."
Evan taglia corto "Sì sì, davvero fantastico."
Nella sua testa ci sono solo tortillas ripiene.
Heidi mantiene la borsa su una spalla, le chiavi in tasca tintinnano e
nello spacco del giubbotto riesco a vedere la stoffa del camice. "Sono
orgogliosa di te, ce la stai mettendo tutta per superare il tuo
disturbo."
Evan resta in silenzio, si sottrae leggermente dall'abbraccio.
"Beh, io adesso vado, ma ho lasciato i soldi sul tavolo. Ordina quello
che vuoi, okay? Oggi è un gran giorno sono sicura che
riuscirai a parlare anche con il ragazzo delle consegne."
Si è spezzato il mio di cuore non oso immaginare quello di
Hansen. Osservo la sua espressione facciale mutare, l'entusiasmo
spegnersi e gli occhi inumidirsi. "Stasera doveva essere la nostra
serata tacos..." mormora Evan. "Dovevamo vedere insieme le domande per
il saggio..."
"È stasera! Oh mio Dio... Oh, tesoro, me ne ero
completamente dimenticata... merda, è martedì"
dice Heidi, prende dalla tasca del cappotto un portachiavi con una
bella croce rossa disegnata e troppe chiavi attaccate. "Mi hanno
affidato l'interno reparto..."
"Non importa..." mormora Evan.
Heidi sembra colta da un'illuminazione. "Sai cosa? Potresti guardare le
domande da solo per rifletterci e poi mandarmi dei messaggi
così possiamo scambiarci le idee in materia, mi sembra
geniale! In questo modo puoi capire davvero cosa vuoi scrivere."
Hansen non parla, annuisce e non sostiene lo sguardo.
"Possiamo fare i tacos un'altra sera, Evan. Potremmo farlo
domani sera. Che ne dici di domani sera?"
"Domani non posso. Ho... sono occupato."
Heidi non lo ascolta, guarda l'ora sul suo cellulare. "Merda, sono in
ritardo!"
Evan si alza dal letto, le si avvicina di nuovo, ma stavolta
è più come se volesse spingerla fuori dalla
stanza. "Dovresti andare, quelle vite non si salveranno da sole e sono
sicuro che la maggior parte dei codice rosso avvengano di sera."
"Evan..." mormora Heidi, ora lo vede, si rende conto che ha ferito suo
figlio.
"Chiamo il ragazzo delle consegne, io e Connor staremo bene."
Heidi sobbalza, si copre la bocca con una mano. "Il tuo amico? Quello
che ti ha firmato il gesso?" domanda.
"Sì, lui... i suoi genitori hanno divorziato e ora si
è trasferito in Canada dal padre. Ci vediamo online..."
cerca di inventare Evan mentre io lo squadro completamente sconvolto.
Hansen esce dalla porta lasciando sua madre nella sola compagnia dei
rimpianti.
"Evan, Evan mi dispiace che il tuo amico si sia trasferito. Deve essere
dura per te. Perché non me lo hai detto?"
Evan la guarda solo per un istante, poi sospira. "È un po'
difficile dirti le cose se non ci sei mai."
Heidi esce di casa di tutta furia come se chiudendo la porta alle sue
spalle potesse lasciare dentro ogni dolore e non portarselo dietro.
Evan scende le scale, raggiunge la cucina e si siede a tavola. "Che
vuoi mangiare?" mi domanda. Lo so che ha imparato che non ho bisogno di
nutrirmi ha solo bisogno di compagnia.
"Tacos, no? Che domande, Hansen!" gli rispondo.
Evan mi sorride e poco dopo il ragazzo delle consegne bussa alla porta.
Andrei volentieri ad aprire al suo posto, ma anche se riesco a toccare
i tasti del computer non riesco ancora a imprimere la forza necessaria
per fare girare un pomello. Senza contare che sarebbe spaventoso e
allarmante aprire la porta e mostrare al povero garzone dei pacchi di
mater-bi fluttuanti.
"Può lasciare fuori, le passo i soldi tramite la buca per le
lettere" si decide a dire Hansen dopo aver fissato la porta con
diffidenza.
Il resto viene consegnato allo stesso modo. Quando Evan è
sicuro che il ragazzo se ne sia andato esce e va a recuperare la cena.
Io accendo il televisore e metto un programma comico, ne abbiamo
bisogno entrambi. Ci sarà un'altra sede in cui gli
farò capire che sua madre cercherà il suo amico
Connor in Canada chiedendo alla scuola. Del resto penso anche che i
turni di Heidi ci daranno tutto il tempo per dimenticare questa bugia.
"Domani vai a cena dai miei?" gli chiedo una volta consumate le
tortillas.
Evan mi risponde con un cenno del capo. "Ho una famiglia che apprezza
la mia compagnia finalmente."
Siamo di nuovo a casa mia, di questo passo Evan ci prenderà
la cittadinanza.
"Oh Evan, ti aspettavo tra un'ora" ha detto mia madre aprendogli la
porta. "Respira" gli ho suggerito io vedendo che già stava
iperventilando perché non solo il ritardo, anche l'anticipo
è spaventoso.
Evan è entrato in casa scusandosi a profusione e si
è proposto di apparecchiare e aiutare a cucinare. Mi
è bastato assistere alla scena per sentire i pensieri di mia
madre 'Connor non si è mai offerto di dare una mano in
casa.' Grazie tante, mamma, adotta Evan allora.
Comunque per quanto mi possano girare i coglioni Evan sta solo cercando
di essere gentile e si trova meglio con mia madre che con la sua quindi
non lo biasimo davvero. In effetti solo adesso mi rendo conto di quante
cose dessi per scontate: qualcuno che ti costringe a mettere comunque
qualcosa nello stomaco, i calzini che magicamente dal tremosifone
finivano nel cassetto... Evan non ha una madre che si occupa di tutto
questo, di riservargli quelle piccole attenzioni speciali che
alleggeriscono il quotidiano.
"Non preoccuparti Evan, ho tutto sotto controllo, ma ti ringrazio.
Perché non vai di sopra a trascorrere un po' di tempo da
solo con Connor?"
Mi viene da ridere perché se sapesse, se sapesse che io
Hansen viviamo in simbiosi non lo direbbe. Anche Evan ridacchia appena,
le sue guance si tingono di una sfumatura rosea, Cynthia la interpreta
come imbarazzo.
Evan non risponde, semplicemente fa un leggero inchino e si dilegua.
"Va bene per te?" mi domanda. Del resto portare qualcuno nella tua
stanza è un po' come mostrargli una parte profonda di te,
una parte anche scomoda, ma penso che anche se non volessi dovrei
ricambiare il favore perché ho ficcato il naso nelle sue
cose private dal primo giorno, prima accidentalmente e poi ci ho preso
gusto. Glielo devo.
"Benvenuto all'inferno" gli dico indicandogli la porta da aprire
sennò cento cento andava in camera di Zoe e Hansen in camera
di mia sorella non ci deve entrare.
Tutto è rimasto uguale, beh del resto sono morto da troppo
poco tempo per ristrutturare. Evan si guarda intorno seguo il percorso
che fanno i suoi occhi: il letto matrimoniale, il pavimento in legno
consumato dai miei stivali, le pareti bianche che ho fatto del mio
meglio per distruggere tappezzate di poster tra film e gruppi musicali
e dipinti amatoriali.
Gli occhi di Hansen indugiano su un vecchio biglietto attaccato al muro
che recita "mi sono messo le mutande oggi", un regalo di un qualche
cugino che aveva capito quanto fosse difficile anche solo alzarmi dal
letto ogni giorno e che ogni singolo gesto per quanto potesse sembrare
insignificante era un piccolo trionfo.
Accanto a quel biglietto c'è un'istantanea che mi ritrae con
il dito medio esteso. Lo smalto nero che indosso ha delle minuscole
lettere bianche che puoi decifrare solo se ti avvicini di
più. "Boo!" mormoro. Evan sobbalza.
"Intendo che è questo che c'è scritto" cerco di
spiegare. Evan annuisce tremando ancora. "Forse non sta a me dirtelo,
ma non sei nella posizione più consona per dire una cosa
simile."
Ridacchio, come ho già detto Hansen è uno spasso.
"Me l'ha scattata Zoe, lo ha fatto per provare la sua nuova macchina
fotografica."
Evan annuisce, quel tipo di gesto che ti fa capire che ha ascoltato
ogni singola parola e probabilmente conserverà
l'informazione per sempre.
"Non ti piaceva fare foto vero?" mi domanda.
"Non sapevo sorridere" rispondo alzando le spalle. "Voglio dire... le
mie labbra si incurvavano e in qualche modo sembrava sbagliato,
sembrava forzato. Mi riusciva meglio la faccia da persona che non ha
più voglia di vivere. Almeno era realistico."
Evan resta in silenzio, poi sospira, mi allunga una mano visto che
è l'unico con cui posso interagire e mi accarezza il braccio
che ho inconsciamente iniziato a torturare con le mie unghie. "Non
potevi sorridere" mi dice bloccando la mia mano.
"Lo so che non senti più dolore fisico, ma non voglio che tu
lo faccia comunque" mi precede.
"È un riflesso condizionato, suppongo" gli dico. Hansen
annuisce amaramente. "Lo so."
Evan mi lascia la mano, anzi me la risistema lungo un fianco e poi
riprende a guardarsi attorno come se stesse cercando qualcosa. Guarda,
continua a fissare punti della stanza, apre i cassetti, fruga tra le
mie cose.
"HEY!" lo riprendo senza averne davvero il diritto. Evan si blocca, poi
mi guarda deciso. "Sai tutti i miei segreti, lasciami scoprire un po'
di più chi sei."
Vorrei ribattere, dirgli che non è colpa mia se passo
attraverso le cose, che non avevo intenzione di vedere il suo diario
segreto, né le mutande modello a mutandina bianche anonime
di cui è pieno il primo cassetto del comodino a destra del
letto, ma la verità è che tutto questo interesse
da parte di qualcuno, interesse reale, l'ho solo sognato fino ad adesso
quindi... "Fa pure, Hansen. Non ho segreti per te."
Dopo aver frugato a dovere per una buona decina di minuti Hansen mi
guarda come in preda a un'epifania e con un tono che non riesco a
comprendere mi dice "non c'è assolutamente niente di
correlato allo sport in questa stanza!"
"Fanculo gli sport, la passione di Larry, il mio tormento" rispondo di
getto.
Hansen sembra sollevato, si siede sul mio letto -oh fa pure Hansen,
come se fossi a casa tua proprio- e si porta la mano sana al petto."Mi
sono sempre sentito fuori luogo con quelli della mia età
perché non ho alcun interesse né a guardare
né tantomeno a giocare a qualsiasi sport" mormora.
"Quando sei Americano e non guardi il football o proprio non vuoi
giocare a baseball tuo padre ti guarda come se fossi uno strano
esperimento scientifico fallito ed eventualmente ti costringe ad
omologarti perché sennò non può
vantarsi con i suoi amici di quella volta che suo figlio prese la palla
al volo e segnò il punto decisivo o come cazzo si dice" mi
esce spontaneo.
Evan mi guarda negli occhi, io osservo il riflesso che non
c'è nei suoi, probabilmente lui può vedersi nei
miei, non ha importanza. Mi sorride. "Credevo di essere l'unico..."
mormora.
"No, siamo persino in due, pensa te..." scherzo solo a metà.
Hansen sorride di nuovo, c'è una strana luce nei suoi occhi.
"Non ho potuto fare a meno di notare che i tuoi scaffali sono pieni di
libri. Vedo Guida galattica per autostoppisti, Il giovane Holden, Il
grande Gatsby e I misteri di Pittsburgh. Ci sono titoli di cui non ho
mai sentito parlare. Hai mezza dozzina di romanzi di Kurt Vonnegut e
non pensare che non abbia notato la copia scolastica di Macbeth."
"Sembri sorpreso, Hansen" intervengo.
"La contraddizione: Connor Murphy in biblioteca" dice con un sorriso
furbo sulle labbra.
"Il tuo tributo alla mia morte?" scherzo.
Evan scuote la testa. "No, stavo pensando che dalla stanza di qualcuno
puoi davvero capire chi era. Tu eri un incompreso. Gli insegnanti ti
mettevano voti bassi, a scuola girava voce che fossi stato mandato a
una privata perché in realtà hai perso un anno,
invece sei un mangiatore di libri, esattamente come me."
Resto in silenzio, non so che dire, vorrei che mia madre potesse
ascoltarlo perché lei era convinta che tutti quei volumi
fossero lì solo per prendere polvere, Hansen con un solo
sguardo invece ha saputo affermare che ci ho vissuto.
"Sei un intellettuale dunque, uno di quelli che divorano pagine e
pagine purché sia roba buona e sembrano non averne mai
abbastanza."
"Dio Hansen, come è possibile che ogni volta che apri bocca
sembra sempre che tu ti stia riferendo ad altro? I libri non sono
droga."
Evan mi guarda, fa l'occhiolino più impedito a cui abbia mai
assistito e mi dà una spallata. "O forse sono l'unica droga
che anche se crea dipendenza non fa male."
Sorrido io stavolta, penso di dovergli dare ragione, ma quello che
Hansen non sa o che forse non ha semplicemente mai provato è
che ogni volta tornare a essere Connor Murphy era spaventoso
specialmente se avevi passato buone ore a vivere nella pelle di Holden
Caulfield o peggio ancora in quella di Jay Gatsby.
"Nelle terre estreme" riprende a parlare Hansen. "Ho visto prima il
film e poi sono andato a leggermi il libro. Trovo assurdo, ma anche
illuminante come si possa morire per un semplice errore.."
Resto in silenzio. A me lo stai dicendo, Hansen?
È stato un errore anche togliermi la vita, un errore
semplice, una decisione folle presa in una frazione di secondo, tempo
di ingoiare e sapere che lo avevo fatto per l'ultima volta.
"Io e te abbiamo così tanto in comune!" commenta Hansen con
rinnovato entusiasmo.
"Connor, che cazzo, ci saremmo seduti a mensa allo stesso tavolo da
pranzo e avremmo potuto parlare per ore dei libri che avevamo letto.
Scambiarci libri concretamente, consigliarceli, discutere di quanto fa
schifo essere uno a cui non piace lo sport negli Stati Uniti..."
C'è dolore nel suo tono, un dolore che non riesco a
sopportare perché anche io mi sto rendendo sempre
più conto che sarebbe bastato pochissimo, un attimo in
più e adesso io ed Evan saremmo davvero in carne e ossa
all'ombra di un fottuto albero a leggere libri mentre ci rendiamo conto
che la felicità è nascosta nell'impensabile.
"Mi dispiace, non dovrei parlare così. Tu avevi i tuoi
motivi per arrivare a tanto e noi siamo comunque amici adesso quindi
non dovrei essere così triste perché non posso
dire a mia madre che vado con Connor a fare un picnic..."
Sospiro, mi viene naturale fargli una carezza sulla testa, un piccolo
gesto di affetto che testimoni quanto dispiaccia anche a me per la
nostra situazione. È così che devono sentirsi la
maggior parte delle coppie omosessuali da quando c'è Trump
al governo: amare qualcuno, trascorrere ore e ore meravigliose in sua
compagnia e non poterlo dire a nessuno.
Forse per cambiare argomento Hansen prende dallo scaffale
più vicino al letto uno dei libri con la copertina rigida.
Io sono paralizzato. Quella non è la mia pelle nuda,
è la mia anima privata di ogni singolo velo, sono i miei
organi esposti senza più un solo strato protettivo.
Evan vede i miei schizzi, bizzarri, snervanti, carichi di emozioni che
lo raggiungono. Guarda l'uomo in galosce con in mano un ombrello per
difendersi dai ratti e dai ragni che cadono dal cielo. C'è
una piccola battuta a margine che testimonia il mio grande senso
dell'umorismo, Evan infatti ride.
"Perché sei nella stanza di mio fratello?" Hansen si alza
dal letto e alza le mani come un criminale colto in flagranza dalla
polizia e il mio volume per scarabocchiare finisce per terra. La voce
di Zoe ci coglie talmente alla sprovvista che anche io sobbalzo ed esco
dalla stanza di corsa come se non fosse la mia.
"Sono arrivato troppo presto e tua madre mi ha chiesto di passare un
po' di tempo da solo con Connor..." mormora Evan in risposta, mi guarda
spaventato e capisco che mi sta supplicando di rientrare.
"Oh chiedo scusa allora, ho interrotto qualcosa?" lo provoca mia
sorella sarcastica. In realtà sì, era un momento
molto intimo e speciale, ma di certo non posso dirglielo e non posso
dirlo neanche a Evan.
"Ai tuoi non dà fastidio che sei sempre qui?" riprende Zoe.
Hansen alza nuovamente le mani come se fosse pronto a essere arrestato.
"È solo la seconda volta, non mi sembra molto."
Zoe alza lo sguardo al soffitto, solleva le spalle. "Sarà,
ma ultimamente mi sembra che mi stai sempre intorno, Hansen."
Evan rabbrividisce, credo abbia notato una certa somiglianza nel modo
in cui io e Zoe ci esprimiamo.
"Io vivo da solo con mia madre..."
"E con me!" sottolineo cercando di strappargli una risata, Evan infatti
ridacchia appena.
"Lei lavora quasi tutte le sere e quando non lavora è a
lezione..." mormora.
Zoe si appoggia allo stipite della porta. "Lezione?" domanda.
"Roba legale" taglia corto Hansen.
"Ah sì? Mio padre è un avvocato" dice Zoe.
"Oh..." mormora Hansen grattandosi l'orecchio nervosamente.
"Dov'è tuo padre?" chiede Zoe, Evan si scortica la pelle
dietro l'orecchio destro. "Lui..." si schiarisce la gola tossendo
più volte. "Lui... vive in Colorado. Se ne è
andato quando avevo sette anni quindi sicuramente non gli importa se
sono qui."
Zoe alza un sopracciglio. "Il Colorado non è vicino."
"No, non lo è. Milleottocento miglia di distanza, in
realtà o qualcosa di simile. Non l'ho mica calcolato..."
"Certo che lo hai fatto" diciamo all'unisono io e mia sorella.
Zoe si fa avanti nella stanza, dà un calcio accidentale al
malcapitato cestino della spazzatura in metallo.
Non avevo idea che la situazione di Hansen fosse così
difficile, avevo intuito qualcosa, qualche problema con suo padre, ma
non avevo capito che si trattava di un vero e proprio abbandono.
Evan sembra avere fretta di cambiare discorso. "Comunque, i tuoi
genitori sembrano davvero fantastici."
Zoe ride istericamente. "Come no" dice. "Non si sopportano, litigano
per tutto il tempo." Si avvicina un po' di più si siede sul
mio letto, Evan indietreggia istintivamente contro la spalliera.
"Beh, tutti i genitori litigano, no? È normale" azzarda
Hansen.
"Mio padre è in negazione totale, non ha nemmeno pianto al
funerale" dice Zoe con un sospiro. Hansen cerca di nuovo disperatamente
di cambiare argomento. "Tua madre ha detto che per cena ha fatto le
lasagne senza glutine. Suona davvero..."
"Immangiabile?" lo interrompe Zoe.
Evan scuote la testa anche se gli viene da ridere perché io
e Zoe abbiamo lo stesso tagliente senso dell'umorismo. "Niente affatto,
sei fortunata ad avere una madre che cucina per te tutte le sere... io
vado avanti a pizza..."
"Sei fortunato che ti sia concesso di mangiare la pizza" dice Zoe.
"Non ti è permesso mangiare la pizza?"
Zoe alza gli occhi al cielo. "Ora possiamo, suppongo. L'anno scorso mia
madre era buddista quindi non dovevamo mangiare prodotti
animali."
"Era buddista l'anno scorso ma quest'anno no?"
"Questo è un po' quello che fa. Trova interesse in cose
diverse e si lascia assorbire completamente, ne fa il suo temporaneo
stile di vita, la sua intera personalità. Per un po'
è stato Pilates, poi è toccato a "Il Segreto",
poi è stata la volta del buddismo. Ora credo si tratti del
dilemma dell'onnivoro o una cosa simile. È difficile portare
il segno."
"Penso che sia bello che tua madre abbia tutti questi interessi. La mia
è letteralmente solo astrologia e musica rock, non ha
interessi reali, né hobby, non li coltiva, suppongo
perché non abbia tempo. L'ho portata a fare un'escursione
con me e ha detto che non le piacciono gli insetti."
"No Evan, non è bello. È proprio quello che
succede quando sei ricco e non hai un lavoro. Diventi pazzo."
"Mia madre dice sempre che è meglio essere ricchi che
poveri."
"Beh, probabilmente tua madre non è mai stata ricca,
allora."
"E probabilmente tu non sei mai stata povera."
Cala il silenzio, Evan mi guarda con quegli occhi che dicono "sono
fottuto", ma io non sono affatto deluso dal suo comportamento, anzi.
"M-Mi dispiace così tanto" balbetta. "Non volevo...
è stato terribilmente scortese."
Zoe ride. "Non avevo idea che fossi capace di dire qualcosa che non sia
gentile."
"Non lo sono. Non dico mai cose che non sono carine. Non penso nemmeno
a cose che non siano carine. Mi dispiace davvero" inciampa Hansen sulle
sue stesse parole.
"Oh Hansen, io ero così colpita e tu lo stai rovinando"
scherza mia sorella.
"Mi dispiace."
"Davvero non devi continuare a ripeterlo."
Zoe prende un cubo di Rubik da sotto al mio comodino e sospira.
"Vuoi dirlo di nuovo, non è vero?" gli domandiamo
all'unisono.
"Sì, grazie. Scusami, mi dispiace non volevo."
Zoe sorride, un sorriso vero, pieno, luminoso, Hansen si scioglie.
"Connor ci ha impiegato tutta l'estate a risolverlo" dice guardando
l'oggetto tra le sue mani.
Per la precisione vorrei sottolineare che non è vero, l'ho
fatto più e più volte e Zoe pensava che ci stessi
mettendo molto tempo. Il mio record è di cinque minuti e 36
secondi.
"Io non ci sono mai riuscito invece..." mormora Evan.
"Sai... mia madre non voleva vedere la realtà delle cose.
Non sapeva mai dire quando mio fratello era fatto. Parlava lentamente e
si autoconvinceva 'Connor è solo stanco" e cercava di
convincere anche noi "Connor non è sotto stupefacenti. Ha
sonno. Ha avuto gli incubi. Non ha dormito stanotte. Ha studiato
tanto..' "sull'ultima frase Zoe ride istericamente.
"Perché lo ha fatto?" chiede con un sussurro. "Questo
è ciò che mia madre non fa che ripetere e io non
ho il cuore di elencarle i motivi che conosco."
Evan sta zitto, ascolta ogni parola con premura. Posa una mano sulla
spalla di mia sorella e si fa più vicino, cerca di darle
conforto.
"Tu eri il suo migliore amico, Evan. Cosa ti ha detto prima di
andarsene? Tu devi saperlo. Cosa ti ha detto di me? Perché
ha scritto 'E tutta la mia speranza è riposta in Zoe, che
non conosco nemmeno e che non mi conosce.'? Cosa significa?"
Evan cerca le parole, in aria, in alto, verso di me, attende una
risposta che non gli so dare perché nel caso si fosse
dimenticato quella lettera l'ha scritta lui e non io.
"Lui... Connor..." tenta. "Ti vuole bene e pensa che..."
Zoe lo interrompe. "Hansen, mio fratello è morto. Puoi usare
il passato, è tutto ciò che ci resta di Connor."
Mi si stringe il cuore.
"Connor pensa cioè pensava" riprova Hansen stringendosi
nelle spalle e ingoiando a vuoto. "Che tu e lui eravate distanti..."
"Oh sì, due mondi separati" incalza Zoe.
"E-E s-se so-solo non fosse stato così... sarebbe stato
meglio..."
"Quindi tu e Connor parlavate di me?" domanda la mia sorellina, gli
occhi le brillano.
"Oh, sì, certamente, a volte. Voglio dire, se lui tirava
fuori l'argomento. Io non ti ho mai menzionata, neanche una volta, a
meno che non fosse per chiedere se andava ancora male con te e
puntualmente andava ancora male. Ovviamente. Perché mai
avrei dovuto parlare di te sennò?! Era lui che voleva
parlare di te, di voi, delle cose con i vostri, insomma Connor
sì, esatto, Connor, tuo fratello, pensava che tu fossi
assolutamente fantastica" risponde Evan con un solo fiato al punto tale
che arriva a fine frase in affanno.
Zoe ridacchia, io la seguo.
"Potresti fare il rapper" scherzo.
Hansen ride a sua volta. "Il nuovo Eminem, eh?"
Zoe lo guarda stranito ed Evan rimpiange immediatamente di aver
risposto al mio scherzo.
"Pensava che fossi fantastica? Mio fratello?" domanda perplessa.
"Sì. Ovviamente. Voglio dire, forse non ha usato quella
parola esatta, ma-"
"Perché?"
"Perché pensava che tu fossi fantastica?"
"Sì."
"Bene, okay, fammi provare a ricordare" mormora Evan, mi aspetto di
trovare il suo sguardo invece non ci incontriamo.
"Ogni volta che hai un assolo nella band chiudi gli occhi,
probabilmente non sai nemmeno che lo stai facendo, ma sulle tue labbra
appare questo mezzo sorriso, come se avessi appena sentito la cosa
più divertente del mondo, ma è un segreto e non
puoi dirlo a nessuno. Dal modo in cui sorridi però,
è un po' come se stessi svelando il segreto anche a noi che
siamo lì per ascoltarti."
"Davvero?" domanda Zoe emozionata arrossendo appena.
"Assolutamente. Almeno questo è quello che Connor mi ha
detto" si corregge Hansen.
Sospiro, mi appoggio sul letto con loro e mi sento di troppo. Evan sta
parlando con le sue parole, stavolta non sta dando voce anche ai miei
sentimenti, mi sta solo confessando che la cotta per mia sorella
è più grande di quanto pensassi e che ha passato
molto tempo a osservarla.
"Non pensavo fosse sveglio ai miei concerti. I miei genitori lo
costringevano sempre a partecipare."
Zoe abbassa lo sguardo e gratta la cucitura della trapunta del letto.
"Sai, la prima volta che ha detto qualcosa di carino su di me
è stato nel suo messaggio, nella lettera che ha scritto a
te... non ha saputo neanche dirmelo."
"Oh, ma lui voleva farlo solo che... solo che non poteva."
Zoe sospira, incrocia le braccia al petto. "E ti ha detto altro su di
me?" Un secondo dopo già rimpiange di aver chiesto. "Non
importa. Non mi interessa nemmeno."
Evan insiste. "Ha detto tante cose su di te" dice guardandola
intensamente negli occhi.
"Lui pensava che fossi davvero bella ehm no" si interrompe Hansen
tossisce, si sistema il colletto della camicia e riprende. "Pensava che
fossi una gran figa con quelle ciocche indaco tra i capelli e quando ti
sei tinta tutta la testa di blu ha detto che eri stata molto
coraggiosa."
"Ma se ha continuato a chiamarmi "lesbica" anche dopo che la tintura si
è scaricata?!" ribatte Zoe scettica.
"Beh è il cliché delle lesbiche per eccellenza,
non puoi darmi torto" dico alzando le spalle davanti agli occhi
perplessi di Hansen.
"Era il suo modo per dimostrarti che si interessava a ciò
che facevi, gli piaceva prenderti in giro, lo sai, lo faceva sentire
più vicino a te."
Evan prosegue l'ennesimo racconto inventato o meglio la serenata per
mia sorella. "Connor non faceva che ripetermi quanto si sentisse meglio
solo vedendo il tuo sorriso e che nonostante lo negassi continuavi a
compilare i quiz sulle riviste per adolescenti."
Zoe si mette comoda e continua ad ascoltare con un sorriso crescente
sulle labbra.
"Connor ti guardava tutto il tempo, si limitava a tenerti d'occhio,
immagino. Sapeva che quando ti annoi scarabocchi sui risvoltini dei
jeans o che mastichi i tappi delle penne o che la tua fronte si
increspa proprio al centro quando sei arrabbiata."
"Non pensavo mi prestasse attenzione..." mormora Zoe.
"Oh non faceva che pensare a te. La sua amata sorellina da
proteggere..."
"Avrei solo voluto saperlo..."
"Lo so. È solo che non sapeva come dirti tutto questo. Non
sapeva come dirti che... era il tuo più grande fan. Nessuno
era un fan più grande di lui. Sapeva quanto sei incredibile.
Sei così unica, Zoe. Sei bellissima e intelligente e
simpatica, buona, non si può non amarti."
Zoe arrossisce, gli sorride appena.
"Voglio dire che tu sei tutto per me, cioè per Connor,
Connor diceva "lei è tutto per me". Ma ha tenuto tutto nella
sua testa, non sapeva parlare con te, non riusciva a trovare la strada,
ma diceva sempre 'se potessi dirglielo, se potessi dirle tutto
ciò che vedo, che lei è tutto per me, ma ci
separano un milione di mondi e parole non dette e non saprei neanche da
dove cominciare.' "
"Cosa altro ha notato mio fratello?" domanda Zoe, ora Hansen ha tutta
la sua attenzione.
"Si chiedeva come facessi a ballare come se tutto il mondo attorno non
esistesse e perché ti piacesse tanto usare la macchina
fotografica istantanea. Perché fossi rimasta nella band
quando è chiaro che hai la stoffa per essere una solista e
quanti giorni sarebbero passati prima di rivederti portare le trecce
che ti donano così tanto."
Zoe lo guarda sognante, attraverso ogni parola sembra rivivere dei
ricordi che non so raggiungere.
" 'Io ti amo', questo voleva dirti Connor. 'Ti amo, Zoe...ma tu non mi
crederai mai e io non so dimostrarlo quindi busso alla tua porta con
rabbia perché è l'unico modo in cui sono riuscito
a esprimermi.' "
Ci sono tante cose che vorrei dire, ma Hansen conclude la
frase sulle labbra di mia sorella.
"Cosa stracazzo stai facendo?!" gli urlo addosso. Hansen sobbalza, fa
un volo all'indietro.
"Che ti prende?" gli domanda Zoe sconvolta.
"Mi dispiace... non volevo, non volevo... sono stato preso dal momento
e l'atmosfera e Connor... scusami, Zoe, scusami."
Zoe ridacchia appena. "Ti stai scusando con mio fratello?"
Hansen annuisce a raffica come se volesse farsi saltare la testa.
"Lui non vuole, cioè Connor non vorrebbe questo e tu
neanche... quindi..."
Zoe lo zittisce con un dito sulle labbra. "Io voglio e Connor non
c'è."
Io ci sono e come invece, lo rendo ben chiaro piazzandomi davanti ad
Hansen e facendogli capire con un gesto secco che trovo il modo di
tagliargli la testa se non si allontana immediatasubito da mia sorella.
"T-Tu vuoi?" domanda Hansen sconvolto.
Rifaccio lo stesso gesto. "M-Ma Connor no" sottolinea immediatamente
Hansen. "Lo sanno tutti, è una regola non scritta le sorelle
degli amici sono sacre, non si toccano. Connor mi ucciderà,
ucciderebbe, se sapesse Connor mi odierebbe e io gli voglio troppo
bene, non posso fargli questo."
"Quindi se fossi l'amore della tua vita rinunceresti a me solo
perché mio fratello deceduto non l'avrebbe presa bene?"
Hansen sospira e annuisce, sta per dire qualcosa, ma viene interrotto
dalla voce di Cynthia. "Ragazzi, è pronto! Venite a tavola."
È nostalgico, è come se mia madre avesse appena
chiamato me e Zoe, con la differenza che al mio posto c'è
Evan e certamente non ho mai baciato sulla bocca mia sorella.
"Sai cosa, Hansen? Mettiti col fantasma di mio fratello se ci tieni
tanto."
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Capitolo 8 *** Disappear ***
La cena a casa Murphy si è svolta in un silenzio veramente
pesante, interrotto solo dal continuo chiedere di mia madre se Evan
avesse trovato altre lettere, se volesse raccontare altro su di me e
Larry che la supplicava dicendo "Cynthia, lascialo in pace."
Zoe non ha fatto altro che mangiare rapidamente come se volesse
riempirsi la bocca per non fare uscire le parole, il suo sguardo di
tanto in tanto incontrava quello di Evan che si dileguava forse anche
per paura di ritorsioni da parte mia.
Se vi stavate domandando invece cosa è successo dopo
l'uscita di mia sorella credo che se avete compreso abbastanza che tipo
è Hansen potrete immaginarlo.
Tra loro è calato un silenzio imbarazzante, Hansen non ha
saputo spiccicare parola davanti agli occhi delusi e carichi di
fastidio di Zoe e Cynthia, che non sa aspettare due secondi da quando
annuncia che è pronta la cena, ha rinnovato l'invito a
venire a tavola, salvando in un certo senso la situazione.
Se invece vi stavate domandando come mi sono sentito io dopo quella
frase, beh è difficile da spiegare, diciamo solo che il
rossore sulle guance di Hansen mi hanno strappato due risate e che ho
desiderato che Zoe potesse vedermi perché sarebbe stato il
degno finale di una frase così tragicomica.
Quando la cena finalmente è terminata Zoe si è
offerta di accompagnare Hansen per qualche miglia e mentre camminavano
gli ha detto "sembrava così lontano, Connor è
così diverso nelle tue parole. Mi sembra di non conoscerlo
affatto, mi sembra che non sapessi niente."
Evan ha continuato a recitare la parte. "C'era una distanza troppo
grande tra voi che non sapeva come colmare" ha detto.
Zoe è rimasta in silenzio ancora per qualche minuto e poi
gli ha sorriso. "Scusami per prima, è che da quando
è successo tutti non fanno che nominare Connor e io vorrei
uno spazio che fosse solo mio. Se non vuoi stare con me
perché pensi che sia una mancanza di rispetto nei suoi
confronti lo capisco. Volevo solo dirti che mi interessi e non voglio
ti faccia un'idea sbagliata di me. Mi manca mio fratello e credo che
queste parole che hai detto sono quello di cui avevo bisogno. Quindi
grazie, grazie Evan."
La mia sorellina conclude la frase e Hansen ha già di nuovo
gli occhi a cuore. Le sorride con un senso di soddisfazione e orgoglio
e io non so davvero più se dovrei o meno essere incazzato
con lui.
Zoe lo saluta, gli augura la buonanotte, Hansen rientra a casa e fa
ciò che fa sempre quando si sente in difficoltà e
non ne può parlare con nessuno, contatta Jared.
"Hai fatto cosa?!" scrive Kleinman dopo aver ricevuto un messaggio
veramente troppo è troppo poco comunicativo allo stesso
tempo.
"Ho baciato Zoe Murphy"
"Hai baciato Zoe Murphy. Sul letto di suo fratello. Dopo che
è morto."
"Sembra davvero terribile ora che lo leggo scritto"
"Pompelmi. Le tue palle sono grandi come pompelmi. Come fai ad andare
in giro con quella roba nelle mutande?"
"Non avevo intenzione di farlo, è solo successo..."
"Hai baciato la sorella del tuo defunto ragazzo. Ti prego, dimmi come
è potuto succedere perché non capisco."
Penso che Hansen abbia dimenticato due cose: la prima che Kleinman
è convinto che stessimo insieme per cose che ha raccontato e
confermato lui stesso, la seconda che è inutile che mi
nascondi la chat, ci passo attraverso e leggo lo stesso, Hansen.
"Senti c'era qualcosa nell'aria..."
"Il fresco odore di tradimento..."
"Zoe voleva che la baciassi, ha detto che le interesso."
"Evan, devo davvero dirtelo io? È una ragazza vulnerabile e
tu sei un bel ragazzo, certo altrettanto vulnerabile, ma ti sei
consolato in fretta."
"Lo so che è sbagliato, Connor non vuole."
"Immagino sia difficile per te parlare al passato, ma lasciami dire
questo: non ritroverai Connor in Zoe, Evan. Hai perso il tuo ragazzo,
non è scopandoti la sorella che metabolizzerai il lutto."
"L'ho solo baciata."
"Il passo è breve..."
"Cosa pensi dovrei fare adesso? Connor è arrabbiato con me."
"Evan, Connor è morto, non può essere arrabbiato
con te. Volta pagina, intendo sul bacio, lascia stare quella gnocca
della sorella e viviti il lutto in maniera sana."
Ci sono tante cose che vorrei dire, ma quella che mi viene
più spontanea riguarda Kleinman: più andiamo
avanti più si dimostra un buon amico per Evan tutto sommato.
Il consiglio che gli ha dato, l'analisi che ha fatto in qualche modo
dimostrano che ci tiene e che Hansen non sbaglia a contattarlo...
però se chiama di nuovo mia sorella "gnocca" gli faccio
prendere un colpo.
"Farò così" è l'ultimo messaggio.
Le strade sono silenziose a parte per qualche sporadica macchina che
passa e non ci sono pedoni a parte noi. Evan continua a camminare,
inizia a parlarmi.
"Scusami, mi dispiace, non avrei dovuto, non volevo.." lo interrompo.
"No, tu volevi eccome!" incalzo.
Evan sospira, rilassa le spalle, rallenta. "È vero volevo,
ma che se volevo non avrei comunque dovuto farlo. Jared si sbaglia, le
mie palle sono sì e no grandi come dei semi di papavero se
la prendiamo come misura della sicurezza in se stessi."
Lo ascolto, mi metto di fronte a lui a braccia incrociate mentre
continuo a camminare anzi a svolazzare all'indietro.
"Zoe mi piace tanto, è vero lo ammetto, c'era una strana
atmosfera tra noi e io ho sentito come se fosse scattato qualcosa e non
sono riuscito a resistere. Mi dispiace, me la farò passare.
Siamo ancora amici?"
Annuisco anche se sono ancora infastidito. Hansen non può
capire, lui è figlio unico, non sa cosa significhi essere il
maggiore, cosa significhi avere la responsabilità di
qualcuno. Non sto dicendo che mia sorella non debba mai avere un
fidanzato, sto solo dicendo che non voglio si faccia male e non voglio
che questo sia Hansen. Se fossi ancora corporeo, se fossi stato ancora
in vita e avessi assistito a questa scena con la premessa che Hansen
è il mio migliore amico lo avrei picchiato perché
come ha detto lui stesso esiste una regola non scritta sulle sorelle
degli amici. Bisogna chiedere il permesso e io non ho intenzione di
darglielo.
"Dai Connor, non tenermi il broncio. Ti sarà pure capitato
di sentire la magia del momento e lasciarti trasportare" mi dice. So
cosa sta facendo, ma non funzionerà, non sono dell'umore.
"Robin" sussurra poi di punto in bianco interrompendo il silenzio.
"Chi?" gli domando io confuso.
"Robin Alistair, il mio primo bacio. Eravamo piccoli e volevamo solo
scoprire cosa si provasse."
"E cosa avete provato?" gli chiedo.
"Non molto devo ammettere, ma poi c'è stata Amy Brodsky, un
bacio a stampo alla velocità della luce quando avevo dieci
anni. Mi sono innamorato subito, ma poi ho scoperto che lo faceva anche
con altri due ragazzini in classe."
Non riesco a capire dove voglia andare a parare Hansen, ma sento che
sto accedendo a informazioni così riservate che neanche la
CIA può reperirle e lo apprezzo davvero, sono pronto ad
accoglierle e a dimostrare che capisco e le custodirò.
"Zoe Murphy, lei non è la classica ragazza che trovi in una
scuola come la nostra, lei è unica, incredibile, speciale,
con quell'attitudine un po' da stella del palcoscenico senza fare
davvero niente per avere i riflettori puntati addosso."
Sospiro, non so davvero dove voglia arrivare Hansen, ma sono stanco di
sentirlo parlare di mia sorella. "Sì, lo so, Zoe
è unica e speciale, io invece sono piuttosto insignificante.
Grazie tante per il promemoria."
Hansen si ferma, mi afferra le mani e scuote la testa. "No, anche tu
sei unico e speciale, a modo tuo, con la tua firma."
Resto in silenzio, penso che il mio cuore stia accelerand- ah no giusto.
"Argomenta, Hansen!"
"Sei interessante, creativo, spiritoso, buono, gentile, intelligente,
sei un bel ragazzo, sei un buon amico, sei profondo. Non lo so, serve
altro? Perché dobbiamo sempre giustificare le nostre parole?
Sei speciale e unico, punto. Non devi essere chissà chi o
aver fatto chissà che per esserlo. Connor, non sei il
bambino che ha tirato la stampante a Mrs. G."
Resto in silenzio, sconvolto, spaventato, colpito perché ad
Hansen non gli ho raccontato la realtà dei fatti, ma
soprattutto perché nessuno mi aveva mai detto niente di
simile.
"Non devi essere perfetto perché ti vogliano bene e
sì, sei una persona buona. Hai commesso degli errori, ma non
siamo i nostri errori. Giusto?"
"Giusto..." mormoro.
Tra noi cala di nuovo il silenzio, ci guardiamo negli occhi
finché Hansen non mi lascia le mani, i miei sono lucidi.
Riprendiamo a camminare.
"Comunque sia, anche se non hai chiesto esattamente il mio parere molte
delle cose che hai detto a Zoe sono vere. Forse non le avrei mai dette
così, ma grazie... suppongo, penso che adesso siamo
più vicini di quanto non lo siamo mai stati da quando... da
quando le cose nella mia famiglia si sono complicate."
Evan accenna un sorriso, uno di quelli che ti scaldano nel profondo.
"Dammi un po' di tempo per dimenticarla e torneremo da lei, mi dirai
tutto ciò che vuoi sappia e glielo comunicheremo insieme."
Ha senso abbracciare Hansen in questo momento? Forse sì,
forse no, fatto sta che resto solo a guardarlo in silenzio con questo
stupido desiderio che mi stringa forte perché è
tutto ciò di cui avrei bisogno adesso.
Sono passati quattro giorni da quando Evan ha baciato mia sorella e non
è più lo stesso. Se vi state domandando cosa
abbiamo fatto in questi quattro giorni la risposta è "ci
siamo conosciuti meglio", Evan si è molto aperto e io gli ho
affidato parti scomode di me. Devo ancora superare la scena di Hansen
sulla bocca di mia sorella, ma ci sto lavorando.
Siamo sul pullman per andare a scuola ed Evan sta scrivendo una di
quelle lettere per il suo terapeuta.
"Caro Evan Hansen, oggi sarà una bella giornata ed ecco
perché: perché non dovrebbe piovere a differenza
di ieri e questo è un bene perché non hai dovuto
mettere l'ombrello nello zaino, quindi sembra un po' più
leggero. In fede, io."
Penso che Hansen stia migliorando perché riesce a trovare la
gioia nelle piccole cose. Chi lo ha deciso che deve per forza esserci
un grande evento perché sia una bella giornata? Nel mio caso
sarebbe bastato che nessuno mi prendesse in giro.
Mrs. Bortel sostiene una scatola di cartone tra le braccia, dietro di
lei c'è il preside. L'autista del pullman ferma giusto in
tempo per farci assistere a questo simpatico teatrino.
"Stai peggiorando le cose, Bonnie. Questa è
proprietà della scuola" dice Mr. Howard.
"Questa è roba mia" ribatte Mrs. Bortel.
"Bonnie, per favore." Mrs. Bortel si ferma, si volta verso il preside.
"John, preparati, perché ti sto facendo causa." La mascelle
cadono collettive mentre Mrs. Bortel entra nel parcheggio con sua auto
sportiva nera.
Il preside Howard, con un sorriso professionale, ci incoraggia a
continuare a muoverci, ma non possiamo non vedere quello che abbiamo
appena visto.
Già ieri l'ho notato che non c'erano più
così tante persone a fissare Hansen durante il pranzo
rispetto a quando è stata annunciata la mia tragica
scomparsa prematura.
Ora si tratta di pochi sguardi di passaggio, neanche davvero mirati.
Mentre Evan ispeziona la mensa io noto Sam, ha rotto i coglioni per una
settimana intera sedendosi sempre a tavola con noi, ma adesso a stento
saluta Hansen.
'Alcune persone seguono il corso del fiume, io mi sento perennemente
come se stessi annegando' mi comunica Evan col pensiero, suppongo non
sia facile tornare a essere nessuno.
'Dove ti sedevi ogni giorno? Cosa mangiavi?' cambia frettolosamente
argomento.
"C'è una collina dietro il laboratorio di chimica. Prendevo
il vassoio dalla mensa, l'offerta del giorno e mangiavo lì,
indisturbato" gli rispondo.
"Ti va di portarmici? Non sopporto più tutte queste voci,
questo rumore che forma un muro e io non riesco a fare altro che
rimanerci bloccato davanti, non connetto con nessuno..."
Sospiro, mi viene naturale fargli una carezza gentile, non mi serve
molto per capire che non si sta riferendo in maniera universale e che
anzi il solo avergli parlato ha sfondato il muro menzionato. "Andiamo."
Hansen apre Twitter, l'argomento che aleggia tra gli studenti a scuola
è Mrs. Bortel. C'è chi dice che sia andata a
letto con uno studente chi afferma che abbia una tresca col preside
Howard. Normale amministrazione, nessuno mai a farsi i cazzi suoi.
Non sono sorpreso, ma pensavo di essere ancora io il centro
dell'attenzione perché mi sono suicidato solo da due
settimane e già non si parla più di me? In questo
momento sono felice che Evan non possa sentire i miei pensieri
perché non gli piacerebbe sapere quanto sono egocentrico.
Beh sì, Connor Murphy è passato di moda.
Il pranzo vola tra una chiacchiera e l'altra, sono sollevato che
nessuno possa vedere Hansen perché per chiunque non sappia
la realtà dei fatti sembrerebbe solo un caso da TSO.
È ora di tornare in classe, Hansen va a prendere i libri
nell'armadietto, non appena lo chiude spunta Alana Beck, entrambi ci
prendiamo un colpo.
"Gesù, mi hai spaventato!" squittisce Evan.
"Ho bisogno di mostrarti una cosa" dice immediatamente Alana. Ogni
volta che questa ragazza apre bocca sembra che ti stia rimproverando,
si veste come se fosse la presidentessa di un piccolo college di arti
liberali e probabilmente potrebbe diventarlo. Non solo le piace seguire
le regole, ma è anche l'unica che sa quali siano.
Evan la segue, la corsa si ferma davanti a un bidone della spazzatura,
Alana invita Evan a guardare dentro, lo faccio anche io.
Sopra un mucchio di rifiuti spicca una delle spille con la mia faccia
sopra, suppongo abbia trovato il suo posto perché era
orribile.
A questo strano sentimento di giustizia si sostituisce rapidamente un
nodo alla stomaco, un senso di soffocamento. Rabbia e tristezza si
mescolano. Sono un rifiuto, sono spazzatura, le persone hanno finto che
fossi qualcosa di più, ma è questo tutto
ciò che sono.
"È la terza che trovo" dice Alana. "La prima era a terra nel
parcheggio, a quanto pare qualcuno ci è passato sopra con la
macchina. Ce n'era un' altra nel water nel bagno delle ragazze. Si
è otturato..."
La rabbia ammonta, fa caldo, caldo come quando ero ancora qui e vedevo
rosso. Suppongo sia questo che mi spetti. Onestamente non so nemmeno
perché ci sto così male. Queste persone non mi
hanno mai voluto bene, già è un miracolo che
qualcuno si sia degnato di piangere la mia scomparsa.
Benvenuti, studenti, prendete il vostro personale Connor Murphy e
fatene ciò che volete. A nessuno importa dove finiscono i
rifiuti tranne a quelli che si battono per l'ambiente.
Mi accovaccio, ho le mani tra i capelli, sto piangendo e urlando, lo
sento, ma non lo sento. Semplicemente non riesco a smettere, fa male.
Quando ero ancora vivo nessuno si è mai fatto problemi a
buttarmi come se fossi un oggetto rotto, ad abbandonarmi in un angolo
come un paio di mutande sporche. Suppongo che non sia cambiato niente,
nessuno mi ha mai visto come persona. Sono sempre stato una cosa.
"Aggiusta mio figlio.", "Chiedi a Murphy, sfruttalo pure tanto
è talmente fuori che si dimenticherà che ti ha
prestato dei libri."
"Perché mi stai mostrando questo?" sento la voce di Evan,
c'è rabbia nel suo tono, come se si stesse battendo per me.
"Ho notato che si stava iniziando a parlare di meno di Connor e ora
addirittura questo? Alla gente non importa più.
Ciò di cui tutti vogliono parlare è Mrs. Bortel.
Si dice che abbia molestato uno studente, ma ho anche sentito che
potrebbe aver avuto una relazione con il preside Howard" gli risponde
Alana.
"La gente si è completamente dimenticata di Connor Murphy.
Non puoi permettere che accada, Evan. Eri il migliore amico di Connor."
Non sembra così folle sentirlo dire, suppongo che sia
diventato vero. Evan è stata l'ultima persona con cui ho
parlato nel giorno della mia morte e abbiamo avuto uno scambio
autentico. Per persone come noi questo tipo di interazione è
rara e ha in qualche maniera creato una forma di legame. Evan era
l'unico a sapere come mi sentissi quel giorno. Chi altro oltre a lui ha
pensato a me anche solo per un secondo questa settimana? Forse Alana e
poi? Okay Zoe, i miei, ma io parlo di questa scuola, degli studenti che
hanno speso un sacco di parole per commemorarmi sui social solo per
attirare l'attenzione su di loro. Esiste una sola persona in questa
scuola che fosse più vicina a me di quanto lo sia Hansen?
"Forse puoi chiedere a Zoe di fare qualcosa", dice Alana. "È
la persona perfetta per riportare l'attenzione su Connor. Era sua
sorella."
Hansen balbetta, si tortura le mani, sospira. "Mi dispiace. Non
posso... non credo che sia il modo migliore per convincere la gente a
ricordarlo."
Alana gli lancia uno sguardo che lo riduce alla metà della
sua taglia. "Beh, ti garantisco che se non farai tu qualcosa nessuno si
ricorderà di Connor. È questo che vuoi?" si
allontana di corsa senza aspettare una risposta.
Hansen guarda la mia faccia nella spazzatura e mi viene vicino, da
qualche parte tra le parole di Evan e quelle di Alana devo aver smesso
di urlare. Mi abbraccia, non curante dei passanti, mi stringe forte e
sospira. "Ricordati che sei speciale e unico, Connor. Speciale e unico
e sei il mio migliore amico."
Nei suoi occhi c'è una nuova determinazione. "Se
è questo ciò di cui hai bisogno mi
riempirò di spille da capo a piedi a farò in modo
che ti vedano."
Ho smesso di piangere, accenno un sorriso timido. "Non è
necessario, Hansen. Per me possono anche dimenticarmi, mi basta che non
lo faccia tu."
Fantastico è il fatto che Evan sta facendo terapia e io sono
talmente rispettoso che mi sono andato a fare un giro. Sono curioso,
vorrei vedere una vera seduta come si svolge e guardare nella testa di
Evan, ma già ho un accesso privilegiato che nessun altro
vanta.
Come al solito in assenza di Evan constato quanto non mi veda
né senta nessuno, passo attraverso le porte, i muri, persino
le persone e la gente si siede su di me, questa cosa la odio.
Quando non posso stare con lui davvero non so che fare, è
facile che la depressione prenda il sopravvento, rimuginare su ricordi
dolorosi, pensare a lui, non Evan, LUI. Cerco di distrarmi, mi
concentro sulla musica che viene dalla radio vicino alla segreteria,
ogni canzone, ogni parola, tutto pur di non finire in un mare di
sofferenza.
Quando la porta si apre non mi pare vero, mai stato più
felice di rivedere Hansen. So che non può parlarmi, ma mi
sembra veramente turbato e vorrei sapere che cosa è
successo. Non importa, lo rispetto e torniamo a casa.
Qualche giorno fa sia io che Evan abbiamo sentito Heidi urlare a
telefono con un'amica. "Potrei fare un figlio in questo momento se lo
volessi. Proprio adesso! E poi non è vecchio per avere un
nuovo bambino?"
Hansen si è coperto le orecchie come se volesse proteggerle
da quelle parole dolorose e addolorate. La nuova moglie di suo padre
apparentemente è incinta e nessuno ha preso bene la notizia,
suppongo che sia questo ciò che lo turba tanto.
"Cosa stai guardando?" chiede Heidi entrando in salotto.
"Un documentario su Vivian Maier, la tata che nessuno ha capito fosse
anche una fotografa geniale fino alla sua morte."
"E chi è il ragazzo che parla?"
"È colui che ha scoperto tutte le sue foto dopo che
è morta. È lui che ha realizzato il film su di
lei."
"Questo ragazzo è impressionante."
"Non lui. Lei. Vivian Maier è una donna."
"Lo so. Cavolo. Dammi un po' di fiducia. Sto parlando del ragazzo che
ha messo insieme tutto."
"Oh, giusto, il regista. Il suo nome è John Maloof e il film
parla anche di lui. Immagino tu abbia ragione. È spaventoso.
Senza di lui, nessuno saprebbe chi era Vivian Maier."
Lo sguardo di Evan ricade sul gesso mentre pronuncia quelle parole, sul
nome, sul mio nome scritto, lo accarezza con gentilezza.
"I morti non possono raccontare le loro storie quindi qualcuno deve
farlo per loro" dice Heidi.
Ritornati in camera di Evan lo vedo che si mangia le unghie
nervosamente seduto sul letto, mi guarda come se avesse una domanda che
non sa porre.
"Che devo fare?!" finalmente sputa.
"Perché non ne parli con Zoe?" gli domando.
Mi guarda come se gli avessi appena detto che i dinosauri si sono
estinti a causa di una valanga di cioccolato scivolata improvvisamente
da un castello sulle nuvole.
"Hai detto che devo tenermi lontano da tua sorella" mi risponde.
"Sì, ma è anche vero che nemmeno lei vuole
vedermi nella spazzatura."
"E comunque non posso parlare con Zoe, è già
tutto troppo complicato con Zoe."
"E questo chi lo ha detto? Jared? Perché ne hai parlato con
Jared in primo luogo?!
"Perché con chi altro potrei parlare?" dice Evan
abbandonandosi sul letto disteso con un profondo sospiro, si mette le
mani in faccia in preda alla disperazione.
"Puoi parlare con me" dico col tono più adorabile di cui
sono mai stato capace sdraiandomi accanto a lui.
"A meno che tu non abbia altre opzioni..." ritratto con un tono quasi
offeso perché Evan ha appena sbuffato.
Incrocio le braccia al petto, Evan mi guarda, dalle fessure tra le
dita. "Non so che fare."
"Ascoltami, Zoe, i miei genitori, loro hanno bisogno di te. Sei l'unica
persona che possa fare in modo che le persone non mi dimentichino... ah
giusto, lo hanno già fatto" mormoro facendo sbattere la mano
che avevo usato per gesticolare sul letto.
"Dopo solo due settimane..." commenta Evan.
"E una volta che si saranno dimenticati completamente di me cosa pensi
che accadrà a te? Voglio dire... a nessuno importa delle
persone come noi..." mormoro mettendomi su un lato dandogli le spalle.
"Persone come noi?" mi domanda Evan.
"Connor Murphy, il bambino che ha lanciato una stampante a Mrs. G o
Evan Hansen, il ragazzo che è rimasto per ore fuori la sala
della band jazz solo per parlare a Zoe Murphy, ma le sue mani erano
troppo sudate. Ti ho visto Hansen e ci pensi talmente tanto che so
persino che volevi fingere che mia sorella di chiamasse Cloè
per avere una battuta in più da recitare prima che si
chiudesse la conversazione. Capisci? Persone così..."
Evan mi scuote appena, mi costringe a sostenere il suo sguardo senza
più protezioni.
"Ragazzi come me e te, noi siamo solo perdenti che aspettano di essere
visti, vero? Voglio dire a nessuno importa, né si rendono
conto che ci siamo così ci perdiamo da qualche parte..."
mentre parlo mi alzo e inizio a fluttuare per la stanza.
"Ma..." dico guardando Evan, avvicinandomi a lui mentre si rimette
seduto.
"Se in qualche modo riesci a farli ancora parlare di me e mi rendi
qualcosa di più di un ricordo abbandonato..."
Gli prendo le mani così come nei giorni precedenti ha fatto
lui più volte. "Significa che anche noi siamo importanti,
significa che qualcuno vedrà che ci siamo." Sull'ultima
frase lo tiro su costringendolo ad alzarsi.
"Nessuno merita di essere dimenticato..." la mia voce si spezza
sull'ultima parola perché so che sto chiaramente parlando
della mia sorte, le lacrime inondano i miei occhi spaventati.
"Nessuno merita di svanire, nessuno dovrebbe andare e venire senza che
qualcuno sappia che ci sia mai stato" mi sono lasciato trasportare e
nel trascinare Evan con me l'ho fatto cadere a terra, un po' come nel
giorno in cui l'ho spinto.
"Nessuno merita di scomparire..." mormoro, mi chino tendendogli la
mano, con questo gesto sento il riscatto nei miei errori. Evan la
prende, la stringe e si rialza. "È vero!" mi dice.
Le nostre dita si intrecciano, un po' come era successo in quel posto
non meglio definito dove siamo stati, il frutteto insomma, teniamo la
stretta alta vicino al viso, parliamo quasi sfiorando il dorso delle
nostre mani come si ci stessimo confidando una realtà troppo
grande perché chiunque la possa sentire.
"Anche se sei sempre stato una persona a malapena nello sfondo" dico.
"Sei importante lo stesso" mormoriamo insieme.
"Anche se sei qualcuno che non riesce a togliersi di dosso la
sensazione che il mondo vada troppo veloce e gli passi davanti."
"Sei importante lo stesso" dice Evan.
"Se non dovessi mai fare niente di eccezionale, questo non significa..."
Evan mi interrompe e conclude la frase esattamente come l'avevo pensata
"che tu non sia degno di essere ricordato."
"Pensa alle persone che hanno bisogno di saperlo" gli dico sciogliendo
la presa, Evan mi passa attraverso.
"Hanno bisogno di saperlo" dice.
"Quindi tu devi mostrarglielo" gli dico.
"Io devo mostrarglielo!" urla Hansen determinato, raggiunge il computer
che si trovava proprio dietro di me, lo apre, digita un sito web.
"Nessuno dovrebbe spegnersi lentamente o avere anche solo il dubbio che
sia importante la sua presenza qui su questo pianeta" diciamo
all'unisono e non lo so, sono stupito, forse ho creato una strana
connessione celebrare tra noi o la nostra sintonia è
semplicemente pazzesca.
"Quando cadi e non c'è nessuno tutto ciò che
desideri è che qualcuno ti trovi. Quando cadi in una foresta
o in un parco pubblico e non c'è nessuno attorno a te, tutto
ciò di cui hai bisogno è che qualcuno ti trovi"
gli dico animatamente.
Mi seggo accanto a lui e lo vedo digitare, mi viene automatico
appoggiare il petto alla sua schiena lì dove lo schienale
della sedia non ci divide e anche tenergli le braccia abbandonate lungo
il petto in una specie di abbraccio.
"Lo chiamerò 'Il progetto Connor' " mi dice Evan dopo aver
finito di scrivere. Mi basta solo guardare qualche riga per avvolgerlo
nell'abbraccio più vero che io abbia mai riservato negli
ultimi anni. Il mio povero cuore ci tiene a parlare.
"Ti voglio bene, Evan."
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Capitolo 9 *** The Connor Project ***
Alana Beck sta per entrare a scuola, Hansen le si avvicina titubante,
tra le mani un pezzo di carta stampata piegata due volte per formare
tre sezioni uguali.
Ne abbiamo parlato a lungo ieri notte durante tutta la realizzazione
dell'opuscolo e alla fine sono riuscito a convincere Hansen che Alana
fosse la persona migliore per promuovere l'iniziativa, dal momento che
era stata la prima a suggerire di fare qualcosa per mantenere viva la
mia memoria.
"Il progetto Connor" dice Evan come se avesse già fatto
tutto il discorso nella sua testa ad alta voce, le allunga il prototipo.
"Il progetto Connor?" domanda Alana confusa.
Evan realizza di non aver mai detto ad alta voce una sola delle parole
introduttive del suo discorso, Alana scruta attentamente il foglio di
carta come un'insegnante che corregge il compito dell'ultimo della
classe.
"Ho parlato con Connor ieri notte..." un altro passo falso di Hansen.
Alana lo guarda perplessa, poi sembra che le si illumini una lampadina.
"Oh certo, Connor ti è apparso in sogno e ti ha suggerito
cosa fare."
"Esatto..." dice Hansen ridacchiando istericamente. "Non so se ti
piac-" cerca di dire, ma viene subito interrotto.
"Lo adoro" esulta Alana. "Che cos'è?"
"Beh, sarebbe un gruppo di studenti dedicato a mantenere viva la
memoria di Connor e mostrare che lui... è
importante. Che tutti contano."
Alana tace.
"È solo un'idea approssimativa. Non deve essere esattamente
così, ovviamente" mormora Evan insicuro.
Alana si porta una mano sul petto, fa un leggero inchino. "Sono
così onorata" dice. "Accetto con immenso orgoglio il ruolo
di vicepresidente del Progetto Connor."
"Vicepresidente?" domanda Hansen confuso.
Beck gli appoggia una mano sulla spalla apprensiva. "Hai ragione.
Dovremmo essere co-presidenti."
"Che sarebbe?" domanda Kleinman sbucando dietro le spalle di Hansen.
Evan sobbalza, si tortura le mani e accenna un sorriso. "Il Progetto
Connor" dice cercando di mostrarsi sicuro.
"Il Progetto Connor?" domanda Kleinman perplesso.
Beck interviene prima che Evan possa dire qualunque altra parola.
"Un'incredibile, innovativa, talentuosa iniziativa che
cambierà la vita a ogni studente di questa scuola."
"Un gruppo dedicato a tenere viva la memoria di Connor così
che nessuno possa dimenticarlo..." cerca di dire Evan.
Kleinman trattiene a stento le risate, ma sul suo viso c'è
una sfumatura di tenerezza sconosciuta. "Uno spazio per ricordare il
tuo ragazzo, insomma?" domanda.
Evan arrossisce, penso si fosse dimenticato nuovamente la versione dei
fatti di Kleinman.
"Ragazzo?" chiede Beck sorpresa. "Evan, tu e Connor non eravate solo
amici?"
Hansen si tortura le mani, mi guarda come se potessi parlare al posto
suo, sospira, lo fa altre due volte, si mette le mani tra i capelli.
Kleinman gli avvolge le spalle con un braccio e lo tira verso di
sé. "Stavano insieme, nessuno lo sapeva perché
è scomodo essere gay in questa scuola o in America..." dice.
Beck si porta una mano alla bocca e poi avvolge Evan a sua volta in un
abbraccio. "Mi dispiace così tanto... dovremmo proprio
creare un gruppo di ascolto per tutte le persone LGBTQ+ in questa
scuola. Sono tantissime, ma hanno tutte paura di mostrarsi."
Evan sospira, riapre gli occhi che aveva chiuso per paura di ricevere
uno sguardo pieno di giudizio, ma trova solo comprensione. "Una causa
alla volta" riesce a dire.
"Dobbiamo fare un sito web" dice Jared interrompendo quel momento tanto
potrei dire romantico. Alana ed Evan lo guardano con un punto
interrogativo crescente sopra le loro teste.
"Ma abbiamo bisogno di un vero esperto. Si dia il caso che ce lo avete
davanti. Tech Consigliere, baby."
"Cos'è?" chiede Alana.
"È una roba presa da "il Padrino", giusto?" domanda Hansen.
"Precisamente" dice Jared. "Lavorerò gratuitamente
purché io venga indicato come Consigliere tecnico del
Progetto Connor."
"Va bene, qualunque cosa" dice Hansen. "Possiamo scriverlo nei contatti
del sito web."
"Oh no, dovrai chiamarmi così anche in una normale
conversazione" dice Jared con orgoglio.
Quel Kleinman, il giorno in cui gli romperanno il naso sarà
sempre troppo tardi.
"Jared...andiamo..." lo riprende Evan.
"Che ne dici del ruolo aggiuntivo di tesoriere?" suggerisce Alana.
"Starà benissimo sul tuo curriculum per fare domanda al
college."
Jared studia il viso di Alana, poi alza le mani facendo il segno della
pistola. "Questo terrebbe buoni i miei genitori, ne sarebbero
compiaciuti."
Suppongo che sia deciso, questa cosa si farà e i portavoce
della mia storia andranno fino in fondo.
"Quindi pensi che dovremmo davvero farlo?" domanda Hansen, per chiunque
il suo sguardo sarebbe solo perso all'orizzonte, invece io so che sta
parlando con me, sta guardando me, sta chiedendo la mia benedizione.
Sto per rispondere quando Beck mi precede. "Stai scherzando, Evan? Noi
dobbiamo farlo. Non solo per Connor, ma per tutti. Nessuno merita di
essere dimenticato, nessuno merita di sparire nel nulla."
Io ed Evan ci guardiamo sorpresi, è successo di nuovo:
quella strana connessione per cui improvvisamente le persone parlano
con le mie parole o semplicemente un'incredibile sintonia che permette
di esprimere esattamente quel concetto.
"E si fotta Mrs. Bortel" aggiunge Jared.
Sono sorpreso, sembra che anche a lui desse fastidio che non fossi
più il focus dell'attenzione e dalla sua espressione posso
dire con certezza che non solo perché il suo merchandising
non era più richiesto.
C'è una bella atmosfera propositiva, Hansen è
quasi calmo, Kleinman gentile e Beck spontanea e non costruita come suo
solito come se dovesse sostenere un esame. Se non sapessi cosa
c'è dietro penserei di essere finito in un universo
parallelo.
"Non dovremmo chiedere l'approvazione dei Murphy prima continuare?"
domanda Alana.
"Lo penso anche io, ma credevo fosse meglio avere per le mani prima
qualcosa di concreto che un'idea a parole e un opuscolo con Comic Sans"
dice Evan timidamente.
"Oh no, io non lavoro per poi buttare tutto nel cesso. Andiamo a
parlare con quei poveri genitori addolorati prima che io metta la mia
intelligenza a vostro servizio per nulla" conviene Kleinman con
un'odiosa vena sarcastica.
Alla fine delle lezioni Jared Kleinman esattamente come in Mean Girls
ferma la macchina davanti a Evan e Alana, riunitisi davanti al cancello
scolastico. "Saltate su, perdenti. Si va a fare shopping!" dice dopo
aver abbassato il finestrino ed eventualmente gli occhiali da sole.
Hansen e Beck si scambiano un'occhiata confusa, poi entrambi salgono in
macchina, Alana accanto a Jared ed Evan sui sedili posteriori, io mi
seggo vicino a lui.
"Shopping?" domanda Alana perplessa. Mi gioco tutto che questa ragazza
non ha mai neanche sognato di fare un giro per i negozi con le amiche
solo per il brivido di sentirsi più bella. È
già quella intelligente.
"Se dobbiamo fare questa cosa dobbiamo farla bene. Ci serve
l'occorrente necessario. Cartellini, borse da lavoro convincenti e un
look che ci renda credibili" spiega Jared.
Alana batte le mani compiaciuta. "Mi piace come ragioni."
Hansen si tortura le mani terrorizzato. "Io ho solo cinque dollari in
tasca."
"Vorrà dire che comprerai gli evidenziatori" dice Alana con
convinzione come se fosse la cosa più ovvia e normale del
mondo.
Ed eccoli, in un attimo, tre perfetti sconosciuti sembrano gli amici di
una vita intera. Dimentico sempre o forse semplicemente voglio
dimenticare che Kleinman e Hansen hanno dei trascorsi, hanno un passato
insieme oltre a un presente, hanno una storia di cui io non faccio
parte in cui uno era un po' più sicuro di sé per
rispondere a tono e l'altro un po' di più per sbattersene il
cazzo della popolarità, quando erano amici in maniera
più sincera insomma.
Comunque è bello e quasi invidiabile, guardarli mentre
discutono sulla strada da prendere per il centro commerciale
più vicino, cantano a squarciagola quella canzone alla radio
che sta passando proprio in questo momento e a tratti si sorridono come
se non ci fosse niente di più prezioso dei presenti.
"I want something just like this!" urlano tutti insieme, come se si
stessero confessando un segreto scomodo e troppo grande
perché qualcuno fuori dal SUV sappia cosa farsene.
La voce acuta di Beck si mescola a quella a corposa di Kleinman e
sovrappone alla melodiosa di Hansen. Sono la stessa frequenza eppure
sembrano tutte andare in direzioni diverse.
Silenzio improvviso, solo le parole di Evan, delicate carezze alle
orecchie, riempiono lo spazio.
"P-Perché vi siete fermati?" domanda Evan allarmato
ritrovantosi a esibirsi in un assolo.
"Cazzo Evan, è con questa voce che hai conquistato Connor?"
gli chiede Kleinman.
Sentendomi chiamato in causa mi viene automatico rivolgergli uno
sguardo e accennargli un sorriso, che Hansen ricambia arrossendo.
Non sono il tipo che viene conquistato per quello che sai fare, ma
più per come sai parlare al mio cuore. No, l'amore
è una cosa incredibile e in parte inspiegabile, ha ben poco
a che vedere con come mi tratti e molto a come mi fai sentire, a cosa
si crea tra noi. Potresti darmi e fare tutto ciò di cui ho
bisogno e tra noi potrebbe ugualmente non scattare mai niente.
L'amore è un pulsante che si preme per caso e cambia ogni
cosa. Cambia come ti senti.
Evan tace, mentre Jared incalza sull'argomento. "No, seriamente. Hai
sempre avuto questa voce o...?"
Hansen non risponde, ma posso vedere il giro dei suoi pensieri. Non si
direbbe che nasconda al suo interno una potenza simile, forse proprio
perché nessuno riesce a vedere il leone che è in
lui. Io l'ho osservato così da vicino da poter notare anche
quanto fossero dilatati i pori della pelle e posso testimoniare che non
appena Evan ha realizzato di non essere da solo a cantare ha iniziato
anche a muoversi come se volesse interpretare il pezzo, viverlo.
"Ti piace cantare, vero?" gli chiedo incuriosito.
Evan annuisce. "Sì" risponde, Kleinman non sa che era per me.
"E perché lo scopro solo ora?" protesta quasi indignato.
"I tuoi polmoni sono incredibili, Evan" commenta Beck. "Potrebbero
tornarci utili."
Hansen trema, già posso vederlo a raggomitolarsi sul palco e
supplicare silenziosamente che qualcuno lo venga a prendere. I suoi
concerti sono riservati.
"No, dico sul serio, amico. Hai mai pensato di fare qualche provino?"
chiede Kleinman.
Evan scuote la testa, si stringe nelle spalle. "Non sono niente di che."
"Stai scherzando?!" insiste Alana. "Evan, mia cugina Patricia
è un'alunna del conservatorio e non canta così
bene. Tu trasmetti e hai carattere."
Hansen trema."Io? Carattere?"
"Sì!" diciamo tutti all'unisono.
"E le palle grandi quanto due pompelmi" aggiunge Jared.
"No, non davvero..." sussurra Hansen, poi alla radio parte una nuova
canzone ed Evan viene travolto nel suo mondo.
"You just want attention, you don't want my heart."
Le parole, la musica, la tecnica, ogni singola cosa travolge tutti noi
e diventiamo spettatori di un piccolo concerto improvvisato.
Quando raggiungiamo il centro commerciale Jared accosta e attende che
la canzone alla radio finisca prima di spegnere la macchina.
"Okay, Kelly Clarkson, adesso andiamo a rifarti il look" dice.
Evan arrossisce di botto, forse nella realizzazione che ci ha
intrattenuti con le sue performance, di cui siamo tutti onorati, senza
averne avuto il controllo.
Beck e Kleinman scendono dall'auto, io e Hansen rimaniamo un po'
indietro.
"Seriamente Evan, dovresti cantare. Sai quanto ti aiuterebbe con
l'ansia e a costruire la tua autostima?" gli dico.
Lui mi guarda, si gratta una guancia. "È che non voglio mi
sentano..."
"Chi ti deve sentire se non io quando stiamo a casa tua? Tua madre non
c'è mai."
Evan annuisce, sospira. "I vicini..."
"Ma cosa ti importa dei vicini, scusa? A stento li saluti..."
"Appunto... pensa se scoprissero che.." lo interrompo.
"Che hai talento? Che sei incredibilmente capace di trasmettere
emozioni? Che la tua voce è bellissima? Che spacchi?!"
Evan arrossisce. "Lo pensi veramente?"
"Ti risulta che io sia uno che fa complimenti non sentiti?"
"Hey Evan, se hai finito di parlare col tuo amico immaginario noi
stavamo pensando di regalarti un nuovo taglio di capelli" dice Jared
interrompendo il nostro momento.
"R-Regalarmi??" domanda Hansen confuso. Beck e Kleinman si limitano a
sorridersi.
"Vieni con noi" dicono prendendolo sotto braccio ognuno a un lato e
trascinandolo dal parrucchiere, Evan mi guarda spaventato voltandosi
indietro.
Qualche minuto più tardi Evan guarda le ciocche bionde dei
suoi capelli adagiarsi sul pavimento come le foglie quando cadono dagli
alberi. La ragazza che si sta occupando della sua acconciatura continua
a fargli delle domande a cui Hansen non sa rispondere perciò
Kleinman lo fa per lui.
Mi gioco tutto che Evan non era mai stato dal parrucchiere proprio per
non dover interagire con un estraneo.
La ragazza, Carol, stando alla targhetta sulla divisa, prende uno
specchio tondo per mostrare il risultato sul retro ad Hansen e per
qualche istante la sala si riempie solo del suo stupore.
La massa informe di ricci biondi ha trovato una sua sistemazione e ora
Evan sembra anche più grande, ma non più vecchio,
più maturo e sicuro di sé.
"Grazie bambola, hai fatto un capolavoro. Il brutto anatroccolo
è diventato un cigno" commenta Jared e devo dargli ragione.
Evan è già di base un bel ragazzo, ma con questa
cura in più non può passare inosservato. Il che
non è un bene per lui, ma lo è almeno per la
nostra causa.
Jared e Alana si dividono le spese pagando alla cassa, mentre Evan
resta da solo con Carol e con me.
"Che ne pensi?" mi domanda. "Penso che le ragazze cadranno ai tuoi
piedi al ballo scolastico" mi precede Carol, non sa che si stava
rivolgendo a me.
Evan ridacchia sommessamente e accenna un sorriso. "Credo che anche i
ragazzi non ti disdegneranno" dico.
"Tu ci usciresti con me?" chiede nuovamente ad alta voce. Carol
è giovane, una di quelle ragazzine che si mettono a lavorare
presto forse per mettere da parte i soldi per il college.
"Io?" domanda la parrucchiera. Beh no, Carol, mi dispiace moltissimo
deluderti, ma era un'altra domanda per me.
"Credo di sì, se non avessi già il ragazzo
accetterei...scusa..." dice leggermente imbarazzata.
Hansen è una fiammata di disagio. "Dicevo per dire, non come
proposta...nel senso se mi ritieni attraente" cerca di giustificarsi.
"Molto" rispondo finalmente. "L'aspetto per me è proprio
l'ultima cosa, ma sei obiettivamente e innegabilmente figo."
Evan arrossisce ancora di più. "Grazie..." mormora.
Carol è confusa, ma conclude semplicemente che sia un
ringraziamento per il taglio.
Come usciamo dal negozio Jared gli dà una spallata
amichevole di quelle che vogliono sottintendere qualcosa, ma lo dice
esplicitamente.
"Allora... tu e Carol? Penso che due settimane siano abbastanza per il
lutto, ora devi rimetterti sulla piazza."
Beck sospira, gli accarezza delicatamente la schiena. "Evan
è ancora tanto addolorato, ma gli occhi ce li ha e quella
ragazza è molto carina. Come la maggior parte delle ragazze,
carina in senso normale si intende, non in senso di attraente.
Attraente, certamente, ma non per me, non in maniera specifica, non
più delle altre ragazze che comunque non guarderei
perché non mi interessano."
La confusione è solo sul viso di Alana, io, Hansen e
Kleinman invece abbiamo le idee chiarissime. Chi potrebbe interferire
sceglie di rimanere in silenzio, chi non sa cosa dire altrettanto e
parlo solo io col mio unico ascoltatore.
"Beck è lesbica o qualcosa del genere" commento.
"Sì, lo penso anche io..." conviene Hansen.
"Certo che voi due siete fatti l'uno per l'altra" dice di punto in
bianco Jared. "Parlate allo stesso modo, fateci un pensiero."
Beck e Hansen arrossiscono, mentre sul volto di Kleinman vedo una
strana espressione che non riesco a comprendere, una nuova sfumatura di
fastidio.
Il teatrino si interrompe perché Hansen decide di ricordare
ai presenti degli evidenziatori e la fermata successiva è
una cartoleria dove si riempiono di tutto il necessario.
Segue un giro tra i negozi, che diventa presto una sfilata da camerino
in camerino e lungo il corridoio di questi.
Hansen si sta divertendo e anche io, a consigliargli o meno qualcosa.
Jared ed Evan cercano di svecchiare il guardaroba di Alana. Devo
ammettere che le dona moltissimo quella camicetta rosa con le maniche a
sbuffo sopra jeans strappati di un azzurro chiarissimo, la fa sembrare
finalmente una diciassettenne spensierata. Quella sfumatura contrasta
con la carnagione tanto scura della sua pelle e mette in risalto anche
gli occhi.
"Perché non ti fai le treccine per tutti i capelli? Secondo
me ti donano" propone Hansen.
"Ottima idea, Evan" conviene Alana e presto siamo da un altro
parrucchiere.
Ancora qualche giro e Beck usufruisce di una prova gratuita di make up
e da sguattera si trasforma in principessa come la più
moderna Cenerentola.
Ora sono Beck e Hansen a cercare di rendere più
all'avanguardia il guardaroba di Kleinman. Quando hanno finito sembra
molto più un ragazzo interessante che un nerd esperto di
informatica.
Hansen è l'ultimo, ci si mette un secolo e mezzo per
trovargli qualcosa che sia di suo gusto e che si possa permettere, ma
alla fine ci si riesce e con una giacca di pelle sopra una maglietta
bianca Hansen è un'altra persona.
È praticamente sera quando la squadra finisce i preparativi
e tra una chiacchiera e l'altra realizza che manca poco alla cena e
deve sbrigarsi. Raggiungono l'auto e fanno rotta verso casa Murphy.
Nonostante Hansen abbia insistito per parcheggiare in strada, Jared
scarica il suo SUV nel bel mezzo del vialetto a forma di C di casa mia.
Scesi dall'auto Beck, Kleinman e Hansen camminano a passo spedito e
testa alta verso la porta d'ingresso. A guardarli così
sembrano dei giovani in carriera pronti a vendere un prodotto di
successo al loro cliente fortunato convincendolo che sta per fare
l'affare del secolo.
Lì, davanti al campanello, Alana apre una cartella e mostra
due spessi fasci di opuscoli multicolori plasticizzati. L'intestazione
Progetto Connor è stata ridisegnata, il carattere quasi
anonimo scelto da Hansen è stato sostituito con qualcosa di
spesso e audace.
"Mrs. Foster non è venuta oggi e ne ho approfittato per dare
un po' di carattere in più al nostro prodotto" dice
serissima.
"Non dovremmo aspettare la loro approvazione prima di iniziare a
modificare...?" domanda Evan preoccupato.
"Oh no di certo" gli dice Beck mettendogli un braccio attorno alle
spalle con aria di sufficienza. "Dobbiamo andare lì come se
stessero aspettando solo noi e avessimo la soluzione a tutti i
problemi. Dobbiamo vendere, Evan."
Jared annuisce, Hansen trema prendendo tra le mani un fascio di nuovi
opuscoli tesogli da Alana.
"Ma questa non è un'intervista, non dobbiamo
accattivarceli..." cerca di dire sentendo già l'ansia
montare.
"La vita è un'intervista, Evan" dice Beck, con una freddezza
tale da ghiacciare l'ottobre più caldo degli ultimi dieci
anni.
È ufficiale, se prima era solo una supposizione ora ne sono
sicuro: Alana soffre di ansia ad alto funzionamento. Se anche voi come
molti Americani ignorate completamente il vasto e complesso mondo dei
disturbi mentali lasciatemi solo dire che è una condizione
ingannevole. La persona che ne soffre è produttiva e in una
società basata sul capitalismo questo viene visto come un
chiaro segnale di benessere. È tutto il contrario, riempirsi
di impegni, portare il perfezionismo su un altro livello, sentirsi
schiacciati dalle aspettative e mettersene sempre di più
addosso per sentire di essere qualcuno è devastante.
Non che io sappia cosa si provi, questa mi manca, ma l'empatia no, che
ne dicano, quindi posso capire come si senta. Come noi, Beck
è una di noi, una invisibile.
Sommergendosi di successi di cui non gode davvero nessuno vede la sua
sofferenza né sente il suo grido di aiuto.
'Dove impari qualcosa del genere? I genitori di Alana devono essere
persone di grande successo. Scommetto che uno è un giudice e
l'altro è un chirurgo. Dal momento in cui è nata
si è allenata per prendere a calci in culo la vita' pensa
Hansen. Io scuoto la testa, non c'è proprio niente da
ammirare.
"La vita ha preso a calci in culo lei che si è nascosta.
Quella che vedi è una maschera per permetterle di camminare
nonostante sia crollata già molto tempo fa" spiego a Evan.
La sua fiducia in me è assoluta anche perché sa
che posso sentire i pensieri se mi concentro.
Forse spinto dalle mie parole Evan accenna un sorriso ad Alana e le
sfiora una spalla in segno di conforto. "A-Allora facciamo del nostro
meglio" dice.
"La cameriera ci viene ad aprire la porta o cosa?" dice Jared, suonando
il campanello.
"Non hanno una cameriera" spiega Hansen.
Jared lo guarda sconvolto, i suoi occhi indugiano sulle colonne che
costeggiano l'ingresso. "Guarda le dimensioni di questo pilastro" dice.
"Scommetto che i Murphy sono scambisti."
"Cosa? No, sono un coppia normale" conviene Evan.
"Che hai contro gli scambisti, Hansen?" gli domando interessato.
"Nulla" risponde Evan ad alta voce.
Jared fa finta di ridere. Noto che indossa una di quelle spille con la
mia faccia sopra e prima che possa chiedere a Evan di dirgli di
toglierla mia madre apre la porta.
"Evan, che sorpresa" esulta.
"Buonasera, signor--Cynthia" la saluta Evan con uno strano entusiasmo.
"C'è una cosa che voglio mostrarti."
Cynthia sorride, accoglie i presenti con un saluto e avvolge Evan in un
abbraccio, i suoi occhi cadono sulla spilla che Jared indossa appuntata
alla giaccia.
"Prego, entrate entrate" dice. Li fa sedere tutti attorno al tavolo in
soggiorno e offre loro dell'acqua scusandosi per non avere niente di
meglio.
A guardarli così sembrano tre membri di una promettente
società impegnati in un meeting con un loro cliente. Hansen
volge lo sguardo ad Alana, le fa cenno di tirare fuori i fascicoli
rimanenti e posa i propri sul tavolo, lui è il presidente.
"Mi serve un proiettore, ce lo avete?" domanda Jared.
Cynthia annuisce, clicca un tasto su un telecomando a da una fessura
nel muro in alto emerge proprio un proiettore posizionato di fronte a
un'ampia parete bianca.
Storco il naso, ci credo che risultiamo antipatici se non facciamo che
ostentare così tanto la nostra opulenza.
Jared resta con la mascella a terra per qualche minuto mentre nella mia
testa vagano i ricordi. Quel proiettore era stata un'idea di Larry
perché io e Zoe potessimo avere il cinema in casa. Doveva
essere un'escamotage per i giorni di pioggia o neve, ma presto era
diventato il nostro ritrovo di famiglia. Io e Zoe litigavamo sempre per
scegliere il film e alla fine si vedeva puntualmente ciò che
preferiva lei. Era una partita persa. Le gioie di essere il primogenito.
Jared estrae dalla cartella un computer che nessuno di noi si aspettava
e chiede come connetterlo al proiettore che essendo di ultima
generazione utilizza una tecnologia wireless.
Hansen si asciuga nervosamente il sudore sulle delle mani sui jeans.
È nervoso, ma anche carico di aspettative.
Cyntia richiede la partecipazione di Larry e presto sono entrambi sul
divano pronti a guardare la presentazione Power Point del follemente
figo consigliere tecnico Jared Kleinman, come ha tenuto a firmarsi.
Alana ed Evan lo guardano perplessi perché erano rimasti al
fatto che senza la benedizione dei miei non avrebbe mosso un solo dito.
Apparentemente erano tutti eccitati al pensiero di realizzare qualcosa
di speciale al punto tale da dedicarcisi e non poter distogliere
l'attenzione. Qualcosa che desse un senso alle loro vite.
Manca solo Zoe all'appello, ma dopo qualche minuto raggiunge i miei
sedendosi tra loro sul divano.
Non saluta né a parole, né con lo sguardo, sembra
scocciata più che triste, infastidita dalla presenza di tre
persone nella sua casa escluse dal suo nucleo familiare.
La prima pagina della presentazione mostra ancora una volta quella mia
fottuta foto in cui sorrido che ormai sto iniziando a pensare sia la
mia unica immagine esistente.
"Il Progetto Connor" dice Jared con entusiasmo, sottolineando il
titolo. Il buio che avvolge la stanza fa risaltare ogni dettaglio di
quella foto così grande da risultarmi sgranata.
Hansen prende un piccolo sorso d'acqua e si schiarisce la gola.
"Continuo a chiedermi se esista un modo per assicurarmi che Connor non
venga mai dimenticato. Se esista un modo in cui il suo ricordo possa
aiutare le persone..."
Si interrompe, si guarda intorno, mi vede e mi sorride in cerca di
approvazione. Ricambio e lo invito a proseguire.
"Connor è ancora con noi" mormora con il tono più
dolce e delicato che abbia mai udito uscire da quelle labbra, i suoi
occhi puntati nei miei.
"E non basta portarlo nel cuore, dobbiamo ricordarlo attivamente,
parlare di lui, fare in modo che non ci siano altri Connor, che nessuno
si senta mai più come lui..."
Hansen si ferma, ricorda di respirare e so perché,
perché sia così difficile continuare. Lui
è un Connor, lui sa davvero come mi sono sentito, con le sue
sfumature e con la sua storia, ma la stessa sensazione disperata di
solitudine, abbandono, inesistenza, insignificanza. Un oggetto rotto da
aggiustare, ma eventualmente anche buttare nella spazzatura se non si
vuole perdere tempo.
Jared parla, in realtà accorre in suo aiuto facendosi
più vicino.
"Immaginate innanzitutto un sito web informativo progettato da me,
Jared, il vostro consigliere tecnico" dice gesticolando prima come se
stesse mostrando un nuovo mondo e poi indicando se stesso fieramente.
"È una robetta da nulla, posso realizzarla in meno di un
giorno."
Alana affianca Evan dall'altro lato e sorride con una sicurezza
costruita. "Uno spazio interamente dedicato a Connor con collegamenti a
materiali didattici e interattivi, con la promozione di eventi
significativi" dice a malapena in grado di contenersi.
Jared cambia la diapositiva ed esce una lunga lista di
attività che includerebbe questo Progetto Connor.
"Sensibilizzazione alla tematica della salute mentale attraverso i
social media, incontri in comunità di
riabilitazione...partnership con sponsor strategici ... una massiccia
raccolta fondi ... educazione al benessere individuale, risorse per la
prevenzione del suicidio ... spazi di ascolto e attività
terapeutiche..." prosegue Alana.
Evan probabilmente preso da un moto di orgoglio per il proprio progetto
alza la voce e interrompe Alana.
"In questo modo potremo salvare chi si sente come Connor e
sarà un po' come aver salvato anche lui... tenendo viva la
sua memoria e dimostrando che ciò che ha fatto non
è passato inosservato..." mi dice Hansen, ha le lacrime agli
occhi e continua a guardarmi come se fossi la cosa più
preziosa al mondo.
"Per questo abbiamo deciso di chiamarlo" continua Hansen. "Il progetto
Connor" dicono tutti e tre all'unisono.
Alana a questo punto distribuisce gli opuscoli ai tre membri della mia
famiglia e Jared cambia la pagina della presentazione.
"Will you allow us?" recita la scritta con tanto di anello di
fidanzamento stilizzato e sotto le scritte "I do" e "I don't" che Jared
sembra non vedere l'ora di poter sbarrare.
"Ho già parlato con il preside Howard per organizzare
un'assemblea commemorativa questo venerdì. Studenti,
insegnanti, chiunque può alzarsi e parlare, raccontare come
è rimasto colpito da tutto questo. Tutti possono parlare,
parlare di Connor e di cosa significava per loro" dice Beck, fa una
piccolissima pausa poi conclude. "Cosa significava per tutti noi."
Nel silenzio generale Evan si scola un litro di acqua e si asciuga il
sudore accumulato in ogni dove. Zoe e Cynthia scrutano gli opuscoli,
Larry fissa il vuoto per qualche istante, è proprio lui il
primo a rompere il silenzio.
"Non avevo realizzato che Connor significasse così tanto per
le persone" dice.
"Oh mio Dio" conviene Alana. "Era uno dei miei conoscenti
più stretti. Era il mio compagno di laboratorio a chimica e
abbiamo presentato insieme una revisione su Huck Finn a inglese.
È stato così divertente. Invece di chiamarlo Huck
Finn, ha cambiato Huck... sapete in... lui lo chiamò.."
"Fuck Finn" concludo la frase con una risata, strappandone una anche a
Evan. Mi ricordo benissimo di quel compito da svolgere in coppia.
Ricordo come Beck si sia presentata come la presidentessa di una famosa
società e mi abbia detto "patti chiari Murphy, non posso
prendere meno di A+ e non ho intenzione di fare tutto da sola quindi
mettiti sotto."
Sorpresi Alana il giorno stesso recapitandole un riassunto approfondito
di tutto il materiale che avevamo a disposizione, mi accolse con un
sorriso e una pacca sulla spalla. "Non immaginavo facessi i compiti."
"Nessuno lo immagina."
Forse questo poteva essere un principio di amicizia, qualcosa che
continuando a contivare sarebbe sbocciata in un bel rapporto, ma una
volta svolto l'assegno io sono tornato alla mia disperazione e Beck
alla sua, non abbiamo osato tenderci la mano per paura di vederci
davvero. Supponevo che fosse un sentimento reciproco, ora ne ho la
certezza.
"Nessun altro nella nostra classe ci ha pensato" riprende Alana come se
fosse la cosa più geniale del secolo.
"Stavo pensando" interviene Hansen. "Che la jazz band potrebbe suonare
qualcosa per introdurre il tema."
Zoe alza finalmente lo sguardo dall'opuscolo e annuisce piano. "Posso
chiedere a Mr. Contrell."
Jared gli dà una pacca sulla spalla. "Grande idea, Evan"
dice. "Grazie, Jared" risponde Hansen a denti stretti.
"Tesoro?" mormora Larry sfiorando la spalla di Cynthia. "Cosa ne
pensi?"
Cynthia alza lo sguardo, attraversa quello di Hansen, poi si alza dal
divano e corre verso di lui.
"Oh Evan, è meraviglioso..." singhiozza.
"Connor non merita di essere dimenticato, nessuno merita di essere
dimenticato.." mormora.
"Grazie" sussurra facendosi più vicina con le labbra al suo
orecchio.
"Mi hai ridato mio figlio."
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Capitolo 10 *** You will be found ***
Come ci si poteva aspettare Cynthia ha insistito perché
rimanessero tutti a cena, le sarebbe bastato anche solo Evan, ma
sarebbe stato scortese nei confronti degli altri due ragazzi e mia
madre odia risultare maleducata.
La cosa più divertente della serata forse è stata
proprio vedere Kleinman cercare di buttare giù un boccone di
hamburger di tofu dopo aver realizzato che aveva lo stesso odore dei
calzini quando li togli dopo la palestra. Anche più
esilarante è stato vederlo sorridere forzatamente facendo
complimenti non sentiti che ovviamente Cynthia non ha individuato come
tali, il che gli è costato un'altra fetta di carne.
Larry si è arreso dopo poco. "Non ho molta fame..." si
è giustificato. Zoe aveva già altri programmi con
una confezione di prosciutto cotto nascosta tra le gambe.
Alana ha mangiato ogni cosa che le è stata messa nel piatto
con incredibile compostezza tanto che Cynthia l'ha guardata carica di
ammirazione. "Ti piace, cara?" ha chiesto. Alana si
è limitata ad annuire.
Evan invece ha mangiato lentamente, guardandosi intorno. Tra un boccone
e l'altro si è reso conto che davvero non era di suo
gradimento.
"E tu Evan? Che ne pensi, è buono vero?"
"Grazie per il cibo Cynthia, ma non è esattamente di mio
gusto e mi dispiacerebbe se pensassi che non mi piace la tua cucina,
perché non è assolutamente così. Io
adoro la tua cucina e stare qui... a tavola con tutti voi...a mangiare
sì, questo si fa a tavola..."
"Oh Evan, tesoro, non preoccuparti. Perché non lo hai detto
subito? Ti faccio qualcos'altro immediatamente. Lo vuoi del pollo? Una
bella cotoletta, okay."
Cynthia si è alzata da tavola sotto gli occhi sconvolti di
Larry e la tosse finta di Zoe.
"Scusa tanto, lo sto dicendo da due settimane che non mi piace questa
roba e adesso perché lo dice Evan improvvisamente abbiamo
del pollo in casa e addirittura le cotolette...?"
Evan si fa piccolo piccole nella sedia, Cynthia scuote la testa.
"Evan è il nostro ospite, questa casa non è un
ristorante, Zoe" dice.
Mia sorella si arrabbia sale al piano di sopra senza salutare i
presenti e si chiude nella sua stanza.
Cynthia sospira chiedendo supporto a Larry con lo sguardo, mio padre
come sempre non sa che fare.
"Zoe, fila in camera tua!" dice a nessuno visto che mia sorella se ne
è già andata, ma lui era troppo impegnato a
fissare lo schermo del cellulare per rendersene conto.
Mia madre si dà una manata in faccia, scuote la testa.
"Zoe è davvero sconvolta per ciò che è
successo, ma ti è grata per tutto quello che stai facendo,
che state facendo..." mormora guardando Evan.
Siamo di nuovo in camera mia, Alana e Jared sono stati accompagnati da
Larry alla macchina. Cynthia accarezza la schiena di Evan alle sue
spalle.
Lo ha proprio bloccato sulla soglia della porta d'ingresso chiedendo se
poteva trattenersi ancora per un po' ed Evan che deve ancora imparare a
dire la parola "no" ai miei genitori ha accettato.
E quindi siamo qui, le pareti filtrano la voce di Zoe che canta quel
pezzo che già conosco quello dedicato a me, ma
c'è una nuova strofa, una che non ho mai sentito prima.
"Perché tu... non potevi giocare a fare lo spensierato,
quando il tuo mondo diventava più buio ogni giorno... quindi
canterò un requiem un'altra notte."
Penso che Zoe stia iniziando a capire chi ero veramente, che no, niente
e nessuno potrà mai ripagarla dei danni che le ho fatto e la
mia salute mentale compromessa non è una giustificazione, ma
non ero il fratello abusivo che lei vedeva. La rabbia che le scagliavo
contro era una disperata richiesta di aiuto che attraverso le parole di
Hansen forse finalmente l'ha raggiunta.
"Per l'assemblea" la voce di mia madre attira improvvisamente la mia
attenzione mentre la vedo sistemare la mia cravatta al collo di Evan.
"Oh..." sussulta Hansen.
Cynthia incrocia le mani tra loro, le abbandona lungo il corpo in segno
di rassegnazione, i suoi occhi sono puntati su Evan e sulla cravatta
che ricade lunga sul suo nuovo look in totale contrasto.
"Quando Connor ha iniziato la seconda media, tutte le mie amiche hanno
detto "ecco che arriva la stagione dei bar mitzvah. Ogni sabato
dovrà andare a una festa diversa." Così l'ho
portato a prendere un vestito, delle camicie...e questa cravatta... non
ne voleva nessuna diceva che non fosse necessario. Suppongo non avesse
il coraggio di spezzarmi il cuore e dirmi che..."
Cynthia fa una pausa profonda, ne approfitto per avvicinarmi ad Hansen
e mostrargli la mia espressione neutrale per tranquillizzarlo che non
sono arrabbiato con lui anche se ha conquistato mia madre.
"Piuttosto che rompere la bolla da sognatrice in cui mi crogiolavo lui
è stato al gioco, ma... Evan, lui non è mai stato
invitato da nessuno."
Resto stupito, credevo che mia madre non avesse coscienza dei suoi
meccanismi mentali, invece apparentemente...
"Ero solo fiduciosa, fiduciosa che un giorno qualcuno riuscisse a
vedere mio figlio per quello che era davvero, un artista, un'anima
complessa e tormentata. Il risultato di un divorzio che non ho mai
avuto il coraggio di chiedere..." mi interrompe mia madre.
Per qualche istante tutto tace, Evan si arrota nervosamente intorno
all'indice l'estremità della cravatta.
"Ci voleva una persona giusta, qualcuno che sapesse vedere oltre le
facciate, qualcuno come te, Evan... ma suppongo tu sia arrivato troppo
tardi, troppo tardi perché potesse salvarsi..."
Cynthia si asciuga le lacrime, io le faccio da specchio, Hansen fissa
quel capo di abbigliamento che ha al collocome se volesse farlo
spostare col pensiero. La cravatta che non ho mai dovuto indossare, che
non ho mai potuto indossare. La mia grande occasione non è
mai arrivata, mai c'è stato un evento per cui valesse
mettersi in tiro e così come sono rimasto deluso quel giorno
che volevo essere capofila sarei rimasto deluso tutti gli altri. Ho
smesso anche solo di desiderarlo e forse la mia occasione non ho
neanche saputo riconoscerla.
"Vorrei che la indossassi durante il tuo discorso" prosegue mia madre,
neanche ha finito la frase che Evan già è in
panico.
"Il mio cosa?!" squittisce, l'ansia sulla punta della lingua si
diffonde rapidamente in tutto il corpo.
"Beh, Alana ha detto che chiunque lo volesse avrebbe avuto la
possibilità di dire qualcosa all'assemblea. Pensiamo tutti
che tu debba essere il primo a parlare."
Il panico ha un sapore salato: è come stare in un piccolo
serbatoio di vetro e il serbatoio si sta riempiendo d'acqua. L'acqua
proviene dal mare, puzza di salsedine e in niente ha già
raggiunto la bocca, è entrata in gola. Tra un attimo
coprirà il viso ed Evan affogherà. Non
può uscire dal serbatoio, non c'è una porta,
tutto ciò che può fare è aspettare
pazientemente mentre l'acqua lo circonda, allungare il collo per
quell'ultima disperata boccata d'aria.
Evan ansima, il suo viso è composto di sudore, i suoi occhi
sono liquidi e il cuore accelera. Per quello che è in mio
potere cerco di aiutarlo, di guardarlo negli occhi e costringerlo a
focalizzarsi solo su di me.
"Va tutto bene" dico posandogli le mani sulle spalle. "Guardami... non
sta succedendo niente. Puoi dire di no, non stai annegando, non
morirai. Evan, sei al sicuro."
La marea si ritira, qualche goccia viene rilasciata dai suoi occhi,
Cynthia la scambia per commozione.
Non lo so, forse annegare è meglio che andarci vicino,
riempirti i polmoni d'acqua e comunque non trovare pace, ma non
perché sono finito a fondo voglio trascinarci anche Hansen.
"I-Il fatto è che non me la cavo molto bene a-a
pa-parlare... in pubblico. Finirò per impappinarmi e anne-"
Lo guardo nuovamente, cerco di sorridergli. "Evan, sei al sicuro. Ci
sono io qui con te, non sei solo. Vedo tutta la tua sofferenza e quanto
ti costi anche solo esprimere un concetto come questo in cui ammetti le
debolezze, ma non hai niente da temere. Ha tanti difetti, ma mia madre
non ti giudicherà."
"Finirò per impappinarmi e annoiarvi" mormora Evan facendosi
forza. "Non vorreste sentirmi parlare..."
"Certo che vorremmo. Io, Larry, Zoe, l'intera scuola aspetta le tue
parole."
Hansen trema e io niente, non ho parole. Complimenti a mia madre che
vince il premio "niente pressioni sociali" dell'anno.
"Diglielo. "Grazie Cynthia, ma non voglio farlo." Non sei obbligato."
"No!" urla Evan. "Io voglio farlo, voglio..." modula la voce
conscio di avere urlato. "Voglio essere la sua voce, solo che non ho il
coraggio... non ho il coraggio di raccontare come mi sento, di parlare
al suo posto. Dovrebbe essere lui a dire la realtà delle
cose, dovremmo solo ascoltare il silenzio che ha lasciato
perché è quella l'unica cosa che c'è
realmente."
Cynthia lo guarda sconvolta, si porta una mano davanti alla bocca e poi
esce dalla stanza. Sulla soglia guarda Evan dolcemente. "Pensaci" dice
semplicemente.
La mia cravatta è spessa e ruvida tra le mani paralizzate di
Evan che assaporano la delusione, anzi la consapevolezza di aver deluso
e non sanno reggere il contraccolpo. La mia cravatta è di
una tonalità di blu scuro con strisce azzurre che la
percorrono in diagonale,
come onde che si infrangono in un oceano oscuro e violento. L'acqua
è arrivata per me. Ho lottato finché non ce l'ho
fatta più.
"Non ho più voglia di combattere" mormora Hansen, le lacrime
agli occhi, il cuore a mille.
"Vuoi venire a farmi compagnia? Guarda che essere morti è
una palla..." cerco di sdrammatizzare.
"Scusami Connor..." sospira Evan. "Non dovrei dirlo, non dopo quello
che hai vissuto, non dopo quello che ho detto a te, ma a volte vorrei
non essere mai nato, a volte vorrei, vorrei che finisse tutto, che non
dovessi più preoccuparmi di niente, più sentire
niente..."
Zoe appare sulla soglia, si fa avanti, mi passa attraverso e abbraccia
Evan. "Lo so, anche io a volte mi sento così, credo che
tutti ci siamo sentiti così almeno una volta, Evan..."
mormora.
"Hey, ti va di sentire cosa ho scritto per ricordare mio fratello?"
cerca di cambiare argomento. Dietro la schiena porta la sua
inseparabile chitarra, inizia a suonarla senza permesso alleviando
all'istante le pene di Hansen.
"Quindi tu non stavi fingendo... hai scelto di non svegliarti domani...
un pessimo figlio... quello senza amici. Ti ci ho fatto sentire io?"
canta.
Da quelle poche parole capisco subito che i messaggi sono
più difficili da recapitare così come vorrei che
arrivassero perché l'ultima persona che dovrebbe avere i
sensi di colpa è proprio la mia sorellina.
Mi metto dietro di lei, le accarezzo i capelli così come
facevo quando ancora tra noi c'era un rapporto tale che si affidava a
me per farsi fare le trecce.
"No, Zoe... non è colpa tua..." mormora Evan.
Mia sorella smette di suonare, posa bruscamente la chitarra sul
materasso. Piange.
" 'Perché tutte le mie speranze sono riposte in Zoe'..."
dice citando la lettera. "Evan, io l'ho deluso, l'ho abbandonato, ho
lasciato che...che succedesse..."
"No, non è così. Connor, dillo anche tu!"
Resto paralizzato, forse perché non mi aspettavo una
reazione simile o perché non pensavo che Hansen fosse
così sprovveduto da dirlo ad alta voce.
Zoe lo guarda infatti perplessa, mentre Hansen improvvisa una
conversazione con la mia foto. "Dille che le hai tirato i capelli, che
le facevi ogni forma di dispetto e che questo non è il modo
giusto per dimostrare di amarla. Dille che le hai calciato volutamente
quella pallonata in faccia. Dille che eri invidioso di lei, la piccola
di casa, la stella della famiglia. Dille che ti sei lasciato accecare
dal dolore e che lei non era tenuta a capirti, lei doveva proteggere se
stessa."
Fa male sentire quelle parole, ma è ciò di cui
sia io che Zoe avevamo bisogno.
"Dannazione, devo di nuovo cambiare il testo..." sospira la mia
sorellina fingendosi offesa, in realtà tra le lacrime
sorride.
Non pensavo che Hansen stesse prestando davvero così tanta
attenzione alle cose che gli ho raccontato fra i singhiozzi la sera in
cui ho scoperto che non avrei ricevuto un requiem, devo averlo
sottovalutato.
"Non sapevo che cantassi" dice Hansen con un sorriso timido. "Anche io
canto, non sono niente di che, la tua voce invece è
angelica, Zoe."
"Niente di che? Non prendermi per il culo, Hansen!" gli dico sentendomi
quasi offeso per la puttanata.
"Dici sul serio?" domanda Zoe.
Evan annuisce ripetutamente e io non posso fare a meno di concentrarmi
sul fatto che un loro duetto farebbe venire i brividi anche a un sordo.
"Fammi sentire..." incalza mia sorella.
"N-No, mi vergogno... non sono affatto alla tua altezza."
"Butta fuori, Evan. Io canto per liberarmi, per svuotarmi di tutto
ciò che mi logora dentro e riempire di sensazioni che mi
possano ricostruire."
Zoe inizia nuovamente ad accarezzare le corde del suo strumento, fa
pochi accordi.
"Sit back down where you belong
In the corner of my bar with your high heels on
Sit back down on the couch where we
Made love for first time and you said to me
Something, something about this place
Something 'bout lonely nights and my lipstick on your face
Something, something about my cool Nebraska guy
Yeah, something about, baby, you and I" canta e a ogni strofa Evan
prende un po' di più di confidenza facendole un controcanto
sempre più forte, sull'ultima alza la voce a sua volta.
"You and I, you, you and I
You, you and I, you, you and I, I
You and I, you, you and I
Oh yeah, I'd rather die without you and I" durante il ritornello se la
comanda al punto tale che Zoe smette di seguirlo e si limita solo ad
accompagnarlo con la musica, due occhi sgranati.
Un po' come era successo in macchina con Jared e Alana, Evan si
interrompe terrorizzato e Zoe gli fa un applauso. "Alla faccia... e
questo sarebbe "niente di che"?" domanda.
Evan scuote la testa, si gratta una guancia imbarazzato. "Mi dicono
tutti che sono bravo..."
"Scommetto che te lo diceva anche mio fratello..."
Evan si limita ad annuire. "Ma io non mi sento tale, non mi sento
capace di fare niente. Sono insicuro, insignificante, invisibile. Il
mio vero nome è Mark Evan Hansen. Se metti insieme le
iniziali è "meh", indifferenza pura, disinteresse."
"E tu preferisci essere Evan Hansen, vero? Preferisci essere "Eh",
un'affermazione, qualcosa di più...ma i nostri nomi non
definiscono chi siamo, la nostra essenza invece sì
sì. Una rosa profumerebbe ugualmente anche senza quel nome,
Shakespeare. Che tu sia Mark Evan Hansen o Evan Hansen, ciò
che conta è che tu sei qualcuno e ci saranno sempre delle
persone nella tua vita per cui farai la differenza... come l'hai fatta
per Connor."
Odio ammetterlo, lo odio davvero, ma più li vedo interagire
più penso che Hansen e mia sorella sarebbero davvero una
bella coppia e forse dovrei solo dare loro la mia benedizione e
accettare la realtà dei fatti. Zoe mi batte sempre, non
importa di cosa si tratti, dalle cose più futili ai desideri
più profondi, taglia il traguardo mentre io mi sono appena
spostato dalla linea di partenza.
"Senti... domani sera suono al Capitol Café. Solo qualche
canzone. Ti va di venire? Potremmo cantare qualcosa insieme se te la
senti oppure potresti nascondere per sempre questa meraviglia che hai
dentro. Evan, se non permetti mai a nessuno di ascoltarla... come
faremo a imparare la tua canzone?"
Volevo per una volta nella vita avere qualcosa da non condividere per
forza con lei e Hansen era quanto più ci si fosse avvicinato
dopo il mio fallimento numero uno.
Non faccio fatica a comprendere perché Evan sia
così attratto da mia sorella, lei ha tutto, a differenza mia
è perfetta. Tutti preferiscono i giocattoli nuovi a quelli
rotti, non c'è fascino in ciò che non funziona.
"Wow. Assolutamente no" balbetta Hansen con un entusiasmo in totale
contrasto con il contenuto delle parole. "Cioè magari vengo
a vederti, ma non voglio cantare e io non posso esprimere
ciò che ho dentro... è spaventoso e nessuno lo
vuole sentire."
Zoe gli accarezza il viso, gli sorride. "È qui che sbagli,
Hansen. La gente vuole sentire proprio questo, vuole persone che non
abbiano paura di spogliarsi e mostrarsi vulnerabili, persone che
raccontino quelle verità che loro non hanno il coraggio di
confidare neanche a se stessi."
C'è silenzio, mia sorella si avvicina alle sue labbra:
chiudo gli occhi perché non voglio vedere, non voglio
assistere al momento in cui l'unica persona che mi ascoltava mi viene
portata via.
"E cosa canterai?" sorprendentemente sento Hansen domandare. Ridandomi
la vista mi rendo conto che si è allontanato di qualche
centimentro.
"La mia roba" risponde Zoe infastidita. "Avevo queste canzoni dentro e
ora sono uscite."
"Ti invidio... io non riesco a fare uscire niente..." mormora Evan.
Zoe si fa nuovamente più vicina, sospira profondamente a un
bacio dalle sue labbra. "Il dolore fa fare cose folli, vero? Ma io so
di volerti baciare e non è per consolarmi... è
che mi piaci."
Tutto tace nuovamente mentre Hansen arrossisce, poi mia sorella si alza
e inizia a camminare nervosamente per la stanza. "Perché ti
ha spinto quel giorno?" domanda.
"Cosa? Oh. Intendo...credo..." Hansen inizia nuovamente ad andare in
panico. "Non ti ho già risposto?" squittisce.
"Lo hai fatto, ma non ti credo."
Hansen mi guarda come se fossi un foglio delle risposte per un compito,
mi supplica con gli occhi di dire qualcosa, ma sono troppo impegnato a
piangere la fine della mia importanza per lui. Mi ero illuso di poter
essere qualcosa di speciale, qualcuno di speciale per lui, mi ero
illuso che per una volta si potesse preferire me a mia sorella, ma come
al solito lei è la regina e io al massimo il giullare di
corte.
"A volte... ho paura a parlare con le persone, credo. Connor cercava
sempre di farmi superare i miei problemi e a volte si arrabbiava
perché pensava non mi stessi impegnando abbastanza" risolve
Hansen.
"Beh, mia madre è innamorata di te. È
ossessionata da questa storia del Progetto Connor. Le piace averti qui.
Quando ci sei tu, Hansen, sembra che ci sia anche Connor. È
come se venisse con te, come se lo portassi da noi."
Hansen ride istericamente, si gratta una guancia a sangue, mi guarda
sull'orlo di una crisi di nervi. Zoe sospira.
"È vero? Voglio dire...a scuola gira voce che tu e mio
fratello stavate insieme e adesso comincio a crederci anche io
perché forse è vero che Connor con te era
un'altra persona, una persona che non ho mai potuto o saputo
conoscere..."
Evan evapora, vedo quasi il suo spirito lasciare il corpo.
"N-No" balbetta. "Jared ha capito una cosa per un'altra e quando si
mette un'idea in testa non c'è modo di modificarla, quindi
sì, magari per tutta la scuola io sarò il ragazzo
di Connor, ma Zoe, io ho sempre guardato solo te."
Una coltellata, dritta in petto mi passa da parte a parte lasciandomi
esangue. Sia chiaro, non volevo essere il ragazzo di Hansen ed Evan
sarebbe stato il benvenuto a prendersi qualsiasi altra ragazza, ma non
mia sorella. Ora diventerò invisibile anche per lui, ora ci
sarà sempre più spazio per Zoe e meno per Connor,
come è sempre stato da quando lei è arrivata.
"Menomale" mormora mia sorella tirando un sospiro di sollievo. "Tommy,
il mio ex aveva un debole per Connor. All'inizio pensavo solo che fosse
interessato a informarsi sui membri della mia famiglia, ma poi si
è parlato sempre più di Connor e meno di Zoe. Ci
ho messo del tempo a capire che era gay, suppongo che anche lui dovesse
ancora capirlo. Eravamo sul mio letto a sbaciucchiarci e lui sembrava
preso da tutt'altro. Nella stanza accanto c'era Connor che
canticchiava, allora ho capito che non avremmo mai funzionato. Tu
ascolti Lady Gaga, ma questo non vuol dire per forza qualcosa, giusto?"
'Tu canti?' registro a malapena in lontananza qualcosa tra i pensieri
di Hansen, ma sono troppo preso dalla rivelazione.
Resto sconvolto, non avevo idea di questa storia. Mi ero sempre chiesto
perché fosse finita tra Thomas Ridge e mia sorella, ma
pensavo fosse solo una storiella tra adolescenti curiosi, mai avrei
creduto di essere la ragione dietro.
"Sai Connor diceva di sentirsi invisibile... se lo chiedi a me riceveva
fin troppe attenzioni. Si parlava sempre di Connor, le medicine per
Connor, la terapia per Connor. "Zoe, non dare fastidio a Connor, spegni
la luce che Connor è fotosensibile, smettila di suonare che
Connor è nervoso, non fare rumore che Connor sta dormendo."
Connor Connor Connor, c'era spazio solo per lui. Nessuno chiedeva mai
di me e se lo faceva era per chiedermi di verificare come stesse
Connor."
Non so cosa dire, due facce della stessa medaglia, due
realtà allo stesso sapore con i ruoli invertiti. L'unica
certezza che ho è che i miei hanno fatto un disastro come
genitori.
"Tu eri il suo migliore amico, ma vorrei che ci fosse finalmente
qualcuno che non è anche di Connor... quindi se non siete
stati insieme... sono felice Evan perché tu mi piaci
tanto..."
Silenzio, un profondo silenzio. Il cuore di Hansen fa una capriola e
sappiamo entrambi che l'unico motivo per cui non sta ancora limonando
con mia sorella è la mia presenza.
Tolgo il disturbo.
"Zoe" Evan parla ad alta voce come se volesse fermarmi con quelle
parole. "Mi piaci anche tu, ma ho promesso a Connor che non lo avrei
tradito in questo modo. Lui non voleva che stessimo insieme, lui voleva
avere qualcuno che non fosse anche tuo anche se la mia cotta
è antica, ma sai cosa? Penso che sia presto per parlare di
tutto questo, penso che entrambi dobbiamo ancora metabolizzare quello
che è successo e poi guardare con lucidità ai
nostri sentimenti con tutti gli elementi. Ora dovremmo solo ricordare
Connor, così come era, così come ci piace
ricordarlo, non come è nel nostro ultimo ricordo con lui."
Zoe sospira, si stringe nelle spalle. "Il Connor che conosci tu sembra
quasi un'altra persona, è migliore del mio."
"È quello che succede quando la gente se ne va, credo.
Quando qualcuno non è più tra noi non devi
ricordare per forza tutte le cose brutte. Puoi scegliere di lasciarle
come preferisci e ci rimarranno per sempre. Perfette come sarebbero
dovute essere" dice con sicurezza Evan.
"Io ricordo degli occhi ridenti che mi accolgono e che mi dicono che
sono qualcuno, che la mia vita è importante. Questo
è il mio Connor."
Zoe lascia andare una lacrima solitaria. "Io ricordo un bambino che
faceva le trecce alle mie bambole e mi aiutava a scegliere che vestiti
mettere loro. Questo è il mio Connor."
"I brutti ricordi non contano meno di quelli belli, decidi dove vuoi
mettere la tua attenzione. Connor ti amava e tu amavi lui. Gli volevamo
tutti bene. Ognuno a suo modo, per come riuscivamo..."
"Sì, per come ci permetteva..." mormora mia sorella.
"C'erano tante parole che avrei voluto dirgli prima che fosse troppo
tardi, ma queste sono forse le più importanti. "Ti voglio
bene, Connor. Che tu ci creda o meno, che tu lo meriti o meno. Ti
amerò per sempre e mi mancherai per sempre. Quando
sarà il mio momento verrò a prenderti a calci in
culo all'inferno perché mi hai lasciata da sola." "
Io sono in lacrime, Evan ascolta ogni parola sorpreso piacevolmente.
Abbraccio Zoe anche se non può sentirmi, il suo calore mi
riscalda, il mio cuore inizia a rigenerarsi.
"Grazie Evan" sono le nostre parole all'unisono. Per un istante la mia
sorellina si gira di scatto verso di me come se mi avesse sentito, poi
sul suo viso si configura un'espressione amara. "A volte mi sembra
davvero che sia rimasto un questa casa."
La strada del ritorno a casa è silenziosa, Cynthia ha
insistito affinché Evan rimanesse a dormire, ma sappiamo
entrambi che Heidi non la prenderebbe bene.
Le porte di casa Hansen mi sembrano la cosa più accogliente
dell'ultimo secolo, mi viene quasi naturale buttarmi sul suo letto dopo
averlo visto colonizzare il mio.
"Che ti è preso?" mi può finalmente chiedere.
Heidi non è ancora tornata.
Come sempre non so rispondere. Poi faccio un respiro profondo e metto
insieme delle parole.
"Voglio essere la tua priorità, okay? Odio questa cotta che
hai per mia sorella... mi fa sentire come se... come se non ci
sarà mai nessuno che dopo averla conosciuta non
sceglierà lei. Tra noi è nata una bellissima
amicizia, Evan, più intima di quanto lo sarà mai
qualunque storia d'amore... non voglio perderti..."
Forse è un capriccio forse no, ma chi in America considera
la propria ragazza alla stregua di un migliore amico?
"Avevamo detto che ci saremmo presi cura l'uno dell'altro, che ci
saremmo guardati le spalle, Evan. Voglio che tu sia mio, non di Zoe,
voglio che tu sia quel qualcuno che sceglie me. Mia sorella
è gnocca, okay lo abbiamo capito... ma io non sono da
buttare...credo."
Hansen resta in silenzio, si avvicina un po' di più a me,
poi si siede al mio fianco e mi accarezza il viso. "Perché
pensi che io preferisca lei a te?" chiede.
"Perché è vero..."
"E se non lo fosse? Se preferissi te? Se lei mi attraesse tanto, ma
avessi comunque scelto di non cedere perché tu ci soffri? Se
in te avessi trovato la comprensione che non ho mai ricevuto? Se
provassi per voi due forme di amore differenti e mi sentissi solo
lusingato perché per una volta, per una fottuta volta nella
mia vita, non sono io ad aver paura di perdere qualcuno a cui tengo, ma
c'è qualcuno che ha paura di perdere me?" risponde Hansen
con trasporto.
Non so cosa dire, succede spesso. Alzo leggermente le spalle e mi
sciolgo in un sorriso. "Beh allora forse questo vuol dire che sono
importante per te..."
"Certo che lo sei Connor! Dannazione...è per te che sto
facendo tutto questo. Credi che io voglia essere popolare? Che muoia
dalla voglia di salire su un palco a parlare davanti a tutti la scuola?
No, lo faccio perché voglio essere la tua voce, voglio
recapitare i messaggi che non hai saputo scrivere o che non erano
abbastanza comprensibili da poterli leggere. Lo faccio per te,
perché che tu ci creda o meno da quando sei qui la mia vita
è migliore e io ti voglio bene, tanto bene, Connor."
Questo abbraccio che ci stiamo scambiando è forse il
più profondo che abbia mai ricevuto. Sa di disperazione, ma
contiene anche tutte le parole che ho bisogno di sentire.
"Connor Murphy, guai a te se mi abbandoni sul palco. Questa cosa non
posso farla da solo. Finora ti sei lasciato prendere dai sentimenti e
mi hai scaricato in situazioni scomode. Se lo fai di nuovo potrei
davvero mollare tutto" mi dice con enorme serietà.
"Ci sarò Evan, te lo prometto. Sarò alle tue
spalle e ti dirò cosa dire se ti mancheranno le parole,
sarò le tue ali e non ti permetterò di cadere,
sarò tutto ciò di cui hai bisogno per respirare.
Te lo giuro."
Qualche ora più tardi Heidi è tornata, non
può sapere cosa è successo, né che
Evan ha iniziato a scribacchiare qualcosa, buttare giù
qualche riga per il discorso.
"Evan, tesoro! Come è andata la giornata? La mia
è stata veramente pesante..." la madre di Evan senza
permettere al figlio di parlare inizia a elencare tutto ciò
che ha dovuto fare e Hansen si limita ad annuire. Poi Heidi esce dalla
stanza e dichiara di aver voglia di qualcosa di dolce in dispensa, Evan
non ha tempo di condividere niente con lei.
Sto per dire qualcosa in merito, ma Evan mi interrompe. "Stavo
pensando...a lui, Connor. A lui che mi hai nominato mezza volta e poi
boh, scomparso nel nulla come se non fosse mai esistito. Non vorresti
che ci fosse anche lui all'assemblea?"
"Lui?" domando sconvolto. Non ho idea di cosa stia dicendo Hansen, ma i
suoi pensieri vanno a una sola persona, una persona di cui non ricordo
di avergli parlato.
"Sì, il tuo amico, quello nella foto..." risponde Evan.
Non rispondo, mi limito a fissare il pavimento. Suppongo di non poter
continuare in eterno a fare finta di niente, ma no, non voglio che ci
sia, non voglio che sia così, cioè lo vorrei
anche, ma allora dovrebbe farlo lui il discorso perché da
vivo mi conosceva molto meglio di Evan e senza dubbio era la cosa
più simile a un migliore amico, anzi la cosa più
simile a un amico che avessi mai avuto.
"Evan... tu mi devi aiutare a... parlargli. Non posso avere questo peso
per la coscienza in eterno, ma di questo occupiamocene dopo, okay?
Adesso pensiamo al discorso."
Ed eccoci, ci siamo, i volantini sono attaccati in ogni dove e tutti
riportano la scritta a caratteri cubitali "CERIMONIA DI INIZIO DEL
PROGETTO CONNOR."
Oh per me? Davvero? Come potrei mancare? Un evento in mio
onore. Studenti. Insegnanti. Giornale locale. Ci sono anche
esterni alla scuola. Si prospettano discorsi, una presentazione di
diapositive curata da Jared Kleinman, una performance musicale di Zoe e
dei ragazzi del jazz.
Che roba. Sono quasi lusingato.
Voglio dire questo progetto l'ho ispirato io a Evan, ho contribuito a
ogni fase di realizzazione eppure ora che lo vedo realizzato mi sembra
gigantesco e non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che non
faranno che prendermi in giro. Non Evan, lui no, lui sta sacrificando
la sua ansia sociale per la mia causa, ma gli altri, quelli che non mi
hanno mai visto e che oggi, come hanno scritto sui social,
racconteranno di un affetto mai esistito in un rapporto inventato solo
per mettersi la coscienza a posto. Lasceranno andare lacrime di
coccodrillo, si stringeranno attorno a un dolore che non sentono e
ancora una volta si parlerà di chi è rimasto e
non di chi se ne è andato.
Diranno che hanno provato a parlarmi, che conoscono i sentimenti che ho
provato, che sanno che cosa significa questo isolamento,
l'indegnità, la solitudine. La disperazione. Che conoscono
la depressione. Ma che cazzo ne sanno di come mi sentivo? Solo la mia
morte ha fatto loro notare che ero vivo, un essere umano con dei
sentimenti, troppi per contenerne ancora.
Corro dietro le quinte, Evan mi aspetta e glielo ho promesso, trema
tenendosi con le mani la cravatta, la mia cravatta che alla fine ha
scelto di indossare.
"Connor, non ce la faccio..." mormora, mantiene tra le mani dei
foglietti che sono zuppi di sudore.
"Hey, sì che ce la fai" gli dico con un sorriso gentile
tenendolo per le spalle.
"Ora per favore se posso avere un grande applauso per il migliore amico
di Connor Murphy, Evan Hansen" annuncia il preside e vedo Evan
sbiancare.
"Io sono dietro di te okay, sono qui con te, siamo su questo palco
insieme. Nessuno riderà di te, nessuno ti farà
del male. Siamo noi, le cose importanti che abbiamo da dire. Ci andiamo
a cazzo duro su quel palco. Capito, Hansen? Lì fuori
è pieno di persone che si domandano se la loro vita valga
qualcosa. Vai a insegnare loro che ogni vita è importante."
"Evan...Hansen?" lo richiama il preside sotto un applauso sempre
più fiacco.
"Ricorda Evan, nessuno merita di essere dimenticato."
"Nessuno merita di svanire nel nulla" dice lui facendosi coraggio.
"Nessuno dovrebbe spegnersi lentamente chiedendosi se importi davvero
la sua presenza" aggiungo.
"Nessuno merita di scomparire, nessuno merita di scomparire, nessuno
merita di scomparire, nessuno merita di scomparire!" quasi come se
fosse un urlo per darci la carica lo diciamo sempre più
forte e in un attimo Evan è sul palco, cammina lentamente
con le mie mani sulle spalle e le mie parole di incoraggiamento.
Da qui la scena è diversa, molto più intima,
anche troppo. Posso vedere ogni singola goccia di sudore sulla sua
fronte, le mani che cercano di gestire i fogli mentre tremano, lo
sguardo fisso sul microfono, le labbra che si muovono senza emettere
alcun rumore. In questo momento non c'è niente di
più fragile di Evan Hansen, sotto quell'occhio di bue
potrebbe prendere fuoco. Eppure non c'è niente di
più forte.
Oggi il mio migliore amico prenderà a calci in culo i suoi
problemi e dimostrerà di avere le palle grandi quanto due
pompelmi di cui parla Jared.
Con tremante incertezza inizia leggere i fogli.
"Buongiorno, studenti e docenti. Vorrei solo dirvi qualche parola oggi
sul... mio migliore amico... Connor Murphy. Vorrei
raccontarvi del giorno in cui siamo andati al vecchio frutteto di mele
Autumn Smile, ma era chiuso quindi abbiamo optato per Ellison Park.
Connor e io eravamo sotto una quercia e Connor ha detto che si chiedeva
come sarebbe stato il mondo dall'alto...così abbiamo deciso
di scoprirlo. Abbiamo iniziato a salire lentamente, un ramo alla volta.
Quando ho guardato in basso eravamo già sulla cima
dell'albero. Connor si è limitato a guardarmi e sorridere,
come faceva sempre. E poi... beh, allora io..." Hansen inizia a
iperventilare, leggo il discorso che ha scritto e glielo suggerisco
nell'orecchio.
"Ci sono io, siamo insieme, non sei solo" gli ripeto come se fosse un
mantra. Evan si asciuga il sudore sulla camicia, si fa cadere le carte
di mano, si china per raccoglierle, si rialza, riprende a leggere.
"Sono caduto... sono rimasto per terra e..."
Passa al foglio successivo e riprende a leggere. "Buongiorno, studenti
e docenti, vorrei..." le carte rovinano nuovamente sul pavimento nella
realizzazione che sta ripetendo le stesse cose, stavolta si
sparpagliano, non restano coese.
I miei compagni già ridacchiano, le prime voci iniziano a
farsi sentire, i primi commenti, i primi giudizi. Gli spettatori hanno
perso la pazienza.
Evan sta annegando, gli avevo promesso che non lo avrei lasciato
cadere. Mi chino, lo aiuto a raccogliere le carte. "Hey, Hansen, li
vedi quegli stronzi lì comodamente seduti? Non hanno un
quarto dei tuoi coglioni. Preferiscono fare finta di niente, ma prova a
metterli sul palco e vedrai come se la faranno sotto. Si sentono come
te, neanche immagini quanto e tu sei l'unico che può loro
mostrare che queste cose possono essere dette ad alta voce, che
è così che si guarisce, smettendola di
vergognarsi."
Evan mi guarda, mi sorride, le lacrime sgorgano dai suoi occhi, ma si
rialza. "Grazie per non avermi lasciato solo Connor. Quel giorno mi hai
dato la forza di rialzarmi, me l'hai data anche adesso."
Evan si avvicina al microfono. "Il dono che mi ha fatto Connor
è stato questo, dimostrarmi che non ero solo. Avrei solo
voluto che qualcuno, non per forza io, ma qualcuno riuscisse a
insegnargli che questa cosa valeva anche per lui. Connor era solo,
perché non importa la realtà dei fatti, se il
buio ti avvolge e non vedi niente, non vedi neanche le mani che si
tendono verso di te e sei solo nell'oscurità che avanza.
Ecco, io... non posso sopportare che altre persone si sentano come
Connor e nessuno lo sappia. Lui ci ha lasciati e il suo insegnamento
non può e non deve passare inosservato. Si sentiva
invisibile e ora possiamo fare in modo che il mondo intero lo veda. Il
mondo è pieno di Connor Murphy, ce ne sono tantissimi anche
in questa sala. Anche io sono Connor Murphy. Non sono riuscito a
salvare il mio, ma posso cercare di salvare tutti gli altri. Per
questo..." Evan afferra il microfono con sicurezza e lo stacca dal
supporto.
"Per questo ho scritto una canzone per lui, una canzone per voi, per
noi, per tutti noi, ma soprattutto per lui, per il mio migliore amico,
per la persona più importante della mia vita e adesso ve la
canto, inizia così..."
Sono sconvolto, non mi aspettavo niente di simile, neanche nelle
più folli idee che mi erano balenate in testa c'era questa
possibilità.
"Ti sei mai sentito come se non ci fosse nessuno? Ti sei mai sentito
perso nel nulla? Come se potessi scomparire? Cadere e nessuno ti possa
sentire?"
La sala tace, c'è solo la voce di Evan, un uccello
bellissimo che ha finalmente capito come spiccare il volo. Non ha
bisogno di accompagnamento musicale, il cuore canta a cappella.
"Beh, abbandona queste pene, perché c'è un motivo
per creder che starai bene. Quando non riesci a stare in piedi, puoi
sempre scegliere di affidarti alle mani.
E io lo so, che qualcuno verrà in tuo soccorso e ti
troverà.
Anche quando il buio è intorno a te e hai bisogno di un
amico che sempre c'è e sei a pezzi sullo sterrato, verrai
trovato. Quindi lascia che il sole splenda perché ci
arriverai, se intorno ti guarderai, ti rialzerai, ti rialzerai..."
Evan prende confidenza nella sua performance, si volta verso di me
avanza per raggiungermi.
"Tu non sei solo, tu non sei solo, nessuno qui è solo,
nessuno qui è solo. Nessun uomo è un'isola,
smetti di naufragare, sei ancora in mare hai solo paura di remare..."
Le lacrime scorrono lungo le mie guance mentre la folla impazzita
applaude. Zoe colpita inizia a improvvisare qualcosa con la chitarra,
sale sul palco accanto a Evan e avendo imparato il ritornello duetta
con lui.
"Anche quando il buio è intorno a te e hai bisogno di un
amico che sempre c'è e sei a pezzi sullo sterrato, verrai
trovato. Quindi lascia che il sole splenda perché ci
arriverai, se intorno ti guarderai, ti rialzerai, ti rialzerai..."
L'intera folla inizia a cantare "ti rialzerai" e "verrai trovato",
alcuni battono le mani, la jazz band improvvisa un accompagnamento
musicale ulteriore e un gruppo di ragazzi addirittura si mette a
ballare; le cheerleader della scuola fanno una piccola esibizione
alzando dei cartelli che formano il mio nome ed Evan continua a cantare.
In platea c'è chi riprende col cellulare, Jared e Alana
vanno a fare da spalla come coro, è il delirio, ma
è tutto così bello, così magico.
La canzone si conclude sotto gli applausi scroscianti.
Mi stavo giusto chiedendo se qualcuno fosse davvero qui per me, la
risposta l'ho trovata in questo calore.
"Connor ha pensato che nessuno potesse vederlo e aveva anche paura di
mostrarsi" dice Evan con tutto il coraggio racimolato. "Nessuno mai
più deve arrivare a pensare che solo la morte possa far
notare che sia mai stato in vita."
Jared strappa il microfono a Evan, inizia quasi a urlare. "Ditelo,
parlatene, se avete mai pensato di suicidarvi, dovete dirlo prima che
sia troppo tardi. Esistono delle linee apposite."
Alana strappa il microfono a Jared. "Se vi sentite soli, abbandonati,
dimenticati, cercate aiuto. Esistono persone che aspettano solo di
abbracciarvi, non lasciatele da sole. Non avete idea di quante cose
belle vi attendono."
Evan si riprende il microfono con gentilezza. "Non credete a chi fa
finta di niente, siamo tutti essere umani, tutti vulnerabili e tutti
soffriamo, tutti abbiamo paura e se solo avessimo il coraggio di essere
davvero noi stessi allora non saremmo qui oggi, Connor sarebbe ancora
tra noi, con quel sorriso che non avete mai compreso, con le parole che
non avrebbe avuto il bisogno di nascondere perché lo avremmo
ascoltato tutti."
Quello che segue è una commuovente testimonianza. Molteplici
ragazzi si alzano dalla platea e si accalcano, raccontano dei loro
tentativi di suicidio andati a vuoto, parlano dei loro problemi.
Il preside si fa avanti mettendo per un attimo fine alla confusione e
al fermento. "Evan oggi mi ha insegnato che questa scuola ha bisogno
che si faccia più attenzione ai nostri ragazzi. Per questo
ho intenzione di convocare i migliori professionisti del settore
affinché tra i nostri studenti non si ripeta una tragedia
simile."
Nel silenzio o nel rumore, dietro le quinte, lontani da sguardi
indiscreti le mie labbra trovano quelle di Evan e niente
sembra più avere importanza.
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Capitolo 11 *** Him ***
"Sono così fiero di te!"
Hansen si sfiora le labbra, mi guarda, la confusione negli occhi, il
suo viso è leggermente tinto di rosa. "Tu mi hai baciato?"
mi dice.
"No, tu hai baciato me!" ribatto.
"No, sei stato tu..." mormora.
Mi rendo conto che è vero. "Ah..." mugolo in realizzazione.
"Eh..." segue Hansen con rassegnazione.
"Vabbè, non so come spiegartelo, ma.." inizio a dire. Ecco,
davvero non so come esprimere questo concetto, suppongo che ho letto
l'atmosfera, ho sentito la magia del momento e un abbraccio mi
è sembrato semplicemente troppo poco, ma...
"L'ho fatto in amicizia. Non sono il tipo che ha bisogno di girare
attorno alle cose, se mi piaci te lo dico tranquillamente."
Evan annuisce, accenna un sorriso.
"Dove è finito il nostro Hansen?" domanda il preside Howard
riportando l'attenzione su di lui. Evan sentendosi chiamato in causa
ritorna sul palco camminando con difficoltà e si prende
un'altra dose di applausi.
Il ritorno a casa è strano, sentiamo gli occhi addosso.
Abbiamo già lasciato la scuola da qualche isolato eppure
sembra ancora che chiunque incontriamo voglia complimentarsi con Evan e
ripetere quanto sia stato illuminante il suo discorso.
Heidi come al solito non c'è, siamo solo io ed Evan, io,
Evan e le parole che non riesco più a tenermi dentro.
"Era iniziata come una semplice curiosità, ma è
diventato qualcos'altro" dico di punto in bianco.
Evan, che fino a qualche istante fa era sdraiato sul letto al mio
fianco per recuperare le energie, trema, mi guarda in attesa,
spaventato.
"Praticamente ho passato tutta la mia vita da solo fino a quando non ho
incontrato Miguel. Questo è il suo nome, questo è
lui, l'amico della foto."
Evan tira un sospiro di sollievo, si mette a gambe incrociate sul suo
letto e mi ascolta. Dalla sua espressione posso capirlo, sa che sto per
rivelargli qualcosa che nessuno ha mai avuto l'onore di sentire, una
storia che nessuno ha mai letto se non i protagonisti che oltre ad
averla scritta l'hanno vissuta.
"A volte era M. Mai Mike" il mio cuore trema, i ricordi mi invadono, i
palmi sudano. Non lo nominavo da troppo tempo, anche solo il suo nome
sembrava insostenibile. Evan può essere fiero di me per la
sua imitazione.
Continuo a volerlo rivedere, ma che senso ha rimettermi in gioco? Che
senso ha ora che non può neanche sentire le parole che
vorrei avergli detto?
"Ci siamo incontrati al secondo anno ad Hannover. Un istituto tutto al
maschile. Pensavo che l'avrei odiato, in realtà ha reso solo
le cose più semplici."
Evan attende, rispetta le mie pause e continua a guardarmi carico di
curiosità.
"Le mie esperienze con le ragazze si collocano da qualche parte tra
"molto insoddisfacente" e "non applicabile" " spiego con
serenità, come ho già detto la mia
sessualità non era un problema.
"Era il nuovo inizio di cui avevo bisogno. Nella scuola pubblica non
potevo sfuggire alla visione che tutti avevano di me. Ad Hannover ero
finalmente un foglio bianco, immacolato, incontaminato. Potevo
riscrivere la mia storia e nessuno me lo ha fatto credere
più di Miguel."
La mia mente vola, ripercorre il corridoio, si ferma seduta a un banco,
si perde nei suoi occhi. "La prima settimana ci hanno messo in coppia a
biologia. L'ho fatto ridere con una battuta. "Come si riconosce il
sesso di un cromosoma? Abbatti i suoi geni." "
Mio Dio, quella risata era il suono più bello che avessi mai
sentito.
"Forse era una freddura stupida, ma sembrava normale, la nostra
interazione, intendo. Era l'incarnazione di ciò che avevo
sempre immaginato fosse normale in un rapporto."
Evan mi guarda negli occhi, come se volesse scrutare più a
fondo, come se volesse arrivare al limite della mia anima e vedere cosa
c'è, chi c'è.
"Conosceva un po' tutto. Parlavamo di argomenti che non avevo mai
neanche considerato come le criptovalute e i cibi alcalini. Citava
personalità di cui non avevo mai sentito parlare: Nietzsche
e David Sedaris. Mi ha fatto ascoltare artisti che mancavano alla mia
cultura: Perfume Genius e War on Drugs. Mi faceva domande a cui non
sapevo rispondere ma che amavo sentire: il governo ha demolito
l'edificio 7 l'11 settembre? Gli umani sopravviverebbero
all'acidificazione degli oceani? Dove sono i piccoli dei piccioni?
Sceglieva l'esatta dose di cose da dire per farmi galleggiare, invece
di affondare."
Un ricordo tanto sbiadito quanto vivo, la sua mano che mi accarezza il
viso, la sua voce che sussurra il mio nome.
"Mi ha detto che ero innocente, mi ha detto qualcosa che era l'opposto
di ciò che percepivo, ma che sentivo nel mio cuore era vero.
Lui mi ha visto prima che io riuscissi a vedere me stesso."
Mi giro su un lato, stavolta verso Evan, ricerco il suo sguardo e gli
faccio cenno di tornare a stendersi vicino a me perché ci
stavo bene.
"È stata la prima persona apertamente e orgogliosamente gay
che io abbia conosciuto. Suppongo che fosse anche la prima persona che
conoscevo davvero..."
Evan si sdraia di nuovo accanto a me, si mette sul lato opposto
sostenendo il mio sguardo.
"In classe eravamo un duo, dopo scuola eravamo una coppia." Mi fermo,
prendo un respiro profondo. Fa male parlare al passato e forse fa anche
più male la carezza vellutata temporanea che sono questi
momenti per il mio cuore. "Andavamo in centro" continuo a raccontare.
"Ci rifugiavamo al caldo in libreria. Guardavamo gli skateboarder
all'Erwin Center. Lo aspettavo fuori dalla panetteria quando staccava
dal lavoro. Insieme portavamo le baguette invendute a suo cugino.
Finivamo su una panchina a lanciare pane agli uccelli, a struggerci per
quanti rifiuti ci fossero nel mondo, a colpevolizzarci per il
riscaldamento globale."
Sul mio viso non c'è altro che un sorriso, in quei momenti
mi sono sentito davvero vivo e felice e anche se le cose sono cambiate
le mie emozioni immortali sono rimaste identiche.
"A volte le nostre conversazioni avvenivano su un autobus. Altre volte
sul divano del suo soggiorno. La madre tornava a casa e ci preparava la
cena. Io me ne andavo prima che decidessero di coricarsi a pancia
piena, la testa riempita di mille concetti, ma colmo era soprattutto il
mio cuore."
"E poi cosa è successo?" domanda Evan interessato,
trasmettendomi tutta l'attenzione che sta prestando alla mia preziosa
condivisione.
"E poi un giorno del secondo semestre gli hanno trovato dell'erba
nell'armadietto. Per la prima volta il mio sicuro Miguel ha vacillato,
la sua spavalderia lo ha abbandonato."
Un'altra pausa. Evan mi invita a continuare con una carezza sul braccio
esposto.
" "È solo un po' d'erba" ho cercato di minimizzare. "E
allora? Che fa se ti buttano fuori? Saresti fortunato a poter uscire da
questo posto." Lui mi ha preso per il viso, mi ha attraversato con i
suoi occhi e fatto toccare con mano la sua paura. "Pensi che sia stato
facile per me entrare qui? Forse per te è diverso, io no...
non ho la tua stessa disponibilità..." In sostanza Miguel mi
fece capire che io avrei avuto altre occasioni, lui aveva un solo treno
e non poteva permettersi di scendere alla stazione sbagliata."
Ancora silenzio da parte mia, è tutto così vivo.
Le lacrime agli angoli degli occhi, il panico che mi travolse, sta
succedendo, no, non allora, adesso. Ogni sentimento è ancora
qui a supplicare di essere finalmente elaborato.
"Ho iniziato a pensare al peggio. E se lo avessero cacciato? Cosa ne
sarebbe stato di me? Come avrei fatto senza di lui? E poi, un'altra di
quelle decisioni prese in una frazione di secondo: sono andato dal
preside e gli ho detto che la droga era mia. Non mi importava scoprire
cosa sarebbe successo, non ci stavo pensando era stato puro istinto di
sopravvivenza. "Purché lui rimanga in questa scuola" mi
dicevo."
Evan mi guarda preoccupato, i suoi occhi anticipano la catastrofe, mi
prende per mano per darmi coraggio e incitarmi a proseguire.
"Abbiamo firmato tutti lo stesso contratto scolastico a tolleranza
zero. Pena: l'espulsione. I miei genitori hanno cercato di
opporsi, ma è stato inutile. La fedina penale di Miguel
è rimasta pulita e io sono stato mandato in riabilitazione,
come mio padre aveva minacciato l'anno prima."
Evan si porta una mano alla bocca stupito e spaventato allo stesso
tempo, i miei occhi sono lucidi, le narici pizzicano.
"Mia madre lo aveva convinto a iscrivermi invece a un programma estivo
nella natura selvaggia e poi ad Hannover. La cosa assurda è
che al tempo non ero neanche un caso da riabilitazione, ero solo un
cazzone qualunque che si faceva qualche cannetta, ma non importava, il
mio curriculum non supportava questa storia. Avevo finito le
possibilità. L'ultima vita del videogioco. Game Over per
Connor Murphy."
Le lacrime mi bagnano le guance, Evan le guarda mentre si raggruppano
in prossimità del mento e solo allora le asciuga con la mano
sana.
"Ironia della sorte: è stata proprio la riabilitazione che
mi ha introdotto a una nuova serie di cattive abitudini. Il programma
estivo nella natura selvaggia era letteralmente una passeggiata nel
parco al confronto. I ragazzi con cui stavo erano dei forti
tossicodipendenti. Pelle, denti, occhi distrutti dalle droghe. Alcuni
di loro non assomigliavano nemmeno più a esseri umani.
Zombie. Ed è così che il personale li ha
trattati. Ci ha trattato. Ma io no, io non appartenevo a quel posto. Mi
sono comportato come se fossi uno di loro. Ho fatto finta di essere un
consumatore di droga molto più grande di quanto non lo fossi
mai stato in realtà solo per mimetizzarmi. Per
sopravvivenza. Ma dentro tremavo. Mi mancava la mia casa, per una volta
avevo qualcosa da perdere, qualcosa per cui valesse la pena ritornare."
C'è silenzio, Evan a stento trattiene il respiro. Sembra
curioso di scoprire il resto della storia e al contempo desideroso di
allieviare le mie pene. Poi sembra ritrattare, come se avesse capito
che ho solo bisogno di consegnare finalmente a qualcuno questo dolore
perché possa lasciarlo andare al posto mio.
"Dopo la riabilitazione ci siamo visti di meno. Scuole diverse. I turni
a lavoro erano fitti e inoltre Miguel aveva deciso di diventare
dialogatore per Amnesty International. Per giunta sua madre non voleva
che uscisse con me, ero una cattiva influenza. Non ho mai incontrato
suo padre e dubito che abbia mai saputo della mia esistenza. Ma
comunque ci scrivevamo molto. Io non facevo che lamentarmi della mia
vita, di come mi trattavano a scuola. Sai, Evan, la gente sente che sei
andato in riabilitazione e si comporta come se fossi veleno e tu... tu
inizi a crederci e forse lo diventi davvero."
Un'altra pausa, un singhiozzo. Tutto tace, solo la mano di Evan che
asciuga timidamente le mie lacrime, solo un sorriso timido sul suo
volto che vuole dire "lasciati andare, ti prendo."
"Fanculo" urlo. " "Fanculo" è quello che diceva Miguel.
Semplice e risoluto. "Fanculo." Aiutava, aiutava ogni volta che mi
fermavo a pensare alla mia vita, alla piega che aveva preso. La rabbia
mi consumava. "Che si fottessero!" a un certo punto non è
stato più abbastanza. Mi chiedevo cosa sarebbe successo se
fossi rimasto ad Hannover? Forse la mia vita sarebbe potuta andare
diversamente."
Un respiro profondo, gli occhi di Evan mi invitano a continuare, la mia
voce trema, perché è spaventoso dire addio al
ricordo più felice.
"E poi un giorno, la scorsa primavera, Miguel è arrivato. Ha
deciso che "fanculo" sua madre e chiunque altro, lui voleva me.
È venuto a casa e ne ha fatta una questione di stato. "Mi
sento come se fossi il primo messicano a non essere pagato per essere
qui." Gli ho detto di no, ma quello che non gli ho detto è
che è stata la prima persona che avessi mai invitato a casa
mia."
Evan abbassa lo sguardo, posso leggere i suoi pensieri, li smentisco
immediatamente.
"Tra noi è successo che è nato un rapporto nel
modo più strano mai concepito, ma non mi dispiace che le
porte di casa mia ti siano state aperte. È vero, all'inizio
mi sentivo come se volessi semplicemente prendere il mio posto, ma poi
ho capito che il tuo posto è semplicemente accanto al mio."
Evan sorride, si avvicina leggermente, le nostre fronti si toccano in
una muta promessa che nessuno dei due ha il coraggio di pronunciare ad
alta voce. "Non posso nasconderti niente, vero?" dice.
Non rispondo, non ce ne è bisogno. Riprendo la mia storia.
"Prima di Miguel avevo avuto altri boh partner, non so come chiamarli.
Intendo dire che ero uscito con altre persone e ci ero anche andato a
letto, ma non avevo mai portato a casa nessuno perché
conoscesse i miei genitori. La casa era vuota, siamo rimasti nella mia
camera da letto, stesi a testa in giù, per motivi che
conoscevano solo le nostre anime, ma non sono degnate di dircelo. Mi ha
preso in giro per uno dei miei libri "Il piccolo Principe? Seriamente?
Questo in realtà spiega molto." Ha detto che ero un ragazzo
che indossava i panni di un uomo. Mi ha fatto conoscere un sacco di
libri e autori. Non gli ho mai restituito la sua copia de "I misteri di
Pittsburgh." "
I ricordi corrono a una giornata troppo calda per coprire le gambe, a
una casa troppo vuota per non condividere segreti che nessuno avrebbe
mai scoperto, a delle labbra troppo abituate a parlare che potevano
finalmente imparare il silenzio.
"C'era una nuova energia tra noi. Ora eravamo più grandi,
più esperti. Quelli che erano stati solo pensieri si erano
tramutati in azioni. Ci siamo sballati e ci siamo sdraiati sul
pavimento. "I tuoi capelli stanno diventando lunghi" ha
detto. Mi è bastata quella frase perché
desiderassi poterli tranciare con delle forbici, ma poi ha detto "mi
piacciono" e ho realizzato di amarli. "Stai bene con i capelli
più lunghi." Cielo, lo so io perché ho iniziato
l'ultimo anno di liceo con quella lunghezza. Non me li sarei mai
più tagliati pur di piacergli per sempre."
Evan sospira, coglie la tristezza e la disperazione, nelle mie parole.
Accenno un sorriso perché sta accogliendo tutto questo con
tanta pazienza e rispetto e in un attimo sento che Evan può,
sì, lui può davvero sapere ogni dettagli di
questa storia.
"Prendi il computer, voglio farti sentire una canzone" gli dico.
Hansen si alza dal letto procede verso la scrivania e poi porta il
portatile sul materasso tra noi. È nostalgico, mi ricorda un
po' il giorno in cui abbiamo scritto quelle lettere, ma con tutta
un'altra energia tra noi.
"Perfume Genius - Slip Away" digito sulla barra di ricerca di YouTube,
seleziono il primo video.
Hansen inizia ad ascoltare, a guardare il video, ogni singolo
fotogramma mi cattura, ogni singola parola mi penetra profondamente.
Non riesco a resistere alla tentazione di accennare qualche nota.
"Lo so che ci sono alberi in questo video, ma non ti eccitare" scherzo,
forse per sdrammatizzare, mi arriva un cuscino in faccia.
Quando il video è finito Evan mi rivolge uno sguardo che
cerca spiegazioni e io sono più che pronto a fornirgliele.
"All'improvviso ha messo questa canzone, non so neanche quando avesse
inserito l'auricolare nel mio orecchio. Quando è finita gli
ho chiesto di rimetterla, non una volta sola. Ogni singola frase mi
parlava all'anima, ma la riga "Non trattenerti, voglio liberarmi"
spiccava. "Oh amore, non romperanno mai la forma che prendiamo. Oh
tesoro, lascia che le loro voci scivolino via." Mi disse guardandomi
negli occhi. Stava solo cantando, oppure stava parlando con me?
Sdraiato lì ho notato una voglia sul suo collo, non ci avevo
mai fatto caso prima. Ho allungato la mia mano e l'ho toccata con
l'indice. I nostri occhi si sono trovati. Quella voglia è
stata come un pulsante magico, una volta spinto improvvisamente il
mondo intero si è illuminato."
Evan sorride, nei suoi occhi c'è dolcezza, forse invidia.
Non ha mai avuto niente di simile e forse pensa non solo che non lo
avrà mai, ma magari neanche di meritarlo.
"Fingevamo di essere i ragazzi nel video, di poter scappare in un mondo
solo per noi. Tanto meglio che non ci saremmo mai riprodotti,
l'umanità avrebbe avuto l'estinzione che meritava. Avremmo
vissuto di amore e fanculo il resto del mondo, poteva anche bruciare,
mi sarebbe bastato rimanere tra le sue braccia. Quella è
stata la prima volta che ho realizzato di pensare a me stessa come
qualcosa di diverso da un ragazzo. Nel video io mi vedevo nella
ragazza, nelle sue mani dietro il cantante, nel vestito candido, nel
fatto che mi lasciavo trascinare perché non avrei avuto il
coraggio di lasciare la vita che mi stava uccidendo senza la sua mano,
non ero io la guida."
Leggo le domande negli occhi di Evan, ascolto i suoi pensieri.
È impaziente di chiedere, ma lo invito con uno sguardo ad
aspettare, perché potrei rispondere già nel
racconto e se non lo avrò fatto accoglierò tutto
il resto.
" "Connie", così mi chiamò e mi sembrò
che non ci fosse mai stato niente di più giusto. Mi disse
che significava "colei che ha costanza, colei che porta fortuna". Mi
piacque subito, sembrava inappropriato per me e forse proprio per
questo era perfetto. Miguel ha visto lei prima che io sapessi anche
solo ammettere che potesse esserci. Sono una via di mezzo, Evan,
fluido. Qualcosa a metà tra ciò che per me era un
ragazzo e ciò che per me era una ragazza. A oggi ci sono
così tanti termini, credo che rientro tra i genderfluid, ma
la verità è che sono Connor e sono Connie, siamo
la stessa persona eppure completamente diversi."
Evan sembra confuso, suppongo non sia pratico con queste
realtà. I suoi pensieri indugiano sui miei pronomi, su
quanto possa essere difficile avere un'identità
così articolata, ma in realtà questa è
un'altra di quelle cose che ho sentito subito mie e non mi hanno mai
dato problemi.
"Perché è finita?!" taglia corto Hansen, il suo
tono è incredulo, sofferente, spaventato. Una cosa
così bella può davvero finire? Succede.
Queste cose così belle le puoi ammazzare solo da solo, con
l'insicurezza, con i demoni, con ogni singola goccia di
immaturità. Ed è un crimine.
"Ho ascoltato questa canzone ogni giorno per mesi e mesi
finché non è diventato troppo doloroso
ascoltarla, perché tutto... tutto quello che avevamo sognato
non era che fumo..."
Le lacrime prendono il sopravvento, Hansen le accoglie, mi accoglie.
Spalanca le braccia perché io mi ci possa rifuggiare e
ammetto che è piacevole nonostante il gesso contro la
schiena. Rimaniamo così per interminabili secondi e quasi
penso di non rispondere, di lasciare per sempre questa storia
incompleta, dove io e Miguel non arriviamo a una fine, dove io non
distruggo la cosa migliore che mi fosse mai successa.
"Questa volta eravamo a casa sua. Miguel mi ospitava solo quando sua
madre era al lavoro. Nonostante l'opinione che aveva di me mi
è sempre piaciuta sua madre: lingua tagliente dal cuore
tenero, cuoca straordinaria, la persona più accogliente che
avessi mai conosciuto... finché non sono stato espulso. La
triste svolta per una verità che solo M sapeva: mi odiava
perché avevo aiutato suo figlio."
Evan accarezza la mia schiena, le mie parole arrivano direttamente al
suo petto, come se parlassi al suo cuore.
"Ormai lo avrai capito che da quel giorno casa mia la nostra amicizia
era sbocciata in qualcos'altro. Era l'inferno, ma Miguel è
stato il mio lato positivo, l'unica parte utile della mia vita. Non
vedevo l'ora di rivederlo, ma ultimamente quella sensazione era
più simile a una compulsione. Una forza gravitazionale che
mi attirava verso di lui. Non volevo stargli vicino. Dovevo. E quel
giorno a casa sua si è sdraiato accanto a me. Ho studiato il
suo corpo, cercando di memorizzarlo al millimetro. Ho osservato il modo
in cui la sua pelle sembrava assorbire l'energia della lampada. Il suo
ventre abbassarsi formando un'area poco profonda. Mi chiedevo a chi
altro nella sua vita fosse concesso questo privilegio. Chi altro avesse
mai toccato la voglia magica."
Evan anticipa la tragedia che sto per condividergli accarezzandomi i
capelli. È strano nessuno lo aveva mai fatto prima di M.
È bello, non voglio che smetta, mi sento di nuovo vivo anche
se il mio corpo è impegnato a guardare le margherite dal
lato delle radici.
"La mia vita sociale assomigliava a una linea che collegava solo due
punti, ma quella di Miguel era un cerchio. Aveva altri amici ad
Hannover. Una grande famiglia con tanti cugini. C'era un ex con cui
parlava ancora. E io? Dove mi collocavo? Dove mi ero inserito? Ero
vicino al centro o più verso l'esterno? "Che hai fatto?!" mi
domandò all'improvviso. Mi ero dimenticato di aver tolto i
miei braccialetti. Qualcosa che normalmente non avrei fatto, qualcosa
che la sua forza gravitazionale mi ha spinto a fare. Ho tirato via il
polso. "Niente" ho detto. Mi ha fissato negli occhi, sembrava volermi
sfidare. Mi sono alzato dal letto e mi sono infilato i braccialetti. Ho
coperto le cicatrici di notti in cui il tempo sembrava non passare mai.
Un accendino, fiammiferi, cera per candele, prima di dare fuoco a un
vecchio orologio a cucù non avevo neanche considerato le
lamette. Un po' come i poeti e i loro piaceri proibiti. D'accordo, era
una situazione preoccupante, ma non era nemmeno tutta questa tragedia.
M si mise a sedere. "Lo fai sempre!" disse. "Cosa faccio?" gli domandai
confuso non sapendo come proteggermi, immediamente mi rimisi la
camicia."
Hansen mi afferra una mano la tiene alta e scopre lentamente il polso.
Ci siamo già passati quel giorno a casa mia eppure
è diverso. Senza preavviso posa le sue labbra lì
dove le cicatrici ancora fanno male, le lascia per qualche secondo di
assuefazione.
Questa storia è importante, ma ora che la dico ad alta voce
so che è un capitolo che si è concluso, almeno in
quell'arco temporale. Gli occhi di Evan sono sinceri, e risoluti, in
questo momento mi ricordano quelli di M.
Le sue labbra si allontanano dalla mia pelle lesionata, la pelle che
rimarrà così in eterno e si aprono per
pronunciare una sola parola. "Continua."
"I suoi piedi toccano il pavimento, M fa il giro del letto solo per
fermarmi. Rido. "Di cosa stai parlando?" chiedo. "Siamo sempre qui a
casa mia. Mi hai avuto più di una volta. Eppure è
come se tu mi dessi solo questi piccoli scorci" dice. Lo sfido con uno
sguardo spento. "Perché ti interessa? Mica siamo..." Alzo le
spalle, ecco il punto è che non ero sicuro di cosa fossimo.
Scuote la testa e sospira. "E come possiamo arrivare a esserlo se non
me lo permetti?!" Non era una domanda, non era un'affermazione, era un
ultimatum. Miguel non sapeva com'era stato l'anno precedente, aveva
sentito certo, ma non era stato lì. Conosceva solo la
leggenda, non la realtà. Giorno dopo giorno dopo giorno.
Graffiare e raschiare. Il danno fatto a me da me. Ogni cosa
buona era diventata cattiva. Sdraiato a letto la notte e immaginandomi
solo... "Non capisci" dico. Mi guarda per un momento e poi il suo naso
preme contro il mio, gli occhi sembrano volersi fondere con i miei. Non
vicini come eravamo poco prima eppure in qualche modo molto
più intimi. "Allora dimmelo." "
Evan ricerca il mio sguardo, mi posa una mano sulla spalla per
spingermi a proseguire.
"Puoi farcela, Connie, hai bisogno di fare uscire tutto questo."
È strano, quel nome dalle labbra di Hansen ha un sapore
differente eppure, è il sapore giusto.
"Stavo davanti a lui e tremavo. "Sii autentico con me! Sii fottutamente
vero con me!" Come? Come avrei potuto farlo? Quando al di
sotto di ciò che pensava di vedere in me c'era qualcosa di
irreparabile? Feci un passo indietro, strinsi la mascella, mi chiusi a
chiave. Mi rivestii il più velocemente possibile. Lui
cercò di fermarmi, mi chiamò più volte
a squarciagola, ma la mia decisione era già stata presa:
scappa per la tua vita. Sto ancora scappando suppongo."
Con un sospiro indico ad Hansen i volantini che ci sono avanzati per
pubblicizzare il Progetto Connor. "La foto... quella che sta girando,
quella in cui sembro così felice... è vera, sono
felice in quell'istante immortalato. I capelli corti e quel grande
sorriso sciocco sul mio viso. Nell'originale M è al mio
fianco, il suo sorriso è ampio quanto il mio. Di due cose
ero certo: come mi sentivo quando ero con lui e quando non lo ero. Il
primo esilarante, l'altro insopportabile. Stare con lui era come essere
dipendenti da una droga. Quando abbiamo smesso di vederci sono andato
in astinenza. È stata un'estate lunga e buia."
Fuori, le parole sono tutte fuori, le emozioni sono tutte fuori. Per
quando finisco di tremare il cielo è buio e le braccia di
Hansen sembrano più grandi e forti di quanto non lo siano
mai state.
"Connor, devi parlare con lui... merita di sapere, merita di avere
delle spiegazioni... Connor merita di sapere che sei..."
Hansen si interrompe, suppongo che entrambi odiamo ricordare la mia
reale condizione.
"Lui non vuole parlare con me..." mormoro. Se Hansen sapesse a cosa si
riferivano quelle spunte blu capirebbe.
"Non importa se non vuole parlare con te, parlerà con me.
Vuoi davvero che lo scopra per caso? Vuoi davvero che scopra che il suo
ex si è suicidato da una qualche fonte apatica?"
Sospiro, suppongo di no, suppongo sia giusto che venga informato con
tutti i crismi e i carismi. Se c'è una cosa che so Miguel mi
amava, anche se nessuno dei due lo ha mai detto esplicitamente, il
sentimento che c'era tra noi era una profonda amicizia e un solido
innamoramento. Non dubito di questo, quello che ancora non sono sicuro
sia vero è che io lo meritassi. Oltre a ciò
questa è la prima volta che penso a M come a un ex...
suppongo che questo significhi che sia stato il mio ragazzo. Neanche
questo è mai stato definito.
"Cognome!" dice Hansen irremovibile.
"Cosa che?" domando colto alla sprovvista.
"Cognome, Connor e sappi che se non me lo dai tu lo farò
scoprire a Jared e credimi ci riuscirà. Ho troppi elementi
per trovare un Miguel ad Hannover."
Tremo, Evan sta facendo la cosa giusta, ma a volte la cosa giusta
è spaventosa.
"L-Lionel..." balbetto.
Evan mi guarda soddisfatto facendomi un enorme sorriso che per quanto
mi riguarda non promette niente di buono.
"Saldiamo un po' conti col passato. Che dici?"
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Capitolo 12 *** Them ***
Le parole di Evan hanno un potere, a volte curativo, altre illuminante,
ora come ora hanno rilasciato la cascata che da più di un
anno aspettava solo di rompere le dighe che la contenevano.
Quando sai di aver sbagliato, quando sai che in fondo non potrai mai
rimediare, quando capisci che qualcosa è andato perduto per
sempre ed è colpa tua, colpa del coraggio che avresti voluto
avere, ma non hai mai avuto, allora semplicemente il dolore
è così forte e incontenibile che straripa.
Evan non mi ferma, con lo stesso atteggiamento che ha avuto durante la
mia confidenza si prepara a ricevermi anche più violento di
come sono stato quel giorno in cui l'ho spinto, ma stavolta sa come
prendermi senza farsi male.
Continuo a pensare a tutto ciò che sarebbe potuto andare
bene al posto che così...ma sapete, il mio cognome
è Murphy e la legge di Murphy afferma che se qualcosa
può andare male lo farà e l'annesso corollario
dice che se qualcosa non può andare male lo farà
comunque.
Suppongo che forse sia questo il vero problema, il mio cognome, la
stella sotto il quale sono nato quello sfortunato 21 aprile del 2000.
Non mi sono neanche degnato di scegliere un segno zodiacale, ho optato
per essere cuspide.
Comunque è questo forse che fa più male: avere
avuto un assaggio dell'amore e averlo perso per sempre. Vivere nel
ricordo di qualcosa di troppo speciale e magico al punto tale da fare
scomparire ogni problema e sapere che non tornerà e che sei
stato tu stesso a ucciderlo. Avere la consapevolezza che per quanto tu
possa provare a rimediare la persona con cui dovresti parlare
è ormai morta assieme a ciò che c'era tra voi,
hai ucciso anche lei.
Le carezze di Evan leniscono la mia anima, la sua voce sussurra
qualcosa che tra le mie urla non riesco a sentire e se tra questi pugni
ho mai stretto qualcosa più forte della camicia di Hansen
non lo so dire. È tutto buio.
Non dormivo da mesi, voglio dire, sono morto da boh due o tre
settimane, non ricordo, ma era da tempo immemore che non chiudevo gli
occhi in maniera prolungata per più di due ore scivolando in
uno stato di incoscienza.
"Evan, tesoro... almeno hai mangiato?" è stata la voce di
Heidi a svegliarmi, anzi a svegliarci.
Ho alzato lo sguardo solo per trovare i suoi occhi preoccupati e
intenti a osservare qualcosa di non meglio definito in direzione di suo
figlio.
"Era un bel sogno?" gli domanda. "Avevi un sorriso tenero sul viso e
questa posizione... chi stavi abbracciando?" chiede dolcemente.
Evan sussulta, si mette seduto dandomi accidentalmente uno schiaffo dal
momento che è l'unico che non mi passa attraverso.
"N-Nessuno!" squittisce.
Vorrei sdrammatizzare, ma il mio petto sta ancora accusando della
manata che non avevo chiesto.
Heidi ridacchia prende il cellulare e mostra la foto che ha scattato a
suo figlio. "Eri adorabile... non ho resistito."
Mi sporgo per vederla mentre Evan finge che non esista: la posizione
è incredibilmente inequivocabile, lì dove non
c'è niente io vedo chiaramente il mio corpo. La gamba destra
piegata un po' più in alto della sinistra, il viso
appoggiato sulla spalla sinistra di Evan, ma voltato verso destra. Il
braccio destro abbandonato lungo sul materasso, quello sinistro stretto
contro il braccio rotto di Hansen che mi cinge le spalle. È
un peccato che non mi si veda, vorrei un ricordo più chiaro
di quanto posso essere vulnerabile senza che succeda niente di male.
"Tesoro mio, è quasi ora di andare a letto. Ti faccio un
toast veloce, che ne pensi?" chiede Heidi. Evan come al solito la
asseconda e le risponde semplicemente annuendo.
Scendiamo al piano di sotto, un po' frastornato Evan si mette a tavola
e attende. Heidi gli porta un piatto con dentro due toast formaggio e
insalata qualche minuto più tardi.
"Mi dispiace, è tutto quello che abbiamo e a quest'ora non
le fanno più le consegne a domicilio nella nostra area..."
mormora Heidi, capisco chiaramente che si senta in colpa
perché vorrebbe dare il mondo a suo figlio, ma ha a stento i
soldi per comprargli il minimo necessario.
"Va bene" commenta Hansen senza entusiasmo addentando il primo toast.
"Come è andata oggi a scuola?"
Quella domanda paralizza Hansen che prima rischia di strozzarsi col
boccone, poi mette insieme una serie di parole che non hanno alcun
nesso tra loro mentre le mani sudano. In preda all'ansia riesce
finalmente ad articolare una frase di senso compiuto.
"Non è successo niente" dice.
Suppongo che non voglia raccontare a sua madre la realtà dei
fatti. Suppongo che la terrà all'oscuro in eterno
finché non parlerà qualcuno al suo posto. Non gli
dirà della sua gloria, di quel momento di successo forse
perché pensa che Heidi non faccia il tifo per lui o forse
perché sarebbe difficile da spiegare che il suo caro amico
Connor che si è trasferito in Canada non esiste e il suo
gesso lo ha firmato un altro Connor che è il ragazzo che lei
stessa ha soccorso?
Evan continua a ripetere a se stesso che non vuole mentire eppure non
fa altro che aggiungere nuove gocce alla marea di menzogne che
già lo sballottano. Se continua così
finirà in mare aperto e io non posso salvarlo.
"Suppongo che la nostra vita sia un po' ripetitiva. Che ne pensi se
questa estate ce ne andiamo in un posto nuovo?"
Evan sospira, riprende a masticare piano piano, ingoia. "Come dovevamo
fare la serata tacos?"
Cala il silenzio, Heidi si alza e se ne va, io ed Evan rimaniamo da
soli a finire il toast. Non è facile, ma non posso davvero
biasimarlo. Vorrei che lui e sua madre andassero più
d'accordo, che Evan avesse una vaga idea di quanto è amato,
ma suppongo che non sia pronto a crederci.
Sabato, sabato mattina il che significa niente scuola, ma significa
anche che Evan sta buttando giù Facebook passando in
rassegna tutti i Miguel Lionel degli Stati Uniti.
C'è un modo molto più semplice di raggiungerlo,
ma suppongo che ci voglia troppo coraggio per me per dirglielo.
"Trovato, è lui!" Evan mi prende alla sprovvista mettendomi
praticamente in faccia lo schermo del computer, il suo tono
è fiero.
Le mie gambe già beh sì, morte, sembrano fatte di
gelatina. Quegli occhi scuri non hanno smesso di brillare e i capelli
leggermente più lunghi gli donano così tanto,
specialmente perché sono un po' più voluminosi.
La gola è secca. Aiuto, sto annegando, ma è una
morte dolce.
"Lo contatto su Messenger" dice Evan e improvvisamente sembra tutto
così sbagliato.
"Ho un'idea migliore..." mormoro a fatica. "Tua madre oggi lavora, il
sabato Zoe prova con la banda, Larry va a giocare a golf con il suo
amico Gordon e mia madre si sente sempre molto sola."
Evan mi guarda con un punto interrogativo al posto del volto. "Il mio
cellulare è casa mia, ho il numero di Miguel salvato.
Dobbiamo chiamarlo... se proprio abbiamo deciso di parlargli mi rifiuto
di mandargli un altro messaggio."
Silenzio, poi realizzazione, poi la scelta di non dire niente, non
ancora.
"Vai a casa mia, saluti mia madre, chiedi di avere il mio cellulare
perché vuoi prendere delle foto che abbiamo fatto ad Ellison
Park, resti per pranzo se ti gira, poi torniamo qui col mio cellulare
che Cynthia ti permetterà di avere in prestito e chiamiamo
Miguel."
Hansen annuisce, più come un robottino che altro, ma penso
che per il momento mi vada bene.
Casa Murphy, di nuovo.
"Evaaaaannn" è con questo tono dolce e disperato che mia
madre lo accoglie. "Entra, vuoi qualcosa da mangiare?"
Neanche a dirlo, potrei scrivere un copione su mia madre e recitarla.
"Sì grazie, Cynthia."
Evan entra in casa anzi mia madre lo trascina dentro stringendolo forte
senza lasciarlo andare al punto tale che potrebbe soffocare, ma sembra
stargli bene e io non sono nessuno per fargli la predica.
Quando qualche minuto interminabile dopo mia madre rilascia Hansen gli
sorride, con gli occhi lucidi gli prende una mano. "Io e Larry ci
stavamo pensando da un po'.." inizia a dire, quella pausa sembra
infinita.
"Vorremmo darti delle cose di Connor...vestiti, libri, prendi quello
che vuoi. Sono sicura che se potesse vederti vorrebbe esattamente la
stessa cosa."
Hansen ride istericamente, probabilmente perché è
capitata a fagiolo. A essere sincero non so se mi piaccia l'idea che le
mie cose vengano date via in questo modo, ma capisco anche che
è devastante entrare nella camera viva di un morto.
"Cynthia allora se non ti dispiace vorrei prendere il cellulare di
Connor e un libro."
Cynthia sembra persino più entusiasta del solito. "Certo
Evan, prendi tutto quello che desideri."
"Anche il muro Evan, se vuoi prendi anche il muro dalla camera di mio
figlio" dico a metà tra scherzo e fastidio. Hansen trema.
"G-Grazie" mormora. Sale le scale e si ferma davanti alla stanza di
Zoe, indugia.
"La mia camera è quella in fondo" gli faccio presente con un
tono tagliente ed Evan come un soldato prosegue la marcia in quella
direzione sudando freddo.
Apre la porta e con mia enorme sorpresa quello che troviamo
è una serie di scatole e poche altre cose ancora esposte in
camera. Suppongo stiano esternando il vuoto che ho lasciato.
E ora dove cazzo sta il mio cellulare? Già temo il peggio
quando Hansen forse guidato da uno strano istinto apre il cassetto
della scrivania e ne estrae il mio smartphone, un qualunquissimo
Samsung Galaxy boh chi cazzo si ricorda. Ma la cosa bella dei Samsung
è che hanno tutti lo stesso caricabatterie.
Io prendo il mio cellulare e vedo Evan chinarsi per prendere un libro
sullo scaffale più in basso. Il mio cuore trema quando
realizzo di cosa si tratta, pensavo che avrebbe preso "Nelle terre
estreme" invece...
"I misteri di Pittsburgh?" domando.
"Ho prestato attenzione, è la sua copia, non gliela hai mai
restituita. Posso farlo io per te."
Silenzio, annuisco, il mio cellulare è ancora carico,
suppongo lo abbiano solo spento. Il PIN è rimasto uguale e
così la password di sblocco e quella stupida immagine sullo
sfondo. "Shit happens" in bianco su un monocromatico scuro come a
ricordarmi costantemente la mia condizione miserabile.
Gli occhi vanno su WhatsApp, apro l'app e poi le conversazioni. Non ho
mai avuto così tanti messaggi in tutta la mia vita.
Ci sono tributi e controtributi. C'è chi mi scrive
addirittura tutti i giorni per chiedermi come sto. Bene, grazie, la
morte è noiosa, ma Hansen è uno spasso. Mia
cugina Janissa mi manda ancora i meme divertenti, mio cugino Lawrence
mi scrive frasi motivazionali, probabilmente per dare forza a se
stesso. Forse ho sottovalutato l'importanza che avessi per i miei
parenti.
Ci sono una marea di messaggi da gente che non conosco che mi manda le
condoglianze. Carino, non sapevo si facessero anche ai diretti
interessati. C'è chi mi dice cose mai dette. C'è
un certo Frank Cherlosity che mi scrive "Ciao Connor, suppongo che non
ti ricordi di me, ma io sì e non ti ho mai dimenticato. Eri
il mio migliore amico alle elementari e mi è dispiaciuto
perderci di vista quando ho cambiato scuola. Suppongo che al tempo non
avessimo modo di mantenere questo rapporto, ci siamo lasciati prendere
dagli eventi. Che male scoprire che sei morto e come sei morto. Ti
voglio bene, per sempre. Frank."
Boh, non ho una memoria così buona e l'ho anche fatta a
pezzi con le canne, ma se mi sforzo forse forse mi ricordo un bambino
che mi veniva a parlare nonostante tutto, nonostante tutti. Ricordo
però che era piuttosto unilaterale, lui veniva a
interessarsi a me e io lo liquidavo con due parole, forse
perché non volevo che lo associassero a me,
perché non volevo che anche lui venisse preso di mira.
Altri messaggi carichi di affetto, veri perché, un conto
è scriverlo sui social, un conto è recapitarlo al
diretto interessato chiedendo umilmente il mio numero a qualcuno, tipo
i miei o Zoe, non mi vengono altre persone in mente. Che motivo
c'è di scrivermi un messaggio privato e personale se non
è sentito?
Finalmente la conversazione che stavo cercando. Le spunte blu che sono
state troppo per me sono scomparse e al loro posto spicca la risposta.
"Mi manchi anche tu." Recapitato alle 21:43. Un flash davanti ai miei
occhi lo schermo del cellulare che si spegne con su scritto 21:42. Un
minuto, un fottuto minuto dopo che ho fatto la stronzata. Sarebbe
bastato un attimo in più e sarei ancora qui in carne e ossa.
Mi cade di mano il telefono, vado a fargli compagnia sul pavimento.
Evan si precipita da me. "Che è successo? Che è
successo, Connor?" lo sento domandare.
Le parole non funzionano, la mia voce si è ritirata. Allora
Evan si limita ad abbracciarmi mentre tremo, prende poi il cellulare e
cerca di sbloccarlo.
"21 04" gli dico con un sospiro. "Non ho così tanta
fantasia..."
Immediatamente gli si apre la conversazione con Miguel, anzi con
"Miguel ❤️" Che schifo. Quando sono diventato così romantico
e ovvio?
Evan legge, sorride per motivi a me sconosciuti e si rialza tendendomi
una mano. "Dobbiamo andare, dobbiamo andare subito. Ti ha scritto."
Non lo so, non so se sia qualcosa di cui felicitarsi, ma mi lascio
alzare da terra e seguo Hansen che esce dalla mia stanza e quasi si
butta giù per le scale.
"Cynthia, mia madre mi ha chiamato per un servizio. Sono desolato mi
farò perdonare venendo a cena uno di questi giorni.
Promesso."
Prima che mia madre possa replicare siamo già fuori alla
porta.
"Ma che cazz?" provo a dire, ma Evan non risponde.
"Andiamo a casa, Connor."
Copia de "I misteri di Pittsburgh" e il mio cellulare alla mano ci
incamminiamo verso casa Hansen. Nella mia testa domande che non riesco
neanche a porre.
Evan chiude la porta alle sue spalle, si mette a sedere sul divano.
"Posso capire che ti prende?" gli domando.
Evan sorride, si porta entrambe le mani al cuore. "Connor, lui ti
pensa, gli manchi. Non è bellissimo?"
Sospiro, non vorrei spegnere il suo entusiasmo, ma... "Evan.."
"Adesso potrete parlare e tornare insieme. Sarà tutto
risolto, Connor."
"Ev-"
"Il vostro amore non è mai finito e avrai la
possibilità di riscattarti e spiegargli cosa è
successo."
Un nuovo sospiro, mi avvicino ad Hansen, metto le mani ai lati del suo
viso come fa Gordon Ramsay in quel meme, lo guardo dritto negli occhi.
"Evan, io sono morto."
La realizzazione lo colpisce come un fulmine, suppongo che continui a
dimenticarsene.
"Che palle questo fatto!" si lamenta come un bambino capriccioso.
"Vuoi dirlo a me?!" inveisco.
Evan trema, poi si ricompone. "Scusami... volevo davvero che poteste
avere un lieto fine..."
Sospiro, so che è mosso dalle migliori intenzioni per questo
non lo attaccherò. "La mia storia è
già stata scritta e io sono il cattivo, per i cattivi non
c'è un lieto fine."
Stavolta è Evan a sospirare. "Connor, non sei il cattivo e
lo sai. Le storie non hanno dei cattivi, dipende da chi le racconta,
è chi le racconta a scegliere chi è il cattivo."
Silenzio, suppongo abbia ragione, eppure è difficile
togliersi i vestiti che si è abituati a portare, slabbrati e
consumati ciò nonostante comodi.
"Allora lo chiamo?" mi domanda con un dito già sul simbolo
della chiamata.
"E chiamalo... che ti devo dire?" mormoro mentre il cuore si sta per
fermar-ah già.
Evan mette il vivavoce, i primi due squilli a vuoto e poi.
"Connor!" con lo stesso entusiasmo di quando la sua bocca sapeva di
pane e la mia di erba, ma a nessuno dispiaceva il connubio.
"M-Miguel Lionel?" domanda Hansen.
"Tu non sei Connor" freddo, distaccato, anticipatorio.
"No, ti chiedo scusa per non esserlo io. C'è una cosa che ho
bisogno che tu sappia quindi per favore se non lo sei già,
mettiti seduto, steso forse è anche meglio."
"Che succede?" allarme, panico.
Ecco, come si può dire questa cosa senza rischiare di dover
mandare qualcuno al pronto soccorso d'urgenza?
"Sei seduto?"
"Chi cazzo sei? Dove è Connor?!"
"S-Scusami Miguel, ma ho davvero bisogno che ti segga."
"Dimmi prima chi cazzo sei!"
Evan sospira, si porta una mano sul petto per cercare di regolarizzare
il battito, la copia del libro cade sul divano. "Sono Evan Hansen, io e
te insieme eravamo i migliori amici di Connor."
"Io e Connor non eravamo solo amici" ribatte quasi offeso Miguel.
"No, questo lo so e..." il tono di Hansen si incrina, si spezza.
"Senti ho davvero bisogno che ti segga o stenda insomma che tu non stia
all'impiedi e mi ascolti."
Miguel sembra capire la serietà della cosa, c'è
una piccola pausa.
"Okay, sono seduto. Spara."
Evan sospira, racimola tutto il coraggio che ha per dire quelle parole.
"Connor, Connor... Connor... Connor... Connor non è... lui
ecco... non è... lui non è più... non
c'è... Connor....Connor non c'è... non
è più tra... ecco il fatto è che..."
È una scena straziante, viene anche a me onestamente da
piangere per la mia morte. So che questo è un momento
diverso è come se anche Evan lo stesse realizzando per la
prima volta. Non posso che guardare in orrore tenendo una mano sulla
bocca.
"Connor... Connor... è... non è... non
è più tra noi" finalmente riesce a concludere
Hansen.
Dall'altro lato non odo neanche più un respiro.
"Connor è volato in cielo" prova a dire con più
sicurezza Evan per garantirsi che il messaggio sia arrivato.
Silenzio, silenzio, silenzio, poi un singhiozzo straziante.
"E-Evan, giusto?" la voce di Miguel è crollata.
"S-Sì..." mormora Hansen in lacrime.
"Dove sei adesso? Ti dispiace se vengo da te e ne parliamo da vicino?"
Evan mi guarda alla ricerca di una risposta, ma suppongo spetti a loro
decidere.
"Possiamo vederci da qualche altra parte tipo a Ellison Park?"
Miguel ingoia, lo si sente chiaramente. "A-Arrivo."
Chiamata chiusa, panico nella stanza, ansia in ogni dove, ma Evan si
alza dal divano e si avvicina alla porta. "Andiamo, Con. Non ci
vorrà molto prima che arrivi."
Vorrei chiedergli in base a cosa lo stia dicendo, ma non è
questo il punto adesso.
Un motorino parcheggia davanti al cancello di Ellison Park, la persona
al volante si toglie il casco e io vedo il suo bellissimo viso rigato
dalle lacrime.
"Miguel!" lo chiamo dimenticando che non può sentirmi.
Evan si alza dal muretto dove è seduto e gli va incontro,
Miguel si avvicina camminando con quell'atteggiamento sicuro che lo ha
sempre contraddistinto.
"Evan?" chiede timidamente in contrasto con l'andamento.
"S-Sì..." risponde a fatica Hansen.
"Piacere, Miguel... peccato per la situazione..." mormora Miguel
tendendogli una mano. Hansen la stringe piano incerto su come procedere.
"Quando è il funerale?"
Hansen trema, si tortura le mani, guarda ovunque tranne che il suo
interlocutore, poi si fa forza.
"Lo hanno già fatto praticamente il mese scorso..." dice.
"Che cazzo dici?!" domanda Miguel.
"Sono passate tre settimane... Connor ci ha lasciati l'undici di
settembre."
Silenzio, lacrime, parole abbozzate. Poi Miguel abbraccia Evan e tutto
sembra così confuso e perfetto al contempo.
"Come è successo?" chiede Miguel sottraendosi al contatto
fisico.
"E-Ecco..." mormora Evan. "Connor... Connor si è
suicidato..."
Sì, la storia la so, ma dalla bocca di Evan è
come se la conoscessi e la capissi per la prima volta. Mi sono
suicidato, mica poco.
"Quel coglione..." ride istericamente Miguel. "Che idiota...che stupido
deficiente..."
Si siede sul muretto, si asciuga le lacrime, Evan prende posto al suo
fianco, con il braccio sano abbozza una carezza dietro la schiena.
"Ti va se parliamo un po' di Connor?" chiede Miguel mentre le lacrime
continuano a uscire dai suoi occhi incessantemente. "Ti dispiacerebbe
dirmi dove è stato sepolto...? Voglio stare con Connor."
Evan sussulta, suppongo vorrebbe dirgli che sono qui, ma non
può. Invece ricorda la zona cimiteriale che non aveva mai
notato vicino proprio Ellison Park e dice a Miguel come arrivarci.
"Salta su, ho un altro casco"
Evan trema, il suo terrore della strada e dei mezzi per percorrerla, ma
tremo anche io perché che invidia onestamente. Hansen che fa
un giro sul motorino del mio ex ragazzo prima di me. In che senso?!
Dopo qualche istante Miguel riesce a convincerlo e faremo tutti finta
che le mani di Hansen alla vita di Miguel non mi stiano facendo
ribollire il sangue.
Il cimitero è lugubre come dovrebbe essere, cioè
in realtà è anche carino, ma semplicemente i
cimiteri non sono un posto con una bella energia vitale.
Per fortuna è aperto, per fortuna il guardiano ci lascia
entrare e quando Evan chiede di me gli indica immediatamente la strada.
Ed eccoci davanti a una di quelle lapidi imponenti: la scritta elegante
in oro che spicca sulla pietra dice "Connor Murphy 21-04-2000 -
11-09-2017."
Brividi.
Sulla lapide in una bella cornice anche essa dorata spicca quel cazzo
di selfie benedetto che boh apparentemente è l'unica mia
foto esistente.
Miguel cade in ginocchio sull'erba, suppongo abbia riconosciuto
l'immagine. "Questa l'ho scattata io" dice.
Evan lo guarda in apprensione, si siede al suo fianco e ascolta.
"Dopo scuola andammo in un parco e facemmo questa foto...mi sembra
un'eternità fa adesso che se ne è andato..."
Hansen annuisce, gli appoggia una mano sulla schiena, cerca di dargli
conforto. "Hai detto che volevi parlare di Connor, io ti ascolto."
Miguel lo guarda teneramente, gli asciuga le lacrime a sua volta.
"Scusami, mi sto comportando come se stessi soffrendo solo io."
Hansen scuote la testa, accenna un sorriso. "Io ci convivo da un po', a
te è più fresca" dice.
Miguel sospira, accenna un sorriso a sua volta. "La prima volta che
sono andato a casa sua ho subito notato che una cosa non andava. "Non
c'è una sola bandiera del pride. Sai dirmi
perché?" gli dissi. "Non lo so... suppongo che i miei se ne
farebbero una ragione..." mi rispose. Mi ci volle qualche istante per
realizzare che a differenza mia era ancora nell'armadio, ben lontano da
far coming out. Sai, Evan, non mi teneva nemmeno la mano in pubblico,
quindi pensavo che... ma invece... "Non mi spaventa quello che provo
per te" disse. "Non provo vergogna per la mia sessualità.
Semplicemente non so quale è la mia bandiera e mi sembra
stupido comprarne una quando potrebbe non essere neanche accurata." "
Ogni singolo ricordo è lì, vivo all'angolo del
muro di camera mia, quello dove siamo finiti più volte a
scoprirci e scrutarci l'anima.
"Il mondo non gira a torno a te, M."
"Stai zitto, stupido uomo bianco."
Era il nostro modo di stuzzicarci. Per chiunque sarebbero sembrati
insulti, ma per noi non esistevano parole più dolci.
"È uno dei ricordi più belli che ho con Connor.
Il tono della sua voce sereno e sicuro, le sue mani calde per una
volta, il sorriso. Avrei voluto che potesse essere così in
eterno e sempre."
Evan sorride, si scioglie vivendo ricordi di cui non fa parte.
"Connor stava imparando lo spagnolo per me. Amava l'idea di avvicinarsi
alla mia cultura, alle mie origini, ma dopo due mesi tutto
ciò che sapeva dire era "hola" e neanche con l'accento
giusto."
A tutti e tre scappa una risata. Quella lingua davvero non mi entrava
in testa. Provavo e riprovavo, ma ogni volta pensavo a quanto fosse
sensuale sentirlo parlare e non capire una parola. Poteva anche
insultarmi mi sarei eccitato ugualmente.
"Poi un giorno mi disse un imbarazzante "tu es muy guapo" e capii che a
suo modo stava facendo progressi da entrambi i fronti. La lingua e
noi..."
Evan annuisce, fa tesoro di ogni singola condivisione.
"Quanto sai?" chiede improvvisamente Miguel.
"Tutto" dice Hansen con sicurezza. "Almeno la versione di Connor."
"Quindi sicuramente non ti ha detto che l'ho tartassato di messaggi
cercando stupidamente di rimettere su il ponte che ci collegava, vero?"
Hansen tace, Miguel trae le sue conclusioni.
"Lo sospettavo, Connor racconta le storie sempre come gli convengono e
non dice la verità."
Miguel sospira, butta il petto in fuori.
"Io l'ho spaventato e lui mi ha chiuso la porta, scommetto che a te ha
raccontato che sono stato io a sbattergliela in faccia e che lui ha
continuato ha bussare a lungo..."
Evan scuote la testa, mi ha ascoltato quindi sa perfettamente come
rispondere. "No, penso che Connor avesse capito, ma non sapesse
comunque riaprire la porta."
Miguel sorride, sembra più leggero. "Vorrei potermi
rimangiare quelle parole. Vorrei chiedergli cosa ho detto che lo ha
fatto sentire un peso, che lo ha fatto sentire rotto. Vorrei dirgli che
da quando se ne è andato mi sento come se non avessi le
ossa. Che non ho capito cosa è successo e perché
è stato irreparabile. Era un partner meraviglioso e non
avevo mai vissuto niente di simile con nessuno. Non gli avevo mai
chiesto di essere il mio ragazzo o la mia ragazza. Insomma penso tu
sappia anche questo, che tu sappia di Connie... se eri davvero il suo
migliore amico non può non avertelo detto."
Evan annuisce e Miguel riprende a parlare. "Non l'ho mai fatto, non ci
sono mai riuscito, avevo il terrore del rifiuto. Con mi trattava come
se fossi tutta la sua vita, ma appena le cose si facevano serie
sembrava che non gli importasse niente. Questo spaventava me. Suppongo
fosse un meccanismo di difesa che lo costringeva a distaccarsi nel
terrore che tenerci lo avrebbe ferito, che io lo avrei ferito. Cazzo,
io stavo accarezzando il suo cuore e lui mi alzava uno scudo. Non gli
potevano arrivare quelle coccole, non fino in fondo. Non sono stato
capace di dargliele."
Evan sospira, io ho le lacrime agli occhi. I suoi occhi mi scrutano, mi
parlano. Questo è il momento in cui devi dire qualcosa.
"Connor mi ha scritto una lettera prima di andarsene..." mormora Evan.
"Mi ha detto di cercarti e parlarti, mi ha chiesto di essere il suo
portavoce e consegnarti questo messaggio oltre che questo libro."
Miguel prende tra le mani "I misteri di Pittsburgh" e scoppia in nuovi
singhiozzi anche più violenti.
"Questo è il suo modo per rimanere al tuo fianco."
Miguel stringe al petto il libro, bacia la copertina, sfoglia le pagine
immergendoci il viso come se fosse alla ricerca di qualcosa di preciso.
"Piccolo leone..." mi faccio forza per parlare.
"Ci sono tante cose che vorrei dirti, ma alcune sono più
importanti di altre. Non è stata tua la colpa, ma mia, era
il tuo cuore quello che si era messo in gioco e io ho mandato tutto a
puttane. La tua unica colpa è stata credere di potermi
salvare e lasciarti contaminare dal mio marciume. Però,
nonostante questa premessa, nonostante tutto quello che vorrei
aggiungere una cosa non posso non dirtela. Io ti amo e sono stato
felice con te. Mi dannerò in eterno per averci separati, ma
in un'altra vita forse non ti perderò. Asciuga le tue
lacrime piccolo leone, prendi in mano la forza che ti ha sempre
caratterizzato e cammina a testa alta. Il mio cuore è con te
anche se ha smesso di battere."
Evan riporta le mie parole a scatto ritardato e ogni singola frase
sembra una freccia nel cuore di Miguel. Mi avvicino a lui, asciugo le
sue lacrime mentre mantiene gli occhi chiusi. Bacio le sue labbra per
l'ultima volta. Non avevo mai detto ad alta voce di amarlo, sembra una
specie di magia, così intensa e speciale. Un segreto urlato
al mondo intero.
"Evan... potresti darmi quella lettera? Voglio tenerla per sempre,
voglio leggere il messaggio che mi ha lasciato con le sue parole."
Hansen sussulta, realizza che dovrà scrivere un'altra mail
finta. "Una parte della lettera è indirizzata solo a me. Se
vuoi te ne faccio una copia di questo punto preciso e te la faccio
avere."
"Sarebbe bellissimo..." mormora Miguel singhiozzando.
"Anche io ti amo, Con" sussurra avvicinandosi di più alla
mia lapide. "Anche se sei una testa di cazzo."
Brividi intensi, lacrime. Lo sapevo, ma ora lo so davvero.
"Connor sentiva di dipendere da te e non gli piaceva. Voleva una
relazione sana, ma la stava intossicando, ha preferito lasciarti andare
perché ti stava facendo del male" spiega Evan, non avrei
saputo dirlo meglio.
"Lo so... io ho provato a salvarlo più volte, ma quando ho
capito che non potevo... non puoi salvare chi non vuole essere salvato.
Mi sento in colpa, è colpa mia se è finito in
riabilitazione. Altro che coraggioso, sono un codardo che si
è mantenuto pulito mentre Connor ha passato l'inferno per
qualcosa che non aveva neanche fatto. L'ho ucciso io, Evan?
È così?"
Hansen scuote la testa prendendolo per le spalle, si rivede chiaramente
in quelle parole. "No, Miguel. Connor era già morto da
tempo, tu lo hai reso uno zombie felice per un po'..."
Miguel ridacchia, forse per un'immagine. I suoi occhi grondano dolore.
"Quando l'ho conosciuto era completamente solo... questa cosa mi
terrorizzava ed era anche il motivo per cui non riuscivo a lasciarlo
andare. "Ha solo me" continuavo a ripetermi. Tenere la stretta
però mi stava segando la mano, mollare mi ha liberato. Sono
felice che abbia trovato te, che qualcuno sia riuscito in
ciò che non mi è stato concesso."
Evan non parla, io neanche.
"Quando vi siete conosciuti?"
"Ci conosciamo da una vita, ma siamo diventati amici a fine maggio o
inizio giugno..." cerca di rispondere Hansen.
Miguel sospira, si appoggia con una mano alla lapide. "È
quando ci siamo lasciati..."
Evan sospira a propria volta, più sollevato che altro.
"Senti ti dispiace scambiarci i numeri così magari qualche
volta ci vediamo e parliamo un po' di Connor? Penso che a lui farebbe
piacere se due persone importanti della sua vita divenissero amiche."
Hansen mi guarda in cerca di approvazione. "S-Sì..." mormora
poi una volta ottenuta.
Suppongo sia ora di andare, lo deduco dal fatto che Miguel si
è alzato ed Evan lo ha seguito.
Il mio ex ragazzo continua a sfogliare quel libro come se nascondesse
un bellissimo segreto mentre cammina verso l'uscita del cimitero. Gira
l'ultima pagina e finalmente...
"Oh Con... che zucchero..." mormora fermandosi di scatto.
Sembra aver trovato ciò che cercava.
Evan si sporge per guardare mosso dalla curiosità, io a mia
volta scruto lì dove si è posato lo sguardo di
Miguel.
Rossore, che fottuto imbarazzo. Una pagina tappezzata di "M+C" e almeno
otto "Ti amo Miguel", senza contare i "Miguel + Connor insieme per
sempre."
Suppongo avessi tredici anni e non me ne fossi reso conto.
"È una cosa dolce" commenta Hansen.
Miguel annuisce e lascia un bacio su una delle scritte. "Connor sapeva
essere molto dolce."
Evan sorride, sul suo volto sembra esserci consapevolezza di
ciò che è stato appena affermato.
"Evan, lo so che Connor è stato male e so anche che entrambi
abbiamo fallito nella missione impossibile di salvarlo, ma dimmi... era
felice con te? Almeno ogni tanto?"
Hansen mi guarda, la risposta la devo dare io. Beh -mi fermo a pensarci
per qualche istante- all'inizio avrei augurato ad Hansen di crepare, ma
poi pian piano abbiamo imparato a conoscerci, a capirci e a volerci
bene. Ci siamo scoperti più simili di quanto non speravamo e
mi ha regalato delle bellissime emozioni. L'amicizia più
strana che sia mai esistita onestamente, ma anche la più
bella.
"Sì" rispondo. Evan lo dice per me.
"Mi fai sentire normale..." sussurro.
Evan sfodera un sorriso ampio. "Anche tu" dice.
Miguel lo guarda perplesso, poi gli sorride comunque in cerca di una
spiegazione. "Anche tu lo hai reso felice."
Il conto è saldato.
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Capitolo 13 *** Viral ***
Se è vero che risolvere il passato dona leggerezza non
è altrettanto vero che addentrarsi finalmente nel contatto
con qualcosa a lungo evitato lasci addosso solo sollievo.
Sono sfinito, mi sento come se avessi corso una maratona e parlato
ininterrottamente per dodici ore senza mai riprendere fiato, il tutto
contemporaneamente.
Ho letto qualcosa circa l'energia che hanno le persone depresse e credo
di averla utilizzata tutta con questa prova. Un altro nelle stesse
condizioni è proprio Hansen.
Suppongo che dovremmo mangiare, suppongo tante cose. Heidi è
tornata a casa prima, ma non prima di noi per fortuna. Comunque mi sono
appena reso conto che sto parlando di me come una persona con dei
bisogni da soddisfare quando non è così, il mio
stomaco non brontola a differenza di quello di Evan che però
resta inascoltato.
Siamo rientrati in casa come dei ladri, in punta di piedi ed Evan ha
tirato un sospiro di sollievo quando non ha trovato sua madre. Stavo
giusto per chiedergli se se la sentisse di mangiare qualcosa quando sua
Heidi ha aperto la porta di ingresso. Ci ha preceduti di
così poco che ce l'abbiamo fatta per il rotto della cuffia.
"Che vogliamo?" ha domandato gentilmente. Neanche si è tolta
la giacchetta, era già ai fornelli. Come se la frecciatina
che suo figlio le ha lanciato la sera prima fosse acqua passata quando
è chiaro che ne sia rimasta trafitta ha cercato di
comportarsi da mamma affettuosa.
Nessuna risposta.
"Evan, sono tornata prima per stare con te. Possiamo fare i tacos se
vuoi."
Forse vi interessa questa storia o forse no, ma il punto è
che sono state ore interminabili di parole non dette che facevano
rumore e riempivano la stanza.
Avrei voluto si chiarissero, ma tutto ciò che ne ho ricevuto
è stato un senso di profondo disagio misto al sentirmi di
troppo. Avrei voluto dire altre cose a Evan, ma non ne avevo davvero le
forze e alla fine ho deciso che era un ottimo momento per farsi i cazzi
propri.
Un sabato strano e non senza emozioni. Non ho fatto altro che vagare
alla ricerca di un'attività che mi desse sollievo. Mi sono
disteso sul letto e il sonno ha preso il sopravvento. Quando ho
riaperto gli occhi Evan era al mio fianco e mi aveva anche rimboccato
le coperte. Il cielo era nero e le stelle splendenti, doveva essere
molto tardi. Li ho richiusi di nuovo.
Io e Hansen la domenica invece siamo stati svegliati da una chiamata:
il cellulare sul comodino ha iniziato a vibrare e suonare e se ve lo
stavate chiedendo la suoneria di Evan è quella di default
dei Samsung.
"È Beck" lo informo leggendo il nome sullo schermo. Hansen
mugola, sistema la faccia più dentro al cuscino. "Non puoi
rispondere tu?" dice.
"Beh lo farei anche, ma poi avrei qualcuno sulla coscienza... anzi no,
visto che sei l'unico che può sentirmi."
Hansen allunga una mano, afferra il cellulare e lo avvicina
all'orecchio esposto. Si dimentica per una manciata di secondi come si
faccia a far scorrere un elemento del touchscreen e poi finalmente
risponde.
"Dove sei stato?! Non hai risposto a nessuna delle mie e-mail o dei
messaggi!"
Woah, spero che Alana Beck abbia un buon motivo per urlare
così forte di domenica mattina.
Evan allontana il cellulare, mugola e dimentica di dare cenni di vita
comprensibili.
"Pronto?" tenta di richiamare la sua attenzione Beck.
"Sì?" riesce a mettere insieme Hansen.
"Lo hai visto? Voglio dire... hai visto, vero?"
Quella domanda arriva un po' come un allarme un po' come una sorpresa,
il tono di Beck è indecifrabile, ma ho deciso che quello
è entusiasmo.
"Visto cosa?" tenta Hansen.
"Cosa sta succedendo con il tuo discorso!" esulta Alana.
"Il mio discorso?"
L'entusiasmo diventa euforia e cresce assieme al tono. "Qualcuno ha
messo un video online!
Hansen adesso è sveglio, operativo e seduto.
"Il mio discorso?" chiede nuovamente agitato.
"Evan, è virale. Persone in tutto il mondo continuano a
condividerlo e ora Connor è ovunque."
Quella notizia ci lascia esterrefatti, i nostri occhi pongono domande
che non osiamo pronunciare.
"Appena ieri la pagina Facebook del progetto Connor contava appena
cinquantasei persone" prosegue Beck.
"La pagina Facebook?" domanda Hansen spaesato. Ci siamo persi qualcosa?
"Beh lo sapresti se avessi risposto ai miei messaggi. Jared l'ha creata
ieri."
Mica male. L'ultima volta che ho creato una pagina su Facebook mi
seguivano quattro gatti e uno di questi era mia madre, poi c'era mia
sorella, Miguel e un certo Thomas Ridge, l'ex di Zoe. A nessuno
interessavano davvero i pensieri in libertà di una persona
depressa dati in pasto a chiunque abbia una connessione Wi-Fi.
"E adesso... adesso ne ha oltre quattromila!"
Evan resta in silenzio per una manciata di secondi, la mandibola
minaccia di schiantarsi al suolo, gli occhi di evadere dalla loro
cornice.
"Quattro..."
Beck conclude la parola. "Mila."
Hansen la mette in vivavoce, cosa che secondo me non era affatto
necessaria visto il tono già alto. Apre l'applicazione di
Facebook sul cellulare e verifica la pagina del Progetto Connor.
Ci sono moltissime persone della nostra scuola, forse tutte
considerando che quattromila è un numero ben oltre la
quantità di studenti iscritti al nostro liceo. Quindi
suppongo ci siano tutti, tutti tranne me e lui, il che in qualche modo
è speciale. Ora tutti tranne me.
Ogni istante che passa c'è un nuovo iscritto e
improvvisamente siamo arrivati a seimila.
Una bolla di Messenger che ritrae Jared con in mano una bathbomb
pericolosamente vicina alla sua bocca appare in alto a sinistra sullo
schermo del cellulare di Hansen. "Amico, il tuo discorso è
ovunque."
Alana continua a parlare, ma a stento la ascoltiamo, l'energia di
questo momento è troppo potente per riuscire a concentrarci.
"Aspetta, ti richiamo" dice Hansen chiudendo la chiamata. I suoi occhi
fissi sul numero di iscritti che continua a crescere.
"Beck ha parlato di delle mail" gli faccio presente. "E dei messaggi"
sembra realizzare Hansen.
Apre altre due applicazioni sul suo smartphone Gmail e WhatsApp e
queste traboccano di nuovo contenuto.
"Non ho mai ricevuto così tanti messaggi in tutta la mia
vita..." mormora Evan sopraffatto dallo stupore.
"Relatable" sussurro ripensando a cosa ho trovato aprendo il mio
cellulare dopo due settimane dal mio decesso.
La prima mail che Hansen apre è anche l'ultima che
è stata recapitata, è un link per YouTube, il suo
discorso, la sua esibizione.
Evan blocca il video prima che possa essere riprodotto, probabilmente
imbarazzo, critica, ansia e paura del più severo dei
giudici, se stesso. Non insisto, non sarei da meno al suo posto.
Tralasciando il numero esorbitante di visualizzazioni, ciò
che più ci colpisce sono i commenti. Leggerli sembra
terrificante, ma la curiosità ha la meglio.
Alcune parole sono da parte di compagni di scuola, altre da perfetti
sconosciuti. Ogni commento esprime empaticamente dispiacere, alcuni
riportano anche le proprie esperienze e gli insegnamenti che ne hanno
tratto. Ci sono degli ulteriori link, portano a materiale serio o a
prodotti al limite dell'umorismo accettabile.
C'è un remix anche esso virale della canzone di Evan e
alcune cover, una fatta in tempo record da un artista famoso,
Lin-Manuel Miranda. È il delirio.
"Evan Hansen" è una delle parole più cercate su
YouTube nelle ultime ore e "Connor Murphy" lo è anche di
più. Ci sono più e più video della
stessa ebizione con diversi titoli. "Evan Hansen dedica una canzone a
Connor Murphy", "Un bellissimo tributo per il suo migliore amico",
"Giovane americano ci insegna che non siamo soli" e poi il mio
preferito "Ragazzo con la voce più bella al mondo canta per
una persona speciale."
Evan sente il cervello surriscaldarsi ed esplodere. È fuori
dal mondo il successo che abbiamo riscosso.
"Oh mio Dio, questo video devono vederlo tutti"
"Non riesco a smettere di guardarlo"
"Solo diciassette anni"
"Prendetevi cinque minuti, questo video può cambiare non
solo la vostra giornata, ma anche la vostra vita"
"Mandalo alle persone che ami"
"Un bellissimo tributo"
"Questa è la mia nuova cosa preferita nella vita."
"Conosco qualcuno che aveva davvero bisogno di sentire queste parole
oggi quindi grazie, Evan Hansen, per quello che stai facendo"
"Mio figlio andava a scuola con Connor, che tragedia."
"Lo amo, è il discorso più motivazionale che
abbia mai sentito e che talento!"
"Non ho mai conosciuto Connor, ma penso che ci sia un Connor in ognuno
di noi."
"È così facile sentirsi soli al mondo, ma qui
leggendo tutti questi commenti ho capito che Evan ha ragione,
è proprio come dice lui. Nessuno di noi è solo."
"Nessuno è solo"
"Sento di essere stato finalmente trovato"
"Nessuno di noi è solo. Nessuno"
"Specialmente ora, con tutto quello che senti nei notiziari...
bisognerebbe proteggere i nostri ragazzi."
"Perché non possono esserci più video di questo
genere?"
"Prego per la famiglia di Connor da Michigan"
"Io sono di Richmond"
Sotto questo commento si è creata una sfilza di gente che
dice di dove è, da dove ascolta.
C'è gente da Vermont, Tampa, Sacramento, Kansas City e
ancora Parigi, Berlino, Londra, Manchester, Ankara, Andorra, Cipro,
gente dall'Italia, dall'Africa e gli Emirati Arabi, da ogni parte del
globo.
"Grazie Evan Hansen"
"Che amore questo ragazzo. Hai tutto il mio supporto, soldato"
"Perché sto piangendo?"
"Da guardare fino alla fine"
"Questo video è tutto"
"La cosa migliore della giornata."
"L'amicizia è il sentimento più bello*
"Amicizia vera"
"Dove trovo un amico come Evan Hansen?"
"Grazie, Evan Hansen, per averci dato uno spazio per ricordare il
nostro Connor. Per stare insieme. Per ritrovarsi. Per essere trovati"
questo commento è da parte di Cynthia R. E. Murphy,
cioè mia madre. Mi sembra incredibile che sappia usare
YouTube, probabilmente c'è lo zampino di Zoe, ma mi scalda
il cuore.
Sotto il commento di mia madre le condoglianze si sprecano.
"Mamma guarda, sono virale!" questo è Kleinman. Suppongo non
aspettasse altro che un'occasione simile nella sua vita.
"Salve gentili cittadini di questo pianeta chiamato "Terra" sono Alana
Beck, co-presidente di questa incredibile e brillante iniziativa ideata
dal nostro amico Evan Hansen. Invito tutti a iscriversi alla pagina del
Progetto Connor perché non si ripeta una simile tragedia.
Apriremo presto una raccolta fondi da destinarsi alla ricerca sulle
malattie dell'umore oltre che ad altre validissime cause. Vi auguro una
buona giornata." Devo davvero specificare di chi sia questo commento?
Un altro pattern ricorrente è quello della gratitudine.
"Grazie" semplice oppure la versione più articolata "Grazie
Evan Hansen."
"Il mio discorso è ovunque e alla gente piace. È
piaciuto davvero, il testo della canzone...le persone si sentono
addirittura aiutate dalle mie parole. Non capisco... cosa sta
succedendo?" mi domanda Evan spaesato, troppa emozione. "Non lo so, la
magia di internet" gli rispondo, in tutta onestà non lo so
neanche io.
Il campanello ci fa trasalire entrambi, ecco se Heidi arrivasse proprio
adesso sarebbe un bel casino, ma se non ricordo male lavorava anche la
domenica per questo nella giornata di ieri era tornata prima per
condividere almeno un pasto con suo figlio.
Evan si alza, va ad aprire la porta d'ingresso supplicando che non sia
sua madre, io lo seguo come al solito. Mentre scende le scale ancora
guarda le mail, sono tutte scritte da persone reali e non aziende che
si fanno pubblicità. Una è da parte
dell'insegnante di inglese e un'altra è da parte di quel
Sam, il tipo che ha fatto una settimana di pranzo con noi per poi
smettere di salutarci.
"Evan, amico, ti ammiro moltissimo, non hai idea di quanto. Ti andrebbe
di vedere la partita con me giovedì sera? Così ti
distrai, fammi sapere. Rimanga tra noi anche io sono rimasto a lungo
per terra prima di tendere una mano. Perché ci vergogniamo
tanto? È successo a tutti. È come dici tu e
adesso che so chi sei realmente non posso lasciare che questo anno si
concluda senza che tra noi ci sia un legame sincero. Ti abbraccio, il
tuo nuovo amico Sam."
"Evan, penso che ci sia qualcuno alla porta!"
Dunque Heidi è in casa e ora passando vicino al bagno
sentiamo chiaramente il getto d'acqua della doccia.
Hansen butta un occhio fuori dalla finestra perché se non
è sua madre allora chi che sia non è esattamente
il benvenuto. Potrebbe essere chiunque e il che significa pericolo per
uno come Hansen e per uno come me.
La Volvo blu che è parcheggiata nel vialetto la riconoscerei
tra diecimila, è quella di Zoe. Anche Hansen lo sa, per
questo si sistema rapidamente i capelli specchiandosi nel riflesso sul
vetro e cerca di rendere il suo pigiama più dignitoso
stirandone le pieghe con le dita come se servisse a qualcosa.
Perché Zoe è qui? Perché proprio
adesso? Questo momento speciale era per me e Hansen soltanto... senza
contare che Heidi ignora completamente ciò che sta
succedendo sul web, ma presto lo scoprirà. Connor il
canadese ha i minuti contati, Hansen.
Evan corre alla porta di ingresso come i bambini alla vigilia non
appena sentono il campanello illudendosi che sia Babbo Natale.
Apre la porta e davanti si trova una dea illuminata da ruggenti raggi
solari che le danno un aspetto etereo.
"C-Ciao" mormora Evan, le mani già sudano.
"Scusami il disturbo, forse avrei dovuto aspettare, ma non ci riuscivo"
dice Zoe, sembra esausta come me, occhiaie profonde marcano il suo viso.
"Oh no no, figurati Cloe, cioè Zoe. Ti inviterei a entrare,
ma mia madre è molto malata e mi sto prendendo cura di lei.
Mi dispiace. Perché sei qui?" Hansen continua a collezionare
menzogne.
La mia sorellina abbassa gli occhi, Hansen trema.
"Scusami sono stato maleducato, non intendevo che non mi fa piacere
vederti, infatti io sono sempre felice al pensiero di poterti
osservare, non come uno stalker, intendo che sono grato di non essere
cieco solo per poterti guardare e quindi volevo dire qual buon vento ti
ha portato qui da me?"
Questa lunghissima frase con un solo respiro. Davvero, complimenti
Eminem.
Mi ci vuole qualche istante per rendermi conto che Zoe sta piangendo,
gli occhi lucidi, il capo chino.
"Aspetta. Stai piangendo?" si impanica Evan. Zoe annuisce.
"Perché? Perché piangi?" le domanda spaventato e
già preannuncia il peggio.
"Tutto quello che hai detto nel tuo discorso. Tutto quello che hai
fatto per noi, per tutti. La mia famiglia. Me. Il mondo intero."
"No, io..." Il cervello di Hansen si spegne, non sa più
articolare pensieri coerenti.
Poi Zoe fa un passo e in una frazione di secondo le sue labbra sono su
quelle di Evan. Ci restano per un tempo che mi sembra infinito.
"Grazie, Evan. Mi hai ridato mio fratello."
Hansen sembra aver dimenticato i miei avvertimenti ed essersi
trasformato in una persona ben diversa da quella che conosciamo.
Afferra mia sorella per i fianchi e quella è della lingua?!
Scusatemi?!
Il sorriso delicato agli angoli della bocca di Zoe mentre getta le
braccia lungo il collo di Hansen per sentirlo più vicino mi
convince. È la cosa giusta, lo è stata
dall'inizio solo che... non so dove è il mio posto in tutto
questo adesso che anche Evan è diventato suo.
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Capitolo 14 *** Her/Us/Me ***
Se c'era una cosa, una sola che avevo chiesto ad Hansen di non
fare...quella era tradirmi. Dopotutto però puoi impedire al
sole di sorgere? O ai fiori di sbocciare timidamente con l'arrivo della
primavera? È il ciclo della vita. Allo stesso modo
ciò che viene naturale come un amore che fiorisce non
può essere impedito e non è neanche giusto
ostacolarlo.
Sono andato via, non sopportavo la vista delle mani di Hansen sul corpo
di mia sorella, delle sue labbra sulla sua pelle, della
felicità di cui non faccio parte, neanche stavolta sui loro
volti.
Sono passati circa due giorni da quando Hansen ha gettato all'aria ogni
promessa che mi aveva fatto e immaginerete che non avevo alcuna voglia
di parlare con lui. Non so se qualcuno di voi ha mai visto "Cast away"-
c'è un Tom Hanks meraviglioso- ma è incalzante
come paragone per spiegare cosa succede a non parlare con nessuno
fuorché se stessi per giorni. Sto impazzendo.
L'unica persona con cui potevo parlare, cazzo, in questo momento
preferisco la follia a interfacciarmi con Hansen. Vorrei picchiarlo,
fargli assaggiare il mio dolore. Ma a che pro se non assecondare uno
stupido capriccio infantile che indossa i panni di un dramma maturo?
Il silenzio è puro caos, i pensieri e i sentimenti si
mescolano e non si capisce più chi sia chi. La voce nella
mia testa dice fin troppe cose e ciò che ne ricavo
è un senso di disorientamento totale. Vorrei urlare,
spaccare qualcosa e so che anche facendolo non sarebbe abbastanza.
La rabbia mi devasta. Rabbia per cosa poi? Per essere ancora una volta
superato da mia sorella? Per non avere mai un posto? Per non essere
ascoltato o rispettato nelle mie richieste?
Sono innamorati! Che colpa ne hanno? Scusami Hansen, ma in questo
momento ho bisogno di stare da solo o meglio non riesco a stare con te.
Non so davvero perché mi sto scusando. A quest'ora sarai a
casa mia a cenare, con Cynthia che ti loda anche per come respiri e
Larry che ti ammira e non ne fa mistero. Zoe ti fa gli occhi dolci e la
tua vita è perfetta.
Chi cazzo è Connor? Ti sarai già dimenticato di
me. Stai meglio senza di me. Nessuno stava meglio quando c'ero. Forse
dopotutto farla finita è stata la scelta migliore. Guarda a
quante cose buone ha portato la mia morte... consapevolezza, attenzione
alla salute mentale, Zoe ha un ragazzo, Hansen ha degli amici, i bulli
a scuola hanno smesso di tormentare quelli diversi da loro. Ho fatto un
favore all'umanità togliendomi di mezzo.
Il mio cuore ha smesso di battere da tempo, ma per qualche ragione lo
sento dare un cenno come per opporsi a tutto questo. Cerca di
ricordarmi quante cose ha fatto Hansen per me, cerca di dirmi che in
fondo si merita mia sorella, cerca di spiegarmi che non è
una torta, possiamo tranquillamente averlo entrambi. Non lo so. Mi dice
che se non ci fossi stato io niente di tutto questo sarebbe stato
possibile, non così almeno. Tutta questa storia deriva da
una collaborazione, la mia presenza è fondamentale.
Non lo so, non ce la faccio. Vorrei crederci, ma tutto ciò
che vedo è quella lingua che accarezza le labbra di mia
sorella e dimentica di aver giurato di non farlo. O forse non
è mai successo? Hansen me lo aveva promesso, vero? Non
riesco più a capire cosa è vero e cosa
è falso. Mi domando se mi abbia cercato. Mi domando se
davanti a una relazione sentimentale l'amicizia passi in secondo piano.
Lo ammetto. Volevo che Hansen fosse mio e solo mio. Stupido ed egoista,
come al solito, ma è la verità.
So che è giusto che abbia altri amici e sarebbe anche giusto
se avesse tutti i migliori amici di questo mondo, ma io vorrei
l'esclusiva. È sbagliato, me ne rendo conto, eppure il mio
cuore brama un posto che sia solo mio.
Miguel era il mio ragazzo, ma questo non mi bastava. Invidia? Forse.
Quanto è sbagliato volere isolare qualcuno che ami?
Io mi detesto, mi detesto perché capisco tutto eppure il mio
cuore continua a desiderare ardentemente di occupare ogni singolo
spazio, di catalizzare tutta l'attenzione.
Inutile mentire a se stessi, so cosa c'è dietro. Gli altri,
con altri non posso competere. Sono tutti migliori di me e nessuno mi
sceglierà mai davanti a un'opzione migliore. L'ho imparato a
caro prezzo quando è arrivata Zoe, lei sì che
aveva qualcosa da offrire.
Un sospiro profondissimo abbandona le mie labbra, alzo gli occhi sulla
strada. C'è una ragazza, corre a piedi scalzi indossando
solo una camicia da notte di seta di un rosa confetto, i lunghi
riccioli d'oro rimbalzano a ogni contatto con l'asfalto.
Improvvisamente si ferma, in mezzo alla strada, spalanca le braccia e
attende la macchina in corsa.
"Cosa fai?!" urlo con quanto fiato ho in gola come se ne avessi il
diritto. Ecco un'altra cosa che odio del mio essere fantasma, solo
Hansen può sentirmi e non posso fare niente come salvare le
persone che stanno per commettere un suicidio.
La ragazza si gira verso di me, sorride. Forse è un caso. La
macchina la investe. Non ho il coraggio di guardare. Il mio viso
è nascosto tra le mani, ma ciò che percepiscono
le mie orecchie è una sonora risata civettuola.
"È così divertente!"
Riapro gli occhi e la vedo, la ragazza di prima, ha dei grandi occhi
azzurri e le labbra delicate, l'essere di sesso femminile in assoluto
più bello che abbia mai visto. Il punto è che
è in piedi, i piedi scalzi ancorati all'asfalto, la
camicetta leggermente spostata dal vento, ma neanche una macchia di
sangue. Passano altre macchine, passano attraverso di lei, una dietro
l'altra, neanche un graffio.
Ci sono solo due spiegazioni plausibili o questa ragazza è
un ologramma oppure... "Ti stai divertendo molto?" le domando
raggiungendola sulla strada.
Lei mi sorride di nuovo, stavolta i suoi occhi diventano più
ampi, poi mi afferra le mani, una macchina mi passa attraverso e sento
appena un po' di solletico.
"Sì sì sì!" urla stringendo le mani.
"Mi sento forte perché sono superiore a qualsiasi essere
umano."
La guardo perplesso. "Ne è passato di tempo da quando ne ho
incontrato uno nuovo."
Non so di cosa stia parlando, l'unica cosa che riesco a pensare
è che forse le manchi qualche rotella. "Non ti fa sentire
invincibile? Sei immortale. Le cose per cui gli esseri umani tremano
non ti spaventano più. Puoi fare ogni cosa e non sentirai
dolore, non proverai paura. Cazzo, è la sensazione
più figa del mondo."
Confermo, questa tipa è fuori.
"Puoi bere candeggina, lanciarti sotto una macchina o un treno, non
succede assolutamente niente anzi... la seconda è
addirittura piacevole."
Silenzio. No, non è vero. Segue una lista infinita di modi
in cui ci si può uccidere o essere uccisi a cui vengono
aggiunte delle risate.
Inizio a indietreggiare cercando di lasciare quelle mani che ora mi
sembrano viscide e pericolose, ma non ci riesco.
"Scusami, stavo divagando. Intendevo dire che era da tempo che non
incontravo un altro fantasma. Sono così felice di vederti,
tesoro."
Non so che dire, non sono abituato a questi appellativi, mi sembrano
falsi e privi di significato. Sono riuscito a staccarmi dalla sua
presa, ma chi è questa ragazza? Ha parlato di un altro
fantasma. Questa è la prima volta che mi fermo a pensare che
potrebbero esserci altri come me in giro per il mondo.
"Sono Heather Chandler" dice porgendomi la mano. "E tu, gioia?"
"Connor Murphy?" dico incerto se voglia o meno rispondere a quella
domanda, ma cazzo se avevo bisogno di parlare con qualcuno. "Ne hai
ancora per molto o ci vogliamo togliere dalla strada?" le chiedo senza
fare mistero del fastidio.
Lei annuisce, mi prende per mano e mi trascina sul tetto di una casa.
Mi costringe a sedermi accanto a lei.
"Quindi ci sono altri come noi?" le chiedo cercando di indirizzare la
conversazione dove mi interessa.
"Oh sì, a bizzeffe. Mai visto "Ghost Whisperer"? Quella roba
esiste, tesoro. Peccato solo che sia così difficile trovare
una brava medium..." mi risponde.
Ho visto la serie di cui parla, quando ero ancora in vita era una delle
mie preferite, ma mai avrei pensato che fosse ispirato a qualcosa di
reale e concreto.
"Il gatto ti ha mangiato la lingua? Aspetta, non dirmelo. Sei nuovo? Eh
sì, devi essere nuovo per non saperlo."
Non sto capendo niente di questa conversazione e il mio senso di
disagio cresce ogni istante che passa. C'è qualcosa di
profondamente inquietante in ciò che sta dicendo.
"Gioia, quanti anni hai?" mi chiede.
"Diciassette."
"Da quanto tempo hai diciassette anni?"
Cosa è una citazione di Twilight? Di colpo l'illuminazione.
"Forse un mese..." rispondo.
"Oh tesoro... sei nuovo allora. Io da circa trent'anni..." dice lei,
Heather se non erro, con un sospiro.
"Me li porto bene vero? Sai il fatto che io sia morta non significa che
non devo essere la più sexy della piazza. Anche noi fantasmi
abbiamo una vita dopotutto."
Mi fa male la testa. Troppe informazioni.
È la prima volta che mi fermo a pensare che potrebbe essere
così. Una vita da morto a vedere Evan che cresce e invecchia
mentre io ho sempre lo stesso corpo e gli stessi cazzo di vestiti. Evan
che sposa Zoe, i loro bambini e io confinato in un limbo eterno tra la
vita e la morte.
"Sai da quando sono morta ho avuto una vita molto divertente. Ho avuto
un po' di partner e tanto tempo per pensare, ma questo è un
altro discorso."
Sospiro profondamente di nuovo, rilasso le spalle, ancora mi stringe le
mani.
"Sei proprio di poche parole tu, eh?" mi chiede, lascia le mani e mi
permette di avere più spazio allontanandosi un po'.
"Quindi rimarrò così per sempre...?" le chiedo
trovando la forza di parlare.
"Beh se non troverai che cosa ti tiene così attaccato alla
vita e il modo di risolverlo temo di sì. Io ormai mi sono
arresa, la gente muore di continuo e io faccio nuovi incontri.
È una vita noiosa, bisogna movimentarla."
"Non è una vita..." sottolineo.
"Punti di vista, tesoro, ma non ci pensare. Piuttosto perché
non parliamo di me? Non ti interessa sapere chi sono? Chi ero? Chi sono
diventata?"
Un nuovo sospiro. "Onestamente? No" le dico.
La sua faccia si deforma in una smorfia disgustata, poi sorprendente
Heather mi dà una gomitata e ride. "Mi piaci, hai fegato."
Sospira, sorride, mi guarda. "Un tempo quelli come te li mangiavo a
colazione... amavo spaventarvi, sminuirvi e possibilmente ferirvi... mi
faceva sentire forte e... così non dovevo guardare la
realtà."
Non lo so, non so se voglio ascoltare questa storia. Heather mi
accarezza i capelli, il ciuffo che nasconde l'occhio eterocromatico
spostandolo dietro l'orecchio. "Ma sai, se c'è una cosa che
mi ha insegnato la morte è quanto fossi stronza."
Sbadiglio. Forse è un riflesso condizionato o forse no, non
so dirlo.
"Oh vedo che ti stai annoiando parecchio..." dice.
Alzo le spalle, mi stringo in me stesso. "Ho la testa altrove."
"Beh dimmi dove, ci vengo con te e magari, magari ne traiamo qualcosa
di buono."
Non riesco a parlare, ogni cosa è troppo grande per uscire
da questa bocca senza distruggere l'universo, così
preferisco che continui a corrodermi.
"Senti ciccio, se continui così io torno da Veronica" mi
dice all'improvviso.
Alzo lo sguardo, le punto gli occhi addosso. "Chi è
Veronica?" le domando.
"Ottima domanda" risponde con un sorriso inquietante. "Suppongo che sia
la mia migliore amica oltre che la mia assassina."
"Cosa?!" domando spontaneamente.
"È una lunga storia, se vuoi te la racconto. Anzi diciamo
solo che è l'unica persona in vita che può
sentirmi, l'unica con cui io possa parlare e fare qualcosa nel mondo,
quello che scorre attorno a noi di cui non facciamo più
parte."
Rifletto su quello che mi ha detto, sospiro.
"Come si chiama la tua Veronica?"
Sono confuso, non riesco a capire che cosa voglia sapere. "La mia che?"
chiedo.
Ho capito, anche io ho la mia Veronica. Apparentemente tutte le persone
che non vanno oltre hanno la propria.
"Evan" rispondo.
"E cosa è successo tra te ed Evan perché fosse
proprio lui?"
La guardo confuso, dalla sua espressione capisco che ci sono una serie
di concetti che mi mancano, lo capisce anche lei.
"Tesoro... devo proprio spiegarti tutto, vero?! Allora, quando si muore
e si diventa anime vaganti in pena succede perché
c'è qualcosa che ci tiene ancorati alla vita e ogni persona
che resta in questo limbo ha una persona con cui può parlare
che è l'ultima persona a cui ha pensato nell'istante prima
di morire. Perché Evan?"
"Perché Veronica?" le rigiro la domanda.
"L'ho maledetta prima di andarmene. Pensavo fosse stata lei a uccidermi
e ancora non riesco a togliermi completamente dalla testa che volesse
farlo anche solo nella sua immaginazione. Me lo meritavo, era mera
sopravvivenza. Mi ha uccisa il suo ragazzo. È morto anche
lui, ci siamo incontrati qui anni fa, poi lui è andato oltre
non so come né perché. Mi ha spiegato tutto e
siamo diventati amici. Ma sto divagando. Sono cambiata profondamente,
ma sono anche rimasta la stessa. Sono egocentrica, ma ti giuro che mi
interessa la tua storia."
Rifletto su ogni parola, su ogni nuova informazione e rivelazione,
è difficile mettere i pensieri in ordine.
"È un peccato che nessuno ci possa sentire. Ci sono storie
che sappiamo solo noi morti e se nessuno diventa la nostra voce non si
sapranno mai, mai verrà a galla la verità."
Sospiro profondamente, la guardo negli occhi. Colgo tristezza,
frustrazione, odio antico verso se stessa e gli altri, ma anche
speranza, purificazione, cambiamento.
"Suppongo di aver maledetto anche io Evan, di averlo incolpato del mio
suicidio stupidamente" dico.
Heather si porta una mano davanti alla bocca e a stento trattiene un
sussulto. "Oh tesoro... mi dispiace così tanto..." mi dice
accarezzandomi la schiena. "A me il suicidio lo hanno simulato... tu lo
hai fatto davvero."
"Dispiace anche a me...credo..." le dico con un senso di frustrazione
crescente.
"Che cosa ti tormenta tanto?" mi domanda. La guardo stranito di nuovo
non so di cosa parli.
"Sento che c'è qualcosa che ti sta corrodendo dall'interno e
voglio aiutarti a buttarla fuori. Parlane con me."
Heather è strana, ma i suoi occhi sono sinceri. Apro la
bocca e ogni parola va da sé. Le lacrime scorrono
accompagnando il fiume in piena di informazioni, Heather si fa culla e
argine.
"Ho capito... è una brutta situazione" dice.
Shit Sherlock, ma veramente?
Segue il silenzio, poi inizia a raccontarmi anche lei la sua storia.
Era la leader di un gruppo di tre ragazze molto popolari negli anni
'90. Lei e le sue non amiche erano le stronze della scuola, le bulle
che annientavano ogni studente che non rientrasse nella categoria di
belloccio o cheerleader e in ogni caso loro erano superiori e lei era
superiore a entrambe le altre due.
"Ho fatto cose orribili..." mi dice. "A oggi so che era tutta
insicurezza, un modo orribile per nascondere la mia
fragilità. Vorrei poter chiedere scusa a tutti i miei amici."
Una risata amara da parte mia. "Io no..."
"E perché mai?" domanda Heather.
"Perché io non ho amici..." le dico percependo una profonda
solitudine in me.
"Ed Evan? Miguel? Non prendermi per il culo. Io non ho mai avuto amici
a parte Veronica e a lei ho già porto le mie scuse. Se
davvero uno di quei pazzi mi voleva bene onestamente aveva qualche
problema... io non meritavo niente, neanche che mi pensassero..."
La sua storia mi conquista, sono colpito da cosa può fare un
attento esame di coscienza. Chissà forse nel mondo
c'è più speranza del previsto. So che Heather mi
avrebbe reso la vita impossibile un tempo, ma ora, ora siamo solo qui a
riversarci addosso i nostri sentimenti troppo grandi per essere
contenuti come due buoni amici di vecchia data.
"Non hai mai proposto a Veronica di chiedere scusa al tuo posto?" le
domando. Lei annuisce, tira leggermente su col naso, non mi ero reso
conto che avesse iniziato a piangere.
"Non ha voluto farlo, è difficile parlare con persone di una
certa generazione e convincerle che c'è un fantasma che ti
sta chiedendo di fare cose per lei."
Ha senso però... "Perché menzionare il fantasma
quando puoi semplicemente creare delle lettere?" le domando.
Sembra che le si sia accesa una lampadina, una bellissima lampadina che
rischiara la notte.
"Sono proprio bionda, è vero quello che dicevano di me. Come
ho potuto non pensarci prima? Veronica sa anche riprodurre la mia
calligrafia."
Non le dirò che ha ragione, anche se è un po'
fastidiosa in fondo è simpatica ed è mossa da
buone intenzioni.
"Allora farò così..." dice. "Quando a te, Connor,
Evan ti vuole innegabilmente bene. Dovresti saperlo dopo tutto quello
che mi hai raccontato. Dovresti tornare da lui e chiedergli scusa per
essere sparito, essere sincero così come lo sei stato adesso
con me, magari senza rompergli un timpano però. Sono sicura
che Evan ti accoglierà."
Non lo so. Sembra tutto troppo facile per fermarci qui. Mi sembra
assurdo come scenario, so che non riesco neanche a guardarlo in faccia
in questo momento, figurarsi aprirgli il mio cuore.
"Digli la verità. Scrivigli una lettera se preferisci, ma
non tagliare il tuo unico collegamento col mondo dei vivi, non
distruggere un'amicizia bellissima. Veronica è la persona
più speciale che io abbia mai incontrato e sono sicura che
sia così anche per Evan."
Un leggero sorriso appare sulle mie labbra. Sì, Evan
è decisamente speciale.
"Torna da lui, Connor. Digli come ti senti. Fallo e basta, senza
pensarci. Scoprirete insieme cosa fare dopo."
Mi sento più convinto, ogni istante che Heather parla mi
rassicura e infonde il coraggio che mi serve per affrontare di petto
questo momento.
"E tu? Tu che farai?" le chiedo.
"E io scriverò una lettera per ogni persona che ho ferito e
farò in modo che Veronica le recapiti. Ne avrò
per un po' dal momento che la lista è lunga."
Una leggera risata sfugge alle labbra di entrambi. È carino
ciò che sta succedendo stasera.
Mi dispiace un sacco per Hansen, probabilmente avrà
già avuto tre crisi isteriche e dieci attacchi di panico, ma
ho bisogno di tempo.
Non so quanti giorni siano passati, so solo che ho aiutato Heather a
scrivere le lettere e insieme abbiamo pensato a cosa devo dire ad Evan
per non risultare un completo psicotico. Più che cosa dire
abbiamo studiato insieme come dirlo.
Heather ha scritto una cosa come centodieci lettere, una per ogni
compagno del liceo che abbia mai attaccato. C'è una lettera
anche per la famosa Veronica.
"Ho finito" ha detto dopo interminabili ore di scrittura, ha agitato un
polso perché potesse rilassarsi dalla fatica.
Comunque per la cronaca, per fare tutto ciò siamo andati in
un posto sperduto e dimenticato dove nessuno potesse vedere una penna
scrivere da sola su della carta.
"Hai fatto un ottimo lavoro" le ho detto. Nei giorni in cui abbiamo
creato queste lettere abbiamo imparato a conoscerci e apprezzarci
meglio.
Poi di colpo è successa una cosa strana: le mani di Heather
hanno iniziato a perdere consistenza e il suo corpo si è
riempito di luce.
"Oh cazzo, sta succedendo? Adesso?! Perché proprio adesso.
Oddio..." ha detto guardando la sua figura. Per un istante le
è sputata una sorta di aureola sulla testa e dalla schiena
sono uscite due grandi ali candide.
"Connor, ti prego porta le lettere a Veronica al posto mio. L'indirizzo
è..." mi ha detto ogni parola come se fosse più
importante di qualsiasi altra cosa e io con la stessa solenne
attenzione ho segnato tutto.
"E ti prego dici a Veronica che le voglio bene. È stato
bello incontrarti..."
Un fascio di luce l'ha risucchiata prima ancora che io potessi dirle
che mi sentivo allo stesso modo e che avrei sentito la sua mancanza.
Suppongo fosse questo che la teneva attaccata alla vita, la
consapevolezza di non essere mai riuscita a chiedere perdono per i suoi
peccati.
Mi ci vuole qualche istante per rendermi conto che Veronica non
può sentimi. Non importa quante lettere le porti, comunque
non potrà sapere che farsene. Mi tocca tornare da Evan.
Sapete quanto sarà contento di scoprire che deve
relazionarsi con nuovi sconosciuti? Chissà, forse rivedermi
sarà un tale sollievo che non gli peserà
così tanto farmi l'ennesimo favore.
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Capitolo 15 *** I'm back ***
Le finestre di casa Hansen non mi sono mai sembrate più
spesse, ho proprio difficoltà a passarci attraverso. Ora che
sono in camera mi rendo conto del perché, non volevo
passarci, una parte di me aveva il terrore di cosa avrebbe trovato. Ho
scelto la notte per tornare nella speranza di non doverlo affrontare e
concedermi altro tempo per riflettere come se ci fosse effettivamene
qualcosa su cui ragionare.
Saranno le tre di notte o qualcosa del genere: nel mio immaginario a
quest'ora si dovrebbero fare solo tre cose, dormire, festeggiare o
sesso, eppure non sono nuovo a questo scenario, non ero di quelli che
godevano in qualche modo.
Seduto sul letto, le ginocchia al petto e il viso nascosto tra le mani,
eccolo il mio Evan Hansen: piangendo disperato come se avesse perso
tutto, come se non avesse neanche la forza di respirare, facendosi dei
discorsi silenziosi con la consapevolezza di non poter contare su
nessuno neanche su se stesso.
Ora mi sento in colpa, cioè vorrei sentirmi in colpa
perché vorrei che fosse per me questa sofferenza, che
derivasse dalla paura di avermi perso, ma probabilmente ha
semplicemente incasinato tutto con mia sorella mandando a monte la
possibilità di stare con la ragazza dei suoi sogni.
Mi domando dove sia Heidi, come possa dormire serena mentre suo figlio
si disidrata. Evan lo sa, lo so anche io, non importa quanto sia chiaro
adesso che i nostri genitori abbiano dei limiti, vorremmo ugualmente
che li superassero e ci stessero accanto, vorremmo che si prendessero
cura di noi senza pretendere che lo facessimo da soli quando neanche ce
lo hanno mai insegnato.
La morte mi ha reso razionale e lucido, così tanto che
faccio fatica a riconoscermi. Suppongo che dopotutto fumare erba
costantemente avesse davvero intaccato la mia capacità di
giudizio e fosse una cura meramente illusoria.
Certo, anche gli incontri che ho fatto mi hanno portato a crescere e
l'essere finalmente trattato come un essere umano normale e non come un
difetto di fabbrica da nascondere mi sta facendo sentire maturo.
Tralasciando un attimo tutto ciò ho scoperto più
o meno in questo istante una forma di amore diversa e più
forte di tutte quelle che ho provato fin'ora. Una forma priva di
egoismo in cui metto da parte ogni sentimento per me stesso per dare la
priorità a ciò che scalpita davvero per
esprimersi. Vedere Evan in queste condizioni mi spezza il cuore e non
mi importa più la ragione, desidero solo dargli conforto.
La prima carezza che gli faccio sulla testa è
così flebile che a stento la percepisce, la seconda sulla
spalla destra ha una consistenza diversa e stavolta Evan sussulta e
alza lo sguardo verso di me. I suoi occhi sono così rossi,
mi domando da quanto tempo stia piangendo. Forse non ha fatto altro in
questi giorni, vorrei essere collirio.
"C-Connor?" un sussurro quasi impercettibile, carico di paura,
sgomento, speranza e illusione.
"In carne e ossa... più o meno." Mi domando dove trovo la
voglia di fare battute anche in momenti simili. Suppongo sia un
meccanismo di difesa.
"Connor!" stavolta è un urlo, disperato e intenso a cui
segue un altrettanto descrivibile con gli stessi aggettivi pianto.
Mi abbraccia, forte, fortissimo, così forte che se non fossi
già morto direi che non riesco a respirare. Mi sta
stringendo come se temesse di vedermi sparire come granelli di sabbia
in un pugno che non importa quanto cerchi di mantenere trovano sempre
una via di fuga lasciandoti la mano vuota a stringere solo un vago
ricordo della sensazione.
"Scusami, ti prego perdonami, farò tutto ciò che
vuoi, ma non lasciarmi. Non posso vivere senza di te, io non posso..."
una raffica di parole, così concitate che non riesco neanche
a seguirle tutte, ma ho colto il concetto.
È strano, è questo che si prova a capire di avere
ragione? A sentirsi voluti? Che sebbene il malesse spingesse in un
tutt'altra direzione a non avere torto era proprio la voce profonda e
pura che cercava di esprimersi?
"È sbagliato" mormoro dando voce a sentimenti che neanche
sapevo di avere.
"Cosa?" mi chiede Hansen senza accennare ad allentare la presa.
"Quello che hai detto, tutto, come lo hai detto. Non devi fare di tutto
per trattenermi, non lo devi fare con nessuno. Non devi farti a pezzi
per entrare nel mondo di qualcuno, il tuo posto è quello in
cui viene compreso tutto il tuo essere, è quello dove vieni
accettato così come sei e spronato a fare uscire il meglio
di te, a trasformarti nella versione migliore di te stesso, ma per te
stesso, non per fare un favore agli altri."
Silenzio, i miei pensieri seguono un filo e si danno battaglia su chi
debba parlare per primo, aspetto per non fare confusione.
"Mi ha ferito quello che è successo e non lo
negherò e non dirò nemmeno che non ho diritto di
provare ciò che provo, ma sarò molto lucido e ti
dirò che non è colpa tua, che non hai fatto
niente di male in realtà e quello che è successo
non deve distruggerci, non deve andare così per forza. Sai
cosa ho scoperto? Che sono io a decidere se farci fare a pezzi oppure
no, è un potere nelle mie mani. Fa male doverti condividere
con Zoe, ma fa più male renderti infelice."
Un'altra pausa, stavolta più lunga.
"Evan, io voglio stare qui, io voglio stare con te, per questo sono
tornato. Questo posto, al tuo fianco, è stato il primo dove
ho sentito realmente di appartenere. Forse perché siamo due
pezzi rotti che si stanno aggiustando, forse perché
semplicemente funziona così, forse perché con te
ho parlato come non avevo mai fatto con nessuno, ma sento semplicemente
che è così. Quindi va bene, ci feriremo ancora
forse, litigheremo e io avrò dei momenti in cui mi
ritirerò da qualche parte, ma tu resti la mia casa, Evan e
troppo lontano da casa non ci so stare."
I suoi occhi brillano, lo fanno come non hanno mai fatto prima. Sebbene
questo sia il momento perfetto per un abbraccio Evan invece si
allontana, appoggia la fronte contro la mia e sorride profondamente.
"Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata."
Le sue parole mi ammutoliscono, tutto ciò che riesco a
sentire è il mio cuore che batte forte, al punto da spegnere
i pensieri.
"Ero disposto a tutto pur di non perderti, anche a perdere me stesso
quando ancora non mi sono neanche mai trovato, ma tu mi hai appena
fatto capire che non è giusto dimostrandomi quanto mi vuoi
bene."
Una leggera risata lascia le mie labbra. "Oh Hansen, aspetta di sentire
che cosa ti tocca fare prima di essermi così grato."
Terrore, terrore puro nei suoi occhi velato con una scintilla di
speranza e determinazione. "Dopo aver scoperto cosa significa stare
senza di te non ho più paura di niente."
Silenzio, un lungo, un lunghissimo silenzio. Poi parole, semplici,
dirette. "A saperlo che ti avrei aiutato tanto me ne sarei andato
prima." Hansen coglie l'ironia, ma questo non mi salva da uno
scappellotto dietro al collo.
"Sei un idiota, Connor" dice senza smettere di sorridere, riesco a
vedere quanto leggero sia adesso il suo cuore.
"È possibile... visto che ti sto per dare la benedizione per
uscire con mia sorella."
I suoi occhi si illuminano di nuovo, diventano fanali in una stanza
buia. "Dici sul serio?"
Una linea morbida increspa le mie labbra. "Hansen, non ti ho detto
quelle parole per fare un discorso di grande spessore psicologico, le
ho dette perché le sento davvero. Prima forse le pensavo
soltanto, ma adesso i miei sentimenti hanno raggiunto i
pensieri."
Evan rilassa le spalle, tira un plateale sospiro di sollievo e mi
sorride nuovamente. "Posso dire comunque che mi dispiace se ti ho fatto
stare male?" mi domanda.
Annuisco e prendo posto sul letto accanto a lui. "Lo so che ti
dispiace, a me dispiace averti fatto soffrire tanto mio malgrado."
Evan si corica, ora che è più tranquillo il sonno
sta finalmente avendo la meglio su di lui. "Quindi che devo fare?" mi
domanda con uno sbadiglio.
"Facciamo che te lo dico domani, per il momento andiamo a dormire."
È un nuovo giorno, non sapevo neanche che giorno fosse se
devo essere sincero, ma a quanto ho capito è sicuramente un
giorno scolastico perché Heidi ha svegliato Evan con un urlo
satanico rendendolo cosciente del fatto che era in ritardo. In tempo
record Hansen si è preparato mentre io ho trovato un nuovo
vantaggio nella mia forma di esistenza.
Poi siamo andati a prendere il pullman, ovviamente quello dell'ora
dopo. Hansen ha compilato il modulo per entrare più tardi e
poi è arrivato in classe. Siamo praticamente entrati
all'intervallo, solo il tempo di posare la cartella sul banco e
già eravamo fuori.
"Ciao Evan" hanno detto delle ragazze vedendolo passare per i corridoi.
Non le ho mai viste prima e non penso siano amiche di Zoe, ma sono le
classiche ragazze che uno come lui neanche lo guarderebbero normalmente.
"Hey Evan!"
"Bella fratello!"
"Ciao Hansen!"
"Evan!"
"Hansen!"
Dove ci giriamo ci giriamo c'è qualcuno che lo saluta,
qualcuno che gli fa battere il pugno o il cinque, qualcuno che gli
mette un braccio intorno alle spalle. Tutti sembrano voler stare con
lui.
"Che sta succedendo?" gli domando.
'Ecco... mentre eri via sono successe un po' di cose...' risponde col
pensiero non potendo aprire la bocca mentre più persone gli
si avvicinano e lo seguono. Tutto un nuovo significato di followers.
Nonostante sia al centro di un grosso gruppo, posso vederlo farsi
sempre più piccolo e desiderare uno spazio più
intimo da condividere solo con un'altra persona.
"Evan!" la voce di mia sorella, la sua mano alzata a mezz'aria per
fargli cenno di avvicinarsi.
"Z-Zoe!" balbetta Hansen mentre i suoi seguaci si dileguano lentamente.
"Ciao, ti trovo in forma" dice mia sorella con una spiccata nota di
ironia arrossendo appena.
"Tu invece sei splendida come sempre" risponde lui.
"Potrei vomitare..." commento io.
Se potesse Hansen mi darebbe una gomitata nello stomaco, ma non
può per mia fortuna.
"Questa lusinga significa forse che accetti di uscire con me?" domanda
mia sorella. Quelle parole mi colpiscono perché ripeto che
non ricordo quanto tempo sono stato via, ma pensavo che a quest'ora
Hansen e mi sorella avessero già una relazione.
"Ci ho riflettuto molto e ho deciso di darci questa occasione. Andremo
con calma e vedremo istante dopo istante se funziona, penso che
è questo che vorrebbe Connor, una volta accettata l'idea di
noi due insieme" risponde Hansen.
Zoe sorride, le sue labbra sono leggermente luminose per una punta di
gloss. "È carino da parte tua tenere così in
conto il pensiero di mio fratello."
"Non hai idea di quanto" commento per conto mio.
Hansen mi rivolge uno sguardo gentile prima di sorridere nuovamente a
mia sorella. "A-Avevo pensato che... po-potremmo andare a Ellison Park
dopo scuola" dice.
Zoe annuisce, si gratta una guancia leggermente. "Mi porti negli stessi
posti in cui portavi mio fratello, Mr. esperto di botanica?" chiede.
"Ti porto in un posto per me speciale, ecco."
Sono piacevolmente colpito dal cambiamento di Evan, dal modo in cui
tiene la schiena più dritta, il petto in fuori,
l'intonazione della voce, ancora timida, ma decisamente più
liscia nel rilascio di fiato.
"Non vedo l'ora" dice Zoe trattenendo a stento l'entusiasmo. "Ci
vediamo più tardi, io adesso devo portare questi nella sala
delle prove" dice poi mostrando degli spartiti che né io
né Evan avevamo notato forse troppo concentrati sul
contenuto delle parole di Zoe per notare quello tra le sue mani.
"C-Certo, a dopo."
Zoe si allontana lentamente e Hansen assume la faccia da ebete del
secolo e sorride così dolcemente che sento i suoi denti
caricarsi da qui. "Beh, congratulazioni. Hai un appuntamento con mia
sorella" gli dico.
"Ho un appuntamento con tua sorella" ripete Hansen incredulo con un
tono sognante.
Riprende a camminare verso... boh, l'infinito e oltre probabilmente.
Dove è che stiamo andando? Mentre proseguiamo verso la meta
sconosciuta passiamo vicino al mio armadietto e non posso credere ai
miei occhi. Lì dove un tempo c'era un'anonima struttura
rossa adesso sorge una specie di tempio. Solo la bocchetta per le
lettere è rimasta inalterata, ancora vedo i segni dei pugni
che le ho dato, per il resto ogni centimetro è ricoperto di
foto lettere e adesivi alla mia memoria. C'è un foglio
piegato in due parti con una forma di cuore al centro ritagliata. "Il
vuoto che hai lasciato in me by M" c'è scritto in basso.
Resto fermo, le gambe quasi cedono.
"M-Miguel... lui è stato qui?" gli domando. Evan annuisce.
"E non solo lui... sono venute persone da ogni parte del paese solo per
lasciarti una dedica... il tutto mentre pensavo che non ti avrei mai
più potuto parlare..." risponde guardando il mio armadietto
fingendosi impegnato in un atto commemorativo.
"A queste persone non importa essere famose, sono venute solo per
poterti ricordare, per potersi esprimere e sentirti vicine a te. Sei
diventato un simbolo, un martire, un esempio di cosa sta facendo questo
sistema nella società in cui viviamo a quelli che non
vogliono adeguarsi a ritmi folli e rapporti vuoti, a quelli che ancora
vogliono pensare con la propria testa. Sei diventato un nome per
l'importanza di mettere davanti a tutto la propria salute mentale."
Sono senza parole, i miei occhi seguono le lettere e le dediche e le
candele profumate, le coccarde da cui partono bouquet di fiori
appoggiati ai piedi del mio armadietto.
"Laurentz Spitzigam e Bella Jordan, questo è il nome dei due
ragazzi che hanno gli armadietti vicino al tuo. Per loro adesso
è un immenso onore stare al tuo fianco. Non c'è
giorno in cui non si fermino a ricordarti. Lo stesso preside Howard ha
attaccato una tua foto nel suo ufficio, ha detto che non potrebbe
dormire sogni sereni senza onorare il tuo ricordo ogni giorno. Si sente
in parte responsabile per quello che è successo. Sono venuti
nostri compagni di scuola a parlarmi, a chiedermi scusa, per averti
trattato come se fossi una specie di criminale, perché non
c'è stato giorno in cui non ti hanno inseguito col ricordo
di quella stampante, perché non si sono mai fermati a
chiedere se ci fosse qualcosa che non andava, perché non lo
hanno mai fatto neanche con me. Una enorme presa di coscienza, Connor e
questo è merito tuo."
No, Hansen, questo è merito tuo, del tuo senso di giustizia,
del tuo desiderio di non lasciarmi svanire. Io ho espresso un concetto,
ma tutto questo è opera tua.
"Evan!" una nuova voce interrompe il pensiero che stavo per esprimere.
"Ciao Sam" risponde Hansen, girandomi riconosco perfettamente
l'interlocutore.
"Non volevo disturbare te e Connor, ma oggi non ti ho visto a biologia
ed ero preoccupato che avessi saltato la scuola."
Evan gli sorride, si allontana leggermente dal mio armadietto. "Se lo
avessi fatto ti avrei avvisato."
"Andiamo a prenderci una cosa insieme in caffetteria?"
"Perché no?"
È strano, è tutto così strano. Evan
è diventato una specie di celebrità e Alana e
Jared sembrano quasi doversi spingere nella folla per rivolgergli la
parola.
Non appena rimaniamo un attimo da soli finalmente poco prima che suoni
la campanella Evan mi sorride e si permette di raccontare.
"Quando mi sono voltato eri scomparso, non c'eri più a
pararmi le spalle, ho avuto un crollo e ho spiegato a Zoe che non
potevamo stare insieme almeno finché non avessimo ricevuto
la tua benedizione. Ovviamente lei lo ha interpretato come una
metafora, io invece mi sentivo divorare dai sensi di colpa nei tuoi
confronti. L'indomani a scuola hanno di nuovo ripreso a parlarmi tutti,
mi sono trovato travolto e lo so che è perché
sono diventato famoso sul web, ma credimi c'è di
più, c'è che le persone, le stesse persone che
ieri ti ignoravano oggi si rispecchiano in te, oggi hanno capito che
ciò che facevano era una risposta ai propri traumi, alla
paura di essere visti come diversi e per questo emarginati. Io e te
abbiamo le palle di vivere da outsiders in nome della nostra
integrità, loro sono stati pronti a farsi a pezzi e creare
una nuova personalità pur di essere accettati. Miguel
è venuto a richiedermi della lettera, allora gliela ho
consegnata creandola così come mi avevi detto di fare e in
quel momento semplicemente non mi è sembrato giusto
lasciarlo andare. Ho pensato che organizzando un altro evento
commemorativo in tuo onore ti avrei ritrovato, ma non sei tornato. Sono
stati giorni terribili, ma ho deciso di crederci, ho continuato a
organizzare eventi e mi sono messo alla prova pubblicando video sui
social per esprimere tutto ciò che sento per te. Mi hai
aiutato a superare le mie paure, il mio disturbo più di
quanto non abbia mai fatto qualunque forma di terapia. Connor sei un
eroe e non lo dico solo io... lo dice l'America, lo dice il mondo."
Tutto questo sembra surreale, il tipo di sogno che fai dopo
un'indigestione di fagioli, ma so che sta accadendo veramente.
"Cosa ne pensa tua madre di tutto questo?" gli chiedo.
Il viso di Hansen si incupisce, i suoi pugni si stringono fino a fare
sbiancare le nocche. "Mia madre ha fatto le notti in ospedale... non sa
ancora niente."
La campanella ci richiama in classe.
Avrei voluto chiedergli molte più cose, ma c'è
storia adesso e Mr. Niels ha appena depositato un foglio con su scritto
"compito a sorpresa" sul banco di Hansen. Nella classe ovviamente
è il delirio, se lo chiedete a me queste cose sono una forma
di tortura estrema. Evan già trema, ma ha compagnia.
"È un questionario a risposta multipla sugli ultimi
argomenti trattati. Avete un'ora e mezza a partire da... adesso" dice
Mr. Niels settando un timer.
Hansen apre timidamente la pagina e guarda come se desiderasse farle
sparire le domande impresse dalla stampante. Poco male, è la
seconda rivoluzione industriale, un argomento che conosco abbastanza
bene.
"È la B" dico.
"Cosa?" domanda Hansen. "La risposta, la prima è B, ne sono
sicuro."
Mr. Niels si avvicina a Evan, lo scruta da capo a piedi. "Hansen, stai
cercando di copiare con uno smartwatch o qualcosa del genere? Guarda
che non ci metto niente a sbatterti in presidenza."
Evan indietreggia, si stringe nelle spalle. Se Mr. Niels lo conoscesse
davvero saprebbe che non può permettersi neanche un computer
decente, figurarsi uno smartwatch di ultima generazione.
"N-No, non lo farei mai" ribatte Hansen. E credetemi, piuttosto che
violare la legge Hansen si farebbe già trovare ammanettato
in questura.
"Professore, non c'è bisogno di essere così
aggressivo, Evan è uno studente corretto" prende le sue
difese Sam.
Mr. Niels sta per ribattere quando Dorothy Parker si alza all'impiedi e
dice con un tono sicuro "dovete smetterla di trattarci come se fossimo
il resto di nessuno passandoci addosso con la vostra mancanza di
morale."
Altri studenti le danno supporto esprimendo la loro. C'è
Lucien Battlefield che inizia a leggere una lettera. "Ogni giorno
raccolgo pezzi di giovani adolescenti distrutti da miei colleghi
insegnanti che dovrebbero fare un altro mestiere."
"Dovete smetterla di farci sentire lettere, io non sono le mie A+" dice
un'altra ragazza di cui non ricordo il nome. Un altro ragazzo la
supporta. "Siamo stanchi di sentirci dire che non combineremo mai
niente nella vita solo perché magari non siamo portati per
una materia."
È la rivoluzione.
"Insegnateci a credere in noi stessi, a cercare le nostre strade, a
farci rispettare, a esigere rispetto per noi stessi."
È tutta la classe di storia a parlare. "Aiutateci a credere
nel futuro, siate le nostre figure di riferimento per il supporto e il
conforto di cui abbiamo realmente bisogno."
Sono sconvolto. Mr. Niels non sa più come tenere ferma la
classe e urla solo "silenzio" fino a fare arrossare il volto, grida di
tacere alle stesse pecore che appena un mese fa avrebbero tremato e
abbassato la testa davanti alla prospettiva di una sospensione, ma
adesso hanno rimosso la maschera e rivelato la loro natura da lupi. Non
c'è più spazio per un pastore.
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Capitolo 16 *** A cute couple ***
Lezioni annullate a causa della rivoluzione, è letteralmente
questo che ha detto il preside Howard dopo che intere classi si sono
riversate in corridoio protestando contro il corpo docenti.
Questo ha fatto in modo da anticipare l'appuntamento con mia sorella,
motivo per il quale Hansen sta andando in fibrillazione.
"Zoe... è un problema se lo trasformiamo in un pranzo al
parco?" le chiede Evan da lontano, cerca di mostrarsi disinvolto e
sereno fallendo miseramente.
Zoe nega, si porta una mano davanti alle labbra per nascondere una
risatina, poi si avvicina, da Evan la separavano solo pochi metri di
corridoio. "Fammi sognare" gli dice con un tono canzonatorio.
Hansen non si scompone, la raggiunge e insieme si dirigono al luogo
dell'appuntamento, Ellison park.
Stiamo per varcare il cancello quando Hansen si improvvisa benda
portando ambo le mani sugli occhi di Zoe dal retro e dicendole di
continuare a camminare e fidarsi di lui.
Zoe ridacchia, segue i suoi passi abbandonata, si lascia completamente
guidare.
"Non sbirciare!" sussurra Hansen.
"Non lo sto facendo" conferma Zoe.
"Avrei dovuto bendarti" ribatte Evan.
No, per favore, già è abbastanza uno strazio
così senza che io debba immaginare scenari più
piccanti.
"La prossima volta allora usa la tua cravatta" lo provoca Zoe.
Ecco per l'appunto, anche meno, risparmiatemi.
Hansen arrossisce, così tanto che un pomodoro al confronto
sfigurerebbe. Non gli si addice il ruolo del dominatore, le allusioni
di Zoe potrebbero stroncarlo.
"C-Ci siamo quasi" balbetta Hansen. "Fa attenzione a dove metti i piedi
perché da qui in poi il terreno diventa piuttosto
accidentato."
Qualche istante di silenzio prima di arrivare al luogo designato per il
picnic romantico e poi Zoe, tenendo ancora obbedientemente gli occhi
chiusi, esordisce con "sono emozionata."
Le mani di Evan sudano, i suoi occhi sono lucidi mentre confessa un
timido "anche io."
Come un perfetto gentleman si toglie la felpa e la dispone sul prato in
maniera tale che entrambi possano accomodarsi.
"Era così che tu e Connor passavate le giornate qui?" gli
domanda Zoe.
Vorrei che potesse rispondere di sì, ma sappiamo entrambi
che non c'era nessuna giornata insieme.
"Qualcosa del genere" risponde Hansen mantenendosi vago. Prende dalla
cartella due panini avvolti nel domopac e ne porge uno a Zoe.
"Oggi avevo già intenzione di chiederti di pranzare
insieme... spero che prosciutto e formaggio non sia troppo banale" le
spiega.
Zoe gli sorride. "Niente è troppo banale quando si tratta di
te" lo rassicura."Quindi è qui che hai lavorato tutta
l'estate?" gli domanda.
Evan annuisce. "Sì, è strano essere di nuovo qui."
Zoe lo fissa cercando qualcosa nella sua espressione. "È
strano venirci senza mio fratello?" chiede.
Evan sospira. "Forse è strano pensare che noi siamo qui" le
risponde.
"E lui invece non ci verrà mai più..." decide la
conclusione della frase mia sorella.
Vorrei quasi urlarle che sono qui, che vedo le sue stupide converse
viola e ascolto le sue stupide parole commemorative, ma resto zitto per
ovvi motivi.
"Forse è una domanda stupida, ma cosa fa esattamente un
apprendista ranger del parco?" gli domanda mia sorella.
Neanche a dirlo, quella domanda fa illuminare gli occhi di Hansen come
se fossero stelle in un cielo notturno. Io non ho mai osato spingermi a
tanto, mi preparo per due ore di eccesso di informazioni a raffica.
"Non è affatto una domanda stupida, credimi, nemmeno io
sapevo cosa fosse precisamente. Pensavo che si trattasse di camminare
molto, sai, circondato dalla natura, ma c'è ben altro. Devi
sapere tutto del parco, del suo ecosistema, della geografia, delle
risorse naturali, della storia, perché se un visitatore ti
fa una domanda, devi avere una risposta. Poi c'è la
manutenzione, la pulizia dei bagni, il rifornimento mappe e non
dimentichiamo il cambio lampadine. Inoltre, devi conoscere le basi del
primo soccorso per essere pronto in caso di emergenza. È
come se fossi una specie di poliziotto, ma del parco, il che significa
anche imparare tutte le sue regole e assicurarsi che le persone le
seguano."
Appunto, questa frase l'ha detta senza prendere un solo respiro.
"Sembra che ti sia piaciuto molto" commenta Zoe, suppongo che non
sappia cosa dire, ma senza dubbio ha ascoltato.
"Sì, tanto. È stato un sollievo alla mia
ordinaria esistenza. Avere un posto dove andare, qualcosa da fare. La
metà delle volte dimenticavo che ero qui per lavorare, mi
fermavo a guardarmi intorno e mi sentivo, non lo so, calmo, calmo,
immagino e in pace."
Mi piace che Evan si stia aprendo tanto con mia sorella, suppongo di
poterlo capire il discorso che sta facendo, sento di poterlo capire.
Avere un disturbo stravolge la tua esistenza, ciò che
dovrebbe venire naturale non lo fa più ed è tutta
un'incessante ricerca, uno scopo e anche solo quel piccolo sprono che
ti permetta di andare avanti per il minuto successivo.
"Quindi dopotutto tu e Connor parlavate davvero degli alberi nelle
vostre e-mail" dice Zoe.
"Certo" risponde immediamente Hansen. "Pensavi ancora che si trattasse
di droga?"
Zoe annuisce, ma poi scuote la testa. "È che non riesco a
immaginarlo mio fratello come un botanico, mentre con te mi viene
facile. Suppongo sia un lato di sé che ha offerto solo a te."
Beh Zoe, in effetti è difficile immaginare un lato di me che
non esisteva, ma visto come sono stato dipinto per anni di certo non mi
lamento con questa nuova immagine la cui unica bugia è nella
mia passione sfegatata per gli alberi.
Evan si mette una mano dietro la testa e si gratta la nuca imbarazzato.
"Non era lui così appassionato... ero io a contagiarlo o
meglio a tormentarlo con informazioni che in fondo non gli
interessavano davvero, ma che ascoltava ugualmente perché
ero io a condividerle."
Salvataggio in calcio d'angolo, apprezzo davvero tanto quanto Evan stia
cercando di mantenere la mia integrità per riportare
un'immagine veritiera.
C'è un po' di silenzio, Zoe sembra meditare su
ciò che ha appena appreso. "Senti e tu sei sempre stato
così preso dalla natura?" gli domanda.
"Penso di sì" risponde Hansen. Nessuno dei due si
è ancora degnato di dare un morso a quel panino che sembra
buonissimo. Se potessi lo farei io.
"Probabilmente me l'ha trasmesso mio padre. Ecco perché si
è trasferito in Colorado. Pensava che la costa orientale
fosse troppo affollata. Mia madre è convinta che tutta la
storia di mio padre sugli spazi verdi fosse una scusa e che in
realtà stesse solo seguendo Theresa."
Io e Zoe ascoltiamo incuriositi, Hansen si incupisce, fa una piccola
pausa poi riprende.
"Ma è stato tanto tempo fa quindi forse mi sto confondendo.
Sai, prima che i miei genitori divorziassero, mio padre mi ha portato
a pescare un paio di volte e una volta abbiamo passato un intero
weekend in campeggio qui in questo parco. Ricordo che mio padre appese
un'amaca tra due alberi perché potesse dormire sotto le
stelle e io gli chiesi come poteva essere sicuro che gli alberi lo
avrebbero sostenuto. "Credimi" mi disse "anche se passasse un uragano
questi due alberi resterebbero ancora in piedi, hanno radici solide e
profonde." Io gli credevo, ma non riuscivo a smettere di preoccuparmi.
Continuavo a immaginare gli alberi crollargli addosso o che un colpo di
vento lo sbalzasse dall'amaca, immaginavo che mio padre si sarebbe
fatto male e saremmo dovuti correre in ospedale. Tuttavia il giorno
dopo era ancora lì, disteso su quell'amaca, nel suo elemento
e disse che era stata la dormita migliore degli ultimi dieci anni."
Quei ricordi erano tanto nostalgici quanto vividi al punto tale che mi
parve figurare il padre di Hansen, la sua amaca e il figlio allarmista
che non sapeva come farsi ascoltare perché nessuno gli aveva
insegnato che non succede sempre il peggio.
"L'ultimo giorno di campeggio prima di andarcene abbiamo inciso le mie
iniziali sul tronco di uno degli alberi in modo che potessimo ritornare
nello stesso posto la volta successiva. Non c'è mai stata
una volta successiva."
Evan si incupisce di brutto, ora i suoi occhi sono lucidi, sembra
lottare per scacciare le lacrime che vogliono scorrere. Dà
un morso al panino forse per farsi forza, non vuole mostrarsi
così fragile a mia sorella.
"La prima cosa che ho fatto quando ho iniziato il mio apprendistato al
parco è stata cercare quell'albero. Ogni volta che
percorrevo un nuovo sentiero lo cercavo, ma non riuscivo a trovarlo.
Alla fine ci ho rinunciato. Il parco è troppo grande ed
è stato troppo tempo fa. Mio padre se ne è andato
e probabilmente il tempo ha cancellato le mie iniziali."
"Cosa ne pensa del tuo discorso?" gli domanda Zoe.
Evan non risponde e Zoe trae le conclusioni perché anche il
silenzio vuol dire qualcosa. "Non glielo hai fatto vedere, vero?"chiede.
"Questo panino è buonissimo" cerca di evadere l'argomento
Hansen.
"Evan!" lo richiama mia sorella.
"Mi piace quando dici il mio nome" pensa ad alta voce Hansen. Il
rossore sulle sue guance per aver realizzato cosa ha detto fa sorridere
mia sorella.
"Se ti fiderai di me allora ti chiamerò in tanti altri modi
che ti piaceranno" commenta Zoe.
Hansen tossisce, si schiarisce la gola, ma in realtà si
stava affogando con le emozioni e le aspettative della sua
immaginazione. Ho la nausea solo al pensiero di quei nomignoli.
"Ho intenzione di mostrarglielo" parla lentamente. "Prima che qualcun
altro lo faccia al posto tuo" conviene Zoe.
"Sì, credo di stare solo aspettando il momento giusto.
Ultimamente è molto impegnato con il lavoro e Theresa
è incinta. Inoltre, stanno cercando una nuova casa e so che
sperano davvero di riuscire a trasferirsi prima che nasca il bambino."
Zoe ascolta entusiasta, gli occhi le si illuminano. "Non mi avevi detto
che aspettavano un bambino. Maschietto o femminuccia?"
"Un maschio" risponde Evan senza entusiasmo.
Gli occhi di Zoe già luminosi ora brillano. "È
fantastico, avrai un fratellino."
Evan annuisce.
Zoe non aveva questa grande passione per i neonati, suppongo che parli
così solo perché mi ha perso.
"Non sei contento?" gli domanda.
"Penso di non avere ancora realizzato, ma non ho il diritto di essere
amareggiato quando tuo fratello invece..."
Zoe lo mette a tacere, un dito ben piazzato sulle sue labbra. "Hai
tutto il diritto di vivere i tuoi sentimenti così come
vengono, non mi devi niente."
Evan sorride, poi sospira. "A volte vorrei poter scegliere come mi
sento. Vorrei che mio padre si degnasse di informarsi sulla mia vita
senza che sia io a tartassarlo di messaggi per sperare che risponda
almeno a uno o alternativamente vorrei che non facesse così
male avere un padre che ha deciso di occuparsi di un'altra famiglia
perché sua moglie e suo figlio non erano abbastanza per lui."
Silenzio, un lungo silenzio, poi Zoe posa una mano sulla schiena di
Evan accarezzandola, dà un morso al suo panino e sorride.
"Hai ragione, è buonissimo" gli dice.
"Comunque sono certa che te la caverai alla grande come fratello
maggiore e ci sarà un momento in cui tuo padre non
sarà troppo impegnato per essere orgoglioso di quello che
hai fatto."
Evan sorride, ma il suo sorriso non raggiunge gli occhi, mangia il
panino in silenzio e Zoe fa lo stesso.
Sicuramente Evan sarà un fratello maggiore migliore di come
lo sono stato io.
"Tutto questo era proprietà privata" dice Evan indicando i
dintorni. Finito il picnic ci siamo spostati per un'altra lezione di
storia. "Negli anni venti c'era questo uomo che viveva qui con la sua
famiglia. La gente pensa che si chiamasse El Lison, ma in
realtà si chiamava Hewitt. Ellison è un nome
inventato."
Evan tentenna, esita, ha un momento di smarrimento poi si mette le mani
tra i capelli e sospira. "Scusami, non so perché ti sto
dicendo tutto questo, probabilmente neanche ti interessa."
"No, mi piace. Continua, ti prego" ribatte Zoe. "Non so chi te lo abbia
detto prima, ma non sei noioso e non parli troppo, sei interessante e
la passione con cui ti esprimi è coinvolgente. Ora capisco
perché Connor avesse iniziato ad apprezzare così
tanto gli alberi."
Evan sorride come un ebete, anzi come un bambino al quale hanno appena
detto che ha fatto bene il compito e ora può andare a
giocare. "Okay, beh, quello che è successo è che
c'è stato un grande incendio a casa di John Hewitt ed
è bruciato tutto, compresi sua moglie e i suoi figli. Non
poteva più sopportare di vivere qui, quindi ha fatto un
accordo con lo stato per trasformare il terreno in un parco memoriale
per la sua famiglia. Ha chiesto che si chiamasse Ellison
perché è una combinazione del nome di sua moglie,
Ellen, e dei suoi figli, Lila e Nelson" racconta con rinnovato
entusiasmo.
"Caspita..." mormora Zoe. "Ho i brividi."
"Agghiacciante, vero? Me l'ha detto il mio capo" racconta Hansen.
"Secondo me la parte più importante della storia
è che l'uomo avrebbe potuto scegliere, Hewitt, il nome di
famiglia e questo li avrebbe inclusi tutti, invece si è
voluto tirare fuori come se non avesse più il diritto a
stare con loro."
"Sai dove era situata la casa?" chiede Zoe. "Dove viveva la famiglia
prima che..."
Hansen scuote la testa. "Forse il ranger Gus lo sa, ma dovrei
chiederglielo."
Zoe si ferma sui suoi passi e fa un'ampia scansione oculare dei
dintorni. "A essere sincera dimentico sempre che questo posto esiste.
Anche se è proprio sotto il mio naso" dice.
"Il tuo naso perfetto" commenta di nuovo ad alta voce Hansen arrossendo
subito dopo. Zoe gli schiocca un bacio sulla guancia e devo ammetterlo
sono carini e non avevo mai visto mia sorella tanto presa da qualcuno.
"A-Allora" balbetta Hansen. "Mentre io ho trascorso qui tutta l'estate,
tu dov'eri?" chiede.
Zoe annuisce. "Ho lavorato in un campo a Riverside durante il giorno e
qualche notte in quella nuova yogurteria sul viale" dice.
"In realtà lo so" confessa Hansen imbarazzato. "Dopo che ho
saputo che lavoravi lì sono passato spesso, ma non ti ho mai
vista."
"Forse sei passato quando non c'ero" commenta mia sorella.
"È possibile..." mormora Hansen. "Comunque ti sei tenuta
occupata, insomma" cerca di mandare avanti la conversazione.
"Ho fatto di tutto per stare a casa il meno possibile" sospira Zoe,
riprende a camminare, le sue converse non aderiscono bene al terreno
del pendio che stanno percorrendo.
"Fa attenzione" le dice Hansen. "Si scivola." Prima che possa dire
altro Zoe inciampa ed Evan le impedisce di cadere. Sono così
vicini, le mani di Evan la sorreggono con sicurezza, lei ha gli occhi
sgranati, i secondi sembrano interminabili.
"Grazie" mormora. Evan mantiene il silenzio, la aiuta a rimettersi in
equilibrio e poi la prende per mano, le loro dita si intrecciano e
niente sembra avere più importanza.
"Quando avevo circa dodici anni..." racconta serenamente mia sorella.
"Sono scappata di casa. I miei erano così presi da Connor,
tipo ventiquattro ore per sette giorni alla settimana e
così studiai un piano per intrufolarmi nel parco con il mio
sacco a pelo e restare qui finché non fossero venuti a
cercarmi. Mi domandavo quanto tempo ci avrebbero messo per rendersi
conto che non c'ero più, mi domandavo se mi vedessero."
Resto in silenzio, la mia sofferenza era accecante e non mi ero mai
reso conto di tutto questo. Io la vedevo come la figlia perfetta che
non sarei mai stata, lei mi vedeva come la persona che le toglieva ogni
attenzione, anche quelle fondamentali per sopravvivere.
"Ho preparato una borsa piena di provviste come in quel film" dice Zoe.
"Conosci "Moonrise Kingdom"? Era tutto uguale solo che non avevo un
giradischi nella borsa, né un fidanzato pazzo di me ad
aspettarmi."
Hansen e Zoe giungono a un bivio, le loro dita sono ancora saldamente
legate e posso vedere degli angeli danzare sulla testa di Evan
sussurrandogli allo orecchio le sembianze del paradiso.
"Comunque, in realtà non l'ho mai fatto" dice Zoe. "Sono
arrivata fino all'entrata del parco ed era già
così buio che mi sono spaventata e sono corsa dritta a casa.
Ho dormito sotto al letto, pensavo che i mostri mi avrebbero tenuto
compagnia e immaginavo che mia madre sarebbe venuta a svegliarmi, ma
non è successo... la mattina dopo non se ne era nemmeno
accorta e quando sono scesa per fare colazione non mi ha neanche dato
il buongiorno. "Connor è intrattabile oggi" mi ha detto
senza aggiungere altro."
Mia sorella sospira, si gratta nervosamente il braccio con la mano
libera. "Tu non hai idea di cosa significhi condividere una casa con
Connor, è come avere un tornado per coinquilino."
Hansen sussulta, avrebbe da ridire, ma non può, nel
frattempo io mi tengo stretto questo nuovo soprannome.
"Una persona che ti urla addosso senza motivo, ti minaccia, rompe le
tue cose, lancia gli oggetti e poi piange, disperatamente
così tanto che non sai nemmeno tu se arrabbiarti con lui o
essere distrutta dal suo dolore" racconta Zoe.
"Non lo nego, da quando Connor se ne è andato sono
più tranquilla, ma... Evan che darei per vederlo ancora una
volta, fosse anche solo per urlarmi in faccia che sono una stronza. Mi
manca..."
Le sue parole sono lame, così come lo è vedere
quell'abbraccio così forte, così intimo che ha il
sapore di qualcosa che non potrò mai più dare a
mia sorella e che non ho fatto in tempo a darle per l'ultima volta
quando ero ancora carne e ossa con consistenza.
Una lacrima le bagna il viso, Evan prontamente l'asciuga.
Silenziosamente mi metto dietro mia sorella, ascolto il suo respiro
concitato, il suo cuore dilaniato. "Ti voglio bene" sussurro, il vento
le porta il mio messaggio e Zoe resta per un attimo in silenzio senza
più neanche emettere un suono.
"A volte mi sembra di sentire la sua voce" confessa.
"Io la sento continuamente" si fa sfuggire Hansen. Sussulto, ho il
terrore di questa conversazione.
"Già, i ricordi sono duri a lasciare spazio a nuove
realtà, vero?" mia sorella ha salvato la situazione senza
saperlo.
"È come se fosse ancora qui, è ovunque..."
mormora Zoe. "Nei ricordi, nei pensieri, nelle parole, nelle emozioni,
in questo parco, sul tuo braccio..."
Evan abbassa gli occhi sul gesso dove ancora spicca il mio nome a
caratteri cubitali. "E va bene così..." mormora facendo una
carezza al gesso. "Va bene che sia con noi, qui, adesso e per tutto il
tempo che ne avremo bisogno."
Zoe sorride, si asciuga le lacrime e sospira. "Hey" dice cambiando
completamente tono verso l'entusiasmo. "La prossima settimana faccio
un'altra serata al Capitol. Ci vieni questa volta? Non devi cantare
anche tu, puoi anche solo ascoltarmi."
Evan annuisce ripetutamente come se volesse staccare la testa dal collo
e Zoe ride. Un uccellino sfreccia davanti a loro per poi salire verso
il cielo infinito e a questo punto mancano solo delle rose spuntate dal
nulla e siamo ufficialmente in uno shoujo.
Un cinguettiò mi distrae, ma non è dell'uccellino
è piuttosto il cellulare di Zoe. "Mia madre chiede se hai
altre e-mail da farle leggere... scusa, lo so che è
fastidiosa."
Evan rabbrividisce, per la prima volta da quando questo appuntamento
è iniziato mi rivolge uno sguardo.
"Beh dici che hai perso i backup o stronzat-" cerco di suggerire, ma
Evan ha già detto "va bene" prima che io possa finire la
frase.
"Con calma però, prenditi tutto il tempo di cui necessiti"
sussurra Zoe. Evan le sorride, sembra essere finito su una nuvola a
fluttuare. La prende nuovamente per mano e la guarda intensamente negli
occhi.
"Adesso quindi sei la mia ragazza, vero?" le domanda.
Zoe ride a crepapelle, così tanto che Evan abbassa lo
sguardo imbarazzato. Un bacio è la risposta di cui ha
bisogno e mia sorella non lo fa attendere.
"Pensavo fosse ovvio" gli dice con un'aria biricchina.
Guardo la neocoppia con una forma di invidia, questo tipo di
felicità così non l'ho mai vissuta.
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