Agrifoglio e Biancospino

di Eevaa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Villa Carlotta ***
Capitolo 2: *** Il Fabbricante di Ponte Vecchio ***
Capitolo 3: *** La bacchetta di biancospino ***
Capitolo 4: *** Veritaserum ***
Capitolo 5: *** La falena ***
Capitolo 6: *** L'Agrifoglio ***



Capitolo 1
*** Villa Carlotta ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà di J.K.Rowling.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.


- AGRIFOGLIO e BIANCOSPINO -


Capitolo 1
Villa Carlotta





«Adorabile».
Il rumore dei tacchi di Hermione risuonò sulle lucide piastrelle in marmo bianco dell'ingresso. Lei, vestita di un un lungo abito color borgogna, si strinse nella stola e inspirò deliziata l'aria fresca di inizio giugno. Le temperature serali erano frizzanti, specialmente a ridosso del lago.
Harry, al suo fianco, si guardò intorno e annuì. Le statue antiche e le sontuose fontane dalle rifiniture curvilinee erano niente in confronto alla vista mozzafiato su quello scorcio illuminato del Lago di Como.
Bellagio, dall'altra parte della sponda, rifletteva le proprie luci sullo specchio d'acqua scura.
Lungo la via che conduceva l'ingresso alla villa erano state disposte lanterne fluttuanti e ghirlande di azalee; dai cespugli ornamentali il canto delle fate risuonava leggero, un sottofondo rilassante e delicato.
I maghi italiani non si erano risparmiati in magnificenza per quello che era, a tutti gli effetti, l'evento più importante del loro governo.
«Adorabile, davvero adorabile» ribadì Hermione, una volta giunti di fronte all'arco d'ingresso di Villa Carlotta, una location antica che trasudava tradizione e al contempo freschezza.
«Sì, Hermione, ti stai ripetendo» fece presente Harry. Non che l'amica avesse torto: tutto sembrava essere disposto, ben pensato e curato nei minimi dettagli.
Il loro arrivo non passò certo inosservato: all'interno di quella che era la fastosa sala dei ricevimenti, molti degli invitati non nascosero una certa ammirazione nel vederli entrare. Alcuni salutarono con cortesia, altri si limitarono a guardare incuriositi nella loro direzione, mentre taluni non si trattennero dallo sgomitare i partner per richiamare l'attenzione.
Harry riconobbe tra la folla alcuni dei volti più importanti della Società Magica Britannica, tra i quali il Ministro Shackebolt, alcune alte cariche ministeriali dei dipartimenti; il capitano della squadra di Quidditch inglese insieme all'allenatore e il presidente; investitori e azionari della Gringott; il fabbricante di bacchette Olivander e il pluripremiato nipote danese Edgar, giovane promessa della fabbricazione – nonché ereditiero dell'impero dello zio, Animagus, benefattore del San Mungo, volto copertina del Settimanale delle Streghe e chi più ne ha più ne metta; alcuni giornalisti della Gazzetta del Profeta e molti altri volti noti tra i quali la preside McGranitt e il professor Lumacorno, il quale non avrebbe mai potuto perdersi un'occasione così succulenta per conoscere personaggi prestigiosi.
Prima che Harry e Hermione potessero avvicinarsi per scambiare cortesi chiacchiere, un cameriere vestito di bianco si avvicinò loro con un vassoio di calici di Ferrari secco.
Ovviamente il Ministero Italiano non aveva risparmiato sul catering: lungo le pareti affrescate della grande sala erano disposti lunghi tavoli con tovaglie candide, colmi di pietanze provenienti da tutte le regioni della bella penisola. Un banchetto così ricco e profumato che risvegliò il senso opprimente della fame di Harry. Erano oramai le otto di sera e, a causa dei preparativi, non aveva mangiato nulla a pranzo.


Quando lui e Hermione – a malapena il giorno prima – avevano ricevuto l'invito ufficiale al banchetto di inaugurazione del nuovo impianto collaborativo tra i ministeri italiano e britannico, non ne erano rimasti affatto stupiti. Di quella collaborazione si vociferava oramai da mesi e, finalmente, i ministri avevano firmato l'accordo una fresca sera di fine maggio.
I maghi italiani, che fino a prima della Seconda Guerra Magica erano stati risoluti nel mantenere privati i segreti delle loro arti magiche, avevano infine ceduto a diffondere i loro antichi saperi per poter eventualmente fronteggiare nuove minacce. C'erano voluti anni e anni di trattative – dodici, per la precisione – ma tutto si era risolto per il meglio.
Hermione, in quanto Viceministro della magia britannica, aveva assistito dietro le quinte all'evolversi della situazione e – ovviamente – si era fatta una cultura su tutto ciò che c'era da sapere.
Si era dimostrata così entusiasta di potersi recare finalmente nella patria della magia più antica, che aveva convinto Harry a prendersi una settimana di vacanza per accompagnarla nelle più importanti città italiane e approfittare di quell'invito per poter visitare l'intera penisola. Ron, purtroppo, era dovuto rimanere a Londra a causa degli affari del negozio dei Tiri Vispi Weasley, che erano fiorenti in quel periodo più che mai.


Harry schivò sapientemente una manciata di occhi conosciuti e fece per fiondarsi su quella che sembrava essere un'insalata di mare ma, naturalmente, venne trascinato da Hermione a conoscere il Ministro della Magia italiano - tale Ariberto Cristalli - il Viceministro Zaffirio Cerbero e il capo degli Auror Ambrosia Verbena.
Sembrarono tutti molto più interessati alla sua carica di Eroe del Mondo Magico, piuttosto che a quella di capo del dipartimento Auror.
I discorsi furono frettolosi, di circostanza, sebbene Cristalli si dimostrò piuttosto brillante e con un accento bizzarro che metteva il buonumore.
Il banchettare di Harry fu interrotto più e più volte da presentazioni con personalità dai nomi a lui impronunciabili ma, tutto sommato, il Ferrari diede lui un grande aiuto per poter sopportare osannate riverenze ed eventuali commenti invadenti.
«Non è magnifico, tutto questo?» domandò Hermione con occhi brillanti, mentre ammirava gli affreschi sul soffitto e i lampadari pendenti appena spolverati.
«Mh, sì, molto» borbottò Harry, molto più interessato al misero assaggio di risotto alla salvia e pesce persico che era riuscito a concedersi. Era onestamente molto colpito dall'eleganza e l'opulenza di quella villa ma, se proprio doveva ammetterlo, ciò che più lo aveva affascinato era la splendida vista sul lago.
«E sai cosa? Non vedo l'ora di visitare Roma, Venezia e Firenze» trillò lei, con aria sognante.
«Non eri già stata a Roma con la tua famiglia, da piccola?»
«La Roma Babbana» specificò Hermione, con una certa ovvietà. «Non hai idea della Comunità Magica del Vaticano. Affascinante, dai tempi degli antichi romani fino al romanticismo. Ma prima vorrei fare un salto a Recanati a visitare la casa di Leopardi. Tu lo sapevi che era un Magonò? Harry!?»
Ma Harry non la stava più ascoltando dallo sproloquio sul Vaticano, troppo distratto da una figura conosciuta a pochi metri di distanza.
«Hermione, ho le allucinazioni?» domandò con un filo di voce, indicando con un gesto del mento un angolo della sala.
«Ma di cosa stai parl-oh, Merlino!»
Gli si aggrappò a un braccio e mise così a repentaglio ciò che rimaneva del risotto. Ma Harry non ne avrebbe comunque più assaggiato neanche un boccone.
Lo stomaco aveva iniziato a contorcersi e auto-fagocitarsi dal momento in cui aveva scorto tra la folla quella figura familiare.
«Hai le allucinazioni anche tu?» domandò Harry.
«Non può essere lui» soffiò Hermione, senza fiato.
«Se non è lui, allora la teoria dei sosia è vera».

Dicono che al mondo, per ogni persona, ci siano almeno sette sosia. Ma con quale probabilità nel Mondo Magico ci poteva essere l'esatta copia di Draco Malfoy?
Non era decisamente una persona con tratti comuni ad altre. Capelli di un biondo quasi bianco pettinati da un lato, pelle diafana, occhi di un grigio glaciale, volto appuntito e denti drittissimi.
L'unica cosa che lo differenziava da colui che avevano conosciuto era un accenno di barba corta e ben curata. Non un dettaglio sufficiente per decretare che non potesse essere lui, soprattutto quando egli si voltò nella loro direzione e interruppe per un momento la sua affabile chiacchierata con gli Olivander.
Li fissò per qualche secondo poi, richiamato all'attenzione dall'interlocutore più anziano, riprese a parlare.
Harry, imbambolato, pensò davvero di avere le traveggole. Chiuse gli occhi un paio di volte ma, elegantissimo nel suo completo nero con mantello abbinato, Draco era ancora lì.
«Harry, dici che dovremmo andare a salutare?»
Hermione lo riscosse dal momento catatonico. Continuava a fissarlo incerta, con la mano arpionata al suo avambraccio e, probabilmente, la stessa sensazione di Harry di aver assistito all'apparizione di un fantasma di una persona praticamente morta dodici anni prima.
«Io dico che prima di fare qualsiasi cosa mi serve un drink» decretò Harry, convinto.
«Ne hai già in mano uno».
Harry guardò indifferente il calice del prosecco e, con un gesto distratto, lo trangugiò fino all'ultima goccia. «Non più».


•••


Si respirava aria buona, fresca, pulita.
La fine della Guerra aveva portato via con sé anche i Dissennatori. Niente più nebbia, niente più pesi sopra le spalle delle persone. Tutto era più luminoso, i colori persino più brillanti e il sole meno pallido.
Dopo mesi di oscurità la primavera aveva iniziato a correre verso le braccia aperte di una calda e gioiosa estate.

Harry prese fiato e aprì gli occhi, davanti a sé un cancello nero in ferro battuto. Le siepi sui lati avevano un che di opprimente, ma si poteva annusare il profumo di gelsomino proveniente dai giardini al di là di esse.
Il cancello si aprì lentamente per opera dell'elfo domestico al quale si era annunciato e Harry iniziò a camminare veloce lungo il viale. La prima e ultima volta che aveva fatto visita a quella tenuta era un prigioniero, e la facciata grigia gli era sembrata lugubre e presagio di morte. Aveva avuto paura a camminare lungo quel viale, durante la cattura dei Ghermidori. Al momento, invece, sembrava solo una reggia poco utilizzata, prigione aristocratica senza emozioni.
Essere lì di nuovo, all'inizio di una nuova era, faceva comunque strano.
Quando fu davanti al portone questo si aprì di scatto prima ancora che potesse bussare. Rimase lì, con la mano a mezz'aria e un'espressione probabilmente meno intelligente di quanto sperasse.
Non si sarebbe aspettato che proprio lei lo accogliesse.

«Harry Potter».
Il tono di voce di Narcissa era calmo, sebbene sorpreso. Portava in modo raffinato un lungo abito verde scuro e i capelli raccolti in una crocchia elaborata. Il portamento aristocratico come di consueto, un velo di trucco purtroppo non sufficiente per nascondere la piccola cicatrice sul mento di una maledizione che, con tutta probabilità, non sarebbe più venuta via.
I suoi occhi scuri erano però più spenti di come Harry li ricordasse.

«Signora Malfoy, buon pomeriggio».
«A cosa devo la sua visita?» domandò lei con cortesia.
«Mi chiedevo se ci fosse Malf-Draco» rispose, poi cacciò una mano nella tasca interna della giacca di jeans. «Ho, ehm, qualcosa che-»
«Potter!»
La voce di Draco interruppe quella di Harry e, dopo pochi secondi, questi apparve da dietro la schiena della madre. Sembrava sorpreso di vederlo molto più di quanto lo fosse Narcissa che, nella sua raffinatezza, non si era affatto permessa di sgranare gli occhi e risultare così rude nei toni.

«Malfoy» rispose Harry, calmo.
Si scrutarono per una manciata di secondi, spettri di persone che si erano lasciati alle spalle oramai da tempo. Sebbene la Guerra fosse finita solo da una settimana, Harry lo trovò cambiato almeno quanto era cambiato lui.
A dirla tutta Draco era cambiato drasticamente a partire dal sesto anno e, oramai, dell'arroganza e della spocchia non era rimasto più niente. Harry l'aveva visto impaurito, terrorizzato a partire dal loro scontro nel bagno del secondo piano fino ad arrivare al loro ultimo incontro, nella Sala Grande dopo la fine della battaglia. Si erano guardati da lontano come se avessero un milione di cose da dirsi, ma non si erano detti assolutamente niente.
In quel momento, invece, in quegli occhi grigi regnava una grande tristezza celata solamente dalla sorpresa per la sua presenza.

«Draco, fai accomodare il signor Potter in soggiorno, faccio preparare del tè». Narcissa interruppe lo scontro di sguardi.
«Oh, non c'è bisogno. Sono venuto giusto un salto veloce veloce» bofonchiò Harry. Dagli sguardi lievemente interdetti dei due Malfoy, comprese alla perfezione quanto il suo linguaggio fosse inappropriato al loro contesto aristocratico. Il sopracciglio alzato di Draco sembrava voler gridare “Grifondoro” a gran voce.
Narcissa, invece, distese le labbra laccate di rosso carminio in un sorriso sempre, sempre elegante.
«Vi lascio soli, dunque. Ossequi, signor Potter» concluse lei e, con un lieve inchino del capo, si congedò.

«Arrivederci, signora Malfoy. E, ehm, grazie per... la battaglia» farfugliò Harry, imbarazzato. Ella annuì lentamente, sorridendo, poi sparì dietro la porta.
Harry non poteva affatto nascondere che l'intervento provvidenziale di Narcissa l'avesse salvato e avesse ribaltato le sorti dell'intera Guerra. Tutto per amore del proprio figlio. Averlo dichiarato morto aveva dato a Harry tempo, gli aveva dato possibilità di tornare al castello e mettere la parola fine all'era di Voldemort.
Draco, aspettando che la madre fosse sufficientemente lontana, uscì dal portone e se lo chiuse alle spalle. Un raggio di sole illuminò il volto pallido e scavato. Era dimagrito ancora.
Rimasero un poco in silenzio, guardinghi, poi fu Harry il primo a parlare.
«Ho saputo di tuo padre».
«Non dire che ti dispiace, non sarebbe credibile» incalzò immediatamente Draco, acido.
«Non lo stavo per dire».
Draco indurì lo sguardo per un secondo, poi scosse la testa e sospirò. Erano belli che conclusi i tempi dei litigi adolescenziali.
Lucius Malfoy era stato imprigionato ad Azkaban al termine della battaglia e, tre giorni prima, condannato all'ergastolo. Ma, come aveva detto Draco, sarebbe stato davvero poco credibile per Harry fingersi dispiaciuto o affranto dalla notizia. Il signor Malfoy era stato parte attiva dell'ascesa di Voldemort e di tutta la seconda Guerra Magica. Harry sarebbe stato pronto a scommettere che con una promessa di un prestigio più alto, Lucius non avrebbe battuto in ritirata e avrebbe continuato a servire il lato oscuro nonostante tutte le angherie subite. Un uomo davvero poco glorioso, doppiogiochista, dagli ideali malsani e la propensione alla violenza.

Per quanto facesse strano anche solo pensarlo, Draco era molto diverso da Lucius. Harry ne aveva avuto la prova. Ciò non poteva togliere il fatto che Lucius fosse pur sempre suo padre e che Draco non l'avrebbe più rivisto in vita sua. Non proprio una notizia da festeggiare.
«Cosa ci fai qui?» gli domandò infine Draco, spazientito.
Harry si ricordò in quel momento il motivo per il quale aveva deciso di recarsi alla tenuta dei Malfoy. Portò una mano nella tasca interna del giacchetto in jeans e ne estrasse una bacchetta dall'impugnatura nera.
«Sono venuto a ridarti questa» disse semplicemente, porgendogliela. Aveva ponderato a lungo se spedirgliela semplicemente via gufo e tante grazie, ma non gli era parso giusto. Non dopo ciò che aveva significato quella bacchetta per lui.
Draco si accigliò e, riluttante, la prese. Se la rigirò tra le mani per qualche istante, poi fissò Harry con aria interrogativa, come se non comprendesse proprio il motivo per il quale gliel'avesse riportata.
«E per ringraziarti per avermela prestata» continuò Harry.
«Te la sei presa con la forza» puntualizzò Draco, col solito sopracciglio alzato che gridava ingiurie.
«La prima volta. La seconda me l'hai lanciata» controbatté Harry. [1]
Quando si era alzato dopo essersi finto morto, Draco sapeva che fosse disarmato. Così gli aveva lanciato la bacchetta per poter sconfiggere Voldemort, per poterlo battere una volta per tutte e porre fine a quella Guerra. Aveva cambiato fazione all'ultimo anche se, in realtà, Harry sapeva che avesse cambiato fazione da tempo, oramai. Lo sentiva dentro al petto. Come aveva detto Silente, Draco non era un assassino – al contrario di suo padre.

Malfoy tacque e abbassò lo sguardo, colto nel vivo, poi prese a rigirarsi ancora un poco la bacchetta tra le mani. Arrossì lievemente e parve assumere un aspetto più umano, bello e spensierato come il ragazzino del quarto anno che andava in giro a gongolarsi tra i corridoi.
«Beh, ha funzionato bene. Ironico, vero?» domandò Harry, divertito.
«Cosa ci trovi di ironico?»
«Ho provato decine di bacchette, alcune anche dei miei migliori amici. Nessuna mi è stata così fedele e affine come la tua».

Era la verità. La bacchetta di Hermione non era stata neanche lontanamente paragonabile a quella di Malfoy, quelle dei Ghermidori men che meno. Era stato con quella che aveva ucciso il più grande mago oscuro di tutti i tempi; con un semplice incantesimo, certo, ma aveva pur sempre risposto bene al suo volere.
Draco sembrò sconvolto in un primo momento, poi scosse la testa e ridacchiò sprezzante. Si infilò la bacchetta nel completo nero elegante.
«Sei sopravvissuto due volte all'Anatema che Uccide e ancora ti sorprendi per queste cavolate!»

Harry fece spallucce. Poco importava, oramai.
«Beh, ad ogni modo, grazie. Anche per non aver detto a Bellatrix che ero io» concluse infine Harry. Era anche per quello che aveva deciso di non spedirgliela per posta e recarsi lì.
«Non ne ero sicuro» rispose lui, schivo. Arrossì ancora.
«Sì che lo eri» ribatté Harry, inclinando la testa. «Perché menti?»
Draco rise di nuovo cinicamente e, Harry poté giurarlo, i suoi occhi tradirono tutta la sofferenza che l'aveva accompagnato negli ultimi mesi. E, forse proprio per quello, decise che nascondersi sarebbe stato più dignitoso.
«Perché è quello che ho fatto fino a oggi per sopravvivere» concluse Draco, molto meno brusco e acido di quanto non fosse mai stato. Sembrava semplicemente arrendevole.

Harry avrebbe voluto fare qualcosa, dare voce a una delle milioni di cose che avrebbe dovuto dirgli a fine battaglia, ma anche quella volta scelse di non dire niente.
Draco fece due passi all'indietro e, dopo aver aperto la porta, entrò in casa. Si voltò lentamente e guardò Harry un'ultima volta negli occhi.
«Addio, Potter» gli disse, con una certa amarezza nella voce.
«Addio, Malfoy» rispose e ingoiò l'istinto di fermarlo.

Draco chiuse la porta e Harry, respirando aria fresca e profumo di gelsomini, se ne andò.


•••



Harry trangugiò un nuovo calice di Ferrari. Era il quarto? Il quinto? Non lo ricordava. Tutto ciò che sapeva era che, da quando aveva scorto Malfoy in mezzo alla sala, non aveva smesso per un secondo di ripensare al loro ultimo incontro. Ossia la prima, primissima volta che avevano sostenuto un'intera conversazione senza odiarsi e farsi prendere dalla rabbia.
Erano passati dodici anni e di Draco, da allora, nessuna notizia. Harry aveva spesso pensato a lui, a quell'ultima conversazione, a che fine avesse fatto e come se la stesse cavando.
Ma tutte le volte aveva deciso di non fare niente, di non cercare, di non badarci. Si era tenuto quel tarlo in testa ed era andato avanti per la propria strada.
C'è chi diceva fosse oltreoceano, qualcuno aveva iniziato a vociferare che fosse morto da solo in casa insieme a sua madre, che tanto nessuno andava più a far loro visita e chissà quando avrebbero trovato i loro cadaveri. Harry era stato tentato di andare a controllare ma, a dirla tutta, gli era sembrato inopportuno. Gli elfi domestici avrebbero chiamato qualcuno in tal caso, no? E poi avrebbe scommesso la scopa che Draco sarebbe tornato a tormentarlo come fantasma, pur di stressargli l'anima. No, forse quello era un suo pensiero attuale da ubriaco.
Fece per fermare un cameriere e rubare un nuovo flûte, quando Hermione iniziò a sgomitarlo senza troppa eleganza. Si voltò ma, prima ancora di poterla ammonire, comprese al volo il motivo del richiamo.
Draco stava camminando nella loro direzione, portamento fiero e sguardo glaciale. Harry percepì come se un gigantesco rospo gli si fosse incastrato in fondo alla gola.
«Potter. Granger» li salutò con cenni eleganti del capo.
Ora che era vicino, Harry notò i segni della crescita sul volto: era più spigoloso ma senza dubbio molto più in salute dell'ultima volta che si erano visti. Sempre molto magro, ma un poco più spallato e non più nel range del sottopeso.
«Malfoy» gracidò il rospo nella gola di Harry.
«Che sorpresa!» aggiunse Hermione, montando un sorriso di cortesia.
Draco ricambiò il sorriso, affabile ma non troppo ostentato. Per Harry fu come assistere all'accoppiamento di un Erumpent con un Asticello. Non ci sarebbe stato nient'altro di più improbabile come Hermione Granger e Draco Malfoy che si scambiano gesti gentili.
L'ultima volta che avevano dialogato, lei l'aveva preso a pugni sul naso. Ma quei tempi erano finiti da un bel pezzo.
«Per voi, forse. Io non sono affatto stupito di trovarvi a questo evento» asserì Draco, calmo.
Il che riportava Harry su un piano ben più realistico e attuale della situazione, ossia la domanda che aveva saltellato tra le pareti del suo cranio sin da quando l'aveva adocchiato in mezzo alla folla.
«Tu invece che ci fai qui?»
Il rospo finalmente si tuffò giù per l'esofago.
«Sono una personalità influente, in Italia» rispose Draco.
Hermione e Harry si lanciarono un'occhiata sorpresa.
«Ah! E di che cosa ti occu-» fece per domandare Hermione, la quale però venne interrotta da un ometto tarchiato con la fronte sudata.
«Viceministro Granger, la attende il presidente dell'Ufficio di Scambio Internazionale».
Hermione annuì con un sorriso forzato poi, volgendo lo sguardo a Draco e Harry, si congedò.
«Vogliate scusarmi» disse, riservando a Malfoy un formale cenno di saluto.
«Ossequi» replicò lui.


Rimasero soli. Loro due e il rospo nella gola di Harry, che aveva ben deciso di arrampicarsi fino alle tonsille.
Draco però, a differenza di Harry, non sembrava per nulla a disagio rispetto a quell'incontro. O forse sapeva fingere molto, molto meglio di lui. Tuttavia, se poco prima aveva trasudato formalità da tutti i pori, una volta che Hermione fu sufficientemente lontana, egli mise da parte anche il galateo.
Lo fissava impenetrabile, con quei grandi occhi grigi glaciali che non avevano niente a che vedere con i due specchi velati e tristi che Harry aveva visto durante il loro ultimo incontro.
Incomprensibile era la parola giusta per descriverlo.
Prima che il silenzio si facesse troppo pesante, fu Harry a decidere di introdurre una conversazione.
«Non si hanno tue notizie da anni».
Draco corrugò le sopracciglia.
«Forse perché nessuno le ha mai cercate, mie notizie».
Touché. Harry si morse la lingua e rimase in silenzio, senza più sapere come ribattere. Sebbene il tono di Draco non fosse accusatorio, non aveva torto: Harry era stato il primo a decidere di non interessarsene.
L'immagine dei cadaveri in decomposizione dei Malfoy nella tenuta nel Wiltshire oscurò per un attimo la sua mente. Fosse stato per lui e il corpo degli Auror che seguiva, avrebbe potuto persino essere la realtà.
Draco, però, tornò al falso sorriso di cortesia e, con eleganza, fermò un cameriere che stava passando nei paraggi. Prese due calici e ne porse uno a Harry, poi si allontanò con un tacito invito di voler essere seguito.
Harry gli camminò accanto e, insieme, uscirono sulla terrazza di Villa Carlotta. Lo specchio del lago sembrava un quadro post-impressionista, con pennellate di luci e colori riflessi vicino alle coste. Camminarono fino a un scorcio più isolato vicino a una fontana, laddove il vociare era troppo lontano per poterne distinguere le conversazioni dal dubbio interesse.
Draco si portò il bicchiere alle labbra e fece un sorso raffinato, con lo sguardo perso su un battello notturno. Era di una signorilità antica, fine ma di classe. La sua bellezza non era mutata. O forse era più corretto dire che quel bastardo fosse diventato ancora più affascinante. O magari i troppi calici di prosecco stavano esercitando una forte influenza sui giudizi di Harry.
«Quindi sei una personalità importante, in Italia? Da quanto vivi qui?» domandò lui, oramai troppo curioso. Il suo flûte era già mezzo vuoto. O mezzo pieno, che dir si voglia.
«Sono domande fatte in veste di investigatore?» domandò Draco, atono, senza distogliere lo sguardo dal lago.
«No, solo pura cortesia nei riguardi di un vecchio compagno di scuola».
Finalmente Malfoy lasciò perdere il lago e si voltò per fronteggiarlo, con il capo lievemente inclinato e le labbra umide di prosecco.
«Se non ricordo male, non ci siamo mai formalizzati a tale cortesia».
Era la pura verità.
«Se non ricordo male, ora siamo due adulti cresciuti» controbatté però Harry, più che intenzionato a non lasciare cadere il discorso.
«Cresciuti molto serenamente anche senza avere notizie l'uno dell'altro». Il suo tono si era fatto più duro, sinonimo che si stesse portando sulla difensiva. O sull'offensiva?
Harry non riusciva proprio a comprenderlo, eppure aveva studiato per anni e anni la psicologia del verbale e non verbale. Come Auror era chiamato anche ai colloqui investigativi e gli interrogatori, e ogni dettaglio era importante per la risoluzione di un caso.
Malfoy, però, era incomprensibile.
«A giudicare dal fatto che tu sappia che sono un Auror, hai avuto mie notizie alla perfezione» puntualizzò Harry.
Lo sguardo di Draco si fece per un secondo meno gelido, quasi ammirato dalla scaltrezza dell'interlocutore. Alzò entrambe le sopracciglia per qualche istante, poi tornò a scrutare la magnificenza del lago, mentre una falena danzava intorno a loro.
Un applauso si levò dalla sala del ricevimento, probabilmente qualcuno aveva tenuto un discorso importante. Nessun rimorso per esserselo perso, da parte di Harry. Quella chiacchierata con Malfoy era senza dubbio più interessante di qualche sviolinata mal pronunciata di Cristalli.
Terminarono i loro calici nello stesso istante.
«Beh, quindi non mi vuoi dire di che ti occupi?» domandò Harry, incapace oramai di trattenere la lingua. Forse aveva bevuto troppo.
Draco prese un grosso sospiro, quasi esasperato. Sembrava indeciso se rispondere o meno ma, evidentemente, preferì starsene comodo a metà strada tra le due soluzioni.
Estrasse la bacchetta e, dopo aver evocato un pezzo di pergamena e una penna stilografica Babbana, scrisse in bella grafia un indirizzo.
Harry prese il pezzo di carta tra le mani e lesse, ma non vi era scritto niente più che qualche indicazione.
«Non ho niente da nascondere, qualora volessi mandarmi un controllo» disse Draco in un sorrisetto provocatorio.
Harry alzò gli occhi al cielo e ridacchiò. «Ripeto: era solo curiosità».
«La curiosità uccise il gatto».
E, detto ciò, si allontanò per rientrare nella sala del ricevimento senza più guardarsi indietro. Harry rimase lì, impalato, con un indirizzo tra le mani e la certezza di averci capito molto meno di prima.



Continua...

Riferimenti:
[1] Sono conscia che la scena del "lancio della bacchetta" faccia parte solo e unicamente delle scene tagliate del film - e che non esista nella saga cartacea - ma a me è sempre piaciuta tanto e quindi ho deciso ugualmente di renderla "canonica" in questa storia.

ANGOLO DI EEVAA:
... era il lontano ventotto febbraio quando vi avevo annunciato che avrei abbandonato il fandom per un po', ma che sarei tornata per la fine del 2021 con una nuova storia.
Ed eccomi qui! Addirittura in anticipo sulla tabella di marcia, proprio il giorno della partenza dell'Espresso per Hogwarts :D un Tassorosso mantiene sempre le sue promesse.
Che dire... mi era mancato da morire stare qui e sono felicissima di essere tornata a pubblicare. Che emozione!
Questa storia era nel mio archivio da tempo immemore ma non avevo mai trovato il modo di concluderla ma, con un po' di impegno, ho trovato qualche soluzione che potrebbe essere interessante. O almeno spero. Sentitevi liberi di criticarne ogni virgola e di aiutarmi a migliorare, visto che ho messo "mistero" tra le descrizioni ma non è che sia proprio un giallo giallissimo giallerrimo.
L'ambientazione è sicuramente particolare, non ho idea del perché mi sia venuta questa idea malsana di ambientare una Drarry in Italia ma... beh, ne ho scritta una sull'Irlanda, quindi siete abituati ai miei contesti fuori schema xD spero davvero che possa piacervi.
Vi lascio con un facile quesito: perché diavolo Malfoy è una personalità importante, in Italia? Dai, penso che sia facile intuirlo. Ho lasciato qualche indizio qua e là. Via con le teorie :)

Visto che di domenica pubblico nel fandom di Dragon Ball, utilizzerò il mercoledì per pubblicare i nuovi capitoli di questa storia, salvo imprevisti!
Un abbraccio a tutti e grazie di cuore in anticipo a chi è tornato qui per seguirmi ancora una volta!
Eevaa


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Capitolo 2
*** Il Fabbricante di Ponte Vecchio ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà di J.K.Rowling.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.


- AGRIFOGLIO e BIANCOSPINO -


Capitolo 2
Il Fabbricante di Ponte Vecchio



 

La parola che meglio avrebbe potuto descrivere quel viaggio in Italia, a parere di Harry, era frenesia.
Hermione l'aveva trascinato in lungo e in largo affamata di cultura, di arte, di storia. In cinque giorni avevano viaggiato come trottole tra una città e l'altra senza sosta.
Dalle magnifiche ville sul Lago di Como erano passati a Milano, il Duomo, il Cenacolo, le Colonne di San Lorenzo, vari musei e la magnifica tradizione di un aperitivo sui Navigli.
Dopo due giorni si erano spostati a Venezia e i suoi canali, la Basilica di San Marco, Palazzo Ducale, altri numerosi musei e un meraviglioso scorcio della Comunità Magica raggiungibile direttamente dal Canal Grande.
Antichità e architettura di grande gusto, senza contare le prelibatezze rustiche assaggiate di passaggio nella giovane Bologna. A Recanati avevano scoperto che la teoria che Leopardi fosse un Magonò fosse inconfutabile. E la sua Silvia, ovviamente, era una Strega morta di Vaiolo di Drago, non la figlia di un cocchiere deceduta per tisi polmonare.
Harry aveva dovuto allargarsi i pantaloni quando, una volta giunti a Firenze, erano stati accolti con una bistecca – chiamata Fiorenzina, Fiorentona o qualcosa di simile – da chissà quanti grammi.
Sempre a Firenze avevano girato in lungo e in largo tra Uffizi, la meravigliosa Cattedrale di Santa Maria, le gallerie d'arte, la casa di Dante Alighieri e la meravigliosa Comunità Magica dietro Ponte Vecchio. Quest'ultima era senza dubbio la più affascinante, colma di magia antica, ninnoli incantati e artefatti magici assolutamente straordinari. C'era di tutto, se solo si sapeva guardare bene.
Una vera fortuna che la loro guida - una strega grigia sulla sessantina di nome Evelina - avesse dato loro consigli preziosi su come accedere ai vari negozi magici dietro le bancarelle.
Erano ben protetti da incantesimi di disillusione straordinari ma, una volta attraversati, tutta la magia di Firenze emergeva nel suo completo splendore.

Non si erano fermati un secondo, Hermione sembrava non esaurire le energie neanche dopo ore e ore di camminata. Cosa che, nelle sue condizioni, era più che ammirevole ma a tratti poco sano.
«Harry, non farla stancare troppo, ti prego» l'aveva supplicato Ron la sera prima, via camino.
«A dire il vero quello stanco sono io!» gli aveva risposto. «Non mi fa fare neanche una pausa!»
Hermione li aveva redarguiti entrambi per essere troppo pesanti, che non era malata, che non era stanca e che avrebbero dovuto smetterla di preoccuparsi.
«Sicuro di non essere tu quello gravido?» aveva infine concluso lei, dopo le perpetue lamentele di Harry.
Nessun altro ancora lo sapeva, ma Hermione aveva scoperto da poche settimane di essere incinta. Nonostante fosse nel primo trimestre della gravidanza, però, era più in forma che mai e non aveva mai sofferto di nausee.
La sera successiva sarebbero partiti per Roma per concludere la loro vacanza e Harry già temeva per quanto diavolo avrebbero dovuto camminare. Un viaggio bellissimo e ricco di cultura, ovvio, ma non di certo rilassante.



Il giorno dopo Hermione manifestò il desiderio di andare a fare compere allo shop Babbano degli Uffizi, giusto per poter portare a casa qualche pensierino caratteristico – e noioso, a parere di Harry.
«Mh, io invece vorrei prendere un aggeggio che avevo visto a Ponte Vecchio, prima di partire per Roma» disse lui, piuttosto riluttante a tornare a fare la fila al museo.
«Perfetto, allora ci ritroviamo al punto di Smaterializzazione tra un'ora, ok? Non perderti, Harry».
«Ok, mamma» la prese in giro e lei sbuffò divertita.
Harry attese sorridente di vederla sparire in un vicolo insieme a Evelina, poi divenne immediatamente più serio. Senza indugiare si infilò una mano nella tasca dei jeans e ne tirò fuori un foglietto spiegazzato con una scritta in bella grafia.
Tre passi dietro il quadro nel negozio di vecchie scarpe, Ponte Vecchio, Firenze.
Harry si rabbuiò ancora di più, intrappolato in una fitta trama di indecisione. Poi, con un grosso sospiro, si rimise il biglietto in tasca e si incamminò.
A passi svelti raggiunse le viuzze diroccate nei pressi di Ponte Vecchio e le vecchie vetrine. Si guardò intorno di soppiatto alla ricerca di ciò che stava cercando e, finalmente, scorse un uomo baffuto che sistemava un antico paio di mocassini in pelle marrone. Sessantacinque Euro e novanta centesimi.
Salutò il venditore e si guardò nuovamente intorno: c'era un vecchio dipinto accanto al registratore di cassa. Attese che il signore baffuto tornasse nel magazzino e, dopo un secondo di esitazione, si lanciò verso il muro e lo attraversò.
Uno, due, tre passi, poi si ritrovò di fronte alla vetrina di un nuovo negozio sul fondo di un cunicolo.
Il Fabbricante di Ponte Vecchio.
Harry sbarrò gli occhi: conosceva eccome quel marchio! Con estrema titubanza si avvicinò all'ingresso e, dopo aver preso un profondo respiro, aprì la nodosa porta in legno ridipinto di verde e il campanello suonò delicato.

L'atmosfera dentro il negozio era meno cupa di quanto si aspettasse da fuori. L'arredamento antico ma non polveroso, elegante, con luci calde e soffuse e fiammelle dorate pendenti dal soffitto, tra le quali volava una falena annoiata. Un piacevole profumo di incenso al gelsomino attraversò i sensi di Harry, insieme al forte odore di legno lavorato.
Tra gli scaffali espositori centinaia e centinaia di lunghe scatolette dai colori tenui, sapientemente catalogate per anno, tipologia e dimensione sotto le categorie incise in italiano sopra ogni scaffale.
Il pavimento era in legno scuro e lucido, le pareti di un verde bottiglia nascoste dietro gli scaffali.
«Solo un momento!»
Una voce proveniente da quello che doveva essere il retro della bottega lo fece trasalire. Conosceva quel timbro, ma non la lingua appena pronunciata. Italiano, probabilmente, oramai Harry aveva assimilato la fonetica elegante della lingua di quel paese.
Trattenne il fiato per pochi secondi, giusto il tempo di udire passi svelti provenire da dietro una porta ad anta a ribaltina. Quando si aprì, cigolò.
«Eccomi, come posso aiu... Potter».
Draco Malfoy, con in mano tre scatole grigio perla, si immobilizzò sul posto e non tradì un'espressione di sorpresa.
«Malfoy» lo salutò Harry, con una voce meno sfacciata di quello che avrebbe voluto. La verità era che la sorpresa fosse più che condivisa, nonostante sapesse di poterlo trovare lì.

Indossava una camicia carta da zucchero e un gilet damascato di un blu scuro, coordinato con i pantaloni. La cravatta anch'essa scura era annodata con cura e i capelli pettinati di lato in un ordine quasi innaturale.
Gli occhi grigi gli restituirono uno sguardo interrogativo, quasi non si aspettasse affatto di vederlo lì. Eppure l'indirizzo gliel'aveva scritto e consegnato con le sue stesse mani.
«Alla fine sei venuto davvero» asserì, con tono calmo. «Senza scorta» aggiunse.
Harry alzò gli occhi al cielo e ridacchiò. Davvero aveva sospettato che il motivo che l'avesse spinto a chiedergli cosa facesse fosse una semplice indagine ministeriale?
«Oramai dovresti saperlo che sono curioso» disse Harry.
«O uno stalker?» controbatté Draco, divertito. Con gesti distratti fece levitare le tre scatoline in direzione degli scaffali, facendole incastrare tra le altre in un allineamento maniacale.
«E così lavori in un negozio di bacchette...» sospirò Harry, camminando lento tra i vari scaffali. «Queste vanno molto di moda in Inghilterra, ultimamente. Chi è il proprietario?» domandò poi, seguito lentamente da Draco nella contemplazione del negozio. Negli ultimi anni quel marchio di bacchette era giunto fino in Gran Bretagna e aveva preso piede almeno quanto quelle di Gregorovich e Olivander, tant'è che Olivander stesso ne rivendeva dei modelli direttamente nel suo negozio. Molti dicevano che la qualità era altissima e avevano una risposta pressoché infallibile per gli incantesimi difensivi. Teddy ne aveva una, in legno di Cipresso e corde di Cuore di Drago.
«Secondo te ero all'evento più importante d'Italia perché sono un commesso? Dov'è finita la tua perspicacia, Potter?»
Harry si voltò di scatto, come se qualcosa lo avesse punto sui fianchi.
«Sei il Fabbricante di Ponte Vecchio?» chiese, la bocca spalancata in un'espressione decisamente poco furba. Effettivamente non ci aveva pensato.
Draco incrociò le braccia.
«Sei sorpreso?»
Harry si guardò nuovamente intorno, quasi spaesato. Gli pareva incredibile che Draco fosse fuggito dall'Inghilterra per diventare un fabbricante di bacchette, una professione anche piuttosto complessa e antica. Dove aveva studiato? Da chi era stato istruito? Come aveva fatto ad aprire un proprio negozio e perché proprio a Firenze?
«L'ultima volta che ci siamo visti non avevi una grande opinione delle bacchette» constatò Harry, memore degli stralci dell'ultima conversazione che avevano avuto dopo la Guerra.
Draco si immobilizzò e lo fissò in silenzio, l'espressione beffarda gli morì in volto e un vago rossore si fece largo tra il pallore lunare della sua pelle.
E Harry capì di avere perfettamente centrato il punto.

Beh, ha funzionato bene. Ironico, vero? Ho provato decine di bacchette, alcune anche dei miei migliori amici. Nessuna mi è stata così fedele e affine come la tua”.

Il ricordo di quella conversazione riecheggiò, forte e cristallino come se fosse avvenuta il giorno prima. Erano passati dodici anni.
Era per caso a causa di quella conversazione che Draco era stato spinto a perseguire quella professione?
«Malfoy?» lo richiamò, dopo un minuto di asfissiante e denso silenzio.
Draco voltò i tacchi e camminò fino alla grande scrivania al centro della stanza. Si appoggiò al legno scuro con entrambe le mani e rimase immobile ancora un poco. Poi, non appena Harry provò ad avvicinarsi, parlò.
«Sono diversi anni che faccio questo lavoro, Potter. E ancora non sono riuscito a scoprire il perché la mia bacchetta ti sia stata tanto fedele».
Harry sussultò. Era la ricerca di senso, dunque, quella che l'aveva portato a studiare l'arte delle bacchette. Per trovare una spiegazione razionale a quell'affinità.
L'unica teoria che conosceva recitava che la lealtà di una bacchetta si guadagna sottraendola al mago possessore, ma la lealtà di una bacchetta è differente che l'affinità.
Evidentemente, quindi, c'era qualche altra spiegazione. Le loro bacchette avevano nuclei e legni differenti.
«Ed è per questo che sono qui, giusto? Per questo mi hai liquidato con un biglietto e un indirizzo al posto di dirmi semplicemente che lavoro facessi» realizzò Harry. A che pro farlo giungere fin lì, se non perché avesse in mente qualcosa di particolare per la sua ricerca?
Draco si voltò verso di lui e sogghignò per un istante. «Se non altro sai fare il tuo lavoro» confermò. Era stato il suo piano fin dal loro calice in riva al lago.

Harry alzò un sopracciglio. «Quindi alla fine concordi con me. Il fatto che la tua bacchetta mi sia affine è ironico».
«È insensato. Ridicolo» sbottò Malfoy, frustrato. Poi si diresse verso uno scaffale con passi nervosi, e ne estrasse una scatola nera opaca. La aprì con mani tremanti e gli porse la bacchetta al proprio interno. Harry la prese e la osservò.
Era di legno marrone scuro con venature nere, di dieci pollici e abbastanza flessibile. Già di primo tocco non la sentiva particolarmente adatta a sé.
«Trasfigura questo fermacarte in un calice» ordinò Draco, dopo aver posizionato un antico fermacarte al centro della scrivania.
Harry lo guardò storto e tentò di comprendere il senso di quella richiesta, ma probabilmente tutto faceva parte della ricerca per la quale era stato invitato lì.
Puntò la bacchetta verso il fermacarte e pronunciò l'incantesimo. Si ripiegò concavo su se stesso e diede vita a uno dei calici meno ergonomici e più antiestetici che Harry avesse mai visto. Parecchio disgustoso per gli occhi di un designer.
«Pessimo tentativo, vero? Non ti ricordavo così scarso in Trasfigurazione» asserì Malfoy, piatto.
«Si tratta di una bacchetta poco adatta» si giustificò Harry, un poco scocciato per la brutta figura.
«Sì? Prova con questa, allora» propose Draco e, senza esitazione, prese una bacchetta dalla scrivania e gliela cacciò in mano.
Harry la osservò e sorrise sghembo.
«Questa è la tua. La riconosco».
L'avrebbe riconosciuta tra mille. Aveva ucciso Voldemort con quella bacchetta, gli era stata fedele, affine, alleata. E, ora che la teneva tra le dita di una mano, ne sentiva di nuovo il potere. La lealtà.
Draco strinse le labbra e attese con impazienza la trasfigurazione che, come pronosticabile, andò a buon fine.
Un bel calice dorato apparve al posto del fermacarte, brillante come se fosse appena stato lucidato a nuovo.
«Proprio come la ricordavo» commentò Harry, compiaciuto.

Malfoy strinse ancora di più le labbra, oramai bianche e pallide. Trasalì e gli strappò la bacchetta dalle mani, quasi furibondo.
«Vedi, Potter... ciò che cambia dalla prima che hai utilizzato e la mia sono le zigrinature decorative. Dieci pollici, biancospino e crine di unicorno. Lo stesso unicorno, per giunta» spiegò, confrontando ambedue le bacchette con precisione.
«Ma come... cosa...» balbettò Harry, stupito all'inverosimile.
Draco le sollevò entrambe e le contemplò minuziosamente, quasi affascinato.
«Invece la tua bacchetta si compone di agrifoglio. Agrifoglio e biancospino sono due piante agli antipodi. Non c'è nulla che le unisca. Esattamente come non c'è assolutamente nulla che unisca noi. E infatti così dovrebbe essere, hai dimostrato con la prima bacchetta di non essere affine alle componenti. Così come io...» si interruppe e ricercò tra gli scaffali una nuova scatola. «Ah, eccola qui» esclamò, estraendo una bacchetta in legno più chiaro. «Uguale alla tua: agrifoglio e piuma di fenice, undici pollici e molto flessibile. Ovviamente non è la stessa fenice che compone la tua ma, beh...» fece spallucce e puntò la bacchetta in direzione del calice, formulando l'incantesimo inversivo della Trasfigurazione.
Nulla accadde, se non un cambio di colore importante che ricordava tanto quello del fermacarte. Era un incantesimo piuttosto semplice, eppure era evidente che le componenti di quella bacchetta non gli permettessero di utilizzarla.
Harry rimase interdetto e silenzioso, capendo perfettamente dove Malfoy stesse andando a parare.
«Sarei curioso di capire cosa avverrebbe con la tua» domandò infine Draco, in un chiaro invito che Harry, chissà come, accettò senza alcuna remora.
Estrasse la propria bacchetta dalla tasca e gliela porse. Chissà come, con estrema fiducia.
Non appena Malfoy la prese, sbarrò gli occhi grigi. La puntò verso il calice e in mezzo secondo tornò delle fattezze originali. Un fermacarte antico e perfettamente funzionale.

Fermacarte che, dopo qualche secondo, venne scagliato e infranto a terra dallo stesso Malfoy, in preda a una evidente crisi di nervi. Che fosse completamente pazzo?
Harry non capiva per quale motivo la stesse facendo tanto tragica, si limitò a guardarlo con espressione vuota.
«Ridicolo. È ridicolo» sibilò Draco, fronteggiandolo poi a brutto muso. «Non c'è una spiegazione alchemica che conti! Non la trovo, non riesco a capacitarmene! Io e te siamo esattamente come il biancospino e l'agrifoglio. Abbiamo due passati diversi, abbiamo lottato per fazioni diverse, ci siamo scontrati dalla prima volta che ci siamo visti. Siamo nati sotto ascendenti diversi, non solo abbiamo due segni zodiacali differenti! Anche nelle caratteristiche fisiche siamo all'opposto. L'unica cosa che ci teneva uniti era la capacità di volo ma, beh, avevamo due stili opposti. Niente, nulla!» sbottò.
Harry continuava, però, a non comprendere il motivo di tanto fermento. Probabilmente non accettava che nel suo lavoro esistessero delle eccezioni inspiegabili? Era davvero così maniacale? Forse era un pazzo squilibrato sul serio.
«Voldemort ed io avevamo la stessa bacchetta. E, fidati, eravamo diametralmente opposti» fece spallucce.
Draco, sebbene fossero trascorsi dodici anni dalla Guerra, parve rabbrividire alla pronuncia di quel nome.
«Tu e... lui... lui ti aveva segnato, eri un pezzo della sua anima, no? Questo basta come spiegazione. Ti assicuro che la mia anima è intera e di certo non riporrei nulla in te» sbuffò.
Harry sogghignò divertito. Oramai era anche piuttosto curioso.
«Non può accadere che si senta affine la bacchetta di un rivale?»
Malfoy iniziò ad allineare le scatole di bacchette con precisione maniacale. Si spostò da uno scaffale all'altro alla ricerca di mensole poco ordinate, quasi questo gli portasse anche ordine mentale. Non era tranquillo, nonostante tentasse di celare i suoi scatti nervosi dietro una consueta espressione aristocratica e strafottente.
«Non ci sono spiegazioni logiche a riguardo. L'unica teoria è che tra i due possessori ci sia una certa... affinità». Draco pronunciò l'ultima parola come se fosse la più atroce tra le bestemmie ai quattro fondatori.
E la curiosità di Harry si intensificò.
«Affinità?»
«L'amicizia, ad esempio. O la parentela, anche se questo non sempre vale: la bacchetta di mia madre mi è leale, ma non mi è per niente affine. Ma più di tutte...» Malfoy si interruppe e si immobilizzò. Una mano sopra uno scaffale, la testa china al pavimento alla ricerca delle parole più adeguate. Harry lo sentì deglutire e capì che fosse in imbarazzo. «Si tratta di una vecchia leggenda, ma... si dice che due anime gemelle possano utilizzare l'uno la bacchetta dell'altro anche se esse possiedono caratteristiche strutturali completamente differenti».

Harry spalancò la bocca, ma non riuscì a emettere suono. A questo non aveva assolutamente pensato. Non conosceva a sufficienza lo studio delle bacchette per poterlo sapere, ma aveva qualcosa di incredibile.
Non riconducibile alla loro situazione, probabilmente, ma comunque piuttosto incredibile.
«Insomma, bisogna condividere qualcosa di forte» continuò Draco, per tirare le redini di quel discorso prima che galoppasse verso orizzonti poco consoni alla loro situazione. «La bacchetta della Granger ha componenti diversissime dalle tue, non funzionerebbe quasi per niente, ma qualcosa riesci a farci. Perché la bacchetta ti è leale, e perché condividete affetto, un passato. Cosa condividiamo, noi?» domandò infine, arrendevole.
Finalmente cessò di mettere in ordine il negozio e fronteggiò Harry faccia a faccia. Indossava due occhi grigi taglienti e la mascella contratta di frustrazione per una ricerca di senso andata per il verso sbagliato.
«Sono convinto di averti odiato, per un periodo. L'odio è un sentimento forte» ammise quindi Harry.
L'aveva odiato di sicuro. Al terzo anno più di sempre, probabilmente, con tutta la questione legata a Fierobecco. Poi aveva odiato suo padre talmente tanto che tutto l'odio era ricaduto anche su Draco. Non aveva saputo cogliere le sue difficoltà fino a che non aveva visto - tramite le intrusioni mentali di Voldemort - il triste destino che gli era stato riservato. Lì aveva smesso di odiarlo e aveva avuto solo pena per lui.
Però sì, l'aveva odiato, inutile nasconderlo. Malfoy non ne parve neanche troppo turbato, probabilmente il risentimento era reciproco, eppure non sembrava ancora convinto.
«Hai odiato anche i Ghermidori che ti hanno catturato. Eppure la loro bacchetta non ti era affine, o sbaglio?»

Harry comprese la frustrazione di Malfoy, così come i suoi discorsi. Per anni aveva navigato alla ricerca di una spiegazione logica a ciò che era accaduto e niente, neanche un indizio aveva restituito una risposta razionale. Probabilmente era divenuta quasi un ossessione per lui, e ciò rendeva tutto anche un tantino inquietante.
Eppure Harry continuava a trovare ironico che Draco non fosse disposto ad accettare che le cose potessero semplicemente non avere un senso. O magari un senso ce l'avevano, nascosto da qualche parte, ma non erano mai stati disposti a trovarlo.
Cosa condividevano, quindi? Un passato burrascoso, una rivalità, l'odio. E se ci fosse stato di più?
Era strano anche solo pensarlo, per Harry, ma era curioso. Qualcosa lo aveva portato fin lì, qualcosa lo aveva spinto a parlare con Draco la sera del banchetto a Villa Carlotta, e sempre qualcosa l'aveva costretto a recarsi al maniero dopo la Guerra per restituirgli la bacchetta.
E quel qualcosa non era l'odio, non era la rivalità. Forse avrebbero potuto comprenderlo se si fossero dati una possibilità di conoscersi davvero, al posto di portare avanti le dinamiche di quando erano ragazzini.
Del resto Harry aveva sempre reputato Draco Malfoy una persona interessante, qualunque cosa volesse dire “interessante”.
«Sappiamo cosa ci divide. Non sappiamo cosa ci lega» concluse Harry, quasi beffardo.
Per Draco fu quasi uno schiaffo in piena faccia.
«Niente ci lega, Potter. Nulla lega il biancospino e l'agrifoglio» sibilò, lapidario. Livido in volto, fu piuttosto evidente che da parte sua non ci fosse alcuna intenzione di continuare quella ricerca durata dodici anni.
Harry avrebbe voluto ribattere qualcosa, ma si rese conto di avere esaurito gli argomenti. Non ci sarebbe stato niente che avrebbe potuto dirgli per convincerlo a rasserenarsi, ad accettare quella situazione per ciò che era. Accettare che qualcosa probabilmente li legava e li rendeva affini nonostante tutto. Forse neanche Harry era disposto a scoprire cosa fosse, non quando di fronte si trovava un muro di ghiaccio gocciolante di ossessioni e manie.
Rimasero in silenzio e si scrutarono nella penombra delle fiammelle appese al soffitto. Non avevano più niente da dirsi.
L'orologio a pendolo parlò per loro e sancì che era giunta l'ora di tornare alle proprie vite.
«Grazie per la visita, sto chiudendo» concluse Draco. Non c'era più veleno nelle sue parole, solo rassegnazione.
«Beh... allora addio, Malfoy».
«Addio».
Quando Harry uscì dal portone verde del negozio il campanello risuonò acuto, una sorta di sveglia che lo costrinse a tornare a passi svelti alla realtà.
Non si guardò indietro.


 

 

Roma in una notte d'estate, Roma la città eterna.
Il vociare in centro, i filobus in ritardo, le piazze, le fontane. Non c'era magia che la rendesse più magica di quanto non fosse.
L'odore di resina dei pini, i lampioni sfarfallanti vicino al Colosseo. La grande cupola in lontananza, gli scavi, la nostalgia di una storia antica mai vissuta sulla propria pelle.
Harry si perse con lo sguardo tra le rovine del Foro, Hermione sembrava danzare. Occhi affascinati, nasi all'insù.
Non gli aveva raccontato niente dell'incontro di quel pomeriggio. Forse per auto-convincersi che non fosse mai successo, forse perché era difficile da accettare. Perché mai continuare a interrogarsi su qualcosa di cui non aveva potere, né possibilità di scelta?
Harry sospirò e si domandò come mai quella sera la luna sembrava brillare così forte. Forse era Roma, forse perché nel suo petto il cuore continuava a battere a ritmo forsennato.

Si dice che due anime gemelle possano utilizzare l'uno la bacchetta dell'altro anche se esse possiedono caratteristiche strutturali completamente differenti”.

Harry scosse il capo. Quella cosa era decisamente improbabile.
Per dodici anni non aveva più pensato di poter rivedere Draco Malfoy. Eppure erano bastati due brevi incontri ed era come se il tempo si fosse riavvolto e l'avesse costretto a riguardare un vecchio film con occhi nuovi, occhi diversi, occhi adulti. Occhi che avevano saputo scorgere sfumature differenti, dettagli ai quali non aveva mai fatto caso.
Ma era inutile pensarci, era inutile continuare a interrogarsi.
Il destino era già stato preconfezionato.
La storia del Fabbricante di Ponte Vecchio sarebbe rimasta segreta, celata, segregata in un angolo della sua mente.
O, almeno, così Harry pensava.




 
Continua...

Riferimenti:
-Nella saga viene spesso fatto riferimento alla lealtà di una bacchetta, che si ottiene quando uccidi il possessore, quando lo disarmi o quando ti viene donata da lui. Però mi è venuto ragionevolmente da domandarmi come possa un mago utilizzare senza alcun problema tali bacchette se queste non possiedono caratteristiche compatibili. 
Del resto come Olivander ci ha spoegato "è la bacchetta a scegliere il mago". Le bacchette uguali a quelle di Lily e James, infatti, sono incompatibili con Harry, e questo dovrebbe valere anche se a Harry fossero state donate dagli stessi Lily e James. Gli sarebbero state leali, ma non avrebbero fatto grandi magie. 
Da qui mi è venuta la teoria dell'affetto, della condivisione, delle anime gemelle. È una teoria inventata, che si basa però su concetti canonici. 


ANGOLO DI EEVAA:
Ehilà, gente magica!
Finalmente avete scoperto cosa diavolo ci faccia Draco in Italia. Alcuni di voi hanno azzeccato e hanno trovato gli indizi (il titolo della storia, l'immagine nella copertina, il fatto che Draco stesse chiacchierando con gli Olivander...), altri invece sono andati fuori strada ma sono state tutte teorie molto interessanti e verosimili. Deliziosa la teoria del wedding planner: Draco is the new Enzo Miccio xD
Non ci sono troppi misteri in questo capitolo, credo che sia tutto spiegato e al momento siamo a un punto fermo ma... beh, dal finale si evince che ci sarà dell'altro. Malfoy si rifarà vivo? Harry troverà un perché dell'affinità delle loro bacchette che non sia la storia delle anime gemelle? 
Che sorprese ci riserverà questa vacanza in Italia? Spero davvero che la cosa possa incuriosirvi.
Grazie di cuore a tuttx per avermi riaccolta nel fandom!
Un abbraccio,

Eevaa



 

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Capitolo 3
*** La bacchetta di biancospino ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà di J.K.Rowling.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.



- AGRIFOGLIO e BIANCOSPINO -


Capitolo 3
La bacchetta di biancospino

 
 


«Davvero affascinante».
Harry strinse le labbra e mosse passi lenti sul terreno sconnesso delle catacombe. La loro visita guidata alla Necropoli Vaticana stava perdurando da oramai due ore e, in tutta onestà, non ne poteva più di sentir farneticare la guida magica che spiegava loro aneddoti segreti dei quali i Babbani non erano a conoscenza.
«Io inizio a trovare tutto parecchio ridondante» ammise Harry, sbuffando alla vista dell'ennesimo mausoleo diroccato uguale ai precedenti.
«Perché mai?» sussurrò Hermione, mentre la guida del tour privato continuava a raccontare dettagli a un altro gruppo di maghi in visita alla città.
«Oh, forse perché sono due ore che guardiamo solo tombe». Non che le tombe gli facessero impressione. Una volta un grande mago gli aveva insegnato a non aver paura dei morti, ma dei vivi. E di quelli che vivono senza amore.
«Harry, ma non annusi il profumo della cultura e dell'antichità qui sotto?!» borbottò interdetta Hermione.
«Io sento solo puzza di decomposizione» ridacchiò Harry, guadagnandosi una gomitata nelle costole. Sembrava fossero tornati ai tempi della scuola.

In realtà era stato tutto molto interessante all'inizio ma, dopo aver trascorso più di mezza giornata ad apprendere concetti e camminare, tutto ciò che avrebbe voluto assimilare sarebbe stato un aperitivo in Piazza di Spagna. Era in quei momenti che sentiva la mancanza di Ron.
Harry sbadigliò dentro il palmo della mano, ben attento a non farsi vedere da Hermione, poi la seguì fino all'arco di una nuova stanza che – ci avrebbe scommesso – sarebbe stata piena di tombe. Ma, prima ancora di potercisi addentrare, un forte rumore li colse alle spalle.
Un'esplosione, un gran polverone, incantesimi non conosciuti pronunciati sottovoce. Uno di questi gli sfiorò la spalla. Non fece in tempo a estrarre la bacchetta, un incantesimo lo fece sobbalzare in avanti contro il muro. Il rombo di un crollo.
Poi, d'improvviso, tutto si fece buio.


 


Un forte dolore sul volto lo fece urlare, ma dalla sua bocca uscì un sibilo ovattato e polvere.
«Me sente? Signor Potter, me sente?»
In mezzo all'acuto ronzio nelle sue orecchie avvertì delle parole in inglese mal pronunciato. Provò ad aprire gli occhi, la luce era bianca e fastidiosa, le figure poco nitide - e non solo perché con tutta probabilità non aveva gli occhiali.
«Signor Potter?»
«Ngh» grugnì Harry, portandosi una mano sulla fronte. La testa gli pulsava e in bocca poteva percepire il sapore ferroso di sangue misto a polvere. Quantomeno il dolore sul volto era passato, probabilmente qualcuno gli aveva appena aggiustato il naso con un incantesimo.
Si ricordò in quel momento di cosa fosse accaduto e, dopo aver spalancato gli occhi, si tirò a sedere di scatto. Tra nuove vertigini mani gentili lo sostennero.
«Reparo» mormorò la voce, e le stesse mani gentili lo aiutarono a inforcare gli occhiali.
Ci impiegò qualche secondo per mettere meglio a fuoco e capire dove si trovasse.
Quel posto era pieno di Guaritori – vestiti in modo differente da quelli del San Mungo, con lunghi camici giallo girasole e cuffie dello stesso colore – tutti indaffarati a trattare pazienti impolverati almeno quanto lui.
«Se sente mellio, signor Potter?» domandò la Guaritrice che lo stava aiutando, una ragazza dai capelli rossi ricci e due occhi castano scuro.
Harry si guardò intorno nel panico alla ricerca di un volto noto che non trovò in mezzo alla folla di persone infortunate.
«Hermione! Dov'è Hermione?» domandò, tentando di alzarsi tra qualche tremore. Le mani della Guaritrice lo afferrarono nel tentativo di tenerlo fermo.
«Devo controllare testa, signor Potter!» lo ammonì, ma Harry si divincolò con il cuore a mille.
«Chissenefrega della mia testa! Dov'è Hermione? Hermione Granger, il Viceministro britannico!»
La Guaritrice in camicie giallo sospirò arrendevole, poi indicò una porta oltre la sala gremita di gente.
«Reparto Maternità per bambino, per de là» disse lei.

Harry sussultò, poi a fatica caracollò verso la porta indicata su per le scale. L'ospedale era grande, tutto sui colori del beige e del giallo, i cartelli delle indicazioni scritti solo in italiano. Harry corse per i corridoi alla ricerca del reparto indicato con scarso successo, con il dolore pulsante alla base del cranio e la voglia di vomitare,
Ma, quando finalmente trovò l'area dedicata, tirò un sospiro di sollievo nel vedere Hermione in una stanza illuminata dal tramonto, seduta su un letto pieno di cuscini e con una tazza fumante in mano.
«HARRY! Grazie a Merlino!» urlò, nel vederlo entrare di corsa. Quasi rovesciò la sua bevanda dall'agitazione nell'appoggiarla sul tavolo.
«Hermione!» soffiò lui, prendendole le mani. «Dimmi che stai bene!»
«Sto bene... sto bene...» farfugliò lei, tremante. Aveva un taglio vistoso ricoperto di dittamo sulla fronte, i capelli pieni di fuliggine e gli occhi rossi.
Un dubbio tremendo si instillò nella testa di Harry. «I-il bambino?»
Hermione sospirò. «Ora... sembra stare bene, ma devono tenermi in osservazione qualche giorno, per scongiurare un... un aborto» concluse, affranta.
Harry si passò una mano tra i capelli, agitato. Sapeva che Hermione si sarebbe sentita in colpa da lì all'eternità se fosse successo qualcosa al bambino. Lui e Ron gliel'avevano detto più volte che nelle sue condizioni avrebbe dovuto strapazzarsi il meno possibile in quei primi mesi. Ma chi avrebbe potuto prevedere un risvolto del genere? Certo, loro erano personaggi di spicco, ma i rischi di incappare in un attentato erano oramai nulli, a dodici anni dalla Guerra. Le prese di nuovo la mano e tentò di rassicurarla. Non c'era ragione di sentirsi in colpa.
«Non temere, andrà tutto bene. È un Granger-Weasley del resto!» sorrise per nascondere l'apprensione.
Hermione storse le labbra e alzò le spalle, non troppo rincuorata.
«Harry, tu hai saputo cosa diavolo è successo? Appena è calato il polverone gli Auror ci hanno Smaterializzati tutti qui, tu eri svenuto, non ci hanno detto nulla e sono spariti di nuovo».

Quella era senza dubbio una buona domanda. Non ricordava nulla, solo un forte boato e un'esplosione, polvere ovunque e grida. Senz'altro era stato un attentato. Ce n'erano stati alcuni dopo la Guerra: Harry, Ron e Hermione avevano vissuto sotto scorta per tre anni, ma piano piano i maghi oscuri e fanatici erano stati accerchiati e messi in prigione. Perché mai dopo dodici anni qualcuno avrebbe voluto attaccarli? Con che movente? L'accordo con il Ministero della Magia Italiano era stato raggiunto dopo molte trattative, ma si trattava di uno scambio internazionale pacifista. Forse a qualcuno non era piaciuto il fatto di condividere i segreti delle arti magiche italiane. Ma in quel caso, allora, il destinatario dell'attentato non avrebbe dovuto essere lui, bensì Shacklebolt o Hermione. E se fosse stato un attacco mirato proprio a lei?
Avrebbe dovuto scoprire di più.

«No... appena mi sono svegliato sono corso da te» asserì Harry, destandosi dai propri pensieri. «Adesso vado ad avvertire Ron e fargli creare una Passaporta Internazionale. Non appena sarà qui andrò a indagare su questo fatto».
Hermione lo guardò preoccupata.
«Harry... prima fatti curare da un Guaritore, non hai un bell'aspetto».
E in effetti non aveva tutti i torti, a giudicare da quel dolore alla base del cranio e le costanti vertigini. Prima di fare qualsiasi cosa, forse avrebbe dovuto passare dall'Accettazione. Ma, giusto per non far preoccupare ancor di più Hermione, le elargì un sorriso affabile.
«Lo prendo come un complimento, Viceministro».


 


Ci volle più di mezz'ora per farsi sistemare la testa – e ignorare le raccomandazioni di riposo assoluto per almeno un giorno –, un'altra ora per riuscire a portare le chiappe agitate di Ron in Italia con una Passaporta e ben mezz'ora per spiegare a lui l'accaduto e costringerlo a tornare di un colore decente prima di entrare in stanza di Hermione. Tutta quell'ansia e agitazione non le avrebbero fatto bene.
Dopo essersi assicurato che Ron rispettasse il suo nuovo decalogo per assistere una moglie incinta in ospedale, Harry si precipitò al piano inferiore, ove aveva scorto un gran fermento di Auror.
Tra tutto il vociare in lingua italiana, però, Harry non capì assolutamente niente di quello che stesse accadendo. Finalmente, dopo parecchi minuti di eterno vagare senza risultato, in fondo alla sala dell'Accettazione apparve come un miraggio il capo degli Auror Ambrosia Verbena. Era una donna giovane di media statura, dalla pelle nera e con dei cornrows lunghi e intrecciati fino a metà schiena. Indubbiamente bella, sebbene avesse l'aspetto di chi non sorridesse mai nemmeno con il solletico sotto i piedi.

«Auror Potter, che sollievo saperla in buone condizioni!» lo accolse lei, insieme alla sua scorta personale di altri cinque Auror. Le loro divise erano leggermente diverse da quelle tipiche britanniche, un poco più sfarzose, di un tessuto pregiato verde scuro.
«La ringrazio. Posso essere ragguagliato sulle notizie?»
Lei annuì sull'attenti.
«Il bilancio è di due persone in condizioni gravi ma fuori pericolo, tredici feriti lievi tra i quali lei e il Viceministro Granger. Nessun deceduto. Stiamo cercando di capire il movente dell'attentato, ma non è chiaro. Abbiamo già provveduto a sistemare e obliviare le Guardie Babbane» spiegò Verbena poi, estraendo un sacchetto di lino dalla giacca verde scuro, ci frugò dentro per estrarne un oggetto. «Gli Auror hanno appena finito di supervisionare il luogo dell'attentato. Poco lontano dall'uscita abbiamo trovato questa» spiegò, mostrando finalmente il contenuto del sacchetto.
Harry dovette lottare contro i suoi muscoli facciali per rimanere impassibile. Si avvicinò di più per controllare di aver visto bene. Nonostante il trauma cranico e la miopia sempre più galoppante, era certo di non aver preso alcun abbaglio: una bacchetta di biancospino.

«L'analisi veloce sugli ultimi incantesimi corrisponde alla magia oscura utilizzata per l'attentato e una Bombarda. Se tanto mi da tanto l'attentatore l'ha persa cercando di fuggire, questo significa che è uscito dalle catacombe a piedi senza Smaterializzarsi, ma ci vorranno alcune ore per accedere ai filmati delle telecamere di sicurezza Babbane per scoprire di più e avere un identikit verosimile» terminò di spiegare lei.
Harry chiese il tacito permesso di analizzare la bacchetta e, una volta presa tra le mani, non ebbe alcun dubbio: si trattava della bacchetta che Malfoy gli aveva dato due giorni prima per trasformare il fermacarte. Non la sua, ma quella simile. Dieci pollici, biancospino e crine di unicorno, venature nere sul manico e sul corpo, abbastanza flessibile.
Quella bacchetta due giorni prima si trovava tra le mani di Draco Malfoy. E poche ore prima era stata usata per fare un attentato. Il primo pensiero fu difficile da ingoiare, Harry si costrinse a procedere verso nuove ipotesi. Che qualcuno l'avesse comprata nelle ultime ore? Quali erano le probabilità?
Una cosa era certa: le indagini sarebbero dovute proseguire attraverso una sola pista.

«Sono certo che questa bacchetta provenga dal Fabbricante di Ponte Vecchio. Forse lui saprà dirci a chi appartiene» disse Harry, le parole gli uscirono più gracchiate del previsto a causa di quel nodo alla gola che avrebbe faticato a districare.
Verbena sollevò le sopracciglia in ammirazione. Non tutti riuscivano a comprendere la provenienza delle bacchette a prima vista, servivano persone esperte per le analisi approfondite. Ma lui quella bacchetta l'aveva tenuta tra le mani due giorni prima, era certo di non sbagliarsi.
«Auror Potter, se le sue condizioni di salute lo permettono, sarebbe così gentile da aiutarci con le indagini?» domandò quindi Verbena, pragmatica.
Non era affatto una questione di gentilezza: Harry sarebbe stato disposto a fare fuoco e fiamme per scoprire cosa diamine fosse successo. Era appena stato vittima di un attentato compiuto con una bacchetta dalle origini compromettenti che aveva prodotto Malfoy. Lui doveva scoprire cosa fosse accaduto, senza se e senza ma. Poco importava se fosse in vacanza, poco importava se non fosse nel suo settore di indagine, poco importava se fosse vestito in borghese e impolverato da testa a piedi. Doveva parlare con Malfoy, e doveva farlo subito.
«Certamente. Partiamo anche adesso» azzardò quindi Harry.
Verbena annuì sull'attenti, richiamando poi all'ordine gli altri cinque Auror della squadra attorno a sé.
«Bene» rispose e, secca, impugnò la sua bacchetta per appellare una divisa pulita della taglia di Harry. Se non altro non sarebbe stato in borghese. «Si va a Firenze».


 


Il sole stava tramontando su Ponte Vecchio. L'atmosfera magica e il colore croccante della luce però non gli alleviarono la sensazione di peso sul petto.
Quando suonarono il campanello del negozio, scoprirono che fosse il giorno di chiusura. Dovettero salire gli scalini sul retro e cercarlo direttamente in casa sua – e così Harry scoprì anche dove risiedeva Malfoy.
Quando egli aprì il portoncino blu sul balcone che dava sull'Arno, Harry riuscì anche a intravedere l'interno. Sembrava un posto piccolo ma curato, un appartamentino diroccato appena sopra il negozio. Davvero un Malfoy – abituato alle sontuosità di una tenuta aristocratica del Wiltshire – era riuscito ad adattarsi a un luogo così semplice?
«Ma guarda un po', Potter... alla fine la scorta l'hai portata davvero!» fu la prima cosa che Draco ebbe da dire quando si ritrovò i sette Auror affacciati alla porta di casa. Nonostante la sfacciataggine, il suo volto tradì un'espressione di sorpresa.
«Buonasera, signor Malfoy».
«Buonasera, Auror Verbena» rispose, affabile. «Ho saputo proprio ora l'accaduto dalle notizie in radio. Proprio vero che dove c'è Potter iniziano i guai» continuò, poi puntò gli occhi su Harry e il suo tono divenne immediatamente più pungente «O sei tu che vai a cercarli?»
Harry ignorò l'aspettata provocazione e decise immediatamente di passare alle cose pratiche. Estrasse il sacchetto di lino dal completo e ne svelò il contenuto.
«Malfoy, ci serve sapere a chi è stata venduta questa bacchetta».
Il volto di Draco perse immediatamente l'aria pungente, quella sorpresa e persino quella affabile. E, se possibile, divenne ancor più pallido di quanto non fosse.
«Cos... quella... quella bacchetta non è stata venduta» soffiò, in evidente stato di confusione. Con gesti frenetici afferrò le chiavi del negozio da un gancio oltre la porta e, sorpassando i sette Auror, scese in fretta e furia gli scalini esterni che conducevano al negozio.

Lo seguirono senza fiatare fin dentro l'archivio, osservando i suoi movimenti scattanti, quasi compulsivi. Lo guardarono mettere a soqquadro gli scaffali in lungo e in largo farneticando imprecazioni non consone al linguaggio aristocratico.
«Non ho mai venduto quella bacchetta. Dovrebbe essere qui... ma...» borbottò, ancora fin troppo pallido.
«Qualcuno gliel'ha rubata, signor Malfoy?» intervenne Verbena, con voce calma.
«Improbabile, ma... a questo punto, possibile» soffiò Draco, controllando la serratura del negozio della porta principale e quella sul retro. Nessuna sembrava essere stata aperta, sulle finestre c'era un sottile strato di polvere, un paio di ragnatele e una falena incastrata in una di esse. Nessun segno di essere state scassinate.
«Da quanto pensa che la bacchetta manchi all'archivio?» domandò di nuovo Verbena, mentre gli altri Auror si apprestavano a controllare il perimetro dell'edificio.
«A dire il vero... sono certo che fino all'altro ieri quella bacchetta era qui» rispose sinceramente, poi gli occhi di Draco scattarono su Harry, interrogativi. «Non so come sia finita altrove, sono certo di averla rimessa a posto due giorni fa! Dove l'avete trovata?»
Sembrava profondamente confuso e, se era vero che Malfoy negli ultimi due loro incontri fosse stato parecchio indecifrabile, in quel momento gli studi psicologici di Harry lo portavano a pensare che non stesse fingendo o esasperando una reazione.

«Signor Malfoy, è vero che lei e il signor Potter non siete in buoni rapporti?» domandò però Verbena.
Harry spalancò gli occhi e volse il suo sguardo alla collega, interdetto. E, ovviamente, Malfoy diede voce ai suoi taciti pensieri.
«E questo cosa diavolo c'entra?» sibilò.
Per l'appunto. Perché diavolo Verbena stava ponendo una domanda simile? Stava... stava davvero sospettando che fosse stato Malfoy a compiere l'attentato? Stava procedendo ad un accusa velata senza alcuna prova?
Certo, Harry non poteva affatto nascondere che il primo pensiero vedendo quella bacchetta fosse ricaduto proprio lì, ma... che motivo poteva avere avuto Draco per compiere un attentato nei suoi riguardi o nei riguardi di Hermione? Non aveva alcun senso. Per cosa? Per la loro rivalità scolastica? Sarebbe stato da pazzi da legare. E Malfoy non era un folle. Non era un folle?
«Risponda alla domanda, per favore» lo spronò Verbena, ma Draco parve indignarsi oltre ogni limite.
«Questa è un'informazione privata! Non risponderò a questa domanda!» trasalì, e il suo volto appuntito passò dal pallore lunare a un rosso furibondo.
«Allora devo chiederle di seguirci al Dipartimento Auror, signor Malfoy».

Il respiro di Harry si mozzò all'istante. Era andato lì per indagare, non per portare una persona in un interrogatorio senza alcun mandato. Ma come diavolo funzionavano quelle procedure, in Italia?!
«Mi state accusando di aver attentato alla vita di Potter?» soffiò Draco, incredulo, passandosi una mano tra i capelli che, innaturalmente, rimasero lo stesso in ordine. «Potter, mi stai accusando di volerti uccidere?!» si rivolse poi direttamente a lui, nel panico.
Harry aprì la bocca per negare, ma Verbena lo anticipò.
«Non stiamo accusando di niente. Dobbiamo interrogarla in privata sede per avere qualche informazione utile al caso» spiegò, ma Malfoy sembrò andare completamente nel panico quando due Auror lo affiancarono.
«Potter! Potter, fa' qualcosa!» gridò, adirato.
«Signor Malfoy, ci segua» gli intimò uno degli Auror, cercando di invitarlo a uscire dal negozio senza l'utilizzo della forza.
«Potter!» il suo tono non era più adirato, divenne quasi supplichevole. A Harry vennero i brividi a fior di pelle. Non gli sembrava affatto una persona colpevole, quanto più spaventato a morte di essere portato via così, senza un mandato, con una velata accusa di tentato omicidio.
E come biasimarlo!

Con uno sguardo duro Harry si sostituì all'Auror per accompagnarlo lui stesso fuori.
«Dovrai solo rispondere a delle domande e poi portai tornare a casa» sussurrò. «Vieni. Non opporre resistenza e non peggiorare le cose. Fa' come ti dico» gli intimò.
Malfoy lo guardò esterrefatto, poi strinse i denti e arricciò il volto come per trattenere qualche atroce bestemmia. Deglutì e, con uno sguardo d'odio, lo seguì fuori dalla porta senza bisogno di forzare.
Il tramonto dorato su Ponte Vecchio non servì per alleviare l'angoscia di Harry, né il vociare fuori dalle bancarelle, né il tiepido vento d'estate.


 


In base a ciò che aveva appreso in quei due giorni di tour guidato, la leggenda narrava che Romolo e Remo fossero due fratelli gemelli. Romolo, il gemello Babbano, era stato fondatore e primo Re di Roma, mentre Remo era un Mago e aveva gettato le basi della società Magica e si era rifugiato in essa senza dare più sue notizie. Nelle scritture Babbane, però, era riportato che Romolo avesse ucciso Remo, mentre in realtà era stato Remo stesso ad allontanarsi. Una storia affascinante, come l'aveva definita Hermione.
Affascinante esattamente come il Ministero della Magia italiano, situato nelle sotterranee accessibili dai Fori Imperiali. Era un grande anfiteatro simile a Colosseo in superficie, ma sotto terra. Classica architettura romanica, che richiamava storia e antico splendore. Al centro dell'anfiteatro una statua rappresentante Remo stesso, intento nella fondazione dei primi sacri incantesimi. Si accedeva alle aree del Ministero tramite degli archi simili a varchi a specchio. Il Dipartimento Auror italiano si trovava all'ultimo piano inferiore, all'arco LXXXVII.

Proprio lì Harry aveva dovuto aspettare ben due ore e mezza, fuori da un ufficio murato con rappresentazioni di guerra sui capitelli delle colonne. Dopo la lunga attesa l'Auror Ambrosia Verbena era uscita dal muro con un grande nulla di fatto stampato direttamente in faccia.
Non che Malfoy non fosse stato collaborativo, ma Verbena non aveva comunque cavato fuori un ragno dal buco con così poche prove.
E, proprio per quel motivo, Harry si era domandato perché diamine l'avessero portato lì dentro e perché diavolo non lo stessero rilasciando. Ma, a quanto pareva, Verbena nutriva dei sospetti su di lui, Malfoy non aveva un alibi consistente per provare la sua estraneità ai fatti e quindi aveva scelto di trattenerlo fino alla visione dei filmati di sicurezza Babbani.
Non esattamente il modus operandi che avrebbero utilizzato in Inghilterra, ma quella non era casa sua e non avrebbe potuto questionare i metodi di quel Dipartimento Auror.
Harry, però, aveva insistito per poter parlare con Malfoy prima di lasciare l'edificio per la notte.
E, inutile dirlo, la conversazione si rivelò spiacevole esattamente come il previsto.



Lo trovò seduto a un tavolo rotondo di travertino bianco, con le mani incrociate e l'aspetto stanco e sconvolto. La camicia color menta sbottonata fino a sotto al collo, la manica destra arrotolata fino al gomito, quella sinistra ben allacciata al polso. I capelli, però, godevano sempre di quell'ordine innaturale. Quando Harry gli si si sedette davanti con un sospiro affranto, Malfoy lo fronteggiò con occhi taglienti.
«Potter, vuoi spiegarmi cosa sta succedendo? Perché diamine mi hanno fatto tutte queste domande su di te?!»
«Credo sia la prassi».
«Bella prassi del cazzo».
Harry dovette trattenere un sorriso a quella risposta acida. Un po' perché Malfoy sapeva passare dal linguaggio aulico al dialetto portuale in meno di due secondi, un po' perché anch'egli pensava lo stesso. Non comprendeva la prassi di quel Dipartimento, ma di sicuro avevano le loro ragioni.
Malfoy aveva pur sempre giocato un ruolo particolare nella Guerra, e il suo nome era famoso per essere macchiato dei crimini di suo padre. In Italia sicuramente la cosa era meno sentita a livello popolare, ma al Dipartimento Auror non sfuggivano quei dettagli. Probabilmente Verbena e il suo team avevano scrutato bene la sua fedina penale prima di prendere quella decisione.
Non che avessero tutti i torti nemmeno loro, in effetti. E Harry, ovviamente e come al solito, si trovava in mezzo alle palle di una situazione delicata. Era proprio vero che c'era sempre lui dove iniziavano i guai.

«Dobbiamo aspettare i filmati delle telecamere di sicurezza per scoprire di più. Se tutto va bene ti lasceremo andare in ventiquattro ore» rispose, piatto. E per “se tutto va bene” s'intendeva scoprire chi fosse il pazzo assassino che aveva attentato alla vita sua o di Hermione o di chissà chi altro là sotto.
«E dovrei farmi altre ventiquattrore così?!» esplose Draco, furibondo. «A subire domande su di te, sulla scuola, sul mio passato e cose che...» il suo tono si affievolì e abbassò lo sguardo, poi si aggrappò con la mano al polso sinistro. «Cose che avrei voluto ben dimenticare...»

Harry deglutì, ma un sasso gigantesco gli si era incastrato in gola. Tutti avrebbero voluto dimenticare la Guerra, ma era certo che Draco fosse uno di quelli che più di tutti si vergognava della parte che aveva avuto in essa. Non era stato completamente un cattivo, non era stato completamente un buono. Aveva preso decisioni sbagliate, aveva subito influenze sbagliate e si era trovato tra le braccia di Voldemort, nella sua presa stretta e asfissiante.
Harry aveva provato parecchia pena per lui, non poteva negarlo. Era convinto che se gli fosse stata data una possibilità molto prima, sarebbe andata diversamente. Anche Silente aveva pensato lo stesso.
E invece dopo dodici anni le sue scelte sbagliate pesavano ancora sulle sue spalle, e si ritrovava in fermo preventivo per un crimine che probabilmente non aveva commesso. Harry poteva solo immaginare la sua frustrazione e la sua rabbia.
«Malfoy» sussurrò, quasi in una rassicurazione mal riuscita.
«'Fanculo» sibilò però lui, prendendosi il volto tra le mani. «Lasciami solo».
Harry rispettò il suo desiderio. Non ci sarebbe stato niente che potesse dirgli per rassicurarlo.


 


La notte insonne non fu d'aiuto per rimettere in ordine le idee. Da un lato c'erano Verbena e il suo team con delle buone ragioni, dall'altro c'era Malfoy senza un alibi e una sua bacchetta utilizzata per compiere magia oscura e lasciata in giro. E, con il passare delle ore, Harry si era più volte ritrovato sul pendolo che oscillava tra il dar ragione agli Auror italiani oppure credere all'innocenza dell'indagato numero uno.
Se non altro però, a diciotto ore dall'incidente, le condizioni di Hermione sembravano essere stabili e il bambino in perfetta salute, tanto che lei e Ron avevano iniziato una lunga protesta quando Harry aveva tentato di tener loro nascoste le indagini. Ma, come ai bei tempi andati scolastici, gli era risultato poi impossibile mantenere segreti a quei due.
Si era ritrovato a pranzare con panini alla mortadella nella camera dell'ospedale e raccontare ai suoi amici tutti i suoi dubbi esistenziali su quel caso senza capo né coda. E, naturalmente, il comizio era giunto più veloce di un Ippogrifo imbizzarrito.


Harry, seduto su una sedia accanto alla finestra, ascoltò e osservò il dibattito come se fosse una partita di tennis da tavolo, in silenzio. Per mezz'ora.
«... è pur sempre Malfoy! Da una canaglia del genere ci si può aspettare di tutto» ribadì Ron, ancora con la bocca piena e sputacchiando i pistacchi di mortadella sul letto di Hermione.
«Ma è assurdo! Perché mai Malfoy dovrebbe aver provato a ucciderlo? Io continuo a ritenere più probabile che sia stato un mago oscuro che non era d'accordo con gli accordi internazionali» controbatté Hermione, dopo aver mormorato un incantesimo pulente sulle lenzuola.
Ron divenne improvvisamente pallido. «Non dire così, amore. Non ci posso pensare a questa cosa che qualcuno abbia provato a ucciderti!»
«Beh, Ron, è un rischio che rientra nel mio ruolo» puntualizzò Hermione. La Guerra aveva lasciato a tutti loro questo strano concetto di precarietà della vita.
«Beh, amore, preferisco pensare che Malfoy voglia uccidere Harry. Senza offesa, Harry».
Harry fece spallucce. «Sempre lieto, amico».

Era dalla tenera età di un anno che era abituato al fatto che qualcuno volesse ucciderlo. L'ultima persona che ci aveva provato era stata Ginny, quattro anni prima, durante il loro ultimo litigio. Si era sentita in colpa per almeno un mese, poveretta: la magia involontaria aveva fatto in modo che non gli scaraventasse addosso solo i piatti, ma addirittura l'intera credenza. Una giornata che si era conclusa con un bel viaggio al San Mungo e una richiesta di divorzio. Però si erano lasciati bene.

«In effetti però è strano forte. Cosa diavolo gliene verrebbe a Malfoy di assassinarti ora? Non ha senso» continuò Ron, perplesso.
Harry aprì le braccia. «Certo che non ha senso!»
«C'è qualcosa che non ci hai detto, Harry? Qualcosa di strano che Malfoy ti ha detto a Bellagio, quella sera?» domandò Hermione, sospettosa.
«No!» sputò Harry. «Abbiamo parlato solo di lavoro, null'altro».
Non era una bugia. Solo una piccola omissione del fatto che si fossero visti anche a Firenze, pochi giorni dopo. Aveva omesso ai suoi amici tutto il loro discorso sulle bacchette, l'affinità e tutte quelle cose. Quella era una questione solo tra lui e Malfoy.
Lo era davvero? E se avesse tentato di ucciderlo perché Malfoy era un pazzo fuori testa ossessionato con tutta quella storia?

«Sono dieci anni che faccio questo lavoro, Potter. E ancora non sono riuscito a scoprire un perché diverso da ciò che senz'altro è impossibile».

Harry strinse le labbra e ignorò il nuovo dibattito che verteva sugli stessi cardini. Si perse con la mente al loro incontro e con gli occhi su una piastrella graffiata di quel pavimento anni settanta.
Ripensò al loro incontro, ai gesti ossessivo-compulsivi di Malfoy. Agli scatti di rabbia, alla sua non accettazione che qualcosa potesse non avere senso. Al fatto che avesse basato tutta la sua carriera semplicemente per scoprire perché ci fosse affinità sulle loro bacchette. E se fosse stato davvero ossessionato da lui? Se tutta quella ossessione per l'anima gemella l'avesse fatto uscire di senno?
Malfoy era l'unico indagato.

Si era rifiutato di credere che potesse aver compiuto un gesto del genere, si era rifiutato di vedere tutti gli indizi fino a quel momento. Categoricamente.
Qualcosa nelle viscere gli suggeriva che non fosse possibile; una sensazione, un presentimento che gli diceva che Malfoy fosse innocente. Perché Draco era diverso da suo padre, perché Draco gli aveva salvato la vita durante la Guerra, perché Draco non era una cattiva persona.
Tuttavia stava ragionando come Harry Potter e non come il capo degli Auror. Si stava fidando troppo del proprio istinto e poco dei fatti reali e oggettivi.


E, proprio per quel motivo, quando i filmati delle telecamere di sicurezza giunsero tra le mani degli Auror in tarda serata, per Harry fu come una doccia gelida.
Non si sarebbe mai, mai aspettato di vedere capelli biondo argentati sotto un cappuccio, un naso appuntito, un uomo di alta statura che puntava la bacchetta di biancospino proprio contro di lui.



 
 
Continua...

Riferimenti:
-Lo so che in Italia si è innocenti fino a prova contraria, ma le leggi del Mondo Magico sono sempre un po' diverse, no?
-Mi sembra di ricordare che alcuni Auror possano analizzare gli ultimi incantesimi compiuti da una bacchetta. Ricordo male io? Beh, nel caso, questa me la sono inventata per comodità.

ANGOLO AUTRICE:
Buongiorno gente magica!
Vi avevo promesso mistero e azione, mistero e azione sono finalmente giunti. Perché è proprio vero che dove c'è Potter iniziano i guai, non c'è che dire. Non fa in tempo ad arrivare in un nuovo paese che qualcuno tenta di fargli lo scalpo. Perché oramai è chiaro dai filmati che l'attentatore abbia puntato proprio a lui. 
Chi avrà attentato alla vita di Harry? Sarà proprio Malfoy? Dalle telecamere di sicurezza sembra proprio di sì. Voi che dite? 
Qualcuno ha notato nello scorso capitolo che Draco era mooolto più pazzo del solito, ossessionato. E se fosse proprio l'ossessione il movente?
Ditemi le vostre teorie che mi diverto un casino :D
A mercoledì prossimo! Un abbraccio,
Eevaa



 

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Capitolo 4
*** Veritaserum ***


Disclaimer:
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I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà di J.K.Rowling.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.



- AGRIFOGLIO e BIANCOSPINO -


Capitolo 4
Veritaserum

 
 


«Posso rivederlo?» domandò Harry, a fatica.
Non ricordava quando avesse ingoiato del velcro e gli si fosse incastrato in gola, ma la sensazione era indubbiamente quella.
L'Auror Verbena annuì e premette di nuovo il pulsante di avvio. Il monitor, nonostante le interferenze dettate dall'alta carica magica, mostrò di nuovo il filmato delle telecamere di sicurezza.

Una persona con il cappuccio che entra di soppiatto da un angolo cieco alle telecamere. Una figura alta, slanciata, con dei ciuffi di capelli biondissimi e un naso appuntito.
Harry e Hermione che chiacchierano in una sala delle catacombe. L'individuo che, dopo essersi guardato intorno, punta la bacchetta di biancospino alla schiena di Harry e inizia a formulare incantesimi. Un gran polverone, l'attentatore che scappa e dalla sua tasca perde la bacchetta, se ne rende conto ma sembra capire che è troppo tardi per recuperarla. Corre via velocemente, entra nell'angolo cieco delle telecamere e poi sparisce.

«Dalla qualità delle immagini non si riesce a vedere bene il volto ma, dalla fisionomia, tutti gli elementi corrispondono alla figura del signor Malfoy» spiegò Verbena. «Abbiamo provveduto già ieri ad analizzare la sua bacchetta personale durante il primo interrogatorio. Tra gli ultimi incantesimi, oltre a un Gratta e Netta, anche un paio di Smaterializzazioni. Ipotizziamo che abbia utilizzato le Smaterializzazioni per allontanarsi dal luogo del misfatto e il Gratta e Netta per pulire i vestiti dalla polvere – mentre lui ha dichiarato di aver pulito le scarpe dopo una passeggiata ed essersi Smaterializzato due volte per farsi un giro nel suo giorno libero. Il negozio del Fabbricante era chiuso e non è entrato in contatto con nessuno che possa fornire lui un alibi».
Harry si tolse gli occhiali con un gesto secco e si massaggiò la narice del naso, esterrefatto. Non poteva crederci. Draco Malfoy aveva davvero tentato di ucciderlo? Non era possibile, non era logico. Non riusciva a crederlo.
«Dove si trova adesso?» mormorò, con un gran mal di testa galoppante alla base del cranio.
«Rimane il principale indiziato, pertanto abbiamo proceduto con il fermo preventivo e lo spostamento nelle prigioni del Dipartimento in attesa di un processo. Non ha voluto un avvocato, ha fatto solo la richiesta del Veritaserum, ma ci vorranno ancora un paio di giorni per attuare il protocollo» illustrò Verbena, seguendolo con gli occhi mentre si alzava. «Dove sta andando, signor Potter?»
«A parlare con lui» sbottò Harry, furioso.
«Ha bisogno della scorta?»
«No» concluse, lapidario.
Aveva bisogno di affrontare faccia a faccia quel figlio di puttana.

 
 

Il varco dall'anfiteatro del Ministero diretto alle prigioni portava a un luogo tanto inquietante quanto umido. C'era muffa sulle pareti, sbarre grigio-arrugginite, sabbia appiccicosa al terreno. Sembrava di stare nelle segrete tanto amate da Gazza nel castello di Hogwarts, solo più sabbiose e piene di blatte. Non un bel posto dove sostare in fermo, insomma. Ma Harry decise volutamente di ignorare le condizioni igienico sanitarie del luogo e fiondarsi direttamente a mani aperte contro le sbarre, infischiandosene della ruggine che avrebbe potuto provocargli qualche malattia Babbana.
Malfoy, sdraiato su una lastra di roccia umida con un braccio sopra gli occhi, sussultò al rumore.
«Hai tentato di uccidermi?» ruggì Harry, aggrappandosi alle sbarre. Poco professionale, ma del resto lui stava solo dando una mano con le indagini, non era a capo del caso. Avrebbe potuto non attenersi alla formalità degli Auror.
Malfoy si mise prima seduto con pericolosa pacatezza, poi si alzò per raggiungere le sbarre. «Intendi oltre alla volta che ti ho disarcionato dalla scopa? No».
«Sii serio» sibilò Harry. La pacatezza di Draco andò a farsi benedire e, con un gesto secco, sbatté anch'egli le mani sulle sbarre. Harry si costrinse a non sobbalzare e rimase impassibile.
«No, tu sii serio e spiegami che cazzo ti fa pensare che io abbia voluto ucciderti!» sbraitò Malfoy, con il volto tra le sbarre a pochi centimetri da suo. Profumava di menta. Com'era possibile che profumasse di menta dopo più ventiquattro ore chiuso in una cella?!
«Forse perché hai basato la tua professione su una fottuta ossessione per una cazzata senza senso?» Harry gli soffiò in faccia senza indietreggiare.
Draco aprì la bocca, allibito, oltraggiato.
«Curiosità. Non ossessione» puntualizzò. «E ancora non ho capito perché questo potrebbe essere un buon movente per ucciderti».
In effetti aveva poco senso, ma questo valeva per una persona sana di mente. Chi poteva garantirgli che Malfoy non fosse un pazzo?
«Questo dovresti spiegarmelo tu» lo provocò Harry.
Draco ringhiò di esasperazione. «Senti, Potter. Io voglio solo uscire da questo cesso di posto e non rivedere più la tua faccia per il resto dei miei giorni».
«E allora collabora e forniscimi un alibi decente, perché non ne hai».

Il volto di Malfoy si arricciò di rabbia e, dopo aver dato un nuovo strattone alle sbarre, si allontanò e gli diede le spalle. Rimase in silenzio per qualche minuto nella penombra di quella lanterna piena di ragnatele, falene e insetti non meglio identificabili, poi parlò flebilmente.
«Ci sono voluti dodici anni per riscattare il mio nome e costruirmi una carriera, in un posto dove nessuno potesse giudicarmi. È vero che ho iniziato questo lavoro per trovare delle risposte, ma non ne ho fatto una malattia, tuttalpiù che sono stato nel mio brodo molto felicemente per tutto questo tempo. Quando sei arrivato in Italia ho solo preso la palla al balzo per degli esperimenti. Tutto qua» spiegò esausto, pacato, poi si voltò e i suoi occhi si fecero di nuovo due dardi velenosi. «E invece tu sei arrivato qui per incastrarmi e rovinarmi la vita, vero? Se era questo il tuo obiettivo allora potevi lasciarmi crepare nell'Ardemonio» sibilò.
Harry trasalì. Voleva fargli pena? Gli stava riuscendo anche fin troppo bene, data la sensazione amara che gli salì fino in bocca. Ma lui era un Auror, non poteva farsi smuovere dal mero vittimismo ben riuscito e dall'istinto che senza un perché gli suggeriva che fosse innocente.
«Ehi, sono io qui quello che ha rischiato di morire due giorni fa, non tu! E non solo io, c'erano altre tredici persone, lì, e una donna incinta che ha rischiato di perdere il bambino. Qui qualcuno mi vuole morto e devo scoprire chi diavolo è. E per il momento il principale indiziato sei tu. Non hai un alibi, la fisionomia del tizio delle telecamere è simile alla tua, e c'era quella fottuta bacchetta del tuo negozio sul luogo del delitto» elencò Harry, sulla punta delle dita. «Cosa diavolo dovrei pensare?!»
Malfoy si avvicinò di nuovo, pericolosamente. «Ascolta, Potter, non ho tempo per i tuoi giochetti di indagine. Dammi il Veritaserum e facciamola finita».
«Ci vuole un protocollo».
«'FANCULO AL PROTOCOLLO!» urlò, strattonando le sbarre. «E 'fanculo a te, Potter, impara a fare il tuo lavoro! Non sono io qui che ti voglio morto, o altrimenti lo avrei fatto in modo più discreto, e non sarei stato così idiota da sbandierare in pubblica piazza la mia faccia e una delle mie bacchette» disse.

Harry strinse i denti. Aveva fin troppo senso quello che stava dicendo. Malfoy era stato stronzo e subdolo in passato, ma non era mai stato stupido. E il fatto che fosse il più giovane fabbrica-bacchette del continente ne era una dimostrazione. Per quale motivo avrebbe dovuto rinunciare a una carriera e una vita tranquilla per uccidere un vecchio rivale scolastico solo perché non capiva che affinità ci fosse tra loro?
Draco continuò. «Qualcuno ha voluto usare la mia immagine solo perché eravamo rivali scolastici e voleva passare inosservato. Ti conviene guardarti bene le spalle perché, mentre vi fate le seghe sui vostri protocolli, quello che non ci è riuscito la prima volta potrebbe riprovare a farti fuori» concluse e, con un gesto di sdegno, torno a sdraiarsi sulla panca umida a lato della stanza. Silenzioso, stanco, fin troppo dalla parte della ragione a parole per non essere considerato.
Harry deglutì e inspirò a fondo l'odore di raffermo delle segrete. Poi, più confuso di com'era arrivato, se ne andò.


 


La richiesta di attuazione del Veritaserum prevedeva due giorni di scartoffie e inutile burocrazia. Era una pozione troppo rara per essere sprecata per casi minori ma, indubbiamente, quello non sarebbe stato uno spreco.
La mattina successiva i i giornali e le radio internazionali erano in pieno fermento.


Attentato alla Necropoli Vaticana ai danni dell'Eroe del Mondo Magico! Primo indagato un vecchio rivale scolastico.”

Draco Malfoy di nuovo in favore delle tenebre?”

Tentato omicidio Potter: Draco Malfoy, ex Mangiamorte, in fermo preventivo in attesa di processo.”

Harry Potter ancora una volta in mezzo ai guai. Tutti gli indizi portano al suo acerrimo nemico d'infanzia.”



La confusione di Harry era altalenante. Se da un lato c'era la piccola probabilità che Draco fosse un pazzo psicopatico, dall'altra il suo istinto gli suggeriva l'esatto opposto. E, proprio per quel motivo, scelse di battere in ritirata al Fate Bene Stregoni di Roma per esporre i dubbi ai suoi amici. Se tanto gli dava tanto, tenere loro dei segreti non aveva mai portato niente di buono. Tanto valeva svuotare il sacco completamente, sorbirsi una bella ramanzina da parte di Hermione e delle grassissime risate di Ron e liberarsi di quel peso.
«Tu e Malfoy anime gemelle. HUAHAHAH!»
«Sì, Ron, è la quindicesima volta che lo puntualizzi» s'indispettì Harry, dopo l'ennesima interruzione del briefing. «Possiamo tornare all'argomento principale?»
Ron si asciugò con la manica una lacrima all'angolo dell'occhio. «Ok. Scusa, amico. Dicevamo?»
Hermione scosse la testa divertita, poi prese in mano la pergamena degli appunti e la lesse ad alta voce.
«Prove contro Malfoy: un filmato rappresentante una figura simile a lui, la bacchetta del suo negozio sul luogo del delitto, nessun alibi, la rivalità scolastica, l'inconsistente eventualità che sia pazzo o ossessionato per l'affinità delle vostre bacchette».
«Che detto così...»
«RONALD!» urlarono all'unisono Harry e Hermione.
«Scusate, scusate» alzò le mani Ron, ilare.
Harry alzò gli occhi al cielo. Chissà per quanto tempo sarebbe andata avanti quella storia! Come biasimarlo, però: era a tutti gli effetti qualcosa di assurdo e improbabile.
Ma non così impossibile, gli suggerì una sinapsi ubriaca della mente.

Per fortuna Hermione continuò la lettura prima che altri dubbi alimentassero la sua ansia.
«Prove a favore dell'innocenza di Malfoy: un movente poco solido per uccidere una persona, il fatto che abbia chiesto il Veritaserum – andiamo, chi mai da colpevole insisterebbe tanto per un Veritaserum? - e la totale insensatezza della dinamica dell'attentato. È stato tutto troppo semplice, troppo ovvio! È proprio da stupidi lasciarsi sfuggire la bacchetta del delitto e lasciare intravedere caratteristiche del volto».
Ron annuì concorde. «Sì, lo credo anche io. Troppo, troppo ovvio e stupido persino per un bastardo bullo come Malfoy».
«Puoi mettere da parte le rivalità scolastiche?» lo rimproverò Hermione. «Oramai è un adulto, non possiamo parlare come se fosse ancora il Malfoy adolescente».
«Beh, è proprio a causa di queste rivalità scolastiche che gli Auror pensano sia stato lui» puntualizzò Ron. «Anche se mi pare davvero un movente poco solido per farti fuori, Harry».
Hermione e Harry annuirono concordi.
«Andiamo! Se avesse voluto ammazzarti l'avrebbe fatto prima, l'avrebbe fatto in privato» sbottò Hermione. «A me tutto questo attentato sembra una messinscena bella e buona. Qualcuno qui ha approfittato della vostra rivalità scolastica per trovare il perfetto capro espiatorio in Malfoy e agire indisturbato. Potrebbe avere usato la Polisucco».

Tutto ciò avrebbe dovuto spaventare Harry, e invece in qualche modo lo stava rassicurando. Forse era masochismo, ma preferiva pensare che ci fosse qualche pazzo in giro che volesse ucciderlo piuttosto che fosse stato Malfoy. Ed era anche piuttosto sollevato del fatto che l'attentato non fosse rivolto a Hermione, e che quindi il movente non fosse l'accordo internazionale. Dopo dodici anni di trattative, sarebbe stato un vero smacco.
«Solo che non riesco proprio a capire chi potrebbe volermi morto» mormorò Harry, confuso.
Hermione sospirò. «L'Italia è risaputo che sia piena di maghi oscuri e persino qualche fanatico di Voldemort. Malfoy non aveva tutti i torti quando ha detto di guardarti le spalle: ci vorrà ancora un giorno e mezzo per avere l'accesso al Veritaserum. In questo lasso di tempo l'assassino potrebbe sfruttare della guardia abbassata perché l'indiziato numero uno è in cella per tentare di nuovo di ammazzarti» ipotizzò lei.
Un denso silenzio calò nella stanza. Sembrava di essere tornati improvvisamente ai tempi della scuola o dei primi anni di specializzazione, quando il rischio di morte era incredibilmente alto per tutti, ma per Harry sempre un poco di più.
Ron scrollò le spalle. «O magari Malfoy è semplicemente un pazzo assassino omofobo che non accetta di avere la bacchetta affine alla tua. Oppure sentite qua: magari ha una doppia personalità! Tipo che è stato davvero lui in preda a un raptus e non se lo ricorda. La mia prozia Tessie ne soffriva! Ha tentato di strangolare zio Joe una sera, e un'ora dopo gli ha preparato una torta come se nulla fosse accaduto» ridacchiò, nel maldestro tentativo di stemperare la tensione. Harry e Hermione strinsero gli occhi. «Che c'è?! La follia è comunque una pista da non escludere!» squittì infine Ron, innocente.

Certo, era sicuramente una pista da non escludere, ma Harry aveva saggiamente deciso di escluderla a priori dalle indagini degli Auror italiani. A giudicare dalla fermezza e il pregiudizio di Verbena nei confronti di Malfoy, forse non era il caso di aggiungere altra carne al fuoco. Nel caso il Veritaserum non avesse funzionato a dovere o avesse dato risposte dubbie, ci avrebbe pensato Harry stesso a far fare a Malfoy una perizia psichiatrica.
Sperò con tutto il cuore che non ce ne fosse alcun bisogno, naturalmente. Harry sospirò, ricurvo sulla sedia a mani incrociate, poi si alzò in fretta e furia. «L'istinto mi dice che è innocente» concluse. Era il momento di esporre i suoi dubbi sul capo d'accusa agli Auror.
Hermione lo richiamò prima che potesse uscire dalla porta.
«Harry, 'sta attento la fuori».
Oh, vero. Stava giusto un poco sottovalutando quell'ennesimo rischio di morte.


 


L'Auror Verbena era una donna che sapeva sicuramente il fatto suo. Molto professionale, seria, ma anche parecchio intransigente. Spiegarle la logica delle sue ipotesi sulla messinscena dell'assassino - e i suoi dubbi che Malfoy fosse tanto stupido da lasciarsi sfuggire bacchette in quel modo – non era bastato per portare la custodia cautelare a un livello più basso. Fino al Veritaserum non avrebbe abbassato la guardia su di lui. Ma c'era un problema: l'approvazione del Veritaserum era slittata di altri cinque giorni.
Verbena non era nemmeno una sprovveduta: aveva proposto a Harry una scorta ma egli, essendo molto più sprovveduto di lei, aveva rifiutato. Non gli sembrava il caso di occupare degli Auror per stargli alle calcagna, tuttalpiù che stava sempre in giro nei pressi del Ministero o al massimo all'ospedale, dove già la presenza degli Auror era alta ed erano tutti allertati.

Harry aveva smesso di fumare assiduamente quattro anni prima, ma ogni tanto si concedeva il lusso di districare i propri dubbi e i propri nervi. E, in quei giorni, i suoi nervi erano più annodati dei suoi capelli.
Spense la sigaretta sull'asfalto e la gettò in un contenitore apposito, poi si perse con lo sguardo sui pini marittimi illuminati dal tramonto, l'odore di resina, il traffico romano in lontananza, famiglie che si guardavano intorno alla scoperta dei Fori Imperiali. Roma era magica, era viva.
Harry sospirò al pensiero che lì sotto, da qualche parte, ci fosse un luogo che puzzava di morte e una persona forse innocente dietro le sbarre, ma colpevole fino a prova contraria. Il Veritaserum sarebbe arrivato in cinque giorni, se tutto fosse andato bene. Non era detto, non era certo. Avrebbe anche potuto volerci di più; fino ad allora Draco Malfoy sarebbe stato incriminato su tutte le testate giornalistiche, affondato insieme agli affari del suo negozio, tenuto in una cella ammuffita e trattato un'altra volta come un criminale.
Era passato dalla sua cella un'ora prima, ma Draco si era rifiutato di parlare. Era rimasto immobile, in silenzio, sdraiato sulla panca. Gli Auror di guardia avevano riferito che si sarebbe rifiutato di mangiare fino a che non fosse andato fuori di lì.
Harry avrebbe dovuto trovare il modo di convincerlo ma, dopo un'ora passata a fumare sigarette una dopo l'altra, non aveva ancora trovato il coraggio di parlarci e una buona motivazione per indurlo a mangiare.

Il rumore di tacchi gli fece rizzare le orecchie e, appena vicino all'ingresso segreto del Ministero della Magia, apparve una donna con un abito leggero di seta grigio scura. Labbra laccate di rosso, capelli chiari raccolti in un uno chignon basso elegante. Impossibile non riconoscerla.
«Signora Malfoy!» la salutò Harry, stupidamente sorpreso di vederla lì.
Lei si avvicino a passi svelti, con il consueto portamento formale e lo stesso naso arricciato all'insù di suo figlio. Dalle testate scandalistiche degli ultimi giorni aveva appreso che si fosse rifugiata in Provenza da lontani parenti.
«Harry Potter. Ci rivediamo, dopo tutti questi anni». Il suo tono di voce vellutato non era cambiato, sebbene il tempo sembrava essere stato meno clemente con il suo bel viso.
«Avrei preferito rivederla in un altro contesto» ammise Harry, dispiaciuto.
Il volto di Narcissa si arricciò d'indignazione.
«Lei crede... crede davvero che Draco abbia tentato di ucciderla?» domandò, con un filo di voce.
Harry strinse i pugni. No, non lo credeva, ma non avrebbe potuto esporsi così tanto, anche se non era lui a capo di quel caso.
«Non vedo il motivo per il quale potrebbe averlo fatto» si limitò quindi a rispondere. «Ma il solo modo per avere la certezza della sua innocenza è il Veritaserum».
Narcissa, che fino a quel momento si era riservata di stare a distanza, mosse dei passi lenti verso di lui. Se la ritrovò vicina, a poche spanne, con il volto contratto e sollevato verso il suo.
«Potter. Mio figlio non è un assassino. Tu lo conosci» soffiò, disperata a tal punto di scordarsi della formalità. Il cuore di Harry sembrò rimbalzargli fino alle tonsille. Sussultò, ma si impose di rimanere fermo, non allontanarsi, non scomporsi. Intento ucciso dalle parole successive di Narcissa. «Lui non è come suo padre, non merita di stare in cella. E tu lo sai bene, non è vero?»

Harry tremò. Draco non era come Lucius, e di quello ne aveva avuto la certezza più di dodici anni prima. Harry lo conosceva, ma solo in quel momento capì quanto per Draco fosse un trauma finire nelle stesse condizioni di suo padre. Il terrore nei suoi occhi al momento del fermo, la decisione di non mangiare. Era tutto molto più chiaro.
Draco non avrebbe mai fatto nulla per finire come suo padre. Per anni aveva tentato di redimersi, rifugiarsi in un posto sicuro e lontano dall'Inghilterra, aveva tentato di essere migliore. Non avrebbe mai buttato via la sua libertà per compiere efferatezze senza logica.
«... s-sì» balbettò Harry, intimidito.
Narcissa si avvicinò di più. Non era minacciosa, solo profondamente disperata. «Allora fa' qualcosa per aiutarlo a uscire da questo posto in fretta, o si lascerà morire». E, detto questo, gli diede le spalle e si allontanò alle luci del tramonto, lasciando dietro di sé solo un inebriante profumo di lavanda.


Harry, con il cuore in gola, si lasciò cadere su una panchina in ferro verde e si accese un'altra sigaretta con scatti nervosi. Era dai tempi del divorzio che non fumava così tanto. Ron e Hermione avevano dovuto incendiargli tutti i pacchetti di sigarette che comprava per convincerlo a smettere.
Sarebbe riuscito a smettere di nuovo. Aveva solo bisogno che quella storia terminasse, che tutto tornasse come prima, che Malfoy uscisse da quella dannata cella e che dimostrasse la sua innocenza.
Cosa avrebbe potuto fare, a riguardo? Andare in Olanda a rubarne le scorte dai Pozionisti più famosi? Minacciare Cristalli di denunciare la burocrazia Italiana troppo lenta? O semplicemente convincere Draco a resistere, mangiare e rassicurarlo sul fatto che sarebbe andato tutto bene?
Che poi... aveva la certezza che sarebbe andato tutto bene?
Harry inspirò un altro tiro troppo concitato di sigaretta e iniziò a tossire fumo persino dal naso. Lo scacciò con un mano, e insieme a esso scacciò anche quella fastidiosa falena che continuava a volargli intorno.
Harry corrucciò lo sguardo. Una falena? Di giorno? Le falene erano animali notturni. Stavano al buio, o attorno ai lampioni. Qualcosa non quadrava.
In quegli ultimi due giorni Harry le aveva viste spesso. Non ricordava dove, ma le aveva viste.
Alzò di nuovo lo sguardo, la falena era ancora lì ma, non appena questa si accorse di essere osservata, volò via velocemente.
Harry si alzò di scatto, con il cuore in gola e una nuova certezza: qualcuno lo stava spiando.




 
Continua...

Riferimenti:
-Il fatto che la pozione Veritaserum sia estremamente rara non so se sia canonico, ma mi viene da pensare che il suo utilizzo sia un po' come la macchina della verità utilizzata su alcuni prigionieri in America. Non si può usare così facilmente. Per questo la mia decisione di inserire un protocollo per somministrarla, esattamente come avevo già "inventato" nella mia primissima Drarry "Come una fenice". 

ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno, bellezze! 
A quanto pare Draco è davvero l'indiziato numero uno per gli Auror italiani, ma sarà la pozione Veritaserum a verificarne l'innocenza. Perché, Beh, si può dire che i sospetti di Harry su Malfoy si siano affievoliti del tutto - e anche quelli di Hermione e quel coglionazzo di Ron, che non perde tempo a prendere in giro Harry xD
Ora la domande sono: chi vuole morto Harry? Riuscirà Harry a scovarlo e acciuffarlo così da dimostrare prima l'innocenza di Draco?

Una cosa è certa: chiunque esso/a sia, è estremamente furbo/a: ha utilizzato la rivalità scolastica con Malfoy per farlo finire in cella al posto suo. E ora qualcuno sta seguendo Harry ed è pronto a fargli lo scalpo. Forse avrebbe dovuto accettare la scorta proposta da Verbena. 
Continuate a elencarmi le vostre teorie a riguardo, sono curiosissima! :3 Quelle di settimana scorsa erano tutte molto interessanti. 
Grazie come sempre a tutti per il vostro sostegno!
Eevaa



 

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Capitolo 5
*** La falena ***


Disclaimer:
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I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà di J.K.Rowling.
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Nessun copyright si intende violato.

Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.



- AGRIFOGLIO e BIANCOSPINO -


Capitolo 5
La falena


Corse per tutto il viale dei Fori Imperiali nel tentativo di rincorrere la falena. Non avrebbe potuto compiere incantesimi, non nel bel mezzo di una folla di turisti Babbani. Si limitò a correre, correre e correre fino a che non la vide sparire tra i rami alti di un pino marittimo.
Harry, con il fiatone, imprecò rivolto ai quattro fondatori e supplicò divinità Babbane a caso di farlo smettere di fumare, o presto non sarebbe riuscito più a inseguire nemmeno una tartaruga.
Fece una sorsata d'acqua da una fontana lì accanto e si sciacquò il volto, comunque guardingo. Qualcuno lo stava spiando. Aveva ragione di credere che qualcuno lo stesse anche seguendo e non avrebbe dovuto allontanarsi troppo da luoghi protetti quindi, veloce com'era arrivato, corse di nuovo lungo tutto il viale a ritroso per ritornare all'ingresso del Ministero.
Indeciso se fumarsi un'altra sigaretta o gettare il pacchetto nel cestino, si squadrò intorno e rizzò le orecchie a ogni battito d'ali di farfalla o moscerino. Quando si rese conto di essere diventato troppo paranoico si addentrò al Ministero e decise che per prima cosa avrebbe fatto quello che stava rimandando oramai da ore. Avrebbe pensato più tardi a tutto il resto.

Sudato e con il respiro affannoso corse fino al Dipartimento Auror, poi si addentrò nel cunicolo che conduceva alle celle.
«Malfoy».
Draco, sdraiato ancora sulla panca, non diede alcun cenno di vita.
«Malfoy, rispondi!» urlò.
«Levati dalle palle».
Se non altro non era morto.
«Malfoy... non sei stato tu. Non penso sia stato tu» soffiò, esasperato.
La carcassa di Draco si tolse il braccio dal volto e, molto lentamente, si alzò a sedere sulla panca.
I suoi occhi grigi erano contornati da occhiaie bluastre e, a gran sorpresa di Harry, finalmente i capelli erano spettinati.
«Buongiorno, Potter. Vuoi dirmi qualcosa che non so, adesso?» sibilò, cinico. Sembrava stanco oltre l'inverosimile, oltre che frustrato. Nonostante tutto la sua bellezza non era stata scalfita da tutta quella merda che gli stavano scaraventando addosso.
Harry si staccò dalle sbarre della cella e iniziò a spiare negli angoli, a percorrere il perimetro, il pavimento, a studiare le candele alle pareti, i muri in penombra.
«Sto tentando di scoprire qualcosa» disse quindi.
Draco si alzò dalla panchina e incrociò le braccia al petto. «Perché ti guardi intorno come un pazzo maniaco?»
«Vieni» sussurrò Harry, invitandolo ad avvicinarsi.
Draco mosse passi riluttanti fino a trovarsi proprio davanti a lui. Annusò l'aria e storse il naso. «E perché puzzi come un vecchio tabagista?»
«Shhht, avvicinati» lo ammonì Harry e, afferrandolo per il colletto della camicia, lo tirò fin contro le sbarre e ignorò le sue proteste. «Se vedi una falena... stai attento a ciò che dici» gli sussurrò all'orecchio. Quel bastardo profumava ancora, nonostante tutto.
Draco sembrò rabbrividire, poi storse il capo per fissarlo dritto negli occhi con espressione confusa. Aveva una macchia azzurra in uno dei due occhi grigi. E sul naso aveva cinque piccole lentiggini. Harry lo conosceva da così tanti anni e non se ne era mai accorto. Forse perché non l'aveva mai guardato da così tanto vicino, nonostante ci fossero sbarre arrugginite a separarli.

«Ti sei fumato anche il cervello?» domandò infine Malfoy.
«Sono serio. Stai attento alle falene».
Draco arricciò le labbra in un sorriso sprezzante. «Di falene ne vedo a bizzeffe da una settimana. Dev'esserci qualche crisalide di merda vicino al mio negozio».
Harry sussultò. Dannazione, allora era proprio vero che qualcuno lo stava spiando! E aveva anche spiato Malfoy per ottenere informazioni su di lui.
Ecco perché la bacchetta di Biancospino! Quel maledetto assassino aveva assistito alla loro conversazione al negozio, aveva utilizzato proprio quella bacchetta per far sì che Harry sospettasse di Draco.
Avrebbe dovuto avvisare tutti di quella storia delle falene, e al più presto. Prima tutti gli Auror italiani, poi Ron e Hermione.
Harry si soffermò ancora per qualche istante sul volto di Draco prima di realizzare che i suoi propositi andavano realizzati quanto prima. Subito. Senza alcun tempo da perdere a osservare graziose lentiggini.
«Se ci sono falene, non dire nulla su di me. Ok?» mormorò, a un palmo di distanza da lui. «Non sono mai stato qui».
Malfoy ghignò e arricciò il naso, divertito. «Hah... quello pazzo sei tu, e quello rinchiuso qua dentro sono io».
Harry ghignò di rimando e si allontanò a passi svelti. E dire che fino a una manciata di ore prima aveva fatto congetture sulla possibile follia, ossessione o addirittura disturbo bipolare di Malfoy.
Invece, con tutta probabilità, c'era qualcuno di molto pericoloso ancora a piede libero che stava cercando di fargli lo scalpo.

Ma, prima di lasciare le segrete, Harry si ricordò della conversazione con Narcissa.
«Ah... Malfoy» lo chiamò.
«Che altro c'è?»
Harry lo guardò e si fermò qualche secondo per trovare le parole giuste. Non ci sarebbero stati mezzi termini, né modo corretto per dirlo. Ma avrebbe dovuto farlo, perché forse era l'unico modo per alleviare le sue sofferenze.
«Non sei come tuo padre».
La bocca di Draco si aprì leggermente di stupore. Poi, impercettibile, si piegò in una curva di vera gratitudine. Sollievo.




Era passata un'altra notte, e di falene non ne aveva più viste. O meglio: di falene compromettenti. Harry ne aveva spiaccicate alcune contro il muro in preda a un attacco di paranoia, fino a quando si era reso conto che fossero niente più che povere farfalline senza intenti malefici.
Aveva allertato Verbena e gli altri Auror eppure, nonostante ciò, non si erano sentiti abbastanza sicuri di liberare Malfoy prima della somministrazione del Veritaserum. Oramai era indubbio: l'avrebbero lasciato andare in anticipo solo con prove schiaccianti a sfavore di qualcun altro.
E, dopo una nottata insonne, Harry ne era uscito con in mano solo un pugno di mosche. E un mucchietto di altri insetti sul pavimento della sua stanza nell'area universitaria dell'ospedale.
Aveva rifiutato categoricamente di alloggiare in albergo a cinque stelle presidiato dagli Auror, solo per stare più vicino a Ron e Hermione. E per non sentirsi troppo in colpa a dormire tra soffici cuscini pregiati mentre Malfoy se ne stava sdraiato su un pezzo di marmo in una cella pulciosa.
Da quando aveva avuto la quasi totale certezza che fosse innocente, la priorità di Harry era diventata tirarlo fuori di lì. Ancora prima di scoprire chi e perché avesse tentato di ucciderlo in un attentato.
Una vera fortuna - per la sua incolumità e il suo scarso istinto di sopravvivenza alla Grifondoro - che le ricerche coincidessero e avrebbero portato allo stesso risultato. Due piccioni con una fava.
Così, con la triste consapevolezza che in quei giorni ci sarebbe stato un genocidio di povere e innocenti falene, aveva spiegato a Ron e Hermione i suoi dubbi e perplessità. Sempre alla faccia del segreto professionale degli Auror.

Ma, come spesso era accaduto anche in passato, la conversazione con i suoi migliori amici si rivelò ben più proficua di un briefing con personale qualificato.
«Dice solo: nell'immediato dopoguerra sono stati molti i seguaci del Signore Oscuro a migrare in Italia, dove sapevano ci fosse una giurisdizione segreta riguardo alla magia. Alcuni sono stati catturati mentre altri, aiutati dalle associazioni mafiose Babbane, sono riusciti a nascondersi sulle isole o in paesini sperduti della penisola». Hermione lesse ad alta voce quel trafiletto preso da un libro risalente a una decina di anni prima, poi lo appoggiò alla pila degli altri tomi che aveva fatto recuperare a Ron e Harry nella biblioteca universitaria. Nemmeno nelle sue condizioni aveva rinunciato ad appropriarsi di cultura scritta. Anche perché, per fortuna, le condizioni del bambino continuavano a essere stabili e, se tutto fosse andato per il meglio, da lì a un paio di giorni l'avrebbero dimessa.
«Beh, mi sembra più che sufficiente per capire che questo posto pulluli di brutti ceffi. Non mi risulta difficile credere che qualcuno voglia farmi fuori» constatò Harry, calmo. Era una vita che qualcuno cercava di farlo fuori, non era una novità.
Ron si lasciò cadere sulla poltroncina di fianco al letto, affranto. «Il fatto è che se veramente i maghi oscuri si sono alleati con i mafiosi o i camorristi Babbani, allora siamo in difficoltà: non si tratterebbe di scovare un pazzo assassino, ma un'intera associazione composta da chissà quanta gente».
Harry corrucciò lo sguardo. In effetti quello sarebbe stato un grosso problema. Ma davvero, se l'obiettivo di qualche associazione magico-mafiosa era farlo fuori, avrebbero aspettato il quinto giorno di viaggio in Italia? Ma, soprattutto...
«Se così fosse non trovate un po' strano che abbiano puntato a pararsi le chiappe facendo sbattere in cella Malfoy?»
Ron lo guardò e, dopo qualche secondo di riflessione, fece spallucce. «Mh... effettivamente».
«Già, se si trattasse davvero di un associazione non si sarebbero fatti troppe remore. L'avrebbero fatto passare come un regolamento di conti, o addirittura avrebbero rivendicato l'attentato» disse Hermione.
«Vero. Quindi dobbiamo dedurre che si tratti solo di una persona o due» ponderò Ron. «O al massimo un piccolo gruppo».

Il macinare dei loro pensieri era scandito dai carrelli del pranzo trasportati dai Guaritori, nei corridoi.
«Hai avuto la sensazione che qualcuno ti seguisse, da quando siamo arrivati in Italia?» domandò Hermione, dopo un lungo momento di riflessione.
«Te l'ho detto: non ho avuto alcun sospetto fino all'attentato» ribadì Harry. «A parte che ho iniziato a vedere falene in posti strani».
Hermione si strinse nelle spalle, dal suo volto era chiaro che volesse dire qualcosa del quale avrebbe potuto pentirsene. E, infatti... «Tu sei assolutamente certo di tutta questa storia delle falene? Non è che... è una tua sensazione e basta?»
«Sì, come lo erano le voci che sentivo nei corridoi al secondo anno» sbottò Harry. Hermione e Ron arrossirono a mo' di scusa. Come dimenticare tutta la storia del Basilisco, per la quale era stato abbondantemente preso per pazzo. «E poi anche Malfoy dice di vederle da un bel po', queste falene» aggiunse infine, per non rigirare troppo il coltello su piaghe oramai rimarginate.
«Anche lui?!»
Harry annuì, svogliato. «Sì, da qualche giorno, mi pare abbia detto. Una settimana... aspetta un attimo...» si interruppe e corrugò le sopracciglia.
Draco aveva detto “forse c'è qualche crisalide di merda vicino al mio negozio”.
Dopo parecchi secondi di silenzio, Hermione lo richiamò. «Harry?»

«Porca puttana!» sbottò, poi si alzò dalla sedia e iniziò a percorrere avanti e indietro una linea retta nella stanza. Gli ingranaggi della sua mente avevano ripreso a funzionare.
«Ehm, non sto capendo» disse Ron, confuso.
«Io vedo falene sospette da dopo l'attentato, lui da prima... secondo i miei calcoli, anche prima del nostro incontro al negozio! E se...» mormorò Harry. Ma certo! Era tutto così chiaro!
Tanto chiaro che Hermione sembrò capire il suo ragionamento. «Oh, Morgana...»
E tanto chiaro che Ron non lo capì affatto. «Non sto capendo, di nuovo».
«E se stessimo cercando la causa sbagliata? Stiamo indagando nel verso contrario!» spiegò Harry, tanto euforico per l'intuizione che, se si fosse trovato in qualche strano mondo di cartoni animati, gli si sarebbe accesa una lampadina sopra la testa.
«Santo Merlino! Forse non era Malfoy il capro espiatorio. Tu eri il capro espiatorio!» continuò Hermione, indicandolo.
«Continuo a non capire».
Harry si avvicinò a Ron a passi svelti, con occhi sgranati e la sensazione di essere fin troppo vicino alla risoluzione del caso. «Quell'attentato non era volto a uccidermi, ma era volto a incastrare Malfoy!» spiegò, gesticolando. «Ecco perché sembra tutto una messinscena: ero praticamente scoperto. Il tizio nelle catacombe avrebbe potuto uccidermi tranquillamente, ma mi ha mancato. Se avesse davvero voluto prendermi mi avrebbe centrato in pieno! Non sono io la vittima dell'attentato: è Malfoy!»
Ron alzò un sopracciglio, interdetto. «Ma allora perché non uccidere direttamente Malfoy?»
Già. Perché non uccidere Malfoy? Quella era una domanda alla quale non aveva ponderato ma, a pensarci bene, era stato Draco stesso a fornirgli una risposta già in anticipo.
«Perché... l'assassino non è un assassino vero. Probabilmente voleva solo che Malfoy finisse in cella, non che morisse. È da giorni che Draco me lo dice: ha lottato per anni per redimersi, per trovare un posto nella società. Probabilmente qualcuno pensa che il suo posto invece sia in prigione... come suo padre».

Era triste anche solo pensarlo. Draco non era come Lucius, erano tanti anni che Harry l'aveva capito. Lo aveva capito da quella notte sulla torre di Astronomia, la notte della morte di Silente. Lucius avrebbe ucciso Silente, Draco no. Non ce l'aveva fatta, non era un assassino. E infatti poi si era redento in tutti i modi a lui possibili.
Harry strinse i pugni. Era terribilmente ingiusto che il suo passato pesasse ancora così tanto.
«Miseriaccia, hanno trovato il pretesto perfetto per buttarlo in gattabuia: chi è che in Italia potrebbe volerti morto più di Malfoy, secondo la stampa!? Hanno utilizzato la vostra rivalità per sbatterlo dentro. Non avrei pensato di poterlo dire ma: poveraccio» esclamò Ron, e non aveva affatto torto.
La stampa italiana non ci aveva pensato due volte ad additarlo subito come colpevole, quella inglese altrettanto. Sembrava quasi che fosse stato un vero pretesto per rinchiuderlo.
Harry sussultò, ma Hermione fu più veloce.
«Un momento... non trovi parecchio strano che Verbena l'abbia portato in cella direttamente, senza fare domande?» domandò lei, e lo stomaco di Harry iniziò ad auto-fagocitarsi. «E lo stanno tenendo dentro con insistenza, senza che ci siano delle prove vere. So che in America una persona è colpevole fino a prova contraria, ma in Italia non è così, non nel mondo Babbano, almeno!»
«Oh... Merlino» soffiò Harry. In pochi secondi ripercorse gli avvenimenti dei giorni precedenti. L'arresto, il fermo... «La prima domanda che gli hanno fatto è stata sulla nostra rivalità» mormorò. Ripensò alla modalità dell'attentato, ai filmati delle telecamere con gli angoli ciechi, la burocrazia infinita per la richiesta di Veritaserum. E se non fosse stato tutto un caso?
E se Malfoy fosse considerato un personaggio scomodo, in Italia? L'opinione pubblica degli italiani come aveva preso il fatto che un ex Mangiamorte fosse a capo della più prestigiosa catena di bacchette d'Europa? E se il governo fosse stato il primo a volerlo in prigione, a causa del suo passato? Tanti se, tanti ma.

Sembrava quasi una congettura ai danni di Malfoy. Non era la prima volta, nel Mondo Magico, che il governo volesse personaggi scomodi fuori dai giochi.
«Harry, devi tirarlo fuori prima che lo portino nella prigione di Matera. Un luogo orribile, secondo solo ad Azkaban!» sbottò Hermione, preoccupata.
Harry si alzò violentemente dalla sedia, facendola cadere all'indietro. «Lo farò» disse solo, poi si mise a correre.
Lo avrebbe portato via di lì, a costo di dover far crollare il prezioso castello di carte dei nuovi Accordi Internazionali.




C'era fermento quel mattino al Ministero italiano, ma Harry non ebbe alcuna voglia né intenzione di capire quale fosse il problema. Non prima di aver tirato fuori le belle chiappe di Draco Malfoy da quel cesso di posto. E di aver riflettuto sul perché diavolo in una situazione tanto catartica stesse continuando a pensare quel culo aristocratico.
Corse guardingo verso le segrete, di nuovo, fino ad arrivare a schiantarsi contro la cella con violenza.
Malfoy, rannicchiato contro al muro, alzò la testa. Anche quella notte non doveva aver dormito, a giudicare dalle occhiaie.
«Ancora qui a girovagare senza meta, Potter?» disse flebilmente.
«A breve ti tiro fuori di qui... ok?» promise Harry, con le mani aggrappate saldamente alle sbarre. Se avesse potuto farlo senza rischiare di diventare un ricercato internazionale, lo avrebbe fatto evadere in quello stesso momento.
Draco si alzò lentamente, barcollando. Sulla panchina c'era il vassoio del suo misero pranzo. Un sandwich al salame, una pera e un bicchiere d'acqua, tutto ancora intonso.
«Hah... sto iniziando a perdere le speranze che tu riesca a farlo» soffiò, arrendevole.
Harry lo guardò avvicinarsi con lentezza, quasi stesse per cadere. Aveva le labbra secche, era disidratato. Avrebbe potuto resistere altri giorni con lo sciopero della fame, ma senza bere...
«Fidati di me» disse, secco. Non avrebbe permesso che rimanesse lì dentro un giorno di più.
Draco arricciò il volto. «Come cazzo posso fidarmi di te?»
Harry lo prese per la camicia e lo trascinò più vicino.
«Una volta ti sei fidato di me. Quando mi hai lanciato la tua bacchetta ti sei fidato di me» gli disse, fermo. Aveva bisogno che gli credesse.

Malfoy arrossì al ricordo di una vita precedente, la fine di una Guerra. Si morse il labbro, lo guardò negli occhi e nel grigio Harry scorse tante domande.
Si perse qualche istante sulle lentiggini come se fossero costellazioni in cielo e, fino a quando Draco non parlò, sembrava che ci fosse stato un incantesimo.
«Potter...»
Harry mollò la stretta sulla camicia, ruppe la maledizione e si allontanò di qualche passo, con l'unico pensiero martellante in testa che l'affinità tra la bacchetta di agrifoglio e quella di biancospino, dopotutto, avesse un certo senso. Ci avrebbe pensato più tardi.
«La prossima volta che ci vedremo, non ci saranno sbarre. Promesso» concluse e, velocemente, si allontanò dalla cella.




Quando giunse a passi feroci al Dipartimento Auror, trovò tutti piuttosto indaffarati a maneggiare un vecchio computer Babbano.
«Auror Verbena» tuonò Harry, attirando l'attenzione di tutti su di sé. Beh, se non altro in quei dieci anni di professione aveva imparato a fare le entrate a effetto meglio di Shacklebolt.
Ambrosia rizzò le spalle e incrociò le braccia al petto, seria come di consueto.
«Potter. Deduco che lei abbia trovato indizi fondamentali, visto che ha deciso di scardinarmi la porta dell'ufficio» disse, senza nascondere un velo di irritazione.
Harry la raggiunse al centro della stanza con ampie falcate.
«Eccome» sibilò, fronteggiandola. Prima avrebbe provato con le buone. «Pretendo che venga disposta la conclusione del fermo di Draco Malfoy. Verrà portato in Inghilterra per essere giudicato».
Gli altri Auror, attorno a loro, si guardarono con espressioni interrogative. Ambrosia Verbena rimase invece impassibile, fredda come da personaggio.
«Temo di non poterlo fare» annunciò poi, atona.
Esattamente come Harry aveva previsto.
«E perché?» domandò lui, a braccia conserte.
Verbena lo squadrò con una punta di giudizio negli occhi poi, come se stesse cercando di spiegare le tabelline a un bambino di cinque anni, parlò.

«Perché semplicemente lo Statuto della Magia Italiana, dopo le copiose catture dei Mangiamorte del decennio scorso, ha subito una modifica importante per il quale chiunque possieda il Marchio Nero sul braccio è costretto a subire un trattamento differente in caso di sospetto crimine: è obbligatorio disporre il fermo immediato, e l'imputato rimane colpevole fino a prova contraria. E, ahimè, il signor Malfoy ha un Marchio Nero sul braccio».
Harry spalancò la bocca, allibito. Non che quella pratica non avesse avuto senso in passato, ma a dodici anni dalla Guerra era chiaro che Malfoy non fosse più sul banco degli imputati.
«Lui non è più un Mangiamorte! Nemmeno lo è mai stato veramente!» ringhiò Harry, paonazzo.
Verbena sospirò. «È una faccenda puramente burocratica, attuata secondo il decreto Cristalli n.4 comma 7 del 28 ottobre 1998 e-»
«FANCULO AL DECRETO CRISTALLI! MALFOY NON HA COMMESSO ALCUN REATO!» urlò Harry, sbattendo la mano contro una scrivania. Tutti sussultarono al rumore, tranne Verbena.
Lei rimase calma, impassibile, quasi come se la cosa non la tangesse minimamente.
«... condivido la sua opinione nei riguardi del caso Malfoy, Potter» disse infine. Harry alzò un sopracciglio. «Ed è per questo che, come le ho già spiegato, ci serve il modo di dichiararlo innocente quanto prima. E l'unico modo per farlo è catturare il vero colpevole, perché le scorte di Veritaserum sembrano inaccessibili e vorremmo davvero evitare che un innocente venga rinchiuso a Matera per un malinteso».

Harry non riusciva a capire. Era certo che gli Auror avessero fatto il doppio gioco, che fosse tutta una messinscena dell'apparato governativo, ma le parole di Verbena suggerivano il contrario. Ma se davvero lo volevano tirare fuori da lì, perché non stavano facendo niente perché accadesse?
«È davvero un malinteso?» domandò, confuso.
Verbena lanciò un'occhiata sfuggevole a uno dei cadetti ed egli, velocemente, ruotò il monitor del computer Babbano in direzione di Harry.
«A giudicare da questo video... sì» disse Ambrosia.
Harry si avvicinò di più al computer per visionare il filmato. Lo guardò tutto senza fiatare, ma un piccolo dettaglio catturò la sua attenzione. Sobbalzò.
Ne era certo: nel video c'era la falena.



Continua...

Riferimenti:
-Tutta la questione della legislatura Magica italiana sulle persone con il Marchio è un'invenzione. Non ci sono fonti a sufficienza per comprendere cosa sia successo nel resto d'Europa dopo la fine della Guerra, quindi mi sono sbizzarrita.
-Non esiste alcuna prigione di Matera nella saga. Tutto nella mia testa, perché mi sembrava improbabile che per tutti i delitti magici si venga mandati ad Azkaban.

ANGOLO AUTRICE:
Ehehe... insomma, non si capisce proprio niente.
Qualcuno di voi aveva già ipotizzato che il destinatario dell'attentato fosse in realtà Draco Malfoy (super bravonissimi!)... ma nessuno aveva sospettato del governo, né degli Auror stessi.
Ambrosia Verbena starà dicendo la verità? O è semplicemente sta trovando il modo per sfangarsi di dosso la responsabilità di una congettura ai danni dell'ex Mangiamorte? Tutto ci fa ipotizzare ciò ma... c'è un video. Cosa diavolo c'è nel video? Che razza di video è? E perché c'è ancora questa falena di merda, in giro?
C'è una sola cosa certa, qui: Malfoy è fottutamente innocente, povera stella. Harry, trova il colpevole (o i colpevoli) e tiralo fuori da lì! Penserai a guardargli le chiappe o le lentiggini più tardi, e che cazzo!
Che dire, gente... sapete che il prossimo sarà l'epilogo, vero? Ma sapete che ho in programma uno spin off, vero? XD
I dettagli tutti alla fine del prossimo capitolo, perché se parlo rischio di spoilerare cose.
Grazie di cuore a chi mi ha seguito fino a qui <3 continuate a formulare ipotesi e teorie, vi prego, mi diverte davvero tanto! Un abbraccio,
Eevaa



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Capitolo 6
*** L'Agrifoglio ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà di J.K.Rowling.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.



- AGRIFOGLIO e BIANCOSPINO -


Capitolo 6
L'Agrifoglio



Tra gli sfarfallii di interferenze magiche, sullo schermo del computer apparve l'immagine chiara di un uomo incappucciato che si smaterializza in un angolo dietro una pianta e un estintore. Aveva il volto coperto, era alto, ma non aveva i capelli biondi. Spiaccicato contro il muro poi lo stesso uomo estrae qualcosa dalla tasca e se la porta alla bocca.
«Abbiamo cercato in lungo e in largo gli angoli ciechi delle telecamere del Vaticano. La telecamera del negozio dei souvenir sopra le catacombe riprende chiaramente una persona incappucciata bere qualcosa da una fiaschetta. Abbiamo tutte le ragioni di credere che sia Polisucco, in quanto la fisicità cambia lievemente. L'uomo diventa qualche centimetro più basso – come si può notare dai pantaloni che si arricciano alle caviglie, e i capelli sotto al cappuccio diventano da mossi e castani a lisci e biondi. Poi esce dalla porta di sicurezza e si dirige in modo sospetto verso il piano inferiore» illustrò Verbena, passando poi all'immagine successiva. «Poi, guardi qui, dopo l'attentato l'uomo ritorna nella stessa posizione e scompare nel nulla. Non si smaterializza. Ho tutte le ragioni di credere che si possa essere trasformato in qualcosa di molto piccolo. Si vede proprio un movimento di ali, qui, sulla destra».
Harry deglutì. Era proprio una falena.
«Riconosce qualcuno con questa fisionomia, alto con i capelli ricci e castani? Qualcuno con cui ha cattivi rapporti? Qualcuno che vuole ucciderla, signor Potter?» domandò Verbena.
Aveva preso un grosso, grossissimo granchio. Non erano gli Auror a voler tenere in gattabuia Malfoy, loro si stavano solo attenendo alla legge. Esisteva davvero un colpevole per quell'attentato, solo che le ricerche erano fino a quel momento proseguite nella direzione contraria.
Harry strinse le labbra. Se da un lato era sollevato del fatto che nessun ente governante stesse cospirando contro Malfoy, avevano comunque una bella gatta da pelare. Avrebbero dovuto trovare colui che lo aveva voluto in prigione.
«Credo stiate ricercando il colpevole nel contesto sbagliato, Verbena».


Spiegare le sue teorie non fu semplice, soprattutto perché tutte le sue teorie non davano segni empirici a sufficienza per perseguire una traccia. E, contando che la maggior parte di quella divisione di Auror parlasse poco o niente di inglese, la comunicazione andò a rilento, così come la costruzione del pannello d'investigazione.
Ma, fortunatamente, la professionalità di Ambrosia Verbena fece emergere subito un dettaglio fondamentale. E Harry si sentì parecchio stupido per aver dubitato della sua lealtà.
«Il signor Malfoy ha detto “di falene ne vedo a bizzeffe da una settimana”. Una settimana... cos'è successo circa una settimana fa?» domandò lei, con la bacchetta puntata alla lavagna a mo' di gessetto.
«Il ricevimento a Bellagio» rispose Harry. Chiuse gli occhi per qualche istante e ricordò occhi grigi, due calici di Ferrari, un paesaggio maestoso... e una falena che danzava intorno a loro. «C'era una falena. C'era una falena mentre parlavo con Malfoy, sul lago» rivelò, col cuore in gola. Qualcuno li aveva osservati e ascoltati anche lì.
Verbena si voltò di scatto verso di lui, risoluta. «E, secondo lei, c'era qualcuno a quel banchetto che avrebbe desiderato vedere Malfoy in galera?»
Harry spalancò gli occhi. Gli si mozzò il fiato in gola e fu costretto ad aggrapparsi alla scrivania per non cadere in avanti.
Perché sì. Qualcuno... qualcuno c'era. La Falena.


 


Harry chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Due. Tre.
Lo faceva sempre prima di un blitz, quasi a prendersi quei pochi secondi di aria, di concentrazione prima di farsi guidare solamente dall'istinto. Gliel'aveva suggerito il suo primo comandante all'accademia di formazione per Auror. Strinse il manico della sua bacchetta, sentì l'impugnatura salda.
Al terzo respiro riaprì gli occhi e si sentì pronto ad agire. Aveva la schiena contro il muro di un negozio. Ambrosia Verbena, spiaccicata al suo fianco, fece un piccolo cenno del capo.
Diagon Alley era silenziosa, dopo il tramonto. Il silenzio perdurò per quei tre respiri. Dopodiché ci fu il caos.
Si mossero tutti insieme, la porta a vetri venne sfondata con un calcio, il campanello d'ingresso del negozio suonò tra il frastuono. Due persone dietro il registratore di cassa sussultarono.
«FERMI DOVE SIETE, BACCHETTE BENE IN VISTA!» urlò Verbena affiancata dal suo plotone di Auror italiani.
Harry, che aveva fatto in tempo a richiamare poche persone della sua divisione, si affiancò loro con la sgradevole sensazione che sarebbe andato tutto a puttane.
Anche perché gridare “bacchette bene in vista” era una cosa bene inutile, in un negozio di bacchette.

Garrick Olivander trasalì e alzò immediatamente le mani, mentre il ragazzo al suo fianco, pallido come un cencio, si ribaltò all'indietro e fece per fuggire.
«Levicorpus!» gridò Harry, e il ragazzo finì immediatamente a gambe all'aria, appeso al soffitto. Una bacchetta di legno chiaro gli cadde dalla tasca, e Verbena provvedette subito a raccoglierla.
«M-ma che d-diavolo sta s-succedendo q-qui!?» balbettò il signor Olivander, spaventato a morte.
Harry lo sorpassò senza degnarlo di una risposta e si piazzò direttamente all'altezza del ragazzo, per guardarlo bene in faccia.
Era un ragazzo alto, dai morbidi capelli ricci e castani che cadevano verso il basso. Senza barba, con un paio di occhi azzurro cielo che avrebbero fatto impazzire il pubblico giovane. Non a caso era apparso nel Settimanale delle Streghe negli ultimi due mesi.
Come aveva fatto a non pensarci prima, Harry?
L'aveva visto parlare con Draco al ricevimento, a Bellagio. Edgar Olivander, pluripremiato nipote danese, giovane promessa della fabbricazione ed ereditiero dell'impero dello zio. Benefattore del San Mungo, volto copertina degli ultimi sei numeri del Settimanale delle Streghe ma, soprattutto... Animagus.

«La sua bacchetta mostra incanti di trasmutazione» annunciò Verbena.
«Avete chiuso tutte le finestre e gli ingressi?» domandò Harry, continuando a fissare Edgar negli occhi azzurri con sdegno.
«Sì» risposero gli Auror, tutti pronti con le bacchette in mano.
Harry gli puntò la bacchetta alla fronte, pronto a scattare.
«Revelio Mutationem» sussurrò.
Il corpo di Edgar, da alto e slanciato, iniziò a rimpicciolirsi a velocità smodata. Divenne scuro, piccolo, con delle alette frastagliate non più grandi di una moneta. Una falena. La Falena.
La rabbia di Harry, sebbene fosse sull'orlo di esplodere, fu costretta a rimanere nel suo petto quando, naturalmente, la falena iniziò a volare veloce verso gli scaffali del negozio. Se avesse preso possesso di una bacchetta sarebbe stato un casino.
«Reverso! Reverso!» urlò Harry, prima che Edgar potesse sfuggire. Questi tornò alle sue fattezze originali in pochi istanti.
«Incarceramus!» gridò Verbena, e dei grossi cordoni fuoriuscirono dalla bacchetta per stringersi attorno al corpo di Edgar, che cadde a terra come un sacco di patate.
Era fatta. Ci erano riusciti.
«Edgar Olivander, la dichiaro in arresto per tentato omicidio plurimo, dirottamento di prove, utilizzo improprio di identità altrui, diffamazione, cospirazione» annunciò Verbena, la sua voce atona ora dipinta di una sfumatura soddisfatta.
Il ragazzo, a terra, ringhiò di frustrazione e fece per urlare qualcosa, ma una delle corde dell'incantesimo provvedette immediatamente a tappargli la bocca.

Olivander, invece, si accasciò contro la parete dietro di lui. Alcune bacchette caddero dagli scaffali. Harry osservò gli Auror far levitare il corpo fremente di Edgar fino a fuori dal negozio, poi si avvicinò al vecchio Garrick.
«M-ma io... non capisco. Signor Potter... non capisco! Edgar... m-mio nipote n-non capisco».
Sembrava sinceramente spaventato, confuso, dispiaciuto. Probabilmente lui non aveva idea di quanto fosse accaduto.
In base a ciò che Harry aveva ipotizzato, l'obiettivo del giovane Edgar in quanto ereditiero era diventare il più prestigioso fabbrica-bacchette del mondo. Obiettivo non facilmente perseguibile, data l'ascesa alle classifiche del Fabbricante di Ponte Vecchio. A detta di Malfoy – interrogato poco prima di creare la Passaporta Internazionale per l'Inghilterra – il giovane Edgar non era mai stato d'accordo a rivendere le Bacchette col simbolo Fiorentino nel loro negozio a Londra. Era stato lo zio a convincerlo, dato che gli affari per il Fabbricante stavano andando troppo bene e rischiavano di vendere poco il loro marchio. Probabilmente Edgar aveva voluto affossare Malfoy, così da riprendere in mano il monopolio di bacchette a Londra e, magari, persino prendere come sede principale il negozio di Firenze.

Purtroppo i suoi sospetti si erano rivelati veritieri.
«Credo che lei abbia riposto la sua fiducia nelle mani sbagliate, signor Olivander» mormorò Harry, dispiaciuto. Poi, lentamente, si avviò fuori dal negozio.
«Non p-può...»
La voce di un Auror inglese risuonò nella stanza prima che Harry uscisse. «Signor Olivander, dobbiamo chiederle di venire con noi al Dipartimento Auror, per cortesia».
Avevano trovato il colpevole. Non un assassino, solo un arrampicatore sociale della peggior specie che per raggiungere i propri obiettivi era stato disposto a far sbattere in cella un innocente, far rischiare la vita a quindici persone tra le quali una donna incinta.
Il bel volto di Edgar Olivander sarebbe stato in prima pagina senz'altro, l'indomani, non di certo sul Settimanale delle Streghe.


 
 


Tra la burocrazia dell'arresto, le dichiarazioni alla stampa e una lunga serie di trafile, Harry riuscì a prendere una Passaporta Internazionale solamente la mattina successiva.
Scoprì che Draco era già stato rilasciato e portato al Fate Bene Stregoni per una completa reidratazione e rimessa in sesto e, ovviamente, la notizia aveva già fatto il giro dell'intero continente.


“Draco Malfoy scagionato! L'attentatore era il suo concorrente sul lavoro, Edgar Olivander”.

“Edgar Olivander, nipote dell'omonimo fabbrica-bacchette, arrestato per truffa e tentato omicidio. Cosa ne sarà del celebre marchio di bacchette?”

“Draco Malfoy in libertà. Fino alla prossima volta?”

“Harry Potter fa scagionare il rivale Draco Malfoy. L'attentato alle catacombe una messinscena”.

“Il Fabbricante di Ponte Vecchio è nientepopodimeno che Draco Malfoy, appena scagionato per tentato omicidio. Questo porterà a una decrescita degli affari?”



Harry chiuse l'ultimo giornale con un gesto secco, e il gufo che gliel'aveva portato reclamò una moneta a gran voce.
«Ho letto solo la copertina!» sbuffò Harry. Il gufo tubò insistente fino a ottenere il pagamento.
In Inghilterra il nome di Draco Malfoy non era mai stato associato a quello del noto marchio di bacchette. Harry era certo che la decrescita negli affari sarebbe stata fisiologica, dopo tutto quel trambusto, nonostante la stampa gli stesse dando credito. Del resto in Inghilterra il nome dei Malfoy non era famoso nel senso positivo del termine.
Se non altro, però, avrebbe potuto far causa agli Olivander per i danni subiti.
«Harry, sei stato grande, davvero» disse Hermione, sorseggiando il suo tè da colazione. Quel giorno, se il controllo fosse andato bene, l'avrebbero finalmente dimessa e avrebbero potuto tornare tutti insieme a casa. Quella settimana in Italia era stata stata una vacanza culturale molto interessante, ma senza dubbio non tranquilla.
«Non ce l'avrei mai fatta senza il nostro consueto brainstorming, e voi lo sapete» rispose Harry, sorridendo ampiamente.
Ron si infilò in bocca un cornetto al pistacchio, poi ridacchiò. «Beh... a parte il complotto governativo, ci avevamo quasi preso!»
Risero di gusto. In effetti era da quando avevano undici anni che si divertivano a formulare le più magiche teorie del complotto e, fortunatamente, non sempre si erano rivelate attendibili. Ma andava bene così, se tutto era destinato ancora una volta al lieto fine.
Harry, allegro, lanciò un'occhiata fuori dalla finestra e il cuore gli balzò in gola. Draco e sua madre camminavano lentamente sottobraccio per andare al punto di Smaterializzazione in cortile.
«Scusate!» disse di tutta fretta ai suoi amici e, senza dare alcuna spiegazione, uscì di corsa dalla stanza.

Scattò tra i corridoi dell'ospedale velocemente. Quel giorno non aveva fumato, forse avrebbe guadagnato qualche secondo di corsa in più senza fiatone.
Raggiunse il cortile in fretta e furia e, fortunatamente, i Malfoy erano ancora lì, appena vicini al cancello.
«MALFOY!» gridò Harry a pieni polmoni. «Ehi, ehi, Malfoy!»
Narcissa e Draco si voltarono di scatto, allibiti.
«Potter» disse lui, quando fu abbastanza vicino.
«Dra-co, signora Ma-lfoy» soffiò Harry, tra un respiro e l'altro. Sì, avrebbe dovuto senz'altro buttare via quel pacchetto di sigarette che nascondeva in tasca.
Narcissa sollevò un sopracciglio in un'espressione più divertita del solito.
«Penso che abbiate bisogno di un momento, vi lascio soli» disse, con voce morbida. «Ossequi, signor Potter. E grazie per aver liberato mio figlio».
Harry annuì e sorrise. «Dovere, signora Malfoy» rispose, poi la guardò allontanarsi verso il cancello a passi spediti. Infine, lentamente, tornò a rivolgersi a Draco.
Indossava una camicia grigio scura abbottonata fino alla gola, un paio di pantaloni neri e una cravatta color smeraldo. I suoi capelli al sole brillavano – di nuovo ordinati – e sotto gli occhi il viola delle occhiaie stava piano piano scomparendo. Probabilmente quella notte aveva fatto il pieno di intrugli corroboranti. Profumava di menta. Non aveva mai smesso di profumare di menta, ma in quel momento si sentiva anche dalla distanza.

«Beh, alla fine allora lo sai fare, il tuo lavoro» ghignò Draco, per rompere quel silenzio di ghiaccio.
«Te l'avevo detto che ci saremmo rivisti senza sbarre» rispose Harry. Paradossalmente, però, quando c'erano di mezzo le sbarre si erano guardati da molto più vicino.
Draco annuì solennemente. «Ti ringrazio, ne sono lieto». Non c'era più niente dello sguardo terrorizzato, della frustrazione o del linguaggio portuale che l'avevano accompagnato in quei giorni. Sembrava essere tornato lo stesso uomo di Bellagio: elegante, signorile, posato. Forse era lui a meritare di essere in copertina sul Settimanale delle Streghe.
«Mi dispiace per ciò che è successo. E mi dispiace se questo porterà a un calo degli affari» ammise Harry.
«Per fortuna anche io so fare bene il mio lavoro. Non avrò problemi a risalire. Lo stesso non si può dire di Olivander, visto che ha messo il suo impero in mani sbagliate» sibilò, lievemente pungente.
Aveva ragione: quello scandalo avrebbe portato Olivander al fallimento, tutto per colpa di un nipote fuori di testa.
«Pover'uomo...» convenne Harry. Draco scrollò le spalle, sintomo che non gliene potesse fregare assolutamente nulla del destino di Olivander. Come biasimarlo!
Draco guardò il cielo terso oltre i colli romani, le colonne e i capitelli del cortile, poi sospirò. «Davvero incredibile che la nostra vecchia rivalità mi si sia ritorta contro ancora dopo dodici anni» disse, e Harry si strinse nelle spalle.
«Forse sarebbe il caso di sotterrarla definitivamente, no? Così da non rischiare più». A Harry venne totalmente spontaneo. Gli tese la mano, un gesto che forse avrebbe dovuto fare molti anni prima su quel treno ma, ovviamente, con i se e con i ma non si cambia la storia. Il futuro, però... quello avrebbero potuto cambiarlo.
E lo cambiarono in quell'istante quando, dopo qualche secondo di riluttanza, Draco afferrò quella mano.

Si deve condividere qualcosa di forte. Cosa condividiamo, noi?”

Le parole che gli aveva detto al negozio risuonarono nella testa di Harry. Era abbastanza chiaro cosa condividessero. Il loro passato era forte, quello era indubbio, ma magari la risposta giaceva solo nel futuro.
«E... uhm, se vuoi potremmo indagare un po' insieme per scoprire cos'è che lega il biancospino e l'agrifoglio» mormorò Harry, deglutendo, senza lasciare la presa sulla mano.
Malfoy sbuffò una risata nel naso. Era la prima volta che lo sentiva ridere in quel modo. Sembrò rifletterci per qualche istante, quasi sembrò pure arrossire.
«Oramai mi sono rassegnato a scoprirlo» disse però e, lentamente, scivolò via. «Niente lega il biancospino e l'agrifoglio».
«Ma-» fece per controbattere Harry, ma Draco scosse la testa e gli chiuse la metaforica porta in faccia.
«Meglio arrendersi».
Si guardarono distanti per qualche secondo. Era così, quindi? Era un nuovo addio? L'ennesimo addio?
Poi Draco parlò. «Arrivederci, Potter» disse e, con un sorriso sghembo, voltò i tacchi. Arrivederci non voleva dire addio. La porta era chiusa, ma non era chiusa a chiave.
Harry lo guardò allontanarsi, raggiungere sua madre e sparire in una folata di vento. I pini marittimi lasciarono cadere degli aghi leggeri, il sole caldo di Roma gli baciò la fronte.
C'era profumo di frittelle, suono di risate. Forse sarebbe andato a gettare una moneta nella fontana di Trevi, perché la leggenda narrava che così facendo ci si assicurava di tornare pesto.
«Arrivederci, Malfoy».



 
• Sei mesi dopo 



«Ed è una vittoria schiacciante!» esclamò Ron, gettando le braccia all'aria.
Harry sbuffò e si lasciò cadere sul divano. Lui e il suo talento naturale per gli scacchi magici! Era la quinta vittoria su sette partite, quel pomeriggio.
«Credo che sia il caso di appendere il Re al chiodo, Harry» disse Hermione, divertita. Il pancione era oramai più che visibile anche da sotto quel grande maglione beige ricamato. Era più bella che mai, e Harry non vedeva l'ora di diventare zio della piccola Rosie.
«Lo credo anche io» concordò lui, poi guardò l'orologio al polso. «Anche perché... uh, si è fatto tardi, sono le sei!»
Il pranzo di Natale ogni anno sembrava perdurare sempre di più, alla Tana. Si sentiva ancora piuttosto pieno, ma il triplo giro di liquori e le partite a scacchi avevano aiutato a digerire il pranzo infinito dei Weasley.
Harry si alzò e si stiracchiò, e il suo nuovo maglione con la H ricamata si incastrò per sbaglio nelle luci colorate dell'albero.
Tutto era al proprio posto, tutto era famigliare. Quella sera, però, l'avrebbe passata di nuovo da solo a casa, con una birra e qualche film Babbano di tradizione.

«Harry, caro, sicuro che non vuoi rimanere anche per cena?» domandò la signora Weasley, tirandogli un buffetto sul mento.
Harry negò con la testa. Gli sarebbe senz'altro piaciuto rimanere, ma non era il caso di cenare insieme a Ginny e il suo nuovo fidanzato gallese. Da quando si erano separati, a Natale Harry andava alla Tana per pranzo, lei per cena. E andava bene così.
«No, la ringrazio, signora Weasley. Andrò a trovare i Dursley» mentì. Era andato a trovare i Dursley alla Vigilia come ogni anno, giusto per scambiarsi sterili e forzati auguri senza alcun regalo né sorriso.
Molly lo guardò infilarsi il cappotto scuro con poca grazia e calpestare la lunga sciarpa rossa, poi gli infilò tra le mani un cesto da pic-nic pesante come un Erumpent. «Allora tieni, così almeno avrai le scorte per domani».
Harry ridacchiò. «Signora Weasley, qui dentro ci sono scorte per un mese intero!»
«Oh, beh» farfugliò lei, gioviale. «Sai che mi piace calcare la mano. Attento a non pungerti con l'agrifoglio» gli rammentò, quando oramai era troppo tardi e si era già punto il dito con le foglie di quella bella ghirlanda appesa al manico del cestino.
Si portò l'indice alla bocca per leccare via il sangue, poi si perse per qualche secondo sulla ghirlanda. Bacche rosse, fiori bianchi, germogli intrecciati. Dove aveva già visto quella composizione?

«Ehm... signora Weasley... cos'è?»
«Arrosto di maiale, panzerotti di mele e brie, la tua torta preferita alla melassa e-»
«No... intendo, cosa sono queste piante?» domandò Harry, incuriosito.
La signora Weasley scrollò le spalle.
«Beh, le tipiche piante natalizie: agrifoglio e biancospino. C'è anche un po' di vischio per intrecciarle. Perché?»
Harry non seppe dire se l'intero arrosto di maiale gli fosse tornato in gola e si fosse incastrato lì, ma la sensazione fu esattamente quella. Fissò interdetto la piccola ghirlanda natalizia e realizzò in quel momento che l'avesse trovato.
L'aveva trovato.
«Niente... grazie» balbettò, uscendo dalla porta e inciampando nella sciarpa. «A-arrivederci. Ciao a tutti!»
Così trafelato, non riuscì nemmeno a udire i saluti di tutta la famiglia Weasley. Aveva da fare.


 
 

Non fumava da sei mesi, e a livello di fiato si sentiva tutto. Non sarebbe riuscito, altrimenti, a farsi metà città di corsa senza collassare per terra avvolto in un cappotto e una sciarpa invadente.
E invece Harry era lì, col fiato corto e un sorriso sulle labbra. Il fumo di condensa che usciva dalla bocca ad ogni respiro, gli occhi brillanti e neve fresca tra i capelli. Aveva gli occhiali appannati, ma poco importava: era certo di essere nel posto giusto.
Alohomora al negozio di vecchie scarpe, tre passi dietro il vecchio quadro, scalini oltre l'insegna di un negozio dalle serrande verdi ed eccolo lì: un portoncino laccato di blu sopra un balcone che dava sull'Arno.
Bussò due volte, insistentemente, e una luce si accese all'interno dell'appartamento. Una gran fortuna. Lui avrebbe potuto trovarsi benissimo da un'altra parte, la sera di Natale.
Col cuore in gola martellante e le scarpe oramai zuppe di neve, Harry attese. La porta si aprì, lui lo fissò. Occhi grigi sbarrati, un maglione nero a collo alto, capelli sempre in ordine e profumo di menta.

Malfoy aprì la bocca per pronunciare la parola “Potter” con quel buffo accento del Wiltshire, ma Harry fu più veloce.
«Il Natale!» esclamò, a voce troppo alta per essere le nove di sera. Ma tanto quel luogo magico era coperto dai più vasti incantesimi di disillusione.
Draco sollevo un sopracciglio e arricciò il naso.
«Potter... sei impazzito?»
Beh, la parola “Potter” l'aveva pronunciata.
«Il Natale» ripeté, come se fosse completamente ovvio. «È il Natale che lega l'agrifoglio e il biancospino. Sono piante di Natale!»
Draco storse il capo. «Secondo me te lo sei fumato, il biancospino».
«Malfoy» rise Harry, dopo aver finalmente ripreso fiato. Le luci sull'Arno si rifletterono sulle lenti e le guance rosse dal freddo. La neve cadeva leggera, oramai. Firenze di sfondo sembrava una cartolina anni novanta, una di quelle che Hermione gli spediva a Hogwarts durante le vacanze di Natale.
Draco si appoggiò allo stipite del portoncino, braccia al petto e caviglie incrociate in una posizione meno elegante del consueto. Strafottente come ai tempi andati, ma con un sorrisetto meno da schiaffi.

«Ok, seriamente, Potter: cosa ci fai qui?»
«Esattamente per dirti questo! Agrifoglio e biancospino sono due piante diverse, ma c'è qualcosa che le lega. Una piccola cosa. Magari...» Harry si interruppe e avvertì le guance scottare. Arrossire a trent'anni era socialmente accettabile? Per fortuna avrebbe potuto dare la colpa al freddo. «Magari vale anche per noi» continuò.
Il volto di Draco si fece divertito, ma meno impertinente. Sembrava quasi curioso.
«... ci lega il Natale?» domandò, come se quelle parole fossero oltre il bizzarro.
Harry fece spallucce e sorrise largamente. «Chissà, potremmo scoprire se è vero».
Malfoy sembrò pensarci su qualche istante, poi tornò in una posizione più composta ma comunque sospettosa.
«E come?» gli domandò, sbruffone in quella serietà innaturale.
Harry si portò una mano sotto al mento, poi gli puntò il dito contro.
«Una cena!»
«È tutto chiuso» controbatté Malfoy, ostentatamente lapidario. Ma quello era il giorno fortunato di Harry.
Prese la bacchetta dalla tasca e evocò il cestino che gli aveva dato la signora Weasley, che gli rimbalzò in mano e quasi cadde per terra per quanto fosse pesante. «L'ho portata io» disse poi, divertito, sollevando il cestino per il manico con aria vittoriosa.
Malfoy spalancò gli occhi di sorpresa, poi li alzò al cielo con uno sbuffo degno del suo personaggio.
Harry sapeva che quella non sarebbe stata una missione facile, ma non aveva pagato fior di Galeoni per una Passaporta Internazionale urgente, non si era fatto mezza Firenze di corsa nella neve per ricevere un due di picche. Nossignore.
«Dai, Draco, non farti pregare» si lagnò. «Ti ho portato la cena a casa la sera di Natale!»
«Lo fa anche il fattorino delle pizze, se ben retribuito».

Harry lo guardò storto, e tutto il castello di serietà costruito da Draco crollò. Scoppiò a ridere, non l'aveva mai sentito ridere in quel modo. Probabilmente era divertito da quegli insistenti tentativi di chiedere un appuntamento, dalla caparbietà di Harry, dal fatto che la notte di Natale lui si fosse presentato zuppo e innevato fuori dalla sua porta.
Eppure andava bene. Fino a che Draco rideva, andava tutto bene.
Harry rise a sua volta, poi poggiò il cestino a terra e staccò la ghirlanda appesa al manico.
«Vedi?» disse, portandola dritta di fronte al naso di Draco. Forse perché era inverno, ma le lentiggini non c'erano più. La sfumatura azzurra in una delle iridi, invece sì. «Agrifoglio e Biancospino...» illustrò Harry, sapientemente.
Draco la prese dal nastro – ben più attento di lui a non pungersi con l'agrifoglio – e la ruotò con curiosità. «Se non erro...» disse, furbesco. «Qui c'è anche del vischio».
«Serve a intrecciarli meglio...» soffiò Harry, avvicinandosi. C'era una calamita, tra loro. Qualcosa che li attirava inevitabilmente uno verso l'altro.
L'ultima volta che erano stati così vicini c'erano delle sbarre di una cella a separarli. In quel momento c'era solo del vischio. Fu facile toglierlo di mezzo e azzerare l'aria che li separava, mentre fiocchi di neve si incastravano tra le loro fronti.
Fu altrettanto facile mettere la parola fine a quell'ostilità durata vent'anni, fu facile riuscire a comprendere il perché di tante cose. L'affinità, certo, ma anche tutto quel ventaglio di sentimenti che avevano inghiottito per anni. Guardarsi negli occhi durante la Guerra e capire che non fosse più il momento di giocare, che avrebbero dovuto proteggersi a vicenda, seppur da fazioni invertite, seppur tacitamente. Due nemici non fanno queste cose. Due nemici non si proteggono, loro si erano protetti.

"Si dice che due anime gemelle possano utilizzare l'uno la bacchetta dell'altro anche se esse possiedono caratteristiche strutturali completamente differenti".

Harry non sapeva se la leggenda delle anime gemelle fosse vera, ma gli piaceva comunque pensare che Agrifoglio e Biancospino avessero iniziato a intrecciarsi su quell'espresso per Hogwarts, il primo settembre del 1991. In qualche modo disordinato, confusionario, a volte poco funzionale.
L'ordine avrebbero dovuto mettercelo ora. E quale modo migliore per fare ordine, se non intrecciarsi di più a vicenda in un legame più saldo?
Qualcuno dice che gli opposti si attraggono. Niente di più vero. Ma in quel momento erano ancora così opposti come in passato? Non del tutto. Draco era cambiato, Draco era una persona diversa, e lui l'aveva conosciuto in tutte le sue sfaccettature.
E c'era qualcosa di certo: voleva conoscerlo di più. A partire da quelle labbra e le mani addosso. A partire dal suo letto, le candele accese sul comodino, i piedi freddi uno contro l'altro, le piume di un cuscino che svolazzano per la stanza.
La neve fuori, le piume dentro. Immersi nel bianco si conobbero meglio. Harry era felice, dopo tanto tempo.
Andava tutto bene.

 


 
Si era ripromesso che non avrebbe più fumato. Non era mai stato bravo a mantenere le promesse, non sui vizi. Ma quella sarebbe stata l'ultima, l'ultimissima sigaretta.
Harry si stiracchiò un poco tra le lenzuola, con le gambe incastrate tra quelle di Draco e la mano intrecciata ai suoi capelli nel tentativo di disordinarglieli ancora un po'. Era bello scoprire che anche lui potesse avere i capelli arruffati, di tanto in tanto.
Draco gli rubò la sigaretta dalla mano e, dopo aver fatto un tiro, la spense nel bicchiere d'acqua sul tavolino. Harry protestò con un grugnito, ma Draco gli tappò la bocca con un bacio irruente.
Forse non sarebbe stata l'ultima sigaretta: non aveva fatto in tempo a finirla. Una buona scusa. Harry se ne raccontava tante, di scuse.

«Beh, Malfoy, tutto questo non l'avresti fatto col fattorino delle pizze» disse Harry, lasciandogli un bacio sul petto.
Draco si spostò su un fianco, con la testa in una mano e lo sguardo sardonico. «E tu che ne sai?»
«Idiota» rise Harry, aggrappandosi al suo fianco per tirarselo contro. Malfoy non oppose alcuna resistenza. «Direi che... forse hai trovato una soluzione al dilemma dell'affinità».
«Dopo dodici anni di ricerche, un accusa di omicidio e un arresto di cinque giorni» puntualizzò Draco. «La curiosità mi è costata un po' troppo cara».
Harry sorrise furbescamente. «Posso ripagare... se vuoi» ammiccò.
«Mmmh» mugugnò Malfoy, fingendo di pensarci su. «Va bene. Del resto per un'oretta è ancora Natale. Agrifoglio e Biancospino possono stare intrecciati ancora un po'» fece spallucce e si sporse per baciarlo di nuovo, ma Harry aveva imparato da Hermione a essere un insopportabile so-tutto-io, a volte. Quando gli faceva comodo.
«Sai, in realtà conterebbe tutto il periodo natalizio» puntualizzò.
Draco finse un certo risentimento e alzò gli occhi al cielo. «Devo averti intorno fino all'Epifania?»
«Potremmo iniziare fino a Capodanno. Che dici?» propose Harry.
E Malfoy fece finta di pensarci su, ma non era più molto bravo a fingere. Per Harry, oramai, era come un libro aperto. Così come aveva immediatamente intuito che fosse innocente in quella cella, si poteva ben intuire in quel momento che avesse già preso una decisione, per quelle vacanze.
«E Capodanno sia» disse infatti e, senza dargli il tempo di rispondere, Draco si aggrappò di nuovo a lui.


Harry era bravo a raccontarsi delle scuse. La scusa ufficiale per il fatto che quella storia sarebbe potuta andare ben oltre le feste era che esiste un posto, in Lapponia, in cui è Natale tutto l'anno.


 
Fine...



... Draco si stiracchiò e, guardandosi indietro, chiuse la porta finestra che dava sul balcone. Si strinse in quel discutibile maglione con la H ricamata sopra. Faceva freddo, ma lui non poteva aspettare. Potter era assopito, dormiva nudo con un braccio sotto al cuscino. Draco sorrise.
Dopo anni aveva finalmente avuto il suo riscatto. Reintegrato nella società, il suo nome di nuovo in alto e splendente. Con i soldi della vittoria del processo con gli Olivander sua madre non era più costretta a vivere in una casa pulciosa in Provenza, presto sarebbe tornata in Inghilterra in un maniero ancor più splendente. E anche lui si sarebbe presto preso un attico con piscina, lì a Firenze. O magari avrebbe preso una bella villa a Capri, sul mare.
Aveva guadagnato la fiducia di Potter. Potter, il suo chiodo fisso degli ultimi dodici anni, finalmente nel suo letto, finalmente nella sua vita.
Gli affari andavano benone, era in cima alla lista del miglior fabbrica-bacchette di sempre, stava guadagnando Galeoni a palate. Cos'altro poteva desiderare?
Con un gesto della bacchetta evocò il suo telefono cellulare Babbano. Non era saggio comunicare via gufo. Tre squilli, poi la voce di una donna lo salutò dalla cornetta.
«Ehi, Falena... c'è voluto un po' di tempo ma... l'Agrifoglio è nel vaso» sussurrò Draco.
Ascoltò la risposta entusiasta e sorrise, poi tornò con lo sguardo su Potter.
Il suo piano era più che ben riuscito. Forse anche troppo riuscito.
Olivander era fallito ed era stato rinchiuso in una casa di cura per essere completamente impazzito con la testa.
Pover'uomo davvero, del resto.
In quelle condizioni chi avrebbe potuto credergli quando diceva che... non aveva mai avuto un nipote?


 
Riferimenti:
-Gli incantesimi di trasformazione e inversione dell'Animagus sono inventati, non sono mai stati specificati nel libro e nemmeno nel film.

ANGOLO AUTRICE:
... oopsy doopsy! xD
Ehm... mi piacerebbe fare i miei complimenti vivissimi a chi aveva sospettato di Edgar Olivander sin dal primo capitolo (e in realtà sì, complimenti davvero per lo spirito deduttivo)... ma... un vero peccato che questo Edgar Olivander non esista, vero?! LOOOOOL.
Sì, sono una bruttissima persona, lo so.
Harry Potter è cascato direttamente nel letto di Malfoy... come biasimarlo? Era tutto credibilissimo... e invece! xD (però voglio specificare che i sentimenti di Draco per Harry sono sinceri eh... almeno quelli LOL).

Penso che nessuno di voi abbia mai sospettato davvero di Draco Malfoy, e in effetti non è che sia direttamente colpevole dell'attentato MA... ehm, qualcosa alla fine ci suggerisce che c'è il suo zampino sotto tutto quello che è capitato. LMAO. Questo effettivamente non l'aveva previsto nessuno di voi, quindi mi sento un poco fiera e un poco stronza nel contempo.
Ma ci sono delle motivazioni! Ce ne sono PARECCHISSIME, e se siete curiosi di scoprire cosa ci sia dietro e perché, sappiate che è previsto uno spin off di tre o quattro capitoli. Sempre su questi schermi, sempre il mercoledì. Si intitolerà "Il Biancospino e la Falena".
Ehehehe sì... la fottutissima Falena. Chi cazzo è alla fine la falena? Edgar Olivander in teoria è stato arrestato. Ma se non esiste nessun nipote Olivander com'è possibile?! E soprattutto perché ora Draco sta parlando al telefono con la Falena?
Vi prego, fateci su una montagna di teorie perché in questi capitoli mi sono divertita un mondo a leggerle tutte. Che dire... spero di trovarvi tutti anche sotto lo spin off di Draco. 
E spero anche che questo primo grande esperimento di giallo vi sia piaciuto... avevo voglia di creare qualcosa di diverso, con un finale meno scontato del solito. Spero di esserci riuscita :3
Un abbraccio e grazie di cuore a tutti!
Eevaa 




 

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