Undisclosed desires di Fanny Jumping Sparrow (/viewuser.php?uid=60955)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I: Cheated! ***
Capitolo 2: *** II: Proud and loneliness ***
Capitolo 3: *** III: Memories ***
Capitolo 4: *** IV: Best friends ***
Capitolo 5: *** V: Hunting ***
Capitolo 6: *** VI: Playing cat and mouse ***
Capitolo 7: *** VII: Risky choices ***
Capitolo 8: *** VIII: Confronting the enemy ***
Capitolo 9: *** IX: Sparks ***
Capitolo 10: *** X: Misunderstandings ***
Capitolo 11: *** XI: A shadow from the past ***
Capitolo 12: *** XII: Nightmares ***
Capitolo 13: *** XIII: Revelations ***
Capitolo 14: *** XIV: Water and fire ***
Capitolo 15: *** XV: Pieces to join ***
Capitolo 16: *** XVI: Debts and revenges ***
Capitolo 17: *** XVII: In the heart of the storm ***
Capitolo 18: *** XIX: We are partners, aren’t we? ***
Capitolo 19: *** XVIII: On stranger tides ***
Capitolo 20: *** XX: Escaping from underground (part I) ***
Capitolo 21: *** XXI: Escaping from underground (part II) ***
Capitolo 22: *** XXII: Secretly ***
Capitolo 23: *** XXIII: A rewritten past ***
Capitolo 24: *** XXIV: Can't fight the moonlight ***
Capitolo 25: *** XXV: Two much ***
Capitolo 26: *** XXVI: Under pressure ***
Capitolo 27: *** XXVII: Quicksand ***
Capitolo 28: *** XXVIII: Mending, bending, planning ***
Capitolo 29: *** XXIX: One way or another ***
Capitolo 30: *** XXX: Caught in the trap ***
Capitolo 31: *** XXXI: Falling ***
Capitolo 32: *** XXXII: A dangerous mistake ***
Capitolo 33: *** XXXIII: A crowdy party ***
Capitolo 34: *** XXXIV: Trouble ***
Capitolo 35: *** XXXV: The fleeting moment ***
Capitolo 36: *** XXXVI: (Dis)Agreements ***
Capitolo 37: *** XXXVII: Hostages ***
Capitolo 1 *** I: Cheated! ***
Salute
a tutti! Dopo aver composto una brevissima flashfic (Un anno ancora) mi
accingo a tornare in punta di piedi in questa sezione con una storia
ben più corposa che, pur avendo come protagonisti principali
la coppia Vegeta/Bulma, racchiuderà un pò tutti i
personaggi catapultandoli in un universo alternativo di stampo
piratesco. L'idea nasce dall'aver scoperto l'esistenza di un manga
crossover tra Dragon
Ball e One
piece (Cross
Epoch), da cui però prenderò le
distanze, ispirandomi più che altro a film e libri di genere
avventuroso/fantasy.
Non avendo mai letto il manga originale ed essendomi avvicinata
all'anime per la prima volta dall'autunno scorso (e non avendolo ancora
visto tutto!), spero di riuscire a rendere comunque giustizia ai
personaggi senza stravolgerli troppo! In ogni caso sono aperta a
critiche e consigli, sia attraverso le recesioni sia, se vi va,
attraverso la pagina scrittore che ho creato su Facebook, che potete
raggiungere anche dai bottoni della mia pagina personale qui su efp.
Augurandomi di riuscire a incuriosirvi e divertirvi, vi lascio alla
lettura!
Alla prossima!
UNDISCLOSED DESIRES
I:
CHEATED!
La massiccia ancora di ferro
affondò rapidamente nella sabbia umida e sottile del
bagnasciuga con un tonfo pesante, sollevando schizzi d’acqua
salata fino alle teste irsute dei bucanieri, pronti a gettarsi nella
carneficina e nella razzia del lido appena assaltato, con le spade
sguainate e svariate munizioni nelle bisacce.
Dalla
fiancata di tribordo dieci cannoni, sui venti che la armavano,
sbucarono con prepotenza dai portelloni dello scafo color mogano,
sputando rabbiosamente delle palle incendiarie che andarono a
distruggere le cime degli alberi più alti, propagando un
incendio che avvolse e distrusse la lussureggiante vegetazione
dell’isoletta tropicale.
Uccelli
variopinti e altre esotiche piccole creature tentarono una fuga
disperata da quell’inferno di fiamme e fumo, che in pochi
minuti aveva arrossato e intossicato l’atmosfera tersa e
tranquilla.
Le loro
urla straziate e sempre più soffocate si diramarono fino al
ponte dell’imponente galeone, graffiando e inebriando le
orecchie del Capitano con il loro tetro sentore di morte.
Terra
bruciata, sterminio di ogni forma di vita che non meritava di respirare
la sua stessa aria. Ogni essere che intralciava i suoi piani era un
nemico da eliminare, senza scrupoli. Presto avrebbe dominato su tutti
gli altri che avrebbero avuto l’intelligenza di sottomettersi
servilmente e saggiamente alla sua indiscussa superiorità.
E si
sarebbe crogiolato in quello stato di onnipotenza per moltissimi anni,
fino alla fine dei tempi. Avrebbe avuto tutto e tutti nelle sue mani:
il mare, i tesori, gli uomini.
Imperatore
del mondo.
Un sorriso
superbo si dipinse sul suo viso mentre sfiorava la superficie liscia e
rotondeggiante del prezioso oggetto dal quale, una volta ricongiuntolo
con i suoi analoghi, sarebbe derivato il suo potere.
- A quanto
pare quest’isola è disabitata –
commentò deluso in quel momento il suo primo ufficiale,
conservando con un grugnito il cannocchiale nella custodia di stoffa
appesa alla cintola, lisciandosi il cranio calvo e tatuato.
Il secondo
di bordo gli si affiancò scuotendo la lunga zazzera nera e
incolta, dopo aver smesso di fissare con avidità la foresta
nella vana speranza che ne uscisse fuori qualche sagoma più
alta di un metro: - Che disdetta! Non avremo sporchi indigeni da
massacrare!
Entrambi
sputacchiarono un’altra sequela di imprecazioni, restando con
gli occhi piantati allo spettacolo eccitante del fuoco assassino che
continuava a divorare la morfologia del luogo, rendendola
irriconoscibile.
La voce
tagliente e apatica del comandante li ammutolì: - Poco male
se non c’è nessuno da ammazzare. Il nostro tempo
qui è limitato.
A quella
dichiarazione si voltarono di scatto, afferrando appena la sua figura
atletica e scattante che saltava giù dal vascello reggendosi
ad una cima.
Nappa e
Radish si affrettarono a gettarsi sulla spiaggia dove stava
arrogantemente vessando l’indolenza degli altri marinai che
erano rimasti fermi, incitandoli a riporre spade e pistole e a munirsi
di pale e picconi, guidandoli lungo uno stretto e accidentato sentiero
che girava attorno una bassa scogliera di basalto.
Gli
scalmanati manigoldi della sua ciurma non digerivano affatto quel tipo
di lavoro. Erano assassini, mercenari. Combattere, depredare, uccidere,
far scorrere il sangue, sentire e vedere il terrore impregnare anima e
corpo degli avversari fino a prostrarli: questo li aveva spinti a
imbarcarsi su una nave pirata.
Ma gli
ordini del Capitano non si contestavano. Quando in passato si erano
azzardati a polemizzare sulle sue decisioni sciagurate, lui li aveva
affrontati con una tale foga e ferocia da sopprimere indiscutibilmente
la tentazione di ripetere una simile audacia, anche perché
avevano subito una cocente sconfitta nello scontro che ne era sorto.
Sebbene
quell’uomo fosse fisicamente quasi la metà di
loro, era dotato di una forza straordinaria che, unita alla sua
impressionante destrezza, parimenti con le armi da taglio e da fuoco,
all’assoluta mancanza di umanità, alla brama di
sangue e allo spirito vendicativo, lo rendevano un combattente
imbattibile e un tipo da non prendere mai sottogamba, o peggio da
cercare di fregare.
Soltanto
compiacendolo e ossequiandolo senza battere ciglio potevano aspirare,
forse, a ricevere parte della favolosa ricompensa che sarebbe derivata
da quella noiosa e misteriosa ricerca in cui li aveva trascinati da
qualche tempo.
E non era
neanche detto che sarebbe stato disposto a graziare entrambi.
Nappa e
Radish, attraversati da questi pensieri, si guardavano in cagnesco
mentre annaspavano sotto il sole rovente in coda al gruppetto di quella
sottospecie di individui, manovali più che veri marinai,
reclutati a poco prezzo e certamente sostituibili, anche se al momento
indispensabili, perché loro non intendevano abbassarsi a
simili compiti degradanti.
Il percorso
era divenuto sempre più angusto e scosceso, la sabbia aveva
lasciato il posto ad un tappeto di sassi aguzzi ricoperti da uno strato
melmoso di alghe che rendeva il sentiero doppiamente insidioso.
D’un tratto il comandante arrestò la marcia,
fermandosi davanti a quello che appariva come l’antro di una
grotta semisommersa. Ammiccò, fermandosi in attesa che lo
raggiungessero, ed essi compresero che sarebbe toccato a loro condurre
all’interno i disgraziati che avrebbero dovuto spezzarsi la
schiena e rischiare la pelle per scavare.
Dovettero
tenere costantemente lame e moschetti puntati sulle loro teste
perché vincessero la ritrosia di doversi infilare in quel
buio cunicolo, simile al ventre di una balena, più pieno
d’acqua che d’aria, con le pareti frastagliate da
sporgenze di rocce talmente appuntite da strappare la carne se non
evitate in tempo.
L’insolita
combinazione di pareti vulcaniche e calcaree, rivestite da conchiglie e
coralli, creava dei fantastici e spettrali riflessi di luce che
conferivano una sembianza quasi irreale al posto.
Dopo
qualche metro gli esangui raggi di sole stavano estinguendo il loro
potere di rischiarare la spelonca di cui non si intravedeva ancora il
fondo, e gli uomini si adoperarono perciò ad accendere le
lampade che avevano portato con loro, semplici campane di vetro
contenenti delle candele che proiettavano giochi di ombre altrettanto
inquietanti.
Anche il
Capitano ne reggeva una e, a un certo punto, a sorpresa,
sbucò, recuperando la testa della fila che aveva rallentato
la marcia, imponendo silenziosamente di proseguire fino alla fine della
cavità naturale, nonostante l’acqua continuasse ad
alzarsi sensibilmente oltre i loro stivali.
Aveva
ispezionato passo dopo passo ogni rientranza, foro, increspatura della
caverna, spiando continuamente le possibili variazioni di luminescenza
della piccola sfera che teneva ben nascosta dentro una sacca appesa
alla cintura. D’altronde quelle stupide carte indicavano solo
l’ubicazione generica di quel tesoro perduto e disperso da
anni, la natura non si era certo preoccupata di renderlo facilmente
raggiungibile.
Nella sua
mente, inoltre, si stava insinuando la fastidiosa sensazione che non
fosse l’unico ad aver intrapreso la caccia di quelle sfere
…
- Provate
qui. Ma fate attenzione a non andarci troppo forte o potreste rompere
anche ciò che cerchiamo – ordinò
sbuffando, accorgendosi di una sorta di sedile roccioso su cui avrebbe
potuto sedersi nell’attesa snervante che dal picconare della
ciurma uscisse qualcosa. Con un paio di colpi di pistola ne
smussò le parti più appuntite e vi si
sistemò, incrociando le braccia con un’espressione
composta e al contempo minacciosa.
Radish
cominciò ad inveire contro i marinai che scavavano senza
troppa convinzione: - Più veloci! Più veloci,
luride carogne! Abbiamo meno di tre ore prima che questo fottuto posto
torni sotto il livello del mare! – sbraitò
brandendo un gatto a nove code con cui li sferzò, uno ad uno.
L’altro
pirata, baffuto e privo di capelli, si mise a gridare e malmenare gli
uomini impegnati in un diverso punto: - Ci vorranno altri sei mesi
perché le condizioni siano di nuovo propizie, e state pur
certi che il Capitano vi lascerà su questa landa desolata
nel frattempo!
Capitan
Vegeta sogghignò divertito. Quei due erano patetici nel loro
palese tentativo di ingraziarselo mostrandosi tanto ligi al dovere, ma
sapeva bene quanto fossero ancora alquanto scettici sul reale potere
delle sfere del Drago.
Tornò
a contemplare l’unica che era già in suo possesso:
apparentemente sembrava nient’altro che una biglia di vetro
ambrato, ma al suo interno c’erano sette piccole stelline
rosse che indicavano la presenza di altre sei sfere identiche sul
pianeta. Quando si trovavano vicine emettevano una forte luce. Anche
quella che possedeva si era illuminata poco prima che giungesse su
quell’isola remota, ma adesso pareva essere tornata opaca.
Iniziò a dubitare sulla possibilità di aver
tracciato la giusta rotta, non era da lui, però, concedersi
il pensiero di avere torto. Non poteva ammetterlo a se stesso, non
poteva assolutamente trasmettere quell’insicurezza a chi lo
seguiva.
- Capitano Vegeta! Abbiamo
trovato qualcosa!
Si riscosse, alzandosi
lentamente, come a non mostrare il sollievo per avere udito quelle
parole, seppure vi avesse colto uno strano retrogusto preoccupato.
Strinse i pugni e camminò con calma fino a dove si erano
fermate le rischiose operazioni di scasso.
I pirati
timorosamente si aprirono a cerchio reggendo le torce, per permettergli
di guardare quello che avevano scoperto.
La parete
rocciosa in quell’area era più chiara e tenera e
qualcuno aveva avuto la vanità di imprimervi, scalfendola,
una frase derisoria: “Bulma
Brief è passata di qui!”
Il
significato era ormai lampante: non era il solo a bramare quelle sfere,
ma quell’affronto così impertinente proprio non lo
sopportò: - Ancora quella dannata puttana! È
già la seconda volta che arriva prima di me! Non
è possibile! – si lasciò scappare a
gran voce dalle labbra, contraendo allo spasmo tutti i muscoli. In
quell’istante avrebbe preferito sparire piuttosto che dover
affrontare gli sguardi meschini della ciurma.
Impugnò
sveltamente le due pistole celate nelle fondine e, voltandosi verso il
manipolo di uomini rimasti immobili alle sue spalle, aprì
senza avvertimento il fuoco, trucidandone crudamente la maggior parte,
mentre rincorse quelli agonizzanti finendoli a fil di spada.
Solo i suoi
ufficiali, abbassandosi e scansandosi, riuscirono a scampare alla
tempesta di metallo e furore che aveva fatto tremare tutto,
riecheggiando tetramente per parecchi secondi nell’aria
assieme alle urla lancinanti delle vittime.
Vegeta si
ricompose, rinfoderando le armi scariche e la sciabola insanguinata,
poi passò tra i corpi senza vita urtandoli con fastidio,
puntando rapidamente all’uscita: - Non
c’è più niente da fare qui. Torniamo
alla Bloody Wench – asserì atono, tradendo
tuttavia della bruciante collera.
Nappa e
Radish gli tennero dietro come cagnolini, soltanto quando furono fuori
e a molti metri dalla caverna, il primo osò parlare: - Cosa
facciamo? Siamo rimasti solo in dieci, voi compreso –
osservò cautamente, mentre il collega richiamava quei
superstiti cui si riferiva, che erano stati lasciati volutamente a
bordo come sentinelle.
Il Capitano
si affidò ad una cima penzolante per arrampicarsi sulla
fiancata del suo veliero, attese che i due mettessero i piedi sul ponte
e li strigliò aspramente, imbracciando il timone: - Allora,
vuol dire che vi mangerete il fegato! Non intendo girovagare per altri
spregevoli porti per arruolare altri insulsi smidollati! –
fece una pausa, socchiuse per un secondo gli occhi nerissimi, poi li
riaprì guardando l’orizzonte come avesse potuto
azzannarlo: - Voglio trovare lei.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** II: Proud and loneliness ***
Salve
cari lettori! Aggiornamento lampo, dati i miei tempi standard, per
questa nuova fanfiction!^^ Ammetto che mi sta prendendo molto e non
vedo l'ora di farvi conoscere tutti le idee strampalate che mi sono
frullate in testa per scriverla!XD
Comunque in questo primo capitolo entra in scena la grande protagonista
della storia, Bulma! Spero di averla trattata bene, troverete dei toni
un po' più introspettivi e una sottile vena di
comicità dalla quale non riesco ad esimermi, mio malgrado.
Molti dettagli che forse non capirete vi assicuro che saranno chiariti
man mano che il racconto procede.
Intanto ringrazio un mondo chi ha commentato il precedente capitolo,
chi ha inserito la storia tra le seguite o tra le preferite, oltre a
tutti coloro che hanno semplicemente letto o lo faranno in futuro.
Ribadendo la mia totale apertura a commenti, consigli, critiche, vi
lascio alla lettura!
A presto!)
II:
PROUD AND LONELINESS
Lei era lì, ritta e fiera come una polena, con
lo sguardo perso tra le onde imporporate dal tramonto.
Si reggeva saldamente alla ringhiera del castello di poppa, pensierosa
e inaccessibile.
I suoi lunghi capelli castani, raccolti disordinatamente in una
treccia, fluttuavano insieme ai lembi del nastro di seta rosa che li
teneva attaccati. Gli occhi blu come zaffiri non lasciavano trasparire
alcun sentimento, nonostante poco prima avesse esultato gioiosamente
per il nuovo successo ottenuto, mentre le sue labbra rosse erano appena
dischiuse in un sorriso lieve e indeciso.
Sapeva di trovarla lì, com’era solita fare quando
tornavano dalla terraferma.
Lasciava alla chetichella i chiassosi festeggiamenti della ciurma
sottocoperta e risaliva sul ponte deserto, come a voler ridimensionare
l’euforia e la soddisfazione per l’ennesimo bottino
conquistato grazie alle sue conoscenze, al suo ingegno e alla sua
abilità a risolvere complicatissimi enigmi incrociando le
informazioni di astruse carte nautiche, terrestri e astronomiche.
Erano delle doti che, oltre al suo fascino prorompente, lo avevano
colpito sin dalla prima volta in cui l’aveva incontrata
qualche anno prima, in una locanda, nel bel mezzo di una rissa.
Dopo un vivace scambio di vedute e qualche bicchiere di troppo si era
ritrovato a fare a pugni contro tre o sei uomini (l’alcol di
quella sera tuttora gli annebbiava i ricordi precisi).
Allora aveva sfoderato tutta la sua grinta, forza e irruenza, mettendo
in pochi minuti al tappeto gli avversari. Lei lo aveva osservato a
lungo e infine gli si era avvicinata per complimentarsi e chiedergli se
voleva arruolarsi a bordo del suo brigantino, la Proudy Star.
In quel momento si era interposto collericamente il padrone della
locanda che, non avendo gradito di ritrovarsi sedie e tavoli rotti,
aveva preteso un risarcimento. Lei lo aveva squadrato con sufficienza e
infine aveva tirato fuori qualche pezzo d’oro e una vecchia
mappa, promettendogli che il covo là indicato lo avrebbe
ripagato dei danni.
Non aveva probabilmente neppure una trentina d’anni, ma
sembrava una donna esperta del mondo e soprattutto di diavolerie
tecniche.
La sua nave ne era piena: vele che si orientavano al sole e facevano
girare delle piccole eliche montate sotto la poppa, una ventina di remi
che riuscivano a supplire efficacemente la mancanza di correnti in
certe stagioni, trentacinque cannoni in grado di esplodere munizioni di
svariati calibri. E poi la sala nautica abbondava di singolari sistemi
di comparsa e scomparsa di tavoli, sedie, quadri e casseforti.
Era diventato il suo braccio destro, affiancandola in tante avventure,
e se ne era invaghito ogni giorno di più. Inutilmente,
almeno così lei gli aveva dato modo di pensare, senza
tuttavia scoraggiarlo.
Le si avvicinò con incedere silenzioso, pur sapendo che
probabilmente lo avrebbe avvertito: - Il cielo è limpido, il
vento ci è a favore, non c’è alcuna
vela sospetta all’orizzonte … E tu sei
più bella del solito – le sussurrò
caldamente, facendo scivolare le mani sulle sue spalle e poi sui
fianchi.
La ragazza inaspettatamente trasalì e si voltò di
scatto con un cipiglio risentito che raddolcì incrociando il
suo sorriso speranzoso: - Grazie, Yamcha – annuì
con accento vago e tranquillo, vedendolo incupirsi – State
all’erta e alla via così – gli
raccomandò schietta e beffarda rifilandogli una pacca, per
poi congedarsi bruscamente nella sua cabina, senza più
degnarlo di un’occhiata.
Il giovane brigante restò indispettito: - Sì,
Capitano – bofonchiò dirigendosi verso le scalette
del cassero, ma uno sprazzo di testardaggine lo indusse a tornare
rapidamente indietro e ad urlare adirato contro la sua porta: - Non
potrai continuare a scapparmi all’infinito, Bulma Brief!
Bulma, con amarezza e un pizzico di fastidio lo ignorò,
inserendo freneticamente due giri di chiave. Attese di sentire i suoi
passi che si distanziavano, poi iniziò a spogliarsi della
giubba, delle cinture e degli stivali, sprofondando sulla sua poltrona
preferita, di velluto viola con stampe di fiori tropicali, sollevando
le gambe e adagiandole su una cassa.
Negli ultimi mesi Yamcha aveva preso a corteggiarla in modo
più discreto rispetto ai primi tempi in cui
l’aveva assoldato, quando non perdeva occasione per cercare
di saltarle addosso senza ritegno o esternava in modo decisamente rozzo
il suo apprezzamento nei suoi riguardi.
Aveva sempre notato di non passare inosservata, ne aveva anche
approfittato talvolta per uscire fuori da qualche situazione scomoda,
ma certi atteggiamenti da parte della ciurma, di chi le stava
quotidianamente accanto, non poteva tollerarli.
Lo aveva messo in riga a forza di strigliate e duelli infuocati, lui le
obbediva senza discutere troppo, ma tutta questa remissività
era solamente di facciata: non lo aveva portato a desistere
più di tanto dal suo intento.
Era carino, simpatico, abbastanza valoroso come bucaniere, ma forse un
po’ troppo superficiale, incostante e talvolta pusillanime.
Dopotutto non aveva mai provato a lasciarsi andare completamente con
lui, lo aveva confinato a quel ruolo di aiutante, subordinato. Magari
conoscendolo meglio avrebbe scoperto qualche cosa di più sul
suo conto, qualcosa che avrebbe potuto farla ricredere sulle sue
convinzioni.
Si grattò furiosamente la testa, liberando la fluente e
appariscente chioma smeraldina da quella grossolana parrucca con cui si
era imposta di nasconderla, gettandola malamente in un angolo.
Ci stava ricascando ad abbandonarsi a quelle riflessioni senza senso!
Eppure sapeva bene quanto fosse inutile e penoso. Nessun uomo sano di
mente sarebbe stato disposto a restarle accanto, una volta scoperto il
suo peculiare segreto.
Nemmeno lui che professava spudoratamente di amarla tanto. Ne era
sicura.
E poi Yamcha aveva quel qualcosa … anzi a tutti gli effetti
gli mancava proprio quel
qualcosa! Quell’inspiegabile particolare potere
in grado di farle girare la testa e soggiogarla, perché in
fondo lei era sempre stata uno spirito libero e nessun uomo era mai
riuscito nell’ardua impresa di legarla a sé o
anche di farle considerare di volere trascorrere il resto della sua
vita con lui.
In quella condizione,
inoltre. No, era da escludere. Doveva riuscire ad esprimere quel
desiderio per poter sperare di progettare una vita normale.
Il flusso convulso dei suoi pensieri fu interrotto nel momento in cui
udì provenire dei violenti colpi di tosse dalla stanza
accanto. Sospirò flebilmente, scacciando via quegli
inafferrabili sogni e tutte quelle assurde considerazioni, rialzandosi
e dirigendosi di corsa verso il suo capezzale, facendo scappare il
gatto nero Scratch che se ne stava lì appollaiato.
- Scusami! Sono in ritardo! – si giustificò
mortificata, cercando concitatamente l’ampolla con le erbe
medicinali da sciogliere nell’acqua calda che già
qualcuno aveva portato, poggiando una brocca fumante sul piccolo
comodino.
L’anziano ometto si sforzò di sorriderle
placidamente: - Non fa niente, cara – ma un nuovo attacco di
tosse lo costrinse a piegarsi in due nel letto in cui era bloccato da
mesi.
Bulma si passò una mano sulla fronte sbuffando per il
dispiacere di vederlo così, quindi lo aiutò a
drizzarsi e a bere l’infuso. Dopo qualche minuto
l’uomo cominciò a respirare meglio, al che anche a
lei tornò il buonumore.
La ragazza rientrò in un lampo nella sua parte di cabina e
si ripresentò dal padre reggendo un piccolo scrigno di
bronzo con dei semplici motivi acquatici rifiniti in argento. Gli si
sedette accanto ridendo contenta e lo aprì: - E con questa
siamo a tre! Adesso ne mancano solamente altre due! –
affermò entusiasta, rimirando il luccicante tesoro.
Il genitore allungò appena il collo per sbirciarvi e scosse
la testa, dispiaciuto: - Bulma, ti ricordo che le sfere sono sette, non
cinque.
- Lo so padre – replicò lei facendogli
l’occhiolino – Ma so anche che due di esse sono in
possesso di Capitan Vegeta e che presto gliele ruberò
– sogghignò altezzosa, allontanandosi e riponendo
lo scrigno all’interno di un’intercapedine della
parete della sua stanza, nascosta dalla spalliera del letto.
La voce di suo padre la accompagnò nell’ambiente
confinante in cui si era ritirata, spiccando per il tono severo e
angosciato: - Non essere troppo avventata, figliola. Quello
è un delinquente spietato e imprevedibile. Meglio non averci
niente a che fare, se si può evitarlo.
Bulma non voleva deludere suo padre, ma nemmeno era intenzionata a
tirarsi indietro: aveva sentito storie svariate e terrificanti sul
conto di quel pirata sanguinario, ma la consapevolezza di quanto fosse
pericoloso, irragionevolmente, non faceva che pungolare la sua
ambizione di sfidarlo.
Si risedette di fronte al vecchio Brief: - Non posso sottrarmi
dall’incrociare la mia rotta con la sua, perché
quell’antipatico sta intralciando i miei piani –
gli rispose sprezzante, pettinandosi con le dita i lunghi capelli senza
smettere di guardarlo negli occhi chiari che restavano titubanti e
atterriti.
- È da quando ho coscienza che mi spendo in questa ricerca,
ed ora sono finalmente vicina a portarla a termine! –
insistette risoluta, alzandosi e girando in tondo, inorgoglita dalla
fiducia nelle sue capacità e
dall’impossibilità di soccombere.
Inoltre non le mancava un barlume di follia: - Ho già un
piano per tendergli una trappola … certo, la vecchia Proudy
ne pagherà lo scotto, ma ne varrà la pena!
Il signor Brief socchiuse le palpebre, stanco e rassegnato di fronte
all’esuberanza di quella strana figlia che era proprio
indomabile e irruenta come i flutti dell’oceano.
La ragazza gli si avvicinò imprimendogli un bacio leggero
sulla fronte e bisbigliandogli dolcemente: - Stai tranquillo. Ti
porterò in un posto sicuro.
Se ne andò prendendo la candela, attutendo il più
possibile lo scalpiccio sulle assi del pavimento e socchiudendogli la
porta.
Spostò la fiamma nella lampada agganciata ad una trave del
tetto e la sua attenzione si volse per un attimo
all’oblò che mostrava il cielo stellato in cui
stava per affacciarsi una splendida mezza luna. Si
inginocchiò a lato del baldacchino per trovare la leva che
trasformava il suo letto in una vasca, vi versò
dell’acqua che teneva in una piccola cisterna, aggiunse
qualche sale profumato e togliendosi il resto dei vestiti vi si immerse.
Presto era certa che quel rito serale avrebbe potuto compierlo per il
motivo più ovvio.
E che non avrebbe più dovuto portare quella scomoda e brutta
parrucca.
E che suo padre sarebbe guarito.
La leggenda era semplice e chiara: il drago avrebbe esaudito solo tre
desideri e lei doveva sceglierli bene. Non poteva pensare solo a se
stessa e non poteva richiedere cose futili.
Dopotutto aveva una certa età. O meglio era abbastanza
matura, in senso positivo.
Eppure quel Capitano Vegeta … Forse suo padre non parlava a
vanvera. Doveva fare molta attenzione con lui. Studiarlo, capirlo, e
solo allora poteva sperare di fregarlo.
Era pur sempre un uomo.
Un tipo che non temeva niente e nessuno, intelligente, astuto, crudele
e assetato di potere.
Così lo descrivevano in giro.
L’alleato ideale per un’impresa tanto spericolata.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** III: Memories ***
Ehilà! Ciurma!
Scusatemi molto per il ritardo! Ma tocco più porti e sono
riuscita a concludere questo capitolo solo oggi! In verità
l'ho pure accorciato e rivoluzionato rispetto a come doveva essere per
dare più spazio al terzo personaggio centrale della storia,
che non vi dico chi è, tanto l'ho scritto
nell'introduzione!^^
Ringrazio molto chi mi
segue o lo farà in futuro, i commenti di qualsiasi natura
sono sempre ben accetti!
Alla prossima!)
III:
MEMORIES
Spericolata.
Così, sin dall’infanzia, aveva immaginato che
sarebbe stata la sua vita: ogni giorno una scoperta, ogni giorno una
battaglia, un posto nuovo da esplorare, mille pericoli da superare per
crescere e fortificarsi, e un paio di buoni amici su cui sapere di
poter contare nei momenti più difficili.
Nonostante molti
avessero cercato di ostacolarlo, i suoi sogni, in gran parte, si erano
avverati.
Da orfanello di umili
origini qual era, all’accademia nautica gli era toccata una
strada in salita nei vari gradini che, da modesto cadetto, gli avevano
infine permesso di potersi fregiare del titolo di tenente di vascello.
Dopo anni di sacrifici affrontati con la genuina serenità e
l’instancabile volontà che lo contraddistingueva,
era riuscito ad entrare nella prestigiosa marina del Regno
dell’Ovest, vedendosi apprezzare dagli alti ufficiali con cui
aveva condiviso le esperienze di bordo per il coraggio disinteressato e
la profonda onestà.
Aveva inanellato una
serie di successi contro i fuorilegge del mare, non facendosene mai
vanto, al contrario, mostrando sempre un autentico senso di giustizia e
correttezza nei confronti degli avversari sconfitti. I suoi meriti
erano stati corroborati da svariate medaglie e riconoscimenti
ufficiali, e la sua fama di eroe audace e generoso dal cuore puro in
poco tempo lo aveva portato non solo ad essere prescelto per le
spedizioni più rischiose, ma anche ad essere introdotto
negli ambienti aristocratici più raffinati e importanti.
In una delle tante
sontuose feste commemorative cui era stato invitato, un paio
d’anni prima, gli era capitata una cosa, apparentemente di
poca rilevanza ma che invece gli aveva cambiato il destino. Per
superare l’imbarazzo di essere al centro
dell’attenzione degli ospiti, che se lo contendevano curiosi
di conoscerlo ed estorcergli racconti, si era fiondato sul succulento
banchetto che si trovava in fondo alla sala, inciampando in una
imprevista e bizzarra distrazione che in esigui secondi era stata
capace di distoglierlo da ciò che adorava di più:
il cibo.
Si trattava di una
ragazza mora dai grandi occhi scuri, brillanti e vivaci, la corporatura
minuta e aggraziata, i modi bruschi e spicci. Un tipino tutto pepe,
insomma, che più tardi aveva scoperto essere la figlia
dell’ammiraglio Giuma.
Agli inizi quella sua
esuberanza gli aveva ricordato modicamente una sua vecchia amica
d’infanzia, della quale aveva perso ogni contatto.
Senza che se ne
rendesse conto, col passare dei mesi, rivedendola e scambiando con lei
qualche parola, quando si recava all’ammiragliato o era
chiamato a prendere parte ad altre cerimonie, le si era affezionato.
Fra di loro era sbocciato un sentimento, così lei aveva
definito quel tenero legame cui lui non aveva saputo dare un nome, quel
bisogno che avevano talvolta di stare insieme lontano da altre persone,
chiacchierando e facendo lunghe passeggiate.
E adesso erano
sposati. Una situazione che ancora, a pensarci bene, non lo convinceva
del tutto, ma nemmeno gli dispiaceva completamente. In fondo lei si era
rivelata una ragazza seria, paziente e anche abbastanza simpatica,
quando non era in preda a crisi nervose ingiustificate.
Non poté
negare del tutto a se stesso che gli sarebbero mancate le sue ramanzine
sull’ordine e le buone maniere, e soprattutto i suoi sorrisi
radiosi e i pranzetti che si dilettava a preparargli personalmente,
nonostante avessero decine di camerieri.
Scostò
delicatamente la sua piccola mano dal suo torace muscoloso e si
soffermò per qualche secondo a spiare le sue espressioni nel
sonno. Inevitabilmente, però, il suo sguardo ben presto si
spostò sul suo ventre, su quella rotondità appena
accennata che miracolosamente custodiva il loro figlioletto. Sperava di
tornare in tempo da quella missione per vedergli emettere i primi
vagiti. Non aveva mai visto un neonato, la cosa lo incuriosiva
moltissimo.
Una tenue luce rosata
intanto aveva iniziato ad avvolgere la camera da letto. Il sole non si
era ancora alzato dal mare, eppure significava che stava tardando.
Questa considerazione lo indusse a non indugiare ulteriormente: con una
mossa, decisa e al contempo controllata, si sollevò dalle
comode e tiepide coltri, avanzando in punta di piedi verso
l’armadio per cercare la divisa arancio e blu da marinaio, la
sacca e la tracolla di cuoio con spada e moschetto
d’ordinanza. Disgraziatamente proprio quest’ultima
gli scivolò dalle mani, producendo un inconfondibile
clangore metallico a contatto con il pavimento di ceramica su cui
ricadde, scalfendolo.
Strizzò le
palpebre maledicendo mentalmente la sua imbranataggine.
- Goku?
Perché stai cercando di andare via come un ladro?
Il ragazzo si strinse
nelle spalle, voltandosi lentamente verso la giovane moglie che lo
fissava a braccia incrociate e con un sopracciglio inarcato.
Socchiuse la bocca,
che gli era rimasta spalancata per la vergogna, inviandole un sorriso
sincero e rassicurante: - Chichi! Amore! Ma cosa vai a pensare?!
– si scusò balbettando e congiungendo i palmi,
piegandosi leggermente sulle gambe – Volevo solo evitare di
svegliarti, è ancora molto presto! Prestissimo! E anche il
dottore ti ha detto che devi riposarti! – continuò
a discolparsi, ridacchiando e grattandosi la scomposta chioma bruna.
La donna
restò in un silenzio indecifrabile ad osservarlo, poi,
però, notando la giocondità che sprizzava dal
volto del marito, si convinse della sua innocenza. Certi pensieri
maliziosi non lo sfioravano mai: il suo peggiore difetto era quello di
essere autenticamente dedito al suo dovere militare, mettendolo davanti
a tutto il resto.
Sospirò,
ricacciando il malumore di quel brusco risveglio, e si alzò
anche lei dal letto: - Non me ne importa niente di quello che dice il
dottore. Io sto bene e non intendo lasciarti partire senza averti prima
preparato una sana colazione – sostenne accennando un
sorrisetto compiaciuto, infilandosi vestaglia e ciabattine e
raccogliendo con una forcina i lunghi e lisci capelli neri. Quindi lo
invitò con un cenno del capo ad avvicinarsi e lo prese a
braccetto: - Chissà quali schifezze sarai costretto a
mangiare nei prossimi mesi su quella bagnarola –
mormorò con un frammisto di sdegno e apprensione, mentre
scendevano le scale che conducevano al piano inferiore.
Dall’altro
capo dell’isola, ad alcune miglia di distanza da
quell’abitazione, poche ore prima, una scialuppa recante
cinque passeggeri aveva toccato la battigia. Con la
complicità dello scarso chiarore offerto
dall’incipiente albeggiare, il gruppetto era approdato e si
era diviso per le stradelle addormentate della cittadella portuale. Uno
di loro aveva imboccato una via parallela al molo principale ove erano
ormeggiate le navi della flotta reale, i restanti quattro, estraendo
delle ruote che convertirono in carrozza la barcaccia, si erano diretti
in cima al promontorio, laddove s’innalzava una grande villa
all’apparenza abbandonata che era stata una volta di
proprietà del guardiano del faro, prima che un violento
terremoto distruggesse il porto originario convincendo gli abitanti a
costruirne uno nuovo e più grande sfruttando la baia a sud.
Bulma ricordava ancora
molto vividamente quel periodo e quel posto poiché aveva
vissuto lì da piccola. L’antica dimora in gran
parte diroccata era ormai infestata da piante spontanee, ragnatele e
sporcizia nei piani rialzati, in compenso i vani sotterranei avevano
resistito meglio alle intemperie e mantenevano un aspetto
più confortevole.
I pirati della Proudy
Star avevano deciso tempo addietro di fissare lì il loro
covo segreto, nascondendovi piccole porzioni di bottino cui attingere
nelle eventuali fasi di ristagno della loro attività.
Poiché quel
luogo si era dimostrato immune ai pattugliamenti delle guardie e
all’interesse di indiscreti ficcanaso, il Capitano lo aveva
eletto a rifugio ideale per la convalescenza del padre.
- Qui potrai riposarti
e curarti in completa tranquillità – aveva
valutato soddisfatta, quando ebbero finito di ripulire ed ebbero
liberato le condotte per fare entrare l’aria –
Inoltre Lunch sarà sicuramente un’infermiera
migliore di me – aveva aggiunto sistemando gli effetti
personali del signor Brief.
In
quell’istante la fida domestica le era passata davanti
gettando in un angolo delle coperte che avevano sollevato della
polvere, solleticandole il naso e provocandole una serie di cambiamenti
repentini di personalità. “Tra uno starnuto e
l’altro” si era rammentata
sconsolatamente Bulma, scuotendo la testa. Fortunatamente lì
con loro sarebbe rimasto anche Tensinhan a limitare i danni. Ed era un
peccato che dovesse privarsene, perché era sempre stato uno
dei suoi migliori aiutanti.
- Senti, Bulma
– aveva iniziato a parlare rocamente l’anziano
inventore, carezzando il gattino che gli si era accoccolato sulle gambe
– Tu sei stata come una figlia per me. Ma quando troverai
tutte e sette le sfere del Drago, e so che ci riuscirai, devi
promettermi che penserai solo a te stessa. Io sono contento della mia
vita.
La giovane lo aveva
ascoltato in silenzio, a labbra serrate, e infine aveva annuito
solamente per non dispiacergli. Dentro di sé era risoluta a
non lasciarlo al suo destino.
Non aveva nessun altro
al mondo che la capisse e l’amasse come lui.
- Allora
tu non vieni al molo?
Chichi, immobile
sull’uscio di casa, mosse il capo in senso di diniego e si
limitò a scambiare un casto bacio con il marito, che la
salutò con la mano fin quando rimase sotto la sua vista.
Approntava sempre il pretesto di avere qualche commissione
irrinunciabile da sbrigare pur di non assistere alle sue partenze,
illudendosi che così lui non avrebbe capito che qualcosa le
si spezzava dentro ogni volta in cui lo sapeva intento ad avventurarsi
per mari ignoti, senza poter mai avere la certezza che sarebbe tornato
sano e salvo a scaldare le sue giornate con il suo ottimismo, la sua
dappocaggine e la sua spensieratezza.
Son Goku correva col
fiato grosso per le viottole scoscese e tortuose, scorgendo ad ogni
curva le vele arancioni della Speedy Cloud diventare sempre
più grandi e dunque vicine. Era davvero in ritardo e si
chiedeva come avrebbe potuto giustificarsi con i suoi superiori.
Inoltre, per colpa di quella corsa forsennata, lo stomaco gli
brontolava come non mai, non capiva se perché avesse
già smaltito l’abbondante colazione o al contrario
la stesse per rimettere.
Quella mattina i
contrattempi, per sua sfortuna, non avevano ancora terminato di
presentarsi.
Ad un incrocio non si
accorse subito di un carretto che gli tagliò la strada
andandoci a sbattere e dando occasione ad un lestissimo ladruncolo di
approfittarne per scipparlo, privandolo proprio della sacca contenente
documenti d’imbarco, vestiti di ricambio e preziosi strumenti
nautici. Iniziò a rincorrerlo lamentandosi per essere
ricaduto come un gattino troppo imprudente nell’ennesima
distrazione della giornata, e, dopo vari isolati, si trovò
di fronte ad un vicolo cieco, in cui di quello che gli era parso un
ragazzino non vi era traccia.
Si appoggiò
al muro di una casetta, inspirando ad occhi chiusi, ancora frastornato.
- Perso qualcosa?
– una voce dal timbro sottile e apparentemente femminile lo
riportò all’allerta.
Si sporse oltre il
pilastro e notò una figura di statura piccola e slanciata
vestita con abiti maschili ma che pareva avere le forme di una donna.
La misteriosa apparizione sollevò lo sguardo verso di lui e
allungò un braccio porgendogli la sua borsa con un sorriso.
- Gra …
grazie! – farfugliò Goku, abbassandosi
all’altezza dei suoi occhi per tentare di scrutarne i
lineamenti, oscurati dall’ombra della tesa del capello
vermiglio. La sconosciuta benefattrice a quel punto si sfilò
il copricapo mostrandogli apertamente la sua faccia.
- Ci conosciamo?
– insistette lui guardandola confuso.
- Sì!
– esclamò felice la ragazza, rabbuiandosi non
appena comprese che lui non aveva capito – Non mi riconosci,
Son Goku? – lo sollecitò facendosi più
vicina e sbattendo le ciglia.
Il giovane
arretrò: - Bu … Bulma?! –
sussurrò incredulo, non riuscendo ad opporsi al suo
improvviso caloroso abbraccio che lo travolse, accompagnato da
squillanti risate.
Giusto quella mattina
si era ritrovato a pensare a lei di sfuggita, gli era mancata parecchio
in tutti quegli anni.
– Ma
perché ti sei messa quella puzzola morta in testa?
Bulma si
staccò da lui offesa e lo fulminò con
un’occhiataccia: il suo buon amico non era cambiato, si
esprimeva sempre senza alcun tatto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** IV: Best friends ***
Buonasera,
ciurma! In prospettiva degli esami che si avvicinano ho deciso di
dedicare ogni momento libero all'aggiornamento di questa storia,
perchè vorrei arrivare a soddisfare la vostra
curiosità circa il modo in cui ho immaginato il primo
incontro tra i due protagonisti! Però vi avverto che ci
vorranno ancora almeno due capitoli!
Qui intanto ho ripreso il rapporto tra Bulma e Goku, approfondendo la
spiegazione del loro legame (che continuerò a sviluppare e
spiegare anche dopo). Piccolo appunto per la comprensione del capitolo:
vi ricordate quanti erano sulla scialuppa e come si sono divisi? Se no,
tornate a leggere il capitolo precedente...
Ringrazio le 11 persone che finora hanno messo tra le seguite, le 6 che
l'hanno messa tra le preferite, chi legge e chi commenta.
Spero di aver mantenuto l'Ic, se così non fosse
segnalatemelo!
A presto!)
ps: un ringraziamento anche alla mia disegnatrice personale VAleMPIRE
(mia sorella^-^) che ha realizzato il Goku versione tenente di vascello
che trovate in fondo alla pagina!
IV:
BEST FRIENDS
- I tuoi bellissimi capelli acqua marina …
Di fronte al volto tanto bonario e dispiaciuto del suo amico, Bulma
sentì sbollire l’irritazione suscitata da quella
battuta infelice che si era lasciato scappare senza cattiveria.
Trasse un respiro e inventò sul momento una spiegazione che
anche per lui risultasse convincente: - Bè ecco, vedi, quel
colore non piace a tutti gli uomini! Perciò preferisco
portare questa parrucca, che, per inciso, è stata molto
costosa! Altro che puzzola!
Goku ascoltò ammutolito e paralizzato il suo sfogo, infine
le si riavvicinò, sollevando gli angoli della bocca: -
Invece a me piacevano tanto …
La ragazza si stupì di quanto adesso il suo atteggiamento
sembrasse maturo e attraente. Lo aveva sempre considerato un bambinone,
per quanto non dimenticava la sua inclinazione a compiere grandi gesti
all’occorrenza che dimostravano la sua assennatezza.
Forse con la sua generosità e il suo candore sarebbe stato
l’unico ad accettare senza difficoltà la sua
doppia natura, eppure si era allontanata anche da lui …
- Hey, lo sai che mi sono sposato? – la voce acuta di Goku
troncò i suoi nostalgici pensieri, come un acquazzone
scoppiato d’estate dopo una mattinata di sole.
No, quello non se l’aspettava, reagì quasi
incoscientemente: - Davvero? Allora auguri e figli maschi! –
si congratulò, rispondendo con altre frasi di circostanza
mentre lui, continuando a ridere, le raccontava concitatamente alcuni
dettagli del suo matrimonio che per la sorpresa non riuscì
ad assimilare.
Pensò fosse stato un bene, dopotutto, che se ne fosse
andata: era rimasto com’era, non l’aveva corrotto,
anche se colse una sfumatura diversa nei suoi occhi scuri che
sprizzavano sempre luce e allegria, e per un attimo provò
una specie di imbarazzo: - Ma non mi chiedi come mai mi trovo qui?
– gli domandò con un sorriso furbo e indefinito a
fior di labbra.
- Già … Perché sei qui? –
ripeté lui a quel punto, effettivamente incuriosito dal suo
ritorno inatteso.
Bulma si voltò ammiccando, poi si inginocchiò e
raccolse un bauletto bronzeo poggiato per terra dietro di lei, premette
una serie di intarsi a rilievo finché, con una serie di
scatti, il coperchio si aprì e ne mostrò
all’amico il contenuto: - Urca! Ne hai trovate altre!
– esclamò il giovane marinaio, osservando
stupefatto le tre sfere giallo arancio che luccicavano
all’interno del cofanetto rivestito di velluto rosso.
- Proprio così – confermò compiaciuta
la piratessa – E vorrei che me le tenessi al sicuro. Lo
faresti? – lo esortò languidamente spingendogli lo
scrigno nelle mani.
Goku lo raccolse con circospezione, continuando a guardare
l’insolito enigmatico tesoro, quindi sollevò uno
sguardo preoccupato verso di lei: - Non è che le hai rubate?
La ragazza strabuzzò i begli occhi azzurri: - Rubate? No,
affatto! Suvvia! Ti pare che una fanciulla dolce e innocente come me
abbia la capacità di rubare? – cercò
ironicamente di dissuaderlo da quel legittimo sospetto, ma dal modo
severo con cui la fissava comprese che non era così tanto
ingenuo come spesso appariva, e infatti le restituì il
forziere contenendo una smorfia costernata.
- Bulma, so cosa sei diventata – pronunciò a
mo’ di rimprovero, sostenendo il suo sguardo con una fermezza
che quasi la fece sentire per la prima volta in colpa per quella
decisione. Ma non cedette.
- Quando giocavamo insieme anche tu desideravi la vita che ho scelto io
– si difese, approfittando di dover richiudere con una
complessa combinazione quella sorta di piccola cassaforte per non
scontrarsi con l’espressione di amarezza che campeggiava sul
suo viso.
Goku rimase impassibile: - Lo sai che non sopporto le ingiustizie. E i
pirati rubano e uccidono – asserì con disprezzo e
tristezza, anche se il suo accento era permeato da un tocco infantile.
Bulma sbuffò appena, parlandogli con tono sicuro, ma dando
ugualmente l’impressione di arrampicarsi sugli specchi: - Non
è vero. Non tutte e due le cose, almeno. Non tutti.
Il fresco tenente incrociò le braccia rimanendo perplesso,
tuttavia la sua amica sapeva che in realtà non aveva nulla
da temere da lui: le aveva già permesso di scappare un paio
di volte, pur avendo avuto l’occasione di catturarla in mare,
ed era certa che non l’avrebbe arrestata ora che si trovavano
a terra e teoricamente non era in servizio.
D’altra parte la pirateria non l’aveva scelta, era
stata una rotta obbligata: non poteva stare lontana dal mare e
dall’avventura, ma essendo una donna (o quasi) non sarebbe
mai stata accettata sulle navi della marina reale.
Non era da lei restare senza parole e si stupì che neanche
Goku fiatasse, continuando a fissarla dubbioso e insolitamente
inquieto: - Non le ho rubate. Sono frutto del sudore della mia fronte.
Te lo giuro – dichiarò sforzandosi di apparire
sincera com’era realmente, almeno su quel punto.
Il giovane ufficiale ponderò le sue affermazioni. Bulma era
sempre stata una ragazzina sveglia, testarda e volitiva, con
l’eccezionale capacità di imporsi in maniera molto
naturale sulla sua volontà, incantandolo con quegli occhi
che erano come spicchi di oceano, limpidi in superficie ma capaci di
custodire tanti segreti. E poi ricordava che aveva la cattiva abitudine
di dire bugie.
Sebbene quella capigliatura scura ne offuscasse un po’ la
fulgida bellezza, pensò che fosse diventata ancora
più carina e percepì di stare arrossendo,
azzardandosi a studiarne le forme ammorbidite dalla maturità
che trapelavano capricciosamente attraverso i pantaloni rosso scuro
attillati e infilati in lunghi stivaloni di cuoio marrone, e il
corsetto nero che le arginava la camicia ciclamino strategicamente
sbottonata fino al décolleté.
- D’accordo. Le terrò per te – convenne
sbrigativo, al termine di quello sconveniente dialogo silenzioso tra
occhi e corpo, mettendo il piccolo forziere sotto braccio.
La giovane donna annuì soddisfatta, e si schiarì
la gola: - Ehm … A proposito di pirati … Quanto
ne sai di Capitan Vegeta? – lo interrogò muovendo
qualche passo, simulando indifferenza.
Goku assottigliò lo sguardo mostrandosi lievemente turbato:
- Niente di più di quello che si racconta nei porti in cui
ha fatto scalo. Non l’ho mai incontrato … ma
perché ti interessa? – si preoccupò,
emettendo un singulto alla fine della domanda.
Bulma raccolse tutta la sfrontatezza di cui era dotata: - Io credo di
sapere come riuscire a trovarlo.
Il tenente trasecolò: aveva intuito che la cattura di quel
famigerato criminale era l’obiettivo della missione segreta
per cui l’avevano chiamato a partire con
l’equipaggio scelto della Speedy Cloud, la nave ammiraglia
della flotta reale.
- Vuoi consegnarlo alla giustizia? – boccheggiò
con un frammisto di felicità e spavento a cui lei non diede
risposta, arrovellandolo su un’ipotesi altrettanto
plausibile: - Oh, no! Vuoi riscattare la sua taglia! Urca! È
uno dei fuorilegge più ricercati del mondo! Sai quanto vale?
Ti ci potresti sistemare per tutta la vita con quel compenso
… - al termine di quell’incauta rivelazione si
tappò la bocca, ma all’amica di colpo brillavano
gli occhi.
- Dici sul serio? – non aveva mai tenuto ossessivamente alle
ricchezze, con i suoi rubacchiava quanto indispensabile per
procacciarsi un tenore di vita dignitoso e una fama rispettabile tra i
banditi del mare. Ciò non significava che disprezzasse il
denaro, però in quel momento non era il caso di perdersi in
simile fantasticherie.
- No, Goku, ascolta: hai proprio indovinato. Quel mascalzone mi sta
procurando dei fastidi non indifferenti e perciò ho deciso
di aiutarti a catturarlo – ammise con sagacia e scioltezza,
detestandosi per la facilità con cui aveva imparato a
mentire. Rischiò per un attimo di vacillare avendo di fronte
la persona forse più buona e corretta che avesse mai
conosciuto e che pareva credere fiduciosamente nella
veridicità delle sue intenzioni. Ciò nonostante,
inghiottì il disgusto per quel subdolo doppio gioco e
continuò la sua recita con faccia tosta: - Conosco la sua
prossima meta: Mari del Sud, Terra del Sole Morente. Seguite la mia
Proudy Star e lo buscherete indiscutibilmente … Tutto questo
a patto che tu tenga al sicuro le mie sfere.
Goku tornò a stendere i lineamenti, aggrottati dallo
sbigottimento di tutta quella storia. Iniziava a chiedersi se
l’avventuriera non gli stesse nascondendo qualcosa, ma il
rintocco delle campane di una chiesa vicina squarciò
l’aria annunciando che erano già sopraggiunte le
sette. Gli sfuggì un gemito mortificato. Si era
completamente lasciato assorbire da quell’incontro
dimenticando quanto fosse tardi per la sua partenza. Lo avrebbero
lasciato a terra, o peggio, l’avrebbero degradato a mozzo! Il
Capitano Muten gli era legato quasi come un padre adottivo, ma quando
si offendeva non lesinava di punirlo severamente.
- Grazie di tutto! Allora, addio! – salutò
concitato l’amica, pronto a scattare di corsa, ripercorrendo
mentalmente le possibili scorciatoie per il molo e incamminandosi a
passo sostenuto, con il cofanetto di bronzo sotto il braccio destro e
il fodero della spada che gli sbatteva sulla gamba sinistra.
- Addio e grazie a te! – gli gridò Bulma
– E non affannarti troppo, non partiranno senza il loro
valoroso tenente! – gli assicurò sardonica
sventolando il cappello.
Abbassò il braccio e gongolando uscì con
circospezione dal vialetto, vedendosi venire incontro il suo primo
ufficiale con un ghigno astuto dipinto sul volto abbronzato e solcato
da cicatrici. L’uomo le raccolse il copricapo dalla mano
risistemandoglielo galantemente sulla testa, quindi le porse il braccio
ed entrambi si avviarono al porto, badando a non destare sospetti nella
sparuta popolazione del posto che incrociarono lungo il cammino.
Una foresta di alberi spogli ricopriva il panorama della baia
meridionale della grande isola. Vi ormeggiavano velieri di varia
stazza, fattura e provenienza. Le imbarcazioni più piccole
dei pescatori avevano già preso il largo, ma la Speedy Cloud
aveva le vele arancioni ancora ammainate.
Sulla banchina principale il tenente Son Goku notò un
curioso affollamento di marinai e manovali che lo mise in agitazione.
Tentennò ad avvicinarsi, aspettandosi un meritato richiamo
disciplinare per la sua imperdonabile mancanza di
puntualità, inoltre non sapeva come occultare quello scrigno
che aveva accettato di prendere con sé a cuor leggero, non
sapendo neppure con certezza quale fosse il suo valore.
Bulma gli aveva fatto perdere completamente la testa ricomparendo
così come nulla fosse, dopo quasi dieci anni, col suo carico
di enigmi, sorrisi e promesse. Non riusciva a mantenere la sua consueta
tranquillità ripensandola. Gli aveva smosso qualcosa, era
come se alcuni pezzi non gli combaciassero più. Non aveva
ragionato nemmeno di chiederle notizie di suo padre. La madre sapeva
che era stata una brutta polmonite a portarsela via, mentre quel
gentile e geniale ometto era sparito misteriosamente con lei. Una volta
gli era giunta voce che durante un viaggio di lavoro, in cui aveva
portato con sé lei ancora bambina, fosse stato rapito da un
gruppo di bucanieri che lo avevano risparmiato scoprendo le sue
abilità di inventore, trasmesse alla figlia che ci aveva
preso gusto a vivere sotto le regole della filibusta.
Per fortuna su di lei non pendeva alcuna condanna a morte,
benché sarebbe stato suo dovere arrestarla perché
talune scorrerie le aveva compiute pure con la sua ciurma.
Sospirò. Non se la sentiva di essere lui il carnefice, le
voleva bene dopotutto e avrebbe rimandato sempre quella scomoda
incombenza, a costo di rimetterci la carriera.
Aprì sveltamente la borsa e ci ficcò dentro
forzatamente lo scrigno, poi se la riportò in spalla e,
assumendo un contegno innocente, si fece largo tra la folla. Prima che
riuscisse a chiedere spiegazioni a qualcuno, si sentì
strattonare la coda della giacca e si imbatté nel coetaneo,
nonché conoscente di vecchia data e guardiamarina della
Speedy, Crilin: - Alla buon’ora, amico! Ci stavi ripensando,
eh? Dì la verità!
Goku non seppe cosa ribattere e si limitò a ridacchiare,
discolpandosi dall’irriverente e tuttavia scherzosa
provocazione del collega.
Nel frattempo giunsero tra loro l’ammiraglio Giuma e il
capitano Muten: - Che strana scalogna! Non potremo partire prima di
domattina, ragazzo mio – brontolò
quest’ultimo dandogli una pacca e poi allontanandosi con la
fronte china e intrecciando nervosamente le dita.
- Qualche delinquente ha manomesso l’argano del timone della
Speedy Cloud! – fremette Crilin, spiegando il motivo di tanto
clamore al compagno di bordo che si guardava intorno smarrito.
Per un attimo gli parve di intravedere in prossimità di una
locanda di fronte a loro la sagoma di Bulma insieme ad un altro
sconosciuto, ma non disse niente.
- Oh, Goku! Puoi tornare a casa per oggi. Alla mia Chichi
farà piacere averti ancora qui –
mormorò intanto Giuma, camminando dietro il Capitano che
seguitava a borbottare invettive contro ignoti, garantendogli di aver
già provveduto a chiamare i migliori carpentieri e artigiani
navali per riapprontare la nave nel minor tempo possibile, e che aveva
già disposto di avviare indagini sullo strano caso.
Poco lontano da quel trambusto una coppia, inerpicandosi per una strada
in salita, si allontanava a bordo di un futuristico carro a propulsione
meccanica, dirigendosi a nord.
- Ottimo lavoro, Yamcha – sussurrò Bulma,
schioccando un bacio colmo di gratitudine sulla guancia del compagno,
che si inorgoglì per l’apprezzamento ricevuto
curvando gli zigomi in un sorriso ambizioso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** V: Hunting ***
Buon fine settimana, ciurma!
Come promesso, sono riuscita a completare un altro capitolo, e
finalmente ho fatto rientrare in scena il personaggio che tutti stavate
aspettando, credo!^^
Ebbene sì,
torna Vegeta! Spero che vi sia gradita la mia versione, il dubbio ooc
continua ad assillarmi! :S
Ho accennato
brevemente al suo passato e lasciato qualche indizio su un "problemino"
che lo affligge... Se non vi risulterà chiaro, non
preoccupatevi! Tornerò a spiegare entrambi gli aspetti!
Purtroppo vi annuncio che questo sarà l'ultimo capitolo che
pubblicherò prima della forzata pausa esame...
Quindi non so quando
aggiornerò, ma spero di trovarvi ancora numerosi!
Ringraziando axa 22 per
i consigli e l'incoraggiamento, LoveKath
per avermi fornito l'immagine che ho postato a fine capitolo, Federika21
per i commenti puntuali, oltre a tutti coloro che leggono la storia, la
mettono tra le seguite/preferite/ricordate, vi lascio alla lettura.
Alla prossima!)!
V:
HUNTING
Erano trascorse delle ore ma aveva ancora in circolo
l’adrenalina, la frenesia, la smania di dilaniare che gli
intossicava le vene quando mutava forma. Una sfibrante inquietudine che
destabilizzava la sua lucidità intellettiva, gravando sulla
sua indole innatamente intollerante e aggressiva.
Era reduce da una fra le notti più buie che ricorrevano
nella sua esistenza, un’oscurità insonne che lo
istigava ad errare freneticamente a caccia della sua unica fantomatica
preda.
La inseguiva da mesi, l’aveva cercata in tutti gli oceani e,
non trovandone mai traccia, la frustrazione stava iniziando ad
infiltrarsi come un morbo nel suo animo, irriducibilmente cinico ma
altrettanto caparbio da non tollerare l’ammissione di una
sconfitta e, al contrario, fremere più di prima per vincere
quella sfida che si consumava ad ogni novilunio.
Anche l’ultima notte l’aveva trascorsa a vagare nel
nulla delle tenebre, rabbioso, teso, affamato, finché
l’irrompere del sole aveva rimandato la prossima
possibilità di liberazione.
Un silenzio denso di aspettativa serpeggiava fra i velieri ancorati
nelle calette dell’Anello dei Ladri, il covo segreto
più frequentato dai peggiori banditi del mare,
così denominato perché si trattava di un piccolo
arcipelago di isolotti disposti a cerchio rispetto ad un promontorio
centrale. Al calar del tramonto quel luogo si animava di baldoria,
gozzoviglia, risse, eccessi e illegalità di ogni tipo,
mentre nelle prime ore del giorno assumeva l’aspetto di un
grande e più o meno pacifico mercato, in cui si scambiavano
e vendevano armi, persone, provviste, indiscrezioni.
L’asfissiante calura pomeridiana dei tropici occludeva il
respiro e tormentava la pelle rendendola umida e bruciante di sudore,
fiaccando il fisico e la volontà e inducendo i
più a scegliere di dedicarsi al riposo.
Per Capitan Vegeta che il vento soffiasse gelido o torrido era
indifferente, gli aspri sbalzi di temperatura dell’ingeneroso
clima marittimo gli erano entrati fin nel midollo e non lo scalfivano
di certo quanto, invece, stava cominciando fastidiosamente a fare
quell’insostenibile situazione.
“Bulma Brief
è passata di qui”.
Da una settimana quella frase e quel nome si stagliavano con impudenza
nel suo già turbolento e saturo rimuginare. Non sapeva
praticamente nulla di lei, eppure già la odiava. Odiava la
sola idea che il suo pensiero rubasse spazio e tempo ai suoi grandiosi
progetti di conquista, odiava il solo concetto che potesse esistere
qualcuno, una donna per giunta, in grado di instillargli il dubbio di
sentirsi sconfitto e raggirato ...
Neppure la vita grezza e sregolata del filibustiere aveva cancellato la
sua ascendenza aristocratica.
Era solo, sul suo maestoso galeone, abbarbicato sulla coffa
dell’albero maestro, la gamba destra distesa lungo la stretta
piattaforma semicircolare, l’altra piegata contro il petto,
lo sguardo fosco concentrato a librarsi fino ai limiti
dell’immensa distesa blu cobalto, l’unica visione
capace di restituire un minimo di rilassamento alla sua mente
estenuata, oppressa, piagata.
Lassù, al di sopra di tutti, lontano da tutti, dai loro
stolti giudizi, dalle loro inutili chiacchiere, vagheggiava la gloria
futura, la libertà totale, il potere assoluto.
Dentro di sé non aveva smesso di considerarsi un principe
spodestato, strappato ancora bambino al suo appagante destino regale da
quel crudele Capitano pirata rispondente al nome di Freezer. Aspirava
tuttora a riguadagnare l’onore e gli sfarzi che gli sarebbero
spettati se il suo stesso progenitore non l’avesse
sdegnosamente rinnegato, lasciandolo nelle grinfie dei corsari
piuttosto che piegarsi al loro ricatto criminale e acconsentire alla
cessione di quell’oggetto prezioso che si tramandava di
generazione in generazione nella loro famiglia.
D’altronde la sua condotta arrogante e ribelle gli aveva
già dato occasione di farsi detestare da suo padre,
convincendolo a ritenerlo inadatto a succedergli nel principato, ragion
per cui non aveva mosso un dito per salvarlo. Probabilmente aveva
perfino gioito per essersi liberato di un molesto impiccio, quale lo
considerava.
Quel Freezer non era neppure un uomo, piuttosto lo si poteva definire
un disgustoso scherzo della natura.
Sul suo tetro e fatiscente vascello era rimasto intrappolato per tutta
l’adolescenza, non gli aveva riservato un trattamento
migliore di quello impartitogli dal detestato capofamiglia, tuttavia
era stato un po’ come il suo mentore. Insensibile, subdolo,
inesorabile, lo aveva umiliato, prostrato e asservito ai suoi scopi,
ingannandolo e rendendolo inconsapevolmente più forte,
astuto, rancoroso, ambizioso, flemmatico.
Non gli era baluginato alcuno scrupolo di coscienza quando, assieme a
lui, era tornato al suo luogo natio, l’aveva messo a ferro e
fuoco e si era reintrodotto nella sua dimora, sottraendo la pregiata
sfera di cui nel frattempo aveva scoperto il reale valore. Tantomeno
aveva tentennato quando lo stesso giorno, finalmente, aveva inferto il
colpo di grazia a quell’esecrabile mostro, crivellando il suo
orrido corpo albino e deforme di fendenti e proiettili, per poi
prenderne il posto a capo della sua nave che aveva ribattezzato Bloody
Wench, apportandovi modifiche e migliorie.
Aveva tenuto con sé solo un paio di fedeli, tra cui Nappa e
Radish, e col loro aiuto si era sbarazzato degli altri figli di puttana
che si rifiutavano di obbedirgli.
Solo più tardi aveva scoperto che il suo sin troppo facile
regolamento di conti era valso a poco: con le sue malvagie e infide
macchinazioni Freezer lo aveva celatamente condannato ad attirarsi una
maledizione che ancora, nonostante i suoi sforzi, non era riuscito a
spezzare.
Il mare stava divenendo amaranto.
La sera prima aveva mandato i suoi uomini a svagarsi e a perlustrare il
territorio, e adesso ne attendeva impazientemente il ritorno. Un'altra
nottata lì non l’avrebbe passata, aveva promesso a
se stesso che si sarebbe vendicato di lei ed avrebbe proseguito senza
altri intoppi il suo viaggio.
Ad un tratto percepì delle voci e, sporgendosi dalla
ringhiera, scorse una quindicina di sagome indistinte muoversi sulla
passerella, precedute da quelle ben note dei suoi ufficiali.
Afferrò una cima, raggiunse le sartie e scese dalla
postazione della vedetta, atterrando sapientemente sulla tolda. I suoi
occhi corvini si caricarono di indignazione: - Che significa? Vi avevo
proibito di appestare la mia nave con altri rivoltanti morti di fame!
– sbraitò impugnando la pistola e controllando
rapidamente se i colpi in canna sarebbero stati sufficienti –
Dovevate solo reperire informazioni su quella, era tanto difficile da
ricordare? – insistette torvo, stringendo i denti,
socchiudendo una palpebra per prendere meglio la mira sulla prima
vittima designata, un uomo di mezza età vestito di stracci
ma discretamente muscoloso.
Radish, inaspettatamente, gli si parò davanti: - Siamo in
cinque, signore. Ci servono cannonieri e gabbieri – gli
rinfacciò, incrociando le braccia e investendolo con
un’occhiata di penetrante disapprovazione.
Vegeta sostenne impassibilmente il suo sguardo per qualche secondo, poi
emise un basso ringhio e gli voltò le spalle, rimettendo la
rivoltella nella fusciacca nera attorno alla vita, senza ammettere il
suo torto. Probabilmente aveva sparato a sproposito negli ultimi
giorni. Non gli era mai capitato di perdere il controllo
così stupidamente in passato. Non che gli importasse
qualcosa delle vite che aveva troncato, però quella
sottospecie di equipaggio aveva la sua utilità e lui doveva
sforzarsi di tollerarlo.
Frattanto Radish iniziò ad impartire loro istruzioni e il
Capitano, guardandoli di sbieco mentre gli passavano accanto, convenne
che almeno stavolta avevano scelto con cura quelli che apparivano
più prestanti ed efferati.
Nappa, vedendolo un po’ meno indispettito, colse il momento
per avvicinarlo e dargli la buona notizia: - Uno di questi babbei dice
di aver conosciuto quella – gli sussurrò,
facendogli segno di voltarsi verso destra.
Vegeta seguì la sua indicazione e incrociò la
buffa figura di un omuncolo i cui lineamenti tozzi e sgraziati
somigliavano più a quelli di un maiale che a quelli di un
essere umano:
- Saresti tu, il fortunato? – sogghignò in modo
ostile, sovrastandolo con la sua ombra.
Il piccoletto cominciò a tremare e farfugliare confusamente,
finché il Capitano non estrasse la sua spada e Nappa lo
agguantò per la collottola ributtandolo giù con
uno spintone:
- Parla, brutto stronzo! O vuoi che ti appendiamo per le budella?
- Eh, va bene! Non c’è bisogno di essere
prepotenti e volgari! – esclamò il mozzo, perdendo
subito la sua insolenza quando la lama aguzza del comandante gli
arrivò a sfiorare la gola.
- Bulma Brief è la figlia di un grande scienziato finito in
disgrazia, una che non sa stare mai ferma nello stesso posto, va sempre
a caccia di novità, e guai, dico io. Non so come abbia
fatto, ma ha ottenuto il comando di un brigantino, Proudy Star si
chiama, tre alberi, scafo ciano, vele bianche, trentacinque cannoni,
una ventina di remi e un mucchio di diavolerie che solo lei sa come e
quando mettere in funzione. La sua bandiera è viola, con un
delfino che impugna una sciabola sulla sinistra e una piccola
conchiglia simile ad una chiocciola a destra.
Vegeta ritrasse lentamente la spada, mantenendo lo sguardo accigliato
sull’informatore che aveva ancora il respiro affannato per la
paura: - C’è altro di rilevante che devo sapere?
Il goffo marinaio roteò gli occhi come a mostrare di
pensarci, poi si lasciò uscire un sorrisetto malizioso: -
È una gran figa, ma non la dà a nessuno!
L’omuncolo continuava a ridacchiare divertito, ma il volto
del suo interlocutore restava altero, impassibile e pensieroso. Con un
cenno d’intesa rivolto a Nappa si allontanò,
addentrandosi nella sua cabina, mentre quest’ultimo
accalappiò il malcapitato e, ignorando le sue petulanti
proteste, lo scaraventò fuoribordo, tra le onde che si
infrangevano schiumanti sulla banchina.
Per un pelo Oscar non ci restò secco: si aggrappò
come meglio poté agli scogli e risalì
faticosamente sulla terraferma, assistendo al graduale allontanamento
del galeone dalla costa.
Capitan Vegeta lasciò aperta la porta della sala nautica,
aggirò il tavolo che vi spiccava al centro, e si
fermò in piedi dinanzi all’ampia vetrata
prospiciente l’immutabile panorama marino.
Mollati gli ormeggi e issate le vele, Nappa e Radish lo raggiunsero,
attendendo nuovi ordini.
- La rotta già la sapete, è quella che
avevamo stabilito una settimana fa – li avvisò
girando leggermente la testa in direzione delle carte spiegate sul
tavolo, con accento scontroso e spazientito. Poi si voltò di
scatto e scagliò un pugnale proprio al centro delle mappe:
– Ma vi consiglio di applicarvi affinché arrivi
per primo, o vi giuro che stavolta la pagherete –
sibilò stringendo la mascella in un’espressione
bieca e intimidatoria.
I due si scambiarono un celere sguardo agguerrito, chinarono appena il
capo e si apprestarono ad uscire. Ma il Capitano aggiunse
un’altra richiesta:
- Ah … se dovessimo avvistare quell’infimo
brigantino, voglio essere informato prima di subito –
sentenziò inoppugnabile, serrando un pugno e tornando con
gli occhi sul mare.
Gli ufficiali, tacendo in segno di assenso, tornarono sul ponte
richiudendo la porta.
Vegeta si diresse verso la piccola cassaforte a parete, la
aprì quel tanto che bastava ad intercettare il tenue
bagliore della sfera, e la sigillò nuovamente, reinserendo
la combinazione.
Si accomodò sulla sua poltrona, volgendola di fronte alla
vetrata.
E i pensieri tornarono a ruotare attorno a lei, che doveva trovarsi a
poche leghe da lì.
Odiava quella donna, e adesso desiderava ardentemente averla tra le
mani, per farle passare la voglia di provocarlo.
Voleva avere modo di umiliarla, soggiogarla, torturarla, obbligarla a
scrivere sul ponte della sua nave, con il suo stesso sangue, quella
frase impertinente con cui aveva osato infilarsi nelle sue riflessioni,
dare il tempo al fluido scarlatto di incrostarsi e costringerla a
ripulirlo con la lingua.
Se fosse stata realmente anche abbastanza avvenente, si sarebbe
concesso il lusso di divertirsi un po’. L‘avrebbe
violata e seviziata ripetutamente, dopo di che l’avrebbe
ammazzata comodamente, poco per volta, facendola patire come una mosca
in un bicchiere, consegnando alfine il suo corpo esangue e sfigurato
alle profondità degli abissi.
Dondolava, a tempo con le onde. Non immaginava che la sua discreta
amorevole presenza le sarebbe mancata così tanto. La cabina
sembrava più grande e terribilmente vuota. Neanche quel
piacevole movimento ondulatorio riusciva a rilassarla come al solito.
Troppe congetture si affastellavano nella sua mente, si sentiva
soffocare. Si stava impelagando con avventatezza in un sentiero
estremamente paludoso, mettendo a rischio tutto ciò che
aveva.
Indubbiamente avrebbe avuto ancora la possibilità di tornare
indietro, ma a che pro?
Avrebbe conservato la pelle, il che non era poco. Però i
suoi sogni non si sarebbero mai avverati.
Bulma cambiò fianco, imprimendo un’oscillazione
più decisa all’amaca.
I ragionamenti si stavano ingarbugliando troppo. Era in preda ad
un’acuta crisi di panico, e non era il momento più
opportuno. Non aveva senso, non era successo niente, ancora.
Doveva essere pronta da tempo a quell’inevitabile incontro:
fredda e determinata.
Aveva un nome da difendere e una missione da compiere. E quello era
solo un pirata rozzo e attaccabrighe come tanti altri. Non era nessuno,
lei non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno!
Udì un ticchettio provenire dallo scrittoio, scese esitante
dall’amaca, e, buttando fuori un lungo soffio di fiato,
inspirò a fondo per calmarsi. La bussola cerca-sfere stava
segnalando qualcosa. Accostò il viso alla prodigiosa
invenzione di cui andava fiera, la sollevò dalla scrivania e
rimase ad osservare con attenzione le oscillazioni dell’ago.
La assalì un’improvvisa tremarella: a poppa,
dietro di loro, anche se non ancora visibile, si stava approssimando il
pirata che, aveva compreso, non avrebbe mai voluto sfidare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** VI: Playing cat and mouse ***
Contro ogni aspettativa, sono
riuscita ad aggiornare prima del previsto, nonostante domani abbia un
esame!
Questo capitolo
è finora il più pieno d'azione, userò
molti termini nautici ma non scoraggiatevi se la lettura vi
risulterà un po' complessa! Ho posto in fondo una
piccola legenda!
E vi anticipo che
arriverà finalmente il momento che tutti stavate
aspettando...^^
Nel rigraziare tutti
coloro che mi seguono, vi lascio alla lettura!
Al prossimo approdo!)
VI:
PLAYING CAT AND MOUSE
L’orizzonte
era limpido e vuoto, nient’altro che una massa
d’acqua sconfinata che si confondeva con il cielo azzurro del
mattino, riflettendone le rade nuvole soffici e bianche.
Bulma si
scostò dalla finestra e prese a camminare in tondo e poi
avanti e indietro rispetto alla scrivania. Eppure il ticchettio della
bussola cerca-sfere continuava imperterrito ad infilarsi nelle sue
orecchie, suggerendole che non erano da soli in quel tratto di mare.
Si sedette buttando
via la parrucca che sembrava opprimere ulteriormente il suo
già concitato ragionare, quindi si concentrò a
studiare le asticelle dell’aggeggio da lei stessa assemblato
anni addietro con l’aiuto del padre. E solo allora
notò come quelle lancette avessero un andamento quantomeno
sospetto: erano sette, una per ogni sfera. Tre di esse erano
sovrapposte e variavano sensibilmente angolazione simultaneamente:
designavano quelle che aveva affidato a Goku. Altre due giravano a
vuoto, una sola era fissa, mantenendosi a nord rispetto alla loro
rotta, ossia dietro di loro, mentre l’ultima aveva deviato
l’inclinazione più verso nord est.
Tirò fuori
da un cassone delle carte nautiche, vi poggiò la bussola e
tracciò approssimativamente le direzioni da questa
individuate. Controllò ancora per qualche minuto con cura
tutti i calcoli e le stime, ma infine il suo intuito le
indicò che doveva esserci una sola soluzione sensata al
dilemma: quelle sfere potevano non essere in possesso alla stessa
persona, il che significava l’ipotetica presenza di un terzo
contendente.
Gettò
un’ulteriore occhiata alle asticelle che ticchettavano vicine
ma separatamente e si convinse che doveva essere proprio
così. Ora avrebbe dovuto vedersela con due avversari. Il suo
ottimismo iniziava a vacillare, ma confidava che avrebbe trovato il
rimedio anche per quell’imprevisto. Un passo alla volta,
doveva mantenere la lucidità. Più facile a dirsi
…
Intanto
dall’esterno sentì gradualmente aumentare il
tramestio sul ponte, la nave aveva superato la velocità di
crociera e gli uomini si scambiavano frasi mozze e alterate.
Non poteva
più evitare l’inevitabile.
L’inseguimento era iniziato.
La ragazza
indossò nuovamente la parrucca, passando davanti ad uno
specchio a scomparsa montato dietro la porta che, girando una
rotellina, tornò ad essere occultato da un pannello ligneo,
legò ai fianchi la cinta con la fondina e la bussola, e
uscì sulla balconata del castello di poppa. Parte della
ciurma era appesa sui pennoni, intenta a sbrogliare le vele al vento,
altri pirati si sporgevano dalle murate appiccando sguardi allarmati a
poppa, altri ancora, che erano rimasti confusi e inerti, alla sua
apparizione finsero di essere occupati a fare qualcosa o si dileguarono
sottocoperta.
Bulma si
avviò al timone, dove trovò il suo vice
affannarsi a manovrare e distribuire ordini.
- Spiegate bene il
velaccio! E issate quei fiocchi!
- Che sta succedendo,
Yamcha? – lo richiamò, oltraggiata dalla sua
valida ma insubordinata presa di iniziativa.
Il giovane non
badò al tono indisponente del Capitano e le rispose con
gravità, senza mollare le maniglie: - Dai colori si direbbe
che quella è la Bloody Wench. La nave di Capitan Vegeta!
La piratessa
inforcò il cannocchiale, diede le spalle alla prora e
cercò di individuare il temuto veliero. In meno di un minuto
lo avvistò a tre quarti di tribordo: un galeone enorme
dotato di quattro alberi, le vele nere e per bandiera un tridente che
trafiggeva un cuore gocciolante su sfondo giallo.
- Prima di quando
pensassi – mormorò indietreggiando fino a sbattere
contro la schiena del suo ufficiale – Ma che stai facendo?
– lo rimproverò subito dopo, sentendogli impartire
altri comandi all’equipaggio.
- Abbiamo il vento in
poppa, possiamo seminarli! – la ragguagliò lui con
un sorriso soddisfatto che si affievolì non appena
incrociò il suo cipiglio contrariato – Non
vorremmo farci prendere, giusto? – ribatté
sconvolto.
La donna si
appropriò estemporaneamente del timone: - Sì,
invece. Desidero incontrarlo – lo folgorò tesa -
Tirate dentro i remi! Togliete tre mani ai terzaroli!
Yamcha
lasciò ciondolare le braccia lungo i fianchi osservandola
inebetito mentre invertiva i saggi comandi che aveva proferito poco
prima lui, poi si esacerbò: - Sei pazza, Bulma! Quello
lì non è uno che scherza! – la
ammonì angosciato, lanciandosi di nuovo sul timone per
tentare di strapparglielo dal controllo, con ben poco successo.
- Yamcha! Non sei
stato tu a riferirmi che quello lì ha assalito un reame
sperduto e desolato solo per rubare una sfera? –
protestò lei, aggrappandosi perfino con le gambe alla ruota
per non permettergli di contrastarla.
- Sì.
Così dicono … una vera strage –
confermò il filibustiere annaspando, voltandosi appena per
valutare la lontananza del vascello nemico che li aveva già
quasi a portata di cannone.
- Se ne ha presa una,
vuol dire che sa e che vuole le altre, come noi –
asserì la piratessa, rilasciandogli il timone per
ricontrollare anche lei la sagoma scura attraverso la lente del
cannocchiale.
Yamcha continuava a
guardarla stordito, in attesa di nuove disposizioni che non tardarono a
giungere: - Bracciate il pennone. Facciamolo giocare un po’
al gatto e al topo, a fasi alterne.
Il primo ufficiale
boccheggiò ancora più disorientato: - Scusa, ma
non ti seguo.
La ragazza smise di
sogghignare, arrestandosi in cima alle scalette del cassero: - Meglio
averlo come alleato che come nemico – asserì con
incerto accanimento, abbassando gli occhi.
Yamcha
imprecò, affidò il suo posto ad un marinaio di
passaggio e la raggiunse tirandola per un polso: - Questo non me
l’avevi detto – stridette rancoroso ad un palmo dal
suo viso.
Bulma
risollevò ritrosamente le iridi turchine sul volto
accalorato del collega: - Ci sono tante cose che non sai di me
… - gli rispose in un bisbiglio esasperato e rattristato che
lo turbò.
Si udì un
boato e una palla di cannone sfiorò la fiancata di tribordo:
- Braccia in trinchetto! Sbrigatevi! – urlò
perentoria il Capitano Brief, impedendo al compagno di indugiare in
altri sconvenienti interrogativi.
- Li
stiamo staccando! – si spolmonò Nappa,
nell’istante in cui la Bloody Wench doppiò la
prora della Proudy Star.
- Pescano molto meno
di noi e sono più veloci. Come mai continuano a perdere
nodi? – borbottò a bassa voce un fremente Capitan
Vegeta, studiando dal cassero di prua le mosse
dell’avversario. Non credeva nel destino né nella
buona sorte, e infatti aver incrociato quel brigantino gli pareva una
coincidenza sin troppo fortuita. Inoltre aveva la sensazione che quella
donna stesse continuando a prenderlo in giro: gli stava sfuggendo, ma
aveva rallentato, l’aveva quasi colpita, però non
aveva impiegato l’artiglieria per difendersi, ed ora tornava
a veleggiare più spedita di prima e ce l’avevano
alle calcagna.
- Cambiate le mure.
Virare a sinistra! Non mi interessa staccarli ma averli a portata di
tiro! – gridò sporgendosi dall’ala di
plancia – Cannoni in caccia e mirate agli alberi! Non
possiamo rischiare di affondarla o perderemo anche le sfere!
Nappa dalla tolda
ripeté l’ordine alla ciurma, mentre Radish che gli
era vicino ripose scettico il cannocchiale: - Forse hanno una falla
– ipotizzò data l’incostante navigazione.
Vegeta
ruotò la testa irritato: - Prega che non sia così
o ti mozzo una mano – lo minacciò sfiorando
l’elsa. Non gli era sfuggito che le cannonate che aveva fatto
partire erano state troppo prossime alla chiglia.
Il secondo di bordo
inghiottì lo smacco e ritornò alle batterie: -
Avete sentito, topi schifosi! Un po’ di vita!
Le due navi, governate
dalle abili manovre dei loro capitani, si rincorsero e si sfidarono
finché toccarono la stessa velocità e si
ritrovarono bordo a bordo.
Dal galeone si
sprigionò subito una potente bordata che divelse i pennoni e
spezzò mezzana e bompresso, travolgendo una decina di uomini
che vi finirono sotto, schiacciati dal loro peso.
- Preparate le armi e
sguinzagliate il fegato, femminucce! – incitarono la ciurma
gli ufficiali di Vegeta.
A quel punto una palla
incatenata fu sparata contro l’albero maestro della Proudy
Star, escludendo qualsiasi speranza che potesse essere riapprontata per
fuggire all’abbordaggio.
- Quelle belve ci
massacreranno tutti! – sussultò Yamcha
terrorizzato, prendendo la mira con un moschetto contro gli aggressori
che stavano arrivando.
Bulma osservava
impotente l’accostamento incombente della Bloody Wench,
rintanata dietro di lui: - Oh, piantala di essere disfattista, Yamcha!
Sono qui per la nostra stessa ragione: le sfere! – gli
ricordò simulando un sangue freddo che la sua voce stridula
smentiva miseramente. Deglutì riassumendo un tono impavido:
– Perciò non appena ci assalgono approfitta della
confusione, fiondati sulla loro dannata nave e vagliele a rubare! Ti
copro io – lo incalzò energica, stringendogli con
forza un braccio e guardandolo intensamente e fiduciosamente.
- Continuo a non
capirti. Se vogliamo farcelo amico perché devo andare a
derubarlo? – obiettò il complice, dopo aver
interrotto malvolentieri quell’agognato contatto.
Il Capitano
sospirò nascondendo il volto tra le mani per quello che le
sembrò un ulteriore vigliacco ripensamento da parte del suo
luogotenente, che dimostrava una volta di più di non avere
la sua stessa mente strategica.
La pressione degli
assalitori stava diventando indiavolata, una pioggia di rampini,
fiocine e pallottole si stava riversando su di loro, e il frastuono
degli spari e degli urti metallici confondeva azioni e parole.
Il pirata comprese che
non c’era un attimo da perdere. Bulma era arguta,
imprevedibile e un po’ fuori di testa, ma dopotutto la
adorava anche per questo: - Posso avere almeno un bacio, prima di
andare? – osò domandarle con vanagloriosa
noncuranza, allungando le labbra verso di lei.
La piratessa gli
sorrise suadente, afferrandogli il mento con una mano e respingendolo:
- Te ne prometto due
se torni col trofeo – gli assicurò con un furbo
occhiolino.
A
quell’allettante sollecitazione Yamcha scattò con
un balzo e la salutò spavaldo portandosi indice e medio
sulla fronte, per poi svanire tra i combattimenti.
Bulma
avanzò carponi fino al timone e vi si nascose palpitante, in
attesa del momento propizio per richiamare l’attenzione dei
suoi e far caricare gli archibugi.
Capitan Vegeta
saltò su una sartia e, rimanendovi appeso, lanciò
un lungo sguardo indagatore sul ponte del brigantino tinto di celeste,
tentando di individuarne il comandante, tuttavia, nella foga dei
proiettili che sfrecciavano da una murata all’altra, alzando
fumo, schegge, schizzi di sangue e brandelli di vestiti, i suoi sensi
non riuscirono a cogliere altro che caos e polvere.
All’improvviso
uno strillo starnazzante, quindi decisamente femminile, si
impennò sul vociare degli scontri, ripetendo un ordine
inequivocabile: - Fuoco a volontà!
Non seppe focalizzare
il punto preciso da cui il comando si era perpetrato. Si
voltò, coprendosi la faccia con un braccio, ma ne
restò investito anche lui. I cannoni della nave della Brief
sputarono dei pallini particolari che, a contatto con il bersaglio, si
aprirono rilasciando un’indefinita sostanza collosa,
maleodorante e corrosiva.
- Che diavolo
è questa merda?! – si sentì avvampare e
dovette svestirsi febbrilmente della giacca che ne era quasi del tutto
macchiata e si stava disciogliendo. La gettò a mollo e si
accinse a scendere dalla sartia per gettarsi lui stesso
all’arrembaggio, quando un bruciore atroce gli
bloccò il braccio destro e allora notò che la
misteriosa essenza urticante gli era penetrata nel tessuto della
camicia. Senza perdere tempo tirò con forza la manica
strappandola via e constatò che, fortunosamente, la pelle
era rimasta intatta al contagio. Ringhiò tra sé,
appigliandosi ad una cima, notando che molti dei suoi erano rimasti
impantanati in quell’acido appiccicoso. Si lanciò
sulla nave avversaria, valutando su chi scatenare per primo la sua
rabbia assassina e non gli ci volle molto a centrare
l’obiettivo.
- Siamo a
corto di capsule esplosive, signora.
- Non importa.
Bulma osservava
soddisfatta il prodotto devastante delle sue cannonate: molti pirati
non erano neppure riusciti ad arrivare sulla sua Proudy Star, solo i
più temerari e agguerriti si erano inoltrati a bordo e
sapeva che la cercavano. Angustiata da tale constatazione, si
acquattò sotto il timone e, attraverso le colonnine di legno
della balconata, scorse Yamcha. Era tornato, aveva le tasche piene e
vibrava la spada con la solita maestria, eppure l’avversario
con cui si stava battendo lo faceva apparire assurdamente goffo e
inoffensivo.
Da quella distanza ne
poté apprezzare solo alcuni tratti distintivi: i capelli,
neri come le tenebre, avevano la foggia di una fiamma ed erano
trattenuti da una bandana rossa come il fuoco che doveva ardergli
l’animo assetato di sangue, non era molto alto
però il suo fisico ben proporzionato era un fascio di nervi
e muscoli che scalpitavano con misurata ferocia, intercettando ed
aggredendo i punti deboli del suo rivale.
Yamcha stava cedendo,
ciò nonostante gli diresse un vigoroso affondo che
l’aitante moro parò senza difficoltà,
rifilandogli una testata e poi un potente calcio sotto la cintola con
cui lo prostrò definitivamente, facendolo stramazzare a
terra inerme e singhiozzante.
Vegeta
calcò violentemente un piede sul torace dello sciagurato
squadrandolo con disprezzo e con una sciabolata gli tagliò
le tasche della giubba da cui fuoriuscirono monete, mappe, gioielli e
perfino due candelabri d’argento: - Come ladruncolo non te la
cavi male, ma con la spada sei davvero scarso – lo
denigrò caustico, facendo oscillare la lama sul suo viso e
mimando di trafiggerlo al cuore.
Bulma capì
che il suo amico era seriamente in pericolo, ma il terrore che le
incuteva la brutalità del tenebroso filibustiere la teneva
attaccata alla sua posizione. Yamcha era spacciato, e lei non aveva mai
imparato ad usare armi di alcun tipo, sebbene sapesse idearle e
costruirle.
Le si contorcevano le
budella al solo figurarsi la brutta fine cui lo stava condannando a
causa del suo sventurato piano. Si sfiorò la pancia e a quel
punto le dita si strinsero attorno alla sua recente invenzione che non
aveva ancora messo alla prova.
Scattò
sulle gambe e, arrampicandosi alla sottile balaustra, studiò
un modo per raggiungere rapidamente i due. A malincuore si rese conto
che ce n’era solo uno. Tese il braccio verso una fune
malferma cui si affidò chiudendo gli occhi. Dopo aver
volteggiato nel vuoto, urlando a squarciagola per lo spavento di
cadere, riuscì a dominare le fluttuazioni piombando
miracolosamente in posizione eretta proprio tra il suo primo ufficiale,
che era ancora disteso, senza nemmeno schiacciarlo, e di fronte
all’ombroso pirata con la bandana rosso vivo.
Yamcha, ancora
dolorante, approfittò del momento di stallo, per rotolare e
trascinarsi poco lontano, scansandosi
l’eventualità di restare coinvolto
nell’imminente duello.
Mentre aveva il fiato
mozzo e accelerato per l’angoscia, a Bulma sgorgò
spontaneamente una risatina nervosa per avercela fatta, a dispetto
della sua convinzione di non avere alcuna dimestichezza con
l’azione.
Ma, non appena
sollevò il viso, lo sguardo torbido e fugacemente divertito
dell’aggressore, che brandiva una lama bagnata di sangue, le
fomentò irregolari e convulse palpitazioni che le scossero
il petto.
- Vi stavo aspettando,
donna.
E questo
dovrebbe essere più o
meno il Vegeta che si trova davanti la nostra Bulma! (Ringrazio mia
sorella
per averlo disegnato!)
|
|