Undisclosed desires

di Fanny Jumping Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I: Cheated! ***
Capitolo 2: *** II: Proud and loneliness ***
Capitolo 3: *** III: Memories ***
Capitolo 4: *** IV: Best friends ***
Capitolo 5: *** V: Hunting ***
Capitolo 6: *** VI: Playing cat and mouse ***
Capitolo 7: *** VII: Risky choices ***
Capitolo 8: *** VIII: Confronting the enemy ***
Capitolo 9: *** IX: Sparks ***
Capitolo 10: *** X: Misunderstandings ***
Capitolo 11: *** XI: A shadow from the past ***
Capitolo 12: *** XII: Nightmares ***
Capitolo 13: *** XIII: Revelations ***
Capitolo 14: *** XIV: Water and fire ***
Capitolo 15: *** XV: Pieces to join ***
Capitolo 16: *** XVI: Debts and revenges ***
Capitolo 17: *** XVII: In the heart of the storm ***
Capitolo 18: *** XIX: We are partners, aren’t we? ***
Capitolo 19: *** XVIII: On stranger tides ***
Capitolo 20: *** XX: Escaping from underground (part I) ***
Capitolo 21: *** XXI: Escaping from underground (part II) ***
Capitolo 22: *** XXII: Secretly ***
Capitolo 23: *** XXIII: A rewritten past ***
Capitolo 24: *** XXIV: Can't fight the moonlight ***
Capitolo 25: *** XXV: Two much ***
Capitolo 26: *** XXVI: Under pressure ***
Capitolo 27: *** XXVII: Quicksand ***
Capitolo 28: *** XXVIII: Mending, bending, planning ***
Capitolo 29: *** XXIX: One way or another ***
Capitolo 30: *** XXX: Caught in the trap ***
Capitolo 31: *** XXXI: Falling ***
Capitolo 32: *** XXXII: A dangerous mistake ***
Capitolo 33: *** XXXIII: A crowdy party ***
Capitolo 34: *** XXXIV: Trouble ***
Capitolo 35: *** XXXV: The fleeting moment ***
Capitolo 36: *** XXXVI: (Dis)Agreements ***
Capitolo 37: *** XXXVII: Hostages ***



Capitolo 1
*** I: Cheated! ***


Salute a tutti! Dopo aver composto una brevissima flashfic (Un anno ancora) mi accingo a tornare in punta di piedi in questa sezione con una storia ben più corposa che, pur avendo come protagonisti principali la coppia Vegeta/Bulma, racchiuderà un pò tutti i personaggi catapultandoli in un universo alternativo di stampo piratesco. L'idea nasce dall'aver scoperto l'esistenza di un manga crossover tra Dragon Ball e One piece (Cross Epoch), da cui però prenderò le distanze, ispirandomi più che altro a film e libri di genere avventuroso/fantasy.
Non avendo mai letto il manga originale ed essendomi avvicinata all'anime per la prima volta dall'autunno scorso (e non avendolo ancora visto tutto!), spero di riuscire a rendere comunque giustizia ai personaggi senza stravolgerli troppo! In ogni caso sono aperta a critiche e consigli, sia attraverso le recesioni sia, se vi va, attraverso la pagina scrittore che ho creato su Facebook, che potete raggiungere anche dai bottoni della mia pagina personale qui su efp.
Augurandomi di riuscire a incuriosirvi e divertirvi, vi lascio alla lettura!

Alla prossima!


UNDISCLOSED DESIRES

Undisclosed-desires
I: CHEATED!

La massiccia ancora di ferro affondò rapidamente nella sabbia umida e sottile del bagnasciuga con un tonfo pesante, sollevando schizzi d’acqua salata fino alle teste irsute dei bucanieri, pronti a gettarsi nella carneficina e nella razzia del lido appena assaltato, con le spade sguainate e svariate munizioni nelle bisacce.
Dalla fiancata di tribordo dieci cannoni, sui venti che la armavano, sbucarono con prepotenza dai portelloni dello scafo color mogano, sputando rabbiosamente delle palle incendiarie che andarono a distruggere le cime degli alberi più alti, propagando un incendio che avvolse e distrusse la lussureggiante vegetazione dell’isoletta tropicale.
Uccelli variopinti e altre esotiche piccole creature tentarono una fuga disperata da quell’inferno di fiamme e fumo, che in pochi minuti aveva arrossato e intossicato l’atmosfera tersa e tranquilla.
Le loro urla straziate e sempre più soffocate si diramarono fino al ponte dell’imponente galeone, graffiando e inebriando le orecchie del Capitano con il loro tetro sentore di morte.
Terra bruciata, sterminio di ogni forma di vita che non meritava di respirare la sua stessa aria. Ogni essere che intralciava i suoi piani era un nemico da eliminare, senza scrupoli. Presto avrebbe dominato su tutti gli altri che avrebbero avuto l’intelligenza di sottomettersi servilmente e saggiamente alla sua indiscussa superiorità.
E si sarebbe crogiolato in quello stato di onnipotenza per moltissimi anni, fino alla fine dei tempi. Avrebbe avuto tutto e tutti nelle sue mani: il mare, i tesori, gli uomini.
Imperatore del mondo.
Un sorriso superbo si dipinse sul suo viso mentre sfiorava la superficie liscia e rotondeggiante del prezioso oggetto dal quale, una volta ricongiuntolo con i suoi analoghi, sarebbe derivato il suo potere.
- A quanto pare quest’isola è disabitata – commentò deluso in quel momento il suo primo ufficiale, conservando con un grugnito il cannocchiale nella custodia di stoffa appesa alla cintola, lisciandosi il cranio calvo e tatuato.
Il secondo di bordo gli si affiancò scuotendo la lunga zazzera nera e incolta, dopo aver smesso di fissare con avidità la foresta nella vana speranza che ne uscisse fuori qualche sagoma più alta di un metro: - Che disdetta! Non avremo sporchi indigeni da massacrare!
Entrambi sputacchiarono un’altra sequela di imprecazioni, restando con gli occhi piantati allo spettacolo eccitante del fuoco assassino che continuava a divorare la morfologia del luogo, rendendola irriconoscibile.
La voce tagliente e apatica del comandante li ammutolì: - Poco male se non c’è nessuno da ammazzare. Il nostro tempo qui è limitato.
A quella dichiarazione si voltarono di scatto, afferrando appena la sua figura atletica e scattante che saltava giù dal vascello reggendosi ad una cima.
Nappa e Radish si affrettarono a gettarsi sulla spiaggia dove stava arrogantemente vessando l’indolenza degli altri marinai che erano rimasti fermi, incitandoli a riporre spade e pistole e a munirsi di pale e picconi, guidandoli lungo uno stretto e accidentato sentiero che girava attorno una bassa scogliera di basalto.
Gli scalmanati manigoldi della sua ciurma non digerivano affatto quel tipo di lavoro. Erano assassini, mercenari. Combattere, depredare, uccidere, far scorrere il sangue, sentire e vedere il terrore impregnare anima e corpo degli avversari fino a prostrarli: questo li aveva spinti a imbarcarsi su una nave pirata.
Ma gli ordini del Capitano non si contestavano. Quando in passato si erano azzardati a polemizzare sulle sue decisioni sciagurate, lui li aveva affrontati con una tale foga e ferocia da sopprimere indiscutibilmente la tentazione di ripetere una simile audacia, anche perché avevano subito una cocente sconfitta nello scontro che ne era sorto.
Sebbene quell’uomo fosse fisicamente quasi la metà di loro, era dotato di una forza straordinaria che, unita alla sua impressionante destrezza, parimenti con le armi da taglio e da fuoco, all’assoluta mancanza di umanità, alla brama di sangue e allo spirito vendicativo, lo rendevano un combattente imbattibile e un tipo da non prendere mai sottogamba, o peggio da cercare di fregare.
Soltanto compiacendolo e ossequiandolo senza battere ciglio potevano aspirare, forse, a ricevere parte della favolosa ricompensa che sarebbe derivata da quella noiosa e misteriosa ricerca in cui li aveva trascinati da qualche tempo.
E non era neanche detto che sarebbe stato disposto a graziare entrambi.
Nappa e Radish, attraversati da questi pensieri, si guardavano in cagnesco mentre annaspavano sotto il sole rovente in coda al gruppetto di quella sottospecie di individui, manovali più che veri marinai, reclutati a poco prezzo e certamente sostituibili, anche se al momento indispensabili, perché loro non intendevano abbassarsi a simili compiti degradanti.
Il percorso era divenuto sempre più angusto e scosceso, la sabbia aveva lasciato il posto ad un tappeto di sassi aguzzi ricoperti da uno strato melmoso di alghe che rendeva il sentiero doppiamente insidioso. D’un tratto il comandante arrestò la marcia, fermandosi davanti a quello che appariva come l’antro di una grotta semisommersa. Ammiccò, fermandosi in attesa che lo raggiungessero, ed essi compresero che sarebbe toccato a loro condurre all’interno i disgraziati che avrebbero dovuto spezzarsi la schiena e rischiare la pelle per scavare.
Dovettero tenere costantemente lame e moschetti puntati sulle loro teste perché vincessero la ritrosia di doversi infilare in quel buio cunicolo, simile al ventre di una balena, più pieno d’acqua che d’aria, con le pareti frastagliate da sporgenze di rocce talmente appuntite da strappare la carne se non evitate in tempo.
L’insolita combinazione di pareti vulcaniche e calcaree, rivestite da conchiglie e coralli, creava dei fantastici e spettrali riflessi di luce che conferivano una sembianza quasi irreale al posto.
Dopo qualche metro gli esangui raggi di sole stavano estinguendo il loro potere di rischiarare la spelonca di cui non si intravedeva ancora il fondo, e gli uomini si adoperarono perciò ad accendere le lampade che avevano portato con loro, semplici campane di vetro contenenti delle candele che proiettavano giochi di ombre altrettanto inquietanti.
Anche il Capitano ne reggeva una e, a un certo punto, a sorpresa, sbucò, recuperando la testa della fila che aveva rallentato la marcia, imponendo silenziosamente di proseguire fino alla fine della cavità naturale, nonostante l’acqua continuasse ad alzarsi sensibilmente oltre i loro stivali.
Aveva ispezionato passo dopo passo ogni rientranza, foro, increspatura della caverna, spiando continuamente le possibili variazioni di luminescenza della piccola sfera che teneva ben nascosta dentro una sacca appesa alla cintura. D’altronde quelle stupide carte indicavano solo l’ubicazione generica di quel tesoro perduto e disperso da anni, la natura non si era certo preoccupata di renderlo facilmente raggiungibile.
Nella sua mente, inoltre, si stava insinuando la fastidiosa sensazione che non fosse l’unico ad aver intrapreso la caccia di quelle sfere …
- Provate qui. Ma fate attenzione a non andarci troppo forte o potreste rompere anche ciò che cerchiamo – ordinò sbuffando, accorgendosi di una sorta di sedile roccioso su cui avrebbe potuto sedersi nell’attesa snervante che dal picconare della ciurma uscisse qualcosa. Con un paio di colpi di pistola ne smussò le parti più appuntite e vi si sistemò, incrociando le braccia con un’espressione composta e al contempo minacciosa.
Radish cominciò ad inveire contro i marinai che scavavano senza troppa convinzione: - Più veloci! Più veloci, luride carogne! Abbiamo meno di tre ore prima che questo fottuto posto torni sotto il livello del mare! – sbraitò brandendo un gatto a nove code con cui li sferzò, uno ad uno.
L’altro pirata, baffuto e privo di capelli, si mise a gridare e malmenare gli uomini impegnati in un diverso punto: - Ci vorranno altri sei mesi perché le condizioni siano di nuovo propizie, e state pur certi che il Capitano vi lascerà su questa landa desolata nel frattempo!
Capitan Vegeta sogghignò divertito. Quei due erano patetici nel loro palese tentativo di ingraziarselo mostrandosi tanto ligi al dovere, ma sapeva bene quanto fossero ancora alquanto scettici sul reale potere delle sfere del Drago.
Tornò a contemplare l’unica che era già in suo possesso: apparentemente sembrava nient’altro che una biglia di vetro ambrato, ma al suo interno c’erano sette piccole stelline rosse che indicavano la presenza di altre sei sfere identiche sul pianeta. Quando si trovavano vicine emettevano una forte luce. Anche quella che possedeva si era illuminata poco prima che giungesse su quell’isola remota, ma adesso pareva essere tornata opaca. Iniziò a dubitare sulla possibilità di aver tracciato la giusta rotta, non era da lui, però, concedersi il pensiero di avere torto. Non poteva ammetterlo a se stesso, non poteva assolutamente trasmettere quell’insicurezza a chi lo seguiva.

- Capitano Vegeta! Abbiamo trovato qualcosa!

Si riscosse, alzandosi lentamente, come a non mostrare il sollievo per avere udito quelle parole, seppure vi avesse colto uno strano retrogusto preoccupato. Strinse i pugni e camminò con calma fino a dove si erano fermate le rischiose operazioni di scasso.
I pirati timorosamente si aprirono a cerchio reggendo le torce, per permettergli di guardare quello che avevano scoperto.
La parete rocciosa in quell’area era più chiara e tenera e qualcuno aveva avuto la vanità di imprimervi, scalfendola, una frase derisoria: “Bulma Brief è passata di qui!”
Il significato era ormai lampante: non era il solo a bramare quelle sfere, ma quell’affronto così impertinente proprio non lo sopportò: - Ancora quella dannata puttana! È già la seconda volta che arriva prima di me! Non è possibile! – si lasciò scappare a gran voce dalle labbra, contraendo allo spasmo tutti i muscoli. In quell’istante avrebbe preferito sparire piuttosto che dover affrontare gli sguardi meschini della ciurma.
Impugnò sveltamente le due pistole celate nelle fondine e, voltandosi verso il manipolo di uomini rimasti immobili alle sue spalle, aprì senza avvertimento il fuoco, trucidandone crudamente la maggior parte, mentre rincorse quelli agonizzanti finendoli a fil di spada.
Solo i suoi ufficiali, abbassandosi e scansandosi, riuscirono a scampare alla tempesta di metallo e furore che aveva fatto tremare tutto, riecheggiando tetramente per parecchi secondi nell’aria assieme alle urla lancinanti delle vittime.
Vegeta si ricompose, rinfoderando le armi scariche e la sciabola insanguinata, poi passò tra i corpi senza vita urtandoli con fastidio, puntando rapidamente all’uscita: - Non c’è più niente da fare qui. Torniamo alla Bloody Wench – asserì atono, tradendo tuttavia della bruciante collera.
Nappa e Radish gli tennero dietro come cagnolini, soltanto quando furono fuori e a molti metri dalla caverna, il primo osò parlare: - Cosa facciamo? Siamo rimasti solo in dieci, voi compreso – osservò cautamente, mentre il collega richiamava quei superstiti cui si riferiva, che erano stati lasciati volutamente a bordo come sentinelle.
Il Capitano si affidò ad una cima penzolante per arrampicarsi sulla fiancata del suo veliero, attese che i due mettessero i piedi sul ponte e li strigliò aspramente, imbracciando il timone: - Allora, vuol dire che vi mangerete il fegato! Non intendo girovagare per altri spregevoli porti per arruolare altri insulsi smidollati! – fece una pausa, socchiuse per un secondo gli occhi nerissimi, poi li riaprì guardando l’orizzonte come avesse potuto azzannarlo: - Voglio trovare lei.

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Capitolo 2
*** II: Proud and loneliness ***


Salve cari lettori! Aggiornamento lampo, dati i miei tempi standard, per questa nuova fanfiction!^^ Ammetto che mi sta prendendo molto e non vedo l'ora di farvi conoscere tutti le idee strampalate che mi sono frullate in testa per scriverla!XD
Comunque in questo primo capitolo entra in scena la grande protagonista della storia, Bulma! Spero di averla trattata bene, troverete dei toni un po' più introspettivi e una sottile vena di comicità dalla quale non riesco ad esimermi, mio malgrado. Molti dettagli che forse non capirete vi assicuro che saranno chiariti man mano che il racconto procede.
Intanto ringrazio un mondo chi ha commentato il precedente capitolo, chi ha inserito la storia tra le seguite o tra le preferite, oltre a tutti coloro che hanno semplicemente letto o lo faranno in futuro.
Ribadendo la mia totale apertura a commenti, consigli, critiche, vi lascio alla lettura!

A presto!)


II: PROUD AND LONELINESS

Lei era lì, ritta e fiera come una polena, con lo sguardo perso tra le onde imporporate dal tramonto.
Si reggeva saldamente alla ringhiera del castello di poppa, pensierosa e inaccessibile.
I suoi lunghi capelli castani, raccolti disordinatamente in una treccia, fluttuavano insieme ai lembi del nastro di seta rosa che li teneva attaccati. Gli occhi blu come zaffiri non lasciavano trasparire alcun sentimento, nonostante poco prima avesse esultato gioiosamente per il nuovo successo ottenuto, mentre le sue labbra rosse erano appena dischiuse in un sorriso lieve e indeciso.
Sapeva di trovarla lì, com’era solita fare quando tornavano dalla terraferma.
Lasciava alla chetichella i chiassosi festeggiamenti della ciurma sottocoperta e risaliva sul ponte deserto, come a voler ridimensionare l’euforia e la soddisfazione per l’ennesimo bottino conquistato grazie alle sue conoscenze, al suo ingegno e alla sua abilità a risolvere complicatissimi enigmi incrociando le informazioni di astruse carte nautiche, terrestri e astronomiche.
Erano delle doti che, oltre al suo fascino prorompente, lo avevano colpito sin dalla prima volta in cui l’aveva incontrata qualche anno prima, in una locanda, nel bel mezzo di una rissa.
Dopo un vivace scambio di vedute e qualche bicchiere di troppo si era ritrovato a fare a pugni contro tre o sei uomini (l’alcol di quella sera tuttora gli annebbiava i ricordi precisi).
Allora aveva sfoderato tutta la sua grinta, forza e irruenza, mettendo in pochi minuti al tappeto gli avversari. Lei lo aveva osservato a lungo e infine gli si era avvicinata per complimentarsi e chiedergli se voleva arruolarsi a bordo del suo brigantino, la Proudy Star.
In quel momento si era interposto collericamente il padrone della locanda che, non avendo gradito di ritrovarsi sedie e tavoli rotti, aveva preteso un risarcimento. Lei lo aveva squadrato con sufficienza e infine aveva tirato fuori qualche pezzo d’oro e una vecchia mappa, promettendogli che il covo là indicato lo avrebbe ripagato dei danni.
Non aveva probabilmente neppure una trentina d’anni, ma sembrava una donna esperta del mondo e soprattutto di diavolerie tecniche.
La sua nave ne era piena: vele che si orientavano al sole e facevano girare delle piccole eliche montate sotto la poppa, una ventina di remi che riuscivano a supplire efficacemente la mancanza di correnti in certe stagioni, trentacinque cannoni in grado di esplodere munizioni di svariati calibri. E poi la sala nautica abbondava di singolari sistemi di comparsa e scomparsa di tavoli, sedie, quadri e casseforti.
Era diventato il suo braccio destro, affiancandola in tante avventure, e se ne era invaghito ogni giorno di più. Inutilmente, almeno così lei gli aveva dato modo di pensare, senza tuttavia scoraggiarlo.
Le si avvicinò con incedere silenzioso, pur sapendo che probabilmente lo avrebbe avvertito: - Il cielo è limpido, il vento ci è a favore, non c’è alcuna vela sospetta all’orizzonte … E tu sei più bella del solito – le sussurrò caldamente, facendo scivolare le mani sulle sue spalle e poi sui fianchi.
La ragazza inaspettatamente trasalì e si voltò di scatto con un cipiglio risentito che raddolcì incrociando il suo sorriso speranzoso: - Grazie, Yamcha – annuì con accento vago e tranquillo, vedendolo incupirsi – State all’erta e alla via così – gli raccomandò schietta e beffarda rifilandogli una pacca, per poi congedarsi bruscamente nella sua cabina, senza più degnarlo di un’occhiata.
Il giovane brigante restò indispettito: - Sì, Capitano – bofonchiò dirigendosi verso le scalette del cassero, ma uno sprazzo di testardaggine lo indusse a tornare rapidamente indietro e ad urlare adirato contro la sua porta: - Non potrai continuare a scapparmi all’infinito, Bulma Brief!
Bulma, con amarezza e un pizzico di fastidio lo ignorò, inserendo freneticamente due giri di chiave. Attese di sentire i suoi passi che si distanziavano, poi iniziò a spogliarsi della giubba, delle cinture e degli stivali, sprofondando sulla sua poltrona preferita, di velluto viola con stampe di fiori tropicali, sollevando le gambe e adagiandole su una cassa.
Negli ultimi mesi Yamcha aveva preso a corteggiarla in modo più discreto rispetto ai primi tempi in cui l’aveva assoldato, quando non perdeva occasione per cercare di saltarle addosso senza ritegno o esternava in modo decisamente rozzo il suo apprezzamento nei suoi riguardi.
Aveva sempre notato di non passare inosservata, ne aveva anche approfittato talvolta per uscire fuori da qualche situazione scomoda, ma certi atteggiamenti da parte della ciurma, di chi le stava quotidianamente accanto, non poteva tollerarli.
Lo aveva messo in riga a forza di strigliate e duelli infuocati, lui le obbediva senza discutere troppo, ma tutta questa remissività era solamente di facciata: non lo aveva portato a desistere più di tanto dal suo intento.
Era carino, simpatico, abbastanza valoroso come bucaniere, ma forse un po’ troppo superficiale, incostante e talvolta pusillanime.
Dopotutto non aveva mai provato a lasciarsi andare completamente con lui, lo aveva confinato a quel ruolo di aiutante, subordinato. Magari conoscendolo meglio avrebbe scoperto qualche cosa di più sul suo conto, qualcosa che avrebbe potuto farla ricredere sulle sue convinzioni.
Si grattò furiosamente la testa, liberando la fluente e appariscente chioma smeraldina da quella grossolana parrucca con cui si era imposta di nasconderla, gettandola malamente in un angolo.
Ci stava ricascando ad abbandonarsi a quelle riflessioni senza senso! Eppure sapeva bene quanto fosse inutile e penoso. Nessun uomo sano di mente sarebbe stato disposto a restarle accanto, una volta scoperto il suo peculiare segreto.
Nemmeno lui che professava spudoratamente di amarla tanto. Ne era sicura.
E poi Yamcha aveva quel qualcosa … anzi a tutti gli effetti gli mancava proprio quel qualcosa! Quell’inspiegabile particolare potere in grado di farle girare la testa e soggiogarla, perché in fondo lei era sempre stata uno spirito libero e nessun uomo era mai riuscito nell’ardua impresa di legarla a sé o anche di farle considerare di volere trascorrere il resto della sua vita con lui.
In quella condizione, inoltre. No, era da escludere. Doveva riuscire ad esprimere quel desiderio per poter sperare di progettare una vita normale.
Il flusso convulso dei suoi pensieri fu interrotto nel momento in cui udì provenire dei violenti colpi di tosse dalla stanza accanto. Sospirò flebilmente, scacciando via quegli inafferrabili sogni e tutte quelle assurde considerazioni, rialzandosi e dirigendosi di corsa verso il suo capezzale, facendo scappare il gatto nero Scratch che se ne stava lì appollaiato.
- Scusami! Sono in ritardo! – si giustificò mortificata, cercando concitatamente l’ampolla con le erbe medicinali da sciogliere nell’acqua calda che già qualcuno aveva portato, poggiando una brocca fumante sul piccolo comodino.
L’anziano ometto si sforzò di sorriderle placidamente: - Non fa niente, cara – ma un nuovo attacco di tosse lo costrinse a piegarsi in due nel letto in cui era bloccato da mesi.
Bulma si passò una mano sulla fronte sbuffando per il dispiacere di vederlo così, quindi lo aiutò a drizzarsi e a bere l’infuso. Dopo qualche minuto l’uomo cominciò a respirare meglio, al che anche a lei tornò il buonumore.
La ragazza rientrò in un lampo nella sua parte di cabina e si ripresentò dal padre reggendo un piccolo scrigno di bronzo con dei semplici motivi acquatici rifiniti in argento. Gli si sedette accanto ridendo contenta e lo aprì: - E con questa siamo a tre! Adesso ne mancano solamente altre due! – affermò entusiasta, rimirando il luccicante tesoro.
Il genitore allungò appena il collo per sbirciarvi e scosse la testa, dispiaciuto: - Bulma, ti ricordo che le sfere sono sette, non cinque.
- Lo so padre – replicò lei facendogli l’occhiolino – Ma so anche che due di esse sono in possesso di Capitan Vegeta e che presto gliele ruberò – sogghignò altezzosa, allontanandosi e riponendo lo scrigno all’interno di un’intercapedine della parete della sua stanza, nascosta dalla spalliera del letto.
La voce di suo padre la accompagnò nell’ambiente confinante in cui si era ritirata, spiccando per il tono severo e angosciato: - Non essere troppo avventata, figliola. Quello è un delinquente spietato e imprevedibile. Meglio non averci niente a che fare, se si può evitarlo.
Bulma non voleva deludere suo padre, ma nemmeno era intenzionata a tirarsi indietro: aveva sentito storie svariate e terrificanti sul conto di quel pirata sanguinario, ma la consapevolezza di quanto fosse pericoloso, irragionevolmente, non faceva che pungolare la sua ambizione di sfidarlo.
Si risedette di fronte al vecchio Brief: - Non posso sottrarmi dall’incrociare la mia rotta con la sua, perché quell’antipatico sta intralciando i miei piani – gli rispose sprezzante, pettinandosi con le dita i lunghi capelli senza smettere di guardarlo negli occhi chiari che restavano titubanti e atterriti.
- È da quando ho coscienza che mi spendo in questa ricerca, ed ora sono finalmente vicina a portarla a termine! – insistette risoluta, alzandosi e girando in tondo, inorgoglita dalla fiducia nelle sue capacità e dall’impossibilità di soccombere.
Inoltre non le mancava un barlume di follia: - Ho già un piano per tendergli una trappola … certo, la vecchia Proudy ne pagherà lo scotto, ma ne varrà la pena!
Il signor Brief socchiuse le palpebre, stanco e rassegnato di fronte all’esuberanza di quella strana figlia che era proprio indomabile e irruenta come i flutti dell’oceano.
La ragazza gli si avvicinò imprimendogli un bacio leggero sulla fronte e bisbigliandogli dolcemente: - Stai tranquillo. Ti porterò in un posto sicuro.
Se ne andò prendendo la candela, attutendo il più possibile lo scalpiccio sulle assi del pavimento e socchiudendogli la porta.
Spostò la fiamma nella lampada agganciata ad una trave del tetto e la sua attenzione si volse per un attimo all’oblò che mostrava il cielo stellato in cui stava per affacciarsi una splendida mezza luna. Si inginocchiò a lato del baldacchino per trovare la leva che trasformava il suo letto in una vasca, vi versò dell’acqua che teneva in una piccola cisterna, aggiunse qualche sale profumato e togliendosi il resto dei vestiti vi si immerse.
Presto era certa che quel rito serale avrebbe potuto compierlo per il motivo più ovvio.
E che non avrebbe più dovuto portare quella scomoda e brutta parrucca.
E che suo padre sarebbe guarito.
La leggenda era semplice e chiara: il drago avrebbe esaudito solo tre desideri e lei doveva sceglierli bene. Non poteva pensare solo a se stessa e non poteva richiedere cose futili.
Dopotutto aveva una certa età. O meglio era abbastanza matura, in senso positivo.
Eppure quel Capitano Vegeta … Forse suo padre non parlava a vanvera. Doveva fare molta attenzione con lui. Studiarlo, capirlo, e solo allora poteva sperare di fregarlo.
Era pur sempre un uomo.
Un tipo che non temeva niente e nessuno, intelligente, astuto, crudele e assetato di potere.
Così lo descrivevano in giro.
L’alleato ideale per un’impresa tanto spericolata.


Bulmabath

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Capitolo 3
*** III: Memories ***


Ehilà! Ciurma! Scusatemi molto per il ritardo! Ma tocco più porti e sono riuscita a concludere questo capitolo solo oggi! In verità l'ho pure accorciato e rivoluzionato rispetto a come doveva essere per dare più spazio al terzo personaggio centrale della storia, che non vi dico chi è, tanto l'ho scritto nell'introduzione!^^

Ringrazio molto chi mi segue o lo farà in futuro, i commenti di qualsiasi natura sono sempre ben accetti!

Alla prossima!)


III: MEMORIES

Spericolata. Così, sin dall’infanzia, aveva immaginato che sarebbe stata la sua vita: ogni giorno una scoperta, ogni giorno una battaglia, un posto nuovo da esplorare, mille pericoli da superare per crescere e fortificarsi, e un paio di buoni amici su cui sapere di poter contare nei momenti più difficili.
Nonostante molti avessero cercato di ostacolarlo, i suoi sogni, in gran parte, si erano avverati.
Da orfanello di umili origini qual era, all’accademia nautica gli era toccata una strada in salita nei vari gradini che, da modesto cadetto, gli avevano infine permesso di potersi fregiare del titolo di tenente di vascello. Dopo anni di sacrifici affrontati con la genuina serenità e l’instancabile volontà che lo contraddistingueva, era riuscito ad entrare nella prestigiosa marina del Regno dell’Ovest, vedendosi apprezzare dagli alti ufficiali con cui aveva condiviso le esperienze di bordo per il coraggio disinteressato e la profonda onestà.
Aveva inanellato una serie di successi contro i fuorilegge del mare, non facendosene mai vanto, al contrario, mostrando sempre un autentico senso di giustizia e correttezza nei confronti degli avversari sconfitti. I suoi meriti erano stati corroborati da svariate medaglie e riconoscimenti ufficiali, e la sua fama di eroe audace e generoso dal cuore puro in poco tempo lo aveva portato non solo ad essere prescelto per le spedizioni più rischiose, ma anche ad essere introdotto negli ambienti aristocratici più raffinati e importanti.
In una delle tante sontuose feste commemorative cui era stato invitato, un paio d’anni prima, gli era capitata una cosa, apparentemente di poca rilevanza ma che invece gli aveva cambiato il destino. Per superare l’imbarazzo di essere al centro dell’attenzione degli ospiti, che se lo contendevano curiosi di conoscerlo ed estorcergli racconti, si era fiondato sul succulento banchetto che si trovava in fondo alla sala, inciampando in una imprevista e bizzarra distrazione che in esigui secondi era stata capace di distoglierlo da ciò che adorava di più: il cibo.
Si trattava di una ragazza mora dai grandi occhi scuri, brillanti e vivaci, la corporatura minuta e aggraziata, i modi bruschi e spicci. Un tipino tutto pepe, insomma, che più tardi aveva scoperto essere la figlia dell’ammiraglio Giuma.
Agli inizi quella sua esuberanza gli aveva ricordato modicamente una sua vecchia amica d’infanzia, della quale aveva perso ogni contatto.
Senza che se ne rendesse conto, col passare dei mesi, rivedendola e scambiando con lei qualche parola, quando si recava all’ammiragliato o era chiamato a prendere parte ad altre cerimonie, le si era affezionato. Fra di loro era sbocciato un sentimento, così lei aveva definito quel tenero legame cui lui non aveva saputo dare un nome, quel bisogno che avevano talvolta di stare insieme lontano da altre persone, chiacchierando e facendo lunghe passeggiate.
E adesso erano sposati. Una situazione che ancora, a pensarci bene, non lo convinceva del tutto, ma nemmeno gli dispiaceva completamente. In fondo lei si era rivelata una ragazza seria, paziente e anche abbastanza simpatica, quando non era in preda a crisi nervose ingiustificate.
Non poté negare del tutto a se stesso che gli sarebbero mancate le sue ramanzine sull’ordine e le buone maniere, e soprattutto i suoi sorrisi radiosi e i pranzetti che si dilettava a preparargli personalmente, nonostante avessero decine di camerieri.
Scostò delicatamente la sua piccola mano dal suo torace muscoloso e si soffermò per qualche secondo a spiare le sue espressioni nel sonno. Inevitabilmente, però, il suo sguardo ben presto si spostò sul suo ventre, su quella rotondità appena accennata che miracolosamente custodiva il loro figlioletto. Sperava di tornare in tempo da quella missione per vedergli emettere i primi vagiti. Non aveva mai visto un neonato, la cosa lo incuriosiva moltissimo.
Una tenue luce rosata intanto aveva iniziato ad avvolgere la camera da letto. Il sole non si era ancora alzato dal mare, eppure significava che stava tardando. Questa considerazione lo indusse a non indugiare ulteriormente: con una mossa, decisa e al contempo controllata, si sollevò dalle comode e tiepide coltri, avanzando in punta di piedi verso l’armadio per cercare la divisa arancio e blu da marinaio, la sacca e la tracolla di cuoio con spada e moschetto d’ordinanza. Disgraziatamente proprio quest’ultima gli scivolò dalle mani, producendo un inconfondibile clangore metallico a contatto con il pavimento di ceramica su cui ricadde, scalfendolo.
Strizzò le palpebre maledicendo mentalmente la sua imbranataggine.
- Goku? Perché stai cercando di andare via come un ladro?
Il ragazzo si strinse nelle spalle, voltandosi lentamente verso la giovane moglie che lo fissava a braccia incrociate e con un sopracciglio inarcato.
Socchiuse la bocca, che gli era rimasta spalancata per la vergogna, inviandole un sorriso sincero e rassicurante: - Chichi! Amore! Ma cosa vai a pensare?! – si scusò balbettando e congiungendo i palmi, piegandosi leggermente sulle gambe – Volevo solo evitare di svegliarti, è ancora molto presto! Prestissimo! E anche il dottore ti ha detto che devi riposarti! – continuò a discolparsi, ridacchiando e grattandosi la scomposta chioma bruna.
La donna restò in un silenzio indecifrabile ad osservarlo, poi, però, notando la giocondità che sprizzava dal volto del marito, si convinse della sua innocenza. Certi pensieri maliziosi non lo sfioravano mai: il suo peggiore difetto era quello di essere autenticamente dedito al suo dovere militare, mettendolo davanti a tutto il resto.
Sospirò, ricacciando il malumore di quel brusco risveglio, e si alzò anche lei dal letto: - Non me ne importa niente di quello che dice il dottore. Io sto bene e non intendo lasciarti partire senza averti prima preparato una sana colazione – sostenne accennando un sorrisetto compiaciuto, infilandosi vestaglia e ciabattine e raccogliendo con una forcina i lunghi e lisci capelli neri. Quindi lo invitò con un cenno del capo ad avvicinarsi e lo prese a braccetto: - Chissà quali schifezze sarai costretto a mangiare nei prossimi mesi su quella bagnarola – mormorò con un frammisto di sdegno e apprensione, mentre scendevano le scale che conducevano al piano inferiore.


Dall’altro capo dell’isola, ad alcune miglia di distanza da quell’abitazione, poche ore prima, una scialuppa recante cinque passeggeri aveva toccato la battigia. Con la complicità dello scarso chiarore offerto dall’incipiente albeggiare, il gruppetto era approdato e si era diviso per le stradelle addormentate della cittadella portuale. Uno di loro aveva imboccato una via parallela al molo principale ove erano ormeggiate le navi della flotta reale, i restanti quattro, estraendo delle ruote che convertirono in carrozza la barcaccia, si erano diretti in cima al promontorio, laddove s’innalzava una grande villa all’apparenza abbandonata che era stata una volta di proprietà del guardiano del faro, prima che un violento terremoto distruggesse il porto originario convincendo gli abitanti a costruirne uno nuovo e più grande sfruttando la baia a sud.
Bulma ricordava ancora molto vividamente quel periodo e quel posto poiché aveva vissuto lì da piccola. L’antica dimora in gran parte diroccata era ormai infestata da piante spontanee, ragnatele e sporcizia nei piani rialzati, in compenso i vani sotterranei avevano resistito meglio alle intemperie e mantenevano un aspetto più confortevole.
I pirati della Proudy Star avevano deciso tempo addietro di fissare lì il loro covo segreto, nascondendovi piccole porzioni di bottino cui attingere nelle eventuali fasi di ristagno della loro attività.
Poiché quel luogo si era dimostrato immune ai pattugliamenti delle guardie e all’interesse di indiscreti ficcanaso, il Capitano lo aveva eletto a rifugio ideale per la convalescenza del padre.
- Qui potrai riposarti e curarti in completa tranquillità – aveva valutato soddisfatta, quando ebbero finito di ripulire ed ebbero liberato le condotte per fare entrare l’aria – Inoltre Lunch sarà sicuramente un’infermiera migliore di me – aveva aggiunto sistemando gli effetti personali del signor Brief.
In quell’istante la fida domestica le era passata davanti gettando in un angolo delle coperte che avevano sollevato della polvere, solleticandole il naso e provocandole una serie di cambiamenti repentini di personalità. “Tra uno starnuto e l’altro” si era rammentata sconsolatamente Bulma, scuotendo la testa. Fortunatamente lì con loro sarebbe rimasto anche Tensinhan a limitare i danni. Ed era un peccato che dovesse privarsene, perché era sempre stato uno dei suoi migliori aiutanti.
- Senti, Bulma – aveva iniziato a parlare rocamente l’anziano inventore, carezzando il gattino che gli si era accoccolato sulle gambe – Tu sei stata come una figlia per me. Ma quando troverai tutte e sette le sfere del Drago, e so che ci riuscirai, devi promettermi che penserai solo a te stessa. Io sono contento della mia vita.
La giovane lo aveva ascoltato in silenzio, a labbra serrate, e infine aveva annuito solamente per non dispiacergli. Dentro di sé era risoluta a non lasciarlo al suo destino.
Non aveva nessun altro al mondo che la capisse e l’amasse come lui.


- Allora tu non vieni al molo?
Chichi, immobile sull’uscio di casa, mosse il capo in senso di diniego e si limitò a scambiare un casto bacio con il marito, che la salutò con la mano fin quando rimase sotto la sua vista. Approntava sempre il pretesto di avere qualche commissione irrinunciabile da sbrigare pur di non assistere alle sue partenze, illudendosi che così lui non avrebbe capito che qualcosa le si spezzava dentro ogni volta in cui lo sapeva intento ad avventurarsi per mari ignoti, senza poter mai avere la certezza che sarebbe tornato sano e salvo a scaldare le sue giornate con il suo ottimismo, la sua dappocaggine e la sua spensieratezza.
Son Goku correva col fiato grosso per le viottole scoscese e tortuose, scorgendo ad ogni curva le vele arancioni della Speedy Cloud diventare sempre più grandi e dunque vicine. Era davvero in ritardo e si chiedeva come avrebbe potuto giustificarsi con i suoi superiori. Inoltre, per colpa di quella corsa forsennata, lo stomaco gli brontolava come non mai, non capiva se perché avesse già smaltito l’abbondante colazione o al contrario la stesse per rimettere.
Quella mattina i contrattempi, per sua sfortuna, non avevano ancora terminato di presentarsi.
Ad un incrocio non si accorse subito di un carretto che gli tagliò la strada andandoci a sbattere e dando occasione ad un lestissimo ladruncolo di approfittarne per scipparlo, privandolo proprio della sacca contenente documenti d’imbarco, vestiti di ricambio e preziosi strumenti nautici. Iniziò a rincorrerlo lamentandosi per essere ricaduto come un gattino troppo imprudente nell’ennesima distrazione della giornata, e, dopo vari isolati, si trovò di fronte ad un vicolo cieco, in cui di quello che gli era parso un ragazzino non vi era traccia.
Si appoggiò al muro di una casetta, inspirando ad occhi chiusi, ancora frastornato.
- Perso qualcosa? – una voce dal timbro sottile e apparentemente femminile lo riportò all’allerta.
Si sporse oltre il pilastro e notò una figura di statura piccola e slanciata vestita con abiti maschili ma che pareva avere le forme di una donna. La misteriosa apparizione sollevò lo sguardo verso di lui e allungò un braccio porgendogli la sua borsa con un sorriso.
- Gra … grazie! – farfugliò Goku, abbassandosi all’altezza dei suoi occhi per tentare di scrutarne i lineamenti, oscurati dall’ombra della tesa del capello vermiglio. La sconosciuta benefattrice a quel punto si sfilò il copricapo mostrandogli apertamente la sua faccia.
- Ci conosciamo? – insistette lui guardandola confuso.
- Sì! – esclamò felice la ragazza, rabbuiandosi non appena comprese che lui non aveva capito – Non mi riconosci, Son Goku? – lo sollecitò facendosi più vicina e sbattendo le ciglia.
Il giovane arretrò: - Bu … Bulma?! – sussurrò incredulo, non riuscendo ad opporsi al suo improvviso caloroso abbraccio che lo travolse, accompagnato da squillanti risate.
Giusto quella mattina si era ritrovato a pensare a lei di sfuggita, gli era mancata parecchio in tutti quegli anni.
– Ma perché ti sei messa quella puzzola morta in testa?
Bulma si staccò da lui offesa e lo fulminò con un’occhiataccia: il suo buon amico non era cambiato, si esprimeva sempre senza alcun tatto!

goku-saluta

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Capitolo 4
*** IV: Best friends ***


Buonasera, ciurma! In prospettiva degli esami che si avvicinano ho deciso di dedicare ogni momento libero all'aggiornamento di questa storia, perchè vorrei arrivare a soddisfare la vostra curiosità circa il modo in cui ho immaginato il primo incontro tra i due protagonisti! Però vi avverto che ci vorranno ancora almeno due capitoli!
Qui intanto ho ripreso il rapporto tra Bulma e Goku, approfondendo la spiegazione del loro legame (che continuerò a sviluppare e spiegare anche dopo). Piccolo appunto per la comprensione del capitolo: vi ricordate quanti erano sulla scialuppa e come si sono divisi? Se no, tornate a leggere il capitolo precedente...
Ringrazio le 11 persone che finora hanno messo tra le seguite, le 6 che l'hanno messa tra le preferite, chi legge e chi commenta.

Spero di aver mantenuto l'Ic, se così non fosse segnalatemelo!
A presto!)

ps: un ringraziamento anche alla mia disegnatrice personale VAleMPIRE (mia sorella^-^) che ha realizzato il Goku versione tenente di vascello che trovate in fondo alla pagina!


IV: BEST FRIENDS

- I tuoi bellissimi capelli acqua marina …

Di fronte al volto tanto bonario e dispiaciuto del suo amico, Bulma sentì sbollire l’irritazione suscitata da quella battuta infelice che si era lasciato scappare senza cattiveria.
Trasse un respiro e inventò sul momento una spiegazione che anche per lui risultasse convincente: - Bè ecco, vedi, quel colore non piace a tutti gli uomini! Perciò preferisco portare questa parrucca, che, per inciso, è stata molto costosa! Altro che puzzola!
Goku ascoltò ammutolito e paralizzato il suo sfogo, infine le si riavvicinò, sollevando gli angoli della bocca: - Invece a me piacevano tanto …
La ragazza si stupì di quanto adesso il suo atteggiamento sembrasse maturo e attraente. Lo aveva sempre considerato un bambinone, per quanto non dimenticava la sua inclinazione a compiere grandi gesti all’occorrenza che dimostravano la sua assennatezza.
Forse con la sua generosità e il suo candore sarebbe stato l’unico ad accettare senza difficoltà la sua doppia natura, eppure si era allontanata anche da lui …
- Hey, lo sai che mi sono sposato? – la voce acuta di Goku troncò i suoi nostalgici pensieri, come un acquazzone scoppiato d’estate dopo una mattinata di sole.
No, quello non se l’aspettava, reagì quasi incoscientemente: - Davvero? Allora auguri e figli maschi! – si congratulò, rispondendo con altre frasi di circostanza mentre lui, continuando a ridere, le raccontava concitatamente alcuni dettagli del suo matrimonio che per la sorpresa non riuscì ad assimilare.
Pensò fosse stato un bene, dopotutto, che se ne fosse andata: era rimasto com’era, non l’aveva corrotto, anche se colse una sfumatura diversa nei suoi occhi scuri che sprizzavano sempre luce e allegria, e per un attimo provò una specie di imbarazzo: - Ma non mi chiedi come mai mi trovo qui? – gli domandò con un sorriso furbo e indefinito a fior di labbra.
- Già … Perché sei qui? – ripeté lui a quel punto, effettivamente incuriosito dal suo ritorno inatteso.
Bulma si voltò ammiccando, poi si inginocchiò e raccolse un bauletto bronzeo poggiato per terra dietro di lei, premette una serie di intarsi a rilievo finché, con una serie di scatti, il coperchio si aprì e ne mostrò all’amico il contenuto: - Urca! Ne hai trovate altre! – esclamò il giovane marinaio, osservando stupefatto le tre sfere giallo arancio che luccicavano all’interno del cofanetto rivestito di velluto rosso.
- Proprio così – confermò compiaciuta la piratessa – E vorrei che me le tenessi al sicuro. Lo faresti? – lo esortò languidamente spingendogli lo scrigno nelle mani.
Goku lo raccolse con circospezione, continuando a guardare l’insolito enigmatico tesoro, quindi sollevò uno sguardo preoccupato verso di lei: - Non è che le hai rubate?
La ragazza strabuzzò i begli occhi azzurri: - Rubate? No, affatto! Suvvia! Ti pare che una fanciulla dolce e innocente come me abbia la capacità di rubare? – cercò ironicamente di dissuaderlo da quel legittimo sospetto, ma dal modo severo con cui la fissava comprese che non era così tanto ingenuo come spesso appariva, e infatti le restituì il forziere contenendo una smorfia costernata.
- Bulma, so cosa sei diventata – pronunciò a mo’ di rimprovero, sostenendo il suo sguardo con una fermezza che quasi la fece sentire per la prima volta in colpa per quella decisione. Ma non cedette.
- Quando giocavamo insieme anche tu desideravi la vita che ho scelto io – si difese, approfittando di dover richiudere con una complessa combinazione quella sorta di piccola cassaforte per non scontrarsi con l’espressione di amarezza che campeggiava sul suo viso.
Goku rimase impassibile: - Lo sai che non sopporto le ingiustizie. E i pirati rubano e uccidono – asserì con disprezzo e tristezza, anche se il suo accento era permeato da un tocco infantile.
Bulma sbuffò appena, parlandogli con tono sicuro, ma dando ugualmente l’impressione di arrampicarsi sugli specchi: - Non è vero. Non tutte e due le cose, almeno. Non tutti.
Il fresco tenente incrociò le braccia rimanendo perplesso, tuttavia la sua amica sapeva che in realtà non aveva nulla da temere da lui: le aveva già permesso di scappare un paio di volte, pur avendo avuto l’occasione di catturarla in mare, ed era certa che non l’avrebbe arrestata ora che si trovavano a terra e teoricamente non era in servizio.
D’altra parte la pirateria non l’aveva scelta, era stata una rotta obbligata: non poteva stare lontana dal mare e dall’avventura, ma essendo una donna (o quasi) non sarebbe mai stata accettata sulle navi della marina reale.
Non era da lei restare senza parole e si stupì che neanche Goku fiatasse, continuando a fissarla dubbioso e insolitamente inquieto: - Non le ho rubate. Sono frutto del sudore della mia fronte. Te lo giuro – dichiarò sforzandosi di apparire sincera com’era realmente, almeno su quel punto.
Il giovane ufficiale ponderò le sue affermazioni. Bulma era sempre stata una ragazzina sveglia, testarda e volitiva, con l’eccezionale capacità di imporsi in maniera molto naturale sulla sua volontà, incantandolo con quegli occhi che erano come spicchi di oceano, limpidi in superficie ma capaci di custodire tanti segreti. E poi ricordava che aveva la cattiva abitudine di dire bugie.
Sebbene quella capigliatura scura ne offuscasse un po’ la fulgida bellezza, pensò che fosse diventata ancora più carina e percepì di stare arrossendo, azzardandosi a studiarne le forme ammorbidite dalla maturità che trapelavano capricciosamente attraverso i pantaloni rosso scuro attillati e infilati in lunghi stivaloni di cuoio marrone, e il corsetto nero che le arginava la camicia ciclamino strategicamente sbottonata fino al décolleté.
- D’accordo. Le terrò per te – convenne sbrigativo, al termine di quello sconveniente dialogo silenzioso tra occhi e corpo, mettendo il piccolo forziere sotto braccio.
La giovane donna annuì soddisfatta, e si schiarì la gola: - Ehm … A proposito di pirati … Quanto ne sai di Capitan Vegeta? – lo interrogò muovendo qualche passo, simulando indifferenza.
Goku assottigliò lo sguardo mostrandosi lievemente turbato: - Niente di più di quello che si racconta nei porti in cui ha fatto scalo. Non l’ho mai incontrato … ma perché ti interessa? – si preoccupò, emettendo un singulto alla fine della domanda.
Bulma raccolse tutta la sfrontatezza di cui era dotata: - Io credo di sapere come riuscire a trovarlo.
Il tenente trasecolò: aveva intuito che la cattura di quel famigerato criminale era l’obiettivo della missione segreta per cui l’avevano chiamato a partire con l’equipaggio scelto della Speedy Cloud, la nave ammiraglia della flotta reale.
- Vuoi consegnarlo alla giustizia? – boccheggiò con un frammisto di felicità e spavento a cui lei non diede risposta, arrovellandolo su un’ipotesi altrettanto plausibile: - Oh, no! Vuoi riscattare la sua taglia! Urca! È uno dei fuorilegge più ricercati del mondo! Sai quanto vale? Ti ci potresti sistemare per tutta la vita con quel compenso … - al termine di quell’incauta rivelazione si tappò la bocca, ma all’amica di colpo brillavano gli occhi.
- Dici sul serio? – non aveva mai tenuto ossessivamente alle ricchezze, con i suoi rubacchiava quanto indispensabile per procacciarsi un tenore di vita dignitoso e una fama rispettabile tra i banditi del mare. Ciò non significava che disprezzasse il denaro, però in quel momento non era il caso di perdersi in simile fantasticherie.
- No, Goku, ascolta: hai proprio indovinato. Quel mascalzone mi sta procurando dei fastidi non indifferenti e perciò ho deciso di aiutarti a catturarlo – ammise con sagacia e scioltezza, detestandosi per la facilità con cui aveva imparato a mentire. Rischiò per un attimo di vacillare avendo di fronte la persona forse più buona e corretta che avesse mai conosciuto e che pareva credere fiduciosamente nella veridicità delle sue intenzioni. Ciò nonostante, inghiottì il disgusto per quel subdolo doppio gioco e continuò la sua recita con faccia tosta: - Conosco la sua prossima meta: Mari del Sud, Terra del Sole Morente. Seguite la mia Proudy Star e lo buscherete indiscutibilmente … Tutto questo a patto che tu tenga al sicuro le mie sfere.
Goku tornò a stendere i lineamenti, aggrottati dallo sbigottimento di tutta quella storia. Iniziava a chiedersi se l’avventuriera non gli stesse nascondendo qualcosa, ma il rintocco delle campane di una chiesa vicina squarciò l’aria annunciando che erano già sopraggiunte le sette. Gli sfuggì un gemito mortificato. Si era completamente lasciato assorbire da quell’incontro dimenticando quanto fosse tardi per la sua partenza. Lo avrebbero lasciato a terra, o peggio, l’avrebbero degradato a mozzo! Il Capitano Muten gli era legato quasi come un padre adottivo, ma quando si offendeva non lesinava di punirlo severamente.
- Grazie di tutto! Allora, addio! – salutò concitato l’amica, pronto a scattare di corsa, ripercorrendo mentalmente le possibili scorciatoie per il molo e incamminandosi a passo sostenuto, con il cofanetto di bronzo sotto il braccio destro e il fodero della spada che gli sbatteva sulla gamba sinistra.
- Addio e grazie a te! – gli gridò Bulma – E non affannarti troppo, non partiranno senza il loro valoroso tenente! – gli assicurò sardonica sventolando il cappello.
Abbassò il braccio e gongolando uscì con circospezione dal vialetto, vedendosi venire incontro il suo primo ufficiale con un ghigno astuto dipinto sul volto abbronzato e solcato da cicatrici. L’uomo le raccolse il copricapo dalla mano risistemandoglielo galantemente sulla testa, quindi le porse il braccio ed entrambi si avviarono al porto, badando a non destare sospetti nella sparuta popolazione del posto che incrociarono lungo il cammino.


Una foresta di alberi spogli ricopriva il panorama della baia meridionale della grande isola. Vi ormeggiavano velieri di varia stazza, fattura e provenienza. Le imbarcazioni più piccole dei pescatori avevano già preso il largo, ma la Speedy Cloud aveva le vele arancioni ancora ammainate.
Sulla banchina principale il tenente Son Goku notò un curioso affollamento di marinai e manovali che lo mise in agitazione. Tentennò ad avvicinarsi, aspettandosi un meritato richiamo disciplinare per la sua imperdonabile mancanza di puntualità, inoltre non sapeva come occultare quello scrigno che aveva accettato di prendere con sé a cuor leggero, non sapendo neppure con certezza quale fosse il suo valore.
Bulma gli aveva fatto perdere completamente la testa ricomparendo così come nulla fosse, dopo quasi dieci anni, col suo carico di enigmi, sorrisi e promesse. Non riusciva a mantenere la sua consueta tranquillità ripensandola. Gli aveva smosso qualcosa, era come se alcuni pezzi non gli combaciassero più. Non aveva ragionato nemmeno di chiederle notizie di suo padre. La madre sapeva che era stata una brutta polmonite a portarsela via, mentre quel gentile e geniale ometto era sparito misteriosamente con lei. Una volta gli era giunta voce che durante un viaggio di lavoro, in cui aveva portato con sé lei ancora bambina, fosse stato rapito da un gruppo di bucanieri che lo avevano risparmiato scoprendo le sue abilità di inventore, trasmesse alla figlia che ci aveva preso gusto a vivere sotto le regole della filibusta.
Per fortuna su di lei non pendeva alcuna condanna a morte, benché sarebbe stato suo dovere arrestarla perché talune scorrerie le aveva compiute pure con la sua ciurma.
Sospirò. Non se la sentiva di essere lui il carnefice, le voleva bene dopotutto e avrebbe rimandato sempre quella scomoda incombenza, a costo di rimetterci la carriera.
Aprì sveltamente la borsa e ci ficcò dentro forzatamente lo scrigno, poi se la riportò in spalla e, assumendo un contegno innocente, si fece largo tra la folla. Prima che riuscisse a chiedere spiegazioni a qualcuno, si sentì strattonare la coda della giacca e si imbatté nel coetaneo, nonché conoscente di vecchia data e guardiamarina della Speedy, Crilin: - Alla buon’ora, amico! Ci stavi ripensando, eh? Dì la verità!
Goku non seppe cosa ribattere e si limitò a ridacchiare, discolpandosi dall’irriverente e tuttavia scherzosa provocazione del collega.
Nel frattempo giunsero tra loro l’ammiraglio Giuma e il capitano Muten: - Che strana scalogna! Non potremo partire prima di domattina, ragazzo mio – brontolò quest’ultimo dandogli una pacca e poi allontanandosi con la fronte china e intrecciando nervosamente le dita.
- Qualche delinquente ha manomesso l’argano del timone della Speedy Cloud! – fremette Crilin, spiegando il motivo di tanto clamore al compagno di bordo che si guardava intorno smarrito.
Per un attimo gli parve di intravedere in prossimità di una locanda di fronte a loro la sagoma di Bulma insieme ad un altro sconosciuto, ma non disse niente.
- Oh, Goku! Puoi tornare a casa per oggi. Alla mia Chichi farà piacere averti ancora qui – mormorò intanto Giuma, camminando dietro il Capitano che seguitava a borbottare invettive contro ignoti, garantendogli di aver già provveduto a chiamare i migliori carpentieri e artigiani navali per riapprontare la nave nel minor tempo possibile, e che aveva già disposto di avviare indagini sullo strano caso.


Poco lontano da quel trambusto una coppia, inerpicandosi per una strada in salita, si allontanava a bordo di un futuristico carro a propulsione meccanica, dirigendosi a nord.
- Ottimo lavoro, Yamcha – sussurrò Bulma, schioccando un bacio colmo di gratitudine sulla guancia del compagno, che si inorgoglì per l’apprezzamento ricevuto curvando gli zigomi in un sorriso ambizioso.


Tenente-Son-Goku

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Capitolo 5
*** V: Hunting ***


Buon fine settimana, ciurma! Come promesso, sono riuscita a completare un altro capitolo, e finalmente ho fatto rientrare in scena il personaggio che tutti stavate aspettando, credo!^^
Ebbene sì, torna Vegeta! Spero che vi sia gradita la mia versione, il dubbio ooc continua ad assillarmi! :S
Ho accennato brevemente al suo passato e lasciato qualche indizio su un "problemino" che lo affligge... Se non vi risulterà chiaro, non preoccupatevi! Tornerò a spiegare entrambi gli aspetti! Purtroppo vi annuncio che questo sarà l'ultimo capitolo che pubblicherò prima della forzata pausa esame...
Quindi non so quando aggiornerò, ma spero di trovarvi ancora numerosi!

Ringraziando axa 22 per i consigli e l'incoraggiamento, LoveKath per avermi fornito l'immagine che ho postato a fine capitolo, Federika21 per i commenti puntuali, oltre a tutti coloro che leggono la storia, la mettono tra le seguite/preferite/ricordate, vi lascio alla lettura.

Alla prossima!)!

V: HUNTING

Erano trascorse delle ore ma aveva ancora in circolo l’adrenalina, la frenesia, la smania di dilaniare che gli intossicava le vene quando mutava forma. Una sfibrante inquietudine che destabilizzava la sua lucidità intellettiva, gravando sulla sua indole innatamente intollerante e aggressiva.
Era reduce da una fra le notti più buie che ricorrevano nella sua esistenza, un’oscurità insonne che lo istigava ad errare freneticamente a caccia della sua unica fantomatica preda.
La inseguiva da mesi, l’aveva cercata in tutti gli oceani e, non trovandone mai traccia, la frustrazione stava iniziando ad infiltrarsi come un morbo nel suo animo, irriducibilmente cinico ma altrettanto caparbio da non tollerare l’ammissione di una sconfitta e, al contrario, fremere più di prima per vincere quella sfida che si consumava ad ogni novilunio.
Anche l’ultima notte l’aveva trascorsa a vagare nel nulla delle tenebre, rabbioso, teso, affamato, finché l’irrompere del sole aveva rimandato la prossima possibilità di liberazione.
Un silenzio denso di aspettativa serpeggiava fra i velieri ancorati nelle calette dell’Anello dei Ladri, il covo segreto più frequentato dai peggiori banditi del mare, così denominato perché si trattava di un piccolo arcipelago di isolotti disposti a cerchio rispetto ad un promontorio centrale. Al calar del tramonto quel luogo si animava di baldoria, gozzoviglia, risse, eccessi e illegalità di ogni tipo, mentre nelle prime ore del giorno assumeva l’aspetto di un grande e più o meno pacifico mercato, in cui si scambiavano e vendevano armi, persone, provviste, indiscrezioni.
L’asfissiante calura pomeridiana dei tropici occludeva il respiro e tormentava la pelle rendendola umida e bruciante di sudore, fiaccando il fisico e la volontà e inducendo i più a scegliere di dedicarsi al riposo.
Per Capitan Vegeta che il vento soffiasse gelido o torrido era indifferente, gli aspri sbalzi di temperatura dell’ingeneroso clima marittimo gli erano entrati fin nel midollo e non lo scalfivano di certo quanto, invece, stava cominciando fastidiosamente a fare quell’insostenibile situazione.
“Bulma Brief è passata di qui”.
Da una settimana quella frase e quel nome si stagliavano con impudenza nel suo già turbolento e saturo rimuginare. Non sapeva praticamente nulla di lei, eppure già la odiava. Odiava la sola idea che il suo pensiero rubasse spazio e tempo ai suoi grandiosi progetti di conquista, odiava il solo concetto che potesse esistere qualcuno, una donna per giunta, in grado di instillargli il dubbio di sentirsi sconfitto e raggirato ...
Neppure la vita grezza e sregolata del filibustiere aveva cancellato la sua ascendenza aristocratica.
Era solo, sul suo maestoso galeone, abbarbicato sulla coffa dell’albero maestro, la gamba destra distesa lungo la stretta piattaforma semicircolare, l’altra piegata contro il petto, lo sguardo fosco concentrato a librarsi fino ai limiti dell’immensa distesa blu cobalto, l’unica visione capace di restituire un minimo di rilassamento alla sua mente estenuata, oppressa, piagata.
Lassù, al di sopra di tutti, lontano da tutti, dai loro stolti giudizi, dalle loro inutili chiacchiere, vagheggiava la gloria futura, la libertà totale, il potere assoluto.
Dentro di sé non aveva smesso di considerarsi un principe spodestato, strappato ancora bambino al suo appagante destino regale da quel crudele Capitano pirata rispondente al nome di Freezer. Aspirava tuttora a riguadagnare l’onore e gli sfarzi che gli sarebbero spettati se il suo stesso progenitore non l’avesse sdegnosamente rinnegato, lasciandolo nelle grinfie dei corsari piuttosto che piegarsi al loro ricatto criminale e acconsentire alla cessione di quell’oggetto prezioso che si tramandava di generazione in generazione nella loro famiglia.
D’altronde la sua condotta arrogante e ribelle gli aveva già dato occasione di farsi detestare da suo padre, convincendolo a ritenerlo inadatto a succedergli nel principato, ragion per cui non aveva mosso un dito per salvarlo. Probabilmente aveva perfino gioito per essersi liberato di un molesto impiccio, quale lo considerava.
Quel Freezer non era neppure un uomo, piuttosto lo si poteva definire un disgustoso scherzo della natura.
Sul suo tetro e fatiscente vascello era rimasto intrappolato per tutta l’adolescenza, non gli aveva riservato un trattamento migliore di quello impartitogli dal detestato capofamiglia, tuttavia era stato un po’ come il suo mentore. Insensibile, subdolo, inesorabile, lo aveva umiliato, prostrato e asservito ai suoi scopi, ingannandolo e rendendolo inconsapevolmente più forte, astuto, rancoroso, ambizioso, flemmatico.
Non gli era baluginato alcuno scrupolo di coscienza quando, assieme a lui, era tornato al suo luogo natio, l’aveva messo a ferro e fuoco e si era reintrodotto nella sua dimora, sottraendo la pregiata sfera di cui nel frattempo aveva scoperto il reale valore. Tantomeno aveva tentennato quando lo stesso giorno, finalmente, aveva inferto il colpo di grazia a quell’esecrabile mostro, crivellando il suo orrido corpo albino e deforme di fendenti e proiettili, per poi prenderne il posto a capo della sua nave che aveva ribattezzato Bloody Wench, apportandovi modifiche e migliorie.
Aveva tenuto con sé solo un paio di fedeli, tra cui Nappa e Radish, e col loro aiuto si era sbarazzato degli altri figli di puttana che si rifiutavano di obbedirgli.
Solo più tardi aveva scoperto che il suo sin troppo facile regolamento di conti era valso a poco: con le sue malvagie e infide macchinazioni Freezer lo aveva celatamente condannato ad attirarsi una maledizione che ancora, nonostante i suoi sforzi, non era riuscito a spezzare.
Il mare stava divenendo amaranto.
La sera prima aveva mandato i suoi uomini a svagarsi e a perlustrare il territorio, e adesso ne attendeva impazientemente il ritorno. Un'altra nottata lì non l’avrebbe passata, aveva promesso a se stesso che si sarebbe vendicato di lei ed avrebbe proseguito senza altri intoppi il suo viaggio.
Ad un tratto percepì delle voci e, sporgendosi dalla ringhiera, scorse una quindicina di sagome indistinte muoversi sulla passerella, precedute da quelle ben note dei suoi ufficiali. Afferrò una cima, raggiunse le sartie e scese dalla postazione della vedetta, atterrando sapientemente sulla tolda. I suoi occhi corvini si caricarono di indignazione: - Che significa? Vi avevo proibito di appestare la mia nave con altri rivoltanti morti di fame! – sbraitò impugnando la pistola e controllando rapidamente se i colpi in canna sarebbero stati sufficienti – Dovevate solo reperire informazioni su quella, era tanto difficile da ricordare? – insistette torvo, stringendo i denti, socchiudendo una palpebra per prendere meglio la mira sulla prima vittima designata, un uomo di mezza età vestito di stracci ma discretamente muscoloso.
Radish, inaspettatamente, gli si parò davanti: - Siamo in cinque, signore. Ci servono cannonieri e gabbieri – gli rinfacciò, incrociando le braccia e investendolo con un’occhiata di penetrante disapprovazione.
Vegeta sostenne impassibilmente il suo sguardo per qualche secondo, poi emise un basso ringhio e gli voltò le spalle, rimettendo la rivoltella nella fusciacca nera attorno alla vita, senza ammettere il suo torto. Probabilmente aveva sparato a sproposito negli ultimi giorni. Non gli era mai capitato di perdere il controllo così stupidamente in passato. Non che gli importasse qualcosa delle vite che aveva troncato, però quella sottospecie di equipaggio aveva la sua utilità e lui doveva sforzarsi di tollerarlo.
Frattanto Radish iniziò ad impartire loro istruzioni e il Capitano, guardandoli di sbieco mentre gli passavano accanto, convenne che almeno stavolta avevano scelto con cura quelli che apparivano più prestanti ed efferati.
Nappa, vedendolo un po’ meno indispettito, colse il momento per avvicinarlo e dargli la buona notizia: - Uno di questi babbei dice di aver conosciuto quella – gli sussurrò, facendogli segno di voltarsi verso destra.
Vegeta seguì la sua indicazione e incrociò la buffa figura di un omuncolo i cui lineamenti tozzi e sgraziati somigliavano più a quelli di un maiale che a quelli di un essere umano:
- Saresti tu, il fortunato? – sogghignò in modo ostile, sovrastandolo con la sua ombra.
Il piccoletto cominciò a tremare e farfugliare confusamente, finché il Capitano non estrasse la sua spada e Nappa lo agguantò per la collottola ributtandolo giù con uno spintone:
- Parla, brutto stronzo! O vuoi che ti appendiamo per le budella?
- Eh, va bene! Non c’è bisogno di essere prepotenti e volgari! – esclamò il mozzo, perdendo subito la sua insolenza quando la lama aguzza del comandante gli arrivò a sfiorare la gola.
- Bulma Brief è la figlia di un grande scienziato finito in disgrazia, una che non sa stare mai ferma nello stesso posto, va sempre a caccia di novità, e guai, dico io. Non so come abbia fatto, ma ha ottenuto il comando di un brigantino, Proudy Star si chiama, tre alberi, scafo ciano, vele bianche, trentacinque cannoni, una ventina di remi e un mucchio di diavolerie che solo lei sa come e quando mettere in funzione. La sua bandiera è viola, con un delfino che impugna una sciabola sulla sinistra e una piccola conchiglia simile ad una chiocciola a destra.
Vegeta ritrasse lentamente la spada, mantenendo lo sguardo accigliato sull’informatore che aveva ancora il respiro affannato per la paura: - C’è altro di rilevante che devo sapere?
Il goffo marinaio roteò gli occhi come a mostrare di pensarci, poi si lasciò uscire un sorrisetto malizioso: - È una gran figa, ma non la dà a nessuno!
L’omuncolo continuava a ridacchiare divertito, ma il volto del suo interlocutore restava altero, impassibile e pensieroso. Con un cenno d’intesa rivolto a Nappa si allontanò, addentrandosi nella sua cabina, mentre quest’ultimo accalappiò il malcapitato e, ignorando le sue petulanti proteste, lo scaraventò fuoribordo, tra le onde che si infrangevano schiumanti sulla banchina.
Per un pelo Oscar non ci restò secco: si aggrappò come meglio poté agli scogli e risalì faticosamente sulla terraferma, assistendo al graduale allontanamento del galeone dalla costa.
Capitan Vegeta lasciò aperta la porta della sala nautica, aggirò il tavolo che vi spiccava al centro, e si fermò in piedi dinanzi all’ampia vetrata prospiciente l’immutabile panorama marino.
Mollati gli ormeggi e issate le vele, Nappa e Radish lo raggiunsero, attendendo nuovi ordini.
 - La rotta già la sapete, è quella che avevamo stabilito una settimana fa – li avvisò girando leggermente la testa in direzione delle carte spiegate sul tavolo, con accento scontroso e spazientito. Poi si voltò di scatto e scagliò un pugnale proprio al centro delle mappe: – Ma vi consiglio di applicarvi affinché arrivi per primo, o vi giuro che stavolta la pagherete – sibilò stringendo la mascella in un’espressione bieca e intimidatoria.
I due si scambiarono un celere sguardo agguerrito, chinarono appena il capo e si apprestarono ad uscire. Ma il Capitano aggiunse un’altra richiesta:
- Ah … se dovessimo avvistare quell’infimo brigantino, voglio essere informato prima di subito – sentenziò inoppugnabile, serrando un pugno e tornando con gli occhi sul mare.
Gli ufficiali, tacendo in segno di assenso, tornarono sul ponte richiudendo la porta.
Vegeta si diresse verso la piccola cassaforte a parete, la aprì quel tanto che bastava ad intercettare il tenue bagliore della sfera, e la sigillò nuovamente, reinserendo la combinazione.
Si accomodò sulla sua poltrona, volgendola di fronte alla vetrata.
E i pensieri tornarono a ruotare attorno a lei, che doveva trovarsi a poche leghe da lì.
Odiava quella donna, e adesso desiderava ardentemente averla tra le mani, per farle passare la voglia di provocarlo.
Voleva avere modo di umiliarla, soggiogarla, torturarla, obbligarla a scrivere sul ponte della sua nave, con il suo stesso sangue, quella frase impertinente con cui aveva osato infilarsi nelle sue riflessioni, dare il tempo al fluido scarlatto di incrostarsi e costringerla a ripulirlo con la lingua.
Se fosse stata realmente anche abbastanza avvenente, si sarebbe concesso il lusso di divertirsi un po’. L‘avrebbe violata e seviziata ripetutamente, dopo di che l’avrebbe ammazzata comodamente, poco per volta, facendola patire come una mosca in un bicchiere, consegnando alfine il suo corpo esangue e sfigurato alle profondità degli abissi.


Dondolava, a tempo con le onde. Non immaginava che la sua discreta amorevole presenza le sarebbe mancata così tanto. La cabina sembrava più grande e terribilmente vuota. Neanche quel piacevole movimento ondulatorio riusciva a rilassarla come al solito. Troppe congetture si affastellavano nella sua mente, si sentiva soffocare. Si stava impelagando con avventatezza in un sentiero estremamente paludoso, mettendo a rischio tutto ciò che aveva.
Indubbiamente avrebbe avuto ancora la possibilità di tornare indietro, ma a che pro?
Avrebbe conservato la pelle, il che non era poco. Però i suoi sogni non si sarebbero mai avverati.
Bulma cambiò fianco, imprimendo un’oscillazione più decisa all’amaca.
I ragionamenti si stavano ingarbugliando troppo. Era in preda ad un’acuta crisi di panico, e non era il momento più opportuno. Non aveva senso, non era successo niente, ancora.
Doveva essere pronta da tempo a quell’inevitabile incontro: fredda e determinata.
Aveva un nome da difendere e una missione da compiere. E quello era solo un pirata rozzo e attaccabrighe come tanti altri. Non era nessuno, lei non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno!
Udì un ticchettio provenire dallo scrittoio, scese esitante dall’amaca, e, buttando fuori un lungo soffio di fiato, inspirò a fondo per calmarsi. La bussola cerca-sfere stava segnalando qualcosa. Accostò il viso alla prodigiosa invenzione di cui andava fiera, la sollevò dalla scrivania e rimase ad osservare con attenzione le oscillazioni dell’ago.
La assalì un’improvvisa tremarella: a poppa, dietro di loro, anche se non ancora visibile, si stava approssimando il pirata che, aveva compreso, non avrebbe mai voluto sfidare.


veggie-pirate

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Capitolo 6
*** VI: Playing cat and mouse ***


Contro ogni aspettativa, sono riuscita ad aggiornare prima del previsto, nonostante domani abbia un esame!
Questo capitolo è finora il più pieno d'azione, userò molti termini nautici ma non scoraggiatevi se la lettura vi risulterà un po' complessa!  Ho posto in fondo una piccola legenda!
E vi anticipo che arriverà finalmente il momento che tutti stavate aspettando...^^

Nel rigraziare tutti coloro che mi seguono, vi lascio alla lettura!
Al prossimo approdo!)


VI: PLAYING CAT AND MOUSE

L’orizzonte era limpido e vuoto, nient’altro che una massa d’acqua sconfinata che si confondeva con il cielo azzurro del mattino, riflettendone le rade nuvole soffici e bianche.
Bulma si scostò dalla finestra e prese a camminare in tondo e poi avanti e indietro rispetto alla scrivania. Eppure il ticchettio della bussola cerca-sfere continuava imperterrito ad infilarsi nelle sue orecchie, suggerendole che non erano da soli in quel tratto di mare.
Si sedette buttando via la parrucca che sembrava opprimere ulteriormente il suo già concitato ragionare, quindi si concentrò a studiare le asticelle dell’aggeggio da lei stessa assemblato anni addietro con l’aiuto del padre. E solo allora notò come quelle lancette avessero un andamento quantomeno sospetto: erano sette, una per ogni sfera. Tre di esse erano sovrapposte e variavano sensibilmente angolazione simultaneamente: designavano quelle che aveva affidato a Goku. Altre due giravano a vuoto, una sola era fissa, mantenendosi a nord rispetto alla loro rotta, ossia dietro di loro, mentre l’ultima aveva deviato l’inclinazione più verso nord est.
Tirò fuori da un cassone delle carte nautiche, vi poggiò la bussola e tracciò approssimativamente le direzioni da questa individuate. Controllò ancora per qualche minuto con cura tutti i calcoli e le stime, ma infine il suo intuito le indicò che doveva esserci una sola soluzione sensata al dilemma: quelle sfere potevano non essere in possesso alla stessa persona, il che significava l’ipotetica presenza di un terzo contendente.
Gettò un’ulteriore occhiata alle asticelle che ticchettavano vicine ma separatamente e si convinse che doveva essere proprio così. Ora avrebbe dovuto vedersela con due avversari. Il suo ottimismo iniziava a vacillare, ma confidava che avrebbe trovato il rimedio anche per quell’imprevisto. Un passo alla volta, doveva mantenere la lucidità. Più facile a dirsi …
Intanto dall’esterno sentì gradualmente aumentare il tramestio sul ponte, la nave aveva superato la velocità di crociera e gli uomini si scambiavano frasi mozze e alterate.
Non poteva più evitare l’inevitabile. L’inseguimento era iniziato.
La ragazza indossò nuovamente la parrucca, passando davanti ad uno specchio a scomparsa montato dietro la porta che, girando una rotellina, tornò ad essere occultato da un pannello ligneo, legò ai fianchi la cinta con la fondina e la bussola, e uscì sulla balconata del castello di poppa. Parte della ciurma era appesa sui pennoni, intenta a sbrogliare le vele al vento, altri pirati si sporgevano dalle murate appiccando sguardi allarmati a poppa, altri ancora, che erano rimasti confusi e inerti, alla sua apparizione finsero di essere occupati a fare qualcosa o si dileguarono sottocoperta.
Bulma si avviò al timone, dove trovò il suo vice affannarsi a manovrare e distribuire ordini.
- Spiegate bene il velaccio! E issate quei fiocchi!
- Che sta succedendo, Yamcha? – lo richiamò, oltraggiata dalla sua valida ma insubordinata presa di iniziativa.
Il giovane non badò al tono indisponente del Capitano e le rispose con gravità, senza mollare le maniglie: - Dai colori si direbbe che quella è la Bloody Wench. La nave di Capitan Vegeta!
La piratessa inforcò il cannocchiale, diede le spalle alla prora e cercò di individuare il temuto veliero. In meno di un minuto lo avvistò a tre quarti di tribordo: un galeone enorme dotato di quattro alberi, le vele nere e per bandiera un tridente che trafiggeva un cuore gocciolante su sfondo giallo.
- Prima di quando pensassi – mormorò indietreggiando fino a sbattere contro la schiena del suo ufficiale – Ma che stai facendo? – lo rimproverò subito dopo, sentendogli impartire altri comandi all’equipaggio.
- Abbiamo il vento in poppa, possiamo seminarli! – la ragguagliò lui con un sorriso soddisfatto che si affievolì non appena incrociò il suo cipiglio contrariato – Non vorremmo farci prendere, giusto? – ribatté sconvolto.
La donna si appropriò estemporaneamente del timone: - Sì, invece. Desidero incontrarlo – lo folgorò tesa - Tirate dentro i remi! Togliete tre mani ai terzaroli!
Yamcha lasciò ciondolare le braccia lungo i fianchi osservandola inebetito mentre invertiva i saggi comandi che aveva proferito poco prima lui, poi si esacerbò: - Sei pazza, Bulma! Quello lì non è uno che scherza! – la ammonì angosciato, lanciandosi di nuovo sul timone per tentare di strapparglielo dal controllo, con ben poco successo.
- Yamcha! Non sei stato tu a riferirmi che quello lì ha assalito un reame sperduto e desolato solo per rubare una sfera? – protestò lei, aggrappandosi perfino con le gambe alla ruota per non permettergli di contrastarla.
- Sì. Così dicono … una vera strage – confermò il filibustiere annaspando, voltandosi appena per valutare la lontananza del vascello nemico che li aveva già quasi a portata di cannone.
- Se ne ha presa una, vuol dire che sa e che vuole le altre, come noi – asserì la piratessa, rilasciandogli il timone per ricontrollare anche lei la sagoma scura attraverso la lente del cannocchiale.
Yamcha continuava a guardarla stordito, in attesa di nuove disposizioni che non tardarono a giungere: - Bracciate il pennone. Facciamolo giocare un po’ al gatto e al topo, a fasi alterne.
Il primo ufficiale boccheggiò ancora più disorientato: - Scusa, ma non ti seguo.
La ragazza smise di sogghignare, arrestandosi in cima alle scalette del cassero: - Meglio averlo come alleato che come nemico – asserì con incerto accanimento, abbassando gli occhi.
Yamcha imprecò, affidò il suo posto ad un marinaio di passaggio e la raggiunse tirandola per un polso: - Questo non me l’avevi detto – stridette rancoroso ad un palmo dal suo viso.
Bulma risollevò ritrosamente le iridi turchine sul volto accalorato del collega: - Ci sono tante cose che non sai di me … - gli rispose in un bisbiglio esasperato e rattristato che lo turbò.
Si udì un boato e una palla di cannone sfiorò la fiancata di tribordo: - Braccia in trinchetto! Sbrigatevi! – urlò perentoria il Capitano Brief, impedendo al compagno di indugiare in altri sconvenienti interrogativi.


- Li stiamo staccando! – si spolmonò Nappa, nell’istante in cui la Bloody Wench doppiò la prora della Proudy Star.
- Pescano molto meno di noi e sono più veloci. Come mai continuano a perdere nodi? – borbottò a bassa voce un fremente Capitan Vegeta, studiando dal cassero di prua le mosse dell’avversario. Non credeva nel destino né nella buona sorte, e infatti aver incrociato quel brigantino gli pareva una coincidenza sin troppo fortuita. Inoltre aveva la sensazione che quella donna stesse continuando a prenderlo in giro: gli stava sfuggendo, ma aveva rallentato, l’aveva quasi colpita, però non aveva impiegato l’artiglieria per difendersi, ed ora tornava a veleggiare più spedita di prima e ce l’avevano alle calcagna.
- Cambiate le mure. Virare a sinistra! Non mi interessa staccarli ma averli a portata di tiro! – gridò sporgendosi dall’ala di plancia – Cannoni in caccia e mirate agli alberi! Non possiamo rischiare di affondarla o perderemo anche le sfere!
Nappa dalla tolda ripeté l’ordine alla ciurma, mentre Radish che gli era vicino ripose scettico il cannocchiale: - Forse hanno una falla – ipotizzò data l’incostante navigazione.
Vegeta ruotò la testa irritato: - Prega che non sia così o ti mozzo una mano – lo minacciò sfiorando l’elsa. Non gli era sfuggito che le cannonate che aveva fatto partire erano state troppo prossime alla chiglia.
Il secondo di bordo inghiottì lo smacco e ritornò alle batterie: - Avete sentito, topi schifosi! Un po’ di vita!
Le due navi, governate dalle abili manovre dei loro capitani, si rincorsero e si sfidarono finché toccarono la stessa velocità e si ritrovarono bordo a bordo.
Dal galeone si sprigionò subito una potente bordata che divelse i pennoni e spezzò mezzana e bompresso, travolgendo una decina di uomini che vi finirono sotto, schiacciati dal loro peso.
- Preparate le armi e sguinzagliate il fegato, femminucce! – incitarono la ciurma gli ufficiali di Vegeta.
A quel punto una palla incatenata fu sparata contro l’albero maestro della Proudy Star, escludendo qualsiasi speranza che potesse essere riapprontata per fuggire all’abbordaggio.
- Quelle belve ci massacreranno tutti! – sussultò Yamcha terrorizzato, prendendo la mira con un moschetto contro gli aggressori che stavano arrivando.
Bulma osservava impotente l’accostamento incombente della Bloody Wench, rintanata dietro di lui: - Oh, piantala di essere disfattista, Yamcha! Sono qui per la nostra stessa ragione: le sfere! – gli ricordò simulando un sangue freddo che la sua voce stridula smentiva miseramente. Deglutì riassumendo un tono impavido: – Perciò non appena ci assalgono approfitta della confusione, fiondati sulla loro dannata nave e vagliele a rubare! Ti copro io – lo incalzò energica, stringendogli con forza un braccio e guardandolo intensamente e fiduciosamente.
- Continuo a non capirti. Se vogliamo farcelo amico perché devo andare a derubarlo? – obiettò il complice, dopo aver interrotto malvolentieri quell’agognato contatto.
Il Capitano sospirò nascondendo il volto tra le mani per quello che le sembrò un ulteriore vigliacco ripensamento da parte del suo luogotenente, che dimostrava una volta di più di non avere la sua stessa mente strategica.
La pressione degli assalitori stava diventando indiavolata, una pioggia di rampini, fiocine e pallottole si stava riversando su di loro, e il frastuono degli spari e degli urti metallici confondeva azioni e parole.
Il pirata comprese che non c’era un attimo da perdere. Bulma era arguta, imprevedibile e un po’ fuori di testa, ma dopotutto la adorava anche per questo: - Posso avere almeno un bacio, prima di andare? – osò domandarle con vanagloriosa noncuranza, allungando le labbra verso di lei.
La piratessa gli sorrise suadente, afferrandogli il mento con una mano e respingendolo:
- Te ne prometto due se torni col trofeo – gli assicurò con un furbo occhiolino.
A quell’allettante sollecitazione Yamcha scattò con un balzo e la salutò spavaldo portandosi indice e medio sulla fronte, per poi svanire tra i combattimenti.
Bulma avanzò carponi fino al timone e vi si nascose palpitante, in attesa del momento propizio per richiamare l’attenzione dei suoi e far caricare gli archibugi.
Capitan Vegeta saltò su una sartia e, rimanendovi appeso, lanciò un lungo sguardo indagatore sul ponte del brigantino tinto di celeste, tentando di individuarne il comandante, tuttavia, nella foga dei proiettili che sfrecciavano da una murata all’altra, alzando fumo, schegge, schizzi di sangue e brandelli di vestiti, i suoi sensi non riuscirono a cogliere altro che caos e polvere.
All’improvviso uno strillo starnazzante, quindi decisamente femminile, si impennò sul vociare degli scontri, ripetendo un ordine inequivocabile: - Fuoco a volontà!
Non seppe focalizzare il punto preciso da cui il comando si era perpetrato. Si voltò, coprendosi la faccia con un braccio, ma ne restò investito anche lui. I cannoni della nave della Brief sputarono dei pallini particolari che, a contatto con il bersaglio, si aprirono rilasciando un’indefinita sostanza collosa, maleodorante e corrosiva.
- Che diavolo è questa merda?! – si sentì avvampare e dovette svestirsi febbrilmente della giacca che ne era quasi del tutto macchiata e si stava disciogliendo. La gettò a mollo e si accinse a scendere dalla sartia per gettarsi lui stesso all’arrembaggio, quando un bruciore atroce gli bloccò il braccio destro e allora notò che la misteriosa essenza urticante gli era penetrata nel tessuto della camicia. Senza perdere tempo tirò con forza la manica strappandola via e constatò che, fortunosamente, la pelle era rimasta intatta al contagio. Ringhiò tra sé, appigliandosi ad una cima, notando che molti dei suoi erano rimasti impantanati in quell’acido appiccicoso. Si lanciò sulla nave avversaria, valutando su chi scatenare per primo la sua rabbia assassina e non gli ci volle molto a centrare l’obiettivo.

- Siamo a corto di capsule esplosive, signora.
- Non importa.
Bulma osservava soddisfatta il prodotto devastante delle sue cannonate: molti pirati non erano neppure riusciti ad arrivare sulla sua Proudy Star, solo i più temerari e agguerriti si erano inoltrati a bordo e sapeva che la cercavano. Angustiata da tale constatazione, si acquattò sotto il timone e, attraverso le colonnine di legno della balconata, scorse Yamcha. Era tornato, aveva le tasche piene e vibrava la spada con la solita maestria, eppure l’avversario con cui si stava battendo lo faceva apparire assurdamente goffo e inoffensivo.
Da quella distanza ne poté apprezzare solo alcuni tratti distintivi: i capelli, neri come le tenebre, avevano la foggia di una fiamma ed erano trattenuti da una bandana rossa come il fuoco che doveva ardergli l’animo assetato di sangue, non era molto alto però il suo fisico ben proporzionato era un fascio di nervi e muscoli che scalpitavano con misurata ferocia, intercettando ed aggredendo i punti deboli del suo rivale.
Yamcha stava cedendo, ciò nonostante gli diresse un vigoroso affondo che l’aitante moro parò senza difficoltà, rifilandogli una testata e poi un potente calcio sotto la cintola con cui lo prostrò definitivamente, facendolo stramazzare a terra inerme e singhiozzante.
Vegeta calcò violentemente un piede sul torace dello sciagurato squadrandolo con disprezzo e con una sciabolata gli tagliò le tasche della giubba da cui fuoriuscirono monete, mappe, gioielli e perfino due candelabri d’argento: - Come ladruncolo non te la cavi male, ma con la spada sei davvero scarso – lo denigrò caustico, facendo oscillare la lama sul suo viso e mimando di trafiggerlo al cuore.
Bulma capì che il suo amico era seriamente in pericolo, ma il terrore che le incuteva la brutalità del tenebroso filibustiere la teneva attaccata alla sua posizione. Yamcha era spacciato, e lei non aveva mai imparato ad usare armi di alcun tipo, sebbene sapesse idearle e costruirle.
Le si contorcevano le budella al solo figurarsi la brutta fine cui lo stava condannando a causa del suo sventurato piano. Si sfiorò la pancia e a quel punto le dita si strinsero attorno alla sua recente invenzione che non aveva ancora messo alla prova.
Scattò sulle gambe e, arrampicandosi alla sottile balaustra, studiò un modo per raggiungere rapidamente i due. A malincuore si rese conto che ce n’era solo uno. Tese il braccio verso una fune malferma cui si affidò chiudendo gli occhi. Dopo aver volteggiato nel vuoto, urlando a squarciagola per lo spavento di cadere, riuscì a dominare le fluttuazioni piombando miracolosamente in posizione eretta proprio tra il suo primo ufficiale, che era ancora disteso, senza nemmeno schiacciarlo, e di fronte all’ombroso pirata con la bandana rosso vivo.
Yamcha, ancora dolorante, approfittò del momento di stallo, per rotolare e trascinarsi poco lontano, scansandosi l’eventualità di restare coinvolto nell’imminente duello.
Mentre aveva il fiato mozzo e accelerato per l’angoscia, a Bulma sgorgò spontaneamente una risatina nervosa per avercela fatta, a dispetto della sua convinzione di non avere alcuna dimestichezza con l’azione.
Ma, non appena sollevò il viso, lo sguardo torbido e fugacemente divertito dell’aggressore, che brandiva una lama bagnata di sangue, le fomentò irregolari e convulse palpitazioni che le scossero il petto.
- Vi stavo aspettando, donna.

E questo dovrebbe essere più o meno il Vegeta che si trova davanti la nostra Bulma! (Ringrazio mia sorella per averlo disegnato!)
Vegeta-pirata

* Per chi ne avesse bisogno, ecco alcune delucidazioni sui termini tecnici impiegati:
Babordo: sinistra; tribordo: destra.
Velocità di crociera:corrisponde alla velocità media o costante, quella che non implica il dispiegamento di tutte le vele.
Le murate sono i fianchi della nave, sopra la linea di galleggiamento.
Pennoni: sono le aste orizzontali che reggono le vele. Bracciarlo vuol dire agire su queste vele più alte.
Velaccio e fiocco sono due tipi di vele, rispettivamente quella superiore dell’albero maestro, e quella inserita tra bompresso e trinchetto, gli alberi di prua.
Terzaroli: fasci di vele esposte al vento; toglierli significa sottrarre superficie velica e quindi diminuire la velocità di navigazione.
Il trinchetto è la più bassa delle vele quadre dell’omonimo albero, che sarebbe il primo da prua.
Il pescaggio è il livello di emersione dello scafo rispetto all’acqua; quando un’imbarcazione pesca poco significa che il suo scafo galleggia con più facilità e quindi raggiunge velocità maggiore.
Cambiare le mure: invertire la parte di velatura esposta al vento.
Batteria: l’insieme dei cannoni di una murata.
Mezzana: albero di poppa; bompresso: albero obliquo che sta sulla prua.
Sartie: sono quella sorta di reti di funi montate ai lati degli alberi e collegate alle murate che servono a sostenere gli alberi stessi. 

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Capitolo 7
*** VII: Risky choices ***


Buon giorno, ciurma! Anche questa settimana nonostante lo studio, il caldo e altri impegni vari, sono riuscita a concludere un nuovo capitolo!^.^

L'inizio non è come ve lo aspettavate e il finale lascia un po' a desiderare, azioni e pensieri potrebbero apparirvi poco chiari, ma non mandatemi a passeggiare sull'asse!^^' Poco a poco si spiegherà tutto, promesso ;)

Un ringraziamento speciale al mio primo ufficiale axa 22, fonte di ispirazione e preziosa consigliera, e a mia sorella VAleMPIRE che sta dedicando tempo e volontà a disegnare i nostri eroi in versione riveduta e corretta secondo i canoni di questa storia (in fondo al capitolo stavolta trovate Bulma).
Un saluto affettuoso a tutti i lettori che mi seguono e in particolare a chi si è fatto conoscere lasciandomi il suo parere Federika21, LoveKath, LadyInDark.

Alla prossima!)


VII: RISKY CHOICES

Il tenente Son Goku passeggiava lungo la murata di babordo osservando l’oceano, placido così come appariva lui. Non cedeva mai ai nervi o alla paura, a quelle che gli altri definivano “passioni”. Lo invidiavano tutti per questa sua dote, ma lui ora sentiva di starla smarrendo.
Da tre giorni si trovava in mare aperto a bordo della Speedy Cloud, e immagini e parole della terraferma continuavano a ronzargli nella mente come un nugolo di vespe.
Ripensava alle parole di Bulma e non si decideva se darle credito oppure no.
Voltando le spalle alla murata, scorse sul castello di poppa il Capitano Muten. Non era riuscito ad avvicinarlo da solo da quando si era imbarcato, o forse si era solo sottratto volontariamente ad un confronto tanto delicato. Non poteva ancora indugiare: la questione andava affrontata. Si decise a scrollarsi di dosso quella sensazione di insicurezza e, quattamente, si fece strada fino a lui per poi accorgersi che stava discutendo affabilmente con alcune giovani reclute al loro primo viaggio. Sconoscevano ancora i reali pericoli del mare e non voleva di certo scoraggiarli, ma sentiva che era in dovere di parlare anche davanti a loro.
- Capitano Muten? – esordì dopo aver aspettato il momento più opportuno per richiamare la sua attenzione, senza disturbarlo dalle sue gioviali chiacchiere.
L’anziano uomo si voltò sorridente: - Oh, buondì figliolo – lo salutò, ammutolendo al cospetto della sua espressione insolitamente abbattuta - Cos’è quella faccia appesa? Ti manca la tua dolce mogliettina, eh? Anch’io sono stato giovane, li capisco perfettamente certi bisogni …
Goku si sentì più offeso che imbarazzato dalle maliziose insinuazioni del Capitano: - No, lei non mi manca affatto! … Voglio dire, sono un soldato, sapevo a cosa andavo incontro … - lo rassicurò sereno. Gli altri marinai lo fissavano meravigliati da tanta fermezza.
Muten si voltò verso di loro spifferando sotto voce: - Lui è un caso particolare. Non preoccupatevi! Alla prima buona occasione faremo porto! – promise ammiccando allusivo.
Goku si riavvicinò schiarendo la gola: - Signore, io ero venuto a suggerirvi che dovremmo far rotta verso i Mari del Sud, dirigendoci nelle Terre del Sole Morente.
I colleghi mormorarono, stupiti dalla sua ingerenza e preoccupati dalla cattiva nomea di quella località.
- E da cosa nasce questa convinzione? – si limitò a chiedergli il comandante, abbassando sul naso gli occhialetti dalle lenti scure, che era costretto a indossare per un vecchio incidente di gioventù.
- Ho avuto una ventata prima di partire – dichiarò convinto Goku, non cogliendo il perché delle risatine di alcuni.
Crilin gli diede una leggera gomitata: - Vuoi dire una soffiata!
Il ragazzo titubò qualche secondo per poi scoppiare in un’allegra risata che contagiò ancora di più il resto della ciurma radunata lì: - Oh, sì! Che sbadato!
Il capitano Muten richiamò tutti all’ordine con un colpetto di tosse: - E da parte di chi, se posso? – lo interrogò con accento rigoroso.
Goku involontariamente si ritrovò a balbettare in cerca di una risposta che non suonasse troppo sospetta: - Ehm … io … veramente non credo che …
Il maturo ufficiale stette ad osservarlo concentrato, rimproverò con un’occhiataccia i marinai che dirigevano sguardi derisori al giovane e infine gli assestò una affettuosa pacca sulla spalla: - Non importa. Mi fido di te, ragazzo. E sia. Invertite la rotta! – ordinò categorico, “Mi spiace solo che quel luogo infernale difetti di bordelli” meditò di seguito sconsolatamente, allontanandosi dal timone e comunicando al tenente di proseguire lui stesso con le altre manovre necessarie ad impartire la nuova destinazione alla navigazione.
Crilin rincorse Goku finché questo non ebbe terminato di dettare gli ordini alla ciurma e si fermò, affacciandosi alla prua: - Chi è stato a fornirti questa “ventata”? Su! A me puoi dirlo, amico!
Il giovane mugugnò alcune sillabe confuse, prima di convincersi a pronunciare controvoglia e apprensivamente: - Bulma Brief.
Il guardiamarina dovette trattenere un urlo: - Ma è una donna pirata! – lui annuì mestamente e riportò gli occhi spenti sulle onde - Tu le credi? – indagò cautamente, non l’aveva visto quasi mai così preoccupato.
- Non lo so, Crilin – sospirò demoralizzato – Ma credo si stia imbarcando in un gran brutto guaio …


Ancora inchiodata alle sue iridi di brace, che gridavano morte e vendetta, Bulma cercò l’impugnatura del pugnale che teneva nella fondina appesa alla cintura, lo estrasse e glielo puntò contro, reggendolo tremolante con entrambe le mani.
Vegeta avanzò di un passo emettendo una risata roca e sommessa: - Molto sciocco da parte vostra non arrendervi.
La ragazza si sforzò di ignorare la sua convincente intimidazione, premette un’impercettibile levetta dissimulata nel manico dell’arma e la lama, dapprima più corta dell’elsa, con una serie di scatti si allungò un segmento alla volta fino a diventare una vera e propria spada e sfiorargli con la punta lo zigomo sinistro.
- Non è nel mio stile, arrendermi – replicò arretrando senza abbassare la guardia e gli occhi da quelli di lui, con fare vanesio, impuntandosi in una sfida che la atterriva e la stuzzicava come non mai.
Era lei, dunque. Tutto poteva immaginare, tranne che alla sconosciuta, che gli aveva dato il tormento per giorni, potessero appartenere le fattezze di una fanciulla impertinente e avventata dai lineamenti leggiadri e delicati uniti ad un corpo minuto e voluttuoso da sirena, racchiuso in abiti maschili sin troppo succinti per sopprimere la sua femminilità sfacciata e ammaliante.
- E poi sono certa che mi uccidereste comunque – strepitò, continuando ad allontanarsi per sottrarsi al duello, tenendo tutte e due le mani sull’impugnatura e agitandola a vuoto.
Il capitano della Bloody Wench continuava a seguire con un frammisto di presunzione, oltraggio e derisione ogni suo movimento: - Sì, infatti vi ucciderò. Ma prima magari potremmo divertirci un po’ … - la provocò con accento insolente, passandosi la lingua tra le labbra inaridite dal sale e dal caldo, prima di attaccarla con foga a sorpresa.
- Ah! Piuttosto mi taglierei la gola! – strillò sdegnata Bulma e rabbrividì, come se ad un soffio da lei stesse contemplando uno squalo: l’andatura sinuosa e sicura, gli occhi profondi e freddi, le sciabolate furiose e brutali come morsi che divoravano poco a poco la preda.
Era talmente penosa che in realtà non capiva neanche più se voleva davvero scannarla. Continuava a brandire quella strana lama che variava estensione più come un oggetto di difesa che di aggressione. Non aveva alcuna tecnica, i suoi pochi affondi erano imprecisi e impetuosi, ma quantomeno aveva fegato ed era abbastanza veloce, pensò Vegeta, mentre la sua ennesima stoccata, vicinissima a tagliarle il corsetto, le suscitava un altro strillo acutissimo, terrorizzato ed eccitante.
Bulma si sentiva in trappola, ormai. Stentava a credere di aver impugnato davvero una spada. Era la prima volta che combatteva con il fisico anziché con la sola mente, non era particolarmente brava a coordinare le due cose! E oltretutto stava sfidando il criminale forse più pericoloso che ci fosse in circolazione in quell’epoca.
Incalzava senza sosta e lei non era capace di contrastarlo, solo di fuggire, innervosendolo ma non sfiancandolo, tanto che un suo fendente giunse a lambirle la coscia, galvanizzandolo.
- Non avrete creduto che sarei stato clemente con voi perché siete una sporca femmina! – sogghignò malevolo, cercando di abbrancarla con un braccio. La ragazza si spostò indietro abbozzando un salto ma finì per perdere l’equilibrio, rialzandosi appena in tempo per scappargli ancora, sfruttando la luce riflettuta dalla lama della spada che lo accecò momentaneamente.
Priva di idee e di supporto dal resto della ciurma, catturata o ferita, si gettò di corsa su per le scalette del cassero. Stava andando tutto storto. Avrebbe dovuto tentare di intavolare un discorso alla pari con lui, non trasformarsi in uno zimbello. “Colpa di Yamcha!”, considerò furente tra sé e sé, gettando un’occhiata sul ponte ma non individuando il responsabile a portata di vista.
Distrarsi per qualche secondo dallo scontro le costò un violento ceffone da parte dell’avversario, che le volse a forza la faccia verso di lui: - Mai voltarsi in duello. Non lo sopporto! – proferì sardonico a denti stretti, ritornando a incrociare l’acciaio.
Le chiacchiere di taverna stavolta non mentivano né esageravano, convenne: quell’uomo era una vera furia scappata dall’inferno, e lei solo una donna troppo impulsiva e una pessima spadaccina, che si guadagnò un altro taglio alla manica da cui fluì un rivolo rosso.
La ragazza si premette la lesione e lo fissò supplice, ma Vegeta, stufo della sua farsa, la disarmò con un solo colpo orizzontale e con una spallata la spinse sgraziatamente giù per la rampa, tanto che contò tutti i gradini rotolando fino alla tolda dove rimase piegata in due per il dolore della caduta.
Il pirata scese senza fretta sogghignando compiaciuto mentre la guardava dimenarsi come un’anguilla in cerca dell’ultima boccata d’aria. Quello era solo l’inizio: le avrebbe fatto abbassare la cresta, così si sarebbe pentita per sempre di averlo sfidato con tanto ardire.
La donna gemendo riuscì a mettersi supina, curvando le gambe come a volersi rialzare, ma lui adagiò pigramente il tacco del suo stivale nero sulla sua lunga treccia castana tirandola verso di sé, bloccandola al suolo, e fece scendere la lama appuntita sul suo collo niveo:
- Avanti, dite che la nave è nostra – le intimò ruvido, curvandosi leggermente su di lei, affinché la minaccia verbale fosse corroborata dal suo sguardo intensamente bieco, strattonandole con più forza i capelli.
Bulma temporeggiò inviandogli un enigmatico sorriso, nonostante respirasse ancora a fatica sentendosi tutte le ossa ammaccate. Lentamente si portò le mani dietro la nuca, in modo da staccare i fermagli, senza farglielo capire, sforzandosi di fare leva sui gomiti.
Aveva perduto la sua pregiata nave, aveva perduto forse anche l’appoggio dell’equipaggio e di quell’impiastro di Yamcha che l’aveva delusa profondamente, ma non era disposta a perdere quel poco di dignità che le restava, ben salda assieme al suo ostinato orgoglio.
Piuttosto avrebbe rischiato ulteriormente, svelando quell’identità che da tempo aveva deciso di nascondere prudentemente al resto del mondo. Lo aveva voluto attirare lei e già gli aveva permesso di credere abbastanza a lungo di averla sconfitta.
Quando fu certa che la parrucca si fosse del tutto sfilata dalla sua vera chioma, vincendo le fitte di dolore e panico che le irrigidivano i sensi e le membra, distese le gambe, scivolò un poco in avanti sulla schiena per distanziare l’inquietante estremità ricurva della sciabola, quindi, lestamente, si ribaltò sulla pancia, invertendo la posizione da supina a prona, reggendosi sulle braccia e indugiando a studiare l’espressione dell’uomo con soddisfazione e timore.
Vegeta serrò la mascella, socchiuse le palpebre e strinse la presa sull’elsa mentre nella mano libera le unghie quasi gli si conficcarono nel palmo: gli era imprevedibilmente sfuggita di nuovo. Tuttavia il violento livore per la mancata vittoria fu un attimo dopo soffocato da un titubante sbigottimento.
La ragazza stesa ai suoi piedi aveva onde di mare al posto dei capelli, onde azzurre e flessuose che ricadevano ai lati del suo viso e delle spalle illuminandone la pelle di luna, velata di un lieve rossore solo sulle gote e sulle labbra morbide.
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia” obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo. Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei. A meno che non si trattasse di un altro trucco per irretirlo.
Istintivamente c’era stato sin da subito qualcosa che non l’aveva convinto del tutto in quella donna. A partire dal modo in cui si abbigliava, perché quei vestiti mascolini evidenziavano le sue curve, anziché celarle. Peccato non sapesse che lui non era tipo da lasciarsi abbindolare da così futili apparenze. Lei era e restava un nemico da distruggere, benché stesse cominciando ad essere moderatamente incuriosito dalle sue ardimentose intenzioni.
Nel grigiore dell’incertezza, però, non poteva rischiare di versare neppure un’altra infima goccia del suo prezioso liquido venoso o sarebbe stato condannato per sempre. Doveva escogitare un pretesto per tenerla con sé e carpirne la vera natura. La detestava ma aveva bisogno di lei, e capiva che un’eventuale convivenza sarebbe stata una spossante tortura ...
Nessun uomo l’aveva mai fatta sentire tanto a disagio con la sola forza di uno sguardo, carico di sospetto e sibillini interrogativi. Ipnotico ed indecifrabile, dietro la sottile linea di bistro che ne rimarcava prepotentemente i contorni.
La pletora dei combattimenti era scemata. Lievi mormorii strisciavano tra i marinai intorno a lei, che la guardavano con invadente curiosità, per lo stesso motivo che aveva paralizzato anche lui, perciò Bulma decise di rimettersi in piedi, spezzando l’opprimente silenzio che era calato come una cappa invisibile: - Insomma, si può sapere cosa avete da fissare? – lo bacchettò velenosa e insolente, raccogliendo la lunga capigliatura turchese in una treccia che legò con un braccialetto di stoffa ricavato dal polso.
Vegeta rinfoderò la sciabola e le rispose a tono, usando del sarcasmo per celare il reale turbamento: - I vostri capelli hanno una tinta orribile.
La ragazza incrociò le braccia adirata, distogliendo il viso dal suo: - E voi allora? Vi pettinate con le cannonate? – ridacchiò riportando l’attenzione alla chioma ispida del bucaniere che tornò immediatamente ad infiammarsi.
- Sgualdrina impudente! – sibilò raggiungendola in un paio di falcate.
- Villano cafone! – lo apostrofò lei per nulla intimorita, perseguendo la sfida anche con lo scambio di occhiate, nonostante potesse quasi percepire il suo respiro furioso solleticarle la pelle.
Yamcha, trattenuto dalla morsa vigorosa delle braccia di un paio di pirati, assisteva incredulo alla tangibile elettricità che si era creata tra i due, molto simile a quella presente nell’aria prima della tempesta: le loro sagome sembravano sprizzare faville come quelle sprigionate dai fuochi di Sant’Elmo!
Seppure non avesse capito ancora come mai la stesse risparmiando, Bulma osò ancora squadrarlo con minore pavidità, parlando mellifluamente: - E così sareste voi, il tremendo Capitan Vegeta.
- E voi quella gran rompipalle di Bulma Brief – attestò il diretto interessato, con un’occhiata supponente e derisoria.
La giovane storse la bocca: - Capitano, prego – precisò, piantandogli un dito in mezzo al petto.
Lui trasalì e scostò seccamente quel contatto intrepido e indesiderato: - Tsk, un capitano donna! È una cosa inaudita – sbottò tediato, non potendo evitare di incappare di nuovo nei suoi occhi che racchiudevano una scintilla indomabile d’argento vivo.
- Così è, e così pretendo che vi rivolgiate a me – replicò la donna, stizzita dal suo accento tanto arrogante.
A Vegeta venne la folle tentazione di sgozzarla senza troppi complimenti, ma arrestò la mano poco prima che si avvolgesse al pomo dell’arma, limitandosi a sciorinare l’affilatezza della lingua: - Voi non potete pretendere proprio niente da me, giacché da adesso siete mia prigioniera – decretò sbrigativamente, ottenendo con un cenno che i suoi sgherri le si gettassero addosso e la ammanettassero tra calci e proteste.

Bulma-Brief-piratessa
* Il fuoco di sant'Elmo è una scarica elettro-luminescente provocata dalla ionizzazione dell'aria durante un temporale; visivamente è un bagliore blu e bianco, ramificato (simile alle scariche fra le piastre di un condensatore), che si sprigiona appunto dalle strutture più acuminate, come gli alberi delle navi, ma anche le corna del bestiame. Il fenomeno prende il nome da sant'Erasmo di Formia (detto anche sant'Elmo), vescovo e martire, santo patrono dei naviganti, che consideravano la sua comparsa di buon auspicio.

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Capitolo 8
*** VIII: Confronting the enemy ***


Buon giorno, ciurma! Anche questa settimana nonostante lo studio, il caldo e altri impegni vari, sono riuscita a concludere un nuovo capitolo!^.^

E lo lascio al vostro avido giudizio, non senza spendere prima qualche parola.

Noterete una prima parte più intimista e introspettiva e un finale decisamente più vivace e dialogato. Nello scorso capitolo avevamo lasciato Bulma e Vegeta al loro primo impatto e adesso ho pensato che la nostra eroina si trovi ad un bivio: potrebbe tirare i remi in barca e battere in ritirata, oppure andare fino in fondo, pur avendo già conosciuto la tempra tutt'altro che malleabile dell'avversario, che non impazzisce all'idea di averla a bordo (o forse sì?!)

Augurandomi di non deludere ancora una volta le vostre aspettative, vi ringrazio per aver scelto di seguire questa storia e vi saluto.

Al prossimo approdo!)


VIII: CONFRONTING THE ENEMY

Un molesto tanfo di umidità e marciume impregnava l’ambiente spoglio e incolore, sommandosi all’odore farraginoso del sangue e a quello acre del sudore degli uomini che vi erano stati ammassati dopo la cattura. Non vi erano aperture oppure oblò che lasciassero trapelare aria o luce nelle pareti di legno, surriscaldate dal calore dei raggi solari che picchiavano dall’esterno.
Era estenuante attendere l’esito di quella brusca carcerazione a bordo della Bloody Wench restando costretti in venti nello spazio claustrofobico di quella minuscola celletta, che poteva accogliere meno della metà dei prigionieri che vi erano ospitati. Ed era un affronto bello e buono per un Capitano di lunga data come lei! Al Capitano Brief non era mai capitato prima di allora di stare dalla parte del perdente.
La calura opprimente e la mancanza di ventilazione stavano iniziando a procurarle degli sgradevoli capogiri, ma la rabbia era talmente acuta da tenerla desta e aizzarla a muoversi ugualmente, pur se non poteva compiere che quattro passi esatti nel limitato perimetro a disposizione. Inoltre la palla di piombo che le avevano incatenato alla caviglia cominciava a comprimerle la circolazione, rovinandole oltretutto il bello stivaletto di cuoio nuovo.
Bulma esalò infiammata un verso di nervosismo, rammaricandosi di non aver indossato, assieme alla cintura con la fondina, la sacca con gli utensili: almeno avrebbe potuto tentare di forzare la serratura, anche se c’erano due brutti ceffi armati di tutto punto che sbarravano la rampa per i ponti superiori.
La Brief pensò si trattasse di una specie di tortura. Quel pirata l’aveva volutamente posta a stretto contatto con l’immediata conseguenza delle sue azioni avventate: un manipolo di pendagli da forca, malconci e imbestialiti, che le inoltravano sguardi ostili, e di cui difficilmente sarebbe riuscita ad accattivarsi nuovamente le simpatie.
- Non temete. Vi prometto che vi tirerò tutti fuori di qui – provò ad ammansirli, ostentando una loquacità smargiassa per scongiurare una possibile sobillazione.
Nessuno fiatò e lei preferì non insistere ad elargire promesse che non era sicura di poter mantenere. Era troppo intransigente con se stessa per ammettere di aver sbagliato quasi tutto, lei, che era sempre così maniacale quando pianificava qualcosa. Non voleva rassegnarsi di aver fallito, era ancora viva, dopotutto; poteva rimediare, si convinse, recuperando del sano ottimismo. Però risentiva fastidiosamente i postumi dell’arrembaggio, con continue fitte alla testa, alle anche e ai gomiti che aveva sbattuto ripetutamente durante il disastroso duello con quell’individuo scorbutico e selvaggio, virile e … pericolosamente intrigante.
Inspirò lentamente, fermandosi contro le sbarre, immettendo il viso fuori per cercare di attingere una boccata d’aria leggermente più pulita, ma dovette ritrarsi con un brontolio nauseato quando le arrivò il lezzo dell’olio di balena che bruciava nei lumini appesi di fronte.
Si lasciò scivolare piano a terra, e piegò le gambe contro il petto, accennando un sorriso impacciato ai marinai superstiti che lamentavano sommessamente le loro ferite.
Yamcha era rannicchiato dirimpetto a lei e, nella penombra inondata dalle lucerne, l’aveva osservata minuziosamente, nel suo girondolare irrequieto, aspettando che si voltasse nella sua direzione, così da potersi regolare sul come e quando intraprendere la conversazione. C’erano parecchi dettagli di quelle ultime ore che auspicava gli venissero chiariti dal suo Capitano.
La ragazza sembrò rispondere alle sue speranze, posandogli addosso due occhi spauriti e scuotendo blandamente la testa non appena lo colse impegnato a comprimere con la giacca il taglio infertogli al fianco.
Bulma rimosse momentaneamente la ruggine nei suoi confronti e si accovacciò accanto a lui, apprestandosi ad esaminare come meglio poteva l’entità della lesione e bloccare la copiosa fuoriuscita di sangue. Yamcha tentò di trattenere i singulti per non permetterle di commiserarsi dell’accaduto. Sentiva che doveva mostrarsi incrollabile ora che la vedeva in procinto di crollare, perché in fondo quella donna, che credeva ormai da qualche tempo di amare, era bella e fragile ma anche ostinata e combattiva, come il corallo che, crescendo poco a poco nei fondali marini, all’insaputa dei marinai, è capace di incagliare qualunque nave abbia la ventura di imbattersi in esso. E lui con lei si era arenato davvero.
La piratessa perseverava a tamponare l’emorragia con ben poca delicatezza, come se lo facesse per sfogare la tensione più che per aiutarlo, e il suo luogotenente finì per scostarle le dita, invitandola ad interrompere l’operazione per continuare da solo.
La ragazza, mortificata dalla sua malagrazia, stropicciò le labbra, portandosi una mano dietro il collo madido per spostare la treccia turchina in avanti, prendendo a giocarci distrattamente in un gesto irriflessivo.
Yamcha approfittò subito della sua banale mossa per interpellarla: - Ma, quindi, cosa è successo ai tuoi capelli? Un intruglio sbagliato? … Io ho sempre diffidato di quelle robe alchemiche con cui ti gingilli …
Bulma non capì se il suo amico la stesse motteggiando o semplicemente stesse esprimendo il suo reale e spontaneo pensiero; non le riuscì comunque di sorridergli: - Nessuno sbaglio. Questo è il mio colore naturale – affermò senza offesa e senza entusiasmo. - È orrendo, lo so – mormorò avvilita dopo qualche secondo di silenzio, non ricevendo risposta.
- No! È … particolare – si affrettò a confutarla il giovane, allargando esageratamente la bocca in un allegro sorriso. Adocchiando l’espressione permalosa dell’amica si ricompose con un colpetto di tosse: - Voglio dire, ho conosciuto tantissime ragazze, more, bionde, rosse, ma azzurre proprio mai. Sei unica – le confessò con un tono caldo e ammirato, augurandosi di avere parzialmente rimediato all’involontaria offesa di prima.
La giovane donna tacque e, fissandolo dolcemente, si sporse verso di lui, sfiorandogli la fronte con la sua, poi, quando lui arrischiò congiungere le labbra, fu tentata di lasciargli assaggiare il suo veleno, invece gli urlò contro tutto il suo biasimo: - Brutto incapace! Guarda che non te la cavi con queste stupide smancerie! Non sei riuscito a rubare le sfere e per poco non mi facevi ammazzare da quel pescecane!
Perfino gli scagnozzi di Vegeta piazzati nel corridoio più avanti erano rimasti scossi da quell’esplosione verbale aggressiva e istantanea, e si erano precipitati verso di loro per accertarsi su cosa fosse successo, tornandosene disturbati al proprio posto solo dopo aver appurato che fosse tutto tranquillo.
Yamcha, deluso e rassegnato, si sturò le orecchie in cui la voce squillante della ragazza si era infilata come tramutandosi in mille aculei: - Non è colpa mia! Le sfere non le ho trovate da nessuna parte! E poi quello è un mostro scatenato, non mi era mai capitato un avversario tanto forte e tu sei stata sconsiderata a sfidarlo!
Bulma rimase a boccheggiare mentre ascoltava le asserzioni querelanti di quello che, nei suoi sogni, avrebbe dovuto essere il suo valente e spassionato primo ufficiale: - Scusa tanto, se ti ho salvato la pelle! – cicalò risentita, alzandosi di scatto e allontanandosi. Avrebbe tanto voluto che ci fosse Goku al posto suo, come fantasticavano da bambini, considerò impulsivamente.
Il filibustiere si sforzò infruttuosamente di tallonarla, ma non riuscì a mettersi in piedi con la stessa scioltezza e il dolore all’addome gli fece sfuggire un gridolino. Si arrotolò la giacca legandola attorno alla vita, e sbuffando provò comunque ad arrancarle accanto.
- Ma davvero speri di poter sortire un accordo con quello lì?
Bulma, intuendo la sua persistente dubbiosità, rilanciò con saccenza imperturbabile: - Per adesso è convinto di avermi catturata, in verità sono stata io ad averlo assoldato.
Il luogotenente sbatté una mano contro le sbarre: - Diamine, Bulma! Non lo puoi controllare! – tuonò stentoreo, scrutandola nella luce fioca, severo, implorante e spaventato.
Non aveva mai ravvisato una così fervente premura nei suoi confronti da parte sua, non aveva mai usato un tono simile, apprensivo, protettivo, mielato. Tuttavia non poté fare a meno di avvertire quanto fosse ancora ostinatamente egoista e malfidato, e la cosa la urtò al pari della palla che aveva agganciata al piede.
Le si incrinò la voce nel dovergli rispondere seccamente: - Io so più cose di lui e a lui occorre quello che ho da offrirgli.
- Per mille diavoli! Non vorrai sedurlo?! – agghiacciò Yamcha, interpretando superficialmente le sue sterili parole.
La ragazza si irritò per quella maliziosa e pretestuosa insinuazione: - Non occorrerà – gli assicurò categorica. Quel Yamcha era proprio come quella palla di piombo: pesante e deleterio. Con lui non sarebbe mai andata lontano, non avrebbe mai compreso davvero il suo bisogno di oltrepassare i limiti, il suo gusto per la trasgressione e l’autonomia, quanto agognasse toccare la libertà e sperimentare la passione. E poi fra loro non esisteva nulla, al di là di una discutibile amicizia, possibile non l’avesse capito?
Il bucaniere non aveva smesso di guardarla con atteggiamento scrupoloso e interrogativo.
- Ma poi, Capitan Vegeta? È matto e inquietante … - tagliò corto lei, per dissuaderlo da altre distorte elucubrazioni. In quel momento avvertirono un rincorrersi di passi e aspri ammonimenti e, in men che lo capissero, le possenti figure di Nappa e Radish si stagliarono direttamente dinanzi a loro per trascinarli fuori di cella.


I suoi uomini avevano rivoltato infruttuosamente da cima a fondo la Proudy Star per quasi un’ora. Un semplice sequestro di persona non era degno della sua fama, e difatti anche la Brief era sembrata interdetta dalla sua decisione, ma lui doveva trovare uno stratagemma per tenerla legata a sé, almeno fino alla prossima luna nuova. Solo meno di un mese.
Appena la riportarono sul ponte e incrociò quei suoi occhi eccessivamente azzurri e volitivi, Vegeta capì che sarebbe stato tutt’altro che fattibile tollerarla tanto a lungo.
E, tanto per gradire, le voltò le spalle.
- Razza di bastardo! Come avete osato farmi mettere le mani addosso dopo che avevo invocato il parley?!
Con quella voce rintronante già l’aveva innervosito più del dovuto, risvegliando l’istinto atavico di assalirla. Non pensava si sarebbe manifestato con tanta impellenza. Con uno sforzo sovrumano lo mise a sopire, conscio di non poter compiere svantaggiose mosse false.
- Perdonatemi, deve essermi sfuggito in mezzo ai vostri irritanti schiamazzi – replicò con manierata indolenza, restando voltato – E, in ogni caso, sappiate che ho epurato il parley dal mio codice. Lo trovo ignobile.
Bulma era indignata dal suo scorbutico comportamento, e inoltre il fatto che si rifiutasse di parlarle a quattrocchi le fece ritenere che fosse estremamente borioso, o peggio, estremamente vigliacco: - Siete spregevole! – lo tacciò con penetrante repulsione, avendo tuttavia l’impressione che per lui quello equivalesse ad un complimento.
Il rude Capitano finalmente ritornò ad intersecare lo sguardo fuligginoso con il suo, e, solo allora, la donna notò che accarezzava subdolamente con il pollice il filo della spada di cui l’aveva disarmata: - E ora datemi una buona ragione per la quale non dovrei tapparvi quella boccaccia sputasentenze una volta per tutte – la provocò con insofferenza, modulando un tono ipocritamente indulgente.
Sebbene non lo conoscesse abbastanza da avanzare una simile supposizione, e la sua espressione dura e impenetrabile continuasse ad inquietarla, al di sotto di quella ostica mal disposizione la ragazza percepì una vaga intenzione da parte del nemico di conseguire un accordo: - Vi servo. È per questo che siete venuto a cercarmi – dichiarò a metà tra la domanda speranzosa e l’affermazione implorante.
Vegeta inarcò appena un sopracciglio e le rivolse contro la lama: - Non voi, donna sciocca e presuntuosa – inveì con irrisione, rasentando il suo mento con il taglio freddo della spada - Ma quello che mi avete rubato – fremette allontanandosi di nuovo, dopo averle scagliato un’occhiata intensa e contorta.
Bulma rimase disorientata dal suo ambiguo contegno. Era come se quell’uomo avesse l’inesplicabile potere di soffiarle fumo sugli occhi mentre le appiccava fiamme nel petto.
Yamcha era alla sua destra, ghermito anche lui da un paio di furfanti, a monito del peso che avrebbero avuto le sue decisioni sulla sua sorte.
Non poteva muoversi e indagare meglio, perché le braccia di quello scagnozzo dai lunghi capelli corvini che l’aveva strattonata fino a lì erano come una tenaglia d’acciaio, ma, dato il debole beccheggio, fu certa che avessero gettato le ancore e messo a rimorchio la Proudy Star, durante la loro permanenza sotto coperta.
- Vi riferite alle sfere del Drago, Capitan Vegeta? Non sono qui. Non crediate che sia così sprovveduta da portarmele appresso, come invece fate voi – lo informò, imprimendosi una perfetta faccia di bronzo.
Il pirata impulsivamente infilò la mano sinistra nella corrispettiva tasca interna del gilet bluastro, accertandosi che il prezioso oggetto fosse ancora lì dove l’aveva riposto prima di gettarsi all’arrembaggio. Lui non si fidava di nessuno, perciò non se ne separava quasi mai, specialmente se doveva assentarsi a lungo dalla sua cabina.
- Bene. Le sfere che volevo non ci sono, ergo vi ucciderò, come avevate previsto – decretò coriaceo, studiando attentamente la sua espressione senza ottenere, però, uno scontato contrattacco. Allora optò per istigare la suscettibilità della sua prigioniera, così che fosse lei a cadere nel tranello di tradirsi.
Aveva adocchiato un qualche legame tra lei e quel pivello con le cicatrici sul volto che si era prestata a soccorrere: - Anzi, prima toglierò di mezzo quel che resta della vostra insulsa ciurma, a cominciare dal vostro amichetto qui – sogghignò incedendo a rilento verso Yamcha – Preparate l’asse – comandò a Nappa, afferrandolo lui stesso e sospingendolo a camminare sveltamente alla volta del parapetto di babordo, dove era stata già posizionata la passerella a precipizio sul mare.
Tutti i pirati si spostarono verso quella murata, per assistere al cruento spettacolo che stava per consumarsi, compreso Radish che teneva in trappola la Brief, ora più che mai impietrita dall’orrore di ciò che si immaginava stesse per succedere.
L’acqua profonda pullulava di pinne scure che si giostravano tra la schiuma rossastra pezzi di cadaveri dei due equipaggi, dativi in pasto.
Nemmeno Yamcha poteva più trattenere urla disperate.- Acciderbole! Squali!
- Non ti agitare: saranno talmente voraci che nemmeno ti accorgerai che ti masticano – lo canzonò Vegeta, assestandogli uno spintone che lo fece ruzzolare sulla tavola di legno, dove annaspò faticosamente per mantenere l’equilibrio.
 - BULMA! FA’ QUALCOSA!
Era stata lei ad iniziare quella guerra, ed ora era responsabile del destino di chi l’aveva passivamente subita. Anche se voleva liberarsene, quella era una fine decisamente ingiusta, persino per uno come Yamcha. Mentre alcune lacrime le scorrevano veloci sulle guance, Bulma si sgolò disperatamente per superare lo scomposto ed euforico vociare dei predoni: - No! Risparmiatelo, vi prego! Prendete solo me! Le sfere non ci sono perché le ho portate in un luogo sicuro!
Vegeta, che le era rimasto a fianco, la scrutò assorto, le labbra sottili appena curvate in un sorriso cauto ma interiormente trionfante. Aveva capitolato, aveva detto tutto quello che voleva sentirsi dire … forse anche qualcosa di più. Le si collocò davanti, incrociando le braccia e annuì a Radish per impartirgli di rilasciarla.
- Le ho portate tutte e tre in un luogo sicuro – ripeté la donna col fiato mozzo per l’agitazione – E, fidatevi, sarà meglio lasciarle lì, intanto che rintracciamo le altre due …
Il pirata puntò due dita in avanti per comandare ai suoi di lanciare un rampino e recuperare il malcapitato ostaggio prima che cadesse in mare e Bulma, incredula, tirò un sospiro rinfrancato, esprimendogli la sua gratitudine con un lieve cenno. Il suo sollievo svanì subito fronteggiando la pertinace avversità del Capitano della Bloody Wench, il quale, rimestando con riluttanza tra la camicia e la fusciacca, ne estrasse un sacchettino di velluto nero e, sfilatolo, ne esibì il brillante tesoro custodito.
La giovane si asciugò in fretta il viso e sgranò gli occhi. Le sue ipotesi forse erano fondate. Non sapeva se esserne fiera o affranta: - Credevo che uno come voi fosse in possesso di due sfere, come minimo …

Squali


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Capitolo 9
*** IX: Sparks ***


Salve ciurma! Da oggi sono ufficialmente in vacanza e finalmente sono riuscita a concludere un nuovo capitolo di questa storia. Salvo altri impedimenti e ispirazione permettendo, gli aggiornamenti d'ora in poi saranno più rapidi.

Qualche premessa per questo capitolo...Probabilmente Vegeta potrebbe apparire OOC, ma sappiate che la sua infatuazione non è "naturale" bensì conseguenza della sua maledizione, cui ho accennato negli scorsi capitoli e che si spiegherà meglio man mano che la storia procede. Ci tengo comunque a conoscere le vostre impressioni sulle mie idee "fantasiose"^.^

Per il resto ringrazio LoveKath per essersi gentilmente prestata a modificare l'immagine che trovate a fine capitolo (oltre che per avermi sopportata in queste ultime settimane di stress notturno pre esame^^"), axa 22 per essere sempre disposta a darmi consigli sullo svolgimento della storia (ma ne apprezzerai qualcosa nei prossimi capitoli!), Proiezioni per essersi sottoposta alla lettura completa in tempo record ed avermi incoraggiata con le sue recensioni a perseguire la mia rotta, oltre a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, le preferite o le ricordate, chi mi ha lasciato un commento allo scorso capitolo e chi legge semplicemente.

Adesso vi lascio al capitolo, spero vi sia gradito :)

Buona lettura, al prossimo approdo!)

IX: SPARKS

Capitan Vegeta ripose la sfera nella custodia di stoffa e la riallacciò alla cintura: - Non so come ci siate riuscita, ma mi avete preceduto sia alla Montagna Ululante che all’Isola di Corallo.
Sillabò quelle parole con evidente difficoltà, come se la lingua gli si fosse infeltrita, senza però abbassare lo sguardo intriso di ferrigna repulsione da quello cristallino della ragazza, che gli si ergeva davanti con un mezzo sorriso trasudante un timoroso soddisfacimento.
Bulma, costernata ed agitata, emise uno sbuffo che le scompigliò la frangetta: - Ma, quindi non l’avete trovata voi la sfera caduta nel folto della Foresta ghiacciata? – evinse in parte demoralizzata, fissandolo ad occhi sbarrati, portandosi la mano destra sul mento con le dita ripiegate verso il labbro inferiore.
Per un istante il masnadiere fu sfiorato dal pensiero che quella posa fosse vagamente, e non capiva quanto volutamente, sensuale, ma il suo tono rimase insensibile e aspro: - Non ci sono mai stato – ammise spiccio, restando ancora una volta in attesa di una sua controffensiva. Dopotutto non si toglieva di mente, sin dall’avvistamento della sua bandiera, che quella Brief si fosse fatta rintracciare intenzionalmente, ed era molto curioso di vedere in che modo e fino a che punto avrebbe saputo continuare a destreggiarsi con un pirata indomito e mascalzone come lui.
La donna piegò il braccio sinistro in modo da toccarsi il gomito dell’altro reggendo la stessa posa plastica e riflessiva: - Strano … - farfugliò elusiva, spostando l’attenzione sull’orizzonte, mentre un suono secco, leggero e rapido aveva ricominciato a provenire dalla piccola scatoletta metallica agganciata alla cintola; istantaneamente cercò di attutirlo nascondendo l’oggetto in un pugno.
Yamcha, piegato in ginocchio e tenuto al cappio da due scagnozzi, le lanciò un’occhiata smarrita ed inquisitoria, contemporaneamente Vegeta la scrutò dai capelli agli stivali, altero e corrucciato.
- State cercando di suggerirmi che c’è una terza persona interessata alle sfere? … O state cercando di fregarmi? – la incastrò, l’impazienza e l’irritazione riflessa dai suoi occhi atri e obliqui sembrava una marea montante gonfiata dai venti di burrasca.
Bulma deglutì rumorosamente, e non riuscì ad evitare che la voce le si alterasse in qualcosa di simile ad uno squittio: - Perché dovrei, scusate?
Il Capitano della Bloody Wench si compiacque nell’appurare che, nonostante infiorettasse ogni parola e ogni occhiata di una fastidiosa spavalderia, in realtà le incuteva soggezione.
- Perché siete una donna e un pirata – sentenziò spregiativo con un sorriso tagliente, facendo sollevare dei risolini di approvazione tra la ciurma. “E mezza umana”, gli venne da pensare.
La prigioniera giudicò quell’affermazione come la prova della sua mentalità misogina e retrograda: - C’è una sola parola, bello: piratessa – chiosò, fulminandolo stizzita con le mani ai fianchi.
Vegeta contrasse la mascella e incassò la petulante provocazione senza aprir bocca, limitandosi ad un infastidito borbottio: - Continueremo questa conversazione nella sala nautica – le ingiunse tassativo, staccando un dissimulato ammiccamento ai suoi ufficiali.
Bulma non se ne avvide, essendosi nello stesso istante voltata verso Yamcha per trasmettergli un segno d'intesa rassicurante, per quanto non discerneva se quel burbero invito potesse essere il principio di una recalcitrante collaborazione o il sentore della sua subitanea condanna.
Il moro filibustiere si era già incamminato torvamente e di gran carriera verso il castello di poppa per farle strada. La ragazza lo seguì impettita: - Bene – si disse, procedendo dietro di lui.
Yamcha osservava i due allontanarsi dalla tolda ed il suo volto era paralizzato dal terrore: quella giovane era talmente matta e sicura di sé che si stava infilando dritta dritta nella tana del lupo! E non aveva avuto la benché minima accortezza di ritirarsi finché era ancora in tempo, anziché correre il rischio di straperdere. La stimava per questa sua grinta, tuttavia non poteva evitare di stare in pena per lei, perché su quel tizio ne aveva sentite di cotte e di crude.
Si guardò intorno in cerca di un’idea o di una via di fuga, ma al momento dovette riconoscere di non poter far nulla di eclatante per aiutarla, senza inguaiarsi anche lui.

Bulma, arrancava faticosamente sul castello di poppa, seguitando a maledire con tutti gli improperi che conosceva quel furfante perché non si curava minimamente del fatto che avesse ancora la palla legata al piede sinistro e dovesse compiere uno sforzo notevole per sollevare la gamba. Preferì, però, che la collera le riecheggiasse dentro anziché lasciarla esplodere in mille schegge come un cannone rotto. Si trattenne con enorme fatica solo perché ritenne che, forse, si stava creando un fragile equilibrio fra lei e quel terribile fuorilegge e non voleva mandare tutto a rotoli con la sua intolleranza proprio in quel frangente favorevole.
Vegeta, avvertendo quel tonfo cupo e cadenzato sulle assi di legno, le gettò una lesta ma acuta occhiata. La preda che aveva a lungo inseguito non se l’era immaginata proprio così: quella femmina era particolarmente forte ma altrettanto goffa, oltre che terribilmente pettegola. E testarda. Picchiò su tutti i gradini, affannandosi e sbuffando, ma non dandogliela vinta.
Stava per arrivare in cima alla rampa, ma i ghigni malevoli che animavano i volti infidi dei marinai disseminati un po’ ovunque, le incollarono di colpo i piedi. La Brief ebbe il sentore nascondessero qualcosa di losco e la sua preoccupazione andò immediatamente all’incolumità degli altri prigionieri rimasti sottocoperta.
Il pugnale che l’avversario le aveva rubato faceva bella mostra di sé in una fondina che gli penzolava dietro la schiena. Fu tentata irragionevolmente di riprenderselo e piantarglielo tra quelle scapole robuste che intravedeva al di sotto della leggera camicia di flanella, per intimidirlo con più convinzione circa le sue rivendicazioni. Aveva già iniziato ad allungare il braccio verso di lui, ma, rammentandosi all’istante la figuraccia precedente, prudentemente lo ritrasse.
Erano nel frattempo arrivati entrambi sulla balconata sovrastante il ponte di coperta che accoglieva la tuga, con l’alloggio del comandante. Solo allora si rese conto di quanto la situazione fosse sconveniente, perché in verità non l’allettava molto rimanere a lungo da sola con quell’imprevedibile canaglia.
- Non vi fidate dei vostri uomini o mi volete più vicina? – osò scherzare per celare l’agitazione. La salace favella e l’esotica bellezza donatale da madre natura erano le uniche armi a sua disposizione e doveva sfruttare quanto più possibile quelle, oltre al brillante intelletto.
Il Capitano s’irrigidì come se l’avesse davvero pugnalato, poi si voltò ritrosamente a guardarla: - Avete indovinato – affermò ambiguamente, con accento sin troppo basso e morbido, mentre artigliava le dita al pomo della maniglia, spalancando con uno scatto imperioso la porta ed entrando senza aspettarla.
La piratessa dedicò un ultimo colpo d'occhio all’esterno: Yamcha, tutto sommato, stava piuttosto bene, e il sole era ancora alto, toccando appena il mezzogiorno. Ad ogni modo era meglio se si sbrigava. Trasse un sospiro e si infilò timidamente.
Bulma rilevò subito come quella cabina molto spaziosa fosse oltremodo buia e cupa, nonostante una grande vetrata ne occupasse una parete intera sul fondo. Fatto qualche passo notò, a qualche metro dall’ingresso, sulla sinistra, seminascosto da una tenda scarlatta di seta trasparente, un grande letto con la struttura in ferro battuto e la testiera imbottita. Le lenzuola di bisso, disfatte e aggrovigliate, recavano l’impronta di notti inquiete. Si passò una mano sul collo avvertendo una strana vampa allo stomaco e alle orecchie, e pensò fosse inappropriato soffermarsi oltre, perciò continuò ad addentrarsi, non trattenendosi dall’ammirare con soggezione il resto del lugubre ambiente. L’arredamento pesante e tetro comprendeva un mobilio barocco dai colori sulfurei, brutalmente scheggiato in più punti e decorato con teschi e pezzi di ossa; vi erano anche parecchi candelabri e bottiglie di varie dimensioni sparse sul pavimento o su altri ripiani.
Capitan Vegeta era ritto davanti quello scorcio sull’oceano, aveva indossato una giacca nera lunga fin sotto la vita, e le dava nuovamente le spalle, perso in chissà quali considerazioni.
Lo raggiunse trascinando stancamente la gamba e facendo strisciare la palla di piombo sul delicato parquet. A separarli vi era un imponente tavolo di legno laccato d’oro ricoperto di volumi e scartoffie. Sfortunatamente non c’era neppure una sedia, pertanto, per riposarsi un po’, si appoggiò con entrambe le mani proprio a quel tavolo, attendendo concitatamente che lui si degnasse di considerarla.
Le sembrava di poter affettare l’aria in quella calma fittizia, e involontariamente si mise a picchiettare le unghie, tentando di esprimersi cautamente e al contempo disinvoltamente:
- Quest’altro che vuole le sfere … Di chi si potrebbe trattare? Ne avete parlato con qualcuno?
- E voi? – incalzò il filibustiere, voltandosi e protendendosi verso di lei con le iridi di pura antracite lampeggianti sospetto. Poco più di una spanna separava i loro volti e la ragazza, intimorita dall’intemperanza incontenibile trasmessa dai suoi lineamenti duri e marcati, scosse energicamente la testa tirando indietro il busto nel ritrovarselo così vicino.
Anche Vegeta si ritrasse di scatto. La folata del suo profumo, ora che si trovavano al chiuso, gli era penetrata sin dentro le viscere, mandandogliele a fuoco. Non aveva quasi più dubbi. Quelle sfumature acquatiche tra i capelli, la carnagione troppo chiara e perfetta per una donna che faceva vita su una nave, ed ora l’odore invitante del suo sangue. La persistente attrazione che gli suscitava corroborò, con sua contrarietà, che doveva essere proprio lei quella creatura imprendibile che stava braccando; altrimenti non l’avrebbe trovata così appetibile.
Doveva dominarsi, o le avrebbe fatto del male anzitempo.
All’improvviso captò un rumore e si concentrò su di esso. Era come il ticchettio di un orologio che batteva i secondi in maniera accelerata, e proveniva da lei, dal suo rotondo fianco sinistro per l’esattezza. Le sue pupille vi indugiarono con speciale interessamento.
- Ad ogni modo, chiunque sia quest’altra persona, si sta avvicinando – comprovò con superba pedanteria la Brief, sganciando il prisma lucente dalla cintura e aprendolo per studiarne l’interno.
Il Capitano, sempre più intrigato dalle sue affettate parole, decise di guardare più da vicino quella scatoletta. Bastò un altro passo verso di lei perché tornasse a bruciargli ancora la gola. La sua mente acuta trovò tuttavia un rimedio per accomodare. Tra le varie chincaglierie stipate alla rinfusa sulle suppellettili, ebbe la prontezza di individuare la sua tabacchiera e ne attinse alcune foglie, portandole convulsamente alla bocca. Erano molli e stantie, detestava dipendere da qualcuno o qualcosa, perciò ultimamente ne aveva abbandonato il consumo. Masticandole, tuttavia, riusciva a smorzare e confondere i sensi omicidi che lei, senza saperlo, gli aveva con virulenza rinfocolato. Trattenne un altro colpo di tosse, avvicinandosi con una lunga falcata: - Cos’è quell’affare? – ringhiò rauco e irrequieto, indicandolo con gli occhi.
Bulma per un secondo sorrise tra sé e sé: un pirata col mal di gola era assai insolito, ed era stupido si curasse col tabacco. La donna fu comunque contenta e orgogliosa di aver riscosso il suo vivo interessamento. Poggiò la cassettina sul tavolo, esponendola perfettamente alla luce delle candele e ne illustrò le straordinarie capacità: - È la mia bussola cerca-sfere. Ecco, guardate: ogni lancetta indica una sfera; queste tre sono quelle che ho già portato al sicuro. Questa è la vostra, le altre due che vanno ancora rintracciate, e … questa, che deve essere nelle mani di qualcun altro perché si muove.
Vegeta si lasciò assorbire dalla spiegazione, cercando di assuefarsi alla sua vicinanza, ma si accorse che i suoi respiri erano diventati sempre più lunghi e profondi, e che tutta l’aria che inspirava gli appiccava un incendio nelle vene. Lei, avendo presumibilmente percepito qualcosa di diverso nel suo atteggiamento, indugiò a guardarlo intensamente. Doveva stare attento a non annegare in quegli specchi di cobalto, perciò si avventò sulla bussola e la prese, tornando di fretta davanti alla vetrata.
Bulma tentò di inseguirlo: - Hey! Ridatemela! – protestò inviperita, arrivandogli alle spalle.
- Dove l’avete trovata? – inquisì lui, continuando ad ispezionare ogni particolare del bizzarro oggetto, masticando celermente.
- L’ho costruita io, a dire il vero – si imbaldanzì la donna, sollevandosi sulle punte per cogliere quale fosse la sua reazione a quella notizia – Piuttosto, voi cosa impiegavate per la ricerca? – soggiunse curiosa, arrendendosi all'impossibilità di intercettare l’espressione del suo volto.
Vegeta mosse appena il collo: - Quelle – mormorò atono, accennando a delle mappe spiegate su un altro scrittoio poco lontano.
L’avventuriera assottigliò gli occhi e sbuffando si spostò lentamente fino al punto indicato; focalizzando gradualmente quello che aveva davanti ebbe un sussulto di eccitazione: - Le carte del Supremo! Sono secoli che le cerco! – si ritrovò a strillare e saltellare senza contegno, zittendosi di colpo quando avvertì lo sguardo paonazzo di lui.
Si lisciò nervosamente i capelli dietro le orecchie e riprese a dissertare con voce misurata, nonostante l’irrefrenabile emozione: - Voglio dire … credevo fossero perdute da secoli. Contengono una minuziosissima descrizione di tutti i luoghi della Terra, compresi quelli più misteriosi e reconditi. E indicano l’ubicazione delle sfere, anche – affermò entusiasta, rimirandole sotto il lume di un candelabro.
Il comandante l’ascoltava stupito: quella non era davvero una donna comune, conosceva molte cose e d’altronde sarebbe stato impensabile altrimenti che riuscisse ad imbrogliarlo e addirittura che potesse entrare nella sua cabina e discutere bellamente con lui. Si stava rivelando doppiamente utile ai suoi scopi, meditò approprinquandosi a lei: - Queste carte non mi sono servite a recuperare le sfere prima di voi, quindi pensavo di liberarmene – commentò sbattendovi rabbiosamente una mano sopra, tacendole che erano state anche l’origine della sua condanna.
- No! Siete pazzo! – lo contraddisse Bulma, interponendosi tra lui e il tavolino e difendendole con il suo corpo – Io so come interpretarle e farle funzionare: ho tenuto per tanti anni in serbo il pezzo che vi manca – lo ragguagliò raggiante, sottraendogli con possessività la bussola che Vegeta impugnava nell’altra mano, rimasta a mezz’aria per lo stupore. Gli scoccò un sorrisetto scaltro, come a rimarcare che pure lei, all’occorrenza, era capace di impiegare mezzi scorretti per raggiungere i suoi fini. Solo dopo si rese conto dell’impulsività del suo gesto che lasciò sconcertato perfino quello scorbutico briccone.
Le dita e le iridi si erano intrecciate e con quel leggero contatto erano scaturite di nuovo scintille dalla sua pelle. Le pareva affascinato da lei, anche se la trattava con scortesia. Nascose l’imbarazzo apprestandosi subito a studiare il modo di riunire i due frammenti di quella preziosa mappa del tesoro, assodando a poco a poco che non capiva il materiale di cui fosse costituita: sembrava un innesto tra un metallo e una pietra di colore ramato. Era una tavoletta quadrata, non più spessa di due dita, ricoperta di scritte variopinte e scanalature che, scorrendo, attivavano lo spostamento di blocchetti, facendole variare forma e dimensioni.
Suo padre le aveva raccontato la leggenda secondo cui quella bussola, che avevano ricostruito insieme in base alle descrizioni lette o ascoltate in vari luoghi visitati, trovando il punto esatto vi si sarebbe potuta inserire e mostrare in maniera chiara ed inequivocabile la collocazione delle sfere sparse nelle diverse regioni del pianeta. Le carte, tuttavia, non presentavano alcun vuoto apparente in cui incastonarla, perciò o aveva sbagliato lei a fabbricarla, oppure la leggenda era una menzogna.
Capitan Vegeta aveva inseguito ognuno dei rapidi movimenti che le sue agili dita affusolate imprimevano a quelle bislacche carte. Vedendola così concentrata, ebbe la sensazione che si fosse talmente appassionata a risolvere quel rompicapo da aver dimenticato dove e con chi fosse in quel momento.
Bulma, invece, avvertiva con angoscia il suo fiato sul collo, gli sentiva trarre respiri avidi e non era più convinta che fosse a causa di un dispettoso raffreddore. Voleva sorprenderlo con la sua intelligenza e voleva disperatamente convincerlo della necessità di una tregua e di un accordo, poiché temeva di incorrere nelle fauci della morte che lui incarnava così spaventosamente con il suo carattere così gelido e crudele e i suoi tratti così torbidi e avvolgenti. Riflettendo su quest’ultimo aspetto sollevò la fronte per sbirciare il suo volto. Le era parso che quei pozzi di inchiostro nero che vi spiccavano fossero dilagati fino ad invadere le sclere e che non ci fosse più uno spiraglio di chiarore in essi.
Un sembiante diabolico che le fece correre un fremito lungo la schiena. Si convinse fosse la stanchezza, o lo sforzo cui stava sottoponendo la sua vista in quella penombra. Le mani le si aggranchirono, soffiò dalle narici ed esplose in un urlo stizzito: - Non ci riesco! Perché? – si strusse adirata, scattando con un altro borbottio snervato, oltrepassandolo e quasi urtandolo con un gomito. Lui la tallonò lentamente, lo udiva aprire e chiudere la mascella, stritolando smanioso quelle foglie di tabacco.
Andò a sedersi sul bordo del tavolo più ampio, spostando alcuni volumi per avere più spazio e riprendere a trafficare con le carte e la bussola. Le si intorpidirono i polsi e si arrese. Aveva bisogno di più tempo per decifrare quei meccanismi complessi. Ripose i manufatti e lo scrutò.
- Comunque, non voglio fregarvi. Voglio proporvi un’alleanza, un’alleanza temporanea che potrete considerare nulla nel momento in cui avremmo recuperato le sette sfere. Naturalmente rivendico il diritto di esprimere almeno un desiderio; gli altri due li lascio a voi – parlò sveltamente, scendendo infine dal tavolo e porgendogli cordialmente una mano.
Vegeta, accostandosi a lei con reticenza, incrociò le braccia, rimasticando con vigore e concupiscenza:- Rimarrete a bordo della Bloody Wench. A mia totale e assoluta disposizione – sentenziò con un tocco di voluta malizia che si riflesse negli occhi plumbei e nel sorriso sghembo.


Vegeta-s-cabin

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Capitolo 10
*** X: Misunderstandings ***


Salve marinai e donzelle! Vi do in pasto stasera un nuovo rapido aggiornamento, un capitolo di transizione in verità, in cui non succede molto, i protagonisti sono ancora i due capitani pirati che si confrontano e scontrano.
Nel prossimo capitolo tornerà l'azione, ma probabilmente vi farò attendere un po' di più!^^"
 
Ringrazio di cuore tutti coloro che mi seguono, mi apprezzano e mi incorraggiano a proseguire in questa mia prima avventura nella sezione Dragon Ball, con i loro commenti o mettendo questa ff tra le loro preferenze.

Al prossimo approdo!)

ps: il disegno a fondo pagina è ancora una volta opera di mia sorella  VAleMPIRE che ringrazio :)

X: MISUNDERSTANDINGS

Bulma sbatté ripetutamente le palpebre, soffocata dal panico e dall’onta: - Cosa?! No! Intendo mi riportiate a bordo del mio brigantino!
- È escluso – ribatté con flemma Capitan Vegeta, scavalcandola per andare a studiare da vicino le carte. Schioccò la lingua in segno di disappunto: erano peggio di scatole cinesi, non ci si raccapezzava più dacché lei le aveva scombinate e gli sfuggì un rantolo contrariato.
La ragazza frattanto non demorse: - Io sono un Capitano! – si incaponì vanamente, picchiando un pugno sul tavolo perché l’uomo che vi era incurvato si rialzasse e la guardasse.
- Di quale nave? Di quale ciurma? – la aggredì esasperato, sputando le foglie di tabacco ormai ridotte ad un grumo duro e rinsecchito in un vaso posto per terra – Vi ho catturata ed avete perduto tutti i vostri diritti – asserì in un sibilo arrogante.
La piratessa ammutolì e si distanziò, contenendo un malcelato tremore: lui la fissava sprezzante e famelico a meno di un metro e le sue gambe erano diventate di burro. Una zaffata del suo aroma di salsedine, miscelato all’odore pungente e speziato profuso dalla sua pelle abbronzata e lievemente rorida, le graffiò e accarezzò i sensi con lo stesso fascino ottenebrato di qualcosa di proibito.
Vegeta era molto fiero del risultato: non poteva farle nulla di ciò che aveva immaginato prima di conoscerla, poiché doveva restare intatta per il sacrificio finale. Ma in quanto al tormento che poteva infliggerle a parole, sguardi o gesti, non c’era alcun limite cui dovesse sottomettersi. E sarebbe stato un sublime divertimento. A quanto aveva appreso, sin dal loro primo approccio, era una furbetta a cui piaceva provocare. Stava per scoprire che aveva trovato uno sfidante di pari livello, sennonché superiore.
- A tal proposito … - riprese a sussurrare girandole intorno e percorrendo in maniera lentissima e accurata il suo profilo, con occhi colmi di cupidigia, indugiando particolarmente al di sotto del girovita – Voglio tutto ciò che avete – sostenne provocatorio e fatale, per poi incedere di qualche passo fermandosi di schiena davanti a lei, restando a scrutarla di sottecchi.
Bulma strabuzzò indietreggiando, sentendosi nuda e oggetto delle sue brame dopo quella penetrante occhiata. Si coprì con un pudore inconsueto la scollatura con una mano, facendosi vento con l’altra: - Tutto?! – mugolò con il cuore che le premeva prepotentemente contro le costole, come a voler schizzare via.
Quei battiti febbricitanti producevano pulsazioni più celeri al suo sangue e lui, a quella distanza ridotta, ne avvertiva perfettamente la stuzzicante fragranza. Forse, data la sua doppia natura che gli conferiva quei sensi così acuti, aveva avvertito parzialmente anche in mare aperto la sua scia e per questo era riuscito ad incontrarla così presto, alla fine.
La giovane aveva le guance arrossate dall’imbarazzo e lo osservava con paura e curiosità, quali pensieri la stessero scuotendo non era difficile immaginarlo. In quel momento trovò che la sua espressione fosse davvero buffa e non trattenne una risata a pieni polmoni:
- Non fraintendetemi, mi riferivo ai vostri marchingegni! – sogghignò mentre il suo riso stridente si riverberava in quella stanza risultando maligno, per quanto venato di sottesa leggerezza.
La ragazza lo imitò per smorzare l’agitazione, anche se la sua risata riuscì sin troppo finta:
- Ah, certo! L’avevo capito! – lo assecondò mentendo e seguitando a sventolarsi freneticamente, mentre si chiedeva se a quello scostumato venisse naturale esprimersi in modo equivoco o lo facesse apposta per indurla a sentirsi a disagio e stupida – Ma non è possibile … O comunque ci vorrebbe troppo tempo per smontare quello che si può recuperare, quel poco che non avete distrutto.
Vegeta ora malediva con insofferenza quella sua dannata mano che, continuando a muoversi vicino al suo collo e al suo seno, diffondeva nell’aria torrida il suo mielato profumo, rendendogli arduo ragionare con obiettività e lucidità. Avrebbe voluto tranciargliela di netto perché smettesse di soffiarsi.
- Quegli archibugi con quelle munizioni, in particolare … - deglutì, schiarendosi di nuovo la gola, lottando con le sue stesse membra per non spostarsi più avanti e mantenersi piantonato lì a due metri, anche se odiava di apparire meno persuasivo se non poteva incombere con violenza nei suoi occhi.
L’azzurra gli sorrise con superbia, smettendo di ventilarsi, lasciando cadere il braccio lungo il fianco: - Le capsule esplosive? Vi hanno colpito, vero? Sono una mia invenzione! Sfortunatamente le abbiamo esaurite durante l’arrembaggio …
- Le sapreste riprodurre, comunque – desunse il capitano, accigliandosi di nuovo – Quanto vi ci vuole?
Bulma esitava tra l’istintiva contentezza per aver ottenuto un velato apprezzamento da parte di quel pirata terribile e la razionale consapevolezza del pericolo che lui, nonostante tutto, rappresentava: - Ma no! Non dovreste trascinare ancora quel relitto! Ci rallenterebbe troppo e il detentore della quinta sfera finirebbe per raggiungerci in un soffio di Eolo – tentò di dissuaderlo, afferrando la bussola cerca sfere e riesaminandone la lancetta che oscillava.
- Meglio così. Quella fottuta carogna se la vedrà con me - replicò borioso Vegeta, senza battere ciglio.
L’avventuriera sospirò, rassegnata dalla sua incontenibile presunzione ma anche deliziata dal suo singolare coraggio: quello era un tipo che non si arrendeva dinnanzi a nessun nemico, fosse ignoto o risaputo. In fondo quell’alleanza, ammesso che le riuscisse di sopravvivere, non era stata affatto una cattiva idea.
- Eppure non posso non notare che c’è una lampante contraddizione nelle vostre parole – riprese a parlare l’affascinante moro, la sua voce come un’accetta spezzò un silenzioso scambio di sguardi che si era protratto sin troppo. – Fino a pochi minuti fa mi stavate implorando di riportarvi sulla vostra nave che adesso definite un “relitto”. Voi sapreste dunque riapprontarla, o no?
Il comandante della Proudy Star non afferrò del tutto il senso di quella domanda. Forse quel Vegeta semplicemente temeva di continuo di essere raggirato. Chissà quante ne aveva subite in gioventù per tramutarsi in un delinquente di quella sorta. Quell’osservazione le confermò quanto fosse oltremodo sveglio e attento ai dettagli. Le piacque, ma ritenne non fosse opportuno che gli rivelasse dei remi e delle vele speciali con cui avrebbe certamente allestito con successo la partenza, anche disponendo del solo albero maestro: - Bé, ci si arrangia … Siamo pirati, no? – ironizzò sollevando un pugno e scimmiottando un timbro mascolino, ridacchiando per poi afflosciarsi, constatando che non c’era verso di scacciargli quel malumore perenne che sembrava impregnargli l’anima, e che solo per frazioni di secondi si era convertito in tenue allegrezza pochi minuti prima.
La ragazza incrociò le braccia abbassando gli occhi dal suo volto tormentato e, spaziando tra l’arredamento, recuperò le redini del discorso: - Se proprio insistete a tenermi qui, vorrei fare una capatina sulla Proudy, per prendere le mie cose – abbozzò fiduciosa con sincerità, stringendosi nelle spalle.
Le premeva soprattutto avere con sé un mobile indispensabile della sua cabina, perché quando il sole avrebbe smesso di far brillare il mare le sarebbe divenuto impossibile nascondere ciò che le sarebbe accaduto.
Vegeta le camminò incontro senza incrociare le sue iridi: - Sulla mia nave non manca niente. Non ne avrete bisogno – la rintuzzò annoiato, puntando nuovamente alla tabacchiera.
Bulma sbuffò contrariata: - Ne dubito. Io sono una signora e qui vedo solo luridi briganti, buzzurri e fetidi! – proruppe con accento stridulo e bizzoso.
Fu un attimo. Le sopracciglia del pirata si aggrottarono, gli occhi picei fiammeggiarono, la mano corse ad infilarsi sotto la giacca, il grilletto scattò, la turchina gettò un urlo e la pistola esplose un colpo secco che andò a conficcarsi sulle assi di legno. La cabina intera sembrò vibrare, Bulma ricadde all’indietro sedendosi per terra, nello stesso istante Vegeta saltò in avanti sul tavolo con uno scatto felino accovacciandosi in equilibrio sul margine ed entrambi cercarono con apprensione il foro prodotto dal proiettile, accorgendosi che aveva casualmente tranciato la catena di ferro legata alla caviglia della prigioniera.
L’uomo, sincerandosi che non si fosse ferita, ridiscese riponendo con impeto l’arma: - Per mille demoni! Come fate ad essere ancora viva? – bestemmiò spiritato, afferrando una bottiglia di rum da un cassetto e ingollandone un sorso abbondante per smaltire la tensione.
L’ospite aveva le pupille dilatate dallo spavento e sussultava come una bandiera al vento, mentre si rimetteva in piedi: - P … Perché? Volevate uccidermi? – balbettò imbambolata, strofinandosi le braccia per tentare di respingere il freddo terrore che l’aveva avvinta nel sentirsi sfiorare dalla pallottola.
- No. Ma mi meraviglia che non l’abbia già fatto qualcun altro – replicò sadico il pirata, riportando la bottiglia alle labbra e consumando quel poco di liquore che vi era rimasto. Aveva i nervi a fior di pelle. Quella donna possedeva la straordinaria propensione di fargli perdere le staffe con un nonnulla.
La ragazza serrò le labbra in un’espressione fiera e strafottente sebbene fosse offesa da quella sgarbataggine che mai nessuno le aveva usato. Gli uomini di solito la adoravano senza mezze misure. Iniziava a chiedersi se quello lì fosse normale. E se sarebbero riusciti a convivere più di qualche ora senza che l’uno eliminasse l’altro.
Era assurdo dovesse premurarsi dal difenderla proprio da lui, che sarebbe stato comunque il suo carnefice. Lasciarla ritornare a navigare col suo veliero sarebbe stato rischioso, lasciarla libera di scorazzare sul suo vascello sarebbe stato disdicevole. D’ora in poi sarebbe stato preferibile tenerla lontana. Tanto oramai non avevano più niente da dirsi, valutò il filibustiere.
Come tenerla a bada? Non aveva dimestichezza a trattare con le femmine, al di fuori delle cameriere e delle puttane delle locande. E quelle erano creature semplici, taciturne e remissive. Lei invece aveva l'umore mutevole come la marea, pigolava più di una cocorita e non si lasciava impressionare molto dai suoi modi scontrosi e maleducati.
Bulma si stava sgranchendo le articolazioni, in particolare la caviglia sinistra, finalmente disgiunta dalla pressione e dal peso del globo di piombo. Sollevò la gamba fino a portarla sul fianco del tavolo: - Argh! Lo sapevo: si è rovinato! – si crucciò analizzando lo stivaletto di cuoio scorticato nella banda racchiusa dall’anello metallico – Grr! Che rabbia! L’avevo appena rubato! Non ho avuto neppure il tempo di godermelo … - frignò frivola, zittendosi quando si accorse di essere sola a parlare contro un muro. Abbassò il piede dall’appoggio e vide che il Capitano se ne stava uscendo dalla sala nautica con incorreggibile indifferenza.
Lo richiamò a gran voce e non le rispose, allora si affrettò a pedinarlo.
Lei, prima che fosse notte, qualcosa confidava che se la sarebbe inventata, ma c’erano anche altri prigionieri in balia dell’oscuro volere di quello squilibrato.
Lo avvistò sulla balconata del timone, udendogli dare l’ordine di salpare le ancore. Gli corse incontro, non perdendo l’intenzione di rimostrare le sue richieste: - Voglio delle garanzie per i miei uomini! – sostenne con timbro duro e fermo.
Il comandante non si preoccupò di spostare lo sguardo dalle onde: - Se ci tenete, andateveli a riprendere – commentò insensibile, imbracciando la ruota del timone.
In giro non c’era una sola faccia nota che conoscesse, era sparito anche Yamcha. La ragazza inorridì: - Oddio … non avrete … - bisbigliò affacciandosi con ginocchia tremolanti alla ringhiera e guardando di sotto con l’affanno che cresceva. Non individuando alcun corpo galleggiare non osava sbilanciarsi, ma a quelle parole smozzicate aveva dato direttamente un valore negativo.
- Siete un diavolo! – lo insultò con rabbia e tristezza, mentre sentiva le membra diventare deboli e pesanti, al punto da scivolare piano al suolo, appoggiandosi alla balaustra.
Yamcha” mormorò mentalmente tra i singhiozzi.
Vegeta le si avvicinò sfoggiando un incallito cinismo: - Radish vi mostrerà il vostro alloggio. Restateci e fatemi il favore di non starmi più tra i coglioni.
La fanciulla tirò su con il naso, immergendo gli occhi umidi e arrossati dentro i suoi: - Non mi riportate in prigione? – esclamò quasi sbigottita da quell’inaspettata gentilezza.
L’uomo restò rapito per un attimo dalla luce di quei pezzi di cielo che nemmeno la pioggerella delle lacrime offuscava del tutto. E li deplorò perché non aveva alcun senso che lei stesse a discutere e contraddire su un’offerta che qualunque altra donna con un minimo di buon senso avrebbe accettato di buon grado. “Peggio per lei”.
- Se preferite stare lì, vi ci riporto - ghignò con perfidia, affidandola a Radish che era accanto a lui ed aveva assistito al dialogo.
Il massiccio secondo con fare turpe si caricò agilmente la ragazza sulle spalle: - No! Mi andava bene! - scalciò e strillò, arrabbiandosi più con se stessa e con la sua lingua lunga che con lui e la sua rinomata cattiveria: – Siete un grandissimo farabutto! E vigliacco! Ero solo … - tentò di discolparsi, percuotendo le spalle del marinaio dalla lunga chioma che non faceva una piega, anzi la tratteneva con poca difficoltà. I suoi strepiti divennero sempre meno udibili, disperdendosi tra i corridoi di sottocoperta.
I marinai blateravano sottovoce, divertiti da quella temeraria intraprendenza, tanto inconsueta da sentirsi esternare da un’esponente del gentil sesso.
Capitan Vegeta si affrettò a ripristinare l’ordine e il silenzio: - Trenta frustate o dieci giri di chiglia a chi continua a perdere tempo. Decidete voi. In fondo mi sento generoso, oggi.
Non gli occorse neppure sgolarsi, poiché bastava che si sporgesse dal castello di poppa perché i reciproci ammonimenti dei sottoposti si rincorressero ed ottenesse la loro attenzione.
Rimesso in riga l’equipaggio, si fece avanti Nappa. Lo scorse con la coda dell’occhio e dalla sua faccia più ingrugnita del solito previde quali potessero essere le parole che avrebbe pronunciato: - Perché vi ostinate a tenerla a bordo? Quella sgualdrina è una vera rottura di palle – criticò intollerante con un sogghigno sardonico.
Vegeta socchiuse gli occhi, ridendo piano, perché già sapeva che la sua risposta sarebbe rimasta incomprensibile per quella zucca pelata: - Semplice. Ho bisogno del suo cervello e del suo corpo – ammiccò discostandosi, arrampicandosi verso una sartia e aggrappandovisi, per godere a pieno del vento salmastro che gli avrebbe sferzato i capelli e i vestiti, facendolo illudere di riuscire a volare.
Ora, grazie a lei, poteva rivedere le sue priorità, scegliere altri desideri.
Si sentiva in parte più sereno.
Ma era perfettamente consapevole che doveva impegnarsi strenuamente per non toglierle la vita, non prima che volgesse l’unico momento in cui la sua morte avrebbe significato un primo passo verso l’agognata libertà, una libertà che il suo spirito incontenibile forse non avrebbe mai raggiunto pienamente.

Vegeta-e-Bulma

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Capitolo 11
*** XI: A shadow from the past ***


Salve gentaglia! La capitana è tornata a tormentare le vostre oziose giornate estive con un altro aggiornamento!
Lasciando i due pesciolini a cuocere nel loro brodo (^^), ho preparato un capitolo che mescola azione, eroismo, mistero e .... Goku!

Un capitolo più lunghetto per scusarmi della pausa che mi prenderò da questa storia, e per augurarvi buone vacanze, mandadovi un saluto affettuoso e un ringraziamento commosso per il vostro sostegno e la vostra fiducia.
Come sempre aspetto con curiosità di leggere il vostro parere, anche piccolo, e le vostre osservazioni, positive o negative che siano.

Alla prossima!)

ps: stavolta non ho trovato immagine migliore di quella!

XI: A SHADOW FROM THE PAST

Lo spruzzo alcolico lo colpì in pieno volto: - Capitan Vegeta? – biascicò il suo amico, battendo i denti e stritolando il boccale di rum, mentre lui si ripuliva la faccia con un delicato fazzoletto celeste di pizzo che la consorte gli aveva donato in pegno durante il loro fidanzamento. Il liquore ambrato adesso lo aveva chiazzato, ma il ragazzo lo ripose ugualmente nel taschino interno al farsetto, ripiegandolo inutilmente con cura per nascondere le macchioline marroni.
- Santo cielo, Crilin. Controllati – mormorò a mezza voce, grattandosi la zazzera nera e guardandosi intorno circospetto, per timore che qualcuno degli altri marinai raccolti lì a desinare potesse aver sentito la sua esplosiva esternazione.
Il collega prese un altro sorso e, dopo aver deglutito senza staccargli gli occhi di dosso, proferì con tono più moderato: - Perdonami Goku, ma quella di questa tua amica, mi pare proprio una bella trappola pensata apposta per te! – giudicò severo, puntandogli contro un dito ammonitore. Poteva pure essere un suo superiore, avere cumulato maggiore esperienza, e aver combattuto e sconfitto molti più avanzi di galera di lui, ma quel Son Goku delle volte aveva proprio il talento di smarrirsi in un bicchiere d’acqua! Non vedeva o non voleva vedere il male nelle persone che conosceva, laddove lui, al contrario, era più pessimista, o meglio razionale.
- Dai, su. Non ci credo. Non può essere – masticò Goku, tra una cucchiaiata e l’altra della misera zuppa di tartaruga con cui si stava rifocillando. Non era più stato capace di tenersi dentro quell’incontro segreto, l’amico non aveva smesso di assillarlo di domande dopo il cambio di rotta da lui stesso suggerito al Capitano Muten, e alla fine gli aveva raccontato tutto quanto era successo il giorno prima della partenza, nei minimi dettagli.
Crilin scosse la testa dopo aver taciuto per poco più di un minuto: - Pensaci. Tu sei il migliore cacciatore di pirati e quei due i peggiori fuorilegge ancora a piede libero – seguitò ad ammonirlo, benevolo e apprensivo, ma quello pareva più interessato ad appropriarsi del suo piatto che ad ascoltare i suoi saggi avvertimenti, al punto che il piccoletto glielo cedette ben volentieri con una smorfia, non avendolo per nulla apprezzato.
- Non è vero – mugugnò Goku, dopo aver trangugiato sveltamente i bocconcini di carne affioranti nel brodo – Ci sono anche Diciassette e sua sorella … Com’è che si fa chiamare? Diciotto?
Il guardiamarina sussultò, arrossendo lievemente: - Che cosa c’entrano per ora?
L’altro fece spallucce, sorridendo sommessamente e parlando tra i risucchi di minestra:
- Sono evasi dall’isola di Non Ritorno, il mese scorso. Sono assai pericolosi anche loro due, sai?
Crilin si alzò in piedi di scatto, piantando le braccia sul tavolo che ondeggiò sensibilmente, e le sue guance assunsero una tonalità tra il rosso e il violaceo ripensando a come quella coppia di sanguinari fratelli mercenari gli fosse sfuggita da sotto il naso per la seconda volta. Era stato allora che aveva scelto di tornare a servire sulle navi della marina imperiale, piuttosto che fare la sentinella sulle prigioni galleggianti, ancorate in prossimità di quell’isola sperduta al largo del continente. Gli bruciava troppo il ricordo di quel fiasco, di quella vacua debolezza che l’aveva letteralmente pietrificato nell’istante in cui aveva avuto di fronte l’algida e folgorante bellezza di quella spregevole assassina.
Goku, intanto, si massaggiava la pancia, parzialmente soddisfatto di quella magra scorpacciata, ed estremamente serafico, nonostante tutto.
Crilin stava per riaprire bocca e riprendere a discutere dello scottante argomento rimasto in sospeso, quando un urgente ordine venne diffondendosi dai ponti superiori: - Uomini in coperta! Tutti ai posti di manovra!
I due marinai si scambiarono uno sguardo d’intesa, consci che la bonaccia era passata e molto probabilmente di lì a poco sarebbero andati incontro ad una bufera.
Il giovane tenente mutò subito contegno, tendendo i muscoli, la sua espressione da paciosa divenne agguerrita mentre indossava il cappello d’ordinanza. Più veloce di una freccia, svicolò dal tavolo, appeso alle travi del soffitto come gran parte del mobilio, urtandolo nell’impeto con un ginocchio e rovesciandolo addosso al collega seduto insieme a lui, e continuò a correre verso i ponti superiori travolgendo tutto e tutti, senza accorgersi di nulla. Guadagnata la plancia di comando, richiamò visivamente l’attenzione del Capitano Muten, che era occupato a scrutare l’orizzonte con un cannocchiale, per sottolineargli la sua presenza. Delle vele cerulee erano comparse qualche miglio dinanzi a loro, si notavano anche ad occhio nudo.
- È senza bandiera – commentò l’anziano comandante, richiudendo lo strumento ottico su se stesso con uno scatto, tenendolo ancora tra le mani.
Goku strinse i pugni, quella situazione di solito significava una sola cosa: pirati. Non tutti i briganti del mare, infatti, utilizzavano degli stendardi per farsi riconoscere da alleati e amici. Molte navi ne cambiavano più d’uno nel corso della loro esistenza, in concomitanza con l’avvento di nuovi capitani o la conclusione favorevole di nuove imprese. E c’era anche chi prendeva in giro sfacciatamente le marine del regno, usando finti colori dall’apparenza innocua per far sì che altri vascelli si avvicinassero, ignari e impreparati ad un abbordaggio.
Fa’ che sia lui, fa’ che sia lui …”, si ripeteva Goku, scendendo il cassero e precipitandosi al parapetto di prora.
Anche il minuto Crilin era sopraggiunto e si era abbarbicato alla balaustra vicino al compagno, inforcando il suo piccolo monocolo. “Fa’ che non sia lui, fa’ che non sia lui …”, si confortava da solo, tentando di individuare qualche altro particolare grazie alla lente.
Frattanto i marinai dalle uniformi blu e arancio della Speedy Cloud avevano assunto un assetto sulla difensiva, armando i cannoni e preparando spade e moschetti d’assalto.
Non appena la struttura dell’imbarcazione divenne più nitida, entrambi gli amici si resero conto che il suo aspetto non corrispondeva a quello che molti testimoni avevano descritto caratterizzare la Bloody Wench. Il vascello, che seguiva un’andatura di bolina larga, stringendo il vento attraverso le grandi vele quadre degli alberi centrali, aveva lo scafo spigoloso di un accecante color avorio e navigava a due quarti di tribordo rispetto ad essi, staccandoli di appena una decina di miglia. Continuava a non alzare alcuna bandiera e quasi pareva non essere infastidito dalla loro presenza nello stesso tratto di mare.
Goku provò una morsa di delusione e frustrazione: - Non è lui – soffiò tra i denti, percuotendo la ringhiera con una manata. Erano almeno tre anni che aspirava a confrontarsi con quel malvagio briccone per mandarlo a scontare i suoi orrendi crimini in un’umida e malsana gattabuia. Erano sulla rotta giusta, quella indicatagli da Bulma, quella che conduceva alle Terre del Sole Morente. Non era certamente un luogo frequentato da molta gente, poiché per metà dell’anno era avvolto dalle tenebre dell’inverno, eppure quell’altro veliero vi era apparentemente diretto anch’esso. Il tenente Son si affrettò a fare ritorno al ponte di comando, iniziando a chiedersi se la ragione di quel viaggio non fossero le misteriose sfere che la sua amica stava collezionando e che gli aveva affidato, considerandole alla stregua di un preziosissimo tesoro.
- Quello non è il galeone di Capitan Vegeta, ma si direbbe comunque appartenere ad un pirata. Cosa facciamo, signore? – esortò riverente e impaziente il comandante, che lo osservava acutamente di sotterfugio, immerso in un pensieroso mutismo.
Quel ragazzo era stato forgiato per le sfide impossibili, non era nato che per questo, glielo si leggeva negli occhi brillanti e decisi. Trasmetteva della sana competizione anche ai suoi nervi, ormai non più verdi e scattanti come un tempo. Un riflesso di luce s’infranse sulle lenti scure del maturo ufficiale che spiegò la bocca rugosa in un sorriso lieto: - Diamo più vela.
Goku si portò lestamente la mano destra alla fronte, annuendo all’ordine e, interiormente eccitato, si apprestò a dirigere la ciurma: - Mollate le scotte e gli imbandi come si deve! – gridò immediatamente, poi, tastando la direzione del vento umettandosi un dito e osservando il moto della velatura – Orzate e tesate di quattro punti! – impartì ai gabbieri, arrestandosi vicino ai cannonieri del ponte superiore.
La Speedy Cloud in una manciata di minuti aveva quasi imboccato la scia del misterioso vascello bianco e spettrale. Muten si accomodò su una poltrona di legno che si era fatto istallare personalmente su un gradone poco distante dal timone, accingendosi ad assistere agli scontri imminenti. In cuor suo aveva definitivamente deciso che, una volta a terra, avrebbe sollecitato all’Ammiraglio Giuma la promozione di quel giovane caparbio, intraprendente e valoroso al rango di Capitano, godendosi in santa pace la meritata pensione in qualche amena isoletta tropicale piena di palme, sole e belle ragazze da cui farsi coccolare. Socchiuse le palpebre, pregustandosi l’appagante avvenire, e neppure il violento rimbombo proveniente dalla poppa della nave cerea che segnò l’inizio della battaglia navale, mandò in frantumi le sue dolci visioni.
Goku si era appeso al sartiame collegato all’albero di mezzana, sperando di poter avvistare da quella posizione qualcosa di più rilevante, un punto debole su cui indirizzare i colpi; ma per farlo dovevano riavvicinarsi o il bianco vascello sarebbe scomparso in uno sbuffo tra le immense acque dell’Oceano che andava incontro al tramonto più rapidamente, proseguendo verso sud. A chiunque appartenesse quella nave il suo compito sarebbe stato quello di privarla della possibilità di nuocere alla sicurezza di chi attraversava i mari.
- Stringete il vento! Un altro piccolo sforzo uomini! Coraggio, li raggiungiamo!
Saltò giù, scorazzando da un’estremità all’altra della Speedy, distribuendo indicazioni. La sua euforia si propagò come bolle, mentre la distanza fra le due navi si assottigliò di minuto in minuto. Le nubi formatesi al mattino si addensavano e la corrente spirava con maggiore forza, gonfiando le vele e gli animi della ciurma. L’eccitazione cresceva, la sentiva rimbalzargli dentro. Tutti i cannoni erano già stati caricati e i sottoposti avrebbero acceso le micce ad un suo cenno. D’improvviso la vide, la bandiera del nemico, la stavano giusto issando: era rossa come il sangue, con un teschio sogghignante al centro e due clessidre ai lati. Voleva dire morte certa. C’era anche un nome inciso sulla fiancata di destra, con una vernice dorata “ICE LORD”.
Si costrinse a mantenere la calma e a considerare con lucidità le prossime mosse da adottare, respingendo l’affronto per aver sottovalutato con leggerezza e superbia l’inaspettato nuovo avversario. Le onde si stavano ingrossando e il rollio diveniva sempre più impetuoso, compromettendo che le cannonate potessero andare a segno. Perciò Goku, tenendo sotto controllo le murate dell’altro veliero, attendeva il momento opportuno per ordinare di aprire il fuoco. Ma gli altri non attesero: i cannoni del marmoreo vascello cominciarono subito ad esplodere colpi, uno dopo l’altro, sporgendo fumanti dai portelloni e mietendo le prime vittime.
- Difendete le batterie! Pronti a colpire! Non dobbiamo dare quartiere! – incitò i suoi il giovane tenente. Gli archibugi vomitavano palle di piombo che ricadevano con tonfi e spruzzi nelle acque burrascose, mancando la murata della Ice Lord che venne solo spezzata in un punto irrilevante, al contrario, i colpi che da essa partivano mirarono dritti agli alberi.
La Speedy Cloud sobbalzava sui cavalloni che si infrangevano sul suo scafo con furia, deviando la sua rotta, mantenuta con gran sforzo dal timoniere di turno. All’improvviso il pennone più alto del trinchetto cedette e si staccò ripiombando sul ponte. Gli uomini si scansarono in tempo, ma ci fu comunque qualche ferito che restò a terra a causa dei frammenti. I cannoneggiamenti tra i due velieri continuavano, finché una mitraglia di piedi di corvo si abbatté sulla nave della marina, bucherellando e appesantendo alcune vele.
- Scalogna nera! Ci stanno scappando! – abbaiò furibondo e amareggiato il Capitano Muten.
Crilin rinfoderò con uno sbuffo contrariato il cannocchiale: - Sono già fuori portata per un arrembaggio e continuano ad acquistare velocità, signore!
L’anziano uomo si risedette sullo scranno, asciugando le goccioline di spuma marina dalle lenti: - Bah … Maledetti! Oramai non possiamo più acciuffarli – constatò mentre l’ennesima bordata frantumava un pezzo di parapetto.
- Questo non è ancora detto! – esclamò poco distante il tenente Son, fissando la fiancata fumante della Ice Lord che si allontanava ad ogni sferzata di onde e vento. Le sue azioni furono più rapide del suo pensiero: di corsa, scansando i proiettili vaganti che squarciavano l’aria, scivolò ai piedi dell’albero maestro dove erano sistemati i rampini di arrembaggio, ne estrasse due dai supporti assicurandosene con un nodo scorsoio uno alla vita e lanciando l’altro alla sartia soprastante. Misurò approssimativamente le distanze, prendendo la rincorsa.
- No! Goku! – strillò sgomento Crilin, intuendo le sue intenzioni.
- Io vado a vedere chi ha osato attaccarci! – annunciò lui determinato, dirigendosi verso la parte lacerata della murata, per spiccare meglio il salto.
- Benedetto, ragazzo! Torna indietro! – si sgolò stremato Muten, riconoscendo le sue mosse.
Il marinaio, però, sfruttando la fune, era già volato verso il vascello bianco che si stava dando alla fuga. Prima di atterrarvi lanciò il ferro uncinato che si agganciò allo scafo, quindi, accertandosi che avesse fatto presa, usò la corda ad esso legata per arrampicarsi e salire a bordo. Scavalcato il parapetto, cadde sopra un pirata stordendolo nell’impatto. Si tagliò con la spada il nodo stretto attorno ai fianchi e cercò di capire chi detenesse il comando, studiando i vari uomini che si affaccendavano sulla tolda, stranamente disinteressati alla sua evidente presenza, data la divisa sgargiante che stonava coi loro stracci bigi.
- Guarda chi si rivede, fratello – parlò una donna alle sue spalle.
Si voltò con la spada ben salda e con stupore li riconobbe. Lei bionda e avvenente, lui moro e subdolo, entrambi con uno sguardo glaciale, lesti e letali come murene.
- Il tenente Son Goku! – parlò il ragazzo con accento derisorio, brandendo la sciabola – Siete ancora tenente, giusto? Oppure vi hanno degradato dopo i vostri soventi scivoloni? – ridacchiò acidamente, mentre la sorella si limitava a sogghignare in silenzio, muovendogli la sua lama a pochi centimetri dalla gola.
Goku indietreggiò mantenendo alta la guardia, respingendo le prime stoccate: - Fareste bene a non vantarvi troppo, ragazzi, dacché neanche voi avete ancora una nave vostra. Siete solo dei mozzi leccapiedi – li provocò dando una spallata ad un pirata che passava per impossessarsi della sua sciabola. Aveva imparato ad usarne due per volta e non ebbe molta difficoltà a respingere gli attacchi da essi inferti. Ma quei due filibustieri inizialmente si dilettavano a giocare, nascondendo la loro vera abilità per poi scatenarsi tempestandolo di fendenti precisi e incisivi, mettendolo alle strette.
Diciassette lo disarmò della sciabola che aveva rimediato, costringendolo a contrastarli con una sola. La ragazza si stava animosamente impegnando a privarlo anche di quel pezzo d’acciaio, quando una voce che suonava calma ma autoritaria, carezzevole come il velluto e scagliosa come una serpe, si interpose ad interrompere l’impari combattimento: - Signori! Risparmiate i vostri pezzi migliori per il momento in cui avremo arpionato il nostro pesce più grosso. Sono le sue budella che voglio appendere al bompresso, oppure la sua testa mozzata … Vedremo quale si confarà meglio al contesto – concluse con un riso contenuto e crudele.
Goku aguzzò la vista riuscendo a scorgere nella controluce solo la sua figura bassa e sgraziata, avvolta da una lunga giacca a vento indaco col bavero alto a coprirgli gran parte del volto, insieme ad un cappello a tesa larga della stessa tinta. Pensò non fosse molto convincente come Capitano, eppure i gemelli gli ubbidirono senza indugio e, ad un suo gesto della mano, smisero di duellare con lui, sospingendolo verso il parapetto.
Fu allora che il tenente sentì un altro pirata rivolgersi con ossequio al misterioso figuro chiamandolo per nome, e per poco non cascò da solo fuori bordo. Una fitta acuta gli trapassò la spalla sinistra: - Buon bagno, carino – gli sussurrò la gelida piratessa, ritraendo la lama appuntita mentre il fratello lo spintonò bruscamente in acqua.
Goku, sconcertato da quella spaventosa scoperta, galleggiava inerme. Recuperò un minimo di coscienza per nuotare con il solo braccio destro, afferrando la cima gettatagli dalla sua ciurma che lo issò in coperta.
- Goku! Sei ferito? Stai bene? – si affannò subito a chiedergli un trafelato Crilin – Chiamate il dottore! – gridavano altri, avendo notato il foro zampillante sulla giacca.
- Sì, sì. Sto bene – si ostinava a ripetere il ragazzo a quanti glielo domandavano, mettendosi cocciutamente seduto e scansando le loro premure.
- Sei incredibile! Prima o poi mi farai morire di crepacuore! – lo rimproverò l’amico, asciugandosi la fronte ricoperta di sudore freddo con la manica della camicia, ridendo nervosamente con lacrime di gioia; poi di colpo si fece di nuovo grave – Non ci pensi che stai per avere un figlio? Vuoi che nasca orfano, per caso?
Il giovane non sapeva cosa dire, pensando ancora a ciò che aveva visto e sentito su quella nave. C’erano davvero troppi punti oscuri in quella storia e troppi pericoli in quei mari.
- Tenente Son, dovrei punirvi per la vostra insubordinazione – sentenziò il Capitano Muten, avvicinandosi con posa rigida e austera.
Lui lo guardò sereno: - Lo so, signore. E sono pronto ad assumermi la responsabilità delle mie azioni.
Muten sospirò, per nulla sorpreso da quell’impeccabile risposta: - Almeno avete scoperto qualcosa con questo vostro colpo di testa?
Quello iniziò a sfregarsi una guancia avvertendo decine di paia di occhi e orecchie concentrate su di lui: - Bè, sì. Ma temo che farete fatica a credermi – accennò un sorriso incredulo e tirato – Capitan Freezer è ancora vivo.

Pirates-3

* I piedi di corvo sono dei chiodi a 4 punte lanciati in mitraglie per ferire gli avversari o bucare le vele.

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Capitolo 12
*** XII: Nightmares ***


Ben ritrovata, ciurma!
Questo capitolo l'ho pensato, scritto, ripensato, riscritto e alla fine, complice anche il mare e un'insonnia da gelato al caffé, ne è uscito fuori qualcosa di particolare: ho voluto metterci un tono un poco più serioso, più introspezione per svelare qualcosa sui due personaggi principali, ancora più tensione (^^), e non vedo l'ora di conoscere il vostro parere!
Tra l'altro, a fine capitolo, vi segnalerò quali siano state le mie fonti ispiratrici per alcune tematiche, un poco più, come dice EFP "conflittuali" per le quali mi è sorto il dubbio di dover alzare il rating da giallo ad arancio...
Boh, fatemi sapere!
Volevo esprimere la mia sincera gratitudine a tutti coloro che commentano, mettono tra le seguite/preferite/ricordate o semplicemente leggono questa mia ff poiché mi infondono la voglia di continuarla.

Concludo augurandovi buona lettura e sperando di non deludervi.
Alla prossima!)

XII: NIGHTMARES

Il luminoso astro del giorno era divenuto un grande disco arancione che stava ormai per inabissarsi nelle profondità salate.
Capitan Vegeta aveva trascorso quelle brevi ore di navigazione restando sopra coperta per visionare l’operato della malfidata ciurma e soprattutto per evitare di dover respirare l’affamante presenza della prigioniera, che aleggiava ancora nella sua cabina nonostante l’avesse confinata ai locali prossimi alle sentine.
Si era attenuto scrupolosamente ai consigli profferti dalla Vecchia Sibilla, nel cui antro fra gli inaccessibili Monti dell’Arcobaleno si era recato quattro anni prima in cerca di un rimedio che gli avrebbe consentito di annullare quel vincolante maleficio che, se da una parte aveva accresciuto le sue capacità e i suoi sensi, dall’altra aveva aggravato la sua irrequietezza e la sua uggia. L’anziana chiaroveggente, in cambio di un’enorme somma di monete, pezzi d’oro che non mancavano tra le sue razzie, e radici medicamentose che previdentemente si era procurato, invitandolo a poggiare i palmi sulla sua sfera di cristallo aveva visto tutto quanto. Aveva visto il mostro predatore e assassino che albergava dentro di lui, e l’aveva edotto sull’unico antidoto che sarebbe stato in grado di guarirlo: doveva uccidere e divorare una creatura azzurra appartenente al mare. E doveva compiere il cruento rituale con una vittima integra. Se, volutamente o accidentalmente, ne avesse disperso il sangue prima del novilunio successivo, la sua pena sarebbe divenuta eterna e avrebbe perduto per sempre la sua già riprovevole umanità.
Aveva rapito quella donna perché la particolarità del suo aspetto l’aveva convinto che fosse lei l’oggetto delle sue lunghe e vane ricerche. Ma il viaggio che li aspettava si sarebbe prolungato per qualche settimana. Anche quella notte, infatti, sarebbe sorta la luna.
Finora si era fidato del suo istinto animale, che si era manifestato essenzialmente come attrazione e fame; adesso il suo superstite lato razionale esigeva a tutti i costi un’altra prova della sua autenticità. Non poteva darle modo di capire i suoi spietati fini, tantomeno lasciarsela scappare, quindi il diletto di gettarla in acqua per verificare se le spuntassero le squame era da accantonare.
Il disgustoso albino con la faccia da lucertola qualche cosa, oltre alle umiliazioni, gliela aveva indirettamente insegnata: trovandosi alle strette occorre fare buon viso a cattivo gioco, non accanirsi troppo su chi può rappresentare una leva ai propri scopi, dissimulare il vero male di cui si è capaci per scatenarlo al momento della resa dei conti.
Sapeva, attraverso vari racconti, che quei demoni marini, a dispetto delle loro fattezze eteree, in realtà erano insaziabili mangiatrici di uomini. Perciò l’aveva convocata ad un ricco banchetto, tutto a base di carne, ovviamente. Ritto sulla plancia di comando, sfiorò la sacca con la sfera del Drago agganciata alla bandoliera, rivolgendo per un attimo le acute percezioni al boccaporto che immetteva ai ponti inferiori da dove stava risalendo il suo odore.

Una panca di legno rotta e traballante era stata rimediata da una delle cabine in disuso e portata lì dentro, non certo per alleviare la permanenza di chi aveva avuto la sventura di venirvi catapultato. Bulma, sbattendo i polverosi cuscini di paglia di un colore indefinito, vi si era seduta schizzinosamente dopo aver appurato con amarezza che le sue proteste e i suoi strilli non scalfivano minimamente le orecchie ottuse di quei tagliagole, tantomeno la coscienza di pietra del loro intrattabile Capitano. Aveva sperato che quel maledetto tornasse sui suoi passi e, anche senza chiederle esplicitamente scusa, le concedesse la cabina che lei aveva scioccamente e per superbia rifiutato; invece quell’incivile per mezza giornata l’aveva completamente ignorata.
Proprio non capiva come certe donnacce potessero descriverlo come un uomo fascinoso, pur nella scelleratezza e nella tracotanza che lo connaturavano. A lei era parso soltanto uno zotico con qualche rotella fuoriposto. A ripensarci non sapeva scegliere se sarebbe stato meglio penare in quella prigione umida e buia oppure in un alloggio vicino al suo.
Al momento si ritrovava nuovamente rinchiusa in quello stanzone lugubre che per lui era camera da letto e sala di comando, davanti ad una tavola imbandita con stile luculliano. Pollo, tacchino, maiale e vari tipi di pesce, tutta roba fresca, appena macellata, grondante sangue, cosparsa di salse ma mezza cruda. Dovevano aver fatto rifornimenti poco prima di incrociarli per riuscire ad allestire una simile quantità di pietanze: c’era cibo almeno per una dozzina di persone, ma sicuramente agli altri sfortunati marinai sarebbero toccate la solita zuppa di pesce e qualche galletta. Si sentiva un po’ in colpa, anche se il profumo era delizioso e la invogliava. Riflettendoci sembrava tutto troppo generoso. La ragazza temette seriamente che la volessero avvelenare.
Intanto la vetrata mostrava un cielo imbrattato dalle calde tinte oro e amaranto del tramonto. Il suo corpo formicolava. Iniziò a battere nervosamente un piede sulle assi, immaginando che non avrebbe potuto nascondersi e che la reazione di Vegeta, se avesse scoperto chi era, o meglio cos’era, sarebbe stata tutt’altro che tollerante e rilassata.
Si diceva che fosse poco accondiscendente con chi volesse raggirarlo o gli celasse la verità circa le sue intenzioni, e se davvero aveva scannato persino il temibile Capitan Freezer, lei non avrebbe avuto scampo.
In quell’istante il pirata entrò dalla porta alle sue spalle, tirò dritto verso il suo posto, accomodandosi sulla sua poltrona, alzando appena gli occhi dal pavimento, ma poi piantandoglieli addosso con veemenza e un mezzo sogghigno divertito.
La piratessa non capiva se volesse impressionarla o spaventarla con un simile sfoggio di munificenza. Restò muta, in attesa di capire e pronta a scappare; i minuti passavano e il sole si abbassava sempre più sull’orizzonte.
Da quando si era seduto, Capitan Vegeta non aveva aperto bocca se non per addentare bistecche e cosciotti, masticandone quasi anche le ossa e guardandola provocatoriamente, tuttavia la sua protervia andava scemando. Quella creatura anfibia aveva un ammirevole autocontrollo o era vegetariana?
Bulma lo fissava imbambolata, con le posate ancora tra le mani, sbalordita dalla sua agghiacciante voracità: - Avete preferenze? – sbottò ad un certo punto, sarcastica e inasprita dalla mancanza assoluta di galanteria di quel mal arnese che, se per caso avesse inteso scusarsi con quell’inaspettato invito, adesso le stava senza dubbio mancando di rispetto, non essendosi preoccupato di aspettarla per cominciare a sbafare, né di servirla o scambiare qualche parola.
Lui terminò di spolpare una costoletta e le spinse contro un vassoio, leccandosi rapidamente i denti e le labbra: - Sono un tipo che mangia qualsiasi tipo di carne. E voi?
Lei guardò meglio il piatto d’argento e vi distinse un lungo pezzo di muscolo attaccato a quello che pareva un … femore. Andò in apnea per qualche secondo, rifiutandosi di credere che fosse umano. La schiena le si inarcò, mentre uno spasmo le si propagava fino alle dita dei piedi. Bulma si alzò di scatto dalla panca scricchiolante, le gambe, però, iniziavano a dolerle e quegli sgradevoli crampi diventavano sempre più frequenti. La ragione la conosceva bene.
- Dove credete di andare? – la richiamò alterato il filibustiere, scattando su anche lui.
La ragazza tremava come se un’improvvisa febbre l’avesse colpita: - Vorrei ritirarmi nel mio alloggio, se vi degnate di mostrarmelo.
Vegeta le si avvicinò con passo ovattato e non capiva perché continuasse a sorridere leggermente notando i suoi brividi.
Lui immaginava che finalmente l’azzurra stesse sforzandosi di trattenere il suo impulso naturale, per fingersi una donna vera e addomesticata.
Avevano molto in comune, per un certo verso. Le inviò un’occhiata affilata e baluginante come una lama appena molata: - Sicura di non voler mettere niente nello stomaco? – le ripropose inclinando la testa sulla tavolata.
La turchina esitò un attimo, poi con fermezza afferrò la forchetta infilzandola sul tocco di carne scura e misteriosa che lui le aveva offerto, strappandone alcuni bocconi. Non seppe distinguerne il sapore, deciso e leggermente dolciastro, che le ricordava qualcosa di antico e dimenticato e non le dispiacque, al punto che ne ingerì con gusto altre due forchettate, sotto lo sguardo compiaciuto del suo ospite.

La cabina che aveva a lei riservata si trovava a prua e non era molto dissimile dalla cella in cui l’aveva trattenuta: le pareti erano vuote, un oblò, un cassettone, una piccola branda, qualche baule e dei teli accatastati agli angoli. In compenso era un ambiente asciutto, più del dovuto per lei. Bulma si sentiva asfissiare. In quelle ore si era sentita sballottare senza sosta, un pesce finito dentro una rete che, ferito, sperava ancora di uscire illeso nuotandone fuori attraverso un’introvabile maglia più larga delle altre già individuate.
Vegeta stava per accomiatarsi dopo averla silenziosamente accompagnata, quando lo richiamò con voce ansiosa, quasi delirante: - Non avete una vasca, una tinozza … insomma qualche recipiente da riempire d’acqua?!
L’uomo aggrottò la fronte e si concesse una risata: - Forse non vi è chiaro che siete mia prigioniera, non mia ospite – chiarì tempestivamente, appressandosi - Sono già stato vergognosamente magnanimo a concedervi di soggiornare in una cabina anziché nella cella di sentina, assieme ai vostri pidocchiosi compagni.
- No, ficcatevelo voi una volta per tutte nel vostro bel testone: noi siamo soci! E se vi opporrete a soddisfare le mie richieste, non riuscirete a scucirmi una parola sulle sfere! – lo minacciò quella arretrando, stava per vacillare ma tenne duro, serrando le mani attorno ad un comò contro cui aveva urtato.
Una vena pulsante divenne visibile sulla fronte del bucaniere che parlò con accento cupo e scivoloso, riducendo ulteriormente le distanze: - Non avete capito proprio con chi avete a che fare, donna – ansimò infastidito. La vista gli si annebbiò, il bisogno di addentarla stava diventando irrefrenabile. Si concentrò sulla sua chioma sgargiante, ghermendo la sua morbida treccia posata sulla clavicola per stringerla fra le dita, schivando un contatto con il candido collo e tornando a soffiare suadente e ostile sul suo viso – Conosco mille e una maniere per convincere una testarda impertinente come voi a piegarsi al mio volere. E vi assicuro che nessuna di queste sarebbe auspicabile da provare sulla propria pelle ... – la avvertì inoppugnabile, rilasciando i suoi capelli, voltandole le spalle e uscendo rapido dalla camera, chiudendovela a chiave.
Bulma tornò a respirare a pieni polmoni, tentando di calmare le tumultuose palpitazioni. Benché non l’avesse sfiorata che accidentalmente, i suoi occhi se li era sentiti ardere addosso come se al loro posto fossero state le sue mani a toccarla con prepotenza. Erano di un nero abbagliante quegli occhi, troppo scuri, troppo profondi, troppo … belli? Straordinariamente intensi. Il suo istinto e la sua mente le suggerivano con insistenza una spiacevole e angosciante sensazione: sembrava volersela letteralmente mangiare. Era un tacito pervertito.
La piratessa si consolava, però, tristemente a considerare che in fondo avrebbe potuto disfarsi di lui con un’arma impensabile e delicata: un semplice sensuale assaggio delle sue labbra al veleno.
Come era quasi capitato, non volendolo, anni addietro, quando ancora non era consapevole di questa sua dote letale.
Frammenti di ricordi si addensarono, lontani ma ineludibili, pesanti sul giovane cuore.

La casa d’infanzia attaccata al faro in cima al promontorio, un mazzolino di margherite bianche, i suoi ricci fulvi che contrastavano con le iridi verdi, le fossette attorno alla bocca, il suo sorriso gentile.
Lo slancio improvviso di dimostrargli il suo affetto con un gesto che andasse al di là delle parole. Il suo primo bacio. Il suo modo timido di ricambiarla e poi la tragedia … il suo viso cianotico, le pupille vitree, il respiro asmatico, le convulsioni che l’avevano fatto contorcere sull’erba rugiadosa.
Lei che non aveva saputo far altro che urlare impaurita il suo nome: - Larry!
Il signor Brief l’aveva rianimato in extremis, somministrandogli una fiala di antidoto che l’aveva indotto a rigurgitare, e l’aveva convinto sagacemente che era stato vittima della puntura di qualche insetto, di cui aveva inventato sul momento la complessa denominazione.
Il ragazzino se n’era andato ancora pallido e tremebondo e da quel giorno aveva disertato con pretesti vari le occasioni di incontrarla.
Il padre le aveva spiegato con serenità ed afflizione di aver scoperto che i suoi umori erano tossici e che doveva trattarsi di una difesa naturale sviluppata dalla sua specie per combattere i predatori umani, interessati ad impossessarsi dei tesori da esse custoditi in fondo agli oceani.

Lei era sfuggita a quel destino di schiavitù poiché quella generosa coppia di umani l’aveva accolta e allevata come una figlia, pur tra le mille difficoltà che la sua diversità comportava. Se solo non fossero stati tanto precipitosi nell’esprimere quel desiderio quando ne avevano avuta l’irripetibile occasione ... Non riusciva tuttavia a portare loro rancore, si era legata al loro mondo quasi rinnegando le sue origini, anche se il mare era rimasto un richiamo irresistibile e perpetuo. Crescendo aveva notato quanto la sua grazia poco comune attraesse gli uomini al pari delle pietre preziose più rare, ma aveva giurato a se stessa che non si sarebbe mai più innamorata finché non avesse trovato quel tesoro inestimabile ed avrebbe perduto il potere di uccidere col suo stesso corpo.
Non era un’assassina e riteneva che un bacio mortale sarebbe stato un rimedio estremo da impiegare, perfino se si trattava di quell’odioso malandrino.
Il cielo stava tingendosi delle tonalità violacce del crepuscolo. Doveva cercare assolutamente di uscire in fretta da lì, non c’era acqua e il suo corpo si sarebbe disseccato come quello di una stella marina pescata e lasciata al sole. Era assalita da una cieca disperazione, nessuno l’avrebbe creduta o aiutata. D’un tratto le sovvenne che all’interno di una delle stecche del corsetto che aveva indosso, una volta, aveva nascosto uno stiletto a serramanico che teneva con sé per le evenienze da affrontare senza giri di parole. Le sarebbe tornato utile, dato che adesso non era gravata da una palla al piede come qualche ora prima, perciò aveva senso provare ad evadere. Sbottonò l’indumento e tastoni cercò il fodero cucito all’interno, con gioia lo recuperò. Doveva essere molto svelta e poi invisibile, anche se non sapeva che direzione prendere una volta all'esterno e doveva assicurarsi che di non essere scoperta mentre tentava di scassinare la serratura.
Concentrando le scarse energie rimaste si buttò contro la porta ringhiando proprio come una povera bestia in gabbia e poi piagnucolando. Non udì alcun commento sboccato: il marinaio che era stato posto quasi tutto il tempo sulla soglia del corridoio a tenerle compagnia doveva essersi finalmente allontanato. Era il momento di agire; infilò la punta del coltellino nel foro destinato alla chiave rigirandola freneticamente, tendendo un orecchio agli scricchiolii intorno che avrebbero annunciato il ritorno della sentinella.
L’intorpidimento diveniva più intenso, polpacci e cosce si irrigidivano e i piedi perdevano presa e sensibilità, quasi fossero stritolati da una pressa. Si liberò dei lunghi stivali, sciogliendone l’intricata allacciatura, poi tornò all’opera. Un piccolo scatto metallico di qualcosa che ruotava la rinfrancò: la chiusura stava cedendo. La porta si schiuse ma lei non si reggeva.
Un lento calpestio in avvicinamento si rincorse per le assi, ripercuotendosi fino a lei. Le candele erano dei moccoli e non riuscì a distinguere l’ombra di chi le veniva incontro sbuffando. Si ritrasse soffocando tra le mani un singhiozzo e caracollando per terra con un tonfo a causa della fiacchezza dei suoi arti inferiori, ormai prossimi alla trasformazione in una coda da sirena.
Una corona di denti aguzzi e scintillanti le balenò davanti agli occhi, prima che perdesse conoscenza …

La tavola era stata servizievolmente sparecchiata dopo che si era spazzolato tutto quanto.
Con le viscere così colme quell’odore avrebbe dovuto dargli la nausea; era pur sempre cibo. Invece lo attirava come prima.
Si spogliò velocemente di giacca, camicia, gilet e fusciacca, scostando la tenda e gettandosi sul cedevole materasso, sfibbiando anche gli stivali.
Quella fragranza succulenta era sospesa nell’aria, si era sparsa ovunque a bordo. Si era impadronita dei suoi pensieri e dei suoi respiri assieme ad un altro tarlo. Un ignoto nemico cospirava contro di lui, iniziava ad avvertirne l'alone sinistro e corrotto. Sapeva di morte, di cancrenosa morte.
Cambiò fianco una miriade di volte, come poggiasse su un letto di braci che lo consumavano a fuoco lento, finché giunse il sonno, latore di incubi vecchi e nuovi.

Il piombo e l’acciaio cozzavano, fumo e bolle, corpi che sprofondavano, schizzi sul viso.
La corrente era fredda, coralli e rocce dai contorni increspati.
Due occhi arrossati di bile e un sogghigno sdegnoso.
Sfuggenti forme sinuose e una voce argentina.
Un rantolo esanime.
Fendeva carni bianche, stillavano rivoli rossi.
Galleggiava, perdendosi in un anestetizzante azzurro.


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* Circa il cannibalismo: ho letto che sulle navi pirata è stato documentato, in condizioni estreme poteva accadere che gli uomini si vedessero costretti a cibarsi dei loro compagni, quando in mare aperto non trovavano null'altro. La mia fonte ispiratrice è stato comunque soprattutto il film di Roman Polanski "Pirati" in cui questo argomento è affrontato scherzosamente. Siccome può turbare come tematica, ho pensato di alzare il raiting per questo motivo. Ma circa la storia lascio volutamente ai lettori giudicare cosa sia quel pezzo di carne...

* Nella mia storia ho deciso di avvicinarmi alla leggenda che vuole le sirene come mangiatrici di carne umana (anche se non vi dico al momento quale dieta segua Bulma^^) e per quanto riguarda il veleno ho tratto ispirazione da un film intitolato "Lei, la creatura", e in parte anche da alcune ff che ho letto nella sezione in cui l'amore di Vegeta per Bulma viene paragonato ad un avvelenamento, una droga. In questo caso la cosa è letterale ^.^

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Capitolo 13
*** XIII: Revelations ***


Eccomi riapprodata fra i vostri lidi, finalmente!
Dopo aver completato una delle mie long ed aver sostenuto l'ultimo esame di quest'anno, sono in pausa finché non riprenderanno le lezioni, perciò spero di potermi concentrare ad aggiornare più spesso questa storia (anche se ne ho delle altre in corso e in mente).
Tralasciando i fatti miei...Io sono già pronta a tirare fuori l'asse e il salvagente perché...credo che mi detesterete per questo capitolo!^^"
Lui non c'è, ci sono delle scene quasi fluffose tra lei e l'altro che è ricomparso, e ci ho inserito pure quell'altro con i suoi soliti casini...
Se non si fosse capito (?!) anche se per lunghezza ho strabordato (mi spiace non sono riuscita a tagliarlo! >.<) sarà un capitolo più leggerino e placido rispetto al precedente, in cui ho ritenuto necessario inserire qualche chiarimento tra i personaggi (e pochini per voi :D), dato che fra un po' inizierà la vera corsa per le sfere restanti.
Voglio tornare a ringraziare vivamente tutti coloro che mi stanno seguendo e sostenendo in questa avventura in mari, ancora per me non del tutto familiari, che un po' sventatamente sto sfidando nel pieno rispetto di chi li naviga da molto prima di me e senza alcuna pretesa se non quella di cercare di divertire chi legge con una storia diversa e originale che non tradisca però lo spirito dei personaggi che tanto amiamo.

Precisato questo, perché 9 recensioni per un solo capitolo non le avevo mai ricevute e mi riempiono di ottimismo per come ho principiato e timore di fallire per quello che scriverò, vi auguro una buona lettura e al prossimo arrembaggio!)

ps: un grazie speciale questa settimana a Lovekath che ha modificato per me l'immagine in fondo al capitolo, e a Proiezioni Ottiche che si è sorbita le mie paranoie su FB!

XIII: REVELATIONS

Il trascinarsi di quello stanco scalpiccio si interruppe esattamente davanti alla sua soglia, e un duplice tonfo percosse lo stesso legno che la separava dallo stretto e ombroso corridoio.
Un forte bagliore le ferì le palpebre, rimbalzò indietro e ritornò ad investirla, spandendosi sul pavimento su cui era ricaduta inerme, come acqua corrente che defluisse lentamente da una fenditura.
Bulma rinvenne appena in tempo, sollevando la schiena, trattenendo il fiato e stringendo agitata lo stiletto tra le mani, accorgendosi di essere rischiarata da una lanterna che doveva avere lo stoppino ancora integro. Dovette stringere gli occhi, abituatisi da qualche minuto alla semioscurità. In seguito, distinguendone i familiari e rassicuranti lineamenti, spalancò la bocca con sincero stupore e fervida esultanza, slanciandosi con un mezzo balzo verso di lui.
- Yamcha! Ma allora sei vivo! Sono stata così in ambascia! – esclamò affannata e incredula a mezza voce, guardando dal basso in alto il ragazzo che era appoggiato allo stipite della porta e le inviava un sorriso commosso.
Lui si scrutò attorno, sistemò la torcia ad un gancio e si curvò porgendole un braccio e aiutandola a rialzarsi verso di lui: - Stavi venendo a cercarmi? Allora ci tieni un po’ a me … - prese atto con un filo di orgoglio misto a speranzosa aspettativa, carezzandole una guancia in un moto di tenero sentimento.
- Certo, scemo – ripiegò scherzosamente lei, rifilandogli un buffetto e sorridendo, tacendo l’inesattezza della sua prima frase e tentando di contenere le fitte che partivano continuamente a scombussolarla dal basso ventre.
Yamcha non notò la sua difficoltà di sostenersi in piedi né di mascherare quelle contorsioni, essendosi smarrito a contemplarla estasiato, poi, assicurandosi che nessuno si aggirasse nei paraggi, la indusse con gesti mimati a rientrare in cabina, accostando la porta dietro le spalle: - Mi hanno mandato a pulire le sentine. Un vero schifo! Probabilmente erano mesi che non le strigliavano. Ho quasi vomitato – raccontò schifato e adirato, mentre la piratessa si defilava ondeggiando vistosamente verso il centro della stanza. - Che cosa voleva quell’infame da te, invece? E perché ti tiene qui? – indagò con avversione il compagno di prigionia, tallonandola e sedendosi di peso sul cassettone a lato.
Bulma si voltò verso di lui distinguendo perfettamente il lezzo dello sporco che gli era rimasto sui vestiti, e soprattutto la fiamma di gelosia che, dopo aver scaldato il suo tono, ora corruscava anche il suo sguardo contrariato: - Ha le Carte del Supremo ma gradisce il mio ausilio per ritrovare le sfere. In verità non me l’ha espresso palesemente, ciò nondimeno oramai credo che lo intenda.
Cercò di apparirgli calma poiché temeva che la sua sventatezza potesse solo compromettere irreversibilmente la sicurezza di entrambi e lei aveva già altre notevoli preoccupazioni in quel frangente.
Yamcha si alzò e le afferrò le spalle, scuotendola leggermente: - Non mi piace questa situazione. Dobbiamo trovare il modo di fuggire – la spronò con premurosa solerzia – Ci penso io – sostenne con un guizzo di avventata intraprendenza, cercando la sua approvazione.
- Yamcha … – bisbigliò lei, intrecciando le dita con le sue e spostandolo debolmente. Sembrava sospesa tra il volerlo mandare via o scappare lei stessa.
- Tu reggigli il gioco. Lascialo contento – insistette fiducioso e imperterrito il pirata, anche se la conosceva abbastanza da intuire quanto non fosse convinta delle sue capacità. Le sue mani si erano poggiate ai suoi gomiti e il suo contegno, insolitamente incerto e vacillante, cominciava a preoccuparlo. Dei chiodi gli si stavano riversando nello stomaco al solo accennare il pensiero che la fonte di quel cambiamento potesse corrispondere a Capitan Vegeta. La squadrò angustiato, alla spasmodica ricerca di un segno che potesse confermargli o smentirgli quell’atroce ipotesi che già gli stava originando in testa incontrollabili incandescenze.
Bulma si sentiva sempre meno umana e sempre più fragile, se lui avesse allentato la presa si sarebbe accasciata come una vela senza vento. Era difficile doverglielo dire proprio ora, eppure soltanto lui sembrava poterla aiutare. Inverosimile a dirsi, proprio lui, che di solito ultimamente costituiva un impiccio, era giunto come una manna. Provò a staccarsi, ma un tremito più vigoroso dei precedenti la fece barcollare e si dovette aggrappare alle sue spalle. Lui sussultò e lei si nascose in quell’abbraccio, guardando la parete: - Ascoltami. C’è una cosa che devi sapere. È da qualche tempo che avrei dovuto dirtelo ...
Il ragazzo le lisciò i capelli, stringendola più forte a sé: - Tu mi ami. Lo so – mormorò piano.
La giovane trattenne un violento spasmo e gemette snervata, sforzandosi di non urlare:
- Per la miseria, Yamcha! Puoi smetterla per un momento di comportarti da idiota! – lo insultò indelicata e acida, scostandosi per imbattersi nella sua espressione turbata da mille contrastanti sensazioni – Io devo fare il bagno. Tutte le notti – asserì inquieta e risoluta, mettendosi a sedere sulla branda.
Yamcha era rimasto profondamente ferito da quel suo rifiuto, e un attimo dopo quella sconclusionata asserzione lo lasciò inebetito. La seducente scia di profumo di fiori e brezza marina che la giovane donna portava con sé ogni qual volta la mattina compariva sul ponte di comando, standoci attento, neppure adesso era del tutto svanita: - Tesoro, se non fai il bagno per una volta mica casca il mondo! – la rincuorò con un sorrisetto bonario, allungando le braccia.
- Il mio sì! – ricusò la ragazza, inalberata dai suoi comprensibili ma inappropriati approcci e stroncata dall’incipiente mutazione. Poggiò i gomiti sulle ginocchia nascondendo il viso con le mani, provando vergogna e paura. Il sole languiva insieme alle sue forze. Doveva usare poche parole, in fondo a breve si sarebbe reso conto di tutto quanto. Doveva mostrarsi decisa e concisa, per convincerlo della gravità della situazione in cui ormai si trovava: - Devi aiutarmi, ti prego! Stanno per spuntarmi le pinne! – esalò tutto d’un fiato, allontanando appena le dita dagli occhi per interpretare la sua reazione.
Il complice, spaesato dal suo precedente nervoso silenzio, aprì e chiuse la bocca a quella strampalata affermazione: - Le pinne?! – quella annuì veloce e seriamente affannata. Gli sembrava assurdamente sincera: – Fulmini! È la verità? – proruppe più che scioccato, fissandole le gambe che aveva tante volte immaginato nude nelle sue fantasie.
In effetti quella Brief aveva sempre posseduto un non so che di indecifrabile che lo affascinava follemente. In un solo giorno, dopo circa tre anni di convivenza, aveva scoperto che aveva i capelli azzurri e adesso … che probabilmente non era una donna come tutte le altre. Quasi gli sembrava di essere finito in uno strano e delirante sogno ad occhi aperti.
Il rumore di una decisa camminata sui gradini che conducevano in quella sezione della nave li sorprese, scagliandoli ancora di più nello spavento: – Tu aspetta qui! – sussurrò il pirata, uscendo e recuperando i secchi pieni di liquami che aveva poggiato davanti alla porta. Bulma udì un botto e comprese che forse aveva tramortito la sentinella riapparsa a controllare. Rientrò senza permetterle di chiedere niente: - Cosa ti serve, esattamente? – si informò alla svelta.
- Qualcosa in cui mettermi a mollo! – replicò lei ancora un po’ imbarazzata e impensierita dalla contorta circostanza.
Il giovane si passò una mano sulla faccia: - Tuffarti a mare e poi tornare a bordo sarebbe troppo complicato?
L’occhiataccia disperata e funesta della turchina disattese la presunzione di ragionevolezza della sua proposta. Neppure lei ne aveva un’altra, batteva i denti e si lamentava per delle sferzate invisibili. Yamcha si stava impressionando ad osservarla, non avendo capito esattamente cosa le stesse accadendo, mentre ripeteva continuamente il suo nome incitandolo ad agire. Cercò di ripensare ai locali che aveva avuto modo di visitare in quelle ore e giunse ad una verosimile possibilità di aiutarla: – Ho visto dei barili nella stiva. Ma dubito ci sia acqua …
- Perfetto! Portami lì! – lo interruppe impaziente lei, contorcendosi e picchiando i pugni per aria – Però sarà meglio che io mi dissimuli – convenne posando lo sguardo su alcuni lenzuoli di tela gettati in un angolo.


Il medico di bordo, dopo aver rinunciato a ricucirlo, gli appuntò con un nodo ben stretto la fasciatura attorno alla spalla sinistra ed uscì dalla cabina mugugnando tra sé e sé sulla singolare fobia di quel marinaio, marchiato dalla visione di tante efferatezze, eppure terrorizzato per dei semplici aghi.
- Non posso crederci che quella delinquente si sia messa al servizio di Freezer! – sbottò allora un ripugnato Crilin, che gli era rimasto accanto durante la travagliata medicazione.
Goku tirò un sospiro di sollievo alla dipartita del dottore: - È stata lei a farmi questo buchetto – rammentò all’amico, avvertendo la parte sinistra del torace bruciargli ancora per la cauterizzazione quando tentava di muovere il braccio.
Il collega lo guardò amareggiato: - Oh, Goku! Mi dispiace così tanto! – lo supplicò di perdonarlo incurvando la schiena e abbassando la testa.
Il tenente gli diede una pacca leggera: - Ma non è colpa tua – lo riprese con accento mite e indulgente; quello non cambiò opinione: - Sì, invece! – insistette, ricordandosi ancora una volta la sua incapacità di bloccare la fuga dei fratelli Diciassette e Diciotto da quel molo.
- Io devo andare a rapporto dal Capitano – lo salutò Goku con una piccola stretta di mano, a confermargli che non lo disprezzava per le sue dichiarate colpevolezze, forse perché in fondo non si riteneva più tanto integerrimo neppure lui.
Il Capitano Muten lo accolse di spalle, stava sorseggiando del vino rosso, ma non aveva toccato la spartana cena consistente in del salmone marinato con qualche patata di contorno.
- Tenente Son … chiudete la porta – gli ingiunse subito, indicandogli di sedersi dall’altro capo del tavolo dove era stata preparata una porzione identica per lui; mancavano, però, gli altri ufficiali imbarcatisi in quella missione.
- Noi non diamo la caccia a fantasmi evanescenti, ma a veri diavoli – esordì l’anziano uomo impugnando il coltello.
Goku lo fermò: - Era il vero Freezer, vi dico! Chi altri oserebbe presentarsi come lui o usare il suo nome?
Il comandante annuì storcendo i canuti baffi: - Stiamo solcando i Mari del Sud, diretti verso le Terre del Sole Morente, ricettacolo di esseri immondi. Un viaggio che rischia d’essere di sola andata – proferì scanditamente e con un velo di malcelata inquietudine – Perciò prima di proseguire mi corre l’obbligo chiedervi di mettermi al corrente di tutto ciò che sapete in merito alle mosse di Capitan Vegeta e alle sette sfere del Drago – concluse battendo le nocche sul palmo dell’altra mano.
- Le sfere? E Voi cosa ne sapete? – fibrillò il tenente, scagliando via per la sorpresa la sua forchetta che andò a conficcarsi in un quadro raffigurante lo stesso Muten.
Il giovane smozzicò delle umili e impacciate scuse, andando a recuperare la posata, ma il Capitano si stava spazientendo: - Insomma figliolo: o sputi il rospo o ti riaccompagno a casa dalla tua adorabile mogliettina – asserì con esplicita insinuazione – Le donne incinte sono parecchio irritabili, certo non è il caso della tua Chichi. Lei è un vero angelo ... – ridacchiò a labbra strette.
Goku tirò fuori dalla tela i rebbi e si risedette a mangiare: - Oh sì, infatti. Chichi è molto dolce – millantò chinando gli occhi sul piatto, avvertendo quelli del vecchio lupo di mare impiantarsi su di lui con biasimo. Inghiottì velocemente e si raddrizzò sulla poltroncina incrociando le braccia, dimentico di non poter contrarre troppo le articolazioni: - Io non ci ho capito molto, se non che, per qualche ragione, a tutti e tre interessano quelle strane sfere arancioni – confessò indispettito, gettando il tovagliolo.
- Tutti e tre? – trasalì il maturo graduato, sporgendosi in avanti verso di lui.
Il giovane serrò i denti per la sua sbadataggine; lui non sapeva mentire a lungo e ormai era tardi per rimediare: - Bé, sì. C’è anche Bulma Brief all’inseguimento – puntualizzò in un singhiozzo.
Muten si scostò gli occhialetti sulla punta del naso, lo scrutò qualche secondo e iniziò a ridere scompostamente prima di parlare con vivo stupore: - Peste e corna! Quella gran sventola! Vuole mettersi contro Capitan Vegeta e Capitan Freezer? Ne ha di fegato, la ragazza! Bella e impavida … - divagò senza controllo, vagheggiandola ad occhi aperti, sebbene la conoscesse soltanto attraverso le dicerie della gente e i manifesti che riportavano la sua taglia.
Goku terminò di consumare il pesce e lo richiamò schiarendo la voce: - Scusi, signore … Ma cosa sono queste sfere, di fatto? – lo interpellò con estrema scrupolosità.
L’uomo di colpo si immalinconì. Si avviò alla intelaiatura di legno e vetro che apriva uno scorcio sul paesaggio marino, screziato dal rosa e dal violetto del cielo all’imbrunire in cui faceva capolino una falce di luna: - Quella delle sfere del Drago è un’antica leggenda marinara e i marinai sono gente superstiziosa, sempre alla ricerca di occasioni di gloria, ricchezza e potere. Perfino canaglie come Capitan Vegeta e Capitan Freezer sarebbero disposti a vendere un occhio o una gamba pur di sfiorare un tesoro capace di offrire la vita eterna – sostenne funereo.
Son era affascinato e spaventato: - La vita eterna? Urca! Ma allora queste sfere possono esaudire qualsiasi desiderio?
- Così dicono – confermò il Capitano – Anche se nessuno le ha mai viste: sarebbero sparse per i sette mari e i continenti. Delle fonti assicurano che il sovrano del regno dei Sayan ne custodisse una da generazioni, prima che gli venisse rubata.
Goku assentì stringendo un pugno; adesso ricostruiva pian piano le lacune di quella presupposta leggenda: - Da suo figlio. Il Capitano della Bloody Wench – si avvicinò con risolutezza a Muten – Dobbiamo impedire sia a lui che a Freezer di trovare le altre sfere.
- O riusciranno ad evocare il Drago e Dio solo sa cosa vorranno ottenere! – promulgò allarmato il comandante – Mi domando invece a cosa servano a quella graziosa brunetta … - ciancicò estraniandosi nuovamente dalla presente conversazione.
- Continuiamo a seguire la loro rotta, quindi? – intervenne il pluridecorato sottoposto.
Il veterano marinaio frenò il suo incauto eroismo: - Non possiamo affrontare da soli un fuoco incrociato. Andremo incontro ad uno sfracello.
Il tenente Son si accigliò: - Altri bastimenti della Marina Imperiale staranno flottando a poche miglia da queste acque, signore. Potremmo mandare loro un messaggio e …
- Li aspetteremo – stabilì perentorio il Capitano, riacquisendo un refolo di buona fede – Sì, informate il resto della ciurma – decretò riaccomodandosi a tavola per finire il suo pasto serale.
Il giovane Son si accordò a quell’ordine, e si congedò sbattendo i tacchi.
Era solito obbedire senza discutere, anche se poi magari, all’ultimo momento, agiva ispirato da ciò che gli suggerivano il suo istinto e il suo cuore, e meno spesso la ragione.
Il punto era che il suo spirito era da sempre diviso tra due mondi divergenti, senza mai sentirsi pienamente appartenente né all’uno né all’altro: l’indomabile oceano e la stabile terra.
Ad essi si ricollegavano le due donne che avevano contrassegnato la sua esistenza e la cui vita forse ora dipendeva dall’opportunità o dalla mancanza di un suo intervento.
La bellezza marina e insidiosa di Bulma, che gli aveva impastato di sale e mistero l’adolescenza, coinvolgendolo nelle sue arguzie e nelle sue follie, era tornata a scombussolargli la realtà quotidiana con altri sfuggenti enigmi, affidandogli un pezzo di quell’ambito tesoro. Se lo avesse fatto per difenderlo da nemici o per aiutarlo a combatterli non lo voleva sapere. Rappresentava un pericolo in ogni caso, soprattutto nel luogo in cui lo aveva conservato.
La sua mente riapprodò lì, dove era ancorata un’intangibile parte di se stesso: la sua casa e il grembo di sua moglie la quale, a dispetto di un esile corpo reso curvilineo dalla dolce attesa, non stava mai a riposo e presto avrebbe scoperto quelle grosse briglie ambrate riposte sotto la culla del loro nascituro …


Raggiunto l’ingresso della stiva, Yamcha sistemò delicatamente il fagotto su un cassone e ne svolse i lembi, lei poté respirare e lui riposarsi qualche minuto la schiena.
Bulma lo aveva incoraggiato a mostrarsi a suo agio mentre percorrevano gli ingombri spazi di sottocoperta, tra sentinelle poco vigili, pirati che masticavano il loro frugale rancio, si intrattenevano in giochi d’azzardo, racconti inventati e canzoni sconce, o erano trattenuti nell’infermeria spandendo urla di dolore e imprecazioni. Solo che lei si era rivelata un fagotto sin troppo loquace, con le sue continue domande e raccomandazioni e solo per una fortunata combinazione di circostanze era passato inosservato, spacciando l’amica avvolta in una coperta per un fardello di vele stracciate.
La porta dei locali destinati al trasporto del carico era priva di serratura, e cedette con un solo calcio. Il pirata staccò un lumicino dalla parete e lo portò dentro, poi andò a recuperare la ragazza che era intenta a fissarsi le unghie divenute di conchiglia: - Ora capisco perché non ti si vedeva mai in giro la sera … - indovinò caricandosela in spalla tra una risata e un singulto, sia perché non si capacitava di non aver sospettato qualcosa di strano, sia perché la sua ferita al fianco, non opportunamente medicata, si faceva risentire.
- Eh, già. Siamo conciati proprio male, io e te - attestò Bulma ironicamente.
L’amico la poggiò su una pila di bauli mentre cercava una botte abbastanza grande e ripiena in cui aiutarla ad entrare, dovendo pure fare attenzione a controllare che nessuno nel frattempo arrivasse.
Il ragazzo le dedicò un breve sguardo adoperandosi con una stanga per rimuovere il coperchio di un grosso barile: - Io non ti capisco. Perché hai insistito ad incontrarlo? – le domandò, evidenziando la sua incontrovertibile contrarietà per quella decisione.
L’azzurra scrollò con una celere frizione i pantaloni che scivolavano con attrito sulle sue gambe ricoperte di squame smeraldine: - Non era nei miei piani essere rapita. D’altronde due navi sarebbero state molto più adeguate a fronteggiare eventuali altri pretendenti alle sfere, nonché la marina imperiale – approvò con un mugolio, sganciando con minuziosa problematicità le sottili calze di cotone dalle giarrettiere – Ma quello lì si fida solo di se stesso. Ha una testa a dir poco granitica! – strillò per il ripetersi di lancinanti fitte, e per l’antipatia che nutriva nei riguardi del caratteraccio di quell’uomo. – Può stare fresco se crede che gli permetterò di prendere i miei desideri! Io li voglio esprimere tutti e tre! – affermò sbottonandosi con frenesia anche la camicetta e restando in sottovita e culottes.
Yamcha intanto scoperchiò il recipiente panciuto e le si accostò, non sapendo su quale porzione del suo corpo volgere gli occhi per non provare imbarazzo e non suscitarne a lei:
- Vuoi che ti aiuti ad entrare? – le propose eccitato e titubante.
Bulma rifiutò, ostentando una testardaggine e una dignità che contrastavano con le sue gracili, nude e anfibie sembianze: - No! Allontanati! Faccio da sola – ribadì saltellando con le gambe unite verso la botte - E non mi guardare! – lo minacciò. Inspirandone l’inconfondibile effluvio liquoroso riconobbe il contenuto di quella che avrebbe dovuto accomodare come vasca e mugugnò nauseata.
Yamcha l’aveva seguita temendo inciampasse: - Ma è sempre così traumatico?
La sirena si tenne con le mani sul bordo del contenitore ligneo che lui si affrettò a sorreggere dall’altra parte per impedire che con quelle ondulazioni si rovesciasse.
- Di solito mi trovo già nella mia vasca a quest’ora – spiegò sciogliendo rapidamente il fiocco della biancheria intima per risparmiarla da strappi, e appena in tempo riuscì ad immergere la pinna caudale comparsa al posto degli arti inferiori dentro il rum, sbuffando per la fatica superata e per sorreggersi con il busto fuori dal liquido.
Allora il collega spezzò a metà il coperchio che aveva tolto dalla stessa botte e ve lo ripose sull’apertura per dotarla di un appoggio su cui potesse reggersi con le braccia.
- È per rompere questo crudele sortilegio che cerchi le sfere del Drago? – le mormorò, venendo travolto dall’impellente tentazione di baciarla, vedendola sorridere con quelle iridi divenute dei laghi marini calmi e luccicanti nella luce fosca.
Bulma gli si negò, coprendogli la bocca con una mano, premurandosi di non graffiarlo con le conchiglie affilate che le ornavano le unghie. “Mi servi ancora vivo” pensò drammaticamente, tacendogli tuttavia la mortalità della sua natura: - Direi che si tratta piuttosto di correggere un desiderio – gorgogliò piegando la testa sulle braccia e abbandonandosi alla stanchezza e all’ubriachezza di sensazioni arrecate dagli eventi della travagliata giornata ormai conclusa.


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Capitolo 14
*** XIV: Water and fire ***


Salve! Buon inizio di settimana, gente!
Stavolta, come promesso, ce l'ho fatta a concludere più in fretta un nuovo capitolo, anche se devo avvisarvi che si tratta ancora una volta di un capitolo un po' transitorio, senza nessun evento particolare...Ma è mia abitudine procedere gradualmente, specie se di mezzo c'è una coppia difficilissima da portare al reciproco innamoramento!XD!
Considerate che l'ho composto in gran parte la settimana scorsa essendomi tappata in casa per lo scirocco ^^ e che sebbene ci sia di nuovo lui, il tono generale è quello della commedia.
Ringrazio come sempre tutti i miei fedeli lettori, e in particolare coloro che hanno inserito la storia tra le loro seguite/preferite/ricordate e chi spende un po' del suo tempo a lasciarmi un parere sui capitoli.

Per il prossimo aggiornamento prevedo che ci metterò di più...la storia si complica!^.^

Al futuro approdo!)


ps: il disegno a fondo pagina è ancora una volta opera di mia sorella VAleMPIRE che ringrazio :)
piccolo spam: se vi piace Twilight e robert pattinson andate a dare un'occhiata alle sue ff ;)

XIV: WATER AND FIRE

A risvegliarlo da quel breve e scostante sonno non fu unicamente il solito appetito inquieto e distruttore. C’era anche un baccano infernale che gli massacrava le orecchie.
In realtà quel rumore non era più udibile di un ininterrotto picchiettare di gocce d’acqua su un vetro, ma per un udito oltremodo sensibile e sviluppato come il suo equivaleva ad un martellare di vanghe su un terreno roccioso.
Vegeta aveva ancora i sensi impastati dal turbolento sfavillio delle immagini oniriche e non ne comprese la provenienza, tuttavia ne fu infastidito dalla persistenza. Si rigirò sulla schiena e con un colpo di reni si mise a sedere in mezzo al letto. Sbrogliò bruscamente le lenzuola, che gli si erano attorcigliate alle gambe durante la notte impregnata di incubi appena trascorsa. Spostò la leggera tenda, si affibbiò i pantaloni e camminò a piedi nudi verso la grande finestra stiracchiando muscoli e articolazioni lievemente intorpidite.
Il mare aveva un colore metallico e stralci di nuvole rosa tappezzavano il cielo schiarito dall’aurora.
Quel ticchettio cadenzato non aveva cessato di riprodursi e dopo qualche secondo ne rintracciò la sorgente: si trattava della stravagante bussola di quell’eccentrica donna.
Era rimasta su uno scrittoio assieme alle carte che lei stessa aveva scomposto per tentare senza successo di incastrarvela. Afferrò la scatoletta portandola alla luce, aprì lo sportellino e ne esaminò le asticelle, rivalutando le parole dell’azzurra circa le intrinseche capacità di quell’oggetto. La posizione degli aghi non era mutata, uno solo si muoveva più velocemente emettendo quel tenue suono di avvertimento. Senza finire di rivestirsi, agganciò la scatolina argentata nella cinta e schizzò sul ponte che trovò deserto, ad eccezione del timoniere di turno il quale lo riverì pavidamente. Si arrampicò sulla coffa dell’albero maestro aguzzando la vista sulla linea sbiadita dell’orizzonte, nella stessa direzione suggerita dalla prodigiosa bussola.
Serrò le palpebre e si concentrò ad inspirare la tiepida bava di vento.
Da quando aveva contratto quella maledizione aveva acquisito anche delle doti parecchio proficue. Come i comuni pesci distingueva i profumi in chiari e scuri, e come il più grande predatore fra essi, l'altro sé, la terrificante creatura dal massiccio corpo fusiforme e l’enorme mascella piena di zanne, distingueva nettamente la sussistenza della carne e del sangue a grande distanza, sia fuori che sul fondo dell'oceano.
Di quello che apparteneva a lui conservava il ricordo del tanfo fosco, marcio, lacerato e bruciato, che gli aveva riempito le narici mentre lo vedeva crepare. Pur confondendolo con un diafano e attraente aroma, continuando a respirare ad occhi chiusi ebbe la sensazione di avvertirlo anche ora. Era stata un’impressione momentanea ed imprecisa, ma giudicò ugualmente di non trascurarla.
Si affidò a una cima ripiombando sulla tolda e constatando che nessuno dei suoi due ufficiali era comparso, nonostante si stesse facendo giorno.
Tsk, se la prendono comoda”, borbottò furente e sdegnato, aggirandosi lungo le murate ed esaminando lo stato della sua nave che aveva subito alcuni danni nel corso dell’arrembaggio alla Proudy Star.
Il brigantino ceruleo della Brief era stato tenuto a rimorchio dopo la cattura mediante un resistente cavo composto da gomene e catene di ferro. Ciò rallentava notevolmente l’andatura della Bloody Wench, che pure aveva una superficie velica invidiabile con i suoi quattro alberi e le ampie vele quadre. Dovevano sbarazzarsi di quel bottino dopo averlo opportunamente depredato. Era quasi sicuro che l’ingegnosa sirenetta potesse nascondervi molti altri arnesi utili a bordo, al pari di quello strumento per individuare le sfere.
Risalì il castello di poppa e, proprio mentre si apprestava a rientrare in sala nautica, Nappa e Radish fecero capolino volgendogli un cenno di spontaneo ossequio: - Oziosi ratti schifosi che non siete altro! Alla buon’ora! – li apostrofò intransigente, suscitando spine sulla loro pelle con il tono accusatorio ed infiammato della sua voce - Quei viscidi molluschi che ci portiamo dietro non staranno per caso poltrendo come voi due fino a due minuti fa? Spiegate tutte le vele! Voglio arrivare alla Baia del Teschio Rotto prima di pomeriggio – redarguì con prevaricazione i sottoposti – Ed esigo una vedetta su ogni coffa, giorno e notte. Se è vero che qualche figlio di cane ci sta alle calcagna lo accoglieremo come si merita – asserì con una secca risata, pregustando lo scontro futuro.
Quindi sbatté furiosamente la porta della sua cabina eclissandosi dai loro sguardi falsamente rispettosi, sentendoli sgolarsi con zelo per richiamare in coperta il resto della ciurma.


Il buio pesto di quell’ambiente di deposito era appena intagliato da un sottile filo di luminescenza prodotto dal mozzicone della candela ancora accesa dentro la lanterna. Non vi erano oblò là sotto, perciò non era distinguibile quale ora fosse. A Bulma bastò controllare l’aspetto delle sue dita e muovere la parte inferiore del corpo per comprendere che il sole era ormai sorto e risplendeva sul mare. Staccò il pezzo di coperchio e si impuntò con le braccia al bordo della botte per uscirne.
Il tonfo e gli schizzi provocati dalla sua ricaduta nella bevanda ambrata destarono Yamcha che si era rannicchiato sul pavimento: - Bulmina! Come stai, tesoro? – le domandò drizzandosi, rimanendo tutto sbilenco a causa dei crampi dovuti al duro giaciglio.
- Bene – gli assicurò la piratessa, ritentando di sollevarsi e scivolando di nuovo nel rum fin quasi ad inzupparsi i capelli – Sento come un cerchio alla testa, ma per il resto sto bene – ribadì massaggiandosi la fronte.
L’amico la scrutò perplesso, avendo colto una nota alterata nella sua voce, ma si voltò come lei gli aveva ordinato a gesti, dandole le spalle e trattenendo le mani sul barile per agevolarla a fuoriuscirne. Ai versi soffocati della ragazza si aggiunsero involontari scoppi di risa: - A dire il vero, mi sento reduce da una colossale sbornia! – sghignazzò perdendo il controllo dei suoi stessi movimenti e non riuscendo ad evitare che le braccia le tremassero anziché far presa.
- Non ti ho mai visto bere – la contraddisse il suo vice con un risolino preoccupato, spiandola con la coda dell’occhio prima che una sua pronta pedata lo spingesse in avanti tanto da ruzzolare con la faccia sulle assi.
- Oh, Yamcha! Tu e le tue idee del cavolo! – biascicò la turchina, sedendosi sull’orlo e poi adagiando cautamente le gambe malferme per terra, cercando di recuperare alla cieca biancheria, camicia e pantaloni sparsi intorno.
- Non dovresti lamentarti tanto, cara, visto che grazie alla mia “idea del cavolo” sei sopravvissuta – recriminò con stizza il pirata, stringendosi il naso dolorante, sporgendosi oltre il cumulo di casse e botti tra cui lei si era rintanata per indossare i vestiti.
Bulma sospirò chiudendo l’ultimo bottone sopra l’ombelico: - Non ero io a parlare ieri sera … La tramutazione, sai … Fa emergere il mio lato peggiore – confessò con disappunto, continuando però a trattenersi a stento dal ridere senza motivo. Si adirò con quella mai provata sensazione di intontimento e si convinse che, cambiando subito aria e ottenendo la possibilità di sciacquarsi la bocca, avrebbe potuto sicuramente riassumere il controllo delle sue reazioni.
Yamcha non si era mosso, attendendo disposizioni. La osservava con atteggiamento pensieroso ed esitante, anche se appariva in parte meno offeso e più comprensivo.
La giovane gli andò incontro invitandolo a spostarsi verso l’uscita: - E un’altra cosa ... non voglio baciarti perché non voglio ucciderti – mormorò, ciondolando mestamente dietro di lui.
Il ragazzo si girò illuminandola in pieno volto: - No. Tu mi uccidi non baciandomi – la accusò aspro e al contempo melodrammatico, scattando per distanziarla.
Lei lo prese per un braccio e, dopo averlo fissato dispiaciuta, inghiottì l’amarezza decidendo di rivelargli un’altra peculiarità importante di sé: - Le cose stanno così: la mia saliva è velenosa, come il mio sangue e … gli altri miei umori – farfugliò accennando una pudica occhiata alle sue parti intime - È comprovato – specificò arrossendo violentemente senza rialzare il capo.
- Quindi sei una sirena che non può amare – riscontrò sconsolatamente Yamcha. “Ma mi ami?”, s’interrogò mutamente guardandola demoralizzato.
Lei si strinse nelle spalle stropicciando le labbra in quello che ebbe la lontanissima parvenza di un sorriso vacuo.
Gli amici sollevarono gli occhi verso il tetto: sembrava esserci gran fermento sopra coperta e di comune accordo si affrettarono a risalire prima che qualcuno si avvedesse della loro assenza.
- È un guaio. Come farò le prossime notti? Non sarà un viaggio breve … ci mancano ancora tre sfere … - singhiozzò Bulma, dopo che avevano superato la rampa di scale che immetteva al boccaporto del secondo ponte di coperta. Strisciava i piedi tenendosi alla giubba del suo luogotenente che già si orientava piuttosto bene in quel dedalo di corridoi e passaggi.
- Ho sentito ieri che dovrebbero recuperare materiale dalla Proudy – la informò quello senza troppo ottimismo.
Contrariamente la compagna si rianimò, gli saltò al collo e per poco non cacciò un urlo:
- Grandioso! Parlerò col Capitano e lo persuaderò a lasciarmi riprendere la mia vasca! – saltellò euforica trascinando lo stesso Yamcha in un angolo appartato continuando ad abbracciarlo, sprizzando spumeggiante buonumore.
Il ragazzo non provò neppure a smorzare il suo sconsigliabile entusiasmo. Se era difficile contrastare la sua esuberanza in condizioni normali, sotto l’effetto dell’alcol era diventata una scheggia impazzita. Gli sgusciò dalle braccia elencando tutta una serie di invenzioni e oggetti personali che contava di riottenere. Non la compativa più. Poteva sperare solo che non si ferisse, anche se, a quanto gli aveva rivelato finora, possedeva forse armi ben più letali di quelle in dotazione a Capitan Vegeta.
- Mi riaccompagneresti in cabina? – lo estirpò dalle sue riflessioni, sciogliendosi la treccia ormai disfatta e scompigliando gli sgargianti capelli con le dita.


Vi si era dovuto scervellare per una buona mezzora prima di intuire la giusta combinazione di ciascun pezzo e ripristinarne la fattura originale. Finalmente le Carte del Supremo erano ricomposte, sebbene quella bussola dalla custodia ettagonale non vi avesse trovato collocazione.
In effetti le chiacchiere saccenti di quella femmina bugiarda potevano benissimo non avere alcun fondamento, meditò indispettito Vegeta. E lui non ci teneva affatto a ritrovarsela in mezzo per udirla blaterare con quell’accento irritante considerazioni, o peggio consigli, su come avrebbe dovuto agire. Reputava di possedere pienamente la perspicacia necessaria per riuscire a risolvere l’enigma da solo. Doveva soltanto badare a che la forza e l’irruenza delle sue mani non frantumassero tutto quanto. Oppure poteva limitarsi a sfruttare bussola e carte separatamente; ma se insieme avessero potuto avvantaggiarlo, sarebbe stato davvero stupido ignorare tale agevolazione, soprattutto se c’era qualche altro sulle tracce delle sfere, che era riuscito ad anticipare lui e la Brief già in un’occasione.
Si alzò di scatto dalla poltrona rovesciandola e si diresse verso il piccolo catino posto all’angolo del letto, gettandosi dell’acqua sul viso. Era ancora a petto nudo, perciò agguantò il farsetto e lo abbottonò con calma. Era fermamente restio a pretendere la sua collaborazione, d’altra parte la esigeva per giustificare il mantenimento della sua incolumità.
Un concerto di fischi e schiamazzi giunse in rotta di collisione con il silenzio punteggiato di scricchiolii delle giunture lignee che regnava nel suo alloggio. E, prima che potesse uscire e affacciarsi alla balconata, la porta si spalancò sotto la spinta di un’impetuosa donna dalla voluminosa chioma azzurra: - Io vi ho proposto un’alleanza che voi avete liberamente accettato, ragion per cui non potete esimervi dal concedermi qualche agio in più, visto e considerato che il vostro orrendo barcone ne è sguarnito!
Due bronzei figuri sopraggiunsero, scusandosi per non averla potuta fermare.
- Come diamine è uscita? – sbraitò Vegeta all’indirizzo di questi ultimi.
Bulma gli si parò davanti con un sorriso ammaliante iniziando ad allentare i lacci del corsetto fin sotto il seno e inducendolo ad arretrare indignato e sbalordito: - Ogni buon pirata deve avere con sé un’arma nascosta, e beh i vostri uomini non devono averci pensato, perciò sono riuscita a liberarmi con questo – rivelò candidamente, mostrandogli uno stiletto dal manico riccamente intarsiato che occultò nuovamente all’interno del bustino.
Il filibustiere sbuffò dal naso e incrociò le braccia, distogliendo lo sguardo fiammeggiante per l’affronto dall’espressione melensa e smagliante della rivale, scagliandolo con altrettanto livore sui suoi ufficiali.
- Voi ci avete proibito di toccarla – dichiarò Nappa a difesa di entrambi.
La Brief lo scrutò inclinando la testa quasi lusingata e addolcita, fantasticando chissà quale romantica motivazione all’origine di quel divieto, in realtà subordinato a ragioni più oscure e opportunistiche che era il caso lui rimarcasse: - Vi trafiggerei il cuore in un lampo se solo volessi. – le intimò, i muscoli del collo protesi per l’esasperazione - Potrei ridurvi a brandelli. Ma non ho tempo da sprecare in simili futili screzi. Ed ho appena fatto ripulire il ponte dalla merda dei morti ammazzati – la strigliò perfido e glaciale, spostandosi al tavolo con le mappe.
La piratessa gli volse una smorfia, disgustata da tanta ostentata infamità, pedinandolo con portamento forzatamente sostenuto: - Lo sapete, Capitano? Un giorno di questi voglio proprio vedere chi di noi due è più velenoso – cinguettò impertinente, piantando le mani ai fianchi.
Vegeta si bloccò curioso e anche gli altri due bricconi convergerono l’attenzione su di lei, scettici.
- Forse vuoi dire valoroso, bambola – la derise Radish curvandosi alla sua altezza, scambiando una gomitata con il compare che ridacchiò a sua volta.
Bulma ammutolì, si tirò indietro e annuì con un sorrisetto tirato, sospettando di essersi lasciata scappare un pericoloso lapsus.
- Lasciate perdere. Ho già potuto constatare che siete totalmente impedita con la spada – chiosò il corsaro dalla bandana cremisi, non staccandole le acuminate pupille di dosso, cominciando a subodorare qualcosa di sentitamente diverso in lei rispetto al giorno precedente.
L’audacia che la caratterizzava restava però inalterata e affascinante. Infatti a quella prevedibile provocazione la fanciulla rispose con uno scaltro e ardito sorriso, approssimandosi a lui con un leggero ma deciso ancheggiare fino ad allungare le braccia e ghermirgli le nerborute spalle: - Mio caro Capitano, ferisce anche la lingua … - sussurrò a voce bassa e roca, alzandosi sulle punte dei piedi.
Subito dopo aver proferito quell’incauta battuta si morse il labbro inferiore. L’inchiostro liquido dei suoi occhi assassini, che si erano per un attimo paurosamente dilatati, le provocò delle goccioline di sudore freddo dietro il collo: solo in quel momento si stava accorgendo di essergli arrivata talmente vicina da intravedere in quel nero mare turbinoso il suo stesso riflesso sconcertato. Abbassò le iridi blu ritrovando le proprie mani illogicamente avvinte ai suoi vibranti bicipiti di ferro, rimasti conserti e stretti al petto, e istantaneamente le ficcò nei capelli, sistemandoli con fare nervoso dietro le orecchie. Indietreggiando lesta, incrociò le braccia dietro la schiena, ancora sbigottita da se stessa e impaurita dal cipiglio bieco che tendeva i suoi zigomi e la sua mascella.
- Sfrontata la ragazzina! – commentò Nappa divertito dalla situazione.
- Secondo me le piacete … – azzardò Radish e ambedue si guardarono soffocando a stento altre risate irriguardose.
Tra i diretti interessati intercorreva un fitto e indecifrabile intreccio di sguardi silenziosi carichi di tensione.
- Fottetevi – ringhiò ad un certo punto Vegeta, sbirciando di traverso i due ufficiali. Essi indugiarono qualche altro secondo prima di ubbidire all’ordine di dileguarsi che il comandante aveva ingiunto loro, accompagnandoli con un’eloquente occhiataccia fino a che varcarono la soglia. Quando restarono da soli, il corsaro tornò ad osservare la sua ospite che mormorava tra sé a tono bassissimo, strizzando le palpebre e tenendosi la fronte, con un diffuso rossore sulle guance. Si domandò se fosse matta di suo o lo stesse diventando al suo cospetto. Conoscendolo avrebbe dovuto temerlo e schivarlo, non gettarglisi incontro. Forse, com’era proprio della sua malefica natura, ardiva sedurlo. Era una predatrice anche lei, ma stavolta aveva scelto la vittima sbagliata.
In quel breve contatto l’aveva sentita calda come fuoco e le creature a sangue caldo erano le sue preferite. E quella fluente capigliatura, ora così disinvoltamente esibita, libera, scompigliata, era proprio un richiamo marino.
Non si capacitava del perché continuasse a percepire nella stanza odore di rum se quei due smidollati si erano allontanati. Si riavvicinò all’azzurra attendendo che gli svelasse perché aveva dovuto irrompere con tanta urgenza nella sua cabina, e mentre accorciava lo spazio d’aria tra lei e sé, rilevò un dettaglio di cui non si era avveduto appena era entrata.
Sembrava trasudasse acqua.
Bulma, scrollando la lunga chioma smeraldina, accostò la schiena al tavolo, cercando con un sospirone di raffreddare la mente che le ribolliva come alimentata da tizzoni, maledicendo il rum. Non aveva neanche potuto asciugarsi per bene e il pungente aroma liquoroso la stordiva; per di più, esaminandosi e riannodando il corsetto rimasto sconvenientemente aperto, notò che gli abiti le erano aderiti addosso nei punti in cui già le stavano più attillati. E che quel brigante le stava fissando con un sorrisetto mascalzone proprio quegli aloni bagnati che erano maggiormente evidenti nella zona dell’inguine, surriscaldandola come arso vento di scirocco. Con finta disinvoltura accavallò la gamba destra sull’altra per celare la chiazza scura.
- Tornate a lambiccarvi con quelle carte, adesso – le ingiunse Vegeta fingendo indifferenza e sprezzo, nonostante la curiosità quasi morbosa con cui aveva percorso ripetutamente il suo formoso corpo.
La ragazza si mosse velocemente dietro la scrivania, cercando di sottrarre l’imbarazzante pantalone impregnato ad una sua ulteriore derisione: - Con vero piacere.
- Lo vedo … - infierì l’uomo con una risata gutturale, avviandosi alla porta.
Dall’esterno si rincorse l’annuncio di terra in vista e la piratessa abbandonò immediatamente la disamina di bussola e tavoletta, fiondandosi verso l’uscita.
Il Capitano era ancora lì davanti, col risultato che restarono intrappolati tra gli stipiti:
- Prima che bruciate tutto quanto, come ho udito, rivoglio la mia cassetta degli attrezzi, il mio guardaroba e soprattutto la mia vasca! – chiarì ostinata, puntandogli il pugnale contro la gola.
Il pirata scostò la lama con due dita, spezzandola come fosse un grissino ed elargendole un sogghigno intriso di intolleranza e minaccia che la portò a deglutire: - Me ne sto sbattendo altamente dei vostri bisogni igienici. Personalmente non mi scandalizzano le donne sporche. Trovo il loro odore assai simile a quello del mare – asserì con compiaciuta insolenza, uno scintillio sinistro tra i denti bianchissimi. Tuttavia, riassaporando il suo profumo di salsedine e fiori esotici, ne colse maggiormente il fragrante mandorlato del fluido vitale e della tenera carne.
La fame gli morse con ferocia lo stomaco. Erano di nuovo troppo vicini.
- Screanzato! – lo sgridò Bulma, preparandosi a librargli un ceffone, lui invece la anticipò e, con una molle pressione del palmo sul suo ventre, la ricacciò dentro, chiudendole la porta in faccia.



V-B

* In questo capitolo ho inserito alcune citazioni:
- La battuta di Bulma "Ferisce anche la lingua" è un po' una ripresa di quella pronunciata da Jack Sparrow ne "La maledizione della prima luna".
- Il paragone tra l'odore del mare e quello di una donna (lì in realtà dicevano una puttana^^) l'ho sentito nel film "1492- La scoperta del Paradiso".

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Capitolo 15
*** XV: Pieces to join ***


Salve mia amatissima ciurma di pirateschi lettori! :D
Anche questa settimana ho lavorato di fantasia per voi scrivendo un nuovo capitolo interamente dedicato alla magnifica coppia di avventurieri maledetti! Oltre a mostarvi come prosegue la loro difficile alleanza ho ripreso a trattare dell'enigma delle Carte del Supremo.
Vi avverto che questo capitolo sarà l'ultimo che posterò prima della prevista pausa forzata dovuta alla ripresa delle lezioni all'università che mi terranno impegnata quasi tutti i giorni :(
Ma non temete! La vostra Capitana non vi abbandonerà! Cercherò di sfruttare le ore di buco per scrivere poco a poco i prossimi capitoli che oltretutto saranno più complessi perché pieni di avvenimenti...

Ringrazio come sempre tutti coloro che stanno sostenendo questa mia storia (siete arrivati in 30 a metterla tra le seguite! *.*), sia i lettori silenti sia coloro che mi lasciano ogni volta un parere.

Ribadendo che sono aperta a critiche, consigli e richieste di chiarimento, vi auguro buona lettura e spero di divertirvi.
Al prossimo approdo!)


XV: PIECES TO JOIN

La Bloody Wench si assestò su un basso fondale friabile, gettando gli ormeggi in un’insenatura arenosa protetta da alte scogliere formatesi nei secoli con l’accumulo di lava vulcanica e detriti marini.
Erano arrivati alla Baia del Teschio Rotto, parte di un’isola selvaggia e disabitata, fuori dalle principali rotte commerciali e dall’interesse di colonizzatori, pertanto prescelta dal Capitano come luogo ideale in cui dedicarsi ai periodici lavori di manutenzione della nave e, in qualche occasione, all’ozio.
La vetta frastagliata di un vulcano con più crateri, momentaneamente silenti ma ancora attivi, troneggiava sullo sfondo, brulla e brumosa rispetto al carattere rigogliosamente verdeggiante del suolo. La terra, infatti, appariva ricoperta da un’intricata vegetazione ma il suo carattere argilloso e instabile la rendeva inadatta a colture e insediamenti.
Mentre alcuni marinai si stavano occupando di predisporre le scialuppe per lo sbarco, caricandole di casse con armi, arnesi e vivande, ce n’erano altri che, con l’aiuto di cime e rampini, stavano portandosi a bordo della Proudy Star.
- Al lavoro, brutti rospi! Ispezionate quell’insulso brigantino, prendete tutto quello che può esserci utile e dopo incendiatelo! – sferzò i sottoposti il quartiermastro Nappa, aggrappandosi ad una rete da carico riempita con gli attrezzi necessari alla spoliazione che venne issata attraverso una carrucola collegata tra i due velieri.
Frattanto Vegeta, si accinse ad imbarcarsi sulla prima lancia pronta ad essere calata in mare.
- Voi dove andate? – lo richiamò Radish con evidente malanimo. Il comandante si mostrò importunato dai suoi esigenti scrupoli. Si munì di due pistole ben cariche che infilò nella fusciacca, di un moschetto che imbracciò in spalla attraverso una tracolla, e di un arpione che gettò nella barca.
- Vado a caccia. Quella petulante bisbetica mi rende estremamente irritabile e quando sono irritabile divengo estremamente vorace. O vuoi offrirti come cena, per caso? – lo mise a tacere con un ghigno malevolo.
Il secondo si limitò a chinare il capo in segno di scuse, congedandosi con un forzato ed esitante ossequio, poiché quell’intimidazione, conoscendo la sua tempra immorale e selvatica, non gli era parsa tanto lontana da una possibile attuazione.
- Voi due: seguitemi - il Capitano quindi arringò ad un paio di giovani cimarrones che stavano approssimandosi; non erano particolarmente robusti ma durante l’arrembaggio aveva notato che possedevano una discreta mira. Lo avrebbero supportato nella cattura di iguane, cinghiali e volatili del luogo da arrostire sugli spiedi. Gli altri bucanieri già sbarcati, intanto, stavano accendendo i fuochi e scaricando i barili.
Vegeta stava per salire a bordo della barcaccia, quando venne distratto dall’avvistamento di un’inconfondibile capigliatura turchese che si aggirava sulla tolda: - Che fa quella? Fermatela! – latrò esacerbato, raggiungendola a grandi falcate.
Tre dei suoi, nel contempo, l’avevano afferrata per le braccia, non evitando di prendersi qualche pugno e qualche calcio di rimando: - Conosco ogni singolo pezzo di quella nave come fosse parte di me stessa. L’ho costruita e perfezionata giorno dopo giorno. Io sono l’unica a poter sovrintendere ad una tale mansione! Non di certo quella rozza e ignorante zucca pelata! – disapprovò Bulma, riferendosi a Nappa che si risentì a sua volta, sguainandole contro rabbiosamente la sciabola, senza sortirle alcuna resa, poiché lei era intenta esclusivamente a carpire il beneplacito del suo superiore. - So che lo capite anche voi, Capitan Vegeta, giacché siete un uomo di acume elevato, non impuntatevi sulla vostra testardaggine! Lo dico per entrambi! – insistette, osando una velata adulazione rivestita di sincera supplica.
Il filibustiere la squadrò a lungo, indisposto dalla sua furba ruffianeria e meditabondo sulla ponderatezza delle sue parole, convenendo che non avesse del tutto torto circa le capacità intellettive di quella testa di rapa. Dal suo piglio vivace e sfrontato comprese che non si sarebbe piegata se in quel frangente non l’avesse accontentata, e a lui già prudevano le mani tanto voleva poterle arrecare del vero dolore per costringerla ad ubbidire, dannandosi più di quanto non facesse sorbendosi le sue energiche proteste.
Cercò di evitare che quel desiderio micidiale prendesse il sopravvento.
- Portatela con voi – si risolse scabrosamente – Legata – specificò con spregio, spegnendo l’espressione trionfante della ragazza e accendendo l’approvazione degli uomini – Così che non le venga in mente di fare scherzi inopportuni – opinò avvedutamente, assistendo all’esecuzione del suo volere. “Giacché siete l’inganno fatto donna”, assodò non perdendola di vista finché non si separarono.
Si fece condurre dai rematori alla spiaggia dorata e saltò giù prima che toccassero la battigia, bagnandosi fino agli stivali. Volse la testa verso i due vascelli ancorati ad un centinaio di metri, poi, stringendo la mascella, cominciò ad addentrarsi nella giungla ombrosa.

Due ore più tardi un composito gruppetto di marinai osservava da quella stessa costa una carcassa di legno oramai scura e deforme, sprigionante fiamme e fumo, allontanarsi lentamente verso il mare aperto, sospinta dalla fievole corrente. Il calore del fuoco che la divorava giungeva a zaffate fino a lì e le asciugava le piccole lacrime che si stavano condensando tra le ciglia prima che iniziassero a rigarle le guance pallide per la tristezza.
- Addio, amica mia … - bisbigliò al vento Bulma, mentre guardava malinconica e impotente la sua dimora galleggiante che si sbriciolava e si inceneriva, disperdendosi tra i flutti oceanici.
Alcuni di quei disonesti manigoldi si erano avvicinati per dispensare qualche offensiva considerazione sul suo distrutto veliero e sulla sua perduta carica di Capitano. Aveva rinunciato a rispondere loro per le rime, stanca di sopportare quella gratuita e deprecabile meschinità e concentrata sui ricordi e gli obiettivi futuri.
Vegeta, intanto, tornò alla testa di una decina di pirati che portavano il lauto bottino della cacciagione, predisponendolo all’arrostimento. Riconoscendo la siluette della prigioniera, ritta sulla riva, gettò sulla sabbia la grossa iguana trafitta che stava spolpando e cercò con lo sguardo Nappa, al quale aveva affidato la sua sorveglianza. Mentre l’omone calvo lo raggiungeva con coriacea indolenza, pronto ad accogliere la sua sfuriata, notò che la giovane donna si era persino cambiata gli abiti, ma si augurò che si fossero preoccupati almeno di ammanettarla. Invece le braccia dell’azzurra ricaddero liberamente lungo i fianchi, confermandogli che non aveva alcun legaccio attorno ai polsi.
Il moro filibustiere continuò a sondare meticolosamente la mezza sirena che gli dava la schiena, pur senza approssimarsi a lei. Si atteggiava a Capitano mentre la sua nave andava irrimediabilmente a fuoco.
Le sue gambe erano avvolte in comodi pantaloni color creta che ne castigavano un po’ le forme slanciate e si restringevano all’altezza delle ginocchia sfiorate dalla lunga giacca con due punte, scarlatta come il cappello a falde larghe guarnito di tre vezzose piume nere sotto il quale ondeggiavano i chiari capelli color del cielo. Una bandoliera pendeva assieme ad una voluminosa borsa a tracolla su ciascun fianco. Non era tanto quella somma di accessori che lo intrigava. Sostava scalza sulla battigia, corte onde si infrangevano sulle sue caviglie non producendo alcun cambiamento al suo aspetto antropomorfo. L’innegabile circostanza esulava dalle sue supposizioni, contraddiceva le sue congetture sulla cangiante natura di quell’impertinente femmina e lo impensieriva.
I passi di Nappa, affondando pesanti e affrettati sul terreno granelloso, arrivarono fino a lui, preceduti da trafelate e impicciate giustificazioni: - Si è messa a strillare come un’ossessa perché la slegassi. C’è mancato un pelo che la ammazzassi sul serio! Per gli dei del mare! Farebbe tremare le caverne degli abissi con quella voce squillante che si ritrova! – abbarbagliò con la schiuma alla bocca per la collera e la stizza.
Vegeta, ancora assorto, ascoltava distrattamente il suo sfogo, sopportandolo solo perché, tra le irreparabili idiozie che avrebbe potuto commettere, alla fine si era limitato alla meno grave. Alzò brevemente gli occhi su di lui lanciandogli uno sguardo che era un manifesto insulto alla sua deludente incompetenza.
Bulma, scacciando il residuo cordoglio per l’incendio della sua Proudy Star, voltò le spalle alle acque cristalline, passeggiò qualche metro e si chinò in avanti a raccogliere gli stivaletti che aveva poggiato sulla sabbia asciutta.
- Saprei dargliela io una buona ragione per strillare a quella sgualdrina … - soggiunse Nappa con una risata sguaiata che arrivò alle orecchie della ragazza.
Raddrizzandosi quella vide i due delinquenti l’uno accanto all’altro che la fissavano in tralice, ingrugniti e a braccia conserte, affettando un’ostilità che sconfinava in velata lascivia. Finse di non notare quella soggiacente maliziosa attenzione e rimandò loro un’occhiata altrettanto traversa, camminandogli incontro e passandogli in mezzo con andamento sinuosamente altezzoso, fermandosi di colpo dietro di loro: - Quando salpiamo? – domandò con sollecitudine e insofferenza al Capitano.
Lui si girò con lentezza: - Presto – la informò a denti stretti, riafferrando da terra il rettile ucciso e riprendendo a masticarne gli arti, per riaffermare il suo totale disinteresse nei suoi confronti.
Alla turchina, tuttavia, non era sfuggita la sua insistente ispezione e si prese ugualmente una piccola rivincita: - Non mi avevate vista al mio meglio quando mi avete assalito. Ecco, questa è la vera Bulma Brief! – esclamò con suscettibilità, indicandosi teatralmente con un ampio gesto del braccio, passando le dita sulla tesa del cappello e poi allontanandosi.
- Che insopportabile vanesia! – bofonchiò Vegeta, braccandola visivamente nella sua bizzosa andatura tra le combriccole di pirati disseminati intorno ai falò. Ogni fibra del suo corpo la voleva livida e morta.
- Perché non la abbandoniamo qui? – gli propose con un sogghigno Nappa, lasciandosi servire una costata di cinghiale abbrustolita da uno della ciurma.
Il filibustiere strappò con un morso il cuore dell’iguana: - Una volta trovate le restanti sfere, gliela seppellirò qui.
Ritornando sulla Bloody Wench Capitan Vegeta valutò che avrebbe volentieri anticipato quel macabro proposito. L’aria era intiepidita dagli obliqui raggi del sole pomeridiano quando le ultime due scialuppe vennero issate a bordo e anche l’ancora di tribordo fu riavvolta attorno al cabestano. La tolda tracimava di cassoni, barili, reti ricolme di bauli e uomini che si affaccendavano a trasportare e sistemare tutto quel materiale proveniente dalla Proudy Star sottocoperta. Praticamente sembrava esserci stato un vero trasloco o meglio un’invasione. E ciò lo indispose ancora di più: quella donna, poco a poco, stava occupando tutti i suoi spazi. E lui sentiva ormai che il suo odio era arrivato ad un punto di non ritorno, pronto ad esplodere irreversibilmente e rovinosamente.
Radish, rilevando l’incipiente foga distruttiva ardere nelle sue iridi, si affrettò a corrergli incontro:- Per la maggioranza si tratta di armi e munizioni. – gli comunicò per limitare il suo evidente disagio, e sperare di non incorrere in un’esemplare punizione.
Vegeta ignorò le sue discolpe e lo scavalcò urtandolo con una spallata, determinando di persona se dicesse il vero.
A tentare di rabbonire il suo inguaribile umor nero si aggiunse la stessa Brief, che gli si piazzò davanti: - Ho fatto portare l’occorrente per fabbricare le capsule esplosive. E poi ci sono le stelle volanti, e il composto delle bolle incendiarie, oltre ai cannoncini che servono per spararle – argomentò esaltando con visibilio e ben poca modestia il frutto del suo ingegno.
Il filibustiere tacque guardandosi ancora attorno, indagando scrupolosamente le azioni e i movimenti di tutti, con la bocca e gli occhi ridotti a due fessure filtranti un’ostinata contrarietà che non accennava a diminuire neppure con la costatazione dell’utilità finale di tutto quel trambusto.
- Potremmo conferire in privato? – lo richiamò con un colpetto di tosse Bulma, riconquistando prepotentemente il suo campo visivo, restando piuttosto vaga sulle sue ragioni. Vegeta sfiorò appena il suo profilo con una truce occhiataccia portandosi verso la sala nautica.
La piratessa lo seguì, mantenendo istintivamente una distanza di sicurezza, in quanto non aveva avvertito scemare la sua latente aggressività e serbava il timore che gliela riversasse contro da un momento all’altro. Superata la soglia della sua tetra cabina, quella minacciosa sensazione si andava acuendo, ma lei non desistette. Doveva affrontarlo o avrebbe perso quella minima voce in capitolo che stava faticosamente tentando di guadagnare. Mentre lasciava che la mente scorresse in tali pensieri, la porta si serrò con un rapido e violento colpo alle sue spalle facendola trasalire, e subito dopo la ferrea presa di una mano callosa le trattenne la nuca tirandole dolorosamente i capelli, sommandosi alla fredda canna di una sputafuoco calcata sul suo ventre. Incapace anche solo di immaginare le sue imprevedibili pericolose intenzioni, non le uscì neppure il fiato per gridare la sua paura e, non riuscendo ad opporsi, obbedì passivamente al suo sprone di incedere sveltamente così curvata in direzione del tavolo.
Vegeta ve la inclinò con un ringhio, trattenendo a stento la forza con cui avrebbe potuto facilmente spezzarle la schiena, premendole la faccia sulla superficie lignea e piegandosi su di lei: - Basta indugi e smancerie. Rendetevi utile o vi darò in pasto alla ciurma, e state pur certa che quegli assatanati sapranno come tenervi occupata la bocca e quant’altro – sillabò licenzioso, vellicandole la pelle del viso col suo respiro caldo e irregolare. Scostò la pistola, facendola strisciare dalla cintura della ragazza alla propria, poi si risollevò dalla sua schiena e le rilasciò bruscamente la chioma, restandole accanto per potersi compiacere di scorgere l’impressione che le avrebbe alterato quelle detestate iridi brillanti come zaffiri. Inaspettatamente, al di là del disgusto, non c’era un reale terrore in esse, erano trasparenti e al contempo infervorate da un’incrollabile determinazione che quasi lo lasciò di stucco.
- Cosa c’è? State riconsiderando la mia proposta? – la provocò denigrante con un sorriso sottile.
Bulma scosse la testa, era ancora scombussolata da quell’improvvisa seppure contenuta manifestazione di violenza, ma parimenti intenzionata a portare avanti le sue richieste, dato che era stata molto generosa a cedere loro le sue migliori invenzioni belliche: - È per Yamcha – fiatò a mezza voce, ricomponendosi e massaggiandosi la cervice che sentiva livida dove le dita di quel farabutto si erano avvolte con brutalità.
L’uomo parlò con una smorfia supponente: - Chi sarebbe? L’impiastro con le cicatrici? Lo sfregiato?
- Il mio primo ufficiale – rivendicò accanita la piratessa – Lo avete lasciato vivo e ve ne sono grata. Ma necessita di essere medicato più adeguatamente, o si aggraverà – sostenne preoccupata; aveva infatti appurato che l’amico, testardo come la maggior parte dei malviventi che conosceva, trascurava di riguardarsi e si era perfino prestato ad aiutarla trasportando pure parte dei suoi bagagli durante lo sgombero della sua nave.
Vegeta la studiò accentuando il riso beffardo nei suoi riguardi. Sembrava aver trovato il suo punto debole, visto che con le minacce dirette stranamente non si scalfiva quanto avrebbe dovuto: - Non siete più voi a decidere per lui. – controbatté alacre e incontestabile, deliziandosi della delusione che adombrò la pretenziosa azzurra. – Sono sicuro che adesso vi prodigherete per trovare le altre sfere immantinente, stupida donna – la snobbò, voltandosi per uscire.
Bulma lo fulminò ed annuì nervosa, gonfiando le guance: - È Capitan Brief, comunque! – gli urlò dietro traboccando il suo risentimento; quello si fermò un istante a guardarla e lei si sfilò con grazia il cappello piumato posandolo sul tavolo, si tolse la borsa a tracolla, poi trafficò brevemente coi bottoni della giacca e buttò lì anche quella, rivelando al di sotto una blusa rosata appena più scura dell’incarnato con uno scollo che scopriva le spalle, rivestendole il decolleté strizzato in un altro corsetto ramato.
Battendo rumorosamente i tacchi andò a sistemarsi sulla poltrona, acciuffando con furia le carte e la bussola e affogando il persistente astio nella risoluzione di quell’enigma, auspicando di non essere disturbata da nessun altro intoppo ora che lui se n’era andato, anche perché doveva riuscire a cavare qualcosa prima del tramonto.
Il Capitano, invece, rientrò dopo appena un quarto d’ora e, senza dire nulla, andò a bivaccarsi nel suo letto, celato dalla tenda. Almeno non era uno loquace e impiccione che le volgeva troppe domande, al contrario, diventava totalmente simile ad una scultura di pietra in certi momenti. Dopo i primi minuti finì per dimenticarsi della sua presenza e restò applicata sui quei blocchi incisi da un artigiano ignoto in tempi remoti. Più li esaminava e li maneggiava più si convinceva che non sarebbe mai venuta a capo di tutta quella situazione in cui si era cacciata.
Loro due erano esattamente come i pezzi di quella mappa: non si sarebbero mai incastrati, non avrebbero mai trovato punti di contatto, troppo simili e troppo diversi, troppo fieri e gelosi della propria indipendenza. In fondo funzionavano benissimo da soli.
Era ad un briciolo dall’arrendersi a quella triste verità, quando d’un tratto ebbe una folgorante illuminazione: - Un quadrato, un parallelogrammo, cinque triangoli … - esaminò a bassa voce, scartando uno per uno i pezzi in cui aveva suddiviso le Carte del Supremo – Per mille granchi! Ma certo! Come ho fatto a non notarlo prima? È un tangram! – urlò entusiasta, picchiando un palmo sul tavolo.
Vegeta staccò le spalle dal cuscino e si alzò con passo ovattato dal giaciglio, incedendo fino a dove si trovava la sgradita ospite. La trovò intenta a realizzare delle composizioni di figure geometriche con i sette blocchi appartenenti alla tavoletta e la scatoletta ettagonale.
Bulma incrociò il suo sguardo interrogativo e si fermò a chiarire quanto evidentemente lo scontroso alleato non aveva appreso: - È un antico rompicapo orientale, noto anche come “Le sette pietre di saggezza” poiché si dice che conferisca saggezza e talento a chi ne possieda la padronanza. Bisogna formare figure di senso compiuto usando tutti e sette i pezzi, ma senza sovrapporli – concluse, rovistando frettolosamente all’interno della bisaccia e rovesciandone il contenuto. Ne uscirono forbicine, tenaglie, pinzette, cacciaviti, e altri indefiniti aggeggi di metallo appuntiti o con forme arzigogolate.
- Non mi pare il caso di mettersi a giocare – fu il sardonico commento del bucaniere che sbirciava con curiosità tutta quell’attrezzatura degna di un mastro ferraio.
La donna svitò una per una le viticelle dalla cassettina della sua bussola, estraendone l’anima interna più solida e iniziò a studiare la maniera di combinarla con gli altri frammenti del puzzle.
Abbozzò una falce, riconducendo tale forma sia alla luna sia alla morte, entrambe elementi caratterizzanti il luogo verso cui stavano veleggiando, Le Terre del Sole Morente.
- Quanto siete noioso! Anche i giochi hanno un valore educativo … E questo ne possiede uno molto valido, direi – sostenne inforcando una lente di ingrandimento e passandola sopra le scanalature delle figure geometriche. Doveva solo modificare un poco le smussature dei contorni della bussola e vi si sarebbe inserita perfettamente. Era un lavoro che richiedeva precisione estrema, però lei si accorse che non riusciva proprio più a concentrarsi. La assillava l’impenetrabile silenzio dei suoi occhi abissali e il senso di superiorità conferitogli dalla sua altera e cupa prestanza, incombente a poco più di due spanne. Le si rimescolarono le viscere.
Languore. Formicolio. Pulsazioni. Il corpo le inviava chiari segnali ogni volta che la distanza fra loro si assottigliava. Percepiva qualcosa di tremendamente ostile che andava oltre la pura antipatia, intorbidandosi con una scriteriata attrazione. Ad ogni modo il suo sesto senso le suggeriva la fuga. Oltretutto il calar del sole si appressava inesorabile.
Strisciò la sedia e rizzò in piedi cominciando a raccattare tutti i suoi effetti personali, affastellando rapidamente attenuanti e giustificazioni: - Se me lo accordate, continuerei congedandomi nel mio alloggio. Di sera ragiono assai meglio, sarà che la mente è più leggera, o che fa meno caldo. Ma non ho intenzione di costringervi a restare sveglio … - lo ubriacò di parole con accento urgente e carezzevole, tenendo fra le mani in equilibrio precario giacca, cappello, bussola e i pezzi delle carte.
Vegeta titubò, stranito da quella fulminea fretta, ma intimamente rinfrancato dall’aver appurato che forse finalmente la detestabile turchina stava imbroccando la via giusta per permettere la continuazione di quella pruriginosa convivenza forzata. Che includeva anche la riduzione al minimo dei contatti. La squadrò leggermente divertito dal suo affanno, raccolse la pesante borsa che stava dimenticando, e gliela mise al collo vedendola vacillare: - Toglietevi dai piedi – la schernì acido e neutrale allontanandosi verso la vetrata.
Bulma tirò un sospiro, e, sebbene non ricevette da lui alcun aiuto per districarsi ad aprire la porta, fu contenta di aver ottenuto quella indispensabile concessione.
Già sognava di immergersi nella sua vasca riempita di acqua di mare …



pieces-and-compass

* I cimarrones erano gli schiavi neri ribelli, quelli che riuscivano a fuggire dalle navi negriere e spesso divenivano pirati molto abili e ricercati perché erano tra i più feroci con i soldati occidentali.
Il tangram mi è saltato agli occhi come soluzione sfogliando un vecchio quaderno delle scuole medie ^.^  Comunque sia esiste davvero, ed è tutto spiegato nelle parole di Bulma.

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Capitolo 16
*** XVI: Debts and revenges ***


Ciurma! :D
Vi sono mancata?
A me voi sì, e soprattutto mi è mancato immergermi ad immaginare e scrivere questa storia. Tanti impegni e distrazioni, oltre allo studio, mi hanno tenuta lontana, ma ho approfittato di questa pausa anche per ripensare e definire meglio alcuni elementi dell'intreccio, che si dispiegheranno nei prossimi capitoli.
In questo che posto oggi ho provato a cimentarmi con un gruppetto di personaggi sui quali ammetto di non aver mai letto alcuna ff in particolare.
Si tratta di un capitolo abbastanza statico e riflessivo, in cui protagonisti saranno i cattivi, ovvero la ciurma della Ice Lord, capitanata, se ben ricordate, da Freezer.
Come è mio solito, ho disseminato accenni e indizi qua e là sul passato dei personaggi, e sulle loro possibili azioni future. Ho deciso anche di rimescolare le loro alleanze rispetto al manga, per ragioni di trama  perché mi servono soggetti quanto più possibile "umani".
Spero lo gradirete e mi farete conoscere il vostro parere.

Concludo ringraziando come sempre tutti coloro che hanno scelto di seguire questa ff.
Alla prossima bordata!)

XVI: DEBTS AND REVENGES

Strisciava, urtava, rotolava.
Si fermava; scorreva, volava, rimbalzava. E poi tutto daccapo, un’infinità di volte.
L’andirivieni di quella rotellina d’osso legata ad uno spago proseguiva senza sosta da parecchi minuti. Piccole scagliette di legno si volatilizzavano al suo periodico passaggio sugli elaborati intrecci di arabeschi, volute, spirali, motivi vegetali e animali che adornavano la parete esterna del casseretto in logoro legno d’acero.
Osservava quel ripetitivo movimento pochi passi distante da lui, appena appoggiata ai piedi dell’albero maestro, standosene seduta con le gambe penzoloni sull’aletta della plancia, imperturbabile ed austera, quieta e composta in apparenza, ma con tutti i nervi tesi e pronti a scattare tempestivamente da un istante all’altro.
I pensieri più intimi e le emozioni più profonde li aveva racchiusi da anni nella sua impermeabile interiorità, per gelosia o forse solo per pudore, intimidita dall’eventualità che qualcuno, dei perfetti sconosciuti, potessero sbirciare nei suoi gesti o nel suo sguardo quello che realmente provava. Non possedeva niente di particolare valore, perciò considerava il suo cuore alla stregua di un prezioso forziere, che aveva sepolto nel gelo di quella terra lontana di cui quasi non rimembrava più neppure il nome, al pari di quello con cui l’avevano battezzata.
Aveva gettato via la chiave dei ricordi e tumulato l’emotività sotto granitiche stratificazioni di livore e indifferenza, ostentando un’alterità e un’introversione che tenevano alla larga la gente comune, capace solo di coltivare i propri asfittici pregiudizi.
Talvolta si ritrovava ad invidiare le persone semplici e spontanee, che non si creavano tutti quei problemi nell’immediato quotidiano vivere. Che non ne avevano.
L’anello intanto girava ancora attorno alla cordicella, e ancora ricadeva sul pavimento senza fermare la sua corsa, spiccando voli, riatterrando in perfetto equilibrio sul sottile bordo del corrimano congiunto alla rampa.
Produceva un cigolio fastidioso che riecheggiava nella quiete innaturale di quel vascello, pulito e disciplinato all’inverosimile per essere sotto il comando di un laido malfattore che aveva al servizio solo mercenari e assassini di professione.
Come loro due.
Non che la banda di quei tagliagole la mettesse a disagio, pur essendo l’unica donna, e non essendosi neppure camuffata da giovane mozzo, espediente cui spesso ricorrevano le donne che si imbarcavano in incognito. Quanto alla sua identità non aveva più nulla da nascondere. Aveva imparato a rigettare ogni giudizio, ogni umano contatto, al punto da apparire quasi inumana, una fanciulla di ferro, forte e inattaccabile, efferata ed estranea alla sofferenza delle sue vittime.
Diciotto ne aveva massacrate, nel suo primo scontro all’arma bianca, tra soldati e civili; un omicidio in più rispetto all’ignavo fratello.
D’altronde occorreva innanzitutto una terribile fama, per solcare il pelago indisturbati.
E per una ragazza di ferro i legami erano corrosivi come la ruggine, o anche peggio. La vita da piratessa, però, le aveva insegnato che anche la salsedine possedeva l’inarrestabile capacità di sgretolare poco a poco le navi più munite e resistenti, qualora non si calafatassero con periodicità. Si allagavano e andavano a picco.
Il mare dava e prendeva in egual misura dalla vita degli impavidi che vi si immolavano per fuggire dalle leggi degli uomini, o più spesso da se stessi.
E quando la calma di vento imperversava, la mente si agitava come non mai, scortando la memoria nei luoghi più infausti e reconditi del passato e del presente.
Per evitare di naufragarvi bisognava rinforzare la propria chiglia. E in quelle circostanze, la giovane e sbandata Diciotto, ricorreva principalmente ad un sistema: sfidare apertamente il fratello Diciassette. Non importava quanto risibile fosse il pretesto, esisteva un’implicita intesa interiore tra loro due.
Il gemello la accontentava sempre. Dispettoso, lavativo, irrisorio, non le faceva di certo mancare le occasioni per indurla a scatenargli contro la sua intemperanza e la sua rabbia repressa.
Un secco sparo interruppe quella regolare e incessante alternanza di fruscii e rintocchi.
- Ti ho già detto che quello stupido aggeggio mi da fastidio – traboccò inflessibile, stringendo i pugni per suggerirgli che stava sforzandosi nel riporre l’arma che aveva estratto dalla cintola.
Lui si riscosse, essendosi spezzato bruscamente il ritmo maniacale che aveva impresso a quell’azione; ruotò la testa verso l’alto, lasciando penzolare tra le dita il pezzetto di corda del rudimentale giocattolo: - Calmati, sorellina. Mi annoio. Qui non c’è un bel niente da fare – mugugnò con atteggiamento indifferente, riavvolgendo con un abile e rapido schiocco la cordicella accorciatasi ed iniziando a far scorrere la rotellina da un palmo all’altro.
Diciotto saltò giù, raggiungendolo sulla tolda, con la sciabola sguainata: - Scommetti che riesco a tenerti impegnato per un bel po’? – lo fissò con indolenza e lo spintonò, picchiando con una mano sul suo braccio.
Si specchiarono per alcuni secondi l’uno negli occhi dell’altra, fondendo quella familiare e identica tonalità di freddo ceruleo che era un’innegabile prova della loro consanguineità. L’espressione di sfida restava palese e predominante sul viso aguzzo della ragazza, ma Diciassette le rivolse un mezzo sorriso non dando alcun peso al suo precedente attacco, stuzzicandola ulteriormente: - Uh, ho capito. Sei in uno di quei brutti giorni delicati. È per questo che una femmina non dovrebbe mai imbarcarsi a bordo di una nave – ridacchiò con l’evidente istigazione a scatenare un’altra sua reazione.
La bionda non si sottrasse: - È per questo che ti consiglio di stare molto attento a come ti muovi! – incalzò rollando con veemenza la spada, fendendo l’aria poiché lui previde il suo colpo e si scansò rapidissimo, mostrandole derisoriamente la lingua - Piantala con queste sciocchezze! Combatti o giuro che ti sgozzo!
Il moro ridacchiava, incurante delle sue critiche e delle sue proteste, rafforzando quel loro ambivalente rapporto di attaccamento e repulsione. Tirò una gomitata alla sorella e approfittò di averla fatta cadere per sfoderare la sua sciabola, attendendo che si rialzasse per ingaggiare un serrato duello, con divertimento di entrambi. I loro screzi deflagravano spesso in scontri violentissimi, senza esclusione di colpi, che lasciavano anche ecchimosi e ferite ma non diventavano mai letali.
Spaziarono nei diversi angoli liberi di coperta, esercitandosi su corde e alberi, murate e gradini, pur non essendo da soli.
Un marinaio si trovava da un po’ lì sul ponte. Da qualche settimana si era imbarcato insieme a loro e neppure si voltò, intento com’era a contemplare un rumoroso stormo di albatros che volavano poco sopra le onde, tuffandosi di tanto in tanto per pescare. Rosso di capelli, alto e robusto ma dallo sguardo mite e malinconico, riservato e taciturno, finora non aveva preso parte a combattimenti di alcun tipo, sebbene il suo fisico imponente, temprato dalle fatiche e dalle asprezze della vita marinaresca, portasse ad immaginare che sarebbe stato un avversario terribile con il quale incrociare il cammino.
L’unica cosa che sapevano di lui era che in tutta la sua vita aveva ucciso una sola volta, e che si era scelto un soprannome che gli ricordasse ogni giorno l’età del suo primo delitto di sangue.
Sedici, non essendo solito immischiarsi, solo quando lo travolsero, andandogli addosso, si fece udire: - Smettetela. Lo sapete cosa recita il codice. Le diatribe si risolvono a terra – li rimproverò calmo e deciso, senza alzare il tono, afferrandoli per il collo della camicia e sollevandoli leggermente da terra.
Diciotto si contorse, scalciando furiosamente per essere rilasciata: - Me ne ricorderò – borbottò stufa e rassegnata - E sarà peggio per te - lanciò un’occhiata truce e delusa al gemello, rinfoderando la sciabola, dirigendosi sbuffando al parapetto opposto.
- Sto già tremando di paura - mormorò tra i denti Diciassette con tono sfatto, scacciando con una mano la sorella e brandendo con maestria l’acciaio tirando fendenti sibilanti.
Erano in contraddizione continua. Lo avrebbe trapassato da parte a parte con la sua stessa spada, ma in fondo senza suo fratello il suo mondo sarebbe stato del tutto vuoto. Era la sua debolezza e la sua forza, si sostentavano vicendevolmente. Un filo doppio, dopotutto, li aveva uniti sin dal grembo di loro madre, sebbene spesso mal lo sopportava e non escludeva di allontanarsi un giorno anche da lui.
La giovane assassina stava andando a sedersi a cavallo della balaustra, sentendosi sfiorare una spalla da Sedici estrasse di riflesso la pistola. Non c’era stato nulla di offensivo, ma quella sensazione di nausea era tornata ad attanagliarla; dacché i contatti erano per lei da ripudiare, a meno che non anticipassero uno scontro necessario ed inevitabile. Lasciarsi stritolare dall’urticante tentacolo di una medusa sarebbe stato molto meno fastidioso. Ripiombando nell’enigmatica mestizia del suo volto, tuttavia, si bloccò. Il collega, scusandosi pacatamente con gli occhi, le indicò col mento di volgere l’attenzione a prua.
Diciotto ripose l’arma da fuoco nella fondina e si riavviò la sottile ciocca di capelli che le ricopriva lo zigomo destro, spostandosi alla ringhiera. Accanendo le iridi celesti verso il punto suggerito, ebbe la conferma fosse un carcame. Un leggero sorriso le arcuò le sottili labbra.
- Avverti il Capitano – le suggerì in un flebile mormorio Sedici, fissando vacuamente le onde. La giovane stava per scattare verso il castello di poppa, ma fu battuta sul tempo dal fratello che, raggirandola, si precipitò sulle scalette del cassero, coinvolgendola in un’infantile gara cui preferì non cimentarsi.
Diciassette sistemò i liscissimi capelli corvini che si erano scompigliati nella corsa, prima di dare due colpetti di nocche sulla porta della cabina, impaziente di comunicare l’attesa notizia.
Un rachitico mozzo dalla carnagione ambrata gli aprì, però si avvide bene di restare sull’uscio, non avendo ricevuto l’assenso ad entrare, ed essendo consapevole che quell’individuo non gradiva intrusioni non autorizzate nelle sue stanze.
- Signore, abbiamo trovato qualcosa di interessante – annunciò contenendo l’entusiasmo per l’esclusività di quella rivelazione. Dall’interno non si udì alcun suono o segno della sua presenza, per cui osò sporgersi curiosamente a sbirciare, restando quasi abbacinato dall’oscurità di quell’alloggio, distinguendovi poco o nulla.
Il Capitano odiava mostrarsi alla piena luce dopo l’incidente che aveva sfigurato le sue sembianze, già rese anomale e sgraziate dall’ingiusta madre natura che aveva privato il suo corpo dei colori e delle proporzioni ritenute normali.
Un fugace, appena percepibile spostamento d’aria fece tremolare le fiammelle del candelabro d’argento posto a centro tavola, e la deforme sagoma dell’albino gli sfrecciò davanti, materializzandosi in un soffio sulla balconata esterna, silenzioso come uno spettro, senza proferire sillaba alcuna. Il resto della ciurma, come richiamata da quell’afflato di zolfo e putrefazione, si era radunata sul ponte in attesa di ordini ed ogni uomo, al suo claudicante passo diretto a proravia, si scansò riverendolo.
Le pupille di Capitan Freezer si dilatarono per mettere meglio a fuoco, attraverso i pallidi raggi filtrati dalle nubi, ciò che gli si presentò davanti. Sulla superficie piatta e grigia delle acque andava alla deriva un ammasso di legna bruciata, il cui rogo stava spegnendosi per l’umidità crescente dell’atmosfera. Un feroce scontro doveva essersi consumato poco lontano da lì, e il relitto di quell’ignoto vascello, ormai quasi irriconoscibile, aveva avuto la peggio. Non galleggiavano tuttavia cadaveri straziati; forse anche a causa delle infestazioni di squali e delle forti correnti.
Le labbra violacee dell’albino si mossero scoprendo gli appuntiti canini: - È senza dubbio opera di Vegeta. Ha sempre avuto manie incendiarie quel ragazzo – pronunciò allucinato, toccandosi con la punta di tre dita la pelle squamosa di una guancia. Non si era mai rimarginata completamente dalle ustioni che gli avevano devastato la pallida epidermide, rendendola simile in diversi lembi a quella di un rettile. La sua esclamazione fu più affidata al proprio conforto che all’intelligibilità dei sottoposti, il cui mormorio diveniva crescente.
- Mantenete la via e sfruttate ogni alito di vento. Voglio che il nostro amico sappia che sono tornato dall’Inferno apposta per lui – convenne tempestivo, mentre un riso malefico gli scuoteva le spalle. Le sue intenzioni, così come la sua figura, avevano contorni poco chiari.
Girò su se stesso, saettando gli occhi carmini sui trepidanti marinai che si sparpagliarono alle manovre, vigilando sulla loro attività fino al suo lento ritorno in cabina.
Sedici si affaccendò alle scotte, prestando le sue forti braccia agli altri, al contrario Diciassette e Diciotto non si mossero, sfruttando totalmente la loro condizione privilegiata di guardaspalle scelti da Freezer espressamente per purgare la sua rotta dalla feccia, composta da antagonisti, oziosi, traditori di ogni sorta.
Brutali ed efficaci furie d’assalto, preziosi assi nella manica da giocare con tattica e accortezza, i due gemelli si sporcavano le mani col sangue piuttosto che graffiarsele issando ruvide funi di canapa. Perciò rientrarono nei locali di dabbasso.

Freezer appoggiò il grande cappello indaco sullo schienale della sua poltrona di velluto antracite, artigliandone i braccioli mentre vi si rilassava sorseggiando un calice di vino rosso procuratagli dal camerotto Zarbon, che si adoperò anche a schiudere uno spiraglio tra i pesanti drappeggi oscuranti la vetrata.
- Tornerò più tardi a cospargervi gli unguenti – lo riverì mediante un mezzo inchino con cui la sua lunga treccia verde rame gli scivolò sulla spalla destra. Il capitano ruotò la mano sinistra in un gesto che gli accordava il permesso di congedarsi e aspettò che chiudesse la porta per parlare con l’altro suo fedele complice.
- Si direbbe che siamo sulla giusta rotta – asserì appagato, versandosi altro bruno nettare d’uva, centellinandolo con gusto.
- Ancora ne dubitavate? – lo rimproverò una voce stridula e arrogante alle sue spalle.
L’albino sospirò con disapprovazione: - Se solo quel vecchio inventore svitato avesse avuto il tempo di ultimare la sua creazione …
Il piccoletto, sdegnato, sgranò i grandi occhi verdi, affiancandosi a lui: - Non ditemi che fate più affidamento alle strampalate speculazioni di uno scienziato rispetto che alle rinomate abilità di uno stregone potente come me? La scienza non è altro che magia rivelata, non lo sapete? – lo tacciò con malevolenza.
Il rattrappito bucaniere annuì affinché il saccente alleato non divagasse in interminabili discorsi di stampo filosofico-alchemico, riportando la conversazione sull’argomento che più lo solleticava: - Vegeta, a quanto pare, ha annientato l’altro contendente. Adesso la partita resta aperta solo tra me e lui.
Babidy agitò le dita facendo svanire l’impalpabile e luminoso globo d’energia che lievitava dinanzi la sua faccia, avendo già appreso abbastanza: - Anche se riuscisse a recuperare tutte le sfere, gliene mancherebbe sempre una e senza averle tutte e sette non può invocare il Dio Drago. Siete pari al momento, signore.
- Ciò nondimeno vorrei mettergli un po’ di sale sulla coda – ordì enigmatico quello, alzandosi e scagliando un’occhiata incontestabile allo stregone, reprimendone l’aspirazione ad influenzare le modalità della sua ineludibile vendetta. Aveva accettato di restare in vita accollandosi quel corpo devastato solo per poterla attuare, e anche se gli era odiosamente debitore, non voleva subire intromissioni da parte di nessuno.
- Non siate tanto leggero – sogghignò con oltraggio il volto grinzoso del decrepito negromante – Rammentate che quella canaglia appartiene ai saiyan, una stirpe maledetta – lo avvertì con accento volutamente profetico.
Freezer storse la bocca, tediato: - Sì, lo so. Dal vostro potente padre, secoli or sono. Una maledizione che si tramanda da generazioni in quella famiglia, a tutti i maschi primogeniti – ripeté stancamente, come si trattasse di una leggenda che avesse perso attrattiva e credibilità a forza di essere sentita e raccontata; quantunque lui ne aveva inteso fin troppo bene la fondatezza.
- Praticamente è cresciuto con me, l’ho allevato io stesso. Ero in grado di controllare quell’abominevole bestia a mio vantaggio. Bastava gli dispensassi qualche misero elogio per incentivare il suo rendimento. Era magnifico, unico nella sua maniera di combattere. Aveva classe, abnegazione, una radicale cattiveria, un’impareggiabile temerarietà. Era il mio infallibile segugio: captava ovunque le migliori occasioni di mietere vittime e guadagni.
Uno strano miscuglio di rancore, ammirazione, acrimonia e vanto aveva impregnato quelle parole, sfuggite senza inibizioni ad un uomo tuttora lacerato da maceranti ricordi.
- Tutto questo ti è stato favorevole … Finché non ti ha ammazzato – desunse brusco Babidy, stordito dal quel fiume di frasi subdole e riguardose che tradivano un animo insoddisfatto e ambiguo, facilmente dominabile.
Freezer strinse i denti: - Sono ancora qui.
- Ma il vostro Capitano Genew e gli altri? – lo sobillò ancora il mago con accento umiliante.
Il suo interlocutore arricciò il naso, risedendosi con mollezza davanti alla finestra: - Una incresciosa perdita, è vero – sussurrò mesto, ottenebrato dall’immagine dei loro cadaveri mutilati che oscillavano sui pennoni più alti al soffio del freddo mistral.
Aveva sostituito quei valorosi corsari, il suo principale gruppo d’assalto negli arrembaggi, con quella coppia di fratelli spadaccini in cui si era imbattuto durante l’escursione alla Foresta Ghiacciata. Quel luogo disabitato e inospitale, in cui dimorava esclusivamente un vecchio scienziato dedito ad esperimenti misterici e avveniristici, noto come Dottor Gelo, dopo le sfiancanti e impervie ricerche, l’aveva ripagato anche della sua prima e finora unica sfera del Drago.
Se quei due ragazzi non si fossero sbarazzati del suo dotto ideatore, a quest’ora avrebbe avuto uno strumento in grado di localizzare le altre preziose biglie. Invece si ritrovava con un congegno incompleto e indecifrabile che nessun esperto cui l’aveva sottoposto era stato capace di riparare o completare. E così doveva ascoltare le indicazioni di quel meschino ciarlatano al servizio del Signore degli Inferi.
Babidy riguadagnò il suo interesse, parlando con franca sollecitudine: - Ho visto che almeno tre sfere giacciono altrove. Dovremmo puntare ad esse prima che il tuo pupillo le scopra.
Freezer congiunse le mani, lasciando trascorrere qualche secondo di riflessione, ponderando l’esternazione dei suoi pensieri: - Quelle sfere saranno il nostro obiettivo successivo – avallò drastico, ridimensionando nuovamente la presunzione del nanetto che tentava di imporgli le sue scelte. – Vegeta deve sapere che sono vivo. E deve temermi. Molto più del passato – risolse inviandogli uno sguardo irremovibile, spostandosi nella stanza adiacente.
Fuori il vento umido si intensificava muggendo e formando creste sempre più evidenti sulla plumbea distesa salina.
La linea frastagliata di un lampo rischiarò il baleno dalle spesse coltri di nembi neri presagi di pioggia, e sordi rombi echeggiarono nell’atmosfera perturbata dall’infuriare di fredde correnti.



Ice-Lord-crew

* Quello con cui gioca Diciassette all'inizio, se non si fosse capito, è uno yo yo. Non ho usato questo termine perché, pur esistendo già in tempi remoti, non aveva questo nome.
Il camerotto era il marinaio addetto al servizio del comandante.
I saiyan nella mia storia sono solo uno dei  tanti popoli della Terra, come lo sono stati gli Unni, i Maya, i Longobardi.

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Capitolo 17
*** XVII: In the heart of the storm ***


Salve gente! Qualcuno rimembra ancora questa storia? Se sì, sappiate che non l'ho abbandonata e non l'abbandonerò :D
Mi spiace molto di averci messo tanto tempo a scrivere un nuovo capitolo, ma purtroppo con lo studio in quest'ultimo mese il tempo a disposizione si è ridotto...Ed in più ci si è messo una sorta di blocco dovuto all'abitudine di pensare drabble & Sparrow style .^.^"
Augurandomi di averlo smaltito, mi impegnerò a concludere un nuovo capitolo entro la fine delle vacanze natalizie e di infilarci tutta l'azione che ho dovuto estromettere da questo qui, poiché mi stavo dilungando troppo.
Ho preferito concentrarmi su un ulteriore approfondimento del meccanismo delle Carte del Supremo ed ho cercato di smuovere un po' di più le acque sui nostri due protagonisti (ma non aspettatevi chissà che cosa, per il momento! D: ).

Ringrazio tutti coloro che leggono o leggeranno; spero che non vi annoierete e commenterete sinceramente...Io ho sempre il salvagente pronto!

Alla prossima bordata!)

ps: ho messo le note a fine pagina per tutti gli inevitabili termini nautici che ho dovuto inserire.


XVII: IN THE HEART OF THE STORM

Un boato spaventoso si abbatté contro le pareti della cabina, riecheggiando sordamente nei suoi timpani e smorzando per alcuni secondi la sua percezione sensoriale.
Spalancò estemporaneamente gli occhi, mentre le mani cercarono un solido appiglio allungandosi sui bordi lisci e umidi della tinozza laminata di rame. Riaffiorò gradualmente dal liquido impregnato di sali e lozioni floreali raffreddatosi insopportabilmente, con la vista ancora appannata dal dissolversi di forme e numeri e la bocca impastata di salsedine e saponata.
Era scivolata giù bagnandosi fino ai capelli, e gli gelidi spifferi che si infiltravano fischiando dalle minuscole intercapedini dell’areazione le facevano contrarre le membra nude in ripetuti tremiti, scoraggiandola ad uscire dall’acqua in cui, nonostante tutto, si era acclimatata.
Quel galeone era austero e quasi inabitabile: lei era abituata ad essere circondata da tante comodità che si era inventata per raddolcire i lunghi mesi in mare aperto, non ultimo un sofisticato sistema di riscaldamento che si incanalava fino al suo alloggio partendo dal braciere della cambusa.
Negli ultimi due giorni di navigazione le condizioni meteorologiche erano peggiorate, la temperatura era vertiginosamente precipitata, ma la Bloody Wench manteneva faticosamente la rotta prefissata, seppure in balia di correnti vorticose e giganteschi marosi che minacciavano di sconquassarne la resistenza dello scafo e stracciarne la velatura.
Si muoveva tutto, avanti e indietro, udiva il rumore stridente di oggetti che slittavano sul pavimento, ruzzolando agli angoli.
Un altro rombo esplose, accompagnato da uno strepitante scroscio d’acqua.
Anche la sua vasca scorreva sensibilmente, a ritmo con le onde. Bulma attese il momento propizio per saltarne fuori gettandosi sulla vicina branda, avvolgendosi intirizzita in un soffice panno di cotone che aveva preparato la notte precedente, maledicendolo di essere troppo corto e troppo leggero per frenare i brividi che la percorrevano, manifestandosi nell’incontrollato battito della mandibola. Si tamponò la pelle madida sfregandola frettolosamente, impaziente di rivestirsi di tutto punto, scrutando crucciata attraverso il piccolo oblò romboidale uno spiraglio di cielo dalla tinta smorta e incolore, che rovesciava incessantemente miliardi e miliardi di gocce miste a granelli di ghiaccio. Incespicò un paio di volte prima di riuscire a rimettersi in piedi e accendere un lumicino, sfruttandone il traballante riverbero per frugare nello sfuggevole baule e radunare tutto l’occorrente, con l’intenzione di trasferirsi sul ponte che immetteva alla camera poppiera.
Aveva accettato di buon grado l’inespresso ma insito invito del Capitano a trascorrere quanto più tempo possibile distante dal suo raggio d’azione. Il suo umore era sempre stato volubile, in perfetta simbiosi con l’andamento della marea. Tutto quello sciabordare e schiumare le innescava una scarica inesauribile di energia: se non avesse avuto una degna occupazione con cui sfogare quell’estro era certa che si sarebbero accapigliati al minimo attrito, anche solo ricevendo uno dei suoi sussiegosi borbottii.
Lontana dal suo sguardo malfidato ed indagatore, la sua mente brillante aveva avuto modo di concentrarsi esclusivamente sullo studio approfondito delle carte. Le aveva sezionate, smontate e rimontate pezzo per pezzo, decifrate, tradotte e confrontate con le proprie mappe e i propri strumenti nautici, annotando dati, ricostruendo i suoi stessi viaggi e programmando mete future.
Malauguratamente si trovava costretta a richiedergli una delucidazione circa una considerevole inezia che non era stata in grado di intuire; e già, prefigurarsi di consultarlo, le provocava mille grattacapi. Oltretutto uscire da lì significava inzupparsi di nuovo, dopo che s’era asciugata.
Si era completamente estraniata nell’euforia di quelle scoperte, era rimasta talmente stregata dalle innumerevoli risorse di quell’arcano planisfero scomponibile, da non aver avvertito il peso della stanchezza per le ore di sonno saltate, né la solitudine o l’appetito. Era relegata in quella stanza da quando un paio di sere prima Yamcha le aveva procurato quattro secchi d’acqua salmastra; tre volte al giorno qualcuno, mandato dai superiori, si era affacciato sulla soglia per controllare il suo operato, ma non le avevano portato nulla da mettere sotto i denti, eccetto del maleodorante brodo. Così aveva consumato quasi tutte le gallette e i biscotti alla frutta secca trafugati dalla stiva della Proudy Star.
Le mancava molto quello splendido e accessoriato brigantino; non sarebbe stato per niente facile ricostruirne uno che gli somigliasse, sempre sperando che tutto alla fine si risolvesse a suo favore …
Trasalì all’ennesimo lampo che anticipò lo schianto roboante di un tuono e l’intensificarsi della gelida precipitazione. La piratessa indossò un paio di stivali cui aveva applicato una suola di gomma di caucciù, pratici per camminare sul legno fradicio e sdruccioloso, infilò il necessario nella sacca a tracolla e imboccò il carruggetto1, non incontrando alcun pirata bighellonare negli spazi di sottocoperta. Sulla tolda, al contrario, decine di marinai alambardavano2 e incazzottavano3, provvedendo ad imbrigliare il procelloso lasco4 che soffiava a raffiche intermittenti. Nel bel mezzo della perturbazione c’era anche chi issava una nassa 5gravida di pesci d’ogni razza e misura. Mangiavano davvero tanto su quella nave, costatò sbalordita.
Indubbiamente Capitan Vegeta sapeva imporsi anche sui meno volenterosi: erano tutti impegnati in qualche manovra. Le parve incoerente che all’appello mancasse solo lui.
Il gelo tagliava la faccia e intorpidiva le articolazioni, infilandosi come spilloni appuntiti fin sotto gli strati di vestiti con cui si era imbacuccata per combatterlo. Bulma, detestando esporsi ad una debilitante polmonite, non indugiò oltre. Si affrettò a trovare riparo dall’incessante rovesciarsi di acqua e vento intrufolandosi di soppiatto nella sala nautica.  

Lo scrosciante diluvio sovrastava ogni scricchiolio e il ricorrente lampeggiare inghiottiva luci e ombre. Non ebbe alcuna difficoltà ad addentrarsi non avvertito.
Neanche lo aveva distinto nell’infuriare della bufera, ma Vegeta era proprio lì fuori, inerpicato in cima all’asta della banderuola segnavento. Pencolava come un famelico rapace nella spasmodica attesa di ghermire l’ignara preda in una letale morsa. Quella era la sua postazione prediletta, lo infatuava di detenere lo scettro del puro dominio su quella distesa infinita e sulle vite che vi orbitavano.
Con lui i sotterfugi non funzionavano.
L’aveva sorvegliata assiduamente, subodorando la fraudolenza della sua spassionata collaborazione, giacché si era accorto che lei e il suo pusillanime amico con la cicatrice si erano brevemente incontrati, intorno al crepuscolo, poco dopo la sua precipitosa ritirata dalla sua cabina. Proprio quando, due giorni prima, aveva risolto quel rompicapo di cui lui ignorava l’esistenza, pur avendo avuto sotto gli occhi quella mappa unica da parecchio tempo.
Indubbiamente lei, acuta e diabolicamente scaltra, era il cervello; quel penoso spasimante le si era assoggettato come zelante braccio. L’apparente libertà che aveva concesso loro era valsa a spiarne i reciproci movimenti. Il suo infallibile sesto senso non lo dissuadeva dall’ossessivo pensiero che quei due confabulassero.  E chissà cos’altro.
Lo sfregiato poteva trascurarlo; come convenuto, di lui stava occupandosi Nappa. Gli aveva assegnato la rischiosa operazione di tesare le sagole dei fiocchi e controfiocchi del bompresso. Arrampicandosi su quell’albero, molto inclinato e sporgente da prua, avrebbe potuto perdere fortuitamente l’equilibrio e finire per fare compagnia ai pesci. Durante le intemperie capitavano spesso incidenti del genere. E quel tipo non aveva neppure l’aria di essere particolarmente fortunato.
Per la sua irrispettosa ospite, invece, aveva pensato ad un trattamento diverso. Era lei il vero infido nemico da non sottovalutare, aveva considerato appigliandosi ad una cima svolazzante, planando con calma e decisione sulla plancia, preparandosi a coglierla in flagrante.
La Brief l’aveva vista e percepita ben in anticipo al suo cauto riemergere dal boccaporto. Ogni esigua vibrazione del suo corpo veniva nitidamente captata dai suoi sensi sopraffini. Non aveva violato l’angusto perimetro riservatole a bordo; almeno non fino a qualche minuto fa. Come sospettava, quella stramba e spregiudicata donna stava curiosando impunita tra la sua roba, cercando presumibilmente ripostigli nascosti nelle irregolarità dei mobili e delle pareti, che seguitava a ispezionare freneticamente.
Soltanto il deflagrare improvviso del groppo6 la dissolse per un attimo, lasciandole sfuggire un urlo che si ripeté non appena un fulmine, penetrato improvviso come un dardo dallo squarcio vitreo sulle turbinose onde, rischiarò, ritta in mezzo alla stanza, l’arcigna sagoma del Capitano. Altrettanto fulmineo fu il suo avvicinamento che indusse Bulma ad appiattire maggiormente la schiena contro la cornice lignea che contornava la vetrata retrostante.
L’inconfondibile foggia dei suoi capelli si era alterata, alcune ciocche gli ricadevano sulla bandana e nelle sue iridi buie pareva imperversare una tempesta ancora più vorticosa:
- Non vi ho concesso il permesso di entrare – le intimò rude e incisivo, stendendo i palmi poco sopra le sue spalle.
La ragazza mantenne forzatamente la postura per evitare di sbilanciarsi, ridurre ulteriormente quella scomoda vicinanza e strusciarsi al suo corpo grondante l’attraente aroma di carne tiepida e fresco muschio selvaggio. Mentre il suo respiro galoppante lo inalava frastornandola, si allentò lentamente il foulard dal collo, liberando anche i capelli turchesi, facendo scintillare un sorriso sbarazzino: - Ed io non ve l’ho domandato, infatti …
Quella donna continuava a spingersi oltre, a provocarlo senza inibizioni, cosciente di suscitare un’attrazione subdola o forse subdolamente attratta essa stessa. Tutta quella sicurezza nel rapportarsi a lui doveva per forza derivare da qualche facoltà segreta su cui sapeva di poter contare per contrastarlo. Per un po’ si era disintossicato, ma la pioggia accentuava la freschezza della sua pelle, rendendola più odorosa. Vegeta allargò inevitabilmente i polmoni, stremato dal dover frenare l’acquolina alla gola, saziandosene troppo poco.
Nessuno dei due muoveva un muscolo, oltre a quelli che servivano a contrarre la gabbia toracica; poi, al suono soffuso dei loro battiti che sovrastava il crepitio della grandine, si sommò un cupo brontolio.
- … Era un tuono in lontananza o il vostro stomaco? – proferì Bulma addossandosi più radente al muro che poté, sgomentata dal sentore che la risposta esatta fosse la seconda. La sua convinzione che quel tizio non fosse del tutto normale stava accrescendosi ogni momento di più che trascorreva accanto a lui.
Una delle mani del pirata si staccò bruscamente dalla parete, scendendo a ridosso del suo volto, la turchina si morse le labbra e strizzò gli occhi, aspettandosi che la strangolasse. Avvertì uno scrocchio e subito dopo lo vide allontanarsi e scagliare con stizza qualcosa.
Aprì e chiuse ripetutamente la bocca: - Per la barba di Nettuno! Si sono proprio aperte le cateratte del cielo, eh! – si premurò di esclamare in un ansito affabile e affrettato che aveva la vaga intenzione di infrangere l’opprimente senso di morte provato, domandandosi a quale benevola divinità dovesse votarsi per ringraziarla di vegliare su di lei, poiché quell’assassino non le aveva ancora alzato un dito, contenendosi a rompere un bordo decorativo. Inquisire sulle motivazioni che lo avevano inibito lo giudicò azzardoso e sconveniente; allora, considerata la precarietà della sua posizione, preferì vertere l’argomento.
La giovane sirena cominciò a camminare in tondo, non avendo la chiara percezione degli spazi a causa del sommovimento dell’imbarcazione e dello sfavillio dei lampi: - Sono addivenuta ad un mucchio di soluzioni mentre voi vi trastullavate nei vostri begli … incubi – dichiarò in falsetto, sussultando imbarazzata, ritrovandosi per sbaglio sul ciglio del suo letto disfatto.
Indietreggiò sotto lo sguardo critico del sayan, zampettando verso il tavolo, dove rovesciò, schierandolo con cura, tutto il contenuto della sua borsa: Carte del Supremo, bussola cerca-sfere, astrolabio, aneroide7, effemeridi8, compasso, blocco di appunti e lapis. Quindi si schiarì la voce, provando a riassumere un contegno autorevole: - Questi sono i più precisi strumenti nautici che possiate mai rinvenire per i sette mari, costruiti minuziosamente dalle mie abili mani. Ho cartografato il nostro itinerario con una percentuale pressoché nulla di errore … Ma se non siete persuaso, posso rapidamente ricalcolare tutto quanto con quelli in vostra dotazione – acconsentì con lieve dispetto, venendo trafitta dall’espressione di schietto dissenso che lui aveva rivolto agli oggetti.
- Io non sono schiavo di quelle astruse chincaglierie. Il mare lo sento – glissò sprezzante Vegeta, ammutolendo la caparbia piratessa, non tanto per lo spirito polemico delle sue parole, quanto per la malinconica rabbia di cui erano state intrise, come se contenessero una sofferta verità.
Benché non fosse stata finora dispiaciuta dal burbero disinteresse di quell’uomo nei suoi riguardi, Bulma adesso invece si accorgeva che i suoi silenzi ammantati di superbia e mistero la catturavano, piuttosto che infastidirla.
- Che cosa avete scoperto? – sbottò lui annoiato e aggressivo. Non aveva certo brillato per cortesia e disponibilità ma lei era tornata, e insieme a lei il risveglio della bestia divoratrice che covava propositi nient’affatto pacifici.
Capitan Brief con accortezza lasciò consumare qualche secondo prima di esternare la proposta: - Se non vi dispiace, volevo chiedervi se potete rivelarmi con quale criterio interpretavate le Carte del Supremo per le vostre ricerche.
Le folte sopracciglia del filibustiere si aggrottarono in uno scatto nervoso, e lui arretrò bruscamente dallo scrittorio su cui la ragazza aveva disposto la compatta tavoletta facendola scorrere sotto la sua visuale.
L’azzurra aveva preventivato la sua opposizione, ma le serviva quella conferma; raggirò l’ostacolo avvicinandosi, sfiorandogli con esitazione un braccio: - Per favore. Non potrò farvi vedere il resto, altrimenti – tentò di negoziare, modulando un accento più accattivante che sollecito.
Vegeta si girò incrociando per un attimo i suoi lucenti specchi di oceano. Cominciava a non essere più sicuro di capire a cosa alludesse quella maliarda, sapeva solo che stava infidamente prendendosi troppa confidenza. Fissandola trucido, protese una mano con movenza morbida e controllata, rasentando il suo fianco la sospinse a scostarsi ed estinse tra le dita la fiamma viva del candelabro fissato sul tavolo. Poi, scavalcatolo, proseguì soffiando tutte le altre poche candele sparse nello stanzone, mimetizzandosi nel buio che andava alimentando.
Bulma rimase immobile e disorientata, sforzandosi di non cedere a un lecito sgomento, anche se quell’uomo minacciava di destabilizzare la sua sanità mentale, con quell’alternarsi di istanti di malignità e indecifrabile calma. Era solo un malandrino che si divertiva a terrorizzare, si disse. Acuì i sensi fino a riconoscere la concatenazione di cigolii metallici che le richiamò subito la combinazione di una cassaforte, della quale identificò anche il modello, di fattura abbastanza recente. Con lei certi sotterfugi non potevano funzionare.
L’apparizione di un tenue bagliore ambrato e di tre piccoli cerchi concentrici di uguale tinta, in corrispondenza del punto in cui si ergeva la superficie della scrivania, le suggerì che l’ombroso ospite si era riavvicinato.
- Fantastico! – balbettò emozionata e compiaciuta. La sua teoria era stata confermata: la sfera del Drago, venendo a contatto con il prodigioso planisfero, rivelava l’ubicazione delle sue sorelle ancora da rinvenire. Le tre che lei aveva provveduto a rendere invisibili, inoltre, non erano tracciabili. Rialzò piano gli occhi interrogando quelli del Capitano, screziati dallo stesso luccichio dorato: - Le Carte ve le siete procacciate prima o dopo di questa sfera?
Vegeta riavvolse lesto la grossa biglia nel sacchetto di velluto e riaccese il lucignolo del candeliere: - Mi state saturando di domande, credevo foste voi a dovermi svelare la ragione per cui vi ho beccata qui dentro a rovistare come una ladra. – la rintuzzò inasprito, con la grama consolazione che mancavano solo poco più di due settimane e di una dozzina di ore perché potesse finalmente azzannarla sul serio.
- Touché – la ragazza fece spallucce, sdrammatizzando l’infamante accusa, quindi con assoluta disinvoltura raccolse una sedia e vi si sistemò, scomponendo i sette pezzi della mappa e sbrogliando contemporaneamente la svelta parlantina.
- Con ciò che mi avete mostrato, ho capito che attualmente è impossibile rintracciare le sette sfere se non si ha la ventura di possedere almeno una di esse. Ma, in un tempo remoto, questa strabiliante tavoletta, secondo i miei studi e il mio modesto intuito, era ben custodita tra le nuvole, nell’inviolabile Palazzo del Supremo, mentre la bussola originaria era protetta dal Dio del Mare del Nord. Solo dalla combinazione delle indicazioni fornite da bussola e carte è possibile ricavare una mappatura completa dell’ubicazione delle sfere, con annessi indizi sugli ostacoli da superare per raggiungerle – concluse incastrando l’ultimo blocco per formare la figura di una mezza luna, mettendosi in piedi e posizionandola sotto la luce, rivolta verso di lui.
- Vedete queste iscrizioni? Non sapevo da dove iniziare a leggerle ma, intagliando una sottile stanghetta dal retro delle stesse carte, e montandola nel quadrante della mia bussola cerca-sfere … ha iniziato magicamente a funzionare da ago di ricognizione!
Vegeta si sforzava di non smarrire il filo logico del discorso, sentendosi ubriacato dal torrenziale fiume di concetti che uscivano dalla bocca di quell’estrosa creatura. Nei giorni passati le sue orecchie si erano riposate, ma i suoi occhi si erano annoiati. Era un’incomprensibile miscela di grazia e imbranataggine, arguzia e vanità, ardore e timidezza. Ed era così esasperatamente bella e intelligente che limitarsi a straziarla sarebbe stato un odioso spreco … Sconfessò con ribrezzo quelle fatue e sconcertanti riflessioni: se stava delirando, era unicamente colpa del temporale che squassava il suo vitale elemento, rimescolandogli il sangue.
Bulma comprese dal suo eccessivo mutismo di essere stata troppo logorroica, che il suo interlocutore non si orizzontava e stava spazientendosi, perciò si affrettò a sintetizzare il nocciolo della questione.
- Per quanto concerne la Terra del Sole Morente, la lancetta al momento è orientata su questa frase in lingua latina. Non sono molto ferrata, in sostanza recita “Tuffatevi a capofitto nella tempesta e arriverete alle Terre senza sole” – scandì incrociando le braccia e picchiettando le unghie sui gomiti, nella nervosa attesa che lui commentasse in qualche modo.
Tuttavia la risposta che le riservò il corsaro disattese le sue scontate ipotesi.
- Una traduzione assai approssimativa, la vostra – mormorò acre, chinandosi con un risolino sulle righe che lei aveva appena letto – “Mordete il cuore della tempesta senza speranza e senza paura, e vi apparrà la terra mai desta, che nessun’anima rilascia sicura” – sillabò conficcando i liquidi tizzoni su di lei, esibendo un composto e fosco sogghigno.
- Sì. Direi che la vostra versione è decisamente più accurata – farfugliò lei, oscillando spiccatamente, e non solo perché pronunciato dalla sua voce bassa e pastosa quell’avvertimento acquistava un’aura più tenebrosa. La sua insospettabile padronanza di quell’idioma estinto aveva riesumato nei suoi ricordi la diceria che quel pirata fosse un principe perduto, e sembravano comprovarlo il suo portamento altero, tanto quanto il suo eloquio forbito, impensabile per un semplice brigante di mare. Si era sorpresa a contemplarlo rapita, in ogni dettaglio, dalle spalle tornite all’ebano dei capelli irsuti, dagli zigomi pronunciati al naso dritto, le labbra disegnate e il pomo che si muoveva al ritmo cadenzato del suo fiatare. Era come se stesse scoprendo le sue scolpite fattezze per la prima volta.  Scosse energicamente la testa: farneticava senza pudore. Era ovvio che la tempesta interferiva, balorda, nella stabilità della sua indole ibrida.
Improvvisamente la nave abboccò9 e prese l’abbrivo10, incanalandosi in un vortice di corrente dall’immane potenza.
E il turbolento scossone subito dallo scafo li scaraventò l’una a ridosso dell’altro.




Wavin-sea


* Vocabolario nautico
1 Carruggetto: stretto corridoio sul quale, a bordo, si affacciano le porte delle cabine.
2 Alambardare: aggiustare la rotta con alterne e frequenti riferimenti al moto ondoso.
3 Incazzottare: manovra riferita ad allentare o stringere le vele.
4 Lasco: vento che investe la nave a poppavia.
5 Nassa: rete a cono, o gabbia.
6 Groppo: colpo di vento improvviso e violento, per lo più causato da un temporale.
7 Aneroide: strumento che serve per misurare la pressione atmosferica, l'odierno barometro.
8 Effemeridi: tavole che, calcolate con anni di anticipo, riportano gli elementi variabili degli astri a intervalli costanti di tempo, per tutto l'anno a cui si riferiscono, per il quale sono valide. Servono per fare il punto nave.
9 Abboccare: l'inclinarsi laterale di una nave sino ad imbarcare acqua sul ponte di coperta.
10 Abbrivo: accelerazione dovuta ad una propulsione meccanica o al moto del vento, del mare o delle correnti.

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Capitolo 18
*** XIX: We are partners, aren’t we? ***


Salve gente! :D
Finalmente tra un impegno, un libro da studiare e svariate lezioni, sono riuscita a concludere un nuovo capitolo ^W^
Che dire? Non voglio anticiparvi nulla, mi auguro che, pur essendo più lungo del mio solito, vi divertirete nel leggerlo, così come io mi sono divertita a scriverlo.
Vi lascio alla lettura non senza ringraziare e salutare calorosamente quanti continuano a leggere e seguire questa storia e quanti vi si avvicinano per la prima volta.
E ringrazio anche VAleMPIRE per aver raffigurato nuovamente i due protagonisti nel disegno che troverete in fondo alla pagina.
Al prossimo approdo!)

XIX: WE ARE PARTNERS, AREN’T WE?

Fradicio fino al midollo. Anchilosato. Privo di punti di riferimento nell’innaturale immobilità di uno strano crepuscolo inchiostrato di cinabro e nerofumo.
Qualcosa di viscido e filamentoso gli ostruiva la gola smorzandogli il respiro. Un’enorme massa inerme gli era collassata sul petto schiacciandolo.
Affilò i sensi tramortiti, calibrando le forze residue per vibrare un vigoroso cazzotto. La bocca si liberò e poté finalmente tossire e sputacchiare i lunghi peli che gli si erano attaccati alla lingua impastata di salmastro. L’orecchio destro captò una bestemmia soffocata: Radish aveva perduto un altro molare; poteva andargli molto peggio. Un giorno gliela avrebbe fatta ingoiare assieme al rum di cui si ingozzava, quella dannata selva di pidocchi!
Restava bloccato da un mucchio consistente di carne che emanava un pessimo odore di sporco e sapeva di stoppa. Era troppo spossato e, per quanto fosse poco allettante, quello era pur sempre un trancio di carne adagiata ad un paio di spanne dal naso. Aveva lo stomaco sottosopra, terribilmente vuoto e reclamante. Ne aveva bisogno.
La mascella si spalancò d’istinto e abbrancò famelica.
Quello stomachevole troncone fibroso, a dispetto del puzzo e del saporaccio, apparteneva a qualcuno ancora vivo che si dibatté come un capodoglio infilzato da una fiocina:
- Aiutatemi! C’è qualcosa che mi sta sbranando il braccio! – barrì agitandosi con l’impeto di un terremoto che ridestò tutto il resto della ciurma assopita dalla stanchezza e dallo sbandamento delle onde.
Di primo acchito il flebile chiaroscuro e lo stordimento lo avevano ingannato, ma non appena capì a chi apparteneva quella formidabile tagliola che gli stava lacerando il bicipite, il suo orrore centuplicò: - Per tutti i diavoli del mare! Vegeta! Sono io, Nappa! Fermati! Lasciami!
Essere sbatacchiato dall’arto nerboruto del suo nostromo interruppe lo stato di incoscienza di Vegeta, che allentò la morsa della sua acuminata tenaglia dentale, tirandogli un calcio nel costato per zittirlo e cadendo in piedi con una giravolta. Indifferente all’occhiata sconvolta del compare che si premeva la lesione bucherellata, stiracchiò lentamente la spina dorsale facendone scrocchiare le vertebre ammaccate, e sgrondò i capelli tra le mani, torcendoli e stirandoli verso l’alto mentre aguzzava lo sguardo tutto intorno.
Non c’era un alito di vento e il vascello non oscillava. Erano arenati, apparentemente in mezzo al nulla: l’odore del mare era una parvenza impalpabile, lontana. Non era più abituato a non respirarlo. In compenso subiva con graffiante insistenza gli umori dei sopravvissuti e le loro ferite trasudanti vivida linfa.
La belva interiore ruggì protestando ferocemente.
- Fate la conta dei danni e sbarazzatevi dei cadaveri prima che marciscano – dispose sbrigativo ai suoi, soffermandosi ad ammiccare con chiara malignità verso Nappa che deglutì con un brivido la sua richiesta, patendo ancora il bruciare della nuova cicatrice.
Capitan Vegeta gironzolò inquieto lungo il perimetro da poppa a prua, meditando sul da farsi, tendendo tutti i sensi a quanto li circondava.
I raggi del sole giungevano obliqui e il cielo aveva insolite venature indaco e vermiglie, che si intessevano come un reticolo intrappolando la luce delle stelle. L’aria era satura di polvere sottile, vapori e gas che, miscelandosi, producevano una spessa coltre di nebbia, che neppure le lampare riuscivano ad intagliare. Sarebbero stati costretti a scendere e perlustrare quel luogo infernale passo passo, alla cieca.
Dei lampi squarciarono l’orizzonte, illuminandolo di frastagliate fluorescenze bianche e violacee.
Quello che più lo arrovellava era trovare la via del ritorno. Aveva bisogno di muoversi per sentirsi vivo, non poteva nemmeno pensare di essere costretto a dimorare in quel deserto stagnante per più di qualche ora.
Era tornato alla balconata del timone e soltanto allora aveva prestato attenzione alla balaustra, in cui penzolava un pezzo di corda attorcigliata con un nodo ad anguilla. Ne valutò la recisione stringendola tra i polpastrelli. Un sorriso amaro si appropriò del suo broncio, storpiandosi nell’istante in cui individuò avvicinarsi alle spalle il suo profumo mielato.
- Se volevate liberarvi di me, vi informo che non ci siete riuscito – gorgogliò acidamente Bulma, scagliandogli contro la cima spezzata che le era rimasta legata alla cinta.
Vegeta si defilò in cerca di qualcosa da masticare. Doveva sfamarsi subito o avrebbe risolto affondato i denti nel suo ventre.
Allo stesso tempo la piratessa girò i tacchi un po’ acciaccata. Si era ritrovata abbracciata al pennone di mezzana e, visto che nessuno l’aveva sentita chiamare o si era preoccupato di cercarla, si era avventurata a scendere da sola, rimediando qualche livido, ma anche una maggiore sicurezza nelle sue capacità di non dipendere da nessuno. Se solo non fosse esistita la notte …
- Non pare anche a voi che qui ci sia uno strano silenzio? – proruppe d’un tratto Radish, sporgendo una lampara oltre il parapetto e scrutando cauto e prevenuto l’orizzonte.
Nappa gli si affiancò colpendolo con una leggera gomitata: - Cosa ti aspettavi? È risaputo che questo è uno dei posti più merdosi della terra!
Altri marinai cianciarono tesi e confusi, criticando a bassa voce il Capitano e disperandosi per la drammatica incertezza della situazione in cui li aveva scelleratamente condotti.
L’atmosfera polverosa, la calura asfissiante e la scarsa luce bluastra accrescevano l’ansia e il disorientamento di tutti.
- Prima ce ne andremo, meglio mi sentirò – sottoscrisse Bulma, scappandole uno stranuto corrosivo che ebbe il potere di friggere le assi del ponte, convincendola a doversi ritirare quanto prima sottocoperta per scongiurare altri involontari danni a persone o cose.
- Ritengo che ve la caverete egregiamente, Capitan Vegeta. Buona fortuna! – gli raccomandò con accento smaccato, affrettandosi a varcare la sala nautica, dove era certa di aver smarrito il cappello, ma il pirata l’anticipò, ostacolandola: - Voi verrete con me. – fiatò con soverchieria, innescandole una scarica di brividi e balbettii.
- Me ne sfugge il motivo … - mormorò innocentemente, spostando gli occhi altrove, indossando il copricapo piumato che raccolse da terra e drizzando le gambe per mascherarne l’incondizionata mollezza. Doveva filare al più presto nella sua vasca.
Vegeta la squarciò con una lunga occhiata astiosa, schioccò la lingua ed inspirò a voce più bassa: - Continuate ad ammorbarmi con la solfa che siamo soci. Mettiamolo in pratica. – la stuzzicò affidandole le Carte del Supremo.
La turchina espirò a fondo, reprimendo lo scolorimento. Aveva caricato quell’ultima frase di una valenza ambigua che le solleticò acutamente i nervi: - Temete che possa guidare un ammutinamento? Ne sarei capace! – spiccicò spavalda, vertendo sullo sberleffo per respingere la soggezione della sua oppressiva cupezza.
Il Capitano trascurò la sua ambiziosa intimidazione e, scansandola come fosse nient’altro che una fronda capitatagli sul sentiero, si introdusse in cabina, accese un candeliere, e iniziò a rovistare in giro, recuperando armi personali e munizioni.
Bulma lo spiò dalla soglia, appoggiandosi sullo stipite e studiando le indicazioni della tavoletta. Il buio le era nemico da sempre e benché al momento non le fossero comparse le squame, tantomeno le unghie si fossero trasformate in variopinte conchiglie, non si sentiva affatto sicura di potersi unire alla ardimentosa spedizione che si stava preparando a partire.
Elaborò in fretta una scusante che non lo insospettisse troppo e che le desse il tempo di spazientirlo abbastanza da indurlo a rinunciare a portarsela dietro. Non ne era entusiasta, ma giocò la carta della frivolezza: - D’accordo verrò. Però dovrei andarmi a cambiare. Sono pur sempre una creatura delicata – gli vociò con civettuola impellenza. Starnutì di nuovo, coprendosi con le mani il viso per evitare di spandere goccioline tossiche: - Ecco, avete visto! Mi prenderò un malanno! Questi vestiti sono zuppi!
Al posto di Vegeta si frammise a risponderle Radish, che passava là davanti con le spade fresche di molatura: - Non stiamo andando ad una stupida festa da ballo, pupa! – la canzonò facendo risuonare le lame affilate nell’aria in maniera sinistra. - Ma se vuoi, ti aiuto a toglierli? C’è un’arsura insopportabile … - le propose spudorato, compiacendosi dei fiochi e imbarazzati singulti che le aveva provocato lambendola dal mento ai fianchi con le estremità delle sciabole.
Una terza punta di acciaio affilato e ricurvo tintinnò: - Ignorali, Bulma: sono dei trogloditi – la difese Yamcha, parandosi dinanzi, circondandole la vita con un braccio. E, intimandole di farsi da parte, sfidò il bucaniere dalla selvaggia capigliatura.
- Ha parlato il gran signore! – pronunciò con insolenza il gigante, roteando le due scimitarre e guizzandogliele contro, costringendolo a sudare sette camicie per non finire infilzato da uno dei suoi ineccepibili colpi.
Bulma tratteneva il respiro, scissa tra l’opportunità di barricarsi nel suo alloggio più in fretta possibile, o la necessità di recitare le regole del codice miste a maledizioni per persuadere almeno Yamcha, che tra i due era quello messo peggio, a desistere. Quando al riecheggiare delle prime stoccate tra la ciurma si aprirono perfino le tifoserie, la ragazza si accasciò su un barile, schermandosi la vista con una mano, nella stressante attesa che quello scontro si consumasse senza vittime.
Il tonfo provocato dal cozzare di una terza sagoma, che travolse i duellanti spingendoli con sé oltre la murata, congelò lo scomposto vociare dei pirati che si affacciarono sul fianco della nave da cui i tre erano svaniti.
La visibilità ridotta dalla foschia di umidità e pulviscolo lasciava trapelare soltanto il ripercuotersi ovattato di gridi e trambusti. L’attonito silenzio divenne timoroso brusio. Le menti superstiziose dei marinai germinarono orride creature per compensare la cecità della circostanza.
Bulma fu distolta dal ticchettare della bussola assemblata alle Carte che teneva tra le dita. La ripose nella bisaccia. Era stata una fortuna insperata risvegliarsi senza coda e la fortuna, aveva imparato, andava colta al volo perché mutevole e beffarda. Inoltre c’era una preziosa sfera che attendeva di essere scovata in quel dannato luogo. Accondiscese alla sua vena meno prudente e riflessiva, e, in uno scatto, raggiunse i filibustieri fermi in febbrile ascolto sul parapetto di tribordo. Sganciò un lanternino legandoselo alla fascia di cuoio ad armacollo, quindi si volse a Nappa sottraendogli la cima di mura che reggeva esitante: - Da’ qua! Omoni grandi e grossi come voi che se la fanno sotto – disse esasperata, dando volta alla fune e, agendo con un coraggio inopinato, si buttò nell’invisibile spazio sottostante.
Il molosso, umiliato e indispettito, emise un bramito imitandola e lanciandosi anche lui, seguito da altri emuli.
La loro caduta fu frenata da un terreno arido, duro e pietroso da cui promanava una nebbia più rarefatta. Tra le sue volute tre figure mascoline stavano azzuffandosi forsennatamente. Il meno imponente predominò di misura, colpendo con uno sfondante pugno la milza degli altri due, garrottandoli e costringendoli a strisciare la faccia al suolo: - Familiarizzate con la vostra dimora, perché qui resterete finché creperete di stenti – li denigrò barbaramente, schiacciandoli sotto le piante degli stivali come sculture di argilla.
Bulma boccheggiò, contrariata e sconcertata dalla riconferma di una palese e avvilente verità: lei, che poteva vantare di possedere un acume adamantino, era finita in mezzo a villanzoni, cani sciolti, irascibili teste di coccio, capitanati da un uomo privo di qualsiasi briciolo di condotta.
Lo ripudiava totalmente. Strizzò gli occhi, batté i piedi e digrignò la sua ripugnanza:
- Basta! Non ha senso ammazzarci tra di noi! Questo posto è già ostile di suo. Dobbiamo restare uniti se vogliamo sopravvivere.
Vegeta attenuò la pressione delle ginocchia sul collo di Radish e Yamcha, e si alzò inviandole uno sguardo flemmatico e losco che inevitabilmente le istillò il sospetto di una ritorsione. Mosse le gambe verso di lei, incuneandola alle sue iridi e con la rapidità di un falco, le ghermì l’avambraccio destro: - Uniti – sussurrò rilasciando la ruvida presa, azionando la chiusura di un bracciale metallico e mostrandole, all’altro capo della catena che da esso pendeva, la manetta racchiudente il suo stesso polso sinistro. Non avrebbe più potuto sfuggirgli: doveva accompagnarlo in quella perniciosa esplorazione tenuta al guinzaglio come un cane da tartufo!
Anche se la sua indole le suggeriva una vibrata opposizione a quella prepotenza, osservare lo stato pietoso in cui versavano i due che aveva malmenato la dissuase dal dare retta all’orgoglio. Estrasse la mezzaluna che racchiudeva Carte e bussola cerca-sfere e, consultato l’ago, ruotò il viso alla sua sinistra.
Vegeta annuì con occhi sottili ma la trascinò in direzione di Nappa, che li scrutava da lontano confuso: - Fa’ che la Bloody sia pronta a salpare per quando saremo tornati, oppure comincia ad abituarti all’idea di fare tutto quanto con un solo braccio – lo minacciò conficcando le dita nei buchi che gli aveva lasciato con quel tremendo morso.
Bulma picchiettò le rocce con la punta dello stivale, affinando le orecchie per captare l’eco di liquescenze sotterranee, chiedendosi su che criterio si basasse la sua tenace convinzione.
Anche il pelato strinse la mandibola fissandolo pesto ed inebetito: il vascello era impantanato nella tundra, non c’era modo di andarsene. Provò a dirglielo impappinandosi, venendo istantaneamente zittito: - Scorre acqua qui sotto. Spaccatevi la schiena e dragate! – gli ordinò imbestialito il Capitano, tornando poi a smuovere Radish con un calcione e incitandolo a recuperare la sua spada per scortarlo insieme ad un’altra decina di pirati che erano sbarcati.
Yamcha restò invece a guardarli andar via, venendo reclutato a prendere parte al faticoso lavoro di scavo.

Avanzare attraverso quella densa bruma iridescente era come dipanare i fili di una spessa ragnatela. La superficie che calpestavano era sconnessa, priva di forme di vita o di qualunque tipo di vegetazione e riecheggiava di scostanti tremori, mentre l’unica forma di luminescenza, al di là del riverbero fioco delle torce che ognuno recava, era rappresentata da fulminei lampi che scheggiavano l’etere cinereo di bianco e blu.
Bulma procedeva per inerzia, trainata come una barca in avaria dal suo carceriere che procedeva lento e cauto, pur rendendole difficile mantenere la sua andatura nervosa. Le mancava l’aria, centellinava la poca acqua dolce dalla borraccia ed era indisposta dall’imperterrito mutismo del suo socio. Andavano avanti da parecchi minuti e lui non le aveva volto la faccia che un paio di volte per domandarle se c’erano variazioni nell’ago.
Alzò gli occhi al baleno privo di luce facendosi vento con il cappello: - Secondo voi in questo momento è giorno o notte?
Vegeta diede uno scossone alla catena, pressandola a proseguire anziché sostare: - Qui albe e tramonti non si alternano. I raggi del sole giungono troppo deboli e trasversali per permetterlo.
La donna mormorò una monosillabica risposta, domandandosi perché mai le sue gambe continuavano a formicolare e pregando gli dei che quel postaccio, date le sue peculiarità, le evitasse la sgradita occasione di trasformarsi proprio davanti a lui.
D’un tratto uno dei bucanieri che marciava davanti a loro inciampò in una sporgenza ricadendo in un crepaccio e, prima che qualcuno potesse soccorrerlo, fu risputato fuori con un’alta fiammata che lo carbonizzò uccidendolo in brevi terribili istanti.
L’azzurra strillò terrorizzata e istintivamente saltò al collo del collega, staccandosi subito dopo per arrancare più lontano possibile, affannata dallo spavento.
Il sayan, ignorando stoicamente i suoi schiamazzi, si avvicinò al malcapitato e si chinò su di lui esaminando il suo cadavere.
- Ha fatto la fine di un cerino – appurò con triste sconcerto Bulma che, suo malgrado, era stata condotta sull’agghiacciante scenario del morto.
- Troppo cotto per i miei gusti – affermò dissacratorio il Capitano, spintonandolo di nuovo nel cratere – Cosa c’è scritto in quelle dannate carte? Leggete – impose brusco alla piratessa che scrutava il solitario paesaggio circostante con le labbra stropicciate dal disgusto.
La turchina sistemò la tavoletta sotto il lume a olio e decifrò le iscrizioni indicate dalla lancetta che aveva installato: - “La vostra brama non arda con gran danno, mille bocche voraci l’ingoieranno.” – tradusse dopo qualche secondo.
Vegeta stavolta, con sua sorpresa, si fidò e non volle controllare personalmente le righe, ma si limitò a rifletterci. Bulma invece si chinò ad analizzare il terreno: - Queste rocce contengono zolfo e magnesio. Perciò a contatto con la fiamma viva della torcia hanno sprigionato quell’incandescenza quando quel poveretto ci è caduto … Sarà opportuno non commettere lo stesso tragico errore – puntualizzò, strappandolo alle sue riflessioni e affievolendo la fiammella nella campana di vetro che portavano con sé. Gli altri pirati, ancora scossi dall’accaduto, seguirono il suo esempio.
Il moro la squadrò di sbieco, cocentemente indignato dall’essere stato toccato dalla sua sapienza e dal provare un’intima compiacenza nell’averla a fianco.
Il resto del tragitto non si rivelò meno impervio e sfavorevole. Il gruppetto fiancheggiò una corolla di geyser che movimentarono leggermente quella statica atmosfera mortuaria, in cui poco o nulla sembrava mutare da quando una violenta eruzione vulcanica aveva sepolto ogni rigoglio di vita, soffocandola nel fuoco e nella cenere.
Il paesaggio riarso e spoglio incastonato da macigni bruniti, appariva ora una landa completamente piatta e incolore che stringeva il respiro di inquietudine e malinconia. Lo snervamento e lo spossamento degli avventurieri divenivano sempre più persistenti: non si scorgeva nulla di rilevante.
Con uno sbuffo esausto Bulma si acconciò a terra a gambe intrecciate, frenando la catena che la vincolava a Vegeta che, incurante del suo rifiuto a proseguire, non si arrestò fintanto che non avvertì estinguersi il seppur lieve peso che stava spostando. Si voltò e, focalizzandola seduta tranquillamente poco dietro, restò interdetto: - Spiacente. Non tutti sono dotati di una forza sovrumana come voi. – parlò glissando il particolare che, mentre lui disdegnava di guardarla, fosse riuscita a scassinare la serratura, trafficando con una forcina. Il manipolo di briganti che li accompagnava si unì alla protesta della donna, accampandosi e riposando le membra.
Capitan Vegeta sguainò la spada e ruggendo si slanciò verso di lei.
Alla stregua di un lago di ghiaccio su cui si fosse abbattuta una picconata, nel suolo iniziò a propagarsi lo stridio di frastagliate incrinature che si ramificarono sotto i loro piedi. I predoni si scrutarono a vicenda, rimbalzando occhiate offuscate e sperdute, interrogando i due Capitani che si fissavano ammutoliti attraverso lo sfrigolio dell’aria che li separava.
La bussola cerca-sfere riattaccò a ticchettare veloce.
- Non. Muovete. Un ciglio – bisbigliò l’azzurra sollevando lentamente i palmi da terra - Siamo sulla lastra di un minerale fragilissimo ed estremamente sensibile a qualsiasi vibrazione. Ogni variazione di pressione potrebbe frantumarlo …
- Muscovite?! – domandò Vegeta alzando di un tono la voce.
Avvenne in una frazione di secondo: il pavimento litico fu innervato da spaccature più larghe e crollò di colpo, catapultandoli nell’oscurità più insondabile.
Un tanfo di stantio e putrefazione appestava la misteriosa cavità che li aveva risucchiati. Vegeta si affrettò a cercare la torcia e riaccenderla, irradiandone l’alone rossiccio attorno per studiare l’ambiente. Le pareti di quella che aveva creduto una caverna erano lisce, regolari, rette; si presentavano come muri portanti di un’abitazione abbandonata. Qua e là ciarpame e resti di mobilio sembravano confermarlo.
- E adesso come usciamo da qui? – farfugliò preoccupato Radish.
Il Capitano continuava ad inoltrare lo sguardo aguzzo in ogni angolo; mancava una rilevante componente della sua truppa: - Dove si è ficcata quella svampita?
Alla sua biascicata esclamazione corrispose dall’esterno un cinguettio squillante: - Mi chiamo Bulma! L’avete dimenticato? Eppure il mio non è un nome tanto comune … - decantò la piratessa, sbucando alla sua destra spolverandosi la giacca.
A Vegeta ribollì la saliva. Quel suo solito punzecchiante intercalare aveva l’effetto di una pervasiva istigazione. Tribolava per la fame, la sete e una tremenda voglia di uccidere. Avrebbe semplicemente potuto calare la sciabola e reciderle di netto la pulsante giugulare per appagare quei bisogni. Tuttavia, perdute le umane fattezze, si prospettava molto più difficile continuare quell’agognata caccia al tesoro. Quella situazione stava compromettendo il suo io nel profondo.
- Voi siete una gran … - l’imprecazione gli morì sulle labbra, annullata dal tocco leggero ma deciso delle sue dita che, leste e impulsive, vi si posarono: - Una grande esploratrice, ne convengo. Perciò seguitemi. – lo sventò, imboccando impettita una traversa, lasciandosi guidare dalla bussola.
Quella femmina era frizzante, inafferrabile, solleticante spuma di mare, si ritrovò a valutare il filibustiere, con urticante sconvenienza. Fu una questione di secondi perché le sue grida esagitate non rintronassero tutti. Corse nella loro direzione e la rinvenne, tremolante come un filo d’erba, col braccio proteso ad illuminare lo sgangherato ghigno di un teschio.
Le si accostò ridacchiando rocamente: - Dovreste temere i vivi. Quelli sì che possono farvi molto male – la ammonì sferzante, strisciandole davanti e girovagando fra le altre ossa ammucchiate in ogni dove. Gli antichi abitanti dovevano aver cercato inutilmente rifugio in quel grande edificio prima della catastrofe. La città era diventata una catacomba.
- Avete ragione. Mi dispiace. – tornò a parlare Bulma, inghiottendo con fatica il ribrezzo e proseguendo dietro di lui a capo chino.
Aveva pronunciato in un’unica volta due frasi che, una tale vanesia e cocciuta come lei, mai avrebbe creduto fosse capace anche solo di concepire. Vegeta allibì ma restò impassibile; non si sarebbe fatto circuire.
- È più forte di me, ma credo non possiate capirlo – riprese a mormorare la ragazza per allentare la tensione – Voi non avete paura di nulla, o no? – lo incalzò con un sorriso sbruffone.
In quell’istante le mura riecheggiarono di un crescente chiocciolio, simile allo sgorgare di innumerevoli rigagnoli. I pirati si radunarono al centro e in breve non ebbero più fiato.
Erano circondati da uno sciame di fluorescenze di un acceso color rubino.


B-V-cap-XIX

* La muscovite esiste davvero, ho preso ispirazione dal film "Viaggio al centro della terra".

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Capitolo 19
*** XVIII: On stranger tides ***


Salve gente! Buon inizio di 2013 a tutti! :D

Purtroppo questi giorni di vacanza sono stati molto impegnativi e non mi hanno dato modo di scrivere quanto mi ero prefissata :(
(E ci si è messo pure un rigetto per tutto quanto componevo ... >.>)
Con l'incombere della ripresa delle lezioni, però, sentendo lo spirito dell'epifania, mi sono trasformata in BeFanny Sparrow, e mi sono affrettata a stendere un nuovo capitolo.
Spero vi piaccia e che nonostante abbia dovuto metterci di nuovo un bel po' di terminologia marinaresca, il tono prevalentemente leggero e qualche sassolino che ho lanciato, possano rendervi gradevole la lettura.

Come sempre ringrazio tutte le anime pie che dedicano il loro tempo continuando a leggere e chi ogni volta mi lascia il suo parere.

Al prossimo approdo!)


XVIII: ON STRANGER TIDES

La pressione sanguigna si era arrestata di colpo, confluendo rapidamente al pari di un getto vulcanico in un’unica zona del suo corpo che continuava a pulsare dandole un senso di ottundimento e vertigine. Se un’onda anomala l’avesse sbalzata con tutta la sua potenza contro uno scoglio, l’effetto sarebbe stato identico.
- Per mille cacaracci schifosi! Avete davvero la capoccia dura come il granito! – sbraitò Bulma, stordita e dolorante, risollevando la schiena dallo scheggiato parquet, massaggiandosi la fronte su cui le sembrava stesse gonfiandosi un deturpante bernoccolo – Che male! – guaì, scalciando forsennatamente e mollando un colpo di tacco sugli stinchi del responsabile dei suoi lamenti.
Vegeta, che nell’impatto era rimasto nella sua solita posa rigida con i piedi perfettamente piantati, stramazzò miseramente nell’imprevisto ostacolo di una delle lunghe gambe della donna, che gli si era parata davanti, ingarbugliando le cinghie degli stivali e rifilandogli un involontario sgambetto.
- Razza d’imbranata! Avete la grazia di un leviatano! – proruppe in un latrato esasperato, facendo leva sulle braccia per rialzarsi da quella posizione ridicola che lo vedeva col fondoschiena per terra. Nessuno poteva vantarsi di essere mai riuscito ad atterrarlo in un duello, né in alcun altro modo, rimuginò piccato, districando le caviglie da quelle di lei e arretrando carponi, sentendo le assi inclinarsi.
Le movenze fluide e flessuose con cui l’azzurra gattonò verso di lui contraddissero immediatamente l’irriverente insulto che le aveva lanciato. I delicati tratti del suo viso erano ambrati dal riflesso dell’unica fiamma languente sopra di loro, e apparivano semplicemente deliziosi, ancor di più per le piccolissime e luccicanti stille scarlatte che le sgorgavano da una tempia.
Gli si avvicinò tanto da riuscire con i suoi sensi sovraumani a percepire il lievissimo moto d’aria generato dal rapido battito delle ciglia curvilinee, che incorniciavano quelle gemme d’oltremare con cui lo scrutava diretta e impavida. Il suo ginocchio, insidiandosi distrattamente a sfiorargli l’inguine, fece deglutire ad entrambi un denso e caldo grumo di saliva.
Quell’eccentrica spavalda stava rischiosamente esagerando con i contatti ravvicinati, attentando alla sua stessa integrità. Era una finta vittima, perfettamente consapevole delle regole del gioco, ma non esattamente della posta in palio.
- Il mio compasso d’argento, se non vi spiace – lo sollecitò imporporata da un misto di irritazione e imbarazzo, scostandosi un poco da quella conturbante prominenza.
Non era mai stato un tipo morigerato e detestava che quell’incantevole smorfiosa lo sottoponesse ad una tentazione continua, non solo come mostro dannato che rispondeva al più primordiale istinto di sopravvivenza, ma anche come qualunque uomo fatto di vulnerabile carne. Dovevano restare lontani e ostili: solo così poteva sperare di non cedere all’impulsività e cadere nell’errore di sventrarla. O semplicemente assaggiare la consistenza vellutata della sua pelle di madreperla.
Quando Bulma allungò una mano per riprendersi da sola il biforcuto oggetto metallico, che gli si era conficcato proprio nella coscia, lui la precedette, schioccando le dita verso il borsello di cui si era indebitamente appropriata: - La mia sfera del Drago – rivendicò gelosamente, protendendosi in avanti così che la sua scomposta criniera corvina le gocciolò sui cerulei capelli.
Senza chinare lo sguardo fermo e combattivo, la ragazza si strappò la sacchetta dalla cintola e gliela poggiò con veemenza sul palmo, mentre lui, intascandola, estrasse la punta del compasso e lo scagliò dalla parte opposta della stanza, per poi librarsi vincendo il pesante beccheggio causato dal fortunale. Quella creatura era un’ipnotica droga, ma era abituato a ragionare come un consumato schermidore e a stare sempre sulla difensiva.
- La vostra cafonaggine è pari solo alla vostra cocciutaggine! – inveì la piratessa a denti stretti, continuando a spostarsi bocconi per recuperare gli altri preziosi strumenti nautici, volati dal tavolo e sparpagliatisi nel guazzabuglio seguito allo scuffiare del vascello. Si ricredette: quel farabutto non aveva nulla di principesco, tantomeno di affascinante. E ora che avevano ricominciato a litigare si sentiva più tranquilla, vergognandosi delle sciocche fantasie in cui era pressoché naufragata pochi istanti prima.
- Sanguinate – asserì Vegeta in un afflato stizzito e incomprensibilmente accusatorio, apprestandosi a lasciare la cabina. La nave abbatteva di continuo in chiglia e voleva sincerarsi non fossero stati tutti inghiottiti dal furore delle onde.
Bulma, che stava ricomponendo mentalmente la lista di oggetti dispersi o frammentati nella caduta, rastrellandone i pezzi, si interruppe solo per borbottare un seccato: - Ci mancherebbe anche questo – tuttavia un sottile rivolo le solleticò la guancia, scorrendo fino alla fossetta a lato della bocca, e, leccandolo con la punta della lingua, ne riconobbe il blando sapore ferruginoso. Non capì comunque come avesse potuto notarlo lui, data la distanza. Ripulendosi e tamponandosi con un fazzoletto, presentì di nuovo un balenio di ancestrale avvertimento e credette di poter vedere le sue sclere avvolte da torbida antracite. Mentre con finta noncuranza riattaccava con gesti imprecisi ed affrettati alcune rondelle, gli mandò un’occhiata sghemba che si infranse sulle sue spalle, e fu ricambiata invece dal nuovo arrivato, Nappa, i cui occhi fumosi si accesero di un riso vizioso percuotendo il profilo del suo rotondo posteriore arcuato a ponte sul pavimento.
Lo ignorò strisciando dietro il piede del tavolo, cercando tastoni il volume delle effemeridi e toccando invece un cerchietto metallico che pareva la maniglia di una botola nascosta sotto il tappeto …
Intanto il Capitano, acrimonioso e furente, calunniò il suo secondo: - Si può sapere che diamine state combinando? Sembra vi sia una scimmia ubriaca al timone! – lo riprese bruscamente, fingendo di non aver intercettato il suo sconsiderato interesse lascivo per la prigioniera, coricata per terra e intenta a riassemblare le strumentazioni.
Il pirata dal cranio tatuato non recepì il doppio valore sottinteso in quell’arronzata, ma la maniera intollerante e dispotica con cui quello reclamò la sua completa attenzione, coprendogli parzialmente la visuale, per quanto glielo consentisse la statura di molto inferiore alla sua, lo costrinse a guardarlo fisso, senza farsi distrarre da quella notevole femmina, e riferendogli con tono remissivo tutto quanto: - Signore, è comparsa un’enorme colonna d’acqua, una roba mai vista, giuro. Abbiamo acquartierato gli alberi e messo le vele alla panna … Stavamo per finirci dentro …
Vegeta si limitò a serrare forte un pugno, anche se gli avrebbe volentieri spaccato il naso. Oltre vent’anni di carriera marinaresca nelle ossa, e ancora quella rapa non sapeva nominare un ciclone quando ne scorgeva uno. Uomini stolti come lui gli macchiavano la reputazione, oltre a farlo sfigurare con la saccente Capitana sirena. Lo rallegrava pensare che tanto, esauditi i suoi desideri, non avrebbe avuto più bisogno di lui o altri.
Senza lasciare intendere se fosse soddisfatto o in disaccordo con quanto gli era stato riferito, si sporse all’esterno per constatare di persona cosa stesse accadendo: - Diavolo, sì! È il peggiore uragano in cui siamo mai incappati! – decretò elettrizzato, perdendosi ad osservare le turbinose spire schiumanti che si innalzavano formando una colonna perturbata da lampi e moti temporaleschi – Non lo trovate eccitante? – provocò i suoi alzando la voce, inferocito ed euforico, al punto da sbriciolare le loro speranze di un ripensamento o uno scherzo.
Nappa ascoltava gli ordini suicidi che stava impartendo alla ciurma diventando terreo, ma non osava intromettersi e li ripeteva meccanicamente.
Bulma, che era tornata in piedi approfittando dello stato di minore mobilità del vascello, si affacciò sull’uscio della cabina, frapponendosi ai due che ruggivano più forte del fragore della tempesta: - Anziché andare alla poggia e insaccare le vele, sarebbe più opportuno bracciare in croce e poi cercare di appoppare la nave. Dobbiamo infilarci nel gorgo, non aggirarlo! – urlò reggendosi saldamente alla ringhiera della balconata.
Il Capitano, pizzicato da quell’intraprendente ingerenza, appendendosi ad una cima basculante calò dal battisartie piombando al suo fianco: - È esattamente quello cui sto mirando. Voi asserragliatevi nella vostra cabina. Siete d’intralcio non d’aiuto, qui – le ringhiò addosso fiammeggiando di bile. Ma non la intimorì.
- Quello non è un uragano né un ciclone – appurò la navigatrice, esaminando con scrupolo, da dietro le lenti di un binocolo, il vortice di vento e acqua che si stagliava al di là dei cumulonembi sovrastanti – Se così fosse dovrebbe venirci incontro, invece è immobile. Sembrerebbe piuttosto una sorta di passaggio trascendente – desunse porgendo lo strumento ottico allo scorbutico collega che lo strinse dopo un attimo di perplessità, essendo la prima volta che gli capitava un cannocchiale doppio, e non essendo certo di aver inteso pienamente la spiegazione fornita dalla donna.
Con quell’aggeggio si accorse anche lui della peculiarità di quel fenomeno: - Qualunque cosa sia, la fotteremo alla grande. Contateci.
- La Terra del Sole Morente è una delle regioni più aspre e proibitive del pianeta. Ben pochi sono riusciti a raggiungerla e chiunque l’abbia fatto non è stato più capace di ritrovare la via del ritorno – seguitò a parlare con incipiente scoramento la turchina, volendo testare la sua reale temerarietà per quell’impresa che si prospettava avventata e disperata.
Vegeta piegò leggermente la testa e la fissò con intensità, dentro le orbite azzurre e in ogni minuto particolare del suo volto, arrossato dallo sbalzo di temperatura e sferzato dalla gelida pioggia. E curvò la bocca, divertito dall’ostinazione con cui lo fronteggiava, anche lì fuori, nonostante tremasse per lo sferzare della corrente e lo sbruffare delle onde che si riversavano fin sulla plancia: - Non avete davanti a voi chiunque – assentì permaloso e risoluto, imbracciando con impeto il timone e scacciando selvaggiamente il roccioso marinaio astante.
- Lo so. Per questo vi ho scelto come alleato – sostenne Bulma con ovvietà e senza alcuna civetteria, pur non nascondendo un’espressione in parte ammirata. Lui parve non considerare quella battuta, ma lei storse le labbra: ci era cascata di nuovo. Pregò che superassero presto quella burrasca o qualunque cosa fosse, perché i nervi e le corde vocali non li controllava più.
- Spiegate fino all’ultimo misero terzarolo sfruttando ogni dannata folata! Stiamo scadendo, dobbiamo riguadagnare l’abbrivo e farci risucchiare da quella tromba come fosse la bocca di un’ingorda puttana!– urlò esagitato il comandante virando di prua, dritto alla conquista di ogni brandello di vento propizio a maciullare quante più gomene sotto l’affilato tagliamare.
Capitan Brief sussultò, travolta dalla brama di potere e dalla sfrenata passione che trasparivano da quell’incitamento, che peraltro non tardò a dare i suoi frutti. Ad ogni virata la Bloody Wench si ravvicinava sempre più all’orlo della gigantesca e muggente spirale d'acqua, che soffiava con furia ingovernabile attirando a sé il veliero senza lasciargli più scampolo alcuno di invertire la rotta intrapresa.
Schiumanti flutti si frantumavano sulle murate e si rovesciavano strepitanti sui ponti, inzaccherando e sferzando le robuste membra dei marinai temprati dal soffio costante dell’oceano, che si trascinavano da un bordo all’altro sfilacciandosi i palmi sui ruvidi canapi, tesando e lascando. Gli indomabili frangenti spazzando la tolda li falcidiavano, sollevando e rivoltando i loro corpi come piume. Alcune richieste di aiuto erano tragicamente annegate riempiendosi di sale.
- Non sarà il caso di imbragarci tutti?! – strillò vinta dal panico Bulma, avendo più volte sentito venir meno la presa delle sue deboli braccia sulla balaustrata unta dalla salsedine, dacché la nave aveva ripreso ad abboccare, imbarcando altre spumeggianti onde. E l’agitazione di quel mare verdastro, col suo pauroso e tumultuoso ululare, non prometteva alcun miglioramento della situazione.
Le nocche di Vegeta erano livide e sbiancate nello sforzo di contrastare le rotazioni ormai ingestibili della ruota timoniera: - Nessuno deve lasciare i posti di manovra – asserì digrignando la mascella e scuotendo la testa per rimuovere le frange di capelli bagnati e arruffati dalla pioggia che gli si erano appiccicate agli occhi.
- Non siate ottuso! Di questo passo perderete la maggior parte dei vostri uomini! – lo rimproverò la collega, dopo che l’ennesimo bucaniere aveva evitato di scivolare fuori bordo, salvandosi per un briciolo di accortezza mostrato da un compagno che gli aveva porto il braccio. E ne aveva contati almeno tre precipitare dagli alberi direttamente in mare.
- Si salveranno i migliori: i più forti e i più fortunati. È la dura legge della natura – convenne irremovibile il Capitano, amareggiandosi di essere puntualmente smentito ogni qual volta provava ad illudersi che quella donna fosse un po’ meno fastidiosa e petulante di come l’aveva subito giudicata.
La giovane, tirando fuori dall’inseparabile borsa a tracolla una matassina di rafia ed ibisco, effettuò rapidamente una gassa a serraglio attorno alla trave del parapetto, legando l’altra estremità al cinturone: - Sì, ma non vorrei rischiare restassimo solo voi ed io su questo lurido legno!
- In effetti, sarebbe terrificante! – rincarò la dose il moro, corrugando la fronte in un’imprecazione sdegnata e sardonica cui lei rispose con una linguaccia, afferrandosi al corrimano e sforzandosi di non eseguire una serie di capriole lungo la rampa che scendeva sul pagliolo per distribuire i suoi altruistici suggerimenti di sopravvivenza al resto dell’equipaggio.
E la cosa che disturbò Vegeta fu osservare perfino qualcuno che li accettava.
Tra quelli che stavano assicurandosi con delle cime al complesso sistema funicolare disposto nella parte maestra, vi era anche Yamcha.
- Hai una qualche idea di come portarci in salvo? – chiese ansioso all’amica che gli aveva sommariamente spiegato a quale incognito fenomeno stavano andando incontro – Io sono ancora così giovane, ci sono un milione di cose che non ho ancora provato nella mia breve vita! – scherzò anche se con una porzione di tangibile terrore e rimpianto.
- Tu, eh? – si inasprì Bulma, strattonando con eccessiva enfasi il nodo incrociato con cui l’aveva aiutato ad imbracarsi.
Lei non aveva mai potuto partecipare ad una festa piena di luci, passeggiare al chiaro di luna, svegliarsi al mattino nel morbido tepore di un letto. O permettere al cuore di battere forte per qualcuno …
In quel preciso istante il suo palpito rallentò.
In tutto quel trambusto aveva perso la cognizione delle ore trascorse dall’alba; nemmeno i sensi l’aiutavano, poiché la tempesta aveva l’effetto di una trottola che confondeva le sue sensazioni. Non aveva tempo né modo di rifugiarsi di sotto. Ammesso che fosse scampata a quell’attraversamento, sarebbe riemersa con le pinne.
- Ci siamo! Mollate gli imbandi!
Il Capitano manovrò energicamente la barra del timone fino a portarlo a frenare rapidamente il movimento angolare dello scafo. Chiodi e pavesate scricchiolarono e rullarono, alberi e velature stramazzarono, e il vascello sollevando la prua fendette la gorgogliante barriera d’acqua che, tra urla, bestemmie e preghiere, lo ingollò come fosse la mastodontica gola di un mostro marino.


Se c’era una cosa che detestava ancora più dell’apprendere cattive notizie era esserne il messaggero.
Gli era già successo qualche mese prima, essendo stato l’unico superstite dell’arrembaggio di quelle due furie. Lei aveva convinto il fratello a risparmiarlo solo perché potesse raccontare della sanguinaria impresa seguita al loro fulmineo passaggio.
Addio cucciolo.”
Tre giorni era rimasto a vegliare i cadaveri trucidati dei compagni prima di scorgere le vele arancioni della Speedy Cloud, arrivata come un miraggio a soccorrerli.
Il vento poteva davvero girare in maniera capricciosa, pensò, mentre avvolgeva in un velaccio, che era stato rimosso per un raddobbo, il telo stracciato che aveva trovato impigliato al parrocchetto.
Il fondo pervinca, un simpatico delfino guizzante tra una stella marina e una conchiglia. Nessun brigante che navigasse i sette mari si sognava di usare simboli così innocui, ma lei andava famosa per la furbizia e l’ingegnosità, non di certo per la ferocia. Non poteva avere la certezza che fosse stata sconfitta, però smarrire la bandiera era un cattivo segno.
Crilin ritenne opportuno non gravare di altre preoccupazioni l’amico che era stato convocato sulla Castle of fire, la nave ammiraglia della Flotta Imperiale. Si infilò nella buca del gatto e percorse la scaletta di corda raggiungendo il resto della ciurma, schierata sul ponte principale in attesa del ritorno del Capitano Muten e del suo vice Son che stavano attraversando la passerella montata tra i due bastimenti.
I sottoufficiali diedero alla svelta l’ordine di salpare le quattro ancore e issare le gabbie. Gli alisei, investendo il veliero a fil di ruota, contribuirono a sospingerlo in breve tempo fuori dalla baia dove si era messo alla fonda.
Crilin stava puntando verso il boccaporto del ponte intermedio quando si vide oscurare dall’ombra di Goku: - Finalmente sono arrivate le nuove direttive dell’Ammiragliato. Il nostro viaggio riprende – gli schiacciò l’occhio sprizzando buonumore.
Il piccoletto nascose il fagotto sotto il braccio, cercando di allontanarsi, ma il giovane tenente era troppo contento per tenersi dentro le novità.
- Vogliono che facciamo vela dall’altra parte del globo! – gli comunicò con gli occhi brillanti per l’ignota sfida che si prospettava.
Il guardiamarina si sfilò la berretta, asciugandosi con la manica della giacca la testa rasata:
- Davvero? – esclamò, più accomodante e sovrappensiero che realmente curioso.
Goku annuì portandosi un braccio dietro la nuca e ridacchiando emozionato; sembrava tutto incredibile anche a lui: - Mi mandano in missione dal Dio del Mare del Nord!



Chambers-Ship-in-Storm

* Vocabolario nautico
Cacaracci: scarafaggi che stanno sulle navi.
Arronzata: rimprovero molto severo rivolto dal superiore all'inferiore reo di una mancanza.
Acquartierare gli alberi e mettere le vele alla panna: una opportuna combinazione che serve a fare indietreggiare la nave rispetto alla direzione impartita dal vento e dalla corrente marittima.
Andare alla poggia e insaccare le vele: due manovre impiegate durante le tempeste troppo violente che servono a ridurre l'esposizione rispettivamente della prua e della velatura alla forza del vento.
Bracciare in croce: disporre i pennoni con il vento in poppa.
Gomena: unità di misura marina che corrisponde ad un decimo di miglio (circa 200 metri).
Tagliamare: spigolo anteriore della prua, così detto perché fende l'acqua con il moto di avanzamento della nave.
Pagliolo: piano di calpestio di dimensioni ridotte, distinto dal ponte vero e proprio.
Mollare gli imbandi: significa  lasciare le manovre, ovvero tutti i cavi che tengono in  tensione veli e alberi, così che la nave venga guidata solo da vento e onde.
Parrocchetto: è una parte del trinchetto, albero di prua.
Buca del gatto: lo stretto passaggio che consente di entrare sulla coffa, la pedana circolare posta sugli alberi su cui stanno le vedette

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Capitolo 20
*** XX: Escaping from underground (part I) ***


Salve gente!
Col mio solito ritardo, sbarco nuovamente in questo fandom per lasciarvi un nuovo capitolo di questo mio primo esperimento di AU piratesca con personaggi di Dragon Ball.
Questo capitolo nella mia mente avrebbe dovuto contenere molte più scene, ma scrivendolo mi sono resa conto che con le necessarie descrizioni mi stavo dilungando troppo rispetto alla media, perciò ho deciso di tagliarlo a metà: almeno forse ci metterò meno a postare il prossimo!
Vi annuncio tra l'altro che dovrei essere ormai a metà con la storia in generale, ma che continuo ad accettare consigli e critiche (soprattutto nella gestione dei personaggi^^).

Ringrazio come di consueto tutti coloro che leggono, mettono tra le seguite e commentano questa ff.

Alla prossima bordata!)


XX: ESCAPING FROM UNDERGROUND (PART I)

I luccichii vermigli che avevano costellato l’imperscrutabile luogo d’un tratto si affievolirono e dall’oscurità emerse un brulicante stuolo di zirlanti animaletti pelosi.
- Topi! – sputò schifato Radish – Detesto i topi – mugugnò sfiorando il calcio delle pistole che teneva nelle due fondine ascellari nascoste sotto la giubba.
Uno di quei curiosi batuffoli zampettò innocuamente verso Bulma, rimasta un paio di metri avanti rispetto agli altri, inducendola a piegarsi sulle ginocchia per osservarlo con lo stesso circospetto interesse. Il suo corpicino tondeggiante, ricoperto da una soffice e folta peluria bruna, poteva essere racchiuso facilmente nel palmo di una mano e delle grandi orecchie a cerchietto sporgevano sulla testolina culminante in un nasino appuntito su cui spiccavano enormi occhi di un rame luminoso.
- Oh, che adorabile scricciolo! – trillò intenerita la ragazza, mentre il pelosetto, superata la diffidenza, la annusava, strusciandosi e lasciandosi carezzare la morbida schiena – Magari loro conoscono una scorciatoia per uscire da qui – ipotizzò sorridente, ruotando leggermente il volto in direzione dei compagni, tutt’altro che rallegrati dalla nutrita presenza di strani roditori che continuavano a spuntare da ogni fessura, accerchiandoli.
- Come accidenti fanno a prolificare tanto in questo postaccio? – tornò a frignare il filibustiere dalla lunga criniera incolta, interpellando indirettamente Vegeta che taceva, teso e concentrato, gettando meticolose occhiate su ogni elemento immerso nell’opprimente scuro circostante, debolmente screziato dalle loro poche scemanti fiaccole. Ne strappò una dalle dita tremolanti di un mozzo, dirigendo il vivo bagliore sui consunti scheletri sparpagliati sul pavimento, che un tempo doveva aver splenduto di variopinti marmi, e sulle reliquie di arredo, altrettanto sparse, appurando che presentavano gli inequivocabili solchi di un intenso e prolungato rosicchiamento.
E con ciò si disingannò della docilità simulata da quei graziosi musetti.
- Quei mostriciattoli hanno spolpato e sgranocchiato per anni tutto quello che è stato sepolto qui sotto. E adesso finalmente si sono imbattuti in carne fresca … - presentì intercettando lo scintillio feroce dei loro aguzzi canini, scopertisi nel cantilenante stridio che divenne più acuto, anticipando, come un segnale di guerra, l’istantaneo attacco che ne seguì.
La Brief cacciò un urlo e lui, sfrecciando in avanti, gettò la fiaccola in un vetusto braciere, scivolò sul lastricato pullulante di pelose sanguisughe e impugnò le armi, iniziando a sparare a casaccio per allontanarle dalla sua traiettoria.
Anche se la creaturina era morta stecchita quasi all’istante dopo averle morsicato un mignolo, Bulma l’aveva appena vista prima di sentirsi sollevare e trascinare indietro, per rendersi poi conto di essere sospesa a mezz’aria, sorretta dal poderoso braccio del suo riluttante alleato, avvoltosi possessivamente alla sua vita. Col respiro che stentava a regolarizzare il suo normale flusso, scrutò il suo sguardo schivo e distante mentre la poggiava in piedi trattenendola ancorata a sé, non capendo se fosse grata o spaventata dalla sconcertante rapidità con cui l’aveva salvata dall’assalto di centinaia di minuscole bocche affamate.
Ignorandola come fosse una naturale estensione del suo corpo, Vegeta aveva ripreso la mira e aperto il fuoco con precisione, suggerendo ai suoi di agire alla stessa maniera, per innalzare una barriera non priva di falle. Le scariche delle lente armi a pietra focaia, infatti, deflagravano ad intervalli troppo distanziati per frenare gli instancabili attacchi di quei diavoletti mossi unicamente dalla frenesia di nutrirsi, e fin troppo piccoli, lesti e sfuggenti per essere bersagliati da proiettili grossi e pesanti come i loro. I pallini di piombo schizzavano su pietre e mura dirute, rifrangendosi con sordi echi e tremori sulla volta modellata da magma e lapilli, da cui piovigginava una finissima cenere.
- Merda! Ma quanti sono? – si dannavano gli uomini, incallendosi ad attingere alle munizioni, nonostante i loro improduttivi effetti su quella formicolante massa che si allargava a macchia d’olio, riducendo il loro spazio d’azione.
Bulma recuperò le carte dalla bisaccia, esponendole ad un filo di luce fluttuante tra le oblunghe ombre: - “Sono piccoli e lanosi, d’ogni animal golosi, se indenne vuoi passare ai tintinichi qualche pezzo dovrai donare”? – lesse con difficoltà per gli strattoni e i bruschi spostamenti cui la costringeva Vegeta.
- Tintinichi! Ci mangeranno vivi tutti! – si lagnò Radish, sfiancato da quell’inutile ed impari combattimento, e insofferente alla muta reazione del Capitano la cui inespressa riflessività non era sfuggita neppure alla piratessa, che attendeva impaziente una sua intrepida iniziativa.
- Non se resti tu a saziarli – tuonò con una risata strafottente Vegeta, colpendo in quello stesso istante tre bestioline con un'unica pallottola.
Il suo secondo imprecò furibondo, serbò le pistole e, valutando il meno dotato fisicamente tra i marinai lì con loro, sguainò entrambe le spade e gliele infilzò con una secca mossa nei reni per poi ritrarle, buttandolo con un violento calcione tra le grinfie dei voraci animaletti.
Il ragazzotto biondiccio esalò allucinanti urla di aiuto, finché un nugolo di denti gli lacerò la pelle masticandone i tessuti, sbranandogli gli occhi e portandogli via la lingua.
Tuttavia la vittima che era stata crudelmente immolata non aveva dissuaso che una minima parte della prospera fauna. E un altro marinaio cadde tra le loro zampe, venendo atrocemente divorato ancora cosciente e vivo.
- Oh, Santo Dende … – gemette l’azzurra abbassandosi la falda del cappello sulla fronte e tappandosi le orecchie, scossa da tanto orrore che pareva lungi dall’esaurirsi. Lacrime di ansia le spezzavano la voce: - Pistole e sciabole … Possibile sia tutto qui il vostro armamentario? – urlò sbigottita interrogando lo scontroso collega, i cui pronti riflessi, tuttavia, l’avevano protetta con impeto inaspettato.
Le creaturine osavano salti e corse sulle pareti squittendo sempre più vicine ai loro corpi.
Per tutta risposta Vegeta sciolse ruvidamente la presa con cui la teneva attaccata al proprio petto, sbatacchiandola dietro di sé per afferrare più agilmente le granate di cui aveva munito la cintura allacciata attorno ai fianchi. Scagliò gli ordigni ad una rapidità tale da sembrare fossero i suoi pugni a generare quelle bombe incendiarie, creando scompiglio e distogliendo i tintinichi con i brandelli esplosi dei loro simili sui quali si avventarono, dimenticando gli uomini.
Bulma gli vide rivolgere gli ultimi colpi di moschetto al soffitto ad intaccarne la già precaria stabilità, ottenendone, come forse aveva anticipatamente calcolato, il disastroso sgretolamento. Con una reazione a catena una polverosa valanga di detriti iniziò a travolgere e sommergere quel che restava dell’antico palazzo, cancellando la possibilità di tornare indietro per il passaggio da cui vi erano arrivati.
Radish e gli altri bucanieri sfruttarono l’atteso diversivo precipitandosi nel senso opposto al putiferio di crolli e trilli soffocati che li rincorreva, rasentando il rischio di inghiottirli insieme ad essi: - Correte bastardi, correte! Cercate una via d’uscita da questa lurida topaia! – si incitavano a vicenda, accalcandosi alla ritirata.
Bulma esitava, volendo prima ricontrollare le indicazioni della fidata bussola: - Un momento … E la sfera? Siamo qui per questo! – rammentò loro seppur sconvolta dal polverone irrespirabile che vorticava, tentando di sottrarsi alle scalmanate spinte che la sollecitavano a muoversi senza altra meta al di fuori dell’immediata salvezza. Decisa a trovare dove si celasse anche da sola, giacché gli altri erano vigliaccamente svignati, si addentrò in una stretta cavità per proteggersi dai violenti tremori del terreno e indagò il moto dell’ago col fioco lumicino agganciato alla tracolla.
Poté scoprire, così, che il territorio che stavano percorrendo apparteneva ad una città di nome Gingiber la cui topografia era riprodotta particolareggiatamente nelle Carte da lei assemblate. E, considerato che l’edificio visitato in precedenza era la basilica, non doveva far altro che seguire la strada principale per arrivare al luogo che custodiva il tesoro. Trionfò interiormente emozionata, ma qualcosa di freddo le scostò i capelli, lambendole il collo e innervandole un brivido fino alle dita dei piedi, vanificando il suo intento di eroina solitaria.
- Dopo di voi, Brief.
- Siete un disgraziato! Mi provocherete un colpo apoplettico! – sussultò ansimante, mentre Vegeta spostava l’arrotata lama del pugnale e le pungolava il bacino sollecitandola a camminare.
Il riecheggiare della scampata cascata di schegge che scorreva come un torrente la convinse ad assecondarlo. Gli annuì nel buio senza rispondere al suo tono accusante, quanto meno per avere una valida scorta in caso fossero incorsi in altri spiacevoli incontri.
Nella campanula di vetro che aveva ancora con sé, il mocciolino della candela era ormai incapace di spandere luce oltre un segmento di pochi pollici, e la densa oscurità, risonante di invisibili scricchiolamenti e rotolamenti di sassolini, intorpidiva i suoi muscoli motori accelerando all’impazzata quello cardiaco. L’unico suono distinguibile e rassicurante, oltre a quello delle loro suole che calpestavano il selciato di lava essiccata, era il fruscio della lancetta che batteva sul quadrante.
Per Bulma trovarsi in assenza di luce non era una semplice fobia, significava sentirsi inerme e diversa. Con quell’imprevedibile furfante alle calcagna, poi, che prima la sottraeva alla morte e un attimo dopo minacciava di mozzarle la testa, era come passeggiare in un incubo.
Per Vegeta, d’altra parte, quel vagare nelle tenebre si collegava alla sensazione snervante del vagare negli abissi, una sensazione che in quel momento era resa ancora più precisa dall’aver captato lo stimolante odore della paura che promanava da ogni poro di quella donna. La nitida immagine della creatura azzurra palpitante davanti a lui, germogliava nella sua mente senza che gli occorresse vederla con gli occhi.
I polpacci si stavano atrofizzando e percependo pure uno sfuggevole sfregamento sulle cosce e sui fianchi, i fragili nervi di Bulma non ressero più: - Ritraete quelle sudice mani!
L’altro pirata accese un fiammifero davanti ai pozzi scuri con cui la fissava, dimostrandole di trovarsi qualche metro più avanti: - Presuntuosa – mormorò con un miscuglio di irriverenza e affronto, svoltando e proseguendo oltre.
Farfugliando, la ragazza rovistò nella ben provvista sacca, rinvenendo a tatto qualcosa che le sarebbe stato utile a spiegare l’autore di quel persistente contatto. Ruotò lo zigrino di pietra e, con la fiammella che ne sfavillò, sbirciò ad occhi socchiusi cosa fosse a strisciarle addosso. La raccapricciante scoperta di ossute falangi che penzolavano dentro le tasche della sua giacca sfumò il suo proposito di mantenere la calma: - Oh! Che schifo! – si agitò iniziando a trotterellare convulsamente per scrollarsele. Così facendo urtò accidentalmente contro altri cadaveri mummificati appiccandoli con l’accendino che sventolava in mano.
La scia di fuoco rosseggiò i contorni di colonnati e archi di basalto che si ergevano formando un’ampia navata sormontata da un lucernaio nella zona absidale, rivelando ai due esploratori un imponente tempio in cui avevano trovato rifugio una moltitudine di persone, adulti e bambini.
A quella rivelazione Bulma si ricompose, rattristandosi per quel macabro spettacolo. Vegeta, restando impassibile, notò poco lontano, rovesciato sul pavimento, un grande lampadario con una dozzina di bracci e ne staccò uno contenente ancora della cera, ricavandone una torcia che sostituì al proprio bastoncino impregnato di zolfo. Senza troppe parole scippò alla ragazza la bussola e si allontanò a perlustrare l’edificio con un’unica solerte raccomandazione: - Niente iniziative.
La giovane avventuriera, protestò e disobbedì quasi subito a quell’intimidazione. Era terribilmente curiosa, dote che spesso e volentieri diventava dannosa, pur essendo il motore di ogni sua azione. Servendosi unicamente dell’accendisigari a foggia di cavalluccio marino che aveva da poco brevettato, lo rincorse a perdifiato, scansando con azzardati saltelli i tanti ostacoli disseminati dai crolli e dalla colata lavica che nella sua tracimazione aveva squarciato gli stessi palazzi.
Il Capitano era fermo sul bordo di uno scalone di pietra che scendeva verso un dislivello, e poiché l’oscillazione della lancetta si era bloccata e indicava di proseguire dritto, seguitò ad avanzare, trascurando l’invito della collega di aspettarlo. Bulma, però, lo sorpassò, fiondandosi sulla scultura che in atto implorante volgeva le braccia al cielo reggendo un familiare oggetto sferico. Vi girellò intorno soppesando la procedura con cui cavare la sfera che pareva mineralizzata tra gli arti dell’enigmatica figura.
- Probabilmente dovevano considerarla una sorta di idolo apotropaico – mormorò, salendole un singulto nel riconoscere che intorno a quella statua erano state fossilizzate le disilluse speranze di un popolo sventurato.
Vegeta si avvicinò con la bussola ancora chiaramente ticchettante: - Tsk. Babbei ignoranti – commentò algido, restituendole spicciamente le Carte del Supremo e allontanandosi a perlustrare il resto del tetro santuario. Bulma si limitò a volgergli un’occhiataccia di biasimo, lamentandosi sottovoce di non ricevere la sua collaborazione che le sarebbe stata gradita, vista l’altezza in cui si trovava il pezzo da recuperare. Si inerpicò malferma sul piedistallo, attinse martellino e scalpelletto dalla fornitissima borsa degli attrezzi e si diede da fare. Quanto minimo Yamcha le avrebbe permesso di arrampicarsi sulle sue spalle senza che glielo chiedesse, invece quell’arrogante la considerava manovalanza. Scosse la testa per rimuovere i minuzzoli che le erano fioccati in faccia giurandosi che lei comunque non lo avrebbe supplicato. Tra un colpetto e l’altro si interruppe ad ascoltare uno scalpiccio, veloce e leggero, che non sembrava appartenere ad uomini.
Poco lontano dei lucenti puntini rossi sbocciarono come gerani nella nuda terra.
Un raschiante sibilo e la palla di pietra le cadde direttamente in grembo.
Vegeta stridette, rinfoderando la spada con cui aveva dato un taglio netto all’effige di marmo.
- Avreste potuto farlo subito! – gli imputò lei, custodendo premurosamente la sfera assieme agli altri strumenti e nascondendosi dietro di lui.
Il Capitano con la pistola bersagliò di proiettili l’indiavolata massa di animaletti sopravissuti, poi col moschetto sparò verso l’alta volta sovrastante ma tutti i colpi rimbalzarono senza produrre alcuna crepa nel massiccio materiale.
Bulma provò a tirarlo per la manica suggerendogli di scappare e tralasciare quella stupida e impossibile vendetta, non sospettando che la sua mente macchinosa avesse già escogitato un piano di riserva. Contò le rimanenti granate e si spogliò del lungo spolvero tagliandolo a metà col pugnale: - Toglietevi la giacca. E filate al portone – ordinò irremovibile alla ragazza, tirando una pistolettata e indicandole con un cenno la strada che avrebbe dovuto seguire.
La turchina trasalì di fronte a quella richiesta: il suo piano le restava oscuro, tuttavia aveva sperimentato che quel briccone era tanto folle e orgoglioso da non ammettere un fallimento e neppure un consiglio. Badando a non attrarre troppo l’attenzione delle bestioline che incombevano e volendo capire cosa intendesse architettare, si sfilò con lentezza l’indumento che lui afferrò girandosi di scatto, strappandolo poi in due parti. Molto rapidamente usò ciascuna di esse per aggomitolarvi le bombe riversandovi la scorta di polvere pirica contenuta nella personale fiaschetta, e, con movenze degne di una tarantola, scalò fino in cima i due pilastri portanti sui cui capitelli andò a piazzare gli ordigni, assicurandoveli con la stessa stoffa delle giacche.
Quel tipo era capace di acrobazie incredibili, che poco avevano da spartire con l’umanamente possibile. La sirena si domandò se fosse per tale ragione tanto squinternato da giocare con la morte, non curandosi delle conseguenze delle sue idee scellerate.
Vegeta attese l’attimo propizio e accese le micce, gettandosi nel vuoto. A Bulma si congelarono le vene e non fu più sicura di essere in grado di usare le gambe. Si affrettò senza guardarsi indietro.
In pochi secondi la detonazione riecheggiò tra le alte mura fatiscenti e tutte le architetture tremarono accartocciandosi come un castello di carte.
Fu l’onda d’urto generata dallo sfracello del tempio a sbalzarla direttamente all’esterno. Temette di schiantarsi su qualche masso contundente che l’avrebbe impalata o frantumata, invece piombò su qualcosa che non le fece eccessivamente male. Tossì con la gola secca per il pulviscolo inghiottito insieme all’ansia forsennata di non uscirne viva. Rialzò il busto e tentò di riattivare l’accendino per orientarsi: - Capitan Vegeta! Vegeta! – ripeté frustrata, sforzandosi di emettere il volume di voce più acuto che potesse.
Proprio mentre ricacciava i singhiozzi che le avevano rarefatto il respiro, sentì scuotersi da sotto il sedere: – Quale difetto hanno i vostri piedi, si può sapere? - bofonchiò raucamente il pirata, sulla cui schiena si accorse ora di essere finita cavalcioni.
- Nessuno! – si affrettò a rispondere Bulma drizzandosi e scattando a lato paonazza.
Vegeta, liberandosi delle macerie e controllando l’elasticità delle articolazioni, si sollevò a sua volta. Le rubò il dispositivo che emanava quella sottile fiamma e la fece scorrere lentamente su di lei, esaminando con una morbosa concentrazione i graffi che si era procurata sulle mani e sul viso: - Vi avevo detto di correre – infierì con uno sguardo colmo di accuse che lei non riuscì ad afferrare né a respingere, annegando irresistibilmente nei suoi lumi a petrolio e arginando un desiderio, avvampato improvviso e insensato, di ridurre ulteriormente la distanza e abbracciarlo.
Un rumore di passi concitati che avanzavano nella loro direzione distolse lui dal dirompente impulso di prenderla e salvò lei dalla tentazione di rivolgergli effusioni non volute.
- Pensavamo foste crepato, Capitano! – esultarono comparendo con le facce sporche e provate i cinque marinai della Bloody Wench sopravissuti alle insidie di quel luogo infernale.
Il comandante represse aspramente il loro precoce ottimismo sogghignando velenoso:
- Qua sotto pullula di quella specie di vampiri senza ali. E scommetto che voi, branco di idioti, in tutto questo tempo non avete neppure trovato un passaggio per tornare in superficie.
Gli uomini difatti abbassarono la fronte con atteggiamento dimesso e colpevole, per poi esplodere in uno scambio di insulti e critiche reciproche.
La Brief raschiò l’ugola guadagnando il centro della marmaglia: - Scusate. Non c’è bisogno di discutere: è tutto sulle Carte. Però dobbiamo sbrigarci: le torce si stanno spegnendo.
- Per forza – sbottò serafico il Capitano raggiungendola e incenerendola – Siamo in troppi a respirare … - gracchiò incollerito mulinando la spada all’altezza del suo fiato.
Uno zampillo le schizzò la camicia e il volto, annebbiandole la vista.
Fulmineamente Bulma serrò le palpebre coprendosi il collo. Il sollievo di scoprirsi ancora alitante fu sopraffatto da un conato quando un bucaniere tozzo e riccioluto che Vegeta aveva abbrancato rantolò affogando nello stesso sangue che gli sgorgava da un profondo taglio nella gola. Lo aveva sgozzato spietatamente e fissandola con una strana espressione, come le avesse fatto un perverso favore nell’ucciderlo.
L’azzurra gli voltò le spalle, non lasciandosi vincere dalla voglia di strillare e fuggire, sebbene, ripulendosi le labbra dal viscoso fluido rosso vivo che le aveva macchiate, provò una forte sete che la inquietò. In effetti la mancanza di ossigeno produceva un surriscaldamento del cervello e lei stessa capiva che avevano pochissimi minuti per scongiurare di impazzire.
Percorsi una decina di metri, deviò immettendosi in una sala ancora più tetra della precedente. E si fermò prendendo un grosso respiro: - Proviamo a ragionare. L’intera città è stata sepolta dalla lava. Le uniche costruzioni che potrebbero essere state risparmiate sono quelle più alte – disquisì picchiettando con agitazione l’indice sulla mappa.
- Torri – evinse alteramente Vegeta approssimandosi – Sempre che non siano crollate anche quelle – digrignò incrociando le braccia.
La piratessa gli si rivolse e abbozzando un timido sorriso parlò vivacemente, rompendo il silenzio e lo scorrere dei suoi pensieri: - Pensate positivo, una volta tanto – gli rimproverò bonariamente azzardando un buffetto sul mento – Vi verranno meno rughe – gli schiacciò l’occhio, rimettendosi ad esaminare il tracciato urbano sulle carte, ponendosi a capo del gruppo.
Il sayan strabuzzò indispettito e allibito perché con l’esuberante innocenza di quel tocco sentì fervere le terminazioni nervose, senza provare un impulso meramente distruttivo. Si tenne a qualche falcata, mantenendo l’allerta assoluta su qualsiasi significativa vibrazione si propagasse nell’atmosfera ferma e pesante, satura di una mescolanza di effluvi.

Grazie a due riferimenti importanti come la basilica e il tempio, per l’abile esploratrice non fu complicato guidare la ciurma fino alla base di una delle torri di avvistamento che fortificava la cinta muraria di Gingiber.
Una solida porta di bronzo ne sbarrava l’ingresso, la sommità non era visibile, stagliandosi oltre la coltre di materiali effusivi estesi su tutto il territorio che avevano creato una sorta di secondo cielo di nera selce. Intanto che i manigoldi armeggiavano con un cippo che avevano imbracciato per aprire una breccia, Bulma esausta e preoccupata si riposava stesa su una panchina giocando con le tre piume di struzzo che guarnivano il cappello.
Ma non poté godersi a lungo quella pausa che di nuovo avvertì l’eco spiacevole di un crepitio, accompagnato da un energico squittire. Saltellanti perle di corallo macchiettarono il fosco grigiore e un crescente brusio si diffuse tutto intorno.
- Ancora! – mugolò tornando seduta. Si infuriò per non aver avuto modo di caricarsi qualche buona arma delle sue. Si tolse il cappello e lo strinse tra le dita. Rifletté che in situazioni di emergenza bisognava farsi bastare ciò che si aveva.
Lei era l’unica arma che poteva scacciarli perché per quegli animaletti era venefica.
Così come per qualunque altro essere vivente.



Tintinico

* Questo qui sopra è un cincillà, il simpatico roditore che più si avvicina per aspetto a quelli che ho descritto io, e che però non è carnivoro.
Il nome tintinichi è un mio sciocco neologismo dall'unione di due parole del dialetto siciliano: "tinto" vuol dire cattivo e "nico" piccolo ^-^
Per la città Gingiber ho tradotto in latino Ginger Town, citata nella saga di Cell.

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Capitolo 21
*** XXI: Escaping from underground (part II) ***


Salve ciurma!
Stranamente questa volta, per vostra disgrazia, mi è riusciuto di concludere l'aggiornamento in poco più di due settimane! In verità, mi scuso già da ora perché so che nel prossimo mese il tempo a disposizione per la scrittura, causa impegni universitari sempre più pressanti, si ridurrà notevolmente.
Spero comunque di riuscire ad aggiornare ugualmente, almeno una volta...Le idee non mancano ^^
Prossimamente intendo riprendere gli altri personaggi, ma in questo capitolo sarà ancora una volta grande protagonista la nostra coppia preferita...Dato che sono consapevole di aver battuto ogni record di castità, ho cercato di smuovere un po' di più le acque, se ci sono riuscita me lo direte voi!

Ringrazio immensamente chi mi segue e chi mi lascia il suo parere, e approfitto di questa pubblicazione per porgervi i miei auguri di buone festività pasquali.

Buona lettura e al prossimo approdo!)

XXI: ESCAPING FROM UNDERGROUND (PART II)

La trave marmorea cozzò violentemente ancora un paio di volte contro le pietre squadrate della struttura cilindrica, poi, venuto meno il sostegno da un capo, si schiantò al suolo con un grave boato che vibrò lugubre nelle gallerie di strade e abitazioni circostanti.
Vegeta sbarrò gli occhi temendo di essersi ingannato, vedendola andare risolutamente incontro ai pelosi nemici come una consumata domatrice di belve feroci: - Che vi passa per quella testa bacata – le berciò contro, frenandosi dallo scattare a riprenderla. Lei era la sua preda, nessun altro aveva il diritto di assaggiarla prima di lui. La sua carne doveva preservarsi incorrotta.
Bulma, battendo i piedi, agitando la fiamma e strepitando, si sventagliava il copricapo sulla faccia stimolandosi le narici: - Sto cercando di spaventarli, non si capisce? – spiegò interrompendosi e starnutendo – Non state impalati! Vi copro io! – comandò loro, riuscendo effettivamente a trattenere i piccoli carnivori.
Il pirata continuò a spiare i suoi impacciati ma efficienti movimenti e sbuffò pesantemente, domandandosi quale potere non manifesto quella femmina stravagante possedesse. S’insultò per avere sprecato tanto indecente eroismo nel difenderla, dandole quasi certamente motivo di pensare, frivola com’era, che provasse qualcosa per lei, mentre in verità aveva dovuto frenarsi con immane fatica per non aggredirla.
Abbandonò quelle tardive riflessioni, confidando quanto prima di ribadire il suo disprezzo in altre circostanze, dissuaso nel frattempo dalla frettolosa esortazione dei suoi a ritentare di sfondare quella parete che li divideva dall’agognato ritorno in superficie.
A dispetto della forza scemante delle braccia che la reggevano, la colonna fracassò con fragore i mattoni. Svelti come talpe, i predoni penetrarono nello stretto squarcio sfilacciandosi perfino i vestiti e procurandosi tagli nello sfregare contro gli spigolosi ciottoli, pur di non sprecare altro tempo in quel luogo immondo.
Radish una volta dentro si aspettava che anche il Capitano lo seguisse, ma quello esitava e il briccone fu sorpreso e sconcertato dal notare che a farlo desistere altri non era che la bizzarra sciacquetta dai capelli celesti che si dimenava a scacciare quelle voraci creaturine come fossero mosche: - Capo, è il momento buono. Molliamola qui! Quella donna è una tale rottura … - lo provocò derisorio, certo di averlo messo alla prova.
Quello tacque, profondamente irritato dalla subdola insinuazione; ringhiò a denti stretti e infine, strozzata una bruciante indecisione, traboccò furente e sdegnato: - Non possiamo. Quella stramaledetta ha la sfera.
Il capellone sbucò guizzando le iridi sulla sacca a tracolla della ragazza: - Che problema c’è? La accoppo e gliela frego in un batter d’occhio! – ammiccò tirando fuori un coltellaccio.
Il suo polso fu prontamente adunghiato e torto da Vegeta: - Ah, ho un’idea migliore, sai? Potrei inchiodarti qui per tappare questo enorme buco che hai allargato per ficcarci il tuo testone vacante.
Il furfante ingoiò con un brontolio di sconfitta la provocazione e ascoltò gli ordini.
Bulma aveva disperso le offensive senza neppure doversi sporcare. Con soddisfazione si voltò per controllare a che punto fossero gli altri, ma una nerastra chioma da istrice le balenò a fianco e la sua testa fu sfiorata da un oggetto voluminoso che non distinse chiaramente finché, schiantandosi qualche metro avanti, rotolò per poi saltare in aria con uno scoppio: - Che vi aspettavate, un applauso?
Quella graffiante insolenza le surriscaldò il petto di fastidio e buonumore. La piratessa intrecciò le braccia e distolse lo sguardo perché il collega non si illudesse di essere stato perdonato: - Sarebbe bastato un briciolo di riconoscenza …
- Portatela via! – borbottò esacerbato Vegeta, affiancando i marinai nello spargimento di altre scie di polvere che avevano rinvenuto in dei barili custoditi nel fortino. Le disposero a protezione del perimetro, gettandovi dei fiammiferi che in breve accesero crepitanti lingue di fuoco, così esplosioni e fumo decimarono gli ultimi incorreggibili tintinichi.
Bulma, senza rendersene conto, avvertì un’acuta stilettata alla pancia: nonostante quegli animaletti si fossero rivelati aggressivi e letali, quello sterminio le ricordò troppo da vicino l’impietosa sorte toccata alle sue simili.
- Ne avete provocato l’estinzione, vi rendete conto? – guaì soffiandosi forte il naso per camuffare il pianto involontario. Un singulto spezzò il suono delle ultime sillabe, le mancò di nuovo il contatto col suolo e si sentì comprimere le costole contro una massa nerboruta: - Ne volevi adottare qualcuno, magari? – la derise Radish, caricandosela in spalla di corsa.
La spinse sgarbatamente ad infilarsi nello spiraglio e vi entrò a sua volta, seguito subito dopo da Vegeta che catalizzò perentorio la loro attenzione: - Le fiamme non dureranno a lungo. Ostruite la breccia!
Issarono e spostarono tutto ciò che erano riusciti a racimolare fra quelle mura. Tavole, sedie, casse, pezzi di mobilio, suppellettili, bottiglie, tappeti, tende, passavano freneticamente da una mano all’altra, senza tralasciare alcun pertugio che poteva rischiare di favorire qualche altra famelica bestiola.
Bulma stessa si era risolta a contribuire ma un’anfora le cadde per terra quando recepì qualcuno richiamarli dall’esterno: - Hey! C’è un vostro amico là fuori! – li avvertì apprestandosi a rimuovere in fretta alcuni oggetti incastrati nell’apertura.
Radish si sporse a sbirciare da un altro angolo per poi bofonchiare annoiato: - Quello lì si è azzoppato.
- Ma è ancora vivo! – s’indignò la donna, cercando il consenso almeno degli altri due bucanieri che le erano parsi più concilianti.
Vegeta, che si era allontanato ad ispezionare il resto della torre, fu riattirato dal loro vociferare e intravide la piratessa allungare imprudentemente un braccio attraverso la spaccatura.
Accortasi di lui, lo scongiurò mutamente ad aiutarla. Si fissarono reciprocamente negli occhi e, sebbene la sua espressione fosse ancora più indecifrabile nella penombra, lei si convinse a spostarsi di lì.
- Radish – pronunciò in un tono fermo e monocorde, prontamente interpretato dal suo nostromo. Questi gli consegnò infatti la sua carabina e lui, prima che Bulma potesse mormorare qualcosa, uscì la canna dalla fessura, mirò dritto in mezzo la fronte lo sventurato che era stato dimenticato, e restituì l’arma al fido aiutante che si complimentò volgarmente per la turpe azione.
- L’ho battezzato colpo di grazia. Non soffrirà più – rassicurò con dissacratoria suadenza la Brief che manteneva le palpebre serrate e deglutiva ripetutamente per la rabbia e lo spavento.
Ebbe un’altra scossa sentendosi toccare di sfuggita un fianco: - Perché dovete sempre agire così! Sembra ce l’abbiate col mondo intero! – esplose isterica.
Vegeta soffocò per l’ennesima volta la tentazione di zittirla per sempre, limitandosi a sogghignare con strafottenza: - Siete un’acuta osservatrice, i miei complimenti – quindi la afferrò per un polso, indicandole le scale che conducevano ai piani superiori. - Finite di chiudere qui. Noi ci incamminiamo – annunciò ai suoi, scortandola.
Bulma calcò uno dopo l’altro quei gradini con la tremebonda consapevolezza che la sua vita fosse appesa ad un filo, evitando altri sproloqui o iniziative che potessero affrettare quell’avanzata verso un immaginario patibolo. Iniziò a contarli per distrarsi ma ben presto l’avido fremito del feroce filibustiere la confuse, inspirando il sudore freddo che le appesantiva i capelli sul collo e sul viso. Il cuore le rimbalzò fino alla gola, attutendo qualunque altro rumore. Avrebbe preferito la uccidesse senza altre torture.
L’eco dei passi e dei discorsi degli unici tre superstiti del gruppo, scioccamente la tranquillizzò. Rallentò di modo che si riducesse la distanza e in quel momento Vegeta la oltrepassò, percorrendo velocemente le restanti rampe che portavano in cima.
Pochi minuti dopo si affacciarono alla tiepidissima luce violacea del firmamento che sancì la fine di quel tortuoso viaggio nel sottosuolo. Il desolato grigiore del paesaggio, osservabile dallo stretto balconcino prospiciente una sconfinata vallata, smorzò le lecite manifestazioni d’entusiasmo, ma tanto bastò a riarmare gli animi di una sofferta serenità.
- Ci saranno almeno sei ore di cammino – parlò con irreprensibile sicurezza Vegeta, omettendo di fornire troppe spiegazioni su quella fulminante deduzione.
Bulma, dopo aver approssimativamente misurato l’altezza da cui avrebbero dovuto calarsi, ripose il binocolo nella custodia a tracolla: - Meglio affrettarci, allora. Finché le gambe reggono … - esclamò smargiassa ma proprio le caviglie la tradirono ed evitò di scivolare aggrappandosi di riflesso agli avambracci del rivale, che tese i tendini allo spasmo sbuffando contrariato: - Vi concedo mezzora. Se restate indietro, fatti vostri – ammonì spinosamente lei e gli altri, dileguandosi nell’ombra e in disparte.
- Chi indietro rimane, indietro viene lasciato – approvò ligio il suo secondo, incrociando le ginocchia e sedendosi di peso sul pavimento.
L’azzurra sospirò, accovacciandosi malvolentieri sui freddi laterizi. Era dolorante, spossata e stanca di quel posto dimenticato dagli dei. E l’irritante comportamento ondivago di quel mascalzone non era certo un toccasana per la sua già provata resistenza fisica e mentale. Non perdeva occasione di confermare la sua terribile fama, eppure pensava nascondesse qualcosa.
Lo aveva notato annusare l’atmosfera con particolare scrupolo e concentrazione, come un animale selvatico che fiutasse tracce di una preda o di un nemico. Era frequente per gli uomini di mare innervosirsi o addirittura perdere il senno per l’assenza di vento, figurarsi per la lontananza dalle onde. Un po’ lo capiva: quella prolungata permanenza sulla terraferma scombussolava anche lei.
Smise di tormentarsi le dita e le tenne occupate ad acconciarsi i capelli impolverati e spettinati in una pratica treccia. Trascorsi un paio di minuti ad osservare i compagni di viaggio, si lasciò solleticare dalla tentazione di curiosare, strisciando vicino a loro: - Da quanto conoscete Capitan Vegeta? – spettegolò sottovoce, badando a non pungolare l’udito sensibile dell’interessato.
Il pirata più giovane, restituendo la borraccia al vicino, cui lo accomunava la carnagione olivastra, la corporatura asciutta e robusta e dei lineamenti gentili, rispose a nome di entrambi: - Due settimane. – confessò stizzito e pentito - Comunque io sono Burt e lui è mio cugino Flynn* – aggiunse cordiale.
Radish imprecò, scagliando una bottiglia vuota: - Io conosco quel gran bastardo da oltre dieci anni. Non per questo mi ha riservato un trattamento migliore – le confidò con una bizzarra combinazione di rancore e rispetto, mostrando la lunga cicatrice di un taglio sotto l’orecchio destro e un’altrettanto vistosa bruciatura di proiettile in prossimità dello sterno. – Invece a te, bellezza, per qualche ragione deve averti presa in simpatia. Chissà cosa avrà in mente di farti. Di solito non è che vada tanto per il sottile … - ammise allusivo, soffermandosi ad ammirarle la generosa scollatura.
Bulma si ritrasse riannodando i lacci della camicetta che in tutto quel fuggi fuggi si erano sciolti, intimidita e turbata dalla pulsazione infervorata che aveva provato nelle vene. Intersecò due iridi atre e lucenti che la scrutavano con ostilità e desiderio, e le si accapponò la pelle.
Forse ciò che provava non era più soltanto paura.


Si accasciò mollemente alla pertica, stremato dallo scavare ininterrotto che si protraeva ormai da ore, la schiena a pezzi, la fitta al fianco che si era riacutizzata ricominciando a bruciare e pulsare. Ignorò due volte l’enfatico richiamo della crapa tatuata, ma al terzo preferì evitare un’energica sferzata e riprese ad affondare la vanga in quella poltiglia di terriccio sterile e maleodorante. Una fatica controproducente nella prospettiva che lei avrebbe potuto anche non tornare affatto, e lui, molto probabilmente, in quel deserto ci sarebbe morto.
Assurdo dipendere da una donna, si era detto in passato, schernendo chi gli raccontava storie di amori tragici. Solo che lui non capiva più quale ruolo stesse interpretando, perché, di fatto, lei lo aveva scelto, e negli ultimi giorni, con sua impotenza, l’aveva addirittura protetto dall’artefice delle loro sventure.
Con quegli sforzi la ferita che quell’animale gli aveva inferto al loro primo scontro aveva ripreso copiosamente a sanguinare. Perfino i suoi occhi parevano filtrare tutto con quell’accecante colore rosso, tanto che in un iniziale momento Yamcha tentennò nel riconoscere quelle sagome tra la nebbia. E quando le distinse meglio, fu combattuto dal continuare a guardare.
Bulma era palesemente stanca e si appoggiava sbadatamente a quella canaglia che, d’altro canto, tollerava quei brevi contatti, apparendo più mansueto del normale.
Credette che la sua vista fosse diventata ancora più rosseggiante.
- Capitano! Avevate ragione! C’è acqua qua sotto! Acqua di mare! – comunicò con ossequiante baldanza Nappa, non appena si avvide dell’arrivo del gruppo, assai ridotto rispetto a quello che era partito dalla Bloody Wench quasi mezza giornata addietro.
Yamcha si sovrappose ai commenti sommessi del resto della ciurma: - Già. Abbiamo trovato l’acqua ma non è abbastanza per riprendere a navigare. Siamo impantanati – obiettò gettando via la pala e piantandogli un’occhiata sfacciatamente rissosa che divenne amara posandosi sulla ragazza.
Vegeta non considerò la sua spiccata provocazione, esaminando piuttosto i reali risultati del loro operato: - Forse perché siete stati troppo lenti – li freddò illividito.
Nappa celò il braccio che gli aveva azzannato dietro la schiena, istigando gli altri marinai a ricominciare a dragare di buona lena.
Bulma, intanto, maturando una folgorante soluzione, si riavvicinò al Capitano con discrezione: - Posso rubarvi Yamcha? – gli chiese con timbro indifferente da dietro la spalla.
- Per quello che vale … - mormorò tediato l’interpellato, senza muovere lo sguardo, fissatosi sull’orizzonte indefinito.
Il pirata con le cicatrici sul volto preparò i pugni ma lei gli poggiò una mano sul braccio, esortandolo a non adirarsi: - E anche Burt e Flynn?
- Come volete – gorgogliò mestamente sovrappensiero, intento a controllare lo svolgimento dei suoi comandi.
La Brief esultò e insieme ai tre bucanieri risalì sul galeone. Affidò ai due cugini il compito di cercare qualche rottame tubolare e si fece dare le pietruzze che aveva domandato loro di rastrellare dalle rocce del terreno durante il lungo tragitto.
Yamcha, muto e sconfortato, osservava l’amica indaffarata a cospargere il ponte dei suoi strumenti di misurazione, fiondandosi da una murata all’altra, tracciando calcoli su un quadernetto, pesando le dosi, scegliendo stoppini e micce, esaminando il vento e l’umidità. Accalorata, estraniata, concentrata. Non aveva neppure notato la chiazza scarlatta che gli macchiava la camicia. Anzi in quel momento fu lui a notare delle macchie sulla sua ...
- Ricordi quando andammo nei mari d’Oriente? In cerca di quel manoscritto sulla fabbricazione delle polveri esplosive? – lo interrogò di getto, appioppandogli un pestello e un barattolo di creta che aveva riempito con i frammenti di pietra.
Il compagno spaziò nei ricordi e in un battibaleno gli sovvenne uno scenario romantico:
- Sì. Quei meravigliosi fuochi d’artificio lungo le rive del Fiume Azzurro … - sussurrò con un sospiro trasognato – Aspetta un momento ... era notte! Come hai? … Tu …? – cincischiò tallonandola con i due oggetti tra le mani.
- Poi ti spiego – lo zittì bruscamente Bulma – Dobbiamo costruire un razzo – lo informò come nulla fosse, istruendolo a schiacciare con vigore quel composto solido per sbriciolarlo e renderlo utilizzabile – Sono riuscita a raccogliere lo zolfo e il magnesio necessari, ci aggiungiamo la polvere nera, mescoliamo il tutto in una bocca da fuoco ed è fatto! – acclamò festante, ringraziando i marinai che le avevano recuperato i cannoncini e falconetti da caricare con la miscela di polveri piriche.
Yamcha stava stancandosi solo a guardarla: - Sei sfinita. Dovresti riposarti – le consigliò senza celare malanimo e preoccupazione, notandola vacillare per un breve capogiro.
La piratessa rifiutò ostinatamente il suo aiuto: - Ce la faccio. Non sono del tutto umana, rammenti? – sussurrò con un sorriso tirato.
L’amico scosse la testa rassegnato, ma, fidandosi del suo risaputo acume, la assecondò, sbarcando e assistendola. Se di lì a poco si fosse presentata un’opportunità meno rischiosa, sarebbe fuggito da quella sordida nave.
La turchina istruì i rimediati aiutanti a scavare delle fosse in cui ospitare le mine esplosive che aveva fabbricato, in modo da disporle ad intervalli regolari intorno al vascello, badando a stendere perfettamente i cordoncini delle micce.
- Lasciatemi indovinare. Un’altra delle vostre brillanti idee? – le soffiò all’orecchio con scherno una ruvida e calda voce maschile, ormai a lei familiare.
Bulma trasalì ugualmente arrossendo: - Potete scommetterci – gli assicurò determinata, volgendosi a stento mentre ponderava se tutto l’occorrente fosse pronto – Deve pur esserci l’oceano oltre questa dannata terra arida e buia – bisbigliò fiduciosa illuminandosi gli occhi cerulei.
Vegeta le tenne dietro con occhio critico, restando ad origliare i suoi procedimenti. Senza commentare, riprese a spronare i suoi sottoposti, certo che lei non avrebbe avuto il tempo per realizzare quell’idea così azzardata e laboriosa.
Almeno per un po’ non avrebbe disturbato, si disse. E immancabilmente fu contraddetto.
- Mollate tutto quanto e tornate a bordo, signori! Stiamo per salpare! – incominciò a strillare la piratessa, sostituendosi senza ritegno al legittimo Capitano.
Gli uomini, esausti di barcamenarsi in quell’acquitrino, accolsero l’invito con la stessa gioia con cui avrebbero accolto un boccale di birra, saltando concitatamente alle scalette e cime penzolanti dallo scafo, non preoccupandosi di capire in che maniera l’incaglio si fosse risolto.
Sminuito il problema, anche Nappa e Radish egoisticamente disertarono.
Vegeta, pur furente per il vigliacco voltafaccia subito, non tradì alcuna emozione, nemmeno dinanzi la squillante sollecitazione della Brief, che si arrampicò per ultima lagnandosi della sua poca fede. Era convinto che avrebbe riso di gusto dell’insuccesso di quel frettoloso piano.
Alla vivace inventrice, invece, fu sufficiente la semplice accensione di un intreccio di stoppini perché il cordame imbevuto di alcol, cui aveva allacciato gli artigianali detonatori, attivasse rapidamente la carica propulsiva fino all’esplosiva combustione della miscela di zolfo, salnitro, magnesio e carbone di cui aveva riempito i pezzi di artiglieria.
Sbalordendo le aspettative di tutti, il suolo fu irradiato da un convulso scroscio e repentinamente franò, sopraffatto dalla mole del veliero. Linee spezzate si disegnarono sull’ardesia scaturendo fiumane che ingrossandosi ai lati della chiglia formarono uno stagno di bronzo. Il tagliamare della Bloody Wench speronò l’espansione dei rigagnoli e il ritirarsi dei sedimenti che avevano sotterrato l’originario porto. Vecchi relitti di imbarcazioni risorsero urtando sui fianchi del galeone, e il mare con la sua forza dirompente si riappropriò del suo spazio.
I pirati lo salutarono commossi, chi esultando, chi improvvisando balli e canzoni sguaiate.
- Urrà per il Capitano! – urlarono tutti su incitamento dei luogotenenti quando Vegeta ricomparve in mezzo alla cagnara che affollava il ponte, infiammato e inzaccherato.
- Non è stata una mia idea! – contrastò le lodi e il giubilo con uno scontroso ruggito, setacciando la baraonda in cerca di una chioma azzurra.
Nappa e Radish, intuita l’antifona, si dileguarono occupandosi delle manovre, mentre lui si trascinava con spirito incandescente verso la geniale responsabile di quella provvidenziale trovata.
- Come volevasi dimostrare – comprovò con un velo di presunzione e con un cenno dimostrativo delle braccia alla marea che cullava finalmente la carena.
Lui si scrollò schizzinosamente come un leone bagnato, puntandole contro l’indice: - Ah, vi odio! Sappiatelo. – la apostrofò fibrillando di una vibrante collera.
Bulma dissimulò un involontario sorriso: - L’odio è fuor d’ogni dubbio un sentimento forte. Mi aggrada assai più dell’indifferenza – glissò scaltramente disinibita, girando i tacchi in direzione del boccaporto, pronta a ritirarsi.
Non giunse neppure a metà strada che, ignara di come fosse successo, si trovò la schiena schiacciata contro la parete del cassero, proprio sotto le scalette che conducevano alla balconata, lontano dalla visuale dei marinai: - L’odio è odio – le fiatò irruento Vegeta, incollando una mano gocciolante allo scollo della sua camicia, fin quasi a strapparla.
Non la sfiorava col resto del corpo, ma il suo sguardo rovente la stava ferocemente perforando.
- Uccidetemi, dunque, se sono un simile fardello per voi – lo incitò con provocante candore, offrendoglisi inerme.
Se non avesse avuto la comprovata certezza che sarebbe stato impossibile, avrebbe giurato di essere sull’orlo della trasformazione. Un morso avrebbe potuto darglielo lo stesso, rimuginò Vegeta, annegando in quelle ipnotiche pozze acquose. Allentò la stretta: - Avete un cervello che cammina, qualità molto più rara di quanto si pensi – ammise controvoglia, la lingua che, inalando la sua zuccherosa fragranza, pizzicava come l’avesse punta uno scorpione.
Bulma increspò le labbra, ravvisando in quello snervato sibilo un lusinghiero complimento. Un’improvvisa vampata si propagò nel ventre come contenesse brace, colorandole le guance.
Le dita bagnate del filibustiere tornarono a stringere la sottile stoffa, rilasciandole goccioline salate nell’incavo dei seni: - Non crediate non mi sia accorto che le vostre tre sfere non compaiono sulle Carte. Solo per questa ragione non vi ho ancora tagliato la gola – la attanagliò in un roco ansito, incapace di staccarsi.
La ragazza insensatamente gli sorrise con dolcezza, poggiando le mani sulla sua: - Allora anche il vostro cervello, quando volete, cammina …
Vegeta si riscosse e rifuggì bruscamente dalla mostruosa malia di quella doppiogiochista. La lasciò alle sue umorali riflessioni e svanì nella sua cabina.
Bulma si passò un palmo sulla fronte imperlata, ripensando all’assoluta spontaneità delle sue parole. Non aveva sentito di mentire per sedurlo, nonostante a volte con altri lo avesse fatto.
Ad un paio di metri Yamcha la osservava e aveva la faccia accigliata e sbattuta.
Era irrimediabilmente in un mare di guai.



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* In omaggio rispettivamente a Burt Lancaster, interprete del magnifico "Il corsaro dell'isola verde" e di uno dei maggiori interpreti di film cappa e spada e di pirati Errol Flynn *.*

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Capitolo 22
*** XXII: Secretly ***


Salve gente!
Rientro in questa sezione vergognosamente in punta di piedi, con un imperdonabile e ingiustificabile ritardo di quasi due anni ^//^
Non so quanti si ricorderanno di me e di questa storia, non voglio prendere spazio ad approntare scuse patetiche perché davvero neanche io capisco tuttora perché mai ho lasciato questa ff nel dimenticatoio per così tanto tempo. A mia discolpa posso solo dire che ho avuto una serie di contingenze personali, esami, tesi, che mi hanno sviata, e poi ho finito per incominciare altri progetti.
Adesso comunque sia, sono intenzionata a concluderla, anche perché avevo già abbozzato qualcosa sui capitoli restanti (conto di scriverne fino ad un massimo di 30 totali).
Che dirvi? Mi scuso umilmente con tutti i lettori che si erano imbarcati, ma ringrazio anche chi ha continuato a leggere e ad inserire questa storia tra le loro seguite, preferite o ricordate: è grazie a voi che ho ritrovato la volontà di riprendere a scrivere, revisionando anche i capitoli precedenti, cercando di alleggerire il linguaggio in certi passaggi.

Piccolo riassunto, che credo sia d'obbligo: abbiamo lasciato Bulma e Vegeta vittoriosi per il ritrovamento di un'altra sfera nelle Terre del Sol Morente, e alle prese con un'attrazione sempre più pressante; nel mentre a Goku, che era l'unico a sapere dell'impresa della sua amica piratessa, viene affidato il compito di trovarla. In questo nuovo capitolo la narrazione sarà incentrata proprio su di lui.

Vorrei anche ribadire che questa storia è volutamente leggera e disimpegnata, e che ho scelto di dare un carattere quasi cartoonesco alle situazioni e alle psicologie dei protagonisti. Spero di non essermi arrugginita troppo, soprattutto con la resa dei personaggi!
Buona lettura a chi avrà il desiderio di seguirmi ancora :)

XXII: SECRETLY

Tenui raggi di luce dorata trapelavano tra i mosaici di vetro colorato delle grandi finestre bifore che si aprivano a ridosso dell’alto tetto a capriate, producendo sfavillii opalescenti sui muri di semplici ciottoli.  Nell’aria tiepida satura di polvere sospesa, inchiostro e cera calda, una mosca ronzava pigramente, dita nodose scorrevano incerte su fogli incartapecoriti e un riverente brusio aleggiava in sottofondo, come proveniente da un’epoca lontana.
Tra tutti i posti in cui era stato, quello era indubbiamente il più silenzioso e straniante in cui si fosse mai trovato. E lui non era un novellino: era un tipo abituato a viaggiare in lungo e in largo, aveva visitato una moltitudine di luoghi insoliti sulla Terra.
I suoi muscoli scalpitavano risentendo la stanchezza di quella forzata inerzia. Oltretutto i commilitoni che l’avevano accompagnato, avevano il sospetto atteggiamento di fargli la guardia, tant’è che non lo stavano aiutando. Gli sembrava una punizione inferta con cattiveria e ingiustamente; più ci rifletteva più non capiva per quale ragione se la fosse meritata.
Reclinò la schiena sul traballante schienale di quello scomodissimo sgabello, stiracchiando le braccia inerti da interminabili minuti e sbadigliando fragorosamente: - Dovevano essere proprio sfaccendati per scrivere tutta questa montagna di frottole!
Tonfi, sbuffi, esclamazioni sconcertate e proteste sbigottite risuonarono tra le imponenti scaffalature e gli spaziosi corridoi che lo circondavano, suscitandogli un minuto risolino: quelle persone era ancora vive, allora! A lui era parso di essere finito in una congrega di mummie addormentate da secoli su quelle cataste di carte ingiallite.
Un ometto che sonnecchiava accanto a lui, non molto più giovane dei frequentatori di quel deposito di antiche conoscenze, si sbracciò per calmare le contestazioni rivolte al loro desco: - Vi prego di scusarlo, eminentissimi professori. È solo un ragazzo impulsivo – discolpò il giovane accompagnatore, sfoggiando sorrisi accondiscendenti per minimizzare l’increscioso disturbo, pur non nascondendo un’espressione realmente mortificata sulla faccia rugosa e rossa come un peperone.
L’uomo rivolse poi un grugno di dissenso verso il responsabile dell’alterco, cercando di non alzare troppo il tono della voce: - Goku, per tutti i numi! Questo è un luogo di studio! Ti avevo avvertito di star buono.
Il soldato, sbadigliando ancora, si stropicciò gli occhi che sentiva impacciati dalla prolungata concentrazione su quelle scartoffie: - Mi dispiace. Ma sono davvero stanco, Capitano Muten – farfugliò costernato – Lo sapete che non sono mai stato un uomo di intelletto. Devo fare.
Il Capitano di lungo corso si intenerì imprevedibilmente nel cogliere un barlume di schietto agonismo a surriscaldare le parole e gli occhi del giovane pupillo: - Sei pieno di iniziativa, figlio mio, questo lo so. Ma a volte occorre anche prepararsi spiritualmente per certe sfide – fu il suo saggio e paterno monito, prima di notare lo striminzito rivolto di fogli che il distratto lettore aveva sotto il naso. – Quante pagine hai letto, se posso? – indagò timorosamente, presentendo una risposta anche più tragica del previsto.
Il tenente Son, difatti, drizzò timidamente tre sole dita: - Ho perso l’esercizio – gemette con una smorfia – Però ho osservato tutte le rappresentazioni – precisò stringendosi nelle larghe spalle adornate di galloni – Credo dovreste trovare qualcuno che sia più bravo a leggere questi scritti. Anzi, perché non ci provate voi, Capitano?
Muten riaffiorò dai suoi inesplicabili pensieri: - Come dici? No. Lo sai che la mia vista è stata compromessa dal giorno di quel brutto incidente …
- Già. Non me lo avete mai raccontato nei dettagli … – azzardò Goku, mentre con una mano si grattava la testa che gli prudeva per i moscerini che continuavano ad annidarsi nella matassa di capelli unti di salsedine.
- Non possiamo indugiare oltre – borbottò secco ed evasivo il vecchio lupo di mare, scrutando la cipolla che teneva nel taschino e che segnava le cinque di pomeriggio – Dobbiamo avere quella mappa prima possibile.
E, lanciando un segno d’intesa ai fedeli accompagnatori, gli chiese di raccogliere tutti i voluminosi tomi che erano impilati sulla scrivania su cui lui e gli altri camerati erano sprofondati qualche ora prima, e di seguirlo verso la recezione.
La bibliotecaria, una pettoruta signora con una crocchia paglierina intenta a godersi la sua pennichella, sobbalzò intimorita sentendo l’urto dei pesanti volumi sul tavolo.
- Li prendiamo tutti – reclamò altezzoso un canuto marinaio in divisa.
Da dietro le spesse lenti la donna sgranò gli occhietti rotondi nel vedersi recapitare un simile cumulo di libri farinosi: - Non potete portarli via. – annotò avendoli controllati brevemente – Quei manoscritti sono molto arcaici e preziosi. Li concediamo solo per la consultazione in sede. Dalla Biblioteca di Yammer non escono, spiacente – bofonchiò pedante, scuotendo la pappagorgia e rinforcando gli occhialetti, dopo averli ripuliti dal pulviscolo.
Goku che stava per scattare in avanti per restituire quella scortesia, tacque intuendo che la più misurata reazione del Capitano Muten sarebbe stata più fruttuosa: - Sapete con chi state parlando? Marina imperiale del Regno dell’Ovest, milady! – si accaldò invece quello, obbligando l’addetta ai prestiti ad ammonirlo di non disturbare gli altri fruitori di quel vetusto tempio del sapere.
- Per favore, madame. È a rischio la salvezza del mondo! – tentò di accattivarsela con fare affranto Goku, ma invano, riuscendo solo a indurla a reprimere un risolino inconsapevole.
Muten capì che non era il caso di farsi scrupoli morali, poiché in gioco c’era veramente la sorte di molti individui: - Passiamo alle questioni serie – borbottò stirandosi la barbetta ispida – Quanto accettereste per concederci questa licenza? – bisbigliò piegandosi verso l’irreprensibile custode e facendo tintinnare allusivamente una saccoccia di monete.
La signora aprì la bocca, urtata dall’offensivo tentativo di corruzione, al che uno scalpiccio concitato sulle lastre di marmo, annunciò l’entrata di un trafelato marinaio dall’uniforme blu e arancione, che cercò di attirare l’attenzione dei presenti.
- Capitano! È appena approdata la goletta da Zizlis che aspettavamo – riferì battendo i tacchi e sfilandosi il tricorno da cui spuntò un codino brizzolato.
Goku era sempre più confuso dai contorni sfocati di quella vicenda, lo era da che gli avevano imposto quell’inspiegata permanenza in mezzo ad una caterva di scaffali traboccanti di libroni: - Di quale goletta si tratta, Signore? E chi stiamo aspettando? – sbottò con inconsueta permalosità, demoralizzato per non essere stato ancora informato su quel che stava accadendo. Da un po’ di tempo si sentiva messo in disparte.
Muten, per una volta, si sfilò gli occhiali scuri lasciando cadere ogni barriera tra il suo sguardo e quello del pluridecorato marinaio che aveva istruito personalmente e che sentiva un po’ come uno di famiglia, e gli pesò dover pronunciare quelle parole: - Vedete, tenente Son, qualche giorno fa abbiamo avuto quella che voi definireste una ventata … – palesò con benevola canzonatura.
Dal fondo del porticato l’imponente sagoma dell’Ammiraglio Giuma avanzò capeggiando una sparuta guarnigione, un’espressione di indignazione a corrugare la fronte. Ad un suo cenno i sottoposti accerchiarono l’ufficiale: - Tenente Son Goku, siete in arresto con l’accusa di cospirazione – sentenziò con amarezza, dopo qualche secondo di sfuggente e severo silenzio.
Goku, intontito dall’imprevedibile piega degli eventi, non oppose resistenza ai soldati che gli strinsero i ceppi e le manette ai polsi e lo trascinarono via.
Il vecchio comandante Muten rintascò il borsello con un sospiro, tornando subito dopo a rivolgersi alla responsabile della biblioteca: - Confido che ci concederete almeno di usare la sala dei planisferi. Abbiamo un ospite di riguardo da accogliere.


Frotte di dame e gentiluomini passeggiavano e conversavano amabilmente all’ombra di larici e pini che ondeggiavano nella lieve aria vespertina effondendo la loro verde e vivida essenza. Sfarzose carrozze si mescolavano ai carretti dei venditori ambulanti, animando le stradelle lastricate di un vivace e pacifico tramestio.
Yammer era una cittadella libera, fiorente e colta, ordinata e pulita. Un porto franco che di certo non aveva niente da spartire con i principali porti di mare che era abituato a frequentare, sordidi, chiassosi e bazzicati da infami manigoldi che bighellonavano alticci e intrattabili, caracollando da una locanda all’altra in cerca di bevute, scommesse, donne e risse.
Non che tutta quell’eleganza e quella civiltà, benché inconciliabili con la sua condotta di ladrone, gli dispiacessero. Avrebbe apprezzato gli agi del vivere con tanto di servitù, invece di essere lui a servire qualcuno.
Il suo sorriso furbo e suadente come uno scherzo o un monito si materializzò nella mente colpevole, ma lui non le diede importanza.
Con la ricompensa ricavata dalle due taglie che contava di riscuotere, avrebbe potuto permettersi ben più di qualche mediocre capriccio da consumare in fretta e furia in un'unica notte.
Un giorno avrebbe perfino potuto impalmare una piacente ereditiera e acquistare una bella villetta con un rigoglioso giardino, proprio come una di quelle che gli stavano passando in rassegna dietro le sbarre che ancora lo imprigionavano.
Intanto poteva solo sognare.
La vettura si fermò e Yamcha fu spinto con la forza a scendere.


Cospirazione. Era un’accusa disonorevole, grave, infamante. Inconcepibile. Era sempre stato ligio al dovere perché credeva seriamente in ciò per cui quotidianamente combatteva e rischiava. Non aveva mai avuto altra aspirazione che quella di aiutare chi fosse in difficoltà, difendere la gente onesta da quella malvagia. Ma forse ora quella nuvola dorata in cui aveva la convinzione di essersi isolato, al riparo dalle tentazioni e dai turbamenti più segreti, stava dissolvendosi.
E anche lui scopriva di non essere un eroe, di non essere impeccabile.
Era iniziata a sgretolarsi ogni certezza da quando aveva accettato ingenuamente di nascondere per lei quelle emblematiche sfere, di cui, in tutta sincerità, non conosceva neppure l’esatto valore.
Così come non capiva perché, dopo avergli promesso che avrebbe avuto il privilegio di recarsi dal Dio del Mare del Nord, avevano invece architettato tutta quella farsa, inviandolo in quella tranquilla roccaforte a consultare dei testi ammuffiti, proprio lui che non aveva mai dato prova di avere un’indole intellettuale. E dopo averlo messo ai ferri, non l’avevano condotto in una galera marcia, come si aspettava, bensì in un sobrio salone della stessa biblioteca, tappezzato da grandi arazzi intessuti con riproduzioni delle terre emerse dell’intero pianeta.
Si scervellava, aggredito dal pesante odore stantio di quella sala e da umilianti pensieri. Era molto probabile che qualcuno a lui molto vicino avesse denunciato il suo sconsiderato tradimento. Aveva confessato unicamente a Crilin di quel precipitoso incontro prima di salpare e delle sue preoccupazioni a riguardo, tuttavia nutriva una profonda fiducia nel suo amico e rifiutava di crederlo uno spione. Non escludeva invece che la moglie Chichi, fingendo di rincasare, potesse averlo pedinato. Era una donna gelosa e possessiva e la gravidanza aveva accentuato quei lati del suo carattere.
Un’ultima ipotesi era che la sua amica piratessa fosse spiata nei suoi spostamenti.
Il pesante battente cigolò e lentamente si mosse verso l’interno, lasciando entrare una scorta di uomini in livrea. Goku si alzò in piedi, facendo scattare all’istante le quattro guardie che erano rimaste nella stessa sala per sorvegliare le sue mosse, e finalmente la domanda che aveva rivolto mille volte a se stesso e ai carcerieri, trovò una risposta, totalmente estranea alle sue previsioni.
- Dottor Brief?! – balbettò andando incontro all’anziano conoscente che avanzava zoppicando, appoggiandosi ad un bastone. Erano anni che non lo incontrava e non poté fare a meno di accorgersi che aveva l’aria molto abbattuta, oltre ad essere anche lui ammanettato:– Professore, come state? Cosa vi hanno fatto? Perché siete qui?
Lo scienziato sorrise fiaccamente per il suo accaloramento: - Me la cavo – tossicchiò elusivo – Ma tu finché sei in tempo devi chiedere il diritto di asilo, ragazzo – lo allertò con cordiale sollecitudine – Non possono farti nulla, qui. Yammer non è soggetta alla giurisdizione della Flotta dei Sette Regni.
- Mi assumerò le mie responsabilità – ribatté il giovane, con smaccato sprezzo per quell’indulgenza – Se i loro signori vorranno comunicarmele … – arrotò mesto tra i denti, protendendosi verso i suoi superiori, tallonato invano dai quattro soldati, che non erano riusciti a tenerlo a bada.
L’ammiraglio Giuma fece sistemare il rispettabile studioso su una poltrona invitando Goku a fare altrettanto, mentre ordinò agli altri soldati di sgomberare la stanza e di sbarrare la porta, vigilando su eventuali intrusioni.
Il Capitano Muten congiunse le punte delle dita, oscurandosi:- Avevamo mandato la Sea Survivor a pattugliare i Mari del Sud, ma non ha fatto ritorno dalle Terre del Sole Morente. In compenso il vostro amico Crilin dieci giorni fa ha rinvenuto questa – appoggiò sul tavolo rotondo un involto di tela, svolgendolo.
Goku lasciò il suo posto per guardare meglio quello stralcio di stamigna bruciacchiato, del quale era ancora distinguibile il colore pervinca e uno stemma che purtroppo conosceva:
- Come sta Bulma? Avete notizie? – mormorò quasi senza fiato.
- Sa il fatto suo – addusse con un frammisto di stizza e ammirazione l’arzillo comandante - È in combutta con Capitan Vegeta. Abbiamo appreso che insieme hanno già recuperato un’altra sfera e si apprestano ad arraffare l’ultima. Dopo di che volgeranno la prua a casa vostra – barbugliò velocemente, troncando ogni sua possibilità di replicare o giustificarsi.
- Dobbiamo impedire ciò, prima che sia troppo tardi. – intervenne repentino l’Ammiraglio Giuma – Sappiamo che la nota fuorilegge Bulma Brief vi ha consegnato uno scrigno – continuò incalzante.
Il tenente strinse con scoramento la bandiera strappata: - Sì, circa un mese fa.
- E quello scrigno conteneva tre sfere – il comandante continuò quel mortificante interrogatorio che gli parve già l’anticamera del patibolo.
- È così – rispose con un sussurro Goku, sprofondando nella dura sedia. Abbassò gli occhi senza concentrarsi su qualcosa di specifico. Si sentiva trattato alla stregua di un criminale e il peggio era che non riusciva a comprendere come facessero a conoscere tutti quei retroscena. In un certo senso, tuttavia, ammettere la sua colpevolezza ora gli alleggeriva il cuore.
Il calore di una mano amichevole azzittì il suo brumoso ragionare, e il ragazzo ricambiò la stretta incoraggiante del professor Brief. Accantonò quel senso di sconfitta e umiliazione, appigliandosi alla virtù che più aveva coltivato, l’abnegazione per quella divisa che mai avrebbe voluto sporcare con la slealtà.
 - Non posso contraddirvi, ma mi è consentito chiedere chi vi ha riferito tutto questo?
Il Capitano Muten gli sequestrò il brandello di bandiera della Proudy Star: - Una fonte a lei molto vicina. Un uomo della sua ciurma. Lo abbiamo raccolto una settimana fa a Zizlis, dove mendicava un passaggio per il Regno dell’Ovest – e nel frattempo dei colpi secchi bussarono dall’esterno – Oh, eccolo. Magari lo conoscete – convenne aggrottato, dando il segnale a due soldati rimasti con loro di condurre dentro l’informatore.
Uno strascichio di catene rimarcò l’ingresso dell’ostaggio in quella stessa stanza che stava divenendo insolitamente affollata. Goku scrutò con insistenza quello che aveva tutta l’apparenza di essere un bucaniere male in arnese, con la sua giubba logora di uno stinto color vinaccia, i calzoni bucherellati e fradici trattenuti da una fascia priva di armi, gli stivali scollati, i capelli incolti tenuti annodati scompostamente da un codino. Somigliava a molti altri cattivi elementi che aveva incrociato durante il suo girovagare per mari. Non ricordava di averlo mai visto prima, nonostante sul suo viso abbronzato risaltasse un particolare che avrebbe dovuto ricordare, due vistose cicatrici, una delle quali gli tagliava in verticale l’occhio destro, l’altra formava una crocetta sulla guancia sinistra.
Il professor Brief, di contro, aveva sussultato di riprovazione: - Perché, figliolo?
La faccia del pirata non aveva mostrato segni di pentimento, ostentando una certa boria, e Goku dovette frenare l’inconsulto impeto di spaccargliela - Non soltanto l’hai tradita. L’hai anche abbandonata tra le grinfie di quell’ignobile canaglia! – lo biasimò, dimenandosi inutilmente nelle manette.
Yamcha allora sogghignò con disincanto: - Può anche sembrarti illogico o vigliacco. Ma, credimi, era l’unica maniera di salvarla, a questo punto – si schermì, avvilito e acrimonioso, e il suo tono e il suo sguardo da innamorato respinto destarono in Goku il dubbio di aver peccato di avventatezza nel giudicarlo subito negativamente. Per quanto lui ne sapeva ben poco di quelle contorte faccende di innamorati.
- Bisognerà rivolgersi al Dio del Mare del Nord – riconsiderò il Capitano Muten, azzittendoli – Ci servirà la sua intercessione per metterci in comunicazione col Supremo – caldeggiò, picchiettando una bacchettina su un planisfero, in prossimità del luogo che aveva appena menzionato.
- Inoltre lui custodisce la bussola originaria con cui rintracciare le sfere – enunciò Brief, e il vecchio marinaio lo aiutò ad accendersi il sigaro, continuando a chiacchierare come nulla fosse.
- Il professor Brief si è offerto di collaborare con noi, in cambio dell’annullamento della condanna di sua figlia. Ci aiuterà a capire in che modo sconfiggere il Drago. E avremo bisogno anche di te – Giuma fece ammenda additando con stima il genero, infondendogli un nuovo sorriso.
- Pensavo di aver commesso un danno irreparabile, ma se adesso potrò rimediare, ne sarò onorato – si affrettò ad adempiere l’ordine. Voleva ritenersi degno di indossare quella divisa.
Il professor Brief tossì qualche nuvoletta di fumo: - Certo che puoi, sei tu il prescelto, a quanto riportato in questo ermetico testo – affermò, scorrendo il monocolo su una pagina aperta.
Una sgradevole sensazione di inettitudine si riappropriò di Goku, aprendogli una ferita nell’orgoglio al quale aveva finora impedito di protestare.
- Che vuol dire? – farfugliò imbambolato, mentre Yamcha, fiducioso in un’estromissione del suo rivale, affilava le orecchie.
L’ammiraglio, lo scienziato e il comandante si scambiarono un’occhiata rassegnata, benché sottesa di serenità: condividevano da molti anni quelle conoscenze, ed era inevitabile che un giorno dovessero affidarle a qualcun altro.
Muten si tolse il tricorno, massaggiandosi il cranio lucido: - Abbiamo riflettuto a lungo sull’opportunità di addivenire a questa decisione. Credo che sia giunto il momento che sappiate la verità.



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Capitolo 23
*** XXIII: A rewritten past ***


Salve gente :)

Eccomi come promesso con un nuovo aggiornamento in tempi decenti ^^
In verità questo capitolo è direttamente collegato al precedente: ho preferito dividerlo a metà per questioni di lunghezza. Siamo ancora in una fase ferma ed esplicativa della storia alla base di tutti gli intrecci, anche se non ho voluto svelare ancora proprio tutto...
Spero che l'abbondanza di dialoghi non risulti troppo noiosa, purtroppo prima o poi dovevo spiegare alcune cose, ed ho voluto che a farlo fossero dei personaggi secondari, cui ho dedicato un po' di spazio.
Ringrazio tantissimo tutti i lettori che hanno continuato ad imbarcarsi (e siete stati molti di più di quanto immaginassi), spronandomi a riprendere con entusiasmo la scrittura.
Pareri, osservazioni, critiche sono sempre ben accetti.

Al prossimo approdo!)


XXIII: A REWRITTEN PAST

Il Capitano Muten, in qualità di più anziano e compassato del trio, si arrogò l’onere di cominciare il misterioso racconto. Alzatosi in piedi, si concentrò sui ghirigori degli arazzi, ripercorrendo tramite i fili colorati, quelli non ancora sbiaditi della reminiscenza.
- Quelle sfere in principio avrebbero dovuto essere degli oggetti magici da utilizzare a fin di bene. L’auspicio del loro Creatore era che il genere umano se ne servisse per migliorare se stesso e il mondo. Invece sono sempre state portatrici di conflitti. Ciclicamente si scatenavano ostilità tra i più potenti signori della guerra che cercavano di accaparrarsele ed esaudire così la loro brama di supremazia. Fu per questo che il Supremo, rendendosi conto di come gli uomini ne fossero corrotti e danneggiati, decise di scagliarle nelle profondità della Terra, perché nessuno potesse più rubarle. Non le annientò, perché la sua speranza era che l’umanità un giorno ne apprezzasse il valore. Furono delegate alla custodia degli Umigame, gli dei degli Oceani.
- Cionondimeno la scienza e la tecnica con i secoli sono progredite – asseverò saccentemente il professor Brief, non negando una certa irrequietezza nell’ammetterlo. Si avvertì un insistente graffiare e miagolare alla finestra, e il baffuto inventore si affrettò ad aprirla per recuperare il suo affezionato gattino persiano.
Goku rimase pensieroso, massaggiandosi i polsi ancora un po’ indolenziti dalla morsa dei bracciali di ferro appena rimossi, mentre Yamcha si espose, sciogliendo il riserbo: - Sì, ma anche con le invenzioni odierne … sarebbe comunque impossibile raggiungere gli abissi.
Lo scienziato assentì comprensivo: - In questo presente. Sette lustri fa era tutto molto più semplice.
Goku rialzò lo sguardo sui tre superiori e incrociò le braccia, interrogandoli con muto fermento.
Stavolta fu Giuma a rispondere: - A quell’epoca esistevano navi sommergibili in grado di scandagliare le profondità marine. Così l’interesse per le sfere del Drago, delle quali gli uomini più avidi non avevano perso memoria, si riaccese con frenetica e aberrante violenza.
I due ascoltatori si sbirciarono, attoniti e brulicanti di domande, ma non si frapposero a spiccicarle, limitandosi a prestare attenzione al resto dell’ignota storia.
- Furono Garlic II e Lord Cold, istigati dal malvagio Al Satan, a riprendere lo scontro, mettendo a soqquadro svariate nazioni, riducendo interi popoli in schiavitù, devastando perfino i fondali e sterminando le loro creature – rettificò con disgusto il Capitano Muten.
- Fui costretto io stesso a mettere il mio ingegno al servizio di Lord Cold, per progettare diaboliche armi con cui scovare e distruggere i protettori delle sfere – rimpianse costernato il professor Brief – Anche se la prigionia fu addolcita dall’incontro con quella che poi sarebbe diventata mia moglie – rievocò commosso, tirando fuori un fazzoletto per soffiarsi il naso e tossire il suo dispiacere, mentre il gattino Scratch gli si sistemava su una spalla.
 - E fu allora che si costituì la Flotta dei Sette Regni per combatterli e per frenare quello scempio – asseverò con percettibile vanto Giuma – Li sconfiggemmo, benché riuscimmo a salvare solo una di quelle creature …
Il tenente Son si puntellò sui gomiti: - Come ci riusciste? – frizzò, coinvolto e travolto da quelle rivelazioni.
Ci fu un denso silenzio. I tre attempati amici tentennavano, osservandosi con esitazione, incerti della reazione che avrebbe suscitato quella stupefacente confessione.
- Non ne andiamo fieri, ma fu anche grazie all’incosciente prodezza di un sayan – desistette l’ammiraglio, togliendo il bicorno in segno di rispetto per il ricordo di quel gesto.
Una risatina sfottente spezzò quell’attimo di calma reverenziale: - I sayan sono una razza meschina e scellerata. Saccheggiano, distruggono, violentano. Non hanno mai compiuto azioni eroiche o benevole – malignò incattivito Yamcha, battendo i pugni ancora incatenati sul tavolo, con uno sdegno che lasciava intendere un certo coinvolgimento personale.
 - Ciò è vero. – concordò Muten - Eppure uno di loro, tuttora non saprei dire se per spocchia o per cupidigia, scelse di schierarsi dalla nostra parte – contrappuntò, staccando gli occhi dalle pareti decorate, rivolgendoli a quelli dei due giovani che lo osteggiavano – Si chiamava Bardack ed era tuo padre, Son Goku.
Quello boccheggiò disorientato. Prima di essere segnalato per l’accademia militare, aveva trascorso la sua infanzia tra l’orfanotrofio e il riformatorio, insieme a ragazzini che come lui, non avevano conosciuto i propri parenti. L’assenza dell’affetto dei genitori non gli era mai parsa una pena insopportabile, perché si era sempre fatto benvolere da tutti in virtù del suo innato buonumore e del suo disinteressato altruismo, che pure gli aveva procurato qualche incidente, portandolo a disubbidire talvolta a quanto gli era raccomandato. Non poteva rinnegare, però, di ritrovarsi a pensare di tanto in tanto, quando s’imbatteva in qualche famigliola felice o se ne stava ad ammirare il cielo stellato dei tropici, da dove provenisse, per quale ragione lo avessero ripudiato, o cosa fosse successo ai suoi genitori per decidere di disfarsi di lui.
Muten continuava ad intessere la cronaca di altri particolari, affermando che quel Bardack era stato una sorta di corsaro al servizio di Re Vegeta e aveva portato con sé la moglie in procinto di partorire, lanciandosi in quella dissennata impresa di guerreggiare contro Lord Cold, che lo aveva condotto alla morte, la stessa morte che avrebbe preso poco dopo anche sua madre, stremata dal dolore e dalle emorragie del parto.
Yamcha nel mentre scrutava con rancore il marinaio chiamato in causa, cercando in lui qualche somiglianza con quel Capitan Vegeta che aveva fatto tribolare il suo controllo e forse ancora di più quello di Bulma. Venire a scoprire che la loro salvezza sarebbe dipesa da un esponente di quello stesso stampo, istintivamente non lo rassicurava, nonostante quei due messi a confronto, salvo una fisionomia vagamente simile adesso che era fermo in quell’atteggiamento riflessivo, apparivano caratterialmente agli antipodi.
- Noi crediamo che Bardack stesse tramando di usurpare il suo re – ridimensionò l’aura leggendaria di quel sayan intanto Giuma – Era il comandante in capo delle forze armate del regno, e dimostrandosi strategicamente superiore in campo di battaglia, intendeva organizzare una rivolta. La lotta contro Lord Cold e Garlic II funse da pretesto per conquistarsi un seguito, che non poté però sfruttare.
- Era stato già esiliato da Re Vegeta quando intervenne in nostro favore – corroborò quell’asserzione Muten – Tuttavia senza il suo egoistico intervento sarebbe stato molto più difficile vincere.
- È stata la gratitudine nei suoi confronti a convincerci a risparmiarti la vita. – sottilizzò il comandante supremo della Marina Imperiale – Pensammo che allevandoti secondo i nostri costumi, avremmo potuto convertire in maniera positiva le qualità dei sayan, forza, tenacia e combattività.
Adducevano giustificazioni, attenuanti cui adesso stentava a dare credito. Il piedistallo su cui l’avevano collocato si sbriciolò: si sentiva un troncone in mezzo all’oceano in tempesta. Era diventato nemico della sua stessa gente. Goku si sentiva svuotato, rimescolato, traboccante di sensazioni contrastanti. Non sapeva niente di sé, aveva costruito tutta la sua esistenza su supposizioni e fantasie che non si erano rivelate neppure lontanamente vicine alla realtà. Ora che il suo passato era stato riscritto, il suo presente gli appariva nebbioso, e il futuro non meno caliginoso.
- Non ci avete ancora spiegato la faccenda dei vascelli che navigavano sotto il mare.
Yamcha ruppe nuovamente quella snervante sospensione. Era riuscito a scappare difficoltosamente da quel vascello infernale, consapevole che il contraccambio sarebbe stato il suo disprezzo e la sua ingiuria. Si era figurato che in merito alle informazioni che aveva spifferato lo liberassero, invece anche lì continuavano a non prendere in considerazione la sua presenza.
Muten camminò verso di lui, spostando le lenti ombreggiate sulla punta del naso: - Sei più sveglio di quel che sembra, signor Yanko. Dopotutto, fosti pure tu mio allievo, prima di invertire rotta per tramutarti in un pirata da strapazzo! – inveì rifilandogli un energico scapaccione sull’orecchio che lo fece bestemmiare sottovoce. La sua carriera da bucaniere aveva toccato il fondo.
- Se avessi saputo che sarebbe stato questo il risultato per la mia eccellente opera di spionaggio! – biascicò con malcontento – Senza offesa, compare – ammiccò verso Goku, stringendosi nelle spalle.
- Eccellente un corno! Non ci hai nemmeno saputo indicare quale sarà la loro prossima meta! – lo rimbeccò ancora l’attempato Capitano, mollandogli un altro ceffone.
Goku stralunò a quell’ulteriore scoperta, ma tentò di accantonare i turbinosi pensieri che l’avevano ammutolito, non lasciandosi assalire dai pregiudizi e dai dubbi che continuavano a fioccare nella sua mente: - Il vostro amico ha ragione. Abbiamo il diritto di conoscere il pezzo più interessante della storia, signore – lo disse con mancanza di riverenza e con diffidenza, comprovando che a dispetto della sua immagine bonaria non fosse affatto ottuso.
- I sommergibili non esistono più semplicemente perché desiderammo che non fossero stati mai inventati – esternò con noncuranza il professore Brief, vezzeggiando il gattino nero – Vedi, mentre i sayan prestavano manforte alla Flotta Imperiale, tenendo occupati sia Garlic che Lord Cold, io e la mia Bunny cogliemmo l’attimo per abbandonare la Dark Crystal, grazie a quel valoroso Bardack. Avevamo con noi quella piccola creatura anfibia e tutte e sette le sfere – ricordò con occhi lucidi.
Goku e Yamcha si sporsero verso l’eclettico inventore, sempre più curiosi.
- Dovevamo sbrigarci ad esprimere le nostre richieste – obiettò Muten – sospettavamo che lo stesso Bardack avesse delle mire personali sulle sfere, e l’unica maniera di disperderle era evocare lo spirito di Shenron.
- Perciò convenimmo di esprimere che l’evoluzione tornasse a uno stadio precedente all’invenzione di motori e corrente elettrica, così che le sfere se ne stessero al sicuro in fondo al mare per qualche altro secolo – puntualizzò Giuma.
Yamcha sbalordì: - Com’è possibile che nessun altro conosca questi fatti?
- Solo coloro che erano presenti al momento in cui fu espresso quel desiderio, ne hanno serbato memoria – ridacchiò Muten. – Per tutti gli altri è normale trovarsi in questa specie di medioevo della filibusta!
Il pirata rise a sua volta, cominciando a raccapezzarsi: - Ecco da dove tiravate fuori tutte quelle invenzioni strampalate, voi e vostra figlia! – dedusse, ma poi fu sopraffatto di nuovo da un senso di irrisolto – A proposito, ha più di quarant’anni?!
Il baffuto professore rispose tra i colpetti di tosse: - Ha avuto una crescita fuori dalla norma.
- Lo puoi ben dire! – approvò stupito il bandito.
Goku scrollò la testa, indispettito e inebetito: - È di Bulma che state parlando?
Brief annuì protettivo: - Io e mia moglie ci eravamo affezionati molto a quella creaturina che era stata rapita per ricattare il sovrano degli Oceani, Cell, essendo una delle sue figlie. Approfittando della confusione e della distrazione degli altri litiganti, chiedemmo al Drago che la sirenetta avesse il dono della parola e che potesse camminare sulla terra, ogni giorno. Fummo un po’ affrettati nel pronunciare quella richiesta – ammise dispiaciuto.
- Perché? – intervenne Goku, estraneo ai fatti.
Il vecchio Muten aprì un grosso tomo, spingendoglielo accanto, e il ragazzo guardò accuratamente la fantastica raffigurazione di un serpentone dalle mostruose dimensioni con il muso da coccodrillo: - Shenron, non è altri che un antico genio in forma di drago, volubile, suscettibile, difficile da interpellare. I desideri devono essere semplici e precisi, altrimenti c’è il rischio che vengano mal interpretati.
- Così Bulma di notte torna ad essere quel che era in origine – confessò amaramente il professore.
A Goku sfuggì un singulto incredulo.
- Cribbio! – esclamò Yamcha sconcertato – Avete combinato un bel pasticcio!


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Capitolo 24
*** XXIV: Can't fight the moonlight ***


Salve ciurma :)
Come va? Eccomi finalmente a proporvi un nuovo capitolo in cui protagonisti assoluti saranno questa volta i nostri beniamini, ovvero Capitan Brief e Capitan Vegeta: dopo aver collaborato controvoglia per recuperare la prima sfera, adesso sono sulle tracce della prossima. Ma ognuno di loro custodisce anche un segreto inconfessabile, che poi è il motivo principale per il quale hanno intrapreso questa caccia al tesoro. Qui ho cercato di smuovere ancora un po' le acque tra i due e di accennare possibili sviluppi futuri della loro relazione. Hanno ancora qualche lega davanti e tutto può succedere.
L'aggiornamento è poco più lungo della media, dopo averci riflettuto ho preferito lasciarlo così per compensare la brevità del precedente.

Ringrazio di cuore chi ha continuato a leggere ed apprezzare questa mia incursione nel fandom Dragon Ball e tutti coloro che si sono imbarcati nelle ultime maree. Come sempre i commenti di qualunque natura sono graditi.

Buona lettura e al prossimo approdo!)

XXV – CAN’T FIGHT THE MOONLIGHT

Ricontrollò la triangolazione aiutandosi con le squadrette nautiche, il compasso a due punte e le parallele, quindi intinse un paio di volte la penna nel calamaio, appuntando altre cifre e coordinate sul proprio taccuino e ricopiandole in un pezzo di carta.
Aveva terminato di carteggiare l’itinerario, incrociando le indicazioni della bussola cerca-sfere e delle Carte del Supremo, ma non aveva ancora trovato il nesso tra il punto che lampeggiava sulla tavoletta e la direzione Nord Nord Est segnalata dall’ago magnetico. Ed erano oramai giorni che ci provava, doveva capire in che modo assemblare il tangram per ricavare le informazioni utili ad identificare la meta e raggiungerla. Eppure non era stato tanto macchinoso in precedenza trovare la combinazione per incastrare i sette pezzi di quel rompicapo.
Continuava a sbattere contro un vetro infrangibile, le pareti sembravano restringersi fino a inghiottirla. Quello spazio limitato e avverso la asfissiava.
Bulma respirò a fondo per sbollentare le meningi, stropicciandosi le tempie. Era segregata lì da ore, i polmoni esigevano una corroborante boccata d’aria salmastra. Sebbene non l’avessero messa alla catena, non poteva uscire: c’era sempre qualche gorillone appostato dietro la porta per assicurarsi che restasse dentro, fino a che il Capitano non sarebbe ritornato.
Una sensazione così opprimente l’aveva sperimentata solo dentro un acquario, sperava non si sarebbe più ripetuta, si era ripromessa che avrebbe rifuggito situazioni simili, invece si era cacciata in qualcosa di peggio, ed era rimasta sola, sola contro tutti, si rammaricò, distraendosi a scomporre e ricomporre le Carte senza soluzione.
Non riusciva a riflettere serenamente.
I pensieri turbinavano con sconforto e rabbia verso Yamcha, scomparso una settimana prima, senza che sapesse come o perché. Era l’unico su cui faceva affidamento in quella manica di rinnegati che si assoggettavano al miglior offerente.
Un sostegno, un amico o forse qualcosa di più ...
Disgraziatamente non avevano incrociato altre navi da depredare, dopo l’infruttuoso spargimento di sangue seguito all’arrembaggio di un bastimento mercantile con un carico di cotone e spezie, così avevano dovuto far scalo, per rifornirsi di munizioni, viveri e pezzi di ricambio. Lui era sceso insieme agli altri e le sue tracce si erano perse. Aveva chiesto se l’avessero visto, ma la dura legge dei pirati era stata rispettata esemplarmente, e nessuno si era preoccupato di aspettarlo.
Aveva criticato il suo avventato piano sin dall’inizio e manifestato spesso la sua intolleranza e diffidenza nei riguardi di Vegeta. Che il suo socio se ne fosse svignato clandestinamente, senza consultarla, era una mera e stucchevole congettura, se non altro la ripugnava meno di un deliberato delitto ordito dallo stesso Capitano, benché lui non avesse smentito apertamente quel sospetto.
Dannata carogna!”, lo maledisse.
Si ostinava a mostrarle il lato più torbido di sé, sebbene involontariamente, in fugaci attimi, aveva lasciato trapelare qualche spiraglio luminoso. Anche se avvertiva una spina nel fianco che la martoriava quando si sfioravano, doveva ammettere a se stessa che quel bisbetico ingrato con cui non aveva fatto altro che scambiare infinite schermaglie verbali, le suscitava una scabrosa e disorientante attrattiva. Credeva di piacergli un po’, anche se non avrebbe voluto.
Le lancette di orologio e bussola ticchettavano, rammentandole che non poteva più oziare e sprecare altro tempo prezioso. Si alzò in piedi e sgranchì le gambe, compiendo un giro in tondo per la cabina, scrollandosi dalla testa quelle inopportune divagazioni.
Era totalmente emarginata, non possedeva più appoggi nella ciurma. Avrebbe potuto ovviare alla sua compromettente inferiorità solo con intelligenza e determinazione, un sodalizio vincente che si impose di recuperare per tentare di risolvere l’arzigogolato enigma che finora l’aveva impegnata senza successo.
Riguardò nuovamente le coordinate e le confrontò con minuziosità su un’altra mappa più aggiornata dei mari orientali che aveva rinvenuto poco prima curiosando tra le cassettiere del suo ospite, quindi afferrò la lente di ingrandimento per leggere meglio il nome della località cui corrispondevano latitudine e longitudine: Arcipelago dei Diamanti Blu. Il nome non le suggeriva niente di riproducibile sul tangram. Tuttavia cominciò a ruotare la carta di qualche grado e si accorse che la particolare disposizione di quelle cinque isole contornate da faraglioni somigliava approssimativamente a qualcosa.
Le parve sin troppo semplice. Afferrò la matita e si sedette, tracciando uno schizzo sul quadernetto per avere un riferimento, dunque smontò i blocchetti e cominciò a costruire la figura. Impiegò qualche minuto per incastrare correttamente i cinque triangoli con il quadrato e il parallelogrammo, provando vari assemblaggi, infine l’immagine che aveva focalizzato si compose e anche la bussola cerca-sfere rientrò nella combinazione.
- Ma sì, certo! È una corona! – esultò infervorata, tirando involontariamente un pugno contro la boccetta di inchiostro che cadde dal piano e si rovesciò sul pavimento, andando a macchiare il consunto ma costoso tappeto che lo ricopriva.
Bulma si abbassò colpevolmente sotto il tavolo per appurare l’entità del danno prodotto dalla sua maldestria: una difficilmente camuffabile chiazza nera.
Iniziò a rovistare freneticamente nei cassettoni e negli stipi, cercando delle bottiglie di alcol, dovette travasare e unire più scolature, strofinando alla bell’e meglio la macchia, con un risultato poco soddisfacente. Sbuffò irritata: avrebbe voluto evitarsi una ramanzina per quello stupido incidente, si disse, tendendo con tutte le forze il tappeto verso di sé per spostarlo. Ma l’enorme peso di quel massiccio tavolo di noce che lo bloccava rendeva impossibile la manovra, peggio, la tramatura di lana rischiava di sfilacciarsi. Arrendendosi ne arrotolò l’angolo e allora notò qualcosa che aveva già intravisto in precedenza, senza potersi soffermare. Un chiavistello che chiudeva quella che aveva tutta l’apparenza di essere una botola.
Capitan Vegeta momentaneamente non era a bordo, ma non sapeva quanto potesse ancora mancare. L’equipaggio reduce dalla traversata dei Mari del Sud era stremato e dimezzato, così lungo il viaggio si era visto costretto a rimpiazzarlo con nuove reclute, che stava sottoponendo a severe valutazioni prima di imbarcarle sulla Bloody Wench.
Non avrebbero sostato ancora molto, ma Bulma considerò che fosse un’occasione troppo ghiotta per rimandare di nuovo un’ispezione. D’altronde nulla la poteva dissuadere dalla convinzione che quell’uomo sempre altero e corrucciato nascondesse qualcosa. Stava diventando un chiodo fisso raschiare quello spessissimo e resistente strato di incomprensione e indifferenza. Si mise in ascolto di eventuali movimenti dall’esterno, e intanto scostò meglio il tappeto per scoprire l’estensione del portello. Non era molto largo, al massimo consentiva l’accesso di una persona, però uno dei piedi di quel tavolone vi poggiava sopra in parte, e sembrava esservi stato inchiodato. Non se ne convinse, lo analizzò meglio e provò a cercare se vi fosse una qualche leva mimetizzata, che, in effetti, dopo poco tastare, trovò, dissimulata in un arabesco. Il grosso appoggio apparentemente inamovibile scattò, ripiegandosi indentro, e la botola occultata fu totalmente libera di aprirsi.
Bulma trasse un lungo respiro e gettò un’occhiata all’interno, sbalordendosi: era molto più profonda di quanto potesse supporre, forse era addirittura comunicante con l’esterno della chiglia.  Svelta, recuperò uno spago dalla sporta e un lumicino che aveva posato accanto alle mappe, e annodandovelo, lo fece penzolare all’interno dell’apertura, che se lo ingoiò. Si sporse ancora un po’ più dentro e la lucerna rischiarò delle scalette scavate nel legno della pavesata che percorrevano il cunicolo. Le arrivò in pieno viso una folata di rinchiuso e umidità. C’era qualcosa di strano e terribile in quell’incognito passaggio. La sua effettiva utilità sfuggiva alla sua cognizione.

- Issare gli ormeggi! Alle gabbie! Cazzate le scotte! Sbrogliate le vele!

L’improvviso moltiplicarsi delle disposizioni per l’imminente partenza la fece balzare di soprassalto.
Bulma si arrabattò a riavvolgere lo spago e tirar fuori il lume, poggiandolo accanto alle carte. Chiuse il coperchio, ristese il tappeto e calciò le bottiglie sotto gli altri scrittoi, ma spingendo nuovamente la leva, la quarta gamba del tavolo non tornò in posizione. Percependo un’avanzare di passi rigorosi e cadenzati sulle scalette, si sforzò di apparire assolutamente tranquilla, intanto che ricercava tastoni altri pulsanti, riprendendo a studiare le carte, nell’attesa che il misterioso comandante si affacciasse a controllare il suo lavoro.
Infatti non trascorse che una manciata di secondi prima che la criniera irsuta del bucaniere facesse il suo ingresso in sala nautica. Appese ad un gancio il pastrano color antracite, incedendo con autoritaria flemma verso di lei.
- Ben tornato, Capitano. – lo salutò imparziale, deviando brevemente lo sguardo dalle scritture.
Era brava a simulare una certa sicurezza, ignorando che lui riusciva a percepire nitidamente le pulsazioni scompensate che le affannavano il petto contenuto a stento da quel corsetto strizzato. Gli stava tacendo qualcosa. Le sue ripetute assenze le erano valse il pretesto per fare ostruzione, e aveva rallentato le ricerche. Era stato vano appiopparle catene o guinzagli, perché puntualmente riusciva ad aprirle o rompere. Era una donna colta e ingegnosa, difficile da sottomettere.
Vegeta si accigliò moderando la respirazione, infastidito da tutto quel disordine di strumenti, portolani e cartacce disseminati sul suo scrittoio già da giorni, senza che lei conseguisse un qualche riscontro concreto: - Avete fatto progressi o il vostro brillante cervelletto di cui tanto vi vantate continua a struggersi per la dipartita del pezzente? Perché in tal caso, scaricherò le vostre chiappe sul prossimo pezzetto di terra che incontreremo.
Sempre affabile”, si risentì Bulma, soffocando un versaccio di collera. L’arroganza e l’insensibilità di quell’uomo le rivoltavano le budella, ma ebbe l’accortezza di sorvolare:
- Arcipelago dei Diamanti Blu – gli riferì con un sorrisetto stringato.
L’azzurra, tralasciando di offendersi, gli sottopose un animato resoconto delle sue scoperte. Raccontava e sorrideva. La bellezza del suo sorriso riempiva gli occhi e ammansiva lo spirito assuefatto allo squallore del vivere tra nefandezze, assassini e traditori. E Vegeta si ritrovò a pensare che fosse inaccettabile quanto lo avesse disturbato vederlo svanire, per di più a causa della codarda fuga di quello scalcagnato marinaio d’acqua dolce.
Non si spiegava cosa ci trovasse in una nullità come lui.
- In tutto questo, non sono riuscita a decifrare l’indovinello, però. È aramaico! – proruppe indispettita la piratessa, sviandolo da quelle inconsistenti e disdicevoli considerazioni e obbligandolo a dominarsi.
Si appropriò della sua lente e valutò da sé l’iscrizione indicata dalla lancetta della bussola:
- Perché non potrebbe trattarsi di sanscrito, allora? – prospettò, con quella che a Bulma apparve una derisoria pignoleria, ricredendosi quanto lo vide dirigersi con fermezza verso una piccola libreria e selezionare un malridotto volumetto dalla copertina intarsiata di fregi simili alle lettere incise sulla tavoletta. Non avrebbe mai immaginato che possedesse un cimelio così singolare.
- Avete frugato nei posti sbagliati – si limitò a rispondere con permalosità per dirottare il suo apprezzamento, accennando alla mappa dei mari orientali che aveva sottratto dalla sua collezione.
Accostò il cifrario al tangram e lei, tralasciando il tono giudicatore con cui le aveva rivolto quell’osservazione, gli porse un foglio, la penna e quel residuo di inchiostro di china preservatosi, per trascrivere la traduzione.
Vegeta non si ritrasse, ma più secondi si protraeva quel disturbante silenzio, più sentiva la gola arsa dalle occhiate melense della donna che convergevano sulla sua arcata sopracciliare e scendevano a soppesare con ambivalente attrazione e repulsione le cicatrici che gli marchiavano il torace, visibile tra i risvolti della camicia.
Le narici si allargarono in debito di ossigeno, infiammandosi a quel profumo mellifluo di nettare fresco che gli arrivò come un pugno, incitandolo ad avventarsi contro la creatura che lo emanava. Un gorgoglio gli strinse lo stomaco e insensatamente cominciò a sperare che parlasse, distraendolo dal suo collo affusolato su cui c’era una venuzza che pulsava, molto stuzzicante.
- Curioso che entrambi abbiamo procrastinato per ultimo lo stesso posto – sconfessò provvidenzialmente la tentazione l’esploratrice – A mia discolpa, non disponevo delle vostre stesse informazioni. Nelle mie carte quel luogo era citato di straforo – non lesinò di confessargli, spiluccando alcuni datteri da un sacchettino e proponendoli anche a lui.
Il pirata respinse contrariato la sua confidenziale offerta, restando concentrato sul testo:
- È un infimo reame in declino, i cui sciocchi abitanti prolificano irragionevolmente come conigli.
- E ho potuto intuire che voi non siete esattamente uno che gradisce accalcarsi tra la gente – assodò schiettamente Bulma, strizzandogli un occhio. Si mise a sbirciare la frase che aveva trascritto, leggendo dal foglio capovolto, allungandosi pericolosamente in avanti:
- Usbergo superbo tra impervie acque affiora
Vegeta annaspò, spiazzato dalle sue intenzioni. Che volesse fare del sarcasmo, farselo amico o fosse solleticata da chissà quali altri assurdità? Nel dubbio scelse di allontanarsi e rifilare a lei la gatta da pelare: - Il resto a voi. Crogiolatevi – le voltò le spalle con un raschio.
Anziché uscire in coperta, indugiò tra gli altri scaffali, rispolverò una fiaschetta, aprì la porta e si installò tra gli stipiti, imponendole, sottinteso, che sarebbe rimasta lì finché non avesse ultimato di tradurre l’incognito quesito.
Era pomeriggio inoltrato, qualche crampo iniziava a intorpidire le articolazioni, il ricambio d’aria almeno lenì quell’opprimente tensione. Bulma diede una scorsa al codice e fece appello alla sua scattante mente matematica per decrittare con rapidità il formulario, e non dargli alcun pretesto per punirla.
- Comunque non comprendo che motivo abbiate di rivolgervi al Dio Drago – non resistette a rinfacciargli dopo pochi minuti – Un uomo impavido e sprezzante come voi, mi sembra capace di ottenere tutto ciò che vuole con le proprie forze – mugugnò innocentemente, completando la seconda riga.
Capitan Vegeta digrignò. Detestava quel suo bisogno continuo di blaterare, anche se discutere con lei lo elettrizzava: - Voi credete alle leggende?
La turchina sollevò e sbatté le palpebre, imbattendosi nel suo sguardo malizioso: - Io? – chiese in un farfuglio, cui il furfante annuì non staccando le avide labbra dal liquore.  La sua rozzezza la faceva sentire sconciamente sottosopra. Scosse la treccia: era fuori di sé, le unghie già si stavano screziando. Si appigliò a tutta la sua razionalità: - Considerato l’oggetto delle mie ricerche, suppongo di sì. Tuttavia sono fermamente convinta che la maggior parte di quelle storie sia stata creata solo per rendere gli uomini schiavi della loro ignoranza.
- E a volte ciò è un bene …
Le sue iridi appuntite la arrostirono, eppure non fu certa di aver afferrato proprio quelle parole, e ancora più la lasciò dubitare il loro senso. Attribuì quel tremito a un allarme fisiologico che le suggeriva di affrettarsi prima che le incogliesse. Scritto l’ultimo vocabolo, prese il foglio con cautela perché con le estremità affilate non si tagliasse, e lesse a voce alta e chiara la resa, richiamando l’attenzione dell’aguzzino: - "Usbergo superbo tra impervie acque affiora, di empori e di scettro opulenta dimora. Alato flagello vi incombe al tramonto, a ritroso fileggia per fuggire l’affronto".
Ironicamente quell’ultima frase le sembrò un’atroce coincidenza.
 - Ci attendono altre peripezie! – inghiottì l’agitazione, alzandosi e raccogliendo con simulata calma tutti gli strumenti nautici e i libri, infilandoli alla rinfusa nella sacca a tracolla.
Il rimbombare febbrile delle sue palpitazioni la tradì e lo insospettì. Vegeta frantumò la bottiglietta ormai svuotata e si staccò dalla soglia. Non ci si era applicato con la giusta circospezione: all’imbrunire doveva succederle qualcosa. Falciò la sala, frapponendosi alla sua unica via d’uscita.
- Al calare del sole scappate a rinchiudervi in cabina come se aveste il diavolo alle calcagna. Non sarà che avete paura del buio? – insinuò con un risolino beffardo, addossandosi alla colonna del letto a baldacchino.
Bulma nascose le dita palmate dietro la schiena: - Vi pare? – derise l’incresciosa illazione, tentando di trovare la maniera di aggirarlo. Gli occhi le caddero di nuovo su quelle lenzuola spiegazzate, segno di nottate insonni, e suo malgrado s’impappinò: - La mia non è paura, bensì prudenza. Conoscendo la vostra rinomata dissolutezza.
Il sayan fiutò la sua vulnerabilità e gliela ritorse contro: - La cosa vi turba? – le sussurrò, piegando la testa verso il giaciglio scomposto, infido come un serpente tentatore.
Sprizzava una sensualità tossica. Fantasticare per un attimo come potesse comportarsi in certi frangenti, la fece arrossire fino alla punta dei capelli. Non poteva permettersi cedimenti, le conseguenze sarebbero state ingestibili. E poi non era sicura che il suo scopo fosse proprio quello: giocava sporco come ogni pirata, non poteva fidarsi. Bulma si riebbe e fece la sostenuta: - Tutte quelle armi che mi avete gentilmente commissionato non si costruiranno da sole – si schermì con spiccia ovvietà, sgonfiando la sua provocazione.
Vegeta con un ghigno insolente si spostò di lato per farla passare. Le lasciò credere che avesse rinunciato. Attraverso i suoi potenti recettori sensoriali poté seguirla fino a che non la udì raggiungere il suo alloggio situato nell’interponte.
Avrebbe potuto riacciuffarla da un momento all’altro.
Si sedette a riesaminare il pezzo di carta con la trascrizione, ma fu qualcos’altro a sviarlo da quanto vi era scribacchiato: l’aleggiare di un aroma alcolico. Era comprensibile non l’avesse individuato subito, sborniato com’era dal suo lancinante profumo, eppure non si soffermò a riflettervi troppo perché c’era un'altra stranezza: l’assenza di uno dei piedi del tavolo, o meglio il suo essere fuori dall’asse, come se qualcuno avesse scoperto quale leva azionare, perché aveva curiosato troppo.
La chiazza sbiadita di inchiostro e le frange scombinate del tappeto erano un’ulteriore traccia, se mai fosse occorsa. Era scontato chi fosse stato quel qualcuno. Ora aveva un perfetto movente per concedersi lo sfizio di architettare una minatoria visita notturna.
Prima però attese che gli servissero la cena e non si astenne dal rimpinzarsi a dovere.


Gettò via il quaderno di appunti che stava leggiucchiando.
Era troppo stanca a quell’ora della notte per speculare su quell’intricato rebus. O, più probabilmente, era solo troppo deconcentrata dal ripensare a quel cunicolo segreto nella sua cabina e al suo goffo tentativo di sedurla, che un po’ l’aveva sorpresa. Non che fosse rimasta particolarmente oltraggiata: era perfettamente consapevole della sua avvenenza e dei suoi effetti, anche se una parte di sé li temeva. Perché non si conosceva sotto quell’aspetto. E in ogni caso erano stupidaggini senza fondamento: non sarebbe potuto succedere nulla tra loro. Pure lui, venendo a sapere cosa fosse in realtà, l’avrebbe ripugnata, come Yamcha.
Quel tesoro tanto sognato significava libertà. Aveva vissuto abbastanza di rinunce e privazioni.
Bulma sistemò un cuscino dietro la testa, cercando di rilassarsi al contatto con l’acqua calda intrisa di saponi da bagno, ma una sgradevole intrusione giunse a violare quell’intimità.
Vegeta fermò appena in tempo le ferraglie agganciate all’architrave della porta ad allertarla di intromissioni, poi dovette proseguire con passo cauto e felpato per non inciampare nel percorso ad ostacoli, costituito da bauli, barili, bacili, ampolle, alambicchi, e altri marchingegni che non seppe discernere, e che avevano trasformato quel vano in un piccolo laboratorio.
Lei sonnecchiava dentro la vasca. Avrebbe potuto ucciderla impunemente, ma non era lì per quella ragione. Alla luna nuova mancavano ancora un paio di settimane. Voleva avere una dimostrazione incontrovertibile, aveva atteso anche più del dovuto, affidandosi unicamente ai richiami dell’istinto.
- Vi ritirate sempre quando la conversazione sta assumendo sfumature interessanti …
La sirenetta si fece sfuggire uno strillo per quell’agguato alle spalle in piena regola:
- Capitano … siete voi – tartagliò, rannicchiandosi e sprofondando fino al mento, cercando di restare interamente coperta dalla schiuma e agitando i palmi per farla aumentare.
- È che oramai vi ho capito. A voi non piace chiacchierare e non volevo tediarvi – si difese risolutamente, percependo tuttavia che qualunque giustificazione fosse insostenibile. Era stata più che fortunata finora a tenerlo alla larga dalla sua appariscenza. Vi abboccavano tutti, anche non volendo.
Lui le girò attorno, enigmatico e ipnotico, curvandosi sulle ginocchia e posando il braccio a metà della tinozza, lisciandone l’orlo. Immerse bruscamente una mano e la ritirò, assaggiando il sapore catturato dalle dita, sale e miele, una miscela squisita che gli eccitò piacevolmente le papille.
- Lo sapevate? Basta l’odore di una sola minuscola goccia di sangue per attirare uno squalo a miglia di distanza – la insidiò, sfiorandole una guancia arrossita con le nocche sbucciate, mentre il battito scalpitante del suo cuore lo stordiva e i suoi occhi liquidi lo supplicavano di interrompersi.
- Dopodiché, inizia a toccare la sua preda e a urtarla ripetutamente – infierì impunito, le sue dita impertinenti scivolarono sul collo, aprendosi sulla curva dei seni, continuando a scendere lentamente sempre più in basso, solcando la pelle liscia che si tese percettibilmente – Lo fa per assaggiarla. E decidere se vale la pena di morderla – ringhiò perfido, tastando una vischiosa patina di squame, proprio sotto l’ombelico.
Una pinna caudale con sottili propaggini dai riflessi lavanda e argentati schizzò fuori dalla vasca e Vegeta tirò indietro il braccio dall’acqua, essendo stato trafitto da qualcosa di aguzzo che gli procurò un taglio.
Bulma lo minacciò di ripetere il gesto, mostrandogli le conchiglie acuminate che rivestivano le estremità delle dita: - C’è un seme di verità in ogni leggenda. – lo folgorò con franchezza disarmante, dimenando ancora la coda nella sua lunghezza.
L’aveva colta in flagrante, scoprendo quel peculiare segreto che non avrebbe più potuto fingere di ignorare, ciò nonostante era così testarda e sicura di sé, che si accaniva a non dargliela vinta.
Il pirata si leccò la ferita, squadrandola con raccapriccio e uno strano rimescolamento che lo annebbiò e non assomigliava più a fame: - Siete ributtante – sputò impietoso, trascinandosi via con un’andatura da belva imbizzarrita.
A lei quell’avversione parve spudoratamente falsa.





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Capitolo 25
*** XXV: Two much ***


Salve gente! Spero abbiate passato una Buona Pasqua e Pasquetta. Dalle mie parti oggi ha piovuto e così eccomi qui!
Approdo stasera un po' a sorpresa e un po' colpevole, avendo accumulato nuovamente un vergognoso ritardo sulla mia tabella di marcia T_T  Come sempre, si accavallano vari impegni e contrattempi e l'ispirazione ne risente, anche se più che altro ad impedirmi di sbarcare prima è stata la lacuna di tempo libero.
Comunque sia, spero che chi mi ha seguito continui a restare a bordo e ringrazio tutti i lettori che si sono aggiunti ultimamente.
In questo nuovo capitolo ho pensato di tornare a dare uno sguardo al grande cattivo della storia, ovvero Freezer. E ci sono dei toni un po' macabri...
Come sempre, pareri, critiche, osservazioni, sono sempre ben accetti. (Noto che ci sono molte visite, ma le recensioni scarseggiano :/)
Ringrazio f_94 per aver realizzato il foto montaggio che ho allegato a fine capitolo.

Spero di tornare presto, al prossimo approdo!)


XXIV: TWO MUCH

Distolse con apatia i ferrigni occhi rubini dal lugubre galleggiare di corpi esangui e mutilati, sbattuti disumanamente tra la schiuma che increspava appena le acque limpide e piatte in cui stavano annegando.
Quella cruda visione invero non lo impressionò più di tanto.
Il mare era un insaziabile assassino privo di compassione con cui l’uomo aveva dovuto confrontarsi dagli albori dei tempi. Era proprio la sua insita pericolosità, oltre alla sua vastità, a rendere tanto avvincente la possibilità di spadroneggiarvi, sottomettendo chiunque osasse sfuggire alla sua legge o trasgredire alla sua volontà.
Avrebbe inglobato l’eterno movimento delle onde nel suo essere e allora nessuno avrebbe potuto sconfiggerlo.
Quei miserabili avevano replicato allo stremo ai loro attacchi, nondimeno avevano opposto una sterile resistenza: nessun galeone poteva competere con le sofisticate e devastanti armi di distruzione di cui era fornita la Ice Lord, tantomeno esisteva ciurmaglia più efferata e implacabile.
Eccetto una, che quanto prima avrebbe eliminato dalla circolazione per riprendersi finalmente ciò di cui era stato spodestato: il dominio incontrastato degli oceani.

“Aspettami all’Inferno e non bruciarti troppo: vorrei poterti riconoscere quando ti raggiungerò anch’io.”

Quella frase infame e derisoria, filtrata tra la nebbia e le fiamme che lo dilaniavano, continuava a seviziare i meandri contusi della mente e gli intossicava le vene come un cancro.
Aveva atteso per anni una feroce rivincita che attenuasse quel costante senso di incompletezza e annichilimento. Era prossimo a compierla e la prospettiva di riottenere tutto quel potere gli faceva spasimare i nervi arrugginiti dall’astinenza.
Il suo corpo martoriato si stava rigenerando e scalpitava dalla cupidigia di sperimentare quella vigoria che ricominciava a scorrergli come lava sotto magma freddo.
Intanto, gli restavano le ultime noiose incombenze da predisporre per accaparrarsi l’elisir che gli avrebbe permesso di tornare a combattere e regnare.
Sollevò i lembi del lungo tabarro perché non si imbrattassero nella nauseabonda melma di budella sanguinolente e non si impigliassero tra i moncherini e i rottami sparpagliati sulle fradice assi che non erano state ancora ripulite da quella feccia.
La robusta alberatura era uscita discretamente intatta dallo scontro e l’ampiezza della velatura appariva adeguata a garantire una velocità di navigazione ragguardevole, con buone probabilità di difendersi da eventuali assalti, pur non possedendo numerose bocche da fuoco.
Non era un imponente vascello da guerra, ma restava comunque una concessione sin troppo dignitosa per quello che non era niente di più che un servile suino spocchioso.
Freezer si accostò al suo quartiermastro che sghignazzava volgarmente, esaltato da quell’esigua vittoria: - Eccoti una nave, Dodoria. Mi auguro che saprai condurla a destinazione senza troppi intoppi – demolì con labbro sdegnoso il suo riso gradasso.
- Certamente. Potete fidarvi di me, Capitano – grufolò di rimando, assumendo un’espressione di untuosa superiorità che stonava con le sue grottesche fattezze – Però sarà piuttosto rognoso rinvenire quelle biglie, non avendo indicazioni più precise sulla loro posizione – titubò con un grugnito, raspandosi il doppio mento.
Più deprecava la sua pingue stazza, la gradazione perennemente avvinazzata della sua carnagione, le obbrobriose escrescenze che gli ricoprivano la testa bacata e sproporzionata, più si convinceva che aveva assoldato un esemplare di oscena bruttezza e ottusità come quello solo per disgustarsi meno di se stesso.
L’albino lasciò cadere con rancore le dita ossute dalla grinzosa ustione che gli deturpava la smunta guancia, avvicinandosi mellifluamente al suo orecchio puntuto: - Per quanto mi riguarda, puoi massacrare quanta gente ti pare, rivoltare ogni singola casa o zolla di terra, finché quelle dannate sfere non salteranno fuori – stigmatizzò con irriducibile intransigenza – A meno che tu non voglia sia io a rivoltare te, strappandoti di dosso quella schifosa pellaccia squamosa, se non dovessi presentarti col bottino al nostro appuntamento. E sta pur certo che, se facessi fiasco, riuscirei a scovarti, dovessi pure rintanarti nel più fetido e sperduto buco di fogna del pianeta.
Dodoria si sentì attorcigliare il collo da un cappio invisibile e stentò a recuperare quel minimo di risolutezza degna del nuovo ruolo di comandante che gli era stato insperabilmente assegnato col volgere degli eventi.
Lo aveva minacciato con un tono spaventosamente quiescente eppure sembrando d’improvviso più imponente, quasi avesse occultato fino a quel momento la sua reale statura e potenza, come sostenevano peraltro alcuni superstiziosi racconti che circolavano sul suo conto e che lo definivano estremamente camaleontico e dedito a potenti arti oscure.
Quella missione avrebbe potuto rivelarsi un’occasione irripetibile per guadagnare la reputazione a cui segretamente aspirava. Servire Capitan Freezer era un grande onore, ma per quanto fosse assoggettato all’oscuro carisma che quel losco individuo emanava, la sudditanza alle lunghe era una condizione usurante.
Il mercenario ricacciò un grugno sdegnato, confidando che la sua dedizione sarebbe stata ripagata: - Potete dormire sonni tranquilli, signore – si licenziò accondiscendente con un mezzo inchino, sfiatandosi per ammassare sul veliero abbordato una decina di manigoldi presi in prestito dalla Ice Lord, sul cui ponte frattanto Freezer fece ritorno, auspicandosi che quel malpensante non lo stesse compiacendo per un tornaconto personale.
Il suo viso cereo si rischiarò nell’intercettare i suoi migliori recenti acquisti: - Magnifica esecuzione, miei adorati. Era da tempo che non mi dilettavo così tanto – elogiò i due gemelli spadaccini le cui feroci gesta si era soffermato a rimirare con trepidante trasporto.
- Dateci una sciabola ben affilata e non avremo misericordia per nessuno – si pavoneggiò con un sorriso sbruffone Diciassette, mulinando l’acciaio ricurvo e sgocciolante.
- Faremo strage di chiunque si interporrà alla riuscita dei vostri intenti – lo blandì la sorella Diciotto, con un’ipocrisia di cui lei stessa restò schifata.
Era sempre il solito andazzo. Stramazzavano uno dopo l’altro come pupazzi inanimati, gli arti molli e scomposti, le orbite rovesciate indietro, la bocca sfigurata dall’orrore di una fine crudele e ingiusta che li avrebbe inghiottiti, privandoli di qualunque sepoltura o cordoglio. Ultimamente si ritrovava a considerare che avrebbe voluto chiamarsi fuori da quella cricca. O magari avrebbe dovuto imparare dal fratello, che non si lasciava mai assalire dal rimorso per tutte le gratuite scelleratezze di cui erano stati artefici. Per quel narcisista era tutto un gioco, con l’unica variante di potersi rivelare noioso o divertente, costatò rassegnata, frattanto che il Capitano continuava leziosamente a tessere le loro lodi, raccomandando a tutti i sottoposti di seguirne l’esempio.
Un ridondante incedere di tacchi contrassegnò la comparsa del più stucchevole attendente della sua scorta. Sfiorandogli la spalla con la lunga treccia muschiata, si chinò e gli mormorò all’orecchio qualcosa che, a giudicare dal suo ammutolirsi, incrinò il suo rallegramento.
Freezer inghiottì un coagulo amaro di saliva, ma si riebbe subito. I suoi lineamenti secchi e feroci si distesero: - Mio diletto, ti dispiacerebbe occuparti di questi scalmanati? – inclinò il mento pizzuto, poggiando una mano bitorzoluta sul suo petto, di fatto scegliendolo come nuovo quartiermastro.
A Zarbon tintinnarono i grossi pendagli che gli ornavano i lobi: - Ne sarei sommamente onorato, signore – lo adulò fremente, inginocchiandosi – Non vi deluderò.
- Ah, spero di sì, per la tua incolumità – gli sussurrò con falsa indulgenza Capitan Freezer, molestato dalla sua eccessiva piaggeria. Non aveva contezza di essere solo un bamboccio da manipolare a suo piacimento e che, se avesse disatteso le sue aspettative, lo avrebbe sostituito in qualsiasi istante con chiunque altro. Gli carezzò la fronte e, invitandolo a risollevarsi, incedette con lentezza verso la rampa del cassero, imprimendosi un sogghigno forzato. Era indispensabile mostrarsi immune agli imprevisti, pur non conoscendone la gravità.
Sguainò un flagello e lo scudisciò per aria biecamente imponendo il silenzio, perché tutti ascoltassero e assecondassero le sue disposizioni: - Tesare di tre punti! Più vela, ratti pidocchiosi! Abbiamo accumulato qualche giorno di vantaggio su di loro. Questo ci darà modo di orchestrare un’imboscata prima che arrivino sulla rotta per la Scogliera dei Diamanti Blu, dove è nascosta l’ultima sfera. Perciò tenetevi pronti a sbaragliare quel bastardo traditore di un sayan e sarete lautamente ricompensati!
Un coro di consensi si levò tra i subalterni e, avendoli così incitati ad agire, il comandante si eclissò nel castello di poppa, non senza lasciarsi dietro anche il solito strascico di interrogativi, malumori e timori.
Diciotto, copiata dal gemello, si distanziò dalla folla cenciosa che si affaccendava a sbarazzarsi di tutti i pesi morti, a tagliare gli ormeggi, a trasportare casse, barili e armi, appartandosi all’ombra dell’albero maestro, al riparo dal picco del sole. Detestava responsabilità e attività forzata.
In quel viavai di uomini e carichi scorse il taciturno marinaio con cui condividevano un soprannome numerico.
- Buona fortuna ragazzi – li salutò con un vacuo sorriso Sedici, passando accanto a loro, caricandosi con scioltezza un voluminoso sacco di patate sulla massiccia schiena.
La ragazza elargì un cenno assertivo al pacifico energumeno, vedendolo percorrere la battagliola e imbarcarsi tra i prescelti con Dodoria. Per quanto gli andasse stretto, neppure lui era capace di recidere quel compromesso. E come tutti gli altri, non poteva far diversamente che restare alle dipendenze di quel criminale. Forse era lei, dopotutto, l’unica a sentirsi di troppo e fuori posto lì.
- Che faccia nera, sorellina. Oserei pensare che avessi un debole per quello spilungone con i capelli rossi … – la motteggiò Diciassette, penzolando da una sartia su cui si era abbarbicato.
- Non dire stronzate! – lo accusò inviperita la bionda, divertendolo ulteriormente per il puntiglio della sua risposta. Incrociando le braccia e rinfoderando di scatto le spade, si sedette imbronciata su un cassone, ravviandosi una ciocca: - A cosa vale sgobbare tanto, se alla fine le promozioni sono riservate a degli eunuchi incompetenti?
Il moro atterrò dalla scaletta di corde e ruotò gli occhi azzurri verso la stessa direzione in cui si erano impuntati quelli di lei, e allora intese a chi fosse rivolta la sua indignazione. Il damerino effeminato si gingillava a dispensare ordini a quegli scaricatori di porto, tartassandoli con scalpore.
Loro due erano migliori di chiunque altro a livello combattivo e intellettivo, eppure erano stati surclassati da due ruffiani che scarseggiavano di perizia e astuzia solamente perché erano più giovani e Freezer, pur stimandoli, li reputava irresponsabili e immaturi per certe mansioni.
Forse li sottovalutava anche troppo. Erano fuggiaschi e opportunisti. Non si sarebbero lasciati addomesticare ancora per molto.
- Non ci tengo a crepare su questo zatterone puzzolente. – chiarì con spregio, spingendo lo sguardo oltre l’impavesata – Ma se vogliamo truffarlo e scappare da qui, dobbiamo restare uniti – strinse i denti, prendendo dalla bisaccia una cote e cominciando a molare e ripulire la lama ancora macchiata dallo scontro – E poi dubito esista qualcuno che ti sopporti, a parte me. Hai un caratteraccio, Lazi!
Diciotto rifilò una sonora gomitata al fianco del gemello, sciogliendosi in un piccolo sorriso. Quel breve scambio di battute era il massimo di serietà che poteva aspettarsi da un vanesio indolente come lui. A suo modo la aveva incoraggiata a resistere e a fidarsi di quel che potevano ottenere insieme.

I suoi piani stavano procedendo come previsto, ma la richiesta di riceverlo sottendeva in genere che avesse qualche spiacevole scoperta da comunicargli.
- Cos’hai visto, dunque? Pronunciati – esortò spazientito il suo controverso aiutante, approcciandosi alle sue sibilline contemplazioni.
Babidi si astrasse dalle esalazioni mistiche, ruminando dopo alcuni attimi di sospensione:
- Ciò che distingue un uomo navigato da uno sprovveduto, è lo speciale talento di prefiggersi di raggiungere le mete più remote inseguendo il flebile bagliore di una sola stella.
Gli zigomi spellati di Freezer cominciarono ad incurvarsi lievemente verso l’alto, in una presuntuosa smorfia di compiacimento che lo stregone immediatamente screditò: - Non mi riferivo a te – ciarlò stridulo, sventagliando una collana di placche aguzze e spegnendo con uno schiocco il fuoco del braciere in cui aveva dissolto le polveri ricavate da quella reliquia che lui stesso gli aveva fornito.
La fronte dell’albino si raggrinzì di rincrescimento. Grazie a quella perversa collezione cominciata senza una vera finalità, adesso erano capaci di controllare le mosse di quello scavezzacollo che, ripudiando la sua obbedienza, lo aveva ripagato con uno scottante benservito.
- C’è qualcosa che non vi diletterà affatto – riprese a disquisire il mago – Egli conosce la cura per debellare il maleficio che pende sul suo capo.
- Liberarsene lo priverà di buona parte della sua invincibilità – trasse Freezer di rimando, versandosi da bere – Non vedo come ciò possa nuocermi – attestò supponente, cominciando però a essere angariato dalla pruriginosa sensazione che dovesse trattenere quell’anelito di ottimismo.
- Probabilmente priverà entrambi del tesoro cui ambite. A ogni rinuncia corrisponde una contropartita – berciò il negromante con uno scintillio maligno.
- Spiegati, di grazia – sillabò oleoso, abbandonandosi malvolentieri sulla poltrona preferita e battendo le unghie sul bracciolo, stanco delle sue astruserie e desideroso di conoscere l’irrimandabile questione per la quale lo aveva scomodato.
Il rachitico veggente scese dallo sgabello per affacciarsi alla vetrata intarsiata di scenari demoniaci: - Trasferendo il potere delle sfere alle creature marine, il Supremo ha fatto sì che la loro esistenza fosse strettamente collegata. Se l’ultimo esemplare della loro specie dovesse estinguersi, allora anche il potere delle sfere svanirà con esso – gli rammentò, spargendo per aria un miscuglio di incensi magici che materializzarono la continuazione del suo racconto.
- Fu per questo motivo che il mio antenato Bibidi, quando i saiyan si opposero alla sua richiesta, scagliò un anatema contro di loro che li istigasse a decimare quelle ondine, così neanche loro avrebbero potuto servirsi delle sfere. Molti sovrani imposero anche ai loro sudditi di uccidere i primogeniti per impedire il propagarsi della maledizione. Eccetto i re Vegeta. Fomentati da arroganza, superbia e orgoglio indicibile, essi decisero di non essere succubi della loro dannazione, bensì di giovarsene per le loro manie di conquista, come ben saprai …
Il complice, strinse il boccale di peltro fino a romperlo, tagliandosi le mani: - Cos’hai visto?
Babidi levitò verso il braciere spento e vi impregnò nuovamente le dita, spalmandosi tra i polpastrelli rugosi le polveri residue della combustione: - Ho bruciato i resti di quel carcame in cui ci siamo imbattuti al largo delle coste del Teschio Rotto – gli svelò, prendendosi una pausa per ghignare – Era da decenni che non ne captavo la presenza. Si sono nascoste bene, ma il tuo figlioccio, a quanto pare, ha trovato una di quelle donne pesce e se la sta portando appresso, ignaro degli effetti collaterali … – lo irrise, dando alle parole la forma di una funesta proiezione futura, in cui ogni suo proposito di vendetta svaniva.
Quell’essere immondo sembrava rallegrarsi ogni qual volta un caso fortuito irrompeva come un vento imprevisto, seminando zizzania nel campo di tranelli che aveva pazientemente coltivato.
Freezer gettò per terra il frusciante mantello e si erse su di lui, non risparmiandogli di poter osservare quanto fosse divenuto più alto e possente rispetto al loro primo sventurato incontro. Gli aveva fatto credere che fosse lui a muovere le fila, ma era giunto il momento di rimettere in discussione quella scala gerarchica. Il pugno si strinse attorno al manico intarsiato della daga, camuffata tra il risvolto della giacca e il cinturone borchiato.
- Ebbene, non avermi avvertito di ciò è stata un’imperdonabile negligenza – scosse la testa, avvicinandosi e fingendosi piccato – Non esiste sconfitta più frustrante di quella che giunge a un soffio dal trionfo. Gli lascerò completare il lavoro, come in passato. E poi lo porrò di fronte ad una scelta – argomentò contenendo a stento l’incontrollabile eccesso di collera che gli suggeriva di spappolare quella faccia da rospo, sebbene la lama luccicasse manifestamente, ammantando i suoi passi di un’inconfutabile minaccia.
Babidi balzò goffamente indietro, scongiurando uno sconfortante presentimento. Non intendeva riferirsi solo alla trappola che avrebbe escogitato per sabotare l’impresa del rivale, ma anche all’intenzione di sottrarsi al patto stretto con lui. Quelle immagini avevano risuscitato l’assopita irascibilità di un uomo che era tornato in vita solo per ansia di riscatto. Era stato lui a raccoglierlo e a ridargli una speranza quand’era ridotto in pezzi, adoperandosi a domare le fiamme prima che con la loro voracità annientassero quanto restava del suo spregevole essere, dopo che il suo beneamato braccio destro l’aveva tradito e rinnegato. Eppure in sua coscienza sapeva che quel pirata senza cuore non nutriva alcuna riconoscenza per lui e che alla prima evenienza si sarebbe sottratto alla sua volontà. Lo consolava che non avrebbe potuto fuggire per sempre al giudizio di colui per cui serviva e operava. Un Signore molto più potente.
La brama di vendetta gli sarebbe costata la perdizione.
Freezer lo tramortì con un pugno e poi lo agguantò senza difficoltà, sbatacchiandolo contro un pilastro, schiacciandogli la daga sul gobbo torso: - Temo proprio che la tua presenza sia oramai superflua – fece vibrare nell’aria, esagitato.
Il negromante accusò il colpo senza opporsi fisicamente, mirando piuttosto a instillargli il dubbio, l’insicurezza, il tormento: - Ricordati che io sono solo un suo intermediario. Non è uccidendo me che potrai sottrarti al tuo debito! Le sfere sono sue!
Un profondo squarcio gli fendette la gola, le orrende protuberanze che aveva al posto delle braccia tentarono di divincolarsi, mentre l’acciaio si spinse ingordamente tagliandogli di netto la testa, che rotolò via con un secco tonfo.
- Che venga a pigliarsele, allora – lo sfidò Freezer con una tetra risata, beandosi del liquido rosso che zampillava dal minuto e deforme corpo riverso sul pavimento.


Frezer-dreams


Quartiermastro: sugli antichi velieri era l'ufficiale incaricato di sovrintendere alle guardie e di avviare i gabbieri alle manovre.
Lazi: ho voluto inserire questo nomignolo dopo che una gentile lettrice, Died, mi ha fatto notare che Toriyama ha svelato i veri nomi di C-17 e C-18, rispettivamente Lapis e Lazuli, per cui ho immaginato che potesse essere carino mettere un riferimento.
Daga: spada molto corta usata nei combattimenti a distanza o per sgozzare i nemici.

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Capitolo 26
*** XXVI: Under pressure ***


Salve gente!) Non so quanti ancora si ricordano di me e di questa storia strampalata.
Non avrei voluto interrompere così bruscamente gli aggiornamenti, ma purtroppo ho attraversato una piccola crisi personale e l'ispirazione si è volatilizzata...Cionondimeno, mi ha fatto tanto piacere notare come i lettori non si siano estinti e mi ha commossa ricevere richieste di riprenderla.
Finalmente credo di aver ritrovato la voglia e l'ispirazione giusta per portarla avanti, non che fosse stata mai mia intenzione lasciarla inconclusa.
Bene, ringrazio di cuore quanti mi hanno sostenuta sin dall'inizio, quanti si sono aggiunti o si aggiungeranno e vi dedico questo nuovo capitolo, più incentrato sull'azione e più lungo del solito, che ho però diviso a metà per motivi di coerenza.
Stavolta troverete un bel po' di note di supporto: purtroppo non ho potuto fare a meno di inserire dei termini nautici ^.^

Spero che la lunga attesa venga ripagata e che la lettura sia di vostro gradimento :D
Al prossimo approdo!)

XXVI – UNDER PRESSURE

La tensione gli comprimeva le viscere.
Resistere a oltranza. Trincerarsi dietro una cortina di insensibilità e supponenza. Un comandamento che si era imposto di rispettare rigidamente per sopravvivere, ma che era diventato un fardello abnorme da quando alla sua rotta si era anteposta quella donna.
Il retrogusto squisito di quell’incauto assaggio gli aveva attanagliato stomaco e sensi in un turbinio di fibrillazione. Formicolava nei suoi pensieri e gli procurava fremiti nelle membra. Era soddisfatto di essere riuscito a trattenersi dall’approcciarla dopo quella notte, mostrandole un contegno indifferente, ma continuare a frenare quella pulsione era diventato un supplizio.
Vegeta osservava la sua preda muoversi con spontaneità sulla plancia, quasi quella fosse la sua nave, e la sua nonchalance, nonostante lo scabroso segreto che aveva scoperto sul suo conto, lo imbizzarriva. Aveva la testa pesante di dubbi e interrogativi.
Non si capacitava di quel controsenso, di quanto la sua natura fosse attaccabile e precaria ma quanto fosse abile e sicura nel mentire e nel portare avanti quella recita con tutti. E non se ne capacitava a tal punto che era assalito dal sospetto di aver sognato tutto quanto e di stare impazzendo. Come se non bastasse, a renderlo ancora più irrequieto c’era il sentore di un tanfo putrido che affondava nella pece dei suoi incubi e gli instillava la sensazione di essere braccato.
Respirava ingratitudine e malcontento, una conflittualità al limite della rappresaglia.
Socchiuse gli occhi, inspirando il secco vento di levante che si infiltrava tra le manovre dormienti 1e tendeva la velatura, concentrandosi sul moto cadenzato dei flutti che si frangevano sullo scafo.
Quell’esercizio non riusciva a rilassarlo, avvertiva qualcuno avvicinarsi ...
Bulma intanto annotava mentalmente le misurazioni ricavate attraverso il sestante e, incrociandole con i dati del suo prezioso volume di effemeridi, tracciava i suoi calcoli e aggiustava le coordinate.
Negli ultimi due giorni la traversata aveva ripreso il noioso andazzo che caratterizzava i momenti precedenti all’azione, ma dopo l’imbarco di quei nuovi marinai e quanto era accaduto tra lei e il Capitano, l’atmosfera a bordo era cambiata, e non certo per il meglio.
Il cicaleccio continuo degli uomini e le loro occhiate accusanti la spogliavano e sezionavano in ogni minimo gesto. Almeno doveva ringraziarli di non averle alzato le mani, finora.
Iniziava a sospettare che quel vigliacco meschino avesse spifferato qualcosa, anche se dopo essere uscito dalla sua cabina, quasi con la coda tra le gambe, l’aveva deliberatamente ignorata e si era mostrato più sfuggente e scontroso del solito.
Non sapeva se sentirsi triste o sollevata per quell’allontanamento. Di sicuro era indispettita dal sentirsi esclusa e giudicata e dal non ricevere alcuna gratificazione per il suo ragguardevole operato. Stavano sfruttando comodamente le sue eccellenti capacità di navigatrice e cartografa, trattandola alla stregua di un ostaggio, quando invece avrebbero dovuto portarle il rispetto di un co-capitano, o, se proprio doveva accontentarsi, di un primo ufficiale.
Le circostanze, tuttavia, le imponevano di essere conciliante.
- Ho fatto il punto nave – comunicò piccata, rassettando tutti gli strumenti e riponendoli nelle loro custodie – Se continueremo a navigare di buon braccio, arriveremo a destinazione entro cinque giorni al massimo – alzò la voce, cercando di stimolare l’attenzione e la benevolenza del resto della ciurma con quell’asserzione.
Capitan Vegeta le riservò un cipiglio distratto e disturbato, facendo segno al timoniere di correggere la rotta in base alle nuove indicazioni, mentre il suo quartiermastro Nappa gli si accostò, curvandosi all’altezza del suo orecchio con fare confabulatorio: - Quelli nuovi non sapevano della femmina. Si sentono raggirati. Pretendono che la sua permanenza venga messa ai voti …2
I due pirati si voltarono insieme, scagliando nella sua direzione un ghigno urtante, suggerendole che era diventata una presenza ancor più sgradita; non che prima l’avessero ben accolta tra loro.
- Tocca a voi difendervi, donna. Anche da loro. – soggiunse Vegeta, accompagnando il laconico avvertimento ad una risatina indisponente di sottecchi.
Bulma spuntò il mento, tentando di scacciare il prurito e il rossore che l’avevano pervasa.
Oramai poteva sostenere di sapere trattare il genere maschile con sufficiente padronanza, eppure doveva arrendersi e accettare che quell’esemplare non riusciva proprio a circuirlo. Poco male, pensò, giacché anche la sua autorità dipendeva dall’appoggio di quei farabutti.
Gli uomini, specialmente se impostori, attaccabrighe e arroganti, andavano persuasi di detenere il controllo della situazione per essere più facilmente controllati. Bisognava fargli credere che fossero loro a decidere e non viceversa.
Si sporse dunque dalla balconata del cassero e batté un paio di volte le mani per chiedere un po’ di silenzio e di attenzione.
 - Se siete i rispettabili gentiluomini che credo, saprete bene che secondo la sacrosanta legge piratesca, la nostra associazione non potrà essere sciolta fino alla fine del viaggio stabilito – buttò lì con sfrontatezza, mentre il chiacchiericcio diveniva più insistente e gli occhi drizzati addosso alla sua persona la facevano sentire un puntaspilli – Sì, io e Capitan Vegeta abbiamo contratto un matelotage3 – asseverò con solennità sconvolgente.
Era da qualche settimana che si preparava una risposta pertinente nel caso insorgessero eventuali contestazioni, ma non aveva avuto l’opportunità di discuterne con l’altro diretto interessato, perciò evitò accuratamente di sbirciarne la reazione, pur immaginando che non dovesse essere positiva.
Vegeta trascolorò a quell’idea balzana, fissandola storto, un lampo indocile a intaccare la fronte e la bocca, i denti a stridere per l’affronto.
Radish intervenne inaspettatamente a placare il vocio e a frenare la sua imminente replica: - Non ce ne importa un fico secco se voi e il Capitano ve la intendiate sotto coperta oppure no! – si sganasciò, scatenando con quell’allusione i commenti sboccati degli altri pirati – Vogliamo sapere quale sarà la nostra parte alla fine di questa fantomatica impresa – bofonchiò più seccato, incrociando le grosse braccia al largo petto villoso, ben in mostra sotto la casacca sbottonata.
Il Capitano scattò in avanti, le dita strette all’elsa, il respiro in fermento, preparandosi a mettere a tacere le seccanti pretese di quella marmaglia, pur non avendo effettivamente pensato ad una soluzione razionale, ma ancora una volta l’azzurra gli rubò la scena, lasciandolo ammutolito.
- Sulla nostra parola, avrete la possibilità di esprimere uno dei tre desideri al Dio Drago – promise con schiettezza – Naturalmente, per forza di cose, dovrà essere un desiderio collettivo. Perciò cercate di pensarci molto saggiamente – si raccomandò affabile, e il suo sorriso limpido e accomodante mitigò la baruffa, attenuando le proteste dei bucanieri.
A Vegeta andò di traverso una tremenda bestemmia insieme a della bollente saliva. Quella proposta strampalata e inappropriata finiva per screditare impunemente tutti i suoi sforzi e i suoi progetti di dominio e libertà a lungo covati. Quella creatura era incredibile, malefica e sventata. Avrebbe voluto essere capace di carbonizzarla con la sola forza dei pensieri truculenti che le stava rivolgendo.
I suoi ufficiali Nappa e Radish si scambiarono un cenno di sfida e di intesa, picchiando fra loro i gomiti e i pugni.
- A me sta bene – pronunciarono contemporaneamente, riprendendo ad assegnare istruzioni all’equipaggio, affinché ciascuno assolvesse le proprie mansioni e la Bloody Wench tornasse a bordare.
Quando il ponte di comando si fu sgombrato, Bulma ebbe finalmente l’audacia o l’incoscienza di riportare il viso su quello del suo recalcitrante alleato. Un luccichio sinistro balenava nelle sue iridi glaciali che trasmettevano un’assoluta e indubitabile discordia. Prevedeva che non si sarebbe accordato a quel compromesso senza ribattere, ma si augurò che non la considerasse davvero tanto sconsiderata e remissiva da scendere a patti con quei delinquenti. La sua promessa di un’equa divisione del bottino era solo un escamotage!
Irrigidì le spalle e si incamminò lei stessa verso la sala nautica, cogliendo il suo tacito ordine di entrare in quello che era diventato il campo marziale in cui i loro ego si confrontavano e si scontravano, al riparo da occhi e orecchie altrui.
Ancora una volta, le sembrò di avere delle zavorre anziché delle caviglie, perché a ingoiare il suo orgoglio proprio non ci riusciva, ma Capitan Vegeta, esasperato dalla sua lentezza, in un moto di misurata aggressività la strattonò dentro senza tanti convenevoli, richiudendo la porta.
Non le fu difficile intuire che non avrebbero avuto un confronto pacifico. Il suo respiro burrascoso gli gonfiava a dismisura il torace e pareva capace di far tremare le pareti. Era fuori di sé.
- Per gli inferi! Vi ha dato di volta il cervello? Sottospecie di … trota! – scoppiò contrariato e inferocito, portando la piratessa a barricarsi istintivamente dietro il grande tavolo di fronte la vetrata.
I suoi lineamenti si alterarono in una smorfia di disapprovazione. Si era spremuta le meningi per trovare una mediazione, ma quel testardo era sempre prevenuto nei suoi confronti e non riusciva a vedere il lato positivo: - Apprezzo la vostra riconoscenza – trasecolò bizzosa e oltraggiata, piantando le mani ai fianchi – Scusatemi tanto, se vi ho salvato il posteriore, brutto scorfano! – strillò poi, calciando i tacchi sul pavimento.
Vegeta avvertì i tendini delle braccia contrarsi in un crampo virulento. Strozzarla. L’avrebbe fatto così in fretta che non se ne sarebbe accorto nessuno. Ma non poteva. Sollevò i talloni, strascinandosi verso di lei come un barracuda arpionato.
- Con la vostra irragionevole proposta, avete messo loro la pulce nell’orecchio – fiatò con indignazione – Inizieranno ad azzuffarsi e manderanno tutto a puttane! – picchiò i palmi sul tavolo, facendo rovesciare un candelabro e alcune bottiglie.
- O magari capiranno che è meglio impegnarsi tutti insieme per ottenere il premio che gli abbiamo promesso – insistette Bulma, recuperando gli oggetti caduti, tentando di impedire allo sconforto e alla collera di contagiarla.
Il saiyan, di contro, non sostenne le sue tesi: - Fesserie. Siete una povera illusa – borbottò, offrendole la schiena – La carne degli uomini è impastata di egoismo, bellicosità e cupidigia – affermò definitivo e amaro.
Lei gli indirizzò un’occhiata silenziosa e accorta: - Parlate così perché i vostri amici sono tutti degli scapestrati, ladri, bugiardi e traditori – sdrammatizzò con logica inattaccabile.
Vegeta tornò sui suoi passi, senza però rivedere il proprio punto di vista: - Non ho amici, né compagni, né soci – chiarì con un ghigno sulfureo.
Eppure a Bulma parve che sotto la sua rabbia si celassero tristezza e sconfitta, il desiderio di potersi fidare di qualcuno che non fosse solo il demone dentro di sé. Era talmente assurdo e insensato, ma la sua ostilità la elettrizzava. Sperava di cambiarlo, forse? Sarebbe stato ancora più impensabile e non ci teneva ad entrare in una simile intimità con quell’essere. No, era solo una questione di sopravvivenza: su una nave se non ti fidi di chi naviga con te, sei spacciato. E lei voleva arrivare alla meta prefissata, possibilmente incolume. Tutto qui.
- E comunque, il matelotage vuole essere soltanto una giustificazione per la nostra convivenza forzata e il nostro comune obiettivo – cambiò discorso, sentendosi già troppo in imbarazzo per quel momento di verità – Piuttosto che finire a letto con voi, preferirei essere in agonia! – sproloquiò turbata, esternando stridulamente quel pensiero, forse più per convincere se stessa che per provocarlo.
Anche quella era una bugia. Lui lo seppe e le inviò uno sguardo pungente e misterioso che la attraversò da parte a parte: - Non sarebbe molto diverso … – la intimidì subdolamente, passandosi la lingua sui denti al rammentare il suo sapore.
Lei arrossì, aumentando la sua temperatura corporea e spandendo tracce del suo invitante profumo. Una schiuma tossica lo annebbiò. C’era solo un tavolo a dividerli, un ammasso di legno massiccio che avrebbe potuto ridurre in mille pezzi in un paio di secondi. Ma qualcos’altro lo fuorviò, appena prima che assecondasse quell’impulso.
Un sibilo intenso e acuto proveniente dall’esterno, sul quale acuì i suoi sensi affinati. Delle pesanti pedate si approssimarono alla soglia e la voce cavernosa di Nappa si presentò con la sua ingombrante stazza, annunciando quel che sospettava: - Capitano! Abbiamo compagnia!
Bulma, che aveva quasi trattenuto il fiato durante quell’eloquente e inquietante dialogo di sguardi, ringraziò fra sé e sé il tempismo di quell’energumeno, e si apprestò a seguire i due all’esterno, curiosa di apprendere di più su quell’inatteso avvistamento, ma il filibustiere si girò di scatto, bloccandola a metà strada, afferrandola per il bavero merlettato della camicia e alitandole contro il suo risentimento.
- La questione è solo rimandata – specificò mordace, rilasciandola dopo averla fissata con una prepotenza che l’aveva scossa fin dentro l’anima.
La Brief si concesse qualche secondo per smaltire l’agitazione e seguì i due pirati che si erano precipitati di corsa sulla tolda.
Capitan Vegeta era già abbarbicato su una frisata 4, la criniera scarmigliata e gli occhi ridotti a due fessure. Fissava intensamente l’orizzonte davanti a sé, trascurando le parole della vedetta che descriveva le caratteristiche del veliero apparso qualche lega dietro di loro.
Aveva le vertigini al solo guardarlo ciondolare in quell’appiglio precario. Impaziente di scoprire qualcosa di più lei stessa, recuperò il suo binocolo e, sostenendosi al parapetto di tribordo, osservò i dettagli dell’altra nave. Lo scafo e le vele erano di un bianco quasi accecante, appena distinguibile tra gli spruzzi delle onde e i riflessi dorati del sole mattutino, ma sulla sommità degli alberi individuò una bandiera rossa con l’effigie di un teschio tra due clessidre.
Non ricordava d’aver mai veduto prima quei colori, né di averne sentito raccontare. Nel corso della sua carriera aveva affrontato tanti scontri in mare aperto, eppure il silenzio tombale che era calato tra quei bricconi e la maschera stupefatta in cui si era trasfigurato il volto del loro capo la lasciarono sgomenta, così come la velocità dell’inseguitore che, con la sua ampia velatura quadrata, dominava il vento senza alcuna difficoltà, colmando le miglia che li separavano ogni minuto di più.
- Una vostra conoscenza? – lanciò la domanda verso l’introverso Capitano, che non era ancora sceso dalle sartie.
Vegeta tacque turbato e incredulo, deglutendo un’amarissima dose di veleno. Certamente lo conosceva, se il suo fiuto da cacciatore non si ingannava, se qualcuno così abietto non stava architettando un crudele scherzo contro di lui, ma non riusciva nemmeno a pronunciare quel nome che in passato era stato oggetto del suo rispetto e del suo ossequio. Un nome al quale aveva prestato lealtà e per cui aveva messo in gioco la sua stessa vita, stoltamente. Non avrebbe dovuto sottovalutare quel presentimento negativo.
Una detonazione esplose, spazzando via una porzione della murata di sinistra.
- Capitano! Ordini, per la miseria! - gridò energico Radish, disapprovando il suo indugiare e richiamandolo all’erta.
Il sayan atterrò rapidamente sulla balconata e respinse il nocchiere, afferrando le maniglie del timone: - Mollate i velacci! Tagliate i gerli e i paterazzi! Schierate tutti i pezzi di artiglieria a poppa! Saremo noi a guastargli la festa!
Bulma era rimasta sulla sezione inferiore del cassero, le gambe rigidamente piantate sul pagliolato sempre più sdrucciolevole a causa degli spruzzi che si riversavano sul ponte ad ogni brusco beccheggio, i pugni stretti lungo i fianchi e le palpebre che sbattevano veloci, seguendo le manovre degli uomini che scorazzavano da una murata all’altra, i polmoni già intossicati dalla polvere e dal fumo. Fremeva, apprensiva e scontenta, non volendo restare inattiva e non sapendo in che modo potersi rendere utile, reprimendo a fatica la tentazione di sovrapporsi alle disposizioni del Capitano.
Quando a un tratto sentì vibrare la scatoletta agganciata alla cintura e rialzò le ciglia sul bucaniere intercettandone le pupille fisse sul ticchettare, ebbe la conferma che, per quanto incredibile, anche lui avesse avvertito quel suono e avesse avuto la stessa intuizione.
Le sfere erano in pericolo.
Le bocche da fuoco della Bloody Wench furono caricate con le munizioni, tutte le micce erano pronte per essere accese, ma un prolungato fischio squarciò l’aria, irrompendo tra vele e pennoni come una grandinata.
L’azzurra ebbe appena la percezione di una nube nera che oscurava il cielo e di un’ombra fulminea che le precipitava addosso, e ciò che riuscì a fare fu unicamente urlare di terrore e di stupore, accorgendosi qualche secondo dopo che il possente corpo che l’aveva schiacciata sotto di sé era proprio quello del suo compagno di ventura.
- Dannata femmina! Proprio non ce la fate a stare lontana dai casini, eh? – la sbeffeggiò lui, prima di chinarsi a pochi centimetri dal suo viso, strusciandosi con quel movimento sul suo corsetto e mandandola in subbuglio.
Bulma divenne paonazza e tachicardica: - Vi sembra questo il momento?! – strillò incontrollata, girando la testa, divincolandosi e malmenandolo sulle spalle per allontanarlo, sentendo il cuore tamburellare fin quasi a insordirla.
Vegeta si avventò sulla propria mano piantata vicina al collo della ragazza, estraendo con i denti il grosso chiodo che vi si era conficcato e di cui lei si accorse solo in quel momento.
- Triboli?5 – balbettò impacciata, allungando le dita sull’altro pezzo di metallo a quattro punte che sporgeva dal bicipite sinistro dell’uomo, stupendosi per la sua straordinaria prontezza di riflessi e insultandosi per essersi accalorata tanto.
Il pirata le rivolse un cipiglio obliquo, staccandosi lo spuntone, strappandosi una balza di stoffa dalla manica per fasciarsi la ferita alla mano: - Portate le chiappe sottocoperta, non ce la voglio vedere la vostra odiosa faccia sul ponte di comando della mia nave! – le intimò asciutto e irrevocabile, risollevandosi e tirandola malamente per un braccio perché si alzasse anche lei.
Bulma decise di mettere da parte le divergenze e accettare il suggerimento, annuendo con un lieve sorriso. Nonostante le parole scortesi e l’espressione tormentata di chi avesse appena compiuto un inaccettabile sacrificio, quel furfante l’aveva salvata, ancora una volta.
Il fragore di un secondo colpo di cannone rombò sulle loro teste, facendo risuonare ogni comento del galeone: - Volete finirci voi dentro quei fottuti cannoni? Rispondete al fuoco, insulsi molluschi! – si sgolò Capitan Vegeta, riguadagnando a grandi falcate la sua posizione sul dritto di poppa, per meglio dirigere le cannonate.
La Brief intanto sgusciò tra gli altri marinai, camminando gobba e radente i tramezzi per cercare di non inciampare contro qualcuno, di intralciarli o di essere vista, mentre si intrufolava nella cabina di comando.
Non poteva sapere se sarebbero riusciti a seminare quell’avversario, o se invece sarebbero stati catturati e, pur confidando che il suo alleato fosse abbastanza esperto e combattivo da non arrendersi e non subire troppi danni, aveva imparato anche che la prudenza in battaglia non era mai troppa. Probabilmente chi era alla guida di quella nave comparsa senza preavviso a cacciarli, doveva essere la stessa persona che possedeva la sfera che nessuno di loro due aveva ritrovato alla Foresta Ghiacciata. Perciò occorreva mettere al sicuro la parte del bottino che si trovava nella cassaforte del Capitano, perché sarebbe stato il primo posto che avrebbero ispezionato se avessero avuto la disgrazia di subire un arrembaggio.
Tentò di capire in quale anfratto di quella gremita stanza fosse dissimulata la cassaforte, che effettivamente non aveva mai veduto, ma era sicura ci fosse. Si aiutò cercando di ricordare i rumori che aveva udito qualche giorno prima, quando il Capitano le aveva mostrato la sua tecnica per consultare le Carte del Supremo. Ricostruì a memoria le rispettive posizioni di entrambi, ipotizzando che doveva trovarsi proprio accanto al letto, ma, non ravvisandone segno esternamente, dedusse che doveva essere collocata nella parete retrostante. Con un sospiro scostò la tenda del baldacchino e salì sul materasso, cominciando a cercare un’incongruente scanalatura tra le pavesate. Il pavimento si inclinava per lo strambare del vascello, costringendola a reggersi e ad andare tentoni, il clamore, le esplosioni e il fracasso di legno spezzato proveniente dall’esterno coprivano ogni più piccolo cigolio, ma infine, individuando la serratura, usò la minuscola limetta occultata in uno dei suoi anelli per forzarla e dopo qualche tentativo ci riuscì. Trascurò un paio di cofanetti e di borsellini, e agguantò il sacchetto di velluto nero, controllando che vi fossero ancora le due sfere. Erano lì ed emettevano una rilevante fluorescenza, conferma che le sue congetture erano corrette. Avevano alle calcagna il terzo contendente. Sigillò di nuovo lo sportello e si diresse verso la sua cabina.


- Bracciate in croce, smidollati! – sputacchiò infervorato Nappa, redarguendo i gabbieri a impegnarsi più alacremente sui pennoni.
Una palla incatenata raggiunse il boma, spezzandolo e trascinando con sé un paio di uomini impegnati a tesare le scotte, che vennero centrati e si sfracellarono sul ponte.
Capitan Vegeta studiava distaccato la situazione, restando inerpicato alle griselle dell’albero di mezzana. Anche solo osare pensare che su quel vascello potesse esserci colui che, pur insegnandogli quasi tutto ciò che sapeva, l’aveva reso un mostro e si era servito di lui per anni, celandogli i suoi veri fini, lo riempiva di disgusto, fastidio, collera, trepidazione. Lo aveva visto crepare, lo considerava un capitolo chiuso. Non avrebbe permesso all’emotività di avere il sopravvento né ad un fantasma di mettere a repentaglio i suoi piani. Conoscere il nemico era un vantaggio che avrebbe dovuto sfruttare a suo favore, e infatti erano riusciti a contrastare con efficacia i suoi attacchi, subendo lievi perdite. Eppure qualcosa non quadrava nelle sue mosse. Navigava con ogni vela spiegata, orzando sopravento avrebbe potuto prenderli di infilata, invece sembrava trattenere la sua reale potenza distruttiva, quasi nascondesse una qualche arma segreta, ben più letale di quelle finora impiegate per danneggiarli.
- Continuano a guadagnare nodi! Ci saranno addosso in meno di due ore! – strepitò ancora il nostromo calvo, ridestandolo da quello strano e insolito torpore.
Il comandante saltò giù dai gradini di corda, investendolo con un’occhiata iraconda: - Non vogliono darci battaglia, idiota – lo smentì seccato, sferrando un pugno sul suo naso già schiacciato e afferrandogli la gola per farlo voltare verso l’anca poppiera – Non vedi? Hanno ridotto i terzaroli6 e modificato l’angolo di accosto. Quel figlio di cane non intende annientarci: sta cercando solo di rallentarci per assicurarsi di arrivare primo.
In quell’istante un altro tiro andò a segno contro il belvedere 7 e una potente deflagrazione si abbatté tra il giardinetto8 e la mezzania, provocando altri danneggiamenti e altri feriti.
Una voce acuta si intromise tra un rimbombo e l’altro: - Dobbiamo toglierci dalla loro scia d’onda o crearne una più grossa per farli sbandare!
Il moro ringhiò, indispettito dalla fine di quella tregua momentanea e dall’irrefrenabile invadenza di quella saputella impunita: - Non continuerò a scappare da quel lurido bastardo, se è questo che mi state suggerendo – la additò furibondo, riavvicinandosi a lei e agguantandole un polso, torcendoglielo e addossandola a sé, riparandola da altre schegge volanti – E non gli permetterò neanche di sabotare la nostra impresa – giurò in un sussurro inoppugnabile, liberandola da quella stretta risoluta e possessiva.
Bulma ebbe un sussulto. Nell’aggiungere e specificare quel “nostra” il suo tono era stato meno sprezzante del solito. Quel delinquente sembrava quasi essere diventato protettivo nei suoi riguardi e la cosa inspiegabilmente le incuteva un’inquietudine ancora maggiore.
Il fasciame della Bloody Wench opponeva una solida resistenza a quegli urti ripetuti, ma i cannoni da caccia di piccolo calibro, posti sulle piattaforme mobili montate sulle battagliole, avevano una gittata insufficiente.
Vegeta capì che se voleva sbaragliarlo, doveva giocarsi tutto.
- Radish! – richiamò autoritario il secondo ufficiale incaricato dell’artiglieria – Di quanti canoni da venticinque libbre disponiamo in totale?
- Trenta, signore, con quelli che abbiamo recuperato dalla nave della vostra amica – lo informò non senza del sarcasmo quello, abbassandosi per schivare una trave basculante.
Un sorriso sbilenco si formò sul volto del Capitano: - Basteranno a fargli rimpiangere di essere ritornato – sillabò astioso tra i denti aguzzi e scintillanti, riappropriandosi con un paio di falcate del ponte di comando – Cannonieri tutti ai ponti di batteria! Facciamogli masticare un po’ di piombo! E voi altri preparatevi a virare a tribordo!
Nappa e Radish si affrettarono ad attribuire gli ordini, mentre la Brief lo rincorse e gli si affiancò al timone, approfittando del trambusto: - Mi permetto di dissentire – affermò decisa e critica.
- Non vi incomodate – biascicò inattaccabile lui, mantenendo la sua posa rigida e fiera, non accettando che provasse a dirgli come doveva barcamenarsi e non volendo ricorrere alle maniere forti per zittirla.
Era ardito e cocciuto, e quella combinazione non sempre portava buoni risultati.
- Così esporremo la nostra fiancata di babordo alle loro bordate! – balbettò l’azzurra, impallidita dalla sua irragionevolezza – E poi quel tizio ha una delle sfere! – gli ricordò apprensiva, agitando la bussola davanti ai suoi occhi.
Vegeta storse le labbra, spostando il suo braccio e guardandola come se la compatisse:
- Non vi facevo così frignona e codarda – schioccò la lingua, pungendola sul vivo – E ora non mi state tra le palle. La velocità della manovra sarà determinante per ridurlo ad un colabrodo.
L’avventuriera prese un lungo e profondo respiro, ricomponendosi e ripetendosi che dovevano riuscire ad appianare i contrasti se volevano vincere e che non poteva lasciarsi scoraggiare dalle sue provocazioni. Doveva sforzarsi di fidarsi di lui, anche se aveva la costante sensazione che non poteva farlo.
Quell’uomo aveva una mentalità contorta, non era del tutto normale. Però sapeva il fatto suo, o almeno così pareva, dato che navigava da oltre dieci anni e non era mai stato arrembato.
Un fragore diverso da quelli precedenti riecheggiò nello spazio di mare compreso tra loro e gli inseguitori. Un’ondata di calore avvolse lo scafo del galeone e un pestifero odore di bruciato si diffuse insieme al fumo e alle grida disperate di chi era stato colpito.
- Maledizione!
Bulma si aggrappò alla ringhiera miracolosamente rimasta intatta, incontrando la smorfia attonita del pirata e poi sgranando lei stessa gli occhi dallo spavento: la nave cerea emetteva fuoco dalla prua. Inforcò il cannocchiale per essere certa di non aver visto male; il fenomeno pochi istanti dopo si ripeté esattamente uguale a prima e stavolta poté cogliere nella sua reale e vivida sembianza il colore delle fiamme rosse sputate contro di loro.
Era un antico e mortale trucco alchemico di cui aveva letto solo nei libri di storia: - Fuoco greco9.



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1 Manovre dormienti: dette anche manovre fisse, sono quelle che hanno la funzione di tenere fissi gli alberi, i pennoni, eccetera.
2 Pretendono che la sua permanenza venga messa ai voti … : sulle navi pirata vigeva un sistema molto democratico, ogni decisione doveva essere approvata dalla maggioranza della ciurma e se il capitano veniva messo in minoranza, non aveva più autorità.
3 Matelotage: si trattava di una sorta di matrimonio civile ante litteram che legava due filibustieri per uno o più viaggi, prevedendo la spartizione degli averi o la possibilità che uno dei due ereditasse quanto posseduto dall'altro in caso di malattia o morte.
4 Frisata: struttura sporgente dall'orlo superiore di uno scafo a cui erano attaccate le sartie e gli altri cavi che tenevano gli alberi.
5 Triboli: detti comunemente piedi di corvo, erano chiodi a quattro punte che generalmente venivano lanciati per bucare le vele o ferire gli avversari.
6 Ridurre i terzaroli: una manovra che consiste nel diminuire la superficie di vela esposta al vento e quindi per rallentare la velocità.
 7 Belvedere: una sezione dell'albero di mezzana.
 8 Giardinetto: anca poppiera della nave ordinariamente munita di una sorta di balconatura decorata con piante (donde il nome).
 9 Fuoco greco: si spiegherà nel prossimo capitolo...

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Capitolo 27
*** XXVII: Quicksand ***


Salve gente!)
Finalmente, tra impedimenti vari - compresa la sparizione improvvisa di segnale internet -.-", ce l'ho fatta ad aggiornare questa interminabile fanfiction ^.^

In questo nuovo capitolo, come nel precedente, ho deciso di concentrarmi sull'azione e ridurre un po' le introspezioni. Inoltre, come avevo già anticipato nella mia pagina Fb (per chi mi segue anche lì), ho voluto inserire altri due personaggi del mondo Dragon Ball, che potrebbero o non potrebbero ricomparire in qualche altro momento.
Oramai ci avviamo agli ultimi capitoli, per cui spero che il mio approccio ai personaggi, la loro parziale evoluzione risulti credibile - è sempre Vegeta a darmi più grattacapi, perché mi pare di renderlo un po' troppo docile ... D'altronde mi sento giustificata perché ho scelto il genere commedia :v

Ringrazio lettori vecchi e nuovi che continuano a seguirla e a metterla nelle loro liste: il vostro interessamento per questa storia mi è di grande sprono e mi scuso per la lentezza degli aggiornamenti.
Dedico il capitolo a miwako che si è imbarcata da poco ma mi ha sorpresa per la velocità con cui ha letto questa mia deliranza, porgendole, anche se in vergognoso ritardo, i miei auguri.

Al prossimo approdo!)

XXVII - QUICKSAND

Il sartiame e le giunture frusciavano e crepitavano, quasi lamentandosi sotto la resistenza che il solido scafo opponeva alle alte onde, girando intorno al proprio asse per sottrarsi alle fiammate che investivano lo specchio di poppa.
La graduale strambata servì alla Bloody Wench a distanziare il veliero aggressore, ma Capitan Vegeta non si sarebbe accontentato di circoscrivere il rischio. Non contemplava mai la resa. Nessuno poteva osare attaccarlo e sperare di scampare alla sua reazione. Non avrebbe lasciato mai correre un affronto di quella portata, soprattutto conoscendo l’intento e la caratura di chi lo aveva perpetrato.
- Cannonieri! Fuoco a profusione! – seguitava a ruggire come un ossesso, le sclere iniettate di collera e furia, tutti gli arti scalpitanti dalla smania inesaudibile di catapultarsi direttamente su di lui e risolvere da sé l’annosa diatriba che credeva di aver già sepolto in fondo al mare.
Un paio di palle di cannone sfrecciarono sulle loro teste, colpendo la parte superiore del cassero e disseminando ancora detriti e fiamme.
- Difendete l’albero maestro! – urlò Radish, sputando e tossendo tra il fumo, la polvere e il sangue che gli ammorbavano la bocca e le narici.
Le cannonate del nemico continuavano a susseguirsi con cadenza aritmetica, e gli uomini, anziché resistere e contrattaccare, sembravano oramai cedere al terrore e allo sconforto della disfatta.
Bulma, sballottata e tramortita da quell’andirivieni di proiettili, schegge e urla che falciavano il ponte, racimolò tutto il coraggio e la determinazione che le restavano per cercare di inserirsi in quel parapiglia e limitare le probabilità di un tragico e irreparabile disastro. Abbandonò la rientranza posta dietro l’agghiaccio1 in cui era rimasta rintanata fino ad allora, al riparo dalle esplosioni, e approcciò il Capitano, intento a dettare rettifiche alle vele e alle sartie.
- Dovete richiamare subito i vostri uomini e annullare questa follia! – lo scongiurò, spingendo con tutte le sue forze le mani contro le sue braccia per smuoverlo dal timone.
- Siamo sopravento, quel verme non avrà occasione di infilarsi – ribatté imperioso lui, scrollandosela di dosso con una spallata, impassibile ai suoi vacui tentativi di sviarlo.
La turchina rumoreggiò per l’onta ma non demorse ancora. Non poteva assolutamente permettere che una decisione affrettata e offuscata dall’euforia del momento mandasse alle ortiche anni di ricerche e sacrifici, si era spinta troppo oltre. Sebbene sfinita, fisicamente e moralmente, si sorresse alle cime per rialzarsi e tornò alla carica: - Avete la più pallida idea di cosa sia quell’arma che stanno usando contro di noi? Fuoco greco2! Una miscela di pece, salnitro, zolfo, nafta e calce viva! È come se ci stessero gettando addosso del carburante e questo vascello fosse un deposito di esplosivo! Una piccola scintilla e finiremmo per saltare tutti per aria!
Vegeta non si preoccupò neppure di abbassare gli occhi per guardarla o di sprecare fiato per risponderle. Quella donna era un’incorreggibile impicciona, ma anche una straordinaria miniera di conoscenze. E se il suo assunto corrispondeva al vero, come oramai temeva, gli conveniva rinnegare quell’irrefrenabile impulso di mozzarle la testa e magari cambiare strategia.
Il suo galeone stava subendo troppi danni, la scontro si protraeva da troppi minuti, gli uomini continuavano a morire e anche se di loro non gli importava granché, l’eventualità di perdere tutto ciò che aveva conquistato, non senza rinunce e dolore, per la prima volta dopo molti anni gli instillò la disturbante sensazione che il terreno gli mancasse sotto i piedi. Ed era una sensazione nuova e assurda, considerando che aveva praticamente vissuto da sempre sul mare.
A malincuore lasciò parlare il suo tumulto interiore: - Non posso voltargli le spalle di nuovo. Ho già commesso questo errore in passato e questo è stato il risultato. È ritornato – mormorò stringendo i pugni inferocito, identificando l’enorme mortaio lanciafiamme che sbucava dalla parte centrale della prua di quel vascello come una grossa lingua di rettile. Tipico di lui.
La Brief lo scrutò attonita, seriamente stupita e turbata da quella confessione e dalla frustrazione che l’aveva contrassegnata: - Di chi diavolo state parlando? – domandò esterrefatta, tamponandosi un flebile rivolo di sangue che le usciva dal labbro spaccato.
Vegeta inghiottì una bestemmia e distolse lo sguardo, prima che tutto diventasse fatalmente sfocato.
- E va bene. Modificheremo l’angolo della gittata, per colpire con esattezza solo gli obiettivi cruciali e dirottarlo – si risolse dopo qualche secondo, aguzzando le iridi fosche verso il confine fra il cielo e le onde che si estendevano davanti a sé.
- Posso aiutarvi con i calcoli. A questa distanza trovare la corretta combinazione potrebbe rivelarsi meno semplice del previsto – intervenne l’azzurra, arrabattandosi a rovistare dentro l’inseparabile borsa a tracolla per recuperare i suoi strumenti astronomici.
Il pirata la scansò da sé, incurante delle sue profferte, sporgendosi verso la balconata: - Nappa! – tuonò imbizzarrito, sovrastando gli scoppi che li attorniavano.
Il corpulento quartiermastro arrancò prima che poté fino alla plancia, premendosi una ferita di striscio che gli aveva aperto un taglio su un ginocchio.
- Sostituiscimi al timone – gli impartì con autorità il Capitano – E tienila ferma, se ce la fai.
La piratessa stava per aprire bocca e protestare, credendo che si riferisse a lei, quando il braccio del suo collega si agganciò intorno al proprio e le sue gambe dovettero muoversi rapidamente per stargli dietro, mentre la forzava a scendere la rampa verso il ponte inferiore.
A causa delle fiamme propagatesi a bordo, la situazione nei locali dabbasso stava peggiorando e anche la condizione dell’alberatura era compromessa.
- Dovete sbrigarvi a domare quell’incendio – le impose senza sciupare troppi convenevoli Capitan Vegeta, allentando la stretta avvincente con cui l’aveva trattenuta a lui e sospingendola verso il boccaporto.
Milioni di improperi attraversarono la mente di Bulma. I loro caratteri forti e fieri erano inconciliabili, tentavano sempre di prevaricarsi a vicenda, ma i litigi non portavano a nulla di risolto. Solo per quel motivo si frenò dal mandarlo al diavolo.
- Posso provarci. Forse potrei anche riuscirci, se solo avessi un po’ di collaborazione – lo rimbeccò, tanto per chiarire che non era succube del suo volere e gli stava soltanto facendo un favore perché adesso erano tutti in serio pericolo.
Il filibustiere, che le aveva già rivolto la schiena apprestandosi a raggiungere le batterie, si arrestò quasi gli avessero sparato, scoccandole un impietrito sogghigno di convenienza.
- Radish! – richiamò con dispotismo il suo secondo, che si barcamenò a raggiungerlo il prima possibile tra il tuonare dei cannoni avversari – Esegui esattamente quello che ti ordina – si limitò a intimargli in maniera improrogabile.
Bulma si rimboccò le maniche, ponderando l’entità dei danni cui avrebbe dovuto rimediare. La reazione chimica sviluppata da quella mistura era rapida e irreversibile. Il legno si stava sbriciolando come sotto l’effetto di un potente acido, e le secchiate d’acqua che i marinai continuavano a rovesciarvi sopra per tentare di spegnerlo, alimentavano la combustione anziché frenarla. Le occorse una rapida osservazione per decidere.
- Sabbia e aceto! Portate tutto quello che avete stivato. È l’unica maniera per estinguerlo – comandò risolutamente, sbracciandosi per richiamare quante più orecchie possibili.
Radish però le faceva muro: - Fanculo – gracchiò sputando e tacciandola con spregio. Sottostare alle stramberie di una donna doveva essere per lui inconcepibile.
Il suo ottuso ostruzionismo le contorse le budella. Doveva aspettarselo da un villano della sua risma, ma conosceva bene il principale movente che guidava le azioni di chi si dava alla pirateria.
- Senti, scimmione, evita di fare lo spaccone. Non fosse per me, tu e i tuoi compari la vostra parte di tesoro ve la potreste sognare! – gli rinfacciò di tener presente, mostrandosi per nulla spaventata dalla sua gratuita intimidazione.
Il farabutto sputò di nuovo irritato, riconsiderando che forse quella ragazzina non aveva tutti i torti. Aveva notato che, per qualche inimmaginabile via traversa, in pochi giorni si era guadagnata un certo ascendente sul Capitano. E sarebbe stato più prudente tenersela buona in caso di rivolgimenti, prestandosi ad aiutarla.
- Sabbia e aceto! – ripeté a squarciagola l’avventuriera, sciogliendosi in un sorrisino soddisfatto dopo aver ottenuto la sua rivincita, pur friggendo per non poter partecipare in prima persona a quella che riteneva la parte più eccitante della battaglia.
Capitan Vegeta intanto stava fomentando quel che restava della ciurma.
- Ascoltatemi! Abbiamo il vento dalla nostra, ma siamo comunque in una posizione di svantaggio. Ora come ora, ci offrono un bersaglio limitato e non possiamo permetterci deviazioni per andarli a fottere. Perciò dobbiamo cambiare tattica ...


L’agitazione silente che regnava a bordo della Ice Lord fu sovvertita dal fragore di una poderosa cannonata che dimezzò irrimediabilmente l’albero prodiero, con una precisione quasi chirurgica.
Aveva pazientato e atteso quella mossa, osservando con palpabile interessamento le manovre del suo ex protetto, perché sapeva che quando entrava in competizione con qualcuno si lasciava trascinare dall’ardore incontrollato e agiva d’istinto, ma poi il suo acume strategico veniva fuori e dava il meglio. Era proprio ciò che voleva stuzzicare, in previsione dello scontro finale.
Una seconda palla incendiaria raggiunse l’obiettivo, travolgendo la parte superiore dell’albero maestro che nella sua rovinosa caduta tramortì mortalmente un manipolo di marinai.
Zarbon, il nuovo timoniere che in quel frangente era responsabile anche delle squadre di artiglieria, aspettava il momento propizio per far ripartire l’offensiva, ma ricevette un ordine opposto.
- Cessate il fuoco e riprendete la rotta. Il nostro messaggio è arrivato chiaro e forte – comandò appagato il Capitano, facendo per allontanarsi dal cassero di prora.
Il suo luogotenente temette di aver inteso male: - Capitan Freezer. Li abbiamo sotto tiro. Possiamo polverizzarli! – affermò esaltato, volendo primeggiare come suo più devoto sostenitore.
La sua smaccata adulazione gli dava la nausea.
- Non oggi – lo zittì lapidariamente l’albino, rimarcando ancora una volta le sue priorità – Siamo in vantaggio rispetto alla sua tabella di marcia. Lo attenderemo al varco, preparandogli una bella esca.


L’acceso bagliore del giorno abbacinava le pupille, riverberandosi nelle acque piatte come olio che circondavano il remoto isolotto.
Il paesaggio ameno e verdeggiante risuonava del canto di grilli e cicale e del cinguettio di altri piccoli volatili, eppure una calma surreale aleggiava tra gli alberi rigogliosi di frutti dalle forme e colori stravaganti che aveva dovuto astenersi dal toccare, e l’eco dei propri passi sul ghiaietto del sentiero sterrato sovrastava ogni altro suono.
Tutto sommato, eccetto quell’interminabile e tortuosa salita che si avvolgeva come un gigantesco serpente attorno alla boscosa collinetta, quel posto sperduto non era così inaccessibile. In quei due giorni di cammino non aveva incontrato trabocchetti o ostacoli di altra sorta che si interponessero al suo tragitto, anche se adesso l’aria sempre più rarefatta gli rendeva la testa leggera e le orecchie fischiavano fastidiosamente per l’altitudine elevata.
La Castle of Fire, ancorata a circa un miglio dalla costa, appariva appena come una macchiolina in quella distesa azzurra e sconfinata.
Goku trascinò stancamente ma con immutata tenacia le gambe, continuando ad inerpicarsi su per quella stradina stretta ed impervia, chiedendosi ad ogni nuovo tornante quando mai sarebbe giunto in cima e quali sembianze avrebbe avuto l’unico misterioso abitante che da tempo immemore dimorava lì in completo isolamento dal resto del mondo.
Procedendo di buona lena, si ritrovò in una radura spoglia e nebbiosa, mentre all’ennesimo sbuffare una nuvoletta di fiato si condensava nell’aria divenuta più che frizzante.
- Urca! Non mi avevano detto che ci sarebbe stato questo freddo! – commentò spontaneamente ad alta voce tra sé e sé, sfregandosi le braccia sul busto e rimpiangendo di non aver avuto l’accortezza di indossare un giaccone di lana.
Ad un tratto avvertì un subitaneo spostamento, provocato da qualcosa di invisibile e molto veloce, che la sua vista, assorta da altri pensieri, non riuscì a cogliere. Un bruciore secco gli ferì la guancia destra e il respiro si fece rumoroso e spesso, attutendo ogni altro fruscio circostante. Toccandosi con la punta delle dita capì che qualcosa l’aveva graffiato. Un taglio preciso, millimetrico, inferto da qualcuno che doveva possedere l’abilità di infliggere ferite ben più gravi. Aveva avuto l’imponderabile sensazione di essere spiato, ma, nonostante versi e fruscii indefiniti, non aveva scorto alcun vero segno di vita.
Un lieve formicolio gli percorse i nervi, suggerendogli di sguainare lestamente la spada e assumere una posizione di guardia, saettando gli occhi tra i rami e i cespugli, continuando ad avanzare circospetto, cercando di produrre il minimo tramestio sui sassolini del selciato, finché quel sibilo non si ripropose e una figura alta e mascherata si materializzò davanti a lui, brandendo una lama lucente e pericolosamente affilata.
L’imperscrutabile guerriero gli concesse un rapido istante di ricognizione prima di cozzare con clangore contro di lui, costringendolo ad ingaggiare un duello forsennato. Attaccava in silenzio e con fervore, rifilandogli violente stoccate e fendenti e misurati, studiando le sue vulnerabilità ma trovandolo sempre preparato a rispondere ad ogni suo assalto.
Goku aveva milioni di domande che si addensavano ed evaporavano di fronte alla necessità di non perdere neppure un briciolo di concentrazione in quella difficile tenzone. Ciò che lo destabilizzava era il fatto che quel formidabile avversario non sembrava davvero intenzionato ad ucciderlo, quanto piuttosto solo a disarmarlo. Nessuno dei suoi affondi era diretto a ledere dei punti vitali, solo l’acciaio era il suo obiettivo. E quella sfida fittizia per assurdo, lo stava stizzendo.
- Basta così! – si interpose senza alcun preavviso una nuova presenza.
I duellanti abbassarono adagio le spade, le cui estremità erano arrivate a sfiorare le rispettive gole.
Goku fece un lieve inchino con il capo, come a complimentarsi con il rivale il cui volto rimaneva celato da un turbante che scendeva a lasciargli scoperti solo gli occhi, scuri, allungati e alieni che lo fissavano con rivalità e malizia. Nessuno dei due era uscito sconfitto da quella gara, anzi credeva quasi che lo avesse graziato.
- Niente male, per uno della tua razza – stridette sotto l’alto bavero il valente spadaccino, più irriso che ammirato – Ma un semplice umano non è degno di occuparsi di una missione così cruciale – mugugnò velenoso, voltandosi e recuperando un grande mantello bianco dal prato per poi andarsi a sedere poco più in là sul terreno, a gambe incrociate e braccia conserte.
Mentre continuava a chiedersi chi fosse, perché fosse lì e quali ragioni lo avessero spinto ad agire in quel modo, l’individuo che li aveva interrotti si ripresentò a riscuotere la sua coscienza.
- Insomma giovanotto! Sto parlando con te! Sai qual è il colmo per un marinaio?
Goku stavolta vide a chi apparteneva quella voce simpatica e un po’ autoritaria e gli parve che fosse un’allucinazione indotta dalla stanchezza.
Era la creatura più buffa su cui avesse mai posato lo sguardo, e dire che aveva viaggiato in lungo e in largo, sin da quando era poco più che un bambino. Non poté fare a meno di pensare che il suo corpo, piccolo e tozzo, insaccato in una specie di saio scuro, ricordasse vagamente quello di un bacherozzo. La sua pelle aveva un colorito bluastro, le orecchie finivano a punta e degli strani baffetti ai lati delle guance tonde fluttuavano al ritmo delle sue strambe parole: - Perdersi in un bicchiere d’acqua! – ridacchiò di gusto, coprendosi la bocca con una mano.
Il marinaio rinfoderò cautamente l’arma, sospettando che ci fosse un malinteso: - Voi siete il Dio del Mare del Nord? – farfugliò allibito, non potendo evitare di usare un’intonazione che lasciava trasparire la sua incredulità e la sua delusione.
L’ometto annuì e si avvicinò a lui, saltellando sui minuti piedi: - Eccoti, finalmente. Erano settimane che attendevo il tuo arrivo – esordì con fare gioviale e lievemente severo, sistemandosi gli occhialetti neri e rotondi sul naso schiacciato.
L’ufficiale sbatté le palpebre un paio di volte, guardandosi attorno e alle spalle e infine indicandosi, un po’ impreparato, un po’ sbalordito.
- Aspettavate me? Mi conoscete? – barbugliò piegandosi alla sua altezza, oltremodo impacciato dal ritrovarsi al cospetto di un essere così speciale e non volendo sovrastarlo, e allo stesso tempo domandandosi se fosse proprio lui o piuttosto non si trattasse di qualche suo servitore. Insomma, quell’omuncolo non aveva affatto l’aspetto regale e imponente di un Dio!
Quesiti dello stesso tenore frullavano nella mente dell’antico nume, mentre soppesava il giovane ospite che ben poco sembrava avere da spartire con l’eroico salvatore che si prefigurava di accogliere.
I suoi lineamenti fanciulleschi e la sua espressione candida erano l’emblema della bontà e dell’innocenza, tuttavia percepiva una scintilla di combattività nel suo petto e il fulgore della perseveranza gli scaldava le robuste membra.
- Ho appena finito di preparare il tè. Vuoi favorire? – lo invitò spicciamente, girandosi verso la casupola che si ergeva poco più avanti.
Il tenente, ancora rintontito e a corto di parole, gli tenne dietro, lanciando un’ultima occhiata incuriosita al taciturno guerriero seduto a ginocchia incrociate sul prato.
Il Dio se ne accorse: - Non badare a lui. Non gli piacciono molto gli umani – bisbigliò rassegnato, aprendo la porta e invitandolo ad entrare.
Una gradevole fragranza di spezie ed erbe aromatiche arieggiava tra le pareti curve di quell’unica abitazione, costruita proprio sulla vetta dell’isola. Pochi mobili, sobri ed essenziali, per fattura e stile, erano racchiusi in quello spazio che contava non più di tre stanze.
Il padrone di casa lo fece accomodare su un divano con fare cerimonioso e gli riempì la tazzina, offrendogli anche una gran varietà di biscotti.
Goku sentì chiaramente brontolare lo stomaco dinanzi a quell’appetitosa offerta di dolciumi, sebbene si impose di onorare la promessa che aveva stipulato con i suoi superiori e con se stesso.
- Vostra Eminenza, la ragione della mia visita è chiedervi di aiutarmi ad impedire che le Sfere del Drago cadano nelle mire di persone molto cattive – proclamò con urgenza, dopo aver inghiottito tutto in un sorso la bevanda fumante.
- Son Goku, giusto? – ruppe le formalità lo stravagante ospite, mangiucchiando dei biscotti – Puoi chiamarmi Re Kaio – sorrise cordialmente, offrendogli una fetta di crostata alle albicocche.
Goku stavolta non resistette a placare la morsa che gli stringeva lo stomaco e addentò voracemente il fragrante dolce, sebbene quel losco e imperscrutabile figuro che continuava ad occupare il suo campo visivo gli impediva di gustarsi appieno la scorpacciata di zuccheri.
 - Chi è quel tizio là fuori? – si risolse a inquisire rimasticando a bocca aperta, servendosi da solo con le altre leccornie disposte sul tavolinetto.
Re Kaio, pur basito dal grande appetito e dalla poca educazione del suo giovane allievo, esaudì la sua richiesta: - Quello lì è Pikkoro3, il figlio del Supremo. È sceso apposta per conoscerti, per conoscere il prescelto.
Il ragazzo interruppe l’abbuffata e si grattò i capelli arruffati, ma non occorse che proferisse parola, perché il Dio rispose subito al suo interrogativo, leggendogli il pensiero:
- Tu sei il prescelto perché hai sconfitto l’oscurità e pensiamo che potrai riuscirci di nuovo. Sei nato da un ventre morto, nel mezzo di una guerra. La tua stessa esistenza è un prodigio. E discendi da una stirpe di semidei, i sayan. Ti serve altro per credere?
Il volto di Goku si tinse di dispetto, incupendosi e accalorandosi: - Non mi basta crederci, se non mi dite che cosa posso fare per risolvere la situazione! – protestò alzandosi di scatto e quasi rovesciando con una ginocchiata il piccolo banchetto – E sinceramente credevo che avreste saputo aiutarmi di più!
La sua improvvisa e battagliera effervescenza indusse il Dio del Mare del Nord a ripararsi dietro lo schienale della poltrona: - Con calma, ragazzo. Non sai qual è un altro colmo per un marinaio? Salpare con il morale a terra!
Il padrone di casa aveva cominciato a ridere di nuovo insensatamente e la sua levità lo demoralizzava. Era un tipo alquanto ilare e bizzarro, se lo era  immaginato molto austero e più serioso.
Per la seconda volta parve proprio possedere il dono della telepatia, poiché i suoi tratti divennero corrucciati e concentrati e, dal nulla, fece materializzare magicamente un lucido prisma che pose con stizza nelle sue mani.
- Questa bussola ti mostrerà la posizione delle sfere, in qualunque luogo del pianeta esse si nascondano. Funziona solo con chi è capace di pensare e sentire – gli rivelò ambiguamente, mostrandogli come aprirla e consultarne le indicazioni – È questa che volevi, prendila – sbottò irritato, versandosi dell’altro the e sbirciandolo di sottecchi – Ma non ti serve. Sai già dove dovresti essere.
Le pupille di Goku erano immerse in quel reticolo di linee e punti che gli si erano dispiegati dinanzi nell’istante in cui il Dio aveva attivato il meccanismo di accensione di quell’eccezionale marchingegno.
Adesso lo vedeva anche lui chiaramente, da una parte c’erano le tre sfere che aveva nascosto nel cuore della sua casa, dall’altra parte dell’emisfero altre tre stavano viaggiando insieme ai loro detentori verso Oriente per ricongiungersi all’ultima.
- Devi solo capire cosa ti interessa davvero. – lo riportò coi piedi per terra Re Kaio, con accento assennato e comprensivo – Tornare a casa e salvare la tua famiglia, oppure lanciarti all’inseguimento di quei criminali e accrescere la tua fama – gli prospettò, proiettandolo direttamente in uno scenario in cui le vite delle persone erano come pedine su un’immensa scacchiera di sabbie mobili.
Una sua mossa azzardata e sarebbero stati perduti.

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1 Agghiaccio: è il nome dato al locale poppiero dove si manovra direttamente sulla barra del timone. 
2 Il fuoco greco è esattamente la mistura esplosiva descritta da Bulma; il nome deriva dal fatto che venne usato per la prima volta da navi greche o meglio bizantine in epoca medievale per contrastare gli assalti dei turchi. La composizione era ai più sconosciuta (si dice che fosse nota solo all'imperatore), non si poteva spegnere con l'acqua come il fuoco normale perché conteneva calce e pece che tra l'altro entrando in contatto con il legno lo liquefacevano.
3 Ho preferito usare il nome giapponese anziché quello usato nell'anime, Junior, ma si tratta sempre di lui.

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Capitolo 28
*** XXVIII: Mending, bending, planning ***


Salve a tutti! :D
Ritorno in punta di piedi dopo innumerevoli maree ad aggiornare questa lunga e articolata storia che ho imperdonabilmente lasciato incompiuta per diversi anni  - per i motivi e le circostanze più disparate - nonostante avessi già abbozzato da tempo il finale.
Finalmente, complice anche la pausa forzata da vita normale di questo periodo, ho preso coraggio e mi sono messa a rileggere, revisionare e riordinare appunti e idee, per cui sto nuovamente portando avanti la composizione.
Devo ammettere che una buona spinta a riprendere in mano la ff mi è stata data dai nuovi e vecchi lettori che mi hanno fatto sapere di aver apprezzato questa bizzarra AU e di desiderare conoscerne l'epilogo ^_^

Dalla mia, sto cercando di mantenere inalterati il livello e i toni, seppure si tratta comunque di una storia nata come puro divertimento e tale continua ad essere per me la sua scrittura. Spero soprattutto di essere riuscita a rientrare nei personaggi!
Se tutto procederà nel verso giusto, ho in programma di pubblicare un nuovo capitolo ogni 15-20 giorni.

Intanto vi lascio con questo capitolo che è un po' statico e di transizione: sarà l'ultimo di questo genere, perché nei prossimi l'azione tornerà ad essere protagonista.

Vi ringrazio di cuore per la stima e l'affetto: spero vivamente di non deludere le vostre aspettative.
Commenti, critiche, osservazioni, sono sempre ben gradite!
Al prossimo approdo!)


XXVIII – MENDING, BENDING, PLANNING

L'odore acre e pungente del legno bruciato si mescolava a quello del sangue rappreso e dei corpi affumicati e ridotti in poltiglia di chi non era riuscito a scampare a quel terribile marasma di piombo e fiamme.
Tonfi ripetuti fendevano le onde appena increspate e il loro rimbombare cupo era come una nenia funebre, anche se i resti esanimi e straziati dei caduti venivano gettati fuori bordo svanendo dalla faccia della terra senza la dignità di un cordoglio o di una sepoltura, al pari di vecchi rottami privi di valore.
L’accanita caccia a quell’ambito tesoro continuava a mietere vittime e la corsa ad accaparrarselo era ancora lungi dall’esaurirsi. Era il triste scotto da pagare, lo aveva saputo e preventivato sin da quando si era imbarcata in quella folle e temeraria impresa e adesso le si schiaffava in faccia con la stessa forza di una violenta raffica di vento.
Bulma si strinse nelle braccia, un pressante senso di angoscia e colpevolezza a contorcerle le budella, mentre distoglieva gli occhi velati per il fumo, la polvere e qualche lacrima scaturita da quello spettacolo raccapricciante.
Dopo la fine di quell’aspro scontro contro un ignoto assalitore, i danni riportati dalla Bloody Wench erano consistenti, anche in termini materiali. Il fuoco greco non perdonava. C’era mancato davvero un soffio ad essere annientati.
Avevano virato sull’ancora e quella manovra era servita a distanziare l’aggressore, riuscendo con una graduale strambata a sottrarsi alle sue fiammate provenienti da poppa, così che gli obiettivi colpiti si concentravano soprattutto nella parte superiore del cassero: gran parte delle vele erano bucherellate e stracciate, i pennoni divelti e bruciacchiati.
Avrebbe dovuto odiarlo e compiacersi per come la sua presunzione e malvagità alla fine gli si fossero ritorte contro, invece si accorse di non provare alcuna soddisfazione per quanto era accaduto a quel deplorevole e scontroso farabutto.
C’era qualcosa di più in lui, uno spirito affine, incapace di rassegnarsi all’ineluttabile. Aveva sentito emergere quella similarità tra loro due osservandolo al comando, irruente e tattico in ogni sua mossa.
Alla fine di quella baraonda avrebbe potuto ritirarsi nella sua cabina e darsi una ripulita o magari anche concedersi di riposare, ma una sorta di misterioso impulso l’aveva spinta a rimanere sul ponte, quasi come a voler far sentire la sua vicinanza a quell’astruso e inattaccabile filibustiere che, come lei, era stato sul punto di perdere tutto.
Conosceva quella sensazione di vuoto e disorientamento, sapeva sin troppo bene quale pena si provava nel vedere distrutto il proprio vascello, la propria casa, il proprio mondo.
Nel ricordare l’ingiusta fine della sua Proudy Star una fitta di dolore e rabbia le annodava ancora lo stomaco, e anche se l’artefice della sua distruzione era stato quello stesso uomo malvagio e intrattabile, in qualche modo il suo risentimento nei suoi confronti si era come attenuato, sostituendosi all’irriducibile istinto di confortarlo, benché lui non le avesse mai dato motivo di pensare che fosse tipo da darsi per vinto, finanche fosse incorso nella peggiore delle disfatte.
Il suo sguardo indurito non aveva perduto quella scintilla di superiorità mentre vagava, analitico e riflessivo, su ogni pezzo di attrezzatura lesa o affumicata dalla micidiale miscela esplosiva. Con malcelato malanimo si appuntava ad esaminare quell’accozzaglia di fuorilegge vestiti di stracci laceri alle prese con i lenti lavori di riparazione e di raddobbo. Era immobile e altero, ma a lei pareva di percepire distintamente l’ira cocente e cupa che gli ribolliva nelle vene, un magma in attesa di fuoriuscire dal cratere.
Sarebbe stato sufficiente esalare una parola o anche solo un sospiro di troppo a farla deflagrare con esiti imprevedibili. Eppure non riuscì a trattenersi dall’interrompere quel suo prolungato e tacito soliloquio interiore.
- Avete adottato una manovra davvero astuta. Ci avete salvato, poteva essere uno sfacelo. I danni sono notevoli ma non irreparabili. In men che non si dica navigheremo di nuovo col vento in poppa! – esordì con meno riserbo e più ottimismo di quanto non intendesse in partenza.
Il Capitano le scagliò una caliginosa occhiata di striscio: - Credete m’importi qualcosa della vostra approvazione?
Bulma si ricredette su quanto aveva pensato poco prima, percependo una screziatura di sconfitta in quel suo tono sprezzante che aveva oramai imparato a conoscere. Lo tampinò mentre, incedendo con passi calibrati, si affacciava alla murata di tribordo, la meno investita dalle bordate.
Le acque sotto di loro erano limpide e appena mosse, sciabordavano placidamente, ignare di tanto orrore e delle emozioni tumultuose che agitavano gli animi di chi le solcava.
- Scommetto che voi sapete chi è stato ad attaccarci – affermò schiettamente, intenzionata ad ottenere risposta a quello che non era neanche un vero interrogativo, perché non era più il caso di avere riserve o remore: in quella competizione oramai gareggiavano insieme.
O almeno così voleva fortemente credere.
Il profilo frastagliato del pirata parve essere attraversato da un lieve tremito: - Un cacciatore di tesori, come noi – proruppe brusco, le unghie involontariamente artigliatesi alla ringhiera fino a scorticarla.
- Che però non ha neanche provato a rubarci le sfere – dissertò lei, rimarcando il persistere del suo sospetto sulla mezza menzogna che lui le aveva rifilato.
Vegeta inghiottì sale e bile, la voce fiera cedette alla perdita della fermezza con cui era solito affrontare chi lo ostacolava, manifestando uno sdegnato senso di fallimento: - Lo farà a tempo debito. Questo era solo un avvertimento. E uno sberleffo per farmi sapere che lui arriverà per primo.
Quel suo continuare ad esprimersi in maniera tanto enigmatica e umiliata  trasmise alla piratessa un’ondata di apprensione, cui però cercò di opporsi, volendolo piuttosto incoraggiare: - Non è ancora detto.
Il Capitano ruotò la testa verso di lei, volgendole una sbirciata fugace:- L’ho lasciato praticamente senza alberi ed è stato in grado di staccarci lo stesso – decretò con un amarognolo moto di stizza a scoprirgli i canini affilati e macchiati del sangue che gli sgorgava dal labbro superiore spaccato.
Bulma sussultò appena, costringendosi ad abbozzare un sorriso saputo: - Suppongo sia stato grazie a qualche mezzo di propulsione aggiuntivo. Eliche, presumibilmente. Un trucchetto dell’ingegneria, niente magia – gli rivelò con una strizzata di spalle.
Le era occorsa una rapida ricognizione per capire quale fosse stato il vantaggio di quel misterioso vascello cinerino.
Vegeta la scrutò stranito, al che lei si dilungò a spiegare come tale congegno funzionava sul suo brigantino, ma dopo qualche termine tecnico di troppo lui non la seguì più, stordito dalla sua genialità, contrariato dall’idea che in meno di una settimana avrebbe comunque dovuto ucciderla. Sarebbe stato un sollievo e uno spreco. Quella mezza donna era più valida di tutti i membri della sua ciurma messi insieme di cui poteva disporre al momento. La sua ingegnosità sarebbe potuta tornargli utile in futuro.
Ascoltando distrattamente i suoi ragionamenti, si ritrovò a desiderare che ci fosse un altro modo per liberarsi di quell’infido maleficio. E si sentì surriscaldare da un profondo senso di orrore e di ripugnanza per essersi segretamente abbandonato di nuovo a quelle scellerate divagazioni.
- Sbrigatevi a riapprontare tutto, se non volete che appenda le vostre sudice ossa al posto dei pennoni! – scattò in un urlo dispotico e forsennato, volgendosi in tralice ai marinai che si adoperavano con scarso zelo, ancora provati e tramortiti dallo scampato pericolo.
Un acciaccato Nappa gli claudicò accanto: - In stiva non abbiamo comunque legname a sufficienza per sostituire quello distrutto, signore – biascicò costernato.
- Dovremmo sbarcare al prossimo approdo disponibile per rifornirci a dovere – gli fece eco uno scapigliato Radish, sputando un molare rotto.
- Ci sarebbe l’Isola del Giaguaro 1, pressappoco a mezza lega da qui – s’interpose anche la Brief, spazzolandosi distrattamente la fuliggine dalla giacca – L’avevo vista prima sulle carte –  specificò con aria furba e indifferente.
Capitan Vegeta, pur controvoglia, annuì con un basso ringhio, intimando ai suoi di seguire quel consiglio e facendo impercettibilmente cenno alla donna di raggiungerlo in sala nautica. Avevano dovuto gettare l’ancora per evitare che la nave, ancora ingovernabile, andasse alla deriva, ma i pensieri, quelli no, non era riuscito ad impedire che continuassero ad infrangersi su quel soggetto meschino, come cavalloni che sbattevano incessantemente su di un alto scoglio, senza mai riuscire a superarlo.
Scansando suppellettili, libri e candelabri che con tutto quel putiferio si erano rovesciati e sparpagliati sul pavimento, si avventò su una bottiglia di rum smezzata, bagnandosi la gola riarsa dal nervosismo e dallo smacco: - Capitan Freezer. È stato lui ad attaccarci – le rivelò tutto d’un fiato, in un afflato secco e perforante come uno schioppo.
Le palpebre di Bulma sbatterono un paio di volte, le labbra si mossero a vuoto, lasciando uscire un singulto appena udibile: - Il Terrore degli oceani? Impossibile … È morto anni or sono. Lo sanno tutti.
- Parrebbe proprio di no – schioccò la lingua lui, tracannando un altro sorso di quel liquore speziato e brodoso per la calura, le larghe spalle leggermente incurvate sulla vetrata scheggiata dai proiettili e attraversata dai raggi obliqui del sole a metà del suo corso.
L’azzurra si tamponò la fronte con un fazzoletto che passò anche sul collo: - Siete sicuro?
Aveva già fiutato la sua inquietudine, si era già tradito durante la battaglia e rifiutava la possibilità che lei lo credesse un codardo, o peggio che lo compatisse. Ma scoprire che quella vecchia serpe fosse ancora viva era stato frustrante: - Ho navigato con lui per quasi dieci anni. Riconosco il suo stile di combattimento. Voleva indurmi a sbagliare – si costrinse a confessarle, furioso con se stesso per quello scacco personale.
Era plausibile che stesse dicendo il vero, essendo nota la capacità di quel diabolico bucaniere di possedere artiglieria fuori dall’ordinario. Tutti i navigatori conoscevano la sua oscura leggenda e i racconti terrificati delle sue efferatezze si erano tramandati a lungo in ogni porto e locanda dei sette mari.
Bulma si avvicinò un po’ di più a Capitan Vegeta, discernendo il suo abbattimento. In fondo era anche lui umano e forse cominciava ad accusare il colpo per quanto successo.
- Anche se dovesse arrivare per primo, con due sole sfere quel farabutto non potrebbe comunque evocare il Drago Shenron – rammentò al suo tormentato compagno di ventura, usando un tono allegro, auspicandosi di dissipare quel suo improvviso e inaspettato attacco di pessimismo.
Vegeta nell’avvertire l’aura indulgente della donna, si disprezzò per essersi mostrato tanto vulnerabile. Non poteva permettere al suo orgoglio smisurato di colare a picco. Frantumò la bottiglia tra le dita, i pezzi di vetro schizzarono attorno a sé come faville: - Quell’essere immondo è tornato dall’oltretomba. Non si fermerà davanti a niente e nessuno. E neanche io – sibilò agguerrito, riacquistando la sua indomabile fierezza.
Bulma si sentì pervadere dall’inscalfibile forza che emetteva la sua persona, quasi come l’onda d’urto di una cannonata: - Lo stesso vale per me. Detesto perdere – asserì infervorata, volendogli rimarcare di possedere la stessa avventatezza e caparbietà.
L’uomo la fissò per qualche attimo, la bocca leggermente piegata in un sorriso sottile, un baluginio ambiguo nel fondo delle iridi tenebrose mentre si sporgeva su di lei, serrandole il mento tra due dita ruvide: - Voglio che mi costruiate un meccanismo come quello che avete descritto poc’anzi.
La piratessa trasalì, il petto in tumulto. Quel momento di apparente complicità si era immancabilmente spezzato e lui era tornato a mostrarsi arrogante: - Ma ci vorrebbero parecchi giorni per realizzarlo e un mucchio di materiali che non saprei proprio dove reperire! – dissentì sottraendosi a quella magnetica presa, oltremodo oltraggiata dal suo subdolo insidiarla.
Le sopracciglia del pirata si contrassero irrequiete: - Quindi vorreste rinunciare … - la provocò deluso e contrariato, incrociando le braccia al torace gonfio di dispetto.
- Non è questo il punto. Un’opera di tale portata richiede grande perizia e solerzia. Gli uomini andranno tartassati perché si affrettino a completare il lavoro in breve tempo, e francamente li vedo già parecchio sfiancati – addusse lei a valido argomento di quel rifiuto, non riuscendo tuttavia a smuovere il suo ombroso alleato dalla pretesa di potere usare tutti coloro che lo circondavano a suo piacimento.
Dalla pesantezza del suo sbuffare e dalla maniera esasperata di folgorarla con quello sguardo accusatore, era lampante che non avrebbe allentato il morso.
- Sarebbe più opportuno metterci a studiare la strategia da adottare per introdurci nell’Arcipelago dei Diamanti Blu – tentò comunque di tergiversare, recuperando le Carte del Supremo, assemblate in precedenza a formare una corona, e dispiegandole sul tavolo insieme alle altre carte nautiche che riproducevano la località in questione.
- È quello di cui intendo occuparmi io – sostenne puntiglioso Vegeta, piantando violentemente una mano sulle mappe e accostandole a sé – Voi intanto preparate il progetto di queste eliche. Una volta sbarcati su quello sputo di terra, vi concedo tre giorni di tempo. Quanto agli uomini, saranno puniti nel peggiore dei modi, in caso si opponessero ai miei ordini – stabilì intransigente, troncando così una conversazione che si era protratta anche troppo a lungo e che era stata sin troppo confidenziale per i suoi canoni. Riaccendendo un candelabro e afferrando una sedia, si estraniò nell’analisi degli indizi che avevano finora raccolto sulla loro prossima meta, ignorando la sua ospite.
- Farò quanto mi avete chiesto, unicamente per onorare il nostro accordo di matelotage – pose l’accento l’incorreggibile Bulma, rifilandogli con un gesto stizzoso la sua inseparabile strumentazione, come a rimarcargli che la riteneva più affidabile per quel proposito.
Senza sprecare altre parole superflue e vane ad intaccare il suo contegno altezzoso, lo lasciò alle sue speculazioni e si incamminò speditamente all’esterno. Per quanto fosse stufa di essere considerata solo un valido strumento da impugnare a suo vantaggio, non c’era nulla che potesse fare, se non eseguire la sua volontà. Erano oramai giunti troppo oltre: rivaleggiare sarebbe stato controproducente, se non deleterio in quelle instabili circostanze i cui veleggiavano. Avrebbe solo vanificato i risultati finora raggiunti.
Ma accostando la porta, una nuova sensazione aveva cominciato a solleticarla, sostituendosi al risentimento. Durante la frenetica battaglia navale in cui erano stati coinvolti quel furfante l’aveva salvata in più di un’occasione. Forse gli costava ammettere di avere fiducia nelle sue capacità, eppure non gli dispiacevano i benefici della loro alleanza. Aggirandosi sul ponte di coperta, tirò fuori dalla sporta il taccuino, tracciando a grandi linee la fisionomia del galeone, su cui fervevano ancora riparazioni e rammendi, ma mentre la sua matita scorreva agile su quel blocco di carta, riempiendolo di disegni e numeri, la sua mente era per metà volata altrove.
Si sentiva intimamente lusingata e al contempo un po’ in ansia, perché non voleva vanificare le sue ambiziose aspettative. Rimescolata da tali pensieri contrastanti, imboccò le scalette del boccaporto che immetteva ai locali dei ponti inferiori, chiudendosi in cabina a escogitare una soluzione da attuare per accontentarlo.

Con vele e alberi ridotti al minimo la traversata di quel limitato stretto di mare non fu delle più veloci, richiedendo quasi un giorno e mezzo di viaggio in cui gli animi dei marinai erano stati permeati da un non troppo latente malcontento. L’avvistamento dei pendii brulli e scoscesi della montagna rocciosa che svettava al centro di quell’isola sperduta restituì loro un po’ di conforto, sebbene la permanenza in quel luogo di passaggio sarebbe stata tutt’altro che riposante.
La Bloody Wench approdò sul versante spopolato di quella terra emersa nel mezzo dell’oceano, potendo così passare inosservata ai pochi abitanti concentrati in prossimità dell’unico porto dominato da una gigantesca fortezza. Appena gettati gli ormeggi, Nappa e Radish furono inviati dal Capitano a reclutare qualche altro manovale, adescandoli con la menzognera promessa di un consistente compenso.
In poche ore la spiaggetta racchiusa da una ripida scogliera contornata da alberi d’alto fusto divenne un cantiere a cielo aperto, e Bulma si trovò a dirigere le modifiche della carena del veliero, la cui falla era stata rattoppata con mezzi di fortuna. Grazie all’accortezza con cui aveva supervisionato lo spoglio del suo brigantino, era riuscita a mettere in salvo alcuni importanti pezzi che si sarebbero riadattati a quella situazione di emergenza.
Capitan Vegeta, di tanto in tanto, inquisiva con occhio critico e curioso il suo arrabattarsi tra arnesi bizzarri e carte disseminate di progetti cervellotici, frutto dell’inventiva della sua intelligenza acuta. Malgrado le proteste e le bizze iniziali, la sirenetta dall’indole di un’inventrice era riuscita nel tempo stabilito a concludere la messa a punto di quel futuristico marchingegno. Era rimasto in silenzio e a debita distanza durante lo svolgersi delle operazioni di montaggio, esercitandosi con le sciabole, impaziente di poter tornare a sborniarsi della corroborante e indomita brezza del mare aperto, rodendosi il fegato al pensiero che quel nemico riemerso dai suoi peggiori incubi potesse intanto tramare qualcosa per sconfiggerlo.
Quando intuì che infine tutto fosse pronto alla partenza, ispezionò con scrupolo ogni rammendo alle velature e al sartiame, ogni alberatura riparata e sostituita, poi si calò con una cima per analizzare lo scafo nella cui parte posteriore era stata inserita una coppia di grandi pale ricurve, simili a quelle di un mulino.
- Nonostante tutte le ripugnanti scelleratezze che avete perpetrato, deve esserci qualche buona stella che veglia da lassù per voi – esordì sarcastica l’azzurra, affiancandolo con un sorriso compiaciuto, mettendosi di seguito a spiegare con minuziosità l’ingranaggio identico a quello di un orologio meccanico cui sarebbe stato necessario dare volta ad intervalli regolari per azionare la rotazione - Non aspettatevi che adesso andremo a chissà quanti nodi. Per quello occorrerebbe avere un motore a vapore … – glissò saccente, attendendosi da lui una qualche osservazione o una gratifica.
- Si vedrà – si limitò a commentare lo straordinario risultato Capitan Vegeta, volgendosi poi ai suoi sottoposti: - A bordo, rognosissimi bastardi! Liberate tutto!
La Brief non poté fare altro che accodarsi anche lei al resto della ciurma, mentre paranchi e pulegge venivano smontati per riportare la chiglia sul bagnasciuga e finalmente salpare.
I marinai si avvicendavano sulle scotte all’ordine perentorio di far filare la Bloody Wench alla massima velocità possibile.
- Spiegate tutte le vele! Più alzo! – ripetevano il quartiermastro e il luogotenente, gareggiando come al solito tra loro per chi apparisse più fedele e ligio al temuto e stimato Capitano, il quale aveva imbracciato con alterigia il timone.
- Abbrivare!2 Andatura di bolina stretta3! Mure a dritta!4 ¬– comandò imperioso, una smania invincibile di misurarsi con quell’odiato contendente lo attanagliava. La spinta fornita da quella potenza motrice aggiuntiva assicurò al galeone di prendere l’abbrivo in pochi minuti e i contorni della terraferma divennero gradualmente sempre più sfocati, per lasciare spazio alla sola distesa infinita di quel blu profondo.
Vegeta si sentì subito ritemprato, gli pareva di tornare a respirare a pieni polmoni dopo un’interminabile agonia.
Bulma intanto risalì dai locali di dabbasso, da dove aveva avviato personalmente il rudimentale motore, inviandogli un’espressione trionfante cui lui rispose sollevando impercettibilmente gli angoli della bocca, le mani possessivamente ancorate alla ruota timoniera, quasi fosse la sua amante.
La piratessa gli si appropinquò sulla plancia, restando qualche passo indietro a rimirarlo per dei minuti, come le era già capitato di fare altre volte, di nascosto.
Si distanziò un po’, affacciandosi alla balconata del cassero e beneficiando della corrente salmastra per raffreddare e sbrogliare la mente dalle trame di quello stupido inganno che le stava progressivamente irretendo ragione e cuore.
- Capitan Freezer è ancora lì fuori, in attesa di attaccarci di nuovo – proruppe lui bilioso d’improvviso all’indirizzo dei suoi sgherri, che a quell’inaspettata rivelazione si scambiarono una smorfia allibita e terrificata – Voglio essere avvisato immantinente di qualsiasi avvistamento.
Radish e Nappa, pur ancora sgomenti e confusi, si profusero in mille rassicurazioni.
Bulma stava meditando di ritirarsi a riposare dopo la fatica, non remunerata, accumulata nelle ultime ore, sennonché una mano forzuta la trattenne per un braccio, tirandola a sé con foga, tra risolini e occhiate allusive della ciurma.
Vegeta la strattonò con impellenza nella sua cabina, non curandosi neppure di serrare del tutto l’uscio che, sbattendo, restò semiaperto con uno spiraglio tanto largo da consentire a chiunque di poter spiare chi si trovava all’interno.
La ragazza si dimenò e incespicò nei suoi stessi stivali, finché lui non la rilasciò malamente al centro della stanza, facendola quasi cadere: - Avete fatto progressi, senza il mio apporto? – balbettò trafelata, ammiccando alle carte e ai volumi dispiegati sul grande tavolo.
I lineamenti duri del bucaniere si contrassero, spazientiti: - Innanzitutto ho ritrovato le sfere che voi avevate nascosto nel vostro alloggio – la accusò truce, puntandole contro un dito intimidatorio.
- Avevo pensato di metterle al sicuro in caso fossimo stati arrembati – si discolpò lei punta sul vivo, abbonandogli un sorriso innocente.
Il pirata le si avventò, ghermendo il risvolto della sua giacca: - Voi … Continuate a cercare di fottermi. Questa cosa non la tollero … - le alitò addosso in un ansito febbrile, tanto che lei poté distinguere l’aroma di sale e rum del suo fiato e lui il suo stesso riflesso occhieggiare dentro quegli specchi di acqua marina.
Bulma deglutì, la pelle le fremeva di sudori freddi e non riusciva a muovere un muscolo. D’istinto socchiuse le ciglia, allungando sensibilmente il viso verso di lui … che però, escluse le pupille tremolanti e una piccola venuzza pulsante sulla tempia, manteneva la fissità di una statua di pietra, sconfessando l’intenzione di contraccambiarla.
E non avrebbe dovuto! Poteva rischiare di ucciderlo. Quanto a lungo sarebbe stata capace di respingere quel fuorviante desiderio? Non lo sapeva più.
- Non avrei dovuto tacervelo. Chiedo venia – bisbigliò insolitamente remissiva, tornando a dominarsi quando avvertì la presa delle sue dita allentarsi fino ad annullarsi – Che altro avete scoperto? – sgusciò da quell’imbarazzante fraintendimento, calcandosi in testa il cappello piumato e concentrandosi sul cercare di decifrare gli appunti che giacevano disordinatamente insieme a varie scartoffie abbandonate sul ripiano ligneo. Notò che lui aveva cerchiato alcune parole contenute nell’indovinello che avevano decifrato qualche giorno avanti, ma su cui ancora non avevano avuto modo di discutere.
Vegeta sbuffò dal naso e la raggiunse con fare contrariato, tenendo un opportuno distacco tra loro e le fu intimamente grato di aver soprasseduto su quel momento di reciproco e involontario avvicinamento. In sua presenza il suo autocontrollo era doppiamente sotto attacco. Pochi attimi prima aveva nuovamente oltrepassato i confini che si era imposto di rispettare con lei e quel suo delizioso profumo di salsedine e fiori gli si era prepotentemente insinuato nelle narici e in ogni poro, ottenebrandolo. Se lei avesse iniziato a sproloquiare sarebbe stato anche più difficile controllarsi. Possibile mai non avesse alcuna paura di lui?
- Questa volta nel luogo in cui si trova la sfera ci sarà anche parecchia gente viva. Non avremmo campo libero. Dovremmo muoverci diversamente – sostenne impensierita, accomodandosi su una poltrona per studiare meglio le scritture e i portolani.
- Ho udito racconti su quel Pilaf. Un patetico e insulso piccolo tiranno. Nessuno si rammaricherà della sua scomparsa – smentì la sua preoccupazione con un riso strafottente lui – Quello che mi preme piuttosto è capire come passare indenni attraverso quegli stretti con dei fondali tanto bassi – soggiunse additando il disegno degli isolotti che componevano quel reame su una seconda mappa più dettagliata – Qui dice di “fileggiare a ritroso5”. Dovremmo trovare una via d’accesso che sia controvento.
- Per non destare l’attenzione di questo “alato flagello che incombe al tramonto” – dedusse dubbiosa Bulma, mordicchiandosi un mignolo – Voi avete una qualche idea a cosa possa riferirsi?
Vegeta aggrottò la fronte: - A qualche bestiaccia schifosa, probabilmente – suppose senza troppo turbarsi – In tutto questo non bisogna sottovalutare quella fetida carogna di Freezer – digrignò i denti irritato, indicandole il puntino luminoso sulle Carte del Supremo che mostrava l’avvicinarsi del nemico alla loro stessa meta.
La piratessa annuì pensierosa: - Posso porvi una domanda?
Lui, colto alla sprovvista da quell’insolita prudenza nel suo tono, piegò lievemente il capo in un cenno che non voleva essere esplicitamente affermativo, ma che lei interpretò come un consenso: - Mi ammazzereste se vi chiedessi di raccontarmi come sono andate le cose tra voi e lui?
- Non sono affari che vi riguardano, se ci tenete alla vostra misera vita! – la fulminò perfido e astioso, piazzandosi davanti alla vetrata a braccia conserte e dandole la schiena.
Bulma sbatté i palmi sul tavolo, alzandosi come avesse il fuoco sotto il sedere: - E lo sapete? In fondo neanche m’interessano, brutto manigoldo approfittatore che non siete altro! – annaspò inviperita, cominciando a raccogliere frettolosamente i suoi effetti personali, soffocando l’inconfessabile sentore di stare mentendo e di sperare che lo stesse facendo anche lui.
Lui roteò appena gli occhi nella sua direzione restando però spiazzato nel non vederla allontanarsi, come quella sua sfuriata gli aveva erroneamente fatto credere.
- Bene! Fino a che non avrò le pinne, rimettiamoci a studiare questa stramaledetta rotta! – annunciò ostinata, riordinando tutte le sue annotazioni e le effemeridi e invitandolo ad assisterla – E non vi azzardate più a cercare di baciarmi ogni volta che ci troviamo vicini! – lo ammonì pungente.
- Egocentrica presuntuosa – bofonchiò lui, tornando svogliatamente a piazzarsi al suo fianco, allungandole una lente d’ingrandimento e accendendo dei moccoli di candela, restando in piedi poco distante da lei.
Nonostante la considerasse un’astuta manipolatrice, quella donna si era guadagnata in qualche maniera il suo restio e avaro rispetto, se non altro per la sua capacità di ragionamento e per la sicumera con cui lo fronteggiava. Non sarebbe mai riuscito a sopportare la sua irrefrenabile propensione alla chiacchiera, ma fintantoché non avesse cominciato a farneticare, s’impose di ascoltare le sue acute osservazioni.

Due loschi figuri, appostati a pochi metri da loro, sbirciavano da un po’ di giorni la crescente sintonia che pareva essere sbocciata in quella strana coppia. Lei, sorridente e scherzosa, aveva tolto le briglie al suo inarrestabile scilinguagnolo e lui la ascoltava in silenzio, come ammansito, accennando sogghigni e insulti meno aspri del solito.
- Che te ne pare? – sbottò Radish, volgendo la schiena alla cabina di comando.
Un riso sconcio fece scuotere la pancia di Nappa: - Secondo me le ha già dato una bella ripassata e a lei non è dispiaciuto …
- Non è questo che mi disturba – smentì brusco le sue volgari allusioni il compare – Quella femmina se lo rigira come vuole. Ha avuto sin da subito un trattamento di favore – si schermò con una mano la bocca e smorzò il tono, che s’impregnò di un misto di livore e sospetto – Secondo me quella gli ha fatto una malia.
- Dici che potrebbe essere una fattucchiera? – ipotizzò sbigottito il pelato, lanciando un’occhiata guardinga alle sue spalle e spiando le vivaci interazioni tra i due. In effetti, in base alla sua esperienza e a quanto conosceva il suo scorbutico Capitano, gli parve che, se non andavano d’amore e d’accordo, poco ci mancava.
- Ha un mucchio di strane ampolle nella sua cabina. Saranno filtri o elisir magici – argomentò Radish con una certa sicurezza.
- Dobbiamo mettere in guardia Capitan Vegeta da quell’arpia – si accalorò l’altro, accennando già ad irrompere in sala nautica, ma il compagno lo placcò, afferrandolo per un braccio.
- Prima bisognerà coglierla in fallo – lo redarguì con un’espressione scaltra.
Nappa si sfregò il cranio calvo e tatuato, rimanendo dubbioso:- E se quella lanciasse un incantesimo anche a noi?


veggie-pirate-2
Immagine tratta dalla gallery di RedViolett su Deviant art

1 Isola del Giaguaro: anziché inventare un'isola, ne ho cercato una già citata nell'anime consultando il dettagliatissimo sito Dragonballwiki che consiglio a tutti gli appassionati.
2 Abbrivare, prendere l'abbrivo: imprimere un’accelerazione ad un natante, sfruttando sia i mezzi di propulsione che il moto del vento, del mare o delle correnti.
3Andatura di bolina: è la dicitura che si usa per indicare un bastimento che stringe il vento attraverso le vele di taglio.
4 Mure a dritta: quando il lato al vento è quello destro e le vele si trovano quindi a sinistra dell'asse longitudinale della barca; in altri termini è un ordine per stabilire in che direzione orientare le vele al fine di prendere meglio il vento.
5 Fileggiare: in questo caso è un sinonimo di navigare.

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Capitolo 29
*** XXIX: One way or another ***


Salve gente! ^_^
Ho deciso di anticipare la pubblicazione di questo aggiornamento giacché lo avevo già pronto e il prossimo capitolo invece si preannuncia piuttosto complicato da scrivere e credo che non arriverà prima di fine mese (spero!).
Questa volta torniamo a vedere cosa combinano gli altri protagonisti della storia e in particolare Goku che avevamo lasciato alle prese con Re Kaio, ricordate?
Beh, come sempre ringrazio quanti leggono, seguono o inseriscono questa mia ff tra le ricordate/preferite: spero di non deludere le vostre aspettative e di riuscire a regalarvi qualche minuto di evasione :)
Al prossimo approdo!)


XXIX – ONE WAY OR ANOTHER

Sollevò con trepida lentezza prima una palpebra e poi l’altra. La patina impalpabile di quello stato di trance si dissolse gradualmente mentre anche i nervi, i tendini e le vene ricominciarono a formicolare, restituendogli pian piano la piena coscienza di sé.
Aveva perso la cognizione del tempo da che aveva iniziato quello strano addestramento, più mentale che fisico, di cui doveva ancora comprendere appieno l’utilità.
- Chi molto pretende, molto ottiene! – gongolò una voce esuberante e allegra, molto vicina al suo orecchio – Quando riesci a non farti condizionare dalla fretta e non ti lasci fuorviare da altri pensieri, hai una forza di volontà davvero straordinaria!
Goku trasalì lievemente, focalizzando un planisfero che galleggiava davanti ai suoi occhi e che sembrava essere proiettato come per magia da quella speciale bussola poggiata sul suo palmo. Sette luci sferiche arancioni lampeggiavano in quella ragnatela di meridiani e paralleli. La loro posizione era rimasta pressoché invariata rispetto a come l’aveva vista la prima volta, ma le lucine in movimento che si spostavano sensibilmente verso est erano ormai prossime a congiungersi.
- Adesso potrai pescare quei cacciatori! – tornò a parlare Re Kaio con uno dei suoi bislacchi giochi linguistici, spronandolo e dissipando la sua incertezza per ciò che stava osservando.
Il ragazzo restava però confuso e titubante: - Quindi significa che sono pronto per ripartire? Ho come l’impressione di trovarmi qui da un’eternità. Quante ore sono passate? – domandò guardandosi intorno spaesato, fiondandosi ad una finestra, provando una certa impazienza di rivedere il mare aperto.
Il Dio del Mare del Nord gli tenne dietro, seguendo con una leggera ansia quel suo incontrollato scalpitare, che sembrava avergli fatto passare di mente di avere tra le mani uno dei tesori più ambiti e fragili di tutto il cosmo: - Sei riuscito a padroneggiare questa tecnica in appena una settimana – gli rivelò con un sorriso compiaciuto, che stonava col tono serioso assunto.
Goku si raddrizzò sbattendo la testa contro il soffitto ribassato di quella curiosa abitazione: - Sono qui da una settimana?! – esclamò esterrefatto – Non posso più trattenermi, devo andare! – affermò concitato, richiudendo di scatto la scatoletta e precipitandosi alla porta che scardinò quasi con la sua irruenza.
Fuori l’aria era ancora pungente e rugiadosa, il barlume rosato dell’alba iniziava appena a rischiarare il cielo terso, mentre la terra rimaneva avvolta da dense ombre che nascondevano il tortuoso sentiero in discesa verso la costa.
- Frena, ragazzo! – lo ammonì in uno slancio severo il nume, tirandolo per la coda della giacca – Non posso permetterti di andare via senza averti affidato anche questa. Ti presento Kaioken, “Colpo del re dei mondi” – le sue solenni parole si accompagnarono alla comparsa di un lungo fodero di platino riccamente intarsiato da cui sguainò una lama lucente e affilatissima che lo superava in altezza.
Le pupille del giovane ufficiale scintillarono di meraviglia: - Wow! Dove la nascondevate? Io vado matto per le spade! – si entusiasmò come un bambino davanti ad un nuovo giocattolo, chinandosi a raccoglierla e rimirandola con grande emozione.
Re Kaio rimase impressionato dalla naturalezza fuori dal comune con cui il suo novello allievo riuscisse a maneggiare quell'arma per pochi: - Kaioken può essere brandita solo da un puro di cuore e il suo potere si accresce al pari della forza del guerriero che la brandisce.
- Senza offesa, signore, ma se avessi saputo sin da subito che in palio ci sarebbe stato questo gioiello, probabilmente sarei stato ancora più motivato! – si azzardò a rimbrottarlo Goku, continuando a provare varie mosse d’attacco e di autodifesa per prendere confidenza con la portentosa spada.
- Prima di poterla impugnare dovevi imparare a controllare la tua energia spirituale, altrimenti avresti rischiato di mutilarti o di distruggere tutto! E in ogni caso ti consiglio di usarla solo se non hai altra scelta, perché si nutre della tua aura! – puntualizzò a spiegargli pazientemente e austeramente la divinità, dovendolo rincorrere per tutto il prato, mentre quello, falciando erba, tronchi e massi, non cessava di sperimentare ancora l’effettiva potenza della lama che, entrando in sintonia con l’esuberante ki del suo detentore, aveva iniziato a risplendere di riflessi scarlatti.
Il ragazzo infine si fermò, inginocchiandosi e tenendo in equilibrio quel mirabile pezzo di metallo cesellato per il codolo: - Vi perdono. È davvero magnifica – mormorò appurando la perfezione della sua fattura e interrogandosi sulla sua origine, oltre che sulla particolare lega con cui potesse essere stata forgiata, non sembrandogli di riconoscerla tra quelle a lui già note.
Il Dio gli restituì la custodia, distraendolo dai suoi quesiti interiori: - Rammenta, figliolo: i tuoi avversari non sono semplici uomini. E neanche tu lo sei.
Goku rinfoderò la spada ricevuta, agganciandola a fianco di quella vecchia, insieme alla bussola prodigiosa, la sua espressione da spensierata divenne grave, riacquistando tutta la sua inappuntabilità di difensore del bene: - Quei lestofanti non riusciranno a spuntarla. Ce la metterò tutta – giurò intrepido, accomiatandosi con un mezzo inchino in segno di rispetto e cercando di orientarsi per ritrovare la strada del ritorno.
- Un’ultima cosa! – lo richiamò d’improvviso Re Kaio con una certa urgenza, inducendolo ad arrestare i suoi passi. Da dietro le sue lenti scure lo fissò per qualche secondo, assicurandosi che potesse sentirlo bene, poi soffocò la tentazione di lasciarsi scappare un risolino anzitempo e quindi declamò tutto d’un fiato: - Il marinaio spiegò le vele al vento, ma il vento non capì ...
Quella freddura su cui si arrovellava da parecchio, e che a suo giudizio avrebbe dovuto risultare esilarante, non produsse tuttavia l’effetto desiderato nel giovane dalla zazzera bruna, il quale si limitò a mostrargli i denti in un sorrisetto forzato: - Grazie di tutto! – rinnovò gli ossequi, incamminandosi speditamente nel folto della rigogliosa vegetazione tropicale.
Un rapido fruscio quasi impercettibile lo avvertì della presenza di qualcuno che stava spiando dall'alto i suoi movimenti: - Spero che un giorno non troppo lontano avremo occasione di sfidarci ancora – salutò benevolmente anche lui, avendolo identificato come il misterioso spadaccino che lo aveva accolto al suo arrivo sulla sommità di quell’isola fatata.
L’indecifrabile individuo non rispose, avvolgendosi ermeticamente nel suo mantello bianco e spiccando un grande salto con cui scomparve dalla sua visuale.
E Goku, seppur un po’ dispiaciuto dalla mancata replica dello straniero, riprese la sua discesa, imponendosi di non indugiare oltre e di essere più veloce dell’andata.

Re Kaio intanto rassettava la sua umile casetta, messa a soqquadro dalla pur breve permanenza di quell'incredibile saiyan, di cui già cominciava quasi a sentire la mancanza. Si augurò che riuscisse a trionfare davvero e che gli altri uomini saggi che lo avevano indirizzato a lui sapessero prendere le decisioni più giuste per scongiurare l’avvento di un’altra catastrofe bellica, così com'era accaduto qualche decennio addietro.
Un’aura alquanto tetra e ostile catturò la sua attenzione: - Visto, Pikkoro? Anche in quello che all'apparenza sembrerebbe un semplice umano, possono nascondersi eccezionali qualità sopite – sostenne con serafica convinzione.
- Perle ai porci – sbottò con molta meno fede il figlio del Supremo, dileguandosi in un lampo, offeso per essere stato formalmente escluso da quell'imminente battaglia cui si sentiva legittimato a partecipare.

Il sole levatosi dall'orizzonte ormai da un paio d’ore riverberava di mille pagliuzze dorate la superficie piatta del mare.
Una scialuppa con un solo vogatore stava approssimandosi sempre di più alla Castle of Fire, sui cui alberi, da che erano stati mollati gli ormeggi, i marinai facevano ininterrottamente la spola, avvicendandosi alle postazioni di avvistamento.
La più infaticabile delle vedette ripose il cannocchiale con un gridolino di gioia, lanciandosi su una cima e calandosi sul ponte, avviandosi di gran carriera agli alloggi degli ufficiali, impaziente di comunicare loro la tanto attesa notizia: - Il tenente Son è di ritorno!
Capitan Muten ruzzolò dalla branda, compiendo una capriola: - Misericordia, Crilin! Meriteresti una nota disciplinare! – borbottò ancora impastato di sonno, massaggiandosi la testa spelacchiata.
- Sono mortificato, signore – si scusò contrito il ragazzo, arrossendo e cercando di non badare ai mutandoni variopinti indossati dal suo superiore – Mi avevate raccomandato di informarvi seduta stante e così ho fatto.
L’anziano comandante sospirò di fronte a quella sincera difesa, appoggiandosi al bastone con cui gli rifilò un colpetto sulla schiena: - Su, aiutami a vestirmi – lo sollecitò burberamente.
Quando si riaffacciarono sul ponte, il loro valoroso compagno era già salito a bordo ed era stato circondato da mozzi festanti e incuriositi che lo travolgevano di domande.
- Tenente Son, ve la siete presa comoda! – lo richiamò con fare cordialmente autoritario il maggiore in grado, sottraendolo a quella calorosa accoglienza.
- Le mie scuse signore. Quel Dio del Mare del Nord è proprio un tipetto eccentrico, sapete! – abbozzò Goku con una risatina divertita, avvicinandosi poi al vegliardo e mostrandogli l’oggetto della sua missione – Comunque ce l’ho – dichiarò orgoglioso, aprendo la bussola magica tra lo stupore generale dei presenti che assistettero alla materializzazione di quell'intangibile mappa terracquea – Questi puntini luminosi sono i nostri obiettivi: Capitan Vegeta, Capitan Brief e Capitan Freezer. Stanno per raggiungere il Regno dei Diamanti Blu – illustrò lui con semplicità, indicando il quadrante cui si riferiva, accrescendo l’incredulo parlottio della ciurma.
Il Capitano Muten, a causa della sua vastissima conoscenza degli oceani, dei loro misteri e dei fantastici tesori che custodivano, non si mostrò particolarmente impressionato da quel prodigio. Riportò gli occhialetti sul naso, per essere certo di aver visto chiaro e si limitò a proferire in un misto di perentorietà e padronanza: - Dunque è laggiù che sono diretti ... Molto bene! Nostromo: correggete la rotta! Forza, pelandroni! Olio di gomito! Salpate le ancore e fatemi avere tutte le mappe più aggiornate della regione!
Impartiti questi ultimi ordini, si apprestò a prendere posto sul suo scranno situato sulla balconata del cassero, da cui avrebbe assistito a tutte le manovre. Ma, poco prima che potesse raggiungere la sua postazione, venne intercettato da uno dei passeggeri che avevano imbarcato sul loro vascello nella precedente sosta a Yammer e la cui sorte rimaneva ancora appesa ad una risoluzione definitiva.
- Se me lo consentite, vorrei unirmi a voi in questa spedizione – lo implorò umilmente e caparbiamente Yamcha – Posso esservi utile! Sono l’unico qui ad aver conosciuto di persona Capitan Vegeta. Ho trascorso parecchi giorni sul suo galeone, ne ho potuto vedere ogni angolo, studiarne i punti deboli e quelli vincenti – sostenne livido, stringendo i pugni e la mascella, ancora disgustato dal ricordo delle tante angherie cui aveva dovuto sottostare. - E poi voglio salvare Bulma! Non mi perdonerò di averla lasciata alla mercé di quella bestia! – si accalorò, lo sguardo carico di rimorso e rabbia, dimenando le braccia ancora serrate dalle catene.
Il vecchio Muten lo scrutò in un assorto silenzio per qualche secondo, mordicchiando il bocchino della pipa, ponderando tutti i pro e contro insiti nel riporre fiducia in uno scavezzacollo come quello, la cui condotta si era macchiata di crimini che avrebbe dovuto scontare, ma il cui ravvedimento ora sembrava sincero.
Non era uomo da farsi impietosire, né aveva la superbia di ergersi a giudice supremo, soprattutto in tempi come quelli, in cui gli ardimentosi scarseggiavano e a rischiare la pelle erano tutti. Bisognava fare buon viso a cattivo gioco. In lui prevalse perciò la clemenza.
- E sia! Sarai dei nostri, signor Yamko – gli accordò in un corrugato borbottio che bastò a distendergli i lineamenti e fargli comparire l’accenno di un sorriso – Ma vedi di non farmene pentire! O al primo passo falso ti spedirò per sempre in qualche prigione nel recesso più sperduto di tutto il creato! – lo minacciò senza mezzi termini, intimando ad uno dei sottoposti di rimuovergli le manette.
Il pirata con le cicatrici sul volto si massaggiò i polsi segnati e sgranchì le spalle, riassaporando la ritrovata libertà, malgrado si sentisse un po’ un reietto in mezzo a tutti quegli uomini in uniforme che chiacchieravano tra loro mostrando grande affiatamento.
Il suo osservare s’impigliò in particolare su due di loro che, pur non avendo lo stesso numero di mostrine, sembravano essere amici di lunga data.
- Hey Goku, e questa bellezza da dove proviene? – esclamò ammirato il piccoletto dal capo rasato all'indirizzo dello spilungone cui tutti parevano essere molto affezionati e riconoscenti.
Quello sciolse la bandoliera, sguainando una lunga e robusta sciabola: - Oh, lei è Kaioken. Un altro regalo di Re Kaio - rispose con altrettanta adorazione nei riguardi dell’arma in questione.
Dopo qualche minuto, sentendosi scrutati, i due si rivolsero a lui, andandogli incontro con atteggiamento aperto e cordiale, pur se ancora un po’ guardinghi.
- Benvenuto tra noi. Io sono Crilin – si presentò il più basso, porgendogli una mano – Ero certo che Capitan Muten ti avrebbe concesso una seconda possibilità.
- Può sembrare rigido, ma sotto sotto quel vecchio lupo di mare è un bonaccione – attestò con un pizzico d’ironia il tenente pluridecorato, smorzando la voce perché il comandante sopracitato non lo sentisse.
Yamcha si riebbe dal disagio provato sulle prime al loro cospetto: - Grazie – bisbigliò riconoscente, non risparmiando loro un’occhiata ancora lievemente insospettita.
- Allora, hai conosciuto Capitan Vegeta, giusto? Io ho scoperto da poco di appartenere alla sua stessa stirpe. Dimmi, com’è? Ci somigliamo? – lo incalzò Goku, le iridi limpide e palpitanti di una sana e incontenibile curiosità.
Il bucaniere rimase un po’ spiazzato dall'impazienza e dall'eccitazione che trasparivano da quelle domande. C’era una sincera voglia di misurarsi con lui e neanche la minima ombra dell’angoscia che invece ancora attanagliava leggermente le sue viscere quando ripensava che da lì a poco si sarebbero rincontrati: - Non proprio. Lui è un tale pescecane! – si ritrovò ad ammettere con una smorfia, suscitando il riso nervoso e sbigottito degli altri due.
Il nuovo trio, tra una mansione e l’altra, continuò a scambiarsi altre informazioni, aneddoti e opinioni fino all'ora del rancio.

Il Tenente Son Goku rientrò in cabina a pomeriggio inoltrato, congedandosi dalle innumerevoli richieste di racconti rivoltegli dai compagni di viaggio e alle quali si era prodigato a rispondere con la sua solita disponibilità e allegria. Dopotutto non capitava a tutti di poter fare conoscenza addirittura con una divinità ed essere suo ospite e discepolo per un’intera settimana. A ripensarci ancora quasi non ci credeva nemmeno lui.
Aveva fatto così tante scoperte in quegli ultimi giorni, su di sé e sul mondo in cui viveva, era come se non avesse mai saputo niente. Tutto adesso gli appariva diverso, più complicato forse di quanto aveva sempre creduto. Eppure lui non si sentiva molto cambiato. Non aveva mai avuto eccessive pretese o ambizioni spropositate. E appurare che neanche un potente Dio vivesse in un castello sfarzoso, servito e riverito così come aveva immaginato, in qualche modo lo rincuorava sulla bontà dei propri principi.
Di quelle fantomatiche sfere dei desideri a lui non importava affatto, le sue aspirazioni erano sempre state semplici, concrete, raggiungibili, sebbene in lui continuasse ad ardere un istinto selvatico che lo faceva rifuggire dagli agi della normalità e lo spingeva a voler sfidare i propri limiti e intraprendere imprese impossibili.
Sfilò da una tasca interna della giubba un piccolo ciondolo a forma di nuvola, dono di nozze della sua paziente e cocciuta sposa, che vi aveva fatto incastonare un proprio dolcissimo ritratto. I colori dell’immagine erano un po’ rovinati e anche l’argento si era annerito, nonostante fosse abbastanza recente. Colpa dell’acqua di mare che si era infiltrata e altrettanto della sua sbadataggine, che gli aveva anche fatto smarrire la catenina. Guardandola si domandò se lei avrebbe approvato la difficile decisione che aveva dovuto prendere, rischiando nel peggiore dei casi di perderla insieme al figlioletto che non sarebbe mai nato. Aveva preferito la rotta più pericolosa e incerta, invece di virare verso casa, ben sapendo che quegli spregiudicati predoni prima o poi sarebbero arrivati anche lì e forse qualcuno di loro poteva già essersi messo in viaggio in quella direzione.
Il turbinare dei suoi pensieri, mai tanto tormentati come in quel momento, fu interrotto dall'arrivo dell’Ammiraglio Giuma, il cui aspetto era ugualmente pensoso e preoccupato mentre si accomodava al grande tavolo ricoperto di carte, volumi e strumenti nautici.
Non era mai stato capace di grandi discorsi, ma si sentì in obbligo di chiarire le sue intenzioni e illustrare le sue ragioni: - Signore, desidero sappiate che se ho preso questa decisione, non è perché voglio inseguire la gloria. Ritengo che finché non avremmo assicurato quei fuorilegge alla giustizia, nessuno nei Sette Regni sarà al sicuro.
Il suocero rialzò il mento barbuto, usando un tono comprensivo e gioviale: - Non mi sarei aspettato niente di meno da te. Comunque ho già mandato una delle nostre navi in ricognizione nelle acque di casa nostra. Chichi è al sicuro.


Nell'emisfero opposto il buio era sceso col suo manto trapunto di miliardi di stelle che sembravano brillare di un bagliore ancora più intenso, giacché la luna era in fase calante.
Il profumo penetrante dello iodio e dei fiori notturni impregnava il venticello tiepido che s’infiltrava tra le pieghe della leggera veste da camera in cui era avvolta mentre, affacciata al balconcino, vagava con lo sguardo tra i vicoli rischiarati dalle fiammelle delle torce appese sulle facciate degli altri edifici o portate da qualche viandante, per poi spingersi oltre, perdendosi tra i riflessi argentei delle onde che s’infrangevano sui frangiflutti del molo in lontananza.
Era un paesaggio che conosceva a memoria e che non si stancava mai di contemplare. Tante volte le era stato di conforto, anche quando il cuore vacillava di fronte a quelle lunghe assenze colme di malinconia, angoscia e solitudine, ma adesso, c’era qualcos'altro che la opprimeva, una sorta di oscuro presentimento, un malessere che non la abbandonava, neanche lasciandosi cullare da quei profumi e da quei suoni così familiari.
All'alzarsi dello zefiro, Chichi si risolse a rientrare, serrando con cura le imposte perché non sbattessero o si riaprissero, quindi indugiò ancora per qualche istante a controllare che tutto in quella stanzetta fosse in ordine, stirando una grinza invisibile sulla coperta della culla che tra qualche settimana avrebbe accolto il suo bambino.
Si faceva sentire sempre di più, scalciando con una certa frequenza, irrequieto come il padre. Avvinta da un moto di tenerezza, si accarezzò la pancia arrotondata, con l’intenzione di rimettersi a letto e cercare di vincere quella fastidiosa insonnia.
Era appena arrivata a metà del corridoio quando d’un tratto avvertì un fracasso di vetri rotti, subito seguito da un attutito tramestio e da un rantolo strozzato. Col fiato sospeso, si protese a sbirciare, facendosi aiutare dal lanternino, notando delle ombre che si muovevano e cozzavano fra loro con veemenza. Ci fu un sibilo secco, un tonfo sordo e poi si vide rotolare tra le ciabattine quella che con orrore identificò come una testa mozzata. Soffocando un grido atterrito, si precipitò sulle scale ma, anziché uscire in strada a chiedere aiuto, si affrettò a recuperare il moschetto che teneva dentro una teca appesa sopra il caminetto, imbracciandolo, decisa a mettere in fuga chiunque avesse turbato la sua già precaria quiete con quella visita non gradita.
Ritornata in cima alle scale, sentì ancora del trambusto e un accanito sferragliamento. Facendosi coraggio, arrivò sulla soglia della cameretta e lì s’imbatté in un individuo alto e imponente, la testa fasciata da un turbante e un’ampia cappa bianca che dalle larghe spalle gli scendeva fin quasi ai piedi, uno dei quali era schiacciato sopra il torace di un uomo agonizzante, che non lesinò di infilzare un paio di volte.
Lo spadaccino misterioso si accorse all'istante della sua presenza, girando su se stesso e schermandosi con una lunga scimitarra grondante il sangue degli altri due intrusi che aveva appena trucidato.
Lei però s’impose di non farsi intimidire: - Chi siete? Come osate introdurvi a casa mia? – lo minacciò puntandogli contro la canna del fucile, facendone scattare la sicura.
L’estraneo abbassò leggermente la lama, gli occhi scuri erano fessure intinte di freddezza e reticenza: - Tu sei la moglie di Son Goku? 
- Lo conoscete? – gli chiese in un ansito di rimando, stringendo più forte l’imbracciatura dell’arma che sapeva usare con una certa abilità sin da ragazzina. Non stentava a credere che quello scapestrato di suo marito durante il suo viaggiare potesse intrattenere discutibili frequentazioni, ma quel brutto ceffo era davvero troppo inquietante, c’era qualcosa di sfuggente, di non umano in lui.
- Ci siamo scontrati pochi giorni fa … - fu la laconica risposta dello sconosciuto, mentre riponeva la spada e si alzava il collare del mantello sul naso, rendendosi imperscrutabile.
Chichi avanzò, scansando schifata i cadaveri crivellati che imbrattavano le assi del pavimento: - Come sta? Sono quasi tre mesi che non ho più notizie di quello zuccone!
I denti di Pikkoro stridettero incrociando il suo sguardo lucido. C’erano rabbia e apprensione nel timbro della sua voce. Quella donna era diretta e impavida e, a giudicare dal ventre accentuato che sbucava dalla vestaglia, prossima al parto. Fu involontariamente investito dalla considerazione che quel saiyan fosse un villano e un irresponsabile, ma il motivo per cui era giunto fino a lì non aveva a che vedere con la sua futura prole.
Ignorando la sua legittima domanda e la buona creanza, proseguì a rovistare tra bauli e cassettiere, rovesciando poi bruscamente il lettino: - Sono solo venuto a prendere questo – tagliò corto, afferrando un piccolo forziere che tentò subito di scassinare con un pugnale.
La giovane padrona di casa rimase a bocca aperta, attonita:- Che cos’è?
Il figlio del Supremo le fece cenno di tacere, tornando ad affacciarsi sul balcone, presentendo l’arrivo di altri aggressori: - Nasconditi – le intimò senza tante spiegazioni, affidandole lo scrigno e rimettendo mano all'elsa.
Uno scomposto vociare precedette l’irruzione di un secondo gruppetto di invasori che, inerpicandosi sui muri esterni della villetta per mezzo di rampini, si fiondarono all'interno attraverso le finestre delle stanze adiacenti che cominciarono a frugare e devastare.
Chichi sparò qualche colpo alla cieca, provocando più fragore che altro, al che il guerriero senza nome le si parò davanti, spingendola di lato e lanciandosi con foga contro i malintenzionati.
Lei, presa da un crampo improvviso, obbedì a quella scortese richiesta di farsi da parte, correndo a ripararsi dietro una porta da cui poté continuare a spiare le mosse di quello schivo, spietato e implacabile assassino. Nonostante l’impaccio del mantello, era rapidissimo nel distribuire stoccate e fendenti letali e in pochi minuti riuscì a neutralizzare tutti gli altri aggressori, accatastandoli uno sull'altro come fossero tonni appena pescati.
Quando per finire lanciò anche una gragnola di proiettili non meglio identificati, decise però di riuscire allo scoperto: - Basta! Non vi permetterò di insozzare la mia rispettabile dimora con altri luridi cadaveri! – gli urlò contro adirata e intimorita dalla furia che aveva scatenato, distruggendo anche buona parte del mobilio e dei muri.
Con un lieve ringhio di disappunto, Pikkoro si riappropriò del bauletto bronzeo che lei ancora reggeva: - Una volta portato via questo, nessuno verrà più a disturbarti – volle tentare a modo suo di tranquillizzarla, chinandosi e riprovando a forzarne l’apertura, o per meglio dire ad individuarla, non essendo così semplice come aveva creduto.
Quella donna, inoltre, non desisteva dal continuare a interrogarlo: - Che cosa c’è lì dentro? – si interessò sospettosa, facendogli luce con una lanterna.
- Sfere del Drago – gli sfuggì di rivelarle in un torvo bisbiglio, sperando inutilmente di scrollarsela. Sapeva che in quell'epoca non erano molte le persone a conoscere quella leggenda, tantomeno a crederci. Molti, per un connaturato istinto di conservazione, non volevano neppure sentirne parlare, perché si sapeva che il loro immenso potere, così conteso, fosse spesso fonte di sciagure per chi ne entrava in possesso.
Nella mente di Chichi però non c’era spazio in quel momento per tali riflessioni cupe e arzigogolate; a pungolarle il petto era piuttosto una spiacevole sensazione d’inganno e tradimento: - Come diamine se l’è procurate – chiese più a se stessa che all'ambiguo individuo di cui non conosceva ancora l’identità, piegandosi sulle ginocchia.
Quello, d’altra parte, sconoscendo i sentimenti della giovane donna, non si astenne dallo spifferarle la cruda verità: - Sono state rubate da una certa Bulma Brief – gracidò, accompagnando quella frase ad un’imprecazione nella sua lingua rivolta all'inventrice di quella diabolica cassaforte in miniatura.
- Cosa? Vorreste dire che mio marito è in combutta con quell'ignobile pirata?! – strepitò sconvolta la mora – Questo significa che è un traditore e un cospiratore! – si scandalizzò, agitando i pugni e colpendo involontariamente con un calcio la lampada, loro unica fonte luminosa in quella notte fosca.
Pikkoro inghiottì un’altra bestemmia, meditando di tornare di gran volata al Palazzo del Supremo, dove avrebbe potuto studiare meglio e con più calma il procedimento da usare per aprire quello scrigno apparentemente inespugnabile senza danneggiarne il preziosissimo contenuto, ma poi le sue orecchie si drizzarono da sotto il turbante, captando l’incombere di un nuovo pericolo.
Dei boati sinistri percorsero l’etere, ripetendosi a intervalli cadenzati e con un rimbombo crescente. Tutta la baia vibrò come scossa da un violento maremoto, uno stridente fischio parve trapassare lo spazio, schiantandosi verso di loro.
- Giù! – urlò d’impulso il combattente, afferrando la giovane e stendendosi sul pavimento, facendole scudo sotto di sé grazie al suo indistruttibile tabarro.
Delle palle di cannone si abbatterono in un frastuono assordante sul tetto dell’abitazione, scoperchiandola. Tegole e calcinacci crollarono tutt'attorno in una scrosciante tempesta di pietre e polvere e lo spostamento d’aria li sbalzò contro la parete opposta, insieme a schegge di mobili.
Allo stillicidio dei detriti subentrò un silenzio teso e innaturale, interrotto dai flebili singhiozzi della donna, che protestò per divincolarsi dalla prigionia delle sue nerborute braccia aliene, gemendo e tossendo.
Lui si rialzò e si ricompose, lievemente imbarazzato da quello slancio d’altruismo che non gli apparteneva, non riuscendo tuttavia a fare a meno di continuare a fissarla mentre si premeva il grembo custode di una nuova vita, con un cipiglio spaurito e scorato a distorcerle i delicati tratti del pallido viso.
- Non vi date pensiero. È ancora presto – mormorò Chichi con durezza sentendosi scrutare, fugando gli eventuali dubbi di quel sinistro forestiero che, seppure avesse fatto ricorso ad un approccio sconveniente, l’aveva strappata già per la seconda volta da morte certa. Nonostante ciò, il suo aspetto non le ispirava particolare fiducia né sapeva ancora come poterlo considerare, se un sicario senza scrupoli inviato da chissà chi per trafugare quel bottino di cui aveva appena appreso l’esistenza, oppure un disinteressato protettore dei più deboli che agiva sospinto da nobili ideali.
In quel momento sapeva solo di aver visto sbriciolarsi in un batter d’occhio il frutto di tanti anni di risparmi, fatiche e dedizione, e di non avere più un riparo in cui poter vivere e far crescere la famiglia che sognava di costruire con l’uomo di saldi e onesti principi che adesso temeva di non aver mai conosciuto per davvero.
Un pesante tanfo di zolfo e piombo appestava ancora l’atmosfera, l’eco di altre esplosioni si riverberava in ogni vicolo. A Pikkoro fu sufficiente una fugace occhiata data attraverso una delle aperture createsi con quella cannonata per intuire che la città era stata messa a ferro e fuoco da una ciurmaglia sbarcata con lo scopo di saccheggiare le Sfere del Drago. Dovevano essere gli scagnozzi di Freezer che, a quanto aveva udito, era anche lui sulle tracce di quel tesoro e disponeva di una sua piccola flotta.
- Servirebbero dei cannoni per annientare quei maledetti topi di fogna – osservò truce, stringendo a sé il forziere e aguzzando gli occhi dotati della sovrumana capacità di sondare anche nel buio i dettagli più piccoli e lontani.
Chichi lo spalleggiò: - Venite con me. Vi accompagnerò al forte – stabilì con rinnovata intraprendenza, precedendolo sulle scale pericolanti fino a raggiungere il pianterreno.
I cardini della porta cigolarono e non appena provò a spingerla cedette.
All'interno della sua cornice si stagliò la sagoma di un energumeno con una cresta di capelli rossicci e un ghigno freddo e indecifrabile.
- Dannato Goku! Se tornerà vivo, giuro che lo ucciderò con le mie mani! – si ripromise imbizzarrita la donna, prima di essere caricata rozzamente sulle sue spalle.

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Capitolo 30
*** XXX: Caught in the trap ***


Salve a tutti ^_^
Eccomi, come promesso, con un nuovo capitolo di questa lunga avventura!
Prima di cominciare a scrivere, questo capitolo avrebbe dovuto includere la tanto attesa "svolta" che chi ha seguito questa storia sta aspettando da parecchio tempo! :D
Ma, volendo concentrarmi sull'azione, mi sono resa conto che stavo sforando la lunghezza prefissata e così vi toccherà attendere ancora un pochino :)
Intanto spero che la chiusura che ho scelto vi lasci un po' sulle spine!XD

Ringrazio come sempre quanti leggono, seguono e lasciano like, chi si affaccia a sbirciare e chi ha avuto o avrà il coraggio di imbarcarsi nella lettura. La vostra presenza, anche silenziosa, mi stimola a continuare ^.^
Al prossimo approdo!)


XXX: CAUGHT IN THE TRAP

Una miriade di isolotti puntellavano le calde acque cristalline dei mari orientali, come meteoriti cadute dal cielo in un’epoca arcaica, senza alcun ordine né scopo. In maggioranza si trattava di ammassi rocciosi o sabbiosi, inospitali per la sterilità e la scarsa estensione del suolo, che erano perciò rimasti inabitati, non fornendo alcun appoggio o risorsa di rilievo per l’impiantarsi di una civiltà stabile.
Al contrario, il Regno dei Diamanti Blu, benedetto dalla ricchezza di minerali e terreni fertili, si diceva avesse una popolazione in grado di competere con quella di un pullulante formicaio, sebbene, col passare dei decenni e l’impoverirsi dei giacimenti e degli scambi commerciali, molti abitanti avessero abbandonato quella località così piccola e remota.
Una fitta foschia aleggiava tra i massicci faraglioni che, al pari di insormontabili guardiani di pietra, proteggevano i confini di quel recondito reame sorto su di un arcipelago separato dal resto del mondo frequentato e conosciuto. Le rocce calcaree, che sotto i raggi del sole spandevano riflessi quasi accecanti, erano intarsiate da una capillare venatura di scisto blu che conferiva a quelle scogliere il sembiante di una corona di diamanti purissimi, rendendo facilmente comprensibile le origini di quel nome.
Sembrava quasi un luogo irreale, fluttuante tra cielo e mare.
La sua fulminea comparsa, avvenuta dopo una serie di giorni trascorsi a contemplare quella desolante vastità salata, ridestò e sbalordì gli animi assopiti dei pirati, causando scompiglio ed euforia.
Capitan Vegeta era stato piuttosto restio a dar credito ai testimoni che avevano potuto interpellare durante il loro approssimarsi alla meta. Ben sapeva che i racconti che viaggiavano di bocca in bocca erano spesso tendenziosi, filtrati dalla rielaborazione personale di ciascun narratore, e, nel caso provenissero da avventori di taverna, erano quasi sempre annaffiati anche da una buona quantità d’alcol o storpiati dalla diffusa tendenza dei marinai all’esagerazione e a manie di protagonismo. Ciò nonostante era consapevole che anche il minimo errore di valutazione avrebbe potuto irrimediabilmente compromettere i suoi scrupolosi piani.
La Bloody Wench avanzava come uno squalo a caccia tra quella corolla di scogli adamantini, accerchiati da una cortina di nebbia che ne confondeva le forme e i contorni.
Per quel motivo, oltre ad aver imbracciato personalmente il timone, aveva predisposto di far misurare con uno scandaglio i fondali che andavano solcando, per evitare il rischio di incappare in qualche secca in cui si sarebbero potuti arenare. Aveva sentito raccontare anche che fosse così che l’autoproclamatosi imperatore di quell’infimo regno si fosse arricchito: depredando i carichi di navi affondate nel tentativo di penetrare in quel gorgo quasi inaccessibile.
Un flebile alito di vento umido e afoso spirava tra quegli stretti, quel tanto da portare le vele a gonfiarsi senza però riuscire a spostare con sufficiente velocità il considerevole peso del pur agile galeone. Perciò era stato necessario supplire con quel nuovo marchingegno rotante, che in quella circostanza si era rivelato di un’utilità davvero indispensabile.
Lo sguardo accigliato di Vegeta ricercò quasi inconsciamente la figura della stravagante femmina di cui forse era diventato, contro ogni previsione, addirittura alleato.
Da che aveva memoria e consapevolezza di sé, era sempre stato abituato a ordinare, non a condividere. Eppure da quando l’aveva conosciuta, con suo gran rammarico e disgusto, stava quasi cominciando a riconsiderare la sua visione cinica, egoista e opportunista.
Al di sotto di un’esotica e spudorata avvenenza, quella creatura serbava una volontà difficile da piegare. Aveva una scorza dura quanto la sua e, seppure donna, era qualcuno con cui poter discutere alla pari.
Dal loro approssimarsi a quei canali perniciosi e atri, però, non aveva più emesso un fiato e, riservandole una lunga e furtiva occhiata di sghembo, gli sembrò insolitamente nervosa. Mentre si spostava da una fiancata all’altra della nave, le suole dei suoi alti stivali di cuoio sfioravano appena le assi del ponte, quasi volesse produrre il minimo udibile scalpiccio, e non aveva smesso per un istante di controllare col suo binocolo ogni anfratto riconoscibile nelle pareti irregolari di quella falesia. Non capiva cosa mai potesse spaventarla tanto, incosciente e incauta come si era dimostrata di essere, ma neanche lo allettava darle adito di imbastire una discussione infinita, se solo avesse azzardato a domandarglielo.
Avvertiva anche lui che qualcosa o qualcuno li stesse spiando, tuttavia era più impensierito dall’atteggiamento di sfida assunto da qualche giorno da Nappa e Radish. Li aveva sorpresi di tanto in tanto a confabulare tra loro e a lanciargli sogghigni ambigui, al punto che aveva cominciato a ipotizzare che quegli ingrati stessero complottando per spodestarlo.
Il turbinare dei suoi frustranti grattacapi interiori fu spezzato dal richiamo esagitato di un marinaio che, ritirata la sagola graduata, comunicò loro la nuova misurazione della ridotta profondità toccata in quel momento.
- Continuando ad addentrarci in questa fottuta gola, rischieremo di rimanere incagliati! – sputacchiò aspramente il quartiermastro, attirandosi il suo sguardo incollerito.
Stava perdendo il suo ascendente su di loro, proprio ora che erano così vicini a conquistare l’ultimo pezzo del tesoro, sebbene, per vincere del tutto, presto avrebbe dovuto fare i conti anche con Freezer. Vegeta serrò rabbiosamente le dita sulle maniglie del timone, ma preferì non rispondere a quella futile provocazione, imponendosi di mantenere i nervi saldi e la mente lucida.
Pochi minuti più tardi, calato nuovamente il piombo a fondo, lo scandaglio questa volta raggiunse una profondità maggiore, rassicurando blandamente la ciurma, poiché la chiglia continuava ad urtare ripetutamente contro ostacoli sottomarini, e quello scricchiolare stava diventando un suono sinistro e foriero di cattive previsioni.
Sviata da una nuova incalzante preoccupazione, Bulma riappese al collo lo strumento ottico, col quale non era riuscita ad individuare nulla di particolarmente significativo o allarmante. Si adagiò sulla convinzione che quei temuti quanto misteriosi esseri, presumibilmente volanti, citati nell’enigma decifrato nelle Carte del Supremo, potessero essere semplicemente dei rapaci, oppure pipistrelli pescatori, animali innocui che vivevano in luoghi lagunari e che nel peggiore dei casi si cibavano di pesci o granchi.
Ciò che invece la assillava era una sensazione da cui raramente la sua inguaribile testardaggine si permetteva di essere soggiogata. Cominciava a dubitare di aver sbagliato qualcosa. Più precisamente di aver sbagliato ad interpretare alcune parole di quel fuorviante indovinello.
- E se “tramonto” non si riferisse ad un momento del giorno, quanto piuttosto ad un punto cardinale? – tartagliò con una vocina appena udibile, ben diversa dal suo solito tono deciso e squillante.
Il Capitano la fissò, più interdetto che irritato, e a lei parve di riuscire a sentire i muti interrogativi che lo stavano rimescolando, nel riesaminare le sue smozzicate parole.
Radish le si addossò, aggredendola verbalmente: - Cosa vorresti dire? Che saremmo dovuti entrare dal lato opposto?
- Ci avete condannato! – gli fece eco un altrettanto polemico Nappa, non esimendosi di rivolgere quell’accusa parimenti al Capitano, il quale restava trincerato nella sua inquietante e impassibile fissità, che tuttavia poteva celare un subitaneo rovesciamento della situazione.
Bulma aveva stretto le palpebre e si era parata le braccia davanti, temendo l’inizio di una feroce zuffa tra quei bricconi, in cui inevitabilmente sarebbe rimasta coinvolta anche lei.
Capitan Vegeta impugnò contemporaneamente sciabola e pistola: - Menagrami che non siete altro! Tappatevi quelle cloache e cercate di restare concentrati – linciò con intransigenza i sottoposti, per poi aggiungere in un sussurro sibillino, guardandosi torvamente attorno – Ci osservano.
Senza abbassare le armi affilate e scintillanti si spostò al centro della tolda, mentre un palpito di agitazione percorreva i tendini degli altri bucanieri, che ammutolirono scrutando anche loro quelle cavità ramificate nei costoni pietrosi, che ora, essendo avvolte da ombre vaghe, parevano grotte senza fondo da cui avrebbero potuto traboccare ineluttabilmente tutti i demoni confinati nell’inferno.
Ugualmente scossa dall’inafferrabile sensazione di una minaccia imminente, la Brief si sentì come calamitata dalla necessità di rifugiarsi dietro le spalle nerborute del suo collega, ma non arrivò a compiere che un paio di passi nella sua direzione, prima che il serpeggiare di quel silenzio denso e pesante venisse squarciato dalla deflagrazione a salve di un cannone, il cui rombo echeggiò tetro tra i versanti di quella muraglia rocciosa.
Tutti gli occhi si appiccarono, accusatori e furenti, su di lei che era appena passata accanto a quell’obice: - Non è possibile che il colpo sia partito da solo! Io non ho toccato niente! – si discolpò con fervore, sventolando le mani libere, a riprova della sua innocenza – Ho finito di collaudare e revisionare ogni singolo falconetto e archibugio, proprio ieri! – puntualizzò a scanso di equivoci, cercando l’appoggio del Capitano per avvalorare quell’asserzione e respingere le nascenti calunnie nei suoi riguardi.
Qualsiasi discussione morì sul nascere.
Un frusciante frinire, simile a un rapido batter d’ali, si abbatté fugace sulle loro teste e l’urlo straziato della vedetta lacerò l’aria, diventando sempre più distante e strozzato.
Nessuno riuscì a cogliere cosa fosse accaduto di preciso, ognuno si affidò ai propri sensi e riflessi, oltre che alle proprie armi, poco prima che scoppiasse il pandemonio.
Come uno sciame impazzito disturbato dall’intromissione di un predatore, un’orda di grossi volatili dalla pelliccia fulva e il muso zannuto si riversò fuori dagli antri occultati tra le pareti cavernose, sfrecciando freneticamente attorno alla Bloody Wench e prendendola in ostaggio insieme a tutti coloro che vi si trovavano a bordo.
- Ecco, lo sapevo! È l’alato flagello! – strillò istericamente Bulma, correndo a nascondersi sotto le scalette del cassero, impallidita e terrorizzata. Da lì continuò a sbirciare quelle mostruose bestie volanti, che di certo non erano ancora state inserite in alcun compendio di zoologia. Sembravano un orripilante incrocio tra vampiri troppo cresciuti e scimmie carnivore, con enormi ali, iridi rotonde e vermiglie e denti tremendamente aguzzi.
Ed erano maledettamente affamati.
Lanciando versi striduli e acuti che ferivano i timpani e stordivano le percezioni, cominciarono a gettarsi in picchiata sugli uomini, cercando di ghermirli tra i robusti artigli o direttamente nelle fauci, venendo respinti alla meno peggio con colpi di lama e di schioppo, ma lo scontro era impari e  l’orrido stormo, anziché disperdersi, divenne sempre più numeroso e compatto.
- Siamo spacciati! – sentenziarono alcuni, chi tuffandosi in acqua e chi rifugiandosi sottocoperta, mentre il panico si diffondeva a macchia d’olio.
Capitan Vegeta, appollaiato su di una sartia, la sciabola già imbrattata e la pistola fumante, inveì severamente contro i suoi sfiduciati compagni: - Branco di molluschi! Piantatela di crogiolarvi nella commiserazione! Datevi da fare, se non volete trasformarvi in esche vive! – criticò il loro intollerabile disfattismo – Ai posti di combattimento! Preparate le bombe incendiarie! – si spolmonò per essere udito al di sopra di tutto quel putiferio, esplodendo poi un proiettile per difendersi dal rapido attacco di una di quelle bestie che gli era piombata addosso, quasi silenziosa nel clamore predominante.
In un vortice di urla e garriti, polvere e sangue, Nappa, Radish e un altro gruppetto di intrepidi si affrettarono a raggiungere i mortai, caricandoli, così come aveva impartito il Capitano, con palle di ferro riempite con una miscela di carbone, salnitro e solfuro, tentando di abbattere quanti più volatili possibili, ma, superato lo spavento, essi affinavano la tecnica di assalto, riuscendo a schivare velocemente quelle lente raffiche e a trovare delle brecce per avventarsi su quelle che per loro erano diventate succulente prede.
Bulma, che aveva continuato a guardare dal suo nascondiglio improvvisato quei combattimenti indiavolati, si accorse allora di una situazione sconcertante: in quel parapiglia tutti si erano mobilitati a combattere per salvarsi la pelle e il timone era rimasto privo di nocchiere. Il veliero stava procedendo per inerzia, e nonostante l’alleggerimento cui era stata sottoposta la stiva, aveva ripreso a raschiare su quel fondale insidioso, sbandando contro le sponde frastagliate delle falesie.
Uno stridente concerto di pallottole e lame imperversava senza tregua, pezzi di corpi maciullati si infrangevano sul ponte, che stava diventando viscido e carminio.
La turchina consultò freneticamente le Carte, alla disperata ricerca di qualche altro indizio sul come poter contrastare le bestiali sentinelle che stavano impedendo loro di proseguire indenni. Lesse e rilesse ogni scrittura indicata dalla lancetta della bussola, appurando che disgraziatamente non era comparsa null’altra indicazione da che si erano inoltrati lì.
Anche se l’istinto di conservazione le suggeriva di rimanere al sicuro, la sua coscienza le imponeva di dare il suo contributo, perciò racimolò quella stessa irragionevolezza che l’aveva condotta ad imbarcarsi su quel vascello, e procedette zigzagando a saltelli fino ad afferrare la ruota timoniera, pregando di non attirare l’attenzione di quelle voraci creature.
- Controbracciare e appoggiare la barra tutta! – ordinò proprio in quell’istante Capitan Vegeta, spostandosi in volo da una cima all’altra per cercare di seminare gli aggressivi volatili che lo braccavano, colpendoli con le granate di cui si era guarnita la fusciacca.
- Sì, Capitano!
Si sentì rispondere prontamente dall’inconfondibile ugola della piratessa, che solo allora notò essersi appropriata del comando della sua nave, incurante delle conseguenze nell’essersi così esposta al pericolo.
Avrebbe voluto urlarle qualcosa di stupido e potenzialmente compromettente come “Mettetevi al riparo, mi servite tutta intera!”, ma si trattenne, dovendo prendere la mira per tirare una pugnalata proprio a uno di quei mostri volanti che minacciava di acciuffarlo.
La Bloody Wench intanto virò in prua, portandosi a prendere il vento necessario a circumnavigare un faraglione solitario, contro cui alcuni di quei flagelli alati, sospinti dalla forsennata foga di inseguirli, andarono invece a sfracellarsi. 
Con quella collisione a Vegeta sfuggì l’appiglio, finendo per cozzare violentemente sulla plancia. Ricadde sull’addome, urtando anche i gomiti e le ginocchia, i polmoni faticarono ad espandersi per incamerare ossigeno, traumatizzati dal forte impatto e intossicati dalla polvere pirica, così che la sua vista si appannò per qualche secondo, finché non distinse una figura minuta corrergli incontro, chinandosi su di lui, stravolta e affannata: - Cercate di non farvi ammazzare, mi servite tutto intero! – lo rimbrottò sfiorandogli l’orecchio, sardonica ma intimamente preoccupata, mettendogli un esile braccio sotto il petto per aiutarlo a rigirarsi sulla schiena e a rialzarsi.
Un assordante strillo in rapido avvicinamento lo fece rinvenire del tutto. La mano destra si allungò di scatto a impugnare lo spadino che pendeva sul fianco della donna, scrollandola da sé con una spallata, poi, con un formidabile colpo di reni, saltò in piedi, si scagliò sul feroce demone alato e gli tagliò di netto la gola, facendone schizzare fuori un fluido viscoso e violaceo.
Dopo l’uccisione di quell’enorme esemplare, che forse era una sorta di capobranco, il nugolo infernale si elevò vorticando e per alcuni minuti parve allontanarsi da loro, ma l’atmosfera continuava ad essere pervasa dalle vibrazioni prodotte dai loro striduli richiami e dal brusio incessante delle loro grandi ali.
- Quei dannatissimi ahool1 non sono ancora sazi. Si preparano a sferrare l’attacco finale – ruggì lapidario Vegeta, sputacchiando e strigliandosi i vestiti impiastricciati, esternando il timore degli uomini che, feriti e allo stremo, attendevano di scoprire la sua prossima mossa, malgrado perseverare in quell’intento sembrasse ormai più che altro un suicidio, deliberato e dissennato.
- Capsule esplosive, bolle incendiarie e stelle volanti sono più adatte a scontri ravvicinati – parlò con moderata sollecitudine Bulma, riferendosi alle speciali armi che si era portata dietro dal suo brigantino, proprio in previsione di un loro provvidenziale futuro utilizzo in circostanze simili.
Le dita del bucaniere tamburellarono per qualche secondo sui bicipiti che aveva incrociato al petto, rimanendo assorto a studiare una qualche strategia da mettere in atto per uscire da quella sgradevole impasse che già gli stava facendo perdere tempo prezioso.
Finora soltanto la metà di quei mostri era stata neutralizzata e il terribile attacco aereo non accennava a scemare con metodi tradizionali.
Si avvide che la piratessa teneva ancora con sé le Carte e, folgorato da una repentina intuizione, gliele strappò dalle mani, scorrendo gli occhi sulla riga che gli interessava rileggere: - Non c’è bisogno di niente di tutto ciò – confutò con un sorriso scaltro, picchiettandovi l’indice affinché anche lei potesse comprendere quale locuzione sbrogliasse tutta quella matassa di congetture su cui si erano lambiccati per giorni.
- Ma certo! “A ritroso2! – intuì difatti istantaneamente la Brief, carezzandolo con uno sguardo ammirato e raggiante.
Gli altri rimasero perplessi, in attesa di delucidazioni, pur non osando intromettersi a spezzare la gomena invisibile che sembrava essersi intrecciata tra i due capitani, accomunati da un’identica propensione a sfidare la sorte con la loro scaltrezza e audacia.
Al riecheggiare di acuti stridii e alla ricomparsa di sagome scure tra le nuvole, Capitan Vegeta capì che doveva ragionare e agire in fretta. Restituì burberamente le carte alla collega, aizzando i suoi: - Sistemate tutte le catapulte con le reti a poppa e a prua! Faremo cadere in trappola quel che resta di quei dannati obbrobri e così li stermineremo una volta per tutte!
- Ben detto! Voi badate all’artiglieria. Qui ci penso io! – approvò di rimando Bulma, la chioma azzurra che svolazzava libera e ribelle mentre si apprestava a manovrare con ostentata sicurezza di sé la ruota timoniera.
Il suo ardire e la sua bellezza folgorante lo contrariarono in maniera prepotente e viscerale: - Non esiste! Ve lo proibisco! – si oppose categorico, catapultandosi ad agguantare le maniglie; era un insulto che il suo galeone potesse essere governato da una donna.
Quella sbatté le ciglia, provocante e civettuola: - Orsù, non preoccupatevi per me. Me la cavo egregiamente, a differenza dei vostri scagnozzi – lo bacchettò sfrontata, ammiccando al pandemonio che stava scatenandosi tutto attorno.
Era una situazione paradossale. Pur trafitto dalla tremenda voglia di mozzarle la lingua con i suoi stessi denti, si limitò a ringhiarle contro e mollò la presa, rigettandosi in quella mischia strepitante per dare manforte e soprattutto un ordine razionale a quelle operazioni tanto precipitose quanto infruttuose.
- Brutti babbei! Non sparpagliatevi e non restate in mezzo! Dobbiamo far sì che finiscano dritti dentro le nasse! – li incitò pressante, recuperando un fucile da un cadavere, e sventando il primo tentativo di incursione da parte di una di quelle bestie, centrandola in volo. Compiendo una rapida gincana, andò ad abbarbicarsi sul bompresso, impartendo agli uomini di concentrarsi alle due estremità opposte della nave, così che anche gli attacchi dei mostri volanti si sarebbero concentrati in due soli punti.
Il flagello alato formò una spirale di morte, roteando e muovendosi come un unico corpo per sfondare con maggiore impeto quella grandinata di proiettili, che erano scagliati ad un ritmo già memorizzato. Bulma, che intanto aveva ottenuto l’appoggio di un paio di marinai per dirigere le vele, seguiva con spasmodica trepidazione le gesta spericolate del suo alleato. In perfetto equilibrio su quell’asta traversa, le pupille in febbrile osservazione dello spazio sopra di sé, teneva il braccio destro sollevato e perpendicolare al corpo, stringendo unicamente la sua sciabola. Non avrebbe saputo dire se il suo fosse coraggio o presunzione, ma di certo quella sua mente furba e strategica l’attizzava dannatamente.
- Catapulte in posizione, signore! – annunciò impaziente Radish.
Il braccio del Capitano si abbassò e, in una sequenza di gesti calibrati e inesorabili, tutti i verricelli furono attivati, sparando nell’aria delle grandi reti metalliche che si avvolsero sulle minacciose creature, tarpandone le ali. L’imboccatura era stata in precedenza opportunamente modificata, così che più prede entravano, più le maglie si restringevano e per loro non c’era più alcuna possibilità di fuga.
I bucanieri esultarono alla riuscita del trabocchetto, mentre Capitan Vegeta non lasciò trapelare alcuna soddisfazione. Quei nemici erano solo denti, muscoli e istinto predatorio, tutto sommato facili da ingannare. Stava per ordinare di innescare i cannoni, quando d’un tratto accadde qualcosa d’inaspettato.
Benché fossero ingabbiati in quelle reti asfissianti, con il loro continuo strepitare e dibattersi, gli ahool riuscirono a deformare le tramature e insistendo a muovere le loro robuste ali divennero come abnormi aquiloni, cominciando a sollevare gradualmente il vascello sul pelo dell’acqua.
Il terrore e lo sconforto attanagliarono anche i cuori più intrepidi.
- Che accidenti state aspettando, fottuti smidollati? Fuoco dannazione! Fuoco a iosa! Bruciateli tutti! – imprecò Capitan Vegeta, saltando giù dal buttafuori e provvedendo lui stesso ad accendere il primo stoppino.
Il colpo andò a segno, brandelli di carne sanguinolenta e bruciacchiata piovvero sul ponte, altre raffiche esplosero, innescando un’autentica carneficina, ma mentre si godeva quel cruento spettacolo delle grinfie bitorzolute lo abbrancarono, trascinandolo via, sempre più in alto.

ahool
1 Questa volta ho voluto attingere ad una delle tante specie di criptidi, ovvero animali di cui si hanno racconti e testimonianze ma la cui reale esistenza non è mai stata provata dalla scienza. Nello specifico gli ahool sono pseudo vampiri giganti che si dice vengano avvistati nella giungla Indonesiana. Ho pensato che Vegeta ne avesse sentito parlare e riconoscendoli e li chiamasse perciò con il loro nome.

2 Il termine ritroso indica la ripiegatura in dentro che vien fatta alla bocca di alcuni arnesi (di rete metallica o di vimini) da pesca e da caccia, in modo che la preda, una volta entrata, non possa più uscire.

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Capitolo 31
*** XXXI: Falling ***


Salve ciurma!
Finalmente oggi sbarco con questo nuovo atteso (?) capitolo che ammetto di aver scritto e riscritto una miriade di volte (anche perché il mio cervello sta portando avanti pure altre ff :S), nonostante sia uno di quelli che avevo già in mente da tantissimo tempo, in quanto contiene due delle scene che avevo abbozzato praticamente quando iniziai a concepire questa storia, ma che si sono rivelate parecchio difficili da mettere su inchiostro elettronico ^^"
Insomma, dopo una trentina di capitoli, ho ritenuto che fosse giunta l'ora di smuovere sul serio le acque tra quei due orgogliosi testoni!
E adesso sono curiosissima di sapere cosa ne pensate, e mi assumo le mie responsabilità per il finale bastardello! XD
Come sempre un grazie di cuore a tutti i lettori silenziosi e coraggiosi che si sono imbarcati in questa follia e mi lasciano tracce del loro passaggio.
Spero di non deludervi e di tornare (più) presto!
Al prossimo approdo!)


XXXI: FALLING

Degli artigli acuminati gli erano affondati poco sopra le clavicole, e il dolore acuto che lo aveva sconquassato nei primi secondi ora si era quasi anestetizzato.
La bandiera gialla con il tridente che sventolava fiera in cima all’albero maestro stava allontanandosi progressivamente dal suo raggio visivo, divenuto sempre più distorto e sfocato.
Aveva continuato a tempestargli forsennatamente di pugni il grugno, riuscendo almeno a non farsi azzannare, ma la sua forza poderosa era di gran lunga inferiore alla tempra di quella mascella nata per uccidere, ed essere sbatacchiato per aria a diversi piedi di altezza non rendeva quella strenua lotta così scontata.
L’incessante sbattere di quelle grandi ali, unito a quegli strilli disumani, gli stava assordando i timpani, quell’alito rancido che sapeva di putrefazione gli ammorbava il respiro. Quando i canini affilati dell’ahool si serrarono ferocemente sulla sua spalla sinistra, in Vegeta s’insinuò l’amara consapevolezza che non avrebbe avuto più molte altre possibilità di sopravvivere: avrebbe dovuto cavarsela da solo e soprattutto in fretta, prima di diventare un gustoso spuntino per quella sottospecie di gigantesco pipistrello carnivoro.
Si ricordò allora di avere dei pugnali occultati negli stivali, solo che ad ogni tentativo di strattonarsi, le lunghe unghie della bestia gli si conficcavano ancora di più in profondità nella carne, impedendogli di muoversi senza procurarsi degli strappi che lo facevano vedere rosso e poi nero per il bruciore.
Non riusciva più a distinguere cosa ci fosse sotto di sé, ma avrebbe preferito spappolarsi sulle rupi piuttosto che farsi spolpare da quell’abominio volante.
Concentrando tutto il suo rimanente nerbo per respingere con la pressione di una mano quel muso zannuto che puntava sempre più alla sua carotide, gemendo e digrignando i denti, riuscì ad avvicinare un ginocchio al petto, recuperando quel cruciale pezzo di metallo e cominciando a colpire alla cieca qualunque punto vulnerabile avesse a portata di lama.


- Razza di felloni! Non avete un briciolo di onore né di lealtà per il vostro Capitano! Volete abbandonarlo così al suo destino? – contestò una più che inorridita Bulma Brief, caricando quell’accusa di scoramento e dispetto, cercando di scuotere gli spiriti vili e assopiti dei compagni di viaggio.
Sulla tolda della Bloody Wench combattimenti e cannonate erano cessati, e gli acciaccati sopravvissuti alla sanguinosa battaglia erano rimasti tutti con il fiato sospeso, il naso all’insù e le mani in mano, dopo che anche Capitan Vegeta era stato catturato di soppiatto da uno di quei terrificanti demoni alati. Il veliero navigava a vista e la sirenetta stava barcamenandosi con gran difficoltà nel tenere a bada quella banda di malfidenti masnadieri per cercare di rincorrerlo e possibilmente salvarlo, sebbene in pochi sembrassero essere sgomenti per l’ignota sorte che gli era toccata, ed essendo ormai scomparso da diversi minuti tra le vette brumose delle falesie, molti lo avevano già dato per disperso o peggio, trapassato.
Lei, però, continuando a osservare ansiosamente quel cielo lattiginoso, si rifiutava nella maniera più assoluta di prendere in considerazione quella scoraggiante eventualità. Quell’uomo era un concentrato di energia dirompente e distruttiva, di coraggio e razionalità, istinto e intelligenza. Gli aveva visto compiere in prima persona una sfilza di azioni fuori dall’ordinario, non poteva credere che avesse fatto una fine tanto amara e infamante. E che ci fosse già qualcuno che scalpitava dalla smania di sostituirlo.
Radish e Nappa la schiaffeggiarono con un’occhiata colma di avversione. Aveva capito di esserseli inimicati e, anche se non ne aveva le prove, era trafitta dal sospetto che quello strano incidente del cannone che era stato all’origine dello scatenarsi di quella calamità, potesse essere stato ordito proprio da uno di loro per screditarla.
Benché disperasse di poter sopravvivere ancora a lungo tutta sola in mezzo a quei bricconi, meschini e attaccabrighe, era ancora lei a reggere il timone e non intendeva lasciarsi calpestare dai loro ottusi pregiudizi. In assenza di una figura autorevole e intimidatoria, la situazione sarebbe degenerata inevitabilmente nella più completa anarchia e tutto ciò che aveva conquistato sarebbe andato perduto.
Spettava a lei evitarlo, ad ogni costo. Non sarebbe più tornata indietro.
Il passaggio fulmineo di un’ombra che sfiorò sfrecciando la coffa ravvivò la sua determinazione: - A riva!1 Mollare le scotte! Accostare di dieci gradi a sinistra! – ordinò con piglio rigoroso e allo stesso tempo rincuorato, riabbassando il cannocchiale.
Radish scagliò un urlo: - Eccolo! È lì! – confermò esagitato, indicando agli altri la direzione in cui aveva avvistato anche lui quel groviglio di sagome indistinte volteggiare e lottare meno di dieci metri sopra di loro.
- Sbrogliate tutti i coltellacci!2 – impartì con gran sollecitazione Nappa ai marinai, facendo sì che, con quelle vele aggiuntive, il galeone prendesse un abbrivo maggiore, sfruttando ogni singolo alito di vento che spirava tra quelle strettoie di pietra adamantina.
Il nostromo e il quartiermastro si riappropriano con vanagloria dei comandi, incitando i compagni a lanciarsi all’inseguimento, ma nessuno dei due rivendicò il diritto di stare alla barra, e la piratessa poté così servirsi di tutta la sua destrezza ed esperienza per governare il galeone. Con la mano libera inforcò di nuovo il binocolo, girò una rotella aumentando al massimo l’ingrandimento e inquadrò prima il paesaggio di fronte a sé, occupato da un susseguirsi di ripide scarpate che s’inabissavano nelle acque verdastre, e poi in alto, individuando quei ruggenti corpi avviluppati in una feroce lotta che pareva oramai prossima a esaurirsi.
Capitan Vegeta, infatti, sembrava aver avuto la meglio sulla belva e i due antagonisti adesso stavano considerevolmente perdendo quota.  La possibilità che l’intrepido pirata finisse per schiantarsi su qualche scoglio pizzuto era adesso spaventosamente elevata.
Bloccando la ruota timoniera, Bulma ricontrollò le carte nautiche, estrasse dalla sporta il suo fidato taccuino e abbozzò alcuni calcoli rapidi, schematizzando le migliori manovre cui avrebbe potuto fare ricorso, approssimandosi alla fine di quel passaggio accidentato. La punta del lapis si spezzò sul foglio non appena urli di rimprovero e di terrore misti a bestemmie e insulti la bersagliarono senza pietà, inducendola a riportare l’attenzione sull’ostacolo contro cui stavano andando rischiosamente a collidere.
Davanti a loro era apparso un piccolo promontorio sormontato da un faro che un’esigua lingua di mare separava dall’antistante costone roccioso, rendendone l’attraversamento quasi impraticabile: - Bracciare a collo!3 Ammainare i fiocchi e gli stralli! – strillò col cuore in gola, affannandosi per tentare di girare più in fretta possibile il pesante timone.
- Imbrogliate i velacci! Via gli scopamare!4 Sbrigatevi! – le fece eco Nappa, spronando i gabbieri ad agire sugli alabbassi, così da ridurre la superficie velica esposta alla corrente per rallentare e poter virare senza troppi danni.
Con quella manovra combinata un po’ tardiva, le fiancate si scalfirono contro le sporgenze rocciose, ma il superamento sul fil di lana di quel tratto angusto suscitò la sollevazione di scrosci di stupore.
Tirando un sospirone per lo scampato disastro, Bulma riagguantò il binocolo. Il vascello bordeggiava5, proseguendo il suo avvicinamento all’isola maggiore dell’arcipelago che si ergeva al centro di quella cintura di scogli. Con un arduo sforzo di proiezione, valutò la distanza che la Bloody Wench, mantenendo stabilmente quell’andatura, avrebbe coperto prima di poter attraccare in un punto sicuro e riparato da inopportuni avvistamenti.
Il riflesso della lente le mostrò anche che il Capitano, liberatosi dal peso morto dell’ahool, stava precipitando. Da quella notevole altezza anche l’impatto con l’acqua sarebbe stato tutt’altro che salutare. Il loro distacco tuttavia si era ridotto, ed era ben conscia che far corrispondere la posizione della nave a quella del corpo in caduta libera del suo alleato era una circostanza fortuita, che non avrebbe potuto ripetersi con altrettanta facilità.
“O la va o la spacca”, si disse, incrociando le dita per scaramanzia e strizzando le palpebre.
E stringendo le maniglie del timone, dettò una disposizione tanto imprudente quanto potenzialmente catastrofica: - Ancorare!

Mentre planava, sospinto sempre più in basso per effetto della gravità, Vegeta tentò di rigirarsi per adocchiare cosa lo aspettasse una volta finita quell’inarrestabile discesa, se il confortante abbraccio delle onde oppure la dura resistenza della pietra.

Le sue pupille invece si dilatarono per lo sbigottimento, focalizzando imprevedibilmente l’immagine del suo galeone che stava compiendo un avventato ancoraggio alla ruota6, ponendosi proprio sotto di lui. Ogni secondo, ogni millimetro che lo separava da quell’impatto avrebbe potuto essere perciò decisivo. Nuotò nell’aria, brancolando con le braccia e con le gambe, detestando l’idea di finire infilzato sulla sommità di quei tronchi appuntiti, ma la nave continuava a sbandare e ruotare intorno al suo asse, e lui capì che avrebbe potuto meramente contare su una favorevole quanto ristretta combinazione di probabilità. Mentre le voci e le facce eccitate dei suoi sodali divenivano sempre più riconoscibili, si dimenò tentando di aggrapparsi a qualcosa, di afferrare qualunque drizza, bozza, amantiglio.
E invece restò ignobilmente ingarbugliato a testa ingiù tra le sartie, con la grama consolazione di non essersi almeno fracassato le ossa e di esserne uscito quasi illeso.
Tra acclamazioni e colorite esclamazioni di ogni sorta, il nostromo e il quartiermastro lo raggiunsero, arrampicandosi per aiutarlo a liberarsi, ricevendo uno sdegnato rifiuto da parte sua.
Bulma, scendendo a due a due i gradini del castello di poppa, accorse poco dopo ai piedi del trinchetto, una mano posata sul petto madido e ansante: - Bentornato a bordo, Capitano – lo blandì con un’occhiata calorosa, le gote rosate e rotonde sprizzavano al contempo sollievo e vanità, facendogli intuire che ci fosse il suo indiscreto zampino dietro quel salvataggio rocambolesco che per poco non lo aveva ammazzato.
Vegeta finì di districarsi dal cordame e riatterrò carponi sul ponte, ergendosi e puntandole un dito contro: - Non solo siete oltremodo indisponente, siete pure completamente sciroccata! – tuonò sferzante e astioso come sempre, anche se ancora un po’ barcollante.
L’azzurra portò le mani ai fianchi, ignorando la sua mancata riconoscenza e la voglia di mollargli un sonoro ceffone: - Non sarei ancora qui, altrimenti – si limitò a punzecchiarlo, alzando il mento, sfrontata e birbante.
Il pirata mugugnò tra sé e sé e si voltò stizzito e impacciato, camminando riflessivamente lungo il parapetto, valutando la loro posizione. Erano ancorati in una piccola insenatura ombreggiata dalle montagne circostanti, a poco più di un paio di miglia dalla costa, su cui ora anche ad occhio nudo era scorgibile un variopinto agglomerato di abitazioni oblunghe, che si abbarbicavano su tutta la superficie collinare dell’isola conferendo alla cittadella la parvenza di un vero e proprio termitaio.
Già al solo pensiero di dovere mettere piede in un luogo tanto affollato di esseri umani che reputava sporchi, insulsi e inferiori si sentiva soffocare, e ad accrescere il suo senso di oppressione si aggiungeva il fastidioso sentore che non fossero i soli ad essere arrivati fin lì: - Freezer è sicuramente là fuori, in attesa di tenderci un’imboscata – biascicò corrugandosi di un irrequieto risentimento, come se riuscisse a vedere il suo vecchio avversario subdolamente in agguato oltre la cordigliera.
Bulma consultò la sua bussola cerca-sfere, trasalendo nell’appurare che effettivamente mancava solo un paio di centimetri perché le lancette indicanti le sfere ancora da recuperare combaciassero. E ciò confermava, oltre ogni ragionevole dubbio, l’ormai imminente prossimità dell’altro malvagio contendente, che sarebbe potuto comparire ad intralciarli e derubarli da un momento all’altro.
Capitan Vegeta intanto si riarmò la fusciacca con spade, pistole e munizioni raccattate qua e là: - Preparate le scialuppe. Faremo una ricognizione a terra – stabilì col suo solito fare autoritario e spicciativo, annodandosi una striscia di stoffa sul bicipite della malconcia spalla offesa che non riusciva ad articolare fluidamente.  
Quell’impedimento non era passato inosservato alla piratessa, che da subito aveva notato la grave ferita da lui riportata: - Un momento. Dove credete di andare conciato così? – lo rimbeccò al pari di una madre che riprendesse un figlioletto disubbidiente, frapponendosi al suo frettoloso incedere verso uno dei paranchi che sorreggeva la barcaccia prescelta per lo sbarco.
Lui la guardò astiosamente, agguantandola per un polso, intimandole di aggregarsi a loro: - Devo trascinarvi a forza? Siete diventata sorda, forse?  
Lei impuntò i piedi, divincolandosi dalla sua non troppo insistente presa: - E voi vi siete bevuto il senno? Non vi siete accorto che vi hanno morso?
Il filibustiere si raddrizzò accigliandosi, sistemando sommariamente la camicia sbrindellata dentro i calzoni: - È una bazzecola – mormorò con una smorfia mordace, non volendo darle la soddisfazione di ammettere quanto stesse mutamente sacramentando per quell’affronto alla sua fama di uomo imbattibile e tutto d’un pezzo.
L’azzurra, come prevedibile, non desistette, anzi quella sua cocciuta strafottenza esasperò ancora di più la sua già a stento trattenuta suscettibilità: - Bazzecola un corno! La lesione ha un brutto colorito, se non ve la disinfetto subito, potreste rischiare di perdere anche tutto l’arto! E dopo cosa me ne farei di un compagno menomato? – starnazzò acrimoniosa, incurante degli sguardi allucinati di tutti quelli che gli stavano attorno.
Vegeta la incenerì e ringhiò a denti stretti, reprimendo la tentazione di afferrarla per il collo e scaraventarla oltre la balaustrata. Anche perché aveva insopportabilmente ragione.
- Brutta è brutta come ferita … – riconobbe malignamente anche Radish, potendolo esaminare dall’alto della sua stazza che, schiacciato dall'intensificarsi degli effetti di quella dolorante trafittura, gli appariva quasi raddoppiata.
Non dubitava che si sarebbe rimesso in sesto molto rapidamente, ma muovere quel legamento leso gli doleva, molto più di quanto l’adrenalina dello scontro gli avesse permesso inizialmente di percepire, e perfino il suo udito sopraffino, intossicato dal ripercuotersi di quella fitta, sembrava ovattarsi insieme con l’intorbidamento della facoltà visiva. Umiliato e alterato da quel fastidiosissimo contrattempo che gli impediva di proseguire e possibilmente anticipare le mosse di Freezer, Capitan Vegeta sbuffò uno stizzoso: - Andate avanti senza di noi.
Nappa avanzò verso la Brief, tendendo una delle sue lerce manone a reclamare le Carte del Supremo che quella gelosamente stringeva a sé.
- Limitatevi a cercare di scoprire se qualcuno per caso ha mai visto o ha sentito parlare di quella sfera – intervenne allora con fermezza a dissuaderlo da quel proposito. Non si fidava a tal punto di quei farabutti in odore di cospirazione da poter consegnare loro la mappa del tesoro che ambiva da tutta una vita.
Accantonando la spocchia e l’entusiasmo, ma non quello smanioso e minaccioso desiderio di rivalsa, il suo quartiermastro, spalleggiato dal nostromo, scelsero un altro paio di uomini e si imbarcarono su una scialuppa.
- E vedete di non destare sospetti. Sempre che ne siate capaci – li tacciò ancora il Capitano, investendoli con un’occhiata scura e indagatrice dalla murata cui si era sporto, rimanendovi finché non si accertò che la piccola imbarcazione fosse entrata nella rada antistante al molo di attracco.
Bulma, che si era come cristallizzata dall’ultima irriflessiva esternazione, avvertendo la spiacevole sensazione di essere la causa principale dei dissapori e delle lamentele che sempre più di frequente agitavano quella ciurma turbolenta, si mosse solo quando udì il suo alleato appellarsi grossolanamente alla sua assistenza, spiccicando quell’ormai familiare quanto tedioso richiamo.
- Donna! La mia pazienza ha un limite!
Fece una scappata nella sua cabina, raccolse tra i suoi effetti personali tutto l’occorrente per improvvisare una buona medicazione e, lasciandosi oltrepassare dalle espressioni pettegole e smaliziate dei marinai, tornò con altrettanta sollecitudine all’alloggio di quel bisbetico e detestabilmente affascinante Capitano.
Si era spogliato della camicia lacera e insanguinata, che aveva gettato sul pavimento insieme agli stivali usurati, rimanendo con indosso i soli pantaloni di fustagno color antracite, e, quando lei entrò, stava ripulendosi la pelle bronzea con delle pezze imbevute di acqua e sale che lei stessa aveva suggerito ad un mozzo di portargli nel frattempo.
La turchina gli si avvicinò cautamente, disponendo su di un panno che poggiò sul tavolo i coltellini chirurgici, le boccette con i medicamenti, le garze, l’ago e il filo per suturare.
In realtà, sebbene conoscesse per cultura personale tutto ciò che occorreva per medicare lesioni di quel tipo, non aveva tantissima esperienza pratica in quel campo.
Preferiva affidarsi a dei cerusici durante i suoi viaggi ed era rimasta sconcertata dall’assodare che tra quei bricconi non ve ne fosse neanche uno. O magari era rimasto vittima degli eventi e a nessuno era venuto in mente di assoldarne un altro per sostituirlo.
 Ringraziò ardentemente gli dei per non averne avuto bisogno e si sforzò di concentrarsi sul suo “paziente”, che intanto si era seduto con atteggiamento insofferente su uno sgabello, la schiena diritta e le grandi mani chiuse sulle ginocchia tornite.
Cominciò a gironzolargli intorno, esaminando l’entità di quelle ferite inferte da artigli e zanne che gli avevano deturpato il busto, le braccia e le spalle, per capire meglio come iniziare ad operare, e non poté astenersi dal rimanere impressionata: non aveva mai visto tanti muscoli e tante cicatrici tutte concentrate in un solo uomo.
Avvertì delle bollicine nella pancia. Anche così, seminudo e disarmato, con quella criniera corvina incolta e scapigliata che svettava come una fiamma indomabile sui tratti tesi e spigolosi del viso, appariva più pericoloso e selvaggio che mai. Probabilmente non aveva una bellezza classica, ma emanava un suo innegabile fascino. Un pruriginoso timore s’impadronì dei suoi battiti, suggerendole che se avesse ceduto ai sentimenti tra loro sarebbe successo qualcosa d’irreparabile.
La porta si chiuse per un refolo di vento, facendola sobbalzare e ritornare al presente.
- Allora, vi siete incantata? – la riprese con un’occhiataccia lui, colmando quell’impacciato momento di silenzio.
Bulma scosse la testa, estrapolò dalla sua custodia il cauterio e lo riscaldò sulla fiammella di una candela, valutando che innanzitutto bisognava fermare i sanguinamenti meno preoccupanti. Ma al momento di accostare quello strumento arroventato sui tagli e sui fori che si erano formati laddove quella mostruosa creatura l’aveva artigliato, socchiuse le palpebre e arricciò il naso nel percepire quello sfrigolio di cute bruciata.
Malgrado ciò, non poté esimersi dal considerare che ancora una volta lui si stesse fidando di lei senza battere ciglio. E che non si stesse neanche lamentando troppo per quell’indicibile supplizio, a differenza di qualcuno di sua conoscenza.
Il suo corpo d’altronde sembrava un monumento alla resistenza e alla guerra, doveva essersi forgiato e scolpito a suon di determinazione e sacrifici, vittorie e sofferenze.
Riposto il ferro rovente, la sirena attinse da un barattolo una piccola quantità di un composto di alghe curative che aveva sperimentato lei stessa, e glielo spalmò con piccoli tocchi sulle escoriazioni più profonde che gli marchiavano i deltoidi, in cui era evidente il segno di aggressive unghiate e di una lotta per la sopravvivenza che doveva essere stata brutale.
Lui le permise di proseguire con quel delicato massaggio vagamente sensuale restando sin troppo quieto e taciturno, tendendosi appena al contatto di quella sostanza emolliente fredda e molliccia, che contrastava il calore della sua epidermide, surriscaldata dai primordi dell’infezione. Goccioline di sudore scorrevano in ogni incavo e curvatura di quella muscolatura martoriata e perfetta, bicipiti, tricipiti e dorsali erano diventati luccicanti, instillandole degli inopportuni bollori.
- Che vi prende? – borbottò ammonitore lui, percependo che i suoi movimenti si erano rallentati e forse anche un po’ illanguiditi.
- Niente – indietreggiò lesta lei, interrompendo quelle indiscrete carezze. Si biasimò: l’incombere del crepuscolo la rendeva ipersensibile a certi richiami carnali!
Lasciando momentaneamente quegli impacchi sulle ferite più esposte ma meno gravi, Bulma inspirò a fondo, preparandosi ad esaminare la parte superiore del braccio sinistro del Capitano che era stata quasi dilaniata dal morso della bestia. Rimosse lentamente la fascia che lui vi aveva apposto per bloccare l’emorragia e quasi trattenne un conato nel riscontrare che c’erano dei lembi di tessuto sollevati e strappati e che il sangue zampillava, indicando la probabile lesione di qualche vaso venoso. Era in condizioni peggiori di quanto non immaginasse, perché non sarebbe bastato applicare miele e curcuma per favorire la cicatrizzazione: avrebbe dovuto ripulire tutto ed eseguire una doppia sutura.
- Siete sicuro di non volere che vi procuri un qualche anestetico? – farfugliò sbirciandolo intimorita, mentre sterilizzava l’ago sul bagliore della candela, dopo averlo anche disinfettato accuratamente con dell’alcol distillato.
Vegeta agguantò la stessa pezza da lei usata poco prima, bagnandola con un’abbondante quantità di spirito e tamponandosi lo squarcio: - La mia soglia del dolore è parecchio elevata – stridé con fiera immodestia, per poi piantare il gomito al tavolo, in modo tale da avere un maggiore appoggio ed evitare di compiere movimenti bruschi durante quel disturbante quanto necessario rammendo.
Lei si sedette su una poltroncina, avvicinandosi un po’ di più a lui e mettendosi a favore della luce chiara che penetrava dalla vetrata, impiegando qualche secondo per infilare lo spesso filo di lana nella cruna del grosso ago uncinato.
Era tesa come una corda d’arco e stava già scoccando sin troppe frecciate contro di lui, con quelle premure avvolgenti, quelle occhiate adoranti e lo sfoggio dei suoi mille talenti.
E poi c’era quel suo delizioso aroma di carne tenera e incorrotta che si era espanso con l’aumentare della sua temperatura corporea ...
Le sue narici si dilatarono per cercare di assorbirne di più e ogni zaffata era come un graffio allo stomaco. Doveva continuare a inibirsi e a tenere sotto controllo i nervi o sarebbe caduto in quell’invitante insidia e si sarebbero fatti entrambi molto male.
- Piuttosto sbrigatevi. Ho altro da fare che starmene inchiodato qui a sorbirmi le vostre manfrine – sbottò snervato, fissando con un moto di contrarietà le sue dita affusolate e malferme che ancora indugiavano nel cominciare a eseguire quella cucitura.
Bulma, indispettita da quell’acida critica, riuscì a fermare il tremore delle mani e, acquisì maggiore sicurezza nell’adoperare quel cerchietto metallico, affinando la tecnica ad ogni nuovo punto inserito per ricongiungere i margini della lesione.
Si era proposta lei di curarlo e voleva riuscire a fare un buon lavoro, ma doveva disperatamente trovare un argomento di conversazione per distrarsi dal pensiero che stesse cucendo un tessuto vivo e non una tela di stoffa.
- Non avete mai indagato per quale ragione sto cercando le sfere ...  Perché? – mormorò ingenuamente, quasi dando sfogo alle intime riflessioni che la tormentavano.
Vegeta distolse lo sguardo dall’impronta di quelle zanne fameliche che stava dissolvendosi sotto il suo salvifico intervento, appuntandolo su di un’irregolarità imprecisata tra le travi del tetto: - Se fate un piccolo sforzo, ci arriverete da sola – asserì con melliflua malevolenza.
L’azzurra bloccò l’ago circolare a metà della sua perforazione, sentendo uno stiletto acuminato trafiggerle spietatamente il costato: - Non v’interessava perché in ogni caso le avreste impiegate solo per voi – dedusse disillusa, sprofondando ancora di più nell’amarezza nel venire schernita dalla sua risatina gutturale - È solo questo che volete …
- Voi che vi reputate così perspicace, come mai vi state ponendo questa domanda solo ora? – perseverò a denigrarla con crudele ironia il rude pirata, imponendosi di mantenere quella facciata di freddo calcolatore che in verità si era accorto di cominciare a non riuscire più a sorreggere con la stessa imperturbabilità di un tempo.
Quella diabolica femmina doveva avergli fottuto il cervello, infiltrandosi  nelle sue più inconfessabili e riprovevoli pulsioni, minando il suo istinto da assedio perenne.
Piccoli fulmini continuavano a scaturire dal flebile attrito della loro pelle e lui già fantasticava l’uragano che sarebbe scoppiato se solo si fossero lasciati trasportare dai sensi.
Sarebbe stato solo un capriccio, si contrariò, la naturale risposta ad un puro e semplice magnetismo animale.
- Io … volevo potermi innamorare, un giorno – confessò fiocamente la ragazza, asciugandosi con un gesto stizzito un luccichio comparso tra le lunghe ciglia e riprendendo solerte a imbastire quell’ordito di punti fitti e simmetrici.
- Non vi ho chiesto quali siano i vostri frivoli desideri nascosti – sfatò seccamente il suo patetico sentimentalismo. I talloni gli prudevano dall’impazienza di potersi alzare e allontanare. Odiava non essere al massimo delle sue potenzialità fisiche, odiava non sapere più come continuare ancora a trattenersi, odiava non potersi comportare come ogni fibra del suo essere più primordiale gli istigava di fare.
Ma mi è già successo, che stupida!”, rimuginò intanto con tristezza Bulma, infilzandolo quasi con dispetto. Oramai era una certezza: per qualche ragione inspiegabile era sconsideratamente attratta da quel mascalzone impunito e la disturbava non avere alcun esplicito riscontro da parte sua.
Lui si leccò fuggevolmente il labbro e le sembrò che provasse quasi un perverso compiacimento in quella specie di tortura che gli stava infliggendo.
Fissato con un nodino l’ultimo punto della sutura, senza pensarci su tagliò il filo superfluo coi denti e le sue labbra sfiorarono inavvertitamente la pelle torrida di lui, che emise un rauco sospiro, irrigidendosi.
La piratessa rialzò la fronte, morsicandosi una guancia, come scottata. La limpidezza del mare fu inghiottita da un abisso di tenebra quando i loro occhi s’incrociarono e uno scombussolante fremito attraversò entrambi.
Non sarebbe stato saggio continuare a provocarlo, non valeva la pena osare di più soltanto per soddisfare una pura e semplice curiosità scientifica.
Eppure non aveva mai agognato così tanto sovrapporre le sue labbra a quelle di qualcun altro, non così come ora bramava le sue. Arroganti, ruvide, salate, bollenti.
Saggiarne il sapore fino in fondo, morderle, giocarci, sentirle cedere alla sua dolcezza e morbidezza e conservarne il sapore sempre più sbiadito ed evanescente fino alla fine dei suoi giorni.
O forse era talmente maledetto che invece sarebbe stato lui ad intossicarla.
Rinvenne da quell’abbaglio trovandosi incollata a pochi millimetri dal suo naso, prendendo coscienza che non era stata solamente un’innocua fantasia.
Lo aveva davvero baciato sulla bocca.
Bulma balzò indietro terrorizzata e mortificata, facendo ruzzolare la sedia, impallidendo e restando in apnea. Quel contatto era stato probabilmente l’imprudenza più costosa di tutta la sua quasi immortale esistenza.
Vegeta la scrutò ermeticamente, passandosi con lentezza un pollice laddove aveva ardito contaminarlo con la sua venefica saliva.
Un turbine di pece rovente e liquefacente gli incendiò le iridi nerissime e lei capì che aveva appena acceso la miccia di una polveriera.

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Immagine tratta dalla gallery di RedViolett su Deviant art
 1 A riva: è il comando con il quale si ordina all'equipaggio si salire sull'alberatura per manovrare quanto vi si trova.
2 Coltellacci: vele trapezoidali facenti parte della "forza di vele" che vengono aggiunte esternamente alle vele di gabbia o parrocchetto per aumentare la velocità.
3 Bracciare a collo: disporre i pennoni in modo che le vele siano investite dalla parte prodiera e facciano arrestare o indietreggiare la nave
4 Scopamare: vela addizionale, rettangolare o triangolare, che i velieri a vele quadre aggiungono a ciascun lato della vela di trinchetto o di maestra, con tempo buono e vento largo, per aumentare la velocità.
5 Bordeggiare: effettuare un percorso a zig-zag navigando contro vento
6 Ancoraggio alla ruota: è quello su una sola ancora. La nave gira attorno ad essa col mutare del vento.

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Capitolo 32
*** XXXII: A dangerous mistake ***


Salve ciurma!
Come va? Spero stiate passando una buona estate ^.^
Io purtroppo mi ritrovo ad avere meno tempo libero e meno concentrazione di quanto non volessi per leggere e scrivere, ma finalmente sono riuscita comunque a concludere un altro capitolo che vi offro augurandomi possa regalarvi qualche minuto di svago ^W^
Lo si può parzialmente definire un capitolo arancio, anche se io non mi sono mai sentita molto portata a descrivere certe situazioni e dunque penso di essermi abbastanza contenuta.
Ad ogni modo, siamo quasi alle battute finali e prometto che tornerò ancora ad approfondire questo aspetto della coppia protagonista.
Non mi dilungo oltre, ma ci tengo come sempre a ringraziare quanti hanno inserito questa folle AU tra le seguite/preferite/ricordate/piaciute. Mi date una grande spinta per continuare!
Vi ricordo che inserisco qualche anticipazione sulla mia pagina FB che se vi va di seguire potete trovare cliccando sull'icona nella mia pagina autore.

Al prossimo approdo!)


XXXII: A DANGEROUS MISTAKE

Scostò timorosamente le mani dagli occhi, appurando che non si era trattato di un’allucinazione con cui la sua mente aveva voluto proteggersi: la letale tossina presente nella sua saliva non aveva sortito alcun effetto su quell’uomo malefico e indecifrabile.
Era ancora lì, ritto davanti a lei. Vivo, vegeto e mortalmente alterato.
Bulma continuò a sbattere le palpebre, sconvolta da quella verità inaspettata: - È la dose che fa il veleno, lo diceva anche Paracelso1 … – balbettava tra sé e sé arretrando, le caviglie traballanti come fosse al cospetto di un mostro marino della cui esistenza stentava ancora a credere, nonostante ne stesse avendo finalmente la prova certa, in carne e ossa.
Vegeta si alzò sui piedi nudi senza fretta, quasi stesse riacquistando gradualmente il pieno controllo di ogni singolo tendine e nervo. Il suo largo torace si estese al ritmo di una respirazione più lenta e profonda della norma, le altre fasce muscolari si contrassero rimuovendo gli impacchi di alghe rimasti a suppurare le ferite già rimarginate.
- Dovreste aver capito che non mi piace lasciare i conti in sospeso … – sbottò dissacrante, con quella sua voce calda, perennemente impastata di rum, rabbia e noia che lei trovava maledettamente sensuale, andandole incontro con movenze predatorie.
Il suo volto intriso di quella perenne malinconia aveva un non so che d’inquietante e invincibile, i suoi occhi fiammeggiavano di mistero, pericolo, malvagità, una miscela che le incuteva una sensazione di inferiorità e terrore, ma anche un’irragionevole eccitazione ...
L’azzurra si sforzò di far uscire le parole che sembravano aggrovigliarsi tra loro, rendendola insolitamente balbuziente: - Ma fra noi due non c’è niente! Non può esserci niente! Me lo avete lasciato intendere espressamente tante di quelle volte! – continuò a retrocedere tentoni a destra e a sinistra, mentre lui perseverava ad accorciare le distanze tra loro, scrutandola con un’espressione sadica che non prometteva niente di buono.
Quando arrivò a sfiorare la tenda del baldacchino, Bulma fu scossa dalla disarmante sensazione di essere finita nel suo territorio di caccia e di non avere oramai più alcuna via di fuga. O forse di non volerla più cercare: aveva voluto iniziare lei a spingersi avventatamente sull’orlo di quel precipizio.
Delle dita ruvide e prepotenti le strisciarono sulla nuca, attorcigliandosi ai suoi capelli inumiditi dall’agitazione, imponendole di restare proprio lì, sul bordo del letto: - Non è il luogo né il momento più adatto per certe cose! – insistette accanitamente, proponendosi ancora di farlo ragionare e di convincere se stessa a resistergli, perché erano nel bel mezzo di una ricerca dagli esiti ancora incerti e non potevano certo permettersi di cedere ad una distrazione così inopportuna e soprattutto insensata!
- Taci, Bulma! – l’azzittì imperativo Capitan Vegeta, premendole un palmo calloso sulla bocca prima che da essa potesse scaturire qualche altra fastidiosa sillaba – Non ti sopporto più – si fece sfuggire in un bisbiglio rauco ed esasperato, lasciando cadere lentamente la mano dalle sue labbra rosee, turgide, dischiuse e odiosamente invitanti che, sobillato da un irrefrenabile impulso, sigillò prepotentemente con le sue.
Il loro sapore era indiscutibilmente irresistibile, buono da ammattire, delizioso da far male, tanto che, prima di potersene avvedere, si ritrovò a divorarle con avidità, acchiappando con la mano libera un suo morbido fianco e attaccandola a sé, incurante della repulsione e dell’orgoglio con cui aveva fino ad allora domato quel corrosivo desiderio che gli incendiava le vene tutte le volte in cui i loro corpi si avvicinavano più del consentito.
Non era solo una questione di lussuria repressa, c’era anche dell’altro.
Quella finta svampita aveva passato il segno, aveva intenzionalmente e spudoratamente cercato un contatto intimo. E lui era stremato da quelle stupide schermaglie, da tutto quell’incessante punzecchiarsi e adesso voleva punirla per la sua impertinenza.
Forse castigarla era soltanto un labile pretesto, forse in un frangente così instabile per la sua autorità di Capitano non avrebbe dovuto lasciarsi irretire dal volgare bisogno della carne, ma dalla sua reazione tutt’altro che passiva riusciva nettamente a percepire che pure lei spasimava quel tipo di approccio.
Anche se avrebbe potuto rivelarsi uno sbaglio irrimediabile.
Infischiandosene momentaneamente delle conseguenze, la sollevò per la vita e la sbatté sul materasso, sovrastandola in un istante, intrecciando nuovamente le dita tra le sue ciocche azzurre e facendole reclinare il capo per poter raggiungere la sua giugulare. Pulsava così tanto che avrebbe volentieri assecondato l’istinto di squarciargliela invece di limitarsi a succhiarla forte come fece, attizzandosi ancora di più nel sentire che le sue unghie graffiavano la guizzante massa di muscoli con cui le si era avvinghiato addosso.
- Non dovresti fare sforzi eccessivi ... Ti salteranno i punti … Dovremmo rimandare! – ansimò tra un morso e l’altro Bulma in un ultimo barlume di lucidità, intuendo dalla sua dissoluta frenesia che non si sarebbe più fermato, ricercando con i polpastrelli la sua cervicale, tentando di esercitargli una certa pressione sul nervo vago2, sperando così di poterlo mettere fuori combattimento.
- Te lo scordi! – le ingiunse categorico Vegeta, afferrandole i polsi, insinuando un ginocchio tra le sue gambe, incastrandola sotto il suo massiccio peso – Oramai lo so cosa ti succede dopo il tramonto, pesciolino … - la schernì sarcastico e allusivo, elargendole una toccata eloquente che la esplorò da una guancia giù fino in mezzo alle cosce per poi ripercorrere a ritroso le armoniose curve del suo profilo, facendola vibrare di una conturbante aspettativa che riversò istantaneo calore liquido nel basso ventre, strappandole un flebile gemito.
Quella creatura aveva delle carni così bianche, tenere e profumate. Di lei avrebbe potuto fare un solo boccone, a partire dalla pinna caudale.
A quel pensiero la saliva iniziava ad accumularsi, gli si riversava nella bocca per prepararla al pasto tanto agognato. Lo stomaco si contorse, illudendosi di aver già ricevuto ciò che bramava. Il profumo inebriante del cibo diventò solido, poteva già pregustare l’aroma di miele speziato che avrebbe deliziato le sue papille, la soffice consistenza che sarebbe stata schiacciata contro il palato, sminuzzata e tranciata dai denti, scaldando le budella, riempiendole e annullando la loro inarrestabile protesta.
Lei ricominciò a lisciarlo e baciarlo sulla mandibola al che rinvenne da quell’aberrante visione. Non era ancora giunta l’ora per dare libero sfogo a quell’atavico appetito, ma ce n’era un altro altrettanto insaziabile che non appagava da parecchie maree.
Smaniava dalla voglia di saggiarla tutta, sentirla dimenarsi e boccheggiare vogliosa sotto di lui, supplicandolo di darle il tormento, ancora e ancora.
Senza rendersene conto, smise di palparla rozzamente e cominciò a toccarla con controllata irrequietezza, inspirando il suo stesso respiro agitato che le faceva ondulare dolcemente il petto, come risacca sulla battigia, mentre continuava a contemplarlo e ammansirlo con quelle ammalianti carezze, mandandolo in un’estasi escandescente.
- Sei tutta da assaporare. E voglio assaporarti tutta … - sussurrò licenzioso, strusciandosi su di lei e scendendo a tranciarle con i denti i lacci del corsetto, aprendole con una zampata la camicia per avventarsi sull’esuberante contenuto di quella sua scollatura sempre così generosamente esibita, leccandole e mordicchiandole la pelle liscia e rorida, più dissetante di acqua di sorgente, spostandosi poi a torturare quelle stuzzicanti punte di corallo, vorace e avido come un puma che stesse pasteggiando, godendo dei suoi languidi spasimi, di quel suo fiato rotto e sempre più affannato.
Con il cuore imbrigliato da un vortice di emozioni sconosciute, Bulma gli si aggrappò smaniosamente alle spalle nerborute, facendo scorrere le dita sul suo collo taurino, sfilandogli la bandana e poi introducendole tra i suoi folti e indomabili capelli, ricercando ancora la sua bocca per soffocare versi inudibili che le vorticavano nella gola ad ogni stilettata della sua lingua esperta e spregiudicata.
Quell’uomo era un dirompente concentrato di virilità e passione, e, per qualche misteriosa ragione, era forse l’unico essere vivente immune al suo nefasto veleno. Pur temendo ancora che probabilmente, a mente fredda, presto o tardi se ne sarebbe pentita, nell’averlo così stretto a sé, nel sentirlo così ardente, così innegabilmente bramoso di ciò che poteva offrirgli senza che ne morisse intossicato, smise di porsi irrisolvibili dilemmi morali.
Erano compatibili.
Ubriacata da quell’esaltante scoperta, volle provare a capire fino a che punto poteva osare, arcuandosi contro i suoi addominali pulsanti, inserendo una mano tra loro e cominciando ad allentare la fascia di stoffa che le reggeva i pantaloni, stimolando ulteriormente con tutti quegli sfregamenti il suo inguine duro che le premeva sul bacino.
Vegeta si puntellò su un gomito, rimanendo qualche istante a fissare la sua ignara vittima sacrificale, domandandosi se fosse pienamente cosciente di quello che stava cercando di fare o se presentisse qualcosa del destino funesto che l’aspettava.
Gli sorrideva, senza ritegno e senza paura. Aveva carattere, intelletto ed era davvero di una bellezza abbagliante, sensuale ed eterea. Le sue iridi erano acquose e brillanti, le guance sembravano stralci di nuvole rosseggiate dal tramonto, la piccola bocca rossa era simile a un bocciolo dischiuso.
Si abbassò a suggere ancora il nettare afrodisiaco delle sue labbra, scivolando con la mascella ispida a sussurrarle cinicamente all’orecchio: - Non farti strane idee. Se voglio prenderti ora, è solo perché domani notte ci sarà la luna nuova ed io dovrò ucciderti.
Bulma dapprima la intese come una becera battuta di umorismo nero, dopotutto lui non aveva mai lesinato di rivolgerle minacce di morte e supplizi che non si erano mai davvero concretizzate, ma un brivido gelido l’avvinse incontrando la sua espressione seria e compiaciuta, avvertendola che non si trattava solo di un’illazione: - Cosa? – fremette incredula, cercando di far leva con le braccia per respingerlo, credendo di asfissiare.
- Uccidendoti spezzerò la mia maledizione e toglierò di mezzo un altro pretendente alle Sfere del Drago. E questo significherà più desideri a disposizione per me – le spiegò lui con la più impudente e disinvolta ovvietà, riprendendo ad armeggiare con la cintura dei calzoni, senza staccarle di dosso quei due pozzi bui e profondi come un fondale ricco di misteri inesplorati.
A quella crudele rivelazione sentì a poco a poco svanire ogni fantasioso sogno romantico. Sarebbe voluta morire di lui, non pensava certo che sarebbe successo in senso letterale.
D’improvviso realizzò che, obnubilata dalla delusione, non stava quasi considerando che lui aveva detto qualcosa di terrificante: - Aspetta un momento … Di quale maledizione parli? Cosa c’entra la luna nuova? Che cosa diavolo sei tu? – strabuzzò attonita, cominciando a percuoterlo di manate, tentando di liberarsi dalla possessiva stretta con cui la teneva schiacciata contro di lui su quel giaciglio ormai madido e infuocato.
Di fronte al suo genuino e totale sconvolgimento, il pirata dannato quasi scoppiò a riderle in faccia: - Davvero non l’hai ancora capito? – la denigrò strizzandole i cedevoli fianchi, pronto ad espugnarli, ma poi annegò nei suoi specchi di mare e si adombrò, ripercorrendo inconsciamente le origini e le cause di quel maleficio che l’aveva colpito trasformandolo in qualcosa d’inumano a cui neanche lui sapeva dare un nome.
Un incalzante e concitato calpestio proveniente dell’esterno preannunciò che qualcuno stava per fare irruzione.
- Che iattura! – gorgogliò con riluttanza Vegeta, staccandosi dalle accoglienti forme della donna come stesse ritornando a galla dopo una piacevole immersione non prevista, riabbottonandosi in fretta lo sconveniente rigonfiamento della patta.
Sentendo picchiare alla porta, anche Bulma riemerse da quel momento di confusione e vulnerabilità, impappinandosi con quel che restava dei suoi vestiti per coprirsi alla bell’e meglio, non capacitandosi del tutto di quanto fosse appena successo tra loro.
Supporre che quel disonesto potesse prendersi gioco di lei la tormentava perfino più dell’inspiegabile rodimento che le procurava l’umiliazione di averlo sedotto e di essere stata da lui abbandonata senza che si fosse neanche tolto lo sfizio fino in fondo …
- La scialuppa è tornata, signore – informò un mozzo dalla carnagione olivastra, lasciando poi entrare i reduci dell’esplorazione sulla terraferma.
Non li avevano sorpresi in flagrante per una manciata di secondi, e lei, ritenendo di essere ancora visibilmente stravolta e troppo discinta, decise di rimanere per un altro po’ rintanata in quell’alcova, limitandosi a origliare.
Capitan Vegeta invece si era già ricomposto e appariva distaccato e tracotante disprezzo come sempre: - Beh, allora? Sputate il rospo – incitò spazientito i suoi, esaminandosi la lunga sutura al braccio sinistro che nascose poi indossando una casacca sgualcita cavata a caso da un baule.
Radish si appropriò di una sedia, facendola scricchiolare sotto il suo granitico sedere: - Il Palazzo reale è protetto da una guarnigione di tutto rispetto. Abbiamo contato almeno un’ottantina di guardie ben armate e una ventina di cannoni da venticinque libbre – fischiò massaggiandosi le cosce tornite – Ma la cosa interessante è un’altra. Proprio stasera si terrà una sorta di ricevimento per celebrare i vent’anni di regno dell’imperatore. Sono attesi molti forestieri.
- Personaggi di un certo rilievo. Riccastri e ricconi – continuò il discorso Nappa piazzandosi dietro di lui, un guizzo cupido ad arricciargli i baffi sottili – Quale migliore occasione per ricavare finalmente un bel bottino?
Il Capitano socchiuse le palpebre serrando i molari e i pugni, altamente irritato da quelle vuote ciarle: - Sì, è indubbiamente un’occasione ghiotta … ma dimenticate che siamo venuti fin qui per una ragione ben precisa: rubare quella dannata sfera! – rammentò loro in un travaso di bile che fece tremare le paratie – E quel ributtante rettile di Freezer farà di tutto per anticiparci! – sibilò rabbioso, cercando il conforto di una bottiglia per non sferrare qualche cazzotto su quelle teste bacate dei suoi ufficiali o addirittura scaraventarli direttamente fuori.
- Dopo tutto quello che abbiamo passato e sopportato, non potete negare agli uomini di divertirsi almeno con una buona dose di onesta pirateria – tornò a sfidarlo con puntiglio Radish, facendo vagare uno sguardo inquisitorio su ogni dettaglio dell’ambiente, ricercando la femmina di cui doveva aver percepito l’occulta presenza che lo rendeva tuttora inquieto e sudato.
Quel suo dolciastro effluvio di fiori impregnava l’aria chiusa della cabina, ricordandogli sin troppo esplicitamente l’amplesso che era stato costretto ad interrompere senza neanche gustarselo appieno.
- Abbiamo tutti quanti il diritto di guadagnarci qualcosa da questo viaggio infernale – lo distrasse ancora il tono cavernoso del suo calvo quartiermastro.
- Ah, c’è un’altra cosa che dovete sapere – s’intromise nuovamente il capelluto secondo di bordo, tirando fuori dalla giubba una saccoccia di noccioline che iniziò rumorosamente a masticare: - Gira voce che da stamane un vascello della Marina dei Sette Mari stia flottando ad un paio di miglia da qui.
Vegeta rielaborò ponderatamente tutte quelle notizie, constatando con stizza che i suoi sottoposti dovevano aver perso di vista quello che doveva essere il loro principale obiettivo, del quale non avevano fatto alcuna menzione nei loro resoconti.
Stava per sferzarli con un’altra sonora strigliata, ma fu preceduto dalla turchina, che sgusciò alla chetichella dalla rientranza del baldacchino, parlando al posto suo con spigliata audacia: - Niente attira l’attenzione come la violenza. Con tutti questi impedimenti, è chiaro che dovremmo agire d’astuzia, più che di forza – affermò con atteggiamento saputo, sfoderando la bussola cerca-sfere e piegandosi a studiare le mappe spiegate sul tavolo, lasciandogli intendere che non voleva farsi estromettere.
- Non guasta mai usare entrambe – proferì di contro il pirata, avvolgendola con un’occhiata torrida nel notare che Nappa e Radish si erano scambiati un cenno malizioso al suo audace ingresso con quel pezzo informe di stoffa annodato poco sopra l’ombelico, i capelli spettinati, le guance imporporate e i piedi scalzi. Perlomeno i larghi pantaloni candidi erano rimasti intatti.
- E siccome non esiste metodo più efficace di nascondersi se non mescolandosi tra la folla, io suggerirei di entrare dalla porta principale – seguitò a esprimere il suo parere non richiesto Bulma, voltandosi leggermente accigliata verso di lui.
- Cosa? – esclamò colto alla sprovvista dal non aver udito l’intero discorso.
- Ci introdurremo anche noi a quel gala a palazzo per trafugare la sfera – ribadì con logica inappuntabile la piratessa, guardandolo storto avendo capito che non la stava affatto ascoltando mentre gli esponeva la sua argomentazione a favore di quel piano d’azione.
Il moro filibustiere dovette zittire le risa sguaiate dei suoi compari, contrari quanto lui a una simile messinscena: - Ovverosia staresti suggerendo di prendere parte ad una stucchevole festicciola per smidollati? È fuori discussione. Siamo sporchi pirati, non damerini del cazzo – dichiarò stuccato da quella ridicola proposta, arrivandole ad un palpito dalle labbra imbronciate in una vezzosa ostinazione.
- L’alternativa potrebbe essere passare attraverso i canali di scolo del castello e imbrattarci di liquami puzzolenti. Magari beccandoci qualche infezione mortale – obiettò l’azzurra, sostenendo imperterrita la sua intimidazione – Quell’ambiente ti è più congeniale? – lo provocò sfiorandolo pericolosamente, evidenziando con l’incrociarsi bizzoso delle braccia il prospero e niveo seno su cui s’impuntarono nolenti i suoi occhi.
Gli altri percepirono nitidamente che tra i due scorreva ancora più tensione del solito, era quasi palpabile che nonostante la maggiore confidenza con cui si rivolgevano l'un l'altra fosse cambiato qualcosa.
- Beh, e se invece uccidessimo semplicemente tutti quanti quelli che ci si pareranno davanti? – abbozzò con schietto realismo Radish, trovando l’immediato appoggio di Nappa e di un altro paio di pirati lì radunati, che fecero risuonare il ferro, impazienti di poterlo utilizzare per sbudellare qualcuno.
Capitan Vegeta scansò sgarbatamente tutti, dirigendosi a studiare attraverso la vetrata il paesaggio intinto dai colori caldi dell’imbrunire: - Si farà a modo mio.


Sullo spazioso ponte della Castle of Fire, ormeggiata nelle acque verdognole che bagnavano il fronte orientale dell’Arcipelago dei Diamanti Blu, tre lame cozzavano in una danza frenetica che aveva già decretato il suo indiscusso vincitore.
I due che si erano proposti di sfidarlo solo per il gusto di misurarsi con la sua ben nota straordinaria abilità di spadaccino, consapevoli di essere in netto svantaggio, rinfoderarono le armi, complimentandosi con la sua smagliante forma fisica.
Il marinaio dalla ribelle zazzera corvina incassò le sincere lodi dei compagni e reclamò qualche sorso d’acqua per dissetarsi e rinfrescarsi dopo quell’intenso allenamento.
- Urca! Mi avete quasi fatto sfiancare! – esclamò con quel suo timbro cristallino, riponendo il mestolo su un gancio posto accanto al barile da cui aveva attinto un po’ di refrigerio.
I duellanti, col fiato ancora grosso e gli arti imbolsiti dall’acido lattico, gli si approssimarono, bevendo anche loro e approfittando della frescura offerta dall’ampia velatura dell’albero di mezzana.
- Sei proprio un asso, amico – si congratulò trafelato Yamcha, sedendosi su una cassa di legno e asciugandosi con un fazzoletto il sudore che gli impregnava la faccia – Darai filo da torcere a quel gran farabutto invasato di Capitan Vegeta!
- Spero proprio che me lo dia anche lui! – ribatté candidamente Goku, come se affrontare quell’abietto criminale per lui rappresentasse un banale impiccio come un altro di cui intendeva sbarazzarsi senza tanta ansia. Quel tizio aveva la fama di essere spietato e imbattibile e lui voleva verificare fino a che punto quella nomea fosse fondata.
Crilin intanto lucidò il suo fido cannocchiale: - Comunque sia, ancora non c’è alcuna traccia della Bloody Wench … - rilevò bisbigliando, sentendosi involontariamente indelicato nei riguardi dell’ex pirata con le cicatrici.
Questi contrasse le nocche e alzò il mento, parlando con una voce impastata d’incrollabile fiducia: - Avranno avuto i loro contrattempi, ma non possono essere lontani. Bulma non avrebbe mai potuto condurli altrove. Non c’è nessuno al mondo migliore di lei a interpretare indizi sulle carte.
Goku frugò nella giacca che aveva appeso a un chiodo durante quella sessione di scherma, estraendone un luccicante cofanetto tondeggiante: - Secondo questo strano aggeggio che mi ha regalato quel bislacco Re Kaio, tutti i possessori delle sfere si trovano nei paraggi – affermò alquanto perplesso anche lui dall’effettiva mancanza di avvistamenti.
Meditandoci su qualche istante, così come il Dio gli aveva insegnato, aprì il coperchio della speciale bussola e la riproduzione esatta del luogo in cui si trovavano comparve tra loro sottoforma di una proiezione tridimensionale dai colori fluorescenti.
I tre sussultarono accorgendosi delle lucine globulari arancioni che indicavano l’inequivocabile presenza dei nemici, ubicati proprio sul versante opposto a quello in cui si trovavano loro.
- Significa che mentre noi aspettavamo di incocciarli qui fuori, loro erano già riusciti a depistarci, intrufolandosi da un’altra parte? – tentennò inebetito Yamcha, non ancora del tutto persuaso del funzionamento di quell’antico oggetto ma abbastanza sicuro che quell’espediente rischioso sarebbe stato degno della folle donna che amava. Oltre che di quel fanatico spaccone con cui si era andata ad immischiare.
Il tenente Son annuì: - Avranno scelto di risalire da questa specie di fiume ad ovest, anche se sembra poco agevole rispetto ad altre vie d’accesso – osservò con un pizzico di sincero stupore – Questo singolo puntino quassù invece dovrebbe essere la Ice Lord – desunse col vago sentore che quella bonaccia sarebbe durata ancora per poco, sentendosi al contempo infervorare dalla prospettiva di poter combattere anche quell’altro temibile avversario.
- Goku? Tu pensi che ci saranno proprio tutti? – lo interpellò d’un tratto Crilin, in un misto di imbarazzo e sgomento.
Lui richiuse lentamente il coperchietto, rimanendo sovrappensiero a causa di un altro strano particolare che aveva richiamato la sua attenzione: - Uhm?
- Insomma, tutti gli uomini al servizio di Freezer, intendo … – lo riscosse ancora l’amico, stropicciandosi il berretto e farfugliando altri mugugni, fissandogli la spalla sinistra su cui già da parecchi giorni non portava più alcuna bendatura.
- Ah, ho capito – ridacchiò ironico Goku, intuendo a chi si riferisse con quel sottinteso – Ti domandi se incontreremo di nuovo anche quella biondina assassina? – gli strizzò un occhio, facendosi ilare.
- Quale biondina assassina? – s’interessò Yamcha, che pensava di conoscere, almeno di fama, tutti i più temuti esponenti della gilda della filibusta.
Goku finì di stringere le cinghie degli stivali e si alzò, incrociando le braccia dietro la testa: - Una delinquentella che si è lasciato scappare da sotto il naso, qualche tempo fa … - alluse innocentemente.
Sulle gote del giovane marinaio si manifestò uno spiccato rossore: - Si fa chiamare Mistress Diciotto – bofonchiò abbassando le pupille, davanti cui si stagliarono per l’ennesima volta le confuse immagini di quel loro breve ma incisivo scontro. La bella e sanguinaria piratessa lo aveva lasciato vivo solo perché potesse testimoniare il massacro che aveva compiuto insieme al fratello.
Era stato uno sbaglio madornale permetterle di darsi alla fuga senza opporre molta resistenza, perciò da quel maledetto giorno sperava di poter riparare quella vergognosa omissione che giudicava una macchia indelebile nella sua reputazione.
- Ah sì, ho sentito qualche racconto su di lei e sul suo gemello – asserì lo sfregiato briccone – È molto carina, vero? – si divertì a stuzzicarlo dandogli di gomito, avendo intuito il suo accaloramento.
L’irrompere tonante del Capitano Muten li riportò sull’attenti, distogliendoli da quello spensierato oziare: - Hey romanticoni! Adesso basta con le chiacchiere! Preparatevi a sbarcare!



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1Paracelso: medico, alchimista e astrologo svizzero vissuto tra XV e XVI secolo. Quella citata da Bulma è una delle sue più note frasi. Vi ricordo che lei sa di essere velenosa per gli altri uomini.

2Nervo vago: questa mossa si vede spesso adoperare nei film di azione o di arti marziali. Quando stimolato applicando una certa pressione, il nervo vago fa rallentare il cuore e diminuiscono notevolmente i livelli di pressione sanguigna, per cui può avvenire una momentanea perdita di coscienza.

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Capitolo 33
*** XXXIII: A crowdy party ***


Salve ciurma! :D
In questa afosa estate che poco mi concilia la scrittura ci mancava solo il computer a fare le bizze cancellandomi mezzo capitolo e impedendomi di aggiornare prima di ferragosto >->
Comunque sia, mi sono messa d'impegno per recuperare prima di dimenticare tutto e quindi eccolo qui, anche più lunghetto di quanto non volessi ma spero ugualmente piacevole da leggere.
In gran parte ammetto di averlo concepito ispirandomi ad una fanart trovata tanto tempo fa che potete ammirare a fondo pagina.
Avrei voluto concluderlo in maniera diversa, ma poi mi sono accorta di essermi dilungata con le introspezioni e quindi l'ho troncato prima: poco male, il prossimo sarà interamente dedicato all'azione ^_^
Ringrazio come sempre quanti hanno avuto la pazienza di imbarcarsi e si soffermano a leggere silenziosamente e a farmi avere il loro apprezzamento inserendo la storia tra le loro seguite/preferite/ricordate.
Buon proseguimento di estate e al prossimo approdo!)


XXXIII: A CROWDY PARTY

Quegli insulsi dischetti dorati non volevano proprio saperne di agganciarsi agli occhielli e lui stava già scucendo tutte le cuciture a furia di tirare per farli entrare in quei minuscoli tagli e chiudere quella maledetta giacca in broccato.
Cominciava a irritarsi e a sentirsi soffocare. C’era poco da fare: lui e i bottoni non sarebbero mai andati d’accordo. Erano un retaggio di un mondo altro cui era stato crudelmente sottratto in un’età ancora troppo acerba perché certi gesti abitudinari potessero imprimersi nella sua personalità poco incline a dare importanza al vacuo sfoggio di certe affettate apparenze.
Forse per questo non gli era mai mancata davvero la vita comoda e artificiosa che non aveva potuto condurre, sprofondato nel lusso e in una riverenza dettata unicamente da un diritto di nascita. Desiderava che gli altri s’inchinassero a lui, che lo temessero e rispettassero per ciò che era, non per ciò che rappresentava.
Il suo temperamento era troppo ondivago e ribelle. Essere l’unico erede di un casato nobile e potente gli aveva sempre suscitato un misto di orgoglio e repulsione. Nell’esistenza libera e sregolata dell’avventuriero aveva trovato la sua realizzazione, quella dimensione si adattava meglio alla sua natura sanguigna, competitiva e incontenibile.
Il fatto che gli fosse stato brutalmente imposto quasi tendeva a dimenticarlo, dopo tutti quegli anni trascorsi a forgiarsi lo spirito e le ossa su una nave pirata. Riesumare il principesco vestito appartenuto a suo padre, però, inevitabilmente aveva contribuito a far riaffiorare dei ricordi molesti che teneva sepolti nei meandri più reconditi del suo torbido animo. E adesso che sentiva la blandizia di quelle stoffe pregiate fasciargli le membra avvezze ad essere avvolte da tessuti ben più grezzi o a stare a contatto diretto con il freddo metallo di armi e munizioni, Vegeta non sapeva neppure capire la ragione per cui, l’ultima volta che era tornato a devastare il luogo in cui era nato, avesse voluto portare con sé quella inutile reliquia del suo regno perduto.
E soprattutto come si fosse convinto a indossarla, proprio in occasione di una serata che si prospettava, a voler essere eufemisticamente ottimisti, movimentata.
La giacca color cobalto, intessuta da finissimi arabeschi e adornata da alamari, aveva due lunghe falde posteriori che gli facevano sembrare di avere una coda biforcuta; quantomeno la taglia abbondante gli aveva permesso di poter dissimulare un piccolo armamentario tra la marsina e il farsetto. I pantaloni, della stessa gradazione di blu, erano lunghi poco sopra il ginocchio, ma si era rifiutato di infilarsi una ridicola calzamaglia o delle scarpe col rialzo, preferendo coprire il resto della gamba con il suo solito paio di logori stivaloni, in cui aveva potuto occultare qualche altro pugnale a lama corta, indispensabile precauzione in caso di avversari particolarmente numerosi e agguerriti.
Malgrado i suoi propositi di agire secondo la sua consolidata filosofia di attacco fondata sull’uso indiscriminato della forza bruta, si era infine adeguato a procedere come lei gli aveva saccentemente suggerito.
Quell’infida donna lo stava corrompendo.
Dopo quel bieco tiranno di Freezer nessuno era mai riuscito a imporsi su di lui con altrettanta capacità di persuasione, ma in fondo aveva dovuto convenire sull’evidenza che quella sua delirante proposta non fosse poi del tutto sconclusionata. Considerate le premesse, tutto lasciava presupporre che sarebbero stati in inferiorità numerica e che l’effetto sorpresa li avrebbe avvantaggiati parecchio rispetto a un assalto su larga scala che avrebbe finito per precludere le già scarse vie di fuga, circoscrivendo anche le perdite.
Il presupposto che quella smorfiosa e ostinata femmina sotto certi aspetti fosse sempre un passo davanti a lui era davvero urticante! Ma non quanto la consapevolezza di aver commesso un imperdonabile errore, cedendo alle sue muliebri lusinghe.
- Merda! – espirò col cervello che fumava, facendo saltare in un sol colpo tutti gli alamari della giacca di cui si spogliò.
Aveva abbassato le sue inespugnabili difese con lei e, quel che era ancor peggio, non riusciva a negare quanto lo fomentasse anche solo ripensare l’espressione rapita e ardita con cui lo aveva accarezzato, i suoi sospiri arresi che gli avevano solleticato dolcemente le orecchie, l’incastro perfetto e incompiuto dei loro corpi, così diversi eppure così inconfutabilmente complementari ... Ci si sarebbe ancora voluto sollazzare.
Era causa di un inopportuno rammollimento.
Recuperata quell’ultima sfera, doveva eliminarla. Non poteva più temporeggiare.

Stirando accuratamente il sottile filato di seta bianca su tutta la lunghezza delle snelle gambe, appuntò la giarrettiera sulla coscia con un bel fiocco a trattenere i gambaletti, salendo poi sul discreto tacco in sughero delle calzature a punta quadrata. Si sarebbero notate appena sotto l’orlo della lunga e ampia gonna pervinca lavorata con finissimi motivi floreali che, abbinata ad un corpetto in raso damascato della stessa tinta con le maniche a sbuffo, costituiva la parte finale di uno splendido abito da vera dama.
Lo aveva rinvenuto inaspettatamente in un bottino saccheggiato qualche anno prima durante un fortunato arrembaggio ai danni di un mercantile e non se n’era voluta separare, ritenendo, a ragione, di poterlo sfruttare per imbucarsi senza invito a qualche sontuoso ricevimento e rubare così manufatti o informazioni, lasciandosi dietro uno strascico di punti interrogativi e cuori infranti.
Era stato un ottimo lasciapassare in svariate circostanze, per cui lo aveva custodito con gran cura. Ma non era per niente abituata a vestire come una vera donna dell’epoca, e, nonostante lo avesse alleggerito dell’ingombro di diverse sottovesti e tulle per avere maggiore scioltezza nei movimenti, si sentiva ugualmente impacciata in quei panni.
Il sole era già un disco rutilante, sospeso a metà sull’orizzonte incorniciato dalla cortina di scogli che cingevano l’isola centrale dell’arcipelago.
- Dannazione! – Bulma sospirò, affranta. Era stata troppo impulsiva e imprudente a avanzare quella balzana proposta: non aveva riflettuto sul fatto che le sarebbe stato impossibile gironzolare fino ad una certa ora su due piedi. Si era intromessa nella conversazione tra quei balordi esaltati dagli spargimenti di sangue esclusivamente per il gusto di contraddire il Capitano e rinfacciargli che le sue trovate erano migliori e che in quanto a scaltrezza lo batteva.
Ancora non si capacitava che lui avesse acconsentito a prendere parte a quella farsa. Quasi aveva paura di scoprire come si sarebbe conciato. O se piuttosto dietro il suo inaspettato benestare non si celasse una colossale presa per i fondelli.  Da un tipo che un attimo prima di farle conoscere la consistenza del suo desiderio era stata piantata in asso e si era sentita minacciare di morte, contava di potersi aspettare di tutto.
L’azzurra si sistemò a favore del piccolo specchio tondo che aveva inchiodato ad una parete della cabina concessale, sfruttando la luce stentata diffusa dalle candele, rimirandosi ancora un po’: la sfumatura di lilla del vestito creava un bel contrasto con l’azzurro intenso dei suoi capelli, ma avrebbe dovuto camuffarli per non destare attenzioni indesiderate.
Con quell’asfissiante caldo umido sarebbe stato un vero supplizio dover mettere pure una parrucca. Per il momento li raccolse disordinatamente con qualche forcina, apprestandosi ad applicare un leggero strato di belletto a ravvivare il contorno di occhi e labbra.
Se le inumidì perché la mistura di pigmenti scarlatti di cui aveva cosparso il pennellino avesse maggiore presa. Riusciva a percepire ancora il suo sapore speziato e il suo forte odore di maschio non se n’era andato del tutto, neppure con quegli energici colpi di spugna cui si era a lungo strigliata dappertutto. Sarebbe dovuto morire intossicato da quel contatto, invece, mentre la baciava e la assaggiava con una cupidigia che rasentava una voracità ferina, sembrava si fosse addirittura rinvigorito.
Si accorse allora che il chiarore perlaceo del suo incarnato era intaccato da alcune chiazze violacee che le punteggiavano il collo ed erano piuttosto visibili anche sul decolleté.
Di primo acchito le attribuì ad aloni formatisi su quel vecchio cimelio in cui si stava specchiando e vi strofinò sopra le dita, poi ripeté il tentativo su se stessa, come a voler sbiancare quei segni antiestetici che la deturpavano proprio dove sarebbe stato impossibile non si notassero con un’acconciatura che avrebbe lasciato esposta quella porzione di pelle.
Un fiotto di calore la pervase realizzando come fossero comparsi. Le sembrò di sentire ancora la sua bocca e le sue mani insinuarsi ovunque a violarla e soggiogarla, riflesso di un uomo impetuoso abituato a prendersi tutto ciò che gli appetiva con la forza.
Anche se a lei aveva riservato uno strano trattamento e non sapeva se essere più sollevata, arrabbiata o delusa dalla fine di quell’ingannevole parentesi.
Nel ripensare alle sue meschine e sibilline parole una marea di domande e dubbi si affastellava nella mente, formando un opprimente groppo tra lo sterno e la gola.
La controversa fiducia che aveva cominciato a nutrire nei suoi riguardi si era irrimediabilmente scheggiata. Eppure non riusciva a detestarlo fino in fondo. Pensava di non aver equivocato, aveva sentito scorrere qualcosa di indefinibilmente intenso tra di loro. Era convinta di aver scorto un barlume di umanità nel suo sguardo e nelle sue azioni, che sotto la sua cattiveria si nascondessero tristezza e solitudine, dolori e segreti.
Aveva accennato a una non meglio precisata maledizione da spezzare e alla necessità di ucciderla affinché accadesse, ma non era stato più esplicito e così facendo aveva solamente accresciuto l’alone di mistero che lo circondava e il sentore che tra loro ci fosse una qualche connessione. Il vero problema era che lei era sempre stata follemente affascinata dagli enigmi, e quell’individuo così introverso e impenetrabile, nonostante tutto, la intrigava con una potenza indicibile.
Il ticchettio ritmato della bussola cerca-sfere giunse ammonitore a ricordarle che doveva affrettarsi. Tamponandosi con un piumino un’abbondante dose di cipria, Bulma si domandò se avrebbe avuto ancora qualche concreta possibilità di cavarsela indenne: era sempre stata molto esigente con se stessa, non poteva soffrire di essersi invaghita di un ingrato egoista che le aveva fatto perdere di vista il suo scopo!
La porta fu sfondata di soprassalto, facendola sobbalzare per quell’intrusione: - Uscite, Brief! – le ingiunse una voce arrogante e inflessibile.
- Non avevamo abbandonato le formalità? – gli rispose con noncuranza da dietro il paravento che si era premunita di montare, sospettando che quei malandrini la spiassero dal buco della serratura.
- Non sei ancora pronta – s’indispose Capitan Vegeta, entrando e imbattendosi in cumuli di camiciole, stivaletti e svariati capi di vestiario che giacevano trascuratamente su ogni spazio libero da scartoffie e boccette, occupando perfino la tinozza mezza piena d’acqua.
Lei continuò a spazzolarsi le lunghe ciglia che aveva scurito con un velo di kohl, enfatizzando la lucentezza cristallina delle iridi: - La perfezione richiede tempo – proferì imperturbabile, curvandosi in avanti verso la superficie riflettente.
- Non ne abbiamo – controbatté lui, scaraventando il pannello divisorio in legno decorato e arrivandole alle spalle. Il suo contegno sdegnoso traballò per qualche secondo scorgendo la linea sinuosa della sua schiena di alabastro semiscoperta che le sue pupille carezzarono, soffermandosi sfuggevolmente sulla pienezza dei fianchi e sulla flessuosità delle gambe messe in risalto dalle calze diafane e aderenti.  Non si aspettava di trovarla ancora in déshabillé.
- Come osi intrometterti nella mia intimità?! – si offese con scalpore la sirena, facendo sparire i mutandoni sotto la vaporosa gonna che risollevò dal pavimento e si agganciò alla vita, infilando con altrettanta sveltezza la pettorina del vestito che aveva indugiato a indossare, dissuasa dall’aria ancora troppo afosa che l’avrebbe fatta surriscaldare prima del dovuto intanto che si truccava.
- Smettila di fare la verginella. Ti ho già visto quasi nuda. E poi le donne sono tutte uguali – confutò con spregio il pirata, voltandosi nella direzione opposta. Al frusciare delle sue vesti non prestò più interesse, avvertendo il ticchettio del cofanetto adagiato su un ripiano in cui due lancette si muovevano vicinissime. Freezer doveva essere nei dintorni, molto vicino. Fiutava il suo tanfo di cadavere in decomposizione da giorni.
- Quindi devo dedurre che hai rinnegato quello che stava per succedere appena un’ora fa? Non mi sembrava di esserti stata così indifferente … – la congettura insinuante di quella donna sfacciata e irresistibile si arrogò l’attenzione di tutti i suoi sensi.
Bulma lo fissava con un sorrisetto di ripicca a illuminare lo sguardo esuberante, le braccia ritorte indietro a tentare di chiudere il bustino sulle rotondità evidenziate dalla profonda scollatura adornata da un ciondolo di perla.
Vegeta dissimulò una deglutizione a secco, gli prudevano le mani, le sue tempie grondavano sudori freddi.  La sua esasperante vanità lo importunava al pari dell’essersi arreso a quella maledetta attrazione, inducendo quell’incantatrice a potersi sentire autorizzata a non temerlo e a manipolarlo secondo la sua volontà.
Afferrandola per una spalla, la fece ruotare bruscamente, spingendola con la faccia verso la parete, afferrando tra le dita i nastrini che penzolavano sopra il suo fondoschiena.
- Non vorrai farmi credere che hai dimestichezza con i corsetti? – annaspò con un risolino nervoso la piratessa, sentendo le stecche comprimersi sulle costole ad ogni sua sferzante tirata e il suo fiato caldo e accelerato blandirle la nuca, sciogliendola come burro.
- Adoro gli strumenti di tortura – sibilò in uno scabroso sussurro lui, un appetito devastante misto a lascivia gli arpionava le viscere annusando il mielato profumo della sua pelle accaldata e strinse con più veemenza i lacci, al punto da farla quasi boccheggiare.
Inspirando il suo forte odore di pericolo, Bulma si distanziò da lui, respingendolo con una gomitata: - Finché non saprai dove ho nascosto le mie sfere, non potrai uccidermi – insistette caparbia, rigettando la sua monotona recriminazione.  
Il moro inclinò indietro la testa sogghignando, poi la scrutò di nuovo perfidamente, una mano dura a cingerle il mento: - Mi supplicherai di ucciderti, non appena metterò in atto le mie tecniche di persuasione per fartelo confessare. O magari non ce ne sarà neanche bisogno perché l’ho già scoperto.
- Sei un viscido approfittatore! Mi fai schifo! – sputò lei, tirandogli uno schiaffo secco ma quasi inoffensivo.
- Mi eri sembrata di tutt’altro avviso un’ora fa – le soffiò lui sulle labbra voluttuose che si astenne dallo sfiorare, nonostante avrebbe voluto estorcerle un bacio tale da lasciarla con la lingua dolorante – E ora vedi di camuffarti questi inguardabili capelli.
Appena il briccone si allontanò, lasciandola ancora una volta più che frastornata, Bulma sbuffò amareggiata. Avrebbe voluto sviscerare quella questione irrisolta tra loro, rammentargli che avevano stretto un patto, ma era consapevole che cercare di entrare nella mente contorta di quel soggetto o insistere a interrogarlo sarebbe stata una causa persa.

Tre snelle imbarcazioni a remi scivolavano silenziosamente sulle onde sonnolente della piccola baia immersa nella bruma della sera e inondata dal diffondersi dei bagliori dei fanali appartenenti a feluche e brigantini con le stive traboccanti di ogni mercanzia in procinto di attraccare al porto, in cui sostavano capannelli di commercianti e allibratori in attesa di guadagni. I contorni delle abitazioni erano rischiarati dagli ultimi raggi che andavano a morire oltre l’abbraccio della scogliera blu e le torce che si accendevano per le stradine ricurve a quella distanza apparivano come lucciole sospese in volo o lucenti monete d’oro da depredare.
Le barche proseguirono senza l’ausilio di lampare il loro avvicinamento alla terraferma, deviando verso un’area meno trafficata, mantenendosi nel cono d’ombra ai margini dell’insenatura, costeggiandola per poi immettersi in una caletta naturale. Dopo aver tirato in secca gli scafi sulla battigia, nascondendoli in un comodo anfratto della roccia, il gruppetto di predoni indugiò per un paio di minuti, restando in ascolto di possibili rumori che segnalassero l’arrivo di sentinelle. Accompagnati unicamente dal canto dei grilli, si spartirono il contenuto delle casse che si erano portati dietro, armandosi di tutto punto.
Capitan Vegeta estrasse dalla tasca la saccoccia con le due biglie arancioni che emettevano una luminescenza intermittente, delineandogli i tratti corrucciati del volto.
Bulma, tentando di non sprofondare nella fanghiglia rovinando anzitempo le delicate scarpe, gli si affiancò: - Non si era detto “niente violenza”? – assottigliò gli occhi, disgustata e preoccupata davanti a tutto quel maneggio di armi e munizioni di cui le scialuppe a sua insaputa erano state stipate e che quegli invasati non avrebbero tardato a usare, contrariamente alle previsioni iniziali.
- Vivete in un mondo fatato, dolcezza, se credete che quegli stronzi lì ci tratteranno coi guanti di velluto – la irrise un bucaniere dalla dentatura sgangherata in cui riluceva qualche pezzo di argento.
Uno scalpitare di zoccoli sul selciato umido attraversò la densa cappa di umidità e la sagoma di una carrozza trainata da un paio di robusti destrieri dal manto pezzato si stagliò contro la tenue luce vespertina, seguita da un carretto colmo di fieno. I cocchieri saltarono giù indirizzando un segno di connivenza agli altri marinai appena sbarcati.
Fu Radish a rompere quel silenzio pregno di una tangibile aspettativa: - Ricordate: il primo che troverà la sfera, avrà diritto ad una parte e mezza del bottino! – dichiarò suscitando l’acquolina dei compagni, che si scaldarono lasciandosi andare in commenti euforici e impazienti.
- Nappa è rimasto a bordo della Wench, pronto a spiegare le vele soltanto nel momento in cui io sarò risalito. E se qualcuno di voi proverà a fregarmi, state pur certi che vi scoverò ovunque andrete a rintanarvi! – con inflessione feroce e intollerante Capitan Vegeta spense gli entusiasmi prematuri della combriccola, salendo sulla vettura rubata dai suoi e accomodandosi sul sedile imbottito.
- Niente male – esclamò la Brief, accarezzando il muso di uno dei due cavalli e congratulandosi con gli uomini per il lauto bottino, prima di introdursi anche lei nell’abitacolo, sedendosi di fronte al Capitano.
- Non siamo qui per fare una scampagnata! Muoviamoci! – incitò allora i compagni Radish, stando in equilibrio sul predellino, così da poter setacciare dall’alto dei suoi quasi due metri di altezza la presenza di pattuglie appostate ai crocevia.
Al trasmettersi del suo ordine gli altri banditi montarono chi in cassetta, chi sull’altro carro per scroccare un passaggio. Lo schioccare delle briglie fece partire le ruote dei veicoli che s’inerpicarono sui sentieri secondari più bui per eludere ronde notturne. Stranamente non ne incontrarono, la gran parte delle forze doveva essere stata dislocata attorno ai punti nevralgici e probabilmente gli abitanti sottovalutavano l’eventualità di attacchi esterni in quanto la conformazione di quel luogo era inadatta a rapide incursioni, pensarono i due Capitani osservando il frastagliato panorama esterno spruzzato di amaranto. Ma in entrambi permaneva la strisciante sensazione che ci fosse sotto qualche inghippo.
Dopo quasi venti minuti di cammino, un roboante scoppio di fuochi pirotecnici salutò il loro arrivo in una città chiassosa e affollata per l’inizio dei festeggiamenti. Sulle facciate degli edifici campeggiavano ghirlande, festoni e statue che riportavano le fattezze dell’eccentrico despota locale e targhe marmoree che ne celebravano le presunte imprese e ne decantavano le virtù.
- “Ben venuti a Pilafopoli”, che megalomane! – sbottò Bulma, sbirciando curiosa da dietro il finestrino – Avrei ben da ridire sull’accoglienza che ci hanno riservato quegli uccellacci! – commentò acre, interpellando poi il quadrante della bussola per comunicare al guidatore quale direzione imboccare.
Vegeta si toccò la spalla ricucita e allungò appena il collo per appurare a malincuore che la sirena non stesse mentendo sulle indicazioni che aveva fornito con assoluta certezza proponendo l’espediente del travestimento. Che avesse scoperto qualcos’altro che gli aveva taciuto? Per niente propenso a parlare e già annoiato da tutto quel baccano che risuonava attorno, richiuse con irritazione la tendina, abbassando le palpebre, tentando di isolarsi.
S’istradarono a fatica in quella fiumana di varia umanità, dirigendosi verso il Palazzo reale in cui si sarebbe tenuto quel gala che aveva richiamato molta più folla del previsto. Carrozze, carretti e portantine correvano senza sosta per le stradelle lastricate, bancarelle e botteghe offrivano chincaglierie e cibarie di ogni tipo, ai balconi o sulle soglie di qualche bordello erano affacciate appariscenti prostitute in attesa di qualche cliente da adescare e intanto c’era chi scommetteva ai dadi o alle carte su banchetti improvvisati.
La residenza regale si ergeva sulla roccaforte dell’isola ed era una costruzione piuttosto pittoresca, sovrastata da cupole e torrioni, la cui struttura geometrica formata da blocchi squadrati di tufo stonava rispetto allo stile sobrio ed essenziale delle altre costruzioni.
Quando giunsero in cima alla lunga salita, videro che tutti i cancelli erano presidiati da un manipolo di soldati e che c’erano parecchi controlli sugli ospiti in entrata.
- Attenetevi al piano concordato, ma state all’erta: i tirapiedi di Freezer saranno già stati sguinzagliati e cercheranno in tutti i modi di ostacolarci. Non dimenticate qual è la nostra priorità – disse Capitan Vegeta, smontando dalla carrozza, parlando con un tono smorzato che accentuava la sua vena intimidatoria.
- Faremo sparire solo i fantocci a guardia del palazzo, come deciso. E poi faremo visita alla sala del tesoro – ammiccò biecamente Radish, sistemandosi un pugnale e un paio di pistole a pietra focaia nelle fondine interne alla giacca, chiamando a raccolta gli altri pirati che avrebbe condotto con sé.
I filibustieri si dispersero come un branco di lupi che intraprendeva una battuta di caccia, alleggerendo al loro fulmineo passaggio le tasche degli ignari passanti. I capitani nel frattempo, consultando i rispettivi strumenti per tracciare la posizione delle sfere, si ritrovarono a camminare vicini, quasi pestandosi i piedi l’un l’altra, in competizione su chi sarebbe arrivato per primo al traguardo.
- Sai? Non stai poi così male vestito da damerino. Potremmo sembrare una vera coppia di principi – ironizzò Bulma, porgendogli una mano che lui ignorò, senza che fosse nelle sue intenzioni esternare quell’ammissione né adularlo. Era effettivamente ammirata dall’aura nobile e altera che gli donava quell’abbigliamento più elegante.
Vegeta era già di pessimo umore per essersi fatto coinvolgere in quella ridicola mascherata invece di sterminare tutti quanti a colpi di cannone e lei girava il coltello nella piaga con quelle considerazioni fuori luogo: - Grazie agli dei molto presto ti squamerò e non dovrò più sorbirmi queste tue scemenze – confutò i suoi inutili tentativi di rabbonirlo.
- Sei un gran farabutto, ma non ti credo – borbottò l’azzurra, continuando a mostrarsi insensibile alle sue ripetute minacce, rialzando l’orlo della gonna e prendendo a camminare spedita verso l’ingresso principale.
Il complice la tallonò, odiando essere contraddetto, ma mentre scandagliava le vie di accesso analizzando se ci fossero delle falle per poter oltrepassare indisturbati quel cordolo di uomini armati, vide la piratessa sfilarsi un borsellino dalla manica e porgerlo al valletto incaricato di accogliere gli invitati, strizzandogli l’occhio e bisbigliandogli qualcosa di lusinghiero con consumata arte seduttrice.
Il diniego dell’usciere si tramutò in sussiego nell’istante in cui sul suo palmo finì un gruzzoletto tintinnante di monete d’oro e d’argento e la donna, compiaciuta dell’efficacia dei suoi metodi, scoccò un sorriso vincente verso l’indocile accompagnatore.
Attraversando il vasto giardino con alberi e aiuole che attorniava la piccola reggia, rifletterono ad ogni metro sulle infinite possibilità di nascondersi o fuggire indisturbati in quel dedalo verde, mentre il brusio della festa appena iniziata diveniva più vicino.
- Io non entro – si adombrò Vegeta, arricciando la bocca al solo immaginare lo spettacolo patetico che avrebbe dovuto sorbirsi, tra musiche, danze, amenità e convenevoli vari.
Un lampo di sfiducia e di sospetto balenò negli occhi di Bulma: - E chi mi garantisce che una volta trovata la settima sfera, non mi abbandonerai qui?
- Potrei insinuare la stessa cosa di te – ringhiò con concisa dialettica il moro, ottenendo alfine una seppur combattuta resa da parte della cocciuta donna.
- Va bene, sta’ fuori se preferisci, ma non allontanarti troppo. Avrò la coda tra pochi minuti, rammenti? – mormorò un po’ imbarazzata la sirena, incolpando anche se stessa per essersi impelagata in quella situazione potenzialmente mortale.
- Sarai l’attrazione della serata – convenne stoico il pirata, sedendosi sull’erba tosata del prato, mostrandosi del tutto disinteressato alle sue rimostranze.
- Non puoi farmi questo! Mi tratteranno come un fenomeno da baraccone! – s’inviperì lei, dandogli addosso in un eccesso di collera che fece ruotare più di una testa incipriata verso di loro, suscitando commenti scandalizzati.
Vegeta si rialzò con quel rimasuglio di flemma che lo preveniva dallo strapparle un morso, preferibilmente alla gola, così da silenziarla: - Questo stupido piano è tuo, o sbaglio? Non è un mio problema – ribadì impietoso come il mare d’inverno – Spicciati.
- Che bastardo! – arrotò i denti mentre varcava lo scalone d’ingresso, sforzandosi di distendere i lineamenti del viso per apparire radiosa e sicura di sé. Avrebbe sfruttato tutto il suo fascino se necessario. Non poteva contemplare un fallimento.
Un tripudio di marmi, stucchi dorati e lampadari di cristallo la abbagliò, lasciandola ammutolita dallo stupore. Dall’esterno quella dimora un po’ vetusta e austera non pareva racchiudere chissà quali ricchezze o raffinatezze proprie di un gran sovrano o di altre residenze aristocratiche che aveva visitato, invece dovette prendere atto che le pareti e i tetti erano un susseguirsi di opere d’arte di varia epoca e provenienza. Il furto di uno solo di quei preziosi manufatti avrebbe potuto assicurare una rendita vitalizia a chiunque.
Scacciando quella tentazione, Bulma afferrò la catenella cui aveva agganciato la bussola: l’ago vibrava velocemente, segno che la sfera doveva trovarsi proprio lì, da qualche parte, e che era molto vicina. Seguendola e guardandosi intorno s’inoltrò in un grande salone adorno di specchi in cui un’orchestra d’archi stava intrattenendo gli ospiti ed era stato imbandito un grande banchetto con una gran varietà di succulente pietanze servite su stoviglie di porcellana e posate d’argento. Il mecenate non aveva badato a spese.
I morsi della fame si aggiunsero all’incipiente intorpidirsi delle articolazioni. Non sarebbe potuta rimanere ancora per molto a quella festa. Avvicinandosi alla lunghissima tavolata arraffò qualche pasticcino e un calice di vino, appartandosi in un angolo del salone, sentendosi già un po’ intontita da tutto quello sfavillio di gioielli e lustrini, in mezzo a tutta quella gente euforica e alticcia.
- Milady, mi concedereste questo ballo? – la invitò una voce affettata ma venata da una certa familiarità.
La ragazza distolse le pupille da un arazzo, incastonandole sul volto abbronzato con alcune cicatrici di un giovanotto in distinta redingote rossa. Così in ghingheri e impomatato, quasi non lo aveva riconosciuto: - Yamcha?! – spalancò la bocca stupita, gettandogli le braccia al collo in un affettuoso slancio, dimentica di essere entrata lì dentro in incognito e di voler passare inosservata – Ma come …? Che cosa ci fai qui? – balbettò contro l’incavo della sua spalla, riparandosi da occhiate indiscrete con il ventaglio.
- Per salvarti, tesoro – le rivelò lui in un misto di sollievo e compiacimento, ricambiando con trasporto quel caloroso abbraccio, inalando il suo seducente profumo salmastro mescolato ad un’essenza fruttata che lo mandava in visibilio. Nonostante quel camuffamento l’aveva riconosciuta subito e il suo morale si era ringalluzzito all’idea di potersi riscattare presentandosi come un eroico salvatore. Lasciandole un bacio leggero su un lobo, si distaccò un po’ da lei, e, prendendola per mano, la condusse a muovere maldestramente i passi di quel minuetto.
- Razza di traditore! Te la sei svignata senza avvertirmi! Ho temuto che avessi fatto una brutta fine! – lo accusò di getto l’amata, torcendogli con un pizzicotto la carne del braccio.
Yamcha ignorò il suo malanimo, cercando di mantenere il dominio di sé: - Ascolta, Bulma. Adesso non posso spiegarti tutto. Devi venire con me – la esortò in un implorante imperativo, trascinandola verso una terrazza sotto le stelle.
- Non puoi chiedermelo. Ormai sono a tanto così dal recuperare l’ultima sfera! – gesticolò quella, animata dall’ansia di vincere, cercando di divincolarsi dalla presa possessiva delle sue dita per tornare dentro – Anzi, giacché sei qui, aiutami – lo pregò con entusiasmo ed energia incontenibili, doti che insieme all’ingegnosità e all’avvenenza lo avevano fatto innamorare perdutamente di lei.
Nonostante conoscesse bene le sue motivazioni, tentò comunque di distoglierla da quell’intento che l’avrebbe solo portata ad una prematura dipartita:
- Non servirebbe a nulla! Ti mancherebbe comunque la sfera in possesso di Freezer.
- A recuperare quella ci penserà in qualche modo Vegeta – sostenne schiettamente lei, stringendosi nelle spalle e abbassando la fronte, una lieve palpitazione a sollevarle il petto.
La confidenza con cui pronunciò il nome di quell’esecrabile assassino che li aveva fatti penare lo annichilì. Dubbio, insicurezza, rancore, gelosia gli stritolarono il cuore al pensiero che durante il suo allontanamento tra lei e quell’anima dannata potesse essere successo quel che aveva temuto sin dal primo istante.
Chiudendo le mani sulle sue che erano strette ostinatamente sulla bussola, provò ancora a persuaderla: - Senti. Ci sono i soldati della Marina dei Sette Regni lì fuori. Pronti ad arrestarvi tutti e a scortarvi al patibolo. È con loro che sono arrivato.
- Cosa? Tu? – la piratessa avrebbe voluto sprofondare. Lo considerava un amico, forse qualcosa di più, aveva penato per lui non sapendo se era stata colpevole della sua scomparsa, ma adesso si rendeva conto che non avrebbe più potuto fare affidamento neanche su di lui, perché si era venduto – Sei un doppiogiochista – lo tacciò disillusa.
- Se ti consegnerai come ho fatto io, sarai risparmiata – non desistette l’ex compagno di bordo, realmente preoccupato della sua sorte, manifestando la volontà di trarla con sé.
Bulma si liberò del braccio che le aveva avvolto attorno alla vita: - Tu non capisci. Io non posso continuare a vivere a metà. Non posso … - singhiozzò fuggendo e confondendosi tra la folla, senza che lui potesse raggiungerla.
Yamcha imprecò contro se stesso, la voglia di rivalsa gli fece andare il sangue al cervello. Rinunciando a inseguirla, aggirò alcune coppiette che amoreggiavano e scherzavano con il preciso intento di affrontare il suo rivale, ma fu distratto dall’avvistare qualcuno che aveva già incontrato da qualche parte, più precisamente sulla Bloody Wench.
La cosa bizzarra era che quell’energumeno ora indossava l’uniforme delle guardie reali.

Era già la terza volta che perlustrava il perimetro del Palazzo e non aveva ancora notato niente di anomalo. Poi però gli sembrò di vedere facce nuove tra i piantoni e pensò fosse strano che neanche a metà serata avessero già fatto il cambio della guardia. Qualcosa non quadrava. Incalzato da una viscerale sensazione di allarme, lisciando il codolo della spada, senza aspettare ulteriori rinforzi, puntò dritto verso l’ingresso e nella concitazione del momento inciampò in qualcuno cui diede una spallata.
- Desolato, non vi avevo visto – farfugliò frettolosamente, fermandosi però a fissare con indebita insistenza quel tipo dalla particolare foggia di capelli con cui si era scontrato, il quale lo corrispose per qualche secondo. Il suo intenso sguardo di onice contornato da folte sopracciglia corrugate da un tacito dubbio aveva qualcosa di aristocratico e allo stesso tempo selvatico.
Lo scarmigliato e altezzoso gentiluomo in livrea blu mugugnò sottovoce una bestemmia, proseguendo per i fatti suoi e il tenente Son Goku entrò a sua volta, sperando di rintracciare qualcuno dei suoi compagni.

holly-kissmebulma

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Capitolo 34
*** XXXIV: Trouble ***


Carissimi lettori,
rieccomi ad aggiornare questa storia infinita dopo un imperdonabile ritardo di mesi, di cui mi scuso e mi pento amaramente T_T
Purtroppo impegni contingenti uniti a distrazioni, apatia, mancanza di ispirazione e di concentrazione mi hanno portata a dare priorità ad altro e ad abbandonare nuovamente la scrittura di questa ff che avrei sperato di concludere già l'anno scorso, avendo pronta la scaletta definitiva.
Con mio grande dispiacere mi sono resa conto che più ci si allontana dalla scrittura, più ci si arrugginisce e alla fine anche la scena più semplice, che si ha in mente da tanto tempo, diventa difficile da mettere nero su bianco.
Comunque sia, spero di fare cosa gradita a quanti ancora aspettavano, a quanti avranno voglia di imbarcarsi, e mi auspico vivamente di riuscire poco a poco a continuare a scrivere: tra un contrattempo e l'altro è stato un piacevole diversivo potermi immergere di nuovo in questo universo alternativo.
Con questo nuovo movimentato capitolo mi auguro di non deludere le aspettative e di riuscire ad intrattenervi ancora.
Ringraziando quanti hanno messo questa storia tra le preferite/seguite/ricordate, vi porgo i miei auguri di serene festività, nonostante i tempi difficili.
Buona lettura e al prossimo approdo!)


XXXIV: TROUBLE

Il formicolio alla spina dorsale cominciava a diventare insistente, al pari di quel bell’imbusto che, dal momento in cui l’aveva affabilmente approcciata, si stava dilungando con astratte disquisizioni storico-filosofiche che esulavano dal suo peraltro variegato campo di interesse.
Quello statuario cavaliere di bianco vestito sfoggiava delle magnetiche iridi di un’intensa tonalità ambrata incorniciate da lineamenti scolpiti, era colto, misurato ed elegante nei modi, raffinato nel parlare ed estremamente cortese. Uno di quei tipi perfetti per cui in un’altra vita avrebbe potuto perdere completamente la testa. E forse, se lo avesse incontrato in tutt’altre circostanze, con uno stato d’animo diverso, gli avrebbe dato spago molto volentieri.
Al momento però quel suo innegabile charme rappresentava un impedimento, perché lei aveva parecchia fretta di trovare ciò che stava cercando e di fuggire il più lontano possibile da quel posto per non rischiare di finire a marcire in qualche putrida prigione o, peggio ancora, a penzolare esanime su una forca.
Vedeva quella sua bocca sottile muoversi, ma non riusciva a udire una parola, distratta com’era dal percepire i polpacci irrigidirsi ogni minuto di più e dall’avvertire l’incalzante ticchettio del localizzatore che ciondolava sul suo fianco destro.
- Mi rincresce interrompervi, ma ho davvero bisogno di prendere una boccata d’aria fresca! – lo congedò molto sbrigativamente, esibendo la sua migliore espressione angelica.
L’aitante cavaliere dalla lunga treccia verde rame, dissimulando un leggero moto di contrarietà, si piegò ad eseguire un galante baciamano: - Confido di rivedervi molto presto, mademoiselle – sussurrò mellifluo, un luccichio ambiguo nella dentatura dal candore impeccabile.
Bulma, pervasa da una strana sensazione di disagio, ritrasse le dita su cui sentiva già gemmare le conchiglie, e, abbozzando un sorriso artefatto, si defilò a passo sostenuto, ma, anziché dirigersi a una delle terrazze o in giardino, si addentrò ancora di più tra quel turbinio di crinoline e parrucche, guidata dalle indicazioni suggerite dalla bussola e dall’urgenza di tornare a bordo prima che le sue gambe scomparissero, sostituite da un imbarazzante paio di pinne color smeraldo.
Continuando a seguire scrupolosamente le oscillazioni dall’ago magnetico, si ritrovò in fondo al grande salone, delimitato da una scenografica scalinata ad arco che, aprendosi in due grandi ali simmetriche, racchiudeva al suo interno il sontuoso trono ricoperto da un baldacchino foderato in velluto carminio e sfavillanti inserti dorati.
I suoi occhi blu oltremare brillarono per la meraviglia, accendendosi poi per l’emozione nello scorgere qualcosa risplendere di una luminescenza ben nota.

Due occhi obliqui, intrisi del colore della notte più tetra, avevano intanto osservato con vivo interesse misto ad avversione tutti i suoi movimenti. Una volta rientrato, a mani desolatamente vuote, non era stato difficile per lui individuarla, incupendosi ancora di più nel vederla civettare allegramente con quel narciso dal colorito pallido.
Per quella femmina vanesia e avventata evidentemente era inevitabile perdersi in stucchevolezze, rimasticò, nauseato da uno sgradevole rimescolio, ma lui non era più incline a dover reggere quella stupida e sterile pantomima, né a restare un minuto di più relegato in quello spazio affollato e opprimente. Avrebbe preferito di gran lunga trovarsi su una zattera nel mezzo di una violenta tempesta, piuttosto che in quella babilonia scalmanata e sudaticcia.
Oltretutto aveva visto bazzicare troppa gente che non lo convinceva e cominciava ad avere lo spiacevole sentore di essere braccato.
Scorgendola appartarsi dal resto degli invitati e appostarsi seminascosta dietro il pesante drappo di una tenda in broccato, Capitan Vegeta si fece largo il più furtivamente possibile tra quella massa scomposta di umanità gozzovigliante e pacchiana, raggiungendola con un paio di falcate per impedire che commettesse qualche altra sciocchezza.
- Il tempo per le manfrine è scaduto. Adesso si passa al mio piano – fiatò con scabrezza contro la pelle lattea delle sue scapole esposte, che nell’avvertire il suo sbuffo rabbioso furono scosse da un sussulto rabbrividito.
Bulma lo trafisse con un’occhiataccia, impermalendosi per la sua solita ostentazione di arroganza e malafede; malgrado ciò, trovò quasi salvifico il suo palesarsi e non badò più di tanto alla sua spocchiosa asserzione.
Gli poggiò una mano sul gomito, invitandolo a spostarsi dietro un’imponente colonna di marmo rosso: - Si era detto una parte e mezzo del bottino, giusto? Mi auguro che frattanto i tuoi uomini si siano dati da fare – ironizzò con una strizzata d’occhio, ammiccando furbescamente al buffo individuo impellicciato assiso su un’alta seggiola che gesticolava con uno scettro sulla cui punta scintillava un bagliore molto familiare.
Il ronzio della bussola si era intensificato, e, sbirciando nella propria saccoccia, Vegeta notò che anche le sue due sfere erano diventate significativamente più luminose.
- Ci occorre ideare alla svelta un buon espediente per sottrargliela da sotto il naso senza farci notare – lo esortò la complice, continuando a tenersi attaccata alla sua spalla, in preda alle leggere vertigini che precedevano la sua trasformazione.
Lui si svincolò da quella sgradita confidenza, arricciando un angolo della bocca: - Niente di più facile – asserì con sprezzo, estraendo lentamente la pistola occultata nel farsetto, quel tanto che bastava a posarne la canna metallica nell’incavo del braccio e assumere la giusta inclinazione per centrare l’obiettivo mobile da quella considerevole distanza.
Era indeciso se fargli semplicemente saltare una mano o se invece fargli esplodere le cervella, così da approfittare del terrore che si sarebbe scatenato, ma, proprio mentre stava socchiudendo una palpebra ad aggiustare la mira, Bulma, con un tempismo pessimo, si frappose tra lui e il suo bersaglio, occupandogli la visuale di tiro, facendogli sfumare l’occasione propizia.
Maledicendo gli imprevedibili ghiribizzi di quella scriteriata, Capitan Vegeta rinfoderò la pistola con uno scatto astioso, e, senza capire esattamente né come né perché, la tallonò, approssimandosi anche lui a quel nanerottolo che di regale, a parte il cipiglio sdegnoso e tirannico, aveva ben poco. Semmai, guardandolo da quella prospettiva ravvicinata, gli sembrò più simile ad un giullare di corte, con quella statura rachitica e sgraziata, la grossa testa sproporzionata, la carnagione violacea e un discutibile gusto nella scelta degli abiti, che erano un’accozzaglia discordante di stili e tessuti diversi.
Eppure, chissà per quale fortuita casualità, aveva avuto l’indebita fortuna di possedere proprio una delle magiche sfere del Drago.
- Vostra altezza – scandì con voce leziosa e acuta la Brief, scavalcando senza troppi complimenti gli altri ospiti blasonati che a turno si rivolgevano a lui incensandolo con doni preziosi, sorprendentemente ignari che ne possedesse già uno il cui inestimabile valore superava largamente tutti gli altri tesori del mondo.
Lo stravagante monarca la squadrò con supponenza dall’alto del suo fastoso seggiolone, due rughe marcate gli solcarono la fronte larga e schiacciata da un copricapo simile ad una papalina: - Non ho il piacere di conoscervi … – bofonchiò sfuggente e sgarbato, offendendosi perché, a differenza degli altri ospiti, quell’impertinente dama non recava con sé alcun regalo per lui e non stava neanche inchinandosi con l’ossequio che si aspettava di ricevere.
- Bulma Brief, cartografa, inventrice ed esploratrice – si presentò con baldanza la piratessa in incognito – Per servirvi – aggiunse profondendosi in un incantevole sorriso.  
- Non ricordo che il vostro nome fosse sulla lista degli invitati – s’intromise la guardia personale dell’imperatore, una donna dall’espressione rigida e arcigna velata da una lunga capigliatura incolta che ricadeva con due falde ai lati del viso spigoloso, sfoderando il proprio spadino e puntandolo contro di lei, mentre il cane accoccolato ai piedi del sovrano si drizzò sulle zampe cominciando ad abbaiare minaccioso.
- Mai, mia cara, non essere prevenuta. Nessuno può eludere il nostro efficacissimo sistema di sorveglianza – Pilaf rimbrottò con fare annoiato la solerte soldatessa – A cuccia, Shu – ordinò poi al petulante quadrupede. Era troppo intrigato dalla possibilità di assoldare quella sedicente avventuriera per espandere i confini dei suoi possedimenti, per dare peso alla loro eccessiva diffidenza nei riguardi di qualsiasi estraneo lo avvicinasse.
- Già, è probabile che me ne sia dimenticata. Che sbadata! – farfugliò impacciata la sua guardaspalle con una risatina stridula, smarrendo quell’aura austera.
Bulma allora, confidando nella sua forza persuasiva per ingraziarsi quell’interlocutore che le pareva già bendisposto nei suoi confronti, riprese la parola: - Maestà, dovete sapere che buona parte delle carte nautiche e delle effemeridi che circolano per i sette mari sono opera mia. E vanno letteralmente a ruba per la perizia con cui sono realizzate. Inoltre ho portato qui per voi un prototipo esclusivo, che non ho mai venduto a nessuno. Ecco vedete queste mappe? Sono tascabili! – puntualizzò con vanteria, srotolando alcuni esemplari di pergamena finemente disegnata che tirò fuori da un astuccio di legno cilindrico delle dimensioni poco superiori ad un palmo, nascosto in precedenza in una tasca della gonna.
Quelle speciali invenzioni erano le armi di cui si era premunita per il suo personale assalto, speranzosa di riuscire a mercanteggiare la cessione della sfera senza dover combattere.
Continuava a ciarlare indefessa sotto lo sguardo attonito e insofferente di Vegeta, che, non riuscendo a capire quale cervellotico inganno avesse in mente, mordeva il freno, accarezzando inquieto le proprie armi occultate nel farsetto, cominciando a sudare bile per la smania di agire a modo suo.
L’eccentrico despota tuttavia pareva conquistato dalla sfrontata eloquenza di quell’abile truffatrice: - Affascinante – mormorò, mentre lisciava distrattamente il globo luminescente incastonato sulla sommità del bastone aureo. Solo in quell’istante i suoi occhietti infossati si accorsero dell’ombroso gentiluomo ritto dietro di lei a braccia incrociate, con impresso in volto un cipiglio a dir poco corrucciato: - E lui? È il vostro consorte?
Tentando di nascondere l’entusiasmo di essere ad un soffio dal bottino tanto anelato, la piratessa si voltò indietro, degnando appena di attenzione il compagno di sventura, visibilmente maldisposto: - Ma chi? Quello stoccafisso? Oh, no! Per carità! Sono solo un ospite di passaggio sulla sua nave – si affrettò a negare ogni possibile coinvolgimento, premendo a riportare l’interesse del sovrano su di sé.
A Pilaf, però, quel tipo dall’aspetto bieco che lo fissava in cagnesco cominciava ad incutere una certa inquietudine: - E qual è il vostro nome, signore? – domandò con falsa cortesia, dondolando sul bordo del sedile i calzari gialli con le punte all’insù.
Bulma tentò nuovamente di prevenire una sua risposta, ma Capitan Vegeta stavolta la precedette, scartandola di lato e sorpassandola: - Ne ho abbastanza di questa buffonata! – scoppiò rancoroso, estraendo d’impeto la pistola e rivolgendola contro l’imperatore.
Avvenne tutto in una frazione di secondo.
Il rumore secco e folgorante di uno sparo detonò, una pallottola di piombo attraversò l’aria e lo scettro dorato venne decapitato del suo fulgido gioiello che volò via, schizzando dalla parte opposta della sala, in mezzo alla folla danzante.
Pilaf, vedutosi sottrarre in un battibaleno il simbolo del suo potere, scoppiò a piagnucolare terrorizzato, scuotendo incredulo la mano rimasta miracolosamente illesa, mentre veniva trascinato a forza dietro il trono dai suoi solerti servitori.
Bulma strillando si gettò impulsivamente a terra, rannicchiandosi con la testa tra le braccia, Vegeta invece era rimasto con il braccio teso davanti a sé e l’indice ancora piegato sul grilletto, urtato e scombussolato perché non era stato lui a far esplodere quel colpo andato a segno in maniera tanto netta.
Non poté indulgere oltre in quella riflessione, che altri proiettili deflagrarono e s’infransero fischiando su di loro, obbligandoli a spostarsi sotto la copertura del baldacchino.
L’orchestra posta poco più in là cessò bruscamente di suonare, il brusio delle chiacchiere divenne un boato di urla spaurite e in breve le reazioni d’istinto ebbero il sopravvento, scatenando una precipitosa fuga generale, che si tramutò in caotica ressa per mettersi al riparo e raggiungere le più vicine vie d’uscita.
- Ma dove sono finiti tutti gli altri? – si angosciò la Brief, la voce che, impregnata dall’irritazione e dallo spaurimento, aveva raggiunto oramai tonalità altissime – I tuoi non dovevano coprirci le spalle?
Il pirata, ignorando le sue rimostranze, si liberò con stizza dell’intralciante giacca a coda e sguainò contemporaneamente la sciabola, usandola da scudo per tentare di schivare la forsennata scarica di piombini che lo investì non appena tornò allo scoperto. Il suo sguardo furente saettò sul loggiato posto in cima allo scalone doppio e intercettò il luccichio di una lunga canna metallica occhieggiare tra le colonnine a sostegno della ringhiera.
Dovevano esserci dei tiratori scelti, poiché, dopo aver messo a segno quella prima pallottola ben assestata, ora stavano centrando con gran precisione i bracieri dei lampadari, provocando un'insidiosa tempesta di cera bollente e cristalli. Quegli stessi proiettili stavano crivellando anche gente a caso. Gli fu evidente che quel qualcuno di cui aveva subodorato la minacciosa presenza avesse orchestrato uno strategico attacco dall’alto per intralciare il loro tentativo di furto, creare tafferugli e poter agire indisturbato.
- Me la vedrò io con quei luridi vigliacchi. Tu smettila di frignare e vedi di recuperare quella dannata sfera! – sbraitò Capitan Vegeta all’indirizzo della mezza sirena ancora accovacciata dietro il trono, immobile e tremante. Così dicendo, sobillato dalla propria incontenibile voglia di conoscere e annientare quell’avversario tanto subdolo e accanito, si fiondò a rotta di collo sulla prima rampa di scale alla sua sinistra.
Ma non era stato l’unico a scorgere quel riverbero. Qualcun altro in quello stesso momento si precipitò con altrettanta rapidità su per la scalinata opposta, intenzionato a rendere innocuo l’artefice di quell'agguato.

- Che sta succedendo? Guardie! Come ha fatto tutta questa gentaglia ad entrare nel mio bellissimo palazzo! Dove sono finite le mie guardie?! Vi pago fior di soldoni! Esigo una spiegazione! È il peggior anniversario della mia vita! Branco di lestofanti! Idioti! Buoni a nulla! – Pilaf inveiva e strepitava nella sua vistosa gorgiera che, agitandosi, rischiava quasi di strozzarlo, trattenuto e consolato a stento da Mai e Shu che, aprendo un passaggio segreto sul fondo della parete, lo portarono via dal pericolo incombente.

Imprecando per la fitta all’addome, con ginocchia traballanti Bulma riafferrò saldamente tra le mani la bussola cerca-sfere e si costrinse a lottare contro l’atavica debolezza che cominciava ad opprimere inequivocabilmente i suoi sensi, ogni minuto di più. Lasciando la temporanea copertura, prese un lungo e profondo respiro e si mescolò alla caotica bolgia in cui si era trasformata la festa, pregando di non essere travolta e calpestata.
La sparatoria aveva disseminato un prato di schegge iridescenti, rendendo sdrucciolo e tagliente il piano di calpestio. E già in tanti vi erano scivolati, tagliandosi orribilmente.
Annaspò, avanzando a piccoli passi, paventando di inciampare su qualche coccio di vetro o in qualche ferito, facendosi spazio a gomitate, frastornata e intimorita dalla possibilità di perdere l’equilibrio o di essere centrata da qualche altra pallottola vagante, quando d’un tratto tra quella ridda impazzita adocchiò un brillio pulsante e ambrato.
Squittì di gioia. Doveva sbrigarsi, prima che le gambe la abbandonassero definitivamente. C’era quasi, doveva solo piegarsi e raccoglierla. Proprio mentre stava per sfiorarla, però, venne spintonata, si sentì strappare la parrucca, qualcun altro passando di corsa le rifilò uno sgambetto, facendola crollare sul pavimento con un sonoro tonfo.
La sua visione si offuscò per qualche istante, poi, con sconforto, distinse il tanto bramato oggetto sferico rimbalzare via e allontanarsi inesorabilmente da lei, scalciato di qua e di là, tra tacchi e ghette, pizzi e merletti.

Come un gabbiano che si lanciava in picchiata sulla cresta delle onde per adunghiare la sua ambita preda, Capitan Vegeta piombò a spada tratta sulla balconata dalla quale aveva calcolato provenire l’inaspettata raffica di spari che stava pregiudicando il suo piano d’azione.
Aveva opinato di imbattersi in un piccolo, ben addestrato plotone di esecuzione, armato di moschetti, invece fu sbalordito di appurare che dietro tutta quella furia di colpi ci fosse una sola persona, per l’esattezza un tipo che all’apparenza era poco più di uno sbarbatello.
Uno sbarbatello con un’impressionante abilità di tiro. I lunghi capelli neri e lisci ondeggiavano, sottolineando ogni sua rapida movenza. Accanto a sé aveva una nutrita scorta di pistole a pietra focaia e fucili, meticolosamente allineati, per cui non sprecava secondi preziosi a ricaricare, ed era velocissimo a mirare e colpire con metodica precisione.
A qualche metro dalle sue spalle giacevano i cadaveri sgozzati di quattro guardie del palazzo, che probabilmente avevano miseramente fallito nell’ostacolarlo. Ma lui non lo avrebbe mai lasciato sfuggire tutto intero, non prima di sapere se fosse al soldo di quell’essere immondo di Freezer.
Impugnò il trombone1 e sparò, disarmandolo dello schioppo che stava maneggiando.
Il pallino plumbeo graffiò il dorso del guanto di cuoio di quel tipo smilzo che scattò su sorpreso, scoccandogli due occhi algidi e brucianti: - Fine del divertimento. O forse no … - sbiascicò con sottile compiacimento, mettendosi in piedi, ben esposto.
Vegeta si lanciò ferocemente contro di lui, deciso a passarlo col filo della sua sciabola affilata e appuntita, ma quello fu subito pronto a contrattaccare, opponendogli una daga che si sfilò fulmineamente dalla cintura.
Nonostante la sproporzione tra le due lame e tra le muscolature dei loro rispettivi possessori, il combattimento tra i due divenne concitato, eppure il bellicoso pirata fu ben presto snervato dall’atteggiamento indolente di quel rivale che traccheggiava, limitandosi più che altro ad usare i suoi riflessi scattanti per respingere tutti i suoi assalti, non provando mai ad attaccarlo davvero con degli affondi degni di nota.
Non bastando ciò, forse perché a corto di esperienza o forse soltanto per lo sfizio di provocarlo ancora di più, quel giovane imberbe attuò un paio di finte, facendo pressione con i palmi legò l’acciaio al suo, e, a tradimento, gli assestò una ginocchiata sull’inguine.
Le iridi di carbone di Vegeta rifulsero di cocente rabbia: - Razza di pivello! Non sai fare di meglio?! Piantala con i giochetti e combatti da vero uomo! – lo respinse con spregio, cozzando su di lui con irruenza, aggredendolo con una frenetica serie di mandritti e stoccate, senza dar segno di aver sofferto alcuna conseguenza da quella sleale mossa, che aveva piuttosto sfregiato il suo senso dell’onore.
Il ghigno infingardo che balenava sul volto allungato di Diciassette per un attimo si attenuò, punto dall’inscalfibile furore del saiyan. Saltò indietro e tornò alla carica, estraendo una seconda spada corta da uno stivale, l’altro lo prese in controtempo, obbligandolo più volte a incrociare entrambe le lame davanti a sé per pararsi dai suoi violenti fendenti, a deviare con finte e mulinelli i suoi pressanti tentativi di rompere la sua difesa per raggiungere punti vitali.
Con un'imbroccata2 diritta alla spalla destra, il Capitano riuscì infine a disarmarlo della spada più lunga, facendogliela volare via e approfittò del suo momentaneo intontimento per sferrargli un micidiale pugno sulla mascella che lo sbalestrò: - Parla, moccioso! Chi ti manda? Perché sei qui? – sputò acrimonioso, privandolo con un brusco montante anche dell’altra spada.
- Mi piacciono le feste – lo schernì con invidiabile calma il ragazzo sconfitto, massaggiandosi il labbro contuso.
Il vincitore lo fece indietreggiare, bloccandolo tra il suo torace ansante e il parapetto: - Se non parli, ti ridurrò in brandelli così piccoli che neanche all’Inferno potranno più riconoscerti – lo irrise crudelmente, premendo la punta ritorta e consunta della sciabola sulla sua guancia glabra e tenera come quella di un bambino.
Le palpebre del giovane mercenario non accennarono alcun tremore, anzi un sorriso beffardo si tratteggiò sulle sue labbra sottili mentre faceva scorrere da sotto la manica uno stiletto, drizzandolo e pungolandogli la gola.
Vegeta, stizzito da quell’infida contromossa, strinse il pomo, aumentando la pressione. Avrebbe eliminato quello sfrontato bricconcello senza tanti complimenti, dopotutto era soltanto un burattino manovrato da altri, un tassello irrilevante, un pesce piccolo. L’imminente vendetta che agognava di compiere avrebbe richiesto l’impiego di ben altro sforzo per regolare i conti con il suo vero grande nemico.
- Ci ho ripensato. In fondo non mi servi a nulla vivo – lo tacciò crudamente, pronto a infliggere il colpo fatale, pur avvertendo le prime gocce di sangue solleticargli il collo esposto alla punta aguzza del suo pugnale.
Un terzo lucido acciaio s’incuneò repentino tra le loro lame incrociate, cavandole con un tocco traverso: - Fermi, voi due!  Siete in arresto!
I due contendenti si voltarono all’unisono trovandosi davanti quello che all’apparenza sembrava un giovane e ingenuo soldato, infiammato però da uno sguardo serio e determinato: - Sono il Tenente Son Goku, della Marina dei Sette Regni. E sono qui per assicurarvi alla giustizia – precisò con risolutezza, sollevando la spada sopra di sé, assumendo una posizione di guardia.
Con suo sommo rammarico non era riuscito a salvare tutti i civili presenti, ma avrebbe dato tutto se stesso per impedire che ci fossero altre morti innocenti.
Diciassette con una capriola all’indietro riuscì a svicolarsi per recuperare le sue armi, Vegeta cercò di riprendere la sua pistola per sottrarsi ad un altro evitabile scontro, ma il valente marinaio vanificò le mosse di entrambi, calciando via le daghe del primo e colpendo con uno sgualembro3 il braccio del secondo.
La sua straordinaria prontezza di riflessi lasciò intuire ai due briganti che, nonostante la giovane età e quella faccia onesta e pulita, non doveva trattarsi del primo sprovveduto mandato allo sbaraglio a combattere contro uomini ben più scafati di lui.
Le pupille di Goku si posavano vigili e impazienti, ora sull’uno ora sull’altro furfante.
Superare quel teso stallo era questione di attimi e a cogliere lo sprazzo per sferrare un primo colpo fu proprio il segaligno pirata dagli occhi cerulei che estrasse dalla bandoliera alcune stelle metalliche dentate, scagliandole contro i due avversari che tuttavia le schivarono con pari velocità, rincorrendolo e costringendolo a brandire l’elsa.
Le tre lame collisero, sferragliarono, stridettero, le gambe tracciarono cerchi sempre più stretti, le braccia vibrarono tiri sempre più veementi, volti a trapassare la carne.
Nessuno retrocedeva né mostrava l’intenzione di volersi arrendere.
Un’esplosione assordante proveniente dall’esterno risuonò come un segnale di ritirata per il giovane Diciassette, che balzò a cavallo della balaustra: - Signori, è stato un piacere! Alla prossima! – ridacchiò beffardo, usando il corrimano di marmo come scivolo per scendere al piano inferiore. Gli altri due si erano accorti troppo tardi che quella furba canaglia aveva condotto il duello proprio in quel punto della balconata per poter fuggire alla prima occasione favorevole.
- Maledetto bastardello! Non pensare di farla franca! – lo apostrofò imbestialito Vegeta, preparandosi a inseguirlo.
- Capitan Vegeta, vi dichiaro in arresto per i crimini di pirateria, contrabbando, omicidio e rapimento – lo anticipò il tenente Son, rivolgendo la spada all’altezza del suo sterno.
Non si stupì che quel subalterno conoscesse la sua identità, e, anche se finora si era rivelato meno inetto del previsto, lui non era propenso a battersi ancora con un altro piantagrane:
- Ma davvero? Non ho tempo per queste stronzate! – liquidò la sua irrisoria intimidazione, rimuovendosi l’oggetto contundente di dosso.
Non aveva fatto i conti con l’ostinazione e il senso del dovere del suo altro rivale, che gli si parò davanti, impedendogli di raggiungere la scalinata, fissandolo con atteggiamento di sfida, fermo, impavido, saldo come un albero maestro, istigandolo a sguainare di nuovo la sua sciabola.
Il Capitano della Bloody Wench si tese in avanti e scoprì i denti in un sorriso belluino: - Ne deduco che sei ansioso di conoscere il colore dei tuoi intestini …
Goku contrasse tutti i muscoli e flesse le gambe, portando gli avambracci al tronco, predisponendosi a contrattaccare: - Non illuderti. Non avrai vita facile con me.

Il peggiore incubo da lei paventato probabilmente stava per realizzarsi.
Stentava a controllare gli arti inferiori, ormai stava strisciando affannosamente come una biscia, trascinandosi a forza con i gomiti e con le unghie, tra i resti di quel ricevimento conclusosi in tragedia.
Metà degli ospiti era riuscita a scappare e mettersi in salvo, molti altri rimanevano in attesa di soccorsi, qualche guardia più ligia combatteva ancora gli assalitori e i ladri che stavano dandosi a bisbocce e saccheggi.
Nonostante ciò, Bulma si rifiutava di cedere allo scoraggiamento, sarebbe equivalso ad un viaggio a vuoto, un fallimento che non poteva contemplare.
Anche quell’irriconoscente, dissennato filibustiere si fidava di lei, si erano accordati per dividersi affinché potessero avere maggiori possibilità di riuscita nel ritrovamento di quell’ultima sfera, perciò continuò ad avanzare carponi, sdrucendo lo splendido abito d’organza, scorticandosi i polsi.
Niente e nessuno avrebbe potuto frapporsi tra lei e quel tesoro, sulla cui ricerca aveva investito un decennio della sua esistenza mortale.
Trattenne il fiato trovandosi finalmente a poche spanne, sempre meno distante con solo un’altra piccola spinta di reni.
Ormai c’era. Stese la mano destra, le sue falangi erano divenute palmate e la loro presa poco prensile, così quella biglia capricciosa rotolò ancora via dalle sue dita, anche se non moltissimo.
Ripeté la stessa sequenza di azioni, si allungò, sfiorò la superficie sferica, cercando di calibrare al millimetro lo scarso appiglio di cui disponeva.
La suola di uno stivaletto fermò l’ennesimo sgusciare del globo arancione.
Bulma risollevò la fronte da terra, incontrando il viso inespressivo di una graziosa ragazza bionda abbigliata con abiti maschili: - Questa viene via con me, donna pesce. E anche tu.



Pilaf
1Trombone: pistola dalla limitata precisione che i pirati usavano solo a distanza ravvicinata; come il moschetto, era appoggiato alla spalla, ma la canna corta rendeva il trombone più maneggevole sul ponte della nave, beccheggiante e affollato. A distanza ravvicinata poteva fare letteralmente a pezzi l’avversario.
2Imbroccata: consiste in un affondo portato passando sopra la lama avversaria generalmente quindi questo colpo è indirizzato al petto, alle spalle o al volto dell’avversario.
3Sgualembro: via di mezzo tra un fendente e un tondo, è il classico colpo che viene portato a spalle o braccia dell`avversario

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Capitolo 35
*** XXXV: The fleeting moment ***


Salute a tutti/e ^_^
Finalmente riesco a riapprodare tra questi lidi con un nuovo capitolo che ho impiegato molto più di quanto avessi previsto a stendere, tra intoppi, indecisioni, riscritture e più seri e dispendiosi impegni concomitanti, che ahimé, non mancano mai ^^"
Si tratta di un capitolo in cui ho tentato di concentrare l'azione e di coinvolgere un bel po' di personaggi: spero come sempre che sia di vostro gradimento e che la lunga attesa sia ripagata.
Alla conclusione di questa storia mancano oramai pochissimi capitoli (non più di tre/quattro), ma nelle prossime settimane sarò nuovamente impegnata con lo studio matto e disperatissimo per un concorso, per cui sarò costretta a rimettere in stand by la scrittura :/

Ringrazio i numerosi lettori che si sono aggiunti, nonché tutti coloro che mi hanno fatto avere un segno della loro presenza e del loro sostegno inserendo la ff tra le seguite/preferite/ricordate: senza il vostro costante appoggio, probabilmente avrei lasciato questa storia inconclusa per sempre ^^
Vi ricordo che, se volete, potete anche seguirmi sulla mia pagina Fb dove di tanto in tanto pubblico qualche anticipazione ;)

Buona estate e al prossimo approdo!)

Ps. Il bellissimo disegno che potete ammirare a fondo pagina è ancora una volta una gentile concessione di mia sorella, cui l'ho commissionato appositamente :)


XXXV – THE FLEETING MOMENT

Inclinò il busto all’indietro, scansando per un soffio l’acciaio affilatissimo che gli baluginò minacciosamente davanti agli occhi, rimediando soltanto un largo squarcio sul bavero, che si sommò a quelli subiti sui pantaloni e su entrambe le maniche della giacca già sbrindellata di cui si liberò, per migliorare la scioltezza delle sue movenze.
C’era mancato davvero poco che quella sciabola arrotata gli mozzasse la gola.
Non poteva permettersi di abbassare la guardia neanche per mezzo secondo: quel Vegeta era davvero una furia scatenata! Malgrado non fosse di statura eccelsa, il suo fisico flessuoso e massiccio possedeva una forza disumana, e lui combatteva sfruttandone ogni muscolo, aggredendolo con qualsiasi tipo di colpo, lecito e illecito, di punta, di diagonale, di pomo e di stocco, talvolta anche impiegando calci e gomitate, senza dargli un attimo di tregua. I suoi attacchi erano feroci, fulminei, implacabili, arrivavano da qualsiasi direzione ed erano finalizzati incontrovertibilmente a uccidere.
Per la prima volta Goku si ritrovò a pensare che, se si fosse sentito troppo sicuro di sé o se distraendosi un po’ gli avesse lasciato intuire anche un suo minuscolo punto debole, avrebbe potuto benissimo lasciarci la pelle. Eppure quell’eventualità, per qualche recondita e inesplicabile ragione, lo galvanizzava e lo spronava a dare di più.
Respinse altri due assalti rapidissimi e scattò in avanti, sferzando ripetutamente la lama del pirata che si oppose energicamente alla sua, fino a emettere scintille, fino quasi a sentirla incrinarsi.
- La tua fama non è immeritata. Mi stai tenendo parecchio impegnato – ammise con schiettezza e divertimento, riuscendo a stento a cavarsi da quel legamento e riguadagnare lo spazio minimo per evitare di essere infilzato.
Il suo pugnace oppositore passò subito al contrattacco, scagliandogli contro una sfilza di pugnali estratti dal farsetto, che lui deviò con la sua spada, spostandosi poi lateralmente con una capriola, guadagnandosi qualche altro graffio superficiale.
- Adesso mi stai davvero irritando! Togliti di mezzo! – sbottò esacerbato il pirata, lanciandosi in scivolata su un ginocchio e tirandogli dal basso un allungo diretto a trafiggergli il ventre, ma l’agile sottoufficiale con una piroetta a mezz’aria gli fu alle spalle, restando in bilico sulla balaustra e poi, calando su di lui, tentò di restituirgli un colpo di volata, cui quello riuscì prontamente a sottrarsi, inarcando la schiena e compiendo un triplo giro su se stesso, atterrando ora sulle piante dei piedi ora sui palmi delle mani.
Soffocando un ringhio mentre si ripuliva il sottile rivolo rossastro sgorgato da un taglio superficiale allo zigomo, Vegeta tornò di nuovo in posizione eretta, la sciabola ben salda in pugno, spostando il baricentro in avanti, muovendosi in tondo, riducendo gradualmente ad ogni stridente toccata di battuta e di striscio le distanze con il tenace rivale.
Aveva creduto di poter chiudere lo scontro in poche mosse, invece, contro ogni sua previsione, quel giovane soldato, all’apparenza imprudente e impulsivo, era tutt’altro che un dilettante, anzi si stava rivelando un avversario piuttosto ostico. Il suo stile di combattimento era fondato su una tecnica semplice, pulita, priva di scorrettezze, corroborata però da resistenza, fervore, lucidità e neanche un accenno di arrendevolezza. Sembrava quasi si stesse fomentando a confrontarsi con lui.
Era reattivo, veloce, intuitivo, studiava le sue azioni e imparava presto a contrattaccare. Non riusciva a coglierlo in fallo, schivava con destrezza un colpo dopo l’altro e, non appena gli offriva la minima apertura, arrivava a portare a termine affondi pericolosi.
Le due sonanti lame avevano ripreso a incrociarsi forsennatamente, sibilando, stridendo, picchiando l’una sull’altra. Nessuno dei due instancabili duellanti riusciva, però, a prevalere nettamente sull’altro, alternando una frequenza elevata e costante di fendenti e montanti a tentativi reciproci di abbrancarsi e colpirsi anche con le nocche.
- Allora, bamboccio, vogliamo ricominciare a fare sul serio oppure no? – lo incalzò innervosito Vegeta, mulinando la sciabola, andandogli incontro con un rapido gioco di gambe, mirando a colpirlo agli stinchi con due incisivi ridoppi 1, così da limitare i suoi movimenti.
- Io sono pronto. Sei tu quello che continua a cincischiare – rilanciò audacemente Goku, maneggiando la spada a schermire trasversalmente l’intero corpo dalla lama spianata dello sfidante, inducendolo a rispondere con un paio di parate e di cavazioni per eludere la sua manovra volta a portare a compimento un’imbroccata2 diretta all’articolazione della sua spalla sinistra.
Riuscendo appena in tempo a non subire quella stoccata, Vegeta continuò a sciabolare con accanimento, considerando a denti serrati che forse aveva superficialmente sottovalutato chi gli stava davanti. Nonostante i suoi sforzi di camuffarlo, quel falso novellino sembrava essersi accorto della sua recente ferita, la cui sutura gli doleva ancora un po’, perché era proprio in quel punto che si stavano concentrando tutti i suoi ultimi assalti. Era giunta l’ora di mettere fine a quello scontro e alla svelta; stava concedendogli troppo tempo per capire come sfondare la sua difesa.
Riuscendo a giostrarsi con una sapiente finta, lo afferrò repentinamente per un braccio, tirandolo a sé e dandogli una testata che lo destabilizzò per qualche secondo e diede a lui modo di guardarsi intorno, soppesando tutte le circostanze.
Avrebbe potuto cercare di recuperare la pistola di cui il fervente marinaio l’aveva disarmato e freddarlo con una pallottola in piena fronte per cancellargli quell’espressione imperturbabile e sfacciata che gli si era impressa sul volto, ma in verità in quel momento, vedendoselo tornare a incalzarlo con inalterata spudoratezza, era più solleticato dalla voglia di batterlo a mani nude e di farlo a pezzi.
Quando era prossimo alla trasmutazione, tutti i suoi sensi erano amplificati, la sua sete di sangue s’intensificava, accrescendo la sua aggressività, e la smania di trucidare chiunque intralciasse il suo cammino gli annebbiava la mente.
Per imporsi doveva restare focalizzato e pronto all’eventuale uso di qualsiasi tiro mancino. Dalla sua aveva arguzia e spregiudicatezza, dote, quest’ultima, di cui quel tipo serafico e baldanzoso pareva difettare, giacché non aveva ancora sfoderato lo spadone che aveva notato pendergli dall’intarsiata bandoliera legata al fianco destro.
Anche lui aveva un’arma di riserva ma, a differenza del sin troppo onesto rivale, non avrebbe esitato oltre a sguainarla.
- Vuoi crepare? Bene! Ti accontento subito – ruggì con foga Vegeta, spiccando un salto e proiettandosi su di lui, dividendo in due metà identiche la robusta e aguzza sciabola d’abbordaggio che aveva impugnato finora e ottenendo così una seconda lama con cui sferrò una combinata mossa a sorpresa, diretta a recidergli la giugulare e a trapassargli simultaneamente il cuore.
Fu solo grazie ad un tempestivo riflesso sincronizzato che il lesto ufficiale riuscì ancora una volta a contrastare il suo micidiale attacco, arretrando con una sforbiciata e alzando con un colpo di ginocchio il filo della squarcina3 protesa al suo addome.
Goku si stupì di se stesso. Quei due fendenti potenzialmente letali lo avevano mancato rasentando a pochissimi millimetri l’obiettivo, ma la sua eccezionale prodezza non bastò a evitare l’imprevedibile contromossa dell’astuto pirata.
Infatti, con una mirabolante rotazione su se stesso, questi si capovolse, piantò le estremità delle sciabole sul pavimento e le usò come perno per reggersi, flettersi, darsi la carica, stendere le gambe e rifilargli una potente calciata al petto con entrambi i piedi.
Impreparato a rispondere in qualche modo a quel contraccolpo violento e inaspettato, il tenente Son finì scaraventato giù per la scalinata cui aveva imprudentemente voltato le spalle, rotolando e stramazzando malamente sui gradini.
Intontito da quell’indegno ruzzolone, incapace di rialzarsi per il forte pulsare della nuca e del coccige che aveva urtato nell’impatto, Goku tentò di capire se avesse riportato qualche lussazione o osso spezzato, quando avvertì una pressione consistente comprimergli la cassa toracica. Presupponendo si trattasse di qualche costola rotta, mosse faticosamente una mano per tastarsi il costato, ma i suoi polpastrelli si scontrarono con qualcosa che aveva la grezza consistenza di un consunto stivale che lo teneva ben bloccato al suolo.
Quando dischiuse fiaccamente le palpebre, nella sua visione ancora tremolante e sfocata si delineò il ghigno sbeffeggiante dell’ineffabile filibustiere.
- Sei stato spudoratamente fortunato, finora ... – sibilò con un cipiglio intinto di incontrastabile superiorità, calpestandogli il torace e facendo scorrere su di lui la sua coppia di sciabole, mimando di squarciarlo all’altezza delle budella, simile ad un avido predatore che aveva finalmente catturato e abbattuto la preda a lungo inseguita e volesse giocarci ancora un po’, pregustandone sadicamente l’uccisione.
Sforzandosi di comandare al suo corpo momentaneamente fuori combattimento di reagire, Goku ingoiò a vuoto, amareggiato dall’essersi fatto mettere in scacco dopo un duello sostanzialmente alla pari per colpa di una stupida disattenzione. Nella caduta aveva perfino perduto la sua fedele spada d’ordinanza, pur conservando ancora l’altra, quella speciale che, tenendo fede al suggerimento di Re Kaio, non aveva ritenuto opportuno sfoderare contro un nemico reputato tutto sommato non imbattibile.
Un grossolano errore di presunzione che avrebbe pagato a caro prezzo.
Ergendosi su di lui, Vegeta ricongiunse le due metà della sua sciabola riottenendo un’unica gagliarda lama che alzò sopra di sé, brandendola con entrambe le mani: - Mi hai fatto sprecare sin troppo tempo, pivello. Muori – asserì biecamente, preparandosi a trafiggergli il costato.
Dei passi scalpiccianti si approssimarono a loro, risalendo dal basso: - Signore! Nella stanza del tesoro la sfera non c’è! – vociò sconcertato il giovane marinaio Tarble4, precedendo un manipolo di reduci formato da altro canagliume di bassa leva reclutato durante l’ultima sosta sulla terraferma, con le tasche e le braccia piene zeppe dei frammenti di uno scintillante bottino.
Una delle poche semplici regole che avrebbero dovuto apprendere sin da subito dai loro sudici compagni di bordo era il divieto di disturbarlo o, peggio, interromperlo mentre stava per ammazzare qualcuno.
Esalando un mugugno infastidito, Capitan Vegeta si voltò di scatto, tirando una sciabolata alla pancia al primo fra coloro che si ritrovò dietro: - Lo so idiota! La sfera era qui! – tracimò più che inferocito, facendo arretrare gli altri, balbettanti e impauriti; poi li interrogò irrequieto, spingendo lo sguardo corrugato a scandagliare il salone sottostante, in cui imperversavano grida e disordine – A proposito … Dove diamine si è cacciata quella squinternata?
Goku, pur ancora fiaccato da quella batosta, riuscì a puntellarsi sui gomiti e a risollevarsi, farfugliando candidamente: - Ti riferisci a Bulma, per caso?


Aveva scalciato, strillato, implorato, imprecato, lottato con tutte le scarse energie rimanenti per ribellarsi a quel sopruso, illudendosi di riuscire a smuovere la sua sensibilità, giacché sotto quell’impressionante corredo di coltellacci e pistole, di borchie e fibbie, cicatrici e toppe, il suo irriguardoso rapitore dopotutto era una giovane donna.
O, per meglio dire, un’assassina prezzolata, fredda, schiva e soprattutto incredibilmente forzuta, benché ci fosse da riconoscere che il suo incarico fosse facilitato.
Con le gambe già ricoperte di squame, intorpidite e malferme che non le ubbidivano quasi più, non aveva avuto alcuna possibilità di opporsi quando le aveva sgraffignato l’ultima sfera del Drago proprio davanti al naso e poi, senza tante spiegazioni, l’aveva sequestrata, portandola via da quella baraonda.
Bulma Brief, malgrado il suo evidente svantaggio, però, non era ancora disposta a capitolare, non prima di aver giocato tutte le sue carte.
- Lavori per Freezer? Lo fai per soldi? Credimi, io posso pagarti molto più di lui! Conosco moltissimi tesori, posso compensarti con qualcuna delle mie pregevolissime mappe che ti ci condurrà senza intoppi! – tentò ostinatamente di comprare la sua benevolenza, affannandosi a frugare nelle capienti tasche dell’ormai rovinato vestito, quel tanto che glielo consentivano i ruvidi legacci di corda stretti ai polsi, riuscendo a recuperare un piccolo astuccio di sughero insieme ad un borsello di seta contenente una cospicua quantità di contanti.
Le labbra serrate di Diciotto si piegarono in una smorfia esasperata, senza emettere alcuna sillaba definita. Odiava quando lasciavano a lei la parte più noiosa e meno rischiosa della missione. Oltretutto il suo capo le aveva specificato che non le era permesso uccidere né ferire quella bizzarra, insopportabile, preziosa, donna pesce, ma ciò non significava che non avrebbe potuto divertirsi a strapazzarla un po’.
Con un brusco strattone le fece cadere di mano i due oggetti cui aveva finto di prestare interesse, per poi smettere di trattenerla. Quella, incapace di reggersi, si afflosciò come un sacco vuoto, dimenandosi inutilmente. La bionda allora la riafferrò per i capelli e la spinse sgarbatamente a inginocchiarsi contro il tronco di un albero, riannodando con maggiore decisione, e non senza fatica, sia le corde sia il bavaglio che quella creatura ingestibile e petulante era riuscita in qualche modo ad allentare.
- Cammina – borbottò estenuata, risollevandola e trascinandola di peso verso il sentiero polveroso e scosceso che le avrebbe condotte sul ciglio della scogliera, laddove aveva stabilito di incontrarsi con il suo gemello. Oltrepassata la breccia nella recinzione del parco reale che i suoi colleghi avevano provveduto a far deflagrare per depistare le guardie imperiali, tutto d’un tratto fu proprio la piratessa dagli occhi di ghiaccio a fermarsi, captando un fruscio tra i cespugli, tendendo le orecchie per individuarne la provenienza e i nervi per prepararsi a replicare a qualsiasi oppositore.
Uno scintillio metallico balenò nella penombra che era calata ad avvolgere la terraferma.
- Lasciala andare! Subito – scandì con spavalda determinazione l’uomo in redingote rossa che si profilò davanti a loro, il volto sfregiato tratteggiato dalla blanda luce delle festose lanterne che ondeggiavano tra i frondosi rami degli alberi esotici che ornavano il giardino.
Bulma mugolò il suo nome contro la grezza stoffa che le tappava la bocca, gioendo e ringraziandolo tacitamente di essere ricomparso ed essere accorso in suo aiuto, nonostante l’indelicatezza con cui l’aveva congedato.
La rapitrice, non si lasciò intimidire minimamente dal tono minaccioso con cui quel tipo insolente l’aveva redarguita, tantomeno da quella canna puntata, anzi intuendo la familiarità tra i due, si dilettò a metterlo alla prova: - Altrimenti? Che cosa fai? – gli domandò con un sorrisetto provocatorio, estraendo un pugnale e rivolgendolo meschinamente al collo affusolato dell’azzurra.
Soffocando un singulto stizzito, Yamcha mosse istintivamente un passo in avanti, riponendo la pistola nel fodero e facendo scivolare dai polsini della giacca un paio di lame acuminate e ritorte, simili ad artigli: - Farò tutto il possibile per strapparla alle tue grinfie. Non costringermi a usare le mie zanne di lupo5 sul tuo bel visino – affermò con un sorriso sghembo, spostandosi di scatto e tirando un’unghiata che tagliò l’aria carica di umidità elettrostatica, sprizzando piccole particelle incandescenti.
Sapeva bene di avere un margine molto limitato di azione, non poteva tentare la sorte, contando unicamente sulla propria agilità e sfrontatezza, come spesso faceva, piuttosto avrebbe dovuto affidarsi sulla sua capacità di cogliere l’attimo fuggente per ribaltare quella situazione assai critica.
Imponendosi di non perdere la concentrazione né di lasciar trapelare la sua titubanza, ripeté quell’ardita mossa con strabiliante celerità, slanciandosi su di loro, tentando di costringere l’imperturbabile piratessa a mollare la presa sulla sua amata e a cominciare una tenzone con lui.
Se solo fosse stato capace di disarmarla con un gran colpo da maestro! Peccato che la precisione e la freddezza non fossero mai stati il suo punto di forza e che la glaciale criminale fosse molto brava a sottrarsi ai suoi attacchi, oltre che molto sadica, parandosi dai fendenti più pericolosi facendosi scudo proprio con il suo ostaggio, inducendolo a rischiare di sbagliare bersaglio e accoltellare accidentalmente proprio la sua adorata compagna di avventure.
Non per niente quella bionda mercenaria apparteneva alla ciurma del Terrore degli Oceani.
D’improvviso Yamcha si sentì sciocco e sconsiderato per aver creduto di poter combattere senza riguardo alcuno contro un avversario di sesso femminile. Le donne per lui erano da sempre croce e delizia, la sua più grande debolezza, il pensiero di arrecare loro del male intenzionalmente era contrario al suo personale codice di condotta.
Non era mai stato così abietto da ritirarsi a metà di uno scontro, ma neppure si sarebbe mai perdonato di commettere qualche scelleratezza, piuttosto avrebbe preferito essere lui a rimetterci, anche accollandosi il biasimo che ne sarebbe derivato.
Le iridi acquose della sua amica si dilatarono di indignazione e incredulità, vedendogli rinfoderare le sue peculiari armi contundenti.
- Ascolta Bulma, io non ho mai avuto intenzione di tradirti. Sì, hai ragione, forse in un primo momento avevo pensato di venderti. Ma poi sono andato in cerca di aiuto perché ho capito che da solo non potevo riuscire a proteggerti – confessò a malincuore, provando un bruciante miscuglio di sollievo e vergogna per essersi affrancato da quell’inaccettabile sospetto d’infamia – Ti amo – dichiarò ruvidamente, scrutandola suadente nella speranza di essere assolto per quell’umiliante resa.
Diciotto roteò le pupille al cielo, commentando sarcastica in uno sbiascico: - Commovente.
Bulma invece, seppure impedita da quei legacci, seguitava a mugugnare e a dimenarsi come un’ossessa, e Yamcha percepì un senso d’inadeguatezza, rabbia e autocommiserazione invaderlo in ogni grammo del suo essere, immaginando che, nonostante la sua accalorata e sincera dichiarazione, dopo quell’atto d’ignavia lei lo avrebbe detestato e non avrebbe voluto rivederlo mai più.
Sopraffatto com’era dallo sconvolgimento emotivo che stava vivendo, non sospettò che il motivo per cui l’amica stava agitandosi in quella maniera fosse per avvertirlo di un pericolo emerso proprio all’ombra delle sue spalle.
Tutto ciò che percepì fu uno schiocco secco, come di una cinghiata, sulla nuca, poi ogni cosa nel suo campo visivo divenne sbiadita e incolore. E perse ogni contatto con la realtà.
- Così patetico, che non valeva neanche la pena di sprecare una pallottola! – sentenziò con graffiante irriverenza Diciassette, riabbassando la mano tesa con cui aveva sferrato quel ceffone, centrando in pieno la sensibile regione cervicale del pirata.
La gemella ricambiò il suo sogghigno, buttandogli tra le braccia la ribelle prigioniera di cui si era stancata di doversi occupare.
- Sarebbe questa qui la donna pesce? Uh, alquanto ingombrante questa coda! – sbuffò sardonico quello, caricandosela in malo modo su una spalla, tra le sue soffocate proteste – E la numero sette?
- Presa – affermò di rimando la piratessa, facendo oscillare un fagotto ricamato.
Il fratello annuì compiaciuto: - Bene, allora sarà meglio filare via. Non vorrei che Zarbon stancandosi di aspettarci si alterasse …
I due ripresero ad incamminarsi verso lo stesso approdo da cui erano giunti clandestinamente su quella città galleggiante, per ricongiungersi alla ciurma di Freezer che intanto dalla baia stava continuando a coprire la loro fuga cannoneggiando il litorale.
Diciotto dispiegò il ritaglio di stoffa che aveva stracciato all’abito della donna azzurra, osservando quella biglia luminosa dai riflessi dorati poco più grande di un palmo che era stata la causa scatenante della loro incursione in quel luogo così remoto, nonché del loro ingaggio al servizio di quel lugubre Capitano non morto.
Era di un materiale sconosciuto e, dal suo punto di vista, non sembrava possedere chissà quale grande pregio, ma non stava a lei discuterne il valore. Doveva solo consegnarla.
Sospirando interiormente, si lasciò pervadere dalla speranza che conclusa quella vicenda lei e suo fratello avrebbero potuto finalmente essere liberi e magari con la ricompensa ricevuta procurarsi un piccolo sloop tutto per loro, viaggiando verso le mete che più desideravano, senza dover dare conto a nessuno.
- Altolà, voi due! Questa volta non la passerete liscia! – una voce acuta e molto determinata la strappò ai suoi vagabondanti pensieri, inducendola a riavvolgere la sfera nello scampolo di tessuto per metterla al sicuro da eventuali tentativi di furto.
Le sue iridi celesti si allargarono leggermente nel riconoscere chi fosse stato a pronunciare quell’ambiziosa minaccia, osando interporsi alla loro ormai prossima partenza.
- Toh, chi si rivede. È accorsa proprio tutta la feccia, eh, sorella – ridacchiò Diciassette senza la minima preoccupazione, ritenendo la sua presenza del tutto innocua, continuando a camminare per la sua strada, anzi accelerando l’andatura, impaziente di levarsi di dosso quella donna pinnata che seguitava a rumoreggiare e a percuoterlo.
Diciotto invece si era inspiegabilmente bloccata nel riconoscerlo e aveva esitato qualche secondo di troppo, fornendogli lo spunto per frapporsi ancora e di nuovo tra lei e la sua unica via di fuga. Quella situazione si era già verificata in passato, e lei ne era uscita facilmente, ma ora quel piccoletto sembrava cambiato, il suo sguardo era più sicuro e agguerrito rispetto all’ultima volta in cui l’aveva incrociato mesi addietro, quando era riuscita a farlo arretrare e impappinare solo lanciandogli una delle sue occhiate assassine.
Ciò non la distolse dal suo intento di dileguarsi il prima possibile da quel postaccio, in cui sguazzavano molti più cacciatori di taglie e soldati della Marina di quanti non ne avesse voglia di combattere.
- Aspettami, Lapis! – le sfuggì tra i denti, affrettandosi ad accorciare il distacco col suo inseparabile consanguineo, che chiamò distrattamente col suo vero nome.
Crilin, svelto come una lepre, con un guizzo le sbarrò il passaggio, drizzandole contro la lama lucida e ben limata del suo spadino, obbligandola ad armarsi a sua volta con la sua daga appuntita per osteggiarlo: - Sparisci, rompiscatole – le parole le uscirono tra un soffio e un ringhio.
- Mi dispiace, non posso farlo – il minuto marinaio tuttavia non si scoraggiò, dimostrandosi molto meno timoroso di quanto Diciotto lo ricordava e sfoggiando una fluidità di movimenti che lo rendeva quasi imprendibile, perfino per una spadaccina provetta come lei.
Così i due ingaggiarono un estemporaneo duello, conciso e privo di vero mordente, finché la spregiudicata piratessa, approfittando di un suo tentennamento, non lo atterrò con uno sgambetto, posizionandosi tra le sue gambe divaricate, disarmandolo con un calcio.
Crilin inghiottì un gemito nell’istante in cui si sentì lambire sotto il mento dalla punta della sua spada, fredda come i suoi occhi, dietro la cui impassibilità raggelante scorse però un residuo d’incertezza, convincendosi che non sarebbe rimasto ucciso per mano sua.
Quel pensiero gli infuse un barlume di speranza e un granello di coraggio in più per tentare di distoglierla dal suo maligno proposito.
- Non sei obbligata a compiacere quel mostro! Puoi ancora tirartene fuori, prima che sia troppo tardi! Davvero vuoi buttare via la tua vita così? Freezer prima o poi si sbarazzerà anche di te, nel più crudele dei modi! – argomentò con un tono particolarmente accalorato per cui lui stesso si sentì imporporare le guance. E finì per scaldarsi ancora di più quando la seducente fuorilegge, dopo che sembrò riflettere sulle sue parole, si chinò col busto su di lui, offrendogli un braccio per rialzarsi. Il solo sfiorare le sue dita lasciate scoperte da un ruvido guardamano di cuoio lo fece deglutire rumorosamente.
Diciotto gli rivolse l’accenno di un mezzo enigmatico sorriso: quel tipo era spassoso nella sua ingenuità infantile che gli faceva credere di poter redimere con qualche improbabile predica una sciagurata senz’anima come lei. Non aveva intenzione di restare ancora ad ascoltare i suoi blateramenti, ma neppure di ammazzarlo, piuttosto era ansiosa di tornare a bordo e rinchiudersi nella sua cabina o arrampicarsi sulla coffa per isolarsi da tutti.
Nella luce intermittente dei lampi dei cannoni che continuavano a deflagrare, i suoi lineamenti definiti apparivano ora angelici ora spietati e alla giovane vedetta mancò il fiato mentre lei gli camminava incontro, sinuosa e indecifrabile, cominciando involontariamente ad indietreggiare sempre più, al punto che inciampò, cascando dentro la vasca di una fontana di cui non si era neanche accorto.
 - Tu non sai niente di me – si congedò la bella piratessa in un sussurro scontroso, correndo via, lesta come una gazzella.
Sputacchiando l’acqua melmosa, Crilin riaffiorò in superficie, cercando di capire da che parte si fosse diretta per poterla inseguire, muovendosi più in fretta che poteva tra cespugli di rovi e rocce vulcaniche, e per poco non gli mancò la terra da sotto i piedi, ritrovandosi sull’orlo di uno strapiombo.
Tutto ciò che riuscì a vedere, tra il lampeggiamento di alcune bordate, fu il capo di una fune legata a una rupe che veniva recisa, precipitando nel vuoto sottostante la scogliera, in cui con molta probabilità lei e qualche altro dei suoi compagni si erano lanciati, raggiungendo una scialuppa che doveva averli recuperati.
Si sentì infervorare dallo scorno: quella deplorevole criminale gli era scappata ancora una volta! E lui era stato davvero un illuso a credere di poterla dissuadere con una penosa ramanzina. Non la conosceva, non sapeva da dove proveniva, quale fosse il suo vissuto, cosa animava il suo spirito, a cosa aspirava il suo cuore, sempre che ne avesse uno ... Magari quella vita sregolata ed errabonda se l’era scelta perché semplicemente le piaceva. Eppure i suoi occhi sembravano offuscati da un velo di tristezza e insofferenza.
Crilin restò ancora per qualche minuto a scrutare il mare indaco, affidandogli quelle sentimentali riflessioni interiori che non avrebbe potuto condividere con nessuno. Non sarebbe neppure stato capace da solo di mettersi all’inseguimento di quella combriccola che era riuscita a progettare una perfetta evasione. A quella constatazione si riscosse, rammentandosi che non aveva incrociato i compagni con cui era sbarcato fin lì e con i quali era stato impegnato inizialmente in diversi giri di ricognizione.
Tornò indietro, correndo a perdifiato, inciampando su un corpo disteso bocconi sull’erba poco lontano dal punto in cui aveva incontrato i due terribili gemelli.
Afferratolo per una spalla, lo rigirò sulla pancia e, accertatosi che respirasse e che non fosse ferito, ma soltanto svenuto, cominciò a schiaffeggiarlo e a scuoterlo ripetutamente, chiamandolo: - Yamcha! Hey, svegliati!
Quello strizzò e schiuse le palpebre, roteando le pupille allucinate tutto intorno: - Dove sono andati quei farabutti? – farfugliò confuso e arrabbiato.
Il marinaio rasato parlò con tono urgente: - Ti racconterò strada facendo. Dobbiamo tornare subito a Palazzo!

Goku-vs-Vegeta
1 Ridoppio: colpo dato in obliquo dal basso verso l’alto, è un incrocio tra montante e tondo, punta solitamente a gambe o fianchi dell`avversario.
2 Imbroccata: consiste in un affondo portato passando sopra la lama avversaria generalmente quindi questo colpo è indirizzato al petto, alle spalle o al volto dell’avversario.
3 Squarcina: arma bianca usata nel passato, consistente in una sorta di coltellaccio a lama larga e ricurva, simile a una scimitarra. In questo caso, l'ho usata come sinonimo un po' improprio di sciabola.
4 Tarble: per caratterizzare membri secondari della ciurma ho deciso di prendere spunto da personaggi apparsi in alcuni OAV, tra cui per l'appunto il fratello di Vegeta, che però nella mia storia è solo un pirata della Bloody Wench.
5 Zanne di lupo: ovviamente è un omaggio all'omonima tecnica usata da Yamcha nella prima serie di Dragon Ball; qui il nome è riferito a dei pugnali a serramanico che ho immaginato in sua dotazione.

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Capitolo 36
*** XXXVI: (Dis)Agreements ***


Salve gente!
Pur se col consueto ritardo, sono riuscita infine a concludere un altro capitolo di questa luuuunga storia, che si sta oramai accingendo alle battute finali.
Tra impegni di studio, contrattempi personali e caldo asfissiante, purtroppo non sono stata capace di aggiornare prima di oggi ^^"

Come potrete constatare a fine lettura, si tratta di un capitolo di transizione che funge da tassello per ciò che accadrà nei prossimi (che spero di non tardare troppo a scrivere).
Non vi tedio oltre, ma approfitto per ringraziare di cuore tutti coloro che si sono aggiunti inserendo questa mia modesta ff tra le seguite/preferite/ricordate e chiunque spenda parte del suo tempo a leggerla, con l'auspicio che riesca ad intrattenervi per qualche minuto.

Commenti, critiche, osservazioni sono sempre graditi :)

Al prossimo approdo!)

XXXVI – (DIS)AGREEMENTS


- Che guaio! Che disastro! Che catastrofe! Sono rovinato!
L’estroso sovrano era caduto in uno stato catatonico e continuava a piangersi addosso, contemplando vacuo e afflitto l’irreparabile scempio prodotto da quel putiferio di spari, esplosioni e tumulti che avevano investito e distrutto la sua piccola reggia.
I suoi più fedeli servitori accompagnavano il suo inconsolabile vagabondare tra rottami, cocci e schegge, tentando pazientemente di mitigare le sue paturnie con manierate parole di conforto. Ma Pilaf, disdegnato dalla loro ipocrita compassione, li scacciò da sé come fossero insetti fastidiosi: - Anni e anni di faticose ruberie gettati alle ortiche! – gracchiò in un urlo lamentoso, picchiando i pugni contro il pavimento su cui si era lasciato cadere, del tutto identico ad un bambino capriccioso cui avessero inflitto una punizione incomprensibile.
La sua guardia del corpo Mai si schiarì nervosamente la gola mentre il cagnolino Shu gli diede un buffetto con la testa. Con quella sua incauta esternazione aveva catalizzato su di sé l’attenzione delle guardie al suo servizio e di alcuni soldati della Marina dei Sette Regni, che erano provvidenzialmente intervenuti a dar loro sostegno contro l’imprevista, devastante incursione di quella masnada di furfanti.
- Ehm, voglio dire, anni e anni di ineguagliabili collezioni andati per sempre in fumo! – si corresse defilandosi con fare pavido e innocente tra i suoi guardaspalle, mostrandosi impegnato a quantificare i danni e a valutare quanta parte del suo patrimonio fosse scampata a quella baraonda.
- Almeno qualcosa del banchetto si è salvato – attestò con levità e apparente noncuranza il tenente Son Goku, adocchiando un vassoio di appetitosi pasticcini alla crema rimasti intonsi su un tavolo risparmiato dalla precipitosa ritirata di tutta quella gente che al riecheggiare del pericolo si era scompostamente riversata fuori, travolgendo tutto e tutti.
Ne arraffò a piene mani, ingozzandosi con gran gusto e poco decoro, quasi a voler esorcizzare lo scoraggiamento provato solo pochi minuti prima, quando aveva creduto di non riuscire a spuntarla contro un avversario che l’aveva messo in serie difficoltà come mai a nessuno era riuscito prima. Il fondoschiena dolorante e il bozzo che stava crescendogli sulla nuca dopo quella rovinosa caduta ne erano la dimostrazione. Aveva sottostimato la sua reale doppiezza e pericolosità, ma la faccenda tra loro non era ancora conclusa.
Riconoscendone l’indomabile criniera spiccare davanti ad una finestra aperta, in una posa rigida e immobile, intento ad ascoltare i timorosi ragguagli dei suoi sottoposti, i tratti spigolosi del viso ancora più tesi, ombrosi e induriti, si domandò quale motivazione lo trattenesse ancora lì, così vicino alla probabilità di essere arrestato.
Ingurgitò una soffice fetta di torta al cioccolato condita da un pizzico di stizza, ritrovandosi a pensare che forse quel farabutto non lo ritenesse capace di poterlo sconfiggere e porre fine alle sue malefatte. Tanto che, pur avendolo battuto, di gran misura e con un tiro mancino, poi si era totalmente disinteressato a lui, trascurando di infliggergli il colpo di grazia. Il suo calo di interesse era avvenuto proprio quando aveva menzionato Bulma e ciò lo indusse a riconsiderare il suo astruso atteggiamento. L’aveva sentito ordinare ai suoi gregari di setacciare ogni stanza del palazzo, mentre lui era rimasto a perquisire invano ogni angolo della sala consultando una strana tavoletta ...
Quei due alla fine erano veramente diventati alleati o c’era qualcosa di più sotto?
Procurandosi un’altra buona scorta di bignè, incuriosito e leggermente turbato, Goku gli si approssimò quatto quatto, così da averlo a portata di orecchio e poter origliare di cosa stessero discutendo lui e i suoi uomini.

- Non abbiamo più niente da fare qui – proruppe proprio in quell’istante Capitan Vegeta, stringendo nel pugno destro un sacchettino di velluto nero – Torniamo alla Bloody Wench. Rastrelleremo tutta l’isola da cima a fondo, quella ladra bugiarda non può essere andata lontano – ordinò stentoreo, distogliendo lo sguardo altero dall’ultimo spicchio di luna calante che rischiarava fiocamente il nitido firmamento.
Un filibustiere tozzo e baffuto con i capelli stopposi si contrappose esitante, richiamandolo in un impacciato balbettio: - Signore …
Gli affilati occhi del saiyan lo incenerirono, presentendo qualcosa di molto spiacevole.
Già dover digerire il fatto che quell’infida sirenetta lo avesse raggirato e derubato, eclissandosi nel nulla senza che né lui né qualcuno dei suoi se ne accorgessero, infrangendo il loro mutuo accordo, era per lui come dover ingoiare qualcosa andato a male. Era stato un imbecille a fidarsi di lei. Ma che potessero esserci anche altre grane non era semplicemente una contingenza che in quel momento sarebbe stato pronto ad affrontare con sufficiente raziocinio.
- Dove si è imboscato quel brutto cane rognoso di Radish? – abbaiò ancora più alterato, pur non essendo del tutto sicuro di voler sapere come mai mancasse all’appello.
A racimolare un briciolo di disinvoltura per rispondergli fu Cabba, uno dei più giovani e obbedienti pirati della ciurma: - Ecco lui … Dopo che abbiamo finito di ripulire la stanza del tesoro, ha preso con sé quattro di noi, e … se n’è andato.
Un fiotto di fiele impastò la lingua di Vegeta: - “Andato”? – ripeté scandendo con ripugnanza quelle nefaste sillabe, gli altri annuirono tremebondi, l’angoscia che gli artigliava il respiro, aspettandosi altre ritorsioni del sanguigno Capitano nei loro riguardi, vedendogli contrarre duramente la mascella e muovere istintivamente le dita verso le fondine a tracolla in cui aveva raccolto svariati pugnali.
Lui non si curò neanche di ascoltare il resto del racconto.
Da un po’ di giorni aveva subodorato che il suo nostromo e il suo quartiermastro stessero tramando qualcosa contro di lui. Si lagnavano più del solito per inezie, si appartavano a parlottare con altri gruppetti ed erano stati negligenti in più occasioni.
Non temere conseguenze era quanto di più sbagliato avessero osato concepire con i loro cervelli bacati. Una volta attuata la sua vendetta su Freezer, avrebbe dato la caccia anche a quei due traditori e a tutti quelli che li avevano appoggiati.
- Quegli sporchi ammutinati bastardi hanno firmato la loro condanna – proferì con flemmatica tracotanza, quasi pregustando già il sapore del loro putrido sangue che senza alcuna pietà avrebbe fatto scorrere profusamente tra le mani, nutrendosi delle loro urla strazianti e disperate. Mancavano poco più di ventiquattro ore alla sua perdita di sembianze umane. Una volta trasformatosi in quella forma bestiale che tanto in passato aveva ripugnato, avrebbe potuto rintracciarli e raggiungerli facilmente anche a nuoto ...
Per il momento tuttavia quell’infausta battuta d’arresto lo costringeva ad accantonare la messa in atto di tali cruenti propositi. Adesso che nelle immediate vicinanze non avvertiva più l’odore mieloso né la presenza molesta di quella donna, doveva architettare una nuova soluzione per salpare da lì e ritrovare tutte le sfere mancanti. Gli erano rimasti soltanto cinque uomini. Invero, non aveva bisogno di nessuno di loro, poteva benissimo requisire una delle imbarcazioni ancorate al porto e governarla anche da solo.
Si voltò stizzito, non dando alcuna importanza ai suoi sottoposti in attesa di ordini, incrociando invece un paio di indiscreti occhi scuri che, nello scontrarsi coi suoi, si spalancarono, colti sul fatto. Appartenevano al tipo impertinente e ostinato che poco prima gli aveva tenuto testa, incastrandolo in quello sfiancante duello, infiammando la sua combattività e facendogli perdere di vista l’obiettivo primario del suo essere lì, nonché quell’inaffidabile complice.
Quell’impiccione lo stava nuovamente intralciando, istigando la sua tentazione di mandarlo all’altro mondo.

- Ah, Goku! Sei qui! Che sollievo!
Un giovane marinaio di ridotta statura grondante ansia e sudore sopraggiunse nella sala del trono, approssimandosi con aria impacciata e agitata, seguito da un secondo individuo dall’aspetto altrettanto mesto e malandato.
- Crilin! Yamcha! – enfatizzò la sorpresa il tenente Son correndo verso di loro, ben felice di poter rimandare il confronto con il livido pirata – Ma che cosa vi è successo?! – esclamò poi preoccupato, accorgendosi degli abiti completamente zuppi del primo e del naso sanguinante e ammaccato del secondo.
- Lascia perdere! – sviò Crilin, abbassando le pupille, ancora ansante per la scarpinata che lo aveva riportato fin lassù – Diciassette e Diciotto erano qui! Hanno rubato quella sfera!
- E hanno rapito Bulma – aggiunse in un sospiro scorato Yamcha, affranto e contrariato per non essere riuscito a salvarla.
Goku sciolse il suo insolito mutismo, appurando con semplicità: - Ecco dov’era finita – attirandosi un’occhiata di traverso da parte di Capitan Vegeta, il quale intanto da quel dialogo intese che doveva essere proprio l’imprudente ragazzo dall’espressione mite e dai capelli scarmigliati quello tra loro al comando.
- Ho provato a fermarli, ma non ci sono riuscito – insistette a discolparsi Crilin, “Di nuovo”, considerò sfiduciato, sentendosi profondamente colpevole per quell’ennesimo insuccesso.
Yamcha gli fece eco: - Già! Ci ho provato anch’io, ma quella Diciotto è davvero un bell’osso duro! – affermò con un sorrisetto amaro, che divenne una smorfia incredula e stralunata quando, a pochi passi da loro, riconobbe il Capitano della Bloody Wench fissarli mutamente e avversamente. - Hey ma quello è … - tartagliò scombussolato, indietreggiando come un gambero.
- È proprio lui? – indagò ugualmente sbalordito Crilin, che lo conosceva soltanto tramite i manifesti in cui lo aveva visto ritratto, nei quali si prometteva una lauta ricompensa per la sua cattura. La sua taglia era leggendaria, nessuno era mai stato capace di catturarlo.
Il diretto interessato restituì loro un fulminante sguardo di sbieco.
Al che anche Goku si volse nella sua direzione e, spostandosi in un balzo accanto a lui, in quattro e quattr'otto lo ammanettò a sé: - Ah, sì. Ho arrestato Capitan Vegeta! – rispose loro con assurda naturalezza.
Insultato da quel gesto scorretto, il filibustiere spezzò immediatamente le risibili catene di quelle manette: - Pezzo d’imbecille! Cosa accidenti pensavi di fare! – contestò inferocito, estraendo le sciabole e avventandoglisi contro. Una decina di soldati armati di baionette immantinente lo accerchiarono, accorrendo a difendere il loro più alto in grado. Ma l’inarrestabile fervore del pirata non si lasciò minare da quello svantaggioso frangente.
Drizzando le braccia all’indietro, infilzò per primi i due aggressori che aveva alle spalle, poi ruotò su se stesso liberandosi con un paio di sciabolate secche ed efferate di altri due che tentarono di assalirlo da destra e da sinistra, quindi continuò a brandire le lame ad un ritmo vertiginoso, duellando con due o tre avversari in contemporanea, colpendoli a suon di fendenti, spallate, pugni, calci e stoccate, senza che questi potessero opporre efficace resistenza, riuscendo nel giro di pochi secondi a ridurre quegli uomini ben addestrati nell’impotenza di rialzarsi o reagire.
Fu talmente veloce che gli altri tre marinai non trovarono uno spiraglio per intervenire, rimanendo a bocca aperta per lo sbalordimento.
Senza neppure un accenno di fiatone, il pirata dai profondi e ruggenti occhi neri tornò a rivolgersi loro con accento ingiurioso: - Allora, citrullo, ci vorresti riprovare?
- A dire il vero pensavo che avresti potuto imbarcarti con noi … - asserì per tutta risposta il tenente Son, lasciando tutti quanti spiazzati per quella che parve loro un’idea aberrante.
- Goku?! – strepitò Crilin, sprovvisto di frasi di senso compiuto per esprimere appieno la sua scettica disapprovazione per quella sortita.
- Amico, sei fuori di melone?! – contestò con vigore Yamcha – Quello lì ci accoppa tutti! – insistette timoroso, rifuggendo quel suo sguardare torvo e avverso che lo metteva invariabilmente in soggezione.
Sul volto di Vegeta si formò un ghigno malevolo e compiaciuto, puntandogli la sciabola alla gola: - Il babbeo ha ragione, ti conviene darmi un buon incentivo se non vuoi che vi squarti tutti quanti, qui e ora – li minacciò a muso duro, uno sfolgorio di pura malevolenza tra i canini appuntiti e ringhianti, quasi li volesse davvero sbranare.
Son Goku, però, non smarrì la calma né la sicurezza, adducendo le sue ragioni con incrollabile determinazione: - Noi, a differenza tua, disponiamo ancora di una gran bella nave – asserì senza animosità, ma facendogli intendere che sapeva come gran parte del suo equipaggio avesse cospirato contro di lui, lasciandolo a terra.
Un convulso sbocco di rabbia sfigurò i lineamenti aspri del Capitano spodestato, tradendo la verità di quell’affermazione, di cui gli altri erano invece all’oscuro.
- Abbiamo un nemico comune. Uno forte e in gamba come te potrà farci molto comodo contro Freezer e i suoi scagnozzi – Goku continuò imperterrito a esporre la sua tesi, incurante degli sguardi allibiti dei suoi compagni, incapaci di opporsi alla sua logica, tanto ingenua quanto schiacciante.
- Impiccati! Per chi mi hai preso? Io non mi faccio comandare da nessuno! – lo attaccò senza mezze misure Vegeta, interdetto e al culmine dell’irritazione nel sentirsi addirittura adulare da quello che teoricamente avrebbe dovuto essere un suo avversario.
Il suo interlocutore pareva sordo, e insistette ad esternare serafico la sua impudente opinione: - E poi, secondo me, ci tieni anche tu al bene di Bulma ...
Il pirata gli riservò un’occhiataccia pregna di sdegno e rancore: - Tsk, me ne infischio di quella stupida puttana – sussurrò greve, voltandogli la schiena e intimando ai suoi di sgomberare il campo.
Sebbene indispettito da quel suo fare respingente e offensivo, Goku non si perse d’animo. Era testardo quanto lui e aveva una missione da compiere, perciò provò a tirar fuori un ultimo asso dalla manica per reclamare il suo interesse: - Tu hai due sfere. Io invece possiedo questa bussola speciale – svelò a bella posta, estraendo e mostrandogli il magico oggetto cedutogli da Re Kaio.
Vegeta lo scrutò con la coda dell’occhio, restio e cogitabondo. Il lucente gingillo che quel ragazzotto gli stava sbandierando sotto il naso con tanto ardire somigliava straordinariamente al localizzatore delle sfere del Drago inventato e costruito da quella Bulma Brief. Eppure emanava un’aura diversa, un potere, quasi come fosse viva.
- Come l’hai avuta? – domandò d’istinto, tornando indietro per poterla osservare più da vicino. Proprio in quell’istante accadde qualcosa che non si aspettava e che lo fece inconsapevolmente trasalire: quel prisma sprigionò un fascio di luce verde, che si allargò fino a prendere la configurazione di un’enorme, intangibile mappa fluttuante nell’etere, estendendosi nello spazio tra lui e il baldo marinaio che la teneva tra le mani. Non gli occorse molto per identificare, tra linee curve che segnavano i contorni delle varie terre emerse, sette ben distinti puntini arancioni, e capire che doveva trattarsi proprio della bussola originaria, quella custodita dal mitico Dio del Mare del Nord. Come avesse fatto quello strampalato marinaretto ad entrarne in possesso era un vero enigma.
- Quindi, sei dei nostri? – lo richiamò dai suoi dubitanti pensieri il giovane ufficiale, richiudendo il cofanetto e ponendo fine a quella fantastica proiezione, un sorriso soddisfatto a illuminargli le iridi sprizzanti ferma convinzione.
Una venuzza pulsante comparve sulla sua fronte spaziosa. Quel tipo doveva essere duro di comprendonio o era animato da un incosciente ottimismo per pensare di poter stringere tranquillamente un accordo con lui, senza neanche promettergli qualcosa di concreto in cambio. Il suo radicato orgoglio non ci teneva proprio a essere implicato in un’altra collaborazione che non stava né in cielo né in terra. Non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno, era in grado di battere tutti anche da solo. Di contro la sua vena opportunistica gli suggeriva di fingere di piegarsi a quel compromesso. Avrebbe potuto servirsi dell’offerta di un passaggio per raggiungere i suoi fini e poi disfarsi di quella banda di inutili sempliciotti.
Mantenendo un atteggiamento sostenuto, Capitan Vegeta incrociò le braccia, abbassando di sfuggita il mento a sancire il suo implicito assenso.
Goku, che non aveva interrotto il contatto visivo con lui neanche per un attimo, al suo lieve e riluttante cenno smise di trattenere il fiato: - In marcia, signori! Torniamo alla Speedy! – incitò il resto della malconcia e dimezzata ciurma a seguirlo, mettendosi in testa al gruppo, divorato dall’impazienza di riprendere quell’esaltante esplorazione.
- Hey! Aspettate! E adesso chi mi ripagherà di quest’oltraggio? – tentò invano di fermarli Pilaf, correndogli dietro e apostrofandoli con minacce e ingiurie. Ma le sue assillanti proteste restarono inascoltate, tanto più dopo essersi fatto sfuggire come gran parte della sua ricchezza non derivasse propriamente da un legittimo lascito ereditario.
- Come credi che la prenderà il Capitano Muten? – bisbigliò dubbioso Yamcha, chinandosi all’orecchio di Crilin, mentre tutti e due si accodavano al loro avventato superiore.
Il guardiamarina si strinse nelle piccole spalle, non sapendo realmente come rispondere alla sua lecita perplessità.

Sul ponte della Speedy Cloud non volava una mosca, mentre l’attempato comandante del vascello, lo sguardo rugoso schermato dalle lenti scurite, passava severamente in rassegna i volti estranei, sfregiati dal sale e dall’immoralità, degli uomini appena saliti a bordo. Aveva ascoltato quanto riferitogli per sommi capi dal suo effervescente secondo di bordo, chiudendosi in un silenzio meditante e sconcertato, auspicando che, per via del suo consunto apparato uditivo, ci fosse stato un fraintendimento.
Nella sua precoce ma già molto promettente carriera aveva rischiato ben più d’una volta di essere degradato o espulso dalla marineria militare a causa di quelle sue inadempienze e insubordinazioni, eppure sentiva che nelle schiette parole del tenente Son Goku non vi era stato alcun intento menzognero. Ingenuo, semplice e onesto come sempre, credeva fermamente in ciò che gli aveva poc’anzi enunciato.
Lui, d’altro canto, era un uomo realistico e navigato e non poteva fare a meno di diffidare circa la ragionevolezza di un’alleanza con soggetti tanto intemperanti, riottosi e inaffidabili quali erano quel famigerato pirata e la banda di tagliagole che lo accompagnava.
- Mettete sotto chiave questa marmaglia! – dispose con un tono che non ammetteva repliche il Capitano Muten, pregando nello stesso istante dentro di sé che quel suo ordine rigoroso non destasse una rivolta dei suddetti briganti.
- Credo che il nostro caro Goku si sia appena giocato la promozione … – tornò a spifferare con puntuta ironia Yamcha, mentre Crilin si mordeva il labbro, dandogli, controvoglia, ragione. Stavolta il suo amico si era spinto troppo oltre con quel suo ultimo azzardo, e nonostante la sua buona fede, non era riuscito a tenere il punto.
- Forse voi al momento avete più informazioni sul suo conto, ma io conosco Freezer meglio di chiunque altro – inaspettatamente la voce aspra e sprezzante di Vegeta si sollevò sul persistente mormorio, respingendo con un movimento stizzoso del braccio i soldati che lo avevano attorniato per accingersi ad imprigionarlo – Voglio uccidere quel fottuto bastardo più di chiunque altro. E lo farò. Lo ridurrò in un’informe poltiglia, non avrà più neanche un’infinitesima possibilità di ritornare a infestare i sette mari con la sua abominevole persona.
Al risuonare di quel minaccioso giuramento intriso di un odio tangibile, feroce, senza pari, coloro che gli erano più vicini si scansarono, intimoriti dalle sue manifeste intenzioni omicide e dalla sua espressione infiammata e fumante.
Il Capitano Muten, ritto nel suo scranno, poso un indice sul dorso del naso, scostando gli occhialetti quel poco che bastava a scrutarlo apertamente: - Dunque è solo questo che volete? Vendetta?
Il pirata rimase a fissarlo impassibile e a sostenere obliquamente il suo sguardo indagatore, un leggero solco tra le folte sopracciglia corrugate, la mandibola serrata, il corpo come irrigidito dal trattenere lo spasmo di scatenarsi e dimostrare a tutti di essere degno della sua cattiva reputazione, di essere capace di compiere qualunque efferatezza, anche una strage.
- Molto bene – tossicchiò il vecchio Capitano, tornando impettito – Tenente Son! Da ora e fino alla conclusione della nostra spedizione, il qui presente masnadiero sarà sotto la vostra responsabilità – stabilì recuperando il suo contegno autorevole senza profondersi in altri commenti, per non dare a vedere quanto fosse combattuto da quella decisione.
Goku si portò la mano destra sul capo, un gesto che sapeva di obbedienza e gratitudine, mentre Capitan Muten, impartito l’ordine di impostare la nuova rotta, si congedò nella sua cabina, continuando a macerarsi in quel tumultuoso dissidio interiore.
Aveva già accolto con sé un impostore e adesso altri malfattori, sperava che l’intuizione del suo allievo fosse giusta. Si fidava ciecamente delle sue capacità, ma avrebbe saputo tenere a bada quell’inafferrabile avanzo di galera?


A qualche lega di distanza le correnti fredde e impetuose dell’oceano settentrionale soffiavano con regolare intensità, increspando le acque grigie e profonde, gonfiando le vele rappezzate di un vetusto bovo che ospitava a bordo tre soli intrepidi ed eterogenei passeggeri. Non avevano niente in comune tra loro e non si conoscevano per nulla, quando erano scesi a patti per affrontare insieme quella lunga traversata.
Il crescente bagliore dell’alba rischiarava la superficie delle onde, filtrando pallidamente tra gli stralci di nubi che si erano addensate negli strati più bassi dell’atmosfera, formando una coltre plumbea e pesante di vapore acqueo, che minacciava di precipitare.
La temperatura era alquanto mite e l’assenza di temporali aveva reso la navigazione piuttosto tranquilla, eppure Pikkoro, da che aveva calpestato quelle assi consunte dalla salsedine, non aveva smesso un attimo di sentirsi assediato e irrequieto.
Suo padre, il Supremo, lo aveva inviato sulla Terra perché imparasse a conoscere, comprendere e rispettare gli esseri umani, promettendogli che solo se si fosse dimostrato altruista, compassionevole e disinteressato, gli avrebbe ceduto il suo trono e i suoi poteri.
Così da qualche anno, con riluttanza, stava sforzandosi di ottemperare a quella richiesta, adattandosi a vivere alle loro condizioni, senza sfruttare le sue sovrumane abilità, come quella, utilissima e liberatoria, di volare.
Una facoltà che in quei quasi sette giorni di mal di mare non gli sarebbe dispiaciuto di poter adoperare. La vita degli umani, con tutte le sue difficoltà e i suoi limiti, gli era parsa ancora di più come qualcosa di davvero infimo e disprezzabile.
Gli uomini che aveva incontrato finora erano esseri spregevoli, selvaggi ed egoisti, avidi e corruttibili, quasi tutti immeritevoli di redenzione.
Quella femmina umana a cui aveva messo in subbuglio la casa e la sorte, tuttavia si era incaponita a seguirlo, non era riuscito a scoraggiarla né il suo atteggiamento burbero e insofferente, né il doversi trovare a stretto contatto con quell’altro reticente energumeno, né le incognite di quel viaggio, e neppure il nascituro che portava in grembo.
Aveva un carattere ardimentoso e deciso.
Irriflessivamente, reggendo il timone, le sue pupille aliene si soffermarono a sfiorare il suo profilo arrotondato, mentre pensierosa con una piccola mano si accarezzava il ventre.
- Ve l’ho già detto. Mancano almeno altri due mesi – lo rimbrottò seccamente Chichi, cogliendo la sua furtiva e critica occhiata, riavvolgendosi nello scialle e spostandosi a prua.
Era risalita sopra coperta per prendere una boccata d’aria, dopo una nottata costellata di risvegli frequenti e sogni agitati. Quei due tipi loschi con cui aveva dovuto avventurarsi non le piacevano per niente.
Pur se con lei si erano comportati con rispetto, non si era ricreduta del tutto sul loro conto, perciò aveva preso precauzioni, dormendo con un pugnale sotto il cuscino, che adesso aveva occultato in una fascia avvolta attorno alla vita, detestandosi per dover tenere tanto vicino al suo bambino un simile spregevole strumento.
Ad ogni buon conto, pensò, quei compagni di bordo era meglio tenerli il più possibile alla larga, non erano tipi con cui poter fare conversazione
In quel momento l’omone dai capelli rossicci dal quale era quasi stata rapita, incrociandola le indirizzò un composto cenno di saluto, per poi passarle accanto e fermarsi a studiare lo starnazzare in volo di alcuni cormorani che si contendevano dei guizzanti merluzzi.
- Ci stiamo avvicinando alla terraferma – sussurrò pacatamente Sedici, guardando nella direzione dello straniero col turbante, il quale, trascorsi alcuni secondi, senza spendere altre parole, corresse la loro rotta.


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Capitolo 37
*** XXXVII: Hostages ***


Salve ciurma (o  quel che ne resta).
Questi lunghissimi mesi trascorsi dall'ultimo aggiornamento sono stati davvero difficili per me dal punto di vita emotivo e pregni di impegni importanti cui dare priorità, così purtroppo, ancora una volta non sono stata capace di trovare la serenità e lucidità mentale per scrivere.
Ma non ho mai dimenticato questa travagliata ff cui tengo molto a dare un finale, a discapito di come la sto trattando.
Perciò, non mi dilungo oltre con le scuse e le spiegazioni e lascio a voi questo nuovo capitolo, con l'augurio di poter sfruttare le vacanze per dedicarmi ancora alla scrittura.
Ringrazio chi mi ha mandato messaggi, chi si è preso la briga di leggere o rileggere nell'attesa e chi semplicemente aprirà la storia.
Buona estate e al prossimo approdo!)


XXXVII – HOSTAGES

Assenza di suoni. Buio.
Perdita del senso dell’orientamento, della cognizione dello spazio e del tempo.
Si sentiva fluttuare dolcemente in qualcosa d’impalpabile, inodore, insapore.
Leggera, senza peso, come se la gravità avesse cessato incomprensibilmente di esistere, come se la propria mente si fosse distaccata ed errasse placida e libera in un’estensione indefinita, incapace e incurante di ricongiungersi al proprio corpo.
Non aveva paura. Era una sensazione conosciuta, anelata, rassicurante. Di tepore.
Piena e appagante. Era come essere tornata finalmente laddove era nata. Anche se la solitudine di quel luogo ora sembrava immensa, incolmabile, devastante.
D’un tratto un lieve brusio cominciò a propagarsi attraverso quel vuoto denso e rarefatto, una variazione di pressione sempre più forte, piccole onde concentriche riflesse sulla pelle, più numerose, più insistenti, solleticavano il padiglione auricolare, facevano vibrare i timpani, attutite, appena percettibili ma impossibili da ignorare.
Quel rumore di fondo, ritmico, ripetitivo continuava a riverberarsi, a spandersi tutto intorno, sempre meno inconsistente, simile ad un rintocco, ad un istigamento a reagire.
A ridestarsi.
Bulma aprì le palpebre. C’era come una sottile patina a velarle, le immagini davanti a sé le apparvero sfocate, sbiadite, distorte, i colori sfumati, tremolanti, mescolati, eppure in quei contorni deformati fu capace di distinguere due figure, due volti freddi e spigolosi dai connotati essenzialmente identici che la osservavano.
Intuì dal loro modo di interagire che stavano discutendo, ma il loro parlottio era stranamente inudibile, la loro voce le arrivava lontana, frammentata, ovattata.
O per meglio dire, annacquata.
Determinata ad avere la loro attenzione, schiuse la bocca, ma un ostacolo invisibile le impedì di emettere alcun suono diverso da un gorgoglio, composto di bolle e bollicine, le uscirono copiosamente anche dal naso, inondandole in breve tutto il campo visivo.
Con un deciso colpo di coda tentò di riemergere, ma non si mosse di molto. Riuscì a malapena a sporgersi per tossicchiare la gran quantità d’acqua salata ingerita e riprendere a respirare a pieni polmoni.
- Hai visto, sorella? Che ti dicevo? Non era affogata – esclamò uno dei due sequestratori, un ragazzo, a giudicare dal timbro maschile ma adolescenziale, continuando a picchiettare in maniera snervante sulla superficie di vetro – Adesso sgancia i miei due scellini.
La sodale accanto a lui gli rifilò un colpetto di gomito sul fianco, lasciandogli cadere sul palmo aperto un paio di monete, poi avanzò di qualche passo, puntandole contro il bagliore dorato di un lucernino d’ottone: - Era ora che ti svegliassi, donna pesce – la dileggiò, esibendo lo stesso sorrisetto sghembo con cui le si era presentata la prima volta.
Bulma riconobbe la bionda e glaciale piratessa che, insieme al suo complice, pochi attimi prima che potesse agguantare l’ultima sfera l’aveva trascinata via dai frenetici combattimenti in corso al fastoso Palazzo di Pilaf.
Estenuata dalla vana lotta contro i loro soprusi, indebolita dalla trasformazione causata dalla luna, aveva perso i sensi, e adesso le mancava un pezzo di quella serata per ricostruire cosa fosse accaduto esattamente dopo quella fuga rocambolesca.
E perché fosse rinvenuta ritrovandosi immersa in quella grande vasca cubica ricolma fino all’orlo, i polsi chiusi da grezzi anelli di metallo arrugginiti da cui si dipartivano delle catene agganciate al basso soffitto di un locale piuttosto buio e angusto.
Si domandò per quale crimine dovesse pagare. Non ricordava di aver commesso nulla di così condannabile!
- Chi siete voi? Dove mi trovo? Perché mi tenete qui? – si dimenò inviperita, così facendo procurandosi uno spiacevole strattone alle braccia, tese e bloccate al di sopra della testa.
- Calma, non ricominciare a strillare, o ti rificco quel bavaglio in bocca – la redarguì con fare sardonico e annoiato il giovane furfante dal caschetto bruno, accomodandosi con indolenza su una cassa di legno. – Capitan Freezer non tollera la gente che starnazza.
A quell’appellativo Bulma ebbe un sonoro singulto: - Capitan Freezer? Volete dire che … - bisbigliò scossa da un brivido, guizzando una serie di occhiate frenetiche alle stranianti ombre di quello sconosciuto ambiente per tentare di raccapezzarsi.
Rammentava di essere stata sbatacchiata su una scialuppa e che avevano remato a lungo tra le nebbiose calette dell’isola, portandosi sul versante opposto rispetto a quello da cui erano arrivati lei e gli altri, ma la sua contezza di quanto le fosse accaduto in seguito si interrompeva lì.
Il lugubre cigolio di una porta, finora rimasta nascosta alla sua percezione, le provocò un altro fremito lungo la spina dorsale, inducendola a trattenere il fiato e poi a dilatare gli occhi, ancora più confusa e trasognata quando il provvido spiraglio luminoso che penetrò le permise di mettere a fuoco il soggetto che si era palesato sulla soglia.
Era l’aitante gentiluomo ammantato di bianco che aveva incontrato alla festa e di cui aveva creduto di aver suscitato l’apprezzamento. Peccato che, in mezzo a tutto quel trambusto, avesse dimenticato perfino se le avesse rivelato quale fosse il suo nome.
Entrando posò brevemente le iridi bronzee su di lei, sul volto un’espressione superba, lanciando poi un mazzo di chiavi ai suoi carcerieri: - Voi due. Tiratela subito fuori di lì. Il Capitano desidera conoscerla.
L’azzurra trasalì un'altra volta, mentre le sue speranze andavano in frantumi: - Come?! Che disdetta! – sbottò avvilita. Il suo pressoché infallibile potere seduttivo non aveva riscosso alcun successo. Con quel bel tipo aveva sciaguratamente preso un granchio! A quanto pareva era anche lui uno dei cattivi.
I due giovani pirati intanto si adoperarono svogliatamente a eseguire le disposizioni loro impartite dal nuovo arrivato, che seguiva ogni loro mossa squadrandoli con occhio critico.
- Ogni tanto il nostro potente Capitano potrebbe anche scomodarsi di persona … – bofonchiò dispregiativo Diciassette, facendo salire la sorella cavalcioni sulle sue spalle per aiutarla a raggiungere il chiavistello imbullonato sul tetto.
- Bada a come parli, mocciosetto! – gli ingiunse con disdegno Zarbon – Ci metto un attimo a convincere Freezer a lasciarvi crepare di stenti sul primo putrido sputo di terra che avvistiamo!
Diciotto lo scrutò di sottecchi, balzando giù con un salto aggraziato e passando al gemello un capo delle catene, intimandogli con un’occhiata carica di disapprovazione di astenersi dal ribattere con altre battutine di scherno. Dovevano soltanto stringere i denti e pazientare un altro po’, prima di potersi guadagnare la tanto agognata libertà.
Issarono la sventurata prigioniera fuori dalla sua gabbia di vetro, senza curarsi né di fare piano, né degli schizzi: - Disgraziati! Non avete un minimo di accortezza! Guardate che sono comunque una delicata fanciulla, io! – protestò vibratamente l’azzurra, stordita e indolenzita dalla brutta caduta sulle dure assi di legno del pavimento.
Il luogotenente di Freezer arretrò con un mugugno di disgusto dalla pozza d’acqua che si era formata: - E fate che non vada sgocciolando, quando la porterete dal nostro Capitano. Sapete che ci tiene alla pulizia – si accomiatò difilato, facendo risuonare gli stivaloni al suo stizzoso allontanarsi.
Bulma si osservò, scoppiando in dei bassi singhiozzi: il suo splendido abito da sera di seta e d’organza era ridotto in uno stato pietoso, le calze erano tutte sfilacciate, aveva perso le scarpe e i gioielli, e molto probabilmente doveva avere il viso tutto impiastricciato dal trucco sbavato, considerò affranta, strofinandosi un avambraccio sulle guance bagnate e intirizzite.
Abbandonatasi a quegli attimi di sconforto e autocommiserazione, sussultò violentemente quando si sentì afferrare per i capelli.
- Penso potrai camminare da sola, visto che sei senza pinne … Non ho nessuna intenzione di spaccarmi la schiena … - le premise l’efebico rapitore, con quel suo solito accento denigratorio.
La piratessa dagli occhi di ghiaccio le gettò addosso un grezzo panno di tela, e, con premura inaspettata, la aiutò affinché si asciugasse un po’, intimandole in uno scontroso sussurro: - Tieni la bocca cucita, fino a che non te lo chiederà lui.
Bulma avrebbe voluto rispondere a tono ad entrambi, ma si sentiva ancora strana e confusa, quasi anestetizzata. Aveva di nuovo i piedi, perciò voleva dire che il sole era già sorto. Doveva essere stata diluita qualche sostanza soporifera in quella salamoia in cui l’avevano messa a marinare, qualche sostanza che l’aveva narcotizzata, e ciò aumentò la sua preoccupazione. Voleva essere lucida e cosciente, senza forze e senza la sua impareggiabile loquela sarebbe stata alla completa mercé di quegli aguzzini.
La tortuosa risalita verso il ponte di comando le permise di avere una rapida ricognizione del cupo luogo che la ospitava.
Doveva aver perso conoscenza per parecchie ore se non serbava alcun ricordo del momento in cui era salita a bordo del vascello del temuto pirata noto col soprannome di “Terrore degli Oceani”, proprio per la sua propensione a non lasciare testimoni né a fare prigionieri durante le sue nefande scorribande, condite da torture, omicidi e devastazioni.
Eppure lei, a discapito di ogni peggiore previsione, era ancora viva. Anche se non poteva sapere per quanto ancora lo sarebbe rimasta.
L’avevano tenuta in ostaggio dentro quella specie di acquario, che dubitava potessero aver costruito apposta per lei, considerato che nessuno in giro conosceva il suo segreto; doveva essere già stato usato per qualcos’altro o per qualcun altro, in precedenza ...
La sua brillante mente razionale non ne poteva più di essere vessata da quel turbinio di incongruenze!
Una luce fioca e sulfurea danzava nelle lanterne pendenti dalle scrostate pareti in legno d’acero di quei corridoi cunicolari, contribuendo ad attanagliarle il petto in una morsa di angoscia, tensione e impotenza quasi insopportabili.
Il luogotenente Zarbon, che li aveva scortati, bussò sull’uscio della cabina del comandante, ossequiandolo, mentre i due giovani malfattori attendevano di ricevere il suo benestare per entrare. Ricevuta una stringata risposta affermativa dall’interno, le diedero uno strattone affinché accelerasse il passo, scostarono discretamente la pesante porta e, non indugiando oltre il dovuto, scaricarono la prigioniera in malo modo su un tappeto, sfilandole le catene con cui l’avevano trascinata fin lì, ma lasciandole ai polsi un paio di ceppi che, bloccati dietro la schiena, la costringevano in una postura che accresceva lo sgradito sentore di essere pressoché inerme.
Per alcuni interminabili secondi Bulma ebbe la nitida impressione di essere osservata da una presenza invisibile, sembrava ovunque e in nessun punto in particolare di quella austera stanza, sommersa in un’infida e funerea penombra cui i suoi occhi, appannati da incipienti lacrime, stentavano ad adattarsi.
- Che cosa volete da me? – balbettò cercando di contenere i tremiti che la scuotevano, auspicando di non apparire sin troppo spaurita di fronte al suo imperscrutabile carnefice.
Con un fulmineo fruscio un individuo paludato si manifestò sotto il barlume incerto delle candele, approssimandosi a lei con incedere lento e silenzioso. Le strisciò intorno per un paio di volte, con fare inquisitorio e giudicante, un misto di supponenza e alterigia impresso sul volto pallido e scarno, ombreggiato dalla larga tesa del cappello.
La sua voce bassa, viscida e acrimoniosa la investì come una folata di schegge di vetro:
- Questa mi giunge nuova. Da quando in qua le sirene possono farsi crescere le gambe? Allora è così che vi nascondevate tra gli uomini. Oppure si tratta di un subdolo inganno … - presunse continuando a scrutarla circospetto – Che cosa sei tu?
A scapito di ogni prudenza, Bulma ricacciò il persistente groppo che le occludeva la gola, sbottando: - Potrei farvi la stessa domanda! Dicevano tutti che foste morto. Morto ammazzato, per la precisione – spuntò il mento, sfacciatamente e pericolosamente diretta.
Capitan Freezer ridacchiò, un risolino dispettoso, sardonico, intimamente divertito, che si spense di colpo: - È stato lui a raccontartelo? – le sputò contro astruso, mirando a irritarla e farle comprendere che sapeva parecchie cose sul suo conto.
- Mi avete già derubato della settima sfera! A quale scopo rapirmi? – fu la replica insolentita dell’ostinata prigioniera, che si dibatté come un pesce in debito di ossigeno.
Quell’aberrante donna dalla lingua assai tagliente e dall’appariscente chioma acquamarina, sebbene minuta e dotata di una misera capacità offensiva, pareva possedere uno spirito fiero e indocile, restio a farsi prendere gioco da qualcuno o a piegarsi ad una altrui volontà. E ciò lo intrigava molto, specialmente avendo avuto prova che lei e il suo ex pupillo, il cui carattere era altrettanto irascibile e impetuoso, avessero imprevedibilmente stretto un qualche tipo di accordo o tacita tregua, tanto da non essersi ammazzati.
Gli occhi ferrigni del redivivo Capitano della Ice Lord sovrastarono con derisione il suo strenuo e patetico tentativo di rialzarsi: - E dimmi, il caro Vegeta ti ha raccontato anche del suo maleficio? Ti ha detto che deve uccidere una creatura azzurra e cibarsi delle sue carni per liberarsene? – sibilò impietoso, in un pungente afflato al vetriolo.
La sirena smise di divincolarsi, restando distesa su un fianco: - Come …?
Freezer sogghignò malevolo, beandosi per qualche secondo della sua espressione evidentemente frastornata e disperata; poi si diresse con indifferenza verso un tavolo, servendosi un grappolo d’uva rossa che cominciò a spiluccare:
- Dovresti essermi grata per averti tratto in salvo dalle sue voraci fauci – la provocò indefesso, con scherno mascherato da finta commiserazione.
Bulma si rigirò sulla schiena, scuotendo la testa, per niente disposta ad accettare quella scomoda verità, che pure aveva presentito inconsciamente dal primo istante in cui i loro sguardi si erano incrociati e i loro respiri sfiorati. Quella fitta allo stomaco che provava in sua presenza era chiaro le stesse comunicando un messaggio inconfutabile per i suoi sensi, che il suo ottuso romanticismo però non aveva saputo ben interpretare o aveva voluto ignorare e negare.
Dopotutto era stato lui stesso a farle quella rivelazione, mentre con uguale bramosia stavano lasciandosi andare alla passione.
Da parte sua non c’era stata vera attrazione. L’aveva soltanto usata.
Eppure l’acredine, la conflittualità, la repulsione reciproca che vi erano state agli inizi tra lei e quell’uomo deprecabile, col passare delle settimane e con l’accumularsi delle leghe marittime si erano mutate in qualcos’altro. Una connessione, un'alchimia. Non avrebbe saputo definire esattamente cosa fosse, o forse semplicemente non era sicura di volergli dare una definizione tanto scontata.
Ad ogni modo, la conquista di quell’ultima sfera se l’era sudata tutta, era stato difficoltoso arrivare a destinazione, e non poteva credere che per tutto il tempo aveva rappresentato soltanto una pedina sacrificabile all’interno della sua opportunistica strategia.
Dovette sforzarsi di impedire a quell’amara delusione di pervaderla e sopraffarla, facendola cedere ad un inopportuno piagnucolio.
- Quindi è questo il vostro piano? Volete usarmi come esca? Beh, state pur certo che Capitan Vegeta non ci cascherà mai! – gli strillò contro con enfatica esasperazione, puntellandosi sui gomiti e sulle ginocchia, per risollevarsi e dardeggiare uno sguardo sfrontato su di lui.
Le spalle curve di Freezer ondeggiarono, dalla sua gola uscì un suono stridente che si mutò in una grassa risata, pregna di mefistofelica compiacenza: - Esilarante! Pensi davvero di conoscerlo meglio di me? – sbottò supponente protendendosi verso di lei – Quello non è un uomo, è un abominio. Una belva assassina priva di sentimenti, sospinta unicamente dai suoi istinti primari. È soltanto un sadico e insaziabile assassino. È questa la sua natura – replicò schiumando un malanimo che trasudava del manifesto rancore personale.
Con un sibilo si gettò alle spalle il voluminoso mantello viola che lo copriva, rivelandole il suo corpo deforme e seminudo, sfregiato da molteplici repellenti cicatrici di ustioni e tagli.
La piratessa dovette distogliere le pupille, sconcertata da quei solchi profondi che scavavano la carne viva, quasi come quelle terribili ferite fossero appena state inferte, con disumana e indemoniata brutalità.
- Sei tu la sua preda designata, adesso. Perciò sta pur certa che molto presto verrà a reclamarti – riprese a parlare l’albino, ravvolgendo nella pesante cappa il suo raccapricciante aspetto – Ma io non permetterò che ti uccida, non prima di aver ottenuto tutte le sette sfere e di aver espresso tutti i miei tre desideri. Fino ad allora, mi servirà che tu resti viva. O chissà, magari invece potresti tornarmi utile e deciderò di risparmiarti – sussurrò con ambigua ponderazione, chinandosi su di lei e facendo scorrere un sottile dito unghiato lungo il suo collo.

Era una mattinata assolata e ventosa, ideale per la navigazione in alto mare, che procedeva spedita e senza intoppi sin da quando si erano allontanati dalle acque impervie e stagnanti di quella remota regione insulare. Sulla Speedy Cloud ognuno aveva il suo bel da fare, tra cime da assicurare, vele da tesare, assi da strigliare o riparare, armi da lucidare o da sottoporre a ordinaria manutenzione.
Goku si spostava come una trottola da prua a poppa, su drizze e pennoni, coffe e stralli, prestando di buon grado una mano ai compagni anche nelle più piccole incombenze quotidiane, non approfittando mai del suo rango di primo ufficiale per oziare o dettare legge. Ed erano proprio quella sua spiccata umiltà e la mancanza di vanagloria a renderlo tanto benvoluto tra la ciurma, che lo considerava un loro pari.
Anche se quel giorno percepiva che qualcosa fra loro si era incrinato.
Quegli uomini, verso i quali non aveva mai tradito il suo giuramento di protezione e fedeltà, uomini che un tempo non avrebbero minimamente esitato ad affidargli la propria vita, adesso parevano diffidare persino della sua capacità di stringere un semplice nodo d’arresto o della sua perizia nel ripulire la canna di un moschetto.
Tutti lo guardavano con sospetto e disappunto prendendone quasi le distanze da che aveva condotto con sé quel controverso individuo. Aveva pensato che, se la sua vecchia amica di gioventù in qualche modo ci si era alleata, quel criminale non dovesse essere poi tanto intrattabile e incivile. Era sempre stato convinto che con il dialogo e con la correttezza si potesse ottenere molto di più, piuttosto che con una lotta senza quartiere.
Incassato l’ennesimo diniego ad una sua benevola offerta d’aiuto, il giovane tenente Son si rassegnò a rimanere affacciato alla balaustra, facendosi schiaffeggiare la faccia dalla fresca brezza salmastra, finché una voce rasposa non lo chiamò in causa: - Progressi col nostro stimabile prigioniero?
Era stato il Capitano Muten a strapparlo al suo monologo interiore e ora lo stava fissando con le labbra rugose serrate in una smorfia di disapprovazione.
- Stavo giusto per andare a parlargli – si premurò di rassicurarlo con tono deciso e risoluto, mettendosi istintivamente sull’attenti.
- Il tempo stringe – gli rammentò brusco il vecchio comandante, assestandogli un ammonitorio colpetto di bastone sugli stinchi.
Goku soffocò un gridolino di dolore e ubbidendogli si avviò rapidamente al boccaporto, scendendo verso la parte più bassa del vascello.
Alla fine era prevalso il voto di chiedeva che i pirati catturati, dieci in totale, per precauzione fossero trasferiti e rinchiusi nelle prigioni di bordo e guardati a vista da un pari numero di piantoni, per scongiurare possibili rivolte.
Lì sotto gli spazi erano limitati, soffocanti, l’aria umida e stantia impregnata dell’acre odore del sego delle candele, il cui flebile chiarore che si spandeva tra le sbarre rendeva l’atmosfera asfissiante e sonnolenta. Condizione che sicuramente non contribuiva a mitigare il pessimo umore di chi vi era tenuto segregato.
Tuttavia non si udivano lamenti, invettive o proteste, soltanto un sommesso mormorio, intervallato dal rumorio di passi, dallo sgocciolare della cera e dal fischio degli spifferi del vento che s’infiltrava tra le paratie.
Il giovane ufficiale si schiarì la gola, avvicinandosi ai ligi e tesissimi soldati impegnati nel servizio di guardia: - Tutto a posto, ragazzi?
- Affermativo tenente. Tutto sotto controllo – risposero prontamente due di loro, arrestando la ronda e stringendo i fucili al petto.
Goku li pregò di rompere le righe: - Prendetevi pure tutti quanti una pausa. Resto io qui con loro – li invitò consegnando il cinturone con le armi a un secondino.
- Ma signore, il Capitano … – balbettarono unanimemente disorientati, non propendendo a lasciare le loro posizioni.
Il luogotenente però ripeté con assidua serenità: - Andate – al che i marinai si scambiarono delle occhiate incerte per poi decidersi a congedarsi lentamente con un cenno di deferenza, sebbene alcuni di loro rimasero comunque nelle vicinanze, a garanzia di maggiore sicurezza.
Goku si avvicinò alla cella in cui si trovava il prigioniero dalla peggiore nomea, quello che più di tutti gli altri si temeva potesse creare seri problemi durante la detenzione.
Era stato deciso di metterlo ai ferri, ma lui che ci aveva duellato ed era stato testimone in prima persona della sua dirompente forza, capiva benissimo che avrebbe potuto spezzare quei catenacci in qualunque momento se solo avesse voluto.
Nonostante ciò, se ne stava seduto seraficamente su una panca di legno, a braccia e gambe incrociate, un’espressione di inattaccabile superiorità dipinta su quel volto indecifrabile.
- A quanto pare io e te siamo gli ultimi due saiyan esistenti sulla faccia della Terra – lo approcciò vago, non sapendo bene come rompere il ghiaccio, oltre che mosso da una genuina curiosità.
Il pirata non lo degnò neppure di un’occhiata, limitandosi a sbuffare un risentito: - Tsk.
Goku si passò un dito sul setto nasale: - Io l’ho scoperto da poco, sai. Di appartenere alla tua stessa stirpe. Ma sono nato altrove.
Vegeta questa volta gli rivolse l’imitazione di un sorriso: - Tu pensa …
- Tu, invece? Ricordi qualcosa del nostro paese? – incalzò ancora a domandare il giovane ufficiale, provando a portare avanti una chiacchierata come se tra loro non vi fossero barriere e non vi fosse mai stata inimicizia.
- Poco – smozzicò quello evasivo, dando già segno di starsi innervosendo per quell’importuno interrogatorio mascherato da amichevole chiacchierata, soprattutto perché non ne coglieva la finalità.
Ma il suo incauto interlocutore non pareva avere alcun senso della misura nella sua spropositata insulsaggine: - Sei stato allevato da Freezer, vero?
- Vi insegnano a fraternizzare con il nemico, o è soltanto una tua malsana predisposizione? – ribollì a quel punto l’ostaggio, alzandosi di scatto e facendo stridere le catene che gli bloccavano caviglie e polsi.
Goku si ritrovò i suoi occhi di onice appiccati addosso, e in quel momento pensò che il bagliore ardente nel suo sguardo intimidatorio lo rendesse più simile a una fiera che ad un uomo. Tuttavia non riusciva a provare del sano timore.
- Tu conosci bene Capitan Freezer, perciò devi esserti fatto un’idea del perché abbia rapito proprio Bulma – continuò ad argomentare, quasi credendo che la scelta delle parole più neutrali potesse essere un grimaldello per convincerlo ad aprirsi.
- Quella sciocca donna si è semplicemente trovata in mezzo tra lui e la sfera – latrò con sprezzo il filibustiere, voltandogli le spalle. Il sorgere della luna nuova si avvicinava ogni ora di più e lui era terribilmente affamato, tanto che se quel seccante ragazzo avesse continuato a subissarlo con le sue saccenti illazioni, non avrebbe risparmiato di strappargli a morsi qualche arto, anche se era sicuro che sarebbe stato un boccone insipido.
- Beh, allora Freezer avrebbe potuto semplicemente eliminarla, non credi? – insistette a dissentire il cocciuto ufficiale.
Vegeta digrignò la mascella, ma, con suo rammarico, dovette riflettere sulla sensatezza di quella considerazione. Freezer era sempre stato un freddo calcolatore, non lasciava mai niente al caso. E dunque doveva esserci necessariamente una ragione valida e ben precisa dietro la sua volontà di incaricare qualcuno del rapimento di quella detestabile donna.
Che avesse in qualche maniera scoperto il suo segreto? E se così fosse, cosa stava ordendo?
- A quanto ne so, il Terrore degli Oceani è un tipo che non si fa scrupoli a trucidare innocenti. Ho sentito storie orribili sul suo conto – continuò ad addurre il loquace marinaio – Tu, piuttosto, perché l’hai rapita?
Il pirata smise subito di tastarsi il braccio da lei medicato: - Mi serviva … Quello che sapeva. Non l’avevo rapita – mormorò tutto d’un fiato, le orecchie che fumavano; quegli invadenti interrogativi stavano mettendo a dura prova il suo già precario autocontrollo.
- Ti serviva per rintracciare le sfere – evinse sorridente Goku, contento di sé per come stava pian piano ottenendo la sua insperata cooperazione.
- Io e Bulma negli ultimi mesi insieme avevamo recuperato tre sfere – s’interpose Yamcha, che da qualche minuto si era spinto sin laggiù ed era rimasto qualche metro indietro ad ascoltare il loro animato diverbio – Andava tutto a gonfie vele, prima che ci impelagassimo con questo bastardo qui – recriminò col dente avvelenato, scoccando al rivale un’occhiata colma di disdegno, interiormente lieto che le loro posizioni si fossero infine capovolte.
- Sì, lo so – esclamò con sicumera il tenente Son, appoggiandosi con la schiena alla parete e facendogli spazio accanto a lui nello stretto corridoio in cui sostava – Avevo nascosto quelle sfere in un posto sicuro – rivelò candidamente.
Il galeotto col volto segnato dalle cicatrici allibì: - Cosa?! Era a te che le aveva affidate? Questo non me lo aveva detto … – si rattristò, umiliato nello scoprirsi inconsapevole vittima di un altro inganno perpetrato dalla donna che credeva di amare.
- Quell’imbrogliona patentata ci ha preso tutti indistintamente per il culo – commentò con causticità il saiyan recluso, accorgendosi di provare tuttavia una strana ammirazione per la sua indiscussa fastidiosa bravura.
- Comunque si sono spostate – affermò con rincrescimento Goku, grattandosi una tempia e assumendo un’espressione meditativa.
Vegeta gli si avvicinò da dietro le sbarre, scrutandolo come se potesse trapassarlo con le sue sclere divenute nerissime: - In che senso “spostate”?
- Credo che qualcuno le abbia trovate – affermò l’altro, stringendo le dita sul magico manufatto che gli pendeva dalla fusciacca – Si avvicinano a noi. Me ne sono già accorto qualche giorno fa.
Yamcha imprecò sottovoce, portandosi una mano alla fronte in un moto di resa e desolazione. La brutta faccenda in cui erano coinvolti continuava maledettamente a complicarsi, ma quello strampalato marinaio d’acqua dolce pareva prendere tutto quanto con sin troppa sbadataggine.
- È palesemente opera di Freezer! Lo sporco codardo non si è neanche degnato di farsi vedere! Ci sta tendendo una trappola! – vomitò come un’onda schiumante di veleno il truce pirata, restando a stento confinato nel ristretto perimetro della cella.
Il paziente secondo di bordo invece non abbandonò l’atteggiamento composto e controllato mantenuto finora: - Sai per caso se ha un covo da queste parti, in cui sia solito mettere la sua nave alla fonda? Oppure pensi che preferirà coinvolgerci in una battaglia?
Vegeta assottigliò lo sguardo; non poteva farsi offuscare dall’istinto omicida, doveva usare oculatezza: - Non mi hai ancora detto cosa ci guadagno – inclinò la testa, osservandolo in modo penetrante dalle punte dei capelli a quelle degli stivali.
- Tu non me lo hai chiesto – ribatté irriflessivamente Goku, capendo troppo tardi che stava per impegnarsi in una promessa che per il bene suo e di altri non avrebbe dovuto accettare.
I lineamenti marcati del filibustiere si distesero, mentre un luccichio diabolico affiorava tra i suoi occhi e i suoi denti: - La tua bussola. E la sua nave.



Sirena-azzurra

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