Le solitudini elettive. di coopercroft (/viewuser.php?uid=1146299)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'arrivo a Londra ***
Capitolo 3: *** Mycroft ***
Capitolo 4: *** i miei coinquilini ***
Capitolo 5: *** Il lavoro al San Bart ***
Capitolo 6: *** La cena inaspettata con Mycroft ***
Capitolo 7: *** Ricordi dolorosi ***
Capitolo 8: *** La minaccia. ***
Capitolo 9: *** Mycroft cambia strategia. ***
Capitolo 10: *** L'archivio e la discesa negli inferi ***
Capitolo 11: *** Esperienze investigative e rimproveri ***
Capitolo 12: *** Prendersi cura del British Government. ***
Capitolo 13: *** Serata da Holmes. Prima parte ***
Capitolo 14: *** Serata da Holmes. Seconda parte. ***
Capitolo 15: *** Il racconto di Laura ***
Capitolo 16: *** Anthea si rivela un'amica ***
Capitolo 17: *** Una cena per due. Prima parte ***
Capitolo 18: *** Una cena per due. Seconda parte ***
Capitolo 19: *** Una amicizia letale ***
Capitolo 20: *** Il corpo di Gwen ***
Capitolo 21: *** Il bunker di Mycroft ***
Capitolo 22: *** Il ferimento di Laura. ***
Capitolo 23: *** Il bacio ***
Capitolo 24: *** La partenza di Mycroft ***
Capitolo 25: *** Le solitudini elettive ***
Capitolo 26: *** In attesa del suo ritorno ***
Capitolo 27: *** Un rientro angoscioso ***
Capitolo 28: *** Le confidenze con John ***
Capitolo 29: *** Ancora sir Malvest ***
Capitolo 30: *** Prove di strategia ***
Capitolo 31: *** Un armistizio precario ***
Capitolo 32: *** Mycroft è furioso ***
Capitolo 33: *** Niente è perfetto nemmeno l'amore ***
Capitolo 34: *** L'addio a sir Edwin Malvest ***
Capitolo 35: *** Partner of relevance ***
Capitolo 36: *** Quando saremo stanchi cammineremo con il cuore ***
Capitolo 37: *** Quello che conta è averti al mio fianco. ***
Capitolo 38: *** Le onde e la barchetta chiamata Amore ***
Capitolo 39: *** Fastidiose interferenze ***
Capitolo 40: *** Iniziare insieme ***
Capitolo 41: *** L'angoscia di Mycroft ***
Capitolo 42: *** La misura del dubbio ***
Capitolo 43: *** Problemi e Chiarimenti ***
Capitolo 44: *** Convivenza ***
Capitolo 45: *** Quando il sesso completa l'amore ***
Capitolo 46: *** Epilogo: Westminster Abbey ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Avevamo aspettato troppo, presi a studiarci, a
provocarci,
entrambi chiusi nelle nostre fortezze.
La solitudine che ci aveva accompagnati per anni,
era fiorita e ci
aveva uniti.
Mi ricordai del libro di Goethe che mi aveva
così tanto colpito
quando l’avevo letto e quella frase che mi aveva emozionato :
“In
questo lasciare e prendere, fuggire
e ricercarsi,
sembra davvero di vedere una determinazione superiore:
si dà atto a tali esseri di una sorta di volontà e capacità di scelta, e si trova del tutto
legittimo un termine tecnico
come affinità elettive.”
Solo
che la nostra era stata una
sorta di “solitudine” elettiva.
Appoggiai
la fronte al vetro,
consapevole che non avevo avuto molto e non avevo dato altrettanto.
L’orgoglio
si era portato via tutto.
Se
qualcosa era stato seminato ora
era congelato. Freddo, sospeso alla mercé del caso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** L'arrivo a Londra ***
L’arrivo
all’aeroporto di Londra fu in perfetto orario.
Lasciare
l’Italia con il sole e ritrovarsi a respirare la
prima nebbia della città, fu traumatico, ma avrei dovuto
abituarmi in fretta
visto che avrei trascorso sei mesi di tirocinio al St.
Bartholomew’s Hospital per
diventare patologa forense.
Mi
strinsi nella giacca, desiderando un po' di calore,
intanto cercavo con lo sguardo il mio tutor che attendeva nella sala
degli
arrivi.
Vidi
la dott. Hooper la riconobbi perché aveva in mano un
cartello con il mio nome su cui spiccava un bel “Dott.ssa
Laura Lorenzi,
MD.”
Mi
inorgoglii della mia laurea e della mia futura
specializzazione. Mi diressi verso la figura vestita con una giacca di
lana con
colori vistosi, che indossava un buffo cappello. Non era certo un
tipico
abbigliamento da inglese formale.
“Dott.
Hooper, che piacere incontrarla.”
Il mio inglese non era certo perfetto, ma
contavo di migliorarlo in quei mesi. Le strinsi la mano con forza,
sentii la
delicatezza del suo tocco, una mano sottile, ma energica.
“Venga
Laura,” Hooper storpiava un po' il mio nome italiano,
ma era normale pronunciato con quel tipico accento inglese.
“La ospito a casa
mia, finché non si libera una stanza dalla signora Hudson,
una cara vecchia
amica.” Le sorrisi, mentre mi trascinavo la borsa da viaggio. Non avevo portato molti
cambi di vestiario,
decisa a fare acquisti nella City.
Prendemmo
un taxi e attraversammo la città,
La
mia tutor abitava in una graziosa zona residenziale,
divideva la casa con altri
colleghi, ma
non poteva ospitarmi che per pochi giorni.
Mi sistemò in una camera con un’ampia
finestra luminosa, un letto
confortevole e una scrivania funzionale.
Appoggiai la mia borsa su di una sedia.
“Mi
spiace Laura di non poterti ospitare da subito.
Ti ho trovato una stanza a Baker Street,
per ora posso solo affidarti alle cure della
signora Hudson e dei suoi stravaganti inquilini.” Mi guardò
pensierosa, ma si fece serena.
“Con loro non ti
annoierai di certo. Uno dei due collabora con me e con la polizia.
Quindi sono
di casa in un certo senso.”
Io annuii
un po' distratta.
“Va
bene dottoressa Hooper, di solito riesco ad adattarmi a
qualsiasi situazione.” Cercai di tranquillizzarla facendole
capire che non ero
una persona schizzinosa. Mi
avvicinai
ascoltando quello che mi stava per dire.
“Dovrai
condividere parte dell’appartamento con due maschi
adulti e una bimba, figlia del dottor Watson,
la cui moglie è morta circa due anni fa.
Loro dopo tante indecisioni, sono una coppia.” Si
fermò e fece scivolare le mani sui
fianchi, mi sembrò imbarazzata.
“Questo
può essere un problema per te?”
Non so
perché non fui sorpresa, ma la mia famiglia adottiva in
Italia era di ampie
vedute e io ero cresciuta tollerante e disponibile a qualsiasi apertura
mentale.
“Non
ho nessun pregiudizio, dottoressa sono venuta per
studiare non per giudicare la vita degli altri.”
Lei
fu contenta della mia risposta, mi prese da subito in
simpatia, poi mi lasciò nella mia stanza ad aspettare la
cena.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Mycroft ***
Era
il primo giorno e mi svegliai presto, vidi la luce
filtrare da sotto la tenda. Mi alzai, stiracchiandomi
aprii la finestra, guardai gli
ordinati giardini delle villette della periferia di Londra. Trovai
tutto così
calmo e ordinato. Rabbrividii
investita
dall’aria umida e richiusi in fretta, poi mi preparai, feci
una rapida doccia e
indossai dei Jeans, una bianca camicia di cotone, e un caldo pullover
azzurro.
Scesi in fretta per non
farmi aspettare.
Mi
ero scordata delle abbondanti colazioni inglesi, io a
Siena prendevo solo un cappuccino o un caffè.
Così
declinai le offerte della dottoressa Hooper di
mangiare, e mi limitai a prendere un tè leggero visto che
non sapevo cosa mi
avrebbe atteso all’obitorio. Certamente non volevo
appesantirmi.
“Laura,
non ti preoccupare all’inizio ti affiderò il
laboratorio, solo più avanti ti farò sperimentare
il resto.” Molly
era decisamente un ottimo tutor che non
mi avrebbe spinto a decisioni forzate. Fare autopsie forensi non era
una scelta
facile, ancora non sapevo se sarei riuscita a superare certi blocchi
psicologici. Aiutai la mia tutor a sparecchiare e lasciammo la casa.
Fu Molly stessa a
portarmi con la sua vecchia auto al San Bart. Il viaggio fu breve e
silenzioso,
ancora faticavo a parlare un inglese scorrevole. Molly mi indicava i
vari nomi
dei luoghi dove passavamo e cercavo di memorizzare il più
possibile.
Arrivammo
in orario.
L’edificio era maestoso, un po'
retrò, alto e impersonale. Mi mise
addosso una leggera inquietudine.
Hooper
parcheggiò all’ interno nei posti assegnati,
scendemmo dall’auto e percorremmo un viale con delle siepi
curate, delimitato
da alti alberi. Raggiungemmo un ampio parco con al centro un vecchio
pozzo
sigillato, attorniato da panchine di legno, dove erano seduti degli
studenti.
Un palazzo più piccolo si delineò davanti a noi.
“Laura
ecco il laboratorio, e anche l’obitorio.” Hooper aprì con
il pass la massiccia porta a
vetri e mi si parò davanti un ampio ambiente che portava ad
altre stanze. Fui
subito colpita dall’odore di
disinfettante, che non fu piacevole al primo impatto.
Lei
vide la mia faccia contratta. “Stiamo cercando di
migliorare questo odore troppo forte, che non è piacevole
per nessuno. Fatti
forza Laura ti ci abituerai.”
La seguii senza dire
nulla, raggiungemmo la sala del personale dove lei mi affidò
il lavoro per
quella mia prima giornata. Dovevo analizzare dei reperti, e catalogarli. Mi assegnò il
mio armadietto con tutto
l’occorrente per il mio lavoro.
Molly
prese il cartellino con il mio nome e il codice e lo appuntò
sul taschino del
camice.
Mi
portò al laboratorio, che si trovava alla fine di un
corridoio lungo ma ampio con delle finestre che davano sul cortile
interno.
Vicino alla porta a vetri c’era un tavolo di legno con una
panchina appoggiata
al muro, alcune bacheche erano appese piene di fogli e avvisi. Hooper
aprì la
porta e ci ritrovammo nel laboratorio, con le attrezzature sistemate in
un
lungo tavolo al centro, ordinate e tecnologiche.
Alla fine della stanza una scrivania era
ingombra di carte e cartelle rosse. Mi indicò quella e il
lavoro da svolgere.
“Bene
Laura, comincia pure, se hai bisogno sono di là a fare
una autopsia, quindi bada ad entrare. Fallo quando ti senti
pronta.” La
ringraziai e mi misi al lavoro, lei era
decisamente simpatica e alla mano. Sopportava con pazienza il mio
Inglese
difficoltoso, mi ripromisi di dedicare più attenzione alla
lingua, che dovevo
riuscire a pronunciare in modo perfetto.
Fu completamente
assorbita. Passai buona parte del tempo a catalogare, a compilare
cartelle
rosse indirizzate ad un ufficio del Governo. Su cui spiccava un bel Top
Secret,
che mi incuriosì. Tutte
le analisi erano
inviate agli uffici governativi del Mi6.
Non
che sapessi molto della gerarchia del Governo di sua
maestà, però capii che erano importanti. Passai
buona parte della mattina a
scrivere e riordinare le carte accumulate sulla scrivania.
Hooper
entrò e mi chiese come stava andando. Vide il buon
lavoro e mi affidò un altro compito.
“Laura
dovrebbe arrivare il signor Sherlock Holmes.
Dovresti
consegnargli queste cinque cartelle. Arriverà tra
circa una mezzora. Così conoscerai il tuo futuro
coinquilino, che collabora
molte volte con la polizia per le indagini di omicidio.” Molly mi sorrise.
“Se hai problemi chiamami.
Lui è un po' particolare, ma è una brava
persona.”
Rimasi
perplessa, non feci in tempo a chiederle nulla, la
dottoressa se ne era già andata. Alzai le spalle e ripresi
il lavoro. Dovevo
ancora prendere la misura al mio nuovo incarico. Lasciare
l’Italia non era
stato facile. Dopo la laurea volevo fortemente quel tirocinio, lo
dovevo ai
miei genitori adottivi morti assassinati durante una rapina nella
nostra villa.
Ne portavo ancora i segni nei polsi e nelle caviglie, quando mi avevano
legato.
Sentii
bussare, e lasciai i miei pensieri pesanti, mi ricordai
del mio incarico presi le cartelle rosse
e mi avviai decisa verso la porta a vetri.
Aprii
con leggerezza, ma mi trovai davanti una persona che
non sembrava corrispondere alle descrizioni di Hooper.
Mi
fermai con le cartelle in mano e lo guardai sospettosa,
era un uomo maturo, vestito con ricercatezza inusuale, un completo tre
pezzi
elegante e indossava un Crombie scuro, con una sciarpa di seta costosa. Aveva un ombrello che
stringeva tra le mani, che
puntò a terra. Ci appoggiò il peso e mi
scrutò. Sollevò le sopracciglia e
strinse gli occhi grigi. Era nel complesso un uomo piacevole.
Mi mise decisamente
in imbarazzo, all’inizio non ebbi nessuna empatia con lui.
“Dottoressa
Laura Lorenzi? “Alzò l’ombrello
puntandolo sul
cartellino appuntato sul camice. “È la nuova
tirocinante? Italiana
a quanto pare.
“Ha
indovinato.” Fui
asciutta, lo
osservavo con
curiosità. “Quindi
è a lei che devo
consegnare le cartelle? È il signor Sherlock
Holmes?”
Lo
vedi stringere la mascella, ma mascherò rapido
l’imbarazzo, era decisamente molto controllato.
“Direi
di no, sono il fratello, ma le può consegnare a me. E
comunque, dottoressa io non indovino, osservo!” Lo
puntualizzò era certo poco
propenso a essere gentile, probabilmente era abituato a comandare. Si
appoggiò
nuovamente al suo ombrello, già mi sembrava strano visto che
fuori c’era il
sole. Certo era un tipo curioso.
Sorvolai,
abbozzando un mezzo sorriso, ma fui decisa.
“Mi
spiace, ho l’ordine di darle al signor Sherlock, quindi
attenda qui, sento come mi devo comportare!”
Sbuffò
seccato, perse un pò di “English
aplomb”, ma mi
lasciò uscire senza aggiungere altro.
Raggiunsi
Molly che mi confermò del fratello di Sherlock.
“Laura,
non farci caso se sarà scortese, quella è proprio
una sua caratteristica, diciamo così. Non ama essere
contradetto.” Mi sorrise
divertita vedendo la mia faccia contrariata.
Ritornai
sui miei passi, decisa a non lasciarmi intimorire,
certamente sorpresa da quell’uomo particolare.
Quando uscii lo
trovai voltato a guardare il parco, subito con fare canzonatorio, si
girò.
“Bene
allora, dottoressa Lorenzi, sono stato approvato per
la consegna delle cartelle?”
Cercai di essere
fredda, gli risposi incolore. “Certo sig. Holmes, mi scusi,
mi dia il suo nome
la devo registrare.”
Questo
lo irritò di più, mi ritrovai divertita a
stuzzicarlo, perché non mi sembrava una persona da temere.
Appoggiai
le cartelle sul tavolo, con lui vicino che mi osservava
e aspettava. Visto
che non parlava lo
sollecitai.
“Signor
Holmes il suo nome, prego? Devo compilare la
ricevuta.” Presi il registro
e
aspettai.
“Per
Dio, dottoressa Lorenzi! Mi
chiamo Mycroft Holmes, le va bene?”
Fece
una smorfia che doveva essere un sorriso. “Vuole anche
la mia carta d’identità, o il pass
governativo?”
Non raccolsi il suo
sarcasmo. “Un nome inconsueto, come Sherlock del
resto!” Ridacchiai
mentre lui mi guardava sottecchi.
Si
avvicinò e firmò le carte. Il suo profumo di
acqua di
colonia cedrata coprì per un istante l’odore del
disinfettante, mi fissò
infastidito.
“Spero
che non dovrò fare tutte le volte questa storia.
Visto che mi vedrà spesso a ritirare le cartelle.”
“Bene,
la terrò presente signor Mycroft Holmes.” Se ne andò
seccato, dopo avermi squadrato, mi
salutò con un cenno del capo.
“Dottoressa
Lorenzi a presto.”
lo guardai uscire mentre
ondeggiava il suo amato ombrello. Eppure non mi fu antipatico, mi diede
l’impressione di essere un uomo atteggiato, che aveva in
realtà una grande
solitudine, forse come la mia.
Allora non ero a
conoscenza di chi fosse e quali poteri avesse, solo più
tardi seppi, che era
lui stesso il British Government.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** i miei coinquilini ***
La
giornata trascorse veloce, Molly Hooper fu contenta del
mio lavoro, nonostante il mio inglese non perfetto.
Contavo di dare
alcuni esami per aumentare la qualità del mio lavoro, era
importante riuscire a
comprendere bene la lingua. Così mi ero munita di libri e
decisa a studiare la
sera. E avessi dato l’ esame di secondo grado avrei avuto
più crediti per
rimanere altri tre mesi.
“Vedo
che ti dai da fare Laura. Stasera ti porto a conoscere
i tuoi coinquilini, poi vedrai quando trasferirti.”
Fui
d’accordo meglio accelerare i tempi, prima mi inserivo
meglio era per la mia vita sociale.
Così
a fine turno Hooper mi portò a Baker Street, che non
era nemmeno troppo distante. La via era affollata, l’entrata
era vicina ad un piccolo pub. L’
edificio era grande e ben tenuto. Bussammo alla porta e ci
aprì una gentile
arzilla signora di una certa età
“Eccola
dunque la nostra nuova ospite! Venga cara si troverà
bene con quei due squinternati di sopra!”
Fissai
Molly sorpresa, che mi sorrise e mi spinse su per le
scale.
“Non
ti spaventare Laura, sono brave persone infondo…” Il modo di fare di Molly
mi fece presagire
giornate non proprio tranquille, ma ero spesso fuori per lavoro e lo
studio,
perciò mi rassegnai, abbozzai ed entrai.
La
mia prima impressione fu sconcertante, la casa era
sicuramente “vissuta”, piena di oggetti, anzi
decisamente ingombra. Delle
poltrone piuttosto usate erano di fronte ad un camino, il tavolo nelle
vicinanze zeppo di libri. Nel fondo della stanza si intravvedeva la
cucina,
dove scorsi un uomo con una bambina in braccio, che si dimenava per
scendere e
correre verso Molly. In fondo c’era un altro tipo con i
capelli neri ricci, che
osservava al microscopio.
Pensai
subito che fosse il fratello del compassato Mycroft,
perché ne aveva gli stessi atteggiamenti. Sollevò
il volto e mi squadrò con la
stessa tecnica del fratello.
John,
così lo aveva apostrofato Molly, era invece il padre
della piccola Rosie.
Fu
cordiale e si presentò, pensai che almeno uno dei tre era
normale.
Parlammo
giusto il poco che era necessario, poi la signora
Hudson mi portò al piano superiore dove trovai la mia
camera, fortunatamente
sgombra e luminosa, con una piccola libreria un tavolo dove poter
studiare. Il
letto era ampio, e soffice al tatto.
Nel
fondo sulla destra c’era un piccolo bagno pulito e
funzionale. Fui soddisfatta,
e decisi di trasferirmi l’indomani.
Raggiunsi
Molly di sotto, che parlava con Sherlock che mi
guardò appena.
Rosie allungò le braccia
verso di me, ne fui piacevolmente sorpresa. Rosie era affettuosa e
morbida, la
tenni in braccio volentieri.
“Laura,
non fare caso ai fratelli Holmes, sono poco inclini
ai gesti affettuosi. Ma quando servirà potrai contare su
entrambi. Vero Sherlock?”
Molly diede una gomitata al riccioluto, che
mi salutò con un mezzo sorriso forzato.
Risposi ridendo,
pensando a che tipo di rapporto ci potesse essere tra i due Holmes
visto la
mancanza di empatia.
“Ho
conosciuto suo fratello stamane. E si è molto risentito
perché l’avevo scambiato per lei.
Si
offeso di più quando non gli ho consegnato le cartelle.
Quindi posso capire il
vostro modo di fare, Holmes.”
“Mycroft,
scambiato per me doveva essere uno spasso! Ha il
mio rispetto Dottoressa Lorenzi, immagino la sua faccia!” Lui rise
alzandosi e si avvicinò per
salutarmi con più attenzione. Era decisamente più
attraente del fratello
maggiore. I lineamenti morbidi, il volto delicato e due occhi chiari
incorniciati da ricci neri.
Era
attento, e sembrava studiare le persone come le stesse
sezionando. Mi sorrise, e fu educato come il fratello, ma era
più schietto, più
diretto.
“Spero
si troverà bene con noi tre, siamo alquanto tolleranti
ma incasinati, le prometto che non le invaderemo la sua stanza!
Sicuramente il
suo Inglese migliorerà visto che non stiamo mai
zitti.”
“Quindi
siamo d’accordo, domani mi trasferisco e spero di
non darvi fastidio, ma se voleste della giusta privacy dovete solo
dirmelo.”
Sapevo di rompere un po' i loro equilibri, avrei cercato di non essere
invadente.
“Bene
Laura, mi sembra già positivo il nostro primo
incontro, e poi Rosie ti ha già in simpatia.”
John sembrava il più felice dei due,
perché aveva capito che mi
piacevano i bambini.
Lasciammo
Baker Street, soddisfatte Molly era convinta che
tutto sarebbe andato per il meglio. E anche io lo speravo vivamente.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Il lavoro al San Bart ***
Il
mattino seguente Hooper mi affidò ancora del lavoro al
laboratorio, preparavo e compilavo le cartelle per il governo, quelle
che poi
puntualmente ritiravano gli Holmes. Un lavoro semplice in attesa di
cominciare
le mie prime autopsie. Puntuale alle dieci arrivò Mycroft bussò alla
porta a vetri, lo feci entrare
visto che stavo ancora finendo.
“E’
in ritardo stamattina dottoressa Lorenzi, non ho molto
tempo.” Era seccato e frettoloso, vestito
con la solita cura, come se fosse appena
uscito da casa, appoggiò il suo ombrello sulla poltrona e si sedette di fronte alla
scrivania.
Era
partito con il piede sbagliato, così finii per
vendicarmi. “Ho quasi finito, stia sereno, le firmo e gliele
consegno. Ma badi
di non restituirmele scombinate come ieri.”
Aggrottò
la fronte. “Nessuno nel mio ufficio mette in
disordine le vostre cartelle!”
“Qualcuno
si, visto che ho dovuto ripassarle tutte. Quindi
la prego avvisi i suoi sottoposti che siano ordinati.” Fui
troppo dura, ma mi
irritava che mettesse in forse le mie parole.
Il
risultato fu che la prese
malissimo, si alzò seccato, finì per
girare a vuoto per la stanza. Osservava con finto interesse qualsiasi
cosa gli
capitasse davanti, sorrisi a testa bassa, mascherandomi bene. Compresi che non amava
essere redarguito, così
smorzai un po' i toni.
“Forse
la fretta non ha permesso di mettere tutto in ordine,
capita, non ne faccia un problema”
Cercai
di per metterlo a suo agio, ma si mantenne sulle sue.
Ora di fronte a me con le mani piantate in tasca, che mi fissava
severo. Tornai
a lavorare il più rapidamente possibile per lasciarlo andare
via.
“La
smetta di fissarmi, Mycroft, mi mette in imbarazzo, sta
studiando ogni mio movimento. Fa così con tutti?”
Lo rimbrottai tediata.
“Le
dà fastidio?” Fu come al solito arrogante e
fastidioso.
“Si, mi sembra un
comportamento immaturo!” mi era presa la voglia impellente di
provocarlo.
“Mi
dà dell’immaturo?”
Roteò gli occhi, sbuffando.
Lo
guardai con stampato un sorriso ironico. “Non sia mai, Mister
Holmes, soprattutto a lei che tratta con
ministri e regnanti.”
Si
allontanò poco convinto. Il primo round lo avevo vinto,
ora si sarebbe comportato gentilmente.
Finii
per consegnargli le cartelle, che afferrò senza dire
nulla.
Poi
per stemperare la cosa, lo informai della mia visita a
Baker Street e del mio imminente trasferimento.
“Mio
fratello mi ha informato stamattina. Quindi la incontrerò
più spesso di quanto credessi, Lorenzi!”
“E
non sarà contento di vedermi di più Mister
Holmes?” Ci
misi quel tanto di ironia che servì per
pungolarlo.
Infatti
borbottò qualcosa di incomprensibile, uscì
fissandomi torvo. Sorrisi
ma allo stesso
tempo mi rammaricai di averlo trattato così, non mi spiegavo
il mio
comportamento.
Molly
entrò in quel momento e mi vide pensierosa.
“Che
hai fatto a quel povero uomo
laura? Bada che non è una persona facile, ed è
molto di più di quello che
sembra, praticamente tira le fila dello stesso governo. Sii
cauta”
“Lo
sarò se lui si comporta da
persona civile e non con quell’aria da
superiorità. E qui potrebbe anche andare
bene, ma quando ci incontreremo a Baker Street spero sia più
gentile..” Molly
annuì.
“Sii
paziente e vedrai che
riuscirai a stabilire un rapporto o al limite una tregua.
Perché gli Holmes
sono persone particolari ma affidabili.”
Mi pizzicai il naso pensierosa e pentita,
poi andai con lei al laboratorio che
precedeva l’obitorio, mi
prese il
braccio e mi portò fino alla porta.
“Che
dici di entrare? Solo per
mostrarti com’è dentro.”
Pensai fosse
una punizione per come mi ero comportata con Mycroft, ma non era
così, perché
Molly fu gentile e aspettò che rispondessi.
Acconsentii,
ed entrammo
nell’obitorio. Il primo impatto fu devastante,
l’odore di disinfettante era
totale. Le luci fredde e irreali. La seguii titubante chiedendomi se
era quello
il lavoro che volevo fare.
“Oggi
ti faccio solo visitare la
stanza, il resto un
poco alla
volta.” Il
mio tutor fu quanto di meglio
potessi avere, mi
guidò piano senza
forzarmi dandomi il tempo di adeguarmi. La mia prima volta fu senza
cadaveri,
e gliene fui
grata.
Quando uscii mi
sembrò che il mondo al di
fuori fosse
bellissimo, persino l’aria
era leggera e apprezzai di più il fatto di essere viva e di
respirare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** La cena inaspettata con Mycroft ***
Quella
sera mi trasferii dalla sig.
Hudson. Mi accompagnò Molly che mi aiutò disfare
i miei pochi bagagli. Sistemai
la camera mentre pensavo al primo giorno al San Bart, e come avrei
affrontato
la mia prima vivisezione. Ero preoccupata ma decisa a imparare in
fretta.
Finii
di rifarmi il letto e scesi.
Molly se ne andò quasi subito e così rimasi con
John e Rosie. Preparai la tavola
e diedi una mano per la cena. Sherlock
non c’era, conversai con John della mia visita
all’obitorio, lui era un medico
e poteva capire le mie difficoltà. Fu comprensivo e mi
incoraggiò a continuare.
Poi gli raccontai della visita di Mycroft, e sogghignò per
tutto il tempo.
“Laura,
non hai cominciato bene con
Mycroft, devi prendere le giuste misure con lui.” John era
sincero, conosceva
già da tempo il fratello di Sherlock, e il rapporto
complicato che li legava.
“Ma
come, se è sempre così sopra le
righe! Con quel fare saccente e irritante. Pensare che
l’inizio mi era sembrato
pure simpatico. E
solo.”
“La
solitudine per lui non esiste,
ci sta bene dentro, non ama avere amici, nè relazioni, nel
suo ambiente lo
chiamano Ice Man.” Non mi stupii più di tanto
vista la freddezza che mi aveva
dimostrato.
“Starò
più attenta visto che sarà
spesso da queste parti. Cercherò di essere più
tollerante.” Finii
di apparecchiare e presi in braccio
Rosie per leggerle un libro di favole. Ci sedemmo sulla poltrona.
Non
passò molto tempo, sentimmo dei
passi salire le scale, la porta si aprì e invece di Sherlock
fece la sua
apparizione Mycroft. Una visita inaspettata vista la faccia di John,
che non
nascose la delusione.
“Se
cerchi tuo fratello non è
ancora tornato.” Lui
alzò la mano
all’indirizzo del dottore. Si
era
piantato al centro della stanza, con autorità.
“Sono
venuto per dirti che stasera
e forse domani sarà fuori. Un lavoro governativo improvviso,
ma niente di
pericoloso.” Appoggiò tutto il peso
sull’ impugnatura del suo ombrello,
inquadrandomi irritato. Mi aveva degnato della sua attenzione. Gli
rimandai un
sorriso falso.
John si alterò. “Avrebbe potuto
avvisare, voi e i vostri
segreti di stato!” Poi
sbuffò. “Almeno
rimani a cena visto che avevo già preparato per
tre.”
Mycroft
tergiversò mi osservava mentre
coccolavo Rosie. Stava valutando se passare una serata dove ci fossi
anche io, sembrava
poco convinto. Gli
indirizzai un cenno del capo come saluto.
Lui si accigliò e prese ancora tempo.
John stava perdendo la
pazienza, tormentava i
fornelli con rabbia. Allora
intervenni,
in fondo potevamo convivere nella
stessa
stanza per un paio d’ore senza azzuffarci.
“Rimanga
Mycroft, per pietà o John
darà fuoco alla casa.”
Presi in braccio
Rosie e la portai al padre. Mi rivolsi a lui che sembrava tediato.
“Perché
non mi dà una mano, Holmes,
così John si calma. Le prometto che non le darò
fastidio.” Risi
vedendo la faccia di entrambi, John
allibito, Mycroft contrariato. Non
gli
lasciai il tempo di rispondere presi il grembiule, e glielo allungai,
lo
invitai a togliersi la giacca. Volevo
farmi perdonare per come l’avevo trattato.
“Avanti
Mycroft, mi dia una mano,
trascorra la serata con noi.” Contrasse
i muscoli delle spalle, ma accettò.
Tolse la giacca, e la
sistemò accuratamente
piegata sulla sedia, rimase in camicia e gilet con due buffe
giarrettiere alle
maniche, gli allacciai il grembiule dietro la schiena dritta e stretta,
le
spalle si allentarono un poco. Magro
e
alto, profumava ancora di bucato fresco. lo
indirizzai ai suoi compiti di cuoco.
John
ci osservava dalla poltrona
con la bocca aperta senza dire nulla, perfino Rosie cinguettava felice.
“Chiudi
quella bocca Watson, lo
faccio per riparare al danno di mio fratello, che si è
defilato.” Holmes fece un
lungo sospiro rassegnato. A capo chino sogghignavo, ma mi piaceva
vederlo
allentare quella sua stupida freddezza.
Devo
dire che si comportò bene in
cucina, fu
all’altezza, evidentemente
cucinava spesso da solo. Sapevo della perspicacia degli Holmes e subito
la
trovai esposta.
“Che
c’è Lorenzi? Pensava
fossi un impedito ai fornelli? “Mi
rivolse un mezzo sorriso, che fatto da lui era decisamente molto. Affettava le verdure con
perizia, poi io le
saltavo in padella. Non invadeva i miei
spazi, e non era pedante nel dare consigli, semplicemente svolgeva il
suo
lavoro attento. Che fossero documenti governativi o semplici verdure
per
Mycroft era uguale, stessa meticolosa attenzione. Era
difficile che si distraesse, che si
sporcasse, cosa che invece regolarmente accadeva a me.
“Due
grembiuli non le basterebbero
Lorenzi.” Mi guardò già sporca di sugo,
ghignando nel avermi sorpresa così
maldestra.
Alla
fine portammo in tavola la
cena, ci raggiunse John con la piccola Rosie, si
era calmato per la lontananza
di Sherlock. Mycroft
era seduto al mio fianco, si dimostrò
educato e gentile, mi riempiva il bicchiere come un perfetto gentleman,
mi
passava il cibo.
Conversammo
di cose leggere o di
Rosie, ma mai del lavoro o di quelle cartelle così
importanti. Nemmeno John
chiese nulla.
Il British Government era
rilassato appoggiato
alla sedia, si era rimesso la giacca. Non avrebbe mai cenato in
disordine.
Notai che manteneva una costante distanza, difficilmente si lasciava
toccare o
avvicinare. Lo permetteva solo a Rosie.
Che spesso era attirata da lui e mai si
tirò indietro. La coccolava discretamente e
le parlava come un’adulta. Lei lo ricambiava imbrattandolo di
cibo, ma non
perse mai la pazienza, mi sopresi di vederlo così
disponibile. Per pochi minuti
vidi una parte di lui che credevo non avesse : era premuroso. John a testa bassa mi
guardò e mi sorrise
complice.
Rosie
cominciò a sentire la
stanchezza. John ci
lasciò soli mentre
la preparava per la
notte.
Ci
prendemmo carico di riassettare
la cucina. Mi alzai e Mycroft mi seguì silenzioso per
riordinare. Ruppe il
silenzio dopo un po', forse non sapevamo entrambi come approcciarsi.
“Come
va il tirocinio, Lorenzi?” Mi
sorpresi alla sua domanda, nessuna
inclinazione nella sua voce.
“Bene,
qualche difficoltà con
L’inglese. Non sono mai stata ferrata nelle
Lingue.” Fui gentile in fondo se lo
meritava.
Mi
fissò ironico, “Un lavoro così
complesso e una cosa semplice come l’Inglese la
spaventa?” Ecco
lì che ricominciava ad essere stressante!
“Non
mi spaventa Holmes, ma ho
delle difficoltà con
i termini tecnici, non
possiedo la sua “notevole intelligenza.”
Così presi a infastidirlo anch’io.
“Chi
le ha detto del mio quoziente
intellettivo?” Fece una smorfia, mentre asciugava le
stoviglie con meticolosa
attenzione.
“Voci
che hanno messo in giro
: “Mycroft
Holmes, the British
Government”, “The Smart
one” o soprannominato
“Ice man”. Risi
e lui si offese, cambiò in volto,
evidentemente non gli piacevano i nomignoli che gli avevano affibbiato.
“E’
stato Sherlock?”
“Non
svelerò le mie fonti.”
Soghignai alla sua irritazione. “Nemmeno sotto tortura! Oh, avanti Mycroft era una
battuta, la sua
fama la precede. Non fanno altro che dirmi di esser tollerante con
lei.”
“Tollerante?
“ Mi
fissò arcigno e aumentò la forza con
cui si adoperava
sulle forchette.
“Beh,
non so mai come prenderla, in
verità tende a offendersi spesso.”
Lo guardai
divertita mentre gli caddero le posate nella
lavastoviglie.
“Non
sono così difficile, sono gli
altri che sono irritanti. Siete tutti cosi lenti.” Ora era
ironico, era passato
al contrattacco. Lo
aiutai a rimettere
a posto il danno che aveva fatto.
“Ci
scusi “Smart one” se non siamo alla sua
altezza.” Le
cose stavano degenerando tra noi. Misi
fine alla discussione.
“Smettiamola
Holmes, ora basta
finiamo la serata tranquillamente.”
Mi
avvicinai, troppo per la sua area confort, lui indietreggiò.
“Non
tema non voglio toccarla,
nessun gesto che potrebbe ferirla.” Mi fissò
stupito, chiedendosi come facessi
a sapere dei suoi limiti autoimposti. “Non si preoccupi, ho
notato che non ama
il contatto fisico e per me non è un limite o un
problema.”
Grugnì,
si sottrasse al mio sguardo
e scivolò di fianco. “Sto bene così,
non ho bisogno di sostegno psicologico.”
“E
non glielo darò, tranquillo.”
Le sue spalle si irrigidirono di nuovo,
raggiunse il suo cappotto e
faticò a
indossarlo. Non lo
aiutai, sapevo che
non avrebbe apprezzato, non quando si sentiva messo alle strette.
“Comunque
è stata una bella serata,
e lei è un ottimo zio.”
Fui educata, non
volevo che andasse via con un brutto ricordo. Rimase
silenzioso, mentre con la testa
inclinata di lato per un lungo attimo mi valutò, poi dopo una specie di
assoluzione, si avviò
alla porta con il suo amato ombrello.
“E’
stata piacevole anche per me. E
Rosie è un’ottima nipote.” Uscì
dedicandomi
uno sguardo fugace.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Ricordi dolorosi ***
La mattina
seguente incominciai in
anticipo il mio tirocinio. Avevo deciso di assistere
all’autopsia in programma,
che iniziava alle 7,30, così uscii frettolosamente. Non feci
colazione visto
quello che mi aspettava, non sapendo se il mio stomaco avrebbe retto.
“Laura
se ti senti sicura io ti
ammetto in sala, ma se ti accorgi di non farcela esci e siediti in
laboratorio
a riprendere fiato. Oppure va a fare due passi.” Cercai di rassicurarla, e
mi armai di buona
volontà. Indossammo le protezioni, tute verdi, guanti e
cappello. Forzai il
respiro e entrammo.
La
temperatura della sala era
bassa, ma non fastidiosa, forse la cosa che disturbava era
l’odore di
disinfettante. La camera era attrezzata con tavoli funzionali, in
acciaio
lucido, che già mettevano ansia per il loro aspetto
ascetico. Anche la
luce interna era bianca e fredda. Nel
lato destro le celle frigorifere erano disposte in ordine di data. Molly ne aprì una
e portò la salma sul tavolo,
e devo dire che cominciai già a tremare. Hooper
dettò il nome e cognome del
corpo, la causa della presunta morte e cominciò il lavoro.
Mi dava ogni tanto
un’occhiata mentre mi
spiegava cosa fare. All’inizio ressi bene, almeno
un’ora la sostenni, ma quando
arrivò ad aprire il cranio sussultai e sbiancai. Molly se ne accorse e mi
mandò fuori senza
tante scuse.
“Laura,
basta per oggi, riprendi
fiato, sei stata brava. Bada a non svenire e farti male. E se te la
senti
consegna le cartelle come al solito.”
Non risposi, ma fui grata di poter uscire.
Respirai
appena raggiunsi il
laboratorio, vidi che erano quasi le dieci, così decisi di
prendere le cartelle
e aspettare gli Holmes nel corridoio.
Mi
lasciai andare nella panchina che era vicino alla finestra, appoggiai
le
cartelle sul tavolo e attesi. Ma ero sconvolta e avvilita di non aver
affrontato bene quella prima volta. Davanti al corpo di
quell’uomo avevo subito
pensato a mio padre adottivo, e questo non era stato un bene. Vecchi
ricordi
dolorosi si erano palesati con tutta l’angoscia di quella
morte assurda. L’assassinio
dei miei genitori adottivi e l’incubo di aver assistito alla
loro morte, perché
disgraziatamente c'ero e avevo pagato un conto salato di dolore fisico
e
mentale, mai superato. Appoggiai la nuca sulla parete fredda presa
dallo
sconforto e dalla nausea, chiusi gli occhi cercando di respirare
ritmicamente.
Avrei voluto piangere, ma quello non era il posto. Rimasi
così cercando di
calmare l’ansia. Passò un po’ di tempo. Non
mi accorsi dell’incedere di Holmes, pochi passi silenziosi e
mi fu vicino.
“Giornata
difficile, dottoressa
Lorenzi?” Sentii la sua voce raggiungermi, era calma e
gradevole.
Aprii gli
occhi scostando il capo
dal muro, vidi Mycroft di fronte a me. Era vestito come sempre con un
vestito
tre pezzi chiaro, aveva una cravatta di un rosso cupo insolito,
intravidi il
suo abbigliamento perché aveva il cappotto aperto. Benché
fossi contenta che fosse lui, fui subito scortese perché
presa in un momento
difficile. “Le
sue amate cartelle sono
lì sopra, stia sereno non le farò perdere
tempo.”
Cercai di
abbozzare un mezzo
sorriso, ma mi venne quasi un ghigno.
“Decisamente
una giornata
difficile!” Affermò
Mycroft, che rimase
imperturbabile indeciso e titubante. fece una cosa inusuale per i suoi
parametri, si sedette al mio fianco. Appoggiò
l’ombrello e sfogliò le cartelle
con noncuranza, come se fosse normale mettersi a rivederle
lì.
“Qualsiasi
possa essere il problema
lo risolverà Laura, ne sia certa.” Io mi voltai a
fissarlo stupita da tanto
slancio di affetto e fui ancora una volta sarcastica. “Mio
dio, crollerà Londra
dopo queste parole.”
Ghignò,
ma rimase fermo, la nausea
era passata e il dolore si era un po' sciolto. Mi sistemai il
cartellino sul
camice bianco che pendeva pericolosamente. Lui era così
vicino da sentire il
profumo speziato della
sua colonia, che
per un attimo cancellò lo sgradevole odore del disinfettante.
“È
sempre così nervosa Laura, volevo
essere gentile.” Era vero, mi rivolsi a lui meno tesa, e fui
quasi arrendevole.
“Ha ragione Mycroft è stata una mattinata
difficile, la mia prima autopsia,
credevo di reagire meglio, invece vecchi ricordi sono tornati
prepotenti e
forse non se ne erano mai andati.”
Mi
scompigliai i capelli castani agitando la mano nervosamente.
“Deve
lasciare fuori dalla porta il
passato o la seppellirà in una marea di dolore Laura, e non
sarà obiettiva.”
Holmes fingeva di leggere i faldoni, ma
sapevo che aspettava, ero indecisa se dirgli la mia storia.
“Non
è facile resettare i ricordi
ed essere lucidi, non per me perlomeno. Non ho una mente
così elastica come la
sua.”
Lui
alzò la testa, appoggiò nuovamente
i faldoni, avvicinò le dita al mio polso destro e scostò
la stoffa del polsino, mettendo in
evidenza le lesioni lasciate dal filo di ferro. Rabbrividii
ricordandomi cosa
rappresentano.
“Sono
queste che deve dimenticare
Laura, se vorrà diventare un buon patologo forense. Non si
lasci distruggere da
quelle cicatrici.” Rimasi
senza fiato,
immaginavo le avesse viste la sera prima in cucina, lui era un acuto
osservatore. La mia reazione fu di dolore represso, lui aveva
già dedotto che
erano dovute alla costrizione di essere stata legata in modo brutale,
erano profonde
e avevano segnato per sempre i miei polsi. Me li massaggiai sospettosa.
“Scusa
Holmes, ma ora non mi sento
di parlarne. Sono parecchio confusa, non prenderlo per un rifiuto
capriccioso.”
Lo osservai mentre cercava di darsi un contegno pari
all’emozioni che provava e
che lo infastidivano perché sconosciute.
Riprese le cartelle e si raddrizzò.
“Scusami
Lorenzi, forse sono stato
troppo invadente, ma era mia intenzione cercare di
tranquillizzarti.”
La voce era
modulata gentile, e
sembrava realmente dispiaciuto, era stranamente comprensivo. Mi sentii
colpevole e decisi di stabilire un contatto fra noi.
“Potremo
stabilire una tregua,
magari diventare amici, che ne dice Mycroft.?
Stavo
tentando qualcosa di folle
almeno per lui.
“Friends?
Non ne ho mai avuti. Per
quale motivo dovrei accettare Lorenzi?”
Ma era serio?
Pensai sconfortata. Passai
al tu troppo avvilita dal suo
comportamento. “Scusami non volevo distoglierti dal British
Government
accollandoti un
amico, donna per giunta.”
Aggrottò la fronte, chiedendosi se fossi
impazzita. Non capivo bene cosa stesse pensando.
“Lasciamo
stare Holmes. Forse non
sai nemmeno cos’è.”
“Certo
che lo so, è una cosa
impegnativa avere un “Friend” e nella mia posizione
lo è ancora di più.”
Scosse la mano seccato, come se stesse
scacciando un pensiero folle.
“Appunto,
lasciamo stare. Ho voluto
provarci, scusami.” Mi
alzai e feci per
andarmene, lui era una partita persa già in partenza.
Sentii un
profondo respiro e un
mugugno, mi fermai, “Lorenzi, aspetta, forse potrei prendere
in considerazione
la tua richiesta.”
“Mycroft
non devo compilare un “form”
per diventare tua amica! Per Dio, è solo per aver un minimo
di colloquio
normale e affetto, se proprio la devo dire tutta.” Mi girai a
fissarlo, seria e
contrariata allo stesso tempo.
“Affetto?”
Sembrava offeso, quasi
sdegnato.
“D’accordo
ho sbagliato termine, se
ti spaventa diciamo …rispetto reciproco.”
“Meglio,
ma io rispetto sempre e
comunque chi frequento.” Mio Dio, questo discorso rasentava
l’assurdo. Così
glielo buttai lì, sconfitta.
“Non
sempre Holmes. Non come ci
siamo presi noi”
“Presi?”
Era sconcertato.
“Scusa,
devo migliorare il mio inglese.
Diciamo affrontati.” Scossi
la testa
avvilita, pensai che facesse apposta.
“Se
ho capito bene, pensi che tra
noi non ci sia un’intesa.” Ora aveva afferrato,
boccheggiò.
“Eccola
mettiamola così
Holmes.” Lo
studiai con attenzione emise
due respiri profondi e portò le mani in tasca. Sembrava che
gli interessasse,
che volesse stabilire un legame con me.
“Io
sono stato onesto Laura, cosa
volevi che facessi, se tu continui a irritarti.” Si piantò
ondeggiando davanti a me.
“Forse
è per il tuo atteggiamento,
sempre così spocchioso.” Non ero riuscita a
trattenermi e mi morsi il labbro
per la mia inettitudine. Tutto contribuì a farmi diventare
acida, la giornata
difficile, i ricordi devastanti e lui che non riuscivo a collocare
nella mia
vita.
“Spocchioso,
Lorenzi! Spero
ti sia sbagliata di nuovo con la
Lingua.” Erano
saltati i fragili
puntelli che ci sostenevano, lui indietreggiò, e io mi persi.
“No,
sei irritante, decisamente,
anche se cerco di avere un rapporto normale con te visto che frequento
i tuoi
amici, cioè scusa i tuoi conoscenti, e tuo
fratello.” Avevo
oltrepassato il limite. Si girò trattenendosi,
mosse due passi prese le cartelle, travolto dalle mie parole.
“Ho
sopportato abbastanza, e bada
Lorenzi che sono stato tollerante, forse “friends”
fra noi non può esistere.”
Afferrò l’ombrello appoggiato al muro, e con le
cartelle strette sotto braccio
uscì senza voltarsi.
Avevo scavato
la fossa al nostro
debole rapporto, se c’era stato, eppure la sera prima era
stato piacevole stare
con lui. La giornata era cominciata male e finì decisamente
peggio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** La minaccia. ***
Passai la
giornata irrequieta,
specialmente dopo lo scontro con Mycroft, quell’uomo mi
esasperava eppure non
riuscivo a eliminarlo completamente dai miei pensieri.
Il suo carattere chiuso, il
suo modo di porsi,
l’abbigliamento ricercato e maniacale così fuori
dagli schemi
e quella noncuranza con cui
trattava le
persone mi scombussolavano.
Avevo percepito la sua
solitudine come uno
scudo a qualcosa che non riuscivo a comprendere, un’estrema
difesa contro il
resto dell’umanità. Che infondo usavo
anch’io, ma tutto ciò era dovuto al mio
passato doloroso. Dall’adozione
quando
avevo appena sei mesi, alla morte violenta dei miei genitori adottivi,
un
insieme di eventi che mi avevano portato a rinunciare agli affetti.
Non fui
lucida per il resto della
mattinata, così Hooper che lo aveva percepito mi
lasciò andare a casa prima
dell’orario. Ero abbattuta per come avevo affrontato la mia
prima volta in
sala autoptica. Molly
fu gentile mi rassicurò.
“Laura,
non pensare di aver
fallito, devi essere paziente. Le cose andranno meglio un poco per
volta. Fai
due passi ci penso io a mettere in ordine.”
Mi sfilai il camice, convinta di non essere ancora pronta.
“Mi
prendo una pausa, compro dei
biscotti per Rosie poi torno a casa. Comunque sei molto paziente con me
Molly,
te ne sono grata.” Sollevò la testa mentre
sistemava i vetrini al microscopio,
seduta al tavolo centrale del laboratorio.
“Con
Mycroft oggi com’è
andata?” Era
curiosa dello strano
rapporto che avevamo intrapreso.
“Lui
è stato gentile, invece io
sono stata acida, alla fine abbiamo bisticciato, se ne è
andato offeso. Non
riesco mai a trattenermi quando comincia
ad arroccarsi in quel modo irritante.”
Sospirai sedendomi sullo sgabello vicino a lei. “Eppure
sento che vorrebbe avvicinarsi, ma
improvvisamente si defila, come se avesse paura di stringere una
innocua
amicizia.” Molly
si strinse nelle
spalle, si fece confidenziale.
“Sherlock
era ancora più complicato,
io l’ho amato molto. Ma lui era scostante e aveva altri
progetti, così imparai
ad essergli amica. Vedi gli Holmes sono difficili da comprendere,
mancano di
feeling, nessuna empatia, poche emozioni.”
Scosse la testa bruna, tristemente. “Dopo la
morte di Mary Watson,
quello che avevo sempre sospettato accadde.
Sherlock amava John, alla fine anche lui
capitolò, molti sono bisex e
non fu un problema.”
Rimasi
perplessa, pensai che anche
Mycroft potesse avere un compagno, glielo chiesi.
Ma Molly fu categorica, lui era
semplicemente un’isola, non permetteva a nessuno di entrarci. Per lui c’era
solo il lavoro e la famiglia,
cioè Sherlock, con cui però aveva un rapporto
difficile, benché si amassero
molto.
Molly mi fece
capire che nessuno
dei due aveva mai chiarito il perché del loro rapporto
così complicato.
Rimasi sorpresa per la sua
confessione.
“Grazie
per avermelo detto Hooper,
sarò più prudente con gli Holmes, specialmente
con il fratello maggiore.”
“È
una brava persona, se ti prende
sotto la sua protezione, mantiene le sue promesse in modo totale. Cerca
di
essere tollerante, anche se te l’ho già
detto.”
Rise e riprese a lavorare.
Presi la mia
borsa, indossai la mia
giacca blu e mi sistemai i capelli castani che svolazzavano ribelli. Uscii a piedi
dirigendomi verso il centro, percorsi
il fiume, mentre guardavo i negozi dal lato opposto cercando il negozio
Ben's
Cookies per Rosie.
Non feci molta strada quando
un’auto simile a
quella che avevo intravisto accompagnare Holmes al San Bart, mi
affiancò, dalla
portiera dietro scese un uomo agghindato come lui. Abito tre pezzi
costoso da
dirigente governativo. Mi fermai quasi obbligata dalla
curiosità.
“Dottoressa
Lorenzi? Posso
scambiare due parole con lei?” Non feci
in tempo a rispondere perché continuò deciso.
“Abbiamo un amico in comune, Mycroft, ma stia
tranquilla non sono una
persona pericolosa.” Lo
osservai e notai
che non aveva niente della sua trasparenza, né la
padronanza. Mi misi sulla
difensiva quando accennò al maggiore degli Holmes.
“Non
ho molti amici a Londra, né
tanto meno il signor Holmes. Mi dica il suo nome, credo di non averlo
compreso
bene.” Fui sarcastica, ma lui rispose pacato. “Sono
Sir Edwin Malvest, lavoro
nello stesso dipartimento di Holmes, so che viene spesso al san Bart.
Questo mi
incuriosisce alquanto, vorrei sapere il perché di questa
frequentazione
metodica.”
Io sorrisi
chinando il capo, lo
fissai decisa, chiaramente irritata.
“Sir
Malvest, perché non lo chiede
a lui direttamente? Se
lavorate al
British Government cosa posso risponderle io, che sono una
specializzanda? La
prego mi faccia il piacere, mi lasci passare.”
Mi scostai cercando di superarlo, ma scortesemente mi
afferrò per il braccio.
Una sensazione di disgusto mi assalì, quella mano che mi
tratteneva fu
decisamente troppo, lo affrontai senza arretrare di un passo, mi
avvicinai così
tanto al suo volto che si ritrasse spaventato. “Sir Malvest
si comporti da
Gentleman, tolga la sua mano dal mio braccio. Subito.” Il mio tono non ammetteva
repliche, quello
arretrò e lasciò la presa seccato.
In quello stesso istante
sentii arrivare
un’auto stridendo, era una Bmw nera, tipica auto governativa.
Accostò, stavolta
Mycroft scese velocemente, con il cappotto aperto e senza il suo
prezioso ombrello,
mi fu subito vicino. Accennò un saluto chinando lievemente
il capo. Rimasi
senza parole, lo fissai stupita
chiedendomi da dove arrivasse e come sapesse che ero lì.
Si rivolse sprezzante
all’uomo. “Buongiorno,
mio caro collega, vedo che non sei stato molto cortese con la
dottoressa, un
vero peccato dimostrare di non essere all’altezza del titolo
che porti.” Sir
Malvest si allontanò quel tanto da non essergli troppo
vicino, ma lui non lo
lasciò arretrare. “Le questioni tra noi si
risolvono tra uomini, non
importunando una specializzanda. Edwin, non tollererò altre
iniziative di
questo genere credimi, ma già lo sai, so essere molto
determinato, non
provocarmi.”
Mycroft lo
sovrastava, la voce era
tagliente, ma faticava a trattenersi, non me lo aspettavo che perdesse
la sua
proverbiale calma. Così
decisi di
intervenire.
“Non
è successo niente di grave,
forse è meglio smorzare i toni. Sir Edwin sarà
più misurato in avvenire.”
Presi prudentemente la manica di Mycroft, lo
sollecitai ad andarcene. Si scosse, distese la fronte solcata da due
segni profondi,
riprese immediatamente la calma. Tolsi subito la mano,
sembrò non notarlo, fece
un breve saluto al rivale e si girò verso di me.
“Vieni
Lorenzi, dimentica questo
increscioso episodio.” Cercò di trascinarmi
all’auto, ma io lo fermai.
“Santo Dio, ma da
dove arrivi Holmes? Come
hai fatto?” Lui
rivolse lo sguardo verso l’alto.”
Telecamere, le abbiamo ovunque.”
“Lo
so delle telecamere, ma disponi
del controllo di tutta Londra? E
quindi
mi spii? Ma chi sei
in realtà?” Gli
rifilai uno sguardo sbalordito, lui fece un sorrisetto complice.
“Un
funzionario Governativo con un piccolo incarico.”
Mi limitai a sogghignare.
“Ne dubito.”
“Dobbiamo
discuterne in strada o
vuoi salire in auto, Lorenzi?” Allungò il passo
gli andai dietro poco convinta.
Solo poche ore prima ci eravamo lasciati malamente, ora lui era apparso
dal
nulla, come un super eroe dei fumetti.
Salii nel
Bmw, salutai l’autista,
che gentile rispose sorpreso, lui invece mi guardò
sconcertato, troppa
confidenza ai suoi sottoposti non gli garbava.
Vista la mia
faccia sbottò. “Lui è
Albert, il mio autista personale, fidato e attento.” Si accomodò
meglio e mi guardò di straforo.
Spostò il suo amato ombrello per farmi posto.
“Ma
non avevamo litigato noi
due?” Lo
rimproverai guardandolo
ironicamente, mentre si sistemava la cravatta che probabilmente si era
spostata
di qualche millimetro.
“Avresti preferito
che ti lasciassi a Sir
Malvest? Ma Laura,
forse un amico serve
molto di più a questo, che a quello che credi tu.”
“Magari
se non mi avessi messo in pericolo
con i tuoi traffici. Per
Dio! Cosa
nascondono quelle cartelle che ti ostini a consultare?” Se voleva un modo per
farmi arrabbiare ci
stava riuscendo. Mi scostai da lui temendo di essere troppo vicina, mi
appoggiai allo schienale, aspettando la sua reazione.
“Ma
sono stato presente! Sempre.” Respinse
indignato la mia accusa, ma ebbe un attimo di incertezza, mentre
inclinò la
testa verso di me e mi scrutò attento. “Ora non ti
posso spiegare, ma è di
vitale importanza continuare quel lavoro.”
“Avrei
preferito comprare i
biscotti per Rosie, senza dovere essere spiata e trascinata
via.” Strinse
la mascella quasi chiuse del tutto
gli occhi. “Prenderò altri provvedimenti, non
limiterò la tua libertà.” Gli uscì la voce secca e bassa.
“Bene,
fallo Mycroft, perché questa
cosa non mi piace.” Mi
voltai, lo
trafissi con un’occhiata gelida. “Non voglio avere
paura, Holmes.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Mycroft cambia strategia. ***
Trascorsi
la serata, girando annoiata per casa, con la testa
presa dalla giornata movimentata che avevo trascorso. Mycroft mi aveva
accompagnato a Baker Street senza dire più nulla, ero scesa
dall’auto salutando
soltanto Albert, talmente risentita dal suo comportamento.
Non
comprendevo come potessi essere finita nel bel mezzo di
un affare di stato.
Ero arrivata a Londra
per studiare non certo per guardarmi costantemente le spalle.
Sherlock
dalla poltrona mi osservava, la cosa finì per
infastidirmi così mi avvicinai.
Mi
lasciai cadere sulla poltrona di fronte a lui. E iniziai a travolgerlo
di
parole su quello che era successo.
“Era
da prevedere che non sarebbero passate inosservate le
nostre frequentazioni al San Bart. Ma sta tranquilla Laura, Mycroft
cambierà
strategia.”
Vedeva la mia
preoccupazione. “Probabilmente deciderà di
consultarle da voi, così i vostri
amabili scontri si intensificheranno.” Sorrise enigmatico,
mentre io lo guardai
seccata.
“Quindi
sai che spesso finiamo per litigare!”
“E
il bello è proprio quello, perché gli opposti si
attirano
e più all’opposto di voi
due…” Rise come solo lui sapeva fare, abbassando
la
testa e scuotendo i ricci neri.
“Sherlock
per Dio, ma sei serio? Tuo fratello è una lotta
continua! Non riusciamo a stabilire nessun contatto.”
Mi
guardò con un ghigno smaliziato.
“Mia cara Laura! Non vedete le cose
più
ovvie.” Rimasi
senza risposta, mi diede
un colpetto sul ginocchio, lo guardai impettita e andai ad aiutare John.
Avevo
la testa in fiamme, mentre affettavo verdure e cuocevo
la pasta. Pensavo alla frase di Sherlock senza capire dove era
l’ovvio di cui
parlava.
Alla
fine mi arresi, cenammo tutti insieme con Rosie che si
arrampicava sulle mie gambe, felice di sporcarmi di cioccolata i Jeans
nuovi.
Il
mattino dopo arrivai al san Bart in anticipo, non avevo
fatto colazione sempre in tensione per l’obitorio. Trovai
Molly già al lavoro
affaccendata alla scrivania che compilava la lista delle autopsie.
“Ciao
Lorenzi. Ho una novità, spero la prenderai bene!”
Alzò
lo sguardo e vedendo la mia faccia sorpresa continuò.
“Mycroft
si sposterà nel piccolo ufficio di fronte al
laboratorio, non porterà più via le cartelle, le
consulterà qui. Spero gli
darai una mano a scendere nell’archivio, e a rendere agibile
quell’ufficio dimenticato
e ingombro.”
Annuii
incerta, mentre appoggiavo la giacca e la borsa.
“Tranquilla non vi disturberete, poi
riprenderai il tuo tirocinio e le autopsie.”
Increspò
le labbra scrutandomi, le mandai un sorriso
rassicurante, visto che non potevo fare altro.
Avrei aiutato Holmes
cercando di trovare un punto di intesa.
Sherlock in fondo mi aveva già avvertito che
quello poteva essere il
prossimo passo, così mi preparai ad affrontare una doppia
sfida: Mycroft e le
autopsie. Non sapendo quale delle due fosse la più
impegnativa.
Mi
cambiai rapidamente e mi rassegnai.
Cominciai a guardare dentro quella specie di
ufficio che era più che altro un deposito di vecchi faldoni.
Accelerai
i tempi, presi a fare un po' di ordine. Hooper si
stava occupando di un caso di omicidio. E mi irritai maggiormente
pensando che
potevo assistere, invece ero lì a spostare faldoni polverosi.
In
quel momento arrivò Holmes e come accoglienza ricevette
un’occhiata velenosa. Salutò e si
stampò in faccia quel sorrisetto ironico così
fastidioso.
Mi
girai rispondendo appena mentre tossivo per la polvere
che mi invadeva le narici. Presi in malo modo una mascherina e la
indossai.
“Allergica
alla polvere Lorenzi?” Era divertito dalla mia
insofferenza, soprattutto se rivolta a lui.
“Mycroft
per piacere non cominciare, cerca di essere
comprensivo e dammi una mano.” Mi fermai con i faldoni in
braccio, lo squadrai.
“Come
farai a pulire vestito così.”
E sì!
Perché era arrivato al san Bart agghindato come
se dovesse presenziare
una riunione al consiglio di stato.
“Farò,
tranquilla Lorenzi.”
Lo guardai ghignando, mentre si toglieva cappotto e giacca
rimanendo in
gilet e camicia, arrotolò le maniche, allargò le
braccia e mi guardò sogghignando.
“Va bene Laura?”
Sbuffai
divertita, non riuscii a trattenere una risata
sincera da sotto la mascherina.
“Forza,
Mycroft, comincia a portare i faldoni nel
ripostiglio.” Non
era caldissimo nel
laboratorio, che fosse in camicia mi preoccupò non poco.
Sperai non si
prendesse un accidente.
Lavorammo
silenziosi, lui era attento come sempre, qualsiasi
cosa facesse la svolgeva con impegno.
In
breve l’ufficio fu sgombro, così passai alle
pulizie,
tolsi la mascherina e mi dedicai alla scrivania, mentre lui si occupava
della
poltrona vecchia, ma funzionale.
“Non
hai freddo? Non è caldissimo qui dentro.” Si fermò a
guardarmi, che si preoccupassero
per lui era una novità, piacevole o no rimase perplesso.
“È
una cosa che fanno i “Friends,” angosciarsi a
vicenda? Ma Laura
sto bene e non ho
freddo!”
“Sono
tutto fuorché angosciata, però non mi va di
averti
sulla coscienza.” Inarcò le sopracciglia e riprese
a lavorare con lena.
Ordinai
tutto meglio che potevo, consapevole che odiava la
confusione. Era troppo pignolo e preciso nei modi, perché
potesse lavorare dove
non ci fosse equilibrio e precisione.
Alla
fine la stanza sembrava più accogliente. Anche la luce
che filtrava dalla finestra era funzionale, non troppo eccessiva
secondo i
gusti di Holmes.
Lo
guardavo armeggiare con una lampada da tavolo con una
precisione chirurgica, alla fine riuscì a recuperarla.
“Non
ti sapevo così esperto nel bricolage.” Lo canzonai
mentre si alzò con i suoi pochi capelli spettinati.
“Basta osservare e le cose
si possono aggiustare con facilità.”
Risi,
mi guardava serio riaggiustandosi la poca chioma che
aveva. “Ti
chiamerò quando non mi
funzionerà qualcosa in casa.”
Stavolta
non raccolse, ma rimase serio, troppo preso dal suo
lavoro.
“Bene
posso occuparmi del laboratorio, adesso?”
Divenne pensieroso, mentre si rimetteva in
ordine e indossava la giacca. “Laura, ti chiedo
un’ultima cosa. Dovrei scendere
in archivio, ho bisogno del tuo aiuto per individuare i
faldoni.”
Annuii
poco convinta, scendere di sotto mi metteva un po'
d’ansia. Era un posto buio che si raggiungeva scendendo una
scala ripida, poi
percorrendo un lungo corridoio poco illuminato, che portava ad una
porta
blindata. Ci voleva il pass per aprirla, questa introduceva in
più stanze
adattate ad archivio.
Mycroft
indossò il cappotto e io la giacca. Presi il pass e
una lampada di emergenza, avvertendo una leggera agitazione.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** L'archivio e la discesa negli inferi ***
Scendemmo
la scala attenti, lui mi precedeva. Holmes accese
la luce e il corridoio si illuminò debolmente, delle luci
più forti sarebbero
state necessarie. Lo percorremmo, mi strinsi nella giacca tremando di
freddo.
“Lorenzi,
che hai? Paura per così poco?” Si era girato
fissandomi incerto. “Vuoi aspettarmi qui?”
Diedi
fondo a tutto il mio orgoglio. “Tremo
di freddo, non di paura.” Sentenziai
acida.
“Bene
allora andiamo.”
Infilai il pass e la porta si aprì cigolando,
entrammo. Lui impassibile,
io nel caos. Una zaffata di muffa ci investì, arricciammo il
naso.
“Cerco
la lettera M, sai dove trovarla?”
“Certo,
ho visto la pianta e la disposizione dei faldoni.
Andiamo in fondo da quella parte.”
Lo
guidai verso una stanza piccola e più buia.
Tentennavo davanti
alla porta, lui se ne avvide, mi disse di aspettarlo fuori.
“Farò presto vedo
che questo posto non fa per te.” Mi fece un sorriso, ma la
presi per una burla.
“Non sei simpatico,” gli borbottai seccata. Si
girò senza aggiungere nulla.
Rimasi
sulla porta guardando in giro. Ma il buio ingigantiva
la mia ansia, mi tornò tutto in mente, vivido come se non
fosse mai passato. Le
ferite sui polsi mi diedero delle fitte dolorose.
Le
massaggiai piano, terrorizzata dalla porta buia che mi si
apriva davanti. Uguale a quella che portava alla camera dove fui
rinchiusa
dagli assassini dei miei genitori, quando iniziarono a rivolgere le
loro
attenzione malate su di me.
Persi
il controllo, quello cercato per anni. Presi a sudare
nonostante il freddo umido e mi sentii soffocare.
Mi
appiattii sul muro e rimasi impietrita, incapace di inghiottire
aria.
Così
mi trovò Mycroft.
“Laura,
che ti succede?” Cercò
di prendermi per le spalle, ma
terrorizzata dai ricordi e non riuscendo a vederlo per il buio, lo
spinsi via
in malo modo. “Non mi toccare!” Gli gridai
così forte che indietreggiò
spaventato.
Lo
fissavo terrorizzata sovrapponendo i volti dei due balordi
che mi avevano seviziata, al suo.
“Laura,
sono Mycroft, guardami sono io.”
Teneva
le braccia alzate e le mani aperte in alto. Aprì la
porta per far filtrare la poca luce che c’era. Ma io non
rispondevo a nessuno
stimolo.
“Guardami
Laura, sono Mycroft.” La
sua voce era calma, ma ero in pieno
panico, mi lasciai scivolare giù
sul
pavimento raggomitolata su me stessa spaventata a morte.
“Laura,
ti prego guardami, sono Holmes, il tuo
“friends”. Lo rammenti?” Era dolce, la voce
modulata. Lasciò cadere i
faldoni e tentò di avvicinarsi un pò di
più, ma urlai senza ritegno.
Non lo vedevo era
maledettamente buio e percepivo solo una
presenza maschile
ostile e il dolore ai polsi divenne acuto.
“Non
mi toccare, ti prego. Non colpirmi, non farmi del
male.”
Mi
uscì una voce piagnucolosa, che lo fece fermare.
Trafficò
con la lampada e la puntò sul suo volto.
Ora la luce lo illuminava e misi a fuoco.
“Sono
Mycroft, mi vedi ora. Non ti farei mai del male,
fidati di me e usciamo di qui. Cosa
ne
dici? Ce ne
andiamo?”
Lo inquadrai e allungai
la mano tremando. La prese titubante, temeva in una mia reazione
incontrollata,
ma visto che non mi agitavo, la afferrò saldamente.
Non riuscivo a
emettere nessun suono, presi a iperventilare mentre mi tirava su in
piedi e mi
appoggiava al muro.
“Non
ora! Non farmi anche questo adesso, respira per
Dio.” Mycroft
distese il braccio sotto
la mia giacca, allargò la mano, cominciò a
forzarmi per riprendere aria
spingendo sul diaframma ritmicamente. “Avanti Lorenzi, non
farmi perdere la
pazienza, non soffocare. Non c’è nulla di cattivo
qui sotto. A parte me.”
Sorrise e quella battuta stupida mi diede forza.
Annuii,
faticavo a riprendere fiato, piantò i suoi occhi
grigi rabbiosi sui miei. “Avanti Laura, sai fare di meglio.
Respira o ti
riempio di schiaffi.” Cercai di seguirlo ma mi perdevo.
Cambiò metodo, mi prese
la mano e la piantò sul suo petto, sotto il cappotto.
“Segui il mio ritmo,
forza.” Lo guardavo allo sbando, imbarazzata per quello che
mi stava accadendo.
Ma lui era tranquillo, i suoi occhi si addolcirono, la sua rabbia
divenne
placida. E cominciai a respirare, con una cadenza regolare, mentre
sentivo le
mie dita intorpidite scaldarsi all’altezza del suo cuore, tra
le pieghe della
sua camicia costosa...
La
sua sicurezza trascinò anche me. Piano rinsavii, abbassai
la testa turbata e a disagio. Ritrassi la mano, mi aveva permesso di
toccarlo,
sapendo quanto gli costava.
“Mi
dispiace, non so cosa mi sia preso, erano anni che non
mi succedeva.” Balbettai. “ Non so nemmeno cosa ho
detto, cosa ho fatto,
scusami.” Lui
mi sollevò il mento.
“Stai
bene ora?”
Toccò i miei polsi con delicatezza.
“Brutti ricordi legati a queste ferite?
Non preoccuparti di nulla, ora non voglio spiegazioni. E
usciamo di
qui.” Per
un breve attimo lo sentii
vicino, e tremai, ma non di paura nè di freddo. Mycroft era
stato gentile,
premuroso e rude al punto giusto e gliene fui grata.
Lo
aiutai a riprendere le cartelle.
“Guarda
che guaio mi hai fatto combinare.”
Sorrise. “La prossima volta preferisco
scendere da solo. Ok Lorenzi?”
Annuii,
ma se aveva imparato a conoscermi anche di poco, sapeva che ci avrei
riprovato.
Alzò lo sguardo e capì.
“Va
bene, se dovessimo scendere insieme, mi porterò una luce
più forte, chiederò a Molly di intervenire in
questo posto. O tu ci morirai qui
sotto.”
Raccogliemmo
le ultime cartelle insieme.
Poi lo seguii mentre mi spingeva
per la vita e mi teneva.
“Non cadrò, Mycroft, l’ho
superata, sono anni che convivo con questo dolore.”
Mi
lasciò lentamente assicurandosi che fossi stabile, e mi
dispiacque. La sua mano era calda e rassicurante. Ma mi
gettò in un turbamento
che non avevo mai provato.
Tornammo
di sopra, appoggiai le cartelle sulla scrivania del
nuovo studio, e andai a sciacquarmi la faccia. Mycroft rimase a
sistemare il
suo piccolo ufficio, lo intravidi togliere il capotto pensieroso.
Me
lo ritrovai poco dopo sulla porta del bagno.
“Tutto
bene Lorenzi?” Rimasi sorpresa dalla sua
sollecitudine. “Mycroft, sto bene, tranquillo, mi rimetto in
sesto. Mi
dispiace, credo avrai capito cosa mi è successo e
perchè…” Abbassai la testa e
i capelli mi coprirono la fronte. Tremavo, ma lui fu rapido, mi prese
il viso
fra le mani. Rimasi sorpresa da quel gesto inusuale, poco nelle sue
corde.
“Non
dire nulla adesso, prenditi il tuo tempo Laura, io ci
sarò sempre.”
Annuii senza parole,
godendomi il calore che
mi davano le sue dita delicate, mi fissò con gli occhi grigi
limpidi.
Inaspettatamente, come se qualcosa lo avesse turbato lasciò
la presa,
ritornando il Mycroft di sempre. Fece un mezzo sorriso,
affondò le mani in
tasca, si girò e tornò al suo ufficio.
Rimasi
sconcertata, presi a
lavorare al minimo piena di dubbi.
Alcuni riguardavano la mia reazione al buio e altri la
strana deviazione
che stava prendendo il mio rapporto con Myc. Fui confusa e irritata,
sbagliai i
reperti, li catalogai senza riflettere...
Mycroft ricevette una
telefonata, indossò il
cappotto elegante, si assicurò ancora che stessi bene e se
ne andò, afferrando
il suo amato ombrello.
Apprezzai
molto che non mi
chiedesse nulla, rimasi da sola in laboratorio, turbata. Non capivo se Mycoft
avesse intuito dello
stupro che avevo subito.
Quell’abuso
impietoso che mi avevano riservato gli assassini dei miei genitori,
chiusa in
quella stanza buia che puzzava di morte e violenza.
Non avevo
più cercato affetto in un
uomo e mi mantenevo distante da qualsiasi rapporto di coppia. Per me l’amore
non esisteva, l’avevo sempre
evitato temendo di non riuscire a superare il trauma. Almeno fino ad
ora.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Esperienze investigative e rimproveri ***
Non
fu una mattinata facile, dopo che Mycroft se ne andò, fui
presa da mille dubbi. Soprattutto per quello che mi era accaduto.
Dopo
la morte violenta dei miei genitori, ero stata seguita
da uno psicologo, sembrava che avessi superato le paure che mi avevano
segnato.
Ma ora mi domandavo per quale motivo fossero ritornate prepotentemente
a galla.
Dovevo
cercare di trovare la causa, pensai che la prima
autopsia su quell’uomo le avesse per così dire,
risvegliate.
Se
non avessi superato le mie paure avrei dovuto abbandonare
il San Bart, e il mio progetto di vita.
Preoccupata,
saltai il pranzo, completai gli esami di
laboratorio della salma che avevo esaminato il giorno prima.
Mi
ritrovai sconcertata a riflettere sulla sensazione che
avevo provato, quando Holmes, aveva appoggiato la mano sulla mia
schiena. Mi
aveva destabilizzato, creando un sottile disagio. Non riuscivo a
mettere a
fuoco cosa provassi per lui. Se fosse dovuto solo al momento o alla
paura che
avevo provato. Mi
resi conto che mi
mancava vederlo trafficare nel suo studio precario.
Mi
diedi dell’imbecille, strappai malamente i fogli di
appunti sbagliati, e cominciai a riesaminare il corpo che avevo
lasciato
incompleto.
Non
mi accorsi del tempo che passava, mi occupai di Hugo,
così avevo chiamato la povera salma, non lasciando nulla da
parte.
Esaminai ogni ferita,
cercando di non pensare a papà e alle torture che aveva
subito. Hugo svelò
tutti gli indizi necessari a trovare i colpevoli
dell’aggressione e della sua
morte. Sotto le unghie pezzi di pelle mi guidarono al Dna. Piccole
tracce
ematiche secche, e tagli mi fornirono altri dettagli.
I corpi dei miei genitori uccisi, erano
riusciti con i loro indizi a dare le informazioni che avrebbero
incastrato i colpevoli.
Due
balordi mandati a punire mio padre per non aver ceduto
la terra e le vigne. Persero la testa e li uccisero nel peggiore dei
modi. Io
vidi tutto, perché ero presente, legata con il filo di
ferro, che nella foga
per tentare di liberarmi si era conficcato nei polsi.
Ma
le prove erano poche, e se non fosse stato per un
professore di anatomia forense, che insegnava nella mia stessa
università che
mi aiutò con meticolosa attenzione, l’avrebbero
scampata.
Ne
rimasi affascinata, e decisi di intraprendere la stessa
carriera. Volevo rendere giustizia ai morti in modo violento.
Notai che Hugo aveva
le dita sporche di verde, quel verdore che rimaneva attaccato alle
mani, quando
toccavi le foglie dei pomodori maturi.
E
di certo non era la loro stagione. Lo sapevo bene, perché i
miei genitori
avevano avuto l’orto più rigoglioso di Siena.
Riflettevo su quella terra sotto
le unghie, che avesse quel colore rosso, e le mani di Hugo callose.
Mani di chi
lavorava a contatto con il terreno. Quindi avrebbe potuto lavorare in
una
serra.
Londra
era una città enorme e il corpo era stato trovato in
un vicolo, e non corrispondeva di certo.
Chiusi
in fretta la salma e salutai un’ultima volta Hugo.
Pulii
e riassettai, andai alla scrivania
e sul computer cercai la pianta di Londra e
le coltivazioni di ortaggi che fossero in zona del ritrovamento del
povero
Hugo.
Ed eccola lì la
serra
di coltivazioni bio, non troppo lontana, che aveva tutte le
caratteristiche che
cercavo. Se il poveretto fosse stato ucciso in serra la terra sotto le
scarpe e
nelle unghie mi avrebbe fornito la prova. Le piante di pomodoro poi
sono di
diverse specie e avrebbero potuto confermare la mia ipotesi. Per ora mi
sarebbe
bastato un campione di terra.
Presa
dal sacro fuoco del detective dilettante, decisi di
andarci di persona senza avvedermi dell’ora.
Afferrai
borsa e campionatura, chiamai un taxi. Dovevo
essere sicura di non prendere un granchio che mi sarebbe costato troppo
come
tirocinante.
Il
taxi arrivò puntuale, fornii l’indirizzo e mi
accomodai
dietro, mandai un sms a John che avrei tardato.
Non
ci mettemmo molto a raggiungere il posto, pagai il
tassista, con l’idea di tornare con la metro.
La
serra non era distante, era sittuata nel mezzo di un
ampio parco vicino al fiume, un sentiero sterrato portava
all’ingresso. Ed era
rossiccio, come il terreno sotto le scarpe di Hugo.
Ne presi un campione
e entrai in serra che stavano quasi per chiudere. Con la scusa di
acquistare
piante da orto per i miei parenti, mi feci portare nella parte della
serra dove
un raccolto rigoglioso di pomodori maturi faceva bella mostra.
Mentre
la commessa era impegnata, presi il campione di
terriccio sotto le piante. Alcuni frammenti di legno e poca torba.
Acquistai
due piante che avrei regalato alla signora Hudson.
E me ne andai,
complimentandomi con
loro, per i rigogliosi frutti. Non feci domande, meglio essere sicura
dei
risultati.
Quando
sentii squillare il cellulare, mi accorsi che erano
quasi le otto. Risposi a John che mi cercava. Mi cercavano un po'
tutti. Gli dissi
dov’ero, ma non il perché.
“Per
Dio, Laura, ma cosa ci fai lì?
Di sera
poi, non è un posto molto sicuro.”
Si interruppe, sentii la voce di Mycroft in sottofondo.
“Rimani lì, in
una zona illuminata, arriva Albert.” Mugugnai, ma
acconsentii.
“Va
bene, mi porto all’inizio del parco.”
Camminai
svelta e raggiunsi la strada che era molto più
frequentata. Avrei
dovuto dare
spiegazioni e si sarebbero arrabbiati, già mi immaginavo
Mycroft.
Arrivò
la berlina scura, misi le piante nel baule e Albert
cominciò subito a sgridarmi.
“Dottoressa,
è molto tardi, non doveva finire in un posto
come questo. Avrebbe potuto chiamarmi, lo sa che il Signor Holmes mi ha
messo a
sua disposizione.”
“Scusami
Albert, ho perso la cognizione del tempo. Dovevo
verificare una cosa. Lo so che si arrabbieranno.”
“Specialmente
il Signor Holmes che le aveva detto di non
tardare e di non allontanarsi da sola.”
Stavolta
lo rimbrottai.
“Se
ne farà una ragione, Albert, non posso vivere
blindata.”
Scosse
la testa, e non disse null’altro. Poco dopo arrivammo
a Baker Street, lo salutai con affetto.
“Grazie
e scusami, sono una spina nel fianco per te!”
“Non
si preoccupi è il mio lavoro.”
Scesi pensierosa e dopo aver preso le mie
piante salii le scale incrociando la Signora Hudson.
“Laura,
è tardissimo, eravamo in pensiero!” La tranquillizzai
dicendole che ero rimasta
al lavoro un po’ più del previsto. Le consegnai le
piante e lei ne fu felice,
dimenticò subito il mio colpo di testa.
Quando
entrai nella stanza mi ritrovai tutti gli occhi
puntati addosso.
“Avanti,
cosa poteva essermi successo?”
Sbuffai, risentita, allargando le braccia,
però mi faceva piacere che si fossero preoccupati per me.
Sherlock
sorrise enigmatico, mentre suo fratello, seduto di
fronte a lui era scuro in volto e agitava il povero ombrello roteando
l’impugnatura.
Non
capivo cosa ci facesse ancora a Baker Street a
quell’ora. Non si voltò e cominciò
subito a riprendermi.
“Dirti
di rispettare degli orari è contro le tue regole,
Lorenzi? E finire addirittura fuori Londra di sera, nonostante le mie
raccomandazioni? Complimenti,
bella
collaborazione.”
Appoggiai
borsa e cappotto e lo avvicinai, non avevo voglia
di litigare.
“Mycroft,
scusami e fammi respirare. Non voglio
discutere.” Sherlock
sghignazzava,
mentre lui si alzò a fissarmi incattivito.
“Respirare come stamane, Laura?”
Avvampai.
“Sei
un bastardo Mycroft.” Lo sibilai furiosa, era un
segreto che doveva restare fra noi. “Ti sei divertito a
raccontarlo?”
John
ci fissò stralunato e anche Sherlock aveva spostato la
sua attenzione su di noi.
Non
intervennero, anzi John mi chiamò a cenare. E ne avevo
di fame visto che avevo saltato il pranzo. Scansai Mycroft, sembrava
pentito di
quella battuta infelice. Era rimasto al centro della stanza,
interdetto, mi
seguì con le mani strette nelle tasche che sembrava volesse
sfondarle.
Mi
scaldai la zuppa e mi preparai la cena, e lui, forse
pentito mi aiutò silenzioso ad apparecchiare.
Sherlock aveva chiamato John al computer, lasciandoci lo
spazio per
chiarirci.
Si
sedette di fronte a me, mentre cominciavo a cenare. Prese
il bicchiere me lo riempì.
“Scusami.” Lo
borbottò così piano che quasi non lo sentii.
“Valgono
a poco le scuse dopo avermi tradito.” Ingoiai un cucchiaio
di zuppa, troppo calda.
“Non
l’ho fatto, Laura, ero arrabbiato e non ho pensato a
chi era presente. Ma non sanno nulla.”
Si
vuotò dell’acqua nel bicchiere e bevve tutto di un
fiato.
Tossi un paio di volte.
“Ero
seccato perché non ascolti, stare al san Bart oltre
l’orario può essere pericoloso, ma tu sei andata
oltre, ti sei esposta troppo
raggiungendo quel luogo, per fare chissà che cosa. Non voglio che le persone
che ho coinvolto
siano in pericolo.” Lo
fissai annoiata.
“Tu
e le tue cartelle! Ma io avevo un lavoro da sbrigare,
perché ho un lavoro anch’io. Stavo verificando una
prova.” Gli dissi tutto, di
Hugo, delle piante di pomodoro del terriccio. Del sentiero di terra
rossa. Lui
ascoltava, non mi interruppe, alla fine vidi le rughe sulla sua fronte
distendersi. E un leggero sorriso.
“Quindi
abbiamo un altro investigatore sul campo. Potevi avvertire
e avere un po' più di fiducia.”
“Ora
basta, avvertire di cosa? Era
un mio dovere, niente altro. Mycroft mi
prendo le mie responsabilità, mi dispiace che tu ti sia
preoccupato.” Cercai la
sua mano, ma la paura che lui la ritraesse, mi fermò.
Notò
la mia indecisione, mi sorprese perché fu lui a
sfiorare la mia. Il calore fu subito piacevole.
Non
disse null’altro, poi piegò la testa di lato.
“Starò più
attento, farò in modo che tu sia al sicuro.”
Scossi
la testa avvilita. Lui era così, le persone le doveva
proteggere. Mi fece tenerezza.
“Non
devi difendere tutti quelli che ti stanno intorno. Devi
pensare anche a te.” Tossì
ancora, e
pensai che avesse preso freddo quella mattina e che lo avrebbe pagato.
Gli
allungai un fazzoletto di carta.
“Mi
dispiace di averti creato problemi, è stata una giornata
difficile e lo sai.”
Si
asciugò il naso, soffiando forte. “Sono stato
manchevole,
ho fatto una battuta avventata.”
Rimasi
silenziosa, mentre Mycroft si alzava e cominciò a
dondolarsi, guardando le sue scarpe costose.
“Laura,
cerca di essere prudente, non posso chiederti di
più.” Non feci tempo a rispondere che si stava
già preparando per uscire. Lo
raggiunsi e lo accompagnai alla porta. Sherlock e John si erano
già ritirati.
La casa era silenziosa.
Mi
venne spontaneo allacciargli la sciarpa, perché
tossì
ancora una volta.
“Copriti,
alla fine questa mattina, ti sei raffreddato. Fa
un bel bagno caldo, ti farà bene.”
Sorrise
ammiccando e si girò afferrando l’ombrello, fidato
compagno di una vita. E sparì.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Prendersi cura del British Government. ***
La
mattina seguente trovai Mycroft già al San Bart, dentro
il suo ufficio. Avevo
tardato perché
avevo dovuto accompagnare Rosie al nido, sia Sherlock che John erano
impegnati.
Lo
salutai rapidamente, mi seccò che mi rivolgesse appena
uno sguardo.
Lavorai
ai reperti del corpo di Hugo che confermavano le mie
ipotesi, preparai la cartella per Scotland Yard e contattai al telefono
l’ispettore Lestrade, come mi aveva suggerito Molly.
Arrivò
al San Bart in mattinata.
Mi
si parò davanti un uomo dal fare deciso, quasi rude, di
bel aspetto, brizzolato e alla mano.
Si
presentò sbrigativo.
“Dottoressa
Laura Lorenzi? Bene, sono l’ispettore Gregory
Lestrade, Hooper mi ha parlato di lei, e molto bene. Mi dica
pure.” Mi diede
una stretta di mano vigorosa. Gli sorrisi ricambiandolo.
“Forse
ho degli indizi per voi, se vuole la metto al
corrente delle mie conclusioni.” Annuì severo, ma
pensai che fosse solo
apparenza. Si spostò verso la scrivania, tolse il cappotto e
lo lasciò sulla
sedia, ci sedemmo, lui ascoltò annuendo e complimentandosi.
“Bene
questo ci permetterà di trovare il colpevole, ben
fatto Lorenzi, posso chiamarla Laura?” Accavallò
le lunghe gambe.
“Certo
che sì, e io posso chiamarla Gregory?” Lo fissai
divertita, era completamente diverso dal compassato Mycroft.
“Sono
Greg per tutti. Ho sentito che vive con Sherlock. E
frequenta anche Mycroft a quanto vedo.” Lo indicò
con lo sguardo.
“Beh,
si è spostato qui, quindi lo vedo per cause di forza
maggiore.” Greg
si voltò e gli mandò un
saluto agitando le mani e urlando per farsi sentire.
“Giorno
Mycroft! È diventato un patologo adesso?” Lui tossì, e
rispose con la mano, e con un
mezzo sorriso.
“Sta
lavorando, cascasse il mondo non si riesce a distrarlo,
però anche se brontola è affidabile.”
Mi sorpresi a giustificarlo.
Greg
mi guardò pensieroso. “Ne parli con indulgenza, ti
ha
concesso la sua amicizia?”
Risi.
“Tu senz’altro lo conosci da tempo. Ci sto
provando,
ma a volte svicola via lesto.”
Mostrò
un sorriso aperto, con una fila di denti bianchi.
“Tipico
da parte sua. Ma Sherlock è lo stesso. Sono
persone fidate
i due Holmes, ma poco
emozionali.”
Appoggiò
le mani sui braccioli e si alzò.
“Bene,
Laura torno al lavoro, per qualsiasi cosa ci sono.
Anche se vuoi bere una birra, con Molly o con qualche
collega.” Lo ringraziai,
gli risposi che ne avrei tenuto conto. Prese il cappotto,
salutò Holmes mentre
se ne andava.
Mycroft
gli aveva risposto e si era alzato, lo intravidi
sistemare le cartelle. Le appoggiava sullo scaffale con precisione, una
sopra
l’altra. Poi tornò a sedersi. E tossi di nuovo.
Trafficai al laboratorio e di tanto in tanto gli rivolgevo
un’occhiata.
Era così assorto che non si accorgeva nemmeno di quanto
spesso mi spostassi per
esaminare i reperti.
Lo
avevo sentito spesso tossire, ma non mi ero preoccupata
più di tanto, lui era così rigoroso sulla sua
salute. Sicuramente non era nulla
di allarmante.
Ma
quando cominciò anche a starnutire capii che il suo
raffreddamento stava evolvendo, ma in peggio.
Quello
era il risultato di aver lavorato in maniche di
camicia il giorno prima. Presi la decisione di passare a vedere come
stava,
senza essere diretta. Sapevo che non amava essere indisposto,
né tanto meno
commiserato. Entrai
bussando sullo stipite,
lui sollevò gli occhi sorpreso.
“Problemi?” Fu subito
sulla difensiva, trattenne l’ennesimo colpo di tosse.
“Volevo
fare una pausa e chiederti se ti andava del
tè.” Si
appoggiò allo schienale e ripose
la penna. Alcune goccioline di sudore erano comparse sopra le labbra, e
la
fronte era lucida. La giugulare pulsava velocemente, gli occhi
arrossati. Aveva
la febbre, ne ero certa.
“Mi
stai fissando Laura, non sei qui per il tè!” Sapevo che era difficili
ingannarlo, cosi fui
sincera. “Ti ho sentito tossire e visto i trascorsi di ieri
sera, ho sospettato
che non stessi bene. Ora ne ho la conferma.”
Mi
guardò divertito. Incrociò le braccia.
“E quindi cosa ne
hai dedotto, Lorenzi?”
“Che
hai preso freddo, ostinato come sei stato ieri, e ora
hai la febbre.” Sollevò
le sopracciglia.
“Quindi
che farai, mi curerai amorevolmente come fanno i
“friends? Vedo che ora ne hai un altro sulla
lista.” Chiuse le labbra, in una
linea sottile.
“Scusa,
chi? Parli di
Greg? L’ho appena conosciuto, che diamine.”
Allargai le braccia. “E dai,
Mycroft..”
Rimasi
sbalordita, era forse una frase di gelosia? O forse gli
era scappata perché febbricitante?
Sorrisi
maliziosa, si stava sciogliendo il ghiaccio di Myc?
Era irritante, sarcastico come sempre, ma le
mani erano leggermente malferme. Mi intenerii e non dissi altro.
“Ti
farò un buon tè caldo e ti darò del
paracetamolo, che
prenderai senza fare tante storie.”
Lo
fissai truce. “Non ti comporterai da bambino capriccioso
vero Mycroft? Sai
che ne hai bisogno e
che ti farà stare meglio, se vuoi sbrigare il tuo
lavoro.”
Stavolta rimase in
silenzio, poi capitolò, sciolse le braccia e si
portò sulla scrivania. “Va
bene. Sarò
giudizioso. Farò come dici,
se ti fa contenta.” Mi sorrise rassegnato, prese la penna e
iniziò di nuovo il
suo lavoro.
Voltai le spalle, e
andai a preparare il tè. Lo osservai mentre con il
fazzoletto si asciugava il
sudore.
Dannato testardo, mai
avrebbe chiesto aiuto, né tanto meno a me. Non era certo il
tipo di uomo che
ammetteva la sua debolezza.
Tornai
con il tè, e pochi biscotti per proteggere lo
stomaco, sospettavo che non avesse mangiato nulla. Appoggiai sul tavolo
il
vassoio, dove mi aveva fatto posto, gli allungai la pastiglia e
avvertii il
calore della mano quando la prese.
Non
riuscii a trattenermi, era bello febbricitante.
“Per
Dio Holmes, ma non senti il calore che ti porti
addosso.” Forse fui troppo irruente, si ritrasse temendo che
gli sentissi la
fronte. “Tranquillo non ti tocco, prendi il paracetamolo e
mangia dei biscotti,
altrimenti lo stomaco ne risentirà.”
Stranamente fu remissivo, mi guardò con gli
occhi lucidi di straforo, e
prese a mangiarne uno.
Decisi
di andare a prendere il termoscanner, e quando tornai
mi mandò un’occhiata disperata. Mi resi conto che
lo destabilizzavo, non era
abituato che qualcuno si preoccupasse per lui. Lo puntai sulla fronte
mentre
lui sbuffava seccato.
“38
gradi, eccolo lì il risultato.”
Sbottai arrabbiata.
“Starò
bene e solo un pò di temperatura.”
Agitò la mano come
se scacciasse una mosca fastidiosa.
“E’
un eufemismo dire un po'. Prendi il paracetamolo, ci
vorrà una mezzora perché faccia effetto, poi
quando la febbre scende te ne
andrai a casa. Dove spero avrai un letto caldo che ti
aspetta.” Lui
mi osservava attonito con la bocca
aperta, incapace di dire altro, nessuno gli ordinava cosa doveva fare,
tanto
meno io che ero una specializzanda. Mi fissò torvo un
po’ seccato e un po’
dispiaciuto.
“Laura
devo finire, poi prometto che andrò a casa.” Fu morbido, quasi gentile.
“Bene,
ma adesso mettiti comodo, togli la cravatta, slaccia
la camicia o soffocherai.” Ci
pensò un po’,
poi la sua mente elaborò che avevo ragione e mi
ascoltò. Prese
a tremare preso dai brividi, non riuscì
a sbottonarla e perse la calma.
“Posso
aiutarti, se me lo permetti, non farò nulla di
più
che metterti a tuo agio.” Capitolò vinto dalla
febbre che stava salendo,
considerando che si sentiva stringere e respirava con fatica, mi
lasciò fare.
Si
appoggiò allo schienale della poltrona, mi avvicinai
cauta, e senza toccarlo troppo, lo aiutai a liberarsi della cravatta.
Allentai
il primo bottone della camicia, e sentii il suo respiro liberarsi.
Bruciava, il
calore gli saliva dal corpo, mi chiesi se il paracetamolo sarebbe
bastato.
“Mycroft,
cerca di riposare. Dai il tempo alla medicina di
fare il suo lavoro.”
Non
rispose, mi lanciò uno sguardo di sfida, ma si arrese,
chiuse gli occhi e tenne la testa ferma lasciandola scivolare di lato. Mi spaventai.
“Stai
bene?” Annuì con la testa.
Non dovevo chiedergli troppo, già mi aveva
concesso molto dimostrandomi tutta la sua debolezza. E non era certo da
lui.
“Ti
chiamo se arriva qualcuno, socchiudo la porta, stai
tranquillo.” Abbassai le luci.
Fu
allora che finalmente mi concesse la sua beneamata amicizia.
“Grazie Laura.”
Sussurrò piano.
Tornai
al mio lavoro e lasciai che Mycroft si riposasse finché
il paracetamolo facesse effetto.
Finii
il mio lavoro, ogni tanto guardavo nella direzione
dello studio, temendo che riprendesse a lavorare.
Mai
visto un uomo tanto cocciuto! Eppure mi dispiaceva
vederlo così.
Trascorsa
una mezzora circa, lo raggiunsi nel piccolo
studio, lo trovai che era ancora appoggiato nella poltrona. Gli occhi
chiusi.
“Mycroft
come stai?”
Non rispose subito, ma era a disagio, alzò la
testa e mi fissò stranito.
Mi avvicinai e come prevedevo aveva la camicia bagnata di sudore.
Questo lo
innervosiva parecchio, era fuori dei sui standard di confort.
Così decisi per
lui.
“Senti,
va a casa, presto avrai freddo perché i vestiti sono
zuppi, è inutile che tu rimanga al lavoro in queste
condizioni.” Mi fissò
severo, ma stava valutando la situazione.
“Avanti
ascoltami per una volta, mi occuperò io dei
faldoni.” Non
era sicuro di darmela
vinta. “Laura, non puoi stare qui dentro oltre
l’orario. Non è sicuro.”
Ci
pensai un po'.
“Bene ti porto a casa quelli che non riesco a
finire. Così mi assicuro
di come stai”
Si
alzò, tremava e si strinse nella giacca, afferrò
la sua
cravatta e la infilò ben piegata nella borsa, ma
accettò. Si
girò e accorciò le distanze.
“Ti
verrà a prendere Albert, non tardare molto.” Era
una
decisione sentita.
Presi il suo
cappotto, lo aiutai ad indossarlo, si lasciò accudire senza
protestare, gli
misi la sciarpa attorno al collo e la strinsi per bene. “Bada
di andare a casa,
ora sei sfebbrato, fai un bel bagno caldo e mettiti a letto.”
Annuì con poca
forza, tossì un paio di volte mentre lo accompagnavo alla
porta, il bmw nero
era già lì.
“Ci
vediamo più tardi.”
Gli infilai il blister di paracetamolo in tasca.
“Ricordati solo tre al
giorno, e una l’hai già presa.” Sbuffò
infastidito. “Laura non sono un bambino, ho vissuto da solo,
per anni.”
Gli
allungai il suo amato ombrello e lo seguii fino all’
auto, mentre saliva tenni ferma la porta, e mi rivolsi ad Albert
perentoria.
“Portalo
dritto a casa.” Il British Government soffiò
rassegnato, roteò gli occhi e mi fissò con aria
minacciosa.
Lo
lasciai così, colpevolmente sghignazzante, ma soddisfatta
di averlo aiutato.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Serata da Holmes. Prima parte ***
Cercai di portare a termine i miei
impegni, quelli che mi aveva
affidato Hooper. Mi ricavai un po' di tempo per le cartelle di Mycroft.
Feci il possibile per alleggerirgli il lavoro. Un pensiero mi
disturbava, il
fatto di aver invaso la sua zona confort. Sapevo della
difficoltà che
dimostrava nel concedersi e dare fiducia agli altri. Era radicato nella
sua
solitudine, dava poco spazio agli affetti qualsiasi essi fossero.
Temevo che si
arroccasse di più e che la nostra già debole
amicizia naufragasse.
Lavorai nervosamente, poi decisi di
fare il mio dovere come medico
e come sua amica. Se mi avesse respinta avrei capito, perché
sapevo esattamente
chi era l'ice man che conoscevo.
Alle sei chiusi il laboratorio,
decisa a raggiungere Mycroft,
presi la mia borsa medica, raccolsi le cartelle rimaste e uscii. Con
mia enorme
sorpresa poco oltre, trovai Albert ad aspettarmi. Mi accolse con un
sorriso
sincero.
"Il signor Holmes mi ha dato ordine
di scortarla da
lui." Lo seguii senza dire nulla, avvertii John che avrei tardato, che
ero
da Mycroft. Sorvolai il resto, meglio non irritare Holmes sbandierando
la sua
salute compromessa.
Albert guidò scrupoloso
per mezza Londra, fino a che non fummo
fuori città. Mentre osservavo dal finestrino mi venne un
dubbio.
"Albert, ma Anthea? So che lo segue
costantemente." Fu
indeciso se rispondermi. Sbuffai risentita. "Avanti Albert, non stai
tradendo Mycroft."
Mi guardò dallo
specchietto retrovisore. "Al lavoro,
dottoressa Lorenzi, sostituisce mister Holmes, quando lui si assenta."
Ora
capivo che lei era il suo braccio destro, praticamente insostituibile.
Lo
ringraziai, mi accomodai meglio seguendo la strada, finché
giungemmo a una
specie di villa antica, ben protetta da telecamere.
Dio pensai. Ci mancava che abitasse
in un maniero, questo
completava la personalità tortuosa di Mycroft.
Albert mi lasciò nel
viale, lo fissai perplessa. "Segua il
sentiero, alla fine troverà l'ingresso." Mi sorrise,
guardandomi in
faccia. Non ero semplicemente sbalordita, lo ero di più.
Sapevo dei pericoli
che correva, ma che vivesse in un fortino era veramente troppo.
Uno scanner all'ingresso mi
esaminò il volto. La porta si aprì.
La casa era decisamente inusuale,
un tipico maniero inglese. Legno
alle pareti, quadri antichi, statue, sembrava un museo. Percorsi un
corridoio,
scesi la scala e mi ritrovai in una stanza con un grande tavolo di
legno, un
camino e due poltrone di pelle, su una di queste vidi sprofondato
Mycroft, e mi
arrabbiai.
"Non dovevi essere a letto! Non mi
hai ascoltato,
Holmes." Lui si girò con aria indignata. "Buonasera Lorenzi,
bada che
sono appena sceso dalla camera." La voce era sotto tono, grezza,
finì per
tossire risentito dal mio rimprovero.
Mi avvicinai, lo scrutai meglio,
mentre appoggiavo le cartelle sul
tavolo e la borsa. Manteneva la sua aristocratica eleganza anche
indossando un
pigiama. Era di flanella blu a quadri grigi, abbottonato sul davanti, i
pantaloni dello stesso colore terminavano mostrando la caviglia con dei
calzini
in tinta.
Le pantofole di panno con uno
stemma colorato sul davanti erano
abbandonate sul tappeto. Una vestaglia di panno blu a losanghe lo
avvolgeva.
In mano reggeva un libro che
appoggiò nel tavolino tra le due
poltrone. Sembrava sfebbrato, ma gli occhi erano un po' arrossati.
Qualche
colpo di tosse lo scuoteva ancora, rabbrividì e si strinse
nel plaid colorato
che aveva sulle ginocchia.
"Perché sei sceso? Il
letto era più comodo e più caldo."
Lo interrogai fingendomi severa, ma ero felice di vederlo star meglio.
"Per aspettarti che altro? Dovevo
pure accoglierti. La casa è
grande."
Allungò le mani,
prendendo il fazzoletto di carta nel contenitore
e si soffiò il naso. "Lorenzi, per Dio, non potevo farti
girare ovunque
per trovarmi." Aveva ragione, ma rimasi zitta pensando a come fargli
digerire la parte seguente. Volevo sottoporlo a una visita medica.
Così mi sedetti di
fronte e scandii bene le parole con calma.
"Sai che sono un medico vero?"
Già la frase gli parve
sospetta. Aggrottò la fronte, annuì col
capo mentre si puliva il naso per
l'ennesima volta.
"Bene, quindi non ti opporrai se
ora ti faccio un
controllo." Alzò gli occhi al cielo rimbrottando. "Laura! Ma
sto
bene, non sto morendo."
"Lascialo dire a me." Cercai di
essere determinata,
irremovibile. "Fatti guardare, dammi un po' di fiducia."
Non rispose, valutò la
situazione. Probabilmente pensava al perché
mi preoccupassi per lui. Nessuno si prendeva la briga di sapere come
stesse,
forse Anthea, ma lei lo faceva per lavoro.
"Siamo "friends" te lo ricordi?
Sono un medico,
quindi lasciami fare." Si appoggiò allo schienale,
fissandomi perplesso,
la testa di lato e si arrese. Forse la stanchezza, la febbre, la voglia
di
tornare a lavorare. O sentire il piacere di qualcuno che avesse cura di
lui.
Annuì arrendevole, lo
feci rilassare un paio di minuti sulla
poltrona. Aprii la mia borsa, presi l'ossimetro e mi avvicinai alla sua
mano.
Con garbo lo inserii nel dito sottile, cercando di non urtarlo,
arrotolai la
manica e gli presi la pressione. Mi lasciò fare senza
protestare, ma non
riusciva a guardarmi turbato mentre le mie dita lo sfioravano e lui
combatteva
con sé stesso per mostrare indifferenza. Impietoso
l'ossimetro aumentò la
frequenza.
"La pressione è un po'
bassa Mycroft, ma è dovuto sicuramente
alla febbre." Ascoltò taciturno. "Il ritmo cardiaco va bene,
l'ossimetria anche."
Arrivò la parte
più difficile, gli aprii la vestaglia, slacciai i
bottoni del pigiama.
"Tranquillo non ti farò
prendere freddo, sarò veloce."
Rimase immobile, emotivamente
scoperto, la testa di lato fissando
un punto indefinito nello spazio.
Portava una maglietta intima
bianca, a mezze maniche, la sollevai
e appoggiai lo stetoscopio dopo averlo scaldato. Chiusi gli occhi e
ascoltai il
suo cuore, il suo respiro. Era un po' agitato, mi ritrovai a sorridere
a testa
bassa, per averlo sorpreso in difficoltà.
Lo feci tossire un paio di volte.
Era intasato, ma non ancora
compromesso, però decisi per un antibiotico leggero. Lo feci
sporgere in avanti
e gli scoprii la schiena, ascoltai attenta. L' antibiotico era
necessario.
"Bene, Mycroft ho finito." Lo
aiutai a rivestirsi.
Riprese il controllo, non era irritato, forse sconcertato dalla mia
vicinanza,
finì di sistemarsi e si avvolse nella calda vestaglia. Lo
aiutai a coprirsi con
il plaid.
"Quindi dottoressa, conclusioni?
Sono molto malato?" Era
ironico, aveva ripreso la sua indole sarcastica.
Non raccolsi, misi in ordine la mia
borsa, senza voltarmi.
"Mycroft ti prescrivo un antibiotico, lo prendi subito insieme a delle
vitamine. Vorrei che Albert lo andasse a ritirare. Se posso,
naturalmente."
Inarcò le sopracciglia
stupito, ma non per la preoccupazione della
sua malattia, ma per la professionalità delle mie decisioni.
"Va bene, ora
lo chiamo." Borbottò rassegnato e preso il cellulare lo
avvertì. Scrissi
la ricetta soddisfatta.
"Ora pensiamo al tuo stomaco, devi
mangiare! Cosa contiene la
tua cucina di commestibile?" Era sulla destra pulita e in ordine.
"Se ne occupa Anthea, vai pure a
curiosare." Mi fece
cenno con la mano. Entrai, e sbirciai. Se avessi trovato gli
ingredienti giusti
avrei cucinato qualcosa. Sapeva fare bene il suo lavoro, Anthea, il
frigorifero
era in ordine, e c'era quello che mi serviva.
"Ti preparo della zuppa, con dei
crostini." Mi affacciai
a guardarlo. "Che ne dici?"
"Va bene, ma se resti a cenare
anche tu." Si coprì
meglio e mi sorrise guardingo.
"Quindi invito a cena forzato?"
Risi e si sciolse anche
lui. "Me la immaginavo diversa la nostra prima cena da amici." Si
appoggiò alla poltrona sorridendo. "Anche io se devo dire la
verità."
Albert entrò in sala e
gli diedi istruzioni, annuì fissando il suo
capo. "Tranquillo Albert sta bene, procurami questi e domani
sarà già in
forma." Uscì sogghignando, mentre Mycroft sbuffò
come sempre e brontolò.
Non gli piaceva farsi vedere fragile.
Andai in cucina e mi affaccendai,
preparai la vecchia zuppa di
mamma, che tanto mi piaceva.
Ogni tanto gli davo un'occhiata, si
era rimesso a leggere, ma
presto si assopì, corsi rapida a recuperare il libro prima
che cadesse a terra.
Abbandonato nel sonno Mycroft
sembrò più giovane, il volto era
disteso, nessuna ruga o smorfia sarcastica. Lasciai che dormisse
tranquillo
cercando di fare poco rumore.
Albert ritornò, gli feci
cenno di fare piano, mi consegnò le
medicine.
"Laura, ha fatto un miracolo! Mai
Holmes si è lasciato andare
così." Fu una concessione fuori dal comune.
"Forse non è
così di ghiaccio come vuol far credere."
Sussurrai
Albert uscì sorridendo e
scuotendo la testa.
Lo lasciai riposare ancora un po'
mentre, mi sentivo stranamente a
casa. Certo, ero in una città nuova, senza amici se non
questi che mi
circondavano con affetto.
Piena di dubbi e problemi.
Stranamente attratta da quell'uomo
che ora dormiva sulla poltrona
e che mi concedeva così poco.
Stupida, dovevo essere
completamente pazza, avrei dovuto essere
ragionevole e stare fuori dalla cerchia di Holmes, del suo lavoro
misterioso,
dal suo modo freddo di trattare la gente. E invece ero lì
che aspettavo che si
risvegliasse per stare un po' con lui. Mi lasciai andare sulla sedia
mentre
giravo lo sguardo per casa, incuriosita.
Mi appoggiai con le mani sul tavolo
e sospirai.... Pensare che
Holmes potesse diventare qualcosa di più solido di un
semplice amico era una
idiozia totale.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Serata da Holmes. Seconda parte. ***
Era ora di cena, mi avvicinai e lo
chiamai gentilmente, lo scossi
appena.
"Mycroft forza, ceniamo. Stai
bene?" Si stiracchiò, e
cercò di darsi un contegno. Si aggiustò la
vestaglia e mi fissò stordito. Cercò
il suo libro.
"Te l'ho salvato io. Ho visto che
era una edizione
limitata." Annuì e si alzò faticosamente, non era
molto ciarliero.
"Dai Mycroft, non morirai se ci
facciamo compagnia
stasera." Cercai di essere seria, ma vederlo così smarrito
mi faceva
sorridere.
"Ti ho dato questa impressione? Di
essere seccato dalla tua
presenza?" Mi guardò sospettoso come se gli avessi letto nel
pensiero.
"No, ma sembri a disagio. Non ho
avvelenato ancora
nessuno." Non poté fare a meno di sorridere.
Ci sedemmo a tavola, iniziammo a
cenare, e mangiò con appetito. Si
servì con abbondanza, e ne fui felice.
"Bene, devo dire che ci sai fare,
dottoressa Lorenzi. Era
gustosa la tua zuppa." Sembrava soddisfatto di aver assaggiato la mia
cucina. Appoggiò il tovagliolo.
"Allora servo a qualcosa mio
British Government, sembri
apprezzare la semplicità."
"Per forza Laura, con tutte le
volte che mi trascinano in
pranzi ufficiali, dove si mangia di tutto. Un po' di
genuinità a volte è
gradito." Cominciò a tossire di nuovo, si alzò
prese i fazzoletti di carta
e ne consumò alcuni.
Cercai di metterlo a suo agio, lo
vedevo indifeso perché mostrava
un lato di sé che difficilmente traspariva.
"Mycroft, non so a cosa stai
pensando, ma gli amici servono a
questo." Lo guardai mentre si asciugava il naso.
Ripose la scatola, si
pulì le mani, e tornò a sedersi.
"Non ti farai tornare la febbre,
vero? Gli cercai la mano.
Non ero certa che lo avrebbe accettato, ma restò fermo e gli
sorrisi felice di
ritrovarla fresca.
"Uhm... è passata, ma
preferisco tu prenda lo stesso
l'antibiotico, per evitare inutili ricadute." La accarezzai senza
alcuna
malizia. Continuai prendendolo in giro.
"Tu non sei il tipo che rimane a
casa a lungo, per quel poco
che ti conosco." Stranamente non si ritrasse e ascoltò
silenzioso. Inclinò
la testa di lato, e mi studiò, poi mi diede fiducia e si
abbandonò nella sedia.
"Laura, scusami sotto certi aspetti
non so molto rapportarmi,
non ho avuto amici, né nessuno che si prendesse cura di me.
Cerca di capire. Il
mio comportamento non è rivolto a te." Agitò la
mano sotto la mia, la girò
titubante e mi accarezzò lievemente. Niente di eclatante ma
fatto da Mycroft
aveva un valore enorme. Si concedeva a me, al mio contatto e devo dire
che ne
fui contenta.
"Certo che ti capisco, non ti sto
chiedendo troppo, voglio
solo farti stare bene. Non ce nulla di male nel farsi aiutare, lo hai
fatto per
me, ora lascia che sia io a farlo."
Gli lasciai la mano con dispiacere,
ma sapevo che non dovevo
andare oltre, non potevo oltrepassare i suoi limiti. Cosi cambiai
argomento. E
gli chiesi del libro tanto prezioso che stava leggendo.
E fu una buona idea
perché si lasciò andare e parlò di
quella
edizione limitata che aveva cercato ovunque. Gli piacevano i libri,
quelli
antichi. Mi raccontò di quante volte aveva rincorso una
versione limitata di un
libro di Shakespeare, che ancora cercava, uno fra i primi pubblicati.
Ascoltavo assorta, vederlo parlare
era piacevole, anche se la sua
voce era rauca, ma modulata e dolce.
Dopo la cena sparecchiai la tavola,
lui cercò di aiutarmi, ma lo
fermai perché iniziò di nuovo a tossire, non
volevo si stancasse. Obbedì e si
accomodò sul divano, si stese la coperta e prese a leggere
il suo libro
prezioso.
Gli preparai del latte caldo e le
medicine. Lo raggiunsi appoggiai
la tazza e le pastiglie sul tavolino gli spiegai come prenderle.
"Mycroft è un
antibiotico leggero solo per tre giorni stasera
cominci, una ogni otto ore e finisci la scatola. Se hai la febbre lo
sai che
puoi prendere il paracetamolo." Annuì fissandomi
sconcertato che lo
trattassi come un bambino. Risi e mi sedetti vicina sul divano.
"Avanti Mycroft non sono cattiva.
Fidati di me, starai meglio
subito." Aggrottò le sopracciglia, un arco perfetto sopra
gli occhi grigi.
"Va bene ti ascolto, Laura. Ti sto
ascoltando!" Sbuffò
scocciato, smisi immediatamente di tediarlo. Fissavo il suo libro
prezioso, se
ne accorse.
"Il mercante di Venezia? Qualcosa
di Shakespeare che parla
dell'Italia? Che buffa coincidenza."
Sorrisi contenta che ci fosse una
cosa in comune.
"Dovresti leggere il nostro Dante.
Ci farò un pensiero,
potrei procurartelo." Ci riflettei un po' su, mentre mi guardava
inorridito.
"Va bene, è in italiano
volgare, lo so, ma tu impari
velocemente. Potrei aiutarti nella lettura." Aggrottò la
fronte e i suoi
occhi si fecero chiari. "Beh, se ho il tuo aiuto, allora... Non sai
nemmeno capire questo! Voglio vedere come la metterai a tradurmi Dante
Alighieri."
Mi sfiorò con un leggero
tocco sul ginocchio, cosa insolita e mi
piacque quella poca confidenza che mi concedeva. "Non sono un'ignorante
Laura, ma vorrei proprio vedere come farai a spiegarmelo." Si mise a
ridere, ma finì per tossire, mentre io gli feci una smorfia
di vendetta.
Riprese il suo amato libro. "Te lo
leggo Lorenzi, così fai
esercizio con la lingua." Si era addolcito e c'era qualcosa di insolito
nel suo sguardo. Sembrava...felice che gli fossi vicino.
Cominciò a leggere ad
alta voce, ogni tanto si interrompeva per
assicurarsi che capissi, certi termini non erano nel linguaggio
corrente.
Annuivo e ascoltavo assorta, chiusi gli occhi.
Era piacevole la sua voce, era come
tornare bambina a Siena,
quando sentivo mio padre seduto al mio fianco che leggeva il giornale.
Tra noi
cominciò formarsi una specie di serena magia, difficile da
definire.
Mycroft era una scoperta,
certamente aveva un lato di sé che
nessuno conosceva, quella sera non avevamo litigato, forse per la prima
volta.
Mi strinsi nella maglia di lana, mi guardò premuroso, mi
allungò la coperta
prendendo sotto anche me, mi appoggiai più vicino, ma
attenta a non invadere i
suoi spazi.
Lo osservai, mentre leggeva con un
ritmo costante, tra un colpo di
tosse e un sorriso, quando mi interrogava su dei termini sconosciuti. E
rideva
quando storpiavo le frasi.
"Sei una frana, Laura! Sarei
più veloce io a imparare
l'italiano." Allontanò il libro, e mi guardò
irritato. "Ma fai sul
serio, Lorenzi? Fatichi a beccarne una giusta!"
"Mycroft, avanti! È
tardi, non sono concentrata a
quest'ora." Mi lasciai andare sulla spalliera, guardai l'orologio un
po'
risentita.
"Sei lo "Smart One" lo so bene,
potresti dare
l'esame di lingue straniere al posto mio." Gli feci una smorfia buffa.
Lui
capì la mia stanchezza, mi scrutò preoccupato,
riprese il suo libro più
dolcemente e rimarcò con aria divertita.
"Farei faville, Lorenzi. Non ci
sarebbero voti per me."
Sollevai gli occhi al cielo.
"Sei sempre modesto Myc." Gli diedi
uno schiaffetto sul
braccio. Riprese la sua lettura con un sorriso disteso che mi fece bene
al
cuore.
Ricordo che ascoltai le poche
domande che mi fece e biascicai le
prime risposte, poi più nulla.
Improvvisamente sentii il pendolo
battere le dieci. Mi ero
addormentata come una stupida, perché mi ritrovai appoggiata
alla sua spalla.
Mi raddrizzai di colpo imbarazzata.
"Dio, scusami Mycroft. Non volevo
pesarti." Mi fissò con
un sorriso aperto su una fila di denti bianchi.
"Ti ho appoggiato la testa sulla
mia spalla, perché
ciondolavi da tutte le parti." Rise, una risata gentile.
"Non sei particolarmente pesante
Laura. Però hai sentito poco
del libro." Quasi mi sgridò poi sembrò
dispiaciuto.
"Ti prometto che leggerò
la parte che non ho sentito."
Bisbigliai stiracchiandomi. Mi resi conto di non avergli fatto molta
compagnia,
lui capì i miei pensieri mentre cercavo la mia borsa e la
giacca.
"Non preoccuparti, so che eri
stanca. Oggi hai lavorato anche
per me." Non si alzò, rimase seduto, appoggiò il
libro che gli dondolava
dalla mano. Lo guardai mentre mi infilavo la giacca, mi assicurai che
stesse
bene, non aveva la febbre e sospirai soddisfatta.
"Devo tornare A Baker Street, tu
ora vai a letto, le medicine
le hai prese, riposa." Sbadigliai, mi guardava senza distogliere lo
sguardo. Chissà a cosa pensava. "Ci sentiamo domani, sai
dove sono.
Buonanotte Mycroft."
"Buonanotte Laura e... Grazie.
È stata piacevole la tua
compagnia, anche quando ti sei addormentata." Lo guardai indecisa se mi
stesse prendendo in giro, ma era serio e vista la serata piacevole e il
suo
volto sereno, mi sentii di allungargli un bacio sulla fronte.
Si sorprese, tossì, non
sapendo come reagire. Lo rassicurai ridendo.
"È solo un bacio affettuoso per avermi tenuto sulla tua
spalla, niente di
pauroso, non lo farò mai in pubblico stai tranquillo."
"Lo so, sei una persona speciale,
forse non me lo
merito." Abbassò leggermente lo sguardo, rimasi senza
parole, per un attimo
non seppi cosa rispondergli, mi aveva spiazzato. Mi allacciai i
bottoni,
sbagliando la sequenza.
"Non dire stupidaggini, do per
scontato che lo dici perché
hai avuto la febbre. Notte Myc."
"Laura, rimetti a posto la giacca."
Mi indicò
l'abbottonatura sbagliata aggrottando la fronte, sapevo che odiava
l'asimmetria.
Sorrisi, mi si sciolse
nel cuore quella malinconia
data dal fatto di doverlo lasciare solo in quella casa enorme.
Presi la mia valigetta, lo lasciai
nella poltrona, che mi fissava assorto,
mentre me ne andavo. Non sapevo il perché, ma mi sentivo in
ansia. Come se
temessi che tra noi presto qualcosa si sarebbe rotto
Albert mi riportò a
casa, mentre guardavo la strada, pensierosa,
consapevole che frequentare Holmes era ogni giorno una sorpresa.
Non riuscivo a togliermi
dalla testa quello sfiorarsi,
quando le nostre mani si erano incontrate, e accarezzate e si erano
dette più
di tante parole.
Più di quanto avessi
cercato in quegli anni bui, dopo la violenza
in Italia. Eppure la magia non durava per sempre, ne ero consapevole e
domani
era un altro giorno.
Frequentare Mycroft, a
volte era piacevole, a volte un
tormento.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Il racconto di Laura ***
Mi resi conto di essere in ritardo,
quando sentii la signora
Hudson riordinare di sotto, mi preparai velocemente senza fare
colazione, scesi
le scale due gradini per volta, imboccando la porta di Baker Street,
mentre mi
infilavo la giacca.
Il san Bart non era lontano, ma
dovetti accelerare il passo, sembravo una maratoneta.
Trafelata aprii la porta del
laboratorio, e vidi Molly con il cellulare in mano.
"Laura, ma dove eri finita?
Cominciavo a preoccuparmi." Era quasi vicina alla scrivania, la sua
borsa
ancora appoggiata alla sedia.
"Mi sono svegliata tardi,
stranamente di sotto non hanno fatto rumore." Diedi un'occhiata al
precario ufficio di Holmes, che era vuoto. Non avevo nemmeno provato a
inviargli un messaggio, perché speravo stesse riposando.
Sapendo benissimo che
faceva quello che voleva.
Molly mi diede disposizioni per la
giornata, lei uscì per i soliti impegni di consulenza a
Scotland Yard, finii
come al solito per rimanere sola. Mi aveva lasciato un esame autoptico
da
finire. Il corpo di una poveretta morta in un incidente. Molly l'aveva
già
esaminato mentre io dovevo stilare il rapporto finale. Così
passai parte della
mattina a repertare la causa del decesso.
Lavoravo e pensavo che la magia
con Holmes era finita. Difficilmente si sarebbe ripetuta la vicinanza
della
sera prima.
Ero stata bene insieme a lui, si
era creata una situazione piacevole, ma con Mycroft niente durava per
troppo
tempo. Tutto girava attorno a lui, era sempre al posto giusto nel
momento
perfetto. Toccava agli altri raccogliere i cocci che lasciava nel suo
percorso.
Non mi accorsi del suo arrivo. Lo
vidi battere sulla porta a vetri, e lo raggiunsi.
Avevo indossato la tuta verde, mi
tolsi i guanti e la mascherina.
"Cosa ci fai qui? Non sei
uscito troppo presto?" Lo guardai contrariata, ma sembrava stare bene.
Il
volto disteso e gli occhi limpidi.
Scosse la mano. "Sto bene,
Lorenzi i tuoi antibiotici hanno fatto miracoli." Era vestito come al
solito in modo meticoloso. Dal cappotto intravedevo un paio di calzoni
chiari e
la cravatta ocra. Naturalmente con l'ombrello nella mano destra.
"Già però un
giorno in più di
riposo, non ti avrebbe fatto male." Cominciai ad armeggiare con la
giacca
della tuta, che era decisamente fastidiosa da portare. Dovevo tornare
dentro a
finire il lavoro. "Hai bisogno di qualcosa?" Mi girai a guardarlo
mentre tentavo di aprire la corazza verde.
"Volevo dirti che sono
qua." Si schiarì la voce. "Se vuoi pranziamo insieme,
più
tardi." Rimasi sorpresa che mi concedesse tanto.
"Certo, ma lasciami finire,
forse mi ci vorrà un po'." Sorrise compiaciuto, ma mentre si
stava per
girare mi venne un dubbio. Lo apostrofai lesta. "Mycroft, devi scendere
in
archivio? Perché sei a corto di fascicoli, che io sappia."
"Si, ma scendo da solo, non
voglio vederti star male." Si era voltato con un fare guardingo, e mi
fece
un piccolo sorriso di circostanza. Dovevo decidere subito e
così feci. Storsi
un po' le labbra. "No, scendiamo insieme. È importante per
me
farcela."
"Testarda come sempre."
Sbottò, prese le carte abbandonate sulla scrivania e le
tenne strette nelle
mani. "Chissà perché non mi stupisco."
Brontolò ammettendo la
sconfitta.
"Dammi dieci minuti, metto in
sicurezza i reperti e arrivo. Finirò il resto più
tardi." Filai veloce in
sala, e feci l'impossibile per raggiungerlo poco dopo.
Lui mi aspettava, mezzo seccato,
seduto sulla sedia della mia scrivania, si alzò
afferrò una lampada di
emergenza e insieme ci avviammo verso l'archivio.
"Laura, stai vicino a me e
non fare scherzi, se ti senti in difficoltà avvertimi." Mi
spinse davanti
a lui brontolando che ero una sconsiderata, che poteva fare da solo. Ma
rimasi
muta, mentre aprivo la porta e scendemmo insieme le scale. Il solito
odore
umido di muffa ci investì, arrivammo di sotto, ebbi un
attimo di indecisione,
sentii la sua mano sulla schiena. Fu confortante saperlo con me, non mi
spinse,
non disse nulla, semplicemente aspettò che prendessi fiato.
"Bene, dimmi che lettera
cerchi." Lo dissi annaspando un po' d'aria, ma lui non me lo fece
pesare.
"Mi serve la lettera S e la
Y. Sai dove trovarla?" Annuii, lui accese le luci e anche la lampada,
mentre lo portavo nella stanza alla fine del corridoio. Più
avanzavo più la
luce diventava fioca. Tremai, mi strinsi nel cappotto.
"Laura, tutto bene? Non
aspettare di crollare prima di dirmelo!" Mi prese e mi strinse al suo
fianco, mi osservava il respiro. "Sto bene, Myc, entriamo."
La piccola porta si aprì
e il buio
che mi investì fu devastante, mi aggrappai senza ritegno a
lui. Al momento
credevo si risentisse e mi prendesse in giro come era solito fare.
Invece mi
tenne stretta, la sua mano libera mi prese il volto e lo
portò vicino al suo
petto. "Non avere paura, Laura ascolta il mio cuore." Chiusi gli
occhi sentii il suo ritmo calmo, il suo respiro disteso, e mi sentii
sollevata.
"Laura, se stai meglio
prendiamo i faldoni e usciamo, che ne dici?" Avrei indugiato di
più
appoggiata a lui, ma non potevo rimanerci in eterno, così mi
decisi annuii e lo
aiutai.
Stargli vicino mi dava sicurezza,
non mi staccavo molto dal suo raggio e lo osservavo mentre prendeva le
cartelle
deciso, le appoggiava sullo scaffale e mi dava un'occhiata, di tanto in
tanto.
Dovevo avere una faccia poco rassicurante, perché mi
allungò una carezza sulla
guancia sorridendo. "Tranquilla ho finito, usciamo." Il solo sentire
la sua voce mi confortava.
Io davanti e lui dietro,
ritornammo alla luce. Presi fiato tutto quello che potevo, e lo
abbracciai
mentre lui si irrigidì. "Scusami lo so che non ti piace, ma
grazie di
avermi sopportato." Mi sollevò il mento con la mano.
"Perché pensi che non mi
piaccia?" La sua faccia era dubbiosa, mentre mi teneva.
"Perché ti ho sentito
irrigidirti. Perché so di invadere i tuoi spazi." Mormorai
indecisa mentre
cercavo di stargli il più vicino possibile.
L'espressione dei suoi occhi era
diversa, profonda e dolce. "Non è come pensi, Laura, anche
se tutti
credono che io sia di ghiaccio non è così." La
sua voce quasi tremò, un
po' mi spaventai, era una parte di lui che non conoscevo. Lo guardai
meglio,
vidi un uomo diverso, nascosto sotto il vestito costoso percepii un
Mycroft
amorevole bisognoso di affetto. E solo, una solitudine condivisa, una
solitudine elettiva che ci univa in un certo senso, la sua costruita e
la mia
imposta dalla violenza subita. Mi lasciai andare sulla panchina nel
corridoio e
decisi di raccontargli tutto. Forse glielo dovevo, forse ne sentivo il
bisogno
dopo tanti anni di angosciosa solitudine.
Lui rimase in piedi, spaesato
dalla mia voglia di condividere il dolore, poi affranto mi venne
vicino. E
iniziai, tesa e dolorosamente consapevole di donargli più di
quanto avessi mai
fatto.
Non
ho mai saputo chi fossero i miei veri genitori, sono stata adottata dai
Lorenzi
a sei mesi e li ho sempre considerati come tali. Loro avevano una vasta
proprietà
terriera a Siena, in toscana. Ed è lì che crebbi,
piena di affetto e di
gratitudine. Per tutta la mia vita pensai che quello sarebbe stato il
mio scopo
di vita: la tenuta. Ma purtroppo faceva gola ad un uomo senza scrupoli,
che
voleva allargare i suoi possedimenti. Mandò due balordi per
spaventarli e
cedere la terra e la vigna. Ma persero la testa, credendo di trovare
soldi e
gioielli e torturarono papà. Mamma per difenderlo venne
accoltellata, morì
dissanguata e papà che urlava disperato, fu ammazzato a
furia di botte. Io vidi
tutto."
Non riuscii a continuare, presi
aria, Holmes mi concesse la sua solidarietà afferrandomi la
mano. "Vuoi
fermarti Laura? Non è necessario continuare se non vuoi." "No, voglio che tu sappia. Non
l'ho mai raccontato. Ma va bene." Sospirai, non lo guardavo,
eppure
lo sentivo vicino. Mi tremò la voce.
"Io
avevo 24 anni, ero giovane, terrorizzata ormai sola, e loro erano in
due."
Ispirai aria più che
potevo.
Mycroft non respirava, era in apnea. Continuai
senza guardarlo.
"Fecero
i loro comodi, soddisfarono i loro istinti bestiali. Urlai piansi e
pregai di
morire, ma il mio corpo non cedette e vissi tutto lo stupro. Ero in
quella
stanza, Myc, la stanza buia con la porta chiusa, che mi fa paura, dove
sono
morti i miei genitori e anche io."
La mano di Myc mi strinse
più
forte.
"Mi
lasciarono a terra sporca di sangue e vomito, piena di lividi con i
polsi
legati dal filo di ferro che si era conficcato nella carne fino
all'osso. Persi
i sensi, entrai in coma per una settimana. Ero sola,
orfana di nuovo, piena di dolore, ma viva."
Lui taceva con il volto scuro, la
fronte tesa e la testa china. Io presi aria a pieni polmoni. Continuai
decisa
piena di rabbia, mentre gli tenevo la mano cercando quel poco di amore
che
potevo pretendere da un estraneo.
"Ma
quando, una volta catturati, quei tre bastardi per un cavillo e la
mancanza di
prove oggettive, stavano per scamparla, decisi che i corpi martoriati
dei miei
genitori potessero ancora parlare e dire cosa gli era successo. Mi
rivolsi ad
un avvocato e ad un bravo professore che conoscevo
all'università, era patologo
forense. Facemmo eseguire un'autopsia accurata dove venne spiegato ogni
colpo
subito dai loro corpi. E il verdetto cambiò, la giuria si
indignò e quei
bastardi finirono all'ergastolo insieme al mandante."
Feci una pausa, senza capire bene
dove fossi in quel momento. Eppure mi tenevo stretta a Myc, cercando
coraggio.
Mormorai poche frasi finali, mentre il mio cuore era in piena tempesta.
Dio non poteva aver creato tanto
dolore, né perdonato. Sospirai rassegnata che quello era
stato il mio destino
lo avessi voluto o no.
"Quella,
Myc, fu la molla che mi portò a desiderare di essere un
medico forense, dovevo
imparare a far parlare i corpi delle vittime."
Poi ci fu il silenzio. Guardavo in
basso e presi a contare le mattonelle del pavimento. Una, due, tre
...Un
perfetto gioco della mente per allontanarmi dal dolore.
"Laura, guardami." Mi
sentii prendere per le spalle, mi fece voltare verso di lui.
Perché Mycroft,
era lì, l'unica persona a cui lo avevo raccontato.
"Basta ora. Andiamo via di
qua." Lo seguii docile, svuotata, mi prese saldamente per mano, e mi
trascinò con lui. Le cartelle sotto al braccio. Era
arrabbiato, impotente, lo
sentivo da come mi teneva la mano. "Mycroft, mi stringi troppo. Mi stai
facendo male." Fiatai, respirai, qualsiasi cosa fosse mi
uscì dal
profondo. "Ti prego, non lasciarmi."
"Scusami." Allentò
piano, ma non mi lasciò mai. Finché non arrivammo
al laboratorio.
"Siedi, ti prendo del
tè." Lasciò le cartelle sulla mia scrivania e
mentre crollavo giù sulla
poltrona, trafficò sul boiler per prepararlo. Notai le sue
mani sottili che
tremavano. Mi sentii in colpa, non avrei dovuto dirgli quella parte di
me così
nascosta. Non sapevo come l'avrebbe presa. Avevo sempre taciuto per
paura di
essere compatita e considerata "rotta". Non volevo che lui avesse
pietà di me. Nessuno doveva avere pietà di me.
Tornò con il
tè fumante, mi
confortò stringere tra le mani la tazza calda. Sorseggiai
piano, poco alla
volta. Mycroft seduto di fronte non disse nulla, beveva anche lui
silenzioso,
soffiando sul vapore che disegnava il tè bollente.
"Buono?" Mi sussurrò
guardandomi con un'aria diversa. "E' una miscela che amo." Sorrise, e
mi sentii una parte del suo essere, coinvolta nel suo fare gentile.
"Si molto, è fruttato e
delicato." Ero grata che non parlassimo di me. Che lasciasse le cose
sospese, e tornassimo alla normalità. E per questo lo
apprezzai molto, quando
si scosse e cambiò timbro.
"Forza Laura, ora si
lavora." Si prese le due tazze, e mi sorrise, gli occhi grigi sfumarono
al
chiaro dolcemente, non mi concesse alcuna falsa pietà. Era
tutto ciò di cui
avevo bisogno.
Fu solo quell' unico attimo che mi
concesse di vedere, poi si staccò e ritornò il
Mycroft di sempre.
"Allora Laura, il tuo estinto
ti aspetta, non lo lascerai da solo ad aspettarti." Rise, prese le
cartelle e andò nel suo precario ufficio.
Ma purtroppo la bufera, per
l'ennesima volta, doveva ancora arrivare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Anthea si rivela un'amica ***
Prima
di mezzogiorno arrivò Anthea. Finalmente vidi in volto
la misteriosa segretaria di Mycroft. Più che segretaria era
il suo braccio
destro. E naturalmente era bellissima come sospettavo, lui non era tipo
da circondarsi
di segretarie basse e pienotte.
Entrò
in obitorio come se fosse il posto più naturale del
mondo. Elegante, un tailleur beige sobrio, i capelli ramati che
scendevano
sulle spalle, il trucco leggero, occhi castani chiari. E naturalmente
un corpo sinuoso.
Un
sottile fastidio mi prese allo stomaco.
Holmes doveva essere uno stupido a non averla
mai frequentata, o perlomeno ad averle rivolto un pensiero lussurioso. Cieco e stolto se non
avesse visto quanto era
piena di fascino.
“Buongiorno
dottoressa Lorenzi, finalmente ci conosciamo.”
Mi raggiunse alla scrivania, camminando elegantemente e mi
allungò la mano.
“Buongiorno
a lei Anthea, Mycroft la nomina spesso,
finalmente ora ha un volto.” Le sorrisi bonariamente, come si
faceva a non
ammirare la sua educata cortesia. Rimase in piedi, dritta e statuaria.
“Il
mio capo esagera, io faccio solo il mio lavoro.” Si
schernì senza malizia.
“È
una costante questa del lavoro, siete così legati ai
vostri impegni che difficilmente sembra abbiate una vita
sociale.”
“No,
tranquilla, io mi ricavo i miei spazi, anche se Mycroft
li assorbe spesso. Non mi permette molte distrazioni, è uno
stacanovista.” Fece
un risolino compiaciuto. “Ma penso già lo sappia,
visto che lo vede
spesso.” Mi
fissò divertita, come se
sapesse di più. Mi chiesi cosa, e lei capì.
“Tranquilla,
Mycroft non si concede molto, ma lei ha
scalfito un po' della sua corazza.”
Anthea si voltò con noncuranza, si
assicurò che lui non sentisse.
“Grazie
per essersi presa cura di lui, non si lascia
avvicinare molto quando è in
difficoltà.”
Abbassai
lo sguardo, e le rimandai un sorriso sincero. “Me
ne sono accorta. Peccato che si nasconda dietro alla sua armatura
lucente.
Vuole proteggere tutti.”
“Non
tutti Lorenzi, solo quelli a cui tiene, e sono poche
dita di una mano.” Mi sorpresi che mi facesse queste
confidenze, la guardai in
modo diverso, lei sapeva molte cose del suo capo, perciò era
molto attendibile,
sicuramente disinteressata al mio rapporto con lui.
“Laura,
non le sono nemica, ma Holmes meriterebbe una certa
stabilità.”
La fissai, stranita.
“Ora devo raggiungerlo o diventerà
sospettoso, se non lo è già. Le mando il mio
numero di cellulare, lo memorizzi.
Sono sempre disponibile, naturalmente sono i suoi ordini.”
La
ringraziai e lei scivolò verso l’ufficio
provvisorio di
Mycroft, mentre la seguivo con gli occhi.
Mi
lasciai cadere sulla poltrona della scrivania, presi i
resoconti delle autopsie in corso, ma non riuscii a concentrarmi nel
lavoro. Perché
la mia mente girava a cerchio intorno a quella frase.
Anthea
mi aveva fatto capire che contavo qualcosa per lui.
Io,
Laura Lorenzi contavo qualcosa per il British
Government. Mi passai la mano nervosamente nei capelli e scacciai il
fastidioso
pulsare delle tempie.
Infondo lo avevo
voluto come “friend” e anche lui, ma la cosa stava
andando oltre. Dio, ora mi
sentivo fuori sincrono, però era stata una decisione
sofferta raccontargli la
mia storia, mi sentii sbilanciata un po' spinta in una confidenza che
non avevo
dato a nessuno. E che adesso sentivo pesante, temevo che lui mi
tradisse o mi
allontanasse. Non sapevo che comportamento avrebbe avuto, e mi
spaventai.
Alzai
la testa inquieta e li vidi uscire insieme. Lui si
staccò e si avvicinò, mentre Anthea rimase in
disparte.
“Laura,
devo andare, un impegno che non posso evitare. Ti
avrei portata a pranzo, perdonami.”
“Non
fa niente, tranquillo.” Riordinai malamente la
scrivania, accartocciando le cartelle. Alzò le sopracciglia
mentre mi guardava
sorpreso dal mio fare maldestro. Scosse la testa.
“Bada
a seguire le mie raccomandazioni. Chiudi la porta
principale quando vai in sala obitorio. Non tardare, e non fare di
testa tua.
Ti scongiuro avvertimi.”
Quel
“scongiuro” mi addolcì e mi rese
malleabile.
“Va
bene farò la brava, ma una passeggiata
concedimela.”
“Chiama
Albert, se devi spostarti. Ti mando tutti i numeri
necessari, memorizzali e usali.” Inclinò la testa
di lato con un sorrisetto
ironico.
“Tanto
lo so che sei testarda.” Lo vidi trattenersi
pensieroso, portò la mano al mento sfregandosi la barba che
stava già
ricrescendo.
“Laura, visto che
non
posso portarti a pranzo, che ne dici se ceniamo insieme
stasera.?” Mi guardò
titubante aspettando la mia risposta, sembrava contento della sua idea.
Rimasi
incerta pensando che fosse una serata tra amici e nulla
di più, lui di certo non sarebbe andato oltre.
“Perché
no? i piacerebbe uscire di sera, e con te mi sento
sicura.” Lo guardai sorridendo pensando che fosse simpatico
rimanere un po' con
lui, soprattutto perché non c’erano molte
occasioni di stare insieme.
“Bene
allora alle otto vengo a prenderti, ti prometto di non
farti fare tardi. E di ripagarti per le tue attenzioni.”
Avevo
un dubbio non sapendo quali luoghi frequentasse, ma di
certo non comuni. “Spero non sia un posto troppo
elegante.” Impensierita lo
fissai cercando di fargli capire che non ero propriamente una delle
dame
dell’alta borghesia che conosceva.
“Tranquilla,
niente di stressante, stasera solo relax.”
Agitò la mano in aria. Mentre con l’altra
ondeggiava il suo ombrello
soddisfatto si voltò, raggiunse Anthea, che mi
salutò approvando con lo
sguardo, e uscì.
Sospirai
mentre li vidi scomparire oltre la porta a vetri,
ed ero in pace con me stessa, perché Mycroft si era
comportato come desideravo.
Nemmeno
un accenno a quello che gli avevo raccontato, non un
cambio di umore, né di atteggiamento.
Era
un perfetto gentleman. Non c’era che dire, mi aveva
trattata senza quella fastidiosa pietà che i miei parenti in
Italia mi
dispensavano tutte le volte che mi incrociavano. Cercare di dimenticare
il
passato in quel modo non era possibile. Holmes lo aveva capito e gliene
fui
grata.
Così
passai la mattinata da sola. Finii per pranzare come
spesso accadeva davanti al distributore automatico a mangiare un
panino. Ma
certa che avrei recuperato alla sera.
Alle sei me ne filai a casa, per riassettarmi e prepararmi
per la
serata.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Una cena per due. Prima parte ***
Trovai
i miei coinquilini affaccendati in cucina, li avvisai
che quella sera ero fuori. Mi ritrovai i loro occhi puntati addosso e
le loro
bocche aperte.
“Tranquilli
esco con Mycroft.” Sospirai a labbra strette e
salii rapida in camera prima che mi tempestassero di domande.
Indossai un vestito a
fiori, piccoli e delicati, acquistato a Firenze. Le mie compagne di
corso lo
avevano trovato adatto al mio fisico, legava con il colore dei miei
occhi
castani chiari. Non era troppo scollato, né audace, era
semplice e delicato. Un
copri spalle azzurro completò l'insieme. Ravvivai i miei
capelli castani che si
erano fatti più ondulati, e mi passai un po' di trucco
leggero, mi piaceva
apparire per quella che ero. Infondo non avevo bisogno di mascherarmi.
Scesi,
e aspettai di sotto l’arrivo di Holmes. John
mi fisso sorpreso, e Sherlock sorrise tra
il divertito e il compassato.
“Dove
ti porta quell’orso di Myc?” Esordì
seduto nella sua
comoda poltrona, lasciò il violino e aspettò la
mia risposta.
“A
cena, come risarcimento per l'aiuto che gli ho dato al
san Bart. Oggi è dovuto andare via presto, mi aveva promesso
il pranzo, ma ha
optato per la serata.” Mi
aspettavo la
solita battuta ironica, e invece fu delicato e quasi contento. Mi andai
a
sedere di fronte a lui.
“Bene,
era ora che si decidesse.”
“E
dai, Sherlock, è una cena tra amici. Lo sai
com’è.”
Mi accomodai meglio accavallando le gambe.
Lui ebbe un cenno di sorpresa, era la prima volta che le notava, il
più delle
volte indossavo dei Jeans.
“Io
lo so, visto che è un Holmes, ma tu lo sai, com'
è
lui?” Riprese
la sua lotta fratricida,
ma sembrava accettare il fatto che il suo contorto fratello avesse una
simpatia
per me. “Non
fare il saccente, è già
tanto che mi conceda una sera.”
“Appunto,
credo non esca da secoli, a meno che non si tratti
di lavoro.” L’ironia
della sua voce non
mi lasciava molto scampo. Mi aggiustai la gonna. “Non
preoccuparti, lui non ha
secondi fini, speriamo di non litigare come al solito.” Rise,
come se sapesse
leggere nei miei pensieri. E naturalmente conosceva bene il fratello.
“Credo
sia una vostra prerogativa, non esistereste come
coppia se non vi azzuffaste. Gli sai tenere testa e questo lo
intriga.” Si
alzò e si avvicinò. “Bene Laura, buona
fortuna. Mandagli un saluto da parte mia. È
arrivato.” Come facesse a
riconoscere l’auto di servizio era un mistero. Mi alzai e mi
affacciai alla
finestra e infatti era di sotto.
Indossai
la giacca e scesi, arrivai alla porta, e Sherlock
mi chiamò. “Laura comunque non ti merita, sei
bellissima stasera.” John rise
dalla cucina vedendo le mie guance rosse. “Concordo vivamente
Laura.”
“Oh,
ma smettetela.” Agitai la mano scacciando inutili
preoccupazioni che sembravano volermi disturbare.
Scesi
di sotto già nervosa. L’auto nera era
già lì che mi
aspettava.
Lui
in piedi, le mani dentro le tasche del Crombie nero, che
oscillava guardandosi le scarpe lucide, come uno scolaretto
imbarazzato.
Abbassai la testa e sorrisi felice.
Si, perché ero
contenta di stare con lui, fuori dal san Bart o dalla casa della
signora
Hudson. Finalmente un po' di intimità nostra. Mi
inquadrò e mi aprì la porta.
“Mycroft,
non essere così formale, sono sempre io, quella
che sgridi in continuazione.”
Mi
fissò con sorpresa. Mi vedeva sempre con i Jeans e il
camice, ora scopriva qualcosa di diverso. La donna in me che aveva
intravisto
solo poche volte. “Sei molto elegante, Laura.”
Mormorò con occhio critico, però
la voce lo tradiva perché tremava appena.
“Grazie,
anche tu non sei male. Ma stasera sei ancora più
British del solito.” Mi accomodai in auto e salutai Albert.
“Buona
sera dottoressa, mi permetta di dirle che è splendida
stasera.” Mycroft
brontolò per quella
affermazione fuori luogo.
Gli
diedi un colpetto affettuoso sul braccio, e si rabbonì
subito.
Aveva
una sciarpa di seta azzurra allacciata sotto al
cappotto, da cui spuntavano dei calzoni chiari spinati. E il suo
profumo di
spezie ambrate era delicato. Guardava in avanti, ma sentì il
mio sguardo
addosso.
“Che
c’è Laura? Sono il
Mycroft di sempre, non mi riconosci?”
Inclinò la testa di lato come
faceva spesso quando era in modalità di studio. Elaborava il
perché della mia
attenzione, non voleva essere messo a disagio.
“È
la prima volta che non mi rapisci, né che siamo ai ferri
corti, quindi stasera è tregua dichiarata.”
Si
rese conto che era la verità. “Certo che
sì, nulla ci
dovrà far litigare. Capito Lorenzi?” Lo
sottolineò marcando di più la voce.
“Certo,
Holmes. Hai la mia parola.” Ripresi a guardare la
strada, era una serata con il tempo imbronciato, sembrava volesse
piovere di lì
a poco.
La
berlina scivolò lungo le vie fino al centro di Londra,
dove ci lasciò davanti a un ristorantino che sembrava
tipicamente italiano,
elegante e semplice, attorniato da una siepe che nascondeva al suo
interno dei
tavoli pronti per l’estate.
Mycroft
scese, mi aspettò stringendo il suo ombrello, che almeno in
quella serata
poteva tornare utile.
“Che
ne dici Laura, ho scovato questo posto dove ti sentirai
a casa!” Infatti rimasi a bocca aperta. Era a conduzione
italiana, e i profumi
della cucina mi portarono subito al mio paese.
“Myc,
è bellissimo.” Riuscii a bisbigliare, stupita.
“Cucinano
come vuoi tu. Non certo piatti rivisti con
influenze britanniche.”
Lo presi
sottobraccio, ero così felice di trovare la mia patria, che
non mi accorsi di
stringermi a lui, accettò senza battere ciglio quel
contatto. Anzi mi diede due
buffetti sulla mano. “Spero ti sentirai un po' serena, dopo
questo periodo
difficile.”
Il
grazioso ristorante era delizioso, pulito e non troppo
affollato, con dei tavoli apparecchiati con tovaglie chiare con al
centro un
piccolo vaso con una candela colorata. I tovaglioli intrecciati a
fianco dei
piatti. Le sedie comode con alti schienali.
Aveva riservato un tavolo un po' appartato. Fu gentile, mi
aiutò a liberarmi del
cappotto, mi scostò la sedia. Accortezze che non ero
più abituata a trovare in
un uomo. Lui si sedette di fronte. Aveva un completo nuovo che non gli
avevo
mai visto, in un delicato beige spinato, camicia candida e cravatta
marrone con
disegni di piccole foglie più chiare.
Era
attraente, non c’era nulla da dire, la maturità e
la
sicurezza che mi restituiva era perfetta. Mi sentii in
difficoltà, ma fu solo
per un attimo. E lui lo notò come sempre, leggendo il mio
modo di pormi.
“Laura,
sei perfetta, non sentirti imbarazzata. Sei una
donna combattiva e indipendente, e devo dire stasera decisamente
sorprendente.”
Prese il tovagliolo e lo sistemò allineandolo perfettamente
al piatto.
“Mycroft,
mi lusinghi, ti rammento che ti ho infastidito
fino a poche ore fa.” Mi
schernii appena
un po' cercando di trovare la giusta misura per affrontare la serata.
“Bene,
ma ora vedo il rapporto fra noi in modo più chiaro,
stasera siamo alla pari.” Mi ritrovai a ridere, mentre gli
scompigliavo il
tovagliolo, per provocarlo.
“Avanti
Laura, non giocare con me.”
Ma lo lasciò così, fuori dalle sue
simmetrie
misteriose, mi regalò un sorriso divertito.
“D’accordo,
vediamo cosa mangiare che sia una novità
italiana, piacevole per un British dispotico come te.”
Mi
fissò, sornione. Prese la lista del menù e la
scorse.
Dopo poco la lasciò cadere sul tavolo.
“Scegli
tu, fammi sentire in Italia.” Annuii, avevo il suo
benestare. Scelsi
un antipasto di
prosciutti tipici doc, e scaglie di Parmigiano.
Come primo degli spaghetti saltati nel pomodoro fresco e
olive
taggiasche. Spolverati con dei tocchetti di bufala.
Un piatto di filetto di maialino cotto alla
brace, con contorno di cicoria saltata. E pane senza sale tipico
toscano. Per
finire una macedonia di frutta fresca.
Il
vino non fu una scelta difficile, perché ero consapevole
che papà lo esportava all’estero, quindi optai un
rosso di Siena della tenuta
Lorenzi. Lui era un mago nel produrre un prodotto di
qualità, che aveva vinto
diversi concorsi.
“Questo
vino dunque proviene dalla tua tenuta? Laura sei una
sorpresa.” Mycroft
rimase piacevolmente
colpito da quella novità. “Non mi avevi mai detto
che eri l’erede di una
tradizione cosi tipicamente Italiana.”
Assaggiò il rosso fermo, saporito e profumato
di campi e di sole.
“Ti
piacerà, c’è il cuore e gli
insegnamenti di mio padre lì
dentro, lo zio Pietro continua il suo lavoro, loro condividevano la
stessa
passione ed erano molto vicini.” Brindammo, fui felice di
essere con lui a
condividere il vino del mio amato padre.
La
cena fu deliziosa, Myc assaporava quella cucina diversa,
poco elaborata, ma gustosa. Silenziosi assaporavamo tutto, mentre ci
guardavamo
complici, in quella serenità acquisita, ritrovai una parte
di me che avevo
lasciato a Siena anni fa, sepolta sotto dolorosi ricordi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Una cena per due. Seconda parte ***
Mycroft
posò il bicchiere e si rilassò sulla sedia.
“Non
ti senti sola Laura? Non hai nessuno a Londra, è una
città difficile, non deve essere stata una scelta facile
quella di partire.”
“No,
certamente, ma volevo una svolta e l’ho trovata. E poi
non è vero che non ho nessuno.” Mormorai
lentamente, scandendo bene le parole.
“Scusa?”
Mi fece eco, incuriosito da quella risposta,
evidentemente credeva mi sentissi isolata.
“Tu
sei il mio amico, voi tutti lo siete. Sherlock, John, Molly, Lestrade, Anthea, la
signora Hudson. Cosa
potrei
pretendere di più? Tu poi, non fai altro che
proteggermi.” Risi
vedendo la sua faccia corrugata.
“Beh! Per adesso ti
ho causato solo guai, Laura..”
“Tuo
malgrado, credo. Però stasera sei perdonato.” Si rilassò e
incrociò le braccia, le mie
parole lo avevano colpito.
“Sei
troppo buona, mi concedi un perdono che non mi
merito.” Cambiò
espressione, gli occhi
si adombrarono, lo interpretai come un dolore nascosto, una vicenda
passata che
però gli costava ancora.
“Perché
cosa hai fatto di così grave? Non mi sembri così
temibile.” Prese del tempo, sciolse le braccia e le
lasciò cadere lunghi i
fianchi, fece un lungo respiro.
“A
volte, non sono riuscito a proteggere le persone a cui
volevo bene.”
“Detto
da te, quel voler bene la dice lunga. Parli di tua
sorella, vero?” Mi appoggiai sul tavolo, dimostrandogli la
mia solidarietà, lo
fece anche lui. Ci ritrovammo vicini, piantò i gomiti e
portò le mani sotto al
mento.” Come lo sai? Cosa ti hanno detto?”
Era
sulla difensiva, temeva che mi avessero raccontato delle
falsità.
“L’ho
saputo da Molly, e un po' da John, so che hai nascosto
la reclusione di tua sorella per proteggere la tua famiglia.”
Non
eravamo molto lontani, adesso sentivo il suo profumo e
probabilmente lui il mio. “Tu
sei così
protettivo, non badi a nulla pur di fare il bene degli altri. So che
Sherlock
l’ha capito, ma i tuoi genitori invece no.”
Abbandonò
le mani sul tavolo e prese a lisciare la tovaglia,
sembrava imbarazzato da confidenze che non faceva a nessuno. “Via!
Lo sai che ti vogliono bene, dovresti cercare di mettere
fine a questa
storia. Va a fargli visita, porta dei fiori a tua madre, fa un gesto di
buona
volontà.”
Allungai
la mano e presi la sua. Non si ritrasse, lasciò che
lo confortassi, lo accarezzai cercando di rasserenarlo. Avevo toccato
un punto
dolente, abbassò lo sguardo e corrugò la fronte.
Non si accorse nemmeno del
cameriere che riassettava la sala.
Mai
si sarebbe concesso a qualcuno così scoperto, lo tenni
per mano e la strinsi forte.
“Mycroft,
avanti, voglio sentirti fare una battuta
sarcastica, mi piaci di più. Anche se fosse rivolta a
me.”
Scosse
la testa, non alzò gli occhi, lo sentii muovere
appena il braccio sotto la mia stretta.
“Ho
sbagliato tanto, sono morte delle persone, Eurus ha
ucciso. Questo è stato il mio più grande
fallimento.”
Respirammo
quasi in sincrono, ma sentivo tutta la sua
stanchezza, portare quel peso per metà della sua vita gli
era costato molto.
“No,
nessun fallimento Myc. Tutti sbagliamo, a volte molto,
credendo di farlo per amore. E tu hai fatto del tuo meglio.”
Sorrise
tristemente, alzando la testa e guardandomi.
“Sai, me l’hanno già detto,
che ho fatto la
cosa giusta. Ma non mia madre.”
“Ma
tuo fratello si, e so che ci tieni a lui.”
Annuì,
sembrò
placarsi. Fu lui a prendere la mia mano e tenerla stretta.
“È bello averti come
Friends.”
Detto
da lui fu come toccare il cielo con un dito. Anche se
avrei voluto che dicesse qualcosa di più, perché
mi tremava il cuore nel
tenergli la mano. Sentivo
un calore
inaspettato, che mi percorreva lento, e mi piaceva.
Una sensazione mai provata, dolce e sofferta
allo stesso tempo. Mi chiesi se anche lui provava lo stesso. Rimanemmo
così,
senza parole, per un breve momento. E questo stupì entrambi.
Ma come sempre
accadeva, come se avesse un pulsante dove resettare i sentimenti che
provava,
si scosse, tornò a essere quello di sempre.
“Si
è fatto tardi, dobbiamo andare.”
Si
allontanò e la magia scomparve.
Lo accettai, mi ritrassi insicura per quello
che provavo io, e quello che lui sentiva per me.
Fu, al solito, gentile e formale mentre mi
aiutava a indossare il cappotto.
Aveva
preso a piovigginare e salimmo veloci in auto.
Mycroft
mi sorrise complice e chiese ad Albert di portarci a
vedere il Tamigi.
Non
scendemmo, fece fermare l’auto per pochi minuti lungo la
riva, aprimmo il finestrino dalla mia parte. La pioggia e il fiume
erano da
incanto.
Lui
si avvicinò e mi premette sul fianco, lo sentii
così
vicino come mai era successo prima. Mi chiesi se lo avesse percepito,
di solito
manteneva le distanze, la sua zona “confort”.
“Ti
piace? È bello qui, peccato la pioggia, ma ci verremo
ancora.” Si
fermò indeciso. “Se vorrai,
naturalmente.”
“Certo,
che lo voglio, è un posto bellissimo e romantico.” Si scostò
improvvisamente, i nostri volti
erano troppo vicini.
“Scusami.” Balbettò.
“Non vorrei pensassi che io... sono stato
scortese…non sono quel tipo d’uomo,
Laura, perdonami.” Era
mortificato. “So
quello che hai passato.... non voglio ferirti. Sono stato
imperdonabile.”
“Mio
Dio, Myc non mi hai fatto nulla! Su stai sereno!” Era
adorabile, mentre un filo di rossore gli infiammava le guance.
Pensai
di approfittare del momento. “Però, visto che sei
stato così imperdonabile come dici tu, un bacio casto sulla
guancia, che
sancisce il perdono, quello lo pretendo.”
“Laura!”
Sbottò da in fondo al sedile che aveva raggiunto in
fretta.
Vide il mio sorriso
provocatorio e si lasciò andare, restituendomi una mezza
smorfia divertita.
"Va bene, quando siamo a casa, te lo prometto.” Albert ripartì,
il vetro interno era chiuso,
pensai che avesse capito tutto.
Quando
arrivammo a Baker Street scesi e anche Myc. “Sono
stata bene, mi sono rilassata. Sei un “friend”
attento e gentile.”
“Anche
per me è stato lo stesso, lo rifarei ancora se
vorrai.”
“Sempre
che domani non torniamo a beccarci come due galli.
Però adesso che c’è questa tregua
voglio il mio pegno.” Lo fissai decisa.
Strinse
le labbra. “Non bacio nemmeno Rosie. Però visto
che
te l’ho promesso, Laura my
friends, lo
farò.”
Si
avvicinò al mio viso, e adorai il profumo della sua
pelle. Mi stampò un bacio delicato sulla guancia che mi fece
tremare, anni di
solitudine finirono in fumo.
“Il
più bel bacio che abbia ricevuto.
A parte quello umido di tua nipote.” Mi venne
spontaneo accarezzargli
la guancia, che
si era fatta un po' ispida.
Non si
scostò, accettò quel gesto affettuoso.
“Hai
già la barba che ricresce,
Ice man.” Si accigliò e si
passò preoccupato
la mano sul mento. Risi, per il suo imbarazzo, come si faceva a non
amarlo? Si,
perché era questo che
gridava il mio cuore. Peccato che lui non lo sapesse, mentre io, ormai, ero totalmente persa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Una amicizia letale ***
La mattina seguente mi svegliai
presto, con la sensazione di
sentirmi bene. Indossai i miei soliti jeans e una maglietta di cotone
bianca
con degli inserti colorati, ma decisi d'infilarmi anche un pullover
leggero
azzurro, visto il tempo incerto.
Scesi di sotto e non ci trovai
nessuno. Solo un biglietto appeso
al frigo che mi avvertiva che erano usciti con Rosie a fare delle
commissioni.
John gentile come sempre, mi aveva lasciato la colazione pronta.
Entrò la signora Hudson
con le borse della spesa e l'aria
trafelata.
"Laura, ancora a casa? Ti credevo
già al lavoro."
Appoggiò i suoi acquisti in cucina e si lasciò
cadere sulla sedia.
"Sono sempre in ritardo, ha
ragione. Ha bisogno di
aiuto?" Mi mostrai disponibile mentre mangiavo un biscotto zeppo di
marmellata. Lei si avvicinò con gli occhi curiosi, mi
studiò giusto un attimo.
"No, ragazza mia. Piuttosto come
è andata ieri sera, con quel
pezzo di marmo di Mycroft?
Sbuffai avvilita per il poco
feeling che aveva con Holmes.
"Via signora Hudson, le assicuro che non è un uomo freddo
quando
vuole." Mandai giù un sorso di tè per non
strozzarmi.
"Ecco per l'appunto dovrebbe
sciogliersi un po'. Ma con tutti
e più spesso." Sentenziò come un verdetto finale.
Le toccai la mano che stava
togliendo poche briciole dal tavolo.
"Lo farà prima o poi, ma cerchi di non prendersela troppo
con lui."
Storse le labbra, poco convinta. "Uhm, lo farò se lui
diventerà
gentile."
Le diedi due colpetti sul braccio.
"Vedremo signora Hudson,
in tanto prendiamolo per quello che è. Ora vado, speriamo
che non mi sgridino
per il solito ritardo."
Uscii dandole un bacio in fronte, e
mi precipitai in strada.
Arrivai al san Bart in tempo per
salutare Molly, che stava
uscendo. Mi anticipò la sgridata, ma la voce era gentile.
"Ti ho scritto tutto, l'ho messo
sulla scrivania." Mi
lanciò uno sguardo d'intesa. Laura, anticipa la sveglia al
mattino."
Annuii agitando la mano in segno di
scusa, poi volai in
laboratorio. Naturalmente Holmes non c'era, come al solito spariva e di
lui non
sapevo più nulla. Non avevamo nemmeno l'abitudine di
sentirci per messaggio,
quindi era il buio completo.
Vidi le istruzioni di Hooper e
cominciai a sbrigare il lavoro il
più velocemente possibile.
Ogni tanto guardavo l'ufficio di
Myc e mi dispiaceva vederlo
vuoto. Mi sedetti alla scrivania e pensai amaramente che tutto il bello
della
serata se ne era volato via. Non capivo cosa lui provasse per me, non
mi aveva
dimostrato particolare attaccamento. Forse mi considerava semplicemente
un
passatempo da accudire di tanto in tanto.
Catalogai reperti e cartelle
cliniche, e presto arrivò l'ora di
pranzo.
Uscii rigorosamente sola, e andai
nel bar di fronte al san Bart a
mangiare il solito panino, che sbocconcellai mentre passeggiavo nei
dintorni,
ma sempre in posti affollati. Feci quattro passi in solitudine nella
via che
attraversava il quartiere, rimuginando del silenzio di Mycroft.
Rientrai mentre arrivarono
all'obitorio due nuovi corpi, e una
chiamata di Lestrade.
"Lorenzi, so che Molly è
fuori. Ho bisogno di un rapido
resoconto su uno dei corpi che è arrivato da te. Una donna
uccisa malamente,
credo torturata. Guarda se puoi dirmi qualcosa di più."
"Va bene, me ne incarico subito,
puoi venire tra un paio di
ore."
Le torture mi avevano
già messo in agitazione. Ma dovevo
affrontare subito la cosa, altrimenti non ne sarei mai uscita. Chiusi
la porta
dell'ingresso come mi aveva raccomandato Myc, ero sola ed era meglio
essere al
sicuro.
Indossai la tuta verde e cominciai
il mio lavoro.
Data, età, sesso, morte
presunta per....
Il povero corpo della donna,
giovane caucasica, bionda, era stato
seviziato. Ampi tagli nell'addome, non mortali, bruciature sul collo. I
polsi
erano stati fermati con delle fascette di plastica, erano riconoscibili
perché
lasciavano segni precisi. Le mancavano le unghie delle mani e dei piedi.
Molti ematomi, alcuni dovuti a
pugni.
Era stata picchiata da nuda, ma non
aveva subito violenza. La
morte per ipotermia, emorragia interna. Non si sarebbe salvata anche se
l'avessero trovata in tempo. Presi un lungo respiro, non era facile
vedere una
morte del genere.
Mentre le guardavo il volto, mi
incuriosì una striscia di bava
rossiccia che le era uscita dal lato della bocca e si era rappreso.
Sembrava
colore. Aprii lentamente vista la rigidità cadaverica e ci
trovai dentro un
pezzo di mezzo centimetro di plastica semi rigido, di colore rosso.
Mi mancò il respiro.
Dio, sembrava un pezzo della
copertina che avvolgeva le cartelle
di Holmes. Presi un vetrino, appoggiai il reperto e andai rapidamente
al microscopio
elettronico.
Tremai mentre sospettavo qualcosa
di troppo difficile da digerire.
Infatti la conferma era
lì. Quello era decisamente un pezzo dei
faldoni tanto misteriosi dell' Mi6, che consegnavo regolarmente a
Holmes.
Ora era da capire perché
lo avesse in bocca, forse lo aveva
ingoiato dopo averlo strappato con i denti.
Quindi? Era un indizio che ci aveva
lasciato o che altro? Se fosse
stata torturata per quei fascicoli voleva farcelo sapere.
Ma non sembrava una donna comune,
il corpo era sodo e allenato.
Tornai dentro la sala e la studiai meglio. Aveva resistito alle
percosse. E ne
aveva date, le nocchie delle mani erano arrossate.
Nelle braccia tagli da difesa. Era
forse un agente? E Mycroft
c'entrava qualcosa? Coprii il corpo, e lo rimisi nella cella
frigorifera,
almeno per un po'. Mi decisi piena di risentimento, a chiamare Holmes.
Presi il
cellulare con le mani sudate.
Rispose al secondo squillo.
"Che succede Lorenzi? Sono in
riunione." Era sorpreso,
si irritò per il disturbo della chiamata, si fece freddo e
impersonale come
sempre, così esplosi al limite dell'esasperazione.
"Vedrai che ora lascerai la tua
dannata riunione! Hanno
portato un corpo qui, una donna bionda, giovane e atletica, che temo
possa
riguardarti." Non riuscii a trattenermi, la mia voce era tagliente.
"Scusa?" Sentii il gelo dall'altro
lato del cellulare.
"Una donna morta per le torture,
che aveva un regalo per
te." Lo sibilai furiosa, non riuscendo a trattenermi. "Vieni prima
che arrivi Lestrade. Credo sia roba vostra, Holmes. Non devo dirti
altro,
probabilmente ci arriverai da solo."
Non lo sentii nemmeno respirare.
"Bene, arrivo. Non aprire a
nessuno. Bada Laura, fai come ti dico."
"Mycroft, sei un bastardo! Non
capisco chi tu sia veramente.
Mi fai paura." Chiusi la chiamata.
Tornai in sala, sconvolta. Quanto
valevano quelle cartelle? Quanto
in pericolo mi trovavo? E se la povera donna era un agente, cosa
rischiavo a
sapere degli intrallazzi di Holmes?
A
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Il corpo di Gwen ***
Aspettai
il suo arrivo, ero talmente nervosa e allarmata che
non riuscii nemmeno a catalogare i reperti.
Se Lestrade fosse
arrivato prima di Mycroft, non avevo idea di come comportarmi. Avere
Scotland
Yard e i servizi segreti dell’Mi6 anteposti era una
situazione difficile da
gestire.
Finalmente
il cicalino della porta emise il suo suono
monotono e andai ad assicurarmi che fosse Holmes.
Aprii
furente, indossavo ancora la tuta verde.
Lui entrò con la faccia scura piena di
risentimento,
forse per quel bastardo che gli avevo gridato. Non riconoscevo niente
in lui
della sera prima. Un dolore sottile mi percorse fino allo stomaco.
“Non
saltare a conclusioni affrettate, portami a vedere il
corpo.” La voce bassa e tagliente, il crombie nero aperto,
doveva essere venuto
in fretta, non aveva nemmeno l’ombrello, e non si era portato
dietro nemmeno
Anthea. In silenzio entrammo nella
sala settoria. Lo vidi titubare e irrigidirsi, sapevo che
l’odore era pungente
e infastidiva la maggior parte delle persone, cercai di essere
comprensiva
anche se lo avrei preso a schiaffi.
“Mettiti
la mascherina e non ti avvicinare se non te la
senti.” La
prese e la indossò. “Non sono
un bambino, Lorenzi.” Sibilò seccato mentre mi
seguiva risoluto.
“Bene,
allora stai vicino a me.”
Sogghignai ironica e lo portai dentro, ma
cercavo di assicurarmi che stesse bene.
Lo
scrutai un paio di secondi prima di scoprire il corpo.
Sembrava stabile. Fissò
la poveretta, e
io fissavo lui. Il suo volto passò rapido dal dolore alla
rabbia, gli occhi dal
grigio al nero denso.
“La
conosci, vedo.” Annuì silenzioso abbassando la
testa,
mentre pietosamente la coprivo, cercai di essere rispettosa del corpo
della
giovane donna, mentre lui non dava nessun segno di rammarico,
così mi
infastidii. “Ho
un problema imminente,
sta arrivando Lestrade. Cosa devo fare?” Brontolò,
mentre uscivamo dalla sala
autoptica. Lui mi precedeva, le spalle sembravano portare un peso
enorme.
Tolse
la mascherina e la gettò nei rifiuti, mentre io mi liberavo
dalla tuta verde. Si sedette sulla sedia del laboratorio, quasi
scomposto.
Era
pallido. “Come è morta?” La voce
nascondeva una nota di
stanchezza. Presi
un bicchiere d’acqua
dal dispenser e glielo allungai. “Bevi, senza
protestare.” Lo accettò e mi accorsi
di un impercettibile tremore delle mani mentre lo afferrava, ne
mandò giù un
lungo sorso. Mi
sistemai davanti a lui
in piedi sovrastandolo, mi appoggiai al bancone, e gli raccontai tutto
quello
che avevo trovato. Per ultimo gli allungai il reperto che conteneva il
pezzo di
carta rosso che aveva inghiottito.
Non
alzò mai la testa, ascoltò tormentando il
bicchiere di
carta e bevendo a piccoli sorsi. Alla fine non disse nulla, rimase
impietrito,
arroccato dentro la sua freddezza. Io non capivo se provavo dolore o
rancore
per quel suo modo di agire al limite della legalità.
“La
conoscevi?” Lo
studiai mentre mi rispondeva.
“Si,
era una brava agente, scrupolosa e fidata.”
Sospirò. “Talmente tanto che si
è fatta
uccidere per tenere il segreto.”
Alzò gli
occhi che si erano fatti più limpidi, sembravano pieni di
pietà. Mi fissò
turbato, quasi dispiaciuto. “Per questo voglio che tu non
sappia nulla di
quelle cartelle.” Sbuffai
ironica,
incrociai le braccia e sibilai per niente garbata.
“Come
se servisse Holmes. Dici delle stronzate.” Lui non
capì il mio inglese italianizzato.
“Stronzate?”
“Delle
cose stupide, tradotto per te.”
Non afferrò l’offesa e non
brontolò come al
solito... “Dimmi che devo fare con Greg.”
Si
alzò e riprese la sua freddezza. “Me ne occupo io,
quando
arriverà.”
“Bene,
finisco in sala.” Mi avviai per indossare nuovamente
la tuta verde, ma mi fermò prendendomi il braccio.
“Laura,
il corpo di Gwen lo portiamo via noi. Sii gentile,
preparalo nel migliore dei modi.”
Lo
fissai, vidi un attimo di profonda disperazione passagli sul volto.
“Allora
il suo nome era Gwen? Mi dispiace, te la restituisco
il più dignitosamente possibile.” Riprese il suo
usuale contegno.
Il
cicalino annunciò l’arrivo di Lestrade. Li lasciai
soli e
andai a dare l’ultimo saluto a Gwen.
Ero
convinta, mentre la ricomponevo, che Holmes l’avrebbe
vendicata. Credo anche che sapesse già di chi era la colpa,
ma c’era un che di
oscuro nel suo lavoro che mi fece rabbrividire.
Poco
dopo entrarono due uomini del trasporto mortuario e
portarono via Gwen.
Intravidi
Lestrade che usciva furioso, imprecando contro
Holmes, che immobile lo seguiva con lo sguardo.
“Vedo
che hai un nuovo amico.” Gettai la tuta nei rifiuti,
abbattuta da quella situazione assurda.
“Fa
un po' di scena, ma ha capito, ed è una brava
persona.” Holmes
si avvicinò alla porta.
“Io devo andare, tu rimani ancora?”
“Te
ne vai così senza nessuna spiegazione?” Mi irritavano questi suoi
silenzi assurdi,
dove non esistevo più, dove non ero più la sua
“friend”.
“Non
ti devo nulla, Lorenzi.” Un sorriso sprezzante gli si
stampò in volto. Fu scortese, si sistemò la
sciarpa con noncuranza.
Com’era possibile
passare dalla dolcezza di un abbraccio alla freddezza che mi buttava
addosso in
quel momento. Non riuscii più a trattenermi, mentre tutto
l’affetto che avevo
per lui si disintegrava.
“Sei
sempre il solito, Mycroft! Non
riesco a capirti, ora non sono più la
“tua friend”?
Cosa sono in questo
momento? Solo un ostacolo al tuo maledetto lavoro!
Mi sento una stupida ad averti aperto il mio
cuore. Vattene. Va via.”
Aprì
la bocca per dire qualcosa, ma non gli uscì nulla, era
turbato dalla mia rabbia.
“Esci,
fuori di qui.” Quasi urlai, mi voltai e lo lasciai
lì, con il suo cappotto costoso e la sua aria di
superiorità.
La
porta a vetri, si chiuse e rimasi sola in laboratorio.
Finii
per entrare nella sala autoptica piena di rancore e
iniziai a pulire rabbiosa.
Non
capivo perché mi tenesse all’oscuro di tutto,
avrebbe
potuto parlarmi del suo lavoro, anche senza entrare in quei particolari
rischiosi che non dovevo conoscere, ma
non riponeva in me nessuna fiducia.
Gli avevo offerto la mia amicizia, ma lui non faceva altro
che
contraddirsi. Ora mi cercava, ora mi allontanava. Anche con tutta la
sua voglia
di proteggermi mi aveva già ampiamente compromessa. Sapevo
di essere in
pericolo e rabbrividii. Sapeva quello che avevo patito, eppure ora non
c’era,
era sparito, come faceva sempre lasciandomi sola e impaurita mentre mi
dibattevo tra odio e amore nei suoi confronti.
Non
desideravo altro che un po' di continuità e fiducia nel
nostro rapporto. Nulla di più.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Il bunker di Mycroft ***
Chiusi
il laboratorio e mi preparai per uscire, era già buio
e faceva freddo. Camminai fino all’uscita e mi accorsi
dell’arrivo di
Albert. Rimasi
interdetta e aspettai che
mi raggiungesse.
“Dottoressa
salga, la accompagno dal signor Holmes.”
Lo guardai accigliata, non capivo cosa
significasse quel cambiamento.
“Ma
per quale motivo, Albert?” Ero sospettosa, visto che
avevo cacciato Mycroft in malo modo un’ora prima.
“Non
lo so, ma ho questo ordine.” Mi passai la mano sulla
fronte cercando di raccogliere le poche certezze che avevo e capire
cosa
volesse ancora da me. Così feci una cosa infantile e mi
rivolsi titubante ad
Albert.
“Faccio
bene ad accettare? Visto che abbiamo litigato poco
fa.”
“Dottoressa
la prego, salga, il signor Holmes avrà una
ragione. Io ho
ricevuto questo incarico.
Si fidi.”
“Sta
bene andiamo, avverto Watson.”
Salii dietro, Albert chiuse la porta e andò a
sedersi alla guida.
Rimasi
silenziosa per tutto il viaggio mentre percorrevamo
buona parte di Londra. Entrammo in un edificio imponente, chiuso da un
cancello
massiccio protetto da telecamere. All’interno, un giardino e
un colonnato
bianco, abbellivano un palazzo signorile. Notai che anche lì
le telecamere
erano posizionate ovunque. Albert mi avvisò che eravamo
arrivati, mi augurò una
buona serata, mentre vidi Anthea venirmi incontro.
Scesi innervosita guardandomi intorno.
“Ciao,
che ci faccio qui? Non poteva aspettare domani?” Scosse la testa e la massa
dei capelli
ramati.
“Non
lo so Laura, ma è tornato piuttosto inquieto e ha
deciso di farti portare qui. Sai che eseguo gli ordini,
seguimi.” Le
trotterellai dietro, lei aveva un passo
deciso. In breve accedemmo all'ascensore che ci portò ai
piani interrati.
Rabbrividii pensando come si potesse lavorare in un posto
così buio, illuminato
dalla luce artificiale. Passammo porte blindate e corridoi impersonali. Finché mi
lasciò davanti all'anticamera di
uno studio, mi aprì la porta e con un cenno del capo si
allontanò.
Mi
ritrovai di fronte a Holmes.
“Gesù,
ma lavori qui sotto?” Sbottai sconcertata dal sistema
di protezione adottato per la sua incolumità. Lui era dietro
alla scrivania più
costosa che avessi mai visto, in ulivo massiccio. Appoggiò
la penna e mi
rivolse lo sguardo.
“Ho
uffici migliori con finestre, ma oggi avevo da fare in
questo.” Mi
osservai intorno,
decisamente un posto poco colorato e ordinato in modo maniacale. Una
libreria
con i suoi romanzi preferiti, la scrivania con pochi essenziali
oggetti,
qualche quadro di valore alle pareti e due poltrone dall’aria
scomoda. Tipico
studio da Holmes. Lui mi esaminava, ci eravamo lasciati male e io ero
poco
propensa al perdono.
“Cosa
vuoi, Mycroft? Volevi impressionarmi? Perché ci sei
riuscito.” Mi
fece cenno di sedermi. Mi
lasciai cadere sulla poltrona decisamente poco accogliente, come lui
del resto.
“Ho
pensato di doverti una spiegazione. In fondo ti ho messo
già in pericolo, senza nemmeno riuscire a
proteggerti.” La sua voce era
incolore e questo mi fece già male. Tutto
l’affetto che mi aveva dimostrato anche
se raramente, era sparito. Fui sulla difensiva incapace di essere
gentile.
“Vedo
che hai un lavoro importante e complicato.”
Cominciai a capire quale personalità
complessa avessi davanti. Solo ora percepivo la difficoltà
del suo lavoro,
tutto il peso di decisioni forse al limite della legalità. E
quindi la
solitudine di cui si era circondato, per non ferire le persone che
amava.
“Ti
sarai divertito con una ingenua come me, vero Mycroft?
Ero facile da abbindolare!”
“Laura
sei sempre polemica.”
Si avvicinò alla scrivania, piantò i
gomiti e intrecciò le mani sotto al
mento.
“Ti
era sembrato che mi approfittassi di te?
Il mio comportamento non era studiato. Del
resto tu non mi hai chiesto nulla del mio lavoro.” Fu
ironico, mi sembrò di
essere ritornata indietro di settimane, quando ci conoscevamo appena.
“Come
avrei potuto, se eri sempre così misterioso e mi
dicevi che era meglio non sapessi nulla. Razza di presuntuoso
bugiardo.”
Scoppiai, tutta la rabbia che non riuscivo più a controllare
se ne uscì fuori.
“Cercavo di mediare con te una parvenza di amicizia, ma non
mi consideravi
degna.” Lo fissai seccata, decisa ad andarmene via in fretta.
“Ora dimmi perché
mi hai trascinato qui!”
Aggrottò
la fronte, mantenendo un distacco stoico nonostante
lo avessi insultato, socchiudendo gli occhi allo stesso modo di come
trattava
le persone fastidiose che incontrava.
“Mi
dispiace, ma la storia delle cartelle del San Bart ci è
sfuggita di mano. Gwen era una nostra agente che doveva trovare una
talpa
all’interno del dipartimento. E sai come è
finita.”
Si fermò
prendendo
fiato, sembrava impietrito, consapevole dello sbaglio che aveva fatto. “Ora sei
coinvolta anche tu. Sai
di lei e soprattutto mi frequenti e
questo ti mette in pericolo. Credimi, non ho potuto fare
altrimenti.”
Gli
risi in faccia piena di rancore e questo liberò i suoi
freni inibitori. “Non lo prendere per un gioco,
Lorenzi!” Mi ringhiò dietro.
“Lo
so, che non è un gioco, maledizione! Ma io ero venuta a
Londra per studiare, non per trovarmi coinvolta nei tuoi sporchi
affari.” Lo
sibilai al limite della sopportazione.
“Bada,
Laura! Lavoro per la sicurezza tua e di tutta la
nazione. Mi sottovaluti e di molto!” Si aggrappò
ai braccioli della sua costosa
poltrona e le mani gli divennero bianche, ma non si alzò.
“Bravo!
Volevi farmi vedere quanto sei importante? Per
dimostrarmi che fai un lavoro prestigioso! È per questo che
mi hai trascinato
qui, vero Mycroft? Non pensare di intimorirmi, con la tua ostentazione
di
potere.”
Non riuscivo a
riprendere la calma. Ero esasperata, mi sembrò un perfetto
estraneo, mi
spaventai.
“Tirami
fuori dai guai.”
Lui
si accorse della mia paura, rimase sconcertato, annaspò
aria e si ricompose appoggiandosi allo schienale.
La mia voce si fece
debole. “Lo sai cosa ho passato, non farmi pentire di
avertelo confidato. Non
sei “Friends” e nemmeno un uomo quando ti comporti
così.”
Abbassai
la testa, i capelli mi scivolarono sulla fronte, ma
non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi cedere.
Mi
sollevai dalla sedia, lui teso e muto si era messo a
guardare i fogli distesi sulla scrivania, cercava di recuperare. Gli
girai le
spalle e fui vicina alla porta.
“Fammi
tornare a casa, non voglio rimanere un minuto di
più.”
Sentii
scorrere la poltrona e i suoi passi, avvertii la sua
presenza dietro di me, il calore della sua mano sulla spalla.
“Laura,
lasciami finire, so quanto ti costa. Volevo
avvertirti che devo metterti sotto scorta, tu e Hooper.” Si interruppe, ma la voce
era cambiata,
era… leggera.
“Lei lo sa dei pericoli che
corre frequentando noi Holmes.”
Non dissi nulla mi
limitai ad ascoltare, lui mi premette la spalla e mi fece girare adagio
e me lo
trovai davanti con il volto addolorato, sembrava pentito.
“Sarà una cosa
discreta Laura. Ma ti prometto sarà per poco. Sto
già studiando come porvi
rimedio.” Si
era addolcito, ma era teso,
forse troppo. Pensai a Gwen ed ebbi un fremito di paura, non sapevo
più cosa
fare.
“Sai
Mycroft? Non ci credo poi molto alle tue promesse.” Mi
tremava la voce, ma cercai di non cedere, tanta era la voglia di
sentirlo
vicino e abbracciarlo perché potesse rassicurarmi. Mycroft lasciò
scivolare la mano sul mio braccio, e
lo percorse fino a raggiungere la mia e la trattenne per pochi secondi.
Era
così vicino da sentirne il respiro, era perplesso ma fu
gentile.
“Va
bene, Laura hai tutte le ragioni per dubitare, ma
l’importante è che tu sappia che farò
di tutto per proteggerti.”
Si
staccò e chiamò Anthea. La nostra conversazione
rimase
sospesa come il nostro malconcio rapporto.
Me ne tornai a Baker Street con il cuore spezzato, mentre
i dubbi sui
sentimenti di Mycroft mi stavano soffocando.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Il ferimento di Laura. ***
La
serata a Baker Street fu rilassante. Cercai
di non pensare a quello che era
accaduto, anche se provavo un sottile dispiacere. Non raccontai nulla a
John,
invece Sherlock credo sapesse già tutto. Rimase silenzioso
nella sua poltrona osservandomi
di tanto in tanto. Io mi limitai a coccolare la piccola Rosie, e
sfinita andai
a letto presto.
Unica
nota positiva: trovai la sorpresa di un sms di
Mycroft, che mi chiedeva come stavo. Gli risposi un laconico
“Sto bene.” E mi
infilai sotto le coperte brontolando all’indirizzo dei
fratelli Holmes.
L’indomani
trovai Molly che mi aspettava, voleva mettere in
chiaro la situazione in cui mi ero trovata, così parlammo di
quello che era
successo.
Lei
si scusò per tutto il trambusto provocato
dall’arrivo di
Mycroft, ma mi fece capire che grosse pressioni erano state fatte al
san Bart
per appoggiare l’MI6. Non protestai e cercai di capire il suo
punto di vista.
“Molly
va bene così, l’importante è che tutto
sia regolare.
Non voglio problemi con lui.” Hooper acconsentì
che mi fermassi fino a tardi ma
comunque protetta da una scorta invisibile.
Holmes arrivò
più
tardi, lo vidi entrare con la solita flemma, mi sbirciò da
lontano mentre ero
occupata al microscopio.
“Buongiorno
Laura.” Fu titubante, rigirava involontariamente
il manico del suo amato ombrello.
Sollevai
la testa e gli lanciai un’occhiataccia.
“Buongiorno
anche a te, spero sarà una giornata tranquilla.”
Ironizzai, ma vidi il suo volto cambiare, arrossì
brevemente. Si ricompose
subito e annuì, ma poco convinto.
“Che
c’è? Non mi nasconderai qualcosa?” Mi insospettii, ma non
replicò, strinse
l’ombrello e se ne andò nel suo ufficio.
Ecco
la nostra conversazione era tutta lì, mi sentii
sopraffatta dal suo modo di fare, ma ero assuefatta a quel
comportamento
altalenante. Forse lui era semplicemente una perdita di tempo.
Mi rassegnai e
sbrigai il lavoro di Molly.
Il
British Government passò la mattinata nel suo piccolo
ufficio, non si mosse mai, non sollevò nemmeno la testa.
Lavorò alacremente, fece
chiamate al cellulare dove parlava fitto, probabilmente muoveva le sue
pedine
al governo.
Mentre
io sprofondavo per essere così platealmente messa da
parte, un buco enorme mi si formò dentro al cuore.
Hooper mi chiese di
pranzare con lei e accettai di buon grado. Avevo bisogno di uscire e
prendere
aria.
“Vediamo
se Mycroft vuole venire, cerchiamo di essere
gentili.”
Molly
si avvicinò al suo ufficio e lo interpellò, ma lo
vidi
scuotere il capo, e lanciarmi una debole occhiata.
Me lo immaginavo, era guerra aperta fra
noi. Ritornò
a lavorare, e io non ci
provai nemmeno a sollecitarlo, lo lasciai lì, meglio
rimanere lontani per un
po'.
“Mi
sa che Holmes ha una giornata difficile. Mi ha detto di
lasciarlo in pace per almeno due ore.” Rise e mi prese
sottobraccio.
“Gli piace
digiunare.
Lo sai che da piccolo era piuttosto tondo? Poi Sherlock mi
raccontò che si mise
a dieta. Ora lo vedi com’è diventato.”
“Già
però ne ha perso in simpatia.” Grugnii divertita
pensando a come potesse essere, paffuto e brufoloso.
“Laura,
so che ci tieni a lui, non negarlo. Però ti sei
presa a cuore l’uomo più difficile di tutta
Londra. Forse di tutta la terra.”
“Vero,
la mia stupidità è stata totale, non mi riesce di
stabilire un rapporto soddisfacente. Anche se me lo ritrovo sempre
intorno.”
“Il fascino dei
fratelli Holmes! Mia cara Laura, devi tenere duro, lui ci tiene a te a
quanto
vedo, fa di tutto per tenerti lontana. Credo abbia semplicemente paura
per
te. Forse quando
finirà questa storia,
il vostro sentimento si sistemerà.”
Annuii
silenziosa. “Oppure si affosserà del
tutto.” Mormorai
avvilita.
Raggiungemmo a piedi
un piccolo pub di fronte al san Bart. E parlammo d’altro.
Hooper ricevette una
chiamata e dovette andare via prima, al San George, un ospedale
dall’altra
parte della città.
“Ti
lascio Laura, mi dispiace, tu continua pure il tuo
lavoro.” Nessuna
delle due si era
ricordata del consiglio di Mycroft, di non ritornare prima.
Rimasta
sola, non sapendo come passare il tempo rientrai, e
fu l’inizio di un incubo.
Dovetti
usare il pass per entrare, le porta era chiusa. Mi
insospettii pensando al motivo per il quale Myc si fosse chiuso dentro.
Forse
se ne era semplicemente andato.
Camminai
fino alla scrivania, notai l’ufficio di Mycroft
chiuso mentre mi toglievo la giacca, con la strana sensazione di essere
osservata.
Sussultai quando
seduto sulla mia sedia ci trovai un tipo poco raccomandabile con una
pistola in
pugno.
Vestito
di scuro, capelli neri e due occhi cattivi che mi
fissavano.
“Eccola
di ritorno la nostra dottoressa! Ora faremo quattro
chiacchiere.” La
sua voce era un misto
di ironia e rabbia.
“Chi
sei? Cosa vuoi?” Cercai di capire cosa fare e
soprattutto scoprire se ci fosse Mycroft da qualche parte.
Lui
capì.
“Il
tuo capo è di là, ora andiamo a trovarlo.
Così quando ti
vede gli si scioglie la lingua e stavolta parla. Visto che ultimamente
vi
vedete spesso.” Fu sarcastico e disgustoso e mi spinse
malamente dentro
l’ufficio di Holmes.
Era
legato, due fascette di plastica gli serravano le
braccia alla poltrona e gli aveva infilato un fazzoletto in bocca.
“Lo
soffochi così!” Gridai appena lo vidi.
“Levagli quel
bavaglio.” Lui
rise velenoso, mentre Myc
socchiuse gli occhi e vidi la fronte solcata da due rughe profonde.
“Come
sei premurosa. Vediamo quanto lo sarà lui con te.”
Fu rapido, mi
afferrò
la mano e la torse dietro la schiena, sussultai per il dolore e mi
ritrovai a
fissare Mycroft che stringeva con forza le mani sui braccioli e mi
fissava in
un misto di dispiacere e rabbia.
Il bastardo si era
liberato della pistola, aveva una lama affilata stretta alla mia gola.
Cercavo
con la mano libera di proteggermi il braccio che dolorava. Mi spinse
vicino a
Holmes.
“Prendi
il bavaglio e non essere gentile, mia cara. Guarda
Holmes, che bella sorpresa ti ha fatto la dottoressa a tornare durante
il
nostro colloquio.”
Lo
fissai dispiaciuta e tirai la stoffa con delicatezza
cercando di fare il più presto possibile. Tossì,
ma riprese subito fiato,
strinse le labbra e sibilò rapido.
“Lei
è soltanto una dipendente, non vale il prezzo che
chiedi!” Le sue parole furono taglienti, precise, senza
alcuna inflessione, se
mascherava inquietudine lo faceva bene.
“Davvero
Holmes? Da come la frequenti non si direbbe.
Saresti disposto a parlare o le devo lasciare un segno del tuo
cinismo?”
Lui
era cinereo, potevo vedere la sua rabbia contenuta.
Cercava di dominarla come meglio poteva cercando una indifferenza che
non
aveva, lo conoscevo bene e sapevo cosa provava.
“Dì a
Malvest, che
pagherà tutto questo.” Rimasi sorpresa che lo
nominasse. Sir Edween era
coinvolto.
“Non
c’è che dire, sei bravo a capire come vanno le
cose
Holmes! Ma ora devi parlare.” Indicò il laptop che
stava appoggiato di fianco
alla libreria dietro di me.
Il
tizio mi mormorò all’orecchio. “Brutta
cosa stringere
amicizia con Holmes.”
Il suo fiato sul
collo fu forse peggiore della lama che mi penetrò bruciante
alla base del collo,
sentii il calore del sangue colare lento. Strinsi i denti, non emisi
nessun
suono. Socchiusi gli occhi cercando di mantenere la calma. Anche se ero
in
tumulto.
“Ti
piace quello che hai visto British Government? Ora parla
perché sennò te la restituisco
sfregiata.”
Riaprii
gli occhi, Mycroft mi fissava con la faccia tirata,
i suoi occhi erano neri come pece.
“Lasciala,
avrai quello che vuoi! Fammi copiare il file dal
laptop, e avrete le vostre risposte.”
La
sua voce sembrava piatta, ma una piccola inflessione mi fece capire che
allarmato.
Mi spinse sulla
sedia, pulì il sangue sulla sua manica e ripose il coltello.
Non riuscivo a
reagire per dolore, e lui fu rapido a legarmi alla sedia con due
fascette di
plastica. Tenni duro, la testa bassa le fitte acute sul collo e alla
spalla, ma
non volevo che Myc cedesse per me.
“Non
fare qualcosa di cui ti pentirai Myc, non cedere per
me.” Mi uscì un soffio di voce, lo vidi aggrottare
la fronte e si adirò.
“Zitta,
ora pensa per te. Questo è il mio lavoro. Ne hai
già
fatti di guai Lorenzi.”
Quel cambiamento
improvviso mi lasciò senza parole, chinai il capo, gli occhi
mi divennero umidi
per il suo rimprovero.
“Sei
un uomo di ghiaccio come dicono Holmes! Meglio non essere
tuo amico.” Gli
liberò le mani, lui si
alzò per raggiungere la libreria per prendere
il laptop e mentre passò vicino mi
sfiorò con la mano la guancia.
Allora compresi e mi
sentii stupida, cercava di allontanarmi, perché non
infierisse su di me, io ero
il suo “pressure point” e questo non era un bene
per entrambi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Il bacio ***
Quello
che accade dopo fu rapido
Ritornò
alla scrivania, si sedette e mi diede una breve
occhiata rassicurante. Sembrava sicuro di sé, come se tutto
fosse programmato.
Sapevo che non
lasciava niente al caso, ma c’ero finita dentro e avevo
pagato.
Si
affrettò a digitare sulla tastiera del portatile, il
tizio era alle sue spalle assorto a guardare il laptop credendo di
portare a
casa le password.
Holmes
urtò il suo ombrello, rimasto appoggiato vicino alla
sedia e lo afferrò per non farlo cadere. Nello stesso
istante due fumogeni
rotolarono da sotto la porta.
Mycroft si sfilò
di
fianco alla scrivania, prese qualcosa sotto di essa. Il fumo si diffuse
rapidamente, si distingueva poco o nulla. Due uomini armati irruppero
nella
stanza con addosso delle maschere. Il sequestratore tossiva senza
tregua, cercando
aria e strofinandosi gli occhi.
Intravidi Myc
scivolare verso di me con una maschera simile, probabilmente era sotto
la
scrivania ed era per lui, ma la mise rapido sul mio volto.
“Laura
respira, ci sono i miei uomini.” Protestai perché
lo
vidi tossire, ma lui la tenne stretta sul mio volto. Non potei fare
altro
perché ero ancora legata.
Ovunque
c’era fumo, i suoi collaboratori bloccarono il
bastardo senza tanti complimenti, e lo portarono via, mentre scalciava,
urlava
e bestemmiava cercando aria.
Uno
dei suoi uomini gli impose la maschera. Lo vidi prendere
dei profondi respiri seduto al mio fianco e mi tranquillizzai.
I
suoi occhi erano nei miei. Mi accarezzò la mano e la tenne
stretta.
“Signore,
gli ordini? Ha bisogno di aiuto medico?” Si sfilò
la maschera. “No, va tutto bene.”
Respirò profondamente prendendo aria.
“Lo voglio vivo,
devo
sapere chi lo manda.” L’uomo vestito di scuro con
un microfono all’orecchio
annuì. “E la dottoressa, signor Holmes?”
“Me
ne occupo io. Fate una bonifica veloce.”
Era preciso e rapido nel dare ordini. Non
l’avevo mai visto così autorevole, sembrava
un’altra persona, un po' mi spaventò.
“È
finita Laura. Sei
tornata troppo presto, mi dispiace.” Tossì un po',
ma la stanza era stata
arieggiata e si avvicinò premuroso. Mi tolse la maschera.
“Respira ora, c’è
aria pulita.”
Non
riuscii a trattenermi, e lo assalii subito. “Lo sapevi vero?
E per quello che volevi restassimo fuori di più. Se solo
fossi stato più
chiaro… se mi avessi dato fiducia…”
Lui annuì
lentamente.
“Speravo non tornassi così presto. Non correvo
inutili pericoli, ma con te
dentro le cose sono cambiate.”
Intanto
mi esaminava, mi liberò le braccia delicatamente.
Ma reagii malissimo,
lo coprii di insulti, lo colpii sul petto con la mano sana. Urlai e mi
disperai
minacciando di ucciderlo, mentre sfogavo la mia rabbia mista alla paura
che
avevo dentro.
Ma
lui non indietreggiò di un passo, mi abbracciò
con forza,
mentre mi portava nella stanza di servizio del personale e mi fece
stendere sul
divano. Ero spossata, arrabbiata, ma soprattutto terrorizzata per
averlo visto
in pericolo.
Sentivo
l’odore del sangue e il bagnato sul collo, e tutta
la tensione accumulata mi fece capitolare, chiusi gli occhi e mi
abbandonai a
lui. Lo sentii fremere.
“Laura,
guardami, stai bene?” La voce era preoccupata, mi
scosse dolcemente. “Ti
prego continua a
insultarmi. Lo preferisco.”
Prese
delle garze e cominciò a tamponare il taglio con
decisione. Mi contorsi un poco per il dolore e mi lamentai per la sua
irruenza.
“Fa piano, Gesù! Così mi fai
male.”
Allentò
la mano. “Non è profondo, tranquilla, ma sanguina.
Cosa devo fare?” Mi
guardò con gli occhi
smarriti. “Forse è meglio chiamare i
soccorsi.”
Mi resi conto che si
stava perdendo, l’Ice man era in difficoltà.
Nei suoi occhi vidi passare il dubbio, si tormentava la
mascella. Così
mi calmai e decisi di aiutarlo. “Myc,
non sai disinfettare una ferita?”
Gracchiai irritata. Si
fece
coraggio, mi fissò e annuì.
Prese
la cassetta del pronto soccorso. Si tolse la giacca
arrotolò le maniche della camicia e disinfettò le
mani. Cominciò
a pulire con cura la ferita. Mi
osservava, ad ogni mia piccola smorfia di dolore si fermava. Poi cercò di
unire i lembi del taglio. Ma
brontolò. “Ci vorranno dei punti, sei tu
il medico! Chiamo
John o Molly. Io non
lo so fare.”
Sorrisi,
perché lo sorpresi con le mani tremanti, le presi e
le strinsi, cercai di rassicurarlo.
“Prendi uno specchio dentro il mobile dello
studio e portalo, Ti guido
io.” Ero tranquilla, aggrottò la fronte non del
tutto convinto. “Va bene ci
provo se ti fidi di me.” Lo fulminai. “Dopo quello
che mi hai fatto? Devo per
forza.”
I
suoi occhi mi rimbalzarono addosso. “Mi dispiace.”
Mormorò, così flebilmente che quasi non lo
sentii, si girò e tornò poco dopo.
Sistemai lo specchio, e lo guidai. Gli spiegai come applicare i punti
adesivi.
Il
taglio non era profondo, era di circa cinque centimetri,
netto e pulito. Molto
basso alla base
del collo, probabilmente la cicatrice sarebbe rimasta.
Mycroft
fu preciso, mentre gli davo le istruzioni e lui le
seguiva attento. Non tremava più, ma era nervoso, un piccolo
tic gli era
comparso sul labbro superiore. E sudava.
“Tranquillo,
vai bene, sei bravo.” Lo rassicurai come
potevo. “Un po' meno come “friends” e
questa ferita me lo ricorderà.”
Rabbuiò
in volto, non riuscì a rispondermi. Sembrava
meditare mentre riponeva la cassetta del pronto soccorso. “Metterò
fine a tutto questo Laura, sono
stato uno sconsiderato. Partirò.”
La
voce tradì una strana rassegnazione.
Cercai
di sedermi sul lettino, la spalla mi doleva, ma non
era lussata, con un paio di antidolorifici sarebbe stata a posto.
Lo
fissavo con le spalle curve e sentii una preoccupazione
sottile percorrermi. “Che intendi dire per partire? Sembri
sconfitto, ti sei
arreso?”
“Già,
forse lo sono, visti tutti i pericoli che ti ho fatto
correre. Devo andare alla fonte di tutti questi problemi e devo
muovermi
io.” Si
girò per aiutarmi a rimettermi
in piedi, mi scortò fino alla poltrona.
Sembrava
improvvisamente invecchiato. Prese a girare per la
stanza.
“Mycroft
hai solo sbagliato a non dirmelo, lo fai spesso per
proteggere le persone, preferisci non coinvolgerle.”
Il volto fu percorso
da un rimpianto mai passato. “Già, come per mia
sorella Eurus. I miei genitori
non me l’hanno ancora perdonato.”
Agitò
la mano come per allontanare un fantasma.
Sapevo cosa aveva fatto per tenere protetta la famiglia da
lei.
“Ora
basta! Non cambierai il tuo atteggiamento. Sei così e
rimarrai tale. Iperprotettivo e anche arrogante.”
“Hai
ragione, lo sono, soprattutto arrogante.” Tentennò
mentre decideva cosa fare.
Ero sporca di sangue,
la camicia era imbrattata, non potevo rimanere così.
Lui
aveva acquistato serenità, smise di girare per la stanza
come un animale in gabbia, aveva trovato una soluzione.
“Ti
porto a casa mia a Pall Mall, ti prendi mezza giornata.
Avviserò Molly.”
Non
feci in tempo a protestare, la ferita e la spalla si
fecero sentire, lo vidi parlare al telefono, venne verso di me.
“È tutto
sistemato, Anthea farà il resto.”
Tentai
di oppormi, ma la stanchezza si fece sentire tutta.
“Avanti
non essere testarda come sempre, vieni con me!” Stavolta me lo
ordinò.
Lo
avrei preso volentieri a schiaffi se solo la spalla mi
avesse retto. Eccolo lì che ci ricadeva! Lui decideva sempre
tutto e anche la
vita degli altri.
“Mi
hai messo in pericolo, e mi chiami testarda? Hai una
bella faccia tosta!” Ero amareggiata dal suo comportamento
così strafottente.
Mi
fissò silenzioso, poi mi prese per la vita e mi sostenne.
“Discuteremo
in seguito, ora dammi la possibilità di
curarti, quando ho avuto la febbre io te l’ho data.” Ero senza forze, mi
lasciai andare, lui mi
strinse di più.
“Ti
porto a casa, mi prenderò cura di te, è il minimo
che
possa fare. Ma soprattutto ho voglia di stare in tua
compagnia.” Mi sorpresi
per l’ultima frase.
Sicuro
che non ruzzolassi a terra, prese la giacca mi aiutò
a indossarla, si caricò la mia borsa e sempre tenendomi per
la vita mi portò
all’auto.
Albert
ci venne incontro e sussultò quando mi vide, cercai
di convincerlo che stavo bene, ma mi uscì una affermazione
talmente debole che
feci peggio.
Mycroft
mi accomodò dietro, poi salì e mi fu affianco.
Istintivamente
appoggiai la testa sulla sua spalla. Mi
protesse con la sua mano, e mi tenne vicino. L’altra la
portò sul mio braccio
dolorante. Sentii il suo odore, sapeva di tabacco, forse fumava anche
se non
l’avevo mai visto. Il profumo di biancheria pulita. Persi
ogni ritegno per
tutto lo stress accumulato. e piansi piano, ma temendo di infastidirlo,
cercai
di scostarmi un po' più in là.
“No,
Laura, rimani, sono stato io a portarti a questo.” Mi
abbracciò forte, e mi tenne con lui. Aveva cominciato a
caricarsi di tutte le
colpe. Non c’era nulla da fare, era Mycroft con
l’armatura lucente, pronto a
sacrificarsi per le persone che amava
Sapevo
che invadevo la sua zona confort dove non permetteva
a nessuno di entrare. Eppure mi avvolgeva di calore, mi sentii meglio,
rimasi
con la testa affondata a bagnargli la giacca costosa. Mi diede il tempo
di
decomprimere.
“Stai
bene?” Mi sollevò il volto e tolse di tasca il suo
prezioso fazzoletto, quello che non usava mai, asciugò le
mie lacrime.
“Sei
un bastardo Myc, mi fai stare male, eppure è qui che
voglio essere.” Tra
una lacrima e un
sorriso mi uscì un mormorio rauco. Mi sorrise dolcemente,
nascondeva il rimorso
negli occhi.
“È
vero Laura, sono un bastardo, non merito la tua amicizia.” Ma non era amicizia quella
che provavo in
quel momento era di più. Avevo paura che lo capisse,
allentai il suo abbraccio.
Ma
eravamo pericolosamente vicini, il suo volto era lì a
pochi centimetri. Provai l’impulso di baciarlo.
“Myc,
non essere stupido? Pensi davvero che questa sia
amicizia? Sei troppo intelligente, sai quello che proviamo.”
Si
fece serio, ma mi tenne più forte, fece per dire qualcosa
mentre era indeciso. “Laura, io non voglio forzarti. Ho poco
da offrirti se non
pericoli e incertezze.”
Lo
sentivo vibrare, mentre sul volto gli passava la vita
intera, piena di rinunce, di solitudine, di dolorosi rimpianti.
Gli accarezzai la
guancia, scivolai con la mano sulla nuca, gli sfiorai i capelli corti e
lo
percorsi lentamente.
Ci
avvicinammo di più, desiderosi, le labbra vicine. Fu un semplice
appoggiarsi, poi la voglia di
conoscerci, di assaporarci fu irrefrenabile e il bacio divenne
profondo,
liberatorio.
Mycroft
era rilassato, per la prima volta lo sentii mio, era
dolce e abbandonato. Niente più mura alte e invalicabili,
ora era soltanto un
uomo emozionale. I nostri occhi chiusi mentre imparavamo
l’uno dall’altro. Ci
staccammo quasi senza fiato, mi teneva il volto fra le mani, mi
guardava perso
dentro ai miei occhi, io dentro ai suoi.
“Laura…”
Mormorò.
“Mycroft…”
Sorrisi…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** La partenza di Mycroft ***
Arrivati
a Pall Mall, Albert ci lasciò all’ingresso della
villa. Era testimone della nostra intesa e del nostro primo bacio.
Mycroft lo
sapeva fidato, non si preoccupò più di tanto. Mi
aiutò a scendere e mi sorresse
anche se protestai decisa, ma insistette così tanto che
dovetti cedere.
“Ora
farai un bel bagno caldo, ti rilasserai fino all’ora di
cena.” Lo fissai sorridendo. “Scusa e come mi
vesto, che non ho nulla con me.”
Lo strattonai ridendo.
“Ma
come, sono l’uomo oscuro più potente di Londra, e
non ho
pensato alla tua biancheria? Mi sottovaluti Laura.”
“Uhm…Aspetta
fammi pensare…Anthea? Hai ordinato a lei di
portarmi un cambio?”
Gli
si stampò un sorriso malizioso sulle labbra.
“Indovinato!
Un cambio completo che ti ripaghi del tuo,
rovinato dal sangue. Era il minimo che potessi fare.” Prese a
roteare il suo
ombrello, felice di avermi sorpreso.
“Myc,
sei un manipolatore! Ti eri già preparato, dimmi la
verità?” Gli diedi una spinta affettuosa.
“No,
mia dottoressa operosa, sei talmente imprevedibile che
ho atteso la tua decisione. Ma ero certo che avresti ceduto.” Aggrottò la
fronte mi prese per la mano e mi
trascinò lungo il vialetto.
“E
per quale motivo, uomo oscuro più potente di
Londra?”
“Perché
mi ami, che altro.” Aprì le braccia in segno di
resa.
“Non
ho detto di amarti e nemmeno tu l’hai fatto!” Ribadii abbassando la
testa, lui storse il
naso.
“Anche
questo è vero. Forse non abbiamo ancora superato la
fase friends.”
“Dopo
quel bacio? Non dirmi che non hai provato nulla,
mentiresti, perché sappiamo entrambi il sentimento che ci
avvicina sempre di
più.” Mi fermai, respirai profondamente, non
volevo dubitasse di me.
Lui annuì, ma
parve
esitare. Mi domandai cosa lo turbasse.
“Prendiamoci
del tempo Laura, ora però ti riposi.”
Evitò di
parlarne e io non lo sollecitai.
Eravamo giunti in
casa, salimmo di sopra dove c’era la sua camera. Una
matrimoniale ampia, con
colori chiari, un lungo mobile basso di fronte al letto, con appoggiato
un
ampio specchio. Un armadio a muro che probabilmente conteneva i suoi
costosi
vestiti. Un
portabiti di legno vicino
alla finestra. Il
letto coperto con una
trapunta panna con ricami in tinta.
Mi
buttai in malo modo sul matrimoniale e mi raggiunse
un’occhiata truce.
“Tira
su le coperte, piccola selvaggia! Fila a lavarti, tra
poco arriva Anthea con il tuo cambio.”
Mi mostrò un bagno alla fine della stanza, con
doccia e un ampio
idromassaggio. Per non bagnare la ferita, optai per la vasca,
così Myc la
riempì.
“Per
Dio, hai praticamente le terme in casa.” Era il bagno
più lussuoso che avessi visto, con tutti i confort.
Strizzò
gli occhi. "Qualche comodità ci vuole, dopo
tutto l’impegno che metto nel lavoro. Fai pure, la biancheria
l’appoggio sul
letto. Usa il mio accappatoio è pulito.”
“Non
lo metto in dubbio, conoscendoti.” Si irrigidì
alla mia
frase.
“Perché,
che vuoi dire?”
Agitai
le mani in aria girandomi a guardarlo. “Non andare in
allarme Myc, volevo dire che sei sempre così preciso nel
fare le cose.”
“Vuoi
dire pignolo, Laura? Perché ti conosco, piccola
selvaggia.”
Sbuffai,
e non risposi, iniziai a spogliarmi e lui uscì
discreto.
Mi
immersi nella vasca, mi sentii molto meglio, rimasi a
mollo un bel po'. L'idromassaggio era divino, rilassante al punto
giusto. La
stanchezza si fece sentire, così uscii cercando di non
allagargli la stanza. Il
suo bagno era così ordinato e pulito, nemmeno il tubo del
dentifricio era
piegato in modo asimmetrico. Non era pignolo, era proprio un maniaco
dell’ordine.
Mi asciugai nel suo
accappatoio e sorrisi pensando che era morbido e avvolgente come il
bacio che
ci eravamo scambiati.
Sul
letto c’era la mia biancheria intima, e una maglia di
cotone oversize bianca che probabilmente era di Myc, la indossai come
pigiama,
sentivo la voglia di distendermi un po'. Tirai indietro le coperte,
attenta a
non fare danni. Il cuscino aveva il suo profumo, appoggiai la testa e
lo
respirai. La spalla si era calmata e la ferita sul collo era inerme. Mi
addormentai come una stupida.
Sentii
i rintocchi del pendolo del corridoio, mi svegliai
coperta, con la stanza e il bagno in ordine. Mi maledissi per non aver
messo a
posto le sue cose, sapevo quanto ci tenesse.
Mi
cambiai, infilai la camicia azzurra e i Jeans che aveva
portato Anthea, scesi di sotto curiosa di vedere cosa stesse facendo.
Era
seduto sul tavolo, vicino al camino in camicia, le
maniche arrotolate con le buffe giarrettiere, il gomito appoggiato sul
tavolo e
la mano sotto al mento, guardava il suo prezioso laptop. Non si
avvedeva di
nient’altro.
Scesi
le scale in silenzio e mi avvicinai.
“Laura,
sei sveglia. Come stai?”
Alzò gli occhi e chiuse di scatto il laptop.
“Sto
meglio, ma non avere paura, non voglio sbirciare il tuo
prezioso computer.” Evitai di avvicinarmi troppo, ma la sua
reazione mi aveva
infastidito. Se ne avvide.
“Meglio
che tu ne stia alla larga, molti vorrebbero metterci
le mani.”
“E
lo metti in mostra così?”
Glielo indicai. “Mi
avrebbero
ucciso per quello.” Sorrisi
amaramente e
mi accucciai sulla poltrona vicino al camino a godere del tepore del
fuoco.
“Già
è vero,” si pizzicò il naso, la fronte
piegata dalle
rughe, “ho deciso di cambiare metodo.”
“E
quale Myc? Qual
è
la soluzione che ci allontani dai pericoli e dalle tue maledette
cartelle!” Stavo
andando oltre e me ne
rammaricai.
“Non
ti do torto Laura, ho messo in pericolo molte vite.” Si
fermò un paio di secondi. “Parto...
Domani vado in Europa dell’est.”
Se
mi avessero sparato avrei reagito in modo più sobrio.
“Come,
parti? Ma per quale motivo.”
Mi accomodai meglio, arrancai senza fiato.
“Volevo
dirtelo dopo cena, ma fa lo stesso, se dobbiamo
litigare facciamolo subito.”
Mi alzai
seccata. “Hai una faccia che non promette nulla di buono.
Cosa stai per dirmi?”
“Siedi
e ascolta ti prego.”
Lo feci svogliata e preoccupata. Lui si
accomodò di fronte. Il camino
crepitava e sarebbe stato bello stare abbracciati a godere del suo
calore. E
invece no! Aveva il
potere di rovinare
tutto. Parlò lentamente, la voce però era decisa.
“Ci
era giunta voce di un attacco terroristico alla linea
British Airways. Così decidemmo di preparare un volo con
persone decedute, che
in caso di abbattimento fossero verosimilmente…morte: il
nome in codice “Bond
Air.” Sherlock
mi aiutava con l’aiuto di
Molly, venivo all’obitorio a cercare cartelle di persone
decedute, che nessuno
reclamasse. Sventato
l’attentato, la
trappola per individuare i mandanti, avrebbe dato i suoi frutti. Ma qualcosa è
andato storto.”
Prese
tempo, si versò dello scotch che io invece rifiutai.
“Sappiamo
che Sir Malvest fa il doppio gioco, ma non ne
abbiamo le prove. Ha cominciato a insospettirsi e mi ha mandato un
avvertimento, importunando… te.
Fu
allora che incaricai Gwen di introdursi nelle sue fila.”
Mandò giù lo scotch
troppo in fretta e tossì.
“Non
so come l’ha scoperta, ma per mantenere il segreto, lei
si è fatta uccidere.”
La
voce gli mancò.
“Edwin sa che ti proteggo, come tutta la mia
famiglia, siete il mio “pressure
point”. Appoggiò
il bicchiere,
sospirò. “Così
inscenai l’esca di
stamane facendo filtrare la notizia che il laptop conteneva tutti i
codici del
piano. Una
loro visita e la
dimostrazione della mia debolezza mi avrebbe spinto a consegnare i
piani. Un
virus informatico e Malvest sarebbe caduto in trappola.” Si abbandonò
sulla poltrona. “Non
avevo calcolato il tuo ritorno e ho
dovuto cambiare i miei piani.”
Agitò
la mano per scacciare un dolore nascosto.
“Il resto lo sai, certo non potevo lasciare
che ti facessero del male. Così ho chiesto
l’intervento della sicurezza.” Si
alzò e si portò davanti a me, che ero
completamente spiazzata. Avevo mandato a
monte la sua trappola.
“Mi
dispiace di averti rovinato tutto, ma Molly è andata via
prima e di conseguenza sono rientrata. Mi alzai e lo raggiunsi, lo
presi per il
braccio. “Dio, scusami.”
Myc
afferrò le mie mani. “Di cosa, Laura? Di un piano
che
era traballante? Dove ho rischiato di coinvolgere altre persone? No, io
ho
sbagliato mettendoti in pericolo e io rimedierò.”
Si allontanò senza che
potessi trattenerlo. Temevo qualcosa di inaspettato. La sua voce mi
spaventò,
era dura.
“Per
tenerti al sicuro, per tenervi tutti al sicuro, devo
partire, risalire a loro, nel loro stesso covo.” Si fermò al
centro della stanza, si voltò con
la fronte percorsa da rughe profonde.
“Il
mio rapimento è già programmato, dovrò
resistere tre o
quattro giorni, poi arriverà Sherlock e li prenderemo tutti.
Solo allora finirà
ogni pericolo.”
Si aspettava la mia
reazione che arrivò puntuale.
“Dico, ma
sei ammattito? Ti tortureranno, vorranno i codici a qualsiasi costo! Finirai per farti
uccidere.” Balbettai,
incespicai nelle parole confusa
mentre lo fissavo esasperata. “Ti vuoi sacrificare per Dio!
Mycroft sei
completamente fuori!”
“Fuori?
Come? In che senso?”
“Non
fare questi giochetti con me e la Lingua. Pazzo, va
bene, vuol dire PAZZO!”
Mi alzai fuori
di me, gli occhi lucidi, incapace quasi di respirare. Ma mantenni la
distanza
mentre il mio cuore sembrava fermarsi.
“Ma
che razza di piano è? Fai più presto a spararti
un colpo
in testa!” Fu
lui ad avvicinarsi, mi
prese per le spalle dimenticandosi della torsione. Mi lamentai.
“Scusami,
non volevo.”
Abbassò rapidamente le mani.
“So
che tieni a me, so anche quanto, ma non posso fare altro Laura,
è il mio lavoro
ed è un mio errore. Sono comunque addestrato, non sono
sempre stato dietro ad
una scrivania.” Sospirò, ma la voce mi
sembrò incerta. “Forse
potrebbe non succedere nulla, ci sono
molte variabili.”
“Parli
come un martire!
Gesù Cristo! Ma ti rendi conto cosa vuol dire
resistere a quattro giorni
di torture?” Non
riuscii a trattenere le
lacrime, perché sapevo, ero assolutamente certa che non si
sarebbe fermato.
“L’hai
vista Gwen come l’hanno ridotta? Per Dio, Myc.” Singhiozzai, lo fissavo,
lui era dannatamente
vicino.
“Chi
l’ha uccisa ha già pagato.” Un ghigno
cattivo gli passò
sul volto.
“E
questo ti consola? Dovrebbe consolare anche me?
Lei aveva una vita, te ne rendi conto.” Gridai,
troppo e malamente.
“Era
un agente, sanno a cosa vanno incontro, anch’ io lo
so.”
Persi
la ragione, piena di dolore e paura.
“Ma
ti senti? Senti quello che dici?” Lo spinsi via da me,
furiosa. La voce mi morì in gola.
“Laura,
mi dispiace, avrei voluto avere più tempo, ma è
andata così.” Mi tenne testa, si
riavvicinò e mi abbracciò. La sua stretta mi
sembro disperatamente rassegnata, mi lasciò piangere sulla
sua spalla.
“Non
puoi farmi questo, Myc! Non così.”
Mi lasciò sfogare come fossi una bambina
capricciosa, mi dondolò dolcemente, poi mi prese il volto
fra le mani.
“Promettimi
che se tornerò cambiato, sarai paziente col tuo
British Government, anche se non dovessi essere….
propriamente in me.”
Annuii,
con il volto bagnato, gli stampai un bacio sulle
labbra che lui ricambiò dolcemente, ma non andammo oltre.
Ora
non ero più sicura di nulla: se provavo amore, se
dolore, se rabbia per la sua partenza.
E
nemmeno lui capiva bene come comportarsi. Lo sentii
esitare, ma si allontanò, perché ebbe il
sopravento il suo senso del dovere di
proteggere la nazione. Mi asciugai le lacrime, un mutuo accordo
passò tra noi.
Nessuno dei due doveva parlarne più.
Cenammo mantenendo
una falsa serenità. L’unico contatto che mi
permise, fu tenergli la mano e accarezzarla.
Parlammo
dei suoi libri preziosi, stemperammo un po' la
tensione. Riordinammo
in cucina, prima
che me ne andassi perché doveva prepararsi e non potevo
restare di più.
Si avvicinò alla
poltrona,
prese il suo libro prezioso: Il mercante di Venezia.
“Laura, prendilo tu e rileggilo, ma non
finire l’ultimo capitolo,” si fermò a
respirare profondamente, “lo finiremo
insieme quando tornerò.”
Mi
mancò l’aria, annuii e afferrai saldamente quel
libro che
tanto mi legava a lui. Mantenni la calma cercando di non fargli pesare
la
partenza.
“Promettimi
che tornerai.” Mormorai.
“Te
lo prometto, perché ora ne ho il motivo... e sei tu,
Laura Lorenzi.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** Le solitudini elettive ***
Albert
mi aspettava in auto. Mycroft mi accompagnò, ma prima
di salire si fermò, mi guardò con attenzione.
“Stai lontana dai guai, esci
sempre con qualcuno almeno per i primi giorni. E riposa, guarirai
più in
fretta.” Mi sfiorò con le dita il cerotto sul
collo. Gli occhi tradirono un
sottile tremore. “Perdonami per la situazione assurda in cui
ti ho
portato.”
Presi
la sua mano, era fredda. “Ora
basta, se devi partire voglio che tu sia
sereno. Starò bene. Promesso”
Eravamo
vicini, troppo. Lo baciai, fu io a reclamarlo, ma
sentivo che anche lui lo voleva senza avere avuto il coraggio di
chiedermelo.
Fu
un bacio, dolce e amaro, di abbandono, ma di speranza. Imparavamo
uno dall’altro. Il suo sapore lo avrei tenuto con me, e lui
avrebbe portato il mio
nel suo viaggio pericoloso, altro non potevamo donarci. Mi staccai
turbata,
tremavo di paura, ma lui non mi lasciò, abbassò
la testa. Mormorò debolmente,
la voce incrinata.
“Non
posso prometterti nulla, sei una specializzanda e io un
diplomatico già navigato.
Cerca di
capire che mi sento combattuto. Devo partire e non so cosa
potrà succedere. Non
voglio che tu rimanga ad aspettarmi inutilmente.”
“Lascialo
dire a me, se voglio farlo o no, non decidere per
me!” Lo scossi con forza, le mani strette sulle sue spalle.
Riuscii a fare in
modo che mi guardasse. Sbottò di colpo, incupito.
“Laura,
sei una incognita che ho incrociato nella mia vita
già programmata! Lo capisci o no? Ho un lavoro difficile. E
tu sei giovane, hai
tutta la vita davanti.” Non lo lasciai, ora lo tenevo stretto
per le braccia.
Temevo di perderlo così senza una spiegazione.
“Una
incognita Myc? No, non lo sono, perché so di volerti
bene. Quando tornerai, sarò pronta per iniziare con te
qualcosa di più solido,
diverso dal tuo prendere e lasciarmi. Così mi fai solo del
male.” Ero
disperatamente attaccata alle sue risposte, volevo almeno una certezza.
Lui
non si dava pace, pensava che lasciarmi fosse la
soluzione giusta. “È per questo che non voglio
illuderti, tu hai bisogno di
stabilità. E io non posso garantirtela.” Fece per
voltarsi, ma lo tenni stretto
con tutte le forze che mi rimanevano.
“Sei
sL empre stato presente, ti ho ritrovato al mio fianco
ogni volta che sono stata in difficoltà. Come fai a dire una
stupidaggine del
genere.” Gemette
di dispiacere. Dovevo
sapere, non avevo alternative.
“Guardami, dimmi la verità, dimmi che
non provi nulla per me!”
Lui si riscosse dal
torpore, non voleva del tutto perdermi, la sua voce si fece decisa.
“Non essere
sciocca, lo sai cosa sento per te! Ma ti sto dicendo le
difficoltà a cui
andremo incontro continuando questo rapporto. In più ora io
devo partire, e non
sono sicuro di nulla.”
Gli
presi il volto con entrambe le mani. “Ti sto facendo
capire che non mi importa, perché voglio un futuro con te.
Vuoi che te lo dica
chiaro e ben scandito, razza di stupido?
Ti amo! E
niente può cambiare in
me.” Glielo gridai con tutta la disperazione che avevo nel
cuore.
“Dio,
Laura. Mi rendi tutto così difficile! Mi stai
sconvolgendo la vita.” Un
sospiro
leggero lo tradì. “Sei
arrivata nel
momento sbagliato.” Afferrò le mie mani strette
sul suo volto e le tenne forte,
ci accomunò un dolore irrazionale. Mi decisi, fui secca e
determinata per
un’ultima volta.
“Dillo,
Myc, ora lo devi dire. Guardami
dritto negli occhi. Dimmi se provi
quello che io provo per te. Ma dì la verità, non
mentire a te stesso e a me.”
“Laura.
Lo sai cosa sento, non obbligarmi a…”
Balbettò,
cercando aria.
“Dillo.”
Ero decisa, lo incalzai di più, non me ne sarei
andata senza una risposta.
“Ti
amo Laura… E questo mi distrugge.”
Era solo un filo di voce, le sue mani bianche
tormentate, presero ad accarezzare il mio volto.
“Va
bene. Va bene così. Non ti assillerò
più. Quando
tornerai io ci sarò, mi basta sapere del tuo amore per avere
la forza di
aspettarti. Si
allontanò di pochi passi,
scosse la testa vinto dalle mie affermazioni.
“Ti
stai dannando, mia piccola selvaggia! Non sai quello che
ti aspetta con me.” Mi
fissò quasi
smarrito, ma rasserenato dalla mia perseveranza.
“La
risposta la sai. Amo quello che sei, per come sei. Per
quando litighiamo e ti trovo poco dopo vicino a me. Per tutte le volte
che sei
insolente e subito dopo dolce e protettivo. Ti amo, Mycroft Holmes e ti
aspetterò.”
“Laura….
Non so se merito una simile fiducia. Non sai come tornerò.
Potresti aspettarmi per niente.”
“Non
mi importa, sarò paziente, lo decideremo insieme al tuo
ritorno, ma dovevo sapere cosa provavi.”
Gli
posai sulle labbra un ultimo bacio. Lo sentii tremare,
lo accarezzai sulla nuca. “Ricordati di questo, quando ti
sentirai solo. Io ci
sarò.” Annuì, infilò le mani
nelle tasche del suo vestito costoso. È così che
lo volevo ricordare, elegante e fiero. Il mio perfetto gentleman.
Trattenni
le lacrime per non adombrarlo, salii in auto,
mentre Albert discreto non fece nemmeno un respiro. Non mi voltai,
mentre
l’auto scivolava via, eppure sentivo i suoi occhi seguirci.
Avevamo
aspettato troppo, presi a studiarci, a provocarci, entrambi
chiusi nelle nostre fortezze. La solitudine che ci aveva accompagnati
per anni,
era fiorita e ci aveva uniti. Mi ricordai del libro di Goethe che mi
aveva così
tanto colpito quando l’avevo letto e quella frase che mi
aveva emozionato: “In
questo lasciare e prendere, fuggire
e ricercarsi,
sembra davvero di vedere una determinazione superiore: si dà
atto a tali esseri di una sorta di volontà e capacità di scelta, e si trova del tutto
legittimo un termine tecnico come affinità elettive.”
La
nostra era stata una sorta di “solitudine”
elettiva. Appoggiai la fronte al vetro, consapevole che non avevo avuto
molto e
non avevo dato altrettanto. L’orgoglio si era portato via
tutto. Se qualcosa era
stato seminato ora era congelato. Freddo, sospeso alla mercé
del caso.
Una
lacrima salata solcò la mia
guancia: ero consapevole che lo amavo. Il freddo British Government
aveva intaccato
il mio cuore, con un tatuaggio indelebile. Strinsi forte il suo libro
prezioso,
la cosa più cara che avevo.
Albert
mi avvisò che eravamo
arrivati. Lo salutai mestamente.
“Dottoressa,
conti su di me. Sono
al suo servizio.”
“Oh,
Albert hai altro da fare, che
stare dietro a me.”
“Laura,
è un ordine di Mycroft.” Fu
lento e confidenziale nel dirlo. E
sinceramente me lo aspettavo.
“Albert,
se ho
bisogno so che ci sarai, e comunque grazie!”
Si girò
sorridente, quasi rassicurante. “Tornerà,
dottoressa, perché ora ne ha il
motivo.”
Fece
salire il
finestrino prima che potessi replicare. Così lo salutai con
la mano mentre
metteva in moto l’auto e andava
via.
Baker
Street era già sonnolenta,
poche luci accese, salii i 17 gradini e aprii la porta.
“Ciao
Laura, ti
aspettavo.” Lo
vidi sprofondato sulla
poltrona il fratello “sulle gambe” di Mycroft,
quello che si annoiava
continuamente.
“Ciao,
Sherlock. Penso che tu sappia già cosa è successo
oggi, quindi sorvola.” Mi
toccai il cerotto sul collo, lui aggrottò
la fronte. Mi
invitò a sedermi. “Che
vuoi?” Lo apostrofai risentita. Suo fratello si sacrificava
costantemente per
lui. E lui lo avrebbe fatto?
“So
quello che
pensi, ma lo abbiamo deciso insieme. Non mando mio fratello a farsi
ammazzare. Nemmeno
per l’English Establishment intero.”
Lo
fissai seccata. “E quindi?”
Gli buttai addosso senza pensare.
“Non
sarà solo,
te lo garantisco. Lo riporterò a casa.”
Congiunse le mani sotto al mento come faceva spesso quando
elaborava. “Ma
tu non chiedermi nulla. Né cosa succede, né tanto
meno notizie su di lui.”
Scossi la testa avvilita, era così che agivano gli Holmes,
dovevi accettare e
basta.
“Sta
bene.” Mi alzai. Lo
fissai stizzita.
“Fallo
tornare,
possibilmente vivo, se questo è il tuo compito.”
La voce tradì la mia
inquietudine. Me ne
andai di sopra e lo
lasciai lì, solo e turbato. Ero
frustrata da questo loro atteggiamento, dove i sentimenti non
esistevano. Io
avevo un cuore ed era rosso e speranzoso, come quello della maggioranza
della
gente.
Uniche
eccezioni loro tre: Mycroft,
Sherlock e la loro congelata sorella Eurus.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** In attesa del suo ritorno ***
Andare
al San Bart ogni mattina divenne pesante. Soprattutto
perché Mycroft non c’era. Mi ritrovavo a guardare
il suo ufficio improvvisato,
credendo di scorgerlo mentre assorto in maniche di camicia studiava
quelle
maledette cartelle che lo avevano allontanato da me. Magari era
rientrato e mi
voleva sorprendere.
E
invece passarono i giorni e lui non tornava. Non avevo
nessuna notizia, l’ultimo messaggio me lo aveva mandato la
mattina che era
partito.
L’avevo
conservato. Mi dava il buongiorno, null’altro. Gli
avevo risposto nello stesso modo.
Poi
più nulla.
Nei
giorni seguenti, controllavo che Sherlock fosse ancora a
casa e questo mi sembrava un buon segno. Non parlavamo mai di Mycroft,
lui
evitava qualsiasi argomento.
Così
lavoravo molto, forse troppo. Mi impediva di pensare.
Molly,
quasi in una mutua intesa, mi affidava sempre più
casi. Frequentavo molto di più Lestrade,
perché sostituivo
Molly a
Scotland Yard.
Era
un uomo burbero, ma corretto, l’unico che Sherlock
tollerava e considerava una specie di amico.
Cominciavo a superare le difficoltà del lavoro,
imparai a mantenere la
calma necessaria per essere un buon patologo, gestii le mie paure.
L’inglese
migliorava, presto avrei dato l’esame.
Alla
sera Albert, mi aspettava e mi accompagnava a fare delle
commissioni.
“Come
va dottoressa? Una passeggiata le farebbe bene.” Era
discreto, mentre prendeva la mia borsa e la metteva
nell’auto. Io annuivo
silenziosa e lui mi portava lungo il Tamigi. Camminavo lentamente lungo
il
fiume e raggiungevo una vecchia panchina dove mi fermavo a guardare
scorrere
l’acqua impetuosa.
Chissà
se Myc stava bene, se mi pensava come io facevo con
lui. Riflettevo mestamente che quell’amore fosse tutto dalla
mia parte. Mi
sentivo insicura, e traballavo dentro assurde paure. Albert, paziente,
mi
aspettava in auto, vederlo mi faceva sentire la vicinanza di Mycroft,
una
sensazione strana, ma che mi confortava.
Silenziosi
tornavamo a casa.
Gli chiedevo della
sua famiglia, lui trasgredendo alle regole mi rispondeva sereno.
Così il peso
che mi opprimeva nel cuore si affievoliva. E passava un’altra
giornata.
Anthea
si faceva vedere più spesso, soprattutto la mattina,
qualche volta pranzava con me.
“È
lui che ti ha chiesto di venire?” Glielo chiesi mentre
eravamo sedute in un piccolo ristorante, pochi giorni dopo la sua
partenza. Abbassò
il capo, annuì
lentamente. “Non voleva che ti sentissi sola, mi ha
sollecitato di farti
compagnia. Ma lo faccio volentieri.” Mi prese la mano e la
strinse. Gliene fui
grata. Lo conosceva meglio di me e questo mi aiutava.
“Tipico
da parte sua essere presente adesso che non
c’è.”
Anthea rise, poi si fece seria, piegò il tovagliolo e lo
ripose con cura.
“Tornerà Laura, gli hai fornito un valido motivo
per farlo.
“Già,
spero che si ricordi di me. Non ho fatto altro che
dargli il tormento.” Scossi la testa consapevole che tra noi
non c’era stato
molto, niente che saldasse il nostro rapporto.
Passai
altri giorni fra tristezza e speranza. Fra paranoia e
disperazione. Lavorando quanto più potevo.
Fino
alla sera che non trovai Sherlock a casa. E tremai.
“Sherlock?”
Rivolsi lo sguardo verso John. Lui in cucina
preparava la cena. “Siamo
noi tre Laura,
ora coraggio, non pensarci. Rosie ti reclama.” Mi sorrise.
Non riuscii a dire
altro, con il cuore in tumulto mi presi cura della piccola.
Passarono
altri giorni, tra il lavoro e le serate con John e
Rosie. Lo sguardo correva alla porta, nell’attesa di vedere
il ritorno di
Sherlock. Molly a
volte si fermava da
noi e stemperava l’ansia che mi assaliva, chiacchierando fino
a tardi.
Una
sera particolarmente pesante mi chiese come andava.
“Molly,
sento la mancanza di Myc.”
Mi
sprofondai nella poltrona di Sherlock, lei era in quella
di fronte. John era già a letto con Rosie. Accarezzavo il
libro che mi aveva
lasciato.
“È
suo?” Chiese lei dolcemente. “lo tratti come una
reliquia.” Soffiai, e passai un dito sulla copertina.
“Ci
tiene così tanto.” Le sorrisi. “Lui
è fatto così. Ama i
suoi libri, forse più delle persone.”
“Oh,
lo sai che non è così!” Molly
agitò la mano. “Non te lo
avrebbe affidato.”
“Non
abbiamo fatto altro che litigare. Era così irritante,
così freddo e lontano dai miei gusti.
Lui e la sua maniacale eleganza, il suo ombrello, il suo
sguardo seccato
quando lo investivo di parole.” Mi fermai sorpresa dalla mia
irruenza. Abbassai
il tono. “Eppure quando si è lentamente aperto,
credo di averlo amato
subito.”
Mi
girai nascondendo gli occhi lucidi, non volevo far vedere
la mia debolezza. “Non so nemmeno se lui è vivo,
se sente la stessa cosa per
me.” Alzai
la testa. “Non ci siamo
promessi nulla, nessuno dei due l’ha fatto. Potrebbe tornare
e non sentire più
nessun sentimento.”
Ripiombai
giù nel morbido schienale della poltrona, stanca
di quella attesa estenuante.
Mormorai
con voce rotta. “Purché lui sia vivo, sono
disposta
a defilarmi se non mi vorrà.”
Molly mi
toccò le ginocchia, la mano strinse forte.
“Quando
tornerà scioglierai i tuoi dubbi. Se sarà amore
lo
capirete entrambi. Ma bada che se torna ferito fisicamente e
nell’anima, avrà
bisogno di tempo.”
Mi
turbò la sua risposta, perché sapevo che Mycroft
non si
lasciava andare facilmente quando era in difficoltà e il
contatto fisico lo
disturbava. Accennai un debole sì con il capo.
“Spero
di avere forza abbastanza per tutti e due.”
Finimmo
le nostre chiacchiere, lei ritornò a casa, felice di
avermi fatto compagnia.
La
mattina dopo indugiai di fronte al calendario, erano
passati 40 giorni da quando era partito.
Dieci da quando mancava Sherlock. Forse l’aveva
portato a casa, o forse
no.
Mi vestii come al
solito meccanicamente, scesi le scale per salutare John e Rosie.
Ma
quando vidi la figura di Sherlock seduta sulla sua
poltrona, la sorpresa fu tale che mi cadde la borsa a terra.
“Sherlock,
sei tornato.” Quasi gridai, riprendendo la mia
borsa rotolata sul pavimento, lo travolsi di parole. Lui
alzò la mano per
fermare la mia irruenza. Ma adocchiai John dalla cucina che sorrideva
con Rosie
in braccio. Mi persi letteralmente nel suo volto sereno, intuii che era
vivo.
Mycroft
era vivo.
“Vieni
Laura, ti devo parlare.” Era stranamente serio e
questo mi frenò.
“L’ho
portato a casa, ma il prezzo che ha pagato è stato
alto. Non è stato solo torturato, ma anche trattato con
crudeltà. Purtroppo per
un ritardo di due giorni l’ho trovato in condizioni
pietose.” Portò
le mani giunte sotto al mento, si
concentrò, il volto contratto. Mi sentii sprofondare.
“Temevo
di perderlo, Laura. Siamo tornati dieci giorni fa,
con un trasporto aereo speciale, ha ricevuto le prime cure, al Saint
George la
struttura governativa che lo ha sempre seguito.” Prese un
respiro profondo.
John ci portò del tè. Mi tremò la
tazza nelle mani, perché sentivo che doveva
dirmi qualcosa di gravoso.
Rimasi
muta aspettando che riprendesse a parlare.
“Laura,
non so cosa ci fosse tra di voi, ma lui ha resettato
tutto. Non ha voluto chiarire quello che gli è successo,
quello che gli hanno
fatto. Temo qualcosa di troppo personale. Non è riuscito a
decomprimere, si
limita a tacere ostinatamente.”
Prese
la tazza e anche Sherlock il fratello freddo e dedito
a esasperarlo, vacillò.
“Laura,
non so quale comportamento adotterà con te, tu gli
vuoi bene, forse anche di più.” Mormorò
lento, la tazza che tremava. Mi
rivolse un sorriso complice. “E’ molto
cambiato, dovrai essere paziente, perché quello che temo
è che cercherà di
allontanarti. Vorrà
metterti alla prova.
Sarà insopportabile e forse cattivo.”
Rimase in silenzio, guardandomi fisso, cercava un segno di
assenso. “La
sua mente elabora piani tormentati di amore e pietà e li
confonde. Devi essere
attenta a non entrare nella sua zona confort. Ora è
completamente isolato.”
Appoggiò la tazza, quasi rovesciandola.
“Va
bene. Prima di partire ci siamo chiariti. Cercherò di
capirlo, del resto voleva che lo aiutassi, se non fosse tornato al
meglio di sé
stesso.” Feci una smorfia sofferta, mentre mi ricordavo il
suo bacio. “Non
c’è stato il tempo di approfondire
quello che provavamo, ma io ero sicura del mio sentimento, forse lui
era
incerto. Gli darò tempo, ma ciò non
impedirà che questo mi faccia
soffrire.”
“Ho
fiducia in te Laura, sei anche un medico, quindi so che
sarai attenta. Domani lo porterò qui, a Baker Street e ti
posso assicurare che
non è stato facile farlo restare con noi. Almeno fino a
quando non sarà in
grado di gestirsi da solo. Sai bene quanto sia orgoglioso e
solitario.”
Sherlock
si appoggiò allo schienale, rassegnato a seguire
quel fratello così scontroso, il cui rapporto era spesso
stato al limite.
Anche
se dopo Sherrinford si erano lentamente riavvicinati.
“Farò
il possibile.” Mi alzai decisa, con il cuore a mille,
ma felice che fosse vivo. “Grazie per aver mantenuto la tua
promessa.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** Un rientro angoscioso ***
Sherlock aveva deciso di riportare a casa il fratello nel pomeriggio.
Mi ero
accordata con Molly per poter tornare a Baker street in anticipo.
Per tutta la mattina ero stata
nervosa, alternavo alla gioia di rivederlo, la paura del suo rifiuto.
Nel
pomeriggio sul tardi, mi arrivò un sms di Sherlock che mi
avvisava che erano
parcheggiati di sotto. Scesi i pochi gradini di Baker Street,
incespicando, con
il cuore in tumulto.
Mi davo mentalmente della stupida,
senza riuscire a calmarmi. Ero felice di rivederlo, anche se tremavo
pensando
che i soli due baci che ci eravamo scambiati, potevano non essere stati
sufficienti a cementare il nostro amore.
Non ero sicura di lui, tanto
quanto ero sicura di me. Avvolta nella giacca, la strinsi forte e mi
decisi ad
accettare la sua reazione, qualunque essa fosse.
La berlina nera era ferma poco
oltre l'inizio della via. Sherlock era già sceso, si era
portato vicino allo
sportello posteriore. Si girò un solo attimo verso di me,
fece un cenno con il
capo.
Mi avvicinai titubante, non
distavo che pochi metri. Mi fermai, seguii con lo sguardo il giovane
Holmes che
aprì la portiera e aspettò con pazienza.
Mycroft scese con lentezza, si
raddrizzò con fatica, Sherlock non lo aiutò, lo
lasciò fare sapendo l'indole
del fratello maggiore piena di dignitosa alterigia. Solo alla fine gli
allungò
la stampella che aveva sostituito il suo amato ombrello.
Mi si gelò il sangue,
quando vidi
com'era dimagrito. Il cappotto era diventato largo, la sciarpa appena
appoggiata, mancava della cura con cui la annodava. Intravidi le sue
mani
delicate parzialmente fasciate, poche dita libere, alcune riusciva a
muoverle,
perché impugnò la stampella, cercando
stabilità.
Zoppicando, fece alcuni passi. Il
lampione illuminò il suo volto. Mi sentii mancare quando
vidi i suoi capelli,
troppo corti e radi, anche se in qualche punto stavano già
ricrescendo. Aveva
ematomi sul collo e piccoli tagli vicino all'orecchio. Altri sulla
guancia.
Uno molto più profondo
sul lato
destro della fronte, scuro e irregolare che era stato suturato con
pochi punti.
Si incamminò lento, il
capo chino,
ma come se mi avesse percepito si girò e mi vide.
Rimasi immobile, senza respirare,
i suoi occhi sui miei. Avvertii il suo dolore passare dentro di me,
senza
riuscire a confortarlo. Mi feci sorridente e diedi fondo a tutta la mia
capacità di attrice.
Feci i pochi passi che ci
separavano. Quelli che avevo sognato di fare per abbracciarlo in quei
quaranta
giorni. E invece rimasi immobile, una statua di sale.
"Ciao, bentornato. Giusto per
cena." Gli sorrisi garbata. "Vedo che hai avuto qualche divergenza di
vedute con i tuoi rapitori." Cercai di essere spiritosa, anche se me ne
pentii subito. Una battuta idiota.
Lui bofonchiò qualcosa
di
incomprensibile. Un'ombra passò nei suoi occhi, ma subito
tornarono limpidi. Mi
studiava, valutava quello che vedeva. "Ciao Laura. Sei cambiata."
Mormorò esitante.
"In meglio o in peggio?
Perché potrei preoccuparmi!" Mi sforzai di fare una mezza
risata. Il mio
impulso era quello di abbracciarlo forte, di accarezzarlo e di
confortarlo.
Invece lui, e tutto il suo corpo si era irrigidito, si era fermato,
creando una
linea di sicurezza. Un fossato d'acqua immaginario. Nessun ponte
levatoio
abbassato. Allora capii che dovevo stare alle sue regole, si era
allontanato da
me ancora una volta, aveva resettato tutto il sentimento che c'era
stato tra
noi. Mi sentii sprofondare, insieme al mio amore a senso unico.
Mycroft impostò la voce,
come se
fosse distante. "Sembri più forte, più sicura, e
i tuoi capelli sono più
lunghi." Non cambiò in volto e questo mi
spaventò, mi mancavano i suoi
sorrisi sinceri.
"Questo lo prendo per un
complimento, detto da te. E sì, ho lasciato crescere i
capelli, mi piacciono
così, mi fanno sembrare più matura." Li toccai
distrattamente.
Stavolta accennò una
smorfia.
"Dici? Sei sempre stata testarda, più che matura." Non
raccolsi quel
rimprovero gratuito, forse tre mesi prima sarebbe nato il solito
battibecco,
ora non ne avevo voglia e rimasi zitta.
Si rizzò in tutta la sua
altezza e
si avviò lentamente, mentre Sherlock che era rimasto al suo
fianco silenzioso,
prese la borsa dal baule.
Salutai con un gesto Albert, che
aveva una faccia di circostanza, niente affatto piacevole. Era stato il
testimone silenzioso della nostra storia.
Mycroft zoppicava, ma la stampella
era efficace, lo aiutava a compiere i pochi passi che gli servivano ad
arrivare
a casa. Lo affiancavo, cercando di non pesare sul suo orgoglio. Sapevo
che non
voleva aiuto, testardo com'era.
Finalmente salimmo le scale
interne, con Sherlock che scherzava sulla sua lentezza. Dentro di me,
saliva un
dolore sordo per vederlo in quelle condizioni.
Fu accolto dalla signora Hudson
con gentilezza, visto come lo trattava di solito. Gli diede un'occhiata
malinconica e scosse la testa.
Watson invece fu più
pratico lo
apostrofò con la determinazione tipica del medico qual era,
e lo fece
accomodare sulla poltrona di fronte al camino. Gli fece sollevare la
gamba per
farla appoggiare sul cubo porta giochi di Rosie.
"Siedi, Mycroft ti
aspettavamo, ti preparo un buon tè. E ti mando tua nipote
che vuole salutare il
suo zio preferito."
Sherlock portò la sua
borsa nella
sua stanza che avevano sistemato vicino alla sala, si fermò
a osservarlo quando
John gli portò Rosie e la sedette sulle sue ginocchia.
Controllava che la
piccola non lo appesantisse. Io rimasi in disparte, dato che lui
nemmeno mi
cercava con lo sguardo.
Sherlock si sedette al suo fianco,
mentre Mycroft si sciolse al calore che gli restituiva la piccola
Rosie. La
coccolò dolcemente e questo mi intenerì.
"Sai che Laura collabora con
Scotland yard? È diventata parecchio brava." Sherlock fu
quasi tenero nel
suo tentativo di introdurmi tra loro.
"Non ne dubito, solo il suo
Inglese non è migliorato." Fu duro, persino Sherlock
aggrottò la fronte
guardandomi. Non aveva nemmeno sollevato lo sguardo.
"Beh, migliorerò ancora,
se
la mia pronuncia di infastidisce." Rimasi in piedi, non tentai nemmeno
di
sedermi vicino a lui. Ma cominciai a irritarmi.
"Dopo tutti questi mesi? Non
credo proprio! La tua inflessione è ancora italiana."
Sbuffò seccato.
"Bene, se ti dà fastidio
sentirmi parlare, resterò muta. Tu sei molto British lo so,
scusami." Fui
ironica, tutto sembrava tornato come mesi prima.
"Quello che non hai
migliorato è la voglia di essere polemica, e la mancanza di
un minimo di
educazione." Stavolta fu decisamente cattivo. Credo che il mio volto
tradisse il disappunto per essere trattata in quel modo,
perché Sherlock
sbuffò. "Per favore, ora basta se volete scannarvi fatelo
più tardi"
Mycroft mi guardò per un
breve
attimo e quella fu l'unica attenzione che mi concesse.
"Ti lascio con tuo fratello,
visto che non sopporti la mia vicinanza. Scusami."
Lui brontolò,
abbassò lo sguardo e
mi ignorò.
John non fiatò quando lo
raggiunsi
in cucina. Presi a tagliare le verdure per cena, ne avrei tagliate a
quintali.
"Laura, avanti, non sentirti
ferita. Sai quanto è orgoglioso. Dagli tempo."
Mormorò sottovoce. Mi
aiutò, cercando di evitare che nella foga mi tagliassi una
mano, non riuscivo
nemmeno a inquadrare il tagliere, gli occhi appannati. Sapeva i miei
sentimenti
per Myc.
"Avrà tutto il tempo che
vorrà, se lo desidera, non sarò certo io a
spingerlo nelle mie braccia, non ne
ho bisogno." Appoggiai il coltello e guardai il povero John costernato.
"Non ci siamo promessi nulla,
forse non era nemmeno innamorato! Come poteva esserlo, lui, che era
l'uomo di
ghiaccio."
Non potevo negare che mi
dispiaceva il suo comportamento per quanto mi sforzassi di capire.
Mi chiusi in un mutismo
esasperante, tanto che John brontolò. Il mio cuore batteva
più forte, Dio mi
era testimone di quanto avrei voluto abbracciarlo e tenerlo stretto. Ma
se
c'era stato del sentimento quello era solo da parte mia. Non potevo
chiedergli
di più.
Preparai la tavola, John fece in
modo che lui si sedesse vicino, protestai con il capo sottolineando un
duro no,
ma insistette. Dovevo essere cauta, capire quanto spazio potevo
occupare, prima
che si sentisse assillato.
La cena presto fu pronta. Ci
raggiunsero entrambi, Sherlock si sedette a capotavola, con John vicino.
Mycoft mi guardò
malamente, ma
accettò di essere vicino a me. Fu Watson che
servì i primi piatti, io mi
limitai ad aspettare il mio turno.
"Mycroft, sperò ti vada
bene
è una pasta condita semplice, niente di elaborato."
Lui annuì e ne chiese
pochissima,
infatti mangiò con difficoltà, un po' per la
pressione che subiva, un po' per
le mani impedite.
Non chiese aiuto, gli cadde la
forchetta un paio di volte prima di reggerla con decisione. D'istinto
cercai di
aiutarlo, ma si scostò seccato
"Posso farlo da solo, grazie."
Fu tagliente, mi fece male sentirlo così distante. Cercai un
punto di contatto,
ma non mi diede nessun appiglio, alla fine mi arresi.
Fui brava ad inghiottire il suo
rifiuto, mentre sentivo il mio cuore frantumarsi. Gli osservavo le
mani, quelle
magre e delicate, che tanto avevano alimentato il mio amore. Ora
insicure,
deboli, fasciate, con alcune dita probabilmente senza unghie, e sentii
dentro
di me lo stesso dolore che avevo provato quando ero stata presa con la
violenza.
Dio, avevo amore da dargli! Eppure
mi ignorava. Abbassai la testa e finii la cena in silenzio, facendo
finta di
ridere alle battute di John e Sherlock, mentre mi disintegravo dentro.
Eppure
lui era lì vicino, ma non potevo toccarlo e mi
sembrò una tortura che non mi
meritavo. La serata passò senza che mi avesse mai rivolto la
parola e il benché
minimo sguardo. Mi alzai con poco ritegno, forse lo avevo perso del
tutto.
"Scusate, devo prendere una
cosa nella mia camera. Sono stanca e domani devo alzarmi presto."
Mycroft
mi guardò incerto e fu l'unica gentilezza che mi concesse.
Fui rapida, scesi
quasi subito e lo ricompensai del suo abbandono.
"Ti restituisco il tuo libro
prezioso. Non ne ho più bisogno." Lo affermai con durezza.
Lui strinse gli
occhi, la fronte aggrottata.
"Bene, spero ti sia
servito." Sentenziò convinto.
Sorrisi beffarda. "No,
Mycroft ,non mi è servito per nulla." Gli allungai quel
libro che tanto ci
aveva unito.
"L'ho trattato bene. Ho
mantenuto la mia promessa, Mycroft. Quello che non posso dire di te."
Lui
ebbe un moto di stizza, ma fu bravo a trattenersi.
"Buona notte e scusa il mio
inglese imperfetto, mister "smart one." Appoggiai il manoscritto
sulla tavola tra gli sguardi allibiti di John e Sherlock e volai di
sopra senza
che lui avesse il tempo di replicare.
Non so come raggiunsi la porta
accecata dalle lacrime, forse dalla stupidità di essermi
esposta ad un
sentimento che sentivo solo io. Mi lasciai andare nel letto e piansi
per i
quaranta giorni di ansia che avevo vissuto, per un uomo che ora mi
allontanava,
ferito nel corpo e nella mente. Che non voleva il mio conforto e aiuto,
che
preferiva la sua solitudine al mio amore.
Mentre io non riuscivo a dominare
il mio cuore.
Gli avevo dato la mia fiducia, e
questo era ciò che ne avevo ottenuto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** Le confidenze con John ***
Non avevo voglia di dormire,
così ripassai per l'esame di
abilitazione al San Bart, con la speranza di restare a Londra molto di
più del
consentito. Qualcuno salì deciso le scale e dopo un rapido
bussare entrò John.
"Laura, come stai? Sei
praticamente scappata." Appoggiai il laptop e agitai la mano.
"Se vuoi sapere come mi sento
per il comportamento di Myc, ammetto che sto malissimo. Mi sento
abbandonata.
Non sono riuscita a gestire la sua indifferenza. Avrei voluto un po' di
empatia
e invece..." John si sedette, guardò le mie mani che non
smettevano di
tormentare il computer.
"Lascialo covare le sue
decisioni, credo che si senta smarrito e le torture che ha subito non
lo
aiutano di certo, ma ti vuole bene e non vuole la tua pietà.
Laura, pazienta,
non sentirti sconfitta." Mi toccò la mano cercando di
mettere fine alla
mia inquietudine.
"Ma non posso aspettare per
sempre se non vuole continuare a frequentarmi, come posso forzarlo? Ho
poco
tempo, devo lavorare o non mi terranno al san Bart."
"Dagli un po' di giorni, ho
sentito che deve venire in laboratorio per sistemare quello che ha
lasciato nel
suo piccolo ufficio provvisorio." Watson era gentile mentre cercava di
rassicurarmi, evidentemente credeva che ci fosse del margine di ripresa
tra
noi. Io dubitavo, lo avevo aspettato così tanto e vederlo
trattarmi con
freddezza mi aveva spezzato il cuore.
"Ci mancava vederlo nel suo
studio per ignorarmi durante tutta la giornata. Mi farà
lavorare
malissimo." Ma John insistette, la sua voce si fece decisa...
"Prova a parlargli, cerca di
fargli capire che ti sta facendo del male." Scossi la testa
perché lo
conoscevo bene.
"No, si sentirebbe forzato in
un rapporto che non vuole, in debito, e non voglio. John ti giuro che
va bene
così."
Mi prese una curiosità,
lo fissai.
"Chi si prende cura di lui? Chi si occupa delle sue ferite?" Watson
si alzò e si avvicinò alla finestra,
scostò la tenda e guardò fuori. Era un
medico e sapevo bene cosa fosse il segreto professionale.
"Se ne prende carico la
clinica governativa dove è stato ricoverato, qualche volta
anch'io, quando me
lo concede. Si lascia aiutare, anche se brontola in continuazione."
Ridacchiammo, sapevamo che carattere scontroso avesse.
Lisciai il portatile, spinsi via
il mouse. "Avrei voluto farlo io, mi sarei dannata per aiutarlo a
guarire." John capì il mio tormento. Si fece serio e si
decise a rivelarmi
qualcosa in più.
"È molto riservato sulla
sua
condizione, non permette nemmeno a me di spogliarlo e visitarlo
completamente.
E Sherlock è muto."
Avevo un sospetto che mi
tormentava da quando lo avevo visto, il suo atteggiamento scontroso e
nervoso
assomigliava molto a quello che avevo adottato io dopo la morte dei
Lorenzi.
Riposi il laptop alzai la testa decisa a raccontargli di me e di quello
che
sospettavo.
"Chi lo ha seviziato non gli
ha risparmiato certe "attenzioni". Temo che abbia subito delle
torture profonde e intime. Come quelle che ho subito anch'io." Ripresi
fiato guardando il volto allibito di John. Si lasciò cadere
sulla sedia, la
fronte corrucciata, allungò le dita sottili e mi
sfiorò il braccio.
"Cosa mi devi dire di
così
grave, Laura?" Avevo lanciato il sasso, ora non dovevo ritirare la
mano.
Sospirai e gli raccontai quello che mi era successo in Italia, durante
la rapina
e la morte dei miei genitori.
Lui ascoltava silenzioso, a volte
sembrava non respirare. Tossì un paio di volte, si
scusò, prese la bottiglia
dell'acqua riempì uno dei bicchieri di plastica e la
mandò giù tutta in un
fiato. Mi fermai, lasciandogli il tempo di elaborare la
brutalità del mio
stupro.
"Mycroft lo sa." Una
lacrima mi rigò la guancia. "È per questo che mi
devasta il suo
allontanamento. Perché sa che posso capire quello che sta
passando."
John mi fissava stravolto. Mi
scusai per averlo turbato. Cercava delle parole consolatorie, che non
trovava.
Mi allungò il suo fazzoletto, la mano gli tremava. "Mi
dispiace, Laura,
non sapevo nulla, non l'ho nemmeno sospettato."
Gli sorrisi, mentre mi asciugavo
il volto. "Credo che Sherlock lo abbia capito, aveva visto i miei polsi
feriti. E sapeva della morte violenta dei Lorenzi."
Watson scosse la testa castana.
"Con me ha taciuto, così come Mycroft."
"Beh, loro hanno un rigore
morale accentuato. Non direbbero mai una parola su questo." Mi alzai,
appoggiai la mano sulla sua spalla, sembrava portare il peso delle mie
parole.
"John, non rattristarti per
me, è già passato del tempo, ma Mycroft
è in pieno tormento e se i miei
sospetti fossero veri, mi lascerebbe senza nessuna spiegazione." Lui
annuì
lentamente.
"Motivo in più per
stargli
vicino. Ha delle crisi di panico e dorme poco. La lista delle medicine
comprende anche degli antidepressivi. Ma li subisce e li tollera poco."
Lo
ringraziai dandogli un bacio sulla guancia.
"Sei un amico sincero."
Cercai i suoi occhi chiari. "Amo Mycroft e prima di partire per il suo
viaggio disastroso, ci eravamo ritrovati innamorati. E ora è
come se avesse
annullato il nostro sentimento."
Prese la mia mano con gentilezza.
"Persevera Laura, sono convinto che ti vuole, ma devi seguire i suoi
tempi. Deve riuscire a metabolizzare le torture, specialmente quelle
profonde."
Abbassai lo sguardo per non fargli
vedere che i miei occhi erano nuovamente lucidi.
"Ora dormi Laura, e stai
tranquilla." La sua voce si fece bassa. "Mi dispiace per il male che
ti hanno fatto."
Alzai la testa, e gli regalai il
sorriso più rassicurante che possedevo. "Grazie John, mi ha
fatto bene
parlare con te."
"È quello che devi fare
con
Myc, appena te ne darà modo."
Uscì tranquillo,
convinto che
presto Mycroft si sarebbe arreso al sentimento che ci legava. Mi
preparai per
la notte, infilai il pigiama over size. Mi sarebbe piaciuto scendere e
augurare
la buona notte a Myc, ma dovevo accettare che per ora fosse
così.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 29 *** Ancora sir Malvest ***
La mattina seguente mi alzai presto, lasciai un biglietto in cucina per
John e
corsi al San Bart. Non avevo voglia di sguardi compassionevoli,
né
d'innervosirmi nel vedere Mycroft nel suo atteggiamento arrogante.
Raggiunsi il
laboratorio così presto, che c'erano ancora le donne delle
pulizie che mi
guardarono con mal celato sospetto.
Brontolai per la mia fretta e
presi a lavorare con lena, solo verso mezzogiorno mi fermai esausta.
Fare una riposante pausa pranzo
divenne vitale, vista la stanchezza accumulata, e poi volevo godermi
quel poco
sole che era uscito pigramente in una Londra ovattata. Mi incamminai
verso il
piccolo pub, che era diventato una meta fissa. Attraversai il giardino
interno,
sulle panchine soggiornavano svogliatamente alcuni studenti. Li
osservai
ripensando al periodo dell'università a Siena. La malinconia
mi attraversò il
cuore, mi mancava il caldo e il sole della Toscana.
Troppo presa dai ricordi non
avvertii la berlina scura che si avvicinò, mentre
attraversavo la strada. Il
mio cuore accelerò. Quell'arrivo mi prese alla sprovvista,
ma quando vidi
scendere Sir Malvest mi ritrovai dentro al peggiore degli incubi.
Mycroft, mi aveva garantito che
avrebbe messo fine a tutto! Cosa ci faceva ancora in giro quel
maledetto?
Scese in modo sgarbato e fu
così
rapido che mi impedì di attraversare la strada.
Strinsi forte la borsa, feci un
passo indietro e sbottai. "Guarda chi si rivede! Speravo di non
incontrarla mai più, Sir Edwin."
Rise sarcastico. "Diciamo che
il suo lord protettore ha altro a cui pensare in questo momento." Si
avvicinò troppo e indietreggiai. "Si sta leccando le ferite,
non ha tempo
di correre dietro al suo bel faccino. Holmes è fuori
servizio e quando è in
difficoltà si libera delle cose che non gli servono."
"E lei che ne sa, Sir
Edwin?" Gli lanciai un'occhiata furiosa, aggrappata alla mia povera
borsa
che pendeva pericolosamente dalla spalla.
"Si ricorda il mio nome!
Complimenti dottoressa Lorenzi!! Conosco da tempo Mycroft e le posso
assicurare
che pensa solo al suo tornaconto." Fece una smorfia poco piacevole che
mi
diede il voltastomaco. "Lei è molto carina. Ma adesso..."
"Che cosa vuole? Venga al
punto, ho poco tempo." Mantenni lo spazio sufficiente per non sentire
il
suo alito fastidioso, impregnato di fumo.
Era divertito, gli occhi da
rapace. "Potrei diventare il suo paladino, aiutarla a migliorare la sua
posizione. In cambio di alcune attenzioni e confidenze."
Scossi la mano, arretrando appena.
"Non voglio entrare nei vostri giochetti, ne ho abbastanza."
"Però vuole rimanere a
Londra
ed essere consulente per Scotland Yard. Avanti, dottoressa,
è quello a cui
ambisce." Lo sguardo subdolo di chi sapeva dove spingere il discorso.
"Lasci stare, le ho già
risposto che non voglio saperne più nulla, né di
lei, né di Holmes."
Arricciò il naso, un mezzo sorriso acido, calcolato, come un
ragno che tesseva
la tela.
"Ci ripensi Lorenzi, le mando
un sms con il mio numero, non lo butti, rifletta." Si voltò
agitando la
mano verso la strada. "Come vede il suo paladino oggi non
arriverà. Non dopo
il trattamento che gli ho riservato in Serbia." Rise sguaiato, sembrava
una iena troppo vicina alla preda e quella ero io.
Mi feci sospettosa. "Di cosa
parla, se è lecito." Ero al limite della sopportazione,
temevo che fosse
stato lui il mandante che aveva ridotto Myc in quelle condizioni.
"Beh, il suo fidanzato è
tornato con una parte del corpo che non funziona a dovere, quella che
è
essenziale per ogni uomo che si ritenga tale. Non è molto
virile, in questo
momento, il nostro caro Mycroft." Mi sentii raggelare il sangue, mi si
fermò il cuore per pochi istanti, gli occhi mi si
appannarono. Aveva seviziato
Myc! I miei sospetti erano confermati.
"Come ha potuto torturarlo
così, viscido serpente! Non era il mio fidanzato, lui
appartiene solo a sé
stesso, se dice di conoscerlo bene lo sa. Imbecille."
Questo lo provocò ancora
di più,
era compiaciuto della mia reazione. Mi guardò languido e
maledettamente
lascivo. "È per quello che dovrebbe venire con me. Io la
soddisferei... In
tutti i sensi."
Persi la ragione, gli allungai un
ceffone che lo fece barcollare. Rispose altrettanto rapidamente, mi
afferrò la
mano e strinse troppo forte. "Non ci provare mai più, se
voglio sarai mia,
stupida Italiana."
"Miserabile pezzo di merda,
mi lasci la mano o mi metterò a urlare." Cercò di
darsi un contegno. Era
troppa la gente che ci osservava.
"Attenta che la mia pazienza
ha un limite." Sibilò, scuro in volto, ma lasciò
la presa.
"Se ne vada. Brutto
cialtrone." Gli diedi una spinta, mi sottrassi. Lo sentii risalire in
auto
e respirai sollevata. Guadagnai la strada fino al San Bart, mi chiusi
dentro
scioccata.
Raggiunsi la mia poltrona e mi
lasciai cadere, cercai di riprendere il controllo, il mio respiro si
era fatto
corto. Chiusi gli occhi: risentivo le parole che mi aveva buttato in
faccia:
aveva torturato Mycroft per colpa mia. L'aveva umiliato, e lui colpito
nella
sua parte più intima, incapace di reagire, mi aveva
allontanato.
Scoppiai in un pianto disperato,
ero stata stupidamente arrogante, non avevo capito e protetto il suo
disagio.
L'oltraggio che aveva subito, era incolmabile per un uomo come lui,
abituato al
controllo maniacale del suo corpo e delle sue emozioni.
La testa mi pulsava forte,
massaggiai le tempie, cercando di respirare a tempo.
Mycroft, aveva smantellato la
cellula serba e fermato gli attentatori, ma non aveva risolto la
faccenda con
Malvest nonostante il suo sacrificio. E il nostro debole
rapporto si era
complicato molto di più.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 30 *** Prove di strategia ***
Essere sola al San Bart non fu
d'aiuto. Mi accorsi che la mia
mente elaborava piani contorti, ma in verità non sapevo bene
che fare. Sarebbe
stato facile ricorrere a Mycroft, aveva ancora saldamente in mano tutto
il
potere della governance. Avrei potuto accusarlo del suo fallimento, di
avermi
abbandonata. Ero certa che sarebbe intervenuto, sapevo quale era il suo
rigore
morale, mi avrebbe difeso. Non volevo la sua compassione, odiavo che si
tormentasse per come si erano accaniti su di lui. Malvest era un
pericolo
imminente, si era invaghito di me e ora la situazione era precipitata
nel modo
peggiore.
Pensai a John, l'unico che avrebbe
potuto consigliarmi. La mia indecisione finalmente si placò.
Lo chiamai al cellulare e gli
chiesi se poteva passare al san Bart. Si preoccupò subito e
mi dispiacque
coinvolgerlo.
Non mangiai molto, l'appetito mi
era sparito, per fortuna c'era il distributore automatico e ingoiai un
paio di
merende super caloriche. Passai il pomeriggio a stilare resoconti di
decessi,
catalogando povere vittime d'incidenti mortali.
Avevo ripreso quella poca
padronanza di me stessa, necessaria per allontanare il pensiero della
mattina.
Ma la sensazione che provavo per le ferite così sconvolgenti
che aveva
sopportato Myc, si era fatta straziante. Rabbrividii e mi strinsi nel
camice in
cerca di calore. Ma nulla mi confortava.
Mai avrei immaginato di combattere
così tanto per un uomo che non riuscivo a comprendere
pienamente, che mi
sfuggiva chiuso nel suo dolore. Eppure sentivo di amarlo profondamente.
Se
Malvest era arrivato a punirlo così ferocemente era
comprensibile il suo
rifiuto, il suo orgoglio era troppo radicato perché potesse
condividere i suoi
abusi. Lo sapevo bene perché era stato difficile anche per
me ammetterli e
confidarmi con qualcuno.
Lavorai fino a stordirmi, senza
fermarmi un minuto. Finché non arrivò Watson. Mi
guardò con l'aria di chi
prevedeva cattive notizie.
"John, ho bisogno di un
consiglio, non allarmarti così." Lo feci sedere con la
forza, si slacciò
la field Jacket scura e ascoltò attento. Gli raccontai
tutto, come un fiume in
piena.
"Per fortuna hai detto che
non dovevo allarmarmi." Esplose alzandosi di scatto. "Per Dio, Laura,
i tuoi sospetti erano veri! Malvest è un porco infame."
Camminò, la giacca
aperta, le mani
affondate nelle tasche, cercava di riflettere. "Solo Mycroft potrebbe
proteggerti."
"Non voglio, John! Non voglio
si prenda sulle spalle anche questo. Ora sta soffrendo, non deve
tornare da me
per compassione." Mi sentivo sicura della mia scelta. "Capisci in che
situazione si dibatte? So qual è la sua
difficoltà. So cosa lo allontana da
me."
John si fermò, si
massaggiò la
nuca con forza. "Lo scoprirà, Laura, e si
arrabbierà. Sherlock tenterà di
tenerlo all'oscuro, ma c'è poco da fare con Myc. Lo sai che
controlla tutto."
Era vero, ma volevo proteggerlo,
volevo avere tempo per affrontare le sue torture.
Lo guardai sconfortata. "Non
c'era a proteggermi oggi, è evidente che ha tolto la
sorveglianza. E Malvest lo
sapeva. Ha agito sentendosi al sicuro."
John capì,
annuì lentamente, vide
la mia disperazione. "Parlerò con Sherlock."
Abbassò lo sguardo
tormentato dai
dubbi. "A volte per troppo orgoglio, in una coppia ci si perde, ed
è
quello che state facendo voi due. Tenere Myc all'oscuro di tutto
potrebbe
irritarlo di più, ma se questa è la tua
volontà, va bene, vedrò cosa posso
fare."
Aveva ragione e ne aveva da
vendere, ma l'orgoglio come diceva Watson mi impediva di correre da lui
e farmi
proteggere. Non volevo riaverlo in quel modo, costasse anche la sua
rabbia.
"Ci vediamo stasera a Baker
Street, vedi di non rimanere da sola." Mi salutò
abbottonandosi la giacca.
Mi sorrise. "Stai alla luce, ragazza." Nominò un vecchio
film horror,
che tanto mi spaventava: nel buio si nascondevano mostri oscuri che
divoravano
le loro vittime. Lo stesso che stava accadendo a me e a Mycroft.
Portai a termine un paio di
certificati di persone decedute, decisi di tornare a Baker Street
insieme a
Molly. Inventai una scusa banale, lei fu gentile, mi
accompagnò fino sotto
casa. Salii le scale, i pochi gradini che portavano all'appartamento
più
misterioso di Londra. Tutti conoscevano la fama dei fratelli Holmes.
Trovai la
signora Hudson intenta a pulire la cucina, con la musica a tutto
volume. Beata
donna! Era una forza della natura.
John mi salutò, con la
piccola
Rosie in braccio.
"Ciao, Laura." Sherlock
si avvicinò guardingo. "Stai bene? John mi ha raccontato
tutto."
"Sì, molto meglio." Lo
guardai incuriosita. Gli occhi chiari immersi in un azzurro limpido, i
capelli
neri mossi e scomposti. Non c'era nulla da dire, tutto il fascino degli
Holmes
era finito a lui.
Sembrò leggermi dentro.
"Mycroft ha altre qualità, lo sai bene Laura." Sorrise
sornione.
"So che lo ami, più di quello che si merita."
Alzai la mano e disegnai un
diniego. "Avanti, Sherlock, sai quanto è complicato stare
vicino a
lui."
Mi prese per il braccio, cosa
insolita e mi trascinò fino al camino. "Siediti e ascolta.
Malvest ha le
ore contate, non manca molto alla sua cattura. Ti ha importunato
cercando una
via di fuga. Un ultimo tentativo di corrompere Myc." Si
appoggiò allo
schienale. Prese un respiro profondo. "Forse mio fratello lo ha
giudicato
con superficialità e ha allentato la tua sorveglianza. Ma
stai tranquilla,
presto tutto finirà."
Non controllai la tensione e i
miei occhi si inumidirono. "Sai quello che gli ha fatto, vero? Penso
che
tu lo abbia capito da subito quando lo hai visto." Lui annuì
stancamente.
"Laura, lui mi ha implorato
di tacere." Due lacrime mi scesero lente, brucianti fino a cadere
giù.
"Siete sempre così
solidali
voi due, anche se continuate a provocarvi." Lo guardai sfidandolo.
"Quanto ami tuo fratello, Sherlock? Da nasconderlo così
bene, per non
dargli la soddisfazione di ammetterlo."
Lui abbassò la testa. I
capelli
gli nascosero il volto. "Edwin Malvest pagherà tutto il male
che gli ha
fatto.
Ti chiedo solo di
pazientare." Mormorò quelle poche parole quasi con timore.
"Laura,
cerca di essere forte perché sta passando un momento
delicato, e tu sei il suo
punto di rottura. Non escludo che cercherà di allontanarti
con tutte le sue
forze."
John ci portò due tazze
di tè. Ci
fu una breve pausa. Sorseggiammo la bevanda calda, mi sentii meglio.
"Lo terremo all'oscuro,
almeno per il momento. Ma presto lo scoprirà. E la sua
reazione potrebbe essere
scomposta." Appoggiai la tazzina. "So quello che vuoi dire, il fatto
che prenda dei farmaci antidepressivi non lo aiuterà di
certo."
Sherlock si avvicinò,
appoggiò la
sua tazza. "Bada Laura, lui non è quello di prima, ma vista
la sua salute
malferma per ora non gli dirò nulla. Il rischio lo correrai
inevitabilmente
tu." Scossi la testa, sapevo a cosa potevo andare incontro.
"Ti scorterà Lestrade,
con la
scusa delle tue collaborazioni al san Bart. So che è fidato
e si comporta da
gentleman." Sorrise e si lasciò andare sullo schienale. "Non
vorrai
ingigantire la gelosia di quello stupido di Myc, vero?" Ridemmo
insieme,
anche se ancora preoccupati per la piega che avevano preso gli
avvenimenti.
Divenne serio.
"Laura, sta attenta e non
girare da sola, lo so che la sorveglianza di Myc sarebbe stata
più incisiva. Ma
ora va bene così."
Nel frattempo la porta si
aprì e
comparve Mycroft, seguito da Anthea. Lei mi salutò con un
sorriso benevolo.
Holmes aveva raddoppiato le stampelle e zoppicava vistosamente.
Il ginocchio era peggiorato, era
ritornato in clinica per degli accertamenti. La sua fidata segretaria
consegnò
a Watson un referto.
Myc si trascinò vicino a
noi e
affondò sulla poltrona. Ci fissò perplesso,
spostò lo sguardo su di me.
"Beh, che state cospirando voi
due? Avete un'aria che non promette bene." Mi concesse una smorfia
ironica. Gliela restituii grande il doppio.
John agitò la mano
stringendo la
lettera. "Nuova cura vedo, Myc." Lui sbuffò e scosse la
testa.
"Il ginocchio non mi regge molto. Stasera rinuncio alla visita dai
nostri
genitori. Mi dispiace, Sherlock."
Si era rivolto al fratello
più
giovane. Lui annuii comprensivo, portò le mani unite sotto
al mento. Se lo
conoscevo almeno un po', stava elaborando un piano.
"Bene, ma noi usciamo lo
stesso, portiamo Rosie da Violet." Una fila di denti candidi comparve
sul
suo viso angelico. "Potresti rimanere una sera con Laura, cercando di
essere gentile? Si occuperà di te."
Mycroft, sembrò
sprofondare di
più, io non respirai. E Sherlock naturalmente
sogghignò. "Affare fatto
allora?" Nemmeno il tempo di replicare che era già diretto
nell'altra
stanza. John vedendo la mia faccia, rise.
"Auguri Laura, non
assassinarlo subito, dacci almeno un paio d'ore." Guardare il
disappunto
di Myc era impagabile. Il mio cuore si era fatto leggero. Passare una
serata
con lui non mi dispiaceva affatto.
Il British Government,
cercò di
aggiustarsi il colletto della camicia che sembrava stringergli troppo,
poi
rassegnato incrociò le braccia.
"Farò il possibile per
sopportarlo, state tranquilli." Watson si avvicinò mentre
indossava la
giacca.
"Mycroft, lascia che Laura ti
medichi le mani e ti sostituisca le fasciature." Lui
brontolò mormorando
che non ne aveva bisogno.
"Avanti Myc, è un medico
anche lei, non fare i capricci."
Mi sorrise mentre prendeva in
braccio Rosie.
"Lo fa sempre, si lamenta in
continuazione, tu cerca di non ascoltarlo." Baciai la testolina di
Rosie,
e li accompagnai alla porta. Holmes, seduto sulla poltrona, cercava di
darsi un
contegno tentando di afferrare il libro di Shakespeare.
Sorridemmo complici, Sherlock
gridò con la mano sulla porta. "Tratta bene Laura, cerca di
essere
gentile!" Lui sollevò la testa e arricciò le
labbra. Agitò la mano
cacciandoli via. Risero vedendomi in allarme, li spinsi fuori
farfugliando di
lasciarlo stare.
Tornai dentro decisa a tenere una
conversazione decente con l'uomo di ghiaccio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 31 *** Un armistizio precario ***
Rimanemmo soli dopo settimane di
lontananza. Mycroft, non era
cambiato molto nel modo di fare, era sempre attento nel vestire. Era
elegante
anche nella situazione delicata che stava vivendo. Indossava un
completo tre
pezzi chiaro, la camicia rigorosamente bianca. Da quando lo avevo
conosciuto
era sempre stata la sua prima scelta. La cravatta marrone, spinata,
annodata
alla perfezione fermata dalla spilla argentata. Solo i calzoni sul
ginocchio
erano sformati, probabilmente per una fasciatura.
Lo avvicinai con le mani alte, in
segno di resa.
"Perché non ti metti un
po'
comodo, ci siamo soltanto noi due."
Lui mi fissò allibito.
"Dovrei apparire trasandato? Lo sai che non mi piace."
"Perché non allenti la
cravatta, indossa un maglione comodo e più caldo." Gli
indicai il mio
cashmere azzurro.
Sembrò inorridire. "Per
favore, Laura, va bene così!" Sospirai, con lui la battaglia
sull'abbigliamento era già persa in partenza.
"Posso sedermi?" Annuì
rassegnato dalla mia presenza.
"Certo, non sono così
maleducato." Mi accomodai alla sua destra e presi il libro caduto a
terra.
Glielo porsi, un gesto per
invitarlo a reagire, infatti sbuffò avvilito. "Ci sarei
riuscito
anch'io."
"lo so è stata solo una
gentilezza." Grugnì, gli comparve una smorfia di dolore
mentre cercava di
sistemare la gamba. Strinsi le labbra dispiaciuta per quella improvvisa
sofferenza. Cercai di essere accomodante. Mi sistemai le maniche della
maglia,
che si erano accorciate nel prendere il libro.
"Come va il ginocchio? Non
bene visto il dolore che ti provoca."
"Ma guarda! Cos'è, una
deduzione? Certo che fa male, grazie." Mi fissò stringendo
il libro con
troppo vigore, cercò di aprirlo, ma con le mani in quelle
condizioni finì per
arrendersi.
Era irritante, ma sapevo bene
perché la mia vicinanza lo mettesse a disagio.
Mi sistemai nella poltrona,
cercando una posizione migliore. La sofferenza che aveva provato era
quanto la
mia nel vederlo chiudersi di nuovo nella sua solitudine. Non voleva la
mia
pietà anche se mi faceva male ammetterlo. Lo ignorai
volutamente, mi alzai
presi il contenitore dei giocattoli di Rosie che avevo giudicato
dell'altezza
giusta, lo sistemai di fronte alla poltrona.
"Ora ci metterai la gamba e
la terrai distesa." Gli indicai il cubo dei giochi con aria perentoria.
"Non dire niente, altrimenti la prendo e ce la sbatto sopra. Ok?"
Ricevetti uno sguardo truce, ma
capitolò, cercò di alzarla, il dolore lo fece
desistere.
Mi avvicinai, gli piantai gli
occhi addosso e visto che non diceva nulla, presi delicatamente la
gamba e
gliela sistemai sul supporto improvvisato.
Strinse i denti, cercando di non
darmi la soddisfazione di mostrarmi la sua difficoltà. Si
appoggiò con la nuca
sulla spalliera e chiuse gli occhi. Certo soffriva e non riusciva a
mascherarlo. Mi concesse tacitamente di accudirlo. Gli tolsi la scarpa
elegante
e costosa dove sacrificava il suo piede gonfio e parzialmente fasciato.
Non
riuscivo a capire come potesse sopportare quel tormento.
"Portare una calzatura
più
comoda non sarebbe il caso?" Lo redarguii mantenendo la voce gentile
per
non innervosirlo.
"Non per me, sai che mi piace
vestirmi in modo consono."
"E il risultato è la
caviglia
gonfia. Devi stare con la gamba in alto. Stubborn english man!"
Il risultato fu la riapertura di
un occhio solo con cui mi fissò ironico. "Hai migliorato il
tuo inglese?
Ma la pronuncia è ancora lontana dall'essere perfetta."
"E infatti voglio si senta
che ho origini italiane." Mi stampai in volto un sorrisetto ironico.
Accennò una risata, era
qualcosa.
"Va bene se è una tua scelta. Stubborn italian woman."
Naturalmente il suo timbro
così
British mi scaldò il cuore. Mi guardò indulgente,
e ne approfittai subito.
"Ti alleggerisco la gamba,
non andare in allarme." Mi sedetti di fronte prima che potesse
protestare.
Presi il piede con lentezza, tolsi le calze, lo massaggiai piano
evitando le
ferite sulle dita. Gli mancavano le unghie. Tremai pensando al dolore
che aveva
patito quando gliele avevano strappate.
Forte del fatto che non
protestasse e mi considerasse un alieno che invadeva il suo pianeta
deserto
cercai di vedere se riuscivo a farlo parlare.
"Ti hanno fatto lo stesso
trattamento delle mani, vedo. Ma il ginocchio, perché? Sei
ferito?"
Corrugò la fronte, gli
occhi
divennero due linee sottili. Era in allarme, dal tremore della mano
appoggiata
al bracciolo capii che aveva paura che gli chiedessi di più
del consentito, che
invadessi la sua zona confort dove non permetteva a nessuno di entrare.
Ma si arrese, consapevole che due
mesi prima, eravamo stati molto vicini e mai lo avevo deluso.
"Una bastonata. Me lo hanno
rotto." Gli scivolò la frase in un soffio. Non sollevai la
testa e
continuai a occuparmi della sua caviglia gonfia. Sembrava cedere un po'
del suo
orgoglio. Continuai cercando di stimolarlo.
"Un dolore devastante, come
hai potuto sopportare?" Scivolò verso il basso, la schiena
incurvata.
"Non ho sopportato. Ho
gridato...molto...e vergognosamente... e sono svenuto. La mia mente mi
ha
tradito non controllava più il corpo."
Chiuse gli occhi. Delle rughe
profonde comparvero sulla fronte. "Mi avevano legato ad una sedia di
metallo, muovevo troppo la gamba cercando di sottrarmi alle percosse."
Il suo petto si sollevò
in un paio
di respiri profondi. Cercai di modulare la voce, anche se dentro
vacillavo.
"Nessuna mente può
controllare una tortura del genere, Myc, forse sei umano anche tu." Non
si
spostò di un centimetro. Si chiuse a riccio,
tossì un paio di volte.
"Laura, ceniamo, non voglio parlarne...Non ora ti prego."
"Scusami, stai sereno. Ti
preparo la cena." Gli infilai il calzino costoso e chiusi il discorso.
"Cosa ti hanno detto del
ginocchio?" Avevo nuovamente la sua attenzione, riaprì gli
occhi.
"Di stare a riposo per un
paio di giorni, ho forzato troppo. Mi hanno aumentato gli
antidolorifici."
Gli accarezzai la caviglia.
"Ti porto le pantofole, rimani qui tranquillo. Leggi il tuo libro."
Alzò la testa, gli occhi
addolciti
e mi sembrò il Mycroft gentile di tempo addietro. "Non ho
molta
fame..."
"C'è qualcosa che
vorresti?" Cercai di essere accomodante.
"Una delle tue zuppe famose,
Laura."
Risi divertita. "Te ne
ricordi ancora? Va bene, si può fare, vedo se John ha quello
che mi
serve."
Dondolò la testa di lato
e mi
fissò. "Bene, è l'unico cibo che mi sento di
mangiare stasera.
Scusami."
"Cercherò di
accontentarti,
ma tu sforzati un po'."
Si era calmato, era sereno,
avevamo avuto il primo colloquio normale e una parziale ammissione
delle
torture subite. Pensai che mi avesse concesso molto.
Mi avviai verso la cucina con il
cuore in subbuglio. La giornata era stata piena e con lui in quelle
condizioni
mi sentivo persa. Mi distruggevo dentro, tra la rabbia di soccorrerlo e
quella
di picchiarlo per la sua freddezza. Lavorai con calma, ogni tanto lo
guardavo.
Cercava di leggere, ma spesso finiva per appoggiarsi e chiudere gli
occhi
spossato.
Cucinai tesa, ma alla fine ottenni
una zuppa cremosa e delicata.
"Mycroft, è in tavola.
Ce la
fai?" Fu una domanda stupida, perché di certo non si sarebbe
fatto
aiutare.
Dopo un paio di tentativi si
alzò
e riuscì a trascinarsi con le due stampelle fino alla
tavola. Si accomodò, mal
celando una smorfia. Fu stranamente gentile. Gli occhi per pochi
secondi mi
sembrarono velarsi. "Mi dispiace di non averti potuto aiutare. Mi piace
cucinare con te, Laura."
Un'ammissione che non mi
aspettavo.
"Beh, magari quando starai
meglio faremo una cena completamente italiana."
Sorrise, una piccola
impercettibile concessione.
Gli porsi il piatto e
cominciò
lentamente a mangiare. Reggeva le posate con difficoltà, ma
mi guardai bene
dall'invadere i suoi spazi. Alla fine sembrò soddisfatto.
"Beh, dottoressa Lorenzi, sei
stata all'altezza, un piatto semplice che mi ha fatto venire appetito."
Appoggiò il cucchiaio, si pulì con il tovagliolo.
"E' un periodo
difficile, non ho mai molta fame."
Mi versai un po' di vino e riempii
anche il suo bicchiere. "Sono contenta che tu abbia mangiato qualcosa,
sei
dimagrito e dovresti recuperare."
Strinse le labbra e
appoggiò la
mano sulla tovaglia. "Lo so, ho perso peso, ma spero di rimettermi
presto." Sospirò. "L'unico cibo che mi passavano in quel
buco di
prigione era una ciotola di acqua e patate bollite." Faticava a
guardarmi
negli occhi. Abbassava spesso la testa, per nascondere l'imbarazzo, lui
che era
stato sempre altezzoso e fiero.
"Mycroft, puoi guardarmi.
Sono sempre io, Laura. Ti faccio così paura ora?"
E fu un errore madornale, si
arroccò in difesa, alzò le barriere a protezione
della sua debolezza. "Non
ho paura di te, cosa te lo fa pensare? Ti credi così
importante?" Lo
sibilò con cattiveria e mi puntò gli occhi grigi
addosso.
Mi arresi, senza condizioni.
"Scusami, non volevo farti arrabbiare. Volevo aiutarti. È
stata una
battuta infelice." Avevo perso la piccola apertura che mi stava
concedendo.
"Chissà
perché volete tutti
aiutarmi! Forse qualcuno si è mai occupato di me prima?"
Piantò la mano
fasciata sul tavolo, con troppa violenza.
"Non permettevi a nessuno di
avvicinarti. Per Dio, Mycroft, ti vogliamo bene, è
semplicemente questo il
motivo." Sbottai, spingendo indietro la sedia.
Brontolò,
cercò di alzarsi, ma
barcollò. Temendo che cadesse, lo aiutai. Lo presi per la
vita e lo tenni
dritto. "Guarda che lo faccio solo perché ho promesso a
Sherlock di farti
arrivare vivo a sera. Non prenderlo come un gesto di affetto."
Fui acida e cattiva per
proteggerlo dalle sue insofferenze. Lo strinsi accorta, mentre si
sistemava le
stampelle e acquistava forza.
Non replicò, quando lo
vidi
stabile lo lasciai. "Sei un uomo impossibile, Mycroft Holmes." Mi
allontanai mentre lui sbuffava, gli occhi rivolti in alto.
"Sparecchio in fretta e ti
sistemo le fasciature alle mani, poi sei libero di andare a letto." Non
mi
voltai nemmeno a guardarlo. Lo sentii trascinarsi fino al camino. lo
osservai
di sottecchi mentre sistemava la gamba sul rialzo.
Il suo modo di fare era
devastante, non mi permetteva nessun accesso. Sembrava un perfetto
sconosciuto.
Mi mancava la sua ironia, quella sua aria bonaria, quel volto che mi
guardava
preoccupato e protettivo. Sarei stata al suo fianco sempre, se solo me
lo
avesse permesso. Ma Mycroft era cambiato, stentavo a riconoscerlo.
Eppure,
sapevo cosa lo tormentava. Finii per distrarmi, mi cadde un bicchiere
che andò
in pezzi
Lui alzò la testa, e mi
guardò
mentre raccoglievo i cocci.
"Non ti taglierai,
vero?" Grugnì. "Laura, sono io quello che deve essere
medicato, non
tu." Sorrisi e quella battuta, mi alleggerì il cuore.
"Starò attenta. Non
vorrei
morire dissanguata nella cucina di tuo fratello. Potrebbero pensare che
sia tu
l'assassino."
Rise sommesso. "Potrebbero,
sì." Tornò al suo libro e io pulii il mio danno.
Più tardi lo raggiunsi
con il
necessario per medicarlo, avvicinai il tavolino che c'era tra le due
poltrone.
Mi passai la mano sulla nuca indolenzita, cominciavo ad avvertire tutta
la
stanchezza della giornata. Aggrottò le sopracciglia e mi
studiò.
"Sei stanca, Laura? Mi
dispiace che Sherlock ti abbia costretta a fare tardi con me."
"Non preoccuparti,
recupererò
la stanchezza con una bella dormita." Intravidi in lui una parte di
quel
Mycroft tanto amato: gentile e premuroso.
"Bene, appoggia il tuo libro
e sistemiamo le tue mani. La ferita alla fronte la lasciamo per domani."
Fece una piccola smorfia,
infilò
il libro sul fianco della poltrona e distese le mani.
Tolsi le bende con delicatezza,
era teso quanto me. Mascherai bene la mia inquietudine, ma quando le
scoprii,
mi smarrii. Come sospettavo gli mancavano le unghie: un paio a destra e
tre a
sinistra. La mano di sinistra aveva un profondo taglio sul dorso che la
trapassava.
I miei occhi si fecero lucidi. Le
sue belle mani, delicate e pallide, erano ora gonfie e scure.
Balbettò, scusandosi.
"Non ti
crucciare, Laura, guariranno, è per questo che non volevo
che ti occupassi delle
mie ferite." Annuii cercando di darmi un contegno. "Ti faccio stare
male e non volevo succedesse."
Le ritrasse, tremando,
abbassò lo
sguardo.
Mi diedi della stupida, non era
così che lo aiutavo, eravamo quasi in sintonia, fui sincera.
"Scusami, so
che non vuoi dell'inutile pietà. Non si ripeterà
lo prometto."
Prese fiducia e le
appoggiò sul
tavolino. Si lasciò andare alle mie cure. Un paio di volte
si contrasse per il
dolore, mi fermai e lo lasciai riprendere fiato. Disinfettai e pulii
bene,
senza mai guardarlo. La ferita nel centro mi preoccupò un
po'.
"È arrossata e profonda,
cerco di fasciartela stretta." Non so perché decise di
raccontarmi di
quella ferita brutale.
La voce era piatta, come se
cercasse di mascherare il disappunto di quel ricordo angoscioso.
"Volevano le informazioni e
la password del portatile. Prima furono quasi maldestri, mi strapparono
le
unghie una alla volta, cominciando dai piedi. Ma ressi bene, almeno per
un po'.
Persi il controllo quando arrivarono alla mano sinistra, non riuscivano
a
tenerla ferma."
Lo sentii ansimare, gli diedi
tempo. Aspettavo con la testa china mentre gli stringevo la fasciatura.
"Mi piantarono il coltello
sul dorso e la inchiodarono al tavolo di legno." Fece una smorfia
ironica.
"Rimasi fermo per forza, il
dolore della ferita superò la rimozione delle unghie." Il
suo bel viso era
percorso dalla rabbia.
"Mi torturarono senza
pietà
per il gusto di farlo." Sistemai la benda e tremai, sapendo bene chi
avesse ordinato quelle crudeltà laceranti.
Non riusciva a compensare, il
fiato gli si era fatto corto, allora mi fermai cercando di non andare
oltre.
"Starai bene, Myc le unghie
ricresceranno più forti di prima e la tua bella mano
tornerà come nuova."
Annuì sollevato che avessi finito la mia cura.
Ordinai il tavolo, lo vidi
prendere il libro, cercare di alzarsi afferrando le stampelle per
andare in
camera.
"Aspetta le medicine, poi sei
libero." Presi la vaschetta che mi aveva lasciato John. Conteneva sei
capsule diverse, alcune per il dolore, antiinfiammatori, antibiotici,
vitamine
e per ultima un antidepressivo.
Mi urtò vedere che
glielo avevano
prescritto. Una medicina che influiva sul suo umore non era certo un
bene per
quella mente acuta che aveva. Forse era questo che lo rendeva
così irritabile e
scontroso. Fui combattuta, ma decisi di chiederglielo.
"Mycroft, perché ti
hanno
prescritto degli antidepressivi? Che ti succede?" Mi fissò
sulla
difensiva, seccato era dire poco.
"Mi aiutano a superare
l'ansia e gli attacchi di panico. Non riesco a dormire molto." Presi il
bicchiere d'acqua e glielo porsi. Lui buttò giù
tutto in un fiato.
"Scusa era solo per capire
quanto fossi coinvolto, so che non ti piace limitare la tua mente." Mi
restituì
il bicchiere, la mano tradiva un leggero tremolio.
"Mi limitano molto, ma devo
obbedire anche se a volte mi sento...irascibile e confuso." Ora capivo
meglio il suo stato. Ma sapevo che erano necessarie.
"Chi ti segue, sa quello di
cui hai bisogno."
Sorrise tristemente, prese le due
stampelle. "Mi spiace, ma ho certi obblighi e farmi curare dal team dei
medici del governo è uno di questi." Con
difficoltà, prese il suo libro
prezioso che mesi prima era stato il nostro punto di unione.
"Bene, ora hai sodisfatto la
tua curiosità. Posso andare?" Fu brusco. Tornò il
Mycroft irritante e
sgarbato, lo sconosciuto perfetto. Abbassai la testa, consapevole di
avere
davanti una personalità altalenante che soffriva per i
farmaci e per le
violenze subite che non riusciva a compensare.
"Sono troppo invadente, hai
ragione. Dormi bene." Mantenni la giusta distanza.
"Buonanotte, Laura. Riposa
anche tu, ti ho stressato abbastanza stasera. Faccio da solo, non
preoccuparti.
E grazie."
Fu gentile: Mycroft era il
risultato di una accozzaglia di comportamenti contrastanti che
cambiavano in
fretta.
Avrei voluto dargli un bacio su
quelle labbra screpolate, un abbraccio, una carezza, stringerlo
così forte da
soffocarlo, per farlo sentire al sicuro. Ma rimasi ferma, di pietra,
muta,
stupidamente incartata in una disperazione lacerante.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 32 *** Mycroft è furioso ***
Quando sentii rincasare John e
Sherlock, ero nella mia camera. La
giornata era stata pesante, infilai il vecchio pigiama svogliata e mi
lasciai
andare nel letto. Mi voltai a fissare la lampada accesa sul comodino.
La mente
mi restituì impietosa le immagini delle mani ferite di
Mycroft, il tormento del
suo volto, la devastante confessione delle torture.
Le lacrime scesero lente, il mio
corpo avvertì le sevizie che avevo patito in Italia. Sentii
il dolore delle
costrizioni. Lo schifo che avevo subito. Mi resi conto che Malvest
aveva fatto
lo stesso con lui, lo aveva devastato fisicamente e moralmente. Ero
certa che
se non fosse riuscito a decomprimere il suo calvario, non mi avrebbe
permesso
di avvicinarlo e la nostra storia sarebbe finita.
Con la testa affondata nel
cuscino, soffocai un singhiozzo. "Ti amo, stupido uomo di ghiaccio,
come
puoi non capire?"
Mi addormentai spossata e mi
svegliai il mattino seguente nella stessa posizione. Iniziava un'altra
giornata
da portare a casa.
Assonnata indossai i miei jeans
preferiti, una camicia colorata e un comodo maglione blu.
Quando scesi cercai con lo sguardo
Mycroft. La porta della sua stanza era chiusa, evidentemente riposava
ancora.
Sherlock stava accudendo Rosie nella sua cameretta.
John mi guardò
incuriosito mentre
preparava la colazione.
"Allora, Laura, come è
andata
ieri?" Gli raccontai della serata decente che avevamo passato, della
piccola apertura che mi aveva concesso. Del suo comportamento
altalenante.
"Penso che i farmaci non lo
aiutino molto. Ha sbalzi di umore troppo rapidi." Watson
annuì. Poteva
capire che il suo comportamento non fosse normale, perché lo
conosceva bene.
"John aiutalo tu, io devo
lavorare, cerca di farlo riposare."
Si rigirò fra le dita
l'orologio
da polso mentre lo allacciava. "Laura, va tranquilla, ma sai
quant'è
testardo." Mi versò del caffè.
"Scusami, sono troppo
apprensiva, ma vederlo così mi fa male."
Arrivò Lestrade, vidi
l'auto sotto
casa. Buttai giù il caffè, indossai il cappotto e
scesi rapida.
"Ciao, Lorenzi, sali."
Era alla guida di un'auto anonima. Aprii e mi accomodai al suo fianco.
"Come stai? Brutta storia con
Malvest. Sherlock ha detto che se ne occuperà, intanto ti
tengo d'occhio."
Lo guardai divertita. Aveva quel piglio deciso e alla mano che era
esattamente
il contrario di quello di Holmes.
"Sto bene, ma se non puoi
venire vedo di tornare con qualcuno." Brontolò. "Abbiamo
altre auto
di servizio per proteggerti, non c'è solo il British
Government."
"Ok, ti prendo in
parola." Lo rassicurai stringendogli la mano sulla spalla e sorrisi
vedendolo guidare preoccupato.
Il viaggio fu breve, lo salutai e
mi avviai al san Bart. Ligio al suo compito aspettò che
entrassi. Era una brava
persona, la sua schiettezza era disarmante.
Molly era già al lavoro,
un caso
importante la trattenne per oltre due ore, la aiutai e immagazzinai
tutto
quello che potevo. Era la più giovane patologa di Londra,
preparata e
competente.
Non potevo che ammirarla.
"Crescerai Laura, la stoffa
la possiedi. Abbi più fiducia in te stessa." L'abbracciai
riconoscente.
"Grazie Molly." Mi chiese di Mycroft. Le raccontai lo stretto
necessario, tralasciando gli abusi.
Uscimmo per pranzare insieme, ne
approfittai per non rimanere da sola.
Solo nel primo pomeriggio, Hooper
dovette andare a Scotland Yard per una consulenza.
Non dissi nulla di Malvest per non
preoccuparla. Ma quando tornai, mi chiusi inquieta dentro al
laboratorio.
Stare sola non mi piaceva, ma
presa dal lavoro presto l'ansia mi abbandonò.
Sembrava una giornata tranquilla,
quasi noiosa.
E invece.... tutto
precipitò
quando verso le tre del pomeriggio, sentii bussare alla vetrata e vidi
comparire Mycroft. Si reggeva pesantemente sulle due stampelle. Aveva
il volto
indurito, la maschera che usava con le persone che detestava.
Gli aprii sorpresa. "Ma che
fai qui? La parola riposo non ti dice nulla? Vuoi compromettere il
ginocchio?"
Fissai Anthea che lo seguiva
defilata, la faccia più scura di quella del suo capo, la
mano che tamburellava
sul cellulare. Allargò le braccia.
"Avanti, Laura, sto bene, non
farmi la paternale! Devo andare in quella specie di ufficio." Mi
superò senza
darmi il tempo di spostarmi, sospettai che fosse arrabbiato e che ce
l'avesse
proprio con me.
Mi assalì una
frustrazione
profonda, fui acida e lo rimproverai.
"Vediamo come finisce
stasera, quando il ginocchio ti presenterà il conto! Guarda,
Mycroft, fai pure
quello che credi, ma non aiuti nessuno a comportarti così.
Sei presuntuoso e
arrogante." Non riuscii a controllarmi e me ne pentii immediatamente.
Mi guardò velenoso,
accennò un
movimento con le labbra, ma si trattenne. Si voltò, strinse
le mani sulle
stampelle così forte che le nocche sbiancarono.
Lo avevo offeso, zoppicò
indignato
fino al suo ufficio. Provai un rancore profondo per quel suo
comportamento
irresponsabile.
Anthea mi appoggiò la
mano sul
braccio solidale. "Ha una brutta giornata. Gli hanno consegnato dei
rapporti che lo hanno messo di cattivo umore. E ha voluto venire al san
Bart."
Lo accompagnò nel suo
studio e se
ne andò mezzora dopo, contrariata, lanciandomi uno sguardo
confuso.
Non avevo prestato molta
attenzione alle loro discussioni. Certo qualcosa era successo. Per un
secondo
ebbi la sensazione che lui sapesse di Malvest.
Un presentimento che si
avverò
pochi minuti dopo. Mycroft si avvicinò alla porta del
piccolo ufficio, con
un'aria che non lasciava intendere nulla di buono.
Mi chiamò perentorio
come fossi un
suo sottoposto. "Lorenzi vieni, voglio parlarti."
Fui infastidita che mi avesse
chiamato con il mio cognome, sospettai che fossero guai.
Non riusciva a stare in piedi, si
sedette dietro alla scrivania appoggiando le mani fasciate ai braccioli.
"Che c'è? Non sono
più
Laura?" Mi stringevo nel camice, cercando un'inutile protezione. "Mi
devi sgridare?"
Faticava a trattenersi, la sua
voce fu brusca e sgarbata.
"Non provare più ad
offendermi davanti ad Anthea! Bada Laura, non prenderti delle
libertà che non
hai."
Rimasi senza respiro, era adirato,
ma ancora si conteneva.
Non era il mio Mycroft. Mi
balzò
il cuore in gola, il suo modo di fare canzonatorio era sparito, la sua
ironia
aveva lasciato il posto alla crudeltà dei suoi occhi. Ebbi
paura e mi tenni
distante.
"Scusami." Sussurrai
pentita, mantenendo un tono distensivo.
Lui non si acquietò.
"Lorenzi, se non hai capito, sono un uomo con delle
responsabilità! Non
trattarmi come uno stupido bambino! Non sono il tuo giocattolo da
ragazzina
viziata. Ti ho concesso la mia attenzione, non farmene pentire!"
Non risposi, impreparata dalla sua
sfuriata.
Persi la fiducia, tutta la
sicurezza che avevo riposto in lui sparì bruciata in pochi
secondi. Arretrai di
un passo. Se ne avvide, ma non si fermò.
Non riusciva a contenere la sua
ira, lui che sapeva gestire così bene le emozioni era
totalmente fuori
controllo.
"Perché non mi racconti
di
Sir Malvest? Visto che sei così dannatamente presuntuosa da
avermelo tenuto
nascosto. E hai assurdamente coinvolto mio fratello, trascinandoti
dietro anche
Lestrade." Alzò troppo la voce, lo sguardo fisso su di me.
Balbettai allo sbando. "Non
so come tu lo abbia saputo."
"Le telecamere, ti
ricordi?" Portò il busto in avanti irritato da tanta
ignoranza. I gomiti
piantati sulla scrivania, le mani giunte.
Il suo comportamento pacato e
misurato era totalmente assente. Non era l'uomo che mi aveva
teneramente
baciato settimane prima.
Dovevo reagire, correre qualche
rischio, vedere fin dove potevo spingerlo. "Allora, Myc, se hai visto
le
registrazioni, sai cosa è successo!"
Sbuffò e si
riappoggiò allo
schienale. "Ma non so cosa ti ha detto!" Aveva allentato la presa.
Dovevo trascinarlo dove volevo io,
metterlo davanti alla verità. "Perché dovrei
dirtelo? Visto che non l'hai
tolto di mezzo e mi hai gettato fra le sue viscide braccia."
"Laura!" Batté le mani
fasciate sul tavolo, incurante del dolore che gli provocarono. Gli
occhi grigi
erano diventati scuri.
"Non si tratta di te,
Mycroft! Vuole me adesso. In tutti i sensi." Sibilai rabbiosa, mentre
mi
sentivo sprofondare in quella lite che ci allontanava sempre di
più.
Lo vidi annaspare, ma si riprese
subito. "Non fare la stupida, sa che ti frequento ancora,
perché dovrebbe
intromettersi?"
"Mi vuole allontanare da
te." Mi fermai, sapendo che lo avrei ferito rivelandogli quello che mi
aveva fatto intendere Malvest. Ma ero stanca di trovarmi coinvolta in
una
situazione pericolosa, dove suo malgrado, mi aveva trascinato anche
lui.
"Non fare lo sprovveduto Myc, sai bene quello che mi ha detto. Non hai
la
fama di Smart One?"
Socchiuse gli occhi, le labbra
strette. Le mani gli tremarono, le nascose rapido sotto la scrivania.
Aveva capito.
Era percorso dal rancore, sia
verso di me che non lo assecondavo, che dall'umiliazione che gli aveva
imposto
Malvest. Faticava a reggere tutto insieme. Cercai di essere
più dolce.
"Mycroft, ti ha fatto
seviziare per vendetta personale nel suo contorto ragionamento che ti
avrei
lasciato e avrei cercato la sua protezione."
Cercava di ragionare velocemente,
di capire dove aveva sbagliato, le mani ferite erano aggrappate ai
braccioli
della poltrona. Rincarai le accuse, sentendomi lacerata per la sua
assenza.
"Hai fatto il suo gioco, mi hai allontanato. E mi hai tolto la
sorveglianza."
Lui tossì, prese un
respiro
profondo.
Abbassò la testa,
sibilò a denti
stretti. "Quindi ieri sera sapevi già tutto, e non hai detto
nulla."
Annuii, decisa a continuare.
"Sì, dovevo rispettare i tuoi tempi. Dovevi essere tu a
dirmelo."
Cercai di addolcirlo e replicai prontamente.
"E' questo il
motivo per cui mi hai allontanato?"
Alzò la testa, esitava,
si passò
la mano fasciata sulla fronte. Gli tremò la voce. "Tu hai
bisogno di un
uomo al tuo fianco. Dopo le torture che ho subito, non sono
più quello che
conoscevi."
Esplosi seccata, incapace di
capire i suoi contorti ragionamenti da maschio.
"Chissà
perché tutti e due pensate
che mi dovete scopare: tu che ti logori perché non riesci, e
lui per la sua
perversione."
"Laura, sei volgare, non
è da
te." Sbraitò indignato, ma sapeva che era vero.
"Per Dio, Mycroft! Mi hai
allontanata soltanto perché non puoi soddisfarmi
sessualmente. È
incredibile." Mi avvicinai affranta. "Te l'ho mai chiesto? Ti ho
forse detto che era indispensabile il sesso per continuare a
frequentarci?"
Si sollevò inclinandosi
in avanti,
ribadì tutta la sua convinzione. "Una coppia lo desidera,
come puoi pensare
che io limiterei la tua vita con la mia impotenza."
"Basta Myc! Sapevi quello che
avevo patito in Italia. Non ti ho mai chiesto notti di fuoco, ma amore,
rispetto, tenerezza e condivisione." Esasperata, al limite della
sopportazione, persi il controllo.
"Non sei diverso da Malvest!
Mi volete possedere come fossi un oggetto! Sono Laura, guardami."
Era immobile, ansimò
scomposto
incapace di riprendere un minimo di equilibrio mentale.
Ci fu un silenzio aspro, nessuno
dei due continuò.
Io tremavo nella concitazione
della mia difesa, sembravo una scolaretta in punizione di fronte alla
sua
scrivania.
Mycroft ebbe un moto di disgusto,
le mani nervose stropicciavano i fogli davanti a sé, che
probabilmente erano il
resoconto di quello che i suoi agenti avevano scritto sui miei
movimenti.
Avrebbe potuto abbozzare, invece
non era soddisfatto, mi attaccò nuovamente.
Ero consapevole che non riusciva a
perdonarsi di essere tornato cambiato fisicamente e di aver fallito con
Edwin.
Riprese quel tono asciutto,
indispettito, che non mi piaceva.
"Disobbedire è una tua
costante! Dovevi dirmi subito quello che era successo! Ma sei stata
presuntuosa. Se sono qui a penare con il mio ginocchio è
perché non potevo
affrontarti a Baker Street e farti fare la figura della stupida."
Lanciò i
fogli sulla scrivania che si sparsero ovunque.
Ero stanca, quella discussione non
ci portava a nulla. Mi passai la mano sulla fronte, cercando di
ritrovare un
minimo di forza.
"Non volevo obbligarti a
riprendere un rapporto che non volevi continuare! Ne volevo che ti
sentissi
forzato a proteggermi."
Ero dritta in piedi al centro del
piccolo ufficio, feci un piccolo passo in avanti, ma lui era glaciale...
"Laura, non ti avevo promesso
nulla, ero stato chiaro!" Sbottò acido.
"È vero, ma avremmo
potuto
ricominciare. Myc, mi hai ostinatamente ignorato senza spiegarmi nulla."
"Te l'ho detto, non c'era
nessun obbligo tra noi. Tu correvi troppo velocemente." La sua voce mi
feriva, eppure continuavo a difendere quel poco che restava di noi.
"E quei baci che ci siamo
scambiati? Non dirmi che non sentivi nulla! Hai ammesso che mi amavi."
"È stato prima che
partissi,
ora è tutto diverso, sai quello che ho patito e quello che
penso del nostro
rapporto." Fu leggermente morbido.
"Quindi mi allontani per la
tua virilità? Non pensi che posso amarti così
come sei?" Mi sentii
umiliata e incompresa.
"Io ti ho concesso il mio
amore incondizionato, quando sapevi bene che non sono integra come le
altre
donne che ti sei sbattuto!" Gridai furiosa, pensando che tutto si
riduceva
alle lenzuola arruffate di un letto.
"Non sei diverso da quel
porco schifoso di Malvest, non ti salvi nemmeno tu, Mycroft, che ti
ritieni
così intelligente." Rimasi immobile aspettando la sua
reazione.
Si alzò trascinato dalla
rabbia,
non prese nemmeno le stampelle. Zoppicò fino a me.
Arretrai, il suo viso non era
quello che conoscevo, dolce e amorevole. Raramente si lasciava
trasportare
dalla collera, feci un passo indietro, arrivai con le spalle al muro,
impaurita
dal suo sguardo pieno di rancore. Ormai mi sovrastava.
"Laura, non offendermi
ancora, la mia pazienza ha un limite!" Le sue mani erano contratte,
strette in due pugni pericolosi. Lo sentivo vibrare di rabbia repressa.
Era troppo vicino. Ero
terrorizzata, delusa, smarrita dal suo attacco. Eppure gli tenni testa
decisa a
spingerlo al limite. Volevo capire se si sarebbe fermato. O lo avrei
perso per
sempre.
Fui tagliente, le mie braccia
vibravano distese lungo i fianchi. "Il tuo non può essere
amore. Ho
sbagliato a fidarmi di te. Non mi importa del sesso e non mi
ripeterò più. Ti
amo per quello che sei ora. Non ho bisogno d'altro."
Eravamo così vicini da
sfiorarci,
il suo corpo teso a pochi centimetri dal mio.
"Colpiscimi Mycroft! Non
farò
nulla per difendermi se questo fa accrescere il tuo ego maschile.
Infondo sono
abituata alla violenza degli uomini che non hanno avuto rispetto della
ragazza
innocente che ero."
Le lacrime mi scesero dolorose e
impetuose, ero in suo potere.
Non avevo difese, gemetti
rassegnata. "Avanti, Ice Man, fammi vedere come si addomestica una
stupida
ragazza che ti ha dato il suo cuore."
Rimasi paralizzata, pronta subire
come era successo anni prima, quando ero diventata un oggetto nelle
mani dei
miei aguzzini...
Mycroft si era fatto pallido, era
pietrificato di fronte a me. Un silenzio irreale pulsava con i nostri
cuori,
avvertivamo i nostri respiri che ansimavano e crescevano, intrecciando
strisce
di dolore che riempivano la stanza e ci costringevano a guardarci
dentro.
Come se un'onda di deliro fosse
passata su di noi a lambirci entrambi, lui tremò,
sussultò, abbassò lo sguardo.
Allargò le mani come se si risvegliasse da un sogno. Le
fasciature saltate e
insanguinate.
"Dio, cosa mi sta
succedendo!" Gli rotolò sulle labbra una presa di coscienza
devastante,
cercò aria, si portò le mani sul volto.
Singhiozzò, si voltò e barcollò fino
alla scrivania dove si resse letteralmente.
"Io non sono questo, io non
sono così..." Balbettò incespicando in quelle
poche parole. Le mani aperte
sul tavolo, la testa china, tutto il peso del corpo sulle braccia.
Tossì e
tossì, cercando aria.
Ero troppo sconvolta per
avvicinarlo, benché lo vedessi in difficoltà, la
tensione mi fece crollare in
un pianto disperato. La paura che avevo provato mi gettò
letteralmente nel
panico.
Lo lasciai da solo e corsi in
bagno.
Mi rinfrescai il viso sotto
l'acqua fresca, mentre piangevo senza freno. Crollai sul pavimento con
l'angoscia nel cuore, la testa vuota.
Avevo concesso la mia fiducia, i
miei ricordi, la mia stessa vita ad uno sconosciuto.
Stupida, ero stata
stupida!
Certo avevo avuto le mie colpe, ma
non avrei mai immaginato di avere paura di Mycroft Holmes.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 33 *** Niente è perfetto nemmeno l'amore ***
Rimasi
seduta sul pavimento del
bagno con lo stomaco in subbuglio. Avevo asciugato le lacrime, ma non
riuscivo
ancora a calmarmi, il dispiacere che provavo era forte. Presi a tremare
mi
accorsi di essere allo sbando.
La
consapevolezza che Mycroft
fosse il nemico mi soffocava. Eppure non potevo credere di essermi
sbagliata su
di lui. Non c'era niente di Myc in quell'uomo che mi aveva spaventato
poco
prima. Quello che era ritornato dalle torture non era il mio irritante,
ma
gentile Holmes. La persona premurosa che mi proteggeva comunque andasse
tra
noi. Era uno sconosciuto di cui avevo paura. Cercai di alzarmi, ma le
gambe non
mi reggevano.
Sentii
lo strascicare delle
stampelle accompagnate dai suoi passi, mi tirai indietro. La porta era
socchiusa, mi riparai dietro quella debole difesa.
"Laura,
non temere non mi
avvicino. Dimmi solo se stai bene, solo questo." Parlava a voce bassa,
lentamente, aveva perso la sua autorevolezza. Si interruppe, lo sentii
respirare con difficoltà.
"Sta
arrivando Anthea, avrà
cura di te." Ascoltavo dispiaciuta e allo stesso tempo arrabbiata.
Insisteva quasi supplicante. "Ti prego, rispondimi, dimmi che stai
bene.
Non me ne andrò se non ti sento."
Mi
feci forza, addolorata nel
sentirlo così abbattuto. "Sto bene, sto meglio." Cercai di
essere
convincente nella stupida idea di tranquillizzarlo.
Il
suo tono si fece rassicurante,
riconobbi la dolcezza dei primi tempi.
"Laura,
sono stato
imperdonabile. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto e disprezzarmi
per il
male che ti ho fatto e che ti sto facendo. Forse i farmaci per la
depressione
non mi aiutano."
Si
interruppe, prese tempo, si
rendeva conto che qualcosa in lui non andava. "Sono totalmente confuso
e
incapace di mantenere uno stato accettabile di stress. Mi sento nervoso
e
irritato, non riesco a recuperare un equilibrio tollerabile. Mi
dispiace,
Laura."
Un
silenzio pesante ci avvolse, ma
la paura, la rabbia e il dolore mi trattennero dall'uscire e
abbracciarlo.
Nonostante tutto lo amavo e sentivo la sua sofferenza.
Assunse
un tono smarrito che mi
sorprese, come se parlasse a sé stesso, stava ripercorrendo
il suo calvario
cercando di giustificare il suo cambiamento.
"Non
sono mai tornato dalla
mia prigionia, Laura, sono sempre lì con la mente. Legato a
una sedia, mentre
mi torturano e mi insudicio e puzzo, non riuscendo a controllare il mio
corpo." Annaspò in cerca d'aria. "Ho gridato e implorato
senza
ritegno."
Si
fermò, un sottile dolore mi
percorse la schiena, rabbrividii: soffriva e ammetteva le torture. "Mi
hanno abusato con crudeltà per il piacere perverso di
umiliarmi, ora sai il
perché e chi lo ordinò."
Due
lacrime mi scesero brucianti
mentre lo ascoltavo. Mi alzai e sbirciai dalla porta socchiusa. Il
cuore smise
di battere quando lo intravidi. Era appoggiato con la schiena allo
scaffale,
reggeva le stampelle nelle mani. La nuca appoggiata, la fronte rivolta
verso
l'alto. Gli occhi socchiusi. Si era slacciato la cravatta, aperto il
collo
della camicia, il suo costoso gilè sbottonato. La giacca
pendeva sulle spalle.
"Non
sono l'uomo che
ricordi." Lo udii appena, un silenzio sordo ci penetrava come una lama,
distruggeva le mie deboli difese, mentre il mio cuore si spaccava in
mille
pezzi. Ma la lite di prima era stata brutale e reale, rimasi
colpevolmente
dietro alla porta.
Malvest
aveva compiuto la sua
vendetta personale sull'uomo che amavo, ed era riuscito a dividerci.
Come
se avesse avvertito il mio
pensiero, la sua voce si fece improvvisamente aspra e secca.
"Edwin
pagherà per tutto
questo, per come è riuscito a cambiarmi, ma ti prometto che
non dovrai più
temerlo."
Riconobbi
la sua determinazione.
"Ti chiederà scusa."
Mi
sorpresi per quella
affermazione, rabbrividii quando spiando lo vidi sistemarsi il vestito
con
cura, afferrare le stampelle e assumere quell'aria fredda e determinata
che
ricordavo bene.
Era
tornato l'uomo di ghiaccio che
faceva paura a molti.
Riconobbi
la voce decisa dei primi
tempi. "Laura, tra poco sarà qui Anthea. Si
prenderà cura di te. Perdonami
se riesci."
Si
allontanò, con le spalle
dritte, il passo sicuro. Non feci nulla per fermarlo, mi maledissi per
amarlo
così tanto da non riuscire a stargli lontana. Finivo per
perdonargli tutto.
Sapevo che aveva bisogno di me, ma nessuno dei due riusciva ad
avvicinarsi, una
maledizione che non si scioglieva e lentamente ci stava distruggendo.
Pochi
minuti e Anthea fece
capolino sulla porta socchiusa. "Sono io, Laura, non avere paura, fammi
entrare." Sospirai di sollievo nel vederla, aveva una faccia tesa, mi
scrutava attenta.
"Stai
bene? Respiri
ora?" La rassicurai, ma aver visto Myc in quelle condizioni mi aveva
turbato. Mi trascinò fuori premurosa e mi fece sedere nella
parte privata del
laboratorio. Andò al distributore automatico e mi
riempì un bicchiere colmo
d'acqua. Lo mandai giù in fretta e tossii. Si sedette vicina
e fui un fiume in
piena.
"Ho
avuto paura, Myc era
così...diverso, minaccioso...non lo riconoscevo." Lei
appoggiò il
bicchiere di carta, lo teneva troppo stretto, ne rovesciò un
po'.
"Lui
non decomprime, Laura,
mai. È abituato a tenere il dolore dentro di sé,
non concede a nessuno di
vedergli dentro. Finisce per allontanare tutti. Anche le persone che
gli
vogliono bene."
"Mi
ha spaventato! Anthea,
temevo mi colpisse. Era fuori controllo!" Le presi le mani, cercando di
trasmetterle il mio tormento.
"Laura,
lo sai che prende i
farmaci antidepressivi?" Annuii, lei continuò decisa. "Si
lamenta che
lo limitano molto. Si sente inquieto, nervoso, assente, ma sono
necessari. Li
vuole sospendere il che vuol dire che sarà esposto agli
attacchi di panico che
ora riesce a controllare." Anthea sembrava dubbiosa per la decisione
del
suo capo. Aveva ragione, ma nessuno era sicuro che i suoi cambi di
umore
fossero dovuto ai farmaci.
Mi
sporsi dalla sedia avvilita.
"Se peggiorerà mi sentirò in colpa, ma cosa posso
fare per aiutarlo? Mi ha
praticamente lasciato." Mi aggiustò i capelli che
disordinati mi
ricoprivano la fronte.
"Fa
quello che senti dentro
al cuore, Laura, perché il tuo è grande."
Mi
strinsi nelle spalle piena di
dubbi.
Anthea
sorrise, conosceva bene il
suo capo, collaborava con lui da anni. "Mycroft ha bisogno di tempo per
capire che lo ami anche se è tornato ferito." Mi prese le
mani. "Di
una cosa sono sicura, lui ti ama e sta combattendo con sé
stesso perché ha
paura di deluderti." Forse aveva ragione... Forse.... Chissà.
Un
timore mi agitava, mi procurò
una fitta allo stomaco. "Dov'è andato Mycroft?"
Sussurrò
incerta, sapeva di
violare le regole. "Credo voglia affrontare Edwin in modo
definitivo."
Mi
allarmai pensando al suo stato.
"Ma non è in grado, non sta bene!"
Anthea,
strinse le labbra,
percorsa da una fermezza inaspettata, sapeva bene chi era il Mycroft
della
governance.
"Sa
quello che fa Laura. È
arrivato il momento di fermare quel bastardo. Non la passerà
liscia dopo quello
che gli ha fatto, e soprattutto per come si è comportato con
te." Si alzò
e mi accarezzò il volto. "Sta serena, Laura. Non sai molto
di lui, ma presto
capirai di quale potere dispone."
Abbassai
la testa, sapevo che non
era un funzionario governativo qualunque, tremai turbata da quelle
ammissioni.
"Sta con lui Anthea, non voglio si comprometta." Lei mi
massaggiò la
schiena con complicità.
"Tranquilla,
andiamo, ti
accompagno a casa, ti prendi una pausa."
Mi
aiutò a sistemare lo studio, si
assicurò che avessi superato la crisi e lasciammo il san
Bart.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 34 *** L'addio a sir Edwin Malvest ***
Ci
mettemmo poco a tornare a Baker
Street, Anthea mi salutò lasciandomi sotto casa per non
suscitare sospetti.
Salii
le scale, quei pochi
gradini, con una stanchezza crescente e il cuore a pezzi.
Fortunatamente
John era uscito con
la figlia, salutai solo la signora Hudson giustificando il mio ritorno
anticipato accampando un mal di stomaco in parte vero.
"Hai
una faccia strana
Laura." Mi scrutò attenta, dovetti distogliere lo sguardo.
"Non avrai
problemi con Mycroft?" Sollevò la mano per aria. "Non ti
merita per
nulla." Sentenziò acida. Abbozzai sapendo che non era
propriamente il suo
Holmes preferito.
"Va
tutto bene, Marta, lo sa
che ha sofferto. Non sia così severa." Cercai una inutile
difesa, lei
sbuffò e continuò a pulire le scale.
Mi
ritrovai a sorridere, certo che
Mycroft era antipatico a molte persone, eppure sapevo che il suo cuore
era
rosso e amorevole come quello di chiunque altro.
Nella
mia cameretta ritrovai un
po' di pace, mi tolsi le scarpe e mi lasciai cadere nel letto vestita.
Rimasi
immobile a fissare il soffitto.
Davanti
agli occhi rivedevo la
rabbia di Myc, il corpo che vibrava, quelle mani, anche se fasciate,
strette in
pugni pericolosi. Non potevo ammettere di essermi sbagliata su di lui.
E se
fossi stata io la causa di quella tensione che non riusciva a
controllare? Se
non fosse riuscito a gestirla, mi sarei dovuta allontanare per
proteggerlo.
La
lite era stata esasperante.
Consapevolmente lo avevo spinto al limite, ma si era fermato. Questo
voleva
dire che il suo essere c'era.
Mi
assopii in un dormiveglia
insolito per quell'ora.
Fu
la voce di Rosie che strillava
e correva di sotto a svegliarmi. Infilai la testa sotto al cuscino e
rimasi lì,
incapace di alzarmi. Erano solo le sei di sera.
Al
diavolo gli Holmes.
Il
cellulare vibrò, lo cercai a
tentoni sul comodino. Era un messaggio di Mycroft, voleva vedermi e
parlarmi.
Mi aspettata di sotto, in auto.
Mi
assicurava che non era
pericoloso perché c'era Anthea.
Fu
indecisa.
Ero
ancora tesa, ma il dispiacere
che provavo per la piega tossica che aveva preso il nostro rapporto e
la voglia
di capire, mi spinse a scendere. Ero testarda e innamorata, nonostante
tutto.
Indossai
la giacca, al piano di
sotto trovai John, lo avvertii che uscivo con Mycroft. Mi
lanciò un sguardo
curioso, capì che era successo qualcosa.
"Lo
sa?" Si fece serio,
mi avvicinò.
Annuii.
"Sì, avevi ragione.
Si è arrabbiato e molto."
"Va
tutto bene?" Mi
fissò allarmato, avevo gli occhi arrossati e lui non era
stupido.
"Sì,
ora va meglio. Di pure a
Sherlock che lui sa tutto. Esco, c'è anche Anthea."
Strinse
le labbra, mi accarezzò la
spalla. "Sta serena, mi fido di Mycroft."
Non
dissi altro, abbottonai la
giacca e scesi le scale con il cuore in tumulto.
La
berlina nera era poco più
avanti. Albert, silenzioso e cortese scese, mi aprì la
portiera. Anthea era
seduta davanti, mi salutò con un sorriso, Mycroft dietro,
quasi addossato alla
portiera.
"Entra
Laura, non sono
pericoloso, ci sono anche loro."
Agitò
la mano per indicarli, la
voce era roca, gli occhi socchiusi, come se la luce lo infastidisse.
Era in
disordine, il cappotto aperto faceva intravvedere la giacca sbottonata,
la
cravatta storta. La camicia bianca spiegazzata. Aveva bevuto e fumato
parecchio, perché si sentiva odore di brandy e tabacco.
Aveva l'aspetto di chi
fosse stato al chiuso in una stanza per ore avesse conversato molto.
Salii
dentro sospettosa. Lui non
si mosse, le mani erano strette sulle ginocchia. Le fasciature logore.
Non si
girò. "Qualcuno vuole vederti Laura, prima di partire per un
lungo
viaggio."
Non
capivo. Guardai Anthea
dubbiosa che era voltata verso di me.
"Va
tutto bene, tra poco
capirai." Lei tornò a guardare il suo cellulare.
L'auto
si avviò lentamente.
Mycroft, sembrava assorto dallo scorrere della strada. Sentivo il suo
respiro
pesante. Nel silenzio la sua voce mi sembrò vibrare colma di
amarezza.
"Mi
dispiace, Laura, non
immagini quanto." Percepii la sua insicurezza, le mani non smettevano
di
lisciare i calzoni.
"Era
necessario bere e fumare
così tanto?" Insinuai velenosa mentre lo osservavo. Si
girò, abbassò la
testa. "Solo un paio di bicchieri, ho dovuto trattare con persone
complicate...ma alla fine ho ottenuto quello che volevo."
"Che
volevi per te?"
Sibilai acida.
"No
di certo. Quello che
volevo era metterti al sicuro per sempre." Titubò per un
breve attimo.
"Ma forse hai ragione. Era anche per me."
La
testa gli ciondolò stancamente.
I capelli in disordine. Una fitta mi attraversò il cuore,
era provato e
indifeso come mai lo avevo visto.
"Non
risolvi niente
stordendoti di alcool." Non replicò, si morse il labbro.
"Dovevo
prendere una
decisione importante, chiedere alcuni favori." Si interruppe, i suoi
occhi
erano su di me.
"Favori?
Immagino che dovrai
renderli. Ne valeva la pena?" Sapevo che certe richieste erano
esigibili a
lungo andare, sperai non fosse andato oltre.
Sbuffò.
"Qualche limite ce
l'ho anch'io, volevo mettere fine a questa vicenda."
Ero
in ansia e lui lo avvertì.
"Ti sei compromesso? Non sarà a causa mia, spero."
"No,
tranquilla. E tutta la
questione che ho gestito male, ed è stata solo mia la
colpa." Distolse lo
sguardo. Fu dolce.
"Laura
ti chiedo di
pazientare un po'. Poi ti spiegherò tutto."
Non
parlammo più. Lui tornò a
fissare la strada, mi strinsi nella giacca e nascosi il volto sotto il
bavero.
Quel
viaggio misterioso e la
nostra vicinanza, mi face penare. Lui sempre così attento,
da rasentare la
perfezione, sembrava cercasse un appiglio per ritrovare sé
stesso. Ma non
cedetti, con lo avvicinai, mi dibattevo tra il perdono e la rabbia che
ancora
sentivo.
Albert
prese una strada sterrata,
mi strinsi di più nella giacca e tremai, ma non per il
freddo, era l'angoscia
di non sapere quello che mi aspettava. Lui se ne accorse.
"Non
avere paura, presto
capirai." Riconobbi la gentilezza della sua voce, questo mi
confortò.
Anthea si voltò sorridente. "Laura fidati di noi." Mi
ritrovai con un
sorriso smorzato fra le labbra, piena di dubbi.
Una
vecchia villa abbandonata si
stagliò alla fine della via.
"Che
posto è questo?"
Farfugliai cercando il volto di Mycroft.
Indeciso,
sembro farsi coraggi, mi
afferrò incerto la mano. Accettai il suo contatto, non mi
dispiacque sentire il
suo calore, lo ricambiai con forza. Lui sorrise confortato e
abbassò la testa.
"Stai
serena, presto sarà
tutto finito. Tutto si sistemerà." La mia mente turbinava di
ipotesi e
tutte portavano a Malvest, Anthea si era tradita dicendo che Myc lo
avrebbe
"sistemato".
Era
buio pesto, la vecchia casa era
sorvegliata, gli stessi uomini che erano intervenuti mesi prima al san
Bart: i
misteriosi, efficienti collaboratori di Mycroft.
Albert
fermò l'auto, scendemmo
silenziosi. Mycroft faticò a mettersi in piedi, si
sistemò il cappotto, si
diede un contegno. Io rimasi vicino ad Anthea.
Procedemmo
adagio vista la sua
difficoltà. Ci mettemmo un bel po' per salire pochi gradini
che portavano ad
una maestosa porta di legno intarsiata, deteriorata dal tempo.
La
vecchia villa abbandonata era
spettrale. Tremavo di freddo e di paura. Sentii la mano di Anthea sulla
mia
spalla, la sua stretta delicata mi rassicurò. Percorreremo
un lungo corridoio
appena illuminato da lampade portatili. Il silenzio ovattato era rotto
dal
ticchettio delle stampelle di Holmes. Le poche stanze erano chiuse e
disadorne,
e tutto puzzava di muffa e di stantio.
Arrivammo
a un uscio socchiuso che
lasciava filtrare della luce. Mycroft, che si era portato al mio
fianco, si
fermò. Anthea mi prese per il braccio e mi tenne vicina.
Lui,
aggrappato alle due
stampelle, puntò i suoi occhi grigi nei miei. Cercava una
risposta, una
reazione al mio turbamento.
"Laura,
sai che il mio lavoro
ha luci e ombre. Questa è una delle ombre che avrei voluto
evitarti. Lì dentro
c'è Edwin Malvest. Dimmi se lo vuoi vedere."
Non
distolse lo guardo, aspettava
il mio consenso. "È uno dei favori che ho chiesto."
"Perché
vuoi che lo veda?
Avresti potuto fare tutto senza la mia presenza." Qualcosa mi turbava,
ma
sospettavo che lui volesse più di una resa totale del suo
nemico.
Mycroft
mi osservò, il volto
tradiva il rimpianto.
"Voglio
che veda che sei
rimasta al mio fianco." Respirò, tenne la testa dritta. "Che
ci sei
nonostante quello che mi ha fatto." Voleva qualcosa di più
di una
rivincita voleva annientare il suo nemico sbandierando il nostro amore.
Vederlo
così esposto, mi fece
decidere senza indugi. Lo avrei appoggiato qualsiasi fosse la causa.
Assentii,
determinata. "Sì,
va bene. Sarò al tuo fianco."
Anthea
aprì, lui si portò dentro
per primo, si rizzò con forza, nonostante le stampelle.
Entrai, Anthea mi
teneva la mano sulla schiena.
Quando
lo inquadrai, rabbrividii
di rabbia e di dolore. Sir Edwin Malvest, scarmigliato, scomposto,
legato a una
sedia si agitava. Dietro di lui due uomini di Mycroft: abiti neri,
occhiali
scuri, le braccia incrociate dietro la schiena. Ero terrorizzata, ma il
risentimento superò la compassione. Feci due passi in
avanti, lui mugolava e si
contorceva. Mycroft appoggiò le stampelle e mi
accarezzò il braccio. Sanciva la
nostra unione, il nostro rapporto.
"Edwin
ti vuole chiedere
scusa, Laura, prima di partire e raggiungere i suoi amici sicari in
Serbia.
Vero Malvest?"
Ciò
che restava del mandante di
tutte le nostre disgrazie era lì, che si contorceva senza
alcuna dignità.
"Che
gli farete?"
Guardai Myc, lui mi regalò un sorriso rassicurante. "Nulla,
non mi ridurrò
al suo livello, lo consegneremo ai suoi amici. Li ha traditi per
salvarsi e ora
lo attendono premurosi."
Malvest
singhiozzò, tutta la
prosopopea sparita.
Socchiusi
gli occhi, il cuore mi
tremava. "Rischierà la vita?"
"Forse,
non mi riguarda,
Laura." Myc lo avvicinò, camminò zoppicando senza
aiutarsi con le
stampelle. Si fermò a pochi passi da lui. "Mi sono
raccomandato che gli
restituiscano "la cura" che ha fatto riservare a me." La sua
voce tagliente mi scosse. Capii quanto aveva sofferto, tanto da
nascondere i
suoi sentimenti per me.
Fece
un cenno all'uomo vestito di
scuro, questo con due mosse, gli tolse il bavaglio. "Mycroft fu acido.
"Sii gentile, almeno alla fine, Edwin."
Mi
guardò, singhiozzò, piagnucolò
senza ritegno. "Mi aiuti, Lorenzi. Mi dispiace per quello che le ho
detto.
Mi salvi il prego. Lei non è come loro." Rivolse la testa
verso Anthea e
Mycroft, che erano indietreggiati di alcuni passi. Aspettavano
silenziosi.
"Non
mi consegni ai
Serbi." Gridò allo sbando. Esitai, ma fu un attimo, il corpo
devastato di
Gwen mi apparve nitido avvolto nel lenzuolo dell'obitorio. La cruda
esecuzione
ordinata da Malvest.
Mi
avvicinai, Anthea cercò
di trattenermi.
"Malvest
ha fatto delle
scelte. Ha appoggiato un attentato che avrebbe ucciso molte persone. Ha
fatto
torturare e uccidere Gwen. Sono rimasta ferita a causa delle sue
macchinazioni.
Ha seviziato pesantemente Mycroft per pura vendetta personale!"
Lo
fissai lungamente, sapendo che
avrebbe popolato i miei incubi per molto tempo. Ma lui era stato il
lato
peggiore del mio soggiorno a Londra. Scossi la testa.
"Che
perdono potrei dare a un
traditore."
Avevo
il calore in volto, la
rabbia delle ferite di Myc nella testa.
"Mai
potrei perdonare il male
che ha inflitto all'uomo che amo."
Fui
a pochi metri da lui,
prontamente raggiunta da Anthea.
"Buon
viaggio, Sir
Edwin Malvest. Spero di non incontrala mai più. Mi auguro
che i suoi amici
siano più comprensivi di quanto lo è stato nei
nostri confronti."
Mi
voltai rapida, gli occhi
offuscati, feci un cenno a Mycroft e lui ai suoi uomini.
Malvest
gridò, imprecò, maledì, ma
non ascoltammo. Anthea rimase dentro, noi due uscimmo consapevoli di
legarci
ancora di più.
Vacillai,
mi appoggia al muro, la
carta da parati strappata era l'immagine del mio cuore.
Mycroft
mi fu subito vicino,
appoggiò le stampelle mi abbracciò
stretta.
"Laura
è finita. Ora
andiamo." Affondai il volto sulla sua spalla. Rimasi immobile, mentre
respiravo
il suo sentore di tabacco e brandy.
Mi
sentii sicura, lui era tornato,
era l'uomo che amavo. "Portami a casa Mycroft." Mormorai piano.
"Non
ti merito Laura, la tua
caparbietà è qualcosa di inaspettato. Sono stato
uno stupido incosciente."
Si scostò, mi osservò per assicurarsi che stessi
bene. Vacillò insicuro.
Presi
le sue stampelle e gliele
porsi.
"Prendi,
uomo di
ghiaccio, o rovinerai a terra." Sorrise appagato, bilanciò
il peso sui
supporti.
Gli
accarezzai la guancia.
"Sei uomo letale e pericoloso Mycroft Holmes, meglio non esserti
nemico."
Lui
si schernì. "E
arrendevole quando si tratta di te."
Aveva
recuperato una parte di quel
ironia che tanto mi aveva conquistato. "Grazie per avermi appoggiato,
Laura, non era scontato."
Non
sentivo rimorso, eppure sapevo
che avrei condiviso per sempre quella serata.
"Peccato
per questa villa
abbandonata, doveva essere fantastica. Ora è soltanto un
posto desolato e
decadente."
"Già,
come quel uomo che ci
ha fatto tanto male." Mycroft guardò la porta chiusa, i suoi
occhi
luccicavano al buio.
Anthea
uscì, fece cenno che
tutto era finito. Raggiungemmo l'auto. Albert ci fece salire.
Quella
berlina nera rappresentava
il potere, molte volte mi aveva affascinato. Ora sapevo quanto fosse
temibile.
Il
viaggio di ritorno fu
silenzioso. Fuori, vista dal finestrino, Londra era perfetta avvolta
dalla
foschia. La città dalle mille opportunità e dai
mille misteri.
Le
lacrime mi scesero lente, non
mi voltai, la mano di Mycroft mi sfiorò e mi porse il
fazzoletto, non disse una
parola.
Non
parlammo più di Malvest e mai
Mycroft ne accennò.
Accompagnammo
Anthea a casa e
rimanemmo da soli.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 35 *** Partner of relevance ***
Tornammo a Baker Street. Mycroft era stretto nell'angolo dell'auto,
tormentava
i bottoni del cappotto nero. Le stampelle, appoggiate al sedile,
minacciavano
di cadere sul fondo dell'auto. Le sistemò e
iniziò la conversazione.
"Laura, spero tu abbia capito
che tipo di persona sono. Non volevo spaventarti, questo è
il mio lavoro."
Annuii. "Non sono una
stupida, sapevo che non eri un semplice impiegato governativo."
Rimase silenzioso. "Non sei
obbligata a frequentarmi se ti senti in pericolo. Ma volevo che quel
bastardo
sapesse che non ci aveva diviso. Tu sei stata tenace molto
più di me."
"Non ti ho mai lasciato,
anche nelle condizioni in cui sei tornato."
"lo so, ero io che stavo
facendo il suo gioco perverso. Ti avrei consegnato a lui, se non fosse
stato
per la tua caparbietà." Sospirò. "Non sono
così intelligente quando
si tratta di sentimenti: ho fallito miseramente con te."
"Dovevi avere fiducia in me,
Myc, so quello che hai passato e conosco bene i tuoi limiti auto
imposti.
Sapevo che amarti non sarebbe stato facile, però sono qui."
Mi strinsi
nella giacca, tremai.
"Hai freddo?"
"Non proprio Mycroft."
Feci una smorfia malinconica. "Vorrei che ti fidassi di me. Sono Laura
e
nessun'altra."
"Non ero io quello che hai
visto oggi al san Bart. Ti ho fatto del male, te lo vedo addosso, ma
io..."
Si fermò, stringeva le
mani senza
accorgersi che si stava lacerando le fasciature.
"Non sto bene Laura, gli
antidepressivi mi tengono calmo, ma mi rendono aggressivo, intollerante
agli
stimoli troppo forti." Respirò tutta l'aria che poteva.
"Ho deciso di
smetterli." Aspettò la mia reazione. Lo guardai indecisa,
non era una
scelta da prendere con troppa fretta.
Era pentito, lo leggevo nei suoi
occhi tristi che cercavano di capire se potessi assolverlo.
"Starai peggio, come adesso
che ti stai massacrando quelle povere mani." Le aprì
inconsapevole del
danno che si stava procurando.
"Questo è quello che
rischi a
non controllare l'ansia, ti farai solo del male." Scosse la testa con
vigore. Si piegò in avanti per rafforzare la sua decisione.
"Meglio che diventare
violento, non sono quel tipo di persona! Anche se dovessi penare, non
prenderò
più nulla!" Sbottò, sapevo che non avrebbe
desistito, cercai di farlo
ragionare.
"Non farai solo del male a te
stesso, ne farai anche a me che ti vedrò affondare." Fui
troppo acida e mi
pentii. "Scusami, ma vederti star male non mi aiuta di certo a essere
serena."
Mi passai stancamente la mano
sulla fronte.
"Stai bene?" Si
preoccupò subito, ero stanca e la giornata era stata dura.
"Ce la posso
fare, Myc, ma ho poca autonomia. Dimmi cosa vuoi fare."
Allora capitolò,
consapevole che
c'ero sempre stata non abbandonandolo mai, ma che non avrei aspettato
oltre.
Lo sentii ansimare. "Ti
chiedo di aiutarmi, di starmi vicino. Non voglio essere quell'uomo che
hai
visto oggi." Tossì, si schiarì la voce, stava per
dirmi qualcosa di
importante.
"Ho pensato di modificare le
mie regole d'ingaggio, il mio è un lavoro complicato, lo
sai." Si sistemò
il cappotto come se fosse necessario darsi una forma di autorevolezza.
"Vorrei che il nostro
rapporto fosse riconosciuto ufficialmente, avere la certezza che se mi
succedesse qualcosa saresti avvisata e tutelata."
Mi girai di scatto e lo guardai
sorpresa. "Che stai dicendo Mycroft?" Aggrottai la fronte, fui
percorsa da un brivido che non sapevo se fosse di orgoglio o di dolore.
"Vorrei aggiornare i miei
documenti e alla voce "partner of
relevance" mettere il tuo nome. Questo ti
consentirà di essere in
contatto con me, di reclamare di vedermi, e potrai prendere delle
decisioni se
non ne fossi in grado." Concluse con risolutezza, la voce che vibrava.
"Sempre se lo vorrai."
Sentii il cuore accelerare, era
tornato mezzo morto e non volevo si ripetesse, certamente non era una
delle mie
priorità.
"Non pensare di farmi altri
scherzi del genere Mycroft! Io ti voglio vivo e sano."
Sorrise, ridacchiò
vedendo la mia
faccia arrabbiata. Ma mi stava concedendo molto, soprattutto mi
consegnava la
sua totale fiducia.
Non riuscii a recuperare subito,
stupita per quella dichiarazione d'amore contorta e inaspettata.
Incespicai
nelle parole.
"Va bene, ma voglio che
Sherlock e la tua famiglia approvino, non ci tengo a scavalcarli."
Si appoggiò
stancamente allo
schienale imbottito della costosa auto diplomatica. Chiuse gli occhi.
"Va bene, parlerò con
mio
fratello. Di tutto. Anche del male che stavo per farti. Sta tranquilla,
mia
operosa dottoressa."
Lo lasciai respirare, allungai la
mia mano per prendere la sua e la accarezzai. Le sue labbra si
strinsero in una
smorfia dolorosa. Cercò di posizionare la gamba e il
ginocchio.
"Non è serata Laura, ho
bisogno di una comoda poltrona."
"Tra poco sarai seduto a
Baker Street." Era stanco quanto lo ero io. Ma eravamo più
vicini di
quanto non lo fossimo mai stati.
Albert percorse pochi isolati,
fermò l'auto.
"Mycroft, siamo arrivati,
fammi vedere che ti fidi di me, è da quando sei tornato che
mi hai
escluso."
Aveva capito.
Lo raggiunsi dalla parte opposta,
lo aiutai a scendere. Lo sorressi fino a che non fu in grado di stare
dritto.
Gli abbottonai la giacca e il cappotto, la cravatta ben annodata come
piaceva a
lui, la sciarpa ben stretta. Gli allungai le stampelle. Lo affiancai
mentre
camminavamo quietati senza dire nulla... Zoppicava malamente, stringeva
la
mascella, stava al mio passo e io rallentavo per lui.
Quella malaugurata giornata ci
aveva distrutti entrambi. Mi feci forza cercando di non darlo a vedere,
ma
faticavo a reggere la stanchezza. Pochi passi, Mycroft cedette, mi
prese
sottobraccio.
"Laura, aiutami." La sua
richiesta mi destabilizzò, lo sorressi con gentilezza
sapendo che si stava
lasciando andare alle mie cure, presi le stampelle e lo scortai fino a
casa.
Quando entrammo ci guardarono
sorpresi, John ci corse incontro. Fece sedere Mycroft che si
lasciò
letteralmente affondare nella poltrona con un mugugno.
Sherlock ci guardò
preoccupato.
"Che avete fatto? Sembrate allo stremo. Gesù, non so chi
devo sgridare dei
due." Aggrottò la fronte, si avvicinò al fratello.
"Mycroft mi devi delle
spiegazioni? Dalla faccia di Laura credo di capire che centri Malvest."
Mi sentivo debole, la fatica e la
tensione mi mordevano la nuca, mi allontanai. Lasciai Sherlock con suo
fratello, gli si sedette di fronte aspettando le sue spiegazioni.
John ci chiese se avevamo cenato.
"No, ma grazie lo stesso, io
non ho fame." Risposi con poca voce, si rese conto che non ero stabile.
Tutto lo stress della serata mi
presentò il conto. Barcollai, John mi prese al volo. Nella
testa avevo le grida
di Edwin che mi stordivano, il ricordo della sua faccia atterrita mi
dava la
nausea. Crollai sulla sedia della cucina con John che mi sorreggeva.
"Laura, stai bene?" Mi
prese il polso e mi auscultò.
"Sì, sto bene." Mi
uscì
una voce roca che non lo tranquillizzò per nulla. Mi
guardò in volto. Mi coprii
gli occhi, la luce mi feriva, la testa pulsava dolorosamente.
"Mi scoppia la testa."
Biascicai.
"Laura che hai?" Mycroft
gridò allarmato fece per alzarsi. Sherlock lo
afferrò e lo tenne fermo.
"Siediti, non ti reggi, stupido. C'è John che l'aiuta."
Watson si fece serio. "Mi
occupo io di Laura, stai tranquillo e spiegaci perché
è così sconvolta e
stanca."
Le mani delicate di John mi
accarezzavano la nuca. Cercavo di restare con gli occhi chiusi per
proteggermi
dal riverbero della luce. Mi preparò del tè caldo
e mi portò delle pillole per
il mal di testa.
Sherlock fremeva nel vederci
distrutti entrambi, ma si trattenne e con dolcezza affrontò
il fratello.
"Avanti Myc, che cosa è
successo
con Malvest, perché è di lui che si tratta vero?"
Lui prese dei respiri lenti, con
la voce sommessa raccontò tutto. Non tralasciò
nulla di quello che era successo
in quella giornata interminabile. Si fermò un paio di volte
quando raccontò di
aver perso la calma e di avermi minacciata. Io ascoltavo con la testa
fra le
mani. John seduto al mio fianco mi rassicurava tenendomi il braccio.
"Myc, ne hai combinata una
peggio dell'altra. Specie quella di portare Laura da Malvest. Ma che ti
dice il
cervello?" Sbottò seccato per la sua stupidità.
"Volevo vedesse che Laura
è
rimasta al mio fianco, nonostante l'oltraggio e la violenza che mi
aveva
inflitto! Doveva capire che non l'avrebbe mai più toccata!"
Mycroft gridò
così forte che mi
scossi, si era tirato in avanti, tornò a ribadire la sua
convinzione.
"Ho chiesto a Laura se lo
volesse rivedere, non glielo ho imposto! Non sono un essere abbietto
come
credi." Sussultò, una smorfia di dolore lo percorse. Si
portò la mano al
ginocchio ferito.
Sherlock lo spinse indietro, gli
sollevò la gamba con delicatezza, la posizionò
sul rialzo dove la sistemava di
solito, ma Mycroft mugolò di dolore.
"Fa piano, stasera è un
tormento." Brontolò rauco.
Era provato, non volevo che si
affaticasse più di così o non avrebbe retto.
Così intervenni per mettere fine
alla discussione.
"Sherlock, tuo fratello ha
ragione, mi ha chiesto se volessi affrontare Malvest. Ho accettato e ho
dato il
consenso di spedire Edwin dai suoi aguzzini. Pagherò per le
mie colpe, non sono
cosi ingenua come credi."
Avevo ritrovato un po' di energia,
le medicine stavano facendo effetto e anche se mi ero parzialmente
ripresa,
John non mi abbandonava. La sua mano sul braccio mi dava sicurezza, gli
feci
cenno che ero stabile. Mi alzai e mi diressi verso di loro.
"Finitela Holmes. Ora voglio
solo dormire e dimenticare. John prenditi cura di Mycroft. Io sono
sfinita."
Mi avvicinai, gli appoggiai la
mano sulla spalla, Mycroft sollevò il volto stanco. "Myc,
parlagli degli
antidepressivi e delle tue decisioni su di me. È la tua
famiglia." Indicai
Sherlock che taciturno ascoltava, le mani giunte sotto al mento in una
calma
imperturbabile.
"Laura, mi dispiace così
tanto. Stai meglio ora?" Mormorò fiacco studiandomi con
attenzione.
"Sì, ma non direi di te,
ti
lascio alle cure di John, sei stravolto, mio Ice Man."
Gli diedi un bacio delicato sulla
guancia. "Sarò con te qualunque cosa tu decida."
Mi rivolsi a Sherlock.
"Non cruciarti, Malvest
è un
bastardo, se lo merita. Non mi pento per quello che ho deciso. Ha fatto
del
male a tutti. Ha torturato con cattiveria Myc. Come potevo perdonarlo?"
Gli sfiorai i capelli ricci con
una carezza leggera.
"Non sono così buona
come
credi, Sherlock." Si contrasse sorpreso.
"Sei un buon fratello, sii
paziente con lo Smart One." Strinse gli occhi azzurri, un leggero
sorriso
comparve dietro le sue mani giunte.
Mi avviai verso le scale.
"Grazie, John, sei un uomo
come pochi." Li lasciai silenziosi, Myc si era abbandonato con gli
occhi
chiusi sulla poltrona, ma sapevo che era in ottime mani con Watson.
Salii le scale, il cuore in
tumulto, la stanchezza in ogni parte del corpo.
Con Mycroft ora dovevamo solo
andare avanti. Lo avrei aiutato a ritrovare sé stesso, a
superare le torture
che aveva subito. Con mille difficoltà certo, ma insieme
sarebbe stato più
facile.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 36 *** Quando saremo stanchi cammineremo con il cuore ***
Il primo sole che
illuminò la stanza mi risvegliò intontita.
Chiamai Molly Hooper e la avvertii che mi sarei presa una pausa, ero
svogliata.
La notte era stata tormentata, un po' perché di sotto
c'erano stati dei rumori
sospetti, un po' per l'agitazione. Mi buttai controvoglia sotto la
doccia, mi
vestii e scesi di sotto.
Watson, appena mi vide, mi
sorrise. "Come va Laura?" Era premuroso come sempre.
"Direi bene, ma voi invece?
Ho sentito un po' di trambusto." Si fece serio, si fermò con
la
caffettiera in mano.
"Mycroft ha avuto una notte
agitata." Mi allarmai, ma mi tranquillizzò subito.
"Ora sta bene. Il ginocchio
non gli dava tregua e ha avuto una leggera febbre." Si
avvicinò al tavolo
e sistemò un vassoio con la colazione.
"Non ci avrebbe chiamato se
Sherlock non l'avesse sentito lamentarsi."
"Perché non mi avete
avvertito? Lo avrei aiutato. "Laura non ti reggevi in piedi. Cosa
avresti
potuto fare? Se ne è occupato Sherlock, e poi lo conosci
l'orgoglio di
Myc." Mi passai la mano sulla nuca, dispiaciuta per non esserci stata,
ma
del resto John aveva ragione non ero molto in forze la sera prima.
"Ora come sta?"
"Ha dormito ed è
sfebbrato.
Se vuoi puoi portagli la colazione e farlo mangiare perché
protesterà come al
solito." Rise, e trascinò anche me. Aveva ragione
perché si lamentava
sempre che non aveva appetito.
"Va bene, vado io. Spero sia
sveglio." Toccai con un colpetto affettuoso il braccio di John.
"Sono a casa oggi a riposo,
va bene dottore?" Sorrise, per quella decisione. "Bene, dottoressa
Lorenzi, fare una pausa ti farà bene."
Presi il vassoio, John mi
accompagnò mi aprì la porta della stanza di
Mycroft.
Era sveglio, sprofondato nei
cuscini, alzò la testa per mettermi a fuoco.
"Laura stai bene?"
John aprì la finestra,
il sole
invase la stanza. "Io sto bene. E tu, stubborn english man?"
Sbuffò e si
lasciò cadere giù
stancamente.
"Diciamo che ci ha dato la
sveglia un po' prima. Vero Mycroft?" Watson gli misurò la
febbre.
Sorrise soddisfatto, le sue cure
avevano fatto effetto.
"Laura te lo lascio, è
sfebbrato,
fallo mangiare. E dagli le medicine." Uscì mentre appoggiavo
con
attenzione il vassoio sul tavolino e lo osservavo di nascosto.
"Do il tormento a
tutti..." Mormorò il mio compagno di sventure, si
girò con il volto verso
la finestra. Era pallido, le occhiaie scure.
"Non fare la vittima, siamo
qui per te. Tutti insieme."
Mi sedetti sul bordo del letto,
gli accarezzai la mano stretta al lenzuolo. Si rilassò,
respirò come se dovesse
scalare una montagna.
"Su Myc, ora cerca di
mangiare qualcosa..."
Girò il capo costernato.
"Non
ho fame..."
"Sei monotono con questa
frase."
Ridacchiai guardandolo negli
occhi, sembrava un bambino capriccioso. Gli accarezzai la guancia, la
barba era
cresciuta ispida e folta.
"Se fai il bravo e mangi
qualcosa ti rado. E bada che sono brava."
Mi prese la mano, scuotendo la
testa divertito.
"Mi rado da solo da
secoli!" La sua stretta era forte, nonostante sembrasse debole e
provato.
Puntò il suo sguardo
acuto su di
me, la testa di lato, se lo conoscevo bene stava per dirmi qualcosa di
importante.
"Ho firmato i documenti di partner of relevance, Sherlock
lì porterà ad
Anthea stamattina. Ha accettato di buon grado, si fida di te. Abbiamo
deciso di
togliere i farmaci, diminuendoli poco per volta."
"Mi sembra una saggia
decisione, visto come sei stato stanotte."
"Te ne do atto, mia
dottoressa operosa. Non voglio sconvolgere la vita di tutti voi. Ma ora
quando
torno in clinica voglio che tu sia con me."
Ero contenta che Sherlock avesse
un discreto ascendente su di lui, e infondo speravo che la mia
vicinanza
potesse aiutarlo a guarire prima.
Indicò il ginocchio.
"Devo
rifare il controllo in giornata." Gli brillavano gli occhi, anche se
avvertii la voce inclinarsi due toni sotto.
"Va bene ci sarò." Ero
certa di andare incontro a qualche difficoltà, ma accettai
di buon grado.
Si sollevò dai cuscini.
"Comporterà qualche fastidiosa occhiata essere la mia
compagna. Non per il
tuo aspetto o la tua provenienza, ma per il posto che ricopro."
Cambiò il
timbro di voce.
"Tu non badare a loro. Sei
con me."
Stemperai la sua apprensione per
avermi al suo fianco.
"Ho sopportato Malvest, che
sarà mai qualche malevolo burocrate che mi è
ostile?"
Ridacchiò, si
lasciò andare tra le
coperte.
"Sei una donna testarda, li
affosserai tutti." Gli occhi gli luccicarono di piacere.
Era così disarmante in
quel ruolo
di innamorato sprovveduto. Gli pizzicai il braccio.
"Ora fai colazione, non
trovare altre scuse."
Mi arrivò un brontolio
che feci
finta di non sentire.
Sistemai i cuscini sulla testiera
del letto perché potesse appoggiarsi e lo aiutai cercando di
non forzargli il
ginocchio. Non era facile reggerlo, ma alla fine fu sistemato a dovere.
Avvicinai il tavolino con la colazione.
Dapprima fu scostante, mangiava a
fatica. Lo distrassi con una conversazione leggera, ottenni lo
spiluccare di
due fette biscottate infarcite di marmellata e una tazza abbondante di
tè.
Fui soddisfatta, era quello che
volevo.
"Bene, Myc. Ora le medicine e
riposo."
Due occhi spalancati mi fissarono
sgomenti. "Non mi farai stare a letto tutto il giorno, vero Laura?"
Sogghignai. "Certo che no, ma
ci rimarrai almeno fino a pranzo."
Si lasciò cadere sui
cuscini,
fissando il soffitto.
"Avanti, il ginocchio
richiede un po' di riposo. Cosa ti costa stare ad oziare nel letto una
volta
nella vita." Mi alzai e sistemai il vassoio.
"Non vai al san Bart?"
Si era insospettito che passassi con lui più del tempo
necessario.
"No, mio caro oggi stiamo
insieme." Lo sorpresi che mi seguiva con lo sguardo preoccupato.
"Avevo voglia di una pausa
Myc, non sarei stata molto attenta al lavoro."
Effettivamente ero stanca e un po'
di riposo mi avrebbe giovato, e poi volevo godermi la sua compagnia.
Sistemai i cuscini nella poltrona
vicino al letto e mi accomodai. "Ora rilassati che parte la tortura."
Si sollevò allarmato,
non
riuscendo a mascherare il disappunto. "Che vuoi fare? Non ti metterai a
medicarmi le ferite?"
Sul mio volto comparve un ghigno
diabolico.
"Peggio, Myc, ti
leggerò,
"The merchant of venice di Shakespeare" rigorosamente in inglese con
la mia inflessione italiana: un vero supplizio per un British come te."
Una bella risata che non vedevo da
tempo gli illuminò il volto, alzò le mani come
per difendersi.
"Va bene Laura, procedi,
straziami le orecchie." Un sorriso disteso gli addolcì il
volto e il mio
cuore si sciolse.
Iniziai la lettura, si era
adagiato tra le coperte e ascoltava attento. Di tanto in tanto scuoteva
la
testa trattenendo un sorriso sarcastico, mi fermava, mi correggeva.
Mi piaceva quando brontolava e
finiva per arrabbiarsi perché la pronuncia scivolava un po'
troppo.
"Laura, sono mesi che sei a
Londra! Ancora non hai la sicurezza che dovresti!" Sbottò
all'improvviso.
Allontanai il libro. "Dici
davvero? Perché a me sembra di essere quasi perfetta."
Socchiuse gli occhi grugnendo
rassegnato.
Mi avvicinai con una scusa.
"Vedi la frase, "She kissed him passionately?"
Mycroft si sporse per leggere,
incuriosito che nel libro ci fosse una frase del genere. Il suo viso
era vicino
al mio.
"Dici che avrebbe potuto...
fare così?" Gli presi fulminea il volto fra le mani e lo
baciai.
Rimase stupito, spalancò
gli occhi
grigi, ma non perse un solo secondo e mi ricambiò. Le sue
mani mi accarezzarono
il volto, anche se parzialmente fasciate mi piacque sentirle. Lo
abbracciai
forte, lo desideravo da tanto, quello che doveva essere un semplice
bacio, uno
scherzo, divenne qualcosa di più.
Fu un contatto profondo,
così
forte da fermarmi il respiro. Ritornai a sentire il suo sapore che mi
era
mancato così tanto. Sentivo di appartenergli e lui mi
ricambiava ansimando di
piacere.
Ci staccammo lentamente e ci
tenemmo la mano.
"Laura, ti sei approfittata
di me!" Si rese conto di quanto tempo avesse perso a macerarsi nel
dubbio.
"Come ho potuto essere così ottuso. Non ti merito."
"Sì che mi meriti,
perché ti
amo Myc."
Ero convinta perché era
quello che
volevo, restare con lui, vivere insieme. Lo sollecitai, volevo
sentirgli dire
quella parola magica.
"E tu mio British Government,
non mi hai detto ancora nulla!"
"Vuoi sentirtelo dire?"
Sorrise malizioso. "Ti amo Laura Lorenzi, stubborn italian woman."
Mi persi nella sua tenerezza. Ma
così come era stato allegro, il suo volto si
rabbuiò.
"Che c'è ora?" Chiesi
stupita.
Prese un lungo respiro. Si fece
serio e mormorò poche frasi.
"Mi aiuteresti a cambiare il
pigiama? Ho sudato parecchio."
Si era deciso a condividere il suo
dramma, voleva mostrarsi, voleva che vedessi il suo corpo martoriato.
Mycroft voleva fare quel passo in
avanti che tanto mi aveva negato, mi alzai e rispettai la sua
decisione.
Fingendo una tranquillità che non avevo, gli chiesi dove
fosse il suo prezioso
pigiama.
Mi indicò la cassettiera
nella
parete opposta, vicino al bagno.
"Bene, allora cominciamo mio
British Government." Lo dissi per alleggerire un po' la tensione.
"Mi chiami ancora così?
Ora
non lavoro." Feci un gesto plateale, una specie di inchino.
"Se sai tutto di tutti! Non
fare il falso modesto."
Cercavo di rendere quel momento
sereno, mi alzai e andai a prendere il suo pigiama.
Era blu, con dei piccoli disegni
esagonali, diverso dai suoi standard abituali, ridacchiai.
"Che c'è, non ti piace?"
Sogghignò. "Sinceramente nemmeno a me, me lo ha regalato la
signora Hudson."
Una risata sonora mi
uscì
incontrollata sapendo quanto poco stimasse Mycroft. "Allora
è stata la sua
vendetta!"
Rise anche lui, e si
rassegnò a
indossare quel capo poco consono
Lo aiutai a liberarsi del pigiama
usato. Era impacciato con le mani, lo aiutavo solo se lo vedevo in
difficoltà.
Gli parlai del mio lavoro per distrarlo e superare l'imbarazzo.
Mycroft non era una persona
distratta, lui ascoltava sempre tutto con attenzione, era esattamente
lì che
risiedeva la sua intelligenza e la capacità di deduzione.
Sapeva ascoltare e
immagazzinare dati.
La giacca di cotone
scivolò via,
fu difficile mantenere indifferenza vedendo le braccia ferite. La
t-shirt
bianca lasciava intravvedere gli ematomi e le medicazioni.
"Myc, che ne dici, se do
un'occhiata?" Accennò un sì, senza pensarci.
"Non sono un bello
spettacolo."
"Va bene, me ne farò una
ragione."
Presi la cesta con le creme e i
disinfettanti che teneva sopra la cassettiera.
Gli sfilai adagio la maglietta,
tremò un po'.
"Hai freddo?" Mosse la
testa in segno di diniego, ma la mantenne abbassata, fissando le
ciabatte di
panno sul pavimento.
Mi morsi il labbro, trattenendo la
disperazione nel vedere la sua schiena percorsa da lividi scuri, in via
di
guarigione certo, ma che dimostravano tutta la crudeltà che
gli avevano
riservato.
Sul torace non aveva ematomi
vistosi, ma due bruciature sul fianco, che mi fecero vacillare. Come
avesse
fatto a sopportare tutto quel dolore era per me incomprensibile.
Lasciai che tenesse la testa
abbassata. Lo esaminai, gli sfiorai piano le ferite. Soffocai le
lacrime,
mandai giù la rabbia, lo disinfettai senza riuscire a dire
nulla.
Mycroft iniziò a
respirare
affannato, prese a tormentarsi le mani, mi accorsi che lo stavo
escludendo, non
era così che lo aiutavo.
"Mio caro Holmes, non ti sei
fatto mancare nulla! Farei meglio a passarti con uno straccio imbevuto
di
disinfettante su tutto il corpo. Non hai una parte che sia sana."
Lo accarezzai cercando di
sollevarlo dal disagio in cui era precipitato, fui delicata per quanto
mi
tremassero le mani.
Sollevò il capo e mi
guardò
perplesso.
"Scherzo, stupido! Finalmente
alzi quella testa! Che facevi? Contavi le mattonelle della stanza? O
deducevi
chi avesse cucito le tue benamate ciabatte?" Mugugnò con le
labbra
strette.
"Laura, mi prendi in
giro?"
"Sì, se te ne stai
crocefisso
con la testa altrove."
Lo baciai con forza in fronte.
"Tranquillo, Ice Man, ho quasi finito."
"Non chiamarmi così! Non
sono
più l'uomo di ghiaccio. Non con te vicino!"
Finalmente mi sorrise e scosse la
testa.
"Sei una selvaggia Laura, ma
ti amo."
"Attento, potrei baciarti di
nuovo." Lo minacciai con l'aria più cattiva che potessi
permettermi.
Aggrottò le
sopracciglia, si
allontanò con la testa.
"Ti ricordi quello che stavo
per farti ieri mattina?" Gli infilai la maglietta volutamente sgarbata.
"Non sei il Myc di ieri, ne
vuoi un esempio?" Senza dargli il tempo di reagire, appoggiai le labbra
sulle sue, la sua consistenza morbida mi fece fremere, lo esplorai
senza
riuscire a fermarmi.
Aprì la bocca voglioso,
mi ricambiò,
pieno di desiderio e di rimpianto per tutto quello che ci era stato
negato.
Le sue mani furono sui miei
fianchi, sulla mia schiena, mi attirò a sé.
Provai un appagamento, un piacere
delicato mentre i nostri occhi sembravano scambiarsi tutto l'amore
possibile.
Si staccò
improvvisamente, come se
la magia fosse finita bruscamente. "Scusami." Mormorò
titubante, mi
allarmai.
"Laura, manca una parte del
pigiama." Perse il suo bel sorriso. "È importante che tu
veda."
La tristezza gli segnò
il volto.
Gli infilai la giacca del pigiama, si stese lentamente nel letto.
Mancavano i pantaloni, sospettavo
cosa nascondessero: le torture più intime, quelle difficili
da confessare che
lo avevano spinto ad allontanarmi. Mi avvicinai, cercando dentro di me
la forza
di mantenere un aspetto disteso.
"Qualsiasi cosa ci sia sotto
questo pigiama, per me non cambierà nulla."
Presi l'elastico e con garbo
sfilai la parte sotto. Lui si contorse, socchiuse gli occhi, ebbe un
ripensamento, mi fermò la mano mentre lo spogliavo.
"Laura...io ..." Mormorò
turbato con gli occhi nei miei.
"Va tutto bene Myc,
supereremo ogni problema insieme, stai tranquillo."
Mi lasciò la mano, e
tolsi
lentamente quell'ultima barriera che ci aveva diviso, la parte che lo
rendeva
fragile e insicuro.
Man mano che i calzoni scendevano,
scoprivo tutto il male che gli avevano fatto. Cercai di non indugiare
sull'inguine e sugli ematomi scuri, sui boxer bianchi e stretti che
fasciavano
la sua intimità. Le cosce, nella parte interna, erano
segnate da lividi violacei.
Si coprì appena fu libero con il lenzuolo, le mani
aggrappate al bordo, le
nocche bianche.
Era stato torturato, violato,
seviziato. Fu difficile mantenere un distacco adeguato, le sue ferite
mi
riportarono indietro nel tempo, al tormentato ricordo dello stupro che
avevo
vissuto
Mi voltai impotente, incapace di
dargli conforto afferrai il pigiama e lo portai nella cesta del bucato.
Presi
vergognosamente tempo cercando di mandare giù il dolore che
mi devastava.
Mycroft era una persona attenta,
perspicace, sapeva bene quali erano i ricordi che mi tormentavano.
"Mi dispiace, Laura, so
quello che provi. Ora sai perché ti volevo allontanare. La
violenza che ho
subito è come la tua, mi ha reso incapace di amarti. Se mi
conosci sai che non
voglio la tua pietà."
Gli si incrinò la voce.
"Come
avrei potuto darti una vita sessuale appagante. Non sono l'uomo di
prima."
Due lacrime mi scesero lente, era
la stessa sensazione che avevo provato io, quella che mi aveva fatto
allontanare dall'amore. Per molto tempo mi ero sentita rotta,
imperfetta. Lui
invece mi aveva accettata per quella che ero.
Ci fu il silenzio fra noi.
Lasciò
che piangessi, nascosi il volto fra le mani singhiozzando, e sfogai
tutta la
mia frustrazione e la rabbia per il male che gli avevano fatto.
"Non piangere mia dottoressa
operosa." Mi prese la mano, la scostò dal volto, le sue
poche dita libere
mi accarezzarono il polso sfiorando le cicatrici, i suoi occhi non mi
lasciavano un solo secondo. Presi quel poco coraggio che mi era rimasto
e
parlai sommessamente.
"Myc, mi hai amato lo stesso,
sapendo quello che avevo passato. Perché pensavi che ti
avrei abbandonato?
Perché ti eri convinto che non capissi quello che provavi?
Ti amo, per quello
che sei adesso."
"E queste lacrime
Laura?"
"Piango per le torture che
hai subito, non perché tu sia virile o no. Ci sono tanti
modi per amarsi, basta
volerlo e avere pazienza."
Sbottò amareggiato
stringendo la
mia mano.
"Desideravo tanto essere il
tuo compagno! Insegnarti che l'amore fisico, quello pulito, che non hai
mai
provato, è bello mia delicata Laura, pieno di dolcezza e
sentimento."
Gli occhi erano lucidi, tremava
sdraiato nel letto.
"Non ho mai voluto
possederti, volevo amarti con tutto me stesso! Non pensare mai che io
voglia
altro da te." La voce vibrò, non lo avevo mai sentito
disperarsi in quel
modo, non si abbandonava spesso ai sentimenti.
"Quel bastardo di Edwin mi ha
tolto tutto! Mi sembrava una pena troppo gravosa per una donna giovane
come
te."
Gli accarezzai la guancia.
"Lascialo decidere a me, cosa
voglio o non voglio. Col tempo starai meglio, ti aiuterò a
superare il tuo
disagio e mi insegnerai ad amarti."
Presi la sua mano, quella delicata
e gentile, a cui avevano strappato le unghie con crudeltà e
mi ricordai di una
citazione che avevo letto. La sussurrai al suo orecchio
"Quando
saremo stanchi cammineremo con il cuore."
"Myc, promettimi che lo
faremo anche noi, quando ci sentiremo insicuri."
Cacciai via i rimpianti e i dubbi,
ora c'era solo il presente.
"Forza mettiamo il resto del
pigiama o prenderai freddo. Allontanai il lenzuolo che lo copriva, lo
aiutai a
indossare i pantaloni puliti...
Si infilò sotto la
coperta
rasserenato, ora che avevamo condiviso i suoi tormenti. Nella stanza
c'era una
calda armonia che ci pervadeva, una sensazione di benessere. Mi sedetti
sul
letto spiegazzando il suo lenzuolo prezioso
"Se ci trasferissimo a Pall
Mall, Laura? Saremmo più comodi, la casa è
grande." Mi osservava cercando
di capire dall'espressione del mio volto quanto mi piacesse la sua
proposta.
Mi allettava restare con lui nel
suo rifugio, dove aveva vissuto appartato.
"È una buona idea.
Però
lavoro tutto il giorno, è difficile per me cucinare sempre."
Mi sorrise
enigmatico.
"Ho una governante che ci
pensa, Laura. Non sarebbe un problema."
Gli diedi un bacio sulla guancia.
"È una proposta di convivenza? O mi ospiti solamente?" Si
strusciò
sulla mia spalla facendo le fusa come un gatto. "Decidi tu, io sono
disponibile per entrambe le cose."
"Beh, vivere insieme è
una
buona idea, voglio conoscerti meglio, my British Government, abbiamo
molto da
imparare insieme."
"Perché non cominciamo
subito? Vieni sotto le coperte, mi piacerebbe sentirti vicina."
Socchiuse
gli occhi tessendo la sua trappola. "Non vorrai rimanere al freddo?"
"Sono vestita Myc."
Sorrisi a quella richiesta bizzarra.
"Meglio, non cadrò in
tentazione." Allungò la mano per invitarmi.
Ridemmo come due stupidi, John
sarebbe ritornato presto, ma noi ci sentivamo come degli adolescenti
irrequieti
e vogliosi.
Mi liberai del golfino e dei
calzini, mi infilai sotto le coperte, mi strinsi al suo corpo, il suo
calore
era confortante.
Brontolò quando infilai
i piedi
vicino ai suoi.
"Sono freddi, Laura!"
Scosse la testa rassegnato. "Pensi che mi dovrò abituare
alle tue
estremità ghiacciate?
"Estremità?" Ridacchiai
a quella parola inusuale per descrivere un piede. "Penso proprio di
sì, se
no a cosa servi?"
"Piccola selvaggia."
Fece un broncio indulgente, e mi baciò. "Però sei
adorabile."
Appoggiai la testa al suo petto.
Sentivo il suo cuore battere forte e regolare.
"Leggimi qualcosa Myc. Mi
piace sentire il tuo timbro così British."
Si concentrò nella
lettura nel suo
perfetto Inglese.
Tutto sembrava essere ritornato
come prima della sua partenza. La sua voce era dolce, suadente e finii
per addormentarmi
stretta a lui.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 37 *** Quello che conta è averti al mio fianco. ***
"Laura, sveglia
credo sia tornato John." Mi ci volle un po' per rendermi conto dove
fossi.
Mycroft, passò la mano e le sue dita libere fra i miei
capelli.
"Se ci trova così
ci prenderà in giro per un bel po'." Ridacchiò,
posò un bacio sulla
mia fronte.
"Hai ragione,
scusami mi sono addormentata di nuovo. Mi fai uno strano effetto Myc."
Borbottai assonnata.
Mi accarezzava
lentamente, sul collo e sulle spalle.
"Eri stanca, ti
ha fatto bene riposare, vuol dire che ti fidi di me, mia operosa
dottoressa." Una risata complice ci travolse.
"È meglio che
vada, devo aiutare John in cucina. Ti aspetto." Si spostò
per lasciarmi
uscire dal tepore del letto.
Aveva i capelli
arruffati, mi fece tenerezza mentre cercava di sistemarli.
"Se hai bisogno
di aiuto torno, ti radi da solo, Ice Man?"
"Tranquilla posso
farcela, mi sento molto meglio." Gli scompigliai i capelli, quei pochi
che
aveva sistemato.
"Laura..."
Brontolò tirandosi indietro. "Vai ora." Accettava i miei
scherzi con
meno riluttanza, si era addolcito in quei giorni, come mai era successo
prima.
Indossai velocemente i
miei vestiti, lo salutai agitando la mano.
"Allora ti
aspetto, e non cominciare a lamentarti che non hai fame."
"D'accordo mi
impegnerò a soddisfare lo stomaco." Si sollevò
dal letto impaziente di
vestirsi e raggiungermi.
Che fosse più in forza
era evidente, mi sentivo tranquilla, anche se nel pomeriggio ci
aspettava la
clinica governativa, dove era stato ricoverato quando lo avevano
riportato in
patria. Mi chiesi come mi avrebbero accolta, visto la novità
di vedere una
partner al suo fianco.
In cucina trovai
Watson già affaccendato e la piccola Rosie che giocava
vicino alla tavola.
"Ehi, finalmente.
Ti aspettavo Laura!" Mi osservò attento. "E scoppiata la
pace tra voi
due? Era ora."
Gli allungai una
spinta benevola. "Beh, oggi siamo stati bene insieme."
"Uhm. Speriamo
che vi siate chiariti." Era dolcissimo John, Mary era stata fortunata,
anche se per poco, ad averlo come marito. Accarezzai la testolina
bionda di
Rosie, lei emise dei gridolini di approvazione.
Iniziai a lavorare per
preparare il pranzo.
Mycroft arrivò poco
dopo, vestito in modo informale. Non aveva la cravatta, la camicia
bianca aveva
il colletto aperto, ma era tanto per i suoi standard. Aveva un cardigan
di
panno grigio chiaro, un pantalone spinato dello stesso tono. Niente
gilè. Rimasi
sorpresa da quel nuovo look.
Stampellò fino in
cucina, salutò la nipote, mi sorrise malizioso.
"Che c'è, mi
guardi come avessi avuto un'apparizione."
Inghiottii a vuoto.
"Sei...sei, molto carino."
Chinò il capo di lato.
"Solo carino?"
"Beh, anche
affascinante."
Rise e anche John
vedendo il mio imbarazzo.
"Laura, per così
poco?" Rimarcò avvicinandosi troppo, credevo volesse
baciarmi davanti a un
attonito John.
Lo rimbrottai e lo
spinsi a sedersi, ma ero felice di vederlo cambiato. "Non ti avevo mai
visto così." Mormorai soddisfatta.
John scuoteva la
testa, mentre affettava il pane. "Ehi voi due, c'è una
bambina, fate i
bravi."
Mycroft cercò di
aiutarci ma fu prontamente redarguito.
"Tra poco arriva
Sherlock e pranziamo insieme. Tu stai fermo a coccolare tua nipote."
John
fu perentorio, era veramente un uomo gentile e attento.
Volevo così tanto
passare una giornata serena, senza problemi, senza pensare al lavoro e
a tutto
quello che ci aspettava.
Sherlock tornò poco
dopo. Aveva acquistato un regalo per Rosie, un libro illustrato con
storie di
pirati.
Ci guardò
insospettito.
"Sembra che tutto
funzioni, finalmente! Fratello sei stato un perfetto idiota a metterci
così
tanto."
Mycroft agitò la mano,
fece una faccia seria ma senza impegnarsi molto, capì
perfettamente quanto
Sherlock tenesse a lui. Dopo tante incomprensioni, il disastro causato
da Eurus
li aveva riavvicinati e appianato alcune storture nel loro rapporto. La
loro
famiglia si era allargata, comprendendo anche lui.
Il mio partner allungò
la gamba e fissò il fratello che sfogliava il libro alla
piccola di casa
Holmes. "Hai avuto problemi quando hai consegnato le nuove
disposizioni?"
Sherlock titubò un
po', gli rispose con garbo.
"Non si
aspettavano che tu avessi una compagna, diventano sospettosi quando
qualcuno ti
si avvicina."
"Laura è
importante per me." Sottolineò pensieroso, disegnando con le
dita cerchi
immaginari sul tavolo.
"Non è me che
devi convincere, ma i tuoi colleghi." Si rivolse a me e mi
guardò
benevolo. "Spero tu le abbia detto che non la prenderanno benissimo."
Non era difficile
capire che avrei avuto qualche difficoltà, nello stare al
fianco di un uomo
tanto potente.
"Mi ha accennato
qualcosa, ma non è stato chiarissimo il mio Mycroft!" Lo
ammonii e lui si
risentì.
"Suvvia, Laura,
ti ho fatto capire quello a cui andrai incontro, non sono stato
reticente.
Prima ti conoscono e prima ti accetteranno. È per questo che
ti voglio con me
in clinica." Sbottò infastidito, misi fine subito alle sue
rimostranze,
perché mi sembrò teso per quel cambiamento che
influiva tanto nel suo lavoro.
"Ci sarò,
permaloso, e tu Sherlock non ti preoccupare. Cercherò di
superare anche
questa."
Il detective più noto
di tutta Londra sorrise.
"Laura, non ti
invidio, ma spero che ora vi sosterrete a vicenda." Fissò il
fratello.
"Ci siamo capiti,
vero? Va bene il tuo cinismo, ma riversalo sui tuoi colleghi." Gli
occhi
azzurri di Sherlock saettarono sul maggiore.
Mycroft, accusato il
rimprovero rimase silenzioso per un po', poi riacquistata la calma si
sporse
sul tavolo e accarezzò le manine della piccola Rosie.
"Vorrei tornare a
Pall Mall insieme a Laura." Alzò la testa per studiare il
fratello.
"Se accetta naturalmente."
"Non stai
benissimo e peseresti su di lei che deve comunque lavorare." Sherlock
spalancò le braccia.
Mycroft abbassò la
testa annuendo.
"Deciderà Laura.
Non voglio gravarla della mia situazione e comunque non sarà
subito."
Intervenni per
chiarire la nostra situazione.
"Lo accompagno in
clinica e poi vedremo in base agli esami, soprattutto se può
riprendere a
lavorare a regime ridotto, che lo aiuterebbe a sciogliere la tensione,
visto
che non riesce a star fermo..."
Gli rivolsi lo
sguardo. "Sicuramente non subito. Non lo lascerei a casa da solo nelle
condizioni in cui è."
"Laura, ho
vissuto per anni in solitudine, devi stare tranquilla so badare a me
stesso." I cerchi astratti che disegnava sul tavolo divennero
più ampi, ma
la mano tremò.
"Sono pronto ad
andare in clinica con te." I nostri due coinquilini ci ascoltavano
senza
intervenire.
Mi voltai con il
cucchiaio in mano, la pasta era quasi pronta. Capivo che voleva rendere
ufficiale la nostra convivenza. "Va bene, meglio fare il controllo che
devi. Poi decidiamo."
Sherlock approvò con
un cenno del capo, prese Rosie, la strinse forte. Mi chiesi cosa
provasse in
quel momento, forse gli dispiaceva che lasciassimo Baker Street.
Iniziammo il pranzo
con il cuore leggero.
Tutte le tensioni
svanirono, perfino le proteste di Mycroft che ancora non aveva appetito
furono
sopportate con benevolenza, mi teneva la mano di tanto in tanto, come
se avesse
bisogno di sostegno e io la stringevo per fargli capire che c'ero.
John ci sorrideva e
sembrava il più felice di tutti. Quando lo aiutai a
sparecchiare, mentre i due
fratelli conversavano al solito posto di fronte al camino si
avvicinò
silenzioso.
"Devi amarlo
molto, Laura." Scosse la testa castana.
"Hai ancora un
bel po' di strada da fare. Non vorrei sembrare pesante, ma non mollare
adesso
che ti sta aprendo il suo cuore."
Indicò Mycroft
rilassato, la gamba appoggiata al rialzo, le mani sui braccioli, un
sorriso
leggero sul volto. E il fratello minore davanti a lui, che discorreva
senza
nessuna tensione sulle spalle.
"Io lo amo, ma tu
mi sembri molto coinvolto, gli vuoi così bene?"
Lo guardai
incuriosita, il British Government non era simpatico a molti.
"Diciamo che ho
imparato a capirlo, all'inizio mi era decisamente antipatico. Ma dopo
Sherrinford ero parecchio preoccupato per il suo isolamento, e avevo
chiesto a
Sherlock di occuparsi di lui."
Puntò gli occhi sulla
figlia che giocava ai piedi dello zio Myc.
"Non l'aveva
presa benissimo quando Sherlock gli aveva gridato che noi due eravamo
la sua
famiglia. Si sentiva estromesso. E ho avuto paura."
C'era qualcosa che
velava i suoi occhi e non mi fu difficile capire.
"Non fece niente
di stupido, vero? Non provò a farsi del male? Me lo puoi
dire, John."
Mi prese le mani con
forza.
"No, no, sta
tranquilla, ma fui in pena per un lungo periodo, e anche Sherlock." Mi
sorrise con gli occhi che brillavano.
"Quando arrivasti
e vi vedemmo coinvolti, pensammo che fosse una via di salvezza per lui,
infondo
lo meritava."
Era stato un amico attento,
lo ringraziai con lo sguardo per la sua cura. "John, mi ha fatto penare
parecchio. E temo che avremo nuovi problemi, anche se lo sento vicino e
per ora
mi basta."
Watson mi lasciò le
mani, il suo calore mi era stato di conforto. "Sai che se ti senti in
difficoltà ci saremo."
"Te l'ho già
detto che sei una brava persona? Perché ne sono proprio
convinta."
Ridacchiammo insieme sotto l'occhio attento di Mycroft.
"Meglio sistemare
la cucina, Laura, sospetto che l'Ice man diventi geloso."
"Ti bacerei, ma
ingelosirei tutti e due, fa come lo avessi fatto."
Sghignazzammo
complici, avevamo riassettato la cucina senza accorgercene. Raggiunsi
Mycroft
mi sedetti vicino e gli accarezzai la guancia.
"Se vuoi andiamo.
Ti devi cambiare? Hai bisogno di aiuto?"
"Posso vestirmi
da solo, ma oggi, quello che conta di più è
averti al mio fianco."
Mi turbò quella frase,
mi dava un'autorità che mi spiazzava. Sherlock se ne avvide,
mi strizzo
l'occhio. Lo aiutai ad alzarsi con cautela
Il detective
riccioluto, sospirò.
"Mi raccomando
voi due. La vostra unione è la vostra forza. Laura hai la
responsabilità di
questo cocciuto di un fratello che mi ritrovo. Scegli quello che
ritieni
giusto."
Mycroft gli mandò
un'occhiataccia, io ridendo salii di sopra.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 38 *** Le onde e la barchetta chiamata Amore ***
Albert aveva parcheggiato vicino a casa per permettere a Holmes di non
affaticarsi troppo, ci aspettava seduto alla guida.
Mycroft
si era attardato nel vestirsi era ritornato al suo vecchio stile:
completo tre pezzi grigio chiaro spinato, camicia bianca, cravatta
rosso scuro. Pensai fosse una specie di divisa che gli permetteva di
darsi rispettabilità e una autorevolezza visto il ruolo che
ricopriva. Lo aiutai ad indossare il cappotto.
"Sei
una sorpresa costante, Laura." Aveva mormorato mentre lo vestivo.
Era
rimasto stupito, quando mi aveva visto scendere con un tailleur beige e
una camicetta in tono che dava risalto alle mie forme e alle mie gambe
che spesso erano nascoste da Jeans e maglioni over size. Mi rendeva
un'eleganza equilibrata che non stonava nell'essere al suo fianco. Era
quello che volevo, non ero una ragazzina sprovveduta e irretita
dall'uomo di potere, lo amavo e volevo che ne fosse sicuro.
Rimase
silenzioso, ma un sorriso malizioso gli illuminò il volto
mentre allungava le mani per prendermi per la vita.
"Sei
bellissima." Si sciolse, mi prese sottobraccio e si fece aiutare nello
scendere le scale.
I
pochi passi fino all'auto furono difficoltosi ma tollerò lo
sforzo.
Albert
con la solita gentilezza ci accolse e guidò silenzioso fino
alla clinica.
Londra
scivolava via velocemente alle nostre spalle, era il primo pomeriggio e
brulicava di gente indaffarata.
Mycroft,
abbandonato sullo schienale, tamburellava con le dita sane
sull'impugnatura delle stampelle, parte della sua inquietudine si
trasferì in me.
"Va
tutto bene, Myc?" Girò la testa arricciando le labbra.
"Mentirei
se ti dicessi di sì, penso a quanto hai lottato per me e per
quanto lo dovrai ancora fare." Si zittì, la sua mano si
distese verso la mia.
"Tutto
il tempo che sarà necessario." Risposi sollecita per
cancellare i suoi dubbi.
Temeva
che avermi portato con sé potesse pesarmi in termini di
stress, cercai d'impedire che si sentisse in colpa.
"Sai
cosa penso del nostro rapporto Myc? È come se fossimo due
naufraghi in mezzo al mare in tempesta aggrappati a una barchetta
chiamata amore. Non ci siamo che noi e quella zattera che ci tiene a
galla. Dobbiamo adoperarci per farla navigare affrontando le onde. Non
affonderemo se la ripareremo insieme quando qualche squarcio
aprirà la chiglia. La abbelliremo, la renderemo
più forte, accoglierà le nostre notti e anche i
giorni di sole. Se saremo uniti arriveremo alla meta, il mare
diverrà piatto e ci sarà amico."
Incuriosito,
la fronte aggrottata mi guardò con gli occhi addolciti,
quanto di più bello avessi visto in quei giorni.
"Ti
amo Myc, sai che ci sarò sempre nonostante tutto, tu fidati
di me."
Avvertii
il suo respiro che si calmava, la carezza delicata delle sue dita.
"Non
ti facevo poetessa, ma d'altronde sei Italiana e...Italians
are people of saints, navigators and poets."
Era
bello il suo timbro di voce che spesso mi incantava, gli diedi un bacio
sulla guancia, lui si schernì leggermente. "Ti dovrai
abituare anche a questo, siamo un popolo caloroso e gesticolante."
Una
delicata fossetta gli comparve sul volto.
"Tutto
il contrario del "British aplomb", così freddo e lontano dai
tuoi modi, ma non avrò problemi a essere baciato mia piccola
dottoressa operosa." Mi strinse al suo fianco, la mano sulla schiena mi
procurò un brivido.
Albert
imboccò una strada privata che ci condusse fino a una villa
con un ampio colonnato bianco.
Assomigliava
più a una casa di cura che a una clinica. Il viale era
alberato, molti cipressi e pini e tanto prato lussureggiante.
Quando
arrivammo nel piazzale mi accorsi che c'erano gli stessi uomini vestiti
di scuro con gli auricolari che avevo visto al san Bart. Controllavano
la zona con discrezione.
Vide
la mia sorpresa. "È una clinica particolare per agenti in
servizio che hanno avuto qualche "incidente" di percorso o per alte
cariche dello stato e impiegati come me. Naturalmente l'accesso non
è per tutti. Solo i familiari stretti e i partner of
relevance."
"Sherlock
ti ha portato qui? È rimasto con te?" Chiesi stupita,
osservando tutta la villa e i visitatori.
Il
suo bel volto si contrasse, socchiuse gli occhi, i ricordi dolorosi di
quei giorni sembravano tormentarlo.
"Mi
hanno trasportato qui con un volo speciale quando mi hanno ritrovato.
Non ero propriamente in me, Sherlock è rimasto fino a quando
non sono stato in grado di capire. Decideva per me. Ora lo farai tu."
Rimasi
spiazzata immaginando in quali condizioni precarie fosse arrivato. Mi
tranquillizzò sorridendo. "Ora sto molto meglio Laura."
Lo
aiutai assicurandomi che fosse stabile e ci avviammo verso una
scalinata bianca piuttosto alta, ma che aveva un accesso per disabili.
Al
lato opposto c'era un ordinato giardino dove i degenti soggiornavano
seduti su delle panchine con alcune infermiere accanto. Altre si
occupavano di quelli in difficolta a deambulare. Tutto molto discreto e
silenzioso, rabbrividii pensando che quel posto non era propriamente
allegro, mi strinsi nel cappotto.
Mycroft
ridacchiò. "Lo so, fa questo effetto anche a me. Tutto
è così ascetico da mettere soggezione. Ma
è uno dei vincoli a cui sono sotto posto."
"Non
puoi decidere dove andare?"
"Diciamo
che tutelano la mia salute ed essendo parte della governance non potrei
svincolarmi, sono a conoscenza di interessi troppo delicati per
lasciarmi alla mercè di altri medici." Mi prese sottobraccio
e lo sentii stringermi delicatamente.
"Laura,
sai del mio lavoro particolare e ora lo dovrai condividere e accettare."
Ero
consapevole da tempo del suo incarico e dei poteri di cui disponeva e
dopo i fatti di Malvest ancora di più.
Camminammo
insieme fino all'ingresso.
All'accettazione,
dopo vari convenevoli, Mycroft mostrò le mie credenziali.
Dal suo portafoglio uscì una tessera magnetica che venne
inserita in una banca dati.
Il
pass era attivo e me la consegnò appena varcata la soglia.
"Tienila
con accortezza Laura, ora sei parte del sistema." Non replicai e misi
via la card, mi tremò un po' la mano.
"Non
avere paura, mia piccola dottoressa operosa, ti proteggerò
con tutto il potere di cui dispongo dovesse cadere Londra stessa."
Non
dissi nulla tanta era la durezza che avevo avvertito nella sua voce. Ci
avviammo senza fretta, ricambiando con gentilezza i saluti referenti
che le persone ci rivolgevano.
Era
molto conosciuto, molti si complimentavano per la sua guarigione.
Si
appoggiò al mio braccio, consapevole di dimostrare la sua
dichiarazione di fiducia. Il mio orgoglio crebbe, essere al suo fianco
era infinitamente piacevole.
Alla
fine del corridoio, un infermiere ci fece accomodare in uno studio
elegante e spazioso. Sulla porta spiccava il nome del primario
professor Ernest Green.
Due
minuti dopo entrò un uomo distinto di media statura con un
camice immacolato. Capelli grigi e sguardo indagatore, mi
fissò e mi mise subito in soggezione.
Allungò
la mano a Mycroft. "Ciao, Holmes. Vedo che sei in compagnia." Mi
rivolse uno sguardo sospettoso. La prima impressione fu quella di non
piacergli affatto.
"Ciao
Ernest, lei è la dottoressa Laura Lorenzi, la mia attuale
compagna."
Mi
indirizzò un sorrisetto piccato. "Italiana? E dove lavora di
preciso?" Mi allungò la mano che strinsi con vigore, lo feci
principalmente per Mycroft.
"Al Sant
Bartholomew's Hospital sono patologa forense." Sfoderai il
miglior accento possibile.
Si
appoggiò allo schienale con fare distaccato, le mani
allungate sui braccioli. Gli ero proprio antipatica. "Immagino vi siate
conosciuti per lavoro."
"Certamente
dottor Green, come potrebbe essere altrimenti? Mycroft non è
un tipo mondano!" Mi stampai un ghigno ironico, mentre il mio
"compagno" sorrideva come un gatto che sta vedendo la fine del topo.
Il
dottor Green capitolò, fu tregua, almeno per il momento.
"Uhmm,
bene, allora vediamo i risultati dell'ecografia al ginocchio e degli
esami del sangue. Mycroft, la dottoressa può rimanere in
sala di attesa."
"Direi
di no, Laura sarà con me."
Affermò
secco Holmes. Compiaciuta del suo orgoglioso intervento gli accarezzai
il braccio. Green ingoiò il rospo
"Bene
Myc, sai la trafila, ti mando Costance e vai con lei."
titubò, "andate con lei, scusate." Si sollevò
dalla sua comoda poltrona con un atteggiamento altezzoso.
"Così
va meglio, Ernest, più presto ti ci abitui più
andremo d'accordo."
Mycroft
gli batté la mano sulla spalla mentre gli passava vicino.
Zoppicava faticosamente, ma era bello vederlo arrogante e sicuro di
sé nonostante il dolore per quel ginocchio devastato.
Arrivò
Costance che era un'infermiera spiccia e cordiale, ci
accompagnò nell'ambulatorio.
Ebbe
pazienza di aspettare Mycroft, intanto parlava della giornata che era
stata clemente, quasi tiepida in quel fine inverno.
Non
incontrammo molte persone, ma questo ne faceva un posto sicuro e
protetto da occhi indiscreti.
L'ambulatorio
era decisamente all'avanguardia, era fornito di un ecografo che
riconobbi di ultima generazione, non avevano problemi di budget in
quella clinica.
Costance
lo aiutò a sistemarsi sul lettino, Mycroft si era liberato
della giacca e del gilè rimanendo in camicia e pantaloni, ma
non voleva toglierli. Insisteva, così intervenni e arrotolai
il calzone liberando il ginocchio. Ci guardammo complici, il suo non
era uno stupido capriccio e sapevo bene il perché.
Sopportò
tutto senza lamentarsi mentre gli prelevava il sangue e prendeva i
parametri di rito, non dava segni di nervosismo.
Quando
Costance ebbe finito mi chiamò con un sorriso complice.
"Siedi vicino a me Laura, non ti faranno problemi."
Ero
indecisa, non volevo imbarazzare il dottore che si sarebbe occupato
dell'ecografia, guardai prima lui poi Costance.
"Non
si preoccupi dottoressa, il dottor Trevor è tollerante. E
poi lei è una collega."
"Già,
ma di solito faccio eco a qualche cadavere!" Mi fissò
stupita. "È una patologa?"
"Sì,
ma non si spaventi, ne capisco anche dei vivi." Mycroft
ridacchiò, passò le mani sulla camicia
appiattendo pieghe immaginarie.
Il
dottor Trevor, al contrario del primario, era un giovane cordiale e
aperto, ci mise subito a nostro agio.
Accettò
di buon grado la mia presenza.
"Signor
Holmes dovrò spingere un po'. Potrebbe sentire dolore, se
non riesce a sopportarlo le farò un anestetico.
Mycroft
annuì.
"Cercherò
di sopportare."
Cercò
i miei occhi, incerto. Non si faceva toccare facilmente il ginocchio
specie quando lo medicavo. Mi prese la mano di nascosto.
All'inizio
resse ma quando Trevor iniziò a premere lo strumento sul
davanti prese a muoversi troppo, sussultando e stringendo la mascella.
"Dottor
Trevor sarebbe meglio fermarsi un po'."
Lo
interruppi con gentilezza cercando di fargli capire che il suo paziente
soffriva. Quando vide il volto contratto di Holmes si fermò
costernato.
"Non
si preoccupi il mio compagno non si lamenterebbe mai." Gli sorrisi
rassicurandolo, decise di iniettargli un leggero anestetico che fece
presto effetto, Mycroft intrecciò le dita alle mie e i suoi
occhi si rasserenarono.
Lo
avrei preso a schiaffi per quanto era testardo! Non avrebbe mai chiesto
al medico di fermarsi.
Il
dopo fu sopportabile, allentò la sua presa e socchiuse gli
occhi.
Il
dottore osservava il monitor con attenzione e anch'io vedevo il
disastro dei legamenti di quel ginocchio dove avevano infierito con
cattiveria.
"Dottoressa
vede anche lei?" Strinse le labbra con lo sguardo rivolto alle immagini.
"Vedo
e il mio caro Myc dovrà portare un tutore se
vorrà camminare."
"Che...
cosa?" Sussurrò appena sentì quella parola. "Un
tutore antiestetico e ingombrante?"
"Lo
porterai o starai a letto. Quindi decidi." Trevor rise vedendo la
faccia allibita di Holmes. Sapeva quanto ci tenesse alla raffinatezza
dei suoi completi di marca.
"Non
per molto signor Holmes. Non ha alternative per ora. Costance lo
adatterà e le insegnerà a indossarlo. Sono sicuro
che non sgarrerà, con una collega e partner così
attenta."
Mycroft
sbuffò e sbuffò, ma si arrese quando lo fissai
risoluta. Non riuscii a trattenermi dal sorridere, perché
era in quei momenti che l'ice man che conoscevo, diventava umano come
tutti.
Green
entrò in quel momento con una cartelletta dove probabilmente
c'erano i risultati degli esami.
Non
fu contento di trovarmi lì.
Il
mio partner irritato dal suo modo di fare, si vestì
frettolosamente e si fece scostante, seguì l'infermiera con
riluttanza.
"Ernest
parla con Laura. Io indosso quel coso. Lei è la mia compagna
e ha tutta la mia fiducia. Non farmi rimpiangere di esserti amico."
Sibilò a denti stretti.
Seguì
l'infermiera e mi ritrovai faccia a faccia con il primario.
Era
sconcertato, una ruga sulla fronte dimostrava la sua stizza, cercai di
stemperare la situazione scherzando.
"Lo
perdoni è arrabbiato per dover sciupare i calzoni di marca
con il tutore."
"Lo
conosco bene, Lorenzi." Agitò la mano in aria.
"Mi
permetta di dirle che la sua comparsa così improvvisa mi ha
confuso. Non sapevo nulla di lei e Mycroft è sempre
stato...solo."
"Non
più ora, le cose cambiano dottor Green."
Un'espressione
cattiva gli passò in volto.
"Ricopre
una posizione particolare! Che io sappia non ha dato mai confidenza a
nessuno."
"Non
mi faccia ripetere la stessa cosa. Non più ora. La sorprende
così tanto che possa essere innamorato di me?"
"Mi
permetta lei è molto giovane!" Sibilò stringendo
la cartella.
"Grazie,
lo prendo come un complimento, perché tra noi ci sono otto
anni di differenza e non ne vedo il nesso."
Non
si accontentò. "Sa in che condizioni è arrivato
qua dottoressa Lorenzi? C'era solo Sherlock con lui."
"Si
tranquillizzi, so bene il perché non mi ha voluto vicino."
Mi sforzavo di contenere la rabbia che mi saliva incontrollabile.
"Sa
degli abusi che ha subito? Difficilmente sarà sessualmente
attivo." La buttò lì con un'ironia che mi offese
ancora di più.
"Green,
abbia rispetto di Mycroft visto che si reputa suo amico. Lo lasci dire
a noi se avremo una vita sessuale appagante. Non la riguarda!"
Sbottai
per quella mancanza di rispetto per un uomo che aveva dato tutta la sua
vita per il lavoro.
"E
comunque grazie del modo delicato che ha avuto nell'avvisarmi della sua
condizione! Ne sono a conoscenza, si tranquillizzi."
Strinsi
le mani a pugno, fossi stata un uomo lo avrei colpito.
"Forse
perché nemmeno lei è in grado di avere rapporti
carnali." Incalzò soddisfatto.
Era
indecente come mi buttava in faccia quello che avevo passato.
Non
mi trattenni più, la mia parte italiana venne fuori tutta.
Mi avvicinai al suo volto.
"Vedo
che sa tutto di me, si è documentato! Non mi aspettavo che
fosse così meschino Ernest. Le è piaciuto leggere
i particolari dello stupro che ho subìto?"
Si
piccò che lo avessi chiamato per nome, ma fece un passo
indietro cercando di recuperare l'offesa gratuita che mi aveva fatto.
"Sono
un primario ed esigo rispetto." Lo fissai e sogghignai ironica.
"No,
Ernest è soltanto un uomo arrogante e prepotente come quelli
che non mi hanno rispettato."
"Mi
offende, non mi può paragonare a dei criminali." Le vene del
collo gli pulsavano di collera.
Sibilai
furiosa. "Lei è soltanto un emerito imbecille pomposo,
signor primario. Badi di curare il mio uomo al meglio. Non una
sbavatura sulla diagnosi o userò tutto l'ascendente che ho
su di lui per rovinarla."
"Ora
mi dica tutto e faccia alla svelta, non voglio che Mycroft veda quanto
si fidava di un uomo villano come lei."
Le
mani del piccolo uomo arrogante tremarono, si aggrapparono alla
cartella, respirò più volte.
Stava
valutando di cambiare approccio, temeva l'ira di Holmes.
Sciolse
la rabbia mentre lo fronteggiavo apertamente, non fu facile digerire le
parole offensive che mi aveva rivolto.
Lui
chinò la testa, mi fece strada per il suo studio.
Fu
finalmente professionale, prescrisse i farmaci adeguati e mi
ascoltò con più attenzione. Accettai quella
tregua silenziosa per amore di Mycroft.
"Dottor
Green mi occuperò di aiutarlo al meglio, non ho scavalcato
suo fratello, ridurremmo di comune accordo i farmaci antidepressivi. In
modo costante e lento."
"Lo
sa che non sono d'accordo."
"Ma
lo sarà se gli è amico, lo accetterà
per il bene di Myc."
Mi
guardò soppesandomi, mi studiava con gli occhi ostili che
non riuscivano a mascherare il disappunto di avere una donna troppo
giovane che gli teneva testa. Improvvisamente si sgonfiò
come un palloncino bucato.
"Ora
capisco perché Mycroft l'ha scelta, è caparbia e
innamorata come poche."
"Vedo
che ha compreso anche se in ritardo, mi preme solo la sua salute. Se
Myc non mi avesse voluto mi sarei fatta da parte."
Abbassò
la testa scuotendola rassegnato, appoggiò la cartella sulla
scrivania.
"Mi
scuso per come l'ho trattata. Sono stato offensivo senza pensare quello
che ha passato e che dovrete affrontare insieme."
"Per
amore di Mycroft resterà fra noi. Forse lei gli vuole bene
nel suo modo contorto, temendo che io sia la persona sbagliata e possa
farlo soffrire." Mi appoggiai alla sedia, lasciando la rabbia svanire.
"Lo
conosco da anni Lorenzi e so quanto la solitudine lo abbia limitato."
"Dottor
Green ora è con me e farò l'impossibile per
aiutarlo, ne sia certo." Era meglio chiudere la questione al
più presto.
"Lorenzi,
mi scuso ancora. Mi chiami Ernest, voglio bene a Holmes e voglio sia
sereno, vedo che è in buone mani. Se avrà bisogno
io ci sarò."
Mi
allungò la mano e lo ricambiai semplicemente
perché mi serviva: era il medico che aveva aiutato Mycroft e
non volevo fosse un nemico.
Quando
Holmes tornò con la sua gamba stretta nel tutore, nessuno di
noi disse più nulla. Esercitammo un controllo formale per
non insospettirlo. Anche se il mio compagno intuì qualcosa,
si limitò ad accettare la situazione e si
concentrò sulle direttive mediche di Green.
"Bene
Ernest, vedo che hai capito che ho una totale fiducia di Laura, non
scordartelo mai."
Il
dottor Green annuì sorridendo.
"Beh,
è decisamente inflessibile su quello che ti riguarda, mi
dispiace per la mia presunzione."
"Credo
che ci siamo chiariti Mycroft, a tutti e due preme la tua salute."
Sorrisi in parte per rassicurare il mio compagno, in parte
perché volevo superare quel momento di pura follia.
Ce
ne andammo silenziosi, mentre lo accompagnavo ripensavo a tutti gli
avvertimenti che mi aveva fatto riguardo i suoi colleghi e sentii
crescere un vuoto dentro il cuore.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 39 *** Fastidiose interferenze ***
Credevo che la giornata fosse
finita e invece...
Eravamo fermi nel grande atrio
perché Mycroft era andato a salutare due uomini della
scorta, quelli vestiti
costantemente di nero che probabilmente erano suoi collaboratori. Mi
ero
appartata sulla destra dove c'era un salotto con delle comode poltrone
e ne
approfittai per dare un'occhiata ai risultati dei suoi esami.
Scorsi Anthea varcare la soglia
della clinica con passo deciso, che non mi fece presagire nulla di
buono. Mi
fece un cenno con il capo e andò dritta da Mycroft con cui
parlottò fitta.
Chiusi la cartella mentre mi
raggiungevano con Myc che arrancava in fretta.
Li fissai cercando di capire cosa
stesse succedendo.
"Laura, le notizie volano
veloci. Non sarà una serata facile, una collega di lavoro
con cui collaboro da
anni sta arrivando. Mi dispiace, mia dottoressa operosa, sono diventati
tutti
curiosi."
Il suo bel sorriso era sparito e
sul volto gli leggevo la rabbia, si reggeva sulle stampelle come se
avesse un
peso in più sulle spalle.
Sospirai, avevo già
capito che
un'altra persona prevenuta e curiosa di conoscermi ci avrebbe raggiunto
a
breve. Mi passai la mano sulla fronte, Mycroft mi fissò
preoccupato.
Anthea si avvicinò
comprensiva.
"Non sono riuscita ad avvertirvi in tempo, mi dispiace Laura." Scossi
la mano per rassicurarli. Ma dentro non ero tranquilla.
Mycroft brontolò. "Non
volevo
stressarti così tanto, Laura. Ce ne andiamo in fretta."
"Troppo tardi, credo di
averla intravista alle vostre spalle."
Una donna matura, sobria ed
elegante, scortata da due uomini entrò nell'atrio, camminava
con un'autorità che
gli dava la sicurezza di essere ai vertici del potere.
Mycroft si girò con
un'aria
seccata e irritata che stentava a trattenere. Si posizionò
al mio fianco mentre
Anthea si defilò con eleganza. Presto la sua collega ci fu
davanti con la
faccia sorpresa che dimostrava quanto fosse un'abile attrice.
"Alicia, che curiosa
coincidenza trovarti qui!" Holmes assunse il portamento distaccato che
conoscevo bene, la sua voce si fece formale senza alcuna inflessione.
Lei, altezzosa e affettata nei
modi, evitò il mio sguardo.
"Mycroft, vedo che arranchi
ancora benché tu abbia un tutore di ultima generazione! Come
sta il tuo
ginocchio?" Si stampò un sorriso di circostanza alquanto
irritante.
"Puoi chiederlo alla mia
partner, la dottoressa Lorenzi, ha molte più competenze di
me." Gli
rispose misurando le parole.
Solo allora la nostra
interlocutrice spostò lo sguardo verso di me. Sentivo
Mycroft fremere,
nonostante si controllasse con maestria.
"Laura, vista l'educazione
con cui mi hanno cresciuto ti presento lady Alicia Smallwood, mia
collega di
lavoro." Mosse altèra la testa bionda al mio indirizzo.
Holmes la fissò ironico,
e sorrise
divertito vedendo la sua faccia infastidita. "Laura, è
patologa al san
Bart ma credo tu sappia già tutto Alicia." Io accennai un
sorriso educato.
"Non passo tutto il giorno
dietro alla vita dei miei colleghi." Ironizzò seccata
distogliendo lo
sguardo da me e portandolo sul mio compagno.
"Davvero Alicia? È
strano
trovarti qui, hai sempre detto che questo posto ti dà i
brividi e hai l'aria di
essere arrivata di fretta, ti aspetta qualcuno?" Ridacchiò,
sollevò le
stampelle reggendosi sulla gamba sana, voleva dimostrare di essere in
forze.
Giudicai fosse troppo pericoloso
lasciarlo in quella posizione. Lo sgridai con lo sguardo e lo invitai a
reggersi.
Quel battibecco non portava a
nulla di buono, mi rivolsi a lei in modo gentile.
"Lady Smallwood, conoscere i
colleghi del mio compagno è per me un grande piacere. Spesso
siete delle entità
suggestive e alquanto misteriose."
Mi fissò malamente,
Mycroft, che
era tornato a reggersi sulle odiate stampelle, abbassò la
testa e lo vidi
sogghignare.
"Ci percepisce così
dottoressa Lorenzi?"
"In effetti, Lady Smallwood,
non capita spesso di vedere il volto di chi è alla
Governance del vostro
paese."
Ammisi sarcastica appoggiando la
mano su quella di Myc. La girò appena cercando di non fare
ruzzolare la
stampella a terra e mi accarezzò.
"Eppure ne frequenta uno, e
molto spesso negli ultimi tempi." Rispose con un mezzo ghigno.
"Diciamo che mi ha concesso
la sua fiducia, ma io lo conosco come un uomo gentile e affettuoso."
Ridacchiò e quel suo
modo di fare
mi sorprese.
"Non si direbbe che lei stia
parlando del mio vecchio amico, ha passato molto tempo da solo."
Mycroft sogghignava al mio fianco,
non accennò a nessuna risposta, il calore della sua mano mi
dava la forza.
"E' la seconda volta oggi che
mi viene fatto notare che era un solitario, quindi mi ripeto nel dirle
che ora
non più."
Rimase interdetta, probabilmente
mi valutava come aveva fatto Green.
Fui io che strinsi la mano di
Mycroft.
"Se vuole sapere della salute
del mio compagno, sappia lady Smallwood che sta molto meglio, ha
l'assistenza
che merita per il suo sacrificio. E presto tornerà a
occuparsi della
Governance, se è questo che la preoccupa." Non mossi un solo
muscolo del
corpo. "Non influirò nel suo lavoro, né gli
chiederò di fare nulla di
più."
Mycroft si avvicinò,
sembrava
ancora più alto, inorgoglito dalla mia difesa.
"Alicia, credo tu abbia
capito che Laura è la persona che amo. Non credo di aver
nulla d'altro da
aggiungere."
Dovetti respirare in fretta per
compensare. Aveva ammesso il suo amore in un modo che metteva fine alle
ingerenze da parte dei colleghi della governance, e lei era una che
stava al
vertice.
Lo trattenni per il braccio
perché
stava per andarsene e non volevo essere la causa di rotture nel loro
rapporto,
non doveva prendere le distanze da chi poteva aiutarlo nel tempo, si
fermò
accigliato a osservarmi e capì da buon Holmes qual era.
Con una calma stoica presi la
decisione di smorzare i toni.
"Non voglio essere la causa
d'incomprensioni, Lady Smallwood, non nutro risentimenti e posso capire
la sua
difficoltà nel accettare questo cambiamento nella vita di
Mycroft, ma non
influirò nelle sue scelte, né nel suo lavoro,
sarò semplicemente al suo fianco
e mi prenderò cura di lui."
Aspettai la sua risposta ero stata
conciliante per non urtare né lui, né lei.
Sorrise, scosse la testa bionda,
poi guardò Holmes. "È decisamente troppo saggia
per te Ice Man,
ma infondo ti meriti l'amore con
cui ti protegge."
Si rivolse a me mentre lui si
schiariva la voce sorpreso di quella resa.
"Di una cosa certamente ha
ragione dottoressa Lorenzi è stato sempre così
solo che il vostro rapporto
sembrava una forzatura, invece anche Myc ha trovato la sua "cura",
quella che ripeteva spesso non essere un vantaggio. Vedo che ha una
forza
notevole, Laura. Mantenga il suo amore vitale come lo è
adesso, sempre."
Mi tese la mano e gliela strinsi
senza aspettare, non avevo bisogno d'altro.
Per Mycroft era necessario
sentirsi al sicuro nel suo lavoro, ed era vitale visto i rischi che
correva,
quella dichiarazione di pace ci avrebbe solo giovato.
"Prenda dottoressa, questo
è
il mio numero privato, mi mandi il suo. Penso che avremo occasione di
risentirci
spesso."
Mi sorrise compiaciuta, mentre
infilavo il biglietto in borsa, ci fissava entrambi soddisfatta, la
mano di
Mycroft sulla mia schiena tremava. Era veramente ora di andare, stare
in piedi
tutto quel tempo era troppo per lui.
Così allentai la
tensione e buttai
lì una frase di congedo.
"Arrivederci Alicia, porto a
casa l'ice man, prima che crolli sul pavimento". Ridemmo insieme mentre
lui ci guardava torvo, spalancando gli occhi grigi e roteandoli in
alto. Ma mi
sorrise riconoscente.
Anthea ci raggiunse e ci
scortò
fino all'auto. Camminammo adagio per permettere a Mycroft di riprendere
il
ritmo.
Prima di salire nel Bmw scuro mi
diede un bacio casto sulla guancia. "Sei fantastica mia dottoressa
operosa
e Alicia ha ragione, sei saggia molto più di me." Arrossii
come una
scolaretta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 40 *** Iniziare insieme ***
Albert come al solito ci aspettava paziente, Mycroft con il tutore
posizionato
sul ginocchio sembrava soffrire molto meno, anche se brontolava per
quell'aggeggio ingombrante. Le stampelle rimbalzavano sulla ghiaia e
stavo
attenta che non finisse per scivolare.
"Stai bene Laura?"
Strinse le labbra mentre mi
guardava con attenzione. In realtà mi sentivo malissimo e
forse non lo
mascheravo per niente.
Salutammo Anthea che mi sorrise
complice per aver salvato la conversazione e l'amicizia con la
Smallwood. Ci accomodammo
in auto, Myc si sistemò nel sedile cercando di allungare la
gamba. Lo aiutai ma
fui poco attenta, non riuscivo a guardarlo in volto e fu uno sbaglio.
Lui
percepì subito che qualcosa non andava, ma lasciò
che mi prendessi del tempo.
Quando Albert partì, mi
attirò
vicino a lui allungando il braccio attorno alla mia vita.
"Laura è stato in
pomeriggio
stressante, non volevo coinvolgerti, ma sembrano tutti in allarme per
la tua
vicinanza." Sbuffò seccato, mentre appoggiavo la testa sulla
sua spalla.
"Ernest è stato
scortese?" Aggiunse con voce severa.
"No, non è successo
niente.
Deve imparare a conoscermi! Come tutti i tuoi colleghi che si
interrogano sulla
tua solitudine e sul mio arrivo improvviso. Sei riuscito a tenermi
nell'ombra,
a quanto pare." Mormorai sfregandomi sulla sua spalla un po' avvilita
per
la piega che avevano preso gli avvenimenti.
"Con Malvest in giro era
meglio tenerti al sicuro. Non ho azzardato di più." Mi
accarezzò i capelli
pieno di tenerezza e un po' pentito per quello che avevo dovuto
sopportare.
"Sei stata fantastica, ma del resto lo sapevo che avevi grinta da
vendere."
"Non tanta, Myc, mi sento
svuotata. Pensa che vorrei essere al san Bart insieme ai miei morti."
Pensavo veramente alla pace dell'obitorio dove nulla mi infastidiva.
"Laura, non succederà
più.
Era Alicia lo scoglio più grosso." Lo sentii irrigidirsi,
appoggiò la
fronte sulla mia.
"Lo immaginavo, aveva un
autorità non indifferente sia nei modi che nel parlare."
Socchiusi gli occhi silenziosa,
con la testa altrove, incapace di sollevarmi dall'inquietudine che mi
cresceva
dentro come un'onda che arrivava lenta, la mia insicurezza stava
prendendo il
sopravvento, non riuscivo a chiarirmi con lui, che sembrava in attesa.
La sua
mano mi teneva stretta a sé, come per rassicurarmi.
Avevo lottato tanto per Mycroft,
avevo aspettato, rispettato i suoi tempi, i suoi allontanamenti, le
litigate.
Quando finalmente eravamo riusciti a ristabilire un rapporto reciproco,
mi
ritrovavo a dover combattere con il suo lavoro e con i suoi colleghi.
Dover dimostrare che ero
all'altezza del suo amore, delle sue attenzioni, mi rendeva fragile.
Forse
quello che mi sconvolgeva di più era che sapessero del mio
passato doloroso che
avevo cercato di seppellire sotto montagne di psicoterapie e forza di
volontà.
E invece era lì davanti a tutti come un libro aperto.
Mi mancò il respiro come
succedeva
quando mi prendevano gli attacchi di panico. Ebbi la paura insensata di
non
farcela, di non riuscire a stargli vicino, di non essere una compagna
adeguata
al suo rango.
Quanto potevo contare sull'amore
che gli dimostravo? Se ora anche queste intromissioni ci avrebbero
ostacolato.
Tremai così forte che lui si spaventò.
"Laura, che hai? Albert
accosta." Ordinò perentorio. Mi sollevò la testa
tremando più di me.
"Ho bisogno d'aria fresca
Myc." Cercai di tranquillizzarlo, ma non ci riuscii per niente.
Quasi gridò. "Albert,
aiutami. Prendi Laura e falla uscire."
Mi tenne abbracciata mentre l'auto
si fermava. Albert sollecito praticamente mi trascinò fuori.
Mi appoggiò alla
fiancata
dell'auto, rassicurandomi e tenendomi per le spalle per dare il tempo a
Myc di
uscire. Mi maledissi per causargli ancora dolore con il ginocchio in
quelle
condizioni.
Ero in affanno, cercai di
respirare tutta l'aria che potevo, controllando la respirazione.
"Dottoressa prenda un po'
d'acqua." Albert mi porse una bottiglietta che gli aveva allungato
Mycroft. Cercava di scendere il più in fretta possibile. Ne
bevvi dei piccoli
sorsi nella convinzione di stabilizzarmi.
"Scusami Albert." Mormorai
vedendo il volto preoccupato del mio amico.
"Stia serena dottoressa, lei
è una donna forte e il mio capo è molto
innamorato." Mi sussurrò
all'orecchio cercando di non farsi sentire.
"Grazie, sei un aiuto
prezioso." Mi sorrise mentre Mycroft era riuscito finalmente a
raggiungermi.
Sostituì Albert e mi fu
accanto
con il volto tirato, e lo vidi per quello che era in realtà:
l'uomo che tutti
credevano razionale e autoritario non c'era più. Era teso e
agitato e le sue
mani erano incerte, incapace di dare forma al suo groviglio emotivo.
Mi sciolsi e gli accarezzai il
volto. Se volevo una dimostrazione d'amore era in quella angoscia che
vedevo
nel suo volto.
"Stai bene? È colpa mia!
Dovevo capire che eri già stressata e invece ti ho caricato
di un peso
ulteriore. Sono un imbecille Laura, ti prego perdonami." Respirava
quasi
meno di me, la voce rotta e la fronte corrucciata.
Mi chiuse il cappotto elegante,
forse troppo per una come me che spesso era in jeans e maglietta. Mi
alzò il
bavero. "Prenderai freddo." Sussurrò.
Lo guardai negli occhi non
riuscendo a mascherare un'infinita tristezza per dover ancora lottare.
"Mi sento inadeguata, Myc,
sarò mai capace di essere al tuo livello? E se non mi
accettassero per quella
che sono? Pensano che ti abbia confuso, che ti possa allontanare dal
tuo lavoro."
"Lo sai che non è
così, non
sarei rimasto se non fossi sicuro di te, della donna che sei.
Perché ti voglio
e ti amo, mia piccola dottoressa operosa."
Mi abbracciò
così forte che
sussultai. "Non pensare mai di essere inadeguata, perché sei
molto più di
tutti loro. Forse dovevo darti del tempo, ma desideravo così
tanto che fossi
con me. Mi rende orgoglioso che tu sia il mio sostegno."
Affondai il volto sul suo petto.
Il suo calore, il suo profumo mi calmò. Le sue mani si
fecero forti e decise,
mi accarezzavano piene di amore, mi sentii appagata e stupida allo
stesso
tempo, perché ci amavamo contro tutto e tutti.
"So che senti un peso
ulteriore sulle spalle, Laura, non soltanto sono un uomo difficile e
ammalato,
ma ho una vita sociale importante da gestire."
Mi sollevò il mento, i
miei occhi
erano pieni di lacrime. Sorrise gentile.
"Ti ricordi di quella
barchetta che hai paragonato al nostro amore? Beh, ora aggiusteremo
anche
questo squarcio e andremo avanti."
Scoppiai a piangere come una
stupida, lui mi spinse delicatamente la testa al centro del suo petto
dove
c'era quel cuore che tutti dicevano essere di ghiaccio e mi
dondolò mentre non
riuscivo a calmarmi. Sussurrava al mio orecchio che saremo stati bene,
che
avremmo navigato a vele spiegate.
"Ci sarò Laura, sempre,
non
temere. Non soffrire, divideremo il peso di tutti i problemi che
verranno."
Quanto calore, quanto amore potevo
assorbire da lui? Da quelle mani ancora fasciate, torturate in quel
modo
atroce, che cercavano di annodarsi fra i miei capelli. Dai baci gentili
che mi
appoggiava sulla testa. Dal suo corpo, magro e ancora sofferente che mi
avvolgeva, dalla tenerezza di quel dondolare che mi dava sicurezza.
Lo amavo, lo avrei amato anche di
più. Aveva ragione, avremmo fatto navigare quella barchetta,
che sarebbe
diventata una nave grande e robusta.
"Ti amo Myc. Perdonami ho
avuto paura. Ma se mi aiuti sarò forte, sarò la
tua amica, la tua compagna, la
tua donna." Il suo corpo vibrò, mi allontanò
appena un po', fissandomi con
quegli occhi grigi che tanto ammiravo.
"Bene, perché ora un
bacio lo
merito, visto che sto in equilibrio su di una sola gamba."
Ridemmo, e ci regalammo un bacio
dolce e profondo. Lo ressi io, cercando di non pesargli.
Perché lui sapeva che
lo avrei sorretto sempre e comunque.
Albert si era appartato, come
sempre testimone di tutta la nostra storia.
Si era fatto già tardi,
sollecito
e sorridente il nostro amato autista ci riportò a Baker
Street.
Avevamo deciso che saremo stati
con loro qualche giorno in più. Almeno fino a quando Mycroft
non avesse ripreso
a lavorare a livello ridotto.
Trovammo i nostri amici che ci
aspettavano. Mycroft si fermò a parlare con Watson mentre la
piccola Rosie
sembrava attratta dal tutore che gli comprimeva il ginocchio e lo
osservava
curiosa.
Informai Sherlock delle condizioni
di Myc, e rise un bel po' quando lo vide con il tutore sulla gamba.
"Immagino quanto avrà
brontolato. I suoi calzoni si sciuperanno e per lui questo è
un affronto bello
e buono." Mi fissò e, da come mi studiava scuotendo la
testa, compresi che
aveva capito che non era stato un pomeriggio tranquillo.
Così decisi di
chiarirmi subito.
"Va bene, ho dovuto lottare
un po' con Green. E anche con Lady Smallwood. Ma ci siamo capiti."
Strinse le labbra e socchiuse gli
occhi. "Però ti hanno fatto soffrire, a quanto vedo. Green
vuole bene al
testardo di Myc, a suo modo, naturalmente." Mi sorrise dolcemente.
"Ha salvato la vita a mio fratello quando l'ho riportato a casa."
"Lo so mi ha detto che sei
sempre rimasto al suo fianco. Ho sempre saputo che sei un buon
fratello. Tu e
John siete stati perfetti dopo Sherrinford." Ma Sherlock, che era il
miglior investigatore di Londra, capì.
"Immagino sappiano tutto di
te e del tuo passato. Purtroppo è un prezzo alto da pagare
per stare al suo
fianco. Ma tranquilla resterà all'interno del suo ufficio, e
conoscendo l'ira
di Mycroft se lo venisse a sapere, è come se fosse sepolto
sotto una spessa
lapide." Fu tagliente, le labbra strette. "Sono interferenze che
potrebbero evitare, non riescono a restare fuori dalla nostra vita
privata.
Sospirai perché era
vero, stare
con un Holmes aveva un prezzo.
"Non dire nulla a Mycroft,
Green non è stato molto gentile con il mio passato. Ma per
il suo bene ho
smorzato i toni." Sherlock allungò la sua mano delicata
sopra la mia. Un
gesto inaspettato.
"Sei saggia Laura, ma se ti
infastidiranno puoi dirlo a me." Sentii il suo calore passarmi
attraverso
la pelle. "Ci penserò io. Sta serena e cerca di non
abbatterti."
Quella carezza gentile, fatto da lui che era meno espansivo di Mycroft
mi diede
ulteriore coraggio.
"Lotterò stanne certo,
avrò
cura di lui."
Mycroft ci raggiunse con lo
sguardo severo, forse aveva visto il gesto del fratello, che ritrasse
rapido la
mano.
"Che state complottando voi
due?" Sorrise ironico. "Bada fratellino lei è la mia donna."
"La tua cosa?"
Esclamammo in coro. Aggrottò la fronte. "La mia compagna?"
"Meglio," risposi
ridendo "ma va bene lo stesso, stupido." Mi baciò sul
fronte, quasi
gli caddero le stampelle.
"Come siete sdolcinati!"
Sbuffò ironico Sherlock. "Fratello sei cotto al punto
giusto! Chi si
occuperà dell'Inghilterra adesso..."
"Sempre io, ma doserò le
forze e il mio tempo. Laura sarà al primo posto, lo Stato
può andare avanti
anche senza di me."
"Mi lusinghi oscuro uomo di
potere. Ma lo sai che non voglio che tu rinunci al tuo lavoro. Bada che
l'ho
promesso, nessuna interferenza da parte mia." Ridacchiai vedendo il suo
volto imbronciato.
"Va bene ma allenterò un
po'
gli impegni, voglio passare più tempo con te."
Sherlock sbuffò agitando
la chioma
nera, ci guardava mascherando la sua felicità, sapeva che
suo fratello ora era
al sicuro. Dopo tanto tempo ora poteva lasciare andare la sua
irritazione e le
incomprensioni che lo avevano allontanato da Mycroft.
Sogghignò. "Fa il bravo
fratello, fate i bravi tutti e due, non voglio più
riaggiustare i vostri cuori
infranti."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 41 *** L'angoscia di Mycroft ***
La serata trascorse tranquilla, dopo cena ci ritirammo nella sua
camera.
Volevamo restare un po' insieme. Sherlock e John non dissero nulla che
potesse
ferirci, capivano che volevamo un po' di privacy.
"Se sto meglio e riprendo a
lavorare ci trasferiremo a Pall Mall?" Eravamo seduti sul letto con le
mani vicine. Mycroft sembrava impaziente di iniziare una vita insieme,
ma
anch'io lo desideravo.
"Dagli esami e se il tuo
ginocchio migliora, ci possiamo provare." Lui annuì,
titubò solo per un
attimo.
"Se avessi qualche crisi, ti
peserei molto. E tu devi lavorare."
Gli sorrisi e gli sfiorai le dita
della mano. "Vediamo come ti trovi con la cura, i problemi li
affronteremo
in seguito. Intrecciò le dita alle mie. "Non so come
aiutarti Laura,
cercherò di controllarmi." Mi fece tenerezza detto da lui
che teneva salde
le redini dello stato.
"Lo sai che non dipende da
te. Ora che siamo più vicini spero che questo ti dia la
giusta
tranquillità." Appoggiò la sua fronte sulla mia.
"Stare con te mi aiuta, ma
vederti penare mi uccide. Non sono abituato a lasciarmi andare. Lo sai."
Gli accarezzai la nuca con
dolcezza.
"Ti conosco mio ice man, ora
sono più consapevole dei tuoi punti di pressione."
Lo abbracciai e rimanemmo
così per
un po'. Lo aiutai a indossare il pigiama, non si ritraeva alle mie cure
e
accettava che la nostra familiarità si saldasse, mostrandosi
come mai aveva
fatto prima.
Ridevo mentre brontolava quando
gli infilavo il pigiama mezzo storto, e lo sistemava subito con la
solita cura.
Mentre si infilava nel letto mi
venne voglia di stare con lui, di andare oltre.
"Che ne dici se rimango con
te questa notte? Il letto è abbastanza grande."
Aspettai la sua risposta con
tranquillità, gli occhi gli brillavano pieni di malizia.
"Certo che sì, ma a tuo
rischio e pericolo, non so se sarò molto gentleman."
"Uhm... metterò a
repentaglio
la mia sorte, vado a mettere il pigiama e torno." Spalancò
la bocca per
dire qualcosa ma si trattenne e ridacchiò complice. "Attenta
ai nostri
coinquilini! La tua reputazione..."
"Capiranno." Agitai la
mano e uscii felice di passare la notte con lui.
C'era solo Sherlock che armeggiava
al microscopio, alzò la testa e la scosse, ma quando tornai
in vestaglia e in
pantofole, non riuscì a trattenere un sorriso ironico.
"Dio mio, Laura. Bada che
è
ancora a pezzi."
Gli restituii una smorfia
beffarda. "Cercherò di aggiustarlo, tranquillo."
Ritornò a guardare nel
microscopio
passandosi una mano nei ricci neri.
"Due adolescenti, ecco cosa
siete." Ridacchiai mentre entravo nella stanza.
Mycroft, sospirò. "C'era
Sherlock immagino!" Sollevai la mano per allontanare ogni dubbio.
"Va tutto bene." Mi
tolsi la vestaglia e presi il libro per leggere un po'.
"Delizioso il pigiama rosa
con gli orsetti, Laura." Rise così forte che
inclinò la testa all'indietro
sbattendo la nuca sulla spalliera del letto.
"Cosa pretendevi? Che
scendessi con una lingerie di pizzo trasparente? Ancheggiando per tutta
la
casa?"
Si massaggiò la testa
mentre mi
osservava divertito. "Beh, magari più avanti,
però non mi sarebbe
dispiaciuto."
"Smettila, non siamo
soli." Mi alzò la coperta perché scivolassi al
suo fianco. Indicò i miei
piedi. "Sono ghiacciati come al solito?"
"Sì, ti ci devi
abituare, my
british government."
Mugugnò tirandomi vicino
a lui, mi
accarezzò la schiena.
"Mi piacciono gli orsetti. Da
bambino li amavo, ora che te li vedo addosso ancora di più."
"Non riesco a immaginarti,
piccolo e che ti abbracciavi a dei pupazzi a forma di orso. Dovevi
essere
carino."
Gli diedi una gomitata indulgente
e iniziai a leggere, si accoccolò sulla mia spalla, ma
era poco attento, sbagliai la
pronuncia un paio di volte e nemmeno se ne accorse.
Era impegnato ad accarezzarmi le
spalle, a toccarmi i capelli, a scendere sul collo. Il suo respiro si
face
rapido, si soffermò con le dita sulla ferita di mesi prima.
"Mi dispiace per quella
volta. Ti misi in pericolo." Mi soffiò nell'orecchio, il suo
alito caldo
mi fece rabbrividire e mi baciò.
Quel gesto gentile
annullò la
cicatrice e una sensazione smaniosa mi percorse il collo, il libro mi
cadde sul
letto.
Era così vicino, si
offriva colmo
di tutto quell'amore che in quei mesi avevamo dovuto trattenere. Ma per
un
breve istante mi chiesi se lui fosse pronto, se non fosse troppo presto.
"Sei sicuro Myc? Per me va
bene." Gli sussurrai inquieta, ma in risposta mi prese il volto fra le
mani. Le sue labbra non volevano altro, fu il bacio più
intimo e dolce che
avessi mai immaginato.
Lo avvolsi tra le mie braccia, e
allacciai la sua schiena che era ancora ferita dalle torture.
Sapevo che poteva eccitarsi,
com'era naturale avvenisse, e sentire dolore. Mi staccai brevemente per
dargli
tempo.
"Piano, Myc, coccoliamoci un
po'." Cercai di convincerlo a essere cauto, lui capì.
"Non essere in pena per me,
Laura, anche tu hai sofferto. Voglio solo sentirti vicina e non andremo
oltre."
Ci desideravamo, sentivamo la
voglia di conoscerci, di toccarci, le nostre mani erano vogliose della
nostra
pelle accaldata. Gli sbottonai la giacca del pigiama, la lasciai
scivolare sul
letto, non mi staccavo dai suoi occhi. Mi tremarono le mani mentre gli
sfilavo
la maglietta bianca, sul suo petto liscio c'erano ancora degli ematomi
e
sussultai addolorata.
"Va tutto bene Laura."
Sussurrò con un bacio dolce sulle mie labbra.
La mano sul suo petto, avvertiva
la forza dei suoi muscoli, nonostante quello che aveva sofferto, la sua
pelle
mi rendeva un piacere palpitante mentre lo sentivo infiammarsi.
Percorsi con le
dita, quei segni di tortura mentre mi toglieva la maglia con gli
orsetti e
trasaliva nello scoprirmi.
"Allora c'era del pizzo, mia
dottoressa operosa." Sussurrò appoggiando un bacio
sull'incavo del collo.
Il reggiseno bianco ricamato lo fece arrossire di piacere e voglia.
Lo aiutai a sfilarlo, fui libera
da costrizioni e la mia nudità lo fece ardere di desiderio.
"Laura, sei dolcissima...va
tutto bene?" Si assicurò con gentilezza.
lo invitai a continuare, mentre le
mie mani erano sul suo torace voraci di sentire la sensazione di
piacere che
emanava il suo corpo. Il suo profumo era piacevole, liberava una voglia
che
stentavo a trattenere. Le sue dita sottili, quelle libere dalle
fasciature, mi
accarezzarono delicatamente i seni, avvicinò il suo volto e
mi ricoprì di baci
sensuali e leggeri. Il piacere che avvertii fu irrefrenabile e quella
prima
sensazione eccitante mi sconvolse. Non avevo mai provato quel desiderio
lussurioso che mi pervadeva e soprattutto sentivo una voglia crescente
di
essere sua.
"Laura, devo
rallentare." Mormorò smarrito ed eccitato,
allontanò le mani, le fece
scivolare sui miei fianchi, assaporò la consistenza della
mia pelle. Rallentai
le mie carezze per aspettare che prendesse le misure del suo piacere.
Avevamo bisogno di conoscerci
entrambi. Lo vidi adombrarsi, anche se solo per un attimo. Socchiuse
gli occhi
e abbassò la testa.
"Myc tranquillo, sono qui per
te." Avvicinai la mia fronte alla sua, intrecciai le dita dietro la sua
nuca e lo coccolai cercando di calmarlo.
Respirava affannato, il suo cuore
era accelerato, le sue mani mi cingevano la schiena, salivano e
scendevano
restituendomi una serie di brividi, affondò il suo volto fra
i miei seni,
iniziò un gioco delicato di baci e respiri caldi che
lambivano la mia pelle
sensibile. Persi il tempo e la ragione, avvertendo solo lui e il suo
corpo.
Ma nello stesso istante lo sentii
ritrarsi, ansimando sconvolto, gli occhi limpidi si oscurarono, li
socchiuse,
sentivo che non riusciva a controllarsi.
Le torture e gli abusi avevano
lasciato degli strascichi notevoli. Si contrasse, la mascella stretta
dolorosamente,
irrigidì le gambe, tese tutto il corpo magro e
imprecò.
In quel momento lo persi, era
andato oltre.
"Myc rilassati. Forse siamo
stati troppo impulsivi." Cercai di prendergli il volto fra le mani ma
si
girò e lo affondò sul cuscino,
singhiozzò, mentre si portava le mani
all'inguine. Gli uscì un lamento roco che mi trafisse il
cuore.
"Scusami, Laura, non mi
controllo. Ho fatto un pasticcio."
Gli accarezzai le spalle, lo
baciai fra le scapole tese. Appoggiai il mio seno alla sua schiena
rendendogli
calore e amore. Ma il conforto era inutile perché prese a
tremare.
"E' la prima volta, dobbiamo
essere pazienti, Myc. Non angustiarti."
"Laura, il dolore è
forte." Mi rivestii per non urtarlo. Non volevo farlo sentire in colpa.
Il
medico che era in me prese il sopravvento.
"Non contrarti, rilassati,
rimani disteso a pancia sotto e allunga le gambe. Tieni le braccia e le
mani
lungo i fianchi."
Era a schiena nuda. "Sta
tranquillo, ti faccio un massaggio leggero."
Lasciò che le mie mani
lo
confortassero, iniziai dal collo e scesi sulle spalle tese, piano e con
movimenti circolari arrivai fino al fondo della sua schiena irrigidita.
Sui
fianchi spinsi di più, mentre fui più delicata al
centro, appena sotto
l'elastico dei calzoni del pigiama. Il calore delle mie mani lo
calmava, il
respiro si fece regolare, smise di sussultare, le mani si distesero e
si
rilassò.
"Vuoi parlarmene Myc?
Dovresti provarci. Ti aiuterebbe."
Decisi di andare oltre, doveva
rivivere le sue paure. Glielo chiesi con gentilezza accarezzandogli la
nuca,
sperando si sbloccasse.
Era il momento giusto, sapevo che
non era facile per lui così controllato e arroccato nelle
sue convinzioni.
Mi stesi al suo fianco, il suo
volto era affondato nel cuscino. Gli sussurrai nell'orecchio.
"Fammi vedere i tuoi occhi
Myc. Non privarmi del tuo sguardo. Sai che sono testarda e non me ne
andrò."
Si sollevò adagio,
appoggiò la
testa rivolto verso di me, gli occhi umidi.
Respirò troppo in
fretta, come
avesse freddo, lo tirai verso di me presi la sua maglia e lo rivestii,
gli feci
indossare la calda giacca del pigiama. Cercava conforto e si strinse
forte a
me, con la voce angosciata iniziò a liberarsi del passato.
"Laura, sai quello che mi
hanno fatto, lo hai visto dalle ferite. Non avevo pensato che
arrivassero a
tanto." I nostri volti quasi si toccavano. Sospirò
più volte in cerca di
forza. La mia mano era sulla sua guancia ormai ispida,
continuò con la voce
addolorata.
"Mi vennero a prendere nella
mia cella, ero ferito e sporco. Immaginavo un ulteriore interrogatorio.
Il mio
gioco era semplice, consegnavo loro alcune password fasulle per
prendere tempo
e aspettare l'arrivo di Sherlock. E invece quell'ultimo giorno giunsero
degli
ordini, parlottarono tra di loro e il resto fu un incubo."
Sussultò, lo fermai per
fargli
prendere fiato, facendogli sentire la mia vicinanza. "Ora lo sai Laura
di
chi erano quegli ordini." Continuò con la voce incerta.
"Feci resistenza quando capii
quello che volevano farmi, perché mi denudarono, mi tolsero
i calzoni e mi
sentii esposto in modo vergognoso. Fui legato a una sedia di ferro
aperta
sotto. Non mi fu difficile capire quello che volevano farmi. Sopra il
tavolo di
metallo c'era un generatore di corrente e nelle mani di uno di loro,
quello
strumento che chiamano picana."
Rabbrividii pensando a quella
specie di bastone elettrificato che usavano nelle parti intime della
vittima.
Una smorfia di dolore gli
deturpò
il volto. Si contrasse in posizione fetale, riportò le
ginocchia sul mio
ventre. Gli presi le mani e le strinsi con forza.
"Va tutto bene, liberati da
quell'incubo."
Lo baciai castamente,
finché non
si rilassò abbandonando le mie mani. Tremando
accarezzò il mio volto. "Mi
dispiace per il tormento che ti sto causando Laura."
Era vero che avvertivo dentro un
dolore acuto che mi prendeva lo stomaco, ma sorrisi cercando di
rassicurarlo.
Riprese a parlare con una mestizia oscura.
"Gridai così tanto per
la
rabbia, la sofferenza e l'impotenza che provai per quel supplizio
vergognoso
quando cominciarono con le scariche elettriche. Un dolore atroce mi
fece
svenire due volte." Prese una pausa mentre lo tenevo vicino a me.
Riprese
avvilito. "Se smettevano era perché rivelassi i codici veri.
Malvest era
venuto a conoscenza che le password non avevano funzionato, e
così spaventato
dalle minacce dei serbi ordinò quella tortura brutale. Aveva
poco tempo e per
non deluderli, infierì."
Lo fermai con un bacio sulle
labbra perché tremava così tanto che mi spaventai.
Mi fissava con gli occhi spenti,
forse nemmeno mi vedeva, sapevo quanto fosse devastante lo schifo che
aveva
subito, ma ero decisa che si togliesse quel ricordo brutale.
Lo tenni stretto mormorandogli che
c'ero, lui prese forza e continuò.
"Mi svegliarono con
dell'acqua ghiacciata, mi ritrovai nello stesso incubo dolorante,
sporco e
sanguinante, pensai di morire devastato in quel modo." Prese tempo
stringendo il mio volto rigato di lacrime che non riuscivo a
trattenere.
"Ci fu un breve attimo che ti pensai, nella speranza di tornare, di
abbracciarti, di dirti che ti amavo più di prima."
Fu io che lo strinsi più
forte.
"Ora sei qui Myc, con me." Socchiuse gli occhi travolto dal
rimpianto.
"Il mio corpo non rispondeva
più alla mia mente, per anni mi ero impegnato a costruire la
mia personalità,
fredda, distaccata, arrogante, ma in quel momento piangevo e imploravo
come un
bambino che la smettessero."
"Come pensavi di poter resistere
Myc, nessuno può."
Si portò le mani alle
tempie, e
strinse forte. "Non ero più niente, Laura, nemmeno un uomo,
mi avevano
tolto la mia dignità. Un pensiero cattivo, terminale mi
passò nella mente,
volevo mettere fine a tutto, inclinai la sedia puntandomi sulle gambe e
spinsi
con tutta la forza buttandomi sul tavolo che avevo davanti, la fronte
colpì lo
spigolo e iniziò a sanguinare. Li sentii imprecare e urlare
ma solo per poco,
perché presto tutto divenne nero." Soffocò un
singhiozzo cupo, che sembrava
venirgli dall'anima.
Fui felice che Malvest pagasse per
il male che gli aveva fatto. Avrei rifatto la scelta di consegnarlo ai
suoi
aguzzini mille volte ancora.
"Quella ferita che hai sulla
fronte è dovuta a quella decisione terribile?"
"Sì, e li
fermò e fu la mia
salvezza, perché ore dopo mi risvegliai nella cella con
Sherlock che mi
sussurrava di resistere, che mi parlava di te che mi aspettavi. Mi dava
il
primo soccorso, ma soprattutto vide cosa avevo subìto, mi
coprì con il suo
cappotto, per nascondermi dagli sguardi indiscreti degli altri agenti.
Li mandò
via per curarsi della mia privacy, ebbe cura di proteggermi. Mi
portò fuori in
braccio, con una forza che non mi sarei mai aspettato."
Rimasi senza respiro per la
bellezza di quel gesto, per quell'amore protettivo e fraterno di
Sherlock.
"Nessuno ti ha mai
abbandonato Myc, soprattutto tuo fratello." Alleggerito dal racconto di
quelle torture disumane sorrise placato e si tirò su
appoggiandosi alla
spalliera, mi avvicinai e mi posai sulla sua spalla.
"Un volo mi riportò in
patria, in quella clinica che hai visto oggi."
"Perché decidesti di
lasciarmi?" Si fece serio, ripercorreva quei giorni difficili.
"Quando mi resi conto di non
poter gestire il mio corpo e che avrei compromesso la nostra intesa
sessuale,
capii che dovevo lasciarti andare, non dovevi rimanere per
pietà."
Appoggiò la nuca sollevando lo sguardo al soffitto.
"Senza chiedere il mio
parere? Myc, mi hai allontanato, tu che sapevi cosa avevo
subìto. Non pensavi
che avrei capito più di qualsiasi altra?" Soffio aria e
tornò a guardarmi.
"Laura te ne renderai presto
conto che il sesso è importante per una coppia." Mi prese il
volto fra le
mani.
"Io voglio che tu sia
appagata dalle mie attenzioni, e invece guardami cosa ho combinato. Non
ho
avuto il controllo del mio corpo...non sono riuscito a trattenermi..."
Gli sorrisi perché
sapevo che
presto sarebbe stato bene, ma eravamo impazienti entrambi.
"Andrà meglio, non
voglio
vederti abbattuto, non tornare a chiuderti in te stesso. Abbiamo tempo."
Si portò le mani negli
occhi,
strinse forte da farsi male.
"Laura come potrò amarti
in
queste condizioni e con il desiderio che provo nel vederti e nel
sentirti."
Non c'era modo per ora di
consolarlo, fui solo delicata mentre lo avvolgevo in un abbraccio.
"Non pensarci. Ti ricordi
della barchetta che dobbiamo far navigare? Togli quelle mani e
guardami."
Si abbandonò
lasciò scivolare le
mani sul lenzuolo. Mi fissò tristemente pieno di dolore.
"Non provare a lasciarmi, non
provare ad avvilirti, non allontanarti da me. E soprattutto non darla
vinta a
tutti quelli che ci sono contro."
Ero con lui, non mi sarei mai
arresa.
Accennò un sorriso e
finalmente
ridacchiò puntando l'indice sul mio pigiama.
"Preferivo il pizzo bianco,
mi intrigava di più. Gli orsetti sono simpatici, ma quel
delizioso reggiseno
era affascinante. Sei bellissima e adorabile mia dolce dottoressa
paziente."
"Non sono più operosa?"
Rise. "No hai una pazienza sconfinata." Lo abbracciai così
forte che
si lamentò.
"Laura mi fai male! Sei
irruente."
"Per così poco? Vedrai
quando
starai bene." lo cinsi forte e lui mi ricambiò. Ora tutto
quello che aveva
passato era sepolto sotto una lapide scura che nessuno avrebbe
più rimosso. Lo
baciai più volte felice che si fosse liberato dal dolore.
Lo aiutai ad alzarsi e lo
accompagnai in bagno. Cercai un paio di boxer puliti, glieli allungai
attraverso la porta socchiusa.
Gli lasciai la sua privacy, mi
appoggiai con la schiena al muro con le braccia conserte ad aspettarlo.
"Sai Myc? Te ne voglio
regalare un paio con degli orsetti. Che ne dici?"
Si affacciò alla porta
socchiusa,
sembrava aver superato l'imbarazzo del nostro primo rapporto.
"Non ci provare ho una certa
dignità!" Borbottò imbronciato, poi sorrise
vedendo che ridevo.
"Tanto te li regalo lo
stesso." Gli risposi ironica, lo sapeva che non avrei desistito.
"Laura, sei una
selvaggia." Da dentro il bagno sentii un sospiro rassegnato. "Se li
indosso, quando sarà l'occasione giusta, me li toglierai tu?
Che dici,
stringiamo un patto."
Si riaffacciò alla porta
socchiusa
con un sorriso provocante sul volto, gli occhi luccicanti.
Strinsi le labbra, lo feci penare
giusto due secondi.
"Accettato, quando sarà
il
momento giusto te li sfilerò via io e vedrai...."
Ritornò dentro ridendo.
"Mi ripeto, sei una
selvaggia, ma ti amo così tanto Laura."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 42 *** La misura del dubbio ***
La nostra prima notte era passata
senza ulteriori problemi.
Eravamo rimasti accoccolati divorando pagine del nostro libro. Mycroft
aveva
letto per me, mentre con la testa sul suo petto ascoltavo la sua voce
calda e
il suo cuore.
Alla fine eravamo scivolati nel
sonno e lui non si era mai mosso per quasi tutta la notte, ero io che
spesso mi
spostavo.
Le rivelazioni sulle torture che
aveva subìto mi avevano agitato, e finivo per trovarmi
addossata al suo fianco.
Lo sentii mugugnare un paio di volte, ma fu paziente e non mi
allontanò
sopportando la mia invadenza. Quel nostro stare insieme diventava
sempre più
familiare ed era sconcertante vedere quanto fosse cambiato il mio Ice
man.
La mattina mi ritrovai con il suo
viso davanti. La mia mano appoggiata sul suo fianco e la mia gamba
pericolosamente infilata tra le sue.
Mi ritrassi cercando di non
svegliarlo. Mi intenerii osservandolo abbandonato al sonno: era sereno,
la
fronte distesa, le labbra formavano due fossette delicate sulle guance.
I
capelli che stavano ricrescendo erano scompigliati, i pochi gli
invadevano la
fronte. La ferita si era fatta meno vistosa, meno arrossata e quasi
coperta dai
capelli. Aveva il braccio piegato con la mano magra sotto al viso,
l'altra,
quella con la ferita da taglio, lungo il fianco. Entrambe mostravano la
ricrescita delle unghie.
Ero imbarazzata dalla mia
curiosità,
temevo si svegliasse e mi cogliesse in difetto.
Il suo corpo asciutto era avvolto
nel pigiama, le sue gambe lunghe, distese. I suoi piedi erano vicini ai
miei.
Il ginocchio ferito era leggermente piegato. Come avesse potuto
sacrificarsi
per la governance e sopportare quello che gli avevano fatto era per me
incomprensibile, ma il lavoro per lui era tutto.
Mi venne una voglia malsana di
toccarlo, di accarezzarlo, mi sentii turbata dal desiderio impudico che
provavo, dalla voglia che sentivo. Pensai che la definizione giusta
fosse
"lussuria."
Lasciai scivolare la coperta e lo
fissai mentre respirava regolarmente, inconsapevole dei miei pensieri
indecenti. Aveva ragione sul fatto che lo avrei desiderato carnalmente
e questo
mi scombussolava nel profondo.
Non avevo conosciuto intimamente
altri uomini dopo la violenza. Mi ero isolata, e ora avere Myc
così vicino mi
metteva in agitazione. Non lo conoscevo ancora così bene,
solo quei pochi baci
sul seno mi avevano creato un desiderio crescente. Se avesse continuato
non
sarei riuscita a fermarlo.
Non sapevo come avrei reagito
quando lui avrebbe avuto la capacità di essere pronto al
rapporto completo.
Tremai, mentre la follia di quella
notte in Italia mi ritornò in mente: lo stupro e la morte
dei miei genitori mi
avevano segnata per sempre.
Avevo fiducia nell'uomo che era,
ma prima lui doveva sentirsi sicuro, guarire nell'anima, poi avrei
pensato a
dirgli le mie paure.
Eppure sentivo un desiderio
carnale mai provato, che mi sconvolgeva. Chiusi gli occhi, dovevo
essere saggia
e gestire la cosa senza lasciarmi travolgere.
"Uhmm, che fai Laura?"
Si era svegliato, borbottò qualcosa di indecifrabile ancora
assonnato.
"Ciao, Myc, spero di non
averti dato il tormento." Lo accarezzai sulla guancia. Aprì
un occhio e mi
fissò.
"Che stavi facendo? Sembri
sveglia da un po'."
"Nulla, ti osservavo, dormivi
così bene."
"Aspetti il bacio del
buongiorno?" Sorrise e si sollevò.
"Anche, ma devo andare al
lavoro perché è già tardi."
Mi prese per la vita e mi
tirò a
sé. "Baciami, poi ti lascio andare." Gli diedi un bacio
gentile, non
particolarmente focoso, e se ne accorse.
"Che c'è? Tu stai
pensando a
qualcosa." La sua mano era sul mio fianco, l'altra tra i miei capelli
che
li arruffava.
Mi guardò con
attenzione, distolsi
gli occhi, non volevo che capisse il mio tormento.
"Hai paura di me, mia
dottoressa operosa?" Presi tempo imbarazzata e cercai di scivolare
fuori
dal letto, ma lui mi tenne per la mano. "Laura, non reagire
così, dimmi
quello che temi. E forse per ieri sera? Ci vuoi ripensare?"
Risposi con forza eccessiva.
"No, no di certo."
"E allora, cosa?" Era
accigliato, la fronte contratta, mi osservava perplesso.
Era tardi, evitai di parlarne e
non mi accorsi di insinuargli il dubbio.
"Ascolta Myc. Non si tratta
di te, ma di me. Ti spiegherò tutto ma ora devo andare. Ma
sta sicuro che non è
per ieri sera."
Mi lasciò la mano, era
facile per
lui leggermi dentro con quella intelligenza deduttiva che si ritrovava.
Mormorò comprensivo.
"Non
avere paura di me, Laura. So cosa hai passato."
Mi alzai troppo in fretta e troppo
agitata, indossai la vestaglia sgarbatamente.
"Scusami, Myc, a volte il
passato mi uccide. E divento instabile, credo di capire poco o nulla di
me
stessa..."
Si tirò su facendo leva
sulle
braccia.
"Stai rivolgendo tutte le
attenzioni su di me, ma anche tu sei ugualmente ferita." Non aggiunsi
altro, lo baciai sulla fronte e lo lasciai nel letto contrariato.
Lo sentii sospirare mentre uscivo
dalla stanza, incapace di tranquillizzarlo.
Volai letteralmente al san Bart.
Molly mi aspettava impaziente.
Le raccontai, come un fiume in
piena, il motivo della mia assenza. Sorvolai sulla parte intima del mio
rapporto con Mycroft, ma le parlai delle nuove difficoltà
che nascevano e di
quelle che invece si scioglievano.
Lei mi spronò a
continuare senza
dimenticare anche me stessa. Fu più un'amica che una tutor.
Mi prese il braccio
con uno sguardo radioso.
"Ti lascio in mano il laboratorio,
hai delle autopsie da completare. Aspettano i referti a Scotland Yard.
Hanno
un'ottima opinione di te." Si fermò con un sorriso enorme e
gli occhi
brillanti. "Credo che il san Bart ti contatterà per
rinnovarti il
contratto. Sei diventata indispensabile in tempi come questi."
La fissai incredula, lei rise
divertita. "Complimenti, dottoressa Lorenzi."
Non riuscii a trattenere un urlo
di gioia, e tutta la mia indole italiana venne in superfice: abbracciai
Molly
così forte che si lamentò. "Grazie Hooper sei
stata fantastica come
insegnante e come amica." La baciai sulla guancia e rimase stupita.
"Tieni questi baci per il tuo
Holmes, Laura." Ridacchiò rossa in volto.
"Ne ho molti da regalare
Molly, siete stati tutti così comprensivi." Lei si
schernì agitando la
mano...
"Ti auguro tutta la
felicità
che meriti. Ora parto per il San George. Se ci sono problemi chiamami,
sei tu
la referente ora."
Ero al settimo cielo, ero una
patologa forense e sarei rimasta a Londra per molto tempo.
Molly se ne andò poco
dopo. Ero
così entusiasta che lavorai tutta la mattinata scordandomi
in parte i problemi
con Mycroft.
Dovevo stabilire le cause della
morte di una giovane donna deceduta in un improbabile incidente
domestico, la
Yard aveva dei dubbi.
Buona parte del tempo lo trascorsi
in sala autoptica dimenticandomi il cellulare sulla scrivania e finendo
per
trascurare tutte le chiamate personali.
Presa dall'ingrato compito di
sezionare il corpo, non mi accorsi che Mycroft era entrato in
laboratorio.
Aveva ancora la chiave di accesso che probabilmente gli era rimasta nel
periodo
che frequentava il San Bart. Vidi il suo volto che sbirciava dalla
porta della
sala sterile.
La mia sorpresa fu grande, tanto
che lasciai cadere il bisturi a terra sbalordita per quella visita
inaspettata.
"Che ci fai qui?"
Sbottai con gli occhi spalancati. "Non è un bel posto dove
stare."
Raccolsi il bisturi e lo posai
nello sterilizzatore a secco, mi tolsi i guanti e lo raggiunsi sulla
porta con
l'intenzione di fermarlo.
"Lo sai che ore sono, Laura?
Sai quante volte ti ho chiamato?" Cercava di mascherare un'irritazione
crescente, appoggiò le stampelle alla porta, si resse in
equilibrio sulla gamba
sana.
La mia reazione fu da manuale:
arrossii con le guance in fiamme. "Scusami, ho lasciato il cellulare
sulla
scrivania." Borbottai colpevole.
"Di solito non lo abbandoni
in giro, perché è importante averlo vicino con il
lavoro che fai." Mi
redarguì con un vigore inaspettato, incrociando le braccia.
"Mi sono già scusata,
Myc." Mormorai, cercando di rabbonirlo mentre lo spingevo fuori dalla
sala
autoptica, ma si impuntò e non lo smossi di un metro.
Mi accorsi subito della sua
freddezza, non aveva perso la sua irritante ingerenza nella vita degli
altri ed
era facile innervosirlo per un nonnulla, soprattutto per me che
disubbidivo ai
suoi standard di sicurezza.
"Hai così tanto da
fare," affermò sarcastico, "che sono le tre e probabilmente
ti sei
dimenticata di mangiare!"
In effetti era tardissimo e avevo
saltato il pranzo.
"E dai Myc, ero troppo presa
dal lavoro." Agitai la mano infastidita, ma poi mi ricordai della bella
notizia e sorridendo aggiunsi. "Oggi Molly mi ha confermato che
sarò
assunta e mi sono sentita investita di responsabilità e
piena di voglia di
fare." Ma ottenni da parte sua soltanto una smorfia distaccata.
"Lo vedo." Replicò
piccato senza gioire della notizia.
Persi la pazienza. Se iniziava con
queste ridicole gelosie non saremmo andati lontani con la nostra
"barchetta."
"Ma che ti prende Myc? Dove
potevo essere? E cosa potevo fare se questo è il mio lavoro!"
Strinse le labbra e si
aggrappò
con la mano al battente della porta. Eppure sapeva che era importante
per me
farmi valere e dimostrare che ero degna di quell'incarico.
Così lo rimarcai in
modo tosto.
"Non assillarmi nel mio
lavoro Myc, perché io non lo farò con il tuo."
Attenuò leggermente il
disappunto
sul suo volto, scosse la testa e si addolcì con un sospiro
di resa.
"Scusami, mi sono comportato
da stupido. Ero in pensiero per stamane, non riuscivo a capire cosa ti
fosse
successo e mi sono sentito in colpa."
Capii perfettamente che si era
fatto un sacco di domande per il mio atteggiamento scontroso.
"Va bene, hai ragione non
sono stata chiara, ma non cominciamo a litigare per questo." Gli
sorrisi
pentita. "Quando lavorerai anche tu, immagino che dovrò
aspettarti ed
essere paziente." Chiusi il discorso e lo spinsi fuori, ma lui
insistette.
"Sto con te se non ti
dispiace. Vorrei vederti al lavoro." Mi regalò uno sguardo
costernato,
evidentemente non voleva rimanere da solo ad annoiarsi in laboratorio.
"Uhmm, non è un bel
posto e
sto sezionando Myc, non vorrei doverti soccorrere." Scosse la testa con
decisione.
"Ti osservo soltanto."
Pregò con la voce addolcita. Sospirai perché era
un testardo impenitente.
"Va bene, ma seduto e un po'
lontano." Lo aiutai a indossare le protezioni ed entrò con
me trascinando
le stampelle.
Lo feci sedere dove non avesse la
vista totale sul corpo e ripresi a lavorare assicurandomi che fosse
comodo.
"Certo che sei strano mio Ice
Man, non è da tutti assistere a una autopsia." Risi sotto la
mascherina ma
lo osservavo attenta che non cambiasse colore.
"In verità ero in ansia
per
stamattina. E saperti qui non mi tranquillizzava."
"Dove dovevo essere,
sarò
spesso qui da oggi in poi." Annuì consapevole che avevo
bisogno della sua
fiducia, rimanemmo silenziosi mentre lui osservava tutto con attenzione.
"Sei molto più esperta
adesso. Chi è quella povera donna?"
"Una morte sospetta, un
incidente dovuto ad una caduta dalle scale." Alzai lo sguardo.
"Purtroppo però era già morta."
"Come già morta?" Chiese
aggrottando la fronte e allungando il collo.
"Soffocata, forse un cuscino.
Poi buttata dalle scale."
"E da cosa lo vedi?"
Chiese attento.
"I polmoni collassati, il
colore della pelle. Le fratture non erano mortali. E poi altre cose
strane.
Sai, aveva abortito, e nelle testimonianze il marito non ne sapeva
nulla."
"Forse aveva un amante, che
non voleva il figlio." Sentenziò scuro in volto, si
avvicinò. Lo fulminai
con lo sguardo. Alzò la mano per tranquillizzarmi.
"Lasciami fare Laura, sto
bene."
Osservò il corpo da
più vicino.
"Era una donna curata, ma nel
passato si era lasciata andare ed era ingrassata, la pelle ne dimostra
il
dimagrimento." Si fermò a riflettere. "Si era riappropriata
della sua
vita, la sua muscolatura era più tonica. Le mani curate, le
unghie
laccate."
Girò attorno al tavolo
zoppicando
mentre lo osservavo stupita.
"Teneva al suo corpo, faceva
attività fisica, ha delle vesciche sui piedi, le scarpe non
erano adatte e ha
camminato molto." Indicò le piante dei piedi che avevo
già osservato.
Concordai con le sue riflessioni,
lo fissai ironica.
"Mi rubi il lavoro adesso,
Smart One?" Scosse la testa e rise. Per lui era un gioco, per me un
lavoro. Però non lo fermai perché era
sorprendente vederlo dedurre come faceva
Sherlock.
Visto che lo approvavo,
continuò.
"Un amante violento, guarda i
suoi polsi," indicò un ematoma sottile, era straordinario il
suo modo di
ragionare. "eppure lei continuava ad amarlo, quelli sulla coscia sono
graffi che le ha lasciato nel impeto di possederla." Era vero, li avevo
notati e avevo pensato che fosse un tipo focoso, forse troppo.
"Si curava i capelli, ma ha
cambiato la tinta ultimamente. Era più scura poi si
è fatta bionda. La tinta è
recente e dalla foto è sempre stata mora. Una signora non
cambia così facilmente
la propria immagine, probabilmente lo ha fatto per piacergli di
più."
Mi indicò la cartella
che era
aperta sulla scrivania, dove c'era una foto della donna, aveva
sbirciato di
nascosto. Mi fissò orgoglioso di avermi sorpreso.
"Lui era un bastardo esigente
e faceva quello che voleva. Non credo sia difficile trovare un tipo
simile fra
le sue conoscenze." Continuò con voce bassa.
"O Myc, sei decisamente un
genio." Ridacchiai, aveva confermato i miei sospetti, solo che ci aveva
messo meno tempo.
"Basta osservare Laura, tutto
quello che siamo lascia un segno." Era vero ma dietro ad un corpo c'era
dell'altro.
"Quando sezioni un cuore, non
è mai solamente un muscolo, sembrano tutti uguali, ma non
è così.
Credimi."
Mi rivolse uno sguardo attonito,
non capiva dove volessi arrivare. Forse gli sembrava una considerazione
fuori
luogo.
"E quindi?" Buttò
lì
distrattamente, ma era come sempre attento.
"In realtà sono tutti
diversi, questo per esempio ha sofferto, ha gioito, si è
anche ammalato. Era
parte della vita di questa donna." Riflettevo a voce alta continuando
il
mio lavoro.
"Sei malinconica Laura."
Accennò un mezzo sorriso e chinò il capo.
"A furia di vedere corpi
martoriati cerco di scorgere in loro una specie di
eternità." Il suo rimbrotto
arrivò chiaro.
"Decisamente malinconica! Che
hai?" Inclinò il capo di lato. "Se ce ne andassimo a fare
due passi?
Ti farebbe bene una pausa." Era sarcastico ma la voce ebbe un leggero
tremore, si era allarmato.
"Oh Myc, stare con i morti ti
cambia. Ti accorgi di quanto sia bello essere vivi, sani e di vedere la
bellezza del sole, la vita a volte può essere molto breve."
Aggrottò le
sopracciglia, un arco perfetto sopra i suoi occhi grigi.
"Laura, devo preoccuparmi?
Sei diventata fatalista e filosofa e non so quale parte mi spaventi di
più."
Zoppicò senza le
stampelle fino a
me. Aveva le mani affondate nelle tasche, e si dondolava come faceva
quando
rifletteva o cercava risposte.
"Già, hai ragione,
finisco e
poi passiamo del tempo insieme..." Sentivo il suo sguardo che mi
studiava
cercando la crepa in quella frase incomprensibile.
"Va bene ti aspetto."
Smise di dondolarsi. La gamba richiedeva le stampelle, mi allontanai e
gliele
portai.
"Anch'io sento il bisogno di
starti vicino." Il suo volto si era disteso, rilassò la
fronte, liberò le
mani dalle tasche, ma non smise di seguirmi con gli occhi.
"Oggi sei distante. Non mi
piace Laura."
Una leggera insicurezza lo fece
barcollare mentre si sosteneva con le stampelle, ma la
mascherò in fretta, non
voleva appesantirmi con i suoi problemi fisici.
Sentiva che quella mattina
qualcosa mi aveva preoccupato.
Mi venne una curiosità,
mi
avvicinai e gli chiesi. "Hai detto che basta osservare per dedurre,
allora
lo fai anche con me?"
"No." Ribadì risoluto.
"Con le persone che amo non lo faccio, a meno che non sia
necessario."
"E stamattina era
necessario?" Chiesi guardandolo in volto.
"Credo di sì, eri
cambiata,
eri turbata..." Mormorò con un filo di voce poi si
zittì. "Però non
l'ho fatto, voglio che sia tu a parlarne." Io presa in contro piede non
risposi.
Lo spinsi sulla sedia, gli feci
cenno di rimanere seduto. Portai il corpo della donna nella cella
frigorifera.
Pulii come al solito e riposi i reperti. Lui mi guardava attento,
soppesava i
miei spostamenti e io mi sentivo in esame. Rimanemmo congelati nei
nostri dubbi
come quella stanza fredda.
Mi seguì strascicando le
stampelle, fui scortese perché non lo aiutai. Ero presa
dall'ansia di dovergli
delle spiegazioni.
Raggiungemmo il laboratorio. Ci
togliemmo le protezioni non guardandoci in volto.
Era tardi, non avevo mangiato
nulla e forse nemmeno lui. Non si era preso la briga di portarmi del
cibo,
almeno il conforto di una tazza di tè. Si era chiuso nel
dubbio che mi fossi
pentita.
"Devo stilare il resoconto,
se vuoi aspettarmi rimani seduto e in silenzio, poi ce ne andiamo."
Annuì, con gli occhi
puntati verso
di me, si distese sulla poltrona di fronte, allungò la gamba.
"Però non continuare a
guardarmi così, prendi leggi questo libro che tengo con me."
Gli porsi una guida di Londra, la
accettò brontolando e come uno scolaretto in punizione la
prese e si finse
interessato.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 43 *** Problemi e Chiarimenti ***
Avevo compilato schede e resoconti e li avevo inviati senza fretta allo
Yard.
Mycroft, seduto sulla poltrona era irrequieto, sfogliava la guida di
Londra
senza voglia, lo sorpresi un paio di volte a guardarmi di nascosto.
Si schiarì la voce. "Hai
acquisito sicurezza nel tuo lavoro, Laura. Scusami per non essermi
complimentato per la tua assunzione. Te la meriti." Finalmente aveva
biascicato due parole uscendo da un imbarazzante mutismo.
"Grazie, detto da te è
un
grande complimento, ma ora la tua tortura è giunta al
termine: ho finito e
possiamo uscire." Non se lo fece dire due volte, si alzò con
una rapidità
inusuale nonostante le stampelle e prese il cappotto.
Albert come sempre ci aspettava in
auto, mi domandai quanta pazienza potesse avere quel povero uomo agli
ordini di
Holmes. Quante volte aveva sopportato i nostri capricci rimanendo
nell'ombra!
Mycroft gli chiese di portarci in
un locale appena fuori Londra. Avevamo bisogno di passare la serata
insieme che
ci permettesse di rilassarci.
Lui, affondato sul sedile, aveva
allungato la mano avvicinandola alla mia ma non era andato oltre,
sorrisi a
quella sua incertezza, gli accarezzai la mano e intrecciai le dita alle
sue. Si
rilassò, continuando a interessarsi alla strada, ma la sua
stretta si era fatta
forte.
In realtà
capivo che era
turbato e nascondeva la preoccupazione per il mio atteggiamento, ma
presa dal
disagio di dovergli dei chiarimenti non dissi nulla e mi limitai a
poche banali
frasi sul viaggio.
L'auto si fermò lungo il
Tamigi,
Mycroft sapeva che adoravo il fiume che scorreva placido prima di
entrare in
città, le rive curate e verdeggianti mi ricordavano l'Italia.
"Grazie per avermi portato
qui." Gli sussurrai all'orecchio mentre lo aiutavo a uscire dall'auto.
Lui bofonchiò una scusa.
"Visto che ho dovuto leggere la tua guida di Londra sottolineata in
più
punti, beh eccoci qua."
Risi divertita dal suo sguardo
malizioso. "Te ne sei approfittato! Nessuna deduzione stavolta, razza
d'imbroglione."
Alzò le sopracciglia.
"Detto
da te lo accetto, perché mi piace vederti sorpresa. Arricci
le labbra e sei
deliziosa."
"Come sei galante, e quanto
ti piace?"
"Da baciarti se non fosse che
c'è gente che ci osserva." Ridacchiò ed era un
bene perché il suo volto si
era rasserenato e questo aiutava anche me. Lo presi sottobraccio e
sfregai la
testa sulla sua spalla.
"Andiamo my lovely english
man"
Il locale era semplice, c'erano
alcune sale con tavoli un po' appartati e apparecchiati con delicate
tovaglie
fiorate. Il posto era frequentato da molte coppie e da giovani che
schiamazzavano. Scegliemmo un posto che ci garantisse un po' di
privacy.
Mycroft chiese una
bottiglia
di vino bianco italiano prodotto dalla tenuta Lorenzi, un gesto che
apprezzai
molto, difficilmente si scordava qualcosa. Ordinammo e senza fretta
assaggiamo
dei fantastici appetizer. La prima ora trascorse tranquilla, mi accorsi
che lui
tamburellava sul tavolo con le dita ormai libere dalle costrizioni
delle
fasciature. Era nervoso e mi sentii in colpa.
"Myc, non devi stare in pena.
Non è niente che ti riguardi, nessuna "marcia indietro," in
Italia
diciamo così per confermare le scelte fatte senza rimpianti
di sorta." Le
dita si fermarono, mi prese la mano che era appoggiata sul tavolo.
"Che c'è Laura? Ti ho
osservato, ma non ho voluto dedurre, voglio che sia tu a dirmelo. Ma
hai
parlato di libidine e credo di ...capire che..."
Inghiottii a vuoto, presi coraggio
decisa a chiarirmi con lui.
"Sono combattuta tra il
desiderio di aiutarti a uscire dalla situazione in cui sei e la paura
del
dopo." Aggrottò la fronte, gli occhi si fecero scuri e la
sua mano allentò
la presa.
"Quando io sarò in grado
di...?" Inclinò la testa di lato, socchiuse gli occhi e si
fece guardingo.
"Tu pensi che io non sappia dei tuoi bisogni?"
Aprì la mano e la
distese sopra la
mia ed ebbi la paura immotivata che la lasciasse.
"Non penserai che sia
così
cieco, così meschino da non aver cura delle tue pulsioni."
Arrancò con la
voce rotta. "Hai fiducia in me Laura? Perché non mi sembra."
Il suo sgomento mi fece mancare
l'aria. Sentii il freddo attanagliarmi lo stomaco, forse impallidii.
"Non era mia intenzione
offenderti, non prenderla così sul personale." Mi
mancò la voce e faticai
a finire la frase. "Mycroft, io ho ...paura."
Gli tenni la mano con una stretta
disperata, temendo che la mia mancanza di fiducia nei suoi confronti
urtasse i
suoi sentimenti. Non ebbe nessuna reazione immediata, ma rimase
stranamente
immobile incapace di capire dove volessi arrivare.
Dovevo essere chiara o avrei
rovinato tutto, perché sapevo che lui non aveva parametri
sulle emozioni, ne
veniva travolto e finiva per allontanarsi pensando di non essere amato.
"Mycroft, non ho mai avuto
rapporti dopo lo stupro. Non ho mai cercato uomini..." Non mi
uscì altro,
chinai la testa e attesi la sua reazione.
Avvertii il suo respiro aumentare,
allontanò la sua mano ma solo per riempirmi il bicchiere. Mi
versò due dita di
vino bianco, mi sollevò il mento e mi allungò il
bicchiere. "Bevine un
sorso Laura. Scusami, mia piccola dottoressa operosa."
Incrociai i suoi occhi velati di
una tristezza strana, come se fosse conscio della sua
incapacità di affidarsi
completamente al mio amore.
"Non sono molto bravo a
gestire i sentimenti Laura. Ti sei presa cura di me costantemente e io
guarda
come ti ricambio." Si appoggiò alla sedia avvilito dal modo
maldestro in
cui aveva reagito. "Sono stato imperdonabile per tutti i dubbi che ho
avuto."
Mandai giù il vino e
gliene versai
anche a lui. Lo buttò giù in un fiato, lo avevo
tormentato con inutili paranoie
e ora gli dovevo la fiducia che meritava.
"C'è dell'altro che devo
dirti." Si portò sul tavolo, appoggiò il gomito,
le mani sotto al mento e
mi ascoltò senza distogliere lo sguardo.
"Non riesco a capire quello
che mi sta succedendo. Stamattina quando mi sono svegliata al tuo
fianco, io ti
ho... desiderato."
Ansimai conscia del rossore che mi
scaldava le guance. "Ti volevo in un modo lussurioso che non credevo mi
appartenesse." Le ultime parole mi morirono in gola.
Sorrise, i suoi occhi brillarono
indulgenti e le spalle si distesero mentre gli rivelavo una parte di me
che mi
faceva sentire vergognosamente inesperta.
Ridacchiò scuotendo la
testa, lo
vidi schernirsi dietro quella risata che scioglieva la sua tensione,
quella che
si era portato dentro per tutto il giorno.
È normale che ti succeda
Laura, te
l'ho avevo detto, che avresti voluto di più. Non ce nulla di
male in
questo."
La sua voce era addolcita, mentre
gli luccicavano gli occhi, il suo bel volto disteso aperto a un sorriso
affascinante.
"Provo la stessa cosa per te,
ma lo sai che sono in difficoltà e per ora non riesco...sai
cosa è successo
ieri sera."
Avvertii un dispiacere vergognoso
per quel desiderio che aumentava di giorno in giorno e che lo metteva a
disagio.
"È questo che mi uccide!
Sapere di forzarti, quando avevo detto che ti avrei aiutato. Mi sento
una
ninfomane vogliosa che non sa trattenersi. E subito dopo mi contorco
nella
paura per quando sarai pronto! Dio, Mycroft." Mi coprii gli occhi con
le
mani e scossi la testa. "Non capisco cosa mi sta succedendo."
Scostò le mie mani e
prese il mio
volto fra le sue, consapevole di attirare l'attenzione degli altri
commensali.
Ma non gli importò un granché, me lo ritrovai
davanti con un delicato rossore
sulle guance. Mycroft, che era sempre così controllato da
soffocare le sue
emozioni, sembrava contento che mi sentissi attratta da lui.
"Laura, sei solo inesperta e
hai paura di ferirmi per la mia situazione. Ma è normale che
ti senta attratta
da me, avrei dovuto essere più cauto e darti più
tempo e invece mi comporto
come un adolescente in tempesta ormonale."
Le sue mani mi scaldavano le
guance, un sorriso sornione sul volto, gli occhi luminosi e pieni di
amore.
"My loving care, dovevi
dirmelo subito. Lo sai che mi hai spaventato? È vero che
devo guarire, ma
lascia che possa occuparmi di te senza forzarti, fino a quando ti
sentirai
sicura." Mi alleggeriva il cuore vedere i suoi occhi sciogliersi.
"Andremo ad abitare a Pall
Mall, avremo la giusta privacy per conoscerci meglio anche intimamente,
con più
calma."
Mi accarezzò la guancia
e il
calore si propagò fino al cuore. Mi sentii una stupida
ragazzina inesperta ma
lui da gentleman qual era, non me lo fece pesare.
"Laura, promettimi che mi
dirai sempre tutto. Non avere vergogna di me, lo so cosa hai passato."
Gli toccai il polso e sentire il
tepore della sua pelle mi rassicurò.
"Ti amo Myc, non immagini
quanto."
"Lo so, nessuna donna avrebbe
lottato tanto per me, per la persona complicata che sono." Strinse le
labbra in una smorfia che sapeva di resa. "Non lasciarmi Laura... io ho
bisogno di sentirti vicina, di sapere che ci sei."
"Mycroft, non dubitare di me,
sai che ci sarò. Faremo navigare la nostra barchetta che in
questo momento è in
piena tempesta tra la passione e l'incapacità di amarci, ma
chi dei due curerà
l'altro?"
"Entrambi, ci aiuteremo
insieme. Sarò un amante attento anche ai tuoi bisogni. Basta
pensare a
me."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 44 *** Convivenza ***
Quando tornammo a Baker Street, tra
qualche mugugno e perplessità,
parlammo a Sherlock e a John della nostra decisione di andare a vivere
insieme.
Alla fine capirono la nostra
voglia di costruire un rapporto più solido e complice.
Ci aiutarono a radunare le nostre
cose. La signora Hudson versò qualche lacrima, ma la
rassicurai che saremmo
passati a trovarla spesso.
Coccolai la piccola Rosie
garantendo a John che avrei fatto da baby sitter quando ne avesse avuto
bisogno.
Passammo quell'ultima serata tutti
insieme e fu piacevole rilassarsi con loro, provavo un sottile
dispiacere nel
lasciarli ma ero consapevole che dovevo andare avanti con Mycroft.
Rimanemmo a
conversare fino a tardi. Quando tutti si ritirarono ci concedemmo un
bacio
nella sua camera, poi ci separammo per andare nelle nostre rispettive
stanze,
con la promessa di trasferirci il giorno dopo nel pomeriggio.
Infatti dopo il lavoro Mycroft,
puntuale come sempre, venne a prendermi al San Bart.
Aveva già fatto
trasferire i miei
bagagli in mattinata.
Quando entrò in
laboratorio era
raggiante, non sentiva nemmeno il peso del tutore sul ginocchio.
"Sembri impaziente! Dove hai
smarrito il tuo British aplomb, Myc?" Gli baciai la guancia e gli
sistemai
la cravatta.
"Difficile essere freddi e
misurati quando ti sono vicino. Laura non ho fatto altro che pensarti
tutto il
giorno! Sei una distrazione continua. Il mio lavoro ne
risentirà."
Brontolò attirandomi a sé. Le stampelle
ruzzolarono a terra, fecero un tonfo
sordo che risuonò nella stanza.
"Stai diventando uno
sconsiderato, guarda cosa hai combinato." Ma non sentì
ragione perché
reclamò un bacio più intimo.
"Non mi importa di nulla,
sono contento di essere uno sconsiderato se la causa sei tu." Le sue
labbra furono sulle mie, il suo sapore era quello che conoscevo bene,
che mi
apparteneva. Mi piaceva accarezzagli la nuca, intrecciare le dita tra i
capelli, e ancora di più sentire il suo abbandonarsi.
I passi delle inservienti ci
sorpresero e ci staccammo ridendo per il nostro imbarazzo. Mi chinai a
raccogliere le stampelle e lasciammo il laboratorio.
Albert sembrava gongolare, mi
salutò con un inchino e mi aprì addirittura la
porta della berlina.
Mycroft sorrideva appagato,
zoppicò al lato opposto. Ora capiva quanto gli fosse
affezionato quell'uomo
taciturno ma fidato.
Ci tenemmo per mano durante tutto
il viaggio, sereni e complici di iniziare una nuova vita, il desiderio
di stare
insieme era sia mentale che fisico.
La villa di Pall Mall era
bellissima immersa nel tramonto, l'auto percorse il viale che mesi
prima avevo
lasciato con il cuore distrutto per la sua partenza. La gioia di
tornare
stretta a lui era un sogno accarezzato da tempo.
"Grazie Albert, sei stato
prezioso." Lo salutai abbracciandolo prima che se ne andasse. Mycroft
sorrise, sapeva che gli volevo bene, mi era stato vicino molte volte
durante il
periodo della sua assenza.
"Dottoressa, per così
poco!" Si schernì incespicando nelle parole.
"Chiamami Laura,
Albert."
Annuii, con le guance rosse,
salì
alla guida e partì.
Mycroft guardava il giardino
studiando
ogni piccolo cambiamento avvenuto in quei mesi. Ci avvicinammo alla
porta
mentre lui non riusciva a nascondere l'emozione di ritornare nella sua
amata
casa.
Era così cambiato
dall'uomo freddo
e scostante che avevo conosciuto nei nostri primi incontri. Era gentile
e
amorevole, e colmo di premure inaspettate. Digitò il codice
di sicurezza, la
porta si aprì con uno schiocco secco, la spinse con la mano
tremante.
"Mi sembrano passati secoli,
Laura. Vieni ti spiego come funziona, da fuori sembra una vecchia casa
ma in
realtà è molto tecnologica. E soprattutto sicura."
Passai un po' di tempo ad
ascoltare tutte le sue direttive. Ogni tanto mi dava un bacio in
fronte, per
assicurarsi che avessi capito. Mi portò in giro come un
perfetto cicerone.
La casa era ampia e abbondava di
stanze. Al piano terra c'era il soggiorno dove avevamo cenato mesi
prima. Nella
parte finale c'era una biblioteca ben fornita, con una scrivania in un
angolo
dove lavorava. Di fronte c'era una sala adibita a palestra.
Il tutto si affacciava in un
piccolo giardino interno, ordinato e ben tenuto. Il muro che lo
delimitava era
abbellito con un roseto che lo ricopriva quasi interamente.
"È bellissimo Myc.
Qualche
volta potremo cenare qui fuori." Lui rise e si strinse al mio fianco.
"Ora sei tu la padrona, mia
dottoressa operosa. Credo di averti detto tutto, ma se hai dei dubbi,
beh sono
qui."
"Come mi hai chiamato?"
Mi voltai a guardarlo con un finto broncio.
"Dottoressa operosa?
Perché
ti dispiace?"
Gli pizzicai il braccio, sfiorando
con la fronte la sua spalla. "No di certo! Ma sai cosa fanno le
dottoresse
operose?"
Si accigliò socchiudendo
gli
occhi, era già in allarme. "No, cosa? Dove vuoi arrivare?"
"Che qualcuno che conosco
bene e amo anche di più, è stato troppo in piedi
e si deve prendere una
pausa!" Gli sussurrai all'orecchio.
"Laura! Non mi trattava
così
nemmeno mia madre quando mi ammalavo." Mi rispose sorpreso per quella
premura a cui non era abituato.
"Non sono tua madre, ma tengo
a te. Ora ti siedi e ti riposi un po'." Fui convincente e
capitolò. Si
sedette sul divano vicino al camino, gli sistemai la gamba ferita e mi
accoccolai vicino a lui.
"Dovrai abituarti alle mie
cure, non sei più solo Myc." Per risposta
appoggiò la testa alla mia
spalla, il suo contatto era diventato familiare, rassicurante.
"Chi si occupa del camino?
Chi lo fa ardere?" Gli chiesi per capire come muovermi all'interno
della
casa.
"Avviso la governante e il
giardiniere lo accende. Mi piace sentire l'odore della legna. Una
vecchia
reminiscenza di quando stavo in campagna a Musgrave."
"Quindi abbiamo una
governante?"
"Certo, ti avevo avvertito
che avresti avuto un aiuto, lavoriamo entrambi. Ma sarai tu a decidere
ora."
Lo baciai sulla guancia. "Mi
vizierai, my loving care. Ma stasera cucino io, che ne dici?"
"Che è perfetto, mi
piace
stare ai fornelli con un'italiana. È la garanzia di
un'ottima cena." Mi
sollevai dal comodo divano, mi ravvivai i capelli.
"Vado di sopra a mettermi
comoda. So dov'è la tua stanza."
"La nostra stanza
Laura." Sottolineò con decisione.
"D'accordo, ma non sarai
così
raggiante quando ti scombinerò i cassetti e gli armadi."
"Mi adatterò anche a
questo." Lasciò cadere le stampelle dal divano e mi
afferrò per i fianchi
stringendomi a sé.
"Chi è il selvaggio
adesso." Risi chinandomi sul suo volto addolcito. Mi sentivo al settimo
cielo con lui vicino.
"È tutta oggi che
aspettavo
di stringerti. Al diavolo il ginocchio e le stampelle! Baciami Laura."
Non me lo feci ripetere, lo
abbracciai e lo tenni stretto e lo baciai con tutto l'amore che mi
rimandava il
mio corpo teso che lo reclamava. Poterlo accarezzare con una
complicità che
finalmente era solo nostra avverava il desiderio che aspettavo da
molto.
Infilai le mani sotto la giacca, accarezzando la camicia che mi
restituiva il
calore del suo corpo, la sua schiena era snella e compatta. Le sue
mani, libere
dalle fasciature, non smettevano di accarezzarmi il collo e la nuca,
non avevo
paura di stare fra le sue braccia, la mia fiducia era totale.
E lui consapevole di quello che
avevo passato mi lasciava la libertà di toccarlo, di
esplorarlo, ma non mi
imponeva la sua voglia. Era attento ai miei tempi, era perfetto.
Mi staccai dalla sua bocca e lui
sorrise senza forzarmi.
"Beh, forse è meglio
cenare.
O perderò la testa Myc. Se mai ne ho una." Biascicai
stordita da quel
bacio pieno di passione.
"Giusto, Laura, prendiamoci
il tempo che vogliamo."
Salimmo di sopra insieme, lo
aspettai mentre si arrampicava aggrappandosi al corrimano della scala
di legno
che portava alle stanze. La sua camera, che avevo già visto
mesi prima, era
pulita e in ordine. Sul letto matrimoniale, una trapunta beige con
fiorellini
scuri, rendeva l'ambiente accogliente. C'era un armadio per i miei
vestiti e
una cassettiera dove ordinare le mie cose. La mia valigia appoggiata
sulla
poltrona.
"Vuoi sistemare i tuoi abiti?
Intanto mi svesto anch'io." Annuii, e cercai un cambio dentro il mio
bagaglio. Ne approfittai per sistemare i capi nella cassettiera.
Lui abbandonò le
stampelle e
zoppicò con il tutore fino allo specchio. Si tolse la
giacca, il gilet, la
cravatta e li ripose con naturalezza, mi consegnava la sua
intimità quella che
aveva custodito per molto tempo. lo spiavo di soppiatto
finché rimase in camicia.
Andò nel bagno, quello
con
l'idromassaggio più high teck che avessi mai visto.
Intanto mi sfilai la maglietta e
la camicetta. Quando uscì dal bagno mi fissò
sorridendo, zoppicò fino
all'armadio e indossò un cardigan di lana azzurro. Scosse la
testa, ridendo.
"Laura, se mi avvicino a quel
reggiseno in pizzo che indossi con tanta classe, credo non
scenderò più di
sotto per cena. Grazioso, nero, di ottima fattura." Cercava di
mantenersi
in equilibrio sulla gamba sana appoggiato all'armadio. Volutamente, mi
avvicinai, presi le stampelle e gliele portai.
"Non così vicina, my
loving
care, così non resisto." Mormorò rauco.
Allungò la mano indeciso e con le
dita percorse il bordo del pizzo e del seno e raggiunse l'incavo. Era
così
disarmante vederlo arrossire di piacere, si appoggiò con la
schiena al mobile
per reggersi.
"My loving care è
bellissimo
detto da te." Gli sistemai maliziosa il tutore che lo sosteneva.
"Forse è meglio scendere
a
cucinare." Gli baciai la guancia, mi allontanai ancheggiando, mi
infilai
una maglietta di cotone misurando i gesti per provocarlo, mi ravvivai i
capelli
in modo sensuale, mentre lui mi osservava stranito.
Scoppiai a ridere. Lo afferrai per
la mano e lo tirai. "Avanti scendiamo, Myc sei adorabile! Vuoi cenare
visto che è la nostra prima serata insieme?"
"Ho già un appetito
formidabile, e non solo di cibo." Gracchiò con la mano
libera dalle
fasciature che sembrava di fuoco.
"Adulatore." Mormorai
seducente e lo trascinai letteralmente di sotto.
Ci perdemmo a cucinare, Anthea
aveva
rifornito il frigorifero di tutto quello che poteva servirci.
Sapevo quello che piaceva a
Mycroft e lui sapeva quello che piaceva a me. Era così bello
ritrovarsi insieme
senza tensioni, a tagliare verdure, a salare l'acqua per la pasta
all'italiana
e infornare un dolce al cioccolato, coperti di farina.
Lo sorpresi a canticchiare. Ogni
tanto mi dava un'occhiata, e brontolava perché mi sporcavo.
"Laura, dovresti essere
attenta in cucina come lo sei quando lavori al San Bart. Selvaggia." Si
scherniva e scuoteva la testa e mi copriva di piccoli baci affettuosi.
Mentre
aspettavamo che la pasta cuocesse, mi abbracciò per le
spalle, la sua camicia
che sfregava sulla pelle del collo sembrava seta. Era accaldato e il
suo
profumo maschile era invitante.
"Non sono mai stato bene come
stasera, non mi merito tutto questo visto il male che sono riuscito a
farti."
Mi dondolò piano e mi
baciò i
capelli, mormorò con la voce tremante. "Profumi di buono, My
loving care,
cercherò di essere un partner attento, ma aiutami anche tu
ad amarti."
Strinsi le sue mani al mio petto.
"Lo farò, Myc. Non aspettarti nulla di meno."
Cenammo ascoltando della musica
classica che piaceva ad entrambi, conversando di libri, di un viaggio
in Italia
che presto avremmo fatto insieme. Nessuno dei due parlò del
passato, volevamo
vivere il presente perché era quello che contava di
più.
Alla fine della serata dopo aver
riordinato insieme, ci lasciammo andare sul divano, il calore del
camino acceso
che crepitava lentamente.
Mycroft, sistemata la gamba ferita,
iniziò a leggere il suo libro prezioso. Mi accoccolai al suo
fianco con la
testa appoggiata sulla sua spalla, mentre lui assorto leggeva a voce
alta. Era
tutto così perfetto da non sembrare vero.
E mi presi le mie
libertà:
allungai la mano sul suo braccio, rimasi appoggiata così per
alcuni secondi,
poi sbadigliai e la portai sul suo fianco.
Si voltò a guardarmi,
gli regalai
un sorriso innocente. Riprese a leggere, ma brontolò
aggrottando la fronte.
"Stai ascoltando Laura?"
"Ma certo." Gli risposi
con voce calma, mentre tramavo la mossa successiva. Lentamente, mentre
lui
leggeva assorto, feci scivolare la mano sotto al suo cardigan
accarezzando la
camicia e sentendo il calore del suo corpo.
Mi fermai. Rimasi immobile
cercando di sembrare interessata alla lettura, lui si mosse appena un
po'
sorpreso. Presi a giocherellare con i piccoli bottoni, annuendo di
tanto in
tanto alle sue riflessioni sul libro. Pensò che perdessi
solo del tempo e che
non ci fosse malizia in quel gesto, mi lasciò fare, si
schiarì la voce e
continuò a leggere.
Sbottonai un paio di bottoni, e
infilai rapida la mano sotto la camicia, fra la sua maglietta di cotone
e la
pelle.
"Laura." Brontolò
lasciando il libro. "Che fai, mi stai spogliando?" Si
accigliò non
capendo bene dove volessi arrivare.
Dio! Era così disarmante
che
soffocai una risata.
"Dovrei?" Gli risposi
contrita, intanto gli arruffai la canottiera e trovai finalmente il
contatto
con il suo petto.
"Laura!" Ansimò,
sorpreso da quella intrusione.
Allargai la mano sulla sua pelle,
assorbendo il piacere di sentirla calda e liscia e deliziosa al tatto.
Lo
accarezzai lentamente con desiderio crescente.
Mycroft indugiò, sentii
il suo
respiro aumentare, si lasciò accarezzare, il suo libro ormai
dimenticato
pendeva dalla sua mano. Appoggiò la testa all'indietro sulla
spalliera e si
arrese.
"Ti stai approfittando di
me." Mormorò con la voce smorzata da brividi di piacere.
"Ti sto curando Myc. E curo
anche me stessa, voglio sentirti, conoscerti."
"Non sono insensibile, la tua
vicinanza mi toglie il controllo. " Accarezzò le mie spalle
avvicinandomi
di più.
"Lo vedo Myc, sento che ti
piace. Non devi temere per me, perché lo voglio anch'io." Un
leggero
piacere lo percorreva, ansimava e il suo corpo sembrava gradire.
"Sono semplici carezze, nulla
che possa infastidirti, non ti forzerò Myc." Mi strinse a
sé, il corpo
accalorato come lo era il mio.
"Mia dottoressa operosa, ti
amo troppo." Scivolò con le mani sui miei fianchi.
Eravamo appassionati e vogliosi,
ci accarezzammo imparando quello che piaceva l'uno dell'altro.
Fu l'inizio della nostra intesa e
della
nostra vita insieme, ma non andammo oltre.
Ci staccammo tenendoci per mano.
"Non avere paura, Laura, non temere non mi spingerò oltre."
Lo disse con una dolcezza
infinita, una lacrima mi scivolò lenta sulla guancia.
"Voglio amarti Myc. Non ho
paura, non sentirti colpevole per il male che mi hanno fatto. Sei tu
l'uomo che
desidero."
Mi asciugò la lacrima,
mi baciò la
guancia e mi coccolò tenendomi stretta a sé.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 45 *** Quando il sesso completa l'amore ***
Avvertenza : Ci sono
alcune scene di sesso ma trattate in
modo adeguato alla coppia che ho portato nel cuore per così
tanto tempo.
La
lettura del capitolo può essere saltata per attendere
l'epilogo
che uscirà a breve.
***************************
La nostra prima notte di
convivenza fu di conoscenza reciproca, solo la familiarità
del prepararsi per
dormire insieme e indossare i nostri pigiami ci legava sempre di
più. Lui così
compìto nel suo completo di blu e azzurro e io con una
tutina con gli orsetti
rossi: poco sexy ma molto comoda.
Sorrideva, mi guardava con gli
occhi addolciti.
Zoppicò abbandonando il
tutore e
le stampelle sulla poltrona della stanza, si infilò sotto
alla coperta, mi
aspettò appoggiato al cuscino. Lo raggiunsi e mi stiracchiai
appoggiando la
testa sulla sua spalla. Abbassò le luci sul comodino
rilassandosi, socchiuse
gli occhi.
"Buona notte Laura."
Farfugliò sbadigliando, sapeva che avevo bisogno del mio
tempo, mi tenne
stretta a sé, finché sentii il suo abbraccio
cedere, il respiro rallentare: si
era assopito. Mi abbandonai tra le sue braccia in
un'intimità che andava oltre
al sesso. Quello sarebbe arrivato in seguito, io guarivo le mie ferite
al suo
fianco e lui le sue. Eravamo noi e tutto il resto non aveva nessun
valore. Il
suo respiro regolare mi cullava, quella notte dopo tanto tempo dormii
senza
incubi.
Era tutto così perfetto.
La mattina dopo mi svegliai, lo
cercai con lo sguardo. Mycroft si stava vestendo. Era un mattiniero che
indugiava
poco a letto. "Ben svegliata, Laura. Dormivi così bene che
ti ho lasciato
continuare."
Lo osservai mentre si stava
abbottonando la camicia. Aveva indossato dei calzoni grigi spinati, mi
dava di
spalle davanti allo specchio che era appoggiato al grande
comò. Stava
reggendosi in equilibrio con la stampella di lato.
Un brivido impudico mi
attraversò
il corpo, guardare le sue spalle forti mi infiammava.
Scivolai fuori dal letto e scalza
mi avvicinai mentre si stava sistemando i polsini. Lo abbracciai da
dietro, lo
strinsi dolcemente e allacciai le mani al suo petto. Il calore del
corpo
calmava la mia voglia e la mia mente in tempesta.
"Che c'è piccola
selvaggia?
Stai tremando." Strinse le sue mani alle mie e inclinò la
testa
appoggiandola alla mia fronte. La sua pelle era profumata, respirai
tutta la
dolcezza che emanava.
"Sai Myc, ti amo così
tanto
che mi sono accorta di dipendere da te." Gli sussurrai all'orecchio.
"Uhmm e non è un bene
questo
lo sai." Ci dondolammo godendo di quel legame che diventava sempre
più
forte.
"Lo so, forse sono troppo
immatura per questo amore. La paura di perderti mi tormenta." La mia
voce
si affievolì nelle ultime parole.
Mycroft si sciolse dall'abbraccio,
si portò di fronte a me. "Laura le mie mani sono ancora
insicure per le
ferite." Le alzò per farmele vedere.
"Stai già molto meglio."
Aggiunsi sfregando la fronte sulla sua spalla.
Le osservò con il volto
contratto,
le unghie stavano ricrescendo, e le ferite si stavano schiarendo.
"Vorrei tanto che fossero
sensibili come lo erano prima." Allungò la mano sul mio viso
cercando il
contatto. Non le controllava ancora bene ma non si perse d'animo, mi
accarezzò
il volto. "Vorrei percepire ogni parte di te, mi sembra una tortura non
sentirti del tutto."
"Col tempo miglioreranno, non
avere fretta." Gli risposi baciandogli la guancia, era liscia e sapeva
di
dopobarba. Si era già rasato.
Rimanemmo al centro della stanza,
i nostri corpi vicini. Stese le mani incerte donandomi carezze
appassionate e
presto avvertii il desiderio aumentare. Le sue dita percorrevano ogni
centimetro del mio volto, lo prese fra le mani e lo attirò
al suo. Le nostre
labbra si incontrarono e fu piacevole sentirlo.
Lo desideravo, ardevo nel volerlo
mio.
Il suo bacio fu profondo, attesi
la sua intrusione, lo assaporai e fui in lui con la stessa passione
esplorando
la sua bocca e attirandolo a me per sentire i nostri corpi uniti. Le
mani,
strette sulla sua nuca, si saziavano del suo calore, il profumo
delicato di
dopobarba mi inebriò stordendomi. Intrecciai le dita nei
corti capelli.
Mycroft fece scivolare le mani sul
mio collo, passando all'incavo della gola e soffermandosi per prenderne
la
misura, scese lungo la spalla scoperta, restituendomi dei brividi lungo
tutta
la schiena. Ci staccammo con le bocche sazie. Alzò lo
sguardo, gli occhi grigi
acquietati mi restituivano un'intimità profonda. Erano di
una dolcezza
disarmante, mi persi senza percepire il tempo e lo spazio.
Mi sentivo pronta, volevo il suo
corpo, lo volevo affamata dentro di me.
Sentivo di appartenergli: quel
muro che avevamo eretto per proteggere le nostre solitudini, il dolore
degli
abusi che avevamo subìto, si stava disgregando e andava in
mille pezzi. Sapevo
che soffriva per le torture che lo avevano allontanato da me, ero
consapevole
della sua difficoltà a raggiungere una virilità
convincente.
Mi sarei frenata aspettando la sua
voglia, non volevo forzarlo.
Capì il mio disagio, mi
sorrise e
i suoi occhi mi confermarono la sua decisione.
"Laura, va tutto bene, se lo
vuoi io ci sono." Sussurrò appoggiando le labbra sul mio
collo, la sua
bocca calda era una sensazione meravigliosa, lo presi per mano e lo
accompagnai
al letto.
Mi sentivo pronta ad amarlo, e
anche lui lo era. Quell'uomo che avevo voluto così tanto,
tremava di desiderio,
di dolore, di passione, nella consapevolezza di avere davanti una
persona
ferita.
"Sei sicura?" Mi chiese
con un filo di voce. "Perché possiamo aspettare."
"Ti amo, non ho paura Myc, ho
fiducia in te."
Annuii orgoglioso della mia
concessione. "Mi fermerò se non vorrai."
"Lo so, è per questo che
ti
ho scelto." Lo presi per mano e lo portai sul bordo del letto.
Ci sedemmo e ci accarezzammo
esplorando i nostri corpi che reclamavano attenzione reciproca. La sua
camicia
bianca era seta scivolosa tra le mie dita, la sfilai con lentezza, una
inutile
difesa che il mio desiderio di toccarlo, di sentirlo reclamava
spudorata. Il
suo petto accaldato era liscio e tonico, gli baciai il collo
stuzzicando la sua
pelle.
Un gesto delicato, misurato e la
maglietta del pigiama scivolò sul pavimento.
"Allora c'era il reggiseno di
pizzo!" Mormorò affannato.
Lo slacciò mentre un
bacio
profondo ci univa. Avvicinò tremante le mani sui miei seni
accarezzandoli e
misurando la sua voglia che aumentava.
Quel contatto mi fece trasalire.
Affondò il viso nell'incavo, dove la sua bocca calda e la
sua lingua fremente
non mi davano tregua. Respirai il suo profumo e trattenni il capo
annodandolo
con le mani.
"Oh Myc...!" Con
maestria sfilò l'ultimo residuo di salvezza al nostro
desiderio impellente:
rimasi nuda e provocante davanti ai suoi occhi.
"Sei bellissima, Laura."
Balbettò ammirato, le mani che percorrevano i miei fianchi
le sentivo bruciare
di lussuria
Ero stretta al suo corpo, la
stoffa dei pantaloni che premeva sulla mia coscia, la sua voglia
prepotente era
completa. La sicurezza che maturava il suo corpo e la sua mente
seppellivano
per sempre i ricordi delle torture che aveva patito.
Eravamo affamati di baci e
impazienti, gli sfilai la cintura e si liberò dei calzoni,
quando vidi i boxer
sorrisi.
"Allora li hai indossati?
Molto carini gli orsetti grigi."
Ridacchiò malizioso e mi
accarezzò
la guancia.
"Te l'avevo promesso, hai
detto che me li avresti strappati." Arrossì fino alle
orecchie, era teso
come lo ero io.
"E lo farò." Mi sfregai
con la coscia ai boxer tesi, gemette avvinghiandomi a sé.
Il mio seno, appoggiato al suo
petto, assorbiva il calore prosciugando ogni residua resistenza. Lui
trasalì
eccitato.
Lo desiderai da non riuscire a
respirare. Mi calmò, rallentò le carezze, i suoi
baci divennero delicati, le
mani affondate nei capelli.
"Piano Laura, prenditi il
tempo necessario, sono al tuo fianco, non scordarlo."
Sigillò la sua
promessa con un piccolo bacio sul collo.
"Ti voglio, Mycroft. Sono
sicura di questo."
Infilai le dita nell'elastico dei
boxer e lo liberai da quell'ultima costrizione. Lui
boccheggiò quando toccai la
sua voglia turgida e intima. Iniziammo un gioco di carezze e di
conoscenza
reciproca, mentre i nostri corpi svelavano tutta la nostra voglia
spasmodica di
appartenerci e di svelarci per quello che eravamo: innamorati e liberi.
Le nostre mani frenetiche erano
nelle pieghe più nascoste della nostra pelle accalorata.
Mycroft mi stuzzicava con carezze
intime in quella parte del mio corpo che era stata violata senza alcun
rispetto. Era attento ai miei spasimi, si fermava se mi contraevo,
aspettava
che mi rilassassi, preparava la mia voglia al suo ingresso. Le sue cure
erano
dolci, si fermò e lasciò la mia bocca per
scendere con lentezza lungo il mio
ventre contratto, mentre la sua lingua calda mi restituiva brividi di
piacere
intensi. Baciò le cicatrici che erano rimaste, cancellando
ogni residuo dolore.
"Nessuno ti farà
più del
male, my loving care. Te lo prometto."
Il mio corpo era teso e lui scese
sempre di più fino a quando la sua lingua mi
assaggiò avida in un gioco
profondo che fu incontrollabile e disperatamente appagante.
Mi infiammava pieno di attenzioni
quell'uomo che tutti credevano di ghiaccio.
Scivolò sopra di me, le
mie gambe
erano tese nello spasimo, la schiena inarcata. Mi guardò
dolcemente, dondolò il
corpo e lo desiderai impudica e vogliosa adorando la sua
virilità maschile,
pronta per me.
"Ti amo, Laura."
Mycroft intrecciò le
dita delle
mani alle mie, le portò appena sopra alle mie spalle. Le
strinsi con forza,
mentre attraverso i suoi occhi addolciti leggevo tutta la fiducia e
l'abbandono
che gli accordavo nel vederlo disteso sopra di me. Non c'era niente in
quello
sguardo e in quella posizione della violenza che mi aveva confinato in
un
inferno per anni e che ora lui mi aiutava a superare.
Lo attesi e lui fu in me.
Sussultai, la sua dura intrusione
mi riempiva ma senza dolore, si fermò un solo attimo,
attento alla mia
reazione.
"Sì, Myc." Gli rimandai
ansimando e godendo del suo corpo. I miei muscoli si strinsero e gli
restituii
un piacere forte che stentava anche lui a reggere.
Arrivò in
profondità, con
lentezza. Bisbigliai il suo nome più volte mentre mi
catturava le labbra con
baci languidi, mi inarcavo accompagnando le sue spinte, quel piacere
così
intimo invase ogni parte del mio corpo. Una eccitazione che non avevo
mai
conosciuto. Rallentò, mi diede tempo, mi baciò le
labbra e giù fino al collo,
respirò la mia pelle e quando mi sentì sicura,
riprese le sue spinte che si
fecero più veloci.
Strinsi le gambe attorno alla sua
schiena.
Mycroft si contorse bloccato dalla
mia forza.
Lasciai il calore delle sue mani e
con le dita scivolai, incapace di trattenermi, sulle sue natiche
contratte
graffiandolo: reclamavo il suo vigore forte e duro. Aumentò
il ritmo avvertendo
la mia sicurezza, i nostri corpi si toccavano in una danza di spinte
che mi
resero così sensibile che il mio corpo rispondeva solo a
lui. La sua pressione
si fece secca e incontrollabile.
"Mycroft, ti amo."
Mormorai al pulsare frenetico dei suoi glutei, consegnandogli il mio
corpo
sensibile e arrivando all'apice insaziabile nel tenerlo dentro di me.
Il calore e le strette del mio
inguine furono così intense che lo spinsero al limite.
"Laura, non
resisto...io." Gli occhi addolciti si legarono ai miei, le spinte forti
e
costanti divennero lente, le sue gambe contratte si rilassarono:
lasciò il
controllo.
Annaspò e gemette, un
calore caldo
e umido mi inchiodò al suo orgasmo.
"Laura, mia Laura ..."
Biascicò stringendo la mascella sudato e tremante. Lo
lasciai libero e lui si
abbandonò sopra al mio corpo e delicato scivolò
sul fianco. Ci abbracciammo
nudi e appagati, testimoni della bellezza della nostra unione, dei
nostri corpi
pieni di amore e conoscenza.
E non smetteva di osservarmi e
accarezzarmi.
"Stai bene my
loving care?"
"Sto bene, Mycroft, mai stata
meglio." Volavo in alto toccando il cielo ed era bellissimo vederlo
innamorato e confuso.
"Laura ho avuto paura di
forzarti." Singhiozzò con gli occhi lucidi.
"O smettila, non ho provato
nulla di più bello, ora so che il sesso completa l'amore."
Lo assalii di
baci, per tranquillizzarlo. Non ero più la ragazza chiusa e
solitaria che era
arrivata dall'Italia piena di problemi.
Ora c'era lui.
Lui, che misurava ogni mio gesto
colmo di attenzioni. Iniziai ad accarezzarlo spingendomi oltre e mi
lasciò
fare.
Scesi con la mano sul suo inguine
liscio, e toccai la sua intimità con una consapevolezza del
corpo maschile che
spesso mi ero negata, non si ritrasse, si concedeva alla mia
curiosità.
"Ti amo, piccola dottoressa
operosa." Mi sussurrò all'orecchio ansimando. "Mi piace
sentirti
appagata e sicura di te."
"Allora non sai quello che ti
succederà tra poco."
Mi guardò incuriosito,
mentre le
mie carezze si fecero più intime, ora il mio corpo di donna
era libero da lacci
e da paure represse per anni.
"Vuoi che
continui, my british lovely man?"
Annuì muovendo il capo
senza
staccare gli occhi dai miei, la bocca aperta per lo stupore.
Ero io al comando, si
lasciò
andare alla mia voglia, il suo respiro aumentò affannato
mentre lo toccavo
lussuriosa, lo provocavo e il corpo rispondeva smanioso agli stimoli.
"Per fortuna che il dottor
Green aveva detto che non eri sessualmente attivo! Dio come si
sbagliava."
Ridacchiai mentre si eccitava sempre di più.
"Un emerito imbecille, Laura.
Anche se è un mio amico." La voce era roca, tesa dal
desiderio.
Mi lasciava fare, scivolai sopra
di lui, e lui dentro di me. Era prepotente per quanto mi voleva, mi
teneva i
fianchi mentre gli danzavo contro e accompagnava il mio ritmo.
Mugolava, si
contorceva e mormorava il mio nome senza fermarsi. E con lui mi
appropriavo
della mia forza di donna, del mio corpo che era vitale che voleva
godere
dell'uomo che amavo per cui avevo lottato tanto.
"My loving care."
Sussurrò non riuscendo a trattenersi. "Sei la mia stessa
vita Laura."
Tremò incapace di
fermare il suo
orgasmo, le sue dita strette nella carne dei miei fianchi, doloranti di
piacere.
"Ti appartengo Laura."
Strinse le labbra, si lasciò andare. Il volto rilassato era
quanto di più bello
avessi desiderato vedere. Sentirlo gemere sotto ai miei colpi era un
dono
prezioso, fino a quando il suo calore umido mi invase e raggiunse un
piacere
intenso che trascinò anche me, mi accompagnò
reggendomi salda a lui.
"Myc, ti appartengo."
Esplosi, mi contorsi sopra il suo inguine caldo. Non c'era nessuna
barriera tra
noi, niente che ci potesse ferire.
E gli crollai al fianco stanca e
appagata, il passato definitivamente sepolto, l'Italia lontana. Mi
afferrò e mi
tenne da farmi male. "Sei la mia donna, non scordarlo mai."
Lo osservai abbandonato al mio
fianco, sudato e accalorato, i capelli scompigliati, il volto
rilassato. Le
labbra addolcite. Lo baciai con troppa foga. "Mycroft Holmes sei l'uomo
giusto per me. Sei l'amore che ho sempre voluto." Lui
ridacchiò, si
schernì. L'uomo della governance era sparito, era soltanto
il mio uomo
innamorato.
"Laura Lorenzi sei la donna
giusta per me, sei l'amore aspettato per anni." Lo assalii tenendolo
stretto stretto al mio corpo.
"Mia selvaggia..."
biascicò
Eravamo belli, nudi, vicini e
liberi dal dolore che avevamo patito entrambi, e colmi di quell'amore
che ci
era stato negato per tanto tempo, e che ci riprendevamo a piene mani.
"Fottettevi tutti."
Mormorai stretta al suo fianco, lui rise e replicò.
"Sì, hai ragione... Che
si
fottano e che crepino di invidia."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 46 *** Epilogo: Westminster Abbey ***
La nostra convivenza divenne
complicità. Il lavoro al San Bart mi
assorbiva molto e anche Mycroft, che aveva ripreso a lavorare, era
spesso in
ritardo.
Ma dopo i primi inconvenienti
riuscimmo a ricavarci del tempo tutto nostro. Ritrovarci a casa alla
sera, per
stare insieme, ci alleviava tutte le sofferenze della giornata.
Fu un periodo di conoscenza
reciproca, a volte ero io a sostenerlo, a volte era lui a consolarmi
con una
pazienza infinita.
Fu un amante attento e la nostra
intesa sotto le lenzuola divenne piena e appagante. Il suo amore
colmò anni di
rinunce e paure. Lui acquistò sicurezza al contrario di
tutte le previsioni
nefaste che aveva fatto Green.
La mattina faticavamo a lasciarci
perché non smettevamo di accarezzarci e spesso lo inducevo
in tentazione.
Finivamo per arrivare in ritardo al lavoro e Anthea ci sgridava
scuotendo la
testa. Spesso la vedevo sorridere di nascosto, compiaciuta nel vedere
finalmente sereno il suo capo.
Le ferite di Mycroft guarirono,
abbandonò tutore e stampelle, il suo ginocchio
migliorò anche se zoppicava
quando era troppo stanco. Ma vederlo camminare al mio fianco quando
Albert ci
portava a passeggiare lungo il Tamigi, mi riempiva il cuore di una
gioia
immensa.
Una volta alla settimana, andavamo
a Baker Street a cenare, passavamo del tempo a coccolare Rosie, e mi
sorprendevo a guardare il volto di Mycroft addolcito, mentre stringeva
la
nipote. Sarebbe stato un ottimo padre, ne ero certa.
Era questo l'uomo che volevo e per
cui avevo tanto lottato. Sapevo che aveva un cuore immenso di cui
nessuno si
era mai accorto.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Un mese dopo, una sera, mi venne a
prendere al lavoro prima della chiusura dell'obitorio al San Bart.
"Vieni voglio portarti in un
posto." Brontolai un po' perché ero stanca e volevo correre
a casa per
stare fra le sue braccia.
Mi baciò la fronte, mi
accarezzò
la schiena. Un sorriso dolce sulle labbra.
Salimmo in auto, Mycroft diede
delle indicazioni ad Albert, che sorrise compiaciuto, come sempre era
discreto
e affidabile.
Mi abbandonai al suo fianco,
appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre la sua mano mi stringeva
al suo
corpo.
Notai che stavamo entrando nella
City, in pieno centro. Sbirciai dal finestrino.
"Non curiosare Laura. Ora
vedrai." Mi redarguì divertito, e pochi isolati dopo
Westminster Abbey mi
apparve sulla destra.
"Albert lasciaci qui,
più
tardi ci sentiamo."
Lo guardai incredula. "Ma
perché scusa? Mi sembra tardi per visitarla ora."
"Non per l'oscuro uomo
più
potente di Londra." Ironizzò lui baciandomi la guancia.
Scendemmo e lo aspettai,
camminammo affiancati fino un'entrata laterale, visto che a quell'ora
era
interdetta ai visitatori.
"Ma come fai a
sapere..." Gli chiesi guardandolo negli occhi che si beavano nel
vedermi
sorpresa.
"Fidati di me, Laura
Lorenzi." Ridacchiò mentre prendeva il cellulare dalla tasca
interna della
giacca.
Mandò un sms e pochi
minuti dopo
ci aprì la porta un custode rigorosamente in divisa che
salutò con referenza
Holmes.
"Buonasera Capo Reggente
Mycroft, bentornato." L'uomo lo salutò portando la mano a
pugno sul petto.
"Buonasera Correggente
Gregorio. Sono in compagnia questa sera, spero di non disturbarti."
Holmes
lo ossequiò allo stesso modo.
"No di certo, prego
accomodati." Ero sbalordita, entrammo scortati per i primi metri, poi
ci
lasciò proseguire da soli.
Non riuscivo a capire cosa stesse
succedendo.
"Capo cosa?" Mormorai
mentre gli stringevo il braccio.
"Un po' di sana
massoneria, The Great Abbey. Mi
sussurrò di rimando
orgoglioso e io alquanto perplessa.
"Ma vieni qui spesso? Da come
ti ha accolto sembri un visitatore abituale." Parlavo a voce bassa
visto
il posto avvolto in un ovattato silenzio.
"Mi piaceva rimanere un po'
da solo in questo luogo quando non c'erano turisti. Vedrai la sua
atmosfera è
rilassante."
La chiesa era deserta, ma le luci
soffuse le donavano un che di magico.
I nostri passi erano l'unico
rumore che si avvertiva.
"Questo è il mio posto
preferito." Mycroft si avvicinò a un altare dove una serie
di panchine
delimitavano l'imponente sagrato. Le pitture, le statue da quel punto
erano
quasi tutte visibili.
"Vieni siediti, ascolta. Il
silenzio parla." Mi diede un bacio leggero sulla tempia, ascoltai come
mi
aveva suggerito. Ero sorpresa che mi avesse condotto lì, non
mi aspettavo che
lui venisse in una chiesa a rilassarsi.
"Sei religioso,
my loving care?" La
sua mano si posò sulla mia.
Scosse la testa. "Non molto,
ma mi piace questo luogo religioso." Si volse verso di me staccando lo
sguardo dal soffitto di quella cattedrale così importante.
"E tu mia
dottoressa operosa?"
"Sono italiana e sono
cattolica. Ma diciamo che la fede un po' l'ho persa dopo la morte dei
miei."
Strinse le labbra sottili e poche
rughe gli segnarono la fronte. "Io vengo qui per trovare un po' di
pace,
mi rende tranquillo, mi apre la mente."
Lo osservai con attenzione
imparando una nuova parte del suo carattere. "Sei una sorpresa Mycroft.
Hai un'anima delicata, e l'hai tenuta ben nascosta a tutti."
"Era il prezzo da pagare per
il lavoro che facevo e faccio. Ma anch'io sono come gli altri, a volte
i dubbi
e le decisioni mi sembrano insormontabili ma poi vengo qui e tutto si
acquieta."
Appoggiai la testa sulla sua
spalla e mi struscia un po'. "Anche pensando a me sei venuto in questo
posto per chiarirti?"
"Sì, ero pieno di dubbi.
Ma
tu sei stata più forte di questa stessa chiesa."
"È per questo che mi hai
portato qui?"
"Sì, perché
il tuo amore
supera in tutto la sua mole. Non so perché mi sono meritato
tanto."
"Ora sei tu il poeta."
Ridacchiamo tenendoci stretti, la sua mano scivolo sul mio fianco. Mi
portò a
sé e avvertii la sua tensione, si schiarì la voce
e mormorò.
"Sposami Laura Lorenzi. Ti
voglio con me per tutto il tempo che mi sarà concesso.
Concedimi la tua mano
davanti a questo altare, a qualsiasi Dio ci possa sentire in questo
momento.
Sposami e rendi la mia vita migliore."
Smisi di respirare. Si
voltò a
guardarmi, gli occhi grigi gli brillavano pieni di dolcezza.
E mentre riprendevo fiato, davanti
a quell'altare giurai che lui era tutto ciò che volevo, era
l'uomo che desideravo
al mio fianco.
"Sì, lo voglio Mycroft,
sarò
la tua donna e la tua sposa per tutto il tempo che mi sarà
concesso."
Una lacrima solitaria, mi scese
fino alle labbra, Mycroft Holmes, il mio Ice Man, mi
accarezzò il volto e mi
baciò, era ciò che sanciva la nostra unione.
La sua mano scivolò
nella tasca,
sorrideva malizioso. Un piccolo contenitore di velluto rosso comparve
tra le
sue dita. Tremai incapace di dire altro.
Lo aprì, un delizioso
anello con
il simbolo dell'infinito, contornato da piccoli brillanti mi
scombussolò così
tanto che non avevo più voce.
"Mycroft!" sussurrai
"mi sorprendi ogni giorno di più."
Mi prese la mano, e visto che non
riuscivo a smettere di tremare, lo infilò al dito. Era
perfetto.
"Non mi sarei mai sbagliato,
mentre dormivi ho preso la misura. Eri così dolce mentre
tramavo
nell'ombra."
Risi e piansi insieme. Mi
coccolò dolcemente
e rimanemmo abbracciati consapevoli della nostra promessa.
Il silenzio religioso di quella
chiesa sacra fu nostro testimone, e rese i nostri respiri un rumore
assordante.
--------------Le solitudini
elettive---------------
A Laura Lorenzi,
alla sua caparbietà
e a Mycroft
Holmes, l'Ice man.
A
tutti quelli che hanno letto di loro
e li hanno accompagnati nel loro
percorso.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3966632
|