Stardust

di ChrisAndreini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La chiamata all'avventura ***
Capitolo 3: *** La stella caduta ***
Capitolo 4: *** La locanda ***
Capitolo 5: *** Nuovi incontri ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Stardust

Prologo

 

C’è chi crede che le stelle che illuminano il cielo notturno altro non siano che grosse palle di fuoco a miliardi di chilometri di distanza. Rocce cosmiche senza vita, senz’anima, senza cuore.

Ognuno è libero di credere in ciò che vuole, ma se una stella dovesse sentire tali supposizioni, posso assicurarvi che il suo sdegno sarebbe decisamente forte e giustificato.

Perché le stelle era molto più di questo, e sebbene ce ne fossero alcune che potevano considerarsi senz’anima, un po’ come senz’anima sembrano alcuni uomini, una cosa è certa: hanno un cuore. Un cuore di una potenza straordinaria, capace di illuminare il cielo, concedere giovinezza e vita eterna a chiunque se ne fosse impossessato. Insomma, erano di certo molto più che semplici palle di gas.

E chiunque dicesse il contrario, veniva fulminato dai loro occhi luminosi.

Perché un’altra cosa che bisogna sapere delle stelle, è che osservano costantemente la terra, e gli altri pianeti che si trovano a loro portata di vista. La vita lassù nel cielo, dopotutto, non è particolarmente piena di eventi, quindi le stelle osservavano i drammi degli uomini come fossero il loro Netflix. E senza possibilità di cambiare canale, purtroppo.

E in quel momento, sulla terra, c’erano due fatti che quasi tutte le stelle si alternavano dall’osservare.

Beh, uno di questi due fatti era un evento estremamente importante, che tutte le stelle del firmamento stavano osservando.

Il secondo fatto era di importanza minima per le stelle e per gli uomini, ma è fondamentale in questa storia, pertanto ne parlerò, anche se, a conti fatti, di importanza teoricamente ne aveva ben poca.

Entrambi gli eventi si svolgevano a poche centinaia di miglia di distanza, in Inghilterra, ai due lati del muro che divideva il villaggio di Wall, che prendeva il nome proprio dal muro di pietra che era vietato attraversare, e il regno fantastico di Kurain, dimora di maghi, streghe, regine e magia.

I due luoghi non sapevano della rispettiva esistenza, ma ciò non significava che non si fossero mai incontrati.

E Phoenix Wright era il degno esempio di incontro tra i due mondi. Un vero e proprio “figlio” dei due mondi.

Ma non è ancora arrivato il momento di parlare di lui, passiamo invece al grande evento che stava capitando quella notte nel regno di Kurain, al castello reale.

 

Infatti la regina, Ami Fey, era sul suo letto di morte, circondata dalle tre nipoti e dall’unica figlia rimasta: Morgan Fey, madre della nipote più piccola, Pearl.

Voci di corridoio sussurravano che la regina Ami non sopportasse la scelta della figlia di chiamare la nipote Pearl, e che tutto ciò che sarebbe successo di lì a poco, sarebbe stato quasi interamente a causa dell’infelice scelta.

Infatti, nella famiglia Fey, era tradizione che ogni nome avesse la M da qualche parte.

La regina Ami teneva molto a questa tradizione, infatti aveva chiamato i suoi tre figli con nomi che cominciavano con questa sacra lettera: Misty, Manuel e Morgan.

La maggiore, Misty, era stata altrettanto fedele alla tradizione, e aveva chiamato le sue figlie Mia e Maya. Purtroppo era scomparsa anni prima, durante la ricerca del secondogenito, Manuel, sparito molti anni prima, quando era ancora adolescente. Avevano quasi tutti perso le speranze di ritrovarlo, e non aveva prodotto eredi, da ciò che la famiglia Fey poteva supporre.

L’ultima figlia, Morgan, era poco attenta alla tradizione, e neanche particolarmente amante della famiglia, da ciò che le stelle potevano osservare.

Non aveva versato neanche una lacrima alla notizia che i suoi fratelli maggiori fossero scomparsi, e l’unica persona che riuscisse a strapparle un sorriso era sua figlia Pearl, l’unica figlia che aveva, e il suo gioiellino.

Anche adesso che sua madre era in punto di morte, Morgan non riusciva a fingere di essere triste al riguardo, e il suo volto impassibile tradiva l’accenno di un sorriso.

Era l’unica erede, era ovvio che la corona sarebbe passata a lei.

E forse sarebbe anche stato così, se non avesse chiamato sua figlia Pearl.

Ami era sul suo letto di morte, e guardava amorevolmente le nipoti chine al suo fianco.

Mia Fey, la maggiore, di anni 27 stringeva la mano della nonna. Tentava di farsi forza per non piangere ed essere il sostegno delle altre due, ma i suoi occhi erano lucidi.

Maya, sua sorella, di anni 17, piangeva copiosamente, ed era abbracciata a Pearl, la cugina di appena 8 anni, che non capiva esattamente cosa stesse succedendo, e continuava a sperare che la nonna si riprendesse, ma sentiva comunque la gravità della situazione, e piangeva a sua volta.

-Mie carissime nipoti…- cominciò Ami, guardando le tre ragazze con affetto -…figlia…- diede poi un’occhiata a Morgan, che inarcò un sopracciglio, ma non replicò -…il mio tempo è giunto ormai alla fine. Ho vissuto una lunga vita piena di gioia, amore, e ho dato tutto il possibile per essere una buona regina. Non ho alcun rimpianto- nonostante le sue parole, lanciò un’occhiata a Morgan che sembrava dire “beh, forse un rimpianto potrei averlo, ma non voglio pensarci”.

-Sei la migliore regina che questo regno abbia mai avuto, nessuno potrà mai eguagliarti- commentò Mia, avvicinandosi all’amata nonna che l’aveva cresciuta come una madre dopo la scomparsa di Misty.

-Vorrei tanto aver avuto il potere di impedire che i miei figli sparissero nel nulla, ma grazie per le tue parole, Mia. Sono certa che chiunque di voi diventerebbe una meravigliosa regina- guardò le nipoti, con affetto.

-Ma può esserci solo una regina- le ricordò la figlia, Morgan, allargando appena il sorriso quasi impercettibile, che iniziò quasi a somigliare ad un ghigno gongolante.

-Morgan ha ragione. Solo una di voi può salire sul trono. Normalmente, questo onore spetterebbe alla primogenita della famiglia…- Ami cominciò ad annunciare le regole.

Il ghigno di Morgan di allargò. Anni di attesa, di schemi, di inganni, e finalmente avrebbe avuto la corona.

-Ma Misty purtroppo è scomparsa anni or sono, così come Manuel- Ami scosse la testa. Mise una mano sul magatama che indossava. Brillava di una luce verde, ed era il simbolo della famiglia Fey. Possederlo dava il pieno potere, sia metaforico che letterale, dato che era la pietra più ricolma di magia spirituale del regno. Solo il re o la regina avevano il diritto di tenerlo in mano, e le capacità di usarlo.

E in pochi minuti Morgan avrebbe avuto questo onore, stava sbavando dall’attesa.

Ami se la tolse dal collo.

-Nonna, il tuo magatama…- commentò Mia, sorpresa se lo stesse donando.

Morgan sollevò il braccio per prenderglielo dalle mani, ma uno strano gesto di sua madre la bloccò sul posto.

Infatti, concentrandosi al massimo delle sue forze che lentamente la stavano abbandonando, tenne stretta tra le mani la pietra, che da verde divenne nera come la pece, perdendo il suo brillio caratteristico

Morgan si ritirò, sconcertata.

Cosa diamine stava succedendo?!

-Il primo dei miei nipoti che riesca a trovare il magatama diventerà il futuro monarca del mio regno. Solo una di voi nipoti. Chiunque altro tocchi il magatama che non sia mio nipote non riuscirà a restituire ad esso il suo brillio verde, quindi non potrà ereditare il trono- spiegò Ami, mettendo particolare enfasi sul grado di parentela che l’erede doveva avere con lei.

Morgan era troppo sconvolta per essere fumante di rabbia come avrebbe voluto. E anche toppo sconvolta per suggerire a sua figlia di prendere la collana finché era in tempo e a portata di mano.

Si limitò a fissare sua madre a bocca aperta.

Ami dischiuse le mani, e il magatama iniziò a volteggiare a mezz’aria, girando intorno le increduli nipoti, ma pronto a sfuggire alla loro presa nel caso si fossero avvicinate troppo.

-Non voglio che questa piccola gara separi la famiglia, prendetela come nient’altro che una divertente caccia al tesoro… e che vinca il migliore- sorrise con affetto alle nipoti, non lanciò neanche un’occhiata alla figlia, e si accasciò sul cuscino.

Mentre le tre Fey più piccole si affrettarono ad accertarsi delle sue condizioni, piangendo e non dando la minima attenzione alla collana, Morgan cercò di afferrarla. Non avrebbe potuto essere regina, ma doveva fare in modo che sua figlia lo diventasse, e comandarla a bacchetta da dietro le quinte.

Ma nel momento stesso in cui Morgan alzò la mano per prendere la pietra, questa sfrecciò violentemente fuori dalla finestra, verso il cielo notturno, in mezzo alle stelle che stavano osservando la scena con distaccato interesse.

E trascinando una di loro con sé, nella sua inevitabile caduta.

Una delle poche stelle che non stava minimamente osservando quella scena, ma era intenta a guardare con attenzione un processo che si stava tenendo a Londra proprio in quel momento.

Purtroppo non avrebbe mai saputo come fosse andato a finire.

E non avrebbe neanche mai scoperto se, dall’altra parte del mondo, il Samurai d’Acciaio e il Crudele Magistrato si sarebbero sposati davvero, o se le leggi giapponesi avrebbero impedito la loro unione, perché non sarebbe rimasto nel cielo abbastanza per ritornare ad osservare il Giappone la mattina dopo.

Decisamente fastidioso.

E terribilmente doloroso.

La stella, di nome Miles, cadde violentemente al suolo accompagnato da un ciondolo che non sapeva neanche quanto fosse importante, dritto in mezzo ad una foresta di Kurain, formando un enorme cratere, e provocandosi un forte dolore al coccige e alla gamba.

Mentre la luce iniziava ad affievolirsi dal suo corpo, sussurrò gli ultimi pensieri che aveva avuto prima dell’arrivo del magatama: -L’accusato è chiaramente colpevole, vostro onore- prima di svenire per il dolore dell’impatto.

 

Ma ora passiamo al secondo particolare evento della serata, quello che nessuna stella stava osservando, ma che a noi interessa particolarmente.

E prima di dare i dettagli dell’evento in sé, meglio presentare i protagonisti, o meglio, il protagonista, di questa storia, non solo dell’evento.

Il suo nome era Phoenix Wright, ed era un giovane ed entusiasta ragazzo di 24 anni, che lavorava come garzone alla bottega di paese, ed era ben poco considerato.

Non era infatti più bello, più atletico o più intelligente degli altri ragazzi della sua età. Sua madre affermava con assoluta convinzione che fosse il più buono, e non posso obiettare su questo. Purtroppo il resto del villaggio di Wall obiettava, dato che la madre di Phoenix Wright, Patricia Wright, era vista di cattivissimo occhio a Wall, come una poco di buono e una poco seria. Sebbene fosse molto intelligente, una gran lavoratrice, e una bellissima donna, tutti i suoi pregi venivano surclassati dallo scandalo di avere un figlio illegittimo, e di non essersi mai sposata.

Nessuno sapeva chi fosse il vero padre di Phoenix, ma tutti supponevano fosse un poco di buono come lei, con la quale Patricia aveva passato un’avventura di una notte finita male.

Phoenix sapeva che se non fosse stato per lui, sua madre sarebbe potuta essere decisamente rispettata, e avere tutto ciò che meritava. E cercava sempre di renderla orgogliosa al meglio delle sue possibilità.

Anche se, ora come ora, il suo obiettivo era più che altro tentare di conquistare la donna di cui era profondamente innamorato, e ragazza più bella, brillante e gentile dell’intero villaggio, forse anche dell’intera Inghilterra: Dahlia Hawthorne.

Figlia del sindaco, piena zeppa di ammiratori, nessun fratello o sorella ad eccezione di una sorellastra di nome Valerie. Nessuna gemella, nessun mistero su chi fosse sua madre, che era la moglie del sindaco e non si chiamava Morgan. Meglio specificarlo.

Phoenix sapeva di non essere all’altezza di una ragazza tanto splendida, ma stava comunque cercando di corteggiarla al massino delle sue capacità, con fiori, favori, e comportandosi praticamente come un cagnolino fedele pronto ad agire ad ogni suo ordine. 

E sebbene sua madre non fosse molto felice della cosa, questo metodo, per Phoenix, stava funzionando alla grande, perché era passato da non essere neanche notato, all’essere, in quel preciso momento, seduto sotto le stelle con l’amore della sua vita, intento a bere dello champagne e mangiare dei panini.

Se questo non era progresso, cos’era? Sfruttamento? Sì, io punto sullo sfruttamento, dato che Dahlia aveva mangiato quasi tutto, bevuto metà bottiglia, Phoenix era stato colui che aveva organizzato e pagato, e al momento la ragazza si stava rimirando le unghie e non prestava la minima attenzione allo spasimante.

-Non avevo mai bevuto champagne prima d’ora… tu avevi mai bevuto champagne?- Phoenix stava cercando di mantenere viva la conversazione. Aveva speso tutti i suoi risparmi per quella serata, e voleva che fosse significativa.

-Sì, Doug ieri mi ha portato ad una locanda molto alla moda. Ne abbiamo finite due bottiglie- rispose Dahlia, sorridendo civettuola al pensiero, e guardando Phoenix e la sua unica bottiglia con una certa delusione.

Phoenix si rabbuiò, e le riempì il bicchiere nel tentativo di essere più gentiluomo di Doug.

-Passi molto tempo con Doug, ultimamente- osservò, pensando al suo maggiore rivale d’amore.

Ne aveva molti, che erano comunque più letali di Phoenix stesso, ma Doug era il candidato principale al cuore della ragazza, pertanto il maggiore rivale.

-Sì, ci divertiamo. E poi è un avventuriero, e un genio. Qualche giorno fa è andato a Londra, e dicono sia stato solo per comprarmi un anello per il mio compleanno- si vantò la ragazza, scuotendo la lunga chioma ramata.

Il cuore di Phoenix sembrò sprofondare nello stomaco.

-Un anello? Perché un anello?- chiese, sperando che l’ovvia conclusione non si rivelasse anche giusta.

-Feenie, tesoro, perché un uomo compra un anello ad una donna?- chiese Dahlia, in tono ovvio, guardandolo come se fosse un idiota.

Phoenix abbassò lo sguardo.

-Ti chiederà in sposa…- sussurrò, incapace di accettare l’idea -E… dirai di sì?- chiese poi, in tono ancora più basso. Il suo compleanno sarebbe stato in una settimana. Mancava pochissimo tempo.

-È andato fino a Londra, purtroppo non posso rifiutarmi, Phoenix. Mi dispiace- più finta dell’affetto che Ami provava per la figlia minore, Dahlia diede un buffetto sul naso di Phoenix, tentando di fargli rendere conto che il futuro era già scritto.

-Io per chiederti in sposa andrei fino a Parigi, a Roma, in Cina perfino. Andrei ovunque nel mondo, troverei i gioielli più preziosi, oro, animali esotici. Artefatti magici. Tu vali molto di più di un semplice anello che viene da Londra- Phoenix le prese le mani e la guardò negli occhi per trasmettere tutto l’amore che provava per lei. Il panico della consapevolezza che avrebbe potuto perdere la donna che amava nel giro di una settimana venne sostituito in fretta dalla determinazione di fare tutto quanto in suo potere per non perderla.

Dahlia rimase impassibile.

-Che carino che sei, ma purtroppo se non arriverai con un’offerta migliore in una settimana, non potrò in alcun modo rifiutare quella di Doug- la ragazza scosse la testa, fingendosi dispiaciuta, ma in realtà con malevolo divertimento.

Adorava vedere i suoi ragazzi scannarsi tra di loro.

La replica di Phoenix venne interrotta quando lo sguardo di entrambi venne attirato da una stella cadente. Era una visione piuttosto rara da quelle parti, e quella stella, in particolare, sembrava avvicinarsi a loro, e scendeva più lentamente, brillante e acciecante.

-Wow- per la prima volta da che Phoenix la conoscesse, Dahlia sembrò genuinamente affascinata dalla visione davanti ai loro occhi. Il suo sguardo ambizioso sembrava recepire l’immenso potere che quella stella portava con sé. 

E Phoenix non era da meno.

Quella stella cadente era meravigliosa.

E sembrava estremamente vicina, a qualche miglio oltre il muro invalicabile.

Un’idea gli balenò in testa.

-Dahlia…- strinse con forza la mano della ragazza, che si girò a guardarlo quasi seccata -Per avere la tua mano, io attraverserei il muro e ti porterei quella stella- annunciò con determinazione e occhi brillanti.

Dahlia sembrò davvero stupita dalla sua proposta, ma la sorpresa durò poco. Sorrise e piegò la testa, interessata e malevolmente divertita.

-Davvero? Riusciresti nell’impresa in una settimana?- lo sfidò, valutando le possibili opzioni.

-Sì!- Phoenix, facendosi illuminare dalla speranza, si alzò in piedi, per mostrare la sua decisione -Se ti portassi la stella entro il tuo compleanno, mi sposeresti?- chiese, mettendosi poi in ginocchio come se quella fosse la sua proposta.

Dahlia esitò solo un istante, poi allargò il sorriso.

-Ovviamente, una stella personale presa oltre il muro invalicabile batte di gran lunga un anello di Londra… ma ho paura che sia pericoloso per te- finse preoccupazione, ma non fece che riempire Phoenix di maggiore determinazione.

-Come ho detto, per avere la tua mano farei questo e altro! Attraverserò il muro, prenderò quella stella, e te la porterò entro il tuo compleanno, te lo prometto!- le diede un bacio sul dorso dell amano, si alzò, e si avviò pieno di energia verso l’entrata del muro, senza neanche munirsi di provviste o avvertire sua madre del suo piano suicida.

Quando sparì dalla portata di vista, il sorriso di Dahlia sparì. Si ripulì il dorso della mano che Phoenix aveva baciato come se fosse infetto, prese la bottiglia con lo champagne avanzato, e vi si attaccò, finendola in un sorso.

Nella sua mente c’erano due possibilità, che non le dispiacevano affatto: la prima possibilità era che Phoenix non riuscisse neanche ad attraversare il muro, fallendo quindi immediatamente nell’impresa e smettendo di sbavarle addosso. Era l’ipotesi più probabile;

La seconda possibilità era che Phoenix superasse il muro e venisse ucciso durante l’impresa da creature selvagge. Era molto più improbabile, ma Dahlia lo sperò con sadico divertimento.

Ovviamente la possibilità che Phoenix tornasse con la stella erano persino meno di zero, quindi Dahlia non si preoccupò di doverlo un giorno sposare. Fosse stato per lei, non avrebbe sposato nessuno, ma Doug era una buona opzione. Era ricco, quindi poteva ucciderlo e beccarsi tutti i soldi. Phoenix non poteva dargli neanche quello, dato che era povero in canna.

Anche se, se gli avesse portato una stella… nah, non l’avrebbe sposato comunque, era una persona troppo insignificante.

E poi sarebbe senz’altro morto tentando.

 

Oltre il muro, a parecchie miglia di distanza dalla foresta dove era caduta la stella, una ragazza di circa diciassette anni parlava con una persona che lei chiamava padre, ma che sembrava di anni averne un centinaio, anche se non era affatto così. 

…di anni ne aveva quasi un migliaio.

-Ti dico che l’ho vista, mentre raccoglievo la legna per il fuoco. Una stella brillante! Caduta a ovest di qui- la ragazza informava il padre, che la guardava con un sopracciglio inarcato.

-Ne sei certa, Franziska?- chiese l’uomo, prendendo il proprio bastone e provando ad alzarsi.

-Sì, posso andare a recuperarla, te la porterò, e potrai ringiovanire e allungare ulteriormente la tu vita!- esclamò la ragazza, con veemenza, tenendo stretto il manico della frusta che portava sul fianco.

-Tu? Perché dovrei affidare una missione così importante ad una ragazzina?- Manfred scosse la testa, e si avviò zoppicando verso una mensola, per prendere le sue medicine magiche.

Franziska lo guardò in modo eloquente.

-Perché sei un cencio che a malapena sa stare in piedi- borbottò tra sé, roteando gli occhi.

-Come, prego?- Manfred si  mise sull’attenti, offeso, ma seriamente ignorante su cosa la figlia avesse detto, dato che era anche duro d’orecchi.

-Non ti deluderò, padre. Sarò rapida come il vento, ti porterò il cuore della stella in pochi giorni, e ci terremo in contatto con gli orecchini- Franziska si recuperò, e indicò i gioielli che entrambi portavano alle orecchie. 

-Giorni? Bah! Ci metterò pochi minuti con la candela di Babilonia- Manfred, dopo aver preso le medicine, si piegò con difficoltà per armeggiare in un piccolo cassetto.

Franziska gli si avvicinò, con un sopracciglio inarcato.

-Ne avevamo un’altra? Non avevi usato l’ultima per andare al mercato, sette anni fa?- chiese Franziska, confusa.

Manfred si interruppe, e rifletté con attenzione.

Poi si girò verso la figlia.

-Ti do massimo una settimana. Spero tu ci metta meno se non vuoi deludermi. Ti guiderò con le rune- alla fine le diede il permesso di uscire finalmente di casa.

Franziska non trattenne un sorriso pieno di gioia, e salì in fretta in camera sua per prepararsi prima del lungo viaggio.

Era la prima volta che le veniva concesso un compito così importante, e non avrebbe mai deluso suo padre.

L’uomo che le aveva dato una casa e lezioni di magia, riconoscendo il suo talento straordinario.

L’uomo che le aveva insegnato che la perfezione era l’unica risposta, e il fallimento non era mai contemplato.

 

Insomma, per riassumere, tre principesse cercavano una collana, caduta insieme ad una stella, che era cercata da una strega spalleggiata dal padre ultracentenario e un ragazzino che voleva solo un regalo di nozze.

Insomma… una bella caccia al tesoro.

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Capitolo 2
*** La chiamata all'avventura ***


La chiamata all’avventura

 

Phoenix era corso dritto filato verso il muro, senza neanche prendere qualcosa da mangiare per il viaggio, o prepararsi con abiti più comodi. Non che ne avesse molti, dato che lui e sua madre non nuotavano certo nell’oro, ma forse avrebbe dovuto quantomeno prendere un pezzo di pane e una borraccia d’acqua.

Invece eccolo lì, all’entrata del muro, ovvero l’unica zona dove esso era crollato ed era quindi possibile attraversarlo.

Visto che era vietato farlo, per motivi sconosciuti, c’era sempre una sentinella di guardia, per evitare che qualche sprovveduto tentasse di superare il varco e andare dall’altra parte.

Era una vera e propria missione di vita, e la sentinella non si muoveva mai dalla sua posizione, neanche per dormire su un letto o andare in bagno. 

Dedizione estrema.

Nessuno conosceva il nome della sentinella, che in città veniva semplicemente chiamato il Giudice… e nessuno si spiegava l’origine di questo nome, quando potevano benissimo chiamarlo solo “Sentinella” o “Guardiano del muro”.

-Chi va là?- chiese il Giudice, un uomo calvo dalla lunga barba e una tonaca nera, strabuzzando gli occhi per cercare di vedere meglio il ragazzo che lo stava approcciando.

-Salve! Sono Phoenix, Phoenix Wright!- si presentò Phoenix, con un grande sorriso amichevole. Era certo che spiegando le sue motivazioni per attraversare il muro, l’anziano uomo l’avrebbe fatto passare.

Dopotutto l’amore è più importante di qualsiasi altra cosa, no?!

-Oh, il figlio di Patricia- lo riconobbe il Giudice, accogliendolo -Tutto bene, giovanotto? Come sta tua madre?- chiese, gioviale.

Bene, sarebbe stato più facile del previsto. Il Giudice sembrava una persona molto gentile. Ed era uno dei pochi in città che non lo aveva guardato storto una volta scoperto che era il figlio di Patricia Wright. Forse perché il Giudice era un tale eremita che neanche sapeva quanto fosse malvista in città.

-Mia madre sta bene. Sempre forte- rispose Phoenix, pensando a quanto ammirasse sua madre.

-Ottimo, ottimo, mi fa piacere. Perché sei qui? No, aspetta… non dirmi che anche tu sei qui per cercare di superare il muro!- improvvisamente, il volto amichevole del Giudice si fece freddo come la roccia, e si mise a protezione del muro in una perfetta imitazione di Gandalf, bastone compreso, che sembrava gridare “Tu non puoi passare!”.

Phoenix non aveva mai letto il signore degli anelli, e non esistevano film, quindi non capì l’antifona, e si limitò a grattarsi il retro del collo, un po’ imbarazzato e chiaramente colpevole dell’insinuazione.

-Beh, è vero, ma… un momento, hai detto “anche io”? Quindi è già passato qualcuno oltre al muro! Posso farlo a mia volta!- suppose, pronto già a superare il varco.

-Cosa?! No! Nessuno supera il muro! Io non ho mai permesso a nessuno di superare il muro, e non farò altre eccezioni solo perché tua madre… non farò eccezioni per te, come non ne ho fatte per nessuno- il Giudice lo tenne indietro con il bastone, che terminava con un martelletto tipo quello dei giudici, e gli lanciò un’occhiata dura.

-Ti prego! È per amore! Hai visto quella bellissima stella cadente che è caduta prima? Ho promesso alla donna che amavo che gliel’avrei portata, e se riesco a superare il muro e andare a prenderla riuscirò a sposarla! L’amore è più importante di tutto, vero?- Phoenix utilizzò tutte le sue doti Feenie, e gli occhi da cucciolo più on point che avesse mai fatto.

Il Giudice sembrò esitare per un attimo.

-Aww… beh, l’amore è…- ma non durò molto -…NO! Ho promesso sulla mia vita che non avrei più… mai permesso a nessuno di superare il muro, e non infrangerò di nuov… per la prima volta questa promessa! Forse dovresti comprarle un anello, se sei a corto posso prestarti un po’ di soldi, giovanotto- dopo un monologo duro e solo a tratti incerto, il Giudice tornò amichevole, e offrì supporto.

Phoenix non era tipo da fare gesti avventati come prendere la rincorsa e cercare di superare il muro… ma che dico, certo che Phoenix era un tipo che faceva gesti avventati come prendere la rincorsa e provare a scavalcare il muro, cosa che in effetti fece, senza alcun risultato se non una botta in testa con il martelletto del Giudice e un caldo invito a tornarsene a casa e andare a dormire.

Phoenix non si arrendeva tanto facilmente… ma forse avrebbe dovuto prendersi un po’ di tempo per pensare.

Salutò il giudice e decise di tornare a casa.

Dopotutto aveva una madre a cui chiedere chiarimenti.

 

Nel frattempo, dall’altra parte del muro, a molte miglia di distanza, al castello dei Fey, Mia stava preparando la valigia per partire alla ricerca della collana magica.

Sapeva di non avere molto tempo da perdere, e sebbene avrebbe volentieri passato almeno un giorno intero a piangere il lutto della defunta nonna, era anche intelligente abbastanza da capire che sua zia Morgan si stava già armeggiando per essere la prima a mettere le mani sul prezioso cimelio di famiglia.

Mia non aveva nulla in contrario a vedere sua cugina sul trono, e non voleva sedercisi lei a tutti i costi, anzi, avrebbe preferito poter cedere la corona a sua sorella Maya, ma purtroppo se Pearl saliva sul trono, il potere sarebbe passato praticamente a Morgan, e Mia non poteva permetterle di ottenere quel titolo. Una donna del genere, così egoista e ambiziosa, avrebbe finito per essere la rovina per il regno, soprattutto visto che si ostinava ad antagonizzare gli stregoni.

Quindi stava già preparando le valige, con Maya accanto a lei, che provava ad aiutarla.

-Dovremmo andare insieme. Avremmo più probabilità di farcela!- sua sorella stava provando a convincerla, decisa.

Mia era di tutt’altra opinione.

-No, meglio separarci, potremo coprire più terreno- insistette, prendendo le rune magiche che le avrebbero dato risposte su come trovare il magatama.

Erano ore che discutevano sulla questione.

-Ma ci stiamo dirigendo nella stessa direzione! E non voglio diventare regina. Sai benissimo che sei tu l’unica capace di assumere questo ruolo!- Maya si infiammò, enfatica.

In effetti logicamente avrebbe senso che le due sorelle decidano di lavorare insieme per battere l’ambiziosa zia, ma per motivi di trama, non posso farle partire insieme.

E poi, Mia aveva una pessima sensazione riguardo a zia Morgan.

-Appunto per questo nostra zia sarà molto agguerrita nel metterci i bastoni tra le ruote. Le sarà molto più difficile andare contro due persone separate piuttosto che contro un gruppo compatto- cercò di far ragionare Maya, che alla fine, dopo tanta insistenza, decise di cedere.

-Secondo me è una minaccia minore di quel che pensi. Dopotutto non può diventare regina, e Pearls è la bambina più dolce dell’universo, non si lascerà condizionare troppo- provò comunque a rassicurare la sorella, prendendo un altro sacchetto di rune da usare a sua volta, anche se non era grandissima esperta nell’usarle.

-Concordo che Pearl è un tesoro, ma non possiamo sottovalutare la minaccia di zia Morgan… ho una pessima sensazione al riguardo- ammise Mia, stringendo i denti, decisa a combattere al massimo delle sue possibilità per non deludere la fiducia che sua nonna aveva riposto in lei.

-Sì… capisco che intendi- ammise Maya, rabbrividendo leggermente tra sé.

Dopotutto non poteva essere una coincidenza che Morgan fosse rimasta l’unica figlia di Ami rimasta in vita.

E tutti sapevano quanto ambisse al trono. Durante tutta la malattia della madre, non le aveva mai fatto visita, con la scusa di doversi occupare degli affari regali e di non avere tempo.

Sia Mia che Maya sapevano con assoluta certezza che aveva passato la maggior parte di tale tempo seduta sul trono a ridere maleficamente.

E lo sapevano perché loro cugina Pearl era venuta a dirglielo, in quanto spaventata per la salute mentale della madre.

Il punto era che Morgan era sospetta, era crudele, e sarebbe stata una pessima regina, quindi Maya e Mia dovevano fermarla a tutti i costi.

-D’accordo, dividi et impera! Seguirò la tua strategia. Ma quando arriverò al magatama prima di te non lamentarti se non sarai regina- Maya fece una linguaccia alla sorella, e smise di aiutarla per farsi la propria valigia.

-Sì, sogna sogna… e comunque la strategia che intendi tu ha il significato opposto. Prendi lezioni di latino!- Mia prese in giro la sorella scompigliandole i capelli, poi chiuse la valigia e si preparò ad uscire dal castello.

-Il latino è noioso!- si lamentò Maya, affrettandosi a fare la propria valigia per non essere troppo in ritardo rispetto alla sorella.

Nonostante tutto, però, tifava ancora per lei.

Maya era convinta che Mia alla fine sarebbe salita sul trono, e sarebbe stata un’ottima regina.

…sì, lo sarebbe stata davvero.

E lo sapeva anche Morgan, che infatti aveva già iniziato a tramare nell’ombra per impedire alle due nipoti di prendere il magatama reale prima di lei.

Non si sarebbe sporcata le mani in prima persona, ma aveva già assoldato un mercenario per realizzare il compito.

Dopotutto non era neanche Morgan a dover toccare il magatama, ma sua figlia Pearl. Quindi poteva tranquillamente chiedere al mercenario di portarle la collana e aspettare al sicuro a palazzo, con sua figlia, la notizia del ritrovamento della collana, o di un misterioso incidente accaduto alle nipoti.

-Mamma, chi credi che vincerà?- chiese Pearl, avvicinandosi a lei nella sala del trono che aveva occupato abusivamente, e osservando fuori dalla finestra dove nonostante l’ora tarda, riusciva a vedere gli stallieri preparare due carrozze per le principesse in partenza.

-Tu chi vorresti che vincesse?- chiese Morgan, distrattamente, sperando che se ne uscisse con un ambizioso “Io! Voglio vincere io! Diventare regina, e farti governare al mio posto!”.

Invece Pearl rispose con un mite: 

-Sarebbero entrambe ottime regine! La mistica Mia è super intelligente e preparata. La mistica Maya è tanto dolce e divertente! Mi andranno bene tutte e due. Peccato non possano essere entrambe regine!- disse infatti, sorridendo nella direzione delle due carrozze.

Morgan si chiese come avesse potuto generare una bambina così poco ambiziosa, e così tanto diversa da lei.

Forse era solo piccola?

Lo sperò, perché non sopportava tale buonismo!

 

Mentre le principesse Fey si preparavano a partire, una giovane strega della stessa età della minore di loro aveva già fatto altrettanto, pronta alla sua primissima missione in solitaria, e una di vitale importanza, oltretutto.

Franziska von Karma non vedeva l’ora di dimostrare la propria perfetta preparazione, trovando la stella prima di chiunque altro e portandola a suo padre, in modo che tornasse giovane, potente, e potesse insegnarle ulteriormente.

Ma più di tutto, più della gloria, dell’ambizione, e del desiderio di perfezione, c’era una cosa che Franziska voleva ottenere: la libertà.

Era rimasta chiusa in quel solitario castello, a prendersi cura di suo padre, per buona parte della propria vita, e le uniche uscite che era riuscita a fare erano state al mercato, a prendere legna, o a cacciare.

Quindi l’occasione di stare via per qualche giorno era stata troppo ghiotta per rifiutarla, anche se sapeva di non poter perdere tempo e che doveva portare a termine la missione senza intoppi il prima possibile.

-La stella non si è ancora mossa, nonostante siano passate parecchie ore. Continua in quella direzione- la informò al voce di suo padre attraverso l’orecchino adibito a conversazioni che entrambi indossavano.

Franziska avrebbe voluto commentare che non serviva dare l’informazione ogni cinque minuti se tale informazione non subiva cambiamenti, dato che era dall’inizio del viaggio che suo padre le ripeteva le stesse cose, ma decise di non dire nulla, e si limitò a ringraziarlo per l’aiuto inutile.

Manfred l’aveva fatta partire in tutta fretta, senza neanche darle un po’ di cibo, e iniziava a sentire un certo languore.

Possibile che nella bisaccia di fortuna ci fossero solo coltelli perfetti per strappare il cuore alla gente, qualche ingrediente per le pozioni e… una sola moneta d’oro?! Per un viaggio intero?! Sarebbe riuscita a malapena a mangiare, non poteva neanche permettersi una stanza in un ostello con una singola moneta d’oro.

Decise di non pensarci al momento, avrebbe trovato una soluzione a tempo debito, e continuò per la sua strada riflettendo sulla missione, su come sarebbe stata la stella, su quanto facile sarebbe stato strapparle il cuore dal petto, e su cosa mangiare a colazione.

Sì, per lei erano pensieri di equo spessore.

L’ultima cosa trovò presto risposta quando notò una casa errante molto sfarzosa ferma sul ciglio di un prato, e un uomo dagli strambi capelli viola seduto davanti ad un fuoco che stava cuocendo a della carne che sembrava piuttosto pregiata.

A badare al fuoco, c’era un secondo uomo, e a giudicare dai suoi vestiti malmessi e dalla catena attorno al suo piede, era il servitore del tipo dai capelli viola, che si era letteralmente adagiato sugli allori in attesa del pasto.

Capelli colorati significavano una cosa, nel vocabolario di Franziska: stregoni.

Anche se il viola era molto meno potente dell’azzurro.

Si avvicinò decisa ai due uomini.

-Dammi un po’ del tuo cibo- ordinò, indicando la carne sul fuoco.

Il tipo dai capelli viola alzò la testa verso di lei e la guardò dall’alto in basso, affatto intimorito ma anzi quasi divertito.

-Ehm… no?- rispose, ridacchiando tra sé e facendo scintillare i gioielli che indossava -Gira al largo, ragazzina. Non faccio carità alle orfanelle- provò a scacciarla via.

Il suo servo la guardò con pietà, dispiaciuto per la situazione ma incapace di fare alcunché.

Franziska non sapeva quale dei due sguardi le desse più fastidio, dato che entrambi, in maniera diversa, la consideravano inferiore.

Prese la frusta e con un rapido gesto colpì il viola, che si ritirò sulla sedia, sconcertato.

-Cosa diamine…?!- chiese, sorpreso.

-Le regole della fratellanza tra stregoni impongono di offrire asilo a chiunque lo chieda, quindi se non mi dai del cibo ti dichiarerò guerra!- lo minacciò Franziska, stringendo con più forza la frusta in mano e iniziando ad emettere un’aura estremamente minacciosa.

Dopo un istante di shock, il tipo viola tornò tranquillo.

-Le regole della fratellanza tra stregoni impongono anche di presentarsi ed essere cortesi con altri stregoni- le ricordò, indicandole comunque la sedia davanti alla sua.

Franziska si sedette guardinga, soddisfatta però che le minacce avessero sortito il loro effetto.

-La cortesia è una perdita di tempo. Basta guardare uno stregone per capire se fa parte o no della fratellanza. E comunque a me non serve chiedere per conoscere il tuo nome, Redd White- diede prova delle sue doti percettive, che a causa della differenza di classe, lo stregone davanti a lei non riusciva ad utilizzare.

-Capisco… signorina…?- l’uomo provò ad ottenere il suo nome, ma Franziska evitò di dirlo. Era un vantaggio conoscere il nome di un altro stregone, e lei non voleva dare più informazioni del necessario.

Contava di mangiare, dargli un’altra frustata per divertimento, e poi tornare alla sua missione.

-Non sapevo esistessero ancora stregoni azzurri… ed io ne so qualcosa, dato che sono il principale informatore del regno. Dove ti eri nascosta tutto questo tempo?- chiese, adocchiandola con un certo interesse, ora che le carte erano state messe in tavola.

-Come informatore non sei granché, se non sai neanche della mia esistenza- lo sfidò Franziska, decisa a non dire niente.

-Alcune informazioni sono più difficili di altre da ottenere, ma vengono fuori, alla fine- lui non si fece intimorire.

Era chiaro che più che cercare l’origine della strega dai capelli azzurri, voleva capire come mai fosse uscita fuori proprio in quel momento, e sperava di farsi dire qualche informazione con delle domande dirette e un po’ di intimidazione.

Ma aveva sottovalutato Franziska, che sebbene fosse giovane, era anche estremamente ben addestrata, e una delle streghe più promettenti del regno.

No, anzi, la più abile, promettente, e perfetta!

Infatti non gli rispose, facendo partire una muta lotta di sguardi, mentre il povero schiavo continuava a cucinare la carne ormai quasi pronta.

-Franziska, ti informo che la stella non si è mossa quindi devi continuare nella direzione che stai prendendo- le arrivò la voce del padre all’orecchio.

Per fortuna la trasmissione era destinata solo alle orecchie di Franziska, un po’ come parlare con un auricolare.

Purtroppo, esattamente come un auricolare, una persona con un ottimo udito poteva ascoltare tutto comunque.

E Redd White non era un informatore a caso, ma perché aveva davvero un ottimo udito.

I suoi occhi si illuminarono quanto i gioielli che portava indosso.

-Una stella? È caduta una stella?!- chiese, eccitato alla notizia.

Franziska avrebbe voluto gridare a suo padre qualche insulto colorito, ma rimase impassibile.

-Non so cosa credi di aver sentito, ma per il tuo bene sarà il caso che te ne dimentichi- provò ad intimidirlo a sua volta, ma l’uomo rise sguaiatamente, ostentando maggiormente la sua ricchezza e facendo come se non avesse neanche sentito l’avvertimento.

-Questa sì che è un’informazione succulenta. Non so se venderla al migliore offerente o tenerla per me e cercare la stella per conto mio. Potrei vendere direttamente il cuore, o usarlo per mantenermi giovane. L’immortalità mi donerebbe- iniziò a riflettere ad alta voce, ignorando del tutto la sua ospite, che iniziò a fumare di rabbia. Si alzò di scatto, pronta a dirgliene quattro.

-Grazie, ragazzina, per questa succosa informazione. Come premio ti darò il pezzettino migliore- finalmente l’uomo sembrò accorgersi di lei, e la guardò come un gatto randagio in cerca di cibo che ha appena fatto una faccetta tenera. 

Okay, Franziska adesso questo l’avrebbe ammazzato!

…no, non era il caso di usare tanta magia solo per lui. Anche perché la sua percezione le aveva suggerito che non sarebbe molto poi così facilmente, nonostante fosse debole.

No, no, aveva piani migliori.

Riprese nuovamente la frusta in mano, e con un rapido e preciso movimento la avvolse attorno al collo dello stregone, che però non sembrò minimamente preoccupato alla prospettiva di essere ucciso.

-Su, su, non c’è bisogno di fare i capricci, e se provi ad uccidermi sarà solo il mio schiavo a morire- gli suggerì Redd, indicando il servo che infatti si era allarmato non poco alla vista della frusta attorno al collo del padrone.

Franziska non gli aveva dato molta attenzione, a dire il vero, ma dopo una breve occhiata capì che non era il caso di ucciderlo. Era una persona più importante di quanto apparisse.

Tornò a guardare l’uomo che teneva sotto scacco e che continuava a considerarla poco degna di attenzione.

-Non è mia intenzione ucciderti, anche se la tentazione è forte. Piuttosto, io ti maledico…- gli occhi di Franziska si illuminarono. Avrebbe sprecato un sacco di mana per quell’incantesimo, ma ne sarebbe valsa la pena.

-Cos..?!- Redd iniziò a preoccuparsi appena, non aspettandosi minimamente che la ragazzina davanti a lui sarebbe stata forte abbastanza da maledirlo.

-Sarai incapace di vedere la stella, toccarla, udirla, sentirne l’odore o rintracciarla in alcun modo. Potrà stare davanti a te, ma non te ne accorgerai nemmeno. Vivrai il poco che ti resta da vivere in una ricerca completamente infruttuosa!- lo condannò, soddisfatta dalla sua pensata.

Certo, sarebbe stato più facile ucciderlo, ma così avrebbe giocato psicologicamente con lui, facendolo sentire del tutto inutile.

Franziska non riusciva a concepire una tortura peggiore del fallimento di un proposito che si era imposta, quindi per lei cercare qualcosa senza avere la possibilità di trovarla, era il peggio che le potesse accadere.

Dopo l’incantesimo, che fluì dalla frusta fino ad avvolgere completamente l’uomo davanti a lei, egli cadde svenuto a terra, e Franziska ritirò l’arma, e si girò verso lo schiavo, che sorrideva malevolmente alla vista del proprio carceriere in difficoltà.

-Che pezzo di carne vuoi, giovane donna?- chiese, rispettoso, indicando la colazione che era ormai pronta.

-Tutto quanto, impacchettamelo- ordinò lei, sentendosi un po’ stanca.

L’uomo iniziò a preparare.

-Franziska, la stella non si è ancora mossa!- la informò suo padre dall’orecchino.

Franziska roteò gli occhi, stanca delle continue indicazioni inutili.

-Ho capito, sto andando!- si lasciò sfuggire, irritata.

-Non usare quel tono con me, signorina! Non riusciresti neanche a mettere due passi uno davanti all’altro se non fosse per me, senza le mie indicazioni saresti perduta…- come volevasi dimostrare, suo padre non prese affatto bene la risposta, e Franziska, cercò di ignorare la predica con irritazione sempre crescente, e la stanchezza che si faceva sentire, soprattutto a causa dello stomaco vuoto.

-Quanto ci vuole?- chiese allo schiavo, che le porse un pacchetto molto ben realizzato con la carne, un tovagliolo con una porzione da mangiare subito, e anche dei biscotti in una busta, che Franziska non gli aveva richiesto.

Lo guardò con sospetto, alzando un sopracciglio.

Lui le sorrise.

-Un piccolo segno di ringraziamento per quello che hai fatto- l’uomo rispose alla domanda implicita.

Franziska diede una veloce occhiata alla catena che lo teneva ancorato a quel padrone fastidioso. Probabilmente, con un altro po’ di mana, sarebbe riuscita a romperla e a liberarlo.

Sembrava un brav’uomo, di mezza età, Franziska era abbastanza convinta che avesse un figlio da qualche parte, ed era una delle ragioni che l’avevano spinta a non provare ad uccidere Redd White, dato che non aveva la minima intenzione di rendere qualcuno orfano.

Ma allo stesso tempo, lei non era una paladina di giustizia, non avrebbe liberato qualcuno solo perché le aveva dato dei biscotti. Aveva poca energia, una missione da compiere, e poco tempo da perdere in missioni secondarie, quindi prese il cibo, lo mise in borsa, e mangiò la carne preparata al momento in circa tre bocconi, dando le spalle alla casa mobile sfarzosa, e continuando per la sua strada.

Forse avrebbe dovuto maledire anche lo schiavo, dato che aveva l’informazione sulla stella, ma Franziska dubitava che avrebbe potuto fare qualcosa, intrappolato com’era.

Sperò, per il bene dell’uomo e dello stregone, che non li avrebbe mai più incrociati.

-La stella continua ad essere ferma, quindi procedi nella direzione indicata- le arrivò la solita voce di suo padre all’orecchio.

-Grazie dell’informazione, padre. Procedo- rispose servile.

La carne era davvero buona, e le aveva restituito un po’ di energia.

E la pazienza di ascoltare suo padre che ogni cinque minuti la informava che non c’era stato alcun cambiamento.

Le sapeva leggere anche lei le rune, perdiana!

 

Phoenix avrebbe voluto chiedere informazioni e consigli a sua madre nel momento in cui era rientrato in casa, la notte prima, ma dato che l’aveva trovata intenta a dormire, e mai nella vita avrebbe svegliato sua madre dal suo meritatissimo sonno, aveva deciso di attendere e andare a dormire a sua volta.

Purtroppo si era svegliato che era già mattina inoltrata, quindi aveva perso parecchio tempo che sarebbe stato utilissimo per trovare la stella.

Per fortuna quella mattina né lui né sua madre dovevano lavorare, quindi quando Phoenix scese vestito in fretta e sperando di ricevere le tanto agognate risposte, sua madre era al tavolo della cucina, intenta a leggere un libro mentre faceva colazione.

-Mamma! Buongiorno!- l’accolse, con entusiasmo, sentendosi super fortunato per averla trovata subito lì. Le andò vicino e le diede un bacio sulla guancia.

-Nicky, non ti ho sentito rientrare, ieri sera. Ti sei divertito?- chiese lei, guardandolo con affetto.

-Sai se qualcuno ha mai attraversato il muro prima d’ora?- Phoenix non perse tempo a farle la domanda che gli premeva dal giorno prima, e Patricia Wright per poco non si strozzò con le uova che stava mangiando.

-Perché mi stai facendo una domanda simile?!- chiese, sconvolta, dopo aver superato i colpi di tosse.

-Ieri sono andato dal Giudice, al muro, e sebbene insistesse molto sul fatto che nessuno fosse passato, si è lasciato sfuggire informazioni che mi inducono a pensare che in realtà abbia fatto passare qualcuno, una volta. Tu ne sai qualcosa? Il Giudice sembrava conoscerti- sebbene Phoenix non fosse considerato come una persona intelligente, in realtà era piuttosto percettivo, e non era affatto male nel fare due più due.

Patricia sospirò.

-Me lo chiedi perché pensi ne sappia qualcosa, o me lo chiedi perché sospetti sia io quella che è passata?- chiese, anticipando i dubbi del figlio, che la guardò un po’ timoroso, facendole intuire che sì, chiedeva proprio perché sospettava potesse essere lei ad essere andata dall’altra parte.

-E perché sei così interessato all’altra parte del muro?- Patricia quindi fece un’altra domanda, osservando con attenzione i movimenti del figlio per percepire ogni sfaccettatura, e capire quanto sapesse.

-Per amore!- la risposta che Phoenix diede, però, con grande enfasi, fu l’ultima che Patricia si sarebbe aspettata.

-Oh, cielo! Non dirmi che questa storia ha a che fare con Dahlia Hawthorne!- esclamò, irritata, portandosi una mano sul viso incredula.

-So che non ti piace! Ma è perché non la conosci! Dahlia è perfetta! E se le porto una stella caduta oltre al muro mi sposerà!- spiegò il ragazzo, riassumendo in poche parole il suo scopo oltre al muro.

La prospettiva del suo unico figlio maritato alla ragazza più falsa e inquietante del villaggio fece venire i brividi alla donna, che cercò di elaborare una strategia per distrarre Phoenix dal proprio proposito.

Alla fine, decise di condividere un segreto che si portava dietro da più di ventiquattro anni. Un segreto che sicuramente avrebbe tolto dalla mente ogni pensiero su stelle, mogli e regali. Purtroppo, l’avrebbe sicuramente portato oltre il muro, e Patricia avrebbe rischiato di non vederlo per lungo tempo. Ma almeno sarebbe stato lontano da Dahlia.

-Nicky… sono stata io a superare il muro, quasi venticinque anni fa, e sono rimasta per un paio di settimane nel mondo oltre ad esso- rivelò al figlio, che rimase a bocca aperta.

-Quindi eri davvero tu?!- Phoenix era incredulo, ma non completamente sorpreso -Perché l’hai fatto? Anche tu per amore?- iniziò ad indagare -Se era per amore puoi capirmi! Come hai convinto il Giudice? Puoi aiutarmi?- iniziò a pressarla per dettagli. Patricia lo fermò.

-Sono andata per un senso di avventura. Ero curiosa di conoscere le meraviglie al di fuori di Wall, così ho convinto il Giudice a farmi passare. Dubito fortemente che farà altrettanto con te. Quando sono tornata ero piuttosto ferita, ed è più convinto che mai che il muro sia estremamente pericoloso per noi. Non ha tutti i torti, ma… Nicky, non sono andata oltre al muro per amore, ma lì ho trovato l’amore…- alla fine, Patricia arrivò al momento che più temeva di raggiungere.

Phoenix pendeva dalle sue labbra, pieno di aspettativa, ma anche un po’ timoroso nello scoprire cosa volesse dire.

-…oltre al muro ho conosciuto tuo padre- ammise quindi la donna, sottovoce, chiedendosi se fosse la scelta giusta rendere Phoenix partecipe di tale segreto.

Il figlio era senza parole. Boccheggiava come un pesce fuor d’acqua.

-Mio padre…- riuscì infine a dire -… è oltre al muro?- 

I suoi occhi erano pieni di lacrime, la sua mente completamente distratta dal pensiero di Dahlia e della stella, grazie al cielo.

Patricia, con i lucciconi a sua volta, annuì, cercando di ricacciare indietro il groppo risalito in gola.

-Sì, lui… era un brav’uomo. È… un brav’uomo. Lo è ancora, solo… era imprigionato da un crudele stregone dai capelli viola. Ho cercato di liberarlo, ma quando lui se n’è accorto mi ha ferito, e sono stata costretta a scappare. Ho solo due ricordi che mi sono portata con me dall’altro mondo…- Patricia si alzò, e si avviò verso il mobile del salone, dove in un cassetto segreto conservava con cura i cimeli.

-È tenuto prigioniero?! Uno… aspetta, uno stregone?!- Phoenix non sapeva su cosa concentrarsi prima. Era tutto estremamente assurdo per lui. Non credeva avrebbe mai scoperto qualcosa su suo padre.

Non pensava neanche di averne uno, a dirla tutta.

Cioè… sapeva di avere un padre da qualche parte, ma non era del tutto certo che sua madre sapesse con certezza chi fosse.

Tutti la additavano sempre come una sregolata, dopotutto.

Mentre cercava di fare ordine nel suo cervello, sua madre tornò al tavolo, e gli posò davanti una spilletta dorata e una candela nera.

Phoenix osservò gli oggetti come se fossero magici… e forse, considerando i racconti di sua madre, lo erano davvero.

-Cosa sono?- chiese, sollevando una mano per toccargli, ma tirandola indietro nel timore di diventare un topo o qualcosa del genere.

-La spilla mi è stata data da tuo padre il giorno in cui ci siamo conosciuti. È un portafortuna, credo sia grazie a questa che sono sopravvissuta allo stregone- spiegò Patricia, prendendola in mano e rigirandosela tra le dita un paio di volte prima di porgerla verso il figlio, che la prese un po’ tremante.

-Sembra un girasole- commentò, osservandola meglio.

Quella spilletta era stata il primo regalo di suo padre a sua madre. Che cosa romantica!

Quasi quanto una stella cadente! 

Phoenix era sempre più deciso a portare una stella cadente alla sua amata! Anche se al momento il pensiero maggiore nella sua testa era riguardo al padre.

Chissà se un giorno sarebbe riuscito a rivederlo.

Patricia prese quindi la candela nera.

-Questa è una candela di Babilonia. Ha il potere di trasportarti in qualsiasi luogo tu voglia, basta pensare a dove vuoi essere portato, e verrai trasportato immediatamente lì. Puoi anche pensare ad una persona, o a un oggetto- spiegò Patricia, tenendola con cura e attenzione.

Era un oggetto molto, molto raro.

-Avremmo dovuto usarla per scappare insieme. Se non fossi nato tu, probabilmente l’avrei usata per tornare da lui e cercare di salvarlo, ma… non potevo lasciarti solo- Patricia guardò il figlio con affetto. Da tempo ormai si era arresa all’idea che non avrebbe mai più visto l’uomo che aveva amato. Tante volte aveva pensato di prendere la candela e controllare che fine avesse fatto, ma il timore di ciò che avrebbe scoperto l’aveva trattenuta.

E tante volte aveva pensato di dire a suo figlio del dolore che si portava dietro da venticinque anni, ma non aveva mai trovato il coraggio.

Ma ora Phoenix aveva espresso il desiderio di andare oltre al muro, e se proprio doveva andare, molto meglio andare dal padre perduto, piuttosto che alla ricerca di una stella caduta per una donna orribile.

Anche se… era davvero il caso di lasciare che Phoenix si imbarcasse in un’avventura del genere, con pericoli sconosciuti, e senza la certezza di trovare davvero suo padre?

Dai… magari non sarebbe voluto partire. Patricia sperò che riflettesse sulla storia, iniziasse a pensare a suo padre, e decidesse però di restare lì, al sicuro, lontano da pericolosi stregoni.

…conoscendo Phoenix, non c’era dubbio alcuno che decidesse di partire.

Ed infatti…

-Andrò io, mamma! Andrò da mio padre, lo conoscerò, e lo libererò dall’uomo che lo tiene prigioniero!- esclamò, con sicurezza.

Quantomeno non stava pensando a Dahlia.

-Phoenix, è pericoloso, non so neanche se tuo padre…- Patricia provò a dissuaderlo, ma quando suo figlio aveva quella luce determinata negli occhi, non c’era modo di farlo desistere.

-Userò la candela per andare da lui, lo libererò, e poi torneremo insieme da te. Hai fatto così tanto per me, è il minimo che io possa fare. E poi… vorrei davvero conoscere mio padre- Phoenix strinse la spilletta che aveva tra le mani.

Patricia sospirò, e gliela prese, per poi appuntarla al colletto della camicia, in un punto dove mancava un bottone.

-Stai attento, Nicky. Se ti senti in pericolo, in qualsiasi momento, usa la candela per scappare. Ti prego. Non posso perdere anche te- si fece promettere, guardandolo dritto negli occhi.

Phoenix annuì.

-Ti preparo una bisaccia con del cibo e qualche moneta d’oro. Non ne ho molte, ma dovrebbero bastarti per un alloggio- Patricia si alzò, e iniziò ad armeggiare in cucina.

Phoenix nel frattempo prese la candela. Sembrava irradiare potere.

Avrebbe incontrato suo padre!

Avrebbe davvero incontrato suo padre!!

Ma la candela l’avrebbe portato lì? E se suo padre non ci fosse più?

Era prigioniero di uno stregone, dopotutto. Phoenix non voleva pensare al peggio, ma era una possibilità.

Allora la candela dove l’avrebbe portato? Non avrebbe funzionato? O l’avrebbe portato nel luogo dove era seppellito? O da qualche altra parte, magari?

Mentre iniziava a farsi tantissime domande, e la sua mente vagava in mezzo ad infinite possibilità, sua madre tornò con una bisaccia pronta per un’avventura, e Phoenix la prese, cercando di non mostrare l’indecisione che iniziava ad assalirlo. Doveva provarci, per sua madre.

E con la candela poteva raggiungere il luogo oltre al muro.

-Sei sicuro?- chiese Patricia un’ultima volta, con una scatola di fiammiferi in mano -Forse dovrei venire con te-

-No, mamma! Andrò io. E tornerò presto!- le promise il figlio, guardandola con sicurezza, e stringendo sia la candela che gli oggetti che gli sarebbero serviti per il viaggio.

La spilletta dorata brillava sul colletto della sua camicia.

-D’accordo- Patricia fece per accendere il fiammifero, poi la candela.

E mentre questa operazione veniva effettuata, la mente di Phoenix non si fermò un attimo.

Sarebbe andato oltre il muro.

Avrebbe visto suo padre.

Suo padre era oltre al muro.

Oltre al muro.

Oltre al muro c’era la stella per Dahlia.

La stella?

Poteva andare a prendere la stella, già che si trovava lì.

Sì! Era un ottimo piano, prendeva la stella e…

Phoenix scomparve in un vortice di fuoco mentre formulava quel pensiero.

 

E a proposito di stelle, Miles, stella del cielo caduta sulla terra, ex membro di una costellazione poco conosciuta chiamata Edgeworth, si era svegliato da poco, dopo la sua dolorosa caduta, e a malapena era riuscito a mettersi seduto.

Intorno a lui c’era solo un enorme cratere provocato dall’impatto con il suolo… e la maledetta collana che lo aveva disturbato mentre stava osservando un processo alla corte inglese.

Miles la prese con una certa difficoltà, guardandola con attenzione, e grugnì infastidito riconoscendo il marchio dei Fey.

Non che avesse qualcosa contro la famiglia reale di Kurain, ma se avesse potuto scegliere un posto dove schiantarsi, se proprio ne doveva scegliere uno e non poteva restare nel suo bellissimo angolo di cielo, avrebbe preferito di gran lunga cadere in Giappone, e non in Inghilterra.

Conoscere il Samurai d’acciaio, e il Malvagio Magistrato che aveva osservato per anni dal cielo. Kurain era noiosa in confronto. Ed era anche molto più pericolosa per le stelle e per gli stregoni.

Miles iniziò a prendere dimestichezza con la gravità, le sensazioni che provava a terra, la visione da vicino, gli odori, i suoni… wow, era stranissimo essere sulla terra.

Indossò la collana, nella speranza che potesse rivelarsi utile per un qualche scambio, e provò ad alzarsi.

La sua gamba destra doleva in maniera terribile, così come il coccige, ma riuscì a mettersi in piedi, e tenersi in equilibrio.

Bene… iniziava a prenderci la mano.

Certo, avrebbe preferito di gran lunga restare nel cielo, e non avere a che fare con gli odiosi umani, ma finché non trovava un modo di tornare lassù doveva abituarsi e passare per umano anche lui.

Bene… un passo alla volta… sì, era naturale.

Beh, non ci si poteva aspettare altro dal grande Miles di Edgeworth. Era sempre stato una stella molto promettente.

I suoi esperimenti di camminata vennero interrotti da una luce accecante quasi quanto il sole che comparve all’improvviso esattamente sopra di lui, e prima che Miles potesse coprirsi gli occhi, o scansarsi, o insultare tale luce, da essa comparve un tizio, che gli precipitò dritto addosso, facendolo cadere a terra e urtare il già provato coccige.

Il primissimo pensiero di Miles, quando l’uomo gli cadde addosso, fu che poteva trattarsi di un’altra stella come lui, anche se era più unico che raro che due cadessero nello stesso periodo e nello stesso luogo.

Soprattutto di giorno.

Ma alla fine la luce e la caduta dal cielo erano degli indicatori piuttosto eloquenti.

Stava giusto per chiedergli da che costellazione venisse, quando la voce parlò, rompendo ogni sua aspettativa.

-Padre?!- chiese infatti il giovane uomo, con occhi brillanti e pieni di emozione.

No, non c’era possibilità che una stella fosse così stupida.

E sempliciotta, e con i capelli neri, e quell’aria così provinciale.

Miles conosceva quel giovane da pochi secondi, e già aveva deciso che lo odiava!

-Ti sembra che io potrei mai essere tuo padre?!- esclamò, facendo uscire la sua voce per la prima volta da quando era caduto, e scansando violentemente il giovane da sopra di lui.

 

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Capitolo 3
*** La stella caduta ***


La stella caduta

 

-Padre?!- chiese Phoenix di getto, nel momento in cui si ritrovò addosso a quello che ovviamente non poteva essere altri che suo padre.

Anche se subito iniziò a rendersi conto che sembrava un po’ giovane per essere suo padre. Però, dai, che ne sapeva Phoenix, in quel mondo magico, come funzionavano le età. Magari era invecchiato più lentamente rispetto ad altri… o era magico… o… beh… non gli somigliava affatto, in effetti. Ma aveva i capelli grigi!!

Doveva essere lui!

Anche perché non sembrava esserci nessun altro intorno a loro.

-Ti sembra che io potrei mai essere tuo padre?!- esclamò il padre, irritato e offeso dall’accusa.

Phoenix sobbalzò, preso in contropiede da tanta veemenza.

-Hai i capelli grigi!- gli fece notare senza alcuna logica, solo per giustificare una certezza che sempre meno considerava tale, mentre osservava meglio i tratti… anche piuttosto graziosi, bisognava ammetterlo, dello sconosciuto che sempre meno somigliava ad un suo ipotetico padre.

-Sono argentati, ignorante!- si lamentò il non-padre, fulminandolo con lo sguardo, sempre più offeso -E non ho alcun figlio! E per fortuna, dato che non vorrei mai avere un pelandrone del genere come progenie!- si lamentò poi, offendendo Phoenix, che si convinse definitivamente che quel tipo non poteva essere suo padre.

E se anche lo fosse stato… beh, era Phoenix a non volere un tipo del genere come padre, tiè!

-Ehm… scusa…- imbarazzato per la figuraccia, e con le guance paonazze, Phoenix si ritirò, lasciandolo respirare. Poi si guardò intorno, cercando magari qualcun altro lì in mezzo. Magari suo padre era lì vicino, nascosto dietro un cespuglio. O reso invisibile dallo stregone che lo teneva… un momento, suo padre era tenuto prigioniero da uno stregone! Giusto! 

Phoenix tornò a guardare quello che sicuramente non era suo padre, che si era messo seduto e stava provando a togliersi la terra dai vestiti, borbottando insulti tra sé. Si concentrò in particolare sui suoi capelli argentati.

-Chiedo scusa…- attirò nuovamente la sua attenzione, avvicinandosi, in quanto unica fonte di informazioni presente in giro.

L’uomo alzò gli occhi al cielo, e lo fulminò nuovamente con lo sguardo, per fortuna non letteralmente.

Chissà se era capace di fulminare qualcuno letteralmente.

-Ehm… i tuoi capelli sono naturalmente argentati?- chiese Phoenix, cercando di essere più discreto possibile ma non riuscendo a nascondere il suo intento indagatore.

-Certo che sono naturali! Si può sapere cosa vuoi da me?!- si indignò maggiormente l’uomo, strisciando lontano da Phoenix nel tentativo di fargli capire che non voleva avere niente a che fare con lui, ma non mettendosi ancora in piedi.

-Scusa se insisto, ma… non è che hai visto qualcuno qui in giro? Tipo uno stregone con i capelli viola, e un uomo, simile a me magari, che potrebbe essere mio padre?- Phoenix non capì l’antifona, e gli si avvicinò di qualche passo.

-No! Non ho visto nessuno! E avrei preferito restare solo!- molto simpatico e affabile lo straniero, non c’è dubbio. Provò ad alzarsi in piedi, ma crollò rovinosamente a terra.

-Hai bisogno di aiuto?- si offrì Phoenix, un po’ preoccupato per lui, avvicinandosi un po’ di più e mettendosi a disposizione.

-Mi aiuti se mi lasci in pace!- l’uomo evitò ulteriormente il suo aiuto, ritirandosi dalla sua presa e strisciando più velocemente lontano da lui.

Phoenix decise di lasciargli i suoi spazi. Non voleva imporre la propria presenza, né finire nei guai con uno sconosciuto chiaramente poco amichevole.

Iniziò a guardarsi meglio intorno, ma non c’erano neanche troppi luoghi dove suo padre poteva essersi nascosto.

Non c’erano alberi, o cespugli, o case, o…nient’altro, davvero. Solo terra, e… un momento. Erano in un cratere.

Come ci era finito dentro un cratere?! L’aveva creato lui con l’impatto? No, se ne sarebbe accorto, forse.

Ma soprattutto dove poteva essere suo padre?!

Forse aveva ragione a temere il peggio, e magari suo padre era morto ed era seppellito lì!

Phoenix iniziò quasi a disperarsi, ma poi fece nuovamente due più due, cercando di inseguire la speranza. Se suo padre fosse stato sepolto lì, il cratere avrebbe dovuto portare alla luce i suoi resti, no? Insomma, Phoenix non era un esperto di queste cose, ma ci sperò con tutto il cuore.

Ma questa teoria non rispondeva al perché non era finito da suo padre.

Allora… ragionando… che spiegazioni c’erano al non aver trovato suo padre lì?

Forse era stato trasportato da un’altra persona.

Phoenix lanciò un’occhiata verso l’unica altra persona oltre a lui nel cratere, che era riuscito a rimettersi in piedi, e camminava con una certa difficoltà, zoppicando, e non degnando Phoenix neanche di uno sguardo.

Perché mai la candela di Babilonia avrebbe dovuto portarlo da quel tipo?

A cosa stava pensando quando sua madre l’aveva accesa?

Pensava a suo padre, questo era appurato, ma poi la sua mente l’aveva portato verso altre cose oltre al muro, a Dahlia, alla… stella!

Gli occhi di Phoenix si accesero di entusiasmo quando si rese conto di dove l’avesse portato la magia, e iniziò a guardarsi nuovamente intorno, in cerca di un qualche oggetto luccicante, o una roccia particolare, o qualcosa che brillava ai suoi piedi, magari non tanto visibile dato che era giorno.

Ma non c’era assolutamente nulla che corrispondesse alla descrizione.

Non aveva senso! Doveva per forza essere dalla stella!

Dopo qualche minuto di osservazione, approcciò per l’ennesima volta l’uomo che era lì con lui. Sicuramente aveva quantomeno visto qualcosa.

-Scusi…- gli si avvicinò.

-Cosa vuoi ancora?!- sbottò lui, incrociando le braccia in modo difensivo.

-È l’ultima volta, promesso! Non è che per caso hai visto una stella, qui in giro?- chiese, speranzoso.

L’uomo impallidì, e si irrigidì.

-E cosa vorresti, di grazia, da questa stella?- chiese, risultando se possibile più freddo e ostile.

Phoenix non notò la preoccupazione chiara sul volto del suo interlocutore, troppo impegnato ad arrossire imbarazzato pensando alla sua amata.

-Eh eh, ho promesso alla donna della mia vita di regalarle una stella per il suo compleanno. L’abbiamo vista cadere insieme ieri sera. L’hai vista? Ora che ci penso, è passato un po’. Ma non può essersi mossa, no? Siamo in un cratere, quindi sicuramente è caduta qui!- Phoenix iniziò a spiegare il suo piano, e il suo ragionamento.

L’occhio dell’uomo davanti a lui iniziò ad avere un tic nervoso.

-Sì!- lo interruppe poi, con irritazione sempre crescente -È caduta proprio qui- confermò, indicando tutto intorno a loro.

Phoenix era entusiasta.

-Davvero?! Evvai! Ce l’hai tu? O me la puoi indicare? Possiamo raggiungere un compromesso se…- provò a fare affari, ma l’uomo non aveva finito.

-O meglio… lì sopra era dove la stella stava nel cielo, ad osservare un processo di Londra con l’accusato chiaramente colpevole. Ed è anche il luogo in cui questo magatama è arrivato sul più bello disturbando la stella e facendola cadere dal cielo…- indicò, con voce sempre più pronta ad esplodere, una collana con uno strano simbolo che aveva appeso al collo. Phoenix non capiva esattamente dove egli volesse andare a parare, e continuò ad ascoltarlo, confuso.

-Poi lì è dove la stella è caduta tra atroci sofferenze, rompendosi una gamba e forse anche il coccige, che fa parecchio male. Neanche il tempo di alzarsi in piedi che, proprio lì, un idiota è caduto dal cielo ferendo maggiormente il già citato coccige della stella…- l’uomo continuò la telecronaca, avvicinandosi sempre di più a Phoenix e alzando la voce ad ogni parola.

Era il momento di Phoenix di indietreggiare. La sua mente stava lentamente arrivando alla soluzione, ma non voleva crederci.

-E, come se non bastasse, tale idiota continua ad importunare la stella con domande insulse, strane supposizioni, e proposte che francamente denotano un’ignoranza senza pari, perché, mio caro idiota… IO NON SONO IL REGALO DI COMPLEANNO DI NESSUNO!- gli urlò contro, alla fine, sfogando sul ragazzo davanti a lui tutta la frustrazione che aveva dentro da quando era caduto.

Non poteva essere più chiaro di così, neanche per Phoenix, che, a bocca aperta, non riuscì a boccheggiare altro che un incredulo -Tu… sei tu la stella?- al quale la stella rispose con una faccia da capitan ovvio.

-Congratulazioni, hai vinto il nulla! Perché non sono un oggetto!- gli fece notare, dandogli nuovamente le spalle, e avviandosi al limite del cratere, nel tentativo, probabilmente, di provare a scalarlo per uscire da lì e allontanarsi in fretta dallo straniero.

-Io chiedo profondamente scusa! Non pensavo che la stella… che tu fossi… ecco… umano- Phoenix, ripresosi dallo shock, iniziò a sentirsi davvero molto in colpa.

-Non sono un umano! Sono una stella! In cielo come in terra!- il suo sincero dispiacere non venne recepito dalla stella, che gli lanciò un’ennesima occhiataccia, come se il solo pensiero di essere associato a lui fosse disgustoso.

-Scusa! Intendo solo, che… cioè… non voglio certo schiavizzarti per portarti dalla mia ragazza! Non sono un mostro! Pensavo fossi… un’altra cosa. E non volevo caderti addosso, è stato un incidente. Volevo trovare mio padre, ma poi mi sono distratto, e questa candela mi ha portato da te, non potevo controllarlo- Phoenix provò nuovamente a scusarsi, e mostrò la candela che l’aveva portato lì.

La stella si interessò immediatamente all’oggetto magico.

-È una candela di Babilonia, quella?- chiese, osservando il poco che restava della candela con attenzione.

-Uh… sì. Può portare ovunque tu voglia- spiegò Phoenix, iniziando a pensare ad un modo per sfruttare quell’interesse per entrare nelle grazie della stella.

-So cos’è una candela di Babilonia! Potrebbe riportarmi… uhm… non è che potresti darmela?- la stella abbandonò i modi ostili, e si fece molto più affabile. Provò ad ostentare indifferenza, ma era chiaro come il sole che quell’oggetto era davvero importante per lui.

Phoenix era tentato di consegnargliela senza far storie, giusto per farsi perdonare di avergli creato danni, ma combatté il suo istinto da pushover.

Se ora dava la candela alla stella, essa sarebbe scomparsa da lì, lasciandolo solo in mezzo ad un cratere, oltre il muro, senza suo padre e senza regalo di compleanno per Dahlia.

Forse poteva approfittare dalla situazione per trovare un compromesso che sarebbe andato bene ad entrambi.

-È un regalo di mia madre, sai. L’unica cosa che ho di mio padre, oltre a questa spilletta…- Phoenix spiegò, indicando la spilla sul suo colletto, e usando il suo migliore tono d’affari.

La stella si oscurò, e gli diede le spalle.

-Capito, addio!- abbandonò la negoziazione e tornò al muro del cratere.

-Aspetta, aspetta! Sono pronto a dartela, ma… in cambio, posso chiederti un favore?- Phoenix andò dritto al punto, con grandi occhioni da cucciolo.

-No- la stella neanche lo guardò.

-Almeno ascoltami, prima!- provò a convincerlo Phoenix, mettendoglisi davanti per costringerlo a guardarlo.

La stella sospirò.

-Senti, non tengo abbastanza a tornare a casa per mettermi a fare accordi con gli umani! Volete solo una cosa, da noi! E non permetterò che ti avvicini al mio cuore!- mise in chiaro le cose, in tono minaccioso.

Phoenix si allontanò, alzando le mani, e arrossendo non poco.

-S_senti… sei affascinante per essere un uomo, ma l’unico cuore che voglio è quello di Dahlia, mi dispiace!- era il suo turno di mettere le cose in chiaro.

La stella ci mise qualche secondo a capire cosa intendesse, poi indietreggiò di parecchi passi, arrossendo a sua volta.

-Non era questo che intendevo!- si difese, con tono molto più acuto -Tu vuoi… aspetta… perché vuoi dare una stella alla tua ragazza?- iniziò finalmente ad essere pronto al dialogo.

Forse c’era una speranza!

-Perché è la ragazza migliore del mondo! È così gentile, e affettuosa, e bellissima, e angelica! Merita il meglio, e ti abbiamo visto cadere da oltre il muro, ed eri bellissimo anche tu… cioè… non in quel senso. Ma insomma le ho promesso che avrei attraversato il muro e le avrei portato una stella perché lei…- iniziò ad elogiare la donna della sua vita. La stella non era per niente impressionata.

-Sì, ma perché lei vuole la stella, sì, insomma, per farci cosa?- indagò ulteriormente, rendendo più chiara la sua domanda.

Phoenix alzò le spalle.

-Per nessuno scopo. Non è tanto la stella in sé, ma la prova d’amore. Affrontare le intemperie, il viaggio, la sfida! Dimostrarle che la amo abbastanza da attraversare il muro. E se mi aiuti venendo con me da lei e dimostrando che ho fatto questo viaggio, ti giuro che subito dopo averle dimostrato di averti trovato, ti regalerò la candela e potrai farci quello che  vuoi! Te lo prometto!- Phoenix alla fine fece la sua proposta, mostrando la candela di Babilonia che sarebbe servita come merce di scambio, e facendo i suoi occhi da cucciolo più teneri.

La stella lo fissava incredulo.

Phoenix poteva quasi vedere le rotelle che lavoravano nel suo cervello.

Dopo parecchi secondi di silenzio, fece il punto della situazione.

-Vuoi che io ti accompagni dalla tua ragazza per offrirmi a lei come tuo dono di nozze ma appena confermi con lei di essere riuscito a trovarmi mi darai quello che resta della candela?- riassunse, molto poco convinto, indicando l’oggetto. Sarebbe stato abbastanza solo per un altro viaggio.

-Sì! Non ci saranno cuori coinvolti! Tranne il mio e quello di Dahlia… e solo metaforicamente! E poi… ti servirà aiuto per uscire da questo cratere, in ogni caso, non pensi? Ti starò accanto tutta la strada!- Phoenix gli porse la mano, in segno di intesa, per stringere l’accordo.

Sperò di essersi venduto abbastanza bene.

La stella lo osservò parecchi secondi, sempre molto poco convinto, ma alla fine gliela strinse.

-Mi avvalgo della facoltà di cambiare idea in ogni momento!- fece presente, però, lasciando in fretta la mano di Phoenix e pulendosela nella toga argentea che indossava.

Phoenix annuì, anche se sperò che non cambiasse idea.

Certo, era andato oltre il muro per suo padre, non per la stella, ma ora che si ritrovava lì, doveva provare con tutte le sue forze a portare il regalo a Dahlia. Dopotutto aveva un tempo limitato. Mentre suo padre poteva conoscerlo e salvarlo anche più in là.

-Mi chiamo Phoenix, Phoenix Wright!- si presentò, con un gran sorriso.

-Miles… della costellazione Edgeworth- rispose la stella, in un sussurro.

Era la nascita di una splendida collaborazione!

…forse.

 

Di due cose Mia Fey era assolutamente certa: 

1) Non aveva tempo da perdere;

2) Sua zia avrebbe tentato di ucciderla presto.

Non aveva idea di come avrebbe tentato di farlo, però, quindi Mia doveva essere all’erta in ogni momento, e raggiungere il magatama percorrendo strade meno rintracciabili e facendo dei giri particolari.

Cosa che purtroppo le avrebbe fatto perdere tempo.

Un’altra cosa di cui Mia era piuttosto certa, era che zia Morgan avrebbe cercato di eliminare prima lei rispetto a sua sorella, e questo era un fattore piuttosto positivo, perché significava che più Mia riusciva a tenere l’assassino sui suoi passi, meno Maya sarebbe stata in pericolo.

Mia vedeva molto meglio Maya, come regina. Aveva il cuore al posto giusto, si impegnava sempre al massimo, e avrebbe senza alcun problema ottenuto il favore del popolo con le sue idee e il suo entusiasmo.

Ma allo stesso tempo, Mia sapeva di non poter aspettare che fosse sua sorella a prendere la collana: non poteva permettere che fosse Morgan la prima a trovarla.

Pertanto era decisa più che mai a trovarla, se possibile, e usare i poteri da regina per esiliare Morgan oltre il muro, in modo che non potesse più abusare del suo potere e minacciare la famiglia reale, e gli stregoni.

Insomma, Mia Fey aveva le idee piuttosto chiare, ma la sua fretta era messa a dura prova dalle circostanze, dato che, purtroppo, era stata costretta a fermarsi in un villaggio per abbeverare i cavalli e aggiustare la carrozza che, casualmente (ma anche no) era stata manomessa.

E mentre aspettava, cercando di restare in totale anonimato, decise di fare un giro per la città e vedere la condizione dei suoi sudditi.

Futura regina o no, a Mia stava molto a cuore lo stato del suo regno, e non aveva avuto molte possibilità di visitarlo, dalla scomparsa di sua madre. Sua nonna era stata molto categorica al riguardo: non voleva che le sue nipoti rischiassero la vita in un regno che ogni giorno si faceva meno sicuro.

Mia non incolpava sua nonna. Sapeva che aveva fatto del suo meglio, almeno finché la malattia non l’aveva costretta a letto.

No, Mia incolpava sua zia, che aveva solo peggiorato le cose facendo le veci della madre, e implementando sempre più leggi che sfavorivano e discriminavano i maghi.

Mia iniziò a guardarsi intorno, passeggiando con un mantello sul volto in modo da non essere riconosciuta, anche se dubitava fortemente che il popolo ricordasse che faccia avesse. Ma un eventuale assassino sì, quindi era meglio essere prudenti.

-Posso offrirvi un ritratto, bella signorina! Solo una moneta d’argento!- la sua attenzione venne attirata da una bambina, che non sembrava avere più di dieci anni, abiti logori e i capelli coperti da una bandana, che però lasciava sfuggire qualche ciuffo indaco. 

Chiaramente una strega.

Mia finse di non essersene accorta.

Sorrise alla bambina, e si piegò alla sua altezza.

-Un ritratto? Mi piacerebbe, grazie- acconsentì, sperando fosse un’occasione per indagare un po’ sulla situazione delle persone con poteri magici, in quel villaggio.

-Grazie, signorina! Ci metterò pochi minuti!- la bambina prese dal nulla un foglio di carta e un carboncino, e iniziò a disegnare febbrilmente, come se temesse che Mia potesse cambiare idea in ogni momento e lasciarla senza nulla.

-Come ti chiami?- chiese Mia, per fare conversazione mentre aspettava.

-Vera, signorina- rispose lei, a bassa voce, un po’ timorosa ma non volendo sembrare scortese.

-È un bellissimo nome, Vera- Mia le sorrise, provando a metterla a suo agio -Dove sono i tuoi genitori?- chiese poi, attivando i suoi poteri spirituali per assicurarsi che la bambina davanti a lei dicesse la verità.

La vide sobbalzare, ma si affrettò a rispondere.

-Sono a casa. Mio padre è molto malato! E mia madre deve badare a lui, per questo io sono qui a cercare di guadagnare qualche soldo- rispose prontamente, con il tono di chi aveva imparato un copione da ripetere a memoria.

Mia notò con chiarezza parecchi lucchetti comparire davanti alla bambina, segno che stava mentendo. Questo non le dava la certezza di dove fossero i suoi genitori, ma chiaramente non erano a casa.

Forse non ne aveva proprio.

-Mi dispiace molto- decise di non infierire fin da subito mostrando la propria conoscenza, ma di prenderla larga.

-Finito! Una moneta d’argento- purtroppo per Mia, non aveva molto tempo di prenderla larga, perché la bambina era molto più veloce di quanto avrebbe sospettato, e le porse subito il disegno appena finito.

Mia osservò il disegno, aspettandosi qualcosa di magico, o di infantile. Non con giudizio, ma logicamente, una bambina di dieci anni non poteva riprendere la realtà con estrema precisione, a meno che non usasse la magia che chiaramente possedeva.

Ma Vera la stupì, perché era riuscita a replicare perfettamente la realtà, e da quanto Mia poteva capire usando i propri poteri spirituali, non aveva usato magia, solo grande talento e un’incredibile osservazione.

-È straordinario, Vera. Grazie mille- le sorrise caldamente, ottenendo un accenno di un sorriso da parte della bambina, sollevata di essere riuscita nell’affare.

Prese poi una moneta d’oro, e gliela porse.

Il sorriso di Vera si spense.

-No, signorina. Solo una moneta d’argento!- provò a rifiutare, in difficoltà.

-Mi piace tantissimo il tuo disegno, e vorrei ringraziarti con una moneta d’oro- Mia insistette, prendendole la mano e mettendoci la moneta.

Poi decise di osare con un piccolo ma importante gesto.

Prese un ciuffo di capelli che era uscito fuori, e glielo sistemò dentro la bandana, in modo che non si vedesse.

Vera si irrigidì, e si coprì la testa, spaventata.

-Non faccio del male a nessuno!- si affrettò a giustificarsi.

Mia ritirò le mani, si inginocchiò in modo che fosse ovvio che non volesse farle alcun male, e le sorrise rassicurante.

-Lo so, Vera. Io sostengo i maghi, e provo ad aiutarli- le assicurò.

Vera iniziò a mordersi le unghie, agitata, ma non replicò, né diede segno di scappare.

-Dove sono i tuoi genitori?- chiese nuovamente Mia, riattivando i suoi poteri e notando che i lucchetti iniziavano a tremare.

La bambina stringeva la moneta d’oro con forza. Non guardava Mia negli occhi.

-Posso aiutarti, Vera. Posso aiutare sia te che i tuoi genitori, se sono in pericolo- provò a convincerla Mia, sistemandole dolcemente la bandana sul capo.

Uno dei lucchetti si ruppe.

-…Gavin- borbottò Vera, in un sussurro.

-Gavin?- Mia era confusa. Aveva sentito quel nome, prima, ma non era certa di dove. Probabilmente in una discussione origliata tra sua nonna e sua zia.

-Il pirata… l’ha preso… ha preso mio padre… prendono i maghi e li vendono per la loro magia- un altro lucchetto di Vera si spezzò.

Mia sgranò gli occhi. Vendita di maghi per la loro magia.

-Vera…- provò ad indagare ulteriormente, a rassicurarla, ed aiutarla, ma la bambina notò qualcosa alle sue spalle, e sobbalzò vistosamente, per poi scappare via.

-Vera!- Mia provò a chiamarla, ma era troppo veloce.

Si girò verso l’origine di tale terrore, e notò che erano guardie della regina.

Cosa ci facevano lì?! Teoricamente il regno era ancora a lutto per la morte di Ami!

Non erano passate neanche ventiquattr’ore!

-Attenzione, cittadini, come proclama reale dichiaro che tutti i maghi, superiori e inferiori, devono fare rapporto al centro del villaggio per ispezione e pagamento della tassa straordinaria. Tutti quelli che si rifiuteranno di farlo entro ventiquattr’ore saranno imprigionati e portati a palazzo. Ordini della regina!- annunciò uno uomo a cavallo vestito da cavaliere.

Che cosa?! Ma che razza di proclama era quello?! Non era stato approvato da nessuno! Di certo non da nonna Ami prima di morire, e neanche da lei, o sua sorella, o… Morgan. Era stata chiaramente zia Morgan!

Quella… strega!

Mia si avvicinò, ancora con il cappuccio ben premuto sulla testa, alla delegazione.

-E per quale ragione?- chiese, senza alcun timore, attirando l’attenzione di tutti i presenti, e della guardia, che le lanciò un’occhiata poco impressionata.

-Ordini della regina! Non si discute. Se non sei una strega, non ti riguarda- lanciò un’occhiata ai capelli castani che spuntavano fuori dal cappuccio, e intuì che non fosse abbastanza speciale.

-Da quanto ne so, la regina non ha annunciato alcun proclama straordinario prima della sua morte, avvenuta ieri notte. Pertanto chi mai può aver dato un ordine del genere?- chiese Mia, a voce più alta, per attirare maggiore attenzione.

Ed infatti il cavaliere la guardò sorpreso, quasi allarmato.

-Come sei a conoscenza di queste informazioni riservate?!- chiese, alterandosi, e sguainando la spada, che puntò contro Mia.

Una cosa da sapere sulla magia spirituale: a differenza dei maghi veri e propri, la magia spirituale non agisce sul mondo esterno, ma resta ancorata in quello mentale. Pertanto, Mia non poteva nulla per difendersi dalla spada dell’uomo.

Non che le servisse usare la magia per difendersi, ma è giusto per farlo sapere a voi lettori.

Si limitò infatti a togliere il cappuccio, mostrando a tutti il suo volto.

-Lo so perché sono la principessa, primogenita di Misty Fey e una delle tre eredi al trono. E dato che so con assoluta certezza che non c’è ancora una regina che siede su di esso, chiedo gentilmente di informarmi su chi è la falsa regina che proclama leggi in nostra vece- affrontò il cavaliere, che ebbe l’accortezza di ritirare la spada e mostrarsi spaventato.

-Non lo so! L’ordine è passato da altri cavalieri prima di raggiungere noi! Stiamo solo eseguendo gli ordini!- si affrettò a giustificarsi, cambiando completamente atteggiamento.

-Beh, ora avete un altro ordine da seguire, stavolta da fonti certe: ordino, in qualità di principessa ed erede al trono, che finché non verrà annunciata la nuova regina, non ci sarà alcuna ispezione o tassa straordinaria verso i maghi di questo villaggio, dei villaggi vicini, e in tutta Kurain. Fai il passaparola con gli altri cavalieri, e avvertili che se dovessi incontrarne altri che hanno proclami diversi da questo, non esiterò a strappare loro il titolo e sbatterli in prigione!- minacciò, con autorità, emettendo un’aura di potere.

-Certo, principessa! Assolutamente, principessa!- tutti cavalieri si inchinarono rispettosamente a lei, e si affrettarono a ritirarsi dal villaggio, il più in fretta possibile nel terrore che cambiasse idea.

Nonostante tutti pensassero questo di lei, Mia non cambiava idea.

Sapeva che giravano voci secondo cui i maghi avessero ucciso sua madre, ma non era con la discriminazione che si sarebbero risolti i conflitti con gli incantatori.

E poi… persone come Vera non erano responsabili degli errori che solo alcuni maghi avevano, forse, commesso.

Mia non voleva diventare regina, ma se proprio doveva esserlo, sarebbe stata una regina giusta.

Anche se era stato rischioso esporsi così, con un killer alle calcagna. Le voci girano veloci, a Kurain, e Mia sapeva che aveva perso sia tempo, che vantaggio sul killer.

Ma aveva anche guadagnato qualche informazione, e più sicurezze riguardo la cattiva fede di sua zia Morgan.

Mentre tornava verso la sua carrozza, ormai riparata, Mia notò Vera, nascosta in un angolo, che le sorrideva. Un sorriso appena accennato, e subito dopo la bambina sparì nel nulla, imbarazzata.

Anche Mia sorrise tra sé.

Ne era valsa la pena.

 

Miles della costellazione Edgeworth si era pentito dell’accordo meno di dieci minuti dopo averlo stretto, e solo la sua inattaccabile logica gli aveva impedito di strozzare con le proprie mani quel tale Phoenix Wright, rubargli la candela, e tornarsene nel cielo in tempo per il matrimonio tra il Samurai d’Acciaio e il Crudele Magistrato.

Beh, la logica e il suo senso del dovere e della legge, acquisita nei suoi anni di osservazione della terra.

Uccidere era sbagliato, su questo concordavano tutti.

Ed era sbagliato anche rubare… quasi sempre.

In quella circostanza poteva prendere la candela e convincersi che fosse un pagamento per tutti i guai che quel ragazzo gli stava facendo passare.

Miles della costellazione Edgeworth odiava Phoenix Wright. La sua prima impressione si era rivelata giusta, e l’unica che avrebbe mai avuto.

Perché erano in cammino da almeno tre ore, sotto un sole cocente che Miles non aveva mai provato prima di quel momento addosso, e quel tizio non aveva smesso neanche un secondo di parlare della sua fidanzata, ripetendo sempre le stesse identiche cose per tutto il tempo, come in un loop.

C’erano due opzioni: o non aveva un lessico abbastanza forbito da usare per descriverla meglio; oppure semplicemente non la conosceva abbastanza profondamente da descriverla con più parole dei classici e banali “perfetta, dolcissima, gentilissima, bellissima” che ripeteva ad oltranza.

Da quel poco che Miles aveva imparato a conoscere di Phoenix, entrambe le opzioni erano parecchio plausibili, e non gli davano alcun punto nella scala di favore di Miles, che non odiava gli uomini, ma di certo avrebbe preferito finire in compagnia di qualcuno di intelligente, forte, protettivo. Come il Samurai d’Acciaio.

…forse tali eroi esistevano solo in Giappone.

Anche se, d’altro canto, era sempre meglio finire in compagnia di uno stupido che non sapeva quanto fosse effettivamente potente, e poi usarlo come scudo umano nel caso ci fossero stati guai peggiori all’orizzonte.

Miles era una stella molto pratica e logica, e la logica suggeriva che sebbene moralmente e legalmente non fosse consigliabile usare gli altri come scudi umani, era perfettamente accettabile se serviva a farli stare zitti… e a salvare una creatura ben più importante, ovvero Miles stesso.

Era puro buonsenso!

Pertanto restava attaccato a Phoenix Wright, qualche passo più indietro, zoppicando per il dolore alla gamba e alla schiena, e iniziando a ponderare l’etica di un bel suicidio per far finire la propria sofferenza, e quanto fosse peggio dell’omicidio volontario.

Intanto, ignaro dei pensieri e drammi del suo compagno di viaggio, Phoenix procedeva spedito, pieno di energia ed entusiasmo verso l’ignoto, senza sapere minimamente dove stesse andando, ma seguendo il proprio cuore nella speranza che lo conducesse dall’amore della sua vita.

-E poi dovresti vedere i suoi capelli… sono una sfumatura di rosso indescrivibile! Sembra aver catturato il fuoco. E trasmette anche lo stesso calore con il suo sorriso che potrebbe…-

-…illuminare la più buia delle notti come se fosse giorno- borbottò Miles, concludendo per lui.

Era da un po’ che si domandava se il colore dei capelli di Dahlia significasse che fosse una strega, ma aveva deciso di non chiedere nulla al suo compagno di viaggio. Nella migliore delle ipotesi non lo sapeva perché ignorante, nella peggiore delle ipotesi stava solo fingendo di essere affabile pensando che Miles fosse uno sprovveduto e rivelare i suoi dubbi avrebbe potuto mettere la stella maggiormente in pericolo.

Phoenix lo sentì, e si imbarazzò un po’.

-Sto parlando un po’ troppo, vero? Scusa, è che lei è così perfetta, dolcissima, gentilissima e…-

-…bellissima, sì, lo hai già detto- Miles lo anticipò di nuovo, a denti stretti -…almeno tre o quattrocento volte, ad essere ottimisti- si lamentò tra sé, provando a stare al passo, ma obbligato a fermarsi per riprendere fiato.

Non che volesse dare a vedere quanto fosse provato dalla camminata, ma era la prima volta che camminava in tutta la sua vita, aveva dolori dappertutto per la caduta, e Phoenix procedeva fin troppo veloce per i suoi gusti, cosa anche strana, dato che Miles era più alto di lui (due centimetri sono sempre due centimetri).

-Hey, tutto bene?- Phoenix sembrò accorgersi della sua difficoltà, e gli si avvicinò per controllare le sue condizioni.

-Sì, certo!- mentì Miles, anche se non stava affatto bene.

Provò a fare un altro passo, ma la gamba ferita cedette, e se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Phoenix, sarebbe senz’altro caduto a terra di faccia.

-Non mi sembra che tu stia bene! È la gamba? Hai accennato al fatto che fosse rotta. Posso dare un’occhiata? Mia madre mi ha insegnato a…- Phoenix si mise a disposizione, mettendolo seduto e iniziando a sollevargli la toga per osservare la gamba ferita.

Miles gli diede un calcio sul braccio per tenerlo lontano, e si fece ancora più male alla gamba.

Maledetto corpo umano!

Era tutto più facile su nel cielo! 

-Tieni le tue mani lontano da me!- esclamò con maggiore furore di quanto volesse, ma facendo passare il messaggio.

Phoenix si ritirò immediatamente.

-Scusa! Volevo solo aiutare…- alzò le mani, e lasciò Miles seduto a terra.

La stella voleva sollevarsi, ma non trovò neanche la forza di provarci. Rimase nel terreno a riprendere fiato, il calore del sole lo stava facendo letteralmente sciogliere.

-Almeno bevi un po’ d’acqua, non hai ancora bevuto né mangiato da quando abbiamo cominciato il viaggio… voi stelle avete bisogno di bere e mangiare?- Phoenix gli porse una borraccia con dell’acqua. Miles la prese con una certa esitazione.

-Non nel cielo- ammise, più tra sé che rivolto verso il suo partner momentaneo.

La vita di una stella era piuttosto semplice, e si limitava all’osservazione e allo studio. 

In teoria, Miles sapeva tutto quello che c’era da sapere sugli esseri umani.

In pratica… tutto era estremamente complicato, per lui.

Prese un sorso d’acqua, con attenzione, come se temesse potesse ucciderlo.

E sentendo la gola rinfrescarsi e il calore diminuire, finì la borraccia in pochi secondi, rischiando di farsela andare di traverso.

-Woah, woah, con calma… eri proprio assetato. Vuoi anche qualcosa da mangiare? Oh, l’acqua è finita… potremmo cercare un fiume da qualche parte e riempire la borraccia- Phoenix si avvicinò per accertarsi delle sue condizioni, ma non osò toccarlo nuovamente.

Era… beh… abbastanza gentile, questo Miles doveva ammetterlo. Ignorante e irritante, ma gentile.

E forse era questa sua ingiustificata gentilezza che metteva davvero in guardia la stella.

Aveva da tempo imparato a diffidare delle persone all’apparenza troppo gentili.

Però accettò il pane che gli stava offrendo, perché aveva un vuoto nello stomaco, e provare a colmarlo sembrava una buona idea.

Phoenix si sedette accanto a lui mentre mangiava, riprendendo fiato a sua volta.

-Com’è essere una stella? Hai una famiglia, una fidanzata? Vuoi tornare nel cielo, giusto? Con la candela, intendo- dopo aver parlato ininterrottamente per tre ore della propria futura moglie, Phoenix scelse il momento peggiore per indagare sulla vita di Miles, che infatti rischiò di strozzarsi con il pane, sorpreso dalle domande che gli erano appena state poste.

E ancora più sorpreso dal fatto che quel buono a nulla avesse intuito l’uso che Miles voleva fare della candela.

Non che fosse così difficile da capire, ma Miles non lo aveva detto esplicitamente, e sembrava strano che Phoenix avesse la capacità mentale di arrivarci da solo.

Forse era davvero meno stupido di come apparisse.

…e pertanto più pericoloso.

Non rispose.

-Su nel cielo le cose sono diverse da qui- disse solo, senza dare alcuna risposta.

Tsk, una fidanzata. 

Solo il pensiero era rivoltante.

-Posso solo immaginarlo… wow. è così strano essere in compagnia di una stella- osservò Miles come se non riuscisse ancora a credere a cosa stesse succedendo.

Era semplice da leggere, e allo stesso tempo un vero e proprio mistero, per Miles, che si limitò ad allontanarsi ed evitare sia il suo sguardo che future indagini.

-Non… non sei di molte parole, vero?- suppose Phoenix, un po’ a disagio.

-No, non lo sono- rispose Miles, secco, appoggiando la testa sul suolo per stare più comodo. Non lo fece neanche con intenzione, semplicemente non ce la faceva più a stare neanche seduto.

Non si era mai sentito così stanco in vita sua.

…cosa normale, dato che non era mai stato stanco prima di allora.

-Vuoi riposarti un po’?- chiese Phoenix, comprensivo, avvicinandosi appena per controllare meglio le sue condizioni.

-Non potremmo… muoverci di notte? È più nelle mie corde- osò chiedere Miles, cercando di non mostrare quanto effettivamente fosse a disagio in quel momento. Stanco e incapace di alzarsi in piedi.

-Beh… è ancora presto, sarà poco oltre mezzogiorno… se aspettiamo la notte perderemo un sacco di tempo- obiettò Phoenix, guardandosi intorno.

-Sai almeno dove stiamo andando?!- sbottò Miles, irritato dall’obiezione. Non si reggeva in piedi! E altre ore in viaggio con quel tipo che parlava a tutto spiano non le avrebbe rette, al momento.

-Beh… io…- Phoenix si grattò il retro del collo, imbarazzato.

A Miles venne un terribile dubbio.

Per tutto quel tempo aveva seguito lui dando per scontato che sapesse dove stava andando. Proseguiva deciso, dopotutto, sapeva per forza dove stavano andando.

Ma quella non era la reazione di una persona che conosceva davvero le indicazioni.

-Tu… non sai dove stiamo andando?- lo accusò, mettendosi a sedere con una certa difficoltà e guardandolo incredulo.

-Io… sì! Lo so! Mi sto facendo guidare dal cuore! E poi… al primo villaggio che troviamo chiederemo informazioni più chiare!- Phoenix tornò sicuro di sé, ma le parole che disse non rassicurarono affatto Miles.

-Quindi… stiamo camminando da tre ore verso il nulla perché “ti stai facendo guidare dal cuore”?!- si ributtò a terra, pentendosi ancora una volta di aver seguito quell’idiota per una stupida candela di Babilonia. Non valeva tutta quella sofferenza!

-Senti, hai un’idea migliore?!- Phoenix fece il muso -Tu sapresti dove andare?-

Miles non aveva un’idea migliore, né sapeva dove andare.

-Propongo di camminare di notte- disse solo, volendo comunque avere l’ultima parola.

Phoenix sospirò, poi si alzò in piedi.

-Okay, facciamo così! Tu resti qui a riposarti, e io continuo in quella direzione cercando un villaggio vicino dove chiedere informazioni e magari trovare un posto per dormire e mangiare qualcosa- propose, accomodante.

Miles aprì la bocca per obiettare, più per il gusto di essere in disaccordo che per una vera e propria lamentela da fare, ma fu abbastanza intelligente e obiettivo da fermarsi in tempo.

Perché logicamente l’idea non era male.

Ed era un’ottima occasione per liberarsi di Phoenix almeno per un po’.

-D’accordo… mi sembra una buona idea- ammise, con difficoltà.

Phoenix sorrise soddisfatto.

-Perfetto! Allora torno più tardi, appena trovo un luogo decente. Tieni tu la bisaccia, nel caso avessi bisogno di mangiare qualcosa mentre sono via. Mi porto giusto alcune monete d’oro per pagare- Phoenix, mostrando una natura stoltamente innocente, consegnò senza remore a Miles la bisaccia con tutti i suoi possedimenti, prendendo giusto delle monete d’oro, e si allontanò nella direzione che avevano percorso fino a quel momento.

Miles rimase presto solo, in silenzio.

Finalmente!

Si ributtò a terra e si godette il canto degli uccelli e il frusciare delle foglie, senza il chiacchiericcio continuo di quell’insopportabile idiota innamorato.

E potè finalmente riflettere seriamente sulla situazione.

Anche se prima… controllò con una certa speranza la bisaccia che quel tipo gli aveva lasciato senza troppe remore. Se la candela era lì, poteva andarsene immediatamente, tornarsene nel cielo, e convincersi nei prossimi secoli che fosse stata la scelta più giusta da fare.

Dopotutto non aveva rubato la candela, era stato Phoenix lo sciocco a lasciargliela, e questo gli sarebbe servito da lezione per non fidarsi più degli sconosciuti.

Purtroppo, mentre cercava, con l’assoluta certezza che di lì a pochi minuti si sarebbe ritrovato a casa, si rese presto conto che, per quanto controllasse la borsa, non si vedeva la candela da nessuna parte.

…forse Phoenix non era sprovveduto come sembrava.

Miles gettò la borsa in un angolo, frustrato, e si mise comodo sul terreno, riflettendo sulla sua situazione attuale.

Allora… i lati positivi di stare con Phoenix Wright, per il momento, erano: 

1) Aveva uno scudo umano da poter utilizzare in caso di pericolo;

2) Gli avrebbe dato la candela di Babilonia una volta finito con Dahlia (ew);

3) Era sciocco quindi facilmente manipolabile (a meno che non mentisse al riguardo, ma Miles ne dubitava, francamemte);

4) Veniva da oltre il muro, quindi con quasi assoluta certezza non sapeva per davvero nulla riguardo al potere delle stelle;

5) Era gentile… e gli aveva offerto cibo e acqua. 

Insomma… c’erano molti lati positivi nello stare, momentaneamente, con Phoenix Wright, soprattutto perché Miles aveva la certezza di poter tornare in futuro a casa, mentre se si fosse allontanato da lui, non avrebbe avuto idea di dove trovare un’altra candela, e in generale dove andare e cosa fare.

Era piuttosto certo che in quel momento qualcuno potesse già essere sulle sue tracce per usarlo.

Ma non poteva prendere una decisione senza analizzare i lati negativi: 

1) Phoenix avrebbe parlato per giorni di Dahlia ininterrottamente; 

2) …non gli veniva in mente nient’altro.

Ma era abbastanza per prendere una decisione.

Miles della costellazione Edgeworth non avrebbe tollerato un’altra conversazione sull’amata di Phoenix Wright!

Dopo essersi ripreso abbastanza da rimettersi in piedi, Miles prese la borsa, se la mise a tracolla, e scappò a gambe levate nella direzione opposta a quella che aveva imboccato Phoenix. Non verso il luogo dal quale erano arrivati, ma lontano dal ragazzo innamorato e chiacchierino.

Meglio morire, che sentire ancora parlare di Dahlia Hawthorne!

 

Ed infatti, come se il destino avesse sentito la sua richiesta, Miles si era avviato proprio nella direzione di una locanda che presto sarebbe potuta diventare la sua tomba

Era ai limiti della foresta, gestita da persone che fino a quel momento avevano fatto affari piuttosto loschi, ma che stavano cercando di ripulirsi. Winfred e Plum Kitaki erano maghi inferiori, non facenti parte della fratellanza, e quindi più difficili da individuare rispetto ai maghi superiori, con i loro capelli colorati.

I maghi inferiori avevano capelli di due colori diversi, spesso neri e bianchi, che potevano facilmente essere mascherati come segni dell’età incombente, o con delle bandane, cosa che un proprietario di una locanda poteva sfoggiare senza che qualcuno facesse domande.

Purtroppo per loro e la loro vita tranquilla, l’arrivo di una stella nella loro locanda significava che anche metà delle persone più pericolose del regno ci si sarebbero fiondate da lì a poco.

Ma questo, ora come ora, non lo potevano sapere.

E nel momento in cui l’avrebbero scoperto, sarebbe stato troppo tardi.

Perché dopo parecchie ore di viaggio con la voce incessante di suo padre in testa, più fastidiosa del chiacchiericcio di Phoenix Wright, forse, Franziska aveva finalmente ottenuto delle informazioni interessanti circa la stella, che si sarebbe fermata proprio in quella locanda, luogo perfetto dove attaccare.

-Uccidi tutti quelli presenti e appropriati della locanda, poi accogli la stella e calmala in modo che brilli prima di strapparle il cuore!- le suggerì suo padre, con estrema sete di sangue.

Per fortuna i Kitaki non erano bravi nell’udito come Redd White, perché altrimenti sarebbe stato imbarazzante, dato che mentre queste frasi le stavano venendo dette, Franziska era al bancone, aveva ordinato da bere, e stava ascoltando la padrona di casa raccontarle una storia mentre spazzava il pavimento.

Era l’unica ospite al momento. Non erano in molti ad avventurarsi in quella foresta.

Franziska non era un’assassina.

Un conto era una stella. Era il suo compito strapparle il cuore e portarlo a suo padre, e la vedeva come un oggetto, e non una persona.

Un conto era uccidere maghi come lei, che non le avevano fatto nulla e che volevano solo vivere liberi.

Certo, il figlio era un po’ antipatico, e l’aveva servita sbuffando, ma erano le prime persone che non avevano minimamente commentato il colore dei suoi capelli.

Forse c’era un modo per soggiogarli senza ucciderli.

-Ma cosa ti porta qui, figliola?- chiese Plum ad un certo punto, interrompendo il proprio racconto sulla ex fidanzata del figlio e i pensieri di Franziska, che le sorrise affabile.

-Sto cercando un oggetto per mio padre. So che questa foresta è piena di erbe particolari- mentì, per niente intenzionata a far girare la voce che una stella fosse caduta e che fosse da quelle parti.

Dubitava che il mago dai capelli viola avesse tenuto la bocca chiusa, ma Franziska comunque non voleva facilitargli il lavoro.

-Oh sì! È una zona piena di risorse! Per questo io e Winnie abbiamo scelto questo luogo. Quanto pensi di restare? Se hai bisogno di un posto dove dormire, questa locanda è perfetta per te!- provò a vendere i suoi servigi.

Franziska dubitava di avere abbastanza soldi, ma finse di essere interessata.

-Sembra davvero un bel locale. Mi farebbe fare un giro?- chiese, alzandosi in piedi, e pensando al modo migliore per sfruttare quel luogo.

Dalla borsa, prese un po’ di polvere di papavero.

Non ne aveva tantissima, ma sarebbe servita allo scopo.

Doveva solo farli addormentare, prendere il controllo della locanda, fare il suo lavoro, e si sarebbero svegliati senza rendersi conto di cosa fosse successo, come se fosse stato tutto un brutto sogno.

Quella notte, Franziska avrebbe portato a termine il suo compito, sarebbe tornata a casa, e suo padre l’avrebbe ricompensata, estremamente orgoglioso di lei.

Niente e nessuno l’avrebbe potuta fermare.

Una principessa e un ragazzo dai capelli a punta vogliono obiettare, ma dettagli.

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Capitolo 4
*** La locanda ***


La locanda 

 

Quando Phoenix tornò nel luogo dove aveva lasciato Miles, qualche ora dopo, per un attimo temette di aver sbagliato strada.

Ma il posto era quello, e la stella non era più lì.

E Phoenix, sebbene deluso, non era del tutto sorpreso.

-Ugh…- si lasciò cadere in ginocchio accanto ad un albero, e sbuffò sonoramente. Se lo sentiva che dare tutti i suoi possedimenti al suo compagno di viaggio che conosceva da poche ore non era una grandiosa idea, ma aveva sperato, con tutto il cuore, che l’accordo che avevano fosse il meglio che Miles potesse ottenere, e che li legasse abbastanza da potersi fidare l’uno dell’altro. Dopotutto, una stella appena caduta, dove altro poteva andare? Con chi? Non conosceva nessuno all’infuori di Phoenix, che pensava di essersi venduto piuttosto bene come compagno di viaggio.

Fortuna che aveva avuto l’accortezza di tenere la candela di Babilonia in tasca, come assicurazione.

La prese e se la rigirò tra le mani, valutando se utilizzarla per andare da suo padre e dimenticarsi la missione della stella.

No, doveva recuperarlo, per Dahlia!

…ma non poteva obbligarlo ad andare con lui se non voleva.

Però, caspiterina, avevano un accordo!

Phoenix sospirò, abbattuto, rimise la candela in tasca, e prese un pezzo del pane che aveva acquistato nel villaggio dove aveva chiesto indicazioni.

Non aveva la minima idea della direzione che poteva aver preso Miles, aveva una vaga idea di dove fosse il muro, e nessun indizio su dove fosse suo padre e come fosse fatto.

Di tornare a casa a mani vuote non se ne parlava proprio, ma non poteva neanche usare la candela, dato che era meglio preservarla per le vere emergenze.

Era completamente perso!

Distrattamente portò una mano alla spilletta che gli era stata data da suo padre, come se gli potesse indicare la via.

-Se solo potessi comunicare con qualcuno!- sentì una voce lontana, e sobbalzò vistosamente, guardandosi intorno confuso.

-Chi c’è?- chiese, cercando l’origine della voce e lasciando andare la spilletta per guardarsi meglio intorno.

La voce non replicò, ma il vento che tirava si fece vagamente più forte.

Lentamente, Phoenix provò a toccare nuovamente la spilletta.

-…nix, riesci a sentirmi? Se mi senti ti prego ri…- Phoenix tolse di scatto la mano, e la voce si interruppe.

Sì, non era nella sua testa, c’era davvero una voce proveniente da una persona invisibile che riusciva a sentire solo toccando la sua spilletta!

…forse era davvero nella sua testa. Stava impazzendo.

Ma in quel mondo c’erano stregoni, aveva detto sua madre, quindi voci incorporee non erano così difficili da concepire.

Oppure in tutti i cibi di quel mondo c’era della droga allucinogena quindi streghe, stelle e voci incorporee erano il frutto di tali droghe in azione.

Aveva senso.

Ma Phoenix non era una persona logica, si faceva sempre guidare prima dal cuore.

Si riportò la mano alla spilletta.

-Probabilmente ha solo ascoltato il vento. Dovrei provare a comunicare con le ragazze Fey, ma sono troppo concentrate con la loro missione per ascoltarmi- la voce si era fatta più distante. Phoenix si alzò in piedi.

-Salve! Ti sento… credo… chi sei?- provò ad indagare, sentendosi un po’ stupido, ma deciso a provarle tutte.

Poteva essere il suo angelo custode, oppure…

-Sei mio padre?!- chiese, per sicurezza.

-Mi dispiace, ragazzo, ma no. Sono uno spirito- si presentò la voce.

Phoenix rabbrividì.

-Tipo… un fantasma? Oh cielo! Mi dispiace. Come è successo?- chiese, empatico, anche se un po’ spaventato. Il suo paesello era piuttosto superstizioso su queste cose, anche se il ragazzo le aveva sempre trovate affascinanti.

-Non è importante. Ho bisogno del tuo aiuto. Miles è in pericolo!- la voce assunse un tono urgente, e più forte. Sembrava davvero preoccupato.

Phoenix scattò sull’attenti.

-È stato rapito?! Quindi non mi ha lasciato volontariamente. Uh, che sollievo… no, aspetta, non è un sollievo se è stato rapito. Dove sta? Puoi aiutarmi?!- iniziò a correre in cerchio perché non aveva la minima idea di dove andare.

-Una cosa alla volta, ragazzo. A dire il vero… è andato via volontariamente, quindi al momento è ancora al sicuro, ma sta per cadere in trappola! Si sta dirigendo verso una locanda non troppo lontana da qui, e l’unico modo che hai di raggiungerla in tempo è salire sulla carrozza che sta per passare in quel sentiero!- spiegò la voce, in tono urgente. Molto utile dire “quel sentiero” senza avere la possibilità di indicarlo, non avendo un corpo, ma agitato dalla situazione, in un primo momento Phoenix neanche se ne accorse e iniziò a correre in una direzione a caso, in tutta fretta, e sempre stringendo forte la spilletta.

-No, non lì, a est!- lo corresse la voce.

Phoenix cominciò a correre in un’altra direzione a caso, sperando di aver indovinato.

-No, quello è sud… e quello è ovest…(Miles è spacciato)… dall’altra parte… sì, sì ecco! Quella direzione!- con piccoli commenti ben piazzati, alla fine riuscirono a coordinarsi sulla direzione da seguire, e Phoenix iniziò a correre in quella direzione.

-Che carrozza devo prendere? Perché Miles è in pericolo? Cosa lo aspetta alla locanda?- iniziò a chiedere il ragazzo, cercando di capire meglio la situazione.

-La carrozza è l’unica che viene da questa parte, la riconoscerai subito. Tu e la ragazza che la guida siete diretti nella stessa direzione. Per quanto riguarda Miles… posso solo dirti che nessuna stella è al sicuro, qui a Kurain. E una strega vuole ucciderlo, strappandogli il cuore dal petto- era chiaro che lo spirito fosse terribilmente addolorato alla prospettiva. Doveva tenere davvero immensamente a Miles. Cosa strana, considerando che la stella era appena caduta e non conosceva nessuno sulla terra.

Phoenix decise di concentrarsi sul pericolo imminente, e impallidendo aumentò il passo, ignorando la consapevolezza che correre nel mirino di una strega che non aveva esitazioni nello strappare il cuore dal petto della gente non era la mossa più sicura da fare. Ma aveva la candela di Babilonia che poteva utilizzare per una fuga di emergenza, non doveva temere.

In lontananza, Phoenix iniziò a sentire gli zoccoli dei cavalli, e il rumore di una carrozza che veniva trascinata nello sterrato.

-Non posso restare in comunicazione ancora per molto. Stai solo attento alla donna dai capelli blu. Puoi fidarti delle giovani sorelle Fey. E ti prego, ti supplico, proteggi Miles- la voce dell’uomo iniziò a farsi più lontana e disturbata, come se la comunicazione rischiasse di interrompersi.

Phoenix strinse più forte la spilletta, cercando di mantenere il contatto.

-Aspetta, come ti chiami? Chi sei?- provò a chiedere, curioso della sua storia.

-Mi chiamo Gregory. Manda un bacio da parte mia a Miles, d’accordo?- si presentò, facendo la sua ultima richiesta, prima che la comunicazione tra i due si interrompesse del tutto.

-Aspetta!- gridò Phoenix, proprio nel momento in cui raggiunse finalmente la carrozza.

Ci andò a sbattere contro, e finì a terra, dando una forte testata contro il suolo. Per fortuna, la botta fece fermare la carrozza, quindi poteva procurarsi il necessario passaggio.

Mentre si sedeva a terra massaggiandosi la testa, si preparò a mente un discorso per convincere chiunque ci fosse sopra ad aiutarlo.

Sfortunatamente, chiunque fosse sopra quella carrozza, sembrava molto meno amichevole di come Gregory l’avesse venduta.

Perché si rivelò essere una giovane donna dall’aria combattiva che gli puntò immediatamente una spada al collo.

-Mi sembri un po’ giovane per essere un mercenario. Mia zia mi sottovaluta a tal punto?- chiese, guardandolo storto.

-Zia? Mercenario? Cosa?! No! Io sono solo un umile garzone di paese! Non so niente di mercenari e zie! Non ho una zia! Almeno credo, perché non conosco mio padre e potrebbe avere fratelli, ma non lo so! Di certo non conosco la tua! Ti prego non farmi a fettine, cerco solo un passaggio! Devo salvare un mio amico da una trappola in una locanda e andiamo nella stessa direzione!- si affrettò a spiegare Phoenix, in un incontrollato vomito di parole.

-Come sai in che direzione sono diretta?- chiese la donna, insistendo nel puntargli la spada contro e guardandosi appena intorno come se temesse ci fossero complici appostati nelle frasche.

-Non lo so… cioè… è complicato. Ma sono disarmato! Non ho alcun intento negativo. Non so neanche chi tu sia, ho solo bisogno di un passaggio!- Phoenix cercò di apparire meno minaccioso possibile.

La donna abbassò la spada, ma alzò la mano, e per qualche motivo a Phoenix questo gesto sembrò ancora più minaccioso. Chiuse gli occhi, preparandosi ad essere incenerito.

-Magia spirituale? Strano. Gramarye?- chiese, piegando la testa confusa.

-Eh?- Phoenix fece altrettanto, supponendo stesse parlando in codice. Cos’era un Gramarye?

-Come ti chiami?- insistette la ragazza -Di che famiglia spirituale fai parte?-

Phoenix cadde dalle nuvole. Famiglie spirituali? Cosa erano? Che razza di lore aveva quel mondo?

-Nessuna! Cioè… non credo. Mi chiamo Phoenix Wright e… vengo dall’altra parte del muro. Sto cercando mio padre, ma non è lui la persona che sto raggiungendo adesso, anche se ha i capelli grigi… argentati. E sono anche tanto di fretta perché è in pericolo, ti prego! Una strega gli vuole strappare il cuore dal petto, anche se non so perché!- Phoenix supplicò la donna, che sospirò, e rinfoderò la spada.

-D’accordo, ma ti accompagno solo per un po’. Salta sù, anche io sono di fretta- alla fine la donna cedette, e Phoenix scattò in piedi e si sedette sulla carrozza il più in fretta possibile, temendo che cambiasse idea.

Partirono dopo pochi minuti.

-Quindi non hai mai conosciuto tuo padre- dopo un po’, la donna iniziò a fare conversazione.

-No, siamo sempre stati solo io e mia madre. Non sapevo neanche di averlo, un padre, fino a stamattina… wow… era solo stamattina? Sembrano passati giorni- Era davvero assurdo quante cose fossero successe in meno di ventiquattrore: la scoperta di un padre, l’incontro con una stella, un viaggio con una candela magica. Tsk, Doug non aveva fatto neanche la metà di quelle cose, sicuramente. Phoenix era molto più qualificato di lui per il cuore della sua Dollie!

-E hai un nome? Una descrizione? Qualcosa che ti possa aiutare nella ricerca?- continuò ad indagare la donna.

…ora che ci pensava, no. Phoenix non sapeva neanche come si chiamasse, suo padre. 

-Suppongo mi somigli, almeno un po’. Devo aver preso i suoi capelli neri, anche se dicono tutti che sono uguale a mia madre, di aspetto. So che è prigioniero di uno stregone dai capelli viola, e… oh, mi ha lasciato questa spilletta! Beh, non a me, l’ha lasciata a mia madre, ma è un portafortuna- Phoenix indicò la spilla che gli aveva permesso di parlare con Gregory, ma cercò di non rivelare troppo della magia che sicuramente possedeva. Non voleva attirare maggiormente i sospetti di quella donna, anche se sembrava a posto.

-Posso vederla?- chiese la donna, lanciando un’occhiata alla spilletta.

Phoenix annuì, ma non se la tolse, limitandosi a sporgersi verso di lei in modo che potesse osservarla senza che lui rischiasse che gliela prendesse.

La donna accettò l’implicito compromesso.

-Non deve essere una persona normale, tuo padre. O l’ha rubata dallo stregone che lo tiene prigioniero, oppure è un possessore di potente magia spirituale, o membro di una famiglia con alta percentuale di magia spirituale. Quella spilla è un amplificatore di tale magia. Ed è molto potente- spiegò, interessata.

Phoenix annuì, poi scosse la testa, confuso.

-Cosa… che tipo di magia è la magia spirituale?- chiese, ignorante in materia. A sua discolpa aveva scoperto dell’esistenza della magia meno di ventiquattrore prima.

La donna lo guardò sorpresa per un attimo, poi accennò un sorrisino.

-Vieni davvero da oltre il muro- borbottò, divertita -Diciamo che ci sono due tipi di magia, qui a Kurain: magia degli stregoni, riconoscibili dal colore dei loro capelli, che è principalmente sul piano fisico. Agisce sul mondo reale. E poi c’è la magia spirituale, che agisce sul mondo mentale, ed extrasensoriale. Comunicazione con fantasmi, o lettura del pensiero, notiamo cose che ad altri sfuggono. Insomma, abbiamo un buon intuito- spiegò la donna, che iniziava a fidarsi sempre di più.

Probabilmente stava utilizzando tale intuito.

-Ma è fantastico! Aspetta… abbiamo?- Phoenix indicò la ragazza, a bocca aperta.

-Mi chiamo Mia Fey, la mia famiglia è una delle più… antiche, diciamo, con magia spirituale- spiegò la donna, pratica.

-Fey!- esclamò Phoenix, riconoscendo il cognome.

Mia si allertò.

-Sai chi sono?- chiese, sorpresa che una persona che veniva dall’altra parte del muro sapesse il nome della famiglia reale. 

-Beh… diciamo che una persona mi ha detto in che direzione andare, e mi ha detto che posso fidarmi delle Fey… sorelle, Fey, in particolare. È un po’ strana da spiegare- Phoenix giocherellò con la spilletta. Mia sembrò capire tutto, e annuì.

-Fammi indovinare… hai sentito una voce?- suppose, lanciando un’occhiata alla spilletta.

Phoenix annuì.

-Sì, un uomo, solo mentre toccavo la spilla, e poi è sparito nel nulla- la sfiorò con le dita, sperando che potesse aiutarlo. Ma non c’era più nessuno a parlare con lui.

-Gli spiriti hanno tempo limitato qui sulla terra. Deve aver impiegato molta energia per comunicare con te- spiegò la donna, dando ulteriori informazioni circa i poteri spirituali.

-Farò in modo di onorare il suo desiderio e seguire i suoi consigli. Sono felice che mi abbia portato da te- Phoenix assunse un’espressione determinata. Non gli importava che conoscesse Miles solo da qualche ora e che lo avesse derubato e abbandonato. Non avrebbe permesso che una strega fuori di testa gli strappasse il cuore dal petto. Nessuno meritava una cosa del genere, neanche la persona peggiore del mondo. E Miles non sembrava una cattiva persona. Solo un po’ scorbutica e sicuramente molto persa.

Sapeva fosse pericoloso, ma avrebbe dato del suo meglio per riuscire ad onorare la richiesta dello spirito che tanto sembrava tenere a quella stella.

Mia sembrò rendersi conto della sua preoccupazione, perché gli mise una mano sulla spalla.

-Una mano amica fa sempre comodo di fronte alle avversità- sorrise, decidendo di fidarsi di lui e accettare il suo aiuto.

Phoenix si sentì davvero rinfrancato nell’essere riuscito a trovare un’alleata, in quel territorio sconosciuto pieno di magia, stregoni pericolosi, e spiriti. 

Sperò davvero che tutto andasse per il meglio, e di riuscire a salvare Miles.

Purtroppo, come i nuvoloni neri nel cielo che iniziavano a far cadere le prime gocce di pioggia, anche la nottata stava per prendere una svolta piuttosto cupa.

 

Miles non aveva la minima intenzione di fermarsi e incontrare persone.

In realtà Miles non aveva alcun piano o idea di cosa fare della sua vita ora che era caduto sulla terra, ma di certo non avrebbe avuto alcun contatto con altri esseri umani, se poteva evitarlo.

Purtroppo dal cielo aveva iniziato a cadere acqua, e sebbene all’inizio Miles non ci avesse neanche fatto troppo caso, non riusciva più praticamente a muoversi perché il suo inutile corpo umano era scosso da convulsioni derivanti dal freddo, e non riusciva a vedere praticamente dove stesse andando.

Quindi quando notò una luce poco distante, si vide costretto a fermarcisi davanti, e cercare un modo di entrare nell’edificio dalla quale proveniva per sfuggire a quell’acqua gelida e sicuramente mortale.

Non trovando entrate comode, bussò su quella che sembrava essere la porta, che si aprì pochi secondi dopo, mostrando il volto di una ragazza vestita da locandiera con i capelli coperti da una bandana che non ne mostravano il colore.

Miles era troppo infreddolito, dolorante e anche affamato per riflettere sulla cosa.

Aprì la bocca per chiedere asilo, ma le parole non gli uscirono.

Per sua fortuna, fu salvato dalla figuraccia dalla ragazza, che parlò prima di lui.

-Oh cielo! È bagnato fradicio! Prego, venga dentro- lo accolse con tutti i riguardi, facendolo entrare.

La locanda era completamente vuota, ma comunque ben illuminata, e piuttosto calda.

Miles non era affatto abituato al freddo, quindi accettò questo calore esterno piuttosto piacevole.

Ma comunque guardò la ragazza con estremo sospetto.

-Pochi ospiti- commentò, guardandosi intorno e cercando possibili segni che quello fosse un luogo pericoloso.

-Sì… eh… ad essere onesta, non avrei dovuto far entrare nessuno. I miei genitori sono in paese, e sono l’unica in casa. Sono troppo giovane per prendermi cura della locanda, ma non posso certo lasciare una persona fuori con questo tempaccio. Prego, si sieda. Le porto subito un asciugamano, e se vuole le preparo un bagno caldo. Mi sembra che ne abbia proprio bisogno- spiegò la ragazza, con un sorriso che non le raggiungeva gli occhi, ma sembrava sincero. Non che Miles fosse esperto di sorrisi sinceri, in realtà, dato che lei era la seconda persona che incontrava in quel mondo, e dall’alto del cielo non aveva mai avuto un primo piano della faccia di una persona.

Ma considerando che il sorriso che aveva visto in Phoenix era chiaramente troppo brillante e caloroso per essere autentico, probabilmente quel sorriso posato era più realistico.

Ma comunque…

-No, sto bene, non ho bisogno di nulla, posso ritornare… mi basta stare qualche minuto al caldo, e poi posso tornare nella strada- Miles guardò fuori dalla finestra, e bastò la visione della pioggia che continuava a cadere per provocargli un brivido gelido lungo la spina dorsale.

Aveva deciso che la pioggia non gli piaceva, soprattutto di notte, e al freddo.

-Ma non puoi andare in giro a quest’ora. Ci sono creature terrificanti nella foresta. La prego, faccia almeno un bagno caldo e mangi qualcosa. Prometto che le farò un prezzo d’occasione, e se non ha soldi, posso comunque venirle incontro. Non lo dirò ai miei genitori- provò a convincerlo la locandiera, affabile e molto gentile.

Miles valutò le proprie opzioni, e controllò la bisaccia che aveva rubat… ehm… preso in prestito senza assicurazione di restituzione da Phoenix. Una parte di lui si stava davvero pentendo di averlo lasciato, l’altra parte era felicissima di non aver più sentito parlare da Dahlia. Trovò all’interno qualche moneta.

-Posso pagare- affermò, decidendo di fidarsi, per il momento, e restare attento.

Dopotutto quali erano le probabilità che la seconda persona che incontrasse in quel mondo, in mezzo al nulla, fosse una strega venuta apposta per ucciderlo? Era a terra da poco meno di ventiquattrore, non potevano esserci già stregoni alle sue calcagna. 

E se anche c’erano, Miles dubitava fossero così competenti da trovarlo subito.

Non aveva fatto i conti con Franziska von Karma, a cui stava venendo dolore alle guance a furia di sorridere e fingere di essere un’innocente locandiera, ma credeva di stare facendo un lavoro impeccabile, soprattutto considerando che aveva la fastidiosa voce di suo padre all’orecchio che le sussurrava a tutto spiano piani per strappare immediatamente il cuore della stella.

Franziska l’avrebbe fatto senza esitazioni, ma non brillava affatto, in quel momento. Era brontolone e dolorante. Non sembrava neanche una stella. Persino i suoi capelli argentati e tratto distintivo avevano un colore più simile al nero.

Doveva conquistarlo lentamente, e farlo tornare a brillare almeno un po’, prima di prendere il suo cuore e tornare a casa per consegnarlo al padre.

-Aspetta qui un secondo. Vado a preparare l’acqua per il bagno- lo lasciò, con un sorriso accomodante, e una volta girato l’angolo, si massaggiò le guance, e iniziò ad armeggiare con le sue pozioni portate da casa.

Avrebbe potuto addormentarlo per agire indisturbata, ma il cuore sarebbe stato al massimo con una stella sveglia e brillante. Forse poteva mettere una pozione curativa nella vasca. Aveva notato che zoppicava, sicuramente una volta aggiustata la gamba, avrebbe brillato almeno un po’.

Sì, si poteva fare.

Preparò il bagno, e mise una pozione all’interno. Poi sistemò i capelli nella bandana, stando attenta che non si notasse il colore inusuale.

“Non devi esitare, né coccolarlo. Strappagli il cuore e basta. Anche così è sufficiente per me, e le rune dicono che non hai molto tempo” la sgridò suo padre all’orecchio. Franziska alzò gli occhi al cielo.

-Ma una stella brillante è più utile di una completamente spenta. Ti può durare più tempo- gli suggerì, sottovoce, prima di tornare dove aveva lasciato la stella, che fissava il fuoco nel camino con una certa curiosità.

Tornò a sorridere, anche se sembrava più un tic nervoso, e indicò la via alla stella.

-Prego, il bagno è pronto. Bello caldo. E ci ho messo anche dei sali rigeneranti. Omaggio della casa- spiegò, il più affabile e amichevole possibile, anche se stava morendo dentro a comportarsi in modo così gentile.

Soprattutto perché la stella non sembrava minimamente credere alla sua generosità, e la fissava con sospetto.

-Perché?- indagò, squadrandola dall’altro in basso.

Franziska avrebbe voluto frustrarlo e urlargli contro un consono “Accetta la mia generosità, prima della tua morte!” ma doveva restare nel personaggio.

-Beh, perché… non lo so… mi sembri così sperduto e infreddolito. Mi fa piacere aiutare gli altri. Tranquillo, non sarò presente mentre ti fai il bagno. La tua privacy è completamente rispettata- lo rassicurò, con un risolino nervoso.

La stella continuò ad avere un’espressione cupa, ma annuì, e seguì Franziska verso il bagno.

Più lo allontanava dall’uscita, meno occasioni avrebbe avuto la stella per provare a scappare. Non che avrebbe mai voluto scappare, ovviamente. Franziska l’avrebbe portato a letto, fatto rilassare, rimboccato le coperte e poi gli avrebbe preso il cuore senza troppi fronzoli. 

Oh, doveva sistemare il coltello, però. E nascondere il resto della sua magia per evitare che la stella la notasse. Approfittò del periodo di tempo che Miles passò nella vasca.

Che fu molto poco, bisogna dirlo.

Miles si sentiva piuttosto rinfrancato da quel calore, doveva ammetterlo. Non era mai stato così bene da quando era caduto, e anche la gamba gli faceva meno male.

Ma si sentiva anche estremamente vulnerabile, tutto solo in quella posizione comoda ma dalla quale era difficile scappare.

E poi, ora che i problemi del corpo erano svaniti, la sua mente iniziava a farsi mille paranoie.

Ma doveva ammettere di essere piuttosto stanco… e in pace.

Il suo corpo iniziò ad emettere una leggera luce, quasi impercettibile, che denotava il suo stato di calma conquistata con difficoltà.

Sospirò godendosi quella pace per qualche istante, e brillando più forte.

E poi si alzò immediatamente dalla vasca, mise l’accappatoio che la locandiera gli aveva lasciato, e dei suoi vecchi vestiti decise di tenere solo la collana che lo aveva strappato dal cielo. Non sapeva che valore avesse, e avrebbe solo voluto distruggerla, ma preferiva tenerla il più possibile per vendicarsi in qualche modo con lei o con chiunque l’avesse lanciata. Prese anche la bisaccia di Phoenix.

Poi aprì la porta lentamente, con l’intenzione di trovare una stanza vuota e nascondersi lì per il resto della notte, per stare sicuro, ma si trovò davanti il volto sorridente della locandiera, che iniziava a somigliare ad una maschera da film horror.

Non che i film horror fossero già stati inventati, ma voi capite il riferimento.

La luce di Miles si affievolì appena, e la stella si guardò intorno cercando una veloce uscita perché forse era meglio il freddo gelido della pioggia rispetto a quella presenza inquietante. Dopotutto, dopo il bagno, la gamba sembrava stare molto meglio. Abbastanza da permettergli uno sprint di salvezza verso l’esterno.

Ma non sembrava fattibile.

-Ha fatto presto. Com’è stato? Si sente meglio? Ho preparato una camera solo per lei. È la più lussuosa e confortevole della locanda- la donna lo prese per un braccio, con delicatezza, e iniziò a trascinarlo sempre più all’interno, sempre più lontano dall’uscita.

Questa gentilezza iniziava a puzzare non poco a Miles, che si scansò con uno strattone.

-Perché mai dovresti riservare la camera più confortevole e lussuosa ad un cliente con pochi soldi per pagare? Mi sembra una pessima scelta economica!- obiettò, guardandola con estremo sospetto.

Questo era troppo per i nervi di Franziska.

-Senti, amico, sono cose che si dicono! È ovvio che non è la più confortevole e lussuosa, sto solo cercando di vendere bene i miei servizi!- esclamò, perdendo la calma.

“Franziska! Non farlo sospettare!” gli arrivò il severo monito di suo padre.

-Cioè… se preferisce le riservo una suite molto peggiore. È nella stessa direzione!- cercò di tornare affabile, ma si rese presto conto che il suo sclero aveva fatto brillare più forte la stella, che aveva lo sguardo molto meno sospettoso.

-D’accordo, illustri la strada- decise di fidarsi

Perché il linguaggio poco gentile era molto più nelle suo corde rispetto la finta affabilità. Se una persona mostra il suo vero io in forma di irritazione, per Miles era più facile credere che non volesse ucciderlo, perché se avesse voluto ucciderlo sarebbe stata molto più brava a mantenere il sorriso e la gentilezza.

…non aveva fatto i conti con Franziska von Karma.

Ma, francamente, Franziska non aveva avuto intenzione di perdere le staffe, quindi il successo venne per puro caso.

Comunque portò Miles nella sua stanza, e lo fece accomodare sul letto.

-Come è stato il bagno, rinfrancante?- chiese, mentre fingeva di sistemare meglio la camera -Perdoni se sistemo ma non aspettavo ospiti e non ho avuto il tempo di preparare tutto- cercò di giustificarsi, cercando l’occasione migliore per usare il coltello e strappargli il cuore.

La stella era sdraiata sul letto, e fissava con attenzione ogni movimento della ragazza.

Si fidava un po’ di più, ma ancora non abbastanza per abbassare la guardia.

-Il bagno è stato accettabile. Non c’è bisogno di sistemare la camera, va bene così. E non credo di andare a dormire subito. Hai un libro che io possa leggere?- chiese, stando attento alla sua reazione.

Franziska ormai non ci provava neanche più a mantenere il sorriso. Aveva una smorfia sul viso e occhi vuoti. Non sapeva più che inventarsi per avvicinarsi abbastanza da ucciderlo senza turbarlo troppo.

Almeno stava brillando, un po’. Anche se i suoi capelli erano ancora piuttosto scuri.

Un momento… poteva approfittare di dargli il libro per accoltellarlo. Sì, era un’ottima idea. Bastava afferrare il coltello sotto al letto mentre glielo porgeva e… sì, l’avrebbe colto di sorpresa!

-Certamente- un po’ rinvigorita, Franziska iniziò a cercare un qualche libro da leggere, ma non ne trovava in giro.

Non aiutava che non fosse la vera proprietaria del posto.

Per fortuna riuscì a trovare un vecchio libro piuttosto malconcio che più che un libro sembrava il diario segreto del figlio dei proprietari. Ma vabbè, tanto la stella non avrebbe avuto il tempo di leggere neanche una riga prima di essere privato del cuore.

-Ecco qui…- si avvicinò piegandosi in modo da porgere il libro e prendere il coltello.

E a pochi secondi dall’ottenere il suo risultato…

La porta dell’ingresso iniziò a battere, furiosamente, seguita da alcune grida.

-C’è nessuno?! Cerchiamo riparo per la notte!- si sentì chiaramente una voce femminile e autoritaria.

Franziska si distrasse abbastanza da permettere alla stella di strapparle il libro di mano e rotolare via dalla sua portata, dall’altro lato del letto matrimoniale.

Forse però faceva ancora in tempo. Avrebbe tolto un po’ di brillantezza, ma poteva ancora…

-Non va ad aprire?- chiese la stella, diminuendo il suo brillio e indurendo lo sguardo.

-Beh… saremmo chiusi- provò ad obiettare Franziska.

La luce si affievolì ulteriormente.

-Per me hai fatto un’eccezione. E lì fuori c’è una donna- le fece notare Miles.

-Giusto… vado subito- ormai prossima ad una crisi di nervi, Franziska decise che non sarebbe stata affatto gentile. Avrebbe fatto accomodare la scocciatrice, l’avrebbe addormentata con un po’ di polvere di papavero, poi sarebbe tornata dritta filata dalla stella e l’avrebbe ammazzata senza se e senza ma, magari approfittando che fosse distratta a leggere gli scleri adolescenziali di un ragazzino irritante.

Aprì la porta della locanda prima che la donna la sfondasse, e si trovò davanti un volto stranamente familiare, che le provocò un nodo allo stomaco.

-Finalmente! Ci serve un posto dove stare la notte. Siamo in due, e ho dei cavalli che…- iniziò a spiegare, entrando senza fare complimenti.

-Cavalli sistemati! Sono molto amichevoli!- si fece strada il suo compagno di viaggio, un uomo più giovane dall’aria allegra e molto simile a lei. Un fratello, forse? Entrambi sembravano usciti da un incubo di Franziska, che non provò neanche a sorridere.

-Prego, entrate pure- disse distrattamente, cercando la polvere di papavero, che però aveva lasciato nella borsa vicino ai Kitaki che aveva addormentato e chiuso in cantina!

Maledizione! Pensava sarebbe stato molto più semplice!

“Ammazzali! Ammazzali subito e concludi il lavoro con la stella!” gli urlò il padre all’orecchio. Franziska strinse i denti. L’idea di uccidere quelle due persone non era tanto male, ma lei non era un’assassina. La stella non era altro che un oggetto, loro erano persone vere.

-Vado a prepararvi un bagno caldo… aspettate qui- mentì, dirigendosi in cantina per realizzare il piano originale di farli addormentare, e sistemandosi la bandana tra i capelli, dal quale uscì un ciuffo azzurro.

Mia lo notò, e si mise sull’attenti, ma non disse nulla, e aspettò che la palese strega fosse lontana.

Poi si rivolse al suo compagno di viaggio.

-Phoenix, hai detto che il tuo amico era in pericolo per colpa di una strega?- chiese, sottovoce, iniziando a guardarsi intorno e notando che il posto sembrava completamente vuoto.

-Sì… oh! La locandiera era una stre…?!- iniziò ad esclamare lui, preoccupato. Mia gli tappò la bocca con la mano per evitare che continuasse.

-È senz’altro una strega, ha i capelli colorati. Non so se il tuo amico è ancora vivo, ma ci conviene sbrigarci a cercarlo. Secondo le rune l’oggetto che cerco è qui- Mia osservò le rune tra le mani. Era nella tana del lupo, ma era ormai troppo vicina per tirarsi indietro e basta.

-Dividiamoci, sarà più veloce- disse poi la donna, asciugandosi al meglio i capelli e sistemandosi per la ricerca.

Phoenix sembrava piuttosto spaventato, ma annuì, dando prova di forte determinazione. 

-Che oggetto cerchi? Se lo trovo posso dartelo- si offrì. Mia scosse la testa. Non avrebbe neanche saputo come spiegargli come fosse un magatama, ed era chiaro che non lo avrebbe saputo riconoscere. Non avevano tempo da perdere in spiegazioni. E poi doveva dimostrare di meritare la corona. Non poteva affidare il proprio compito ad altri.

-Non preoccuparti, tu pensa a cercare il tuo amico- gli sorrise, incoraggiandolo a procedere per primo.

-Okay… buona fortuna, ci rivediamo qui- la salutò Phoenix, accennando un sorrisino un po’ intimorito, prima di salire le scale in tutta fretta.

Mia rimase nel piano terra, e iniziò a guardarsi intorno, Pensò a quale potesse essere l’ubicazione più ovvia per il magatama.

Le rune l’avevano informata che si era mosso fino a quel momento, quindi doveva averlo qualcuno, o essere finito in qualche scatola di merci. Considerando che si era fermato da poco, e non sembravano essere trasportate merci in quel posto da parecchio, sicuramente era indosso a qualcuno, magari qualcuno che non conosceva il suo potere.

Doveva pensare fuori dagli schemi. Perché mai qualcuno avrebbe dovuto voler tenere un ciondolo della famiglia reale? Phoenix, ignaro di cosa fosse? No, aveva già chiesto alle rune. Qualche ospite? Non sembrava esserci nessuno alla locanda.

Le soluzioni erano due: l’amico di Phoenix, che però non aveva motivo di avere un ciondolo del genere; o la strega.

Tirando un profondo respiro preparatorio, Mia si preparò ad affrontare la strega, e si diresse nella direzione nella quale era sparita.

Forse era tutto un enorme malinteso, forse poteva parlarle, e farsi consegnare il gioiello. Mia era favorevole a cambiare le leggi contro gli incantatori, sperava davvero di riuscire a trovare un punto d’incontro.

Si diresse verso la cantina.

E nessuno può dire cosa sia successo lì, almeno non per il momento.

Posso solo dirvi che solo una delle due donne uscirà viva da quella cantina.

 

Nel frattempo, Miles si era reso conto che qualcosa non andava nel momento in cui aveva letto, nel suo libro, una serie infinita di parolacce e una scrittura a dir poco barbara. Quello era palesemente un diario.

E chiunque considerasse una lettura del genere degna di un ospite, non era affatto una locandiera decente, né una persona affidabile.

Si alzò dal letto, posò il diario sul comodino, e iniziò a guardarsi intorno in cerca di una lettura più appropriata.

Quando sotto al letto trovò un coltello da macellaio fatto di vetro, essenziale per i riti di rimozione cuori, si rese conto che l’affidabilità della locandiera in quanto locandiera era l’ultimo dei suoi problemi.

Lo fissò qualche istante, poi prese la bisaccia, infilò in fretta le scarpe, e corse il più velocemente possibile fuori dalla stanza, preoccupato per la propria vita.

Ecco, lo sapeva che non poteva fidarsi di nessuno, in quel mondo! 

La prima persona che aveva incontrato lo voleva regalare alla propria fidanzata, e la seconda che incontrava gli voleva direttamente strappare il cuore dal petto.

La terza persona che avrebbe incontrato che avrebbe voluto fare, torturarlo per giorni fino alla sua morte?

Mentre Miles aveva quel pensiero, per poco non andò a sbattere con tale terza persona, che si rivelò essere la prima che aveva incontrato, e l’ultima che avrebbe voluto rivedere, forse addirittura dopo la strega che lo stava per uccidere.

-Oh stelle del cielo!- esclamò, ritirandosi immediatamente.

-Miles! Ti ho cercato dappertutto!- lo accolse invece Phoenix, stringendolo in un abbraccio che Miles, poco esperto di contatto fisico umano, prese per un tentativo di soffocarlo o di non farlo scappare via.

-Te la restituisco la bisaccia, ma è colpa tua che l’hai lasciata con me, non ti dovresti fidare degli sconosciuti!- Miles si liberò dalla sua presa, e gli lanciò contro la borsa che gli aveva ruba… preso in prestito come diversivo per riuscire a scappare.

Era meglio la strega rispetto a Phoenix Wright.

Almeno sarebbe morto rapidamente e non avrebbe dovuto sorbirsi altre ore di chiacchiere sulla perfetta, dolcissima, gentilissima e bellissima Dahlia.

Phoenix afferrò la bisaccia al volo, confuso.

-Cosa? Che centra? Non c’è tempo per parlare, una strega vuole rubarti il cuore!- mise la borsa a tracolla, e prese Miles per il polso, prima che lui riuscisse a scappare.

-E tu vuoi facilitarle il compito?!- lo accusò Miles, liberandosi con uno strattone dalla presa -Non toccarmi!- aggiunse poi, mettendo in chiaro il proprio spazio personale. 

-Scusa, hai ragione, ma… aspetta, come “facilitarle il compito”?! No! Siamo qui per salvarti!- spiegò Phoenix, saltellando sul posto e guardandosi intorno nella fretta di andare via, ma allo stesso tempo non osando riprendere Miles per il polso.

-Siete? Tu e chi?- chiese Miles, sorpreso e sempre più confuso.

Che ne sapeva, Phoenix Wright, della strega? Come lo aveva trovato? Chi aveva incontrato nel tragitto? Erano passate poche ore, e a Miles sembrava di essersi perso un pezzo gigantesco.

Un momento… non poteva avere incontrato Dahlia, vero? Se Phoenix era sdolcinato parlando di lei, Miles non voleva neanche immaginare quanto fastidiosa potesse essere parlando CON lei.

Meglio la morte, decisamente.

-Io e Mia Fey, è una donna in gamba!- spiegò Phoenix. Miles tirò un sospiro di sollievo. Conosceva Mia Fey, l’aveva osservata dal cielo ed era una delle poche persone sulla terra di cui pensava di potersi fidare, seconda solo al Samurai d’Acciaio. Non che fosse molto interessato alle famiglie reali di Kurain, ma persino lui sapeva che le Fey erano delle brave ragazze interessate solo al benessere del proprio popolo e non al potere. Anche se purtroppo non tutti i membri di quella famiglia erano allo stesso livello.

Anche se… considerando che Mia si era associata a Phoenix Wright, forse non era poi così degna di fiducia.

Miles si chiese se buttarsi dalla finestra fosse pericoloso quanto si vedesse dal cielo, ma Phoenix aveva altro da dire. 

-Gregory mi ha detto che possiamo fidarci di lei. Dobbiamo solo ritrovarla, salire in carrozza e andarcene in fretta da qui, prima che la strega torni!- Phoenix decise che non aveva più tempo di aspettare il suo compagno di viaggio se voleva salvargli la vita, e lo avvolse con il manico della bisaccia, iniziando a trascinarlo dolcemente verso l’ingresso. Fu gentile a non toccarlo direttamente. Non tanto a trascinarlo.

Ma Miles era troppo congelato per obiettare.

-G_Gregory?- chiese, in un sussurro. Era pallido, e la luce che si era estinta nel vedere Phoenix, aveva iniziato a sfarfallare, denotando la sua confusione e il suo shock.

-Poi ti spiego tutto, ma prima dobbiamo andarcene da qui. Sappi solo che hai un angelo custode- Phoenix smise di dare informazioni proprio quando Miles si era deciso ad ascoltarlo, e approfittò della improvvisa compiacenza di Miles per spingerlo giù per le scale. Raggiunsero senza intoppi la porta d’ingresso.

-Come… come sai di mio…?- iniziò a sussurrare Miles, ormai schiavo degli eventi che si susseguivano senza che lui avesse alcun controllo su di essi.

Venne interrotto prima che potesse finire la frase dalla seconda voce che non voleva sentire in quel momento (la prima sempre quella di Phoenix).

-Non penserai mica di andare via senza pagare, vero?- chiese la locandiera, in tono zuccheroso.

Ormai la bandana era completamente scomposta, lasciando intravedere i suoi capelli azzurri, e il sorriso che ancora provava a mantenere era una smorfia davvero sgradevole.

-Sta lontana da lui! Non gli strapperai il cuore!- esclamò Phoenix, mettendosi davanti a Miles e proteggendolo con il proprio corpo. La voce tremante tradiva le sue parole sicure, ma Miles si accese appena sentendosi protetto con una tale sicurezza… circa.

Il sorriso della strega si spense.

-Io ci ho provato a farti rilassare almeno un po’, far brillare il tuo piccolo fastidioso cuore, ma mi sono seriamente stancata. Meglio una roccia piuttosto che niente!- abbandonò ogni maschera, tolse del tutto la bandana, e sollevò la mano come se stesse evocando qualcosa.

-Perché vuoi strappargli il cuore? Che ci potrai mai fare con il cuore di una persona?!- provò a chiedere Phoenix, indietreggiando e dirigendosi verso il camino. Miles si fece trascinare, senza sapere cosa fare. Non vedeva vie d’uscita.

E se Phoenix non sapeva nulla del potere del cuore di una stella, era in procinto di scoprirlo, e sicuramente avrebbe smesso di aiutarlo.

Miles era sicuramente spacciato.

-Tsk, non è una persona. Non è nient’altro che un oggetto che devo recapitare a mio padre. Un oggetto piuttosto potente, e non ti compete conoscerne la potenza. Se non vuoi finire nel raggio d’azione, ti conviene farti da parte, idiota!- rispose la strega. Nella mano che aveva sollevato, arrivò il coltello che Miles aveva scoperto in camera.

Uffa, non era giusto che avesse poteri telecinetici!

Phoenix sobbalzò, ma non si mosse.

-Su, cerchiamo di calmarci. Sono certo che ci siano altri modi per ottenere oggetti magici che non siano uccidere qualcuno, persona o essere magico che sia!- continuò a provare a ragionare.

-Sono una von Karma! E una von Karma porta sempre a compimento la missione nella maniera ottimale!- la strega si avvicinò, sollevando il coltello con aria minacciosa -Quindi se non vuoi fare la fine della tua amica, spostati e lasciami fare il mio lavoro!- lo minacciò, con occhi che mandavano scintille.

Phoenix impallidì.

-Che hai fatto a Mia?- chiese, in un sussurro terrorizzato.

-Niente di buono! Spostati! È l’ultimo avvertimento!- ormai la strega era a meno di un metro.

-Miles…- Phoenix si voltò verso l’uomo che stava proteggendo. Avevano indietreggiato troppo, e se osavano un altro passo sarebbero finiti dentro al camino. Miles era convinto che l’idiota innamorato l’avrebbe lasciato al suo destino per avere salva la vita, ma rimase piuttosto sorpreso quando vide la determinazione nei suoi occhi bicromatici -…stringiti forte a me e pensa a papà- gli sussurrò.

-Papà?- chiese Miles, sorpreso e confuso, ma facendo come richiesto, e afferrando Phoenix per le spalle.

-Cosa stai…?- sentì la strega urlare, preoccupata, facendo uno sprint finale verso di loro con il coltello sollevato. Gli sembrò di vedere un oggetto nero nella mano di Phoenix, che portò verso il fuoco del camino.

Poi un lampo di luce illuminò la sua intera visione, e si sentì sbalzare via, come quando era caduto dal cielo.

Il cielo… suo padre… i suoi pensieri erano confusi.

Ma, almeno per il momento, fu certo di essere salvo.

 

A non essere salva era Franziska, che non aveva raggiunto i due in tempo e nella forza della candela di Babilonia attivata era stata sbalzata in un angolo e aveva battuto la testa, svenendo per l’impatto.

Ed era ancora svenuta, così come tutte le persone nella locanda, quando un giovane uomo dell’età di Phoenix giunse all’interno, senza neanche provare a bussare, e intascando le rune magiche che l’avevano portato fino a lì.

Aveva lunghi capelli biondi tenuti in una treccia e occhiali che gli davano l’aspetto di un anime villain, dato che a volte coprivano i suoi occhi e facevano comparire solo un inquietante riflesso.

Era vestito da pirata, con gioielli, cappello da capitano, e spada affilata, che però non tirò ancora fuori. Preferì guardarsi intorno incuriosito, e cercare in giro.

Passò oltre la strega addormentata, intascando il coltello che aveva in mano, e controllò ogni stanza, rubando qualche gioiello e segnando delle informazioni su una pergamena.

Poi giunse alla cantina, dove una donna era inerte nel terreno, e sorrise tra sé.

-Eccoti qui, principessina- commentò, anche se la donna era più grande di lui -Tua zia sarà molto contenta della notizia- annuì poi, segnando un’altra informazione su un foglio e facendo il lavoro per il quale la futura regina l’aveva pagato.

Non era male avere conoscenze dall’alto, anche per un pirata mercenario potente come Kristoph Gavin.

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Capitolo 5
*** Nuovi incontri ***


Nuovi incontri  

 

La prima cosa che Phoenix registrò, quando si stabilizzò del tutto dopo essere stato trasportato via con la candela di Babilonia, fu che era vivo. Una grande consolazione. 

La seconda cosa fu che era estremamente buio.

La terza che era completamente fradicio.

La quarta fu un urlo irritato proveniente da dietro di lui.

-Ma si può sapere dove ci hai portato?!- gridò Miles prendendolo per le spalle e iniziando a smuoverlo.

E a quel punto Phoenix si rese conto che era in piedi su una nuvola, nel mezzo del cielo in tempesta.

Non esattamente il luogo più sicuro dove portare qualcuno per salvargli la vita, ma a sua discolpa, non era lì che Phoenix voleva trasportare lui e Miles.

-Pensavo saremmo andati da mio padre! Oh no! Significa che è morto ed è andato in cielo, per questo siamo qui?- Phoenix iniziò a disperarsi, guardandosi intorno alla ricerca di un’altra figura nella notte. I suoi occhi iniziavano ad abituarsi all’oscurità illuminata solo da uno spicchio di luna che filtrava dalle nuvole sopra di loro, e dai lampi che ogni tanto squarciavano il cielo. Però non sembrava esserci nessun altro oltre a loro.

-Tuo… TUO padre?! È a lui che volevi che pensassi?!- la voce di Miles si alzò di un’ottava. Phoenix lo guardò confuso.

-Certo, a chi altri...?- iniziò ad alzare la voce a sua volta, più mosso dal panico che per rabbia.

-Hai detto di pensare a papà. È ovvio che ho pensato al mio! Che razza di messaggio criptato è?!- spiegò Miles.

Phoenix cadde dalle nuvole… non letteralmente.

-Tu hai un padre?! Aspetta, ma quindi se io ho pensato al mio, e tu hai pensato al tuo…- iniziò a fare due più due.

-Siamo a metà strada tra la terra e il cielo! In poche parole, mi hai salvato la vita per farmi morire cinque minuti dopo!- Miles concluse per lui.

E Phoenix iniziò finalmente ad irritarsi

-Oh, scusami vostra maestà se ho tentato di salvarti la vita! Mi sembrava ovvio stessi parlando di mio padre! Non pensavo che tu ne avessi uno!- si difese. Dopotutto gli aveva salvato la vita, e Miles non era per niente riconoscente. Avrebbe potuto benissimo lasciarlo a morire e farsi i fatti propri. Non era il suo scopo della vita essere preso di mira da una strega assassina.

-Sei tu ad averlo nominato per primo! Pensavo ti riferissi a lui!- obiettò Miles.

-Nominato? Io non ho mai nominato…- Phoenix capiva sempre meno.

La loro gara di urli fu interrotta quando vennero afferrati da una rete, e trascinati giù dalla nuvola.

Per un momento, Phoenix si sentì completamente senza peso, mentre cadeva di nuovo nel vuoto.

E gli venne quasi spontaneo cercare un contatto con Miles e stringerlo a sé.

Poi i suoi piedi, o meglio, le sue ginocchia, sentirono nuovamente qualcosa di solido, ben più solido delle nuvole dove poco prima era in equilibrio precario.

E si rese conto di essere praticamente abbracciato a Miles, che però non stava facendo nessun tentativo per liberarsi, e si guardava intorno preoccupato.

Phoenix fece altrettanto, per quanto movimento gli permettesse la rete che lo teneva fermo a terra.

E notò parecchie figure in minacciosi mantelli neri circondarli con spade sguainate e capelli colorati che spuntavano dai cappucci.

-Capitano, abbiamo trovato due uomini in mezzo alle nuvole- una delle figure mascherate, che dalla voce sembrava un ragazzino con dei polmoni d’acciaio, chiamò una figura alle spalle di Phoenix, che non riusciva in nessun modo a guardare.

-Due uomini in mezzo alle nuvole. Questo sì che è strano- commentò una voce sicura di sé, avvicinandosi ai due catturati, e piegandosi verso di loro.

Era buio, quindi i suoi tratti non erano molto chiari, ma sembrava piuttosto giovane, e aveva un sorrisino che non prometteva nulla di buono.

A differenza degli altri, non indossava il cappuccio, ma un cappello da pirata, e i suoi capelli biondi erano raccolti in una treccia.

-G_Gavin…- sussurrò Miles, spaventato. Così piano che solo Phoenix riuscì a sentirlo, per fortuna.

-Legateli nella stiva. Abbiamo del lavoro da fare, e non possiamo permetterci dei ficcanaso- ordinò il capitano, dopo averli osservati qualche secondo.

Phoenix non sapeva come obiettare e salvarsi, quindi si lasciò trascinare di sotto, dove venne legato ad una sedia insieme a Miles

-Dalla padella alla brace- borbottò Miles, sospirando rassegnato alla sua sorte.

Phoenix iniziò seriamente a pentirsi di aver cominciato quell’avventura.

 

Franziska si svegliò con un forte mal di testa.

La voce furente di suo padre all’orecchio non l’aiutò affatto a stabilizzarsi, e ci mancò poco che si togliesse l’orecchino e lo gettasse nel fuoco ancora semiacceso davanti a lei.

Un momento…

Il fuoco.

La stella!

Si mise a sedere di scatto, provocandosi ulteriore mal di testa, e si guardò intorno mettendo in ordine nella sua testa cosa fosse successo.

Si era occupata della donna dai capelli castani, ma il suo compagno si era messo a difesa della stella. Lei aveva bloccato loro la strada, aveva sollevato il coltello, e… e poi?

Erano spariti nel nulla? 

Ma come era possibile?!

Le stelle non avevano quel tipo di potere, e l’altro tizio sembrava un idiota totale, completamente privo di abilità o magia.

Non aveva capelli colorati.

E in generale nessuno riusciva a teletrasportarsi, neanche suo padre.

L’unico modo era usando una candela di babilonia, ma non era possibile che…

-Maledizione!- si lamentò Franziska, furiosa per essersi lasciata scappare una tale occasione.

“Ah, finalmente ti sei svegliata! Hai lasciato scappare la stella! Come hai potuto lasciartela scappare e svenire così!” si lamentò suo padre, finalmente sentendo un suo feedback sonoro.

Franziska lo ignorò, e si guardò intorno in cerca del coltello magico che le sarebbe servito per strappare il cuore della stella in maniera pulita e ordinata, ma non lo trovò da nessuna parte.

Non poteva essersi rotto o essere sparito. Doveva pur essere da qualche parte.

Si alzò con una certa difficoltà e iniziò a guardarsi intorno.

Dei singhiozzi provenienti dalla cantina attirarono la sua attenzione. Era dove aveva lasciato sia i Kitaki che la donna castana.

Oltre che tutte le sue cose, che doveva necessariamente recuperare.

Probabilmente a quel punto i Kitaki si erano svegliati, e forse erano disperati della situazione nella quale Franziska li aveva messi.

Per fortuna aveva fatto in modo che non ricordassero che era stata lei ad addormentarli, quindi poteva andare in cantina senza temere ripercussioni e fingere di essere solo una confusa ospite incappata nella loro stessa sorte.

Si avviò, curandosi di sembrare acciaccata per vendere meglio la sua innocenza, anche se le costava parecchio fingersi debole e in difficoltà.

Lei era una strega incredibile, dopotutto, la migliore dopo il grande Manfred von Karma!

Una volta giunta nella cantina, però, rimase sorpresa nel notare che i Kitaki fossero ancora addormentati.

E a singhiozzare, accanto al corpo della donna dai capelli castani, era una ragazza di circa la sua età, con folti capelli neri e abiti piuttosto eleganti nonostante fossero coperti dal cappuccio.

Franziska era certa di non averla mai vista, perché una ragazza del genere l’avrebbe ricordata.

Cioè, nel senso che non era una cliente dell’albergo che aveva addormentato, quindi era una esterna giunta dopo che lei stessa era svenuta.

Forse era stata quella giovane a rubarle il coltello magico.

Prima che Franziska potesse decidere il da farsi, e propendeva verso il ritirarsi e aspettare che la ragazza se ne andasse prima di continuare, tale ragazza sembrò accorgersi della sua presenza, e con riflessi insospettabili, si girò tirando fuori una spada dal nulla, che puntò alla gola di Franziska.

Wow…

Ehm, cioè, Wo! Come osava quella pezzente puntare una spada contro la grande Franziska von Karma!

“Uccidila!” le arrivò all’orecchio.

Franziska ignorò i soliti e banali suggerimenti di suo padre, anche perché era piuttosto difficile al momento uccidere una persona che le puntava una spada alla gola.

Anche se, beh, forse sarebbe stato essere meno difficile di quanto sembrasse, perché la ragazza aveva gli occhi intrisi di lacrime, e le mani leggermente tremanti.

I suoi tratti somatici erano familiare a Franziska come lo erano stati quelli della ragazza dai capelli castani e il suo compare dai capelli a punta, ma a differenza di questi ultimi, Franziska non sentì repulsione, guardando la ragazza davanti a lei, ma fascino.

Era davvero affascinante.

Ehm, cioè… pericolosa!

Ugh, era il mal di testa a confonderle i pensieri!

-Cosa è successo qui? Parla, strega!- le ordinò la ragazza, con voce sorprendentemente ferma.

Franziska decise di fare la parte dell’innocente vittima.

-I_io non lo so! Mi sono fermata in questa locanda, e volevo passare la notte qui, quando all’improvviso mi sono addormentata. Credo che qualcuno mi abbia fatto un incantesimo, ma sono davvero confusa. Mi sono appena risvegliata. Ho sentito dei singhiozzi e mi sono diretta qui per assicurarmi che nessuno si stesse facendo male- mentì, in tono angelico, mostrandosi molto più inerme di quanto non fosse.

Sarebbe stato facile prendere la sua frusta e disarmare la ragazza. Ancora più semplice mettere fuori gioco anche lei come sua sorella.

Ma non poteva fare gesti avventati.

I Kitaki, dopotutto, stavano per svegliarsi, e sebbene fossero maghi minori, erano in tre.

Uniti alla ragazza, che emanava un forte potere spirituale, sarebbero stati quattro contro una.

E sì, Franziska avrebbe potuto senza problemi metterli fuori gioco e scappare, ma aveva ancora un forte mal di testa, e poi poteva usare la situazione a suo vantaggio, in qualche modo.

La donna castana era un’incognita pericolosa, ma aveva ancora abbastanza tempo prima che si svegliasse.

-Elabora più chiaramente, qual è l’ultima cosa che ricordi?- insistette la ragazza, puntandole maggiormente la spada al collo.

-Io… ecco ricordo un…- Franziska cercò di elaborare una strategia su due piedi, ma si interruppe quando notò la donna addormentata alle spalle della ragazza dai capelli neri.

Perché non era più addormentata.

Era morta.

Nonostante la distanza, era impossibile sbagliarsi.

Ma non aveva senso.

Franziska era certa di averla solo fatta addormentare. Non l’aveva uccisa.

Lei non aveva mai ucciso nessuno in vita sua.

L’orrore sul suo volto doveva essere evidente, perché la ragazza abbassò appena la spada.

-Era mia sorella- spiegò, con voce spezzata, cercando invano di trattenere le lacrime -E non mi fermerò finché non avrò scoperto cosa le è successo! Quindi parla!- le ordinò poi, indurendo il tono e lo sguardo.

Franziska restò in silenzio parecchi secondi, elaborando una possibile strategia.

Non aveva la più pallida idea di cosa fosse successo dopo essere svenuta, e non poteva dare risposte, ma forse, ora che l’unica persona che l’aveva vista usare i suoi poteri era morta, aveva molte più probabilità di sfruttare la situazione a suo vantaggio.

-Un uomo…- sussurrò, elaborando in fretta una nuova strategia -O forse erano due… non ho visto bene. Ma ho visto che uno aveva i capelli neri, tenuti all’indietro. Appuntiti. L’ho visto di sfuggita, ma credo sia stato lui a colpire tutti quanti- decise di indirizzare la rabbia di quella giovane ragazza verso un suo nemico. Chissà, magari poteva aggregarsi a lei e avere un’alleata per un po’, per trovare in fretta la stella e poi scappare in tutta fretta mentre gli altri due si scannavano.

-Come ha fatto ad addormentare l’intero ostello se non era uno stregone?- osservò la ragazza, lanciando un’occhiata ai Kitaki ancora dormienti, che però iniziavano a muoversi appena.

-Forse era un mago minore, come loro… non lo so. Riferisco solo ciò che ho visto. E poi… posso avvicinarmi?- Franziska indicò la defunta sorella della ragazza davanti a lei, e fece per piegarsi su di lei.

La ragazza la fece fare, pur tenendo la spada puntata fermamente.

Franziska si inginocchiò accanto al corpo, cercando un qualche indizio su cosa fosse successo dopo che l’aveva addormentata.

Il mistero della donna uccisa era un mistero anche per lei, dopotutto, e aveva tutta l’intenzione di capirci qualcosa.

-Il coltello…- sussurrò, molto tra sé, riconoscendo le tracce del proprio coltello magico. Chiunque avesse ucciso la donna era anche la persona che le aveva rubato il coltello.

-Cosa?- indagò la ragazza, sporgendosi verso Franziska, sospettosa.

-È stato usato un coltello magico per strapparle il cuore. La persona che ha ucciso tua sorella deve essere molto potente e piena di risorse e sicuramente è anche un uomo e molto vecchio, perché nessuna giovane ragazza inerme come me potrebbe mai avere accesso ad un’arma di questo tipo- affermò con sicurezza, sperando di essersi eretta un buon alibi.

-Morgan… deve aver assunto un potente sicario- borbottò la ragazza, bevendosi la sua storia, e abbassando l’arma.

-Grazie di avermi rivelato le tue informazioni- accennò un leggero sorriso verso Franziska, gli occhi ancora velati di lacrime, e si piegò verso la sorella per offrirle un ultimo saluto.

Franziska fu davvero sorpresa che si fidasse così facilmente. Era una strega, dopotutto. Nessuno si fidava degli stregoni. 

“Ora che ha abbassato l’arma, uccidila!” le suggerì suo padre all’orecchio.

Franziska aveva un’idea migliore.

-Posso venire con te, ed aiutarti a vendicare tua sorella- si offrì, sperando di ottenere due piccioni con una fava. 

Uno scudo umano da usare in caso di bisogno, e un’alleata contro la stella e quello stupido che provava ad aiutarla pensando fosse umana.

“Che stai facendo! Non puoi fidarti di lei!” esclamò suo padre, sconsigliandole l’accordo.

Se per questo neanche lei poteva fidarsi di Franziska, ma sembrava che al momento avesse messo da parte le ostilità.

E poi era una ragazza davvero carina… ehm, cioè… sembrava figa… nel senso che era tosta! 

E determinata.

Franziska poteva lavorare con una persona come lei.

-Perché mai vorresti aiutarmi?- chiese la ragazza, adocchiando nuovamente Franziska con sospetto.

Forse era rischioso aggregarsi a lei, in effetti, ma era una strategia troppo buona per lasciarla perdere subito.

-So che significa perdere un membro della tua famiglia. I miei genitori sono stati uccisi quando ero molto piccola, vittime della distruzione dell’intero mio villaggio. So cosa significa desiderare giustizia e lottare per ottenerla- si ritrovò a rivelare un evento del suo passato che aveva tentato di superare, ma che ancora le faceva ribollire il sangue nelle vene al pensiero.

Era troppo piccola per ricordare i dettagli, ma sapeva che se non fosse stato per il suo padre adottivo, che l’aveva salvata dalle macerie in fiamme della sua vecchia casa, avrebbe fatto la stessa fine dei suoi genitori.

Tutto a causa della famiglia reale dei Fey. 

Dopo aver ottenuto la stella e averla consegnata a suo padre, facendogli recuperare giovinezza ed energie, Franziska sarebbe andata al palazzo, e avrebbe ottenuto la sua vendetta.

-Anche mio padre è morto quando ero piccola, e mia madre è scomparsa anni fa. Avevo solo mia sorella, e la mia cuginetta, e ora…- la ragazza stava facendo di tutto per restare forte, ma era chiaro che la morte di sua sorella stava davvero spezzando il suo spirito.

Franziska poteva usare il suo stato emotivo a suo vantaggio.

-Permettimi di venire con te e aiutarti. Anche io ho un conto da regolare con quell’uomo, e se lo dovessi incontrare sono sicura che riuscirei a riconoscerlo- e probabilmente avrebbe perpetuato il suo primo omicidio se avesse rivisto quella testa di porcospino.

-D’accordo. Due mani in più fanno comodo. Mi chiamo Maya- la ragazza si presentò, offrendo la mano.

Era la prima volta che Franziska veniva trattata con tale tranquillità, senza che il suo stato di strega la rendesse inaffidabile di default.

Maya era una sciocca.

…ma era anche una sensazione piacevole.

-Franziska- si presentò a sua volta, stringendole la mano.

Quest’alleanza si sarebbe rivelata davvero interessante.

 

Phoenix e Miles erano stati legati a delle sedie ed erano stati abbandonati nella stiva, senza avere la minima idea di come se la sarebbero cavata.

Phoenix non era mai stato esperto di corde, ma stava comunque tentando di liberarsi in qualche modo.

-Lascia stare- gli consigliò Miles, che al contrario aveva un tono rassegnato alla morte imminente.

Phoenix non aveva intenzione di rassegnarsi. Doveva credere di sopravvivere, e tornare a casa, da sua madre. E poi doveva ancora trovare suo padre! E aveva promesso a Gregory che avrebbe aiutato Miles, non che l’avrebbe trasportato in guai ancora maggiori.

Oh, e poi doveva tornare dalla sua Dollie e sposarla.

Per un secondo, l’amore che provava per la giovane era passato in secondo piano.

Ma Phoenix era troppo concentrato sullo scappare per rendersi conto della sua dimenticanza.

-Ce la sto facendo, ancora qualche sforzo e avrò un braccio libero. E poi l’altro, e poi mi libererò le gambe, e libererò anche te, e scapperemo!- illustrò il suo piano geniale ad un disilluso Miles, che sospirò, scuotendo la testa.

-E poi, una volta liberi dalle corde, come pensi di scappare, da una nave nell’alto del cielo? Volando? Sai volare?- Miles gli ruppe i sogni con una squintalata di sana realtà, bloccando il movimento liberatorio di Phoenix.

-No, non so volare, ma un modo troveremo. Dobbiamo solo improvvisare. Potremo costruire un paracadute, o qualcosa del genere. Magari usando delle vele- provò a suggerire Phoenix, che non era un tipo che rifletteva molto prima di fare le cose, ma allo stesso tempo aveva la mente sempre in movimento e pronta ad improvvisare.

-E come pensi di rubare una vela senza che nessuno se ne accorga? Siamo su una nave di pirati armati fino ai denti, molti dei quali, probabilmente non l’hai notato, sono stregoni- gli fece notare Miles, abbattuto.

-Sì, ho notato i capelli colorati. Qualche cosa di questo mondo l’ho imparata grazie a Mia. Chissà come sta. Spero che la strega non le abbia fatto del male- Phoenix sospirò tristemente pensando alla sua compagna di avventura dalla quale si era tristemente dovuto separare, senza sapere purtroppo la sua triste sorte.

-Non terrei le mie speranze molto alte. Gli stregoni sono senza principi e soprattutto senza cuore. Per questo rubano quello delle stelle- obiettò Miles, sempre molto incoraggiante.

-Miles, smettila! Inizi a farmi spaventare per la mia sorte- si lamentò Phoenix, guardandosi intorno preoccupato che potessero spuntare fuori pirati magici armati fino ai denti e senza cuore dai muri della nave tipo Pirati dei Caraibi. Non che Phoenix conoscesse Pirati dei Caraibi perché, ricordiamolo, non esistevano i film. Ma voi capite il concetto.

-Devi essere spaventato per la tua sorte. Questa è la nave di Kristoph Gavin, il più pericoloso mercenario del cielo, che fa parecchi crimini anche sulla terra. È crudele, senza scrupoli, e rapisce e schiavizza gli stregoni per farli lavorare sotto di lui, sfruttando i loro poteri per arricchirsi, fare razzie e uccidere chiunque gli si pari davanti. Una volta scoperto che io sono una stella mi ruberà il cuore e lo terrà per sé, o lo rivenderà al miglior offerente, e tu sei già praticamente morto- Miles spiegò, in modo molto melodrammatico, il futuro che li attendeva.

-Sembra un tipo pericoloso… un ulteriore motivo per scappare il prima possibile- Phoenix però non voleva darsi per vinto, anche se la mano che cercava di liberare iniziava a tremare.

-Io non ho mai voluto cadere dal cielo. Non è colpa mia se una collana mi è arrivata addosso. Volevo solo continuare ad osservare gli umani con distacco, senza restare coinvolto in alcun modo- la voce rassegnata di Miles si colorò di una nota disperata, e Phoenix si accorse che non era solo pessimista, era effettivamente privo di speranza, ormai, e aveva paura del futuro che considerava inevitabile.

Il garzone si sentì in colpa.

E iniziò a perdere le speranze a sua volta.

Dopotutto, cosa poteva fare, effettivamente, per uscire da quella situazione?!

Aveva cercato di aiutarlo, e aveva finito solo per peggiorare le cose.

Smise di lottare, e abbassò la testa.

-Mi dispiace, Miles. Mi dispiace di averti trascinato in questo stupido viaggio per accontentare la mia ragazza. Non avevo idea che fosse così pericoloso. Fino a qualche giorno fa non avevo idea che esistessero i pirati volanti, le streghe e la magia. Direi che sono il peggior compagno di viaggio e salvatore che potessi ritrovarti- si scusò per averli trascinati in quel disastro. Avrebbe dovuto essere più attento, più reattivo, o dare informazioni più chiare circa il luogo che voleva raggiungere con la candela di Babilonia.

Qualche secondo di silenzio seguì la dichiarazione di Phoenix, prima che Miles lo rompesse.

-Se ti può consolare, neanche io sono granché come compagno di viaggio- ammise, sottovoce, prendendosi le sue colpe e iniziando ad aprirsi appena a Phoenix -Pensi che la strega sia stata il mio karma per averti rubato la bisaccia e lasciato a te stesso?- aggiunse poi, sospirando rassegnato.

-No, non karma… von Karma- scherzò Phoenix, cercando di stemperare appena la tensione, e ricordando il nome che lei aveva detto mentre affermava di essere potente e indistruttibile.

Brrr, era spaventosa.

-…Ti odio- borbottò Miles a denti stretti, rabbrividendo a quella freddura.

Phoenix tornò serio.

-Sei scusato, dai. Sei appena caduto dal cielo, non devi avere grandi abilità di viaggi a piedi e correttezza umana- spezzò una lancia a suo favore, scegliendo di perdonare e dimenticare il fatto che lo aveva abbandonato nonostante avessero un accordo.

-Ma so che non si ruba, e non si infrangono le promesse. Dovrei ringraziarti per aver cercato di salvarmi la vita nonostante i rischi e nonostante il mio pessimo comportamento- Miles però era deciso a scusarsi. Avrebbe dovuto restare fedele ai suoi principi e non farsi guidare dall’irritazione e dall’istinto. Suo padre l’aveva educato meglio di così.

-Era la cosa giusta da fare. E poi non potevo deludere Gregory- Phoenix sorrise, ripensando a quel gentile fantasma che lo aveva guidato. Se era riuscito ad arrivare alla locanda era tutto merito suo. 

-Come… come sai quel nome?- chiese Miles, incerto, senza sapere se volesse conoscere davvero la risposta a tale domanda.

Phoenix non recepì l’incertezza nel suo tono.

-Oh, giusto, non te l’ho detto. Evidentemente ho una qualche sorta di potere spirituale, e quando tocco la spilla di mio padre questo potere viene ampliato, e sono riuscito a parlare con un fantasma, credo, di nome Gregory. È lui che mi ha detto come trovarti, e che eri in pericolo. Veglia su di te, e mi ha detto di darti un bacio da parte sua. Conosci un certo Gregory?- ricordandosi di non averne mai parlato a Miles se non a grandi linee, Phoenix spiegò il suo breve ma fondamentale incontro, e recapitò al suo compagno di viaggio il messaggio del fantasma, che doveva tenere davvero molto a lui.

Ci furono parecchi secondi di silenzio.

Miles non sapeva come prendere le parole che gli erano appena state dette.

Un lato di lui gli urlava di non credergli, che probabilmente Phoenix stava mettendo su tutto quel teatrino per manipolarlo e convincerlo a fidarsi di lui usando il nome di suo padre. 

Ma un’altra parte, un lato speranzoso e ottimista che non credeva di avere più, gli suggeriva che poteva aprirsi a lui. Che era davvero onesto e trasparente come appariva.

E alla fine, nonostante la logica gli avesse sempre detto di non fidarsi di nessuno, decise che con Phoenix poteva farlo.

Aveva sfidato la pioggia, una strega, e sembrava disposto ad affrontare anche i pirati per aiutarlo. Non poteva essere un trucco o una manipolazione. Gli aveva letteralmente salvato la vita.

Per farlo morire qualche ora dopo, ma era il pensiero a contare, giusto?

E poi se morivano insieme, poteva anche rivelargli un po’ della sua vita. Non aveva più molto da perdere.

-Sì, lui… lui era mio padre- ammise in un sussurro, soffrendo nel ricordare della persona più importante della sua vita e unica famiglia che avesse mai avuto.

-Oh!- Phoenix sembrò parecchio sorpreso della rivelazione. Poi sembrò capire appieno cosa significasse che il fantasma Gregory fosse il padre della stella -Oh… Miles, mi dispiace tanto!- esclamò, con partecipazione. Non riusciva neanche ad immaginare come Miles poteva sentirsi al momento.

-Ora capisco perché siamo finiti quassù- aggiunse poi, avendo finalmente chiaro il quadro della situazione.

-Non so neanche perché ho pensato al cielo. Mio padre non è più lassù, dopotutto- Miles sospirò, sentendosi un idiota.

-Associ tuo padre alla tua casa, e la tua casa al cielo. È normale- Phoenix non lo considerava un idiota, e approfittò di avere un braccio quasi libero per raggiungere quello di Miles e dargli qualche pacca confortante.

-È caduto parecchio tempo fa, ed è… stato ucciso da uno stregone molto pericoloso e potente, che voleva il suo cuore- Miles si aprì un po’ di più, raccontando un evento che era accaduto anni prima, ma che era ancora impresso a fuoco nella sua memoria.

Aveva osservato, impotente, da miliardi di chilometri di distanza, mentre suo padre veniva ucciso senza che nessuno facesse nulla. Come se fosse un oggetto.

Erano questo, le stelle, per gli uomini, e soprattutto per gli stregoni: meri oggetti per farli vivere più a lungo, non dissimili da erbe aromatiche o ingredienti per le loro pozioni.

-Perché questo accanimento verso le stelle?! Come si può essere tanto crudeli?!- esclamò Phoenix, con veemenza, disgustato dall’idea che qualcuno potesse uccidere un’altra persona e rubarle il cuore.

Per un secondo, Miles sentì qualcosa muoversi nella bocca del suo stomaco, un sentimento sopito che non credeva di essere in grado di provare. La sua figura iniziò ad emettere un tenue bagliore. Non si aspettava che Phoenix si sarebbe scaldato così tanto per i diritti delle stelle.

Ma poi si ricordò che le parole del giovane uomo derivavano dall’ignoranza.

Lui non aveva idea di quanto fosse potente una stella. Se l’avesse saputo, sicuramente ci avrebbe pensato più volte prima di salvarlo.

Era imperativo che non lo scoprisse.

Eppure… forse la morte imminente lo condizionò, ma Miles si ritrovò a parlarne.

-Davvero non sai il potere del cuore di una stella?- chiese, per essere sicuro, anche se la risposta era palese. Ma una parte di lui ancora temeva che fosse tutto un trucco per fargli abbassare la guardia e poi strappargli il cuore in tutta calma.

-Qualsiasi esso sia, non vale la pena uccidere qualcuno per averlo- esclamò Phoenix, senza esitare neanche un secondo, restando fermo sui suoi ideali.

E Miles si ritrovò a rivelare il segreto senza filtri, non facendo passare le parole dal cervello prima di pronunciarle.

Tanto non aveva più niente da perdere.

E preferiva non morire nell’illusione che Phoenix forse davvero una brava persona e non un opportunista come tutti gli altri.

Miles della costellazione Edgeworth preferiva i fatti e la verità.

-Immortalità, Phoenix. Consumare il cuore di una stella ti concede la vita eterna, e la giovinezza- spiegò, diretto, chiudendo gli occhi per prepararsi alla metaforica bastonata che sarebbe sopraggiunta con la reazione di Phoenix.

L’uomo, però, rimase in silenzio qualche secondo, ponderando con attenzione le parole che gli erano appena state dette.

-Non ucciderei mai nessuno per la vita eterna- borbottò infine, in tono fermo, anche se si vedeva fosse parecchio sorpreso.

Pertanto Miles non gli credette, e sospirò, abbattuto.

-E di certo non farei mai del male a te. Ho promesso a tuo padre di proteggerti, e lo farò. Anche se non posso più onorare il nostro accordo, visto che non ho più una candela di babilonia da offrirti- Phoenix insistette, mettendo le cose in chiaro, e tornando all’accordo che avevano stipulato all’inizio di quell’avventura… meno di ventiquattr’ore prima.

Wow, il tempo passava lentamente quando si parlava di Dahlia e si rischiava di morire.

-Vuoi ancora consegnarmi alla tua fidanzata per il compleanno?- chiese Miles, sorpreso che ad un passo dalla morte Phoenix pensasse ancora a fare il romantico. 

E ancora più sorpreso del fatto che non volesse usare il suo cuore per sé, ma stesse pensando ad altro.

Forse poteva davvero fidarsi di lui. Aveva la benedizione di suo padre, dopotutto.

-Beh, non mi dispiacerebbe, ma non pretendo che tu accetti di farlo, ora che non hai più la certezza di tornare in cielo- Phoenix alzò le spalle.

Miles esitò appena.

-Che dire, mi hai salvato la vita, quindi non mi sento in condizioni di rifiutare. Insomma… alla fine hai fatto qualcosa di molto importante per me- ammise Miles, decidendo che dopo il modo in cui l’aveva trattato, e dopo quello che Phoenix aveva fatto per lui, gli doveva un favore. Non gli piaceva avere debiti. Lo faceva sentire strano.

-Sul serio?- Phoenix girò la testa verso di lui, con difficoltà, sorpreso ma speranzoso che stesse dicendo la verità.

-E poi non è che ho molti altri posti dove andare- Miles evitò il suo sguardo, arrossendo appena, e alzò le spalle.

Meglio seguire quell’idiota che non lo voleva morto piuttosto che restare fermo sul posto aspettando che qualcuno lo facesse fuori.

Sempre se fossero sopravvissuti ai pirati.

Cosa improbabile.

-Quindi mi accompagnerai da Dollie per il suo compleanno?!- insistette Phoenix, facendo il punto della situazione.

-Se non vengo ucciso prima da stregoni o pirati, e se non trovo una candela di babilonia prima di arrivare a Wall- Miles mise in chiaro le sue intenzioni, aprendosi all’idea ma sottolineando che non fosse ancora del tutto convinto.

-Lo considero un buon 70% di probabilità che verrai con me- Phoenix sorrise, rinvigorito.

-Sei stoltamente ottimista- sospirò Miles, che però apprezzava tale ottimismo. Era rinfrancante.

-È l’unico modo che ho per sopravvivere! Grazie, Miles. Sai, se non dovessimo trovare un modo per portarti a casa, potresti sempre restare nel mio villaggio, oltre il muro. Non posso prometterti che saranno tutti gentili, ma ti assicuro che nessuno cercherà di strapparti il cuore o ucciderti. Altrimenti con me e Larry l’avrebbero fatto da anni- Phoenix tornò a cercare di liberarsi, e riattaccò a parlare della sua vita.

-Non ti esaltare troppo- Miles lo frenò immediatamente, non volendo ascoltare altre sviolinate su Dahlia Hawthorne.

E Phoenix si zittì completamente, capendo l’antifona.

Il silenzio era peggio.

-Chi è Larry?- chiese quindi Miles, in tono casuale.

-Il mio migliore amico, circa. Combina molti più guai di me, al villaggio. Se qualcosa puzza, è quasi sempre Butz- spiegò Phoenix, ridacchiando appena al pensiero e alzando gli occhi al cielo.

-Mi invoglia poco a restare al tuo villaggio- ammise Miles, che non voleva immaginare che tipo di guai combinasse questo Butz se era peggio di Phoenix.

-Ma il resto è bello. Mia madre è una donna fantastica! E poi c’è Dollie! Lei è la più…- Phoenix si interruppe -Scusa, suppongo tu ti sia stancato di sentir parlare di lei-.

Almeno questo l’aveva recepito. Era più sveglio di quanto sembrasse.

-Non è tanto il parlare di lei, è che ripeti sempre le stesse cose. Non riesco a capire cosa ci sia di così speciale in una ragazza che ha bisogno di essere comprata per amarti- Miles giustificò l’astio che provava nei confronti delle descrizioni di Phoenix della ragazza che amava. Non riusciva davvero a capire cosa ci fosse di così grandioso in lei da rischiare la vita per farle un regalo. Sembrava una cotta un po’ a senso unico. E superficiale.

-Non… non è così! Non sto comprando il suo amore! È solo un modo per dimostrarlo- Phoenix si mise subito sulla difensiva, leggermente incerto ma deciso a giustificare il suo gesto con determinazione.

-Un modo rischioso di dimostrare di amare qualcuno. E lei che sta facendo per dimostrare di amarti? Sta andando in Giappone a recuperare la lancia perduta del Samurai d’Acciaio? Perché in tal caso sarei disposto a seguirti con maggiore piacere- lo provocò Miles, che aveva osservato l’amore dal cielo, e gli era sembrato ben diverso.

Ma forse laggiù le regole non erano come si vedevano dall’alto.

-È un regalo di compleanno, il mio. Non ho bisogno di qualcosa in cambio- insistette Phoenix, leggermente turbato ma cercando di non farlo notare.

-Capisco. Beh, non so niente sull’amore, ma mi sembra una ragazza fortunata. Spero mi meriti- Miles decise di concedergli il beneficio del dubbio, e chiuse l’argomento.

-Sì, quando la conoscerai capirai. È bellissima, dolcissima, intell…insomma, è fantastica!- Phoenix non sapeva in che altri modi descriverla, a dire il vero. Ma era convinto di amarla. E che lei amasse lui.

Il loro era un amore fantastico, che Miles non poteva comprendere.

Era una stella, dopotutto. Che ne sapeva dell’amore?!

-Conoscere Dahlia, essere torturato dai pirati, avere il cuore strappato di netto dal petto da una strega… devo ammettere che non saprei scegliere quale di queste prospettive sia la meno peggio- borbottò Miles, pensando al suo immediato futuro.

Phoenix provò a spintonarlo appena, per esprimere il suo disappunto, ma ridacchiò tra sé per il sarcasmo. Chi immaginava che le stelle avessero un (discutubile) senso dell’umorismo?

-Ce la faremo. Kristoph Gavin non può essere così male. Forse riusciamo ad ottenere un accordo. Potremmo dirgli dov’è la strega. Hai detto che prende stregoni prigionieri- Phoenix provò a cercare soluzioni, deciso a tirare Miles fuori da lì.

-Non ci lascerebbe andare comunque, e la strega direbbe immediatamente che sono una stella. E, non per vantarmi, ma sono molto più prezioso di una semplice strega- Miles scosse la testa, trovando una pecca nel suo ragionamento.

-Forse potremmo…- la nuova idea di Phoenix venne interrotta quando la porta si aprì, e il capitano entrò.

Dopo la spiegazione di Miles, e la visione che aveva avuto nella pioggia, Phoenix si aspettava una persona terrificante.

Invece gli si parò davanti un ragazzino, che sembrava più giovane e basso di come fosse apparso sul ponte.

I capelli legati in una treccia erano adesso asciutti, i vestiti eleganti, troppo eleganti, e indossava parecchi gioielli scintillanti.

-Perdonate l’attesa, avevamo un grande lavoro da fare. Siete pronti per essere interrogati?- il capitano prese una sedia e si mise al loro fianco, sguainando la spada, che però tenne bassa.

-Non mi sembra così male- sussurrò Phoenix a Miles, sentendosi più calmo.

-È molto più spaventoso dal vivo- ribatté invece Miles, ritirandosi spaventato.

Phoenix avrebbe dato sfogo a tutte le sue doti oratorie.

Avrebbe presto capito che non ne aveva minimamente bisogno.

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