Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Capitolo 1 *** Prologo: Alla ricerca di City Hunter ***
Prologo: Alla ricerca di City Hunter
Era una fredda sera d’inverno e tra le strade del quartiere di Shinjuku riecheggiavano impetuose tante voci dai mille colori e preoccupazioni, di tanto in tanto qualche schiamazzo di gente poco sobria attirava l’indignazione nonché lo sguardo divertito dei passanti. In un turbinio di neon, colori e insegne per l’ennesimo hostess-bar della zona, si destreggiava con non poca difficolta una esile figura avvolta da un lungo impermeabile nero. Tra un passo e l’altro, ben attenta a non cadere nelle centinaia di trappole di uno dei quartieri più chiassosi di Tokyo, si premurava di gettare l’occhio anche negli anfratti più oscuri. Era la sua casa quella, lì, tra quelli che la società definirebbe melma, si aggirava il leggendario City Hunter ed era suo compito trovarlo ad ogni costo. Del resto era con le vibrazioni della vita notturna che si alimentavano i pettegolezzi sul personaggio, sulle sue attività.
Nessun altro se non lo sweeper più famoso di tutti avrebbe potuto aiutarla e lo sapeva. Le storie riguardo le sue abilità lo precedevano e inizialmente non aveva che annuito ad esse come si fa con un amico per non smorzare l’entusiasmo del suo racconto. Saranno esagerazioni, iperboli assurde si ripeteva qualvolta le capitasse di ascoltare storie di soggetti mobili colpiti a distanze olimpioniche, di impareggiabili doti nel combattimento…
-Ti dico che è impossibile prenderlo di sorpresa- ricordò l’entusiasmo nelle parole di un collega durante una noiosa pausa pranzo -si dice che City Hunter sia capace di udire il ticchettio impercettibile di una bomba a metri di distanza, non è umano-
Poi, passata la fase dello scetticismo, prese a crederci come si inizia a credere in una forza superiore, soprannaturale. Il quando? Ovviamente dopo l’avvenimento che le aveva stravolto la vita. Non capita tutti i giorni di essere testimone di un crimine, tantomeno di essere ignara complice dello stesso. A salvarla in quell’occasione era stato il suo sangue freddo? Forse. Tuttavia di quel dannato giorno restava un particolare sfocato che non riusciva tutt’oggi a delineare perfettamente. Ricordava degli spari e della voce confidente di un uomo a cullarla con parole rassicuranti e nient’altro.
Scosse via i pensieri, inutile tentare di rimettere a posto qualcosa che non c’è, pensò. Il passo divenne più frettoloso, in sincrono col respiro sempre più pesante. Il piano era trovarlo, chiaro. E poi? In realtà non aveva pensato al dopo. Oltre che pregare il suo aiuto non aveva idea di come comportarsi o cosa dire.
Si sistemò il bavero del cappotto al ruggire imperioso che proveniva da spessi nuvoloni distesi pesantemente in cielo. Neanche il tempo di imprecare che un lampo inaugurò una serata di pioggia per il suo disappunto. Perfetto.
Aghi gelidi discesero rapidamente sempre più numerosi dal cielo accolti dal mormorio confuso dei poveri malcapitati senza riparo che, come un fiume in piena che tutto travolge, si facevano largo alla ricerca di un posto all’asciutto. A lei non importava però. Nonostante fosse diventata in pochi minuti completamente zuppa, persisteva nel domandare a chiunque fosse tanto gentile da fermarsi sotto il diluvio riguardo il famigerato City Hunter. Molti dicevano di non sapere, altri sembravano addirittura spaventati o infastiditi dalla domanda. Ringraziava comunque con cordialità, autoconvincendosi di poter ricavare qualche informazione utile.
Si accasciò stremata all’uscio di un vecchio stabile dopo ore di vane ricerche: oramai era notte fonda e Shinjuku chiaramente non avrebbe mostrato la sua leggenda. Era stanca, dannatamente stanca. Senza un posto dove stare, si era arresa all’evidenza che fare la fuggitiva non era la passeggiata avventurosa che dipingevano nei film che adorava guardare nei ritagli di tempo libero. I soldi oramai scarseggiavano e il tempo cominciava a tramutarsi pian piano in un pericoloso cappio pronto a cingerle il collo. Le gambe, come se non bastasse, in un capriccio si incurvarono sino a farla cadere al suolo. Non dormiva decentemente da giorni: del resto come dormire tranquilli quando senti il pericolo marchiarti la pelle ogni istante. Sì, era questione di vita e di morte e le lacrime che le bagnavano il viso n’erano la prova. Lacrime dettate più dalla frustrazione che dalla paura. Non riusciva a credere che le avesse voltato le spalle, proprio ora…
Cercò di rialzarsi. Una. Due volte. Nulla, le gambe osavano contraddire la sua volontà. Avrebbe urlato per la frustrazione ne avesse avuto le forze. Urlato con tutte le forze sino a squarciare quel cielo nero che piangeva copiosamente con lei. Poi, d’un tratto una voce:
-A-ancora un goccetto, dai! – No, non può essere.
Qualche schiamazzo e poi un pesante tonfo. Una rissa? Che succede?
Sporse la testa, dal guscio dove era rannicchiata, in direzione del vicolo poco di fronte sulla sinistra. Non poteva vedere cosa stesse succedendo, ma quella voce aveva destato la sua attenzione.
- Dai, ho detto che ti pagherò…non c’è bisogno di essere così scortese! – Il solito ubriaco che molesta, avrebbe pensato chiunque, eppure qualcosa in quel biascichio, in quella lagna tanto ridicola per un uomo le sembrava sempre più familiare. Un altro tonfo, notò un corpo rotolare buffamente sino a piantarsi al primo ostacolo sul suo cammino. Era buio e non riusciva a delineare distintamente la fisionomia del malcapitato.
-Ma vedi tu che modi– bofonchiò la figura rialzandosi con poca grazia. -E ora anche la pioggia, serata rovinata-
Lo vide aprire goffamente l’ombrello, rimasto pressoché intatto dopo la colluttazione e incamminarsi verso una meta ignota. Si ritrovò a seguirlo per strade senza nome senza sapere neanche il perché, o meglio, cercava in qualche modo di giustificarsi il tutto come un ultimo tentativo. Quella voce doveva pur significare qualcosa. Ho seguito indizi più vaghi…non ho nulla da perdere, pensò dandosi la forza necessaria a tenere il passo dell’uomo, che di tanto in tanto si fermava quasi imbambolato ai vari cartelloni pubblicitari ritraenti una bella donna che tappezzavano tutta la città. Fece in tempo a scorgerlo mentre imboccava una stradina alla sua sinistra e sparire attraversato il pallido raggio di un lampione. senza tante cerimonie. Svoltato l’angolo però ad attenderla non c’era nessuno. Sembrava che l’uomo fosse stato inghiottito da Shinjuku. Un groppo alla gola le spezzò il respiro. E ora?
Avrebbe dovuto palesarsi, gridare…passare per matta se necessario anziché seguirlo per fugare i suoi dubbi.
Imprecò piantandosi al centro della strada. I capelli corvini, una volta racchiusi in un elegante chignon, ora ricadevano madidi sul viso in ciocche disordinate. Le labbra tremanti si incurvavano in deplorevoli espressioni soffocate da un mugolio che sembrava più un pianto che un discorso. La pioggia, andata con lui.
Era bastata quella semplice domanda, quando
tutto sembrava perduto, a ridarle quel respiro che le si era spezzato in gola.
Si voltò rapidamente. Il volto dell’uomo, illuminato debolmente dal gioco di
luci ambrato di una insegna sopra le loro teste, esprimeva profonda calma. Lo
sguardo fisso su di lei la squadrava con fare interrogatorio. Il tipo imbranato
di poco fa non c’era più…
– Sei
tu City Hunter, vero? –biascicò con
tono gutturale dopo alcuni istanti senza mai interrompere il contatto visivo. A
risponderle un sorriso canzonatorio, quasi divertito dalla riverenza della
audace sconosciuta.
– Dipende,
perché me lo chiedi? – rispose lui avvicinatosi senza troppi convenevoli. Genuinamente
divertito e incuriosito da quell’incontro, cercava nelle parole della donna un
senso al tutto. Dapprima aveva finto durante il tragitto di perdersi varie
volte per testarne i riflessi e l’approccio, poi, compreso di non essere in
pericolo s’era deciso ad agire. Non si trattava d’una professionista, questo il
suo verdetto: i movimenti erano tutti sbagliati, nessun sicario degno di questo
nome si sarebbe fatto fregare così.
– E devo dire, – riprese a pochi passi da lei:
–Non mi dispiace essere seguito da una bella pretendente, ma così è un po’
troppo, no?
– Mi
dispiace, non avevo altro modo di contattarti. Sono giorni che ti cerco… –
rimandò imbarazzata indietreggiando di qualche passo.
–
Dannazione!
– C-cosa?
– Kaori
questa me la deve spiegare! – sbottò senza alcun apparente senso logico, – Se
si tratta di un altro episodio de “I casi li scelgo io” me la pagherà cara! –
Era lei quella dannatamente confusa ora. Come un novello Mr. Hyde, quell’uomo,
il leggendario City Hunter, s’era trasformato in pochi istanti ai suoi occhi in
un bambino lagnoso. Che mi stia sbagliando?
Lo vide ricomporsi rapidamente, come il
migliore degli attori di scena, dopo attimi di inconsolabile sconforto. Una
scena davvero surreale, forse fin troppo. – Tutto bene? – domandò flebilmente
venendo però ignorata. Fece per attirare la sua attenzione quando d’improvviso si
ritrovò le spalle circondate dal braccio dell’uomo che, ritrovato lo spirito
migliore, aveva cominciato a borbottare a bassa voce di pagamenti in natura e
di come fosse stata fortunato nonostante tutto. – Allora, andiamo? –
Camminarono lentamente per un po’, e come
prevedibile lo sweeper più famoso di tutti non aveva
perso tempo nel provarci spudoratamente; lei rispondeva perlopiù con timidi
sorrisi a quei maldestri tentativi, quasi più per non irretirlo. Sembrava
seguirlo sotto pilota automatico e la cosa gli era suonata sempre più sospetta.
Al massimo mormorava di tanto in tanto d’essere grata del suo aiuto. – Come ti
chiami? – domandò intenzionato a capirne di più.
– Kyoko Sato.
Si presentò a sua volta, – RyoSaeba.
Non gli ci volle molto per notare varie
criticità in tutta quella faccenda: pedinare qualcuno sotto la pioggia battente
era stata una impresa degna di una notte disperata e non solo; il volto pallido
della donna, bello a suo dire nonostante la fatica che ne solcava i tratti,
narrava ben più di quanto non avessero fatto le poche parole pronunciate. L’aveva
fatto per fiducia? Fiducia in cosa? Era tutto così surreale. In qualche modo sperava
si tradisse o probabilmente erano le solite premure del mestiere a confondergli
i pensieri. – So che sembra assurdo, – enunciò Kyoko anticipandolo – ti starai
domandando cosa ci faccio io qui con te e perché ti stia seguendo senza fare
storie… dopo averti pedinato.
Ryo sorrise ancora una volta. – Sì, hai ragione
me lo stavo proprio chiedendo. Non credo di averti mai visto prima, e fidati se
ci fossimo già incontrati me ne ricorderei – concluse scanzonato.
Erano oramai distanti dalla zona caotica del
quartiere, le luci vivide dei tanti locali e il chiacchiericcio di chi cercava
una nuova avventura avevano lasciato posto alla tranquillità di strade deserte,
strade dipinte da una leggera nebbia che s’alzava abbracciando qualunque
particolare dell’orizzonte. In lontananza una sirena gridava ai quattro venti
d’un crimine impunito. Sarebbe stato così semplice perdersi quella notte e non
ritrovarsi. Di tanto in tanto Ryo lanciava uno
sguardo alla minuta figura al suo fianco e pensava a cosa avrebbe fatto Kaori
una volta tornati: credeva di certo che si sarebbe arrabbiata per essere stata
“scavalcata” nell’accogliere un caso senza il suo parere. Tuttavia era sicuro
che anche lei, fosse stata al suo posto, non avrebbe mai ignorato un grido
d’aiuto.
Kaori è una persona speciale, sì, speciale era l’unico termine abbastanza
semplice che riusciva a pronunciarsi al momento. Solo lei era capace di disarmarlo
ogni volta come nessuno, solo lei era capace di metterlo dinanzi alla sua
umanità, alla fragilità che tanto ostacolava e ai sentimenti che piano piano
aveva iniziato a provare nei suoi confronti.
– Vedi, Ryo –
riprese Kyoko a fatica, destandolo dai suoi pensieri– s-sei stato proprio tu a
salvarmi la vita tempo fa. Vorrei dirti di più ma ho bisogno di sapere che mi
aiuterai.
– Capisco – la interruppe l’uomo senza molte
cerimonie poco prima di svestirsi del suo impermeabile e di coprirla come
possibile, – ora fanno due le volte in cui ti ho salvato la vita e se
necessario ce ne sarà una terza - terminò indicando uno stabile non molto
distante. – Siamo quasi arrivati, pensi di farcela? Mi racconterai tutto una
volta al caldo.
****
Kaori odiava quei momenti di solitudine
forzata, i soliti momenti dove era costretta a maledire la stupidità dell’uomo
di cui si era innamorata. Non tanto perché le fosse difficile rimuginare sui
propri sentimenti, chiari e definiti da tempo, ma perché osava, probabilmente
arrogandosi un diritto non suo, di riflettere su quelli di Ryo
nei suoi confronti. Decifrarlo era una impresa titanica, e qualvolta le
sembrasse di aver afferrato un nuovo piccolo particolare del suo essere, lui era
subito pronto ad addugliare la cima che le aveva lanciato in un momento di sincerità.
Sarebbe stata un’altra notte insonne, lo sapeva benissimo. Distesa sul letto
guardava abulicamente il soffitto senza trovare pace. Tra le crepe
dell’intonaco cercava chissà quale risposta ai suoi problemi, una nuova pagina
per sfuggire al solito copione fatto di arrabbiature, urla, pianti e gelosie
represse.
Avrebbe voluto almeno per un giorno poter
navigare nei suoi pensieri e riemergerne consapevole: voleva sapere una volta
per tutte, ma tutto ciò non era possibile. Si rigirò un paio di volte prima di
alzarsi. Neanche a farlo di proposito udì Ryo
rincasare poco prima di uscire dalla sua camera. Era tentata di ignorarlo, di
richiudersi dentro per non mostrarsi a lui in quello stato pietoso. Poi
l’inaspettato: – Kaori, Kaori dove sei!
Perché sta urlando?
Senza farsi chiamare una volta di più fu in un
lampo da lui. La scena che le si palesò di fronte era quanto meno potesse
immaginarsi. Temeva si fosse ferito, non di certo che custodisse tra le braccia
una donna esanime, lì in casa loro dopo una notte brava. – Ryo,
cosa diavolo?!
– A dopo le domande, è svenuta poco prima di
rientrare… credo si sia presa un bel malanno – le rispose lo sweeper, smorzando così ogni principio di discussione
incombente. Kaori, capita la serietà della situazione, non si fece pregare due
volte. Una volta trasportata la povera donna nella sua camera entrò subito in
azione. Di fronte a lei, inerme, c’era una persona che necessitava del suo
aiuto e avrebbe fatto del suo meglio:
– Ci penso io a lei. Devo metterla al caldo.
Ha i vestiti completamente fradici- sussurrò cercando di non tradire la sua
apprensione. - Sono di là se hai bisogno di me –
Una volta svestita la sconosciuta, Kaori non
poté fare a meno di notare alcuni segni sospetti su di un fianco, probabilmente
dovuti ad un urto, o peggio, a un combattimento. – Chissà quante ne hai
passate…– mormorò. In poco tempo fece
in modo di rivestirla con abiti asciutti, per fortuna le due erano di
corporatura simile e non fu un problema farle indossare un suo pigiama.
La donna
dormiva profondamente, solo di tanto in tanto aveva sibilato parole senza senso
prima di acquietarsi definitivamente in un sonno ristoratore una volta presi
gli antipiretici. Kaori, seduta ai piedi del letto la osservava quasi
trattenendo il respiro pur di non disturbare e più la osservava più cresceva in
lei un misto di gelosia e dolore. L’ennesima bella donna tra le braccia di Ryo…
Si sentì dannatamente in colpa solo per aver
pensato a cose del genere in un momento così inopportuno. Quasi come se fosse
una ladra che vien scoperta sul luogo del misfatto scappò via scomposta dalla
stanza. Doveva parlare con lui.
Lo ritrovò seduto sul divano a braccia
conserte. Gli occhi fissi nel vuoto. A terra, poco distante il suo impermeabile
grigio, anch’esso appesantito dalla pioggia, quella dannata pioggia che in una
serata aveva portato cambiamenti così improvvisi con sé. Sembrava aspettasse
una sua mossa. – Ryo, possiamo parlare? – esordì
cautamente avvicinandolo. Silenzio. Prese posto al suo fianco prima di
riprendere il discorso, – avrei bisogno di capire –. A quel punto ottenne
finalmente risposta. – Non ho mai visto prima questa donna, Kaori – sospirò lui
quasi si fosse tolto un peso, – dice di chiamarsi Kyoko, mi ha pedinato sotto
la pioggia venuta da chissà dove. Una cosa so. Non è una professionista ingaggiata per colpirmi.
Avessi voluto l’avrei seminata velocemente ma qualcosa non mi tornava–. Kaori
ascoltò in totale silenzio invitandolo con lo sguardo a continuare e così fece.
– Dirai… perché non ha usato la lavagna alla stazione? Bella domanda, me lo
chiedo anche io e non riesco a darmi risposta. A suo dire le ho già salvato la
vita una volta ma io non credo d’averlo fatto, Kaori– terminò tutto
d’un fiato quasi avesse lasciato andar via il flusso di coscienza che lo stava
tormentando. – E se temesse di essere seguita? – suggerì lei, - ho notato dei
segni sul suo corpo dovuti forse ad una colluttazione, magari non poteva
proprio andarci alla stazione.
– Possibile, ma possiamo solo speculare per ora,
dovremo aspettare che si risvegli.
– Le ho dato qualcosa per la febbre, dovrebbe
riprendersi presto e comunque credo tu abbia fatta la cosa giusta se proprio
vuoi saperlo…sai, credevo fosse un’altra delle tue ma… – riprese lei spezzando il silenzio prima
d’accorgersi che ad ascoltarla non c’era più nessuno. Ryo,
infatti, s’era accasciato lentamente su di lei e in poco tempo le gote di Kaori
si colorarono d’un rosso intenso, così tanto acceso da sfidare in intensità la
tonalità della t-shirt del dormiente partner. Fece scudo della sua figura
accogliendolo al suo grembo e prese a carezzargli delicatamente il viso
tracciandone in un percorso immaginario i lineamenti suddivisi in tante piccole
tappe. Non era la prima volta che si prendeva cura di lui in quel modo, spesso
l’aveva visto dormire e non sempre i suoi sogni erano stati tranquilli: puntualmente
il mattino seguente avrebbe sempre voluto chiedere senza mai avere il coraggio
di farlo. Questa non era una di quelle notti: Ryo
dormiva tranquillo, lasciandosi cullare dal caldo respiro della donna. Kaori,
in cuor suo, sapeva benissimo che al sorgere del sole tale privilegio le
sarebbe stato sottratto, il privilegio di condividere momenti del genere.
Quanto avrebbe voluto che tali istanti non fossero rubati al caso e quanto
avrebbe voluto risvegliarsi lei tra le sue braccia, anche per una sola volta. Si
addormentò anche lei poco prima del sorgere del sole, vinta dalla stanchezza.
****
Ci pensò un movimento brusco di Ryo a provocare il risveglio dei due il mattino seguente.
L’uomo cercando di girarsi s’era ritrovato letteralmente sopra di lei,
colpevole poverina d’essersi ritagliata un piccolo spazio al suo fianco vista
la limitata superficie che li ospitava. Per Kaori fu certamente un risveglio inusuale
aprire senza poca fatica gli occhi e ritrovarsi le labbra del partner a pochi
centimetri dalle sue.
La scena risultò ancora più strana agli occhi
di Kyoko, ritrovatasi lì nel momento più inopportuno per puro caso dopo essersi
allontanata dalla stanza di Kaori alla ricerca del suo benefattore.
–
Scusate… non volevo disturbare – proferì con tono impacciato attirando
l’attenzione dei due.
– No, non è come credi! – gridò subito Ryo alzandosi di scatto.
– A me
interessi solo tu! – eccolo, il solito
farfallone all’attacco. Un paio di balzi ed era lì pronto ad affabulare la sua
prossima preda. Eccolo il copione già visto.
– Non mi sembra carino dire certe cose davanti
alla tua fidanzata– lo apostrofò freddamente la “vittima” pizzicando una mano
che s’era avvicinata troppo per i suoi gusti. – Non ci siamo presentate, io
sono Kyoko – continuò poi rivolgendosi all’altra donna a lei sconosciuta. – Io
sono Kaori e non preoccuparti, Ryo è fatto così ma ti
svelo subito come tenerlo a bada.
Kaori, il nome di ieri sera…
– Non mi avrai mai!
Bastò quella semplice minaccia a far scappare
lo stallone di Shinjuku dalla camera per il divertimento dell’ospite che tutto
d’un tratto si era ritrovata a ridere di gusto come non le capitava da tempo. –
E non preoccuparti per il malinteso! Piacere di conoscerti, sono la partner in
affari di quel farfallone.
– City Hunter… un duo?
Fine Capitolo
Comincia qui il mio piccolo cantuccio
dell’autore. Prima di passare ai commenti sulla storia vorrei ringraziare di
cuore chiunque l’abbia letta e le persone che hanno dedicato del loro tempo a
recensirla. Grazie, non mi aspettavo un responso così immediato e positivo. Sto
ancora testando per il font e l’interlinea, spero che la soluzione attuale sia
di facile lettura per tutti voi. Il corsivo per indicare i pensieri non mi fa
impazzire a dire il vero, ma credo che ogni tanto sia un espediente
interessante da utilizzare.
Questa fanfiction nasce in una notte, quasi
dal nulla. Avevo da anni abbandonato il mondo della scrittura e ci sono
ritornato grazie a questi splendidi personaggi che spero di non rovinare
troppo. Per chi mi domandava della connotazione temporale: sarà presto tutto
più chiaro. Credo sia tutto. Alla prossima!
Ryo sorseggiava il suo caffè senza dare
troppo peso alle risate che risuonavano vivaci dalla stanza della sua partner. Era
stata una mattinata difficile la sua, fin troppo, a causa di quel “piccolo”
incidente. Tra un sorso e l’altro ci si soffermava più e più volte non riuscendo
a fare a meno di scacciar via l’immagine delle labbra di Kaori così vicine alle
sue. Impedirsi di baciarle era risultata una vera impresa, la più difficile
avrebbe azzardato e probabilmente lo avrebbe fatto se non fosse stato
interrotto dalla voce di Kyoko; sarebbe bastata una frazione di secondo in più,
una soltanto. Sorrise amaramente a tali pensieri. “Mai innamorarsi” era la sua
regola, una semplice scappatoia per assicurarsi di essere longevi nel campo e
possibilmente di non lasciarci la pelle. Aveva promesso a Makimura
di occuparsi di sua sorella, di proteggerla ad ogni costo. Concedersi ai suoi
sentimenti sarebbe stato un impiccio non di poco conto. Lei era troppo per quel
suo mondo meschino e tenerla a debita distanza era l’unico modo che conosceva
affinché potesse mantenere la parola data al suo defunto amico. Finito il caffè
si accese una sigaretta, l’ennesima della giornata e guardò fuori dalla ampia
finestra. Doveva assolutamente dimenticare quell’episodio. Ma come?
Gli risultava dannatamente difficile
ascrivere ad un solo momento il quando e il perché di quei sentimenti, forse per
la paura di arrendersi alle evidenze che tanto voleva sconfessare. Kaori era
entrata come un tornado nella sua vita scombussolandola in una maniera che mai
avrebbe immaginato.
Venne richiamato sul pianeta Terra dal
soggetto dei suoi pensieri. – Ryo, Kyoko si sente
pronta a parlarci.
Prese posto sulla poltrona in silenziò
e adocchiò la donna misteriosa che gli sedeva composta di fronte. I lunghi
capelli neri, lasciati liberi di ricadere sulle spalle, ne facevano risaltare
ancor più la carnagione diafana. Gli occhi, grandi e vispi, ricambiavano il suo
sguardo con maggiore forza di quanto avessero fatto la notte passata. Le labbra
cercavano di condurre un filo immaginario dei pensieri dispiegandosi di volta
in volta in piccole, impercettibili, smorfie. Indossava dei vestiti di Kaori:
un maglione e un paio di jeans, eppure pensò che la sua partner li valorizzasse
meglio nella loro mondana banalità.
–Allora? Sto aspettando – esordì dopo
poco spazientito. Il tempo di un lungo respiro e poi un racconto. – Come già
sapete mi chiamo Kyoko Sato. Sono una, anzi ero, una ricercatrice e mi occupavo
di neuroscienze. Sono stata purtroppo complice, non per mia volontà, di atti
mostruosi e criminali e chiedo il vostro aiuto per rimediare ai miei torti– esordì
prendendosi poi qualche secondo, visibilmente in difficoltà nel rivivere quei
dolorosi eventi. – Ero parte di un programma sperimentale sotto Nova Pharma.
– Nova Pharma? Parliamo dell’azienda smantellata
cinque anni fa? – la interruppe Kaori. – Ne ho letto sui giornali recentemente
dopo le condanne definitive ai membri del consiglio di amministrazione per
spionaggio industriale e compravendita di dati sensibili. Pare che i brevetti
siano stati rilevati il mese scorso da un misterioso imprenditore.
– Sì, proprio quella – annuì Kyoko sommessamente.
– In team con altri scienziati lavoravo ad un esperimento sul condizionamento
mentale a scopo terapeutico. Credevo di poter aiutare le persone, quella era la
mia missione. Avessi saputo… – si fermò nuovamente sentendosi gli occhi
bruciare.
– E poi è andato tutto storto –
aggiunse Ryo, ch’era rimasto in silenzio tutto quel
tempo, – hanno usato le ricerche per altri scopi, vero?
Un triste sorriso confermò la sua
supposizione. – Sì, è andata proprio così. Ma noi volevamo fare la differenza
in meglio non creare un nuovo MK-Ultra… io credevo, tutti in realtà, credevamo
nella bontà del nostro operato.
– MK-Ultra? Cos’è? – domandò Kaori.
– Si tratta di un vecchio esperimento
ideato dai servizi segreti americani messo in piedi per ricercare soggetti a
loro dire sovversivi. Controllo della mente, siero della verità, lobotomie, non
si facevamo mancare nulla quei simpaticoni – le rispose Ryo
accendendosi un’altra sigaretta. L’intera faccenda cominciava ad infastidirlo e
non poco per un motivo imprecisato. Esalò i suoi pensieri in una fitta nuvola
grigiastra – un bel casino, non c’è che dire.
– Sotto la guida del professore MasatoshiKokubo, luminare nel
campo della psichiatria, avevamo ideato un profilo terapeutico per curare, come
dicevo, gravi casi di disturbi della personalità con un mix di impulsi
audiovisivi e medicinali. I primi trials si rivelarono da subito come molto
positivi… poi ci arrivò l’ordine di estenderli a soggetti perfettamente sani e
con altri scopi – continuò la donna tutto d’un fiato, - fui vittima come tutti
i miei colleghi di forti pressioni da parte degli investitori, il potenziale di
poter controllare la volontà altrui era una occasione troppo ghiotta per quei
bastardi!
– È terribile – commentò Kaori trattenendosi
a stento dal lasciare il suo posto in preda ad un forte senso di nausea. Tutta
quella storia gli ricordava in un certo senso della Union Teope
e della polvere degli angeli, uno strumento di controllo e morte. Pensò a Maki
e non si trattenne – è il sogno del criminale più schifoso questo, la vita non
ha alcun valore per mostri del genere.
– Già – convenne con lei la scienziata
ad occhi chiusi. Non voleva piangere. Era inutile piangere. La sua missione era
di fermarli e non poteva concedersi il lusso di farlo, le sue mani erano
sporche di sangue e la sua coscienza gridava mai paga ogni notte pietà. – Kokubo rassegnò le dimissioni… o fu costretto a farlo dopo
essersi opposto a quella follia. Venne ritrovato morto qualche mese dopo nel
suo appartamento, suicidio scrisse la stampa. Presi il suo posto a capo del
progetto. Non potevo rifiutare o mi avrebbero uccisa.
- Comprensibile. Eri da sola, non ti
biasimo. Non deve essere stato facile.
–No, non ero sola, Kaori. Grazie ad una
soffiata fatta dal professore prima di morire, la polizia prese ad indagare su
Nova Pharma ottenendo vari arresti importanti. Ma non bastò, anzi fu l’inizio
della fine. Il progetto venne smantellato in fretta e furia, tutti i testimoni chiamati
a deporre mentirono trasformando il processo in una grossa farsa, la stessa
memoria di Masatoshi venne infangata – spiegò Kyoko
rossa in viso, come se fosse in collera col mondo intero, – “il genio decaduto infanga
l’azienda che aveva creduto in lui”, ricordo ancora commenti del genere. Che
schifo! Non se lo meritava, Masatoshi era un uomo
buono, un’anima troppo candida per quel mondo di squali. Ricordo ancora le sue
lacrime di gioia al telefono quando mi annunciò di aver ottenuto i fondi da
Nova Pharma per la sua ricerca – concluse la donna sull’orlo del pianto.
Ryo, d’altro canto, aggrottò le
sopracciglia, molto incuriosito dalle ultime frasi pronunciate. – Hai cambiato
tono, che strano. Kyoko dimmi la verità. Non era solo un rapporto professionale
il vostro, mi sbaglio? – spense il mozzicone nel posacenere prima di sporgersi
in avanti col busto quasi fosse pronto ad un interrogatorio. Un leone pronto a balzare
sulla preda. – E scommetto che hai testimoniato il falso al processo pur di non
rovinare definitivamente la reputazione del professore pazzo che gioca con le
menti di poveri fanciulli ignari. Proprio un peccato che…
SMACK
Non fece in tempo a finire la frase che
venne colpito da un sordo ceffone al viso. – Sei un bastardo! Non osare mai più
parlare di Masa in questo modo! – gridò ella con tutta la forza che aveva in
corpo prima di scappare via dalla stanza in lacrime, diretta verso quella
ch’era stato il suo rifugio la notte scorsa.
– Ryo… che
cavolo ti prende?!
– Lasciami stare. Sono stanco di queste
cazzate. Ti ricordo, Kaori, che ogni fottuto istante mettiamo in gioco le
nostre vite, e io la mia non la metto all’asta per chi non è sincero fino in
fondo. Fallo tu se proprio hai tanta voglia, mi confermeresti che non sei
portata per questo mestiere! – l’attaccò lui sentendosi abbandonato
ingiustamente da chi avrebbe dovuto spalleggiarlo.
– Non puoi immaginare cosa abbia
passato… sei stato uno stronzo. Devi chiederle scusa, ora!
– Scordatelo. Vado a fare due passi.
Il tonfo d’una porta che andava
chiudendosi fu l’indegno finale di quella discussione. Kaori trattenne a stento
un grido prima di scagliare il primo oggetto trovatosi sotto mano contro la
nuda parete.
****
– Che hai combinato questa volta, eh?! –
lo ammonì la donna dietro il bancone. Perfetto, che giornata di merda, pensò.
Di male in peggio. – Lascia perdere! Se Kaori la smettesse di credere agli elfi
e ai folletti andrebbe già meglio – ribatté scanzonato lo sweeper
venendo però fulminato con lo sguardo dall’altro uomo poco distante dalla
scena. – Da quando in qua in questo bar si maltrattano i clienti, uh? –
continuò senza darsi pace. – e tu scimmione togliti quel ghigno dalla faccia o
ci penso io! –
-Provaci, ti aspetto!
L’ennesima rissa al Cat’s
Eye venne per fortuna sventata dall’arrivo dell’ispettrice Saeko
Nogami. Tempismo perfetto. – Sempre i soliti–. Venne accolta con mille feste dall’irriducibile
cascamorto che, come prevedibile, non riuscì a trattenersi dal provarci
spudoratamente.
– Ciao Saeko, ti
vedo in gran forma. Vieni qui a sederti vicino al tuo Ryo
– la chiamò facendo ampi gesti. – No, non ho tempo di fermarmi, mi spiace.
– Che palle! Non puoi proprio? – si
lamentò lui col tono d’un bambino deluso. Come una vecchia commedia i due
recitavano la stessa parte da anni e la cosa in fondo era divertente per
entrambi. – No caro mio, però ho qualcosa che può interessarti.
Nelle mani dell’ispettrice c’era un
vecchio faldone pieno di documenti, su di esso una etichetta riportava una
sigla indecifrabile. – Ho i documenti che cercavi sul caso di cui mi parlavi al
telefono. Se sapessero che te li ho consegnati passerei un brutto quarto d’ora.
Siamo pari ora, Ryo. Anzi, mi correggo. Sei in debito
– sorrise maliziosamente. Aveva vinto ancora una volta.
– Certamente.
Pagato il conto, lo sweeper
più famoso di Shinjuku si congedò senza troppi convenevoli. Aveva ottenuto cosa
stava cercando. Era tempo di vederci chiaro.
****
Rincasò poco prima di cena e scivolando
via furtivo s’era rinchiuso nella sua stanza evitando qualsiasi interazione.
Prese a sfogliare il dossier con cura di non mancare nulla: lì dentro non
c’erano mica tutte le risposte ai suoi quesiti, questo lo sapeva bene, ma erano
i dettagli a fare la differenza in casi del genere. City Hunter viveva di mezze
verità, di tentennamenti, bugie e reticenze. Evitarle era impossibile, e
l’unico modo per scardinarle era immergersi in quella fanghiglia che spesso lo
nauseava per riemergerne più consapevole, più pronto ad accettare che le brutture
del mondo erano tante quanto le sue bellezze. Non è che non credesse a Kyoko, lo
faceva solo che… a metà, ecco. La storia dietro c’era anche se lacunosa: erano
il fine e la parte del salvatore, da lui ipoteticamente rivestita, a mancare.
Cosa vuoi da me, Kyoko. Cosa mi
nascondi?
Leggendo i vari rapporti sulle indagini
ne emerse che era vero quanto raccontato dalla donna: Nova Pharma era stata
portata a processo per corruzione di pubblico ufficio nel garantirsi fondi
illeciti e per compravendita illegale di cartelle mediche. Oltre ciò, però non
si accennava al lato più oscuro della faccenda, nessuna menzione del misterioso
e terribile esperimento. Sparito tutto, proprio come narrato dalla misteriosa
ospite. Un altro punto a favore di Kyoko.
Notò con grande arguzia, riordinate le
trascrizioni dei principali interrogatori, come tutti i soggetti narrassero del
profondo legame tra il Prof. Kokubo e il fondatore
dell’azienda, un tale Genzo Kobayashi, ora in carcere.
Una bella recita di gruppo, un piano per
ora perfetto, non c’è che dire. Ma organizzato da chi? Segnò con la penna un grosso punto
interrogativo su di un foglio.
Un morto può mica difendersi, no? Fece delle
supposizioni sul modus operandi delle forze dell’ordine. La soffiata trapelata
agli sbirri sarebbe stata secondo lui interpretata come l’ultimo gesto di
ripicca di un eccellente studioso per coprire la vergogna e l’umiliazione. Ma
perché non farlo prima? Cosa aveva spinto il professore a non agire con
tempestività? Possibile fosse solo paura?
Mezze
verità o bugie? La polizia il suo mostro lo aveva già, perché dover
rettificare? Cosa abbiamo qui…
Segnò inoltre i nomi dei vari dipendenti
interrogati, più per scrupolo che per altro: rintracciare qualcuno a distanza
di anni era un’impresa ardua anche per un segugio come lui. Lesse per ultimo l’interrogatorio
di Kyoko. Le sue dichiarazioni, scandite il più attentamente possibile, vennero
ritenute dai periti a quanto scritto come mendaci, in quanto era ben noto in
tutto l’ambiente del legame sentimentale instauratosi col “presunto” suicida. In tribunale la scienziata non ci aveva mai
messo piede. Tutto molto strano, fin troppo. Nessuna prova venne trovata del
fantomatico esperimento Nova 01 citato a più riprese nei verbali delle lunghe
sessioni in centrale. Alcuni passaggi dell’interrogatorio, sul finire,
narravano di minacce subite come ad esempio il caso d’una lettera minatoria
dove le si intimava di tener la bocca chiusa. Di neanche quella c’era traccia.
Merda, qui non torna un cazzo!
Un particolare alla fine dell’ultimo
foglio lo fece trasalire sin quasi a cadere dal letto ove era disteso da un
paio d’ore oramai. Una firma recitava: “HideyukiMakimura”.
Maki si è occupato di questo caso?
Non fece in tempo a ricomporsi che venne
ripreso dalla voce di Kaori che risuonava ovattata da dietro la porta: – Ryo so che sei lì, posso entrare?
E ora?
– Ho un po’ di mal di testa Kaori,
parliamo domani.
- Ti prego… - gli venne da tremare a
quella richiesta sino a sentirsi un verme per quanto successo poche ore prima.
Non ebbe la forza di mentire una seconda volta.– E va bene, entra.
La vide aprire lentamente la porta e
intrufolarsi nella sua camera in maniera goffa. Gli occhi, gonfi per il pianto,
lo squadravano senza pausa; lui ricambiava a fatica, colpito da tanta forza.
Imprecò mentalmente una seconda volta. Aspettò in silenzio che si accomodasse
sul letto dopo averle fatto spazio. Kaorì aprì bocca:
il tono di voce era roco, sporco, quella voce che tanto amava per una volta era
pronta a rammentargli dei suoi peccati quotidiani. Forse aveva ragione lei,
forse era realmente uno stronzo. – Noto che stai lavorando al caso.
– Sì, più o meno.
– Progressi?
– Alcuni, cosa volevi dirmi?
– Vorrei insultarti o meglio colpirti
per oggi, ma non lo farò, e sai perché?
– Perché?
– Punto primo, sono il miglior socio tu
potessi desiderare mio caro. Punto secondo, un tipo molto scorbutico una volta
mi ha affidato testuali parole… – enunciò energicamente prima di scimmiottare
con tono drammatico un vocione da uomo vissuto – “Se il tuo cuore non è dalla
parte del cliente allora non dovresti accettare il caso”.
Touché, Kaori. Ottima mossa.
– E io t’ho visto Ryo,
ho visto che in fondo ci credi più di quanto vorresti ammettere a tutta questa
storia. Non avresti di certo mosso un dito non fosse così.
– Kaori.
– Mh?
– E se ti dicessi che c’entra anche Maki
in tutta questa faccenda?
Fine Capitolo
Eccoci qui alla fine di
questo capitolo. Quanti avvenimenti, eh? Prendetevi un attimo di riposo, siamo
solo agli inizi! Adoro da sempre la componente investigativa/crime di City
Hunter e, sin dalle prime parole gettate su d’un foglio virtuale, ho deciso che
l’avrei valorizzata al mio meglio.
Il nostro eroe non ne esce
benissimo da questo capitolo, ne sono conscio. Kaori, d’altro canto non gli
permetterà di essere sottovalutata come una volta. E Kyoko ne avrà di cose da
spiegare.
Ma i conflitti interni in
tempi incerti si sa sono pericolosi e tutto può succedere. Non vi resta che
seguire i prossimi capitoli. Alla prossima!
Ci volle un bel po’ prima che Kaori
realizzasse appieno quanto appena rivelatole. Sentir pronunciare il nome del
defunto fratello era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di udire quella
sera.
– M-mio fratello ha lavorato a questo
caso?
– Sì, purtroppo non ho ancora chiare
molte cose. Tieni, guarda – rispose lui porgendole dei vecchi fogli, - sono gli
interrogatori firmati da Maki – aggiunse per poi attendere ch’ella potesse
leggerli con tutta calma. La donna non si fece pregare due volte divorando le
parole stampate più e più volte: l’interrogatorio di Kyoko era stato condotto
con estrema professionalità da Maki e si sentì profondamente fiera di ciò.
Traspirava vividamente, nonostante la formalità di quegli atti, tutta l’onestà
dell’uomo che era. Lo capì dalle domande, poste con tono calmo ma inflessibile,
dalla volontà di arrivare alla verità anche quando sembrava già designata e per
il rispetto del suo ruolo e di chi gli si affidava disperatamente. Sì, quello
era indubbiamente suo fratello. Non le fu difficile immaginarsi la scena: lui
seduto al tavolo di quello che era poco più di un buio sgabuzzino, gli occhiali
dismessi nel taschino della sua bianca camicia e la solita espressione dipinta
in volto, quella che assumeva quando era dannatamente serio. – Non c’è dubbio.
Si tratta di Maki – commentò poi, risvegliatasi dal suo sogno ad occhi aperti.
– Te l’avevo detto – confermò lui
quasi incoraggiandola. -Be’, visto che sei qui, ti va di sentire una bella
storia? – continuò smorzando i toni, quasi per farle dimenticare quella
giornata decisamente troppo pesante per entrambi.
Annuì.
Lo sweeper narrò con dovizia di
particolari quanto appreso da quel disordinato dossier, evitando di riempire
l’incerta linea temporale dei fatti con sue supposizioni. Quelle era lecito
farle, ma non avrebbero aggiunto dati oggettivi e verificabili. Kaori ascoltò
in silenzio senza mai interromperlo. In cuor suo si sentiva già meglio: Ryo si
fidava di lei e lo stava dimostrando a modo suo con un gesto del genere. – Credo
di non aver mancato nulla, bel casino, eh?
– La versione di Kyoko regge.
- Sì, vero, ma perché le crediamo.
Però guarda tutto da un’altra prospettiva, non ci sono prove di ciò che dice,
nessuna, Kaori.
– Ma le credi perché questo è il
tipico caso perfetto e nessun caso lo è, Maki me lo diceva spesso nelle rare
occasioni in qui mi parlava dei tempi in centrale.
- Bingo! Troppe dichiarazioni strane
combaciano tra loro come se fossero state preorganizzate per montare un
processo farsa.
– Strano che non abbiano seguito la
pista dell’esperimento – commentò la donna cercando un senso in tutta quella
assurda vicenda.
– Io credo che Maki ci abbia provato.
Era un tipo troppo meticoloso per ignorare la cosa.
– Ora capisco perché Kyoko non si è
rivolta alla polizia prima di pedinarti disperatamente… non ha più alcuna
fiducia nella legge.
– Sai, Kaori. Ora lo credo anch’io e
ti dirò di più. Lui era fin troppo per quelli lì. Non l’ho mai biasimato per
aver abbandonato i panni del detective. “Pochi arresti e tante finzioni”, mi ripeteva
sempre – narrò Ryo sedendosi composto e a braccia conserte. – Paradossalmente
sono stati casi come questo ad avvicinarlo al mestiere di sweeper – concluse
specchiandosi tristemente nello sguardo della donna che amava. Quelle ultime
parole gli avevano lasciato l’amaro in bocca.
– So a cosa stai pensando e non devi –
lo ammonì lei. – sono orgogliosa dell’uomo che era, non darti colpe che non
hai.
– Kaori…
– E se questo è un altro patetico
tentativo per liberarti di me… sappi che è tutto fiato sprecato! – lo
rimproverò impettita.
– Capisco, capisco, non ti agitare! – si
difese lui divertito alzando le mani in segno di resa, - andiamo a sentire
ancora una volta che dice la nostra amica, ti va? – terminò offrendole il
braccio gentilmente per sommo imbarazzo della donna che non poté fare a meno di
esibire un bellissimo sorriso, uno di quelli che amava tanto.
– Con molto piacere.
****
Convincere Kyoko ad uscire dalla
stanza nella quale s’era barricata tutto il giorno si stava rivelando
un’impresa pantagruelica. La ricercatrice ignorava gli accorati inviti di Kaori
e quelli più… “diretti” di Ryo opponendosi al dinamico duo con un tombale
silenzio radio. – Kyoko, come possiamo aiutarti se non ti decidi a parlarci? –
ribadì per l’ennesima volta Kaori.
– A mali estremi, estremi rimedi! –
bofonchiò lo sweeper a bassa voce rialzandosi, ancor più di quanto non lo
fossero già, le maniche della giacca. Inutile sottolineare come tale
dichiarazione non passò inosservata alla sua collega, pronta a colpirlo senza
pietà.
– Psst, vieni qui – sibilò nei suoi confronti
con giusto un filo di voce.
– S-sì?.
– Mantienimi questo un attimo – nelle
sue mani un grosso sacco spuntato chissà da dove.
– Ma ti pare il momento di fare il Babbo
Natale?!
Ignorandola prese a tirare fuori di
tutto da quel sacco senza fondo: costumi vari, maschere, coriandoli…
addirittura un naso da clown ch’aveva visto giorni migliori. – Ah, trovato! –
esultò sventolando un paio di folti baffi, neri come la pece.
– Lo sapevo sarebbe arrivato il giorno
in cui avresti perso il senno!
– Abbi fede. Ha detto non vuole
parlare con noi, giusto? – sussurrò il più piano possibile cercando di non
attirare l’attenzione della donna dietro la porta. – Allora parlerà con John
Oates! Ho anche il travestimento da Daryl Hall pronto per te se vuoi farmi da
spalla.
– Hall e Oates? Cosa c’entrano dei
musicisti? – obiettò Kaori, confusa come non mai da tutta quella pantomima.
Ancora una volta lo stallone di Shinjuku s’era deciso a dimostrare le sue
perfette abilità di imitatore intonando fieramente in sequenza varie canzoni
del duo statunitense che tanto spopolava anche nel paese del Sol Levante.
“Sei un cretino!”, questa l’ultima
frase avvertita dal povero Ryo prima di ritrovarsi sotto cento tonnellate di
martello.
– Uffa! Se preferivi altro bastava
dirlo… magari un po’ di Kahoru Kohiruimaki – esalò a fatica schiacciato da quel
peso enorme.
– Sempre il solito! Ti sembra il
momento?!
Nonostante la fallimentare esecuzione
il piano strampalato dell’imitatore di Shinjuku si rivelò un successo, in
quanto Kyoko aveva finalmente abbandonato il suo rifugio attirata da tutto quel
trambusto. Trattenere una fragorosa risata le fu molto difficile una volta
fuori. – Mi avessi cantato “Out Of Touch” sarei uscita prima – scherzò.
Missione compiuta, Saeba.
****
Il ricostituito trio si ritrovò seduto
ancora una volta sul luogo del misfatto. Ryo si raccomandò mentalmente un paio
di volte di non aprir più bocca per considerazioni inopportune. Trovare i
tasselli mancanti era imperativo.
– Kyoko, ho indagato sul caso, non lo
nego – cominciò rivelando semplicemente le sue carte. – I fatti effettivamente
portano dalla tua parte, ma non mi basta e per accettare di aiutarti devo
sapere tutto o non se ne fa più niente. Queste sono le regole, prendere o
lasciare.
– Accetto.
– Bene, siamo tutt’orecchi.
– Sì, ci avevi visto giusto. Masatoshi
era il mio fidanzato. Non ve l’ho detto prima perché, e sembrerà stupido,
temevo il vostro giudizio. Temevo mi avreste bollata come una pazza che vuole
vendetta scuotendo la sua spada sdentata in giro – disse tirando un lungo respiro.
Guardò negli occhi il suo interlocutore e per un momento si sentì totalmente
inerme, come rapita dall’intensità di quello sguardo. Mai nessuno prima di
allora le era parso così indecifrabile, inavvicinabile.
– Mi spiace avervi dato una brutta
impressione, ma quando ho rivisto il fantasma del dubbio nei miei confronti non
ce l’ho fatta più. La polizia non mi ha mai creduto se non per un detective, a
chi mi sarei potuta rivolgere se non a City Hunter?
- Il detective di cui parli, - intervenne
Kaori, - si chiamava per caso Hideyuki Makimura?
– Sì, perché?
– Era mio fratello… e il precedente
socio di Ryo.
– Oh… non ne avevo idea. E dov’è ora?
– Makimura è morto – tagliò corto lui.
– Abbandonata la vita da servitore della legge s’era dedicato a questo
mestiere. Cosa ricordi di quelle indagini? Uno come lui non mollava mai la
presa.
- Il detective fu l’unico a credermi e
credo venne ostracizzato per questo – spiegò Kyoko, cercando di rammentare il
più possibile di quei terribili giorni. – Lottò con tutte le sue forze per scongiurare
quella farsa, pagando infine un prezzo elevato. Venni a sapere infatti di una
nota di demerito ai suoi danni a pochi giorni dalla prima udienza… poi il
trasferimento ad un altro caso per ordine di un superiore.
Tsk, tipico di Maki. Così diligente
Kaori, assimilate stoicamente le nuove
notizie, prese le redini del discorso con grande sorpresa del suo socio, incalzando
la scienziata. – Che n’è stato del progetto? –
– Senza i dati di Masa sono andati a
rilento per tutti questi anni ma non credo abbiano mai smesso di sperimentare
in realtà, non dopo i primi risultati positivi – rispose per poi aggiungere, –
nessuno del team era veramente indispensabile a parte lui, infatti sono pronta
a scommettere che sono l’unica superstite ad oggi.
– E tu come hai fatto a salvarti? – incalzò
l’altra metà di City Hunter.
– Non ero ritenuta un pericolo, anzi, il
resto viene da sé – argomentò la donna. – Inoltre non potevano uccidermi, non
durante il processo, ma si facevano comunque sentire come un’ombra soffocante,
tanto da farmi desistere nelle mie indagini personali. Dopo le prime condanne
scappai via da Tokyo cercando di sfuggire al mio destino…
Ryo stava prendendo nota di tutto con estrema
attenzione: da un lato poteva dire d’essere molto fiero dell’atteggiamento di
Kaori e del suo approccio; dall’altro si chiedeva quali potessero essere le ripercussioni
per la ragazza a dover affrontare un caso così torbido. Si alzò per andare a
guardar fuori dalla finestra. La luna pallida in cielo illuminava, assistita da
mille fiaccole colorate, tutta la città, insonne come sempre. Il peccato
affondava quotidianamente le sue fauci in quel cuore di metallo e solitudine
urbana, eppure l’innegabile fascino di quel panorama non mancava mai di
appagarlo.
– Voglio dei nomi – disse, – è tempo di
ripagare questi stronzi con la loro stessa moneta.
– Pff. A saperli! Non li ho mai incontrati di
persona, però so che si fanno chiamare i “Conti Bianchi”.
– I “Conti bianchi”, dici?
Interessante – mormorò. – Un’ultima cosa e poi possiamo chiuderla qui – riprese
con tono cordiale tornato al suo posto. – Raccontami del giorno in cui t’ho
salvata.
****
- Incredibile che tu abbia dimenticato
una donna, Ryo – lo canzonò la sua partner mentre richiudeva la porta dell’auto.
– Non è proprio da te.
- Be’, siamo in due, Kaori. Anche la
nostra ricercatrice ha i ricordi un po’ confusi – puntualizzò lui salendo
lentamente una rampa di scale. Si trovavano all’indirizzo prefissato la sera
prima: i due infatti erano in missione presso un vecchio condominio, meta
indicata da Kyoko come casa del defunto professore. Lì, anni fa, s’era
concentrato quel gioco di eventi che aveva portato la scienziata a incombere
prepotentemente nella sua vita e in quella della collega. – Questo deve essere
l’appartamento del professore – esclamò dinanzi la porta numero “tre” dello
stabile.
– Guardati intorno, provo a
scassinarla.
Come mi sono ridotto…
Fu proprio il destino, o così aveva
ripetuto più volte la “cliente” rievocando l’episodio, a propiziare l’incontro
tra i due. Aveva narrato la sera precedente di come fosse stata da lui salvata
dopo una rocambolesca fuga dal luogo che si apprestava a profanare; aveva
narrato degli spari e della sua voce a rassicurarla nel buio più assoluto.
– Certo che Kyoko ama complicarmi la vita –
commentò armeggiando con la serratura. – Ricordo certamente di una sparatoria a
pochi passi da qui, pensai all’epoca si trattasse di un tentativo di stupro – chiarì
sovrappensiero, – ricordo delle grida soffocate e poi l’inferno. Uomini armati
fino ai denti per una sola ragazza? Un po’ troppo a pensarci bene. Non riuscii
ad acciuffarli ma la cosa più strana fu che ad attendermi una volta tornato
indietro non c'era più nessuno.
– Possibile che il trauma di quella
notte terribile le faccia ricordare le cose in modo confuso?
– Forse, ma credo non sia finita qui –
concluse non troppo convinto. Poi un clic. – Prego, dopo di te.
Il piccolo locale era rimasto
pressoché limpido, questo grazie ai tentativi della famiglia del defunto di
preservarne lo spirito. L’ingresso, costeggiato da muri stretti, era tappezzato
da ritagli di giornale riguardo le sue conquiste accademiche, da titoli vari e
da qualche foto messa lì quasi a spezzare la monotonia di quel blocco di parole.
Si fermò a guardarne una ritraente l’uomo intento a pescare seduto alle rive
del fiume Uji.
Kaori, in religioso silenzio, assecondava
i suoi movimenti per tentare di ricostruirne la metodicità e motivo. Aveva appreso
molto da quando aveva cambiato vita e continuava a farlo giorno dopo giorno: a
volte l’era capitato di ricevere dei complimenti per i progressi fatti e la
gioia di quei momenti era per lei immensa. Seguì il passo ritrovandosi nella
stanza principale.
Un appartamento come tanti altri, chissà
se troveremo qualcosa di utile.
E in effetti le impressioni della
donna erano reali. Un arredamento minimalista decorava pochi metri quadrati. Poche
le cose degne di nota, se così era possibile definire il tutto: una tv che
aveva sicuramente visto giorni migliori campeggiava triste nel suo vetusto grigiore
alla loro sinistra, un vecchio giradischi e dei vinili di Tatsuro Yamashita spuntavano
disordinati da una piccola mensola alla loro destra. Il futon, arrotolato alla
bene e meglio in un angolo, raffigurava la solitudine di una vita spesa per la
scienza. La banale ordinarietà di un uomo solo.
– Cosa stiamo cercando esattamente,
Ryo? – chiese ponendosi esattamente al centro della stanza.
– Non so, Kyoko è passata di qui quella
sera e volevo solo ripercorrerne i passi – rispose asetticamente lo sweeper
avvicinatosi alla mensola. Ne tirò fuori un album e cominciò a leggerne le
canzoni presenti. – “For You” di Tatsuro Yamashita. Un intenditore.
– Troveremo la verità – commentò lei fermandosi
al suo fianco senza farsi troppo convincere da quella risposta, – lo faremo
anche per Maki.
Sorrise spontaneamente a quell’incoraggiamento
sentendosi rinvigorito dal quel gesto così nobile e puro. Cosa avrebbe fatto
senza di lei?
– Hai ragione! Lo faremo anche per
lui.
– Ecco, quindi via quel brutto musone –
lo schernì lei sorridendo a sua volta.
Kaori, come fai? Come fai a rendere
tutto così semplice e complicato allo stesso tempo?
– Prima di andar via darò una occhiata
anche in bagno, però prima vorrei dirti una cosa.
– Uh?
– Mi dispiace per ieri, ehm… non avrei
dovuto dirti quelle cose. Non potrei desiderare una collega migliore di te, Kaori
– confessò in un impeto di sincerità per gran sorpresa della donna che a stento
riuscì a contenere un verso.
– Ryo…
A quella sincera dichiarazione non
seguì altro, in quanto interrotti d’improvviso dal sordo tonfo di un oggetto che
aveva sfondato la finestra alle loro spalle. In pochi attimi si ritrovarono
avvolti da una cappa densa e grigiastra. Qualcuno aveva teso loro una
imboscata.
– Kaori non respirare! – gridò a
fatica prendendola per mano.
Una voce efebica risuonò fuori
sadicamente attirando la loro attenzione.
– City Hunter… giochiamo a fare la
guerra?
Fine capitolo
Eccoci
ancora una volta al solito (e invadente me ne rendo conto) angolo dello
scrittore. Ringrazio come sempre tutti voi che avete recensito, letto, seguito
o solo spulciato questa mia opera. Sono contento che il caso sino ad ora vi
stia piacendo, veramente. Per quanto riguarda i nostri amati, Ryo finalmente
sta comprendendo che vivere i propri sentimenti non è per forza un punto
debole, anzi. Peccato per l’imboscata, mannaggia, eheh. Scusate per la
citazione kitsch al classico “The Warriors” (1979) con la provocazione finale,
ma ho sempre desiderato farlo!
Piccole
curiosità, ho infarcito il capitolo di piccoli dettagli musicali come omaggio ad
un’arte a me cara (sono un musicista a mia volta). City Hunter è bello anche
per le sue atmosfere anni ’80 e la sua cultura pop, quindi mi è sembrato carino
tratteggiarle con riferimenti ad hoc. In ordine citati:
Hall
& Oates – duo statunitense che ha spopolato nelle classifiche di mezzo
mondo.
Kahoru
Kohiruimaki, voce della sigla “Ai Yo Kienaide” per l’anime di City Hunter (non
vorrei sbagliare ma credo sia la prima opening).
E
poi Tatsuro Yamashita, musicista pop di grande pregio, autore di una lunga
serie di album di successo in quella decade (e ancora di grande rilievo per la
scena giapponese).
La sfida era stata lanciata. Il primo
colpo, arrivato senza preavviso aveva stordito non poco un uomo che di
battaglie mortali ne aveva già affrontate a decine. Ryo
si sentì soffocare lentamente a causa del fumo che come un cappio gli si era
formato tutt’intorno. Riuscì aggrappandosi alla sua esperienza a trascinare
fuori lui e la sua partner da quella zona rossa. Si riparò quindi rapidamente
dietro il solido parapetto che dava sulla strada e così Kaori, per fortuna
rimasta cosciente.
–E io che avevo impegni per oggi – borbottò sarcasticamente impugnando la
sua fedele Colt Python 357 Magnum. Appena recuperato il senso della vista si
guardò intorno alla ricerca del responsabile, stando attento a non rivelare la loro
posizione.
Avesse voluto attaccarmi direttamente
avrebbe sparato appena usciti. Che sta aspettando?
– Credimi, è un onore per me
conoscerti – riprese con tono deciso lo sconosciuto.
Dove sei bastardo!
– Ryo, credo
ci abbia attaccato da lì – lo aiutò Kaori indicando un vecchio palazzo che dava
poco di fronte. Dismesso ed abbandonato da anni quel blocco di cemento
dimenticato nel tempo faceva da scudo a quel nemico mortale. Lo sweeper annuì convenendo che specie dal tetto, recintato
malamente da vecchie lamiere, si apriva un angolo di tiro niente male, una
manna scesa dal cielo per un professionista.
Ottima osservazione, Kaori.
Un nuovo colpo sibilò ad alta
frequenza proprio sopra le loro teste colpendo per schernirli l’insegna che
recitava il numero dell’appartamento. Poi un altro e un altro ancora. E rideva,
eccome se rideva quella voce tanto fastidiosa quanto maligna.
– Non reagisci? Davvero? Che
delusione! – gridò il suo avversario mutando d’un tratto i toni.
Ryo, senza scomporsi più di tanto fece
gesto alla donna di rimanere immobile, esaminò poi attentamente i fori di
entrata dei proiettili e un bossolo poco distante dai suoi piedi. Calibro non
sufficiente a giustificare un fucile da cecchino, ma ottima mira visto gli
spari ravvicinati, ne concluse. Si trattava sicuramente di un uomo che
difficilmente avrebbe sbagliato avesse prestato incautamente il fianco. Ma
subire e basta non era nelle sue corde.
– Kaori, mi sa che dovrai avvisare Miki e quel testone di Umibozu.
Faremo un po’ tardi oggi – scherzò indossando la maschera dello spaccone che
portava tanto bene.
Ok, campione. Vediamo che ne pensi di
questo.
Quasi disteso, di spalle contro la
nuda protezione che gli stava assicurando la vita, impugnata l’arma che mai lo
aveva tradito, mirò ciecamente apparentemente al nulla alzandola quanto bastava
per permettersi un tiro libero. Ne sarebbe bastato uno solo e sarebbe stato
game over. Set. Vittoria. Rispose al fuoco senza aspettare un secondo di più.
Udì un urlo agghiacciante, quasi
disumano, da far accapponare la pelle. Aveva fatto centro. Kaori non ebbe
nemmeno il tempo di rendersi conto di quanto successo che venne trascinata di
peso giù per la rampa di scale, dritti in auto, evitando nella forsennata corsa
altri colpi, questa volta più incerti. Uno di essi però era andato a segno, o
quasi, ferendo di striscio il vincitore al fianco sinistro. Ryo
strinse i denti senza farsi notare dalla partner. Aveva negli anni subito molto
di peggio e poteva considerarsi molto fortunato visto l’esito della battaglia. Non
avrebbero infatti inseguito l’attentatore. Andare incontro al cacciatore sarebbe
stato sciocco e un invito a morire, del resto era sicuro di non averlo ucciso. Non
aveva fatto un tiro ottimale per quanto miracoloso, la vera impresa era stata
basarsi sull’angolazione dei fori di entrata dei colpi del rivale per poi
decidere al volo la sua traiettoria.
– Kyoko… spero sia al sicuro! –
esclamò preoccupata la partner mentre sfrecciavano per le strade diretti al Cat’s Eye.
–Senti, quel bestione sarà anche fastidioso ma sa fare bene il suo mestiere.
Sono sicuro che sta benissimo.
–Sì…ma
– E poi.
–Poi cosa?
– Neanche mi hai fatto i complimenti,
ma hai visto che tiro!? Sono o non sono il migliore? – si vantò lui prendendosi
un bel pizzicotto sulla guancia come ringraziamento.
– Pff.
Sempre il solito.
Sempre il solito.
****
Arrivarono al locale ch’erano ormai le tre
passate. Lontani dal conflitto la normalità e il brusio di una giornata come
tante furono come una boccata d’aria fresca per i due che, tirato un sospiro di
sollievo, si apprestarono ad entrare senza dar troppo nell’occhio.
– Barista, un caffè bello carico,
svelto – esordì Ryo con un sorriso beffardo ai danni
di Umibozu, già vittima di una mattinata alquanto
imbarazzante. Troppi gli aneddoti e i complimenti da parte della sua Miki di fronte quella sconosciuta a loro affidata.
– Questo è abbastanza forte per te? –
bofonchiò l’energumeno sventolando il pugno chiuso a pochi centimetri dalla
faccia del cascamorto più cascamorto di tutti.
– Giornata difficile? – chiese Kaori
prendendo posto al fianco del partner dopo aver salutato Miki
con un sorriso complice. – Kyoko dov’è?
– Eccola tornare, è filata via dopo
aver visto un vecchio ambulante vedere non so cosa. Ho provato a fermarla ma è
stata veloce un lampo – rispose la donna guardando fuori dalla vetrina alla
figura che si stava avvicinando.
–Ciao a tutti. Ryo, Kaori… tutto bene? – salutò
Kyoko.
– Diciamo che è stata una mattinata movimentata.
E tu come stai splendore? – domandò Ryo col suo tono
da marpione accogliendo le mani della ricercatrice tra le sue.
– Io sto benissimo, tu non so, ti vedo
un po’ pallido a dir la verità – confessò con non molto tatto lei
allontanandosi subito da quel contatto per suo sommo dispiacere. Eppure, per
quanto detestasse quel suo modo di fare, si era sentita per pochi attimi
piacevolmente al sicuro in quella dolce stretta. Quasi le ricordava quella
notte. Avrebbe mentito dicendosi di non ritenerlo un uomo affascinante, ma
quella attrazione era destinata a rimanere tale per il bene di tutti o così si
era promessa. E poi c’era lei: Kaori era stata così gentile dal principio tanto
da sentirsi da subito in colpa per esser stata toccata da simili pensieri.
C’era qualcosa tra quei due, qualcosa di forte e palpabile. Ryo
le aveva salvato la vita e la sua era una sciocca infatuazione nata per un
gioco macabro del destino, si disse non molto convinta.
Ma cosa mi sta succedendo?
Kyoko distolse lo sguardo incapace di
reggere il peso di quel contatto visivo così intimo, lo stesso di ieri sera che
l’aveva fatta tremare come nessuno prima. Si scusò flebilmente e andò a sedersi
poco distante ad un tavolo. Kaori, spettatrice inerme dell’intera scena,
avvampò dentro in preda alla fiamma della gelosia. Questa volta però non era
arrabbiata per le solite cretinerie del socio, bensì aveva captato la reazione
della scienziata: inaspettata, imbarazzata e impacciata. Riconosceva quello
sguardo quasi colpevole e quel tremolio perché n’era stata vittima anch’ella
parecchie volte.
– Vado in bagno, se scusate – esclamò
seccata poco dopo prima di sparire dalla loro vista.
Si barricò per darsi un contegno. Come
poteva comportarsi così dopo quella confessione? Proprio non capiva. Inorridì
al cospetto del suo riflesso, atroce nella sua limpida obiettività nel
mostrarle gli effetti di quella mai doma gelosia. Gli occhi, lucidi e affranti,
trattenevano al loro fragile precipizio preziose lacrime che non avrebbe voluto
versare per lui, non questa volta. Le mani, serrate tanto da far male in due
pugni, non assecondavano i suoi tentativi di calmarsi con dei profondi respiri.
Eppure l’era sembrato così sincero. Quelle parole non potevano essere dettate
dal caso. “Impossibile”, pensò. O probabilmente quello che tanto desiderava non
si sarebbe mai avverato.
Stupida, stupida, stupida.
Si deprecò sino allo sfinimento, così
tanto da far perdere significato a quegli epiteti ripetuti così rapidamente. “Tutto
così chiaro”, formulò, “Ryo non mi vedrà mai in quel
modo, non proverà mai cosa provo io per lui”. Questa la tesi finale dettata dal
suo tormento interiore. Chiuse gli occhi trattenendo un singhiozzo e prese a
piangere il più silenziosamente possibile, incapace di contenersi oltre.
Lo sweeper,
nel frattempo, s’era invece appartato con Umibozu per
narrargli della disavventura di poco fa. Nelle sue mani un bossolo, trofeo
della vittoria ottenuta.
– Che ne pensi? Questo è il ricordino
che mi ha lasciato il mio nuovo ammiratore – domandò cercando un’opinione
differente dalla sua.
– Un proiettile calibro nove, coda
bruciata, il tipico segno che lascia un’arma sovietica. Ti spaventi con poco,
uh?
– Piano con le parole! Si tratta
probabilmente d’una Makarov vista la facilità di tiro che ha avuto. Ma la cosa
preoccupante è la precisione… c’erano circa cinquanta metri ad occhio a
separarci e armi del genere sono instabili a certe distanze.
– Un tiratore eccellente.
– Stava giocando con me, quasi volesse
studiarmi. La cosa non mi piace e non credo affatto sia finita qui – spiegò Ryo dopo un breve silenzio. Nella sua mente frullavano
mille pensieri, non tutti concordanti tra loro.
– Cosa hai intenzione di fare ora?
– Non starò di certo con le mani in
mano. Sono sicuro si farà di nuovo vivo, nel frattempo spero che Saeko sappia dirmi di più su quanto avvenuto anni fa e poi
c’è lei… – rispose adocchiando Kyoko che nel frattempo stava chiacchierando del
più e del meno con Miki.
– E non ti fidi del tutto, lo si vede
chiaramente. Bene, ti dico solo una cosa. Trova la soluzione e fallo in fretta
prima di rimetterci la pellaccia – chiarì il rivale d’una vita prima di dargli
le spalle. – e curati quella ferità prima di sporcarmi il locale – aggiunse
prima di tornare dietro il bancone.
Accolto il suggerimento, Ryo si diresse verso il bagno dal quale era appena uscita
una silenziosa Kaori. Mosse prontamente due passi per dirle qualcosa ma venne
prontamente ignorato senza alcuna possibilità di replica. Fece spallucce, si
procurò qualche garza e materiale vario dal solito vano delle emergenze del Cat’s Eye.
Una volta in bagno iniziò a medicarsi
alla bene e meglio dopo essersi ispezionato la ferita allo specchio. Per sua
fortuna notò che essa era superficiale e facilmente rimarginabile con un po’ di
sano riposo. A preoccuparlo era più la sua partner, decisamente strana a suo
dire nei comportamenti.
– E ora? – scandì sommessamente al suo
silente riflesso.
****
Il viaggio di ritorno fu decisamente
meno animato del solito. Kaori non aveva spiccicato parola e Ryo, avvertita la distanza della donna, s’era incupito
quasi a perdere la sua solita verve. Kyoko, unica dei tre ad essere più
propositiva, si acquietò al secondo monosillabo rivoltole dallo sweeper dopo un breve scambio di battute. E sempre in
completo silenzio la donna s’era dileguata una volta arrivati. Il cielo andava
oramai a brunire e presto sarebbe scesa la notte. Si diresse verso la solita
terrazza dove soleva guardare il profilo della città ghermita da luci, il loro
posto speciale. Ryo la lasciò andare non con poca
fatica avendo compreso che forse era meglio così.
Kaori si appoggiò alla ringhiera e si
lasciò andare a mille pensieri, perdendosi di tanto in tanto nei mille dettagli
del chiaroscuro di quel panorama che aveva imparato ad amare nel tempo. E quel
fragore lontano di vite normali, schiamazzi e vivaci risate, le sembrò come non
mai così vicino: invidiava chi non aveva tali patemi. Avrebbe voluto almeno per
una notte sentirsi una donna e non solo la metà di City Hunter; avrebbe voluto
poter travasare con mille baci quell’amore che a stento riusciva a contenere in
quel cuore lacerato da innumerevoli notti solitarie. Lui non riusciva a vederla
in quel modo, a vederla come le altre. Eppure, nonostante soffrisse per quella
distanza, non riusciva a spegnere quel sentimento, a mollare la presa e a
dimenticare tutto. Razionalmente sarebbe stata la scelta giusta, pensò, ma lei
era fatta così: non riusciva ad amarlo di meno o meglio, ad amarlo in maniera
differente. Voleva piangere, di nuovo, ma non ne ebbe la forza preferendo immergersi
nei ricordi, nei bei momenti che avevano passato insieme. Essi erano immobili,
cristallizzati dal tempo e un rifugio sicuro da un presente che al momento
sembrava così grigio e opprimente. La memoria cadde al primo Natale insieme, al
suo regalo: una bellissima spilla che custodiva gelosamente e che indossava
solo nelle occasioni migliori pur di non rovinarla, proprio perché così
speciale nel suo significato. Sorrise per un attimo felice a quegli attimi, al
ricordare quel bellissimo sorriso imbarazzato di Ryo
nello spiegare un gesto tanto inaspettato.
Ma sentiti…
Venne riportata al presente
dall’incombere del suo partner, che poco fece per attirare l’attenzione
preferendo fermarsi al suo fianco, anch’egli lì per contemplare quella vista
magnifica, o così sembrava. In un gioco d’orgoglio si lanciarono per un po’
sguardi furtivi vicendevolmente cercando di non darsi il fianco, sino a quando
uno dei due non cedette.
– Kyoko dov’è? – domandò lei per
rompere il ghiaccio.
– Dorme.
– La invidio, non credo riuscirò a
dormire stanotte.
– Saeko
verrà qui tra poco, le ho chiesto di passare appena possibile per discutere
delle indagini di Maki.
– Capisco, siamo sulla strada giusta.
Qualcuno vuole fermarci ad ogni costo.
– E quel qualcuno non vuole che
aiutiamo Kyoko a stanare i cosiddetti “Conti Bianchi”. La nostra scienziata dice
di avere l’impressione di esser stata sempre seguita da quando è tornata in
città alla mia ricerca – spiegò lo sweeper voltandosi
verso di lei. – Ma guarda caso colpiscono proprio quando cominciamo a fare
passi in avanti.
– Ryo, non
mi piace cosa stai insinuando – lo rimproverò lei per quanto non potesse negare
la singolarità della cosa.
– Sai… – riprese con una lunga pausa
tra una parola e l’altra, – quando affronto un duello guardo sempre negli occhi
il mio avversario. Questi, quando il velo tra vita e morte è così sottile da
essere trasparente, non mentono mai. Cercavo qualcosa di simile in Kyoko oggi
al Cat’s Eye – terminò con un sorriso enigmatico.
Allora ha notato…
– E i miei?
– Mh?
– Se sei tanto bravo – dichiarò di
colpo irrigidendosi nei modi, - spiegami cosa vedi nei miei occhi ora!
Ryo, preso in contropiede, restò
inebetito da quella richiesta. Kaori, a pugni serrati lo stava squadrando a mo’
di sfida, senza apparente paura. Ma in un angolo del cuore della donna che
amava una crepa era pronta a richiudersi o a incrinarsi ancor più. A deciderne
il fato era la sua parola, soltanto la sua. Tirò un lungo sospiro. Nessuna via
di scampo.
– Non credo sia il momento.
– Certo che lo è, avanti, abbiamo
tutta la notte!
– Lo vuoi proprio sapere? Bene, te lo
dico subito visto che ci tieni tanto! Vedo paura, incertezza e dolore, Kaori.
Tre peccati che non possiamo proprio permetterci – rispose insultandosi
mentalmente nel farlo. Ancora una volta l’aveva respinta mettendosi sulla
difensiva. Bianca in viso la donna cercò di opporsi con dei balbettii dettati
più dallo choc che da un reale senso logico. Non riuscì a resistere oltre
andando via non prima di guardarsi alle spalle.
Più che i peccati della donna credette
di aver enunciato i suoi.
Il primo: paura di perderla a causa di
quel mondo torbido e senza morale che anche oggi aveva provato a trascinarli
nel baratro. Il secondo, ovvero l’incertezza nell’ammettere quanto davvero
desiderasse con tutto il suo essere e infine il terzo, il dolore, inflitto e
autoinflitto.
Un tuono annunciò indomito l’arrivo
della pioggia e a Ryo quel fragore senza pari non sembrò
che un sussurro.
****
Da tutt’altra parte della città un
uomo si stava trascinando a fatica verso una meta sicura. Dietro di sé una
lunga scia di sangue tracciata da un passo claudicante. Il braccio gli faceva
un male cane, ma a bruciare di più era la sconfitta. Lui, soldato bambino che
aveva visto il dramma della guerra dalla più tenera età, aveva perso e
nettamente. Non era casa sua quella, si convinse, altre regole: era andato a
stuzzicare un altro predatore nel suo habitat naturale pagandone le conseguenze.
Il lavoro era pagato bene e solamente ora ne capiva il perché. “Fatto fuori
lui, nessuno potrà fermarci” gli aveva confidato fiducioso il committente, il
solito uomo d’affari troppo vigliacco per agire con le proprie mani. I “Conti
Bianchi”, come rivelatogli in un breve debriefing, avevano già subito pesanti
battute d’arresto per mano prima d’un ex detective troppo vicino alla verità e
poi sotto i colpi del famigerato City Hunter. Giocare col fuoco non è mai buona
cosa si raccomandò guardandosi la ferita, l’umiliante verdetto della sua
presunzione.
–Non finisce qui, RyoSaeba.
Fine capitolo
Che roba, eh? Proprio devo smettere di
mettere i bastoni tra le ruote a questi due. Una cosa che mi piace fare come
autore, e spero non mi odierete per questo, è evidenziare quanto Ryo sia estremamente contraddittorio quando si tratta dei
suoi sentimenti. Un attimo si scopre, l’altro ritratta in un conflitto tra le
parti che sembra senza fine. A rimetterne è la povera Kaori, sempre più
frustrata e confusa da quegli atteggiamenti. Lo stress per l’attentato e per il
caso sta instillando il dissidio tra i due. Riusciranno a chiarirsi? Beh non
posso dire altro eheh. Ci troviamo quasi a metà opera
e ce ne sono ancora di cose da dire.
Ps: non sono un esperto di armi e a
stento ricordo il moto del proiettile studiato nel mio esame di Fisica all’università,
quindi perdonate eventuali cretinerie…ma scrivendo del manga più folle di
sempre per quanto riguarda le abilità balistiche può starci, no?
La notte ricopriva l’orizzonte col suo
scuro e spesso mantello catturando raggio dopo raggio gli ultimi sprazzi di un
cielo andato a spegnersi. Spessi nuvoloni ch’avevano portato con sé la pioggia
disegnavano plumbei una fitta trama ancora non pronti ad acquietarsi.
Kaori era rientrata una buona mezz’ora
dopo il partner, evitando accuratamente anche il minimo rischio di averci a che
fare. Certo, prendersi un acquazzone in pieno non era proprio un piano perfetto,
pensò. Distesa mirava il soffitto della sua stanza in religioso silenzio. Sul
letto disposto al suo fianco Kyoko dormiva tranquilla da ore. Si girò su un
fianco per osservarla quasi a sincerarsi delle sue condizioni.
Chissà cosa sta sognando.
Provava da giorni nei suoi confronti
un misto di gelosia e compassione: gelosia per il suo ovvio interessamento al
partner, cosa che non le era sfuggita e che anzi aveva confermato quel
pomeriggio; compassione per una vita stravolta in nome di un ideale, di un
amore strappato da un destino infausto e per un passato che non aveva più
dismesso i panni del feroce aguzzino. Per un attimo si mise nei suoi panni
venendo colta da un’immensa tristezza al solo immaginarsi una vita del genere:
convivere col terrore ogni giorno e soprattutto senza la presenza del suo
amato. Trattenne ancora una volta le lacrime e chiuse poi gli occhi sperando di
riposare un po’ prima dell’arrivo di Saeko.
Ryo…
Lo sweeper, invece, era al poligono ad
esercitarsi, o meglio ad esorcizzare quei momenti difficili con la cosa che gli
riusciva meglio. La sua mira era infallibile come sempre e a occhio distante
nessuno avrebbe potuto solo azzardare che a sparare fosse un uomo turbato,
anzi. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. One hole shot.
Merda, cosa mi è preso.
Sì deprecò ancora una volta mentre
riarmava la sua fidata arma. Guardò l’orologio sopra la sua testa, presto
avrebbero avuto ospiti. Mirò e riprese quel ciclo che durava oramai da più di
un’ora, tutto per non pensare o perlomeno per non soffermarsi sulla stupidita
commessa. Quel caso gli era entrato sotto pelle in un niente e lo aveva
intossicato al punto da doversi estraniare da tutto e tutti. Oggi aveva vinto,
ma quella vittoria era stata tutt’altro che un sollievo. Dapprima non era stato
abbastanza rapido, si rimproverò, e inoltre quel sentirsi sotto attacco senza
sapere a chi e a cosa stava andando incontro lo rendeva dannatamente inquieto.
Kaori era troppo importante e proteggerla veniva prima di tutto, anche prima
della sua vita se fosse stato necessario e quella domanda fattagli dalla donna
era stata la proverbiale goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Concedersi
ai suoi sentimenti era un privilegio che non poteva arrogarsi, la sua capacità
di giudizio quando si trattava di lei non era poi così marcata, così netta. Era
l’ignoto, il salto nel vuoto, a spaventarlo. Perdere anche lei dopo Maki? Mai.
Aveva fatto una promessa e tale
promessa nel tempo si era adornata di una nuova consapevolezza, da dei
sentimenti che ancora non domava con piena coscienza. Sarebbe stato semplice
abbandonarsi ad essi, ma che ne sarebbe stato di loro? Troppi interrogativi ai
quali non aveva risposta. Sorrise amaramente ai primi tempi: in particolare ripensò
a lei che sparava come una matta nel bus il giorno del trasloco a casa sua, il
vero inizio della loro collaborazione. “Hai le palle” aveva pronunciato allora
venendo prontamente corretto da un deciso rimprovero. Era una donna lei, una
donna come nessun’altra.
Che cosa devo fare?
Tirò un pesante sospiro prima di prendersi una
pausa. Ne avevano passate tante insieme, dichiararsi avrebbe davvero cambiato
così tanto? Ancora una volta non ebbe il coraggio di formulare una soluzione.
Rincasò poco prima dell’arrivo di
Saeko. Kaori era di nuovo in piedi e stava cucinando come nulla fosse successo.
Nell’appartamento si respirava un profumo davvero invitante, la salutò con un
breve cenno ottenendo un monotono “ciao” come risposta. Kyoko le stava dando
una mano, o perlomeno si era offerta di farlo prima di rinunciarvi dopo esser
stata rassicurata dalla donna con gentilezza: “Non ti preoccupare e poi sei
ospite qui, non devi, davvero” udì Ryo dalla sala.
Proprio da lei.
L’ispettrice Nogami non si fece
attendere a lungo arrivando nel suo lungo impermeabile non molto dopo. In volto
dipinta una espressione non troppo rassicurante. I quattro presero rapidamente
posto a tavola dopo i soliti convenevoli. Mangiarono tutti di gusto senza
accennare al caso o ad altro pur di non rovinare quel piacevole momento. Ryo si
sforzò di non dare molto peso alla distanza che s’era creata tra lui e la
partner, cercando anzi di includerla nelle sue solite battute con poco
successo. Saeko, d’altro canto, intuita l’aria di guerra fredda tra i due, fece
di tutto per evitare le solite avances dello sweeper preferendo concentrarsi
sulla donna a lei sconosciuta. Kaori si animò solo sul finire della cena.
– Grazie di essere passata, Saeko –
disse mentre si apprestava a sparecchiare.
– Di nulla, Kaori, ho fatto il prima
possibile. In centrale sono giorni intensi – rispose l’affascinante donna
guardando negli occhi Ryo.
– Come al solito, siete sempre oberati
di impegni voi se si tratta di lavorare sul serio – commentò l’uomo prendendosi
di tutto punto un calcio negli stinchi dalla detective, inviperita da quel tono
denigratorio.
– Ma sei impazzita?!
– Ops, scusami Ryo, mi è scivolato il
piede.
– Certo, certo. A me scivola la mano
invece – fece allungandosi dove non gli era concesso. Questa volta a colpirlo
fu una padellata di Kaori, tornata per metter via le ultime cose, scatenando
dunque una fragorosa risata generale ai danni del “povero” stallone di Shinjuku.
– Giù le mani, maniaco!
Nonostante la botta subita si sentì
anch’egli più sollevato da quel momento, Kaori per un attimo era tornata in sé
spezzando quell’atonale rappresentazione che aveva messo su da ore. In seguito,
finito il tempo degli scherzi, venne il momento che tutti aspettavano.
– Allora, bando alle ciance – cominciò
Saeko, – ho svolto delle ricerche personali su tutta questa storia… e devo dire
che ce ne sono di punti oscuri.
– Tipo? – domandò Ryo decisamente non
felice di quell’esordio.
– Per quanto riguarda Maki, ricordo
benissimo di come fosse sfiduciato quel periodo. Non ho mai lavorato
personalmente al caso e non saprei dire cosa avesse scoperto esattamente, ma
una cosa so, quel dossier che ti ho consegnato al Cat’s Eye non è completo –
spiegò la detective per lo sbigottimento di tutti i presenti.
– Non è completo?! Allora...
– Lo so, è difficile da credere, Kaori
– si giustificò.
– Qualcuno ha manomesso il dossier, il
lavoro certosino di una talpa, o mi sbaglio? – commentò Ryo perentorio con un
sorriso esterrefatto.
– No, vorrei, ma hai ragione. L’ho
scoperto dopo aver verificato nel registro dove vengono trascritti tutti gli
atti ufficiali. Ho cercato ovunque ma manca un rapporto…
– Merda – biascicò lo sweeper serrando
le mani in due pugni.
– Questo rapporto – disse Kyoko presa
la parola, – è sparito quando? Sapresti dirlo?
– No, potrebbero essere anni o un
giorno, ma non cambia il fatto che qualcuno sia stato molto previdente.
– Maki, Maki, proprio un ficcanaso –
riprese l’uomo ritrovata la calma. A braccia incrociate dietro la testa si
oppose allo sguardo confuso della sua interlocutrice questa con un furbo ghigno,
uno dei suoi soliti.
– Cosa intendi, Ryo?
– Pensateci. Un detective viene ostacolato
nelle indagini, poco dopo lascia le forze dell’ordine e si mette in proprio.
Solo un potere superiore come sappiamo avrebbe potuto dargli così tanta noia, ora dimmi
Saeko. A chi aveva pestato i piedi?
– Giusta osservazione – convenne la
donna inarcandosi sulla poltrona, – se devo dire un nome su due piedi direi
l’ex procuratore capo oramai in pensione, Tomotaka Aoki. Non c’è mai stato
feeling tra quei due.
– Ricordo questo nome! – esclamò ad alta
voce Kaori quasi sobbalzando dal suo posto. – Mio fratello me ne aveva parlato,
ho ricordi vaghi, ma è noto del suo status di procuratore leggendario dalla
fama non proprio limpida.
– Proprio lui, Kaori. Aoki era uno dai
modi diciamo bruschi, uno della vecchia scuola. “C’è sempre un colpevole”,
questo era il suo motto – confermò la detective non troppo fiera del ruolo che
rivestiva in quei momenti.
– E a te Kyoko? Ti dice nulla questo
nome?
– No, mai sentito nominare, ma sono
sicura a questo punto sia stato lui a depistare il detective Makimura. Vi avevo
già accennato della lettera di demerito, no?
– Cosa?! Non ne sapevo nulla...
– Tsk, il solito. Probabilmente lo
avrà fatto per non mettere a rischio te e la tua carriera, Saeko. Era la sua
guerra quella e non voleva ci finissi di mezzo – elaborò Ryo, segretamente
rapito dall’altruismo del defunto amico.
Lo sweeper si alzò dunque come una
molla dal suo posto e stiracchiandosi lanciò poi un lungo sbadiglio poco prima
di riprendere scialbamente la parola, questa volta non con poca fatica: – Mi sa
che dovremo fare visita al nostro procuratore in pensione. Sarà interessante.
****
Tomotaka Aoki era un uomo ordinario,
un giapponese vecchio stampo. Preciso, affine a certi elementi autoritari della
polizia di stato e dannatamente serio nel suo mestiere. Voci narravano di come
non avesse mai preso un giorno di malattia o ferie nella sua lunga carriera
durata la bellezza di quattro decadi, se non per un paio di polmoniti violente
dovute al suo tabagismo incontrollato e per la nascita della prima e unica
figlia, Yumi. Laureatosi col massimo dei voti poco più che ventenne, Aoki sin
da subito si dimostrò un eccellente procuratore dal talento cristallino, noto in
tutto il paese. Aveva ricoperto negli anni ruoli di spicco in varie prefetture
e in ognuna di esse si sprecavano gli elogi e gli encomi a suo nome. Sposatosi
altrettanto giovane con una donna che mai aveva realmente amato, l’uomo aveva
speso tutta la sua vita immerso nel proprio culto della personalità, dedito al
lavoro più per il suo egocentrismo che per senso di giustizia. Il suo
personaggio, austero, quasi crudele nei mezzi, precedeva di gran lunga la sua
morale. Eppure, quella mattina, guardandosi allo specchio all’ex procuratore
parve di non riconoscersi. In quel volto, canuto e segnato da una salute
cagionevole e mai preservata, Tomotaka rivedeva i solchi di un destino
differente. Spesso s’era chiesto dopo la morte della moglie, Hanae, cosa fosse
davvero quell’orgoglio che covava in petto da sempre. Superbia? Cupidigia? O
vuoto?
Scorreva celere la lama sul viso
imbiancato dalla schiuma da barba e con esso mille pensieri. Uno di essi andò
alla figlia, un altro dei suoi peccati nato da una bottiglia di gin, o così le
aveva meschinamente gridato una notte per un motivo sciocco. Yumi lo odiava e
non la biasimava per questo: era stato un padre assente, distante sin dai primi
anni. E quando la coscienza s’era impuntata a farlo tornare sui suoi passi lei
non c’era più ad attenderlo, stanca e affranta dalle tante promesse disattese.
Il tempo aveva vinto su tutto: corpo,
mente e un giorno anche il suo nome sarebbe stato dimenticato. Si sciacquò il
volto una volta terminato prima di applicare con cura quel dopobarba, il solito
da trent’anni da uomo metodico qual era.
Accomodandosi poi in veranda, bevuto
il suo solito caffè amaro, inforcò i vistosi occhiali in oro e prese a leggere
il quotidiano. A sua insaputa una coppia lo stava spiando nascosti nel verde della
vegetazione, uno dei due in particolare da un albero ben distante dalla scena.
– Guarda che lusso, villa in campagna,
sicurezza e domestici. Ho sbagliato tutto nella vita – commentò sarcastico Ryo osservando
il tutto dal suo binocolo.
– Non so tu come faccia a stare sugli
alberi così tanto tempo – si lamentò Kaori rimasta giù dopo vari e vani
tentativi di scalare anch’ella.
– Una skill importante, fondamentale
per… tante cose
– Mh? – cambiò tono la donna, alzando
un sopracciglio.
– Nulla. Nulla. Comunque stasera
avremo la nostra chiacchierata, ora c’è troppa gente.
– Non temi possa andare via?
– Nel caso ci terremo pronti –
concluse prima di discendere al suolo con pochi balzi.
La notte venne presto e con essa City
Hunter. I due furono lesti ad eludere le misure di sorveglianza e a
intrufolarsi nella grande dimora dell’asso decaduto della procura. La presenza
di telecamere interne non li spaventò più di tanto una volta messa fuori combattimento tutta la
sorveglianza. E nei giorni che avevano passato a spiarlo Aoki non s’era
dimostrato molto cauto sotto questo aspetto. Un piano ben riuscito.
Arrivati dinanzi una grossa porta in
ebano, i due entrarono il più silenziosamente possibile nella piena oscurità,
guidati solamente dal passo sicuro di Ryo che pareva aver memorizzato ogni
anfratto di quei luoghi. Lo stesso sweeper non si premurò di esser gentile col
povero malcapitato puntandogli l’arma alla tempia prima di svegliarlo da un
sonno tranquillo.
– Sveglia, sveglia, è arrivato Babbo
Natale!
L’uomo all’udir quella voce trasalì
destandosi di colpo. Non aiutò il contatto con quel gelido attrezzo di morte a
pochi millimetri dal suo viso. Fece per premere il pulsante del telecomando che
portava nella tasca dei pantaloni del pigiama ma nulla avvenne.
– Credo che nessuno verrà ad aiutarti,
che dici passiamo già alla parte dove inizi a parlare o devo romperti le ossa
della mano?
– Chi diavolo sei tu?!
– Te l’ho già detto, vecchio. Ma sei
sordo per caso?!
– Sei tu che non hai idea di chi sono
io, ladruncolo da quattro soldi! – gridò lui mettendosi a sedere impavido.
– Divertente.
Kaori, rimasta nella penombra in
assoluto silenzio sospirò sommessamente al tono di quell’ultima risposta di
Ryo, così gelida, quasi cattiva. Le cose non si sarebbero messe bene per Aoki,
ne era certa. Avrebbe voluto interrompere quell’interrogatorio, ma non lo fece.
Ryo sa cosa fa… devo fidarmi.
– Cosa trovi divertente? Farti
vent’anni di galera? – incalzò Aoki, trovato il coraggio di opporsi
all’intruso.
– No, è divertente perché non sono un
ladro, mi serve solo qualche informazione.
– Informazioni su cosa? Sono in
pensione oramai, arrivi con qualche anno di ritardo.
– Non credo. Parlami di Nova Pharma e
dei Conti Bianchi e fallo in fretta che ho poca pazienza – sibilò Ryo a denti
stretti tracciando dei cerchi immaginari nel vuoto con la sua pistola.
Aoki si sentì morire pronunciati quei
nomi. Fece per alzarsi, cosa che gli venne concessa solo dopo aver mostrato
ambo le mani. Giunto claudicante alla scrivania armeggiò col tabacco posato su
di essa e accese la sua pipa. Illuminato dalle luci provenienti dal giardino e
dal chiaro di luna che baciava dolcemente l’ampia finestra della camera, poteva
ora vedere ben più chiaramente i due piombati lì nella sua dimora.
– Questo caso non la smette di
tormentarmi –
– Perché un uomo di legge come lei
impedì al Detective Makimura di indagare? – domandò Kaori fattasi avanti senza
paura alcuna.
– Makimura si era messo in qualcosa
più grande di lui ricavandone un bel niente. Feci la scelta giusta e
probabilmente fargli togliere il caso fu un atto di grazia. Era un buon
ufficiale, non volevo si sputtanasse la carriera – mentì l’uomo cercando di
essere il più convincente possibile. Per sua sfortuna Ryo non credette a una
sola parola.
– Questa pistola può fare dei buchi
molto grandi e i proiettili che porta sono particolari, non sarebbe un bel modo
di passare la serata ma se continui a mentire… – minacciò puntandogli l’arma al
petto senza molte cerimonie.
– Non moriresti, sta tranquillo, ma i danni
collaterali sarebbero seri.
Aoki deglutì a fatica. Lo sguardo di
quello sconosciuto era così diverso da quello delle bestie che aveva sbattuto
in carcere negli anni. In esso non c’era un cenno di indecisione o umana
decenza, a braccarlo due occhi scuri irrorati da puro istinto omicida. A fatica
riprese a parlare, conscio di non avere via di fuga.
– Hai vinto, abbassa l’arma.
– Prima parla!
– Makimura aveva scoperto del processo
farsa imbastito per Nova Pharma. Inoltre era chiaro dai suoi report che fosse
alla ricerca della base operativa dei veri responsabili della morte del
professor Kokubo e di quei strani casi clinici.
– E lei come ha potuto permettere
tutto questo?! – gridò Kaori disgustata da come la memoria del fratello venisse
infangata dalla codardia dei vivi.
– Non avevo scelta. Avevano mia
figlia. – tagliò corto questa volta con un tono diverso, un tono rassegnato. –
Fui io, dopo strani casi di allucinazione di massa all’università di Tokyo ad aprire
il caso su di loro e ad assicurare alla giustizia il loro presidente, ma
recitai solo una parte.
– A loro andava bene così. Chiudere e
continuare altrove non era un problema, o sbaglio? – domandò Ryo.
– Non sbagli e per rispondere
all’altra domanda posso dirti che i Conti Bianchi sono una fazione dissidente nata
da una costola della Union Teope, una potente organizzazione criminale. I
vecchi gerarchi puntavano al potere con la vendita di droga e manovalanza a
basso costo, i Conti, invece, trovati agganci nell’alta borghesia e in
politica, hanno tentato un altro approccio – spiegò l’ex procuratore ritrovata
la sua flemma professionale.
– Sempre loro, dannati bastardi –
sussurrò Ryo mordendosi le labbra.
– Cosa? Già li conosci?
– Vai avanti, ho detto forse di
fermarti?
– Venni avvicinato una notte da un
uomo mascherato che mi intimò di falsare il processo. Nelle sue mani stringeva
fiero una foto di mia figlia, Yumi, ignara di essere spiata da quei mostri. Mai
nella mia carriera mi sono sentito così impotente.
– Terribile… – aggiunse Kaori
portandosi le mani al petto. Rivolse lo sguardo su Ryo, rimasto impassibile, e
si stupì di come egli fosse sempre così imperturbabile quando si trattava di
certe cose. Lei non ne era capace e probabilmente non lo sarebbe stato mai.
– Dov’è il rapporto di Makimura?
– Bruciato. Non ne esistono copie, il
prezzo da pagare per salvare Yumi.
– Immaginavo. Bene, allora mi dirai
come posso trovare i nostri cari amici.
– Saranno loro a trovare te, come
hanno fatto con me e con chiunque abbia provato a stanarli una volta per tutte.
Vuoi un consiglio? Lascia perdere prima di farti male e ho già parlato troppo –
esalò Aoki in una nuvola di fumo dando loro le spalle.
Un click di un fucile innescato a
distanza fu quanto bastò a Ryo per tuffarsi miracolosamente verso l’interlocutore.
Un proiettile d’alto calibro, sfondata la vetrata mancò quindi il bersaglio
fermando la sua corsa nella grande libreria colma di tomi.
– Kaori sotto il letto, svelta! –
gridò lo sweeper coprendo l’altro con il suo corpo. La donna obbedì senza
fiatare rifugiandosi sotto l’ampio e confortevole giaciglio, ben distante da un
ideale angolo di tiro. Ryo si trascinò dietro una colonna e con sé Aoki, sotto
choc, tremante e pallido in viso.
Sapevo che saresti tornato bastardo!
Bene, round numero due.
Fine Capitolo
Siamo al giro di boa, ebbene sì, a
metà della storia. D’ora in poi le cose prenderanno una piega decisamente più
movimentata, i nostri due amati si sono avventurati troppo in là e ora non c’è
più possibilità di far un passo indietro. Le cose tra i due sono ancora
incerte, complici in una tregua non dichiarata, e con le loro vite in gioco ci
sarà tanto da fare per mettersi al sicuro.
Non posso dire altro, ma sono davvero
soddisfatto sino ad ora di quanto fatto e spero sia sempre interessante per
voi. Ringrazio come sempre chiunque abbia recensito e letto sino ad ora, un
grazie di cuore. Sono sempre più incredulo del seguito ottenuto e apprezzo
veramente tanto i vostri gentili contributi.
Il ticchettio d’un giovane cuore, prepotente
quanto preciso nel ritmo, scandiva al secondo quei terribili attimi di paura.
Al sicuro, riparata dal cecchino che stava attentando alle loro vite, Kaori
cercava nel volto concentrato di Ryo un minimo
segnale di sicurezza, la certezza che anche questa volta l’avrebbero scampata. Apriva
e richiudeva di tanto in tanto le mani in due piccoli e bianchi pugni in preda
all’agitazione trattenendo invano il respiro pesante che le si spezzava in
gola. La parte meno razionale del suo essere spingeva per aiutarlo in qualsiasi
modo; l’altra, più assennata, rispettava il volere dell’uomo che aveva spinto
per farla mettere al sicuro. Lo vide guardarsi intorno alla ricerca di qualche
percorso ideale da seguire per una fuga, fece per indicargli qualcosa quando un
nuovo sparo sibilò sopra le loro teste colpendo un vecchio quanto costoso vaso
poco distante dallo sweeper.
– Maledizione! – imprecò lui,
appallottolandosi ancor più nella sua posizione. Aoki aveva perso conoscenza
per lo spavento e questo era un problema in più, uno non da poco. Guardò di
sfuggita alla sua sinistra perdendosi per un attimo nello sguardo spaventato della
donna che, rossa in viso, biascicava parole a lui al momento incomprensibili.
Non sarebbe riuscito in tali condizioni a ripetersi in un tiro miracoloso.
Esclusa momentaneamente la fuga in grande stile, chiuse gli occhi per ragionar
meglio sul da farsi: nella sua mente visualizzava tutti i possibili scenari,
comprese le reazioni plausibili del suo avversario, decisamente più agguerrito
dell’ultima volta. Tentare di rispondere al fuoco era pura follia, ne concluse
e alzarsi e scappare era il secondo miglior modo di prendersi una pallottola in
testa senza troppi complimenti.
Questa volta ha fatto i compiti… devo
sbrigarmi o qui finisce male.
Si destò da quel breve stato di
meditazione richiamato da Aoki, che ridestatosi improvvisamente, gli sussurrò
di una botola sotto il tappeto, sita poco distante dalla scrivania.
– Possiamo scappare da lì, porta
direttamente ai giardini. Fu fatta costruire dal precedente proprietario –
disse l’ex procuratore indicando un punto indefinito non molto distante da
loro.
– Il problema è arrivarci, ci
troveremmo in perfetta linea di tiro spostandoci da qui – spiegò Ryo in modo calmo, cercando nell’esprimersi di non
terrorizzare ancora più l’uomo al quale aveva salvato la vita.
– Vogliono me, avresti dovuto
lasciarmi al mio destino!
Ryo si lasciò scappare una risatina
sarcastica scatenando l’incredulità nell’uomo che, spiazzato da quella
reazione, fece di tutto per rispondere pungolato nell’orgoglio ma senza
successo.
– Possibile, ma hanno seguito me e la mia partner… e poi sarebbe troppo facile così
– Troppo facile?
– Sei un vigliacco di prima specie, la
morte sarebbe solo una liberazione per te – dichiarò senza peli sulla lingua lo
sweeper prima di zittire con un cenno della mano le
eventuali repliche. Si guardò ancora una volta tutto intorno con scrupolo alla
ricerca di un qualcosa che potesse aiutarli. Nella sua mente svettava imperioso
lo scarno identikit del suo avversario.
E ora?
Pensava e ripensava senza darsi tregua,
poi l’illuminazione quando tutto sembrava perduto. Si soffermò, naso all’insù, sull’impalcatura
sopra le loro teste: essa, sorretta da un sistema di anelli fissati al muro, si
occupava di far scorrere l’elegante drappeggio di tende in tutta la sala che,
come un rosso manto, baciava dolcemente i fianchi di quelle ampie vetrate. Far
cadere il tutto avrebbe oscurato la visuale per pochi istanti al formidabile
cecchino, una ghiotta occasione da non perdere.
– Tenetevi pronti. Kaori, io ora
sparerò e le tende ricadranno su di noi, dovrai essere rapida ad uscire da lì.
Per pochi attimi il bastardo avrà la visuale coperta, tenete la testa bassa e
dritti alla botola!
– Ryo… e tu?!
– Sarò dietro di voi, ma l’importante
è eseguire il piano senza pensarci troppo. Avete capito? – domandò lui di
rimando.
– Non temi possa indossare un visore? -
obiettò Aoki subito dopo.
– Un visore amplifica la luce, per
quanto poca essa sia ma non può vedere oltre gli ostacoli – spiegò nuovamente Ryo, fortemente convinto del suo piano.– Per nostra fortuna hai scelto tende belle
spesse, o anche queste sono un regalo del precedente proprietario?
– Va bene, ho capito. Faremo come
dici.
– Al mio tre allora.
Uno. Due. Tre.
Vari colpi sparati in rapida sequenza
annunciarono il contrattacco di City Hunter. Come previsto le tende ricaddero
senza troppi complimenti negando completamente la visuale al cecchino. I colpi
erano stati calibrati perfettamente al solo scopo di far cedere unicamente la
parte centrale dell’impalcatura, proprio quella che copriva le vetrate alle
loro spalle. Kaori fu lesta a prender Aoki per mano e a rovesciare la pesante
scrivania in mogano. In pochi istanti aprì la botola e ci si buttò dentro senza
molti complimenti seguita dall’uomo. Ryo lì seguì a
ruota quasi strisciando lungo il pavimento, accompagnato per il breve tragitto
da una scarica infuriata di colpi del nemico che, sentitosi a ragione preso
nuovamente in giro, stava sfogando la sua ira. Si calò quindi anch’egli di
sotto con un rapido balzo.
– Salvi per un pelo – commentò Aoki
una volta riuniti tutti mentre faceva strada. Guidato dalla fioca e languida
fiamma del suo costoso accendino, camminava incerto per quell’umido complesso
di cunicoli.
– Ringrazia il tuo arredamento
pacchiano – scherzò Ryo presa sotto braccio una Kaori
che non s’era trattenuta dal corrergli incontro per sincerarsi delle sue
condizioni.
– Cosa spinge una coppia a fare cose
del genere? – chiese l’ex procuratore sbirciandoli con la coda dell’occhio.
–C’è un errore. Noi non sia-
La donna era pronta per fornire la
solita, trita spiegazione, ma non ne ebbe modo.
– Vedo l’uscita! – esclamò lo sweeper spezzando quella imbarazzante discussione. Pochi
istanti e si ritrovarono, sbucati letteralmente dal nulla, nel mezzo dei grandi
giardini alle spalle della villa; immersi nel ronzio di quella piccola oasi si
addentrarono all’esterno della proprietà verso l’auto. Ryo,
in religioso silenzio, analizzava al dettaglio, passo dopo passo, ogni singolo
rumore o vibrazione percepisse e così faceva Kaori, convinta anch’ella che il
pericolo fosse ancora vivido, e pronto a palesarsi nuovamente. Aoki, d’altro
canto, era così confuso da quella inaspettata piega dagli eventi dal non
potersi trattenersi dal porre mille domande ai due, domande prontamente
ignorate per suo grande sdegno.
Una minacciosa figura in penombra
arrestò la fuga chiudendo loro la strada con passi brevi ma decisi. Nella mano
la sagoma di una pistola.
–Davvero un’ottima mossa la tua, ma questa volta non mi scappi –
pronunciò lo sconosciuto con un giapponese perfetto, quasi neutro nell’accento
se non per piccoli particolari.
–I Conti hanno assoldato addirittura uno specialista sovietico per farmi
fuori, sono onorato. Ottimo accento, comunque. I miei complimenti – disse Ryo, fermatosi a pochi metri di distanza dal suo nuovo
rivale.
– Il mio obiettivo è quella lingua
lunga, poi ci sei tu. Non darti troppa importanza– rispose sicuro di sé il
killer rivolgendo poi un cenno del capo al povero Aoki che trasalì al sol
pensiero di morire per mano di quei mostri.
– Capisco, ma vedi, non posso proprio
permetterti di ucciderlo.
– Ci resta solo un modo per scoprirlo,
prepara la tua pistola, RyoSaeba.
La leggenda di City Hunter termina questa notte! E una volta ucciso te,
toccherà alla tua compagna e a quel cane.
– Parli troppo, vuoi duellare o no? –
tagliò corto lo sweeper più abile del Giappone
irritato profondamente da quelle ultime frasi rivolte a Kaori.
Questo è tutto da vedere.
La donna, d’altro canto, nonostante
non riuscisse a scorgere con chiarezza i lineamenti dello sconosciuto, poteva
immaginare benissimo come essi fossero “sfigurati” dallo sdegno di quelle acri
dichiarazioni. Si era trovata suo malgrado molte volte a dover assistere a dei
duelli e ogni singola volta s’era sempre sentita parte di un macabro gioco del
destino: una esistenza senza Ryo sarebbe stata per
lei una sentenza ben peggiore della morte. Odiava sentirsi così impotente, naufraga
ignara e senza meta in quel mare in tempesta di eventi che le avevano stravolto
la vita in pochi giorni. Non avrebbe cercato di farlo desistere, inutile
tentarci. E Più affondava i piedi nell’umido terreno, più sentiva le ginocchia
venir meno: avrebbe voluto urlare, ricoprirsi la testa col lenzuolo come fa un
bambino dopo essersi svegliato madido di sudore per un brutto incubo, solo per
risvegliarsi con i rassicuranti raggi del sole a pochi giorni fa.
Le spalle forti dell’uomo che amava la
coprivano per intero a simboleggiare l’atto estremo che egli era disposto a
fare pur di tenerla al sicuro e si sentì d’improvviso in colpa ripensando a
quella stupida discussione in terrazza. Non capì appieno il perché di quei
pensieri, in apparenza così futili in un momento del genere, ma tant’è che non
riusciva in alcun modo a scacciarli dalla sua mente. Brividi le percorrevano,
feroci come fitte istantanee, la schiena e il cuore sembrava esploderle ad ogni
battito in petto. Un gelido sbuffo di vento la investì in pieno facendola
tremare ancor più di quanto non facesse già.
Ryo…
Come belve sull’attenti pronte ad
azzannare la preda, i due si studiavano senza azzardarsi a scoprire il fianco.
Sarebbe stata questione di piccoli attimi, n’erano entrambi consci. Si
intrecciavano quella notte due esistenze dannatamente simili per gli abissi
affrontati, per il dolore e i peccati che macchiavano le loro anime, non più
pie dal giorno in cui ad una vita normale s’era affiancata una pistola.
Yuri tamburellava nervosamente il
palmo della sua mano destra con l’indice. I suoi respiri, corti e silenziosi
andavano al ritmo di quelli del suo avversario. Come un codice d’onore i due si
erano dati la distanza e avevano riposto le armi nelle rispettive fondine. Rispettava
solennemente quell’uomo nonostante potesse sembrare il contrario. Ne rispettava
la forza e il coraggio nell’affrontarlo uno contro uno senza inganno, cosa che saltuariamente
gli era capitata nella sua vita da guerrigliero prima e mercenario poi.
Nato in una piccola città dimenticata
da qualsivoglia dio, figlio di quella steppa sovietica arida di amore verso i
propri figli, Yuri era cresciuto figlio di contadini come tutti nella zona. Amava
i suoi genitori, rispettava i suoi nonni, e prima del suo dodicesimo compleanno
aveva sempre sognato del mondo dietro l’orizzonte a lui conosciuto. Poi venne la
morte dell’amato padre, colto da un ictus fulminante mentre lavorava i campi; venne
la perdita della casa e la morte di quei puerili sogni dopo l’ennesima carestia.
In meno di un decennio si ritrovò dunque ad imbracciare un fucile e a inseguire
la carriera da militare, l’unica in grado di garantire un tozzo di pane per la
sua vedova madre, troppo malata e anziana per il lavoro.
Entrato giovanissimo nello Specnaz, Yuri ne aveva vista di brutture e mostruosità sui
campi di battaglia, ne era stato complice più volte, mai per esercitare una sua
personale e crudele volontà, quanto per obbedire ad un ideale che gli era stato
inculcato col fuoco della propaganda e dell’odio. Aveva amato solo una donna in
vita sua e quel fantasma non mancava di tormentarlo in sogno qualvolta
chiudesse gli occhi. E quel gioco di destini lo aveva portato a duellare con un’anima
dalla solitudine affine alla sua. Non temeva la morte da anni e in cuor suo
sapeva che anche per quel giapponese era lo stesso. Si fece coraggio e sparò.
Cadde pochi istanti dopo all’indietro accompagnato
da un rantolo di dolore, colpito al costato dall’avversario, rimasto ferito a
sua volta nello scontro: la sua Makarov aveva affondato, ma non era stato
abbastanza. L’ultima cosa che vide prima di perder conoscenza fu l’immagine di Ryo in ginocchio, stremato e sanguinante. Sorrise.
Lo sweeper,
infatti, era stato trafitto al braccio sinistro e perdeva attimo dopo attimo
una copiosa quantità di sangue. Kaori fu al suo fianco in un lampo e così Aoki.
– Ryo!
– Sto bene, non è nulla di grave – mugugnò
lui stringendo i denti per il dolore. L’aveva spuntata ancora una volta.
– Non è vero, dobbiamo bloccare l’emorragia,
stai perdendo troppo sangue – quasi gridò lei mentre l’aiutava a spogliarsi
della giacca oramai zuppa lungo la manica sinistra. Ne strappò via un lembo
buono e ne fece un laccio intorno alla ferita del partner che si oppose non
poco a quel medicamento tanto rozzo quanto efficace.
– Piano, piano!
– Sempre il solito, sto già facendo il
più piano possibile! – ribatté a fatica la donna cercando di non lasciarsi
travolgere dalle sue emozioni: tremava vistosamente e stava facendo di tutto
per nasconderlo. Ciononostante fu grazie al suo tempestivo intervento che la
ferita smise di sanguinare. Ryo, dismessi i panni del
frignone, prese la parola rapito dalla dolcezza di quei gesti.
– È tutto finito, Kaori, non devi
preoccuparti – sussurrò dolcemente guardandola negli occhi. Le baciò poi la
fronte biasciando un timido “grazie” prima di rimettersi lentamente in
posizione eretta, assistito dalla donna che si premurava di non farlo sforzare
troppo. Inebetita da quei gesti improvvisi, le ci volle un po’ prima di tornare
lucida.
– Sicuro di farcela, signor… Saeba, giusto? – domandò Aoki
– Nulla che non si possa ricucire.
Dobbiamo andare ora, non è detto sia l’unico nei paraggi – rimandò lui con una
smorfia prima di soffermarsi sul corpo dello sconfitto.
Minuti dopo i tre erano in strada,
sempre più lontani dal fato che ancora una volta aveva imbastito un crudele
gioco ai loro danni.
****
Kyoko odiava fortemente quei momenti
di anemica attesa a causa delle mille congetture pronte ad aggredirla senza pietà.
Terribilmente in ansia per i due, e in particolare per Ryo,
stava trascorrendo la notte immersa in dettagli futili e contraddittori. Poche
le certezze: tra queste quella di essere divenuta in poco tempo il pomo della
discordia per City Hunter. Ad avvalorare la tesi c’erano le lacrime di Kaori, da
lei udite la notte precedente, una prova lampante. Sorseggiò lentamente la sua
cioccolata calda osservando fuori dalla finestra alla ricerca di quella sagoma
conosciuta. Cosa gli avrebbe detto una volta ritornato?
Si sentiva così inutile, come sempre da
anni a questa parte: dei ricordi in certi punti confusi e un macabro e
agonizzante destino erano le uniche cose che riteneva di poter offrire a chi
tanto si stava prodigando per aiutarla in quella folle crociata. Deglutì a
fatica ripensando al volto di Ryo al termine della più
che famosa storia sul loro incontro: non le aveva creduto, ne era dannatemente certa e la cosa la faceva stare tremendamente
male. Ci aveva provato, ci provava tuttora a mettere a posto i tasselli
sparpagliati di quel puzzle senza apparente soluzione, ma per quanto si
sforzasse di metter a fuoco i particolari, essi le sfuggivano come sabbia tra
le dita. Tirò un sospiro silenzioso per
non farsi udire da Miki appisolatasi sul divano poco
distante da lei. Dell’uomo non c’era traccia alcuna ma era sicura fosse da
qualche parte a vegliare su di lei, o meglio a sorvegliarla. Bevve un altro
sorso e socchiuse leggermente gli occhi asciugandosi una lacrima solitaria che le
aveva rigato la guancia sinistra.
Riprese a guardar fuori cercando
sempre di distrarsi in quel viavai di mezzi che giravano senza apparente meta
tra le strade della città, solo per ritrovarsi inevitabilmente a ripensare a quella
sera dell’incontro con Ryo. Si sforzò più che mai di
ricordarne gli attimi mancanti prima di venir tutto d’un tratto colpita da una
forte emicrania. Chiuse gli occhi e, portate le ginocchia al petto, prese a
massaggiarsi intensamente le tempie: non era la prima volta che l’era capitato
e non sarebbe stata l’ultima, pensò. Questa volta però era tutto differente a
partire dall’intensità. Mantenne quella posizione per vari minuti, poi un flash
e una voce a tuonarle dentro:
“Esperimento undici”.
Fine capitolo
E rieccoci con l’ennesimo angolo dell’autore.
Come va? Spero tutto bene. Vi ringrazio calorosamente dei complimenti e del
seguito. Grazie di cuore, veramente.
Ne possono succedere di cose in una
notte, eh? Ryo
e Kaori (e amici) dovranno tenersi ben pronti per il prossimo futuro. Spero di
non essere stato troppo banale in certe situazioni e che gli approfondimenti
sui vari personaggi non siano troppo pesanti. Non voglio dire molto su questo
capitolo perché amo le vostre congetture e preferisco che ognuno tragga le sue
conclusioni. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che dire…
Erano trascorsi una manciata di minuti
da quel forte attacco d’emicrania e la situazione non stava migliorando affatto
per Kyoko. Afflitta dal lancinante dolore che l’aveva ridotta a dondolarsi al
ritmo del proprio respiro, la donna cercava con non poca difficoltà di trovare
un senso a quei ricordi che non sentiva suoi.
Ripeteva energeticamente, tra un
rantolo di dolore e l’altro, quelle parole che l’avevano travolta come un fiume
in piena pregando affinché quel supplizio potesse terminare al più presto. Per
sua fortuna non era sola. Miki, infatti, ridestatasi
dal suo sonno, aveva cercato dal primo momento di assisterla al meglio delle
sue possibilità parlandole con tono calmo nel tentativo di farla calmare.
– Kyoko, stai andando in
iperventilazione… respira – esclamò spaventata dalla vacuità dello sguardo
della scienziata, totalmente estranea ai richiami.
Umibozu, presente anch’egli sulla scena, si
era prodigato al pari della compagna nell’assistere quella donna a lui
sconosciuta: ne aveva viste negli anni di cose strane e il comportamento di
Kyoko lo stava in un certo senso inquietando. La donna, infatti, sembrava
galleggiare in un mondo tutto suo, un mondo lontano e ovattato rispetto ai dettami
della realtà. Tra le labbra della scienziata scivolava da una mezz’ora buona
sempre la stessa, striminzita, frase. “Esperimento undici – esperimento undi-esperimento-esperi-”; un mantra senza fine cantato con
voce flautata a dipingere una macabra litania.
– Non risponde ai richiami, cosa
possiamo fare? All’inizio mi è sembrato un attacco di panico ma ora non ne sono
più sicura – si confidò Miki rifugiandosi nella
presenza rassicurante del gigante buono.
– A saperlo! Sembra come sotto ipnosi.
Cosa è successo quando ero via?
– Abbiamo chiacchierato del più e del
meno, ma non si è aperta molto con me. Poi mi sono addormentata… e mi sono
risvegliata con le sue urla.
– Capisco – mormorò Umibozu prima di avvicinare la donna: ne studiò i tic del
viso e i manierismi della voce, apparentemente monotona nel ripetere
instancabilmente la stessa frase. Fece per dire altro ma venne distratto
dall’arrivo di City Hunter al completo.
– Ryo,
Kaori, siete qui finalmente! – li accolse ad alta voce Miki
con grande sollievo.
Kyoko, udito quel nome, si espresse in
un timido e triste sorriso adombrato dal capo tenuto chino, quasi avesse
cominciato a provar un’insana tristezza tutto d’un tratto. Si acquietò poi poco
dopo per grande sorpresa di tutti prima di perdere definitivamente conoscenza.
– Kyoko! Che sta succedendo?! – gridò
Kaori spaventata prendendo il corpo esanime della donna tra le sue braccia.
– Non lo so, ha iniziato a ripetere
una frase senza sosta… io…
Ryo, senza fiatare, avvicinata la donna
ne controllò rapidamente il polso e il respiro. Scampato pericolo. La donna
stava dormendo di gusto come se nulla fosse mai successo e i quattro, dopo un
breve scambio, convennero fosse meglio non svegliarla.
– Ora spiegatemi dall’inizio cosa è
successo. Voglio vederci chiaro.
Le successive ore corsero via tra i
racconti delle rispettive serate e le considerazioni su cosa potesse aspettarli
in futuro. Ryo, di suo canto, dopo giorni di
riflessioni, aveva oramai postulato che di Kyoko si dovesse conservar un
ragionevole dubbio. Tre i perni del suo scetticismo: gli eventi sul loro
incontro così sfocati; le indagini ostacolate così puntualmente; e ora questo
fantomatico “esperimento undici”.
A Kaori bastò un fugace sguardo per
specchiarsi nei dubbi del suo amato: li condivideva in un certo senso pur
cercando di vedere sempre il meglio nelle persone a dispetto dei loro errori.
– Dunque. Cosa te ne pare di tutta
questa storia? – domandò poi Umibozu al rivale.
– Ti anticipo che non ho la soluzione,
ma ho la carta per arrivarci.
–E come?!– li interruppe Miki.
– Vedi. Kyoko non ricorda gli
avvenimenti precisi del nostro incontro. E ora, visto quanto mi hai raccontato,
sono convinto non sia più una fonte affidabile. Non so se lavora per loro,
volontariamente o meno – spiegò Ryo accendendosi a
fatica una sigaretta: il braccio non aveva smesso per un istante di
tormentarlo.
– E quindi non ti fidi di lei.
– Non mi fido del tutto, mettiamola
così. Oramai sono convinto che i suoi ricordi siano stati manipolati in parte
per un motivo che ancora non comprendo – concluse l’uomo espirando lentamente
il fumo dai polmoni.
– Ripeto, sembrava esser sotto ipnosi.
Non hai paura possa aver rivelato la vostra posizione? – domandò Miki ancor più confusa da quella storia.
– So a cosa ti riferisci. E non posso
escludere che si sia allontanata dal Cat’s Eye per
fare rapporto quando l’abbiamo lasciata da voi per andare all’appartamento del
professore.
– E quindi? Qual è il tuo piano –
continuò lei incerta.
– Il mio piano? Tanta pazienza e
qualche piccolo test.
– Ma…
– Propendo anche io per l’ipotesi
della complice inconsapevole – rivelò Umibozu
sistemandosi gli occhiali con la punta dell’indice. – Kyoko avrebbe potuto
rivelare della vostra locazione e sai bene che un killer non perderebbe mai una
occasione per colpire di sorpresa.
– Ma Ryo… ci
hanno attaccato due volte, sapevano di certo! – obiettò Kaori ch’era rimasta
sino a quel momento in completo silenzio.
– Forse sì. Forse no. Ma ne abbiamo le
prove? Se rammenti hanno provato a sparare ad Aoki e non me. Eravamo entrambi
sotto una linea di tiro ideale ma le priorità erano differenti questa volta –
spiegò pazientemente lui dopo aver spento la sigaretta all’ultimo tiro.
Al termine di quel chiarimento seguì
poi il congedo di Umibozu e Miki
visto il tardo orario.
Ryo e Kaori, rimasti soli, ripresero
quindi a discutere delle prossime mosse da fare, tutto ciò nel bel mezzo delle
cure allo stallone di Shinjuku che non mancò anche questa volta di opporsi.
– Era proprio necessario?! –
piagnucolò offrendo il braccio alla donna.
– Piantala di fare il bambinone.
Abbiamo quasi finito – lo rimproverò Kaori ispezionando la ferita dopo averla
medicata come meglio poteva. – La faremo controllare anche al Doc. Aoki dici si
troverà bene lì?
– Starà una favola! Voglio che
l’incontro tra lui e Kyoko si svolga lì a loro insaputa. Voglio togliermi il
tarlo che sia lei ad avere un ruolo attivo in queste nostre disavventure.
– Come mai…
– Mh?
Kaori s’era fermata a rimuginare sulle
esatte parole da dire. Guardò brevemente il partner e tirato un sospiro
rassegnato riprese a parlare senza timore alcuno:
– In altri tempi avresti rinunciato ad
un caso del genere. Come mai questa volta è diverso?
– In terrazza ti ho parlato di sguardi
– cominciò a spiegare lui alzandosi in piedi e posandole entrambe le mani sulle
spalle in una dolce presa, - e ti ho detto che cercavo in Kyoko qualcosa che
potesse tradire le sue intenzioni. E ancora non ci ho visto un motivo per
mollare. Lo faccio anche per Maki, Kaori.
– Maki…
– E non chiedermi di rinunciare. Non
posso.
– No, non è questo – sorrise lei
tristemente distogliendo lo sguardo troppo imbarazzata.
– Guardami.
La donna obbedì con reticenza a quel
richiamo espresso con tono sicuro ma gentile.
– Ti fidi di me, no?
– Certo che sì! Che domande…
– E io mi fido di te Kaori, come
nessuno. Ti prometto che ne usciremo indenni, insieme – sussurrò Ryo distese le labbra in un limpido sorrido.
– Insieme – confermò la donna prima di
abbracciarlo incapace di trattenersi oltre. Lo sweeper,
colto di sorpresa, rispose a quel contatto cingendola a sé senza perdersi in altro.
Prese a carezzarle i capelli perdendosi nel suo profumo. Stretti, al buio, due
cuori si davano forza a vicenda, uniti da un legame più forte di quanto
avrebbero mai potuto esprimere le parole.
– Ryo –
mugolò lei affondando ancor di più il viso sul suo petto.
– Dimmi.
– Sarà sempre così tra noi?
– Sempre come.
– Lo sai.
– Ti ho già detto che non è un
discorso che voglio affrontare ora – rispose distaccandosi da quell’abbraccio.
– Scusami… è che sono ancora scossa
per quanto successo. Io, ecco, mi dispiace.
Quel flusso di coscienza, sporco di
pensieri e sensazioni contrastanti, diretto verso un epilogo sconclusionato,
venne spezzato da un bacio del partner, uno differente da tutti quelli che
aveva assaporato, un bacio all’angolo della bocca che per uno come lui era
certa non fosse che premeditato.
– Ti basta per ora come risposta?
– Sì, credo di sì – sorrise a sua
volta prima di riabbracciarlo più forte di prima.
****
Il confine tra vita e morte a volte è
così labile da trasmutarsi, come la distorsione data da un lontano miraggio, in
immagini così illusorie da far dubitare anche l’anima più resiliente d’aver
solo gioito di un attimo. Per Yuri, perso nel delirio delle proprie ferite
emotive, quel miraggio era l’espiazione di una esistenza di sconfitte: a metà
tra la vita e la morte, su di un piccolo letto al buio, l’uomo apparentemente
dormiva, sedato da una ingente dose di medicinali. Eufemismo era il solo
definirlo “fortunato”.
Salvato da quello che molti avrebbero
definito miracolo, se l’era cavata con una emorragia sventata dal team medico
di soccorso della Nova Pharma, tempestivo nel suo intervento dopo il duello.
“Pochi centimetri e avrebbe preso un
polmone”, queste le considerazioni lanciate in giro dai medici con un laconico
passaparola alle innumerevoli domande riguardo il killer sovietico. Nascosto in
quel piccolo complesso industriale, distante dal curioso chiacchiericcio della città,
un nuovo team di ricerca aveva ripreso da mesi a sperimentare sulle tecniche di
manipolazione comportamentale. Con turni continui, gli uomini e donne, scelti
tra i profili medici più eccellenti, lavoravano senza sosta al progetto
iniziato ben cinque anni fa. I risultati erano sempre più incoraggianti o così
si diceva durante le riunioni mensili organizzate dai Conti, ma c’era qualcosa
fuori posto in quel piano all’apparenza perfetto. Quel qualcosa affliggeva da
tempo la quiete di JunichiIto,
leader spirituale della dissidente fazione separatasi dalla Union Teope.
Presente sul luogo, l’uomo stava
ascoltando distrattamente a braccia conserte le parole del chirurgo al suo
fianco. Dinanzi a lui giaceva il corpo esanime di Yuri, sua arma prediletta. RyoSaeba era una grossa parte
del problema da lui individuato e il fallimento del sovietico lo aveva non poco
irritato… e sinceramente preoccupato: a conoscenza dello sgradevole sterminio
della sua vecchia organizzazione, Ito viveva nel
terrore di non riuscire a portare a termine il piano prefissato e delle
conseguenze.
– Si riprenderà? – domandò
sovrappensiero.
– Ci sono buone possibilità se supera
la notte, ma ha perso molto sangue – rispose il chirurgo prima di abbandonare
la stanza esauriti i dubbi del suo capo.
Ito si massaggiò il capo glabro prima di
prender posto sulla comoda poltrona in pelle posta di fianco al letto. Posò lo
sguardo sul volto di Yuri e si sentì ribollire dentro per la collera. Cosa
avrebbe dovuto fare per liberarsi di City Hunter? La pazienza dei suoi soci
verso la sua leadership era sempre più esigua e il tempo scorreva veloce, fin
troppo per i suoi gusti.
I risultati dei test erano sempre più
vicini a risultati “spendibili” e l’aver acquisito i brevetti del suicida
professor Kokubo era risultato sicuramente d’aiuto.
Tuttavia lo stesso Kokubo prima di morire aveva
furbamente nascosto la chiave per comprendere appieno quelle formule e tale
chiave non era nientedimeno che Kyoko: più precisamente la sua memoria.
Ed egli lo sapeva molto bene, infatti
soltanto per questo motivo aveva permesso alla dissidente scienziata di
ricongiungersi all’unico uomo capace di farli fuori tutti: scoprire il resto
della formula era troppo importante, più importante di tutto e avrebbe scatenato
uno, dieci, cento Yuri pur di raggiungere il segreto che il “traditore” s’era trascinato
nella tomba. Il disgusto, pesante come un macigno, gli incurvò le labbra tanto
da farlo vaneggiare da solo immerso nell’oscurità:
- Che tu possa marcire all’inferno MasatoshiKokubo. Tu e quel
detective da strapazzo.
****
A Shinjuku Il mattino seguente era
cominciato in un modo alquanto imbarazzante per Kyoko, vittima dei continui
sguardi interrogatori di Ryo che mai per un istante
aveva rinunciato a fissarla da quando aveva messo piede in soggiorno. E per
quanto cercasse di sfuggire a quel silenzioso tono inquisitorio, la donna non
riusciva a far a meno di pensare a cosa avrebbe potuto dire questa volta pur di
farsi credere per una buona volta.
– Visto che non siamo nel mood di
parlare, comincio io – iniziò Ryo spezzando quel
clima gelido senza troppi problemi.
Kaori non si era ancora alzata in
quanto aveva passato gran parte della nottata a vegliare sulla scienziata; erano
dunque da soli, e l’uomo, senza il filtro morale della sua partner, per quanto
ne ammirasse la flemma gentile e compassionevole, si sentiva libero di calcare
la mano.
– Fermati qui. So che non mi credi,
risparmiati l’interrogatorio non saprei cosa dirti – lo interruppe lei cercando
di attutire l’onda che le si sarebbe scagliata contro.
– Ho finito la pazienza per gli
indovinelli. Perché non la smetti di essere un pericolo per chiunque ti stia
intorno e cominci a collaborare?.
– Sarei io il pericolo?! Sei proprio
uno stronzo, sai? – ribatté lei ad alta voce.
– Probabile, ma non cambia il fatto
che chiunque abbia provato ad aiutarti sia finito male. Parlami
dell’esperimento undici – reagì l’uomo senza il minimo rimorso guardandola
dritto negli occhi.
– Non so cosa sia, e non è di certo
parte di quello a cui ho lavorato io o me ne ricorderei.
– A meno che non abbiano fatto
qualcosa su di te.
– Ma cosa diamine stai dicendo, sarà
stata una reazione da stress. Io… io.
– Pensaci, Kyoko – disse Ryo questa volta smorzando i toni. – Forse ti hanno inibito
parte della memoria per renderti innocua.
– Potevano uccidermi anziché
rischiare… ho parlato con Makimura, lo sai questo.
Non mi sto inventando niente!
- Le tue sono mezze verità,
inconsapevoli o meno per ora non posso dirlo – concluse lui dandole le spalle.
– Capisco. Toglierò il disturbo al più
presto allora – sussurrò la donna.
– Quello che voleva dire il testone–
esordì improvvisamente Kaori alle spalle di Kyoko, - e che queste mezze verità
ne custodiscono una più grande che raggiungeremo insieme. Non è vero, socio?
– Certo, certo – tagliò corto lo sweeper con un sorriso sornione diretto alla sua partner. –
Dicevo proprio alla nostra cliente che oggi andremo a farci una bella
passeggiata!
- Passeggiata? Per andare dove?
- Ma come?! – bofonchiò Ryo avvicinandosi alle due a grandi balzi.
– Qualcuno ti deve delle spiegazioni e
quel qualcuno lo abbiamo finalmente trovato – spiegò Kaori prendendo sotto
braccio Kyoko.
Questi due sono così strani… ma si
completano.
Fine Capitolo
Premetto che mi scuso per l’assenza
più lunga del normale ma sono stati giorni più incasinati del previsto, spero
quindi di farmi perdonare con un capitolo degno dei precedenti. Ringrazio come
sempre chiunque abbia recensito, letto, seguito, e tante belle cose. Lo
apprezzo tanto e mi dà tanta carica per rendere il finale (sempre più vicino)
il più memorabile possibile. Riguardo il capitolo ho cercato sempre di
sottolineare, questa volta in modo più dolce e romantico, le ambiguità di quel
sentimento mai dichiarato ma comunque presente in un sottotesto più ampio. Ma Ryo questa volta ha rimandato, non ignorato. Abbiate fede
ahaha
In un marasma di dissonanze portate da
frammenti confusi, tra la tenue sfumatura data dal labile confine del
possibile, si affacciavano le preghiere di Kyoko. Grata dell’ennesima occasione
riservatale, la scienziata formulava mentalmente le domande da porre al
procuratore. Lo sguardo distratto puntava al panorama al di fuori del piccolo
finestrino dell’auto in viaggio.
Aveva schivato sino a quel momento con
dei sorrisi di cortesia le considerazioni di Kaori, preferendo rinchiudersi
nelle proprie elucubrazioni: del resto era una caratteristica del suo essere,
un modo di fare che aveva portato con sé anche nel lavoro. Celebri erano
infatti i richiami al suo indirizzo da parte dei colleghi che avevano avuto il
piacere, o per i più socievoli la sfortuna, di lavorarci assieme.
E se fosse altro tempo perso?
Inoltre non aiutava la sua quiete
l’esser soggetto dei dubbi di chi riteneva l’unica persona in grado di poterla
redimere dai suoi peccati: sì era decisamente quello il problema più grande. Aveva
tentato senza particolare successo di rimembrare di quel flash che l’era
balenato in mente poche ore prima: non aveva ricordi riguardo l’esperimento
“undici”, tantomeno di esser mai stata effettivamente a capo di un suo
personale team di ricerca. La sola idea, instillatale da Ryo,
di esser stata a sua volta oggetto di manipolazioni la terrorizzava, e non poco.
Masa… è davvero andata così?
– Siamo arrivati – preannunciò l’uomo poco
prima di fermarsi destandola così dal suo torpore.
Accolto con le solite invadenti
cerimonie da Doc e dalla ritrosia di Aoki, l’insolito trio si accomodò alla
bene e meglio nello spazio personale del mentore dello sweeper
più abile del Giappone.
– Bene, visto che non vedo la
necessità di perdere altro tempo, possiamo anche cominciare – esordì Ryo senza troppo garbo.
– Concordo – commentò Aoki
visibilmente a disagio, – vorrei tornare alla mia vita il prima possibile.
– Lei è davvero un uomo spregevole–
parlò Kyoko senza mezzi termini presentandosi così in maniera aspra e diretta.
– Detto da chi faceva parte di una
organizzazione criminale è simpatico – rispose il non più giovane uomo punto
nell’ego.
– Cerca già l’argomento fantoccio? Io
ho avuto la coscienza di parlare dei miei peccati e lei che ha fatto oltre a
depistare le indagini?!
– Sì, lo ammetto. Sono stato io a
depistare le indagini del detective Makimura, ma
avevo le mie ragioni nel farlo.
– Tsk,
dovevo saperlo. Che stupida sono e che stupida sono sempre stata!
– Non dire così… volevi fare la cosa
giusta – sussurrò Kaori, seduta al fianco della scienziata nell’intento di
farla tornare a uno stato più ragionevole.
– E non è servita a un bel niente!
Tutto vano. – gridò ella di tutto rimando sull’orlo del pianto.
– Non direi – commentò Ryo con la sua proverbiale flemma.
– Ah no?
– Te l’avrò detto mille volte, oramai.
Sei la chiave del caso, e non importa se le indagini di Maki siano andate
perse. Li staneremo, hai la mia parola.
–Ma io non so neanche come trovarli e se non li troviamo questa storia
continuerà in eterno – ribatté Kyoko alzatasi di scatto in piedi.
– Abbiamo sbagliato sino ad ora, non è
vero Doc? – domandò Ryo al suo mentore con un sorriso
sornione ignorando lo sfogo della donna.
– Totalmente – tagliò corto l’altro
poco prima di prender a cercare chissà cosa tra pile di fogli posti su di una
grande scrivania alle sue spalle.
Calò il silenzio tra i partecipanti a
quella discussione dopo quell’ultimo enigmatico scambio e Kyoko, ammantandosi
della sua più confusa smorfia, cercò invano nello sguardo di Kaori qualsivoglia
indizio riguardo le intenzioni del suo partner.
– Quel che intendo – riprese lo sweeper, - è che dobbiamo ritrovare te, non loro. Ho
sbagliato approccio tutto questo tempo.
– Ma cosa vuol dire?! – sbottò Aoki di
punto in bianco.
– Ryo ha
ragione. Semplicemente se ritroviamo te, la vera te, sarà tutto più semplice –
spiegò Kaori avendo intuito finalmente.
– All’inizio ero scettico, devo dir la
verità, ma una idea così folle potrebbe funzionare – aggiunse divertito Doc
rimettendosi a sedere: tra le mani reggeva uno dossier dalla copertina logora e
ingiallita.
– Ripartiamo, ma questa volta evitando
di perdere tempo in accuse. Procuratore, spiega alla nostra scienziata il tuo
ruolo in questa storia – ordinò Ryo.
****
Da tutt’altra parte proseguiva invece la
macchinazione dei Conti Bianchi. Essa portava in seno come termine ultimo il
pieno compimento del redivivo esperimento “Nova Pharma” ed un piano del genere
non poteva permettersi intoppi o rallentamenti sulla tabella di marcia. Questo JunichiIto lo sapeva bene, fin troppo
bene: mancava meno di un mese alla visita del presidente statunitense in terra
nipponica e tutto doveva filare liscio. Il simbolo del potere occidentale era
quindi la preda da loro scelta.
Quale occasione più ghiotta del poter
assoggettare l’uomo più potente del pianeta al proprio volere?
Tuttavia, il gas sintetizzato a
partire dalle formule del suicida Kokubo era
altamente instabile e i suoi effetti non totalmente controllabili, il che era
un rischio per un piano del genere. E come se non bastasse c’era City Hunter a
dar loro la caccia e questo non faceva più dormire Ito
da un bel po’ di notti. Seduto dietro l’ampia scrivania del suo piccolo
ufficio, l’uomo si stava destreggiando alla bene e meglio tra le decine di
comunicazioni che gli venivano portare di ora in ora. E come se non bastasse
una forte emicrania, dono delle notti insonni, lo aveva ridotto a un sacco di
ossa raggomitolato sulla poltrona e intento a massaggiarsi le doloranti tempie.
- Signore, abbiamo notizie dagli altri
esperimenti ad Osaka – esclamò rispettosa l’uomo che aveva di fronte, l’ennesimo
messaggero di quella maledetta giornata.
- Ebbene? Taglia corto e dammi i dati –
sibilò lui aumentata la fermezza del massaggio.
- L’efficacia si abbassa drasticamente
anche ad esposizione ripetuta, sembra che la molecola venga rapidamente
contrastata dall’organismo.
- Merda! Avete provato con gli impulsi
sonori misti alla droga? – imprecò Ito senza grazia
alcuna.
- Sì, ci abbiamo provato ma senza
particolare successo.
- Diamo una accelerata verso Kyoko. Fate
uscire allo scoperto anche lei, le abbiamo dato tempo di giocare con Saeba ma ora basta!
- Ma signore… avesse ricordato lo
sapremmo e poi è sotto la protezione di City Hunter – replicò il sottoposto alzando
di tono la sua voce stridula.
- Lo so, ed è per questo che voglio
dare loro una mano – ribatté Ito con un sorriso
meschino.
- Capisco. Ha in mente qualcosa?
- Certamente.
****
Fu un lungo confronto quello tra l’ex
procuratore e la scienziata, un confronto anche acceso in certe sue dinamiche
come prevedibile. Ryo, così come Kaori, fece non poca
fatica a tenere a freno la frustrazione della donna: il suo atteggiamento infatti
mutò solo alla rivelazione delle motivazioni dell’asso della procura giapponese
per il suo controverso agire.
- Credo sia tutto, questo è il mio
ruolo in tutta la faccenda – concluse Aoki dopo il lungo racconto.
- Assurdo che quei mostri siano arrivati
a tanto… e sua figlia come sta ora? – chiese Kyoko con un filo di voce.
- Lei? Vive la sua vita, una vita che non mi
include ma credo di meritarmelo dopo tutto – rispose l’ex procuratore con tono
asettico, spento.
Meno ne parlava meglio era, pensò: l’assenza
della figlia era il prezzo da pagare per una vita passata a riflettersi nel
proprio ego malato e, per quanto c’avesse provato negli anni, Aoki si era ormai
convinto che era giusto così.
- Come ha detto il nostro uomo di
legge, credo sia tutto. Ora passiamo alla pratica – disse Ryo
salvando l’anziano uomo dall’imbarazzo di un pesante silenzio. Con un cenno del
capo invitò poi Doc a prender parola e a illustrare ai presenti il da farsi.
- Nella mia vita ne ho viste di cose,
e probabilmente quella che faremo non è neanche la più assurda di tutte. Per
risolvere l’amnesia di Kyoko proveremo con l’ipnosi
- Ipnosi?! – biascicò Aoki incredulo,
- pensavo si trattasse di qualcosa di serio!
- Fa’ silenzio – lo fulminò Ryo con lo sguardo.
- Eheh, un
po’ lo capisco – ridacchiò il Doc balzellando sulla sedia – ma in campo militare
è molto usata, l’inconscio una volta aperto aggira la volontà e fidatevi non c’è
addestramento che tenga.
- Va bene, lo faccio! – esclamò tutto
d’un fiato Kyoko senza esitazioni di sorta a stento trattenuta dalle
considerazioni di Kaori, preoccupata per eventuali ripercussioni.
- Ma aspettate, non è rischioso?!
Potremmo fare altri danni – si lamentò la partner dello sweeper
in qualità di voce della ragione.
- I rischi ci sono, ma sono minimi, ma
o questo o niente – terminò perentorio il mentore di Ryo
puntando lo sguardo sulla scienziata in attesa di una risposta.
- Accetto, non posso tirarmi più
indietro. Non importa, lo farò – confermò lei senza paura. Sentendosi
prigioniera delle proprie memorie, Kyoko, come solo una volta le era accaduto
nella vita, si ritrovava ora ad un bivio: non sarebbe più scappata dalle
proprie responsabilità. Socchiuse gli occhi e ripensò ad ogni volto e voce
conosciuta, tirò poi un lungo sospiro. Li riaprì e incrociò quelli di Ryo. Sorrise senza sapere il perché.
Ora era pronta.
- Allora è deciso. Cominciamo?
Escluso dunque dalle procedure di Doc,
il trio composto da Ryo, Kaori e Aoki prese a
ingannare il tempo in qualsiasi modo: la prima buona mezz’ora trascorse nel guardar
qualsiasi cosa non fosse il cielo, appesantito da spessi e grigi nuvoloni. E
tra quei soporiferi momenti scivolava l’intenzione dell’unica donna di quello
strano gruppo che, pur non essendo affatto d’accordo con il piano, si era da
subito prodigata al pensare come avrebbe potuto rallegrare Kyoko al termine
della seduta.
- Toglietemi una curiosità – cominciò Aoki
spezzando il silenzio, - non mi avete risposto quando ve l’ho chiesto. Che tipo
di rapporto c’è tra di voi?
- Perché è così importante? Vuoi indagare
anche su di noi? – lo canzonò Ryo senza troppe
cerimonie: odiava essere inquisito specie se si trattava del rapporto tra lui e
Kaori.
- Non c’è bisogno di scaldarsi, era
pura curiosità… e comunque è chiaro siate molto legati.
Kaori, di suo canto, per una rara
volta scelse di non negare o confermare alcunché rimanendo in religioso
silenzio ad assistere al battibeccare dei due uomini.
- Guarda come ti è venuta la lingua
lunga, quando si tratta di cose serie fai il prezioso, eh?! – continuò lo sweeper sempre più infastidito.
- E va bene! Certo che sei strano, Saeba – concluse il più anziano dei due prima di aggiungere,
- è chiaro ci sia qualcosa di forte tra voi, ma un legame va esplicitato. Evita
di fare come me se non vuoi vivere di rimpianti.
E a quelle parole Ryo
si ammutolì incapace di rispondere. L’unica
cosa che fu capace di fare fu di allontanarsi per non crollare sotto il peso
dei propri pensieri. Kaori fece per seguirlo ma uno sguardo deciso lanciatole
dall’uomo fu abbastanza per farla desistere.
- Mi dispiace averlo turbato, non
volevo – riprese dopo qualche minuto l’ex procuratore avvicinando la donna a
piccoli passi.
- Non si preoccupi. Ryo non ha cattive intenzioni… è solo che non ama essere
sotto i riflettori in queste situazioni.
- Capisco. E riesci a conviverci?
- Non c’è una risposta univoca e non
potrebbe capire. Lei ha visto Ryo per quello che lui
ha voluto mostrarle, io ne ho visto tutte le sfumature, è diverso.
- Sfumature…
Le ore trascorsero senza ulteriori
scossoni dopo quella conversazione e venne il tempo di tornare a casa per Ryo, Kaori e Kyoko. Quest’ultima, ancora scombussolata per
la prova alla quale era stata sottoposta, si era barricata in muro di silenzi e
mugolii e poco aveva esternato da quando si era ripresentata alla vista degli
altri.
Doc, prima di congedarli, ammonì il
duo di non fare troppe domande o pressioni sulla scienzata
spiegando quanto l’ipnosi fosse un processo lungo e delicato.
Il giorno seguente fu uguale al
precedente e così per una settimana in un monotono ciclo. L’umore generale
andava sempre più peggiorando visto gli scarsi risultati e il nervosismo era
alle stelle visto il clima di incertezza riguardo le prossime mosse dei Conti
Bianchi.
- Dovremmo fermarci a mangiare da
qualche parte – propose Kaori sul tragitto di ritorno dopo l’ennesima giornata
pesante.
- Non mi va, voglio solo dormire –
obiettò Kyoko distesa sui sedili posteriori dell’auto.
- Distrarti ti farà bene, queste
sedute ti stanno logorando. Ryo diglielo anche tu, ti
prego.
Lo sweeper
supportò immediatamente l’idea di Kaori, quasi più per tentare una strada
diversa che per un reale senso pratico della proposta. Fece così una deviazione
verso un piccolo ristorante poco distante da lì. Non appena arrivati vennero
accolti con non molte cerimonie da un distratto uomo sulla sessantina e poco
dopo ordinarono qualcosa dal menu.
- Vedrai che a mente fresca e pancia
piena andrà meglio – commentò Ryo guardandosi
intorno.
- Sarà…
Il locale, molto intimo nella sua
atmosfera e anche abbastanza datato nel suo arredamento, accoglieva i suoi
clienti in modo informale non prendendosi troppo sul serio: l’illuminazione
proveniente dal basso soffitto donava una tonalità ambrata all’intero ambiente;
grigi muri, decorati da locandine di vecchi film che probabilmente nessuno dei
presenti aveva mai visto mai, rimbalzavano gli sguardi dei più timidi clienti e
in un angolo, poco distante dal bancone,
vegetava un jukebox spento e ciò destava sospetto visto che si udiva una tenue
musica provenire da chissà dove.
Il cibo arrivò poco dopo con il
servizio di una graziosa signora identificatasi come la proprietaria del ristorante.
- Conosco quest’album, è “For You” di Tatsuro Yamashita –
commentò Ryo tra un boccone e l’altro perdendosi tra
le note che risuonavano nell’aria.
- Come hai detto? – domandò la
scienziata spalancando gli occhi quasi come fosse stata colpita da una visione.
- Tatsuro
Yamashita, Kyoko. Non lo conosci?
- No, non l’artista. Ripeti il titolo!
- Qualcosa non va? – chiese Kaori
sincerandosi delle condizioni della donna.
- “For You” –
ribadì Ryo smettendo di colpo di mangiare. – Hai ricordato
qualcosa, vero?
- Sì! E dobbiamo andare.
- Ma siamo appena arrivati, non possiamo
almeno cenare?! - protestò la povera Kaori.
- No, non possiamo – sentenziò Kyoko.
Fine Capitolo
Eccoci
al solito angolo dell’autore. Mi scuso per la lunga assenza: sono state settimane
travagliate per vari impegni personali e mi è proprio mancato il tempo
materiale di rivedere i capitoli. Ma ora la situazione si sta normalizzando e
spero di poter tornare a un ritmo più regolare: i capitoli rimanenti sono già
delineati, dovrei solo rivederli per bene. Spero che questo capitolo sia degno
della vostra paziente attesa e che possa piacervi.
Cosa
avrà scoperto Kyoko? Kaori riuscirà a mangiare (ok, questa no)? Ryo la smetterà mai di imbarazzare gli altri con la sua cultura
pop smisurata? Questo e altro nei prossimi capitoli!
- Allora dove ci porti? – domandò Ryo
nel mettere la macchina in moto.
- da Masa – tagliò corto Kyoko con
tono deciso. Mai prima di quel momento ai due sweeper era parso di udirla così sicura
sul da farsi. Che fosse un punto di svolta?
- Agli ordini!
Senza ulteriori indugi il trio si
avviò all’appartamento del defunto dottore alla ricerca di qualcosa che solo
Kyoko aveva colto, o meglio, ricordato. Kaori, stravolta dall’inaspettato
cambio di piani, non poté fare a meno di chiedere delucidazioni alla scienziata
che non mancò di esaudire la richiesta. – Masa amava tantissimo la musica,
sosteneva infatti come essa fosse una chiave per mondi interiori che non
potremmo rivelare altrimenti – spiegò la donna senza distogliere lo sguardo dal
panorama cittadino che scorreva in sfocate diapositive dalle grigie tonalità.
- Ora che ci ripenso abbiamo trovato
una collezione di vinili nel suo appartamento… “For You”. Ma certo!
- Esatto, Kaori. Non chiedetemi perché
ma credo che Masa mi abbia lasciato dei messaggi, dei messaggi che solo noi due
avremmo potuto decifrare in caso di pericolo.
- Capisco, forse la chiave della tua
memoria è sempre stata sotto il nostro naso. Be’, meglio tardi che mai, no? – aggiunse
Ryo schiacciando a fondo il pedale dell’acceleratore: non c’era tempo da
perdere, un possibile punto di svolta per quello che si era rivelato tra i casi
più ardui mai affrontati da City Hunter era tutto ciò che serviva per
rinfrancare lo spirito di tutti. Giunsero infatti a destinazione molto
velocemente. Salita di gran carriera la rampa di scale, il trio, tirato un
brusco sospiro, si fece irruzione nell’appartamento dopo esserci accertati di
non essere soggetto di sguardi indiscreti. Kyoko, con il supporto di Kaori, non
perse di certo tempo cominciando a sfogliare la collezione di vinili del
dottore alla ricerca del prescelto.
- Eccolo! – esclamò l’altra metà di
City Hunter sollevandolo sopra la testa al pari di un ambito trofeo.
- Ottimo lavoro, Kaori – quasi gridò
di gioia Kyoko.
- Credete dovremmo ascoltarlo? –
domandò sempre Kaori, acquietatasi per qualche secondo dall’estasi di pochi
istanti prima.
- Forse, ma… – suggerì Ryo, - questo è
un album che è stato al primo posto in classifica.
- Quindi?
- Quello che voglio dire – continuò lo
sweeper sfilando gentilmente il trentatré giri dalle mani della collega, - è
che dobbiamo chiederci perché questa particolare copia sia così importante.
- Non ti seguo – borbottò laconicamente
Kyoko squadrandolo con una certa curiosità.
- Scopriamolo – proseguì lui,
estraendo dalla variopinta custodia l’oggetto tanto desiderato. – Che abbiamo
qui? Musica pop e… un foglietto?
Tra le mani dell’uomo giaceva ora un
piccolo foglio, una prova nascosta per anni in uno dei modi più improbabili vista
la potenziale caratura delle informazioni in gioco. – A te, Kyoko.
- Grazie… - biascicò la giovane
scienziata fermandosi per più di un istante a fissare il bianco pezzo di carta passato
ora in sua custodia.
- Bene, quando hai finito fammi
sapere. Do un’occhiata in giro – le raccomandò lo sweeper inventandosi una
banale scusa pur di non invadere quel momento così delicato.
- Penso aiuterò Ryo – mormorò a sua
volta Kaori allontanandosi.
Kyoko, compreso l’intendo del bizzarro
duo, sorrise quasi per ringraziarli e preso posto su di una sedia cominciò a
leggere quella che era una vera e propria lettera a lei indirizzata:
“Cara Kyoko,
Se stai leggendo questa lettera
probabilmente non è finita bene per me. Il mio sogno, quello che avevi accolto aiutandomi
con la tua nobiltà d’animo sin dal primo giorno, è andato in frantumi sotto il
peso della dura realtà. L’esperimento undici era la chiave, il lasciapassare
per la felicità: poter dare un colpo di spugna ai traumi, al dolore altrui,
sopprimendo quei ricordi che spesso ci soffocano nel quotidiano… era questo
l’obiettivo. Ricordi come eravamo felici al successo dei primi trials? Ricordi
la gioia allo scoprire di poter far dimenticare ai pazienti i traumi dell’infanzia
o persino dell’intera esistenza? Non desideravo altro se non riprogrammare
l’animo di chi troppo aveva sofferto… e sì, lo ammetto, un po’ l’ho fatto per
ambizione. E l’ambizione mi ha portato a compromessi che mi hanno rovinato la
vita: prima i fondi discutibili per le ricerche, poi le richieste di portare
gli esperimenti su un altro livello: inibire la volontà altrui. Non potevo
permetterlo, così ho sabotato per quanto possibile i folli ordini del presidente;
inoltre per proteggere te ho fatto una cosa orribile, mia adorata Kyoko. Ho
giocato coi tuoi ricordi: sopprimere quanto più possibile delle tue memorie
recenti era l’unico modo di assicurare la tua incolumità. Credimi, morivo
giorno dopo giorno nell’ingannarti, ma non avevo scelta!
Ma se sei arrivata a questa lettera avrai
capito che ho fallito, quindi è giusto tu riabbia quanto ti ho sottratto. Solo
tu puoi fermarli a questo punto: la chiave è nella musica, determinati tipi di
frequenze creano sensazioni intaccabili rispetto al farmaco da noi inventato.
“For You” è un ottimo esempio: ho legato a questo disco a gran parti
della tua memoria. Sta a te scoprire…o ricordare il resto.
-Con
amore,
Masa ”
Allo scandire delle ultime parole calde
lacrime inumidirono le gote della donna annunciando un pianto liberatorio: per
quanto fosse triste stringere tra le mani il testamento del suo amato, Kyoko si
sentì come non le capitava da tempo. In cuor suo una fiamma di puro coraggio e
speranza era divampata travolgendo ogni reticenza o paura. Ryo
e Kaori, rimasti in religioso silenzio sino a quel momento, la avvicinarono per
sincerarsi delle sue condizioni.
- Tutto bene? – chiese Kaori
poggiandole dolcemente una mano sulla spalla.
- Sì, sto bene. Non preoccupatevi – la
rassicurò lei asciugandosi il viso alla bene e meglio. – Ora so che devo fare.
Masa, la pagheranno. Lo giuro.
****
La spiegazione di quanto riportato
nella missiva si rivelò ostica per tutti: da un lato per Kyoko, intenta a dover
giustificare quelle che sembravano amenità; dall’altro i poveri Ryo e Kaori in preda ad una crescente emicrania.
- Aspetta, aspetta, fammi capire.
Praticamente il tuo defunto fidanzato ti ha soppresso parte della memoria e ora
l’unico modo per recuperarla è giocare a “indovina la canzone”? –
- So che sembra assurdo, Ryo, ma sì – lo apostrofò Kyoko per l’ennesima volta. –
Fidatevi di me.
- Bene, speculiamo. Supponiamo sia
vero, il tempo non gioca comunque a nostro favore. Il killer mandatoci contro
era solo l’inizio. Se devi perderti
nella musica mi spiace non lo farai da questo salotto, diamoci una mossa.
- E dove andiamo?!
- A procurarci un walkman e una
musicassetta, mi sembra ovvio.
Non trascorse molto tempo prima che la
donna potesse ascoltare dal suo nuovo walkman Sony la gentile voce di Tatsuro
Yamashita. Il sole era oramai calato su Shinjuku e le note di “Sparkle” risuonavano
lungo il viaggio di ritorno.
- Pensi davvero funzionerà? – mormorò
Kaori al partner.
- Non abbiamo molte altre piste. Deve
funzionare… e ho una domanda, perché bisbigli? Kyoko ha il volume a palla.
- Ehm, giusto. Sembra le piaccia –
ridacchiò divertita lei lanciando uno sguardo al passeggero seduto dietro di
lei.
- Dovrei regalarne uno anche a te,
così la smetti di tormentarmi.
- Idiota!
Alla scienziata non arrivò una sola
sillaba del solito bisticcio dei due complici, totalmente persa nelle immagini
evocate da quel prezioso reperto musicale. Una epifania dopo l’altra scuotevano
il suo animo in un continuo ridestarsi dal torpore di un tempo: aveva ricordato
per esempio di come fosse stata lei stessa a regalare a Masa quel vinile che
ora cingeva al petto con cura. Ogni canzone, ascoltata con la massima cura
possibile, si stava rivelando come un piccolo viaggio nel tempo: totalmente
persa in quel nuovo mondo, si accorse d’esser arrivata a destinazione solo al
fermarsi dell’auto. E pochi minuti dopo, sempre in silenzio si era barricata in
quella che era diventata la sua stanza, la sua seconda dimora.
Masa…
- Domani avviserò Doc, ma non andremo
da lui. Voglio lasciarle un po’ di tempo – disse lo sweeper posando l’attenzione
sulla porta richiusasi alle spalle dell’esile e silente figura.
- Non dobbiamo lasciarla sola, ora
come non mai ha bisogno di noi.
- Sono d’accordo, ma va chiarito che non
possiamo combattere la sua battaglia – ribatté lui voltandosi verso la partner.
– Sai benissimo che dal passato non si può scappare in eterno, lo sappiamo
entrambi.
- E se quel passato fosse troppo
grande da sostenere?
- No, in lei ho visto ora uno sguardo
diverso, ricordava uno dei tuoi. Non importa quanto certe cose siano dolorose,
Kaori – continuò più deciso, –A volte c’è da lottare anche quando sembra tutto
vano, e tu lo hai fatto più e più volte. Ora tocca a lei e quello sguardo
potrebbe essere un buon punto di partenza.
-
Ryo…
- Buonanotte – la salutò lui poco
prima di dileguarsi con un sorriso. E la povera Kaori, ancora una volta, si
ritrovò alla mercé del suo cuore al galoppo su di un sentiero pericoloso e il
mattino seguente si sarebbe rivelato altra fonte di sorprese. Il giorno infatti
vide l’arrivo di Saeko, giunta con notizie di tafferugli ragguardevoli in città.
- Ci sono stati disordini strani in
questi giorni, veri e propri casi di blackout di massa, ovvero persone che come
per incanto smettono di comportarsi in modo, ecco, normale – esordì.
- Ho paura stiano testando il farmaco
per qualcosa di grosso – risuonò la voce di Kyoko alle sue spalle.
- Ma non abbiamo trovato tracce di
consumo di droghe o cose simili nel sangue nei sospetti in stato di fermo e anche
interrogandoli non ricaveremmo uno straccio di informazione – obiettò Saeko.
- Immaginate sia un gas, un gas inodore
che combinato a dei precisi impulsi sonori sia capace di stimolare o inibire
determinate zone del sistema nervoso. Ecco di cosa stiamo parlando – spiegò la
scienziata prendendo posto al tavolo dove sedevano tutti. – Ho ricordato molto
degli esperimenti, ma al momento non sono in grado di offrire una formula precisa.
- Non sforzarti, è già tanto – la incoraggiò
Kaori stupita da quell’improvviso cambio di passo.
- Gas e impulsi sonori, eh? Suppongo che
per rilasciare un’arma del genere gli spazi chiusi siano da prediligere. Il secondo
fattore da considerare è il suono. Teatri, aule universitarie, cinema…sono
tutti luoghi a rischio. Dimmi Saeko, parliamo di
posti del genere come scena del crimine?
- Purtroppo la tua deduzione è esatta,
dunque come procediamo? Chiudere tutto non è fattibile, vi avviso.
- Possiamo fare ancora poco, direi di
tenere sotto stretta sorveglianza i maggiori punti di ritrovo della città e
darci da fare per recuperare i tasselli mancanti della memoria di Kyoko –
suggerì Kaori ottenendo l’approvazione di tutti.
- Questa non è più una fuga, ma una
guerra – sentenziò perentorio Ryo.
Il momento della verità sarebbe presto
arrivato.
Fine capitolo
Eccomi, dopo mesi, me meschino ad
aggiornare questa fanfiction. Mi scuso davvero di cuore con chiunque abbia
letto e apprezzato questa storia, sento un po’ di esser venuto meno verso voi
lettori ma soprattutto verso me stesso: amo troppo questi personaggi e quest’opera
ed è per questo che porterò a compimento quanto iniziato. Tanti avvenimenti mi
hanno distanziato dalla scrittura, ma ora ho intenzione di arrivare al finale
che questa storia merita e spero che ciò possa far piacere a chi si era affezionato
lungo il percorso.
Erano trascorse poco più di due settimane
dalla visita di Saeko: lo stato di allerta proseguiva
nonostante le pressioni pervenute alla bella ispettrice di allentare la presa
sugli accessi ai principali luoghi pubblici della città. Di nuovi attacchi non
ce n’erano stati e il giustificare misure restrittive tanto audaci risultava giorno
dopo giorno sempre più complicato. Come se non bastasse c’era qualcos’altro a
far leva sulle paure di tutti.
- Ricordo a tutti voi che la visita del
presidente statunitense ha la massima priorità, siamo intesi? – proprio questo
il monito che circolava da mesi tra i corridoi della chiassosa centrale di
polizia, un monito che la donna aveva accantonato mettendosi in prima linea nel
difendere le sue ragioni. Ma il suo “potere” aveva dei limiti e questi limiti si
erano palesati dinanzi al poco affabile uomo presentatosi quel giorno al suo
ufficio:
- Sono ordini giunti dall’alto, mi spiace
interferire. Tuttavia, la sicurezza del presidente è di massima importanza, il
commissario mi sembra fosse stato chiaro, no? – domandò imperturbabile l’agente
Edwards, una “garanzia” inviata da Washington ad accertarsi dei preparativi. Edwards
era definibile come un uomo spartano sia nell’animo che nell’aspetto esteriore,
come evidenziato del resto dallo sgualcito abito grigio che indossava con ben
poca grazia quel dì.
Incallito caffeinomane nonché tabagista,
l’americano era stato etichettato sin dai primi anni di carriera come “efficace
ma impulsivo” e ben poco aveva fatto per scrollarsi di dosso le antipatie di
chi poco gradiva il suo operato. Uomo della vecchia guardia, un “residuo bellico”,
Richard Edwards era colui che nessuno avrebbe mai voluto come nemico; non era
il suo aspetto a incutere timore, anzi: di quella figura esile, dalla statura
modesta, ben pochi avrebbero potuto comprenderne la pericolosità. Saeko, tuttavia, lo sguardo per certi dettagli lo aveva
affinato con gli anni e mai si sarebbe fatta ingannare dalle apparenze, tanto
che da subito aveva deciso di recitare, non con pochi patemi a dir il vero, la
sua parte:
- Lo capisco, lo capisco eccome…signor?
- Edwards. Richard Edwards – biascicò l’uomo
troppo intento a guardarsi intorno.
- Posso darti del tu, vero?
- Certo, certo. Niente formalità.
- Non capisco dunque perché non abbiate
inviato altri agenti, manca meno di una settimana e un supporto aggiuntivo sarebbe
un aiuto non da poco, non credi?
- Vedi – interruppe l’altro cambiando
improvvisamente tono, - il potere si accompagna a rigide formalità, anche
scenografiche volendo. Dici bene, una operazione coordinata tra agenti speciali
statunitensi e giapponesi sarebbe una manna dal cielo – continuò puntando lo
sguardo di Saeko. – Ma in tempi di crisi
internazionale come questi sarebbe un segno di sfiducia e verrebbe interpretato
come un indebolimento del mondo libero, capito?
- Seriamente?! Non mi pare sia il momento di
pensare ai sovietici! – ribatté la donna disgustata dall’improvvisa piega della
discussione.
- Mi spiace riscontrare questa miopia anche in
un paese così vicino al nostro come il Giappone, ma non abbiamo tempo per
discuterne. Fate il vostro lavoro, noi penseremo al resto. A presto.
Infine il sonoro slam della porta
annunciò sgraziato il termine della discussione.
****
Nel frattempo, da tutt’altra parte della
nevrotica metropoli si portavano avanti le ricerche d’un bizzarro duo. Kyoko,
aiutata dal Doc, si era avvicinata sempre più alla bramata formula del farmaco
seguendo la sua catena di ricordi sopiti. A piccoli passi, dettati dalla
speranza e dalla voglia di porre fine all’incubo, la scienziata si giocava il
tutto per tutto conscia del grosso pericolo che incombeva minaccioso. Ryo, di suo canto, stava ammazzando la frustrazione
immergendosi negli anfratti e nelle contraddizioni di Shinjuku. Scatenata la
sua schiera di informatori, lo sweeper aveva
definitivamente lanciato il suo guanto di sfida: come un predatore implacabile non
avrebbe mollato la preda per nessun motivo al mondo. Kaori, per quanto abituata
a vederlo in quello stato, non ebbe modo di soffocare la sua voce interiore,
preoccupata di possibili e impensabili ripercussioni. L’ex procuratore Aoki,
ultimo tassello di quell’improbabile puzzle, sorprendentemente non stava
facendo mancare il suo apporto: godeva ancora di tanta influenza nell’ambiente
e un canale privilegiato a certe informazioni risultò da subito gradito a City
Hunter.
- Saeba, ho delle
informazioni riguardo un vecchio stabile, dovremmo dare un’occhiata –
- Aoki, ti senti bene? Cos’è tutta questa
intraprendenza? – lo canzonò lo sweeper quasi
saltellando come un bambino impaziente.
- Non lo faccio di certo per te, ho la mia
vita e vorrei tornarci al più presto – rispose il più anziano dei due.
Silenzio. Non seguì alcuna risposta per un paio di minuti.
- Immaginavo, uno come non te non cambia di
certo per miracolo. Tornare alla tua vita, eh?
- Esatto.
- A quale vita? Intendi quella costruita sulle
macerie di quelle altrui? Bella merda! – incalzò Ryo
mordendosi la lingua più d’una volta per non dir di peggio. Avrebbe continuato
per ore non fosse stato per Kaori pronta a trascinarlo via con sé
all’improvviso accendersi della discussione.
- Ryo, che ti
prende? – domandò la donna con un “dolce” rimproverò pochi istanti dopo.
- Non è da me, non è da me perdere così la
calma. Ma vedo la faccia di quello stronzo e penso a Maki.
- Capisco, ma per quanto assurdo possa
sembrare detto da me… non devi pensarci
- Kaori! – sussultò l’uomo strabuzzando gli
occhi.
- So a cosa pensi, la tua mente ora è piena di
tanti “se”. Pensi a come sarebbe potuta andare se la carriera di Maki non fosse
stata ostacolata da uomini come Aoki, - ricominciò la donna anticipando il
partner, - pensi a cose pericolose Ryo, pensi a
realtà dove ti dai colpe che non hai.
- La realtà è che mi manca. E mi manca ancor
più quando sento discorsi del genere da te. Sei proprio sua sorella,
impossibile dire il contrario – aggiunse lui specchiandosi in quegli occhi che
tanta calma sapevano trasmettergli – Grazie, Kaori – sorrise poi cercando di
rassicurarla.
- Sei in debito con me! Anche Aoki lo è ora
che ci penso… - scherzò la donna nascondendosi da quello sguardo intenso.
- Mettilo sul conto.
- Contaci, caro.
****
Yuri era finalmente tornato in sé dopo settimane
sospese tra la vita e la morte per lo stupore dei medici presenti e di JunichiIto, membro di spicco dei
“Conti”. Difatti, era stato lo stesso Ito ad aver dato
ordine di sbarazzarsi del sovietico alla sua dipartita e ora che tale
eventualità era andata a farsi benedire, lo spietato uomo d’affari non mancò di
sprecarsi in parole di circostanza:
- Sapevo ce l’avresti fatta, Yuri. Uomini come
te decidono il come e il quando morire a differenza di noi comuni mortali. Sei
rimasto in coma per un po’, ma ora sei fuori pericolo, vero dottore? – recitò voltandosi
verso l’uomo in camice bianco alle sue spalle.
- Ehm… certo, è così. Non è stato semplice
rimetterti in sesto, Yuri. La tua tempra e le nostre conoscenze hanno fatto il
resto – spiegò il medico non dilungandosi in dettagli non richiesti. – Presto
sarai di nuovo in piedi e pronto all’azione.
Il mercenario annuì in silenzio. Ad occhi
chiusi stava riavvolgendo come un nastro gli ultimi momenti prima del black
out. La mente volò a Saeba, alle urla e a quel dolore
lancinante: perdere gli bruciava molto più delle fresche cicatrici. Posò una
mano poco sopra il foro d’entrata del proiettile digrignando brevemente per il
dolore, eppure era quello stesso dolore a farlo sentire vivo in quanto
tangibile a differenza d’un remoto passato andato in frantumi. Dal dolore aveva
imparato la vanità dell’esistenza e la fragilità dell’essere umano, limiti che
aveva sepolto dentro di sé quando s’era promesso di rinunciare ad ogni forma di
legame. In testa un sol pensiero, scandito dai serrati battiti del suo cuore:
La pagherai.
Trascorsero altri due giorni; l’uomo, immerso
in un limbo di sonni agitati sedati dai potenti antidolorifici, sembrò
peggiorare nonostante le previsioni ottimistiche. Ito,
non smentendosi, aveva ribadito i precisi ordini nel caso il suo combattente
non fosse stato pronto per il nuovo round, ovvero quello di sbarazzarsene senza
troppi fronzoli. Il tempo scorreva troppo velocemente e il fallimento non era
contemplato. Voci di un avvicinamento di Saeba alla
loro base divenivano sempre più rumorose a causa di una “visita” dello sweeper ad un vecchio stabile appartenuto precedentemente
alla loro organizzazione. Per loro fortuna City Hunter non aveva trovato tracce
o indizi degni di nota, ciò non era tuttavia bastato a tranquillizzare il
pericoloso criminale.
- Se mi è permesso – commentò la figura seduta
poco distante da lui nella penombra del suo ufficio, - credo sia ora di far uscire
Kyoko allo scoperto. Abbiamo abbastanza siero per farla parlare.
- Saeba ha informatori
ovunque, non riusciremmo a rapirla così facilmente – tagliò corto Ito, visibilmente seccato dall’ingenuo suggerimento.
- Non se fosse egli stesso a consegnarcela, mi
dia una possibilità.
- Spiegati.
****
Arrivò nefasta a poche ore di distanza una
missiva anonima tra le mani di City Hunter. Vigliacca espressione di potere del
nemico, tale missiva, letta con malcelato disgusto da Ryo,
narrava del rapimento di Yumi, l’unica figlia dell’ex procuratore Aoki. Il punto
cardine di quell’infausta notizia era però una richiesta di “scambio”: Kyoko
per Yumi.
- Sono… sono dei mostri! – balbettò inorridita
la scienziata coprendosi il volto con ambo le mani.
- Io…Yumi.
- Aoki, mantieni la calma! – esclamò Ryo puntando lo sguardo dell’uomo, ma tale richiamo sembrava
esser morto nella vacuità del pallido viso dell’ex procuratore, visibilmente in
debito di ossigeno per il forte choc. Poi s’udì un tonfo.
- Aoki!
L’anziano, svenuto per il forte trauma, si
riprese solo un’ora dopo al suono dell’accesa discussione che stava avvenendo sotto
la supervisione di Doc. Troppo debole per alzarsi, figurarsi per spiccicare una
sola sillaba, non ebbe che ascoltare quanto pronunciato:
- Kaori ha ragione, Ryo
– puntualizzò il mentore dello sweeper, - andare all’incontro
da solo è una follia. Sai benissimo che si tratta di una trappola.
- Ascoltalo, dannazione. Anche se ci vai dovresti
consegnare Kyoko ed è folle il solo discuterne – incalzò la partner cercando di
convincerlo a desistere dal piano.
- Per chi mi avete preso, eh? So benissimo che
giocheranno sporco, ma potrebbe essere l’unica chance per avvicinarci a loro ed
evitare il disastro.
- Il disastro? – domandò Kyoko focalizzandosi
sull’ultima frase pronunciata da Ryo.
- Sì, il disastro. Sai meglio di me che non
hanno scrupoli. Cosa pensi faranno alla figlia del procuratore se non ci
presentiamo?
- Permettimi almeno di venire con te! Non puoi…
non puoi andare da solo– ribatté Kaori muovendo più d’un passo verso di lui.
- La lettera parla chiaro, Kaori. Se vedono altre
facce oltre la mia e quella di Kyoko, tutto va a puttane. Non possiamo
rischiare – sentenziò l’altro avendo oramai preso la sua decisione. – E tu,
cosa vuoi fare? – chiese poi alla scienziata.
- Non voglio altri innocenti sulla coscienza,
verrò con te – confermò lei.
- Assurdo, è tutto così assurdo – sussurrò Kaori
a capo chino poco prima d’allontanarsi dal gruppo a rapide falcate, nascondendo
il viso inumidito dalle lacrime alla vista di tutti. Ryo,
come gli altri, non poté fare altro che veder la sua figura sparire dopo pochi
istanti. Aoki, avendo ascoltato tutto, si sentì dannatamente in colpa, come mai
gli era capitato in vita sua. Mai avrebbe pensato di provar sincero rimorso
alle scelte fatte dal suo malato ego.
Yumi…
Lo scambio sarebbe avvenuto di primo mattino il
giorno dopo. Calò la notte e Ryo stava aspettando
Kaori, letteralmente sparita dopo il confronto avuto ore prima. Intento a soffocar
la frustrazione tra un borbottio e l’altro, l’uomo pensava al da farsi e soprattutto
a cosa dirle una volta tornata. Rimasto da solo, l’unico ancora in piedi, passeggiava
lentamente sul patio che dava sul giardino lanciando di tanto in tanto un’occhiata
all’uscio alla ricerca di quella familiare figura che tanto amava. La vide
arrivare dopo poco e tirò un sospiro di sollievo. Fece dei passi verso di lei ponendosi
in maniera che ella non potesse sottrarsi alle sue parole:
- Mi aspetto che tu comprenda le motivazioni
del piano, Kaori. Non è come credi – cominciò maledicendosi pochi istanti dopo
per il tono di quelle parole. Cavolo, non sono portato per i discorsi!
- Cosa credo? Sei un indovino per caso? Che
bravo! – tagliò corto con sarcasmo lei cercando di smarcarsi, senza successo, da
quell’interazione.
- Aspetta, fammi finire.
- Cosa vuoi, Ryo?
Sono stanca e credo sia tardi anche per te – continuò la donna fiancheggiandolo,
diretta all’interno.
- Diamine, ascoltami! – imprecò lui trattenendola
per un polso. Si accorse di aver stretto troppo la presa al mugolio di dolore di
Kaori, che inveì subito contro il partner nel cercare di divincolarsi Lasciata
finalmente libera, sfogò la sua rabbia cercando di spingerlo via: colpo dopo
colpo, uno più disperato dall’altro; alla rabbia si mescolò il dolore. Infine
un pianto liberatorio. Ryo, di suo canto, non fece nulla
per sottrarsi a tale ira rimanendo perfettamente immobile. Solo alla fine si
mosse cingendo la minuta e tremante figura di Kaori tra le sue braccia.
- Mi dispiace – sussurrò lentamente ad occhi
chiusi.
- Perché? Perché è sempre così con te?! –
- Ti sbagli, è cambiato tutto, e per me è
cambiato da tempo, Kaori – replicò allontanandosi per un attimo da quell’abbraccio
e cercando il contatto visivo. – Ho capito che non c’è niente o nessuno più
importante di te, ma tale consapevolezza mi confonde perché mi fa sentire così
forte e vulnerabile allo stesso tempo.
- Ryo…
- E solo quando penso di perderti capisco che questi
sentimenti sono cosa mi rende davvero vivo –continuò aprendosi a lei come non
mai.
Kaori non pronunciò nulla, visibilmente scossa
da quella “dichiarazione”, una dichiarazione decisamente non convenzionale, “alla
Ryo”. Si sentì divampare dentro e tale sensazione era
fin troppo forte da poter essere contenuta, tanto da tramutarsi in un ampio e
dolcissimo sorriso. Non le sembrava quasi vero.
- Prima del tuo arrivo ho pensato non ci fosse
spazio per l’amore in una vita del genere. Mi sbagliavo, Kaori. Spero tu possa
perdonarmi – concluse poi prendendole con estrema grazia il viso tra le mani. La
baciò infine sugellando la definitiva promessa di non negare e di non negarsi
mai più all’amore. Due battiti, due cuori innamorati, scanditi da solitudini
affini, pulsavano finalmente sotto un’unica frequenza.
Fine Capitolo
Eccoci alla fine del penultimo capitolo di
questa fanfiction. Scusate come sempre l’enorme ritardo, sono un disastro lo
so, ma il lavoro chiama e non posso sottrarmi. Ringrazio chiunque abbia letto,
recensito e gradito quest’opera. In cuor mio, ad esser sinceri, sono ancora
combattuto nel mentre scrivo queste note di fine capitolo, riguardo la
dichiarazione di Ryo. Nella mia testa non è un tipo
da “ti amo”, o perlomeno non da dichiarazione “standard” (supponendo esistano
delle convenzioni per dichiararsi alla persona amata), ma potrei essere in errore.
Quindi, nel caso mi sbagliassi, mi aspetto anche critiche se le ritenete opportune.
Spero di non essere stato troppo banale. Detto ciò, il prossimo capitolo sarà
il gran finale: spero di non deludere le aspettative create.