Le seconde occasioni si pagano con foto imbarazzanti

di Bored94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** È buona educazione bussare prima di entrare in casa d'altri ***
Capitolo 2: *** Per sapere quanta cacca fa un bambino, prendi il suo peso e moltiplicalo per te ***
Capitolo 3: *** Se non sei tu a prendere la mira, tieni gli occhi ben aperti ***
Capitolo 4: *** Correre la maratona di New York potrebbe non essere una brutta alternativa ***
Capitolo 5: *** Anzi in alcuni casi sembra l’unica alternativa accettabile ***
Capitolo 6: *** Bambini, non è mai troppo presto per imparare che gli adulti non sono tutti supereroi ***
Capitolo 7: *** Come si chiamano quelle caramelle fatte a rotella ricoperte di zucchero? ***
Capitolo 8: *** Quando hai l’influenza, bevi molto, suda e resta a riposo ***
Capitolo 9: *** Riproviamo: le risse provocano sudorazione eccessiva e non sono riposanti ***
Capitolo 10: *** Ci sono persone che meritano una seconda possibilità, altre che meritano una seconda sberla e altre ancora che meritano entrambe ***



Capitolo 1
*** È buona educazione bussare prima di entrare in casa d'altri ***


1. È buona educazione bussare prima di entrare in casa d'altri









Uno schianto improvviso fece tremare tutta la nave. Alcuni membri dell'equipaggio del Kiheitai si affrettarono verso il punto in cui era avvenuta la collisione per valutare i danni.

Siamo nello spazio. Nello spazio. Chi è l'idiota che è riuscito a venirci addosso nonostante siamo nel bel mezzo del nulla? Matako si diresse in quella direzione, era più scocciata da quella nuova seccatura che preoccupata da un eventuale attacco. Non stavano trasportando nulla di valore e quella non era comunque una zona pericolosa, inoltre aveva lasciato il suo comandante addormentato nella sua stanza, dalla parte opposta della nave. Non avrebbe corso rischi. Per qualche motivo quella situazione le era familiare. Come se fosse stato qualcosa che era già accaduto più volte in passato e al quale si era abituata suo malgrado.

Arrivata sul luogo dello schianto, qualsiasi timore che avesse potuto ancora avere scomparve come neve al sole. La prua di una nave che conosceva fin troppo bene aveva sfondato una parte della loro fiancata, contemporaneamente facendo da tappo ed evitando che l'ossigeno e l'equipaggio venissero risucchiati all'esterno. Matako non fece nemmeno in tempo ad arrabbiarsi che quello che sembrava un sacco di patate venne lanciato con malagrazia ai suoi piedi.

«Scusa, abbiamo perso di vista il capitano per cinque minuti e ha fatto in tempo ad arrivare ai comandi» si giustificò Mutsu avvicinandosi con tutta calma e indicando con la testa Sakamoto ancora a terra.

Oh... non era un sacco di patate...

«Naturalmente ci occuperemo noi delle riparazioni» concluse la yato con la sua solita espressione neutra. Matako annuì niente affatto sorpresa, dopotutto avevano fatto quel giochino per dieci anni. Da dieci anni, a intervalli più o meno regolari, quel tizio rumoroso li abbordava, rotolava all’interno e, dopo aver vomitato in vari punti della loro nave, andava a importunare il capitano mentre il suo equipaggio riparava i danni. La prima volta che era accaduto, il Kiheitai si era preparato a combattere contro l’invasore sconosciuto, ma il loro comandante sembrava essere solo estremamente esasperato da quel tizio che continuava a ridere e parlare in modo eccessivamente amichevole e rumoroso, incurante delle decine di lame puntate nella sua direzione. In seguito, la scena si era ripetuta innumerevoli volte negli ultimi dieci e passa anni. Nonostante le minacce, il mercante aveva continuato a ridere e ripresentarsi, convinto che fossero solo parole al vento. Dal momento che il comandante non lo aveva ancora ucciso, né scagliato nello spazio, Matako dedusse che il mercante non aveva avuto tutti i torti. Non aveva senso protestare o farsi troppe domande quando c'era di mezzo quella gente... e poi aveva una vaga idea del perché quel tizio rumoroso ed eccentrico avesse deciso di distruggere la loro nave questa volta. Anche Takechi, poco distante, non sembrava affatto stupito e teneva lo sguardo incollato al capitano del Kaientai.

Sakamoto si alzò in piedi e sistemò il colletto della giacca, poi cercò di ripulirsi dalla polvere con qualche rapido gesto. Si guardò attorno fingendo di non notare il sospetto negli occhi dei presenti, vomitò a pochi centimetri dalle scarpe di Matako che fece un salto all’indietro di mezzo metro e scoppiò a ridere.

«Abbiamo fatto un bel danno, eh Mutsu?»

«Hai, vorrai dire» rispose lei senza batter ciglio.

Tatsuma rise di nuovo. «Ma che sarà mai, che sarà mai! La rimetteremo a posto in un baleno! Mutsu, ci pensi tu, vero?» l'uomo ignorò completamente lo sguardo omicida ed esasperato della sua vice, mise un braccio interno alle spalle di Matako e la trascinò via.

«Allora! Dov'è il piccolo mostro? Bakasugiiiiii!» urlò Sakamoto a pieni polmoni mentre continuava a trascinare Matako in giro per la nave, nemmeno fosse lui il padrone.

La ragazza si voltò alla ricerca di Takechi, ma lo stratega del Kiheitai la stava deliberatamente ignorando. «Smettila di urlare!» sibilò la pistolera. «Piantala di urlare come un pazzo esaltato e ti porterò da lui.»

Sakamoto le rivolse un'occhiata soddisfatta. «Prego, fai strada.»

 

Procedettero in silenzio per qualche minuto. Matako si ritrovò a pensare che allora quell'uomo era in grado di tacere ogni tanto, per poi iniziare a sentirsi irrequieta: perché era silenzioso? E perché si era presentato da solo? La ragazza si aspettava da tempo una visita del genere, ma pensava sarebbero arrivati tutti e tre i vecchi compagni di Shinsuke-sama.

«Sakamoto-dono, è stranamente silenzioso» intervenne di punto in bianco Takechi. Matako sussultò, non essendosi accorta che li aveva seguiti. «È strano da parte sua, si potrebbe quasi pensare che stia escogitando qualcosa.»

Il mercante rise in modo sguaiato, sembrava che la presenza dello stratega non lo avesse preso affatto alla sprovvista. «Ma che malfidato! Sto semplicemente facendo quanto mi è stato chiesto da questa signorina, mi è stato detto di non essere rumoroso.»

«Oh capisco, si sta comportando da bravo ospite. Allora chiedo scusa per i sospetti» rispose Takechi senza però abbassare lo sguardo. L'espressione di Sakamoto non tradì nessun tipo di disagio, come suo solito sembrava semplicemente a suo agio in qualsiasi tipo di situazione.

«È qui.»

L'uomo non attese che gli altri due lo precedessero ed entrò a passo spedito nella stanza che era stata di Takasugi durante la sua vita precedente. Sakamoto non si guardò attorno, si diresse direttamente verso il lettino al centro e guardò all'interno. Come si aspettava, il bambino dai capelli viola mostrava all'incirca un mese. Stando ai racconti di Gintoki sulla crescita rapida di Shōyō, questo voleva dire che il bambino era apparso da poco e che il Kiheitai era stato in grado di rintracciarlo subito dopo la sua comparsa.

O forse sarebbe stato meglio dire ricomparsa.

Riuscire a rintracciarli e tenerli d'occhio era stato più facile del previsto. La parte difficile arrivava ora.

«Vedi di stare attento» sibilò Matako. «Si è addormentato da poco.»

Sakamoto sorrise e annuì portandosi un dito davanti alle labbra.

«Quindi quali sono le sue intenzioni, Sakamoto-dono?» Takechi si era fatto da tempo un'idea chiara degli amici del suo comandante e non credeva affatto che il mercante fosse lì per una semplice visita di cortesia. Tanto più che si era presentato da solo. «O dobbiamo provare a indovinare?»

«Oh insomma... non si può più fare visita a dei vecchi amici?» chiese l'altro in modo gioviale, non ricevendo risposta però la sua espressione mutò. Stava ancora sorridendo, ma la fermezza nel suo sguardo fece capire ai due membri del Kiheitai che i loro dubbi erano più che fondati. «Immagino di no» concluse Sakamoto appoggiando una mano su una delle sponde del lettino. Matako si mosse leggermente nella sua direzione, ma Takechi la bloccò afferrando un lembo della sua manica.

Un vagito interruppe lo scambio tra i tre.

«Oh ma ci siamo svegliati» commentò il mercante, di nuovo con tono allegro e divertito. «Ciao, Shinsuke, è da un po' che non ci si vede. Ti ricordi di me?» chiese prendendo in braccio il bambino che gli sorrise di riflesso. «Anche se forse è ancora un po' presto, vero? Gintoki ha detto che Shōyō all'inizio non ricordava nulla... non importa, ricorderai. Beh andiamo» concluse avviandosi verso l'uscita ridendo, con il bambino ancora in braccio.

«Ehi! Dove credi andare?!» strillò Matako vedendolo scappare nel corridoio. Sakamoto rise in modo sguaiato e accelerò il passo. «Fermati! Torna subito qui!» strillò la pistolera lanciandosi all'inseguimento, mentre l'uomo iniziava a correre in direzione del proprio equipaggio, ridendo sempre più forte. Raggiunse rapidamente il punto in cui si era incagliata la propria nave e passò davanti a Mutsu, niente affatto sorpresa da quel teatrino. Per un attimo aveva pensato di chiedere cosa stesse succedendo, ma poi si era accorta di cosa il capitano stesse tenendo in braccio e della ragazza dai capelli biondi alle sue calcagna che urlava «Shinsuke-sama!» a pieni polmoni.

Sakamoto non la pagava abbastanza.

I due si erano finalmente fermati e Mutsu poteva distintamente sentire le urla di Matako. Rimase molto sorpresa quando vide il capitano restituire il bambino alla ragazza, sentì però solo l'ultima parte di ciò che le stava dicendo, mentre gli si avvicinava. «...scherzando ovviamente. Però penso che a Zura e Kintoki farebbe molto piacere vederlo» sospirò svagato e si spettinò con una mano. «Oh beh, dovrò trascinare quei due con me la prossima volta. Immagino non vi dispiacerà se faremo irruzione qui più spesso» la frase era del tutto innocua, ma Matako non poté fare a meno di percepirla come una velata minaccia. Sakamoto fece qualche passo verso Mutsu, mentre Takasugi iniziava a sembrare irrequieto. «Sicuramente gli sarà utile per recuperare la memoria, dopotutto quei tre sono cresciuti insieme e anche noi ci conosciamo da molto tempo. Bene, Mutsu» disse poi cambiando bruscamente argomento e rivolgendosi a lei. «A che punto siamo? Possiamo ripartire?»

La yato annuì e l'uomo si congedò rumorosamente da tutti i presenti, poi iniziò i preparativi per tornare a bordo della Kairinmaru.

«Aspetta» Sakamoto si fermò, la sua espressione non tradiva nessun tipo di sorpresa o impazienza. Matako spostò lo sguardo da lui al bambino che brontolava e si agitava. Non avrebbe dovuto essere in grado di riconoscere il mercante eppure, mentre quell'uomo ce l'aveva in braccio, il piccolo non aveva protestato nemmeno una volta... che avesse ragione? «Va bene» disse Matako seccata. «Prendilo.»

Per una frazione di secondo le parve di vedere un sorrisetto compiaciuto e un'espressione furba sul volto dell'uomo, ma un attimo dopo erano scomparsi, lasciando spazio al suo solito sorriso ebete. Matako sentì di nuovo l'irritazione crescere, si era fatta fregare come una principiante! Era però sicura che la resa del capitano del Kaientai fosse soltanto una farsa: avrebbe trovato altri modi per ottenere ciò che voleva, dopotutto solo pochi minuti prima aveva sfondato la fiancata della loro nave... in modo del tutto accidentale, ovviamente. Non era stato un avvertimento. Niente affatto. Inoltre, se doveva essere del tutto sincera, anche lei pensava che lasciare Takasugi con i suoi vecchi amici fosse la decisione giusta. Si voltò e vide Takechi, arrivato pochi attimi prima, annuire in silenzio.

Sakamoto prese il bambino, che smise di brontolare. «Lo porterò sulla Terra, da Kintoki e Zura. Sicuramente non si opporranno se andrete a fargli visita.»

I membri del Kiheitai restarono a guardare mentre i loro bizzarri ospiti se ne andavano, portandosi via il loro comandante in fasce.

 

«Alla fine ce l'hai fatta» commentò Mutsu una volta di nuovo in viaggio.

«Avevi dei dubbi?» le chiese il capitano divertito, senza distogliere lo sguardo dal bambino che teneva tra le braccia, come se in fondo nemmeno lui riuscisse davvero a credere che fosse riuscito a trovarlo e lo stesse riportando dai loro amici.

«No, in realtà no» ammise lei, il tono leggermente meno inflessibile del normale. «Ma era proprio necessario sabotare i comandi della loro nave?»

Sakamoto rise e non rispose. Era sicuro che in qualche modo sarebbe riuscito a portare via Takasugi con le buone, ma avere un Piano B in certi casi era sempre una buona precauzione.

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Capitolo 2
*** Per sapere quanta cacca fa un bambino, prendi il suo peso e moltiplicalo per te ***


Un sonoro schianto fece sussultare il Tuttofare che si era addormentato sul divano con una copia di Jump sulla faccia. Si affacciò dal balcone giusto in tempo per vedere Otose inveire contro qualcuno appena uscito da una navicella schiantatasi a pochi metri dal bar. La risata assordante che seguì fu una risposta sufficiente alla domanda inespressa di Gintoki, ossia chi diavolo avesse fatto tutto quel baccano. L'uomo con gli occhiali da sole si affrettò su per le scale e salutò con entusiasmo.

«Kintoki! Ho una grande notizia!»

«Ti ho detto che quello non è il mio nome» brontolò l'amico rientrando in casa, subito seguito da Sakamoto. Quando si girò di nuovo verso di lui si accorse che l'involto che aveva tra le braccia si muoveva, a un certo punto il braccio di un bambino spuntò dalla coperta. Gintoki sgranò gli occhi.

«Ohi, Tatsuma...» chiese subito con espressione beffarda. «Che hai combinato? Questa volta l'hai fatta grossa. Chi è la povera pazza? Mi troverò la casa invasa da alieni incazzati che vogliono farti la pelle?» Sakamoto rise. «Ohi... non è che è di Mutsu, vero? Non sta per arrivare Mutsu a ucciderci entrambi, vero? Me ne basta una di yato per casa.»

«Ma smettila! Mutsu non c'entra nulla, non ho fatto niente. Questo lo terrai tu» rispose il mercante mollandogli in mano il bambino con un sorriso enigmatico.

«Sei impazzito? Non lo voglio tuo figlio. Ho già tirato su due adolescenti, non voglio anche questo mocc-» parlando abbassò lo sguardo sul piccolo e la voce gli morì in gola. Non era possibile.

«Te l'ho detto che non è mio figlio. Non ho fatto niente del genere» rise l'amico, vedendo lo sguardo sconvolto di Gintoki.

Lo Yorozuya rimase a fissare il bambino, incredulo. Non era possibile. Lo aveva visto morire tra le sue braccia dopo lo scontro con Utsuro, eppure il bambino che stava guardando in quel momento aveva gli stessi capelli viola e gli stessi occhi verdi di Takasugi. E Sakamoto non gli sarebbe semplicemente piombato in casa con un bambino talmente simile al loro amico da fare male se non fosse stato...

Era vero.

Ciò che Takechi aveva detto a Zura... ciò che Sakamoto aveva scritto nella sua lettera... era tutto vero. Quando aveva letto quella lettera si era sentito sollevato, ma solo in quel momento si rese conto che non ci aveva creduto davvero. Gli era sembrato troppo irreale. Dopo tutto ciò che avevano passato lui e suoi compagni, dopo tutto ciò che avevano perso, illudersi gli avrebbe fatto troppo male. Invece Takasugi era vivo. Shōyō era riuscito a salvarlo.

Gintoki deglutì a fatica il groppo che gli si era formato in gola e rinsaldò la presa sul bambino, con le mani che gli tremavano leggermente. Tentò di schiarirsi la voce e sbatté rapidamente le palpebre un paio di volte, sentendo gli occhi inumidirsi. Sakamoto sorrise e gli mise un braccio intorno alle spalle, fingendo di non accorgersi degli occhi lucidi e dell'improvvisa emozione dell'amico. «Anche io all'inizio ho faticato a crederci, ma ti posso garantire che è davvero lui» disse con tono soddisfatto. «Appena il Kiheitai lo ha trovato, li ho rintracciati e l'ho portato qui. Dovrebbe avere all'incirca un mese adesso ed è apparso un paio di giorni fa, penso... a questa velocità credo che compirà un anno nel giro di un mese» Gintoki annuì, ancora visibilmente scosso.

All'improvviso qualcuno si precipitò all'interno dell'appartamento, facendo sussultare i due uomini.

«Tatsuma! Cosa succede? Ho ricevuto il messaggio in cui mi dicevi di venire subito da Gintoki per una questione urgente!» Katsura si guardò attorno ed esaminò rapidamente l'ambiente. Il suo sguardo si posò sul bambino in braccio a Gintoki e l’espressione preoccupata lasciò presto spazio alla sorpresa, mentre sgranava gli occhi.

«Ci sei riuscito davvero...» mormorò avvicinandosi ancora di qualche passo, gli occhi incollati al piccolo. «Devo ammettere che non pensavo fosse possibile, invece lo hai trovato...» la voce gli tremò appena e gli morì in gola. Sakamoto annuì nuovamente, continuando a sorridere. Capiva bene l’emozione dei suoi amici, lui stesso una volta realizzato che il Kiheitai non li avrebbe seguiti era stato investito in pieno dalla consapevolezza che Shinsuke era vivo, come se fino a poco prima non ci avesse creduto davvero. Irrazionalmente terrorizzato che potesse scomparire da un momento all’altro, non era riuscito ad appoggiarlo da nessuna parte per buona parte del viaggio, nonostante più di una persona si fosse offerta di liberarlo da quell’incombenza per almeno cinque minuti.

«Aspetta» Gintoki sollevò la testa e rivolse uno sguardo accusatore a Sakamoto ancora accanto a lui, che si risvegliò bruscamente dai suoi pensieri. «Hai detto che era stato il Kiheitai a trovarlo... mi stai dicendo che quel vecchio maniaco e la fangirl psicopatica che non ha fatto altro che strillare 'Shinsuke-sama' dall'arco di Beninzakura in poi ti hanno lasciato portare via il loro comandante?»

«Sono molto bravo a trattare, è il mio lavoro» rise rumorosamente Tatsuma.

«L'hai rapito, vero?» chiese a bruciapelo Katsura.

«Tatsuma! Abbiamo da poco ristrutturato! Se mi trovo la casa invasa dal Kiheitai, mi dovrai rimborsare!»

Sakamoto non fu affatto impressionato dalle urla dell'amico. «Non ho rapito proprio nessuno.»

«Se loro non sanno che lo hai portato via, è rapimento» gli fece notare Katsura.

«Sanno che l'ho portato via.»

«Se loro non erano d'accordo, è rapimento» rincarò la dose Gintoki.

«Erano d'accordo! Non preoccupatevi, è tutto sotto controllo. Al massimo ci faranno visita ogni tanto» rise l'uomo, divertito dalla diffidenza dei suoi due amici. «Abbiamo concordato che fosse meglio che lui stesse con noi, visto che lo conosciamo da molto tempo e dovrà recuperare i ricordi. Quando me ne sono andato eravamo ancora tutti d'accordo. Per sicurezza comunque ho sabotato i loro comandi, così anche se dovessero ripensarci ci metteranno un po' a raggiungerci.»

Gintoki sospirò esasperato, ma non fece in tempo a rispondere che la versione tascabile di Takasugi iniziò a emettere un odore inequivocabile. Gin afferrò il bambino sotto alle ascelle e lo allontanò da sé il più possibile, tenendo le braccia tese e lasciando cadere la coperta in cui era avvolto. Anche gli altri due uomini fecero un passo indietro storcendo il naso.

«Bene, Kintoki. Quindi abbiamo detto che ci pensi tu, giusto?»

«Io? Perché io?» chiese scandalizzato il samurai.

«Beh io ho il Kaientai, sai... gli affari... non posso di certo portarmi dietro un bambino così piccolo.»

L'amico gli rivolse uno sguardo eloquente, non si beveva le sue cazzate. «Questo non ti impedisce di cambiarlo adesso» commentò, spostando il bambino nella sua direzione. Sakamoto ritirò le braccia e agitò le mani. «No, no, no! Io non ho mai fatto questo genere di cose, Kintoki. Farei sicuramente un guaio. Vado a comprare dei pannolini, va bene?» non aspettò nemmeno la risposta e si catapultò fuori dall'appartamento.

Gintoki si voltò verso Katsura e gli mollò il bambino in braccio. Lui allungò a sua volta le braccia per tenere Takasugi a distanza. «Perché dovrei farlo io?»

«Sei tu l'esperto di bombe. Disinnescalo.»

«Questa non è una bomba, è un'arma batteriologica. Il mangaka ha chiaramente deciso che sei tu l'esperto in materia, ricordi Forever Yorozuya?» chiese cercando di ripassargli il bambino, come se fosse una palla puzzolente.

«Ma di che stai parlando? Gli eventi di quel film non sono mai accaduti perché sono tornato indietro nel tempo.»

Nel bel mezzo del loro tira e molla, entrò Shinpachi che li guardò per qualche secondo. La scena era assurda: due uomini adulti stavano tenendo in mano un bambino a braccia tese, al di sopra delle loro teste.

«Da dove arriva quel bambino? E perché lo state reggendo come se fosse Simba?»

I due uomini si rivolsero uno sguardo d'intesa, Katsura mollò la presa e Gintoki si precipitò verso Shinpachi, il bambino proteso verso di lui. «Shinpachiiiiiiii, puoi farci un favore?»

Il ragazzo sentì l'odore provenire dal bambino e storse il naso. «Ah no, te lo puoi scordare. Non so dove abbiate trovato quel bambino, ma non ho nessuna intenzione di occuparmene io. È un vostro problema.»

«Ma puzza» protestò Gintoki.

Shinpachi sospirò esasperato. «Quante volte ti ho detto di non accettare incarichi come babysitter di bambini così piccoli? Va sempre a finire così. Questa volta ti arrangi.»

Il samurai distolse lo sguardo imbarazzato e riportò il bambino verso di sé, reggendolo contro il proprio petto con un braccio. Si passò la mano libera sulla nuca, non sapendo come introdurre l'argomento. Che reazione avrebbe avuto Shinpachi? «Non è un incarico» disse solo a un certo punto a mezza voce, senza incrociare lo sguardo dell’altro.

L'amico lo guardò preoccupato. «In che senso? Che cos'hai fatto?»

«Ma perché pensi subito al peggio! Non ho fatto niente, non sono così irresponsabile e- Zura, ti vedo! Non provare a scappare!» troppo tardi. L'uomo era già fuggito dall'appartamento, urlando: «Non sono Zura, sono il fattorino!» Ormai in strada aggiunse: «Comprerò cibo e vestiti per il bambino!» e scomparve.

I due uomini rimasti si guardarono per un attimo perplessi, poi Shinpachi tornò alla carica. «Quindi se non stai facendo da babysitter e non è un guaio che hai combinato da dove spunta?»

Gintoki tentennò, incuriosendo ancora di più l'amico che non capiva cosa gli fosse preso. Aveva davvero messo incinta qualcuno nonostante quanto avesse appena detto? Dopotutto aveva viaggiato per due anni, non sapevano tutto ciò che aveva fatto... o chi.

In compenso il bambino sembrava molto interessato dalla luce che si rifletteva sulle lenti degli occhiali di Shinpachi, che si era abbassato per guardarlo meglio, e si stava sbracciando verso di lui. Takasugi approfittò di un un momento di distrazione del ragazzo per agguantare una delle stanghette degli occhiali e rubarli a Shinpachi, si mise poi a osservare i giochi di luce sulle lenti con occhi sgranati e a giocare con le stanghette, meravigliato dal fatto che si piegassero.

«No, no! Fermo» lo supplicò Shinpachi, già immaginando i suoi poveri occhiali distrutti. «Questi mi servono, me li ridai?» iniziò ad aprire con delicatezza le dita del bambino e finalmente riuscì a riprenderseli. Purtroppo però il piccolo non era affatto entusiasta della cosa poiché iniziò a lamentarsi a gran voce, ma Shinpachi fu veloce ad afferrare un portachiavi dai pendagli colorati che tintinnavano e a muoverglielo davanti al viso. Sembrò bastargli e Takasugi si lasciò distrarre dai colori e dai suoni. Scampato il pericolo capricci e urla, Shinpachi si rivolse nuovamente a Gintoki.

«Allora? Cosa potrà mai essere di così tremendo? Chi è questo bambino?» insistette anche se un sospetto stava iniziando a farsi largo nella sua mente. Ma non era possibile, giusto? D’accordo che di cose assurde negli ultimi anni ne erano successe, ma questo...

«Takasugi» rispose finalmente l'amico sbirciandolo con la coda dell'occhio.

Il ragazzo con gli occhiali si bloccò, smettendo di far penzolare il portachiavi e piantando gli occhi in faccia a Gintoki. «Come, scusa?» Aveva capito bene? «Takasugi... intendi quel Takasugi?» diversamente da quanto aveva appena pensato, non poté fare a meno di sentirsi sconvolto.

«Non è che ne conosca altri» bofonchiò il samurai che stava studiando l'espressione dell'altro.

«Cosa significa?» chiese il ragazzo perplesso. Dopotutto ricordava che il comandante del Kiheitai era morto alla fine della guerra ed era decisamente un adulto. Com'era possibile che quel bambino fosse la stessa persona?

Gintoki si spettinò con una mano e gli fece un breve riassunto di quanto successo con Shōyō nei due anni in cui aveva viaggiato per conto proprio, gli spiegò come funzionasse l'altana e come lui, Katsura e Sakamoto pensassero che con il suo ultimo gesto Shōyō li avessi salvati tutti, Takasugi compreso.

Shinpachi annuì, stranamente calmo. «In effetti siamo sopravvissuti a un’esplosione molto violenta e ravvicinata.» Fece una pausa. «Quindi crescerà a velocità accelerata?»

«Esatto, all'incirca un anno al mese... Sakamoto pensa che adesso abbia circa un mese, ma non mi stupirei se avesse sbagliato i conti perché ha perso la concezione del tempo.»

Rimasero in silenzio per un attimo poi il ragazzo sospirò. «Non potevi mettere incinta una come fanno tutti quando hanno una crisi di mezza età, vero?»

«Ehi! A chi hai dato del vecchio di mezza età?!»

«In ogni caso, a maggior ragione: amico tuo, ci pensi tu» disse Shinpachi, allontanando il portachiavi da Takasugi appena in tempo per evitare che si mettesse le chiavi in bocca. «Ma prima» afferrò una macchina fotografica e fece una foto a entrambi con un sorrisetto perfido «assicurazione sulla vita. Quando sarà di nuovo adulto, cercherà di sicuro di uccidervi perché gliene avrete fatte di tutti i colori. Questa mi serve a dimostrare che a lasciarlo nella cacca, letteralmente, siete stati voi e che io sono innocente.» Gintoki gli rivolse uno sguardo strano, sembrava non riuscire a decidere se sentirsi stupito dalla reazione pacata di Shinpachi, tradito dalla foto o sollevato dalla risposta ricevuta. Non ebbe il tempo di capirlo perché vennero interrotti da Kagura.

«Che state facendo voi due?» chiese la ragazza entrando improvvisamente nel salotto, appena tornata da una passeggiata con Sadaharu. «C'è una navicella schiantata qui di fronte, c'è il tuo amico rumoroso per caso? E da dove spunta quel bambino?» chiese senza fare pause. Gintoki si irrigidì di nuovo, solo perché Shinpachi gli era sembrato tranquillo, questo non significava che Kagura l’avrebbe presa altrettanto bene.

«È Takasugi-san. Shōyō-sensei lo ha riportato in vita con l'altana prima di morire. Starà qui» tagliò corto Shinpachi, levando Gin d'impiccio vedendolo di nuovo in difficoltà. Kagura rimase un attimo interdetta, per poi lanciarsi in un milione di domande. Alla fine della spiegazione rispose con un semplice “oh… ok” che prometteva un altro interrogatorio non appena avesse metabolizzato tutte le risposte che aveva ricevuto. Shinpachi indicò il bambino che stava iniziando a dare segni di disagio. «Gin-san, ti conviene cambiarlo davvero o tra poco inizierà a strillare. Non abbiamo pannolini, ma almeno lavalo, intanto che aspetti che torni Sakamoto-san.»

Il samurai annuì e si avviò verso il bagno, ma si fermò dopo qualche passo e rivolse uno sguardo interrogativo ai due. «Shinpachi… hai detto che starà qui...» disse, processando finalmente le parole del ragazzo che lo guardò perplesso.

«Non era questo che volevi chiederci?»

«Sì, ma… siete sicuri che vi vada bene?»

I due ragazzi si scambiarono uno sguardo sorpreso. «Era questo il problema?» chiese Shinpachi. «Se rimanesse con quelli del Kiheitai svilupperebbe un ego ancora più spropositato di quello originale. Sakamoto-san potrebbe benissimo perderlo su un qualche pianeta sconosciuto lontano anni luce e al momento non mi pare autosufficiente. Katsura-san va in giro con un uomo alieno travestito da papera e ha la bomba facile, non so tu ma visti i precedenti eviterei» enumerò il ragazzo. «Non devi chiederci il permesso, Gin-san. Capiamo. Davvero» rimase un attimo in silenzio, poi le sue labbra si aprirono in un sorriso di scherno. «Beh io almeno...»

Kagura gli lanciò un'occhiata in tralice. «Cosa vorresti dire? Guarda che ho capito benissimo.»

«Ah sì? Quindi hai anche capito che non sei più la piccola di casa e quindi non ti spetta più la porzione più abbondante?» la ragazza si bloccò a quelle parole e rivolse un'occhiata sconvolta a Gintoki, poi al bambino. «Gin-chaaaaaan» piagnucolò la ragazza, mentre l'uomo scoppiava a ridere e si dirigeva verso il bagno, visibilmente sollevato.

Kagura e Shinpachi si scambiarono uno sguardo d'intesa e sorrisero. Capivano perché Gintoki si fosse fatto degli scrupoli nel dirglielo, ma nonostante le esperienze negative che avevano avuto con il comandante del Kiheitai, da un certo punto in poi erano diventati alleati. Inoltre erano consapevoli che il legame tra i quattro samurai risaliva a molto tempo prima di quelle vicende. Se loro avevano appianato le loro divergenze, tanto bastava. Entrambi ricordavano ancora chiaramente il dolore di Gintoki alla morte dell'amico dopo la battaglia con Utsuro, chiedergli di affidarlo a Sakamoto o Katsura, se non addirittura di rimandarlo al Kiheitai, sarebbe stato soltanto crudele.

Una serie di imprecazioni e versi disgustati uscirono dal bagno.

E poi vedere quei tre idioti alle prese con un bambino così piccolo sarebbe stato molto divertente.

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Capitolo 3
*** Se non sei tu a prendere la mira, tieni gli occhi ben aperti ***


Una settimana. Una settimana era stato il tempo che Shinpachi e Kagura erano riusciti a resistere senza fare nulla. Quella prima settimana si era rivelata a dir poco caotica.

Katsura e Sakamoto erano ormai ospiti fissi, se ne andavano soltanto la notte, delegando i loro impegni a Mutsu ed Elizabeth. Per quanto i due ragazzi riconoscessero le capacità di Mutsu e non fossero affatto preoccupati all'idea di lei a capo del Kaientai, anzi probabilmente la flotta era molto più al sicuro con lei che con Sakamoto, non potevano dire lo stesso di Elizabeth. Attendevano con terrore il giorno in cui la Shinsengumi avrebbe bussato alla loro porta e li avrebbe arrestati tutti quanti come complici di qualcosa a cui non avevano mai accettato di partecipare.

Katsura e la Shinsegumi non avevano più motivo di essere nemici dopo che il Tendōshū era stato sconfitto, ma Kagura e Shinpachi non erano troppo sicuri che l'amico e il suo braccio destro (o avrebbero forse dovuto dire pinna? Ala? Che diavolo era poi quell'essere? Dopo anni di messa in onda, episodi e tankōbon ancora non era chiaro a nessuno di loro. La sua storia si era solo fatta sempre più assurda) ne fossero al corrente o che lo ricordassero. A volte non erano nemmeno sicuri che la Shinsengumi stessa avesse registrato questa informazione.

In ogni caso, nonostante i due uomini passassero la notte da Zura, erano alla Yorozuya dalla mattina presto fino alla sera tardi, ormai si erano stabiliti da loro in pianta stabile e il caos regnava sovrano. La cosa positiva era che sembravano sentirsi in dovere di contribuire non solo per le spese del bambino, ma anche per tutto il resto. Visto che passavano lì intere giornate, arrivando prima della colazione e andandosene dopo cena, il frigo era pieno come i ragazzi non lo avevano mai visto prima. Anche Otose, nonostante le iniziali lamentele sul baccano, aveva presto accettato più che felicemente la nuova situazione dopo che Sakamoto le aveva sbattuto sul bancone due rotoli di banconote ridendo a squarciagola e urlando: «Kintoki! Anche questa te la metto in conto!» prima che i tre tuttoffare potessero fermarlo.

Shinpachi e Kagura si erano ripromessi di non farsi trascinare in quella follia perché sapevano che se solo si fossero offerti di aiutare mezza volta, i tre uomini ne avrebbero approfittato e si sarebbero trovati a cambiare pannolini al posto loro. E non solo. Avevano quindi deciso di limitarsi a fissare i tre amici annaspare nel tentativo di occuparsi del Takasugi tascabile. Non erano rimasti delusi.

 

Nei primi giorni il caos era dovuto al fatto che i tre ex-jōi non avevano idea di come occuparsi di un bambino: quanto dovesse dormire, quanto dovesse mangiare, come dovessero vestirlo, quanto spesso andasse cambiato... Sakamoto e Katsura, in preda allo sconforto, avevano provato a far notare a Gintoki che lui si era già occupato di un bambino in passato, ma il samurai dai capelli d'argento si era limitato a sospirare esasperato. A quanto pareva, Shōyō era stato molto più semplice da gestire di Takasugi: mangiava a orari prestabiliti, dormiva ed era silenzioso, il miniterrorista invece sembrava aver deciso che doveva essere il più rumoroso possibile e i tre uomini dovevano ancora riuscire a decifrare del tutto il significato dei suoi strilli. Sakamoto e Katsura dovevano anche imparare a fare tutto il resto, in realtà. Shinpachi aveva visto con i propri occhi Katsura sollevare il bambino e soppesarlo tra le mani con fare assorto per capire se andasse cambiato. «Katsura-san» non aveva potuto fare a meno di commentare Shinpachi, «ci sono modi molto più efficaci per capire se è da cambiare...»

L'uomo gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo e il ragazzo aveva sospirato esasperato. «Ti basta avvicinarlo e sentirai l'odore. Oppure sposta con un dito il bordo del pannolino e guarda.»

Katsura gli aveva rivolto un'occhiata disgustata e aveva allungato il bambino verso di lui. Il ragazzo e Kagura avevano scosso la testa con un sorrisetto sadico e il ronin se n'era andato in bagno rivolgendo loro uno sguardo tradito, mentre Gintoki si era spanciato ancora di più sul divano, felice che non fosse il suo turno. Un urlo disgustato li aveva fatti correre tutti e quattro in bagno e Gintoki, Sakamoto e Kagura avevano iniziato a ridere in modo sguaiato. Davanti a loro c'era un Katsura fermo immobile, con due lembi del pannolino ancora stretti tra le dita e qualcosa di liquido che gli gocciolava dal viso.

Il bambino da parte sua era particolarmente felice di essere in libertà e sgambettava e rideva davanti a quella che per lui doveva essere una faccia molto buffa. Shinpachi aveva cercato di trattenersi, ma non aveva potuto fare a meno di sghignazzare, mentre si avvicinava ai due.

«Katsura-san, vatti a lavare la faccia. Finisco io» si era offerto il ragazzo cercando di non scoppiare a ridere. Ricordava ancora la reazione molto meno pacata e controllata di Gintoki quando era capitato a lui. In quel momento era piegato in due dalle risate cercando di riprendere fiato, ma solo un paio di giorni prima aveva minacciato di lanciare il «piccolo demone piscione» dal balcone. Shinpachi aveva finito di pulire e cambiare il bambino, per poi lasciarlo nelle mani di Sakamoto, che, strano a dirsi, sembrava essere quello con meno convulsioni dalle risate.

 

***

 

«Abbiamo un lavoro oggi pomeriggio, puoi pensarci tu a dargli da mangiare se arriviamo tardi?» non era davvero una domanda e sia Katsura che Gintoki lo sapevano bene. Poco prima Sakamoto era stato prelevato di peso da Mutsu che lo aveva reclamato per alcune questioni riguardanti il Kaientai. Le proteste del mercante erano servite a poco e la yato lo aveva trascinato via di peso, ricordandogli che l'incontro a cui doveva partecipare era l'unico che non poteva delegare, dopo di che poteva tranquillamente tornarsene sulla Terra... anzi, più se ne fosse rimasto fuori dai piedi e meglio sarebbe stato per la flotta. Ormai nessuno credeva più a quella sceneggiata, ma vedere Sakamoto venire trascinato via per la giacca era sempre divertente. Il problema era che il mercante non era ancora tornato e la Yorozuya aveva ricevuto un incarico per il quale servivano tutti e tre i suoi membri e che avrebbe fruttato un bel po' di soldi. In quel momento avrebbero fatto decisamente comodo visto che, da un paio di settimane a quella parte, avevano una «piccola sanguisuga», come aveva iniziato a chiamarlo Gintoki, di cui prendersi cura. Per di più il bambino sembrava aver deciso che una dieta a base di latte non era più sufficiente. Negli ultimi giorni, Takasugi aveva infatti iniziato ad occhieggiare in modo interessato quello che mangiavano gli altri: una volta Gintoki si era distratto un minuto per guardare Ketsuno Ana alla TV e, quando si era girato verso il proprio piatto, aveva visto il bambino seduto sulle sue ginocchia stringere nel pugno una manciata di ramen e cercare di ficcarseli in bocca, sporcandosi completamente i vestiti. Per buona misura il condimento finì anche sullo yukata bianco di Gintoki. «Hai centrato tutto tranne la bocca, complimenti» aveva commentato il tuttofare senza perdere troppo la calma, guadagnandosi un sorriso sdentato da parte di Takasugi. Ormai si era rassegnato all'idea che i suoi vestiti non potessero restare puliti per più di due ore di seguito.

 

Speravano di tornare nel giro di poche ore, ma ci avevano messo più del previsto. L'ora di cena era ormai passata da un po' e se tutto era andato secondo i piani, Zura doveva aver già messo Takasugi a letto da un po', quindi i tre cercarono di entrare facendo meno rumore possibile. Una risata a tutto volume li fece sussultare.

Non era andato tutto secondo i piani.

«Che cosa ci fa ancora alzato?» chiese Gintoki in tono accusatorio entrando in salotto. «E dov'è Zura?»

«Ciao, Kintoki. Sono tornato poco fa e ho trovato Zura intento a litigare con Shinsuke.»

«Non sono Zura, sono Katsura» brontolò l'altro uscendo dal bagno e cercando di sfregare via qualcosa da una manica del suo kimono. «Quel mostriciattolo mi ha sputato la sua cena addosso» Katsura avvicinò la faccia a quella del bambino. «Sei molto maleducato» il piccolo rise, senza aver capito una parola, e gli afferrò la faccia con le manine paffute, stringendola in modo da fargli arricciare le labbra. «Non mi sei mai piaciuto, Shinsuke, sai?» disse Katsura senza liberarsi dalla presa e quindi facendo una faccia strana cercando di parlare, l'espressione e il tono divertirono molto Takasugi che lanciò uno strillo entusiasta e si mise a ridere.

«Saresti molto più credibile se riuscissi a dirlo senza sorridere come un ebete» gli fece notare Gintoki sventolando una fotografia appena scattata. La macchina fotografica istantanea che gli avevano comprato Shinpachi e Kagura si stava rivelando molto utile per tutte quelle foto imbarazzanti. Ormai ne avevano una decina con loro con le espressioni più stupide che avessero mai fatto o sporchi di latte e altre amenità. Avevano materiale di ricatto gli uni sugli altri per i prossimi mille anni.

Perché era quella la ragione per cui avevano quelle foto.

Ovviamente.

Non perché pensavano che quel microbo fosse carino.

O perché erano felici di essere di nuovo tutti insieme (più o meno) e quindi volevano immortalare la cosa.

Era soltanto materiale di ricatto.

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Capitolo 4
*** Correre la maratona di New York potrebbe non essere una brutta alternativa ***


Gintoki si lasciò cadere sul divano, esausto. Kagura e Shinpachi erano seduti sull'altro, di fronte a lui. Tutti e tre erano talmente stanchi da non essere nemmeno in grado di proferire parola. Restarono semplicemente immobili con lo sguardo perso nel vuoto, avevano staccato il cervello a tal punto che non si accorsero nemmeno dell'arrivo di Otose.
«Accidenti, certo che avete proprio una cera terribile» commentò la donna senza nessuna pietà. I tre sobbalzarono presi alla sprovvista e sibilarono come un nido di serpenti, per poi bloccarsi con le orecchie tese e gli occhi sgranati. Il terrore era chiaramente visibile nei loro sguardi.
«Vecchia!» cercò di urlare Gintoki sottovoce. «Si è finalmente addormentato! Non fare rumore!»
Otose rivolse loro uno sguardo niente affatto impressionato e sollevò un sopracciglio. «Quel moccioso non si sveglierà per così poco» li rassicurò avvicinandosi ai divani e appoggiando una pentola sul tavolo. «La cena» spiegò vedendoli fissare la pentola. Quando furono passati due minuti senza che nessuno di loro muovesse un muscolo, Otose sbuffò e si diresse verso la cucina, per poi tornare con piatti, bicchieri e bacchette. Sistemò tutto sul tavolo al centro e iniziò a preparare i piatti. «Mangiate» ordinò alla fine. «Questo siete in grado di farlo o devo imboccarvi?»
I tre iniziarono a mangiare in silenzio e solo dopo alcuni minuti Shinpachi riuscì a raccogliere abbastanza energie per ringraziare della cena.
«Vi ha proprio conciato per le feste quel marmocchio» li prese in giro Otose una volta che ebbero finito. Gintoki sospirò esasperato. «Negli ultimi tre mesi non sono riuscito ad andare a giocare al pachinko nemmeno una volta» brontolò il ragazzo dai capelli d'argento.
«Quello non è per forza un male, magari se andiamo avanti così un giorno avremo abbastanza soldi in casa da avere uno stipendio» bofonchiò Shinpachi.
«Con tutti i soldi che stiamo spendendo in cibo e vestiti?» grugnì Kagura. «Quel moccioso ha bisogno di vestiti nuovi di continuo.»
«Non ho nemmeno avuto tempo per andare a bere, in casa non c'è sakè da mesi!» continuò Gintoki senza dare cenno di averli sentiti.
I ragazzi gli rivolsero uno sguardo accusatore. «Non ci manca pulire il tuo vomito, tranquillo.»
Il samurai li ignorò di nuovo, come se non avessero parlato. «Per di più non ho mai tempo di leggere Jump! Mai un momento di pace!» si mise le mani tra i capelli con fare disperato. «Loro si accumulano e si accumulano, ma io non riesco a leggerli!» Otose gli rivolse un'occhiata di compatimento e il ragazzo si animò ancora di più. «Non mi guardare a quel modo, vecchia! Non sai come sono stati questi due mesi e mezzo! O sono tre? Quanti anni ha quel demone?»
«Gintoki...» cercò di interromperlo lei.
«Prima è stato da svezzare, penso che Sakamoto abbia enumerato tutte le navi spaziali possibili per farlo mangiare... anche se non sono affatto convinto che alcune non se le sia inventate, io non ho mai sentito parlare di un tratto-pedalò con motore a biscotti quantici!» il tono del samurai era di qualche ottava troppo acuto. «Ma poi chi era che doveva lavare via il vomito, eh? Chi? Tatsuma? No di certo! Perché lui ha tutti i suoi affari. E Zura se ne scappa in giro a fare il vigilante! Quindi resta il povero Gin-san a pulire il vomito del poppante e a cambiare pannolini e a farsi mordere!»
Otose lanciò un'occhiata interrogativa a Shinpachi e Kagura che scossero la testa sconsolati: non c'era più modo di fermarlo, quindi decise di assecondare il delirio di quello sfaccendato del suo figlio adottivo.
«Mordere?»
«Mordere! Mordere!» confermò Gintoki, mentre i ragazzi annuivano con sguardo tetro. «I primi tempi non era un problema... non aveva i denti, ma poi...»
 
«Come si spegne?» chiese Gintoki esasperato. La versione tascabile di Takasugi stava piagnucolando senza sosta da mezz'ora ormai. Era passato di mano in mano più volte, mentre Gintoki, Katsura e Sakamoto tentavano di distrarlo e farlo smettere di piangere. In quel momento si trovava in braccio a Katsura che stava cercando di liberare una ciocca di capelli dalla presa del bambino. Grossi lacrimoni scorrevano sulle guance paffute del piccolo, mentre continuava a infilarsi la mano libera in bocca. Davvero non riuscivano a capire cosa gli fosse preso. «Ragazzi...» disse all'improvviso Sakamoto raddrizzandosi, dopo essere stato per un po' chinato con il viso all'altezza di quella del terrorista bimbizzato, «non è che devono spuntargli i denti?»
«I denti?» risposero gli altri due uomini all’unisono con sguardo vacuo.
L'amico annuì. «Ormai dovrebbe essere il momento, no?»
Rimasero per un po' a guardarsi senza sapere cosa fare. Dopo altri dieci minuti di quello strazio, si ritrovarono davanti ad Otose con sguardo supplicante.
«Dovete comprare uno di quei giocattoli per le gengive» i tre le rivolsero uno sguardo perso e lei sospirò. «Dovete metterlo in freezer per un po', poi fateglielo mettere in bocca e sfregatelo piano sulle gengive. Farà passare il fastidio e smetterà di piangere.»
«Sì, ma... dobbiamo farlo smettere ora» dissero loro sconsolati.
«Beh...» disse lei sollevando un sopracciglio e afferrando un polso di Gintoki. Prima che l’uomo potesse protestare, lei diede uno strattone e il samurai si trovò mezzo disteso sul bancone mentre Otose gli infilava una mano sotto l'acqua corrente. «Ma che fai, vecchia?!» protestò Gintoki.
«Dovrai usare un dito» si limitò a dire lei con espressione impassibile.
«Un... dito?» chiese lui perplesso, lanciando un'occhiata dubbiosa al bambino che, sebbene avesse smesso momentaneamente di piangere, continuava ad avere un'espressione abbattuta e aveva iniziato a protendere le braccia verso Gintoki per essere preso in braccio e consolato. Dopotutto, per quanto spesso Katsura e Sakamoto fossero nei paraggi, in quel periodo viveva alla Yorozuya e Gintoki era quello che vedeva più spesso. Il samurai dai capelli d'argento prese in braccio il micro terrorista che aveva ricominciato a piagnucolare e a infilarsi il pugnetto in bocca, gli allontanò le mani dalla faccia e infilò titubante un dito nella bocca del bambino, passandolo sulle sue gengive. A poco a poco, il piccolo smise di lamentarsi e afferrò la mano di Gintoki con le sue.
Ovviamente la scena venne immortalata senza pietà.
«Questa me la paghi» brontolò per l'ennesima volta Gintoki qualche minuto dopo lavandosi le mani per la terza volta di fila. Quel mostriciattolo gli aveva sbavato su tutta la mano. Dovevano comprare uno di quei giochini alla svelta, a Gintoki piaceva restare completamente desbavato. Grazie tante.
 
Otose lo interruppe. «C'ero anch'io quella volta, Gintoki.»
«Sì, beh, evidentemente la narratrice ha deciso di torturarmi facendomi rivivere questa scena!»
«Dai, vai avanti, Gin-san. Non è il caso di litigare con la scrittrice, potrebbe decidere di aggiungere altri episodi imbarazzanti.»
«Più che imbarazzante è stato estenuante. È passato dall'avere solo prurito alle gengive a farsi spuntare i denti uno dopo l'altro! Non dovrebbero metterci di più?»
Otose lo guardò in attesa della realizzazione che non arrivò. «Gintoki, sta crescendo a velocità accelerata, dovresti saperlo meglio di noi. Non puoi davvero aspettarti che crescano lentamente e...»
Il samurai era troppo stanco per essere razionale. «Sì, ma così mi ha morso! A un certo punto ha deciso che quel giocattolo freddo non gli piaceva più e deve essersi ricordato del mio dito perché stavo dormendo in pace sul divano e a un certo punto mi ha morso! Mi ha fatto un agguato, vecchia!» protestò. «Shōyō non ha mai pianto e non mi ha mai morso» brontolò mettendo il muso. Una vocina nella sua testa gli stava dicendo che si stava comportando in modo infantile, ma al diavolo la vocina! Voleva solo dormire.
Kagura sghignazzò. «Beh non sei stato morso solo tu...»
Sulle labbra di Gintoki comparve un ghigno divertito ripensando a quanto era successo circa un paio di mesi prima.
 
«Dai, renditi utile» disse Gintoki sottovoce al bambino, mentre Katsura e Sakamoto lo osservavano divertiti. Takasugi sollevò lo sguardo e lo osservò in modo interrogativo. «No, non devi guardare me così! Le ragazze, devi guardare le ragazze!» il piccolo continuò a fissarlo e gli rivolse un sorriso che andava da un orecchio all'altro. «Ecco bravo, quella faccia va bene però verso di loro. Guarda loro! Forza, renditi utile e aiuta il povero Gin-san a rimorchiare!»
«Non sei caduto un po' troppo in basso, capo?» chiese all'improvviso una voce monocorde alle sue spalle. Due uomini con la divisa da poliziotto si erano fermati ad osservare quel teatrino.
«Sōichiro-kun, Oogushi-kun» li salutò Gintoki senza scomporsi. «Non sai quante ragazze si sono avvicinate da quando vado in giro con-» si bloccò, rendendosi conto di ciò che stava per dire. Solo lui, i suoi vecchi compagni, Otose e i ragazzi sapevano chi fosse quel bambino... non era il caso che la voce si diffondesse ulteriormente. Prima o poi non avrebbero più potuto nascondere la verità, ma magari per allora Takasugi sarebbe riuscito a recuperare la memoria e avrebbe raggiunto un'età sufficiente a lasciare Edo se necessario. Il silenzio però si protrasse un momento di troppo e i due agenti della Shinsegumi abbassarono lo sguardo sul bambino, per poi sollevarlo di nuovo sullo Yorozuya. «Ieri ero circondato dalle ragazze, non che voi possiate capire come ci si sente...» aggiunse Gintoki cercando di distrarli.
«E voi altri dove avreste recuperato quel bambino, capo?» chiese Sōgo ignorando la provocazione o il fatto che Gintoki lo avesse chiamato con un nome sbagliato per l'ennesima volta.
«Nello spazio, naturalmente» rispose Sakamoto scoppiando a ridere.
«Naturalmente?» chiesero i due ufficiali niente affatto convinti.
Katsura incrociò le braccia sul petto e scosse la testa, chiudendo gli occhi. «Sakamoto, non deridere gli ufficiali della Shinsengumi. La guerra ormai è finita, non siamo più nemici» tutti i presenti gli rivolsero uno sguardo scettico. «Nonostante ciò, non hanno smesso di proteggere Edo con tutte le loro forze...» fece una pausa e sollevò una mano ad accarezzarsi il mento. Annuì tra sé senza aprire gli occhi e aggiunse «è normale che quindi non sappiano da dove arrivino i bambini.»
Hijikata sbuffò. «Come se un ex terrorista che va in giro con una maschera da papera potesse dare lezioni.»
Come era prevedibile la discussione degenerò velocemente e i cinque uomini finirono per accapigliarsi. Quando si furono finalmente stancati di litigare, Hijikata piantò di nuovo lo sguardo sul bambino che lo osservò di rimando con sguardo serio. Lentamente l'espressione del vicecomandante della Shinsengumi cambiò e rivolse ai tre uno sguardo esasperato.
«State scherzando» disse soltanto. «Che cosa avete combinato?»
I tre gli rivolsero uno sguardo forzatamente innocente. «Di che parli?»
«Andiamo, capo. Va bene che Hijikata-san non brilla di intelligenza, ma pensi davvero che non sia nemmeno in grado di capire chi sia in realtà quel bambino?» intervenne Sōgo senza sembrare minimamente turbato o stupito. La sua espressione non cambiò nemmeno dopo che Hijikata gli ebbe mollato uno schiaffo sulla nuca.
«Non sappiamo di cosa stiate parlando» insistettero imperterriti gli altri tre, che dalla rigidità delle loro spalle dovevano aver dimenticato completamente anche le più basilari tecniche di dissimulazione.
Hijikata si strinse la base del naso tra il pollice e l'indice, esasperato. «Dateci un taglio. Pensate davvero che la Shinsengumi non abbia fatto ricerche su quanto è accaduto alla fine della guerra contro il Tendōshū? Sappiamo benissimo che voi quattro avete lavorato insieme per salvare il vostro maestro, eravamo lì. E sappiamo anche che il vostro maestro aveva il brutto vizio di resuscitare. Così come sappiamo che il terminal sarebbe dovuto esplodere cancellando completamente la città» concluse il vicecomandante demoniaco.
«Eppure la città non è esplosa. Inoltre, capo, tu e gli altri due perditempo che ti porti dietro ne siete usciti indenni, nonostante foste nel centro esatto dell'esplosione. Avete proprio una fortuna sfacciata» commentò Sōgo in modo disinteressato, scoppiando un palloncino fatto con la gomma da masticare. Abbassò lo sguardo sul bambino e sorrise sardonico. «Devo dire che la somiglianza di questo bambino con quel terrorista è incredibile, vero Hijikata-san?»
Hijikata fece un cenno con il capo e fulminò i tre ex-jōi con lo sguardo. La tensione era palpabile. Nonostante nessuno dei cinque avesse ancora mosso un muscolo, il vicecomandante poteva vedere come nonostante la posa ancora rilassata dei tre, i loro muscoli fossero contratti, pronti a scattare, e la presa di Gintoki sul bambino si fosse fatta più salda. Anche quello che Hijikata aveva bollato come un idiota casinista aveva smesso di ridire in modo sguaiato e il suo sguardo si era fatto affilato. Il poliziotto lasciò vagare lo sguardo dall'uno all'altro... adesso avevano deciso di ricordarsi che erano samurai? Sbuffò scocciato. «Qualunque cosa succederà, sarete ritenuti direttamente responsabili.»
Katsura, Sakamoto e Gintoki gli rivolsero un'occhiata sorpresa.
«Per quanto mi piacerebbe, non posso arrestare un bambino di un anno. Vi terremo d'occhio. Nel momento in cui anche uno solo di voi farà qualcosa di sospetto, vi sbatteremo dentro e butteremo via la chiave» concluse Hijikata senza troppe cerimonie. «Vale anche per lui» disse puntando il dito verso Takasugi che lo afferrò prima che il poliziotto potesse sfuggirgli. «Ehi! Lasciami andare, terrorista in miniatura.»
Takasugi aggrottò le sopracciglia e strinse ulteriormente la presa. «No! Tu!»
«Ma se non sai nemmeno cosa vuol dire ancora! Lasciami andare!»
«No» si impuntò il bambino. Il fatto che non avesse capito ciò che aveva detto quel tizio strano vestito di nero non significava che gli fosse piaciuto il suo tono... o che non avesse capito di essere stato insultato.
«Lascia» ordinò di nuovo lo Shinsengumi, scuotendo leggermente la mano e cercando di liberarsi. Sarebbe bastato tirare un po’ di più, ma se quel marmocchio fastidioso si fosse messo a piangere, aveva l'impressione che quei tre non l'avrebbero presa benissimo. Come minimo lo Yorozuya gli avrebbe dato il tormento per mesi. E Sōgo se ne sarebbe rimasto in disparte a godersi la scena, quel piccolo traditore. Gli occhi del bambino si concentrarono momentaneamente su qualcosa alle sue spalle e rise, Hijikata si voltò in automatico per controllare cosa stesse facendo Sōgo e quel momento di distrazione fu fatale: il bambino si infilò il suo dito in bocca e lo morse. Hijikata ritirò la mano di scatto, imprecando ad alta voce. Il bambino continuò a ridere battendo le mani e Hijikata fulminò Sōgo che aveva un'espressione fin troppo innocente. Per l'appunto, quel piccolo traditore.
«Oh... dovresti fare attenzione, Hi-ji-ka-ta-kun. A Shinsuke stanno spuntando i denti» disse lo Yorozuya con sguardo altrettanto innocente.
«Tsk restatemi fuori dai piedi» ordinò, afferrò Sōgo prima che potesse defilarsi dalla sua punizione per aver dato a quel moccioso l'idea di morderlo e si allontanò da quei mal di testa ambulanti a passo sostenuto.
 
I ragazzi risero pensando alla reazione di Hijikata e Kagura si lamentò per non essere stata presente. Gintoki sghignazzò. «Ammetto che questo offre ottimi spunti per infastidire quel ladro di tasse» commentò.
«Credi che creeranno dei problemi andando avanti?» chiese la vecchia Otose, alludendo alla presenza di Takasugi.
Gintoki si strinse nelle spalle. «È inutile preoccuparsene adesso. Per il momento si faranno gli affari loro, se in futuro cercheranno di intromettersi...» il samurai lasciò la frase in sospeso. La sua espressione era ancora pacifica e quasi annoiata, ma tutti sapevano che se la Shinsengumi avesse cercato di uccidere o catturare Takasugi una volta che fosse tornato adulto, Gintoki, Katsura e Sakamoto non avrebbero lasciato correre. «Ma non credo sarà un problema. Da anni sanno che ero lo Shiroyasha e mi hanno arrestato solo una volta; Katsura era un terrorista e gli hanno dato la caccia per anni, ma ormai si danno fastidio più per abitudine che per altro; Sakamoto ha fornito armi a Katsura e Takasugi per molto tempo, non credo che la Shinsengumi non lo sappia, ma non gli stanno dando la caccia. Se quel tappo non si farà prendere di nuovo dalla smania di far esplodere cose, lo lasceranno stare.»
«Oppure» disse di punto in bianco Kagura «potremmo consegnarglielo di nostra spontanea volontà, così saranno loro a dover pulire ovunque. Mi ricordo ancora in che stato era ridotto il bagno l'ultima volta che avete provato a insegnargli a lavarsi i denti da solo» ci avevano messo mezza giornata a pulire il dentifricio dal bambino e dal bagno. Takasugi era riuscito a farlo finire in posti che non avevano mai usato in tutti gli anni in cui avevano vissuto lì.
«Fosse solo quello il problema» sospirò Gintoki. «Se fossero stati solo i denti a spuntare più rapidamente... ma ovviamente no!» Kagura e Shinpachi annuirono. «Sempre in questi mesi ha imparato a parlare e camminare e ad andare in bagno. Tutto in una volta nel giro di due mesi. Perché non sia mai che ci siano cinque minuti di tregua» disse prendendosi la testa tra le mani.

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Capitolo 5
*** Anzi in alcuni casi sembra l’unica alternativa accettabile ***


«Poi ovviamente ha iniziato a parlare e camminare» sospirò il ragazzo dai capelli argentati senza davvero fermarsi. «Adesso non c’è male. Dovrebbe avere circa tre anni, si spiega abbastanza bene, credo. Oppure ormai sono talmente assuefatto che riusciamo a comunicare. Non lo so, in ogni caso ora parla. Penso di non averlo mai sentito parlare così tanto durante la sua prima vita» aggiunse Gintoki incredulo. «Ah e ha anche iniziato a camminare...»

 

Gintoki si era allontanato da pochi minuti, quando aveva sentito improvvisamente Sakamoto, Shinpachi e Kagura emettere suoni sorpresi, seguiti da un rumore di passi e qualcosa che suonava molto come un tavolo che veniva spostato. Andò subito a controllare: Takasugi si era aggrappato al divano e si era alzato in piedi da solo. «Kintoki! Hai visto?» esclamò Sakamoto indicando il microterrorista.
L’amico annuì appena e accennò un sorriso. «Sì, lo ha fatto anche ieri sera.» Vedendo le occhiate perplesse di Kagura e Shinpachi aggiunse, «tu eri già tornato da tua sorella e Kagura era in giro con Soyo. Voleva rubare un pezzo di dorayaki che era rimasto sul tavolo.»
Il ragazzo con gli occhiali rise. «Kagura, la tua influenza si fa sentire» le disse e l’amica gli rivolse un’occhiata ambigua, non sapendo se sentirsi lusingata o insultata. Non fece in tempo a decidere però perché sentirono la porta aprirsi e videro entrare Katsura con la maschera di Obaz. Il bambino sussultò e lo guardò preoccupato, non riconoscendo lo strano essere che era entrato in casa. Gintoki mollò uno schiaffo sulla nuca di Katsura prima che la situazione degenerasse. «Levati quell’affare prima di entrare in casa mia o ti farò prendere di nuovo a testate da Kagura.» La minaccia sortì l’effetto desiderato e l’amico si levò rapidamente la maschera, ricordando la volta in cui la ragazzina yato gli aveva fatto attraversare il nucleo del pianeta con una singola testata.
Vedendo un viso familiare, la preoccupazione svanì dal volto del bambino che, allontanandosi lentamente dal divano, cercò di fare qualche passo verso di loro trillando.
«Ok, questa è nuova» disse Gintoki sgranando gli occhi.
«Non è un po’ presto?» chiese Katsura perplesso, ricevendo un’alzata di spalle dubbiosa dagli altri quattro. Dopotutto stava succedendo tutto a velocità supersonica, farsi troppe domande ormai era inutile. I due si avvicinarono un po’, lasciando solo un paio di metri tra loro e il bambino, e si accucciarono in attesa. Il silenzio nella stanza era assordante, cinque paia di occhi erano piantati su Takasugi che, dopo i primi passi un po’ incerti, non sembrava avere già più bisogno di particolare aiuto per mantenere l’equilibrio. Finalmente colmò la distanza e si appoggiò alle ginocchia di Katsura. «Li’bet?» chiese il bambino guardandosi attorno confuso.
Katsura scosse la testa. «Elizabeth non viene oggi». Takasugi annuì, tornò verso Sakamoto e allungò le braccia. «Su» disse semplicemente e indicò il divano.

 

«Quel moccioso già a un anno dava ordini» brontolò senza convinzione Gintoki, alla fine del racconto. «E da quel momento non è rimasto più fermo in un solo posto per più di cinque minuti! È iperattivo, corre da tutte le parti, si arrampica sui divani, sulla scrivania, su Sadaharu… corre da una parte all’altra e cerca di scappare fuori. Quando Zura e Tatsuma se ne vanno cerca di inseguirli e sguscia da tutte le parti. Quando lo porto fuori, non posso perderlo d’occhio un minuto perché corre per strada, si arrampica sugli alberi e sulle ringhiere e...» il samurai si fermò di botto e raddrizzò la schiena. «C’è troppo silenzio.»
I due ragazzini si misero subito in allerta a loro volta. «Sta dormendo, lo hai detto tu» rispose Otose perplessa.
«No. È diverso» ribatté lui con una nota di urgenza nella voce, si alzò di scatto e si diresse a passo spedito verso il corridoio. Gli altri lo seguirono e lo raggiunsero in tempo per vederlo scattare fuori dall’appartamento e afferrare Takasugi, che era già arrivato in balcone e stava cercando di arrampicarsi tra la ringhiera e il cancelletto provvisorio che avevano messo all’inizio delle scale.
«Noooo! Gin-chan!» strillò il bambino mentre veniva staccato a forza dalla ringhiera del balcone e trascinato dentro per la vita. «Gin-chan! Il cane! Il cane!»
Gintoki chiuse la porta, reggendo ancora il bambino urlante e scalciante, tornò in salotto e lo mise a sedere sul divano. Il bambino gli rivolse lo sguardo più arrabbiato che un treenne fosse in grado di produrre. «Cattivo!» strillò. «C’era il cane! Voglio il cane!»
Gintoki si accovacciò in modo che i suoi occhi fossero allo stesso livello di quelli del bambino. «Shinsuke. C’è un cane anche in casa. Ti ho già detto che non puoi arrampicarti sulla ringhiera e sul cancello.»
«C’era il cane!» urlò il piccolo ancora arrabbiato.
«Non fa niente se c’era il cane. Se vuoi andare di sotto devi chiamarmi. Chiami me, Shinpachi oppure Kagura. Non puoi arrampicarti sulla ringhiera e non puoi andare in strada da solo. Puoi farti molto male se cadi da così in alto.»
Gli altri tre rimasero completamente immobili e in silenzio. Se avessero dato qualsiasi segno di cedimento, come anche solo sorridere perché vedere come quel moccioso cercasse di tenere testa ad un adulto fosse effettivamente comico, la sgridata di Gintoki sarebbe diventata completamente inutile. Per Shinpachi e Kagura, vedere Gintoki sgridare Takasugi era stato veramente strano la prima volta. Erano anni ormai che lavoravano, vivevano e combattevano al fianco del samurai, ma non lo avevano mai visto con un’espressione del genere. La sua espressione era completamente seria, le sopracciglia leggermente aggrottate e il tono fermo e deciso. Non era il tipo di rabbia che erano abituati a vedergli scatenare contro i nemici o la frustrazione causata da aver perso il nuovo numero di Jump. Gintoki stava chiaramente cercando di farsi ascoltare dal bambino, voleva essere sicuro che capisse che non stavano giocando.
«Ma se ti chiamo lui va via! Dopo è tardi!» protestò Takasugi frustrato.
«Non importa. Non puoi andarci da solo. Fine» concluse Gintoki. D’accordo che voleva che il bambino capisse, ma aveva tre anni. Solo le spiegazioni non avrebbero mai funzionato: il piccolo teppista non aveva ancora sviluppato nemmeno il minimo sindacale del senso del pericolo. «Stasera niente cartoni» disse quindi.
Com’era prevedibile, il bambino non apprezzò affatto la piega che gli eventi avevano preso e iniziò a piangere e urlare a squarciagola. Gintoki si tappò le orecchie, mentre Kagura e Shinpachi facevano un sospiro esasperato.
«Lo vedi con cosa ho a che fare, vecchia?» mugulò il samurai sconsolato. «E non ti racconterò i vari… incidenti durante lo spannolinamento» terminò rabbrividendo.
Otose sorrise della sua espressione affranta. «Beh… se è così faticoso puoi sempre riconsegnarlo al Kiheitai» lo stuzzicò lei.
«Ma per favore,» mugugnò «quel branco di idioti è passato di qua una volta mentre c’erano anche Zura e Tatsuma. Sono durati mezza giornata. Probabilmente se li avessimo abbandonati disarmati a combattere contro Utsuro sarebbero andati meno nel panico» li schernì il ragazzo. «Non penso durerebbero molto se se lo portassero via.»
«Via? Io?» chiese improvvisamente il bambino confuso.
Kagura ghignò. «Sì, se non fai il bravo ti mandiamo via. Vai via con la tizia bionda che è venuta l’altra volta» disse e per sottolineare il concetto, fece un passo verso Takasugi tendendo le mani come se volesse afferrarlo. Il piccolo cacciò un altro strillo e scappò più vicino a Gintoki, aggrappandosi al suo kimono con tutte le sue forze. «No! No no no! Io non vado via! Io sono bravo! Gin-chan, io non vado via! Sono bravo!»

«Kagura...» la avvertì Gintoki, aggrottando le sopracciglia.
«Insomma… forse a volte...» rincarò la dose la ragazza, non lasciando il tempo al samurai di intervenire. Takasugi scosse la testa con forza. «No! Sempre»
«Non è vero, non sei sempre bravo. Gin-chan ti sgrida…» il bambino scosse di nuovo la testa e fissò Gintoki con gli occhi sgranati, chiaramente spaventato. Shinpachi che fino a quel momento aveva cercato di dare una gomitata a Kagura per farla smettere, finalmente raggiunse il bersaglio. «Sono bravo!» disse Takasugi rivolto a Gin. Staccò una mano dal kimono e allargò le braccia. «Sempre! Sono sempre sempre bravo!»
Gintoki lo prese in braccio. «Ah sì? Sei sempre bravo?»
«Sì! Sempre sempre bravo!» confermò convinto, per poi piagnucolare con gli occhi lucidi: «Gin-chan, non vado via.»
«No, non vai via. Kagura stava scherzando» rispose finalmente il samurai. Ed era decisamente perché quelli del Kiheitai non erano in grado di occuparsi di un bambino, non perché all’idea di distogliere lo sguardo dal nuovo Takasugi tascabile per più di cinque minuti, i tre ex-jōi potevano sentire un brivido gelido corrergli lungo la spina dorsale. Finché si trattava di lasciarlo sulla Terra con Gintoki, sia Sakamoto che Katsura non si facevano troppi problemi ad andare e venire dalla Yorozuya e ad allontanarsi a causa delle loro attività. Riconsegnarlo al Kiheitai, dove nessuno di loro tre avrebbe potuto tenere d’occhio la situazione, non era nemmeno lontanamente concepibile.
Takasugi sembrò convincersi, ma per buona misura si aggrappò a Gintoki con le braccia e le gambe, per poi fare una linguaccia a Kagura. «Cattiva. Brutto scherzo.»
«Ah sì? Allora se sono cattiva non devo darti i biscotti» rispose la ragazza con un ghigno e scappò verso la cucina, mentre il bambino iniziava a dimenarsi e sbracciarsi per farsi rimettere a terra. Appena Gintoki l’ebbe lasciato andare, Takasugi si fiondò in cucina all’inseguimento di Kagura, che strillò poco dopo. A quanto pare il microbo le si era attaccato a una gamba e non aveva intenzione di staccarsi.
«E poi ci sono questi due che non fanno niente» aggiunse alla fine Gintoki con uno sguardo accusatore rivolto a Shinpachi. Il ragazzo con gli occhiali gli rivolse un’occhiataccia e cercò di colpirlo in testa con il manico della scopa. «Ma se abbiamo cambiato pannolini quanto voi, nonostante avreste dovuto occuparvene da soli! E non pensare mi sia dimenticato delle volte in cui ti sei finto morto quando si metteva a piangere di notte o voleva continuare a giocare nonostante stesse correndo da due ore...»
Gintoki ghignò divertito per i rimproveri di Shinpachi. La verità era che dopo i primi giorni i due ragazzi avevano deciso di avere pietà di lui e avevano iniziato a occuparsi da soli della Yorozuya, in modo che Gintoki non dovesse fare i salti mortali per riuscire a gestire sia il lavoro che il bambino. In un periodo in cui Katsura e Sakamoto era impegnati altrove, Takasugi, ancora non in grado di parlare, aveva ben pensato di diventare irritabile e iperattivo per giorni, tenendo sveglio anche Gintoki per due notti di seguito a forza di pianti e urla. Kagura e Shinpachi avevano passato gli ultimi due giorni rispettivamente da Soyo e Otae, al loro ritorno avevano trovato il samurai seduto su uno dei divani con il bambino addormentato in braccio e lo sguardo perso nel vuoto, due profonde occhiaie e gli occhi rossi per la mancanza di sonno. Senza parlare, Shinpachi aveva preso in braccio il miniterrorista e Kagura aveva afferrato Gintoki per il polso, per poi costringerlo ad alzarsi e trascinarlo verso la sua camera. Era riemersa poco dopo senza di lui, mentre Shinpachi sistemava il mostriciattolo iperattivo sul divano, attento a non svegliarlo. I due amici si erano scambiati un’occhiata eloquente e avevano deciso tacitamente che si erano divertiti abbastanza alle spese di quei tre.
Un risata vittoriosa attirò l’attenzione di Otose, Shinpachi e Gintoki. Quest’ultimi sgranarono gli occhi e scattarono verso la cucina.
«Kagura, no!» urlò il samurai. «Non dargli i biscotti! Niente zuccheri alla sera!»
«Non ha ancora cenato!» rincarò la dose il ragazzo con gli occhiali.
Otose rise vedendo il caos che regnava in quell’appartamento e sentendo Gintoki urlare «Kagura, metti via quel barattolo! Guarda che posso ancora punire anche te! Niente soap stasera!»

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Capitolo 6
*** Bambini, non è mai troppo presto per imparare che gli adulti non sono tutti supereroi ***


«...e quindi sono stato miniaturizzato, chiuso in una specie di barattolo e lanciato in mare. Mutsu mi è venuta a salvare prima che il barattolo si sciogliesse. Sconsiglio di nuotare nelle acque di quel pianeta e-»
«Perché molte delle tue storie finiscono con te rinchiuso da qualche parte che vieni lanciato in mare, Tatsuma?»
«O che vieni salvato da Mutsu?»
Sakamoto rise rumorosamente. «Che volete farci, certe persone sono troppo suscettibili!» si strinse nelle spalle. Gli altri due scossero la testa divertiti, ben consapevoli che il loro amico aveva un vero talento per provocare la suscettibilità altrui. Distratti dai racconti di Sakamoto sulle sue due recenti settimane nello spazio, i tre si accorsero di essere stati raggiunti da Takasugi solo quando il bambino salì su uno dei divani e si abbarbicò a Gintoki, nascondendo il viso nel suo kimono.
«Ciao, Shinsuke» salutarono Sakamoto e Katsura, sorpresi dalla mancanza di vivacità dell’amico. Da quando era tornato in versione ridotta, quel moccioso era stato iperattivo per la maggior parte del tempo, quindi che fosse così silenzioso era davvero strano. Gintoki dal canto suo non sembrava affatto sorpreso, si limitò a sospirare e ad abbracciare il bambino. Sakamoto e Katsura gli rivolsero uno sguardo interrogativo.
«Credo che i ricordi stiano cominciando a riaffiorare» spiegò il samurai senza troppi giri di parole. «Di solito capita mentre dorme, come se fossero dei sogni o degli incubi.»
«Ormai ci siamo allora» commentò Sakamoto.
«Non so però a che velocità ritorneranno. Con Shōyō era stato diverso: per molto tempo dopo il suo ritrovamento mi ha seguito in silenzio, quando ha ricominciato a parlare sembrava già ricordare ogni cosa. Shinsuke sembra essere un bambino a tutti gli effetti, rumoroso e iperattivo, ma sembra che i ricordi stiano tornando poco alla volta.»
«Non mi hai detto nulla l’ultima volta che sono stato qui» disse Katsura pensando ad alta voce. «È recente?»
Gintoki annuì. Non vedevano Sakamoto da un paio di settimane, ma Katsura era rimasto con loro per un paio di giorni soltanto una settimana prima. «Ha iniziato poco dopo che sei andato via, circa una settimana fa. Alcuni sembrano essere sogni normali, quando si sveglia è solo un po’ confuso, sembra capire che quelle dei sogni sono persone che conosce davvero, ma non come fa a conoscerle. Altri sono incubi a quanto pare.»
«A quanto pare?»
«Questo rompiscatole non si vuole spiegare» disse con tono fintamente arrabbiato e muovendo le gambe per scuotere leggermente il bambino. «Ti ho detto di svegliarmi quando fai gli incubi, giusto?» Takasugi annuì e si limitò a fare un mugolio triste, nascondendo ancora di più il viso nel kimono di Gintoki. «Si sveglia, mi viene a cercare… poi però non mi dice cosa succede» aggiunse il samurai con tono di finto rimprovero «si attacca come un polipo, ma non parla. Vero?» Il piccolo doveva aver imparato a distinguere quando Gintoki lo sgridava da quando scherzava, perché non si mosse di un millimetro e sospirò. «Allora?» il samurai decise di cambiare tattica e, tenendo fermo il bambino con un braccio, iniziò a punzecchiarlo con un dito della mano libera. «Allora?» continuò dandogli un buffetto sulla fronte, poi sul naso, poi sulla spalla intervallando ogni gesto con la stessa domanda, fino a quando non si mise a fargli il solletico. Sakamoto e Katsura non poterono fare a meno di pensare che era davvero strano vedere Gintoki a suo agio alle prese con un bambino, nonostante ormai lo avessero visto all’opera svariate volte negli ultimi cinque mesi. Takasugi nel frattempo aveva iniziato a ridere e a dimenarsi per provare a sfuggire.
«Gin-chan! No!» provò a protestare tra le risate. «Basta! Basta!»
Quanto Gintoki si ritenne soddisfatto, si fermò e lasciò il tempo al bambino di riprendere fiato. Takasugi aveva le guance rosse ed era completamente spettinato.
«Quindi, Tappo? Cos’hai sognato?» chiese nuovamente il samurai, il viso del bambino si fece subito serio e incerto e Gintoki mosse il dito in modo minaccioso. «Devo ricominciare? Non ne hai avuto abbastanza?» la versione tascabile del loro amico spostò la mano dell’uomo dai capelli argentati e fece un sorriso poco convinto.
«Sono un uomo. Gli uomini non si lamentano» rispose il bambino a mezza voce.
«E questa da dove esce?» chiese Sakamoto alzando un sopracciglio, mentre Gintoki e Katsura aggrottavano le sopracciglia. «Ma quale uomo» lo prese in giro Gintoki. «Sei un tappo di cinque anni, non un uomo.»
«E poi se fosse vero, Gintoki sarebbe spacciato» aggiunse Katsura.
«Cosa vorresti dire, Zura?!»
«Non sono Zura, sono Katsura» rispose in automatico l’amico. «Il leader è molto chiaro: Gintoki non fa che lamentarsi tutto il giorno perché vuole leggere Jump, mangiare gelato e dormire e poi-» e poi nulla. La conversazione degenerò in un incontro di lotta tra Katsura che dava dello scansafatiche a Gintoki e Gintoki che sì era uno scansafatiche ma non intendeva farsi rimproverare da uno che andava in giro mascherato come a carnevale.
«Ma che state combinando?» li interruppe la voce di Shinpachi appena tornato con Kagura da un lavoro come tuttofare.

 

«Da che pulpito viene la predica» commentò Kagura una volta ascoltato il racconto dei tre amici. Si girò verso il bambino. «Anche lui quando ha gli incubi non ne parla mai, è un testone.»
Takasugi sgranò gli occhi. «Anche Gin-chan fa brutti sogni?»
«Tempo fa di più, adesso meno. Però non ne parla mai» continuò la ragazza imperterrita, ignorando totalmente Gintoki che cercava di farla tacere… o forse di strozzarla. «Non fare come questo stupido con la faccia da pesce lesso. Dico ma lo vedi? Non ha la faccia da scemo?» chiese Kagura con fare cospiratorio.
Il bambino sembrava meno angosciato, ma non era ancora convinto. «Non sono un bimbo piccolo.»
«Ah va bene… allora possiamo fare cambio» rispose la yato con un sorriso malefico. «Tu vai a dormire nella mia stanza e io vado a dormire con Gin-chan.»
«Ma tu sei grande!» protestò lui.
«Beh? E allora? Anche tu hai detto di essere già grande, quindi possiamo fare cambio. Prima che venissi tu andavo a dormire da Gin-chan a volte! Da sola.»
Il piccolo rise. «Mi vuoi rubare il futon! Non ci stai!» non era la prima volta che i due battibeccavano per chi potesse dormire con Gintoki. Shinpachi non poté fare a meno di sorridere in modo esasperato: in quel momento era soltanto un gioco, ma in passato Kagura aveva messo il broncio perché non poteva più dormire insieme al suo papà terrestre. Questo aveva dato il via a una guerra civile tra Kagura e Takasugi a colpi di dispetti. Era terminata solo quando un esasperato Gintoki aveva ricordato a tutti gli abitanti della casa che la sua stanza non era delle dimensioni del suo futon. A volte al mattino, quando Shinpachi arrivava prima che si fossero svegliati, il ragazzo con gli occhiali li aveva trovati tutti e tre addormentati nella stessa stanza, con Gintoki al centro e con le gambe e le braccia degli altri due addosso.
«Porto il mio» stava rispondendo Kagura in quel momento.
«No. Ci sto io» si impuntò Takasugi abbarbicandosi di nuovo a Gintoki e facendole una linguaccia. «Io sono più piccolo. Ho cinque anni» disse staccando una mano dal kimono di Gintoki e mostrando cinque dita.
Kagura si accarezzò il mento con le dita, fingendo di pensare. «Mmmh… secondo me stai dicendo una bugia.»
«No! Lo ha detto Gin-chan. Ho cinque anni!»
«Non so… voi ci credete?» chiese rivolta agli altri quattro. «Dice di essere piccolo. Shinpachi, tu ci credi?»
Il ragazzo scosse la testa e fece una smorfia poco convinta. «Servirebbe una prova.»
«Una prova?» chiese il bambino dubbioso.
«Sì, devi dimostrare che sei piccolo» confermò Katsura. «Un samurai deve sempre dire la verità ed essere pronto ad essere messo alla prova.» Tutti sorvolarono sulla quantità di balle che sparavano i tre ex-jōi quasi quotidianamente.
Il miniterrorista fece una faccia seria e annuì con convinzione. «Che prova?»
«Beh… vediamo...» si intromise Sakamoto, facendo finta di cercare una prova che fosse abbastanza schiacciante. «So cosa potresti fare» il bambino raddrizzò la schiena e puntò gli occhi su di lui. «Devi rispondere alla domanda di Gintoki. Che cosa hai sognato?» Takasugi sembrava ancora titubante, ma non tanto quanto pochi minuti prima. «Hai detto tu che i bambini piccoli possono lamentarsi. Se sei piccolo, allora diccelo, così dopo puoi continuare a dormire con Gintoki.»
Rimase tutti in silenzio per un attimo, Takasugi stava chiaramente cercando di decidere se voleva essere considerato piccolo o grande, sapeva anche che quelle persone stavano scherzando e che non lo avrebbero mandato a dormire da un’altra parte… però in realtà voleva proprio raccontarlo quel sogno.
«Sono grande, però dormo con Gin-chan» disse alla fine. «Però il sogno lo racconto lo stesso» aggiunse dopo una pausa e guardando gli altri incerto, come a chiedere conferma che andasse bene fare tutte e tre le cose. «Anche i grandi raccontano i brutti sogni» rispose alla fine Shinpachi mentre gli altri annuivano.
Finalmente il bambino si convinse e iniziò a raccontare cosa aveva sognato in quei giorni, gli occhi incollati al pavimento. «C’era un uomo» iniziò. «Più grande di Gin-chan, aveva la faccia così» disse tirandosi la faccia per farsi venire le rughe. «Ed era sempre arrabbiato. Ed era il mio papà.»
Kagura e Shinpachi videro i tre ex-jōi irrigidirsi, come se stessero cominciando a capire, il dubbio aveva iniziato a venirgli quando Takasugi aveva detto «gli uomini non si lamentano», frase che tutti e tre erano abbastanza convinti nessuno di loro avesse mai detto davanti a lui, in nessuna delle sue due vite. «C’era buio e avevo paura e poi c’era il papà» fece una pausa e aggrottò le sopracciglia. «Mi sgridava perché non ero stato bravo, ma io non sapevo perché non ero stato bravo. E gliel’ho detto. Però lui ha detto che dicevo le bugie e mi ha dato uno schiaffo così» diede uno schiaffo a Gintoki, che fece un’espressione fintamente offesa «però forte! Mi ha fatto cadere!» precisò contrariato, agitando le braccia e quasi colpendo Gintoki di nuovo. «Dopo mi ha preso qui» tirò su una mano e si afferrò i capelli dietro alla testa «perché diceva che i bambini devono guardare i grandi quando parlano. E mi ha sgridato perché piangevo. Ma io piangevo perché lo schiaffo mi aveva fatto cadere e faceva male. E c’era buio e non mi piace il buio. E gliel’ho detto, Gin-chan! Però lui era arrabbiato lo stesso! Ha detto che ero un uomo e che gli uomini non piangono come i bimbi piccoli. E che se piangevo allora non mi voleva e poi è andato via» fece una piccola pausa. «Sono stato lì tanto tempo...» aggiunse quasi a bassa voce. «Poi» riprese triste «anche le altre volte c’era lui nei sogni brutti. Però a volte ero più grande… non così grande» precisò indicando gli altri presenti «però più grande. E anche negli altri sogni mi dava gli schiaffi oppure i pugni, perché diceva che avevo fatto il cattivo. A volte perché litigavo con gli altri a scuola, ma gli altri erano antipatici! Dopo ho incontrato dei bambini che mi piacevano, sembravano loro» disse indicando Gintoki e Katsura senza però smettere di parlare «ma al papà non piacevano. E allora mi ha legato a un albero. E c’era buio. E nemmeno al me più grande piaceva stare lì al buio» concluse finalmente, Shinpachi pensò che non aveva mai visto un bambino così piccolo con un’espressione così sconsolata. Rimasero in silenzio ancora per un po’, durante il quale il bambino ogni tanto aggiungeva qualcosa, come una punizione che aveva sognato ma si era scordato di raccontare. Shinpachi fece del suo meglio per non registrare un aneddoto su una botte e l’essere infilato con la testa sott’acqua, ma potè sentire chiaramente il proprio viso contrarsi. Kagura accanto a lui era una statua di sale.

Era davvero il caso che sentissero quei racconti?

Lanciò un’occhiata ai tre ex-jōi seduti sui divani: non sembravano particolarmente sorpresi, solo rassegnati e arrabbiati. Il ragazzo con gli occhiali capì che per quei tre quei racconti non erano nulla di nuovo: sapevano già ciò che era successo all’amico, o quantomeno si erano fatti un’idea abbastanza chiara durante il tempo che avevano passato insieme da giovani. Un movimento appena accennato attirò la sua attenzione.
«Voi avete detto che lo potevo dire» disse il bambino con espressione preoccupata, probabilmente interpretando male le espressioni degli adulti nella stanza.
«Mh?» chiese Gintoki riemergendo da qualsiasi pensiero sgradevole in cui fosse sprofondato. «Sì, lo so. Non siamo arrabbiati con te, Tappo» rispose spettinandolo con una mano.
«Oh… ok» Takasugi li osservò per un momento, come se stesse cercando il coraggio di chiedere qualcos’altro. «Dov’è adesso? Il mio papà.»
I tre ex-jōi si scambiarono un’occhiata. «Lontano» rispose Gintoki senza pensarci troppo.
«Ma sei poi torna?» chiese il bambino dubbioso.
«Non tornerà. Non gli è possibile tornare» era la prima volta che Kagura e Shinpachi vedevano una smorfia del genere sul volto di Katsura. La rabbia che potevano scorgere nei suoi occhi suggerì loro che, anche se tutti e tre sapevano, lui aveva decisamente visto parte di quanto raccontato dall’amico.

«E se invece sì?» il piccolo non sembrava affatto convinto e li guardava con gli occhi sgranati. Gintoki sospirò. «Non può tornare, Shinsuke» rispose con calma. «E’ morto, non può più venire qui.»
«Davvero?» i ragazzi sentirono il loro stomaco contorcersi vedendo la speranza negli occhi ancora spaventati del bambino.
Sakamoto annuì sorridendo. «Davvero, davvero. Abbiamo anche visto la sua tomba.»
Rimasero in silenzio per qualche secondo mentre la versione tascabile di Takasugi si convinceva che no, suo padre non sarebbe arrivato per portarlo via o per picchiarlo o per chiuderlo al buio. «Gin-chan» chiese dopo un po’ con un’espressione serissima. Tutti si prepararono psicologicamente a un’altra domanda scomoda o un altro aneddoto spiacevole. «Andiamo a prendere il gelato?»
Tutti scoppiarono a ridere, dissipando la tensione e l’atmosfera pesante che si era venuta a creare. Il cervello dei bambini era davvero qualcosa di magico.

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Capitolo 7
*** Come si chiamano quelle caramelle fatte a rotella ricoperte di zucchero? ***


La testa gli stava per esplodere e quel rompiscatole di Takasugi non non la smetteva di saltare da una parte all’altra della stanza, troppo sveglio a un orario per il quale per Gintoki era ancora un crimine uscire dal futon anche quando la sua testa non minacciava di aprirsi in due da un momento all’altro.
Non che Gintoki fosse contrariato dal fatto che il bambino fosse felice: negli ultimi tre mesi aveva continuato a fare sogni e incubi sulla sua vita precedente. In questo modo Takasugi aveva collezionato frammenti sparsi di ricordi, non abbastanza però da recuperare l’amabile personalità da cane idrofobo del suo vecchio amico.
L’ultimo sogno, risalente alla notte precedente, riguardava la battaglia di Iga: Shinsuke si era visto attaccare Gintoki, Kagura e Shinpachi nel sogno e ne era rimasto sconvolto. Il samurai ci aveva messo due ore per calmare il bambino, fargli capire dove si trovasse e che non sarebbe stato punito per ciò che aveva visto nel sogno.


«Guarda» disse Gintoki alzando la maglia del pigiama, «non c’è niente, visto? Queste sono tutte cicatrici vecchie» spiegò. Il fatto che parte di quelle cicatrici fossero state davvero causate da Takasugi anni prima ad Iga in quel momento era irrilevante. Il bambino lo osservò per un po’ con gli occhi lucidi e si asciugò le lacrime con una manica del pigiama. Gintoki lo prese per mano e uscì dalla stanza, per poi andare ad affacciarsi alla camera di Kagura. «E Kagura è lì che dorme. Shinpachi invece è a casa sua. Nessuno di noi è ferito, vedi?»
Takasugi annuì poco convinto.
«Gin-chan… ho davvero fatto quelle cose?» chiese con voce tremante dopo qualche minuto, mentre era seduto in braccio a Gintoki sul divano, la testa appoggiata alla spalla del samurai. Gintoki si irrigidì. «Come mai questa domanda?» chiese cercando di non far trasparire la proprio tensione, il principio di mal di testa con cui era andato a dormire se la rideva mentre iniziava a usare il suo cervello come un taiko. Il bambino iniziò a giochicchiare con un filo scucito della maglia di Gintoki, senza sollevare lo sguardo.
«Non lo so… quando faccio quei sogni, sia belli che brutti, sembrano veri… è come» si fermò un attimo a pensare «è come quando penso a quello che ho fatto ieri. E poi ci siete anche tu e Tatsuma e Zura. A volte anche Kagura-chan e Pattsuan. E anche Matako e Takechi. Però io sono diverso, sono più grande. E sembra tutto vero» terminò il bambino. Gintoki deglutì, avrebbe potuto semplicemente dirgli che erano solo stupidi sogni, che il fatto che li vedesse nei suoi sogni era normale perché li vedeva tutti i giorni, ma non riusciva a mentire. Per qualche motivo la voce si rifiutava di uscire. Osservò per un momento l’amico miniaturizzato che lo fissava in attesa, anche se Gintoki poteva chiaramente vedere che faticava a tenere gli occhi aperti, ora che si era calmato. «È un po’ difficile da spiegare. Ed è anche una cosa un po’ lunga. Che ne dici se ne parliamo domani dopo la colazione? Quando ci saranno anche Tatsuma e Zura» Se devo avere questa conversazione, quegli altri due dovranno subirla con me.
«Perché li dobbiamo aspettare?»
«Hai detto che c’erano anche loro nei sogni, no? Se hai delle domande sulle cose che hanno fatto, puoi chiedere direttamente a loro.»
Takasugi annuì dubbioso. «Non dobbiamo aspettare anche Matako e Takechi però, vero?»
«Se vuoi li possiamo aspettare, ma sono venuti pochi giorni fa e passerà un po’ prima che tornino. Non verranno domani.»
«Perché non adesso?» provò a insistere il miniterrorista.
«Perché adesso è tardi, è una spiegazione lunga e complicata e tu stai per addormentarti seduto» spiegò Gintoki sollevando Takasugi di peso mentre questo sbadigliava. E io devo avere questa conversazione senza i Kodō in concerto nel mio cervello.

In quel momento, mentre Takasugi gironzolava per la stanza, Gintoki era sollevato dal vedere che il bambino non sembrava essere più sconvolto dalla notte precedente. Era un po’ meno sollevato dal fatto che il concerto di taiko nel suo cervello si fosse trasformato in un vero e proprio rave party. L’idea di mentire in quel momento non gli sembrava poi così terribile. Non voleva davvero dire a Takasugi “ehi sai che quelli che stai avendo non sono incubi, ma sono i tuoi ricordi che stanno tornando? Sai, sei morto e poi tornato in vita sotto forma di bambino senza ricordi, quindi ora stai recuperando. Ah giusto, sei morto perché io ti ho ucciso. Vuoi un altro takoyaki?”
Grugnì e si tirò la coperta del futon fin sopra alla testa, sperando che gli altri arrivassero presto, così da poter arginare il danno. Ma perché quel moccioso è così attivo di mattina presto? si lamentò tra sé e sé, riemergendo da sotto la coperta. Non fece però in tempo ad abbaiare a Takasugi di andarsene a guardare la TV se non riusciva a starsene fermo che la testa di Shinpachi fece capolino dalla porta della sua stanza.
«Gin-san, sei ancora a letto?» in che senso ancora? Che ore sono? Perché tu sei già qui?
«Ma cosa stai dicendo?» rispose il ragazzo con gli occhiali. A quanto sembrava lo aveva chiesto ad alta voce. «Guarda che sono quasi le undici. Quando sono arrivato, lui e Kagura-chan stavano già facendo colazione» spiegò indicando il bambino con un cenno della testa. «Ho già pulito e Kagura-chan ha detto che ci hanno telefonato dei clienti. Abbiamo un paio di appuntamenti per la prossima settimana.» Gintoki grugnì qualcosa che Shinpachi non fu in grado di capire, il ragazzo aggrottò le sopracciglia.

«Gin-san, ti senti bene?» chiese mentre l’uomo si lasciava sfuggire un colpo di tosse. «Lo prenderò per un no» commentò l’amico avvicinandosi e posandogli una mano sulla fronte. «Hai un po’ di febbre. Si può sapere come hai fatto a prenderti l’influenza in questo periodo?»
Prima che potesse rispondere però quel terremoto vivente di mini-Takasugi si inginocchiò accanto a Shinpachi. «Gin-chan. Mi devi raccontare la storia di cui hai parlato ieri sera.»
«Che storia?» chiese il ragazzo con gli occhiali, mentre Gintoki si tirava nuovamente la coperta fin quasi sopra alla testa, in un disperato tentativo di fuga.
«Del perché i miei sogni sembrano veri» Shinpachi lanciò un’occhiata a Gintoki che non sembrava voler riemergere dal futon e si schiarì la voce. «Adesso Gin-san non può spiegarti, è malato. Vedi?» afferrò una mano del bambino e l’appoggiò sulla fronte del samurai, Takasugi sgranò gli occhi. «Dobbiamo lasciarlo riposare. Quando starà meglio, ti racconterà quello che vuoi sapere.»
Gintoki sentì Shinpachi alzarsi in piedi e dirigersi verso la porta. «Kagura sta per portare a spasso Sadaharu. Perché non vai con lei? È una bella giornata, non dovresti stare in casa» disse rivolto al bambino che annuì poco convinto, mentre teneva gli occhi incollati su Gintoki. Shinpachi sorrise comprensivo. «Non ti preoccupare, lo terrò d’occhio io» e poi rivolto a Kagura «Gintoki ha l’influenza-»
«Ma come fa?» brontolò la ragazza dall’altra stanza.
«Non lo so» ridacchiò Shinpachi. «In ogni caso, visto che stai uscendo potresti portare con te Shinsuke-chan?»
«Ok… muoviti, microbo» il bambino le fece una smorfia, ma si affrettò fuori dalla stanza e si arrampicò a cavallo di Sadaharu, mentre la yato lanciava un’occhiata nella stanza per farsi un’idea delle condizioni del samurai prima di dirigersi verso l’uscita.
Gintoki rimase finalmente da solo e in silenzio per qualche minuto, fino al ritorno di Shinpachi. Lo yorozuya sentì il ragazzo appoggiare qualcosa accanto al futon e aprì leggermente gli occhi, vedendo che Shinpachi aveva appoggiato una bacinella con alcune pezze, ma che teneva ancora in mano una tazza fumante.
«Riesci a sederti?» Gintoki annuì e si tirò su con una smorfia. Solo quando iniziò a bere, si accorse di quanta sete avesse. Due tazze di tisana più tardi, si sdraiò di nuovo con un sospiro. Il ragazzo con gli occhiali sistemò la coperta, che ormai era un ammasso informe appallottolato in parte attorno a Gintoki e in parte fuori dal futon, e ne aggiunse una seconda. Solo allora Gintoki si rese conto che stava tremando leggermente e sorrise a Shinpachi in segno di riconoscimento, ricordandosi un secondo troppo tardi che la coperta gli copriva mezzo viso e quindi l’altro non era in grado di vederlo. Shinpachi sembrò però capire e sorrise divertito, mentre gli appoggiava una pezza umida sulla fronte.
Rimasero in silenzio per qualche istante, fu Shinpachi a parlare per primo. «Sei sicuro di volergli spiegare la natura degli incubi che sta facendo?»
Gintoki ci mise un attimo a rispondere, intontito dal mal di testa nonostante stesse iniziando a scemare. «Per niente. Ma ieri notte è stato l’unico modo per convincerlo a tornare a dormire» brontolò il samurai e tossì di nuovo. «Hai detto che quando mi sono svegliato erano quasi le undici… dove sono finiti quei due?»
«Quei due? Sono usciti poco fa» rispose perplesso Shinpachi, pensando che stesse parlando di Kagura e Takasugi.
Gintoki aggrottò le sopracciglia, contrariato. «Non loro due, gli altri due» spiegò con grande eloquenza.
«Katsura-san e Sakamoto-san? Non dovevano venire oggi. Arriveranno domani mattina… volevi aspettarli per parlare con Takasugi-san?»
«Se io devo sorbirmi quella conversazione, allora devono farlo anche loro» brontolò l’uomo dai capelli argentati. A quanto pare la sera prima si era confuso sul giorno di arrivo di Katsura e Sakamoto. Shinpachi sospirò. «Beh, non arriveranno prima di domani mattina, ma non penso che Takasugi-san ti farà altre domande oggi. Sembrava aver capito che deve aspettare che tu ti riprenda. Al massimo proveremo a distrarlo io e Kagura.»
Gintoki annuì e chiuse gli occhi: grazie alla tisana e alla coperta in più aveva smesso di tremare e il calore e il silenzio gli stavano decisamente conciliando il sonno. Sentì Shinpachi rimboccargli le coperte un’ultima volta prima di alzarsi e lasciarlo riposare e poi più nulla.

 

Gintoki aprì gli occhi dopo quelli che gli sembrarono pochi minuti, ma dovevano essere state ore visto l’angolo con cui la luce entrava dalla finestra e da quanto fosse secca la sua bocca. Poteva sentire Takasugi e Kagura litigare nell’altra stanza e gli venne quasi da ridere quando capì che stavano cercando di urlare sottovoce. In quel momento Shinpachi entrò di nuovo nella sua camera. «Nel caso non te ne fossi accorto, Kagura-chan e Takasugi-san sono tornati» scherzò il ragazzo vedendolo sveglio. Gintoki rise ma gli uscì un suono a mezza via tra una risata e un colpo di tosse. «Ti ho portato qualcosa, non hai pranzato» disse Shinpachi sollevando la ciotola che aveva in mano. Gintoki si mise a sedere, mentre il ragazzo si inginocchiava accanto al futon. Il silenzio durò poco, perché come Takasugi si accorse che Gintoki era sveglio si fiondò nella stanza a tutto velocità, facendo quasi strozzare Gintoki con il brodo per la sorpresa. Il bambino iniziò poi a saltellare elettrizzato e a raccontare a mitraglia quello che aveva fatto quel giorno. Il mal di testa di Gintoki non ne fu molto felice.
«Shinsuke-chan» lo richiamò Shinpachi e il bambino si girò di scatto verso di lui. «Ti abbiamo detto di non fare troppo rumore. Gin-san ha mal di testa.»
Takasugi sgranò gli occhi ancora di più. Come diavolo era possibile? «Scusa, Gin-chan» disse quasi in un sussurro con un’espressione che Gintoki avrebbe trovato comica, se le sue tempie avessero smesso di pulsare per cinque minuti. «Come mai è così iperattivo? Intendo più del normale» chiese rivolto ai due ragazzi, mentre Takasugi iniziava a girare per la stanza e aprire tutti i cassetti. Shinpachi rivolse uno sguardo esasperato a Kagura.
«Kagura-chan lo ha portato in giro stamattina, sono tornati a pranzo e sono usciti di nuovo» aspetta, sono usciti dopo pranzo? Che diavolo di ore erano? Quanto aveva dormito? Shinpachi sembrò cogliere la sua confusione. «Sono le cinque del pomeriggio» gli comunicò, per poi continuare. «Mentre erano in giro, hanno comprato il gelato» si voltò verso il bambino e con un tono meno esasperato di quello usato con Kagura disse: «Perché non dici a Gin-san quanto era grande il gelato che hai mangiato?»
Takasugi, in piedi su un mobile e con qualche decibel di troppo, rispose: «era grande come quelli che mangi tu, Gin-chan. Era grande così!» Gintoki sperò che le dimensioni indicate dalle mani del bambino fossero esagerate perché 1. Viveva a Kabuki-chō da anni e non aveva mai visto dei gelati così grandi, quindi se era vero voleva dire che si era perso dei parfait enormi per più di dieci anni; 2. Un gelato del genere avrebbe mandato chiunque in coma diabetico. «Beh questo spiega molte cose» si limitò a commentare il samurai.
«Shinsuke-chan non ha ancora smaltito gli zuccheri, quindi ora Kagura-chan» disse il ragazzo calcando volutamente sul nome dell’amica «lo porterà di nuovo fuori a giocare finché non si sarà calmato.»
Kagura dal canto suo non protestò, cosa che sorprese alquanto Gintoki, ma poi si accorse che la ragazza era seduta a testa in giù con le gambe appoggiate allo schienale del divano e la schiena a terra, le braccia aperte a croce accanto a lei. «Shinpachiii...» trovò finalmente la forza di mugolare.
«Avresti dovuto pensarci prima di riempirlo di zuccheri dieci minuti prima di tornare a casa» le rispose l’amico senza pietà. La yato grugnì qualcosa di inarticolato e si trascinò in piedi.
«Muoviti, Tappo, usciamo di nuovo» brontolò senza guardare nella loro direzione, Takasugi saltò giù dal mobile su cui era salito e la rincorse fuori.

Una volta soli, Gintoki e Shinpachi non poterono fare a meno di ridere pensando che qualcuno fosse stato in grado di stancare Kagura fino a quel punto. La ragazza tornò soltanto un paio d’ore più tardi, un ghigno vittorioso sul viso e Takasugi sfinito appollaiato sulla schiena di Sadaharu. Nel frattempo Gintoki ne approfittò per farsi una doccia, mentre Shinpachi cambiava l’aria nella stanza.

Gintoki si svegliò tre volte quella notte. Due furono a causa della tosse che sembrava aver deciso che una notte di sonno filato sarebbe stato un lusso eccessivo per Gintoki. Mentre si sistemava dopo essersi svegliato per la seconda volta in una notte, si trovò davanti Takasugi che lo fissava con un’espressione assonnata e un bicchiere proteso verso di lui. Gintoki sorrise in segno di ringraziamento e restituì il bicchiere dopo aver bevuto. Il bambino annuì, troppo addormentato per parlare, e lo appoggiò poco distante dal futon, per poi raggomitolarsi accanto a Gintoki sbadigliando. Il samurai provò inutilmente a convincere il miniterrorista a tornarsene nel suo futon, momentaneamente in camera di Kagura, dopotutto se si fosse svegliato di nuovo avrebbe finito per svegliare anche Takasugi, ma l’altro non ne volle sapere e Gintoki dovette arrendersi a passare la notte con il bambino addormentato accanto a lui.

La terza volta in cui si svegliò si ritrovò davanti una scena molto meno pacifica.

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Capitolo 8
*** Quando hai l’influenza, bevi molto, suda e resta a riposo ***


Quando Gintoki si svegliò, la prima cosa che sentì fu la voce concitata di Kagura. Non stava urlando, ma era chiaramente agitata e Gintoki non riusciva a sentire la voce della persona con cui stava parlando. Ci mise qualche secondo per capire che la giovane yato stava parlando al telefono. Il samurai lanciò un’occhiata verso la finestra, chiedendosi se fosse già mattina, ma vedendo il buio oltre i vetri si sentì ancora più confuso. A chi diavolo stava telefonando Kagura nel bel mezzo della notte? Pensò di alzarsi per andare a controllare e solo allora si accorse che Takasugi non era più accanto a lui nel futon. Diede una rapida occhiata in giro, ma non c’era traccia del bambino. Che fosse andato in bagno? Di solito non si svegliava di notte se non per gli incubi… con questo pensiero Gintoki decise che era decisamente meglio alzarsi per controllare la situazione. Mentre cercava di mettersi in piedi ignorando le vertigini, la porta della sua stanza si aprì, lasciando entrare la luce dalla sala e facendogli strizzare gli occhi per il fastidio.
«Gin-chan» lo chiamò Kagura dalla soglia. Gintoki la osservò per un attimo, la sua confusione non fece che aumentare vedendo che la ragazza indossava la giacca sopra al pigiama. Una sensazione sgradevole iniziò a farsi strada dentro di lui, svegliandolo del tutto. Si guardò intorno di nuovo. «Dov’è Takasugi?»
«Non lo so» rispose la ragazza chiudendo la cerniera della giacca. «Mi sono svegliata per andare in bagno e quando sono entrata per vedere come stessi, non c’era. Ho guardato in tutti i nascondigli possibili, ma non c’è. Mancano anche le sue scarpe» Kagura vide l’espressione di Gintoki farsi sempre più allarmata. «Ho già avvertito Shinpachi e Zura, dovrebbero essere già fuori a cercarlo. Zura ha avvertito Sakamoto che ha detto che era già partito per raggiungerci e arriverà tra poco. Adesso esco anche io. Tu resta qui» gli ordinò con tono perentorio. «Stai ancora male e deve esserci qualcuno in casa se-» Kagura si interruppe di botto e andò a rispondere al telefono che aveva ripreso a squillare. Gintoki non aspettò di scoprire chi fosse dall’altra parte, uscì dalla stanza, volò giù per le scale e si mise a cercare in ogni vicolo, sottoscala e buco di Kabuki-chō.

Kagura riagganciò, Otae le aveva telefonato per farle sapere che Shinpachi l’aveva informata dell’accaduto e che aveva appena visto Kondo entrare nel suo locale, l’aveva avvisata che avrebbe provato a convincere il poliziotto ad aiutarli nelle ricerche. Tornando verso la camera di Gintoki, la ragazza imprecò ad alta voce, vedendo che il samurai non era più lì. Si catapultò all’esterno, ma non riuscì a scorgerlo da nessuna parte, quindi con un’altra sequela di parolacce si mise alla ricerca di quei due idioti.

Gintoki si lasciò scivolare contro la parte di un edificio. Vagava da ormai due ore ed era esausto. In quel momento si trovava in una zona poco illuminata di Kabuki-chō, ancora in pigiama e a piedi scalzi, anche se aveva avuto la presenza di spirito di afferrare almeno Lago Toya. Come se non bastasse, un’ora prima aveva iniziato a piovere a dirotto. Il samurai era completamente zuppo, il freddo causato dalla pioggia gli stava entrando fin nelle ossa, impedendogli di smettere di tremare. Non aveva potuto fare a meno di fermarsi e appoggiarsi contro uno degli edifici lì attorno, quando un accesso di tosse gli aveva tolto il respiro e lo aveva fatto piegare in due. Seduto contro il muro, gli ci volle comunque qualche minuto perché la tosse si calmasse del tutto e riuscisse a riprendere fiato. Quando il suo respiro si fu di nuovo regolarizzato, Gintoki si alzò determinato a continuare la ricerca. Rimase un attimo appoggiato alla parete, aspettando che passasse il capogiro che lo aveva colto mentre si rimetteva in piedi, e dopo aver preso un respiro profondo ricominciò a muoversi con cautela. Fu dopo qualche passo che sentì un suono sommesso provenire da un vicolo che non aveva ancora setacciato. Era un miracolo che lo avesse sentito nonostante il rumore scrosciante della pioggia. Gintoki si diresse verso la macchia scura a malapena visibile nell’oscurità del vicolo e poté vedere un bambino raggomitolato sotto alcuni cartoni, impegnato a singhiozzare nel modo più silenzioso possibile. Il samurai si avvicinò lentamente . «Shinsuke?» chiamò e vide l’altro sussultare. «Come sei finito qui?»
Takasugi si raggomitolò ancora di più su stesso e gli rivolse un’occhiata terrorizzata, il suo sguardo si spostava in continuazione da Gintoki al suo bokuto. Gintoki ebbe improvvisamente un dubbio atroce e, muovendosi molto lentamente e restando a distanza di sicurezza, lasciò cadere Lago Toya a terra. Sollevò le mani per mostrare al bambino che non era armato e che non gli avrebbe fatto nulla, poi fece qualche altro passo e si inginocchiò a un paio di metri da lui. «Non voglio farti del male» disse con tono conciliante. «Hai fatto un incubo?»
Shinsuke annuì senza scollargli gli occhi di dosso.
«Ok… cos’hai sognato?» chiese Gintoki, nonostante temesse di sapere già la risposta.
L’altro tentennò per un momento, indeciso se rispondere o scappare, ma vedendo che il samurai non stava facendo nulla per afferrarlo, si convinse a parlare. «Ero grande come te. C’eri anche tu. Stavamo combattendo e… e tu mi hai ucciso» la sua voce si spezzò sull’ultima parte della frase e ricominciò a singhiozzare. Gintoki chiuse gli occhi e sospirò. «Shinsuke, io...» iniziò tentando di fornire una spiegazione.
«Quando mi sono svegliato era buio e non sapevo dove mi trovassi. Poi ti ho visto e ho avuto paura e sono scappato» lo interruppe il bambino. La sua voce era poco più di un sussurro. «Gin-chan, perché faccio questi sogni?»
Gintoki si sentì quasi sollevato dal fatto che sembrava che Takasugi fosse scappato solo a causa della confusione del dormiveglia e che ritenesse quell’incubo solo l’ennesimo sogno inquietante. Non aveva abbastanza energie per discutere con un bambino di otto anni sconvolto e dovevano anche tornare alla Yorozuya. Quanta strada avevano fatto? Si alzò a fatica e cercò di stabilizzarsi quando si sentì barcollare. In qualche modo riuscì a non cadere e si girò verso Takasugi. «Andiamo a casa» disse senza riuscire a soffocare un colpo di tosse. Il bambino gli rivolse uno sguardo preoccupato e colpevole mentre si alzava a sua volta e Gintoki sorrise spettinandolo. All’improvviso il bambino si irrigidì. «Gin-chan!» urlò allarmato indicando un punto alle spalle dell’uomo dai capelli d’argento. La mano di Gintoki scattò in automatico al fianco per afferrare l’elsa del bokuto, ma afferrò il vuoto. Il samurai imprecò ricordando che aveva lasciato l’arma a terra poco distante da loro, ma non fece in tempo ad afferrarla: l’uomo alle sue spalle gli diede una botta in testa e tutto diventò nero.

 

Gintoki riaprì gli occhi in una stanza buia, la testa sembrava sul punto di scoppiargli. Quel colpo alle spalle non aveva decisamente giovato alla sua testa già dolorante. Sicuramente gli sarebbe venuto almeno un bernoccolo. Cercò di alzarsi in piedi, ma una volta seduto il mondo iniziò a girare, quindi rinunciò all’impresa per il momento. Magnifico, pensò mentre appoggiava la schiena a una parete e cercava di non andare nel panico notando che Takasugi non era nei paraggi. Ignorò la vocina nella sua testa che gli chiedeva se il mondo girasse per via della botta in testa o se la febbre era salita ancora e cercò di valutare la situazione. Un brivido lo scosse da capo a piedi. Sono ancora zuppo, quindi non dovrei essere rimasto privo di sensi per molto tempo. Si guardò intorno. Niente finestre, non posso capire dove sono. E hanno preso Lago Toya, quindi sono disarmato. Magnifico. ripeté tra sé e sé.
Aveva appena iniziato a rimuginare sul da farsi, che una porta dall’altra parte della stanza si aprì e una strana figura fece il suo ingresso. Gintoki era troppo intontito dal mal di testa e dalla febbre per riuscire a riconoscere la sagoma di qualcuno a quella distanza, al buio e con l’unica luce presente proveniente dal corridoio alle spalle del nuovo arrivato. Inoltre aveva una forma strana. Non sembrava un umano. O se è un umano mi dispiace molto per lui pensò sarcastico Gintoki.
L’estraneo iniziò a pungolarlo con qualcosa di legno. Lago Toya. «Cos’hai da ghignare, Shiroyasha?» gli chiese bruscamente la voce rauca del nuovo arrivato, adesso più vicino. Da quella distanza e da quella frase, Gintoki poteva già dedurre alcune cose. Per prima cosa, quel tizio era chiaramente non umano, ora che lo aveva messo a fuoco poteva vedere corna e zanne. Che gioia. Un amanto. In secondo luogo, lo aveva chiamato Shiroyasha, quindi doveva essere qualcuno legato alla guerra jōi o a uno dei suoi stupidi amici terroristi. Poteva anche essere una combinazione delle due, ma in quel caso era più probabile che fosse collegato a Takasugi, visto le sue alleanze passate. Terzo… a quanto pareva la sua faccia faceva cose senza il suo consenso. Non ricordava di aver ghignato.
«... quando abbiamo scoperto che era tornato sotto forma di poppante… davvero un’ottima occasione per fargliela pagare» sentì dire all’amanto, che rise particolarmente soddisfatto di sé. Ops, mi stava parlando? Avrà detto chi è? Beh da quel che ho capito c’è l’ha con Bakasugi. Non che sia una cosa sorprendente. Avrà detto come hanno scoperto che è tornato? Dannazione, dovrei davvero restare concentrato.
L’amanto rise di nuovo, attirando l’attenzione di Gintoki. Faceva davvero troppo baccano. «In che stato sei ridotto Shiroyasha. Da quel che so non è normale per voi umani essere così caldi. Vi basta questo per ridurvi così? Che specie patetica.»
Gintoki tossì e ghignò, consapevolmente questa volta. «Dici? Intanto non sono io quello che per riuscire a catturare dei nemici ha dovuto aspettare che uno fosse un bambino e un altro malato.» Aveva appena finito di parlare che si sentì sbattere contro la parete, l’amanto lo aveva sollevato afferrandolo per la gola e aveva ben pensato di dargli una scrollatina.
«Cosa c’è?» chiese l’alieno mentre Gintoki cercava di prendere fiato, la presa dell’amanto e il suo odore non aiutavano. Il muso di quel coso era troppo vicino. «Non fai più il furbo?» Gintoki gemette, un colpo di tosse gli scosse tutto il corpo. «Allora? Non vuoi provare a liberarti?» lo canzonò l’altro.
«Ok» biascicò il samurai con un sorriso appena accennato e sputò. Centrò in pieno la faccia dell’amanto che per la sorpresa mollò la presa sia sulla sua gola che su Lago Toya. Idiota. Gintoki si accasciò al suolo e raccolse le proprie energie per spazzargli le gambe. L’amanto finì a terra con un tonfo. Gintoki tossì un paio di volte, poi rise. «Argh che schifo. Scommetto che è giallo, vero?» lo canzonò, mentre si alzava massaggiandosi la gola e recuperava il suo bokuto. L’alieno ringhiò, si alzò di scatto e cercò di saltargli addosso. Gintoki lasciò che le proprie gambe cedessero e passò sotto alle braccia dell’alieno che si sbilanciò. Il samurai ne approfittò per sferrargli un colpo alla testa con tutte le sue forze. L’alieno cadde a terra e non si mosse più.
Gintoki sospirò e oscillò. Si appoggiò al muro per restare in piedi, mentre un accesso di tosse lo scuoteva da capo a piedi. Dopo aver ripreso fiato a sufficienza ed essersi assicurato di riuscire a reggersi in piedi senza un sostegno, Gintoki si diresse a passo spedito (o almeno a quello che gli sembrava essere un passo spedito) verso la porta ancora semiaperta. Se la richiuse alle spalle e iniziò a vagare nel corridoio. Niente guardie? Che razza di imbecilli sono questi? Bakasugi dovrebbe vergognarsi ad avere avversari del genere. Mentre vagava, sempre più nervoso, sentì delle voci provenire da una delle porte poco più avanti. Sembrava che ci fossero tre o quattro persone all’interno. Sentì il pianto di un bambino. Si abbatté con tutto il suo peso contro la porta e colpì alla cieca il primo avversario che gli si parò davanti. «Interrompo?» chiese quasi ringhiando. C’erano altri quattro amanto in quella stanza. Tre di loro schizzarono in piedi, sembrava che fino a qualche secondo prima fossero stati seduti ad osservare un qualche spettacolo, mentre uno stava premendo Takasugi contro il pavimento, un braccio torto dietro la schiena. Gintoki vide rosso e il suo corpo si mosse in automatico per attaccare gli alieni presenti. Con un movimento brusco quello che teneva bloccato il bambino, mise Takasugi a sedere e gli tirò la testa all’indietro, scoprendo la gola. Un attimo prima la mente di Gintoki stava registrando il coltello nelle mani dell’amanto, il secondo dopo il samurai stava lanciando Lago Toya verso l’amanto, colpendolo con violenza alla testa. Libero, Shinsuke si rintanò sotto un tavolo e si raggomitolò su se stesso, gli occhi sgranati fissi su Gintoki che in quel momento si trovava disarmato e circondato. Un sorriso demoniaco si dipinse sul volto del samurai. Al diavolo. Si lanciò verso uno dei suoi avversari che fece un passo indietro preso alla sprovvista. Gintoki lo colpì con un pugno in pieno volto e gli assestò una ginocchiata alla bocca dello stomaco. Gli altri due gli furono presto addosso e un pugno in pieno stomaco lo fece piegare in due. Boccheggiò, ma riuscì ad approfittare della posizione per afferrare uno dei pugnali alla cintola dell’avversario. Veramente che razza di idioti stava affrontando? Se avevano delle armi perché non le usavano? Piantò la lama del pugnale nella pancia di uno dei nemici, ruotò il polso e diede uno strattone verso l’alto, squarciando quell’imbecille fino allo sterno. Un movimento alla sua sinistra lo fece scartare di lato, ma non riuscì a evitare del tutto il colpo: la spada nemica gli aprì un taglio lungo il fianco. Ma allora si sono ricordati di avere delle spade. Complimenti. Si portò una mano al fianco e fece un paio di passi indietro, tossendo. Stava ansimando pesantemente e adesso perdeva anche sangue. Tsk. Tre avversari del genere dovrebbero essere già morti. Imbarazzante. Si buttò di lato e rotolò verso il suo bokuto lasciato incustodito. Riuscì a raggiungerlo e si rimise in piedi. Non attese che le vertigini passassero, sfruttando la botta di adrenalina causata da quello scontro, scattò in avanti e assestò un colpo su una tempia di uno dei due alieni. Quello ancora in piedi lo colpì alle spalle, squarciandogli la schiena, Gintoki incespicò, poi girò di scatto e colpì l’altro al fianco con tutta la forza che aveva in corpo. Il corpo dell’amanto aveva appena colpito il terreno che dalla porta spalancata entrarono un’altra decina di nemici. Allora c’erano delle guardie, riuscì solo a pensare Gintoki mentre barcollava e si appoggiava al tavolo sotto cui si era nascosto Takasugi, piegato in due da un accesso di tosse. Le gambe gli cedettero e si trovò in ginocchio. Rise tra sé e sé prima di ricominciare a tossire. «Questo potrebbe essere un problema» mormorò, mentre cercava di riprendere fiato.
«Gin-chan...» Takasugi si era avvicinato da sotto al tavolo e stava stringendo la maglia del suo pigiama. Gintoki fece una smorfia che voleva essere un sorriso e si rimise in piedi a fatica, impugnando il bokuto di fronte a sé. E andiamo, pensò soltanto mentre i nemici caricavano e lui si gettava nella mischia. Ci mise un paio di secondi per accorgersi che non stava davvero combattendo contro tutti gli amanto che si era aspettato di fronteggiare. Alcuni erano già morti e le forze si erano sparpagliate. Si guardò attorno confuso. Chi altro c’era? Un proiettile fischiò a pochi centimetri dalla sua faccia, andandosi a conficcare nella testa dell’amanto che aveva tramortito poco prima e che stava per attaccarlo alle spalle. Proiettili? «Tatsuma?» chiese perplesso, girandosi nella direzione da cui era provenuto lo sparo. Finalmente riuscì a vedere che erano stati raggiunti da Sakamoto e Katsura che stavano eliminando i nemici rimasti senza troppi problemi. «Certo che devi essere rintronato forte per non esserti accorto di noi, eh Kintoki?» gli rispose l’amico. Nonostante il nome sbagliato e il tono canzonatorio, lo sguardo del mercante era gelido mentre sparava un altro paio di colpi. Katsura poco distante aveva un’espressione ugualmente glaciale, mentre passava a fil di spada un nemico dopo l’altro, come se stesse scacciando delle mosche. Sbarazzarsi di tutti gli amanto presenti non fu difficile. Uno scalpiccio proveniente dal corridoio attirò l’attenzione dei tre. Gintoki si rimise in guardia, pronto a combattere ancora, ma i due amici scossero la testa. Il samurai aggrottò le sopracciglia, ma si rilassò quando vide spuntare Shinpachi e Kagura. I due ragazzi non poterono fare a meno di tirare un sospiro di sollievo quando lo videro. Gintoki accennò un sorriso, ma senza l’adrenalina dello scontro le sue gambe cedettero definitivamente e svenne.

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Capitolo 9
*** Riproviamo: le risse provocano sudorazione eccessiva e non sono riposanti ***


Quando i quattro rientrarono alla Yorozuya era ormai l’alba. Kagura andò ad avvertire Otose che avevano ritrovato Gintoki e Takasugi, mentre Shinpachi si diresse direttamente al piano di sopra per telefonare ad Otae, per aggiornarla, ed a Kondo, per far sapere alla Shinsengumi che avevano ritrovato i due amici scomparsi e comunicare la posizione degli amanto contro cui avevano combattuto, così che la base venisse smantellata. Sakamoto nel frattempo, che aveva trasportato Gintoki privo di sensi sulla schiena, lo sistemò sul futon e iniziò a spogliarlo, mentre Katsura si dirigeva verso il bagno con Takasugi.
Shinpachi aiutò il mercante, mentre Kagura lasciava dei vestiti puliti per Shinsuke fuori dalla porta del bagno e portava una bacinella con delle salviette e delle bende nella camera del samurai. Quando Katsura riemerse dal bagno con Takasugi, il bambino era pulito e sembrava aver smesso di tremare. A loro volta, Shinpachi e Sakamoto avevano finito di pulire e fasciare le ferite di Gintoki e stavano cercando di infilarlo in un pigiama pulito. Kagura sistemò una bacinella e alcune pezze di stoffa accanto al futon di Gintoki e lasciò che gli altri due gli sistemassero le coperte, mentre lei sistemava due futon puliti nella propria camera per i due ospiti e spostava il proprio nella camera del samurai.
Tutto venne fatto nel più completo silenzio, fino a quando Takasugi non iniziò a piangere appoggiato alla gamba di Katsura. Il ronin gli passò una mano tra i capelli e lo fece sedere su uno dei divani. Sakamoto sospirò e li raggiunse. I due ragazzi potevano sentirli parlare con il bambino, ma i loro toni erano troppo sommessi per riuscire a capire qualcosa. Kagura si girò nuovamente verso l’interno della stanza dell’uomo dai capelli d’argento. «Io resto con Gin-chan» disse rivolta a Shinpachi, come se questo non fosse stato ovvio dal trasloco del suo futon. Il ragazzo con gli occhiali annuì e si massaggiò la base del naso. «Tra un minuto ti raggiungo» le rispose e si diresse verso la cucina. Svuotò un sacchetto di biscotti dentro a una ciotola e mise a bollire un pentolino d’acqua. Qualche momento dopo si diresse in salotto e appoggio sul tavolo la ciotola di biscotti e tre tazze di tisana. Katsura ringraziò con un cenno della testa e i due uomini tornarono a concentrarsi sul bambino ancora singhiozzante. Si sentiva in colpa. La paura del sogno aveva lasciato il posto allo spavento causato dagli amanto e dal senso di colpa di aver fatto peggiorare le condizioni di Gintoki. Shinpachi tornò in cucina, riempì una brocca con dell’acqua, prese un bicchiere e appoggiò il tutto in camera di Gintoki, poi prese un futon pulito e si sdraiò a sua volta.

 

Nei giorni seguenti, Katsura, Sakamoto, Kagura e Shinpachi si alternarono in modo che ognuno di loro avesse un ruolo e non fossero sempre gli stessi a occuparsi di Gintoki e Takasugi. Il bambino in quei giorni fu stranamente tranquillo e silenzioso, le rassicurazioni da parte di Katsura e Sakamoto sul fatto che non sarebbe stato punito e che quanto successo non fosse colpa sua non avevano sortito grande effetto. Takasugi sembrava essersi trasformato in un perfetto soldatino: ordinato, silenzioso e obbediente. Dal canto suo Gintoki, nonostante le ferite stessero guarendo senza troppi problemi, continuava ad avere la febbre alta, a respirare in modo affannato e tossire. Alla fine, per provare a dargli un po’ di sollievo, avevano fatto in modo di metterlo parzialmente seduto, con la schiena appoggiata ad alcuni cuscini. In quei giorni, Gintoki era rimasto incosciente per la maggior parte del tempo e gli altri si erano dovuti assicurare che bevesse a sufficienza. Fu soltanto dopo tre giorni che il respiro del samurai si fece meno travagliato e la febbre iniziò a scendere. Kagura aveva appena cambiato una delle pezze sulla sua fronte e stava per alzarsi quando sentì una mano afferrargli un polso. La stretta voleva chiaramente fermarla, ma era troppo debole per riuscire effettivamente a trattenerla. La ragazza si girò verso il proprietario della mano che la stava fissando, gli occhi appena aperti e la bocca dischiusa come se volesse dirle qualcosa. Kagura sorrise e si avvicinò un po’. «Gin-chan, ti sei svegliato!»
L’uomo deglutì e si guardò attorno.
«Shinpachi si sta facendo una doccia e Katsura e Sakamoto sono usciti a fare la spesa con il miniterrorista» spiegò la giovane yato, indovinando la domanda inespressa del samurai. «Stiamo tutti bene. Tu hai una ferita su un fianco e una sulla schiena, ma sono state entrambe pulite e fasciate. Non dovrebbero darti problemi» disse Kagura facendo una pausa. Gintoki annuì, per confermare che non facevano male. «Però visto che sei un idiota che è corso fuori di notte in pigiama sotto un diluvio, l’influenza è peggiorata. Sai quanto ci siamo preoccupati quando non riuscivamo a trovarvi? Hai avuto una febbre da cavallo per tre giorni! Questa è la prima volta che sei cosciente in tre giorni» lo rimproverò la ragazza e rimase per un po’ a fissarlo contrariata. Finalmente Gintoki distolse lo sguardo e bofonchiò qualcosa che Kagura decise di ignorare, probabilmente quello stupido stava cercando di minimizzare anche in quel momento. La yato sbuffò. «Lascia perdere. Nessuno di noi si è fatto nulla, comunque. Anche il teppista non era ferito, solo molto spaventato...» Gintoki sembrò tranquillizzarsi sentendo quelle parole e Kagura sorrise. «Hai sete?» chiese porgendogli un bicchiere, l’uomo annuì e bevve avidamente, per poi tornare ad appoggiarsi ai cuscini con un sospiro. Kagura cercò di nuovo di alzarsi per cambiare l’acqua nella bacinella, ma la mano di Gintoki rimase salda attorno al suo polso. La yato lanciò un’occhiata a Gintoki, che aveva chiuso di nuovo gli occhi e per la prima volta da giorni sembrava finalmente rilassato, e scosse la testa sbuffando divertita. Lasciò perdere la bacinella e si sdraiò accanto al samurai, sistemando le coperte e appoggiandosi a sua volta con la schiena contro i cuscini. Per qualche secondo non accadde nulla, ma alla fine la ragazza sentì la testa di Gintoki appoggiarsi alla sua spalla e l’uomo sospirare leggermente, qualche minuto dopo si era riaddormentato.

Quando si svegliò, Gintoki rimase un attimo ad occhi chiusi. Non sentiva rumori provenire dal resto della casa e dalla strada. Aprì cautamente gli occhi e vide la luce del sole infiltrarsi dalla finestra. Era mattina quindi. L’insolita quiete doveva significare che era ancora presto. Ricordò di aver parlato con Kagura poco prima… o forse era qualche giorno prima? Gli aveva detto che era rimasto ferito durante lo scontro contro gli amanto e che aveva avuto la febbre alta per tre giorni… passò mentalmente in rassegna il proprio corpo. Poteva sentire qualcosa stringergli il busto, ma non era fastidioso. Probabilmente erano le bende. Non sentiva dolore però, quindi le sue ferite doveva star guarendo bene. Fece un respiro profondo e si rese conto che respirare finalmente non era più così complicato. Anche la sua testa sembrava aver smesso di cercare di esplodere. Tutto sommato si sentiva abbastanza bene. Si guardò attorno e si accorse del bambino che dormiva accanto a lui nel futon.
Giusto.
La sera prima Shinpachi, Kagura, Sakamoto, Katsura e Takasugi si erano radunati in camera sua. Shinpachi aveva detto che finalmente la febbre sembrava stare scendendo e che probabilmente sarebbe stato bene in un paio di giorni. Shinsuke a quel punto si era avvicinato con cautela, senza scollare gli occhi dal pavimento, e aveva iniziato a scusarsi con voce tremolante, finché Gintoki non lo aveva afferrato e fatto sedere accanto a sé nel futon. A quel punto il bambino gli si era abbarbicato addosso stile koala e aveva rifiutato di staccarsi, quindi alla fine si erano addormentati così.
In quel momento Shinpachi entrò nella stanza e vedendo Gintoki sveglio sorrise. «Buongiorno, Gin-san. Come ti senti?»
Il samurai sorrise a sua volta. «Bene direi, almeno non mi fa male niente e non sembra più che qualcuno stia usando un martello pneumatico nel mio cervello.»
Shinpachi annuì e gli posò una mano sulla fronte. «Anche la febbre sembra essere passata… vuoi provare ad alzarti? Ho fatto la colazione.»
Gintoki annuì, si alzò dal futon e si diresse in cucina con Takasugi ancora addormentato in braccio. Sia lui che Shinpachi furono palesemente sollevati dal fatto che nessuna di quelle azioni gli fosse costata particolare fatica. Shinpachi gli appoggiò un piatto davanti. «Ho fatto il solito… è meno abbondante del normale, ma non sapevo quanta fame avresti avuto. Se non è abbastanza, posso sempre fare qualcos’altro e lasciare a digiuno Kagura» si giustificò Shinpachi con un ghigno divertito.
Gintoki rise. «Grazie, Pattsuan» rispose prima di cominciare a mangiare. Una volta terminato, il ragazzo con gli occhiali sparecchiò e mise i piatti nel lavello. «Quanto ho dormito?» chiese improvvisamente Gintoki.
Shinpachi si girò e sembrò meditare per un momento. «Cinque giorni. I primi tre avevi la febbre molto alta e non eri cosciente, dopo ha iniziato a diminuire e hai avuto qualche momento di lucidità. Ti ricordi qualcosa?»
Gintoki annuì. «Ieri sera. E Kagura due giorni fa… mi ha sgridato, penso.»
Shinpachi rise. «Sì, me lo ha detto. E ha ragione, Gin-san. Non saresti dovuto uscire per conto tuo» lo rimproverò a sua volta il ragazzo con gli occhiali. Gintoki fece una smorfia e agitò una mano. «Ci vuole ben altro per uccidermi.»
«Allora la prossima volta che ti verrà l’influenza potremo lasciarti da solo» lo prese in giro Shinpachi, guadagnandosi uno sguardo tradito da parte del samurai, che fintamente offeso si alzò e se ne andò sul divano con Takasugi ancora in braccio.

 

Takasugi si svegliò con calma. Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che si era svegliato così riposato. Sbadigliò pigramente e si mosse leggermente nel dormiveglia, stropicciando la stoffa sotto di lui. C’era qualcosa di strano. La superficie sotto di lui sembrava muoversi in modo lento e ritmico. Che diavolo stava facendo il suo equipaggio? Avevano disimparato a pilotare? Erano nello spazio, non in alto mare! Sbatté le palpebre un paio di volte per abituarsi alla luce dell’ambiente in cui si trovava e ciò che vide lo confuse ancora di più. Non era sulla sua nave. Era… la spalliera di un divano quella?
Takasugi si bloccò di colpo.
Ora ricordava.
Era tornato in vita.
Era tornato in vita sotto forma di bambino.
Un fiume di ricordi imbarazzanti gli colmarono la mente, tutto ciò che aveva fatto in quegli ultimi mesi gli passò davanti agli occhi come in un film.
E a quanto pareva in quei mesi erano stati quegli impiastri dei suoi fr- dei suoi ami- dei suoi ex-compagni ad occuparsi di lui. I suoi ex-compagni e i due mocciosi adottati da Gintoki.
Gintoki… oh no.
Con la realizzazione di ciò che era successo nell’ultimo periodo, arrivò anche la comprensione della posizione in cui si trovava in quel momento.
Non era su una barca che ondeggiava.
Il suo sé di otto anni stava dormendo sul divano sopra a Gintoki!
Takasugi scattò a sedere e il movimento brusco svegliò Gintoki che si sedette a sua volta, guardandolo senza capire cosa stesse succedendo, ma ancora troppo addormentato per fare domande.
«Gintoki!» urlò Takasugi vedendo l’altro svegliarsi di soprassalto senza che lui avesse avuto modo di scendere dal divano. Gintoki sgranò gli occhi, il famigliare tono di voce lo aveva riportato alla realtà e gli aveva fatto capire di colpo che quello davanti a lui era un Takasugi in pieno possesso dei suoi ricordi e della sua personalità. In automatico, il samurai afferrò il bambino e lo lanciò sull’altro divano con un urlo traumatizzato.
Shinpachi rispuntò dalla cucina, allarmato. «Che succede?»
«Chi diavolo è che fa tutto questo baccano?» brontolò Kagura uscendo dalla sua stanza ancora in pigiama, sfregandosi gli occhi con una mano.
Gintoki si ricompose e alzò le spalle, indicando Takasugi che stava cercando di mettersi seduto dopo essere stato lanciato in malo modo. «È tornato.»
Shinpachi e Kagura rimasero un attimo perplessi, poi si voltarono verso il bambino e vedendo il suo sguardo contrariato finalmente capirono.
«Oh, bentornato, Takasugi-san» salutò il ragazzo con gli occhiali.
«Sì sì» sbadigliò Kagura. «Ciao, monocolo piscopatico. Non far esplodere nulla mentre sono in bagno» disse prima di scomparire di nuovo.
Nello stesso momento in cui la ragazza riemerse dal bagno, vestita e vagamente presentabile, Katsura e Sakamoto fecero la loro comparsa in salotto. Sakamoto, che non aveva idea di quanto fosse successo poco prima, si sedette sul divano accanto a Takasugi e allungò una mano per spettinarlo, mentre Katsura si sedeva accanto a Gintoki.
«Ehi, Tatsuma! Leva quella mano, se ci tieni a non perderla» abbaiò il bambino. Sakamoto ritirò di scatto il braccio, sgranando gli occhi. In un attimo però capì che Takasugi doveva aver recuperato i ricordi ed essere tornato se stesso, così scoppiò a ridere divertito.
«Appena tornato e sei già di buon umore, eh Bakasugi?»
Katsura si avvicinò all’improvviso e tirò una guancia del bambino, che lo fulminò all’istante. «Sì, è proprio tornato!» si girò di scatto verso Sakamoto «Così però non potremo fargli indossare quel costume!»
La voce di Gintoki attirò di nuovo la loro attenzione. «Chi lo dice?» chiese in modo sardonico e con un sorriso che non prometteva nulla di buono. «Dopotutto siamo tre contro uno. E lui è ancora in versione tascabile.»
«...non ci provate» li avvertì l’amico cercando di scappare. Troppo tardi, gli altri tre gli furono addosso e così pochi minuti dopo Takasugi si ritrovò infilato in una tutina a forma di coniglio. La foto andò ad arricchire la collezione di foto imbarazzanti degli ultimi otto mesi.
«Giuro che vi ammazzo» ringhiò Takasugi mentre gli altri tre continuavano a prenderlo in giro. Shinpachi e Kagura però avrebbero potuto giurare di aver visto il comandante del Kiheitai sorridere.

 

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Capitolo 10
*** Ci sono persone che meritano una seconda possibilità, altre che meritano una seconda sberla e altre ancora che meritano entrambe ***


Quel travestimento fu l’inizio della fine e diede il via a una serie di dispetti, scherzi e ripicche tra i quattro samurai. Per vendicarsi del travestimento, Takasugi svuotò la scorta di sakè dei tre amici nel water. Katsura, Sakamoto e Gintoki si vendicarono andandosene a bere in un bar senza di lui perché «tutti ti vedono ancora come un bambino. Sei troppo piccolo, non ti fanno entrare». Lui rese pan per focaccia seguendoli di nascosto e piantandosi davanti alla porta del locale, dove iniziò a scalciare e strillare, fingendo di mettersi a piangere e indicando i tre amici all’interno del bar. Inutile dire che i tre furono obbligati a fuggire sotto gli sguardi accusatori degli altri avventori.

Dal momento che Takasugi aveva recuperato i ricordi, il suo soggiorno in pianta stabile a casa di Gintoki giunse a termine. I quattro non si separarono del tutto, ma quando Sakamoto partiva per uno dei suoi viaggi, ogni tanto l’amico lo seguiva a bordo della Kairinmaru, per poi tornare con lui sulla Terra, dove restava da Gintoki o Katsura in base a chi fosse stato più fastidioso la volta precedente. Anche i contatti con il Kiheitai si fecero più assidui e, quando il suo corpo ebbe raggiunto di nuovo i quindici anni, Takasugi riprese il suo ruolo come comandante.

 

***

 

«Dobbiamo festeggiare!» urlò Sakamoto a pieni polmoni. Erano passati ormai più di tre anni da quando Takasugi era tornato in vita, questo significava che finalmente era riuscito a raggiungere l’età dei suoi vecchi amici.
«Ma per favore, è soltanto una scusa perché vuoi ubriacarti» lo schernì Takasugi nascondendo un sorriso divertito. Sapeva bene che in ogni caso i suoi… amici avrebbero comunque interpretato correttamente le sue parole.
Gintoki infatti rispose senza battere ciglio. «Oh giusto, perché tu infatti sei astemio, vero Tapposugi?» disse schivando un pugno dell’uomo dai capelli viola. «Vuol dire che tu non berrai nemmeno un goccio. Resterai fermo a guardarci e bere acqua fino a quando non ti saranno cresciute le rane nella pancia.»
I due iniziarono a picchiarsi, mentre Sakamoto rideva in modo sguaiato e Katsura li ignorava per rubare la pipa di Takasugi. «Ehi!» lo redarguì il samurai.
«Chi trova tiene, chi perde piange» rispose il ronin dai capelli lunghi, sollevando un braccio per allontanare la pipa dalla portata dell’amico. «E poi chi te l’ha ricomprata? Non essere egoista.»
 

I quattro amici continuarono a ridere ed azzuffarsi fino a quando non arrivarono alle terme. L’acqua calda e l’atmosfera rilassante ebbero la meglio e anche loro finalmente si acquietarono. Se qualcuno li avesse visti da fuori sarebbero sembrati semplicemente quattro giovani amici che facevano il bagno, scherzavano e si aggiornavano dopo non essersi visti per mesi. Un occhio più attento però si sarebbe accorto di aver già visto da qualche parte i loro volti, anche se forse non si sarebbe ricordato dei telegiornali che parlavano di famigerati terroristi, colpi di stato e coraggiosi eroi che avevano salvato la Terra. Un occhio più attento avrebbe forse notato come i volti e i corpi dei quattro uomini, sebbene ancora giovani, portasseri i segni di numerose battaglie. Nessun occhio però era più attento degli occhi di Kabuki-chō, occhi che vedevano e sapevano tutto e che avevano deciso di lasciare finalmente un po’ di pace a quei quattro che in fondo, dopo tutte le battaglie combattute, dopo tutto ciò che avevano perso e ciò che erano riusciti a salvare, meritavano di essere soltanto dei ragazzi di poco più di trent’anni. Anche se solo per qualche ora.

«Ehi Bakasugi» disse a un certo punto Gintoki. «Adesso hai un corpo nuovo, sei liscio come il culetto di un bambino.»
Gli altri due risero. «Gintoki, non essere così tagliente» lo rimproverò Katsura. «La sua pelle così delicata potrebbe ferirsi.»
«Voi invece pensate di aver bisogno di qualche cicatrice in più?» li minacciò Takasugi, guardandoli in cagnesco.
«Andiamo, andiamo, Shinsuke! Non prendertela» rise Sakamoto mettendogli un braccio attorno alle spalle «se aggrotti le sopracciglia a quel modo finirai per farti venire le rughe!»
Takasugi gli falciò le gambe con una delle sue e lo fece finire sott’acqua. «Morite» rispose mentre gli altri tre sghignazzavano.
«Sei troppo liscio» continuò Gintoki, «così non va. E poi c’è qualcosa di strano» disse avvicinandosi, con una mano ad accarezzarsi il mento.
«Dici?» chiesero gli altri due avvicinandosi a loro volta. Takasugi li squadrò sospettoso.
«Sì sì, non vedete?» disse Gintoki indicando la sua faccia. «C’è un errore di fabbrica, questo qui ha due occhi!» Senza lasciare all’altro il tempo di reagire, il samurai dai capelli d’argento gli saltò addosso. «Zura! Passami la katana!»
La lotta che seguì servì se non altro a stancare i quattro samurai, se buona parte dell’acqua nella vasca finì sul pavimento, nessuno ebbe nulla da ridire.


Dopo le terme, i quattro amici fecero il giro delle strade di Kabuki-chō. Quando tornarono tutti e quattro alla Yorozuya erano completamente ubriachi. Strisciarono sotto al kotatsu, uno per ogni lato, e si addormentarono così. Shinpachi e Kagura li trovarono ancora in quella posizione il mattino dopo.

Quando Takasugi si svegliò, gli altri tre idioti erano ancora addormentati sotto al kotatsu. O forse avrebbe dovuto dire che erano ancora in coma. Osservandoli, Takasugi realizzò che era davvero passato molto tempo dall’ultima volta che era stato loro permesso di stare così. Senza nessun tipo di preoccupazione al mondo o la minaccia di una morte violenta e imminente. Si alzò e si diresse verso il bagno, al suo ritorno notò la busta di foto incriminanti sul tavolo del salotto e per qualche masochistico motivo la afferrò. Si sedette su uno dei divani e si mise a sfogliare le fotografie una per una. Ricordava ciò che era accaduto nei momenti poco prima e poco dopo quelle foto, questo rese l’esperienza ancora più imbarazzante, ma non poteva fare a meno di continuare a guardarle. Non poteva negare che quegli idioti dei suoi amici si fossero impegnati, sembrava anche che si fossero divertiti… Takasugi sbuffò divertito quando vide una fotografia che ritraeva se stesso all’età di quattro anni, intento a pasticciare la faccia di Gintoki, che aveva fatto l’errore di addormentarsi sul divano lasciando “non supervisionato” un Takasugi in possesso di vari pennarelli. Sakamoto e Katsura, invece che fermarlo sembravano stare dando istruzioni su come migliorare la sua opera d’arte. Scorrendo una foto dopo l’altra, Takasugi si ritrovò a pensare che in fondo quei mesi non erano stati così terribili, era stato divertente. Deglutì. Lui si era sentito... felice.
Sentendo dei passi in avvicinamento, rimise via le fotografie e appoggiò la busta sul tavolo, se Shinpachi notò qualcosa non disse nulla. «Buongiorno, Takasugi-san. Gli altri stanno ancora dormendo?»
L’uomo annuì e studiò in silenzio il ragazzo con gli occhiali, che gli rivolse uno sguardo interrogativo. Il silenzio venne interrotto da Kagura che stava rientrando dopo aver passato la notte fuori con Soyo. «Shinpachiiii, ho fame!»
Il ragazzo le rivolse un’occhiata esasperata. «Buongiorno anche a te, Kagura-chan.»
«Ho fame» rispose la giovane yato attaccandosi a un braccio di Shinpachi.
«Non c’era cibo a casa della principessa?» le chiese l’amico, scettico. «E se hai fame, puoi farti da mangiare da sola, sai dov’è la cucina» la prese in giro.
Kagura sbuffò. «A loro non dici di farsi da mangiare da soli» brontolò indicando Takasugi, Sakamoto e Katsura.
«Loro sono ospiti, Kagura-chan.»
«Ma quali ospiti! Questo qui» disse indicando Takasugi con particolare veemenza, tanto che il samurai sollevò un sopracciglio «ha vissuto in questa casa per mesi e anche gli altri due erano praticamente sempre qui! Sono anni ormai che ce li troviamo in casa a intervalli regolari.»
Il battibecco andò avanti per un po’, mentre Takasugi li osservava in silenzio. Nonostante la giovane età e tutti i rischi che questo comportava, quei due ragazzi erano rimasti al fianco di Gintoki per anni e lo avevano aspettato durante i due anni in cui era scomparso. Al suo ritorno erano tornati a combattere e lavorare insieme a lui come nulla fosse, non avevano sollevato dubbi nemmeno su Shōyō. E dire che quell’idiota non aveva voluto dire loro niente…
«Perché avete accettato la richiesta di Gintoki?» chiese a bruciapelo.
Kagura e Shinpachi si girarono a guardarlo confusi. «Che richiesta?» chiesero all’unisono. Takasugi inclinò la testa verso la busta di foto appoggiata sul tavolo.
«Non avremmo dovuto?» il ragazzo con gli occhiali sembrava sempre più perplesso e la ragazza dai capelli rossi lo stava fissando come se gli fosse spuntata un’altra testa.
«Posso capire quei tre idioti in coma laggiù» spiegò l’uomo dai capelli viola «ma voi non avevate le loro stesse motivazioni. Siamo stati nemici per la maggior parte del tempo.»
«È vero» concesse Shinpachi. «Ma dopo Iga, Gin-san sembrava aver cambiato idea. Su Rakuyo abbiamo combattuto insieme. E anche contro il Tendōshū e Utsuro» Takasugi vide passare un’espressione strana sul viso del ragazzo, ma scomparve troppo rapidamente per poterle dare un nome. Poi capì. «Vi ha raccontato cos’è successo alla fine della guerra.»
«Qualcosa» si affrettò a rispondere l'altro. «Non sappiamo tutto ciò che è successo, ma sappiamo che vi conoscevate fin da piccoli, che avete combattuto insieme e… sappiamo cos’è successo a Shōyō-sensei. Capiamo che il rapporto tra voi quattro è più complicato di quello che potrebbe sembrare. Se siete riusciti a superare ciò che è accaduto, non possiamo intrometterci» fece una pausa e lanciò un’occhiata alla yato. «La verità è che a noi non importa di difendere il pianeta. Non abbiamo partecipato alla guerra contro l’Esercito di Liberazione e poi contro il Tendōshū per salvare il mondo. Volevamo solo restare al fianco di Gin-san. Quindi anche ciò che hai fatto tu… se Gin-san ha deciso che non ha più importanza, allora va bene così» concluse il ragazzo sorridendo.
«E poi Gin-chan ha fatto la stessa cosa per noi» aggiunse Kagura, sedendosi di fronte a lui sull’altro divano. «Ha cercato di salvare una persona importante per Shinpachi, nonostante questa stesse cercando di far saltare in aria il pianeta. E beh… conosci già quell’idiota di mio fratello Kamui. Gin-chan sapeva che volevo fermarlo, ma non ucciderlo e mi ha aiutata a farlo, nonostante quell’idiota abbia attaccato e ferito anche lui. Ciò che è stato, è stato. È inutile pensarci ancora.»
«Molto saggio da parte tua, Kagura-chan» commentò Shinpachi.
La yato gli rivolse un’occhiataccia. «Che vorresti dire?»
E così ripresero a punzecchiarsi e bisticciare finché anche gli altri non si furono svegliati. Takasugi dovette ammettere che adesso sapeva come dovevano sentirsi gli altri quando lui e Gintoki si mettevano a litigare.

Takasugi era seduto sul balcone della Yorozuya a fumare. Per una volta Kabuki-chō era stranamente silenziosa. Sentì dei passi alle proprie spalle e non ebbe bisogno di girarsi per sapere che Gintoki lo aveva raggiunto.
«Quei mocciosi che ti porti dietro non sono così pessimi in fondo» disse senza una vera motivazione. Sentì l’amico sbuffare divertito e appoggiarsi alla ringhiera accanto a lui.
«Hai appena detto qualcosa di carino su Shinpachi e Kagura? Stai forse morendo di nuovo?» lo prese in giro il samurai dai capelli d’argento. L’altro lo fulminò con lo sguardo e gli sferrò un calcio che Gintoki evitò. Rimasero in silenzio per qualche secondo, potevano sentire la presenza di Katsura e Sakamoto alle loro spalle. A quanto pare li avevano raggiunti.
«Ho visto il sensei» disse all’improvviso Takasugi. Katsura fece un passo avanti.
«Cosa intendi dire?»
«Mentre ero morto» rispose. «Nell’altana ho visto il sensei. Non volevo tornare, ma ha detto che mi doveva una seconda possibilità, qualsiasi assurdità questo significhi. Come se le mie decisioni fossero state una sua responsabilità» fece una pausa. «Ho provato a convincerlo a farmi restare, ma ha detto che voi eravate ancora qui e che quindi dovevo tornare. Ricordo che a mano a mano che parlava diventavo sempre più piccolo» mormorò quasi sovrappensiero. Gli altri non osavano emettere un suono. «Mi sono ricordato. Mi ha detto di dirvi che ora è in pace, non soffre più. È felice di averci rivisti almeno una volta come se stesso e non come Utsuro. Ed è orgoglioso di ciò che siamo riusciti a diventare. E ti ringrazia, Tatsuma, per averci tenuto d'occhio al posto suo.»
Durante tutto il discorso, Takasugi aveva tenuto lo sguardo piantato davanti a sé. Non era sicuro che sarebbe riuscito a terminare se avesse visto l’espressione sui volti dei suoi amici. Gli altri tre rimasero in silenzio, nemmeno Sakamoto osava interrompere il momento di contemplazione dei suoi tre compagni. Erano finalmente riusciti ad ottenere ciò che avevano rincorso fin da quando combattevano insieme nell’esercito. Dal canto suo, era semplicemente felice che i suoi amici fossero finalmente riusciti ad ottenere un po’ di pace e a ritrovarsi.
Fu Takasugi a rompere il silenzio. «A proposito di Tatsuma... non avevi detto di averci portato un nuovo liquore da provare?»
Il mercante rise in modo sguaiato. «Esatto, esatto! Seguitemi! Nemmeno io l’ho ancora assaggiato, sarà una nuova esperienza...» continuò a blaterare rientrando in casa, seguito dagli altri tre. Takasugi diede un’ultima occhiata a Kabuki-chō, prima di chiudersi la porta alle spalle. Ormai aveva da tempo ripreso il proprio ruolo a capo del Kiheitai, ma adesso aveva un posto dove tornare ogni tanto, quella città non era così male in fondo… il fatto che ci vivessero due dei suoi ami- al diavolo, due dei suoi tre fratelli non aveva niente a che fare con le sue visite. Così come non era affatto felice di rivederli a intervalli regolari e faceva in modo di esternare tutto il suo disappunto quando dovevano mettersi d'accordo per decidere un giorno in cui incontrarsi. Ovviamente alla fine partecipava sempre, ma questo era solo per evitare che Tatsuma gli sfondasse di nuovo la fiancata della nave. Allo stesso modo gli altri tre sapevano che quello era un cumulo di idiozie e che Takasugi era felice quanto loro di aver recuperato un rapporto che pensavano perduto per sempre.
«Grazie» si lasciò sfuggire poco più tardi, dopo il terzo giro di uno strano liquore alieno. Nessuno degli altri tre chiese se si stesse riferendo all’alcol, al fatto di essere stato perdonato così facilmente dai suoi fratelli, all’essersi occupati di lui quando non poteva cavarsela da solo o a tutte quelle cose allo stesso momento. Dopotutto non era necessario e non aveva nessuna importanza, erano di nuovo tutti insieme.

 

***


«Da dove arriva tutta questa gente?» chiese perplesso il samurai dai capelli d’argento vedendo le persone accalcate fuori dal bar di Otose. Shinpachi e Kagura sorrisero, ma non dissero nulla. Gintoki fu ancora più confuso nel vedere che il capannello di persone all’esterno del locale sembrava contrariato. Riconobbe anche qualche cliente abituale della vecchia Otose.
«Vi ho detto di levarvi dai piedi» sentì ordinare la donna in modo brusco. «Vi ho detto che oggi siamo chiusi. Cosa c’è? Forse questo è l’unico bar di tutta Kabuki-chō? Via, sparite!»
Dopo qualche altra lamentela la folla si disperse, minacciando di non tornare più dopo quel trattamento. Tutti sapevano che erano minacce a vuoto. Sarebbero stati di nuovo tutti lì il giorno dopo alla stessa ora.
«Rompiscatole» commentò Otose guardandoli andare via. «Forza, voi tre» li apostrofò poi. «Entrate.»
Una volta all’interno, Gintoki non poté fare a meno di sgranare gli occhi. Erano tutti lì. Per qualche motivo, quella strana accozzaglia di disagio vario che erano i suoi amici, le persone con cui aveva stretto bizzarri legami negli anni in cui aveva vissuto a Kabuki-chō, erano tutti dentro al bar di Otose che lo fissavano sorridendo. Li guardò perplesso. Fu allora che una voce lo riportò alla realtà con il suo solito tono tagliente. «Ve l’avevo detto che quell’idiota si era completamente dimenticato di che giorno fosse» lo punzecchiò Takasugi da un tavolo verso il fondo della sala, dove sedeva con Katsura, che stava scuotendo la testa esasperato, e Sakamoto, che aveva iniziato a ridere per l’espressione confusa di Gintoki.
«È il 10 ottobre, Gin-san» spiegò Shinpachi cercando di non mettersi a ridere. Gintoki sollevò un sopracciglio. Sapeva che giorno fosse, cosa c’entrava il 10- oh. I presenti scoppiarono a ridere, vedendo che finalmente Gintoki sembrava aver capito. Tama arrivò in suo aiuto con un semplice «Buon compleanno, Gintoki-sama.»
Gintoki sorrise incerto, ma non ebbe il tempo di processare ciò che stava accadendo perché a quanto pare gli altri avevano interpretato l’augurio di Tama come il segnale per dare inizio alla festa. Presto si ritrovò circondato da gente che lo tirava in tutte le direzioni per offrirgli da bere e fargli gli auguri. A metà serata Gintoki era già abbastanza ubriaco ed era strisciato verso il tavolo dei suoi vecchi amici, da lì poteva vedere tranquillamente tutta la sala. Nonostante i fumi dell’alcol, era ancora abbastanza stupito che si fossero presentate tutte quelle persone. Lasciò scorrere lo sguardo su tutti i presenti e non poté fare a meno di sorridere vedendo i suoi tre fratelli seduti al tavolo con lui, intenti a discutere di non sapeva nemmeno lui cosa. Sollevò lo sguardo e, vedendo che Shinpachi e Kagura lo stavano osservando, il suo sorriso si allargò.
I suoi amici erano lì. Era riuscito a ritrovare la sua piccola vecchia famiglia e a conservare quella nuova. L'idea che non avrebbe dovuto rinunciare a nessuno gli sembrava ancora irreale e non riusciva a capire cosa avesse fatto per meritare una seconda occasione simile. Vide per un attimo un’espressione stupita comparire sui volti di Kagura e Shinpachi e si accorse di avere gli occhi lucidi. Oh. Beh magari avrebbe potuto dare la colpa all'alcool. O forse no. I due ragazzi sembrarono capire e sorrisero di nuovo, avvicinandosi.
«Buon compleanno, Gin-chan» si limitò a dire Kagura, mentre gli si sedeva in braccio e gli metteva le braccia attorno al collo.
«Buon compleanno» ripeté Shinpachi abbracciandolo a sua volta.
Sì, quello era decisamente un buon compleanno.

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