Declius l'impavido

di FreddyOllow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Prologo ***
Capitolo 2: *** II. Capitolo ***
Capitolo 3: *** III. Capitolo ***
Capitolo 4: *** IV. Capitolo ***
Capitolo 5: *** V. Capitolo ***
Capitolo 6: *** VI. Capitolo ***
Capitolo 7: *** VII. Capitolo ***
Capitolo 8: *** VIII. Capitolo ***
Capitolo 9: *** IX. Capitolo ***
Capitolo 10: *** X. Epilogo ***



Capitolo 1
*** I. Prologo ***


I



Declius era diretto a Ronterath per vendere le armi che aveva raccattato dai banditi morti. Non sapeva chi li avesse uccisi, ma chiunque fosse stato, aveva ripulito da solo l'intero covo. Più che covo, era un singola torre circolare mezza distrutta dallo scorrere del tempo. Solo una facciata si manteneva solida e fiera.
Ne sapeva poco di torri. Anzi, non sapeva nemmeno che era una torre finché non si era avvicinato. Aveva trovato una dozzina di corpi tutt'attorno. Gli era sembrato l'opera di una banda rivale, ma si era ricreduto quando aveva visto allontanarsi una donna in una strana armatura. Non sapeva se fosse effettivamente una donna, ma i lunghi capelli corvino che le cadevano sotto l'elmo e la cadenza femminile lo portarono a pensare ciò. Declius, pero, non sapeva che quella armatura era forgiata in farenea, un metallo simile all'acciaio. Pochi potevano vantarsi di indossarla, in quanto era assai pesante e rara e offriva un'ottima protezione al possessore, soprattutto contro le magie.
Lì per lì non aveva associato la donna al brutale massacro, finché non le aveva visto un martello da guerra farenea legato dietro la spalla. Ovviamente non sapeva che era un'arma dell'OltreTerra. Non ne aveva mai veduta una, come non aveva mai veduto il mondo oltre Numdas, il suo villaggio natio. Più che una città, è un cimitero vivente, diceva. A volte non distingueva i vivi dai morti e reputava il sacerdote di Jantis il più vivo della città.
Si era diretto a Ronterath, spinto da suo fratello maggiore che lo definiva un codardo e ora si era messo in testa che poteva arrivare e tornare dalla città in giornata senza un graffio. Non aveva tenuto conto che poteva essere rapito dai necromanti, divorato da un orso, da un troll di montagna o semplicemente sparire nel nulla come se non fosse mai esistito. Ma non gli importava. Voleva solo dimostrare al fratello di farcela. Così era partito.

Mentre il sole brillava nel cielo di un azzurro accecante, gli parve di sentire qualcosa oltre la strada tortuosa che curvava un poco a destra, fiancheggiata da una fitta boscaglia. Corse verso il rumore, finché si vide dinanzi una scena assai strana. Per lo meno per Declius, cresciuto tra beli e testate dalle capre, sue amiche da sempre. L'unico conflitto a cui aveva assistito e partecipato, ma soprattutto perso.
Tre vampiri coi volti ammantati stavano aggredendo tre custodi di Jantis. Vide un vampiro alzare una mano da cui si sprigionò un bagliore nerastro, che risucchiò a poco a poco l'essenza vitale di un custode. Poi un altro custode gli arrivò alle spalle e gli spaccò la testa con la mazza d'acciaio.
Declius non sapeva cosa fare, a parte prendere un'ascia di ferro dalla borsa che aveva a tracollo. Voleva lanciarsi nella caotica battaglia, aiutare i custodi di Jantis, ma le gambe non avevano intenzioni di muoversi. O forse era lui a non volersi muovere?
E mentre cercava di trovare la forza per fare un passo, una vampira si staccò dalla battaglia e gli andò incontro. Declius le guardò il viso ombrato dal cappuccio in cui scorse un sorriso inquietante e uno sguardo famelico, maligno, coll'iride rosso fuoco che le pulsava intermittente.
La vampira lo afferrò e, quando fece per affondarli i denti nel collo, Declius sollevò l'ascia in preda al panico e la colpì in fronte. La vampira indietreggiò per un attimo, poi crollò a terra col cappuccio che le scese dal capo. Il viso le iniziò a fumare a contatto col sole. Declius non si era minimamente accorto di averla colpita a morte, poiché aveva gli occhi chiusi e non aveva intenzione di aprirli. Continuò a fendere l'aria con l'ascia, finché una mano gli bloccò il polso.
"Lasciatemi andare!" gridò Declius, terrorizzato. "Non voglio diventare un vampiro. Non voglio!"
"Calmati" disse una voce maschile. "Sei al sicuro, ora."
Declius aprì un occhio, timoroso di scoprire chi aveva davanti. Quando comprese che erano i tre custodi di Jantis, si rilassò. "Scusate. Io... io volevo aiutare, ma..."
"Ci hai assistiti in questa cruenta battaglia" rispose il più anziano dei tre. Un uomo dalla barba grigia, calvo, col labbro leporino. Indossava una lunga e semplice tunica grigia legata alla vita da una cordicella. "La misericordia di Jantis guida i tuoi passi. Lo leggo nei tuoi occhi."
Gli altri due custodi concordarono.
Declius si grattò la nuca, perplesso. "Jantis?"
"Jantis è il Dio della misericordia, della semplicità" disse l'anziano. "Egli ci comprende, ci ascolta e prova pietà per le nostre sofferenze mortali."
Declius era più confuso di prima. "Quindi Jantis non è Gianus? Anzi, no, voglio dire, Giarno?"
I tre custodi si guardarono, interdetti. Persino un ottuso gigante si sarebbe grattato la testa. Come poteva un uomo confondere i nomi degli Dèi. Ognuno di essi era legato a un diverso pantheon, ma per Declius erano tutti uguali. Anzi, credeva che tutti gli Dèi fossero un'unica entità.
L'anziano gli posò una mano sulla spalla. "Ragazzo, Janis ha fatto incrociare le nostre strade e altre persone incroceranno il tuo cammino. Lo leggo nel tuo sguardo. Egli nutre grande aspettative in te."
"E da cosa? Io non sento niente. Ah, forse è la cappa che ho in testa che non mi fa udire nulla. Ora me la tolgo, magari riesco a sentire anch'io."
L'anziano scosse la testa, paziente. "Vieni a trovarci nella Dimora dei Custodi. Sarai il benvenuto. Abbiamo bisogno di uomini semplici e valorosi come te."
"Io non sono un valoroso, ma ho una borsa piena di armi valorose, voglio dire, di valore."
Il custode più giovane non capiva se Declius fosse idiota o lo faceva apposta. "Ti aspettiamo. Che Jantis guidi i tuoi passi e ti conduca su strade sicure."
"Sì, grazie. Anche voi state attenti a dove mettete i piedi. È facile finire dentro un buco scavato dai ratti giganti."
Ma i tre custodi si erano ormai incamminati e sentirono la metà delle parole dette da Declius, un overliano che avrebbe fatto imbarazzare persino la sua stessa razza, da sempre bella e superba. Voltandosi, incrociò lo sguardo fumante della vampira distesa a terra, nella cui faccia s'incominciavano a intravedere le ossa e si rese conto di aver ucciso una vampira. Non aveva mai ucciso nessuno fino ad ora. La fissò per un lungo momento, mentre la carne continuava a bruciarle. Come ci sono riuscito? Non ricordo di averla colpita. Ricordo solo quello... quello sguardo malefico.
Alla fine arrivò alla conclusione che l'istinto di conservazione avesse avuto la meglio e lo avesse salvato. L'improvviso attacco di panico, la perdità di controllo sulla mano. Qualunque cosa avesse fatto, era stata una reazione puramente istintiva, o almeno credeva così.
Ho aiutato i custodi di Jantis a difendersi dai vampiri. Forse non li ho proprio aiutati, ma che importa. Non voglio fare la figura del caprone idiota. Comunque se voglio entrare nei Custodi di Jantis, devo dirigermi alla Sala dei Custodi. O forse era la Dimora dei Custodi? Ma chi se ne frega. Cosa cambia, in fondo? Oppure cambia? E poi dov'è?




NOTA: Grazie per aver letto! La storia prosegue nel secondo capitolo.

 

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Capitolo 2
*** II. Capitolo ***


II



Ronterath si ergeva su un'alta e brulla collina, cinta da imponenti mura di pietra. Declius rimase stupito nel vedere che c'erano cumuli di macerie tutt'attorno alle mura, soprattutto vicino alla strada acciottolata che conduceva alla città. Perché non li hanno tolti? Perché lasciarli qui?
Mentre proseguiva lungo la strada, rimase scioccato alla vista di un gigante che lottava contro un uomo e una donna in un campo di cavoli. L'uomo e la donna sapevano il fatto loro, poiché bastò qualche fendente per eliminare il gigante. Ma in realtà, Declius si era sbagliato nel crederlo morto.
Il gigante tirò una manata all'uomo, che volò diversi piedi da terra. La donna tese la corda dell'arco e scagliò una freccia d'acciaio verso l'occhio della creatura, che si protesse il volto con l'avambraccio. La punta si conficcò appena nella dura e spessa pelle e lo fece infuriare di più. Mentre la donna inserì un'altra freccia nella cocca, il gigante sollevò l'enorme mazza spigolata, che un tempo doveva essere un tronco d'albero, e le sferrò un potente colpo dall'alto. La donna si scansò in tempo e la mazza picchiò il suolo, facendolo tremare e sollevare una nube di polvere. Gli occhi della donna ne furono accecati e il gigante cercò di schiacciarla sotto l'enorme piedone, ma la donna scartò a lato.
Una figura comparve alle spalle del gigante e gli schiantò il martello di guerra sul cranio. La creatura cadde dapprima sulle ginocchia, poi su un lato.
Declius stropicciò gli occhi, sorpreso. Era la stessa donna che aveva visto alla torre diroccata. La guardò pulire la testa del martello insanguinato sugli indumenti del gigante.
"Grazie, straniera" disse la donna con l'arco.
La donna in armatura Farenea annuì e si allontanò, ma la donna con l'arco le andò dietro, seguita dall'uomo. "Mi chiamo Almesia freccia piumata. Faccio parte dei Guerrieri di Marvus, un antico culto guerriero. Tu potresti apportare..."
Declius non riuscì a sentire oltre, anche perché stava ancora pensando a come diamine aveva fatto quella donna a uccidere un gigante con un singolo colpo.
Dopo che l'uomo e la donna sparirono dietro un rialzo roccioso insieme alla donna in armatura farenea, Declius diede un'occhiata al viso del gigante. È tale e uguale a una persona.
Alto sei piedi, una folta barba grigia abbigliata con diversi nodi di varie lunghezze e uno sparuto ciuffo di capelli in testa. Orecchie a sventola, zigomi pronunciati e occhi neri, incavati. Indossava un pantalone di lana a quadri rosso e verde, una collana di ossa umane e una pelliccia di montone korn sulle spalle che lasciava nudo l'ampio petto.
Declius non aveva mai visto una creatura del genere prima d'ora. Rimase a fissarlo per un lungo momento, affascinato, finché una macabra idea gli balenò nella mente. Estrasse un coltello di ferro dal borsone, gettò un'occhiata intorno per essere sicuro che nessuno vedesse e mozzò un orecchio al gigante, mettendoselo in tasca. Poi si allontanò in tutta fretta con la faccia di uno che aveva appena combinato qualcosa di losco. Per lo meno a una guardia gli sarebbe sembrato così.

Arrivò davanti al primo cancello di Ronterath e guardò giù il piccolo fossato sotto il ponte levatoio. Perché c'è un cancello e un fossato se è possibile superarlo a destra? Proprio non lo capisco.
Non pensò nemmeno per un attimo che poteva essere un vecchio residuo di ciò che rimaneva della prima cinta muraria innalzata tre secoli prima, ora a pezzi e parzialmente crollata.
Passato il ponte levatoio, continuò a salire lungo la collina finché arrivò alla porta maestra. Qui venne fermato da una guardia, che controllava chi entrava.
"Cos'hai in quella borsa?" chiese la guardia, insospettita. "Aprila."
"Armi" rispose Declius, mostrandogli la borsa aperta.
"Bene, solo armi." Lo scrutò. "Non mi sembri un avventuriero."
"Le ho trovate."
"Dove?"
"Appartenevano ad alcuni banditi morti."
La guardia sbuffò, sprezzante. "Un altro sciacallo. Dai, entra."

Per l'ennesima volta in quella giornata, Declius rimase stupito dalle case in legno di Ronterath, ampie, coi tetti appunta, per niente simili alle catapecchie del suo villaggio. Le strade erano larghe, lastricate e pulite. C'era un via vai frenetico che lo confuse non poco, bambini che si rincorrevano, persone che gridavano, guardie che lo fissavano, torvo. Poi avvistò alcune donne affascinanti e sensuali. In verità non aveva mai visto una donna indossare abiti raffinati o di broccato. Dalle sue parti erano tutte sporche di terra, rozze, isteriche e più morte che vive. Ma non sapeva che queste donne erano inavvicinabili per un povero taglialegna, vestito per lo più di stracci rattoppati più volte. Quando fece per parlare a un gruppo di donne, quelle gridarono disgustate. "Allontanati! Puzzi come un troll di montagna! Vattene!"
Ma Declius prese le parole come un atto di sfida. "Siete un raggio di sole in una giornata..." Un pugno lo fece rovinare a terra.
"Avvicinati di nuovo," disse un uomo in armatura di ferro, che era la guardia del corpo di una delle donne, "e giuro su Giarno che ti taglio le palle e te la faccio ingoiare!"
Nel vedere il sole scintillare sulla spada d'acciaio dell'uomo, Declius scattò in piedi e sparì rapidamente tra la folla. Si rifugiò sotto la grande quercia secolare della città e ne rimase incantato. Fissò le foglie verdi smosse dal vento e le grosse e nodose radici dell'albero spuntare fuori dal terreno. Poi gli parve di sentire un predicatore oltre il canaletto d'acqua che tagliava ai lati in un cerchio la piccola piazzetta su cui si trovava. Ben oltre, scorse una maestosa abitazione simile a un fortino di legno circondata da un basso muretto di pietra. Quella visione lo intimorì un poco. C'era qualcosa di antico e potente in quella struttura. Non sapeva dirsi cosa, ma lo percepiva.
Il predicatore stava facendo un sermone su Gianus, ma non durò a lungo, poiché venne cacciato da due guardie. Più che cacciato, sembrava che lo avessero avvertito di un pericolo imminente, visto il modo in cui il predicatore si guardò intorno con fare sospetto e svanì in una casa di legno lì vicino.
Declius scese una ripida scalinata in pietra che dava nel distretto del mercato gremito di gente. Scorse molti uomini vicino a una bancherella alimentare e ben presto ne comprese il motivo. C'era la più bella donna che avesse mai visto. Anche Declius non poté sfuggire al suo fascino overliano, pur essendolo anche lui. Viso ovale, lunghi e rossicci capelli rossicci, lentiggini ai lati del piccolo naso, pelle chiara e occhi verde smeraldo. Fianchi larghi e seni prosperosi. Indossava una veste di lino bordeaux, ricamata da fili dorati lungo le braccia. Sembra una ninfa dei boschi!
Quando si trovò a un passo dagli altri uomini, che si spintonavano e litigavano tra loro, improvvisamente quelli fuggirono via dalla bancherella. Declius si accigliò, confuso. Poi rivide la donna in armatura farenea. La stava incontrando di continuo, ormai. Mi sta pedinando? Perché mai dovrebbe farlo?
La donna in armatura farenea si fermò davanti all'overliana, che la ringraziò. "Finalmente sono andati via. Non fanno che ronzarmi intorno come mosche. Ho persino chiesto aiuto allo jarl, e sai com'è finita?" Piantò le mani sui fianchi con disappunto. "Ci ha provato pure lui!"
La donna in armatura farenea le vendette delle erbe curative e dei funghi allucinogeni, poi si allontanò.
Declius si avvicinò alla mercantessa. Magari posso venderle l'orecchio di gigante, sempre che valga qualcosa.
"Se non se qui per acquistare o vendere qualcosa," disse la donna un po' irritata, "ti pregherei di andare via."
Declius posò l'orecchio di gigante sulla bancherella. "Quanto per questo?"
La donna lo prese e se lo raggirò in mano. "Otto dedali."
"Dieci."
"Otto."
"Dieci."
La donna lo guardò, infastidita. "Sei."
"Cosa?" disse Declius, incredulo. "Non puoi scendere a sei. Al massimo puoi salire."
"E io scendo, invece" disse con un sorriso trionfante. "Sei. Prendere o lasciare."
"Facciamo otto e non ne parliamo più."
"Quella era una mia vecchia offerta. Ora è sei. Se continui a lamentarti scenderò a cinque, poi a quattro e..."
"Va bene, va bene. Facciamo sei."
"Si vede che sei nuovo da queste parti."
"Che vuoi dire?"
"Nulla" sorrise. "Ti auguro una buona giornata."
Declius prese i sei dedali e si allontanò, arrabbiato. Si sentiva uno stupido. Forse se avessi tenuto duro, avrei ottenuto dieci dedali. Poi comprese che non li avrebbe mai ottenuti. Fatto sta, che quella donna non gli piaceva più.
Decise di andare a trovare il fabbro, che aveva visto entrando dalla porta maestra, o meglio, aveva scorto la sua fornace fuori dalla bottega. D'un tratto si levarono delle urla e una folla terrorizzata corse nella sua direzione. Per i divini! Cosa diamine succede, adesso?



NOTA: Grazie per aver letto! La storia prosegue nel capitolo successivo.

 

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Capitolo 3
*** III. Capitolo ***


 

III



Le guardie si aprirono la strada tra l'ammasso di gente. Quando Declius arrivò vicino alla casa del fabbro, vide quattro uomini coi volti ombrati dai cappucci. Indossavano abiti di pelle nere e guanti alle mani. Uno di loro aveva appena ucciso una guardia, che giaceva a terra con la pelle rinsecchita. A Declius gli era sembrato che l'assassino avesse prosciugato l'essenza vitale dell'uomo, ma non ne era sicuro.
"In nome dello Jarl Varlund!" tuonò una guardia con in mano una mazza d'acciaio. "Arrendetevi o preparatevi a morire!"
L'assassino che era avanti al gruppo, diede una rapida occhiata ai suoi compagni e si scagliò contro le guardie. Entrambi le parti cominciarono a combattere, ma le guardie erano tre volte numerose e riuscirono ad accerchiarli. Non servì a molto, in quanto i vampiri sprigionarono un bagliore nerastro dalle mani e le colpirono, rallentandole. Non ci voleva di certo uno stregone per capire che c'era qualcosa di oscuro in quella magia, una magia che succhiava la linfa vitale delle guardie, ormai quasi sul punto di crollare al suolo.
Declius arretrò spaventato e sbatté contro qualcosa. Nel girarsi, vide nuovamente la donna in armatura farenea. Lo spostò col braccio e andò verso i vampiri.
Due guardie crollarono a terra.
Gli assassini si scagliarono contro la donna e cominciarono a colpirla con spade corte di Andelisia, simile al ferro, in grado di assorbire il sangue. Lei deviò i colpi semplicemente spostandosi, poi sferrò una martellata sul cranio del primo vampiro e mandò il secondo a schiantarsi contro un muro di pietra. La velocità e i movimenti leggeri della donna in armatura farenea, scioccarono Declius, che si ritrovò a guardarla massacrare i vampiri con un espressione da idiota dipinta sul volto.
Quando l'ultimo vampiro aprì la mano per succhiarle la vita, capì che era inutile. L'armatura di farenea assorbiva la magia e la faceva luccicare di un bagliore azzurrognolo. Le sferrò un fendente alla gola, ma la donna lo parò e gli tirò un calcio frontale, mandandolo a sedere. Appena fece per rialzarsi, il cranio implose in mille pezzi.
Le due guardie sopravvissute si alzarono con gran fatica e ringraziarono la donna, che sembravano conoscere bene. Nel frattempo, non udendo più grida e lame cozzare, una nutrita folla di persone accorse a vedere cosa era successo e le nuove guardie sopraggiunte dai distretti adiacenti le allontanarono a suon di minacce.
Quando una di queste abbassò il cappuccio di un assassino, il volto pallido iniziò a fumare.
"Vampiri!" disse.

Altre guardie accorsero verso la porta maestra, così come il mago di corte e il capitano delle guardie. Entrambi si scambiarono rapide parole, poi il mago di corte fece condurre i corpi nel suo laboratorio. I turni di guardia furono rafforzati e ora in ogni angolo delle strade c'erano almeno tre soldati di pattuglia.
Declius non poteva credere di aver visto altri vampiri. Ne aveva ucciso accidentalmente uno poche ore fa e adesso si trovavano persino a Ronterath, per giunta in pieno giorno e con l'audacia di voler uccidere le guardie. È un attacco isolato o un modo per assaggiare le difese della città? E poi perché l'hanno fatto?
Infine i suoi pensieri furono scacciati dalla visione della donna in armatura farenea. Chissà com'è il suo viso?
Attimi dopo, altre persone si riversarono nelle strade e cominciarono a parlare dell'attacco.
"Sono stati i Liberatori di Ashamerol, ti dico" disse un uomo grassoccio senza capelli. "Quelli vogliono spodestare Varlund e mettere sul trono quel, quel tale... com'è che si chiama... il tizio senza un occhio... Vabbè, hai capito di chi parlo. Vogliono rifondare il vecchio regno Hakleradano. E poi hai visto la loro pelle chiara, no? Sono di Haklerad, ti dico. Primo o poi monteranno l'assedio e saremo fregati."
"Lo diceva mia nonno," aggiunse una donna dalle spalle esili, "i vampiri sono un male da estirpare. Si nutrono di carogne e, quando non trovano sangue fresco, lo vengono a cercare in città. Sono folli! Tutti loro. Hanno avuto il coraggio, ma che dico, la follia di attaccare le guardie. Erano affamati. Chissà da quanto tempo non bevono quelle infide creature dell'OltreTerra!"
Tutti avevano una propria opinione in merito, ma nessuno sapeva spiegare il motivo degli attacchi suicidi.
Declius non se ne preoccupò molto, poiché non abitava lì. Adesso il suo unico pensiero era di vendere le armi, poi sarebbe ritornato a Numdas. Lì nemmeno i vampiri osavano aggirarsi per quanto fosse spettrale quel posto, in compenso c'era il rischio di imbattersi in numerosi necromanti, per lo più gente che sapeva evocare a mala pena un famiglio, che più delle volte si rivoltava contro l'evocatore. Erano numerosissimi i casi di necromanti sbranati dai famigli, fatti a pezzi da magie di fuoco e in casi più gravi dai grogorath dell'OltreTerra, demoni dalle sembianze umane. Che poi come i necromanti apprendisti riuscissero a evocare un gregorath rimane ancora un mistero per molti.
Runar, il sacerdote di Jantis che viveva a Numdas, nella Sala dei Morti, disse a Declius che alcune persone avevano un potere illimitato e letale. Erano in grado di portare distruzione o prosperità al mondo, ma c'erano segni inequivocabili che la storia dell'uomo stesse deviando verso l'oscurità.
Declius non aveva mai preso sul serio quelle parole. A dir la verità, non prendeva sul serio un bel niente. Fino ad oggi se l'era cavata egregiamente senza mai chiedersi se il merito fosse tutto suo o della Dea della Fortuna Forlunia.

Entrato nel negozio del fabbro, lo trovò dietro il bancone a parlare con un warliano, dagli occhi viola e la carnagione grigiastra. Declius si guardò intorno e vide diverse spade, martelli, asce e mazze appese nelle rastrelliere del pavimento. Spadoni e scudi ornamentali erano fissati sulle mura di legno. L'intera camera era tappezzata di ogni sorta di arma forgiate con svariati materiali, ma non trovò nulla che fosse simile al martello da guerra farenea della donna.
Il fabbro aiutò il warliano a indossare l'armatura di ferro, poi lo guardò con un sorriso. "In battaglia un'armatura del genere può essere di intralcio. Dovrai allenarti a portarla e, fin quando non succederà, ti consiglio di non sprecare le tue energie, soprattutto contro avversari agili. Alcuni preferiscono combattere leggeri e possono sopraffare facilmente un avversario affaticato da una pesante armatura. La forza, non è tutto in un combattimento."
Il warliano fu contento dell'acquisto e andò via senza guardare Declius, che in quel momento posò sul bancone la borsa.
"Sono Narmuron" disse il fabbro. "Cosa mi hai portato? Vediamo." Ispezionò una per una le armi, toccando le lame e provando a fendere l'aria con qualche colpo. "Alcune sono in ottime condizioni, altre no. Posso darti in tutto centosettantanove dedali."
"Centonovanta?"
"Il prezzo è fisso. Non lo aumenterò. Anzi, ti sto facendo anche un favore. Nessuno acquisterebbe l'intero pacchetto. Forse solo queste due asce e questo pugnale." Si portò una mano sulla lunga barba castana per riflettere. "Le altre sono in condizione pessime. Ci sono ancora tracce di sangue e molte ammaccature." Prese un'ascia. "Questa ne è piena, guarda!"
"Va bene, mi hai convinto."
"Posso chiederti una cosa?" chiese Narmuron. "Dove hai trovato queste armi? Voglio dire, sembrano abbastanza datate. So riconoscere le lame temprate con ottimo ferro e acciaio e questo non lo sono."
"Appartenevano ad alcuni banditi morti."
Il fabbro sorrise. "Lo sospettavo. Se ti capita di trovare altre armi, portale qui. Sono l'unico da queste parti che può farti un buon prezzo per le lame datate."
"Grazie," rispose Declius, confuso, "ma perché mi dici questo?"
"Diciamo che mia moglie sa come fonderle per ricavarne delle nuove. Le piace sperimentare, sai. Non capisco molto di forgia, ma intende diventare un maestro in quella abilità. E io la voglio aiutare."
"Capisco. Quindi ti servono per i suoi esperimenti?"
"Qualcosa del genere. Ecco i tuoi dedali. Puoi prendere la borsa."
"Grazie. Ci vediamo."



NOTA: Grazie per aver letto! La storia prosegue nel capitolo successivo.

 

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Capitolo 4
*** IV. Capitolo ***


 

IV



Fuori dal negozio, Declius vide una donna uscire una spada dalla forgia e metterla dentro un secchio d'acqua, da cui fuoriuscì un sottile fumo biancastro. Poi la posò sull'incudine e la prese a martellare.
TIN! TIN! TIN!
Mentre il suono echeggiava nella testa di Declius, le si avvicinò affascinato dal fatto che potesse essere un fabbro, un mestiere prettamente maschile. Non che fosse il tipo d'uomo che imponeva alle donne di rimanere a casa a prendersi cura della prole e del focolare, Declius aveva una veduta molto ampia al riguardo. Per lui uomo e donna erano uguali, a parte per quella cosa in mezzo alle gambe.
La donna sembrò infastidita del fatto che la stesse guardando. "Che vuoi? Vuoi vendermi qualcosa?"
"No, io..."
"Sparisci. Non vedi che ho da fare?"
"Va bene. Non volevo..."
"Che succede, Almelia?" Disse Narmuron, che aveva appena chiuso a chiave la bottega.
"Nulla, caro."
"Ah, ma sei tu" sorrise a Declius, che si era aspettato un pugno. "Questo ragazzo mi ha venduto molte lame grezze."
Gli occhi della donna si illuminarono di gioia. "E ora dove sono? Forse potrò finalmente forgiare una lama che competerà con quelle di Halletar." Sospirò un poco affranta, ma tornò subito seria. "Vorrei vedere la sua faccia, quando un giorno scoprirà che ho raggiunta la sua bravura nella forgiatura. Forse è questo il giorno. Sì, forse è questo. Devo prendere quella armi."
"NO!" disse Narmuron, incrociando le braccia. "Ci proverai domani. Stai lavorando da prima che spuntasse l'alba. Hai bisogno di riposo."
"Mi riposerò solo quando supererò Halletar."
"Non farmi fare una scenata. Ora posa quella spada nel baule e vieni con me. Andiamo a cenare alla locanda."

Uscito da Ronterath, ridiscese la collina pentito di aver venduto tutte le armi. Non che sapesse usarle, ma almeno si sarebbe sentito protetto con un semplice coltello e magari l'avrebbe mostrato per intimorire i malintenzionati. Ma Declius non sapeva che i banditi di Overloria non erano facilmente impressionabili, sempre che non conoscessero chi avevano davanti, allora fuggivano via più veloci di una saetta di Giarno. E quelli erano solo una parte dei pericoli che si annidavano a Overloria.
Superato il cancello e il fossato in rovina, avvistò due tende di pelle ai bordi della strada, vicino a una piccola torre di legno circondata da un basso muretto di macerie. Rimase sorpreso nel vedere dei mogajani. Non li aveva mai visti finora, in quanto i mercanti mogajani non si erano mai spinti a Numdas. Aveva letto diversi racconti, ma nulla era paragonabile a vederli di persona.
"Avvicinati, straniero" disse un mogajano dalla pelle giallastra, gli occhi bianchi, corti capelli neri e le orecchie piene di orecchini. Indossava un paio di pantaloni marroni e una maglietta nera a maniche lunghe sui erano disegnati spirali bianchi. "Vuoi comprare qualcosa?"
"No, ero... ero solo meravigliato di vedervi" rispose Declius un po' intimorito da quegli occhi bianco latte. "Voglio dire, non mi è mai capitato di vedere dei mogajani. È la prima volta."
"Oh, da questa parti la nostra presenza è molto rara. Albukad capisce il tuo stupore. Albukad vuole che tu ti unisca alla cena."
Perché parla in terza persona? Oppure si riferisce a qualcun altro? "Non voglio importunarti con la mia presenza."
Spalancò gli occhi bianchi. "Albukad è colpito. Albukad ha il piacere di fare la conoscenza con un overliano che non sia arrogante e superbo."
"Beh, io sono diverso."
"Vieni, vieni. Unisciti alla cena di Athalaba."
Altri tre mogajani si avvicinarono loro. Il primo indossava un'armatura d'acciaio e portava nella fodera una spada d'acciaio. Adocchiò rapidamente Declius e rilassò le spalle. Il secondo portò a tutti una ciotola di brodo di carne e si sedettero in cerchio su un tappetto.
Albukad presentò i suoi accompagnatori, nonché suoi amici; Athalaba, la cuoca; Kativira, la guardia mercenaria. E per ultimo, non meno importante, Masadurko, che si occupava di trattare con i fornitori. Tutti loro non sembravano molto entusiasti di condividere il pasto con un overliano.
"Albukad trova insolito che un overliano sia così cortese con i mogajani."
"Per me siete come tutti gli altri" rispose Declius dando una cucchiaiata al brodo. "Non riesco a trovare alcuna differenza tra di noi, a parte gli occhi e... e il colore della pelle."
"Albukad è davvero colpito dal tuo modo di pensare. I mogajani non sono ben accetti a Overloria, ma non per i bambini. Loro non sanno cos'è l'odio per un razza diversa dalla propria. Sono immuni alla corruzione degli adulti."
Tutti cominciarono a mangiare.
"Perché siete accampati qua fuori?" chiese Declius. "Non siete nemmeno benvenuti a Rontorath?"
"La gente non vuole mogajani dentro le mura. Ci accusano di essere criminali e di altre menzogne riprovevoli" sospirò. "Albukad è un semplice mercante. È così che i mogajani si guadagnano da vivere."
"Intendete tutti voi?"
"Sì, Albukad ha visto un'opportunità a Overloria. La guerra offre opportunità generose e spesso queste opportunità giacciono lontane dal proprio tetto. Quando la guerra sarà finita, Albukad e gli altri mogajani torneranno nelle calde distese di sabbia."
"Rasealia?"
"E dove Albukad è nato. È dove Albukad ha lasciato il suo cuore."
Continuarono a cenare in silenzio, finché Kativira si alzò e andò a sedersi su una roccia poco distante. Attimi dopo, anche gli altri due mogajani si allontanarono e Declius e Albukad rimasero da soli.
"Favorisci un po' di erba Laptoria?" chiese Albukad
"No, grazie."
Il Mogajano fece un sorso e le sue pupille si dilatarono. "Ogni tanto Albukad ha bisogno di fare un sorso o rischia di cadere nella tristezza. Overloria può essere un luogo impervio per un mogajano abituato ai caldi venti estivi di Rasealia."
Rimasero in silenzio e guardarono il sole affievolirsi dietro una montagna innevata avvolta dalla nebbia.

Albukad convinse Declius a dormire con loro quella notte. Non voleva che l'overliano se ne andasse in giro dopo il crepuscolo. Declius aveva inizialmente detto di no per orgoglio e anche perché aveva scommesso con suo fratello che sarebbe tornato in giornata, invece aveva fallito. E poi non voleva far trasparire il fatto che aveva una paura bestiale di affrontare il viaggio verso Numdas nella totale oscurità. Al solo pensiero, rabbrividiva.
Così passò la notte nella tenda di pelle dei mogajani, aspettandosi altre chiacchiere. Ma invece, quelli andarono a letto presto. E come scoprì in seguito, non avevano per nulla il sonno profondo. Anzi, gli sembrava che dormissero con un occhio aperto. Sentivano ogni minimo rumore, mentre Declius non sentiva nulla, se non lo scorrere dell'acqua tra le rocce della sorgente lì vicino.
Kativira, la guardia mogajana, dormiva quasi a ridosso dell'entrata e spesso Declus la vedeva aprire gli occhi per poi chiuderli poco dopo. Tutto ciò era un po' nuovo e inquietante per un overliano che non aveva veduto altro che sterco di capra e cadaveri decomposti per tutta la vita.
Alla fine si addormentò.

Si svegliò alle prime luci del mattino. A dir la verità, lo svegliò Kativira con un calcio leggero.
"È ora di svegliarsi, overliano."
Tutti i mogajani erano già in piedi. Declius sbadigliò e si guardò in giro, assonnato. Poi si alzò lentamente e, quando uscì fuori dalla tenda, il sole lo accecò un poco. Andò a sciacquarsi il viso alla sorgente, bevve qualche sorso e tornò indietro. Vide Kativira sferrare fendenti su un manichino che aveva appena montato.
La osservò un poco. "Sembri esperta" disse. "Anche Albukad sa usare la spada?"
Kativira gli lanciò un'occhiata, torva, e riprese a colpire il manichino.
"Da quanto ti alleni? Sembri piuttosto brava. Puoi insegnarmi come difendermi? E..."
La mogajana si fermò e lo guardò. "Vattene!"
"Va bene, scusa."
Mentre Kativira tornò al suo allenamento, Declius la osservò da lontano. Convenne che era davvero brava con la spada. I suoi colpi erano talmente rapidi, che quasi non riusciva a seguirli con gli occhi. Si avvicinò lentamente. "Quindi non vuoi insegnarmelo?"
La mogajana decapitò il manichino con un colpo potente la cui testa di paglia razzolò ai piedi di Declius. Vedendo lo sguardo infiammato di Kativiri, l'uomo alzò le braccia in segno di resa e si allontanò.
"A Kataviiri non piace parlare" disse Albukad alle spalle di Declius, che sobbalzò per lo spavento. "Oh scusa. Albukad non voleva spaventarti."
"No, no, va tutto bene."
"Non hai ancora fatto colazione, nevvero?"
"No, ma non ho molto fame."
"Albukad riconosce un uomo affamato. Anzi, Albukad ne sente l'odore. Vieni. Athalaba ti avrà lasciato qualcosa da parte. Lei è molto sensibile e si preoccupa sempre degli altri."
"Devo ancora ringraziarla per la squisita cena di ieri sera."
"Athalaba è un ottima cuoca" sorrise Albukad. "Se fosse proprietaria di una locanda, farebbe molti dedali. Albukad glielo dice, ma Athalaba non ascolta."



NOTA: Grazie per aver letto! La storia prosegue nel capitolo successivo.

 

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Capitolo 5
*** V. Capitolo ***


V



La raggiunsero vicino a un paio di casse e barili. Stava sistemando alcune ampolle piene in un piccolo baule.
"Athalaba" disse Albukad. "Hai lasciato la colazione al nostro ospite?"
"È sul tavolino, nella tenda."
"Volevo ringraziarti per la cena di ieri sera" aggiunse Declius un po' imbarazzato. "Il brodo di carne più buono che ho mai assaggiato. Nemmeno mia madre è così brava e lei ama cucinare."
"Ne sono lusingata" rispose con un sorriso di circostanza. Poi si girò bruscamente e tornò alle sue faccende.
"Non farci caso" disse Albukad mentre raggiungevano la tenda. "Oggi Athalaba si è alzata con gli occhi storti."
Vuole dire che si è alzata con la luna storta? di malumore?

Dopo aver fatto colazione, Albukad e i suoi compagni mogajani partirono alla volta di Mandekrath. Aveva spiegato a Declius che la sua rotta commerciale era da Ronterath a Mandekrath, e viceversa. Seguivano spesso lo stesso itinerario, a meno che Kativira non sospettasse un agguato. Pagavano molto bene gli informatori per scoprire eventuali attacchi a sorpresa.
Una volta furono colti in fragrante da un tempesta di neve e si salvarono solo grazie al sacrificio di Urilia, una loro compagna mogajana, che era stata la guardia mercenaria della carovana. Diversi troll di montagna li avevano attaccati durante la tempesta e, solo la morte di Urilia, impedì agli altri di essere divorati. D'allora il suo posto era stato preso da Kativira. Albukad era ancora addolorato per quella perdita.

Declius si allontanò da Ronterath e percorse la strada puntellata da numerose fattorie. C'erano guardie cittadine di pattuglia nei paraggi, tutte in all'erta e armate di spade e mazze. Non fermarono Declius, ma solo chi aveva il viso ombrato da un cappuccio. Chiaramente erano alla ricerca di eventuali vampiri.
Proseguì su una collina, dove il sentiero diventava più tortuoso e prendeva a serpeggiare tra gli alberi e la fitta vegetazione. Imponenti massi e rialzi rocciosi cominciarono a spuntare ai lati del sentiero sterrato. Venti minuti dopo, Declius avvistò qualcosa di strano, uno scheletro. Camminava verso un tronco cavo infestato dal muschio e ci si fermò davanti, cominciando a battere i denti e ondeggiare.
Declius si nascose dietro un arbusto. Non ho mai visto uno scheletro camminare! È pazzesco!
Lo scheletro si voltò e tornò indietro, zoppicando su un piede. Si fermò battendo di nuovo i denti e rimase immobile per diversi minuti.
Declius continuò a guardarlo. Gli ritornarono in mente le tetre storie che gli raccontava Runar nella locanda quando calava la notte. Storie di fantasmi, non-morti, fuochi fatui e altre orrende creature. Sapeva che quello scheletro non era in piedi per puro caso, ma che era stato rianimato da qualcuno. Devi esserci un necromante nei paraggi. Devo stare attento e aspettare che quella cosa vada via o si afflosci al suolo.
Attese.
Lo scheletro continuava a starsene fermo, battendo di volta in volta i denti. Poi Declius vide sbucare qualcuno tra le vegetazione. Un necromante! Alla sola vista di quell'uomo con i capelli arruffati, il viso deturpato e la lunga tunica nera, rabbrividì. Doveva avere più di settant'anni, visto il viso rugoso e il collo flaccido.
Camminò verso lo scheletro, ma prima di arrivarci, si fermò di colpo. Rimase immobile per un momento, poi scattò la testa in direzione di Declius, che sussultò per lo spavento.
Lo scheletro barcollò verso l'overliano, battendo i denti. Il necromante alzò un braccio e una sfera rossastra si espanse attorno alla mano. Poi dal nulla comparve un malvianus del fuoco, un grosso umanoide di pietra nel cui petto ardeva una fiamma bluastra. Aveva due grossa corna da toro che dalle tempie scendevano fino al collo, quattro braccia e la testa incassata nelle spalle.
Declius si pietrificò, le gambe non gli ubbidivano. Quando pensava di essere spacciato, ecco che alle sue spalle comparvero quattro banditi. Non si erano accorti della sua presenza, così come non se ne era accorto il necromante, e Declius dei banditi.
Mentre lo scheletro si lanciò contro i banditi, il malvianus sputò una fiamma dal petto. Il necromante scagliò diverse scintille, che folgorano il bandito con l'ascia di ferro. Gli altri tre fecero a pezzi lo scheletro e si precipitarono contro il necromante, ignorando il demone dell'OltreTerra. Se avessero ucciso l'evocatore, il malvianus sarebbe scomparso. I tre banditi provarono a colpire il necromante, ma questo sferrò un dardo elettrico che uccise il primo bandito. Il secondo fu arso vivo dalle fiamme del Malvianus.
L'ultimo bandito cercò di darsela a gambe, ma non fece molto strada e venne avvolto da una palla di fuoco. Le fiamme non attaccavano le foglie secche e il legno, ma solo la carne e lo ossa, che si riducevano in cenere dopo un minuto.
Declius era ancora fermo, meglio dire, pietrificato. Invece di fuggire, era stato preso dalla curiosità dello scontro ed ora si malediceva per non averlo fatto.
Il necromante si chinò sui resti dello scheletro, sciolse le ossa con un incantesimo e li ripose in un sacchetto. Poi si alzò e sparì tra la vegetazione, mentre il malvianus crollò al suolo e, con un sbuffo di fumo, scomparve sotto gli occhi dell'impaurito Declius.

Ciò che aveva appena assistito, lo aveva incuriosito e spaventato. Voleva saperne di più. Così invece di tenersi largo dal necromante, lo aveva inseguito tra la vegetazione. Salì un pendio roccioso con qualche difficoltà e, dopo aver camminato per venti passi, scorse l'evocatore farsi largo tra gli intricati arbusti. Non era sicuro che fosse il necromante di prima, poiché questo aveva la testa coperta da un cappuccio.
Lo pedinò cercando di non fare rumore, ma era impossibile. Il terreno era cosparso di foglie secche e ramoscelli, che scricchiolavano sotto i suoi stivali di cuoio. Invece l'uomo che inseguiva sembrava silenzioso come il cimitero di Numdas. Declius cominciò a credere che il negromante fluttuasse, invece di camminare.
Continuò a seguirlo, finché ne perse le tracce. Rimase fermò per un momento, diede un'occhiata nei dintorni e proseguì. Dopo venti minuti si accorse che il tragitto diventava sempre più familiare. Gli sembrava di girare in tondo. Superò tre volte lo stesso albero dalla corteccia scarnificata da un orso e, quando lo fece per la quarta volta, si lasciò cadere a terra per la frustrazione.
Mi sono perso...



NOTA: Grazie per aver letto! La storia prosegue nel capitolo successivo.

 

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Capitolo 6
*** VI. Capitolo ***


VI



Rimase seduto con la schiena contro l'albero per mezz'ora. Cercò di capire quanta strada avesse fatto e da dove fosse venuto. Sperava di ritrovare il sentiero semplicemente andando a ritroso con la memoria, ma la sua mente era altrove, allertata da una serie di inquietanti fruscii provenienti dai boschi. Aveva finto di non sentire, finché quei rumori lasciarono spazio a grida di dolore e urla agghiaccianti. In un attimo balzò in piedi e, con il terrore dipinto sul volto, corse nella direzione opposta. Ma ovunque andasse, i suoni lo inseguivano, lo braccavano.
Cambiò tragitto diverse volte, incespicando di volta in volta tra le nodose radici degli alberi. E mentre fuggiva, i contorti rami degli arbusti gli graffiavano faccia e mani. Dopo un po', colto dall'panico, scambiò i rami per dita scheletriche. "Lasciatemi andare!" gridò, mentre correva come un dannato. "Lasciatemi!" Ma le urla morivano in quella silenziosa boscaglia.
Correva ormai da diversi minuti. I polmoni gli bruciavano e cominciava ad avere il fiatone. Si fermò e si curvò sulle ginocchia per riprendere fiato. Quando alzò lo sguardo, vide tutt'attorno dozzine di pallide facce spiare da dietro gli alberi. Le guance scavate, gli occhi di un vivido rosso arancio.
Declius corse nell'unica direzione in cui non le vedeva, le gambe pesanti come macigni. Dovunque andasse, quelle facce erano sempre lì.
Pallide.
Inespressive.

Non fece molto strada, quando crollò al suolo per la stanchezza. Le gambe gli tremavano e nella bocca avvertiva un retro gusto di ferro. Alzò lo sguardo e si accorse che le pallide facce erano svanite. Dove sono andate? Dove? Me li sono immaginate? No, è impossibile. Non può essere. Erano lì', li ho viste!
Rimase a terra per un po', poi si alzò in piedi. Sapeva di essersi inoltrato ancor di più nel bosco, poiché la luce opaca e la volta degli alberi bloccavano i raggi del sole. L'erbaccia, poi, ostruiva come una parete naturale alcuni punti della boscaglia.
Camminò un poco alla cieca, scegliendo i tratti meno impervi da erbacce e arbusti. Dopo un po', si trovò sommerso dalla vegetazione. Questo lo costrinse a fermarsi e ciò lo salvò dal precipitare giù da un picco roccioso. Bastava solo un mezzo passo e sarebbe piombato giù dal fianco della montagna. Come ci sono finito quassù? Ho corso così tanto?
Una volta fattosi largo con cautela tra le alte erbacce, vide Ronterath ergersi solitaria sulle campagne circostanti quasi prive di alberi e punteggiata da ammassi rocciosi, declivi, scarpate, rupi e rialzi rocciosi. La fortezza di Patrokas, in particolare, troneggiava sulla città come l'imponente dimora dei Divini, descritta da Runar in una delle sue tante storie davanti al focolare della locanda. Era una vista mozzafiato e si sentì quasi mozzare il fiato quando avvertì una presenza alle sue spalle.
Quando fece per voltarsi, percepì il suo corpo paralizzarsi e crollare a terra, sul fianco. In quel frangente di panico e terrore, pensava di morire o di essere già morto. Non aveva più il controllo delle sue membra. Il cuore non gli martellava nel petto come si aspettava, ma i battiti erano lenti, quasi inesistenti. E fu in quel momento che udì alcuni passi dietro di lui. Si avvicinavano calmi, quasi silenziosi.
Quando si fermarono alle sue spalle, Declius scorse una una tunica nera con la coda dell'occhio.
Poi le tenebre.

Si svegliò con un gran mal di testa e, quando fece per alzarsi, si accorse che era stato legato su un'altare di pietra. Provò più volte a muovere braccia e gambe, ma inutilmente. L'avevano legato troppo bene.
Si trovava sopra a una piattaforma rettangolare, dentro un'ampia caverna. A pochi passi, sentiva lo scorrere di un piccolo ruscello che terminava oltre una bassa fessura nella parete rocciosa. L'intero terreno era puntellato da arbusti, piccole scarpate e rialzi rocciosi. Il soffitto, poi, era inghiottito dall'oscurità, che nemmeno le numerose lanterne sparse sulle rocce riuscivano a illuminare. Inoltre, c'era una piccola capanna di legno poco distante e quattro necromanti che mangiavano seduti a un tavolo. Lanciarono una rapida occhiata a l'overliano che si dimenava, poi continuarono a mangiare in silenzio. Declius non li vide, finché non si voltò sinistra. "Aiuto!" urlò e tossì per la gola secca. "Aiutatemi! Vi prego!"
I necromanti lo ignorarono.
Comprese in ritardo, forse per stupidità o poca intelligenza, che quelli a cui gridava aiuto erano i suoi rapitori. Dapprima si dannò l'anima per aver seguito il necromante, poi si mise a pregare, meglio dire, supplicare che Jantis lo liberasse.
Un necromante gli si avvicinò. Era il vecchio che aveva visto nei boschi. Lo fissò, freddo, per un momento, poi posò una pietra nera sul tavolino lì vicino. Gli altri necromanti si alzarono dai tavoli e lo raggiunsero, mettendosi in cerchio.
"Cosa volete fare?" chiese Declius, senza avere una risposta.
Tutta la congrega osservò il vecchio sollevare le mani in aria, i palmi rivolti al soffitto. Chiuse gli occhi e mormorò parole incomprensibili. Poi abbassò le braccia, prese un pugnale d'acciaio la cui lama emanava un bagliore verde chiaro e la alzò in aria con entrambe le mani, la lama rivolta verso l'overliano.
Declius si dimenò sull'altare. "Non voglio morire! Vi prego! Non dirò niente a nessuno!" Scoppiò a piangere come un bambino. "Mamma!" gridò. Il suo unico pensiero andava a sua madre, la donna che aveva odiato e amato fin da piccolo. La donna che l'aveva messo al mondo e di cui non era mai stato grato. "Mamma!" urlò di nuovo, ma sua madre non sarebbe venuta ad aiutarlo, a dividerlo da suo fratello maggiore come quando litigavano per un non nulla. Questa volta era da solo e Declius voleva sua madre.
Il vecchio evocatore si preparò a pugnalarlo nel petto, quando il necromante di fronte crollò al suolo con il cranio fracassato. Il sangue era schizzato sulle vesti degli altri necromanti vicini, che fissavano sorpresi e infuriati la sanguinante testa del martello di guerra farenea, su cui erano attaccati pezzi di cranio e di cervello.
Colti di sorpresa, la congrega indietreggiò e la donna in armatura farenea sferrò una martellata contro il petto del necromante alla sua sinistra. Mentre il vecchio evocatore ne approfittò per rianimare l'uomo dalla testa fracassata, gli altri necromanti tentarono di colpire la donna con scintille e dardi di ghiaccio. Nessuno ci arrivò minimamente vicino. Era troppo veloce.
Declius aveva il cuore che gli premeva contro il petto e gli occhi che roteavano in ogni direzione. Aveva il terrore che quelle magie potessero colpirlo e ucciderlo. Cercò di dimenarsi sull'altare di pietra, quando il corpo di un necromante gli atterrò sopra. Credeva che volesse ammazzarlo e provò a liberarsi. Poi, dopo aver urlato per un momento, comprese che l'uomo era morto, il viso una maschera di sangue, un bulbo oculare fuori dall'orbita. Dapprima sentì qualcosa contorcersi nello stomaco, poi si vomitò sulla faccia.
Non vedeva più nulla. I pezzi del brodino di carne preparato da Athalaba gli colavano dal viso e udì solo le urla morenti dei necromanti. La donna non faceva nessun suono. Gli sembrava che gli evocatori stessero morendo senza un apparente motivo.
Poi un'ondata di gelo lo avvolse completamente. Non riuscì a muoversi per un lungo momento, finché quella sensazione lentamente scomparve. Era stato appena colpito dalla Gelata e per sua fortuna lo aveva solo sfiorato. Se lo avesse preso in pieno, sarebbe morto ancor prima di rendersene conto. Ma Declius non sapeva quanto era stato fortunato.
La donna continuò a deviare i dardi di ghiaccio lanciati dal vecchio evocatore che, standone a debita distanza, la tempestava senza sosta. Cercò di avvicinarsi, ma quello glielo impediva lanciandole addosso ondate di Gelido. Con sorpresa di Declius, la donna sferrò un colpo sul terreno e l'onda d'urto sradico il vecchio necromante dal suolo, facendolo schiantare contro la parete rocciosa. Rimase spiaccicato per un attimo, prima di scivolare faccia a terra. Il retro del cranio spappolato e pezzi di cervella appiccicati sulla parete rocciosa. Era rimasto al suolo, privo di vita. Nella mano, il pugnale di Iagobad, una lama in grado di assorbire le anime. Usata con le Pietre Nere, un necromante poteva ingabbiare le anime e usarle per oscuri incantesimi o venderli ai tiranni dell'OltreTerra in cambio di erbe, pozioni o altri demoni.
La donna si avvicinò al corpo, lo girò e gli staccò dal collo un medaglione d'oro. Lo scrutò attentamente per un attimo, come se controllasse che fosse quello giusto, poi lo mise nel borsello legato alla cintura.
Declius la osservava, incredulo. Non poteva credere di aver incontrato di nuovo quella donna. Non è un caso. Quella donna mi sta seguendo.... O forse il Custode di Jantis aveva ragione su di me... Altri avrebbero incrociato il mio cammino. Magari Jantis ci sta facendo incontrare per un motivo? Quale? "Aiutami!" cercò di gridare, ma ne uscì solo un rantolo soffocato.
La donna lo fissò per un momento, poi strappò il pugnale di Iagobad dalle mani del vecchio necromante e lo raggiunse.
Declius la fissò, intimorito. Non era sicuro che lo avrebbe aiutato, invece la donna lo liberò dalle corde e posò il pugnale sul tavolino.
"Ehi, aspetta!" disse Declius, mettendosi seduto sull'altare di pietra. Appena posò i piedi a terra, crollò al suolo. Aveva le gambe intorpidite. Si alzò a gran fatica e barcollò verso la donna.



NOTA: Grazie per aver letto! La storia prosegue nel capitolo successivo.

 

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Capitolo 7
*** VII. Capitolo ***


VII



Mentre erano a diciassette passi dall'uscita, una parte del soffitto venne giù e una nube di polvere li avvolse completamente. Tossirono. Piccole pietre cadevano giù dal cumulo di macerie. Quando la polvere si dissipò, la donna cercò di muoverne alcune e si rese conto che l'ingresso era sbarrato. Doveva trovare un'altra via d'uscita.
"Ora come facciamo a uscire?" chiese Declius, ansioso. "Rimarremmo per sempre qui dentro. Per i divini! Siamo spacciati!"
Mentre Declius si lamentava come un bambino dell'attuale situazione, la donna tornò nell'ampia caverna. L'overliano la seguì appena si rese conto di essere rimasto solo a lamentarsi con la frana, che se avesse avuto il dono della parola, gli avrebbe detto di chiudere la boccaccia.
Dalla parte opposta della piattaforma rettangolare, c'era una piccola galleria dalla forma circolare. Li condusse in una sala dall'ampio soffitto in cui c'era un burrone e un laghetto sotterraneo dove il ruscello dell'altra stanza finiva la sua corsa in una piccola cascata. Scesero il burrone e arrivarono di fronte al laghetto.
La donna diede una rapida occhiata alle acque cristalline e si tuffò. Declius aggrottò la fronte, confuso. Che diamine sta facendo? Le sembra il momento di farsi un bagno?
La donna nuotò lungo il fondale alla ricerca di un eventuale baule. Sapeva che i necromanti nascondevano i loro averi in bauli nascosti. Anche se non aveva visto una corda che serviva a tirarlo su, aveva pensato che ce ne fosse uno là sotto, ma non ne trovò. Così riemerse e s'incamminò verso la galleria a sinistra, seminascosta da un arbusto.
"Perché ti sei gettata in acqua?" domandò Declius. "Cosa pensavi di trovare? I pesci?"
Nessuna risposta.
"Come hai fatto a nuotare con l'armatura addosso? Non ti ha trascinata giù?"
Niente.
Aveva altre domande da farle, ma rimase in silenzio. Tanto non le avrebbe risposto.

Percorsero la galleria che ben presto diventò stretta come un cunicolo. Mentre scendevano nelle profondità illuminate da torce appese alle pareti, Declius si sentiva a disagio, poiché scendere equivaleva a inoltrarsi di più nella caverna. Desiderava uscirne, non perdersi nei suoi abissi.
Il cunicolo li portò in un altra camera, dove decine di stalagmiti si innalzavano dal suolo fino a perdersi nell'oscurità del soffitto. L'erbaccia cresceva rigogliosa vicino a un ristagno e rivoli d'acqua scendevano dalle pareti. I due superarono un ponte naturale sul cui fondale si ergevano piccoli stalagmiti appuntiti. Il terreno frastagliato era punteggiato da brusche scarpate.
Superatone uno, i due avvistarono due sedie e un tavolo di legno. Li sopra c'erano tre candele in tre diversi piattini, due libri ammuffiti, una penna d'oca, un calamaio e quello che sembrava un vecchio diario consunto.
La donna lo prese e sfogliò le pagine alla rinfusa. Declius le lanciò una rapida occhiata, prima di guardarsi intorno. Vide un'altra galleria alla sua sinistra, molto più larga delle altre. Dev'essere stata scavata da qualcuno, forse dai minatori. Certo, che sono stati i minatori a scavarla.
Diversi picconi erano adagiati sulla parete vicino all'ingresso. Alcuni minerali grezzi quali ferro e acciaio erano stati sistemati in un carretto. Comprese che dovevano esserci delle vene all'interno della galleria, inghiottita dalle tenebre.
La donna posò il diario, raggiunse Declius e guardò il buio che si estendeva nel passaggio a perdita d'occhio. L'overliano non capì se la donna stesse osservando qualcosa o stesse facendo mente locale. Poi si avvicinò al tavolo e lesse il diario. Le prime pagine erano impregnate di sangue o sbiadite, quindi illeggibili.

...di andarsene a quel paese. Chi crede di essere? Noi qui abbiamo un lavoro da fare. Se non estraiamo minerali da questo dannato buco nella terra, la mia famiglia patirà la fame. Glielo ho detto, ma quel dannato alerian non ha voluto ascoltarmi. Ha minacciato me e gli altri minatori di farci perdere il lavoro, se non lo lasciamo andare oltre il passaggio che abbiamo scoperto. Quella dannata galleria è pericolosa, gli ho detto. Strani rumori provengono da quell'infido passaggio. Se osasse risvegliare qualcosa da là sotto, potremmo dire addio a questa miniera. Mi ha detto come facessi a sapere che c'era qualcosa là sotta ma, prima che potessi rispondere, si è congedato con una smorfia. In verità non so se c'è qualcosa laggiù, ma leggendo alcuni libri c'è sempre qualcosa dentro o in profondità delle montagne. Volevo solo spaventarlo, ma ho avuto l'effetto opposto! Per la testa di Giarno!
Il giorno dopo è tornato con venti mercenari tutti armati di spade, asce e mazze. Indossavano armatura in pelle e d'acciaio. Voglio precisarlo, perché questo diario andrà dritto nelle mani del consigliere di Ronterath. Voglio che sappia ogni minimo dettaglio, così quell'archeologo strafottente non sorriderà più, quando si vedrà gettato nelle segrete di Patrokas.
L'alerian ha prima provato a corromperci con miseri dedali e poi ci ha minacciato di morte. Ne sono scaturiti insulti, finché il capo mercenario, un uomo basso e tarchiato, ha sgozzato Rej. Siamo rimasti scioccati e inorriditi da quella violenza. L'alerian ci ha intimato di andarcene se non volevamo essere passati tutti a fil di spada. Abbiamo portato via il povero Rej e l'abbiamo seppellito vicino al nostro campo. Che i Divini lo possano accogliere nel Primo Bagliore.
Il mattino seguente siamo scesi nella miniera e l'abbiamo trovata vuota. Solo i resti di un fuoco da campo, alcuni viveri e una nota scritta dall'alerian che consegnerò al consigliere di Ronterath. La metterò in fondo al mio diario. La nota diceva pressa a poco che aveva trovato un'antica dimora o qualcosa del genere. Poi parlava di alcuni mostri chiamati kakroas. Io non so chi siano questi kakroas e non so nemmeno se esistono veramente.
Questo pomeriggio consegnerò questo rapporto al consigliere, così che possa arrestare quel dannato alerian per omicidio. Abbiamo già perso un giorno di lavoro, perciò ho ordinato ai miei lavoratori di cominciare a estrarre. Anche se quell'alerian è lì sotto, non ci caccerà via di qui! Spero che una frana lo blocchi per sempre ovunque si trovi!


Declius non trovò la nota nell'ultima pagina. Così si mise a cercarla sul tavolo, sfogliando a caso le pagine dei due libri: Kakroas, miti e leggende e Gli abitanti del sottosuolo. Lo cercò persino sul pavimento roccioso, ma non trovò nulla. Dov'è finita? Forse l'ha presa la donna?
La raggiunse e le lanciò una rapida occhiata alle mani e al borsello alla cintura. Non aveva niente. Forse si stava facendo di nuovo prendere dalla curiosità, ma non resistette. "Hai preso tu la nota?"
La donna lo ignorò.
Declius non rifece la domanda, anche perché non le avrebbe risposto. Non aveva senso prendere la nota e lasciare il diario sul tavolo. Poi, senza un perché, gli balenò in mente la scena in cui la donna strappava una collana d'oro dal collo del vecchio necromante. Perché l'ha fatto? L'ha mandato qualcuno quaggiù? Qualcuno che voleva quella collana?
D'un tratto la donna tornò indietro e afferrò una torcia dal muro. Poi ritornò dov'era Declius e, senza dirgli nulla, come sempre, s'inoltrò nella galleria.
Declius le restò appicciato alle spalle. Mentre procedevano nel buio rischiarato dalla torcia, ricordò le tetre storie di Runar, dei fantasmi, dei non-morti, dei troll di montagna o di qualunque orrenda creatura dimorasse in queste anguste caverne. La luce della torcia illuminò delle travi di legno che s'intervallavano lungo la galleria, la maggior parte marce. Videro alcuni carretti e qualche vena di ferro o acciaio sulle pareti. Alcuni brevi passaggi si aprivano sui lati, rivelando vene esaurite o antiche frane. Avvistarono persino la gabbia toracica, la testa e gli arti superiori di uno scheletro schiacciato sotto un imponente masso. Nella mano, stringeva ancora ciò che restava del manico di un piccone.
"Chissà da quanto tempo è lì?" chiese Declius. "Non hanno avuto nemmeno la decenza di seppellirlo."
La donna non gli rispose.



NOTA: Grazie per aver letto! La storia prosegue nel capitolo successivo.

 

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Capitolo 8
*** VIII. Capitolo ***


VIII



La galleria, che cominciava a rivelare segni di antiche frane sul soffitto e lungo le pareti, si aprì in una grande sala. Quattro imponenti colonne naturali si ergevano al centro, punteggiata tutt'attorno da rialzi rocciosi, erbacce e quello che doveva essere un muro intagliato nella pietra. Aveva disegni elaborati e continuava fino a una massiccia doppia porta fatta con un minerale che Declius non aveva mai visto. Luccicava flebilmente di luce propria. Anche su di essa erano incisi molti strani simboli.
Prima di percorrere quel corridoio, diedero un'occhiata in giro. La donna trovò un baule sopra a una serie di scarpate frastagliate, nascosto dietro una roccia. Questa volta ci aveva visto giusto. Un necromante aveva nascosto lì i suoi averi. Declius vide una piccola cascata venire giù dalla parete rocciosa riversandosi in un piccolo laghetto incastonato tra le rocce.
La donna si diresse nel corridoio e, se l'overliano non si fosse voltato, l'avrebbe persa di vita. Le corse dietro. La donna aprì la massiccia doppia porta argentata, che emise un rumore metallico e gracchiante.
Si trovarono in una sala dalle pareti in pietra perfettamente intagliate. Al centro, c'erano quattro sedie di pietra e altrettanti tavoli, sui cui erano adagiati piatti e libri corrosi dal tempo. Pagine riempite con un sapere immenso, ormai illeggibili, erano stati ammucchiati in un pila. Qualcuno voleva portarseli via. Forse è opera dell'alerian.
Non trovarono altro, se non piccoli cumoli di macerie sul pavimento di pietra perfettamente lavorato. Sul soffitto correvano molte crepe e in alcuni punti si erano staccati grossi pezzi di pietra. Nell'aria avvertirono un odore pungente di putrefazione. Per tutto il tempo in cui era rimasto nella caverna, Declius aveva sentito solo odore di terra e pietra bagnata. Ma ora, questo puzza gli parve in parte sconosciuta, in parte familiare. Ero lo stesso odore di morte del cimitero di Numdas, ma più intenso. Molto più intenso.

Cominciarono a sentire una specie di mormorio, interrotto da uno zampettare frenetico. Lasciata la sala, proseguirono in un corridoio intervallato ai lati da robuste colonne su cui erano incisi vari simboli. Poi Declius scorse un ragno gigante arrampicarsi sulla parete intagliata e raggiungere un intricato soffitto di ragnatele. Si sentì il cuore in gola, mentre la donna ignorò il ragno e continuò a camminare.
Come può essere così tranquilla con quel grosso ragno nei paraggi?
Mentre sentiva l'orrore crescergli dentro, non poteva a fare meno di guardarlo, rapito. Non aveva mai visto un ragno così grosso. Aveva da sempre pensato che non esistessero, invece dovette ricredersi, perché era proprio lì.
La donna aprì un baule argentato vicino a una panca di pietra e prese qualcosa dall'interno.
Declius la vide infilarsi nel borsello delle gemme. "Ehi!" disse, ma la donna lo ignorò. Poi si mise a controllarlo e non trovò nulla. "Per l'occhio di Gianus!"
Quando si voltò, la donna stava varcando la soglia della sala dirimpetto e la raggiunse. La spessa doppia porta si aprì con il solito rumore metallico e gracchiante. Sul pavimento c'era una creatura che Declius non aveva mai veduto. Era alto la metà di un uomo, spalle massicce e pelose, piccole gambe tozze e affilati artigli alle mani. Aveva un poco la gobba, un occhio solo, il naso assai adunco e lungo e denti appuntiti che sporgevano dalla bocca deformata. Era simile a una persona, ma molto più brutta. Tremendamente più brutta.
L'overliano non lo sapeva, ma era un bagarlo, una creatura che viveva nel sottosuolo e si nutriva di ragni e altri abomini simili.
Declius lo toccò con la punta dello stivale. "Indossa un'armatura? O è peluria, questa?" chiese alla donna. "A me sembra un mantello o..." Alla sua destra sentì uno zampettare rapido. Quando si voltò, un ragno gigante balzò a mezz'aria, le fauci aperte. Lo vide per un attimo, poi la creatura fu colpita in pieno dal martello di guerra farenea, che lo scaraventò contro una colonna. Non si mosse più.
Declius sbarrò gli occhi, terrorizzato. Mi voleva mangiare? O forse pensava che gli stavo rubando la cena? "G-Grazie" le disse.
La donna si piegò sul ragno gigante, gli strappò i sei occhi e li posò in un altro borsello. Poi tagliò anche l'occhio del bagarlo.
L'overliano restò a fissarli per un attimo. Era la prima volta che vedeva delle creature tanto ripugnanti, quanto stupende. Una volta aveva visto uno ragno nei dintorni di Numdas, ma era grande quanto un grosso cane, non di più. Quello che vedeva adesso, invece, era alto la metà di un gigante e grosso come quattro carri affiancati.

Si guardo intorno. Notò solo in quel momento di essere dentro a un'ampia sala, che un tempo doveva essere stata una biblioteca. Poco lontano, una leggera foschia rasentava il pavimento. Libri bruciati e rovinati sparsi sul pavimento. Scaffali marcescenti ribaltati al suolo o schiacciati da alcuni detriti. Dozzine di crepe e spaccature correvano lungo la parete lavorata e nel soffitto. Tutt'attorno correvano delle ampie balconate da cui si accedeva tramite una ripida e larga scalinata in fondo alla stanza. C'era un forte odore di pietra e carbone nell'aria. Chi poteva vivere qui? Forse le persone si sono rifugiato davvero qua sotto... Forse le storie sulla Nebbia Verdastra sono vere... Tutto questo è stato costruito dalla gente... Incredibile!
La donna salì la scalinata, seguita da Declius. Percorsero il corridoio sul cui lato della balconata c'erano sedie e tavoli in pietra. Infine arrivarono davanti a una spessa doppia porta argentata già aperta. Superata la soglia, trovarono tre uomini riversi sul pavimento. Erano vicino a ciò che rimaneva di un fuoco da campo spento. Poco distante, due sacchi di viveri andati a male e numerosi sacchi a pelo. La donna si chinò sui cadaveri trafitti da numerose frecce nere. Quando tolse loro gli elmi, scoprì facce rinsecchite. Erano morti da un bel po' di tempo, forse da più di un anno.
La donna e Declius perlustrarono la piccola camera. C'erano sedie, tavoli, letti in pietra e macerie lungo le pareti. Nulla di particolare, finché non avvistarono un enorme buco nel muro. Qualcuno o qualcosa ha scavato un cunicolo. Forse chi lo ha scavato voleva raggiungere gli uomini che erano qui? La posizione dei detriti sembrare indicare ciò.
Alle spalle di Declius, invece, il soffitto era franato e bloccava l'accesso alla sala successiva. Qui trovarono numerose pale, carretti e secchi riempiti di pietre. Forse l'alerian e i suoi mercenari sono stati attaccati. Se è così, allora dove sono finiti? Ci sono solo tre corpi, qui. Gli altri dove sono sono?



NOTA: Grazie per aver letto! La storia prosegue nel capitolo successivo.

 

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Capitolo 9
*** IX. Capitolo ***


IX



Mentre Declius si guardò intorno, la donna si avvicinò al cunicolo. Da lì giungeva un odore pungente, acido, quasi putrescente. L'oscurità era totale. Così la donna lasciò cadere la torcia consumata che teneva in mano, prese una torcia spenta dal muro e l'accese. L'esile fumo scacciò un poco il fastidioso odore, che poco dopo costrinse Declius a coprirsi il naso. La donna non ne sembrava infastidita. Nel frattempo, l'overliano aveva trovato una nota. Era sotto una borsa vuota appartenuta all'alerian. La lesse.

Ho trovato una dimora dell'Era della Nebbia Verdastra. Non credo sia stata saccheggiata e questo è un bene. Forse troverò qualcosa di utile, qualcosa che non è mai stato trovato in altre rovine. Ho già spedito Jurkal con un carico di libri trovati in queste stanze. Altri sono già impilati e pronti per essere spediti. Il mio contatto sborserà una bella cifra per quei libri. Ho bisogno più che mai di dedali se voglio ampliare questo scavo e magari riempire le tasche del capitano delle guardie, così metterà a tacere i minatori una volta per tutte. Quasi dimenticavo, mi serviranno altre braccia per togliere le macerie che bloccano il passaggio nell'altra sala. Sembra che quella sia un'ala separata dal resto delle rovine. Dovrò chiedere a Jurkal altri uomini.

Anche il capo minatore aveva trovato una nota in cui si accennava che l'alienar aveva trovato una dimora, ma Declius non sapeva se era questa o un'altra. Accanto al sacco a pelo, trovò un pugnale verdastro che l'overliano non sapeva fosse in laterium, un minerale raro e resistente quasi quanto la farenea. Sfiorò la fredda lama con un dito, poi lo afferrò e se lo raggirò in mano. Lo prenderò come ricordo. Magari se vale qualcosa, la venderò e mi comprerò una fattoria. Voglio proprio vedere la faccia di mio fratello quando vedrà che sono diventato ricco!
La donna s'incamminò nel cunicolo e Declius, come sempre, le andò appressò.
Salirono in cunicolo che li condusse in una piccola caverna. Ci trovarono due corpi con il busto e il cranio divorati. Impugnavano ancora spada e ascia. Poco distante, sopra a una sporgenza rocciosa, videro tre tende costruite con un viscido e disgustoso materiale.
La donna si mise in guardia e lanciò un'occhiata alle scarpate di terra e roccia che correvano lungo la parete rocciosa. L'erbaccia ci cresceva rigogliosa, nascondendo massi e una orrenda creatura che Declius non parve vedere.
Un'olkroza zampettò rapidamente verso l'overliano, che sbarrò occhi, terrorizzato. Il corpo era simile a una cavalletta, ma molto più grande. Poggiava su sei zampe con due tenaglie affilate al posto degli arti anteriori, tre occhi giallastri e le fauci seghettate. Sul dorso, aveva due lunghi tentacoli la cui parte superiore terminava con un pungiglione ricurvo. Ma prima di arrivarci, la creatura si fermò, allungò il collo e gli sputò uno sostanza acida e appiccicosa, che lo colpì a un braccio. Declius urlò dal dolore e cercò di togliersela di dosso. L'olkroza si lanciò contro di lui, ma il suo esoscheletro venne schiacciato dal pesante martello farenea della donna.
Mentre Declius si tolse di dosso la saliva, scorgendo una bruciatura sull'avambraccio sinistro, due kakroas uscirono dalle tende fatte con il duro esoscheletro di olkroza. Indossavano armature di olkroza e spade affilate di laterium. Erano creature gracili, dalla testa deforme, i denti sporgenti e grandi occhi rosso sangue. Guizzarono la testa in alto, come se stesso fiutando l'aria. Poi balzarono dalla sporgenza e si scagliarono contro la donna, che parò il colpo del primo krakoas e fracassò il cranio al secondo. La creatura rimase per un momento in piedi, poi crollò al suolo. L'altro indietreggiò, disturbato dalle grida di Declius, che si era andato a nascondere dietro una fila di rocce. Poi scattò verso l'overliano che stringeva, tremante, il pugnale di laterium all'altezza del petto. Quando la creatura alzò la spada, la donna lo colpì alla schiena. Il krakoas finì addosso a Declius che, prima di toglierselo di dosso, rimase nauseato dall'alito acre e inorridito dagli occhi rosso sangue.
La donna si voltò e venne colpita da una scarica elettrica, che la fece indietreggiare di due passi. Il krakaos stregone le scagliò altre scintille, ma la donna balzò da sopra la roccia, deviò un'altra setta e lo colpì sul busto, scaraventandolo contro la parete rocciosa. Quando la creatura fece per rialzarsi, stordita, la donna gli spappolò il cranio.
Declius si levò la polvere di dosso e scese dalla roccia.

La donna perlustrò le tende di olkroza, recuperando dedali e amatiste brune. Poi balzò giù dal pendio e recuperò la torcia accesa ai piedi di una roccia. L'overliano la seguì nel cunicolo dirimpetto, barcollando e mantenendosi con una mano al muro.
Uscirono in una grande caverna, che s'incontrava nuovamente dopo sessanta passi con le antiche costruzione umane ai tempi della Nebbia Verdastra. Sugli agli ampi e massici balconi, sopra a una sporgenza, c'era un krokoas seduto sui talloni e cinque tende di alkroza. Un altro krokoas saliva la ripida e larga scalinata e un altro fissava un'alkroza chiuso in un recinto ad angolo. Al balcone di destra, diverse ossa spolpate e corpi nudi a cui mancavano teste, gambe o braccia.
Declius si coprì il naso per non respirare l'insopportabile tanfo che aleggiava nell'aria. Sopra la spessa doppia porta argentata, che si trovava oltre le tende, c'erano i resti di un ragno gigante fatto a pezzi. Una debole foschia rasentava il suolo.
Scesero una rampa rocciosa, che li condusse in uno stretto passaggio tra le imponenti rocce e superarono un arco naturale. Vennero avvolti da una leggera foschia e la donna cominciò a camminare con estrema cautela. Declius le restava appiccicato alle spalle.
Quando uscirono dalla nebbia, l'overliano non vide più il krakoas seduto sui talloni. Si guardò intorno, preoccupato, quando un gettito d'acido gli passò a due dita dalla faccia. Preso dal terrore, alzò il pugnale di laterium pronto a difendersi, anche se con un piede stava già assaporando la fuga.
Un krakoas balzò dalla balconata e menò un fendente alla donna, che riuscì a parare. Gli altri due krakoas si precipitarono verso di loro, seguiti dall'olkroza uscito dal recinto.
Declius si pietrificò, terrorizzato.
La donna sferrò un calcio nel ventre del primo krakoas e parò il colpo del secondo che mirava a recidergli una gamba. Il terzo rimase alle spalle dei suoi simili, muovendosi ai lati. Erano armati di asce di laterium.
La donna continuava a muoversi per non farsi accerchiare. Il secondo e il terzo krakos scattarono in avanti per colpirla, ma la donna deviò il colpo del secondo e sferrò una potente martellata al terzo, che si sollevò da terra per l'impatto. Poi indietreggiò, mentre l'alkroza puntò dritto verso Declius, che invece di affrontarlo, fuggì a gambe levate sulla rampa rocciosa.
La donna parò l'alto fendente del secondo krakoas e gli tirò un calcio all'interno della caviglia, facendolo cadere in avanti. Poi lo colpì sulla nuca.
Il primo krakoas ne approfittò per aggredirla alle spalle, ma la donna roteò su sé stessa e lo centrò in pieno petto con una martellata, lanciandolo a tre passi di distanza.
Mentre Declius si arrampicava sulle rocce, l'olkraza gli sputò l'acido e lo mancò di poco. Poi mise un piede in fallo e scivolò di sotto. Riuscì a mantenersi con una mano a un piccola sporgenza. L'olkroza zampettò verso di lui e, stava per colpirlo con uno dei due pungiglioni, quando la donna gli sferrò una martellata sul dorso, facendogli schizzare sangue violastro dalla bocca. Infine allungò una mano a Declius e lo aiutò a sollevarsi.
"Grazie... di nuovo" disse l'overliano, ma non ebbe risposta.
Quando discesero la rampa, la ferita all'avambraccio cominciò a prudergli e fagli male. Si era creato una specie di pus nella bruciatura e sentiva la testa pesante. Le mani gli erano diventate fredde e avvertiva le vertigini. Poi le gambe cedettero e si ritrovò a terra.
La donna si voltò, fissò l'avambraccio come se si fosse accorta solo adesso della ferita e gli posò una mano poco sopra la ferita. Dalle dita si espanse una luce argentata e l'overliano sentì un formicolio piacevole in tutto il corpo. Il dolore e il mal di testa scomparvero e il pus giallastro sgorgò copioso dalla ferita, che lentamente si rimarginava.
"Sei anche una guaritrice?" chiese Declius, sorpreso.
Nessuna risposta.
Salirono sulla scalinata e diedero un'occhiata ai cadaveri sulla massiccia balconata, accanto a una tenda di olkroza. Erano i venti mercenari dell'alenior. Erano stati ripuliti dalle interiora, che trovarono dentro la recinzione il cui angolo erano puntellato da luccicanti uova di olkroza. Dell'aleniar, nessuna traccia.



NOTA: Grazie per aver letto! La storia prosegue nel capitolo successivo.

 

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Capitolo 10
*** X. Epilogo ***


X



Aprirono la massiccia doppia porta argentata e seguirono un corridoio in pendenza intervallato da alcune colonne su cui erano incisi strani simboli. Poi svoltarono a destra e si trovarono in una piccola anticamera. Qui c'erano due panche di pietra e un Krakoas carbonizzato sotto la soglia dell'altra porta. Non era stato avvolto dalla fiamme, ma carbonizzato all'istante. Sul viso s'intravedeva parte del cranio. Declius lanciò uno sguardo alla donna, che non sembrò preoccuparsi del cadavere.
Entrarono in un ampia sala, limitata ai lati da alte sbarre argentate, che li condusse a un doppio cancello dello stesso tipo. Declius gettò uno sguardo a destra del recinto di sbarre e notò quello che un tempo doveva essere stato un giardino. Al centro, dietro un ampio vaso quadrato perfettamente intagliato nella pietra, c'era della terra al cui interno s'innalzava un alberello essiccato. Tutt'attorno c'erano panche, tavoli, vasi vuoti o di terra, oltre a sparuti cumuli di detriti caduti dal soffitto crepato.
Quando guardò a sinistra, vide solo sedie, tavoli con sopra piatti, forchette, coltelli, brocche e calici argentati, sparsi anche sul pavimento percorso da larghe e lunghe spaccature. Lungo la recinzione di sbarre c'erano degli armadietti dalle ante aperte o ribaltate.
La donna aprì il doppio cancello e si fermarono davanti alla sporgenza di una massiccia balconata. Una larga rampa di pietra a chiocciola saliva per quattro livelli, sostando per un momento in una sporgenza rocciosa. In basso, coperte da una coltre foschia, una ventina di piccole case di pietra dal tetto piatto, quasi tutte distrutte dal soffitto franato. Poco a lato, un piccolo lago sotterraneo. Tutto l'ambiente era illuminato da luci azzurrognole racchiuse in lanterne poste su basse colonne. I fuochi perpetui... Le storie sono vere. Esistono! La Prima Magia della terra!
Scesero a controllare gli abitati in rovina. Trovarono spade, elmi e bauli al cui interno c'erano dedali, pozioni, libri dalle pagine sbiadite e pergamene magiche. Ogni casa era simile all'altra, eccetto per una che si ergeva solitaria su una piccola altura ed era più grande. Un grosso masso ci era caduto sopra e solo una sezione di muro restava ancora in piedi. Qui trovarono solo libri rovinati e una rastrelliera vuota.
Salirono la rampa a chiocciola, finché si fermarono sulla sporgenza rocciosa. L'alenior giaceva di spalle contro un basso muretto, la pelle scarnificata, i vestiti laceri e un pugnale d'acciaio in una mano. Poco distante dal corpo scheletrico, Declius vide una nota macchiata di sangue rappreso, ma l'inchiostro non era ancora sbiadito. La lesse.

Ho trovato un vero tesoro. Ci sono enormi quantità di antichi manufatti nelle abitazioni sottostanti. Ho detto ai miei uomini di recuperarli. Jurkal si occuperà di venderli al mio contatto quando ritornerà. Non immagino cosa troverò una volta che avremo tolto le macerie che bloccano il passaggio nell'altra ala delle rovine.
Però, c'è una cosa che mi preoccupa. Prima di giungere qui, abbiamo visto delle tende costruite con uno strano materiale. Credo sia olkroza. Se ciò che penso sia vero, nei dintorni devono esserci dei krakoas. Devo allertare i miei uomini. Ci sarà da combattere e farei meglio a ingaggiare altri mercenari se voglio mantenere il controllo di questa rovina. Credo che una ventina possano bastare, anche perché non ho molti dedali da parte. Per nostra fortuna non abbiamo ancora incontrato nessuna di quelle creature, ma non vuol dire che non ci siano. C'è sempre traccia di quegli abomini in queste rovine. Sento il loro tanfo nell'aria. Sono vicine, ma non riesco a vederli.


Dall'altra parte della sporgenza, c'erano altri libri, pergamene magiche, coltelli, spade, asce e martelli di laterium. Tutto quel bottino avrebbe reso ricco chiunque, forse più di Jajadoh, imperatore delle steppe orientali.
Oltre quel ghiotto bottino, c'era anche un imponente creatura alta otto piedi e costruito col laterium e il fuoco perpetuo, che l'overliano non sapeva essere il pretor mastios. Dava le massicce spalle al muro. Undici krakoas erano ai suoi piedi, in gran parte carbonizzati o schiacciati.
La donna si avvicinò con cautela, mentre Declius non capiva perché fosse così sospetta. Quando gli arrivarono vicini, gli occhi dell'automa si accesero di una luce bluastra e si voltò lentamente. Quando cominciò a camminare, il terreno cominciò a vibrare sotto i suoi piedi.
Declius si paralizzò, come sempre.
Il pretor mastios gli andò incontro con un'andatura goffa, quasi traballante. La donna gli schiantò il martello di guerra farenea alle ginocchia, ma quello non accusò il colpo. Anzi, le sferrò un pugno, che lei riuscì a scansare a fatica. Poi scattò alle spalle del pretor mastios e iniziò a tartassarlo di colpi, che echeggiavano tra le pareti rocciose. L'automa provò a voltarsi per colpirla, ma la donna era troppo rapida. Così si lanciò verso Declius, che se ne stava immobile a fissarlo, le gambe tremanti. Si arrestò a sei passi di distanza, sollevò il petto e, quando fece per colpirlo con un getto di fuoco perpetuo, la donna balzò in aria e gli staccò la testa con una secca martellata. Il fuoco perpetuo, che risiedeva all'interno, ne fuoriuscì come un fuoco fatuo e svanì nell'aria.
L'overliano era rimasto immobile e fissava l'automa riverso sul pavimento. Cos'era quella cosa? Come faceva a muoversi? Sembrava una statua. E cos'era quella cosa che gli è uscito dalla testa?
La donna si piegò sull'automa e gli prese qualcosa, che l'overliano non vide. Poi si alzò e si diresse verso un arco di pietra al cui centro c'era una leva e poco lontano una piattaforma rettangolare. Prima di andare, Declius diede un ultimo sguardo al viso inespressivo del pretor mastios e non riuscì a capire se fosse stato una creatura vivente o qualcos'altro. Sapeva che nelle isole del teschio, c'erano stregoni che sapevano creare golem, ma questo non gli assomigliava per niente.
La donna tirò la leva e, con un sbuffo, la piattaforma sotto i loro piedi tremò per un istante e cominciò a salire. L'overliano non poteva credere ai suoi occhi. Qualcosa li stava spingendo in alto. Non aveva mai visto una cosa del genere. Pensava che fosse una magia antica, invece era un antico sistema costruttivo andato perso nei secoli di cui l'overliano ignorava ogni particolare. Quella piattaforma serviva a mandare gli uomini in superficie quando la Nebbia Verdastra stava iniziando a scomparire, cosa gli aveva ripetuto Runar nelle sue numerose storie, ma lui non lo rammentava.

L'ascensore li condusse in superficie e si trovarono alla fine di un lungo canalone nella montagna. Furono accolti dal bagliore delle tre lune che splendevano nel firmamento tempestato di stelle e da una nebulosa. Una piacevole ebrezza gelida sfiorò i loro viso e Declius sentì i polmoni gonfiarsi d'aria fresca. Finalmente non respirava più il tanfo insopportabile originato dagli umori dei krakaos e degli olkroza, che per tutto il tempo gli avevano oppresso i polmoni e lo stomaco.
Quando guardò la donna, gli venne in mente la luce argentata che le era uscita dalla mano e si guardò l'avambraccio guarito. "Come hai fatto a guarirmi?" chiese, pur sapendo che non le avrebbe risposto. "Sei una guaritrice, vero?"
Come si aspettava, nessuna risposta.
Presero a scendere il canalone puntellato da rocce e arbusti arancioni. Voleva saperne di più sull'arte guaritrice. Runar gli aveva raccontato qualcosa di simile tempo fa, ma era troppo occupato a guardare la scollatura della cameriera della locanda per ascoltarlo.
Cominciò a credere che la donna fosse in realtà una potente strega, anche se non ne aveva l'aspetto. Aveva visto più volte delle Nurliane, streghe potenti che avevano perso ogni traccia di umanità, e lei non era per niente simile a loro. Anzi, lo aveva aiutato moltissime volte. E poi era una guerriera, quella donna. Una guerriera che conosceva l'arte guaritrice.
Quando uscirono dal canalone e salirono un breve pendio, Declius la guardò. "Hai studiato a Hurmelad? So che in quel luogo studiano la magia. Runar mi ha raccontato di quel posto. Non è facile entrare in quella accademia. Chi entra deve già avere dimestichezza con la magia o dev'essere nato con abbastanza magia in corpo o qualcosa di simile, non ricordo."
Nessuna risposta.
Superarono un albero dalle foglie arancioni e serpeggiarono in una lunga fessura nella roccia. "Runar dice che il cimitero di Numdas è impregnato di una magia antica, che Jantis ha benedetto quel luogo. Quando gli chiedo perché Jantis non può rendere quella terra meno tetra di quanto sia, mi risponde che Jantis la desidera così e che nessuno può sapere cosa si cela nella mente di un Dio. Allora come fa a dire che la desidera così? E forse capace di entrare nella mente di Jantis? Di un Dio?"
Nessuna reazione da parte della donna.
"I Divini sono imperscrutabili per noi mortali, dice" continuò Declius, senza far caso alla donna. "Eppure io credo che non sia così. I sacerdoti vogliono sempre complicare tutto. Trovare misteri laddove non ce ne sono, avere fede nell'impossibile e così via. Le cose sono così come sono. Perché un Dio dovrebbe averci a cuore? Perché dovrebbe interessarsi a noi mortali? Proprio non lo capisco."
Arrivarono davanti a una scarpata frastagliata che correva lungo un ruscello e bevettero un poco. Poi lo fiancheggiarono per un lungo momento, finché Declius tornò a parlare. "Prendi Numdas, il villaggio da cui provengo. È sempre stato un luogo tetro da quel che rammento. Perché Jantis benedirebbe un luogo del genere, famoso solo per il suo grande cimitero antico? Perché non benedice una cascata? Un boschetto? O qualcos'altro?"
La donna continuò a ignorarlo.
Scesero un lungo pendio e si ritrovarono su un sentiero sterrato. Mentre camminavano, i fitti cespugli e gli alti pini cominciarono ad apparire tutt'attorno. Un coniglio saltellò fuori da un buco nella terra e fuggì al loro passaggio.
"Posso chiederti una cosa?" chiese l'overliano.
Nessuna risposta.
Si morse il labbro, sperando che quella domanda non la facesse infuriare. "Sei una strega? Una Nurliana?" Socchiuse gli occhi, credendo di ricevere da un momento all'altro una martellata in testa, ma la donna lo ignorò, come sempre.
Declius rimase a guardarla camminare nella sua armatura farenea. Poi le andò dietro, pensando che un muro sarebbe stato più loquace.



NOTA: Grazie mille per aver letto l'intera storia! Spero ti sia piaciuta! 

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