To me, she's the sun

di Nat_Matryoshka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fare l'amore in segreto [Eivor/Soma] ***
Capitolo 2: *** Indizi [Eivor/Randvi] ***
Capitolo 3: *** Estate [Eivor/Ivarr] ***
Capitolo 4: *** Longanimity [Eivor/Randvi] ***
Capitolo 5: *** Notte stellata [Eivor/Valka] ***
Capitolo 6: *** Spalle [Eivor/OC] ***



Capitolo 1
*** Fare l'amore in segreto [Eivor/Soma] ***



To me, she's the sun 






62. Fare l’amore in segreto
 
 


Non si è mai nascosta la bocca con la mano quando si parlava di sesso.

Non ha mai avuto bisogno di farlo: Sigurd, i suoi amici – la sua famiglia – non le hanno mai trasmesso l’idea che nel suo modo di amare ci fosse qualcosa di sbagliato. Non ha mai nascosto loro le sue avventure, perché sapeva che non l’avrebbero mai giudicata. La amano per quella che è, irruenta e splendente, una persona capace di donare se stessa con la stessa forza con cui scende in battaglia, e lei ricambia il loro amore offrendo ogni parte dei suoi sentimenti, senza nascondersi ai loro occhi.

Ma con Soma è diverso.

Soma è forte come una corazza di ferro e fragile come lo stelo di un fiore appena nato. È riservata, e ha paura del momento esatto in cui le sue difese crolleranno, anche se significasse lasciarle cadere tra le braccia di una creatura amica, anche se una parte di sé desidera capitolare con tutte le sue forze. L’ha guardata mordersi le labbra mentre le riferiva gli indizi sul tradimento di Galinn, l’ha vista recuperare in fretta il contegno e comportarsi come la jarl che tutti si aspettavano fosse. Ma quella sera, dopo il banchetto, dopo l’ultima impresa, nessuno può vederla. Nessuno può giudicarla, e forse è proprio quella solitudine ad offrirle la forza necessaria ad arrendersi.

È sempre delicata, ma con Soma deve esserlo ancora di più. Perché un gesto sbagliato spezzerebbe quell’incantesimo, la riporterebbe dritta ad una realtà in cui non lei le ha mai afferrato la mano come poco prima, come a darle il permesso, come a implorarla disperatamente di accettare. Una guerriera come lei, una governante giusta e severa, e gentile, che la guarda negli occhi con le labbra che tremano appena, mentre la notte scorre attorno a loro e nei cuori dei suoi uomini si è accesa una nuova speranza. La donna a cui ha giurato di offrire aiuto e consiglio in qualunque momento, e che le ha offerto la sua armata intera. Soma, la sua jarl, Soma che è distesa accanto a lei e aspetta che qualcosa accada, che socchiude gli occhi cercando le sue labbra, che corre verso i lacci del suo abito come Eivor ha slacciato i suoi, con un’urgenza di cui le ha già dato prova, ma non in quel contesto. Sorride. Non ha mai nascosto i suoi amori, eppure è grata che abbiano avuto la stessa idea di allontanarsi dai festeggiamenti per tornare agli appartamenti di Soma, dove nessuno potrà raggiungerle, neanche volendo.

La sua pelle è calda nonostante il freddo della notte che si avvicina. Le accarezza le labbra, indugiando sulla linea del viso, sulla cicatrice che le segna la guancia destra. Soma non freme, non abbassa gli occhi: la guarda ancora, come a volerla rassicurare sulla solidità della decisione appena presa. Ed Eivor sorride, perché se c’è qualcosa che ha imparato in quei giorni trascorsi accanto a lei, è proprio quanto forti e incrollabili siano le sue promesse. Le sta offrendo qualcosa senza voltarsi indietro, con l’irruenza della guerriera che è, e la calma della jarl che è diventata.

Di nascosto dai suoi uomini, dai suoi consiglieri. Da Birna. Forse persino da sé stessa.

La abbraccia, sfiorando la sua pelle nuda, il seno che preme contro il suo petto spedendole un brivido lungo la spina dorsale. Le sfugge un sospiro, così lieve che per un attimo si chiede se l’abbia sentito davvero, ma Eivor non parla: quella notte è destinata a durare troppo poco. Meglio conservare il tempo per tenerne i dettagli a mente, per impegnarsi ad amarla come merita. Perché Soma non è un’amante clandestina di cui ricordare il nome con malinconia, come un qualcosa di bello finito troppo presto, no: è una guerriera come lei, una compagna d’armi, un capo che rispetta profondamente e a cui ha donato il proprio scudo senza esitazione, con il ginocchio a terra e gli occhi pieni di comprensione. È un’amante e, spera, anche un’amica. Una creatura che vorrebbe conoscere ancora meglio, ora che già ne conosce i sospiri e il calore della schiena nuda. Soma è solo Soma, e lei ha l’onore di poterla stringere tra le braccia, quella notte, come se fosse solo sua.

Un’illusione.

Eivor sorride, scaccia quel pensiero con un gesto impercettibile del dito. Le prende il viso tra le mani per baciarla, e quando la sente schiudere le labbra per accoglierla si concede il lusso di sentirsi felice.

La notte scorre attorno a loro senza fermarsi, la folla si accalca nella casa lunga mentre gli uomini parlano e fanno progetti, ma le loro voci non arrivano fin lì. Le mani di Eivor scivolano sui suoi fianchi, cercano il suo calore mentre la stringe accogliendola sul letto, tra le pellicce e le coperte, tra le sue gambe tiepide e coperte dei segni di tante battaglie che passano sotto i suoi polpastrelli, uno dopo l’altro. Soma la bacia ancora, stavolta con una traccia di quella forza che le ha visto sfoggiare sul campo, con la foga e la passione con cui hanno lottato e cavalcato fino a quel momento, con la paura di perdere anche solo un attimo e il desiderio di farli durare un’eternità, anche a costo di sfidare ogni legge della natura. Lascia che Eivor si faccia spazio tra le sue gambe, ma non senza toccarla a sua volta. La implora di non tirarsi indietro, e lei è più che felice di dimostrarglielo.

La notte trascorre senza fare sconti a nessuno, dipanando i suoi fili come una matassa ordinata, ed è inutile cercare di trattenerla. Di quel momento a entrambe resteranno solo immagini, sussurri e movimenti amplificati dal silenzio. La pelle di Soma contro la sua, calda e umida, i suoi respiri affannati mentre la accarezza sul seno, tra le cosce, i loro gemiti che si uniscono. Soma che le prende la mano, se la porta alle labbra e poi la appoggia sul cuore, dove resta mentre Eivor cerca l’altra e la stringe nella sua. I loro sguardi si incrociano ed è Eivor ad abbassarlo per prima, cercando di nuovo le sue labbra per chiuderle in un altro bacio, disordinato e famelico. I loro corpi si intrecciano come se fossero nati per incontrarsi, quasi conservassero una memoria antica che li spinge a cercarsi continuamente, inesorabilmente, non importa quanto lontane possano essere state. E quando Soma raggiunge l’apice sotto alle sue dita, mentre stringe la sua mano liberando un gemito che le strappa il fiato dai polmoni e la scuote nel profondo, solo allora si rende davvero conto di cosa porterà con sé quella notte.
La avvolge tra le braccia, accogliendola accanto a sé per non perdere nemmeno una traccia del suo calore. Soma le appoggia la testa sulla spalla e si lascia andare ad un sospiro, più lieve e tremante, che resta sospeso tra loro prima di perdersi nell’oscurità della stanza, interrotta solo dalla luce delle candele.
“Grazie, Eivor.”

Lei le prende la mano che prima ha posato sul suo cuore e la bacia piano, un dito dopo l’altro.
 







________

Se queste storie esistono è merito di Ailisea, e della passione con cui ha giocato ogni singolo capitolo di AC, finendo per far appassionare anche me. Valhalla mi è entrato nel cuore in modo particolare, e dopo aver incontrato la mia adorata Soma (Ubisoft, perché non ci hai dato la romance......) ho sentito di dover scrivere qualcosa che la legasse a Eivor, anche solo una piccola storia breve come questa. 
I prompt, invece, sono nati dalla fantasia della challenge estiva "Our Summer - If we're together, feel like summer" organizzata dal forum La Torre di Carta. Putroppo non sono riuscita a partecipare, ma l'ispirazione che mi hanno dato è servita a costruire le storie, e già questo mi ha reso felice 


Grazie per aver letto fin qui! 

Fede 
 

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Capitolo 2
*** Indizi [Eivor/Randvi] ***


63. Comportamenti strani, indizi da scovare
 

“And I was making you a wish,
in every skyline.”
 


Ogni volta che posa gli occhi su di lei, sogna cosa potrebbero essere. Ma non deve, non può, e più si rimprovera per essersi lasciata scappare quei pensieri, più la bocca si riempie di un sapore amaro che non riesce a mandare via.

Eivor è tutto ciò che ha sempre desiderato. È una consapevolezza maturata lentamente, che il dubbio ha iniziato a seminare nel suo cuore già pochi anni dopo il matrimonio, quando tra tutte le responsabilità e i doveri che le avevano messo in testa restava comunque posto per le fantasie sul suo futuro. Le più innocenti, delicate: vorrei essere amata. Vorrei che mio marito fosse davvero felice con me, che nelle sue preghiere ci fosse un ringraziamento per avermi come moglie. Vorrei che mi lasciasse diventare la guerriera che ho sempre desiderato essere. Fantasie che non facevano male a nessuno, se non a se stessa.

Tante ragazzine di nobili natali sognavano un matrimonio pieno di fasti, lei lo aveva avuto, per quanto avrebbe preferito non sposarsi. Poteva comunque ritenersi fortunata. E Sigurd era bello e gentile, non dimenticava mai di baciarla su entrambe le guance quando tornava dai suoi viaggi, ma quei ritorni a casa duravano poco. La sera prima si stendeva accanto a lei, troppo ubriaco per pensare anche solo di sfiorarla, e la mattina dopo era già partito. E quando percorreva il villaggio, quando si avvicinava al tavolo di guerra per sistemare le mappe e pianificare le strategie da adottare, era Eivor ad aiutarla, a tirarla su di morale. Eivor c’era sempre, solida come una roccia, bella come il sole dell’alba dopo una notte trascorsa a piangere.

La faceva sentire finalmente amata: un calore gentile, quieto, che la riscaldava da capo a piedi. Una sensazione che non aveva mai provato con suo marito, ma forse perché era lei il problema. Lei e quelle sue fantasie sciocche, infantili, che i libri fomentavano e che aveva lasciato crescere senza tregua, sperando che si trasformassero in realtà, prima o poi, e a cui aveva permesso di prendere il volto di una donna gentile. Forse la vita coniugale era un arazzo tessuto dal tempo, giorno dopo giorno, con la fedeltà e la somma dei giorni come trama e ordito. La vicinanza di Eivor era un toccasana che leniva il suo cuore, nulla di più.  
Finché Sigurd non tornava e la casa lunga si animava di nuovo per accoglierlo, e ogni sguardo degli uomini e delle donne dell’insediamento era per lui. Lei prendeva posto accanto al marito, rideva alzando il corno per rispondere ai brindisi in suo onore, ma quando incrociava lo sguardo di Eivor sentiva sulla pelle il peso del nastro con cui avevano unito le loro mani, anni prima.

Eivor era sempre lì. Gentile, paziente. Presente.
E lei non avrebbe mai potuto averla per sé.

Nascondi il sentimento nelle attenzioni, è il modo migliore per comunicarle qualcosa senza tradirti. Si era imposta quella regola fin dall’inizio e l’aveva seguita scrupolosamente, senza mai lasciarsi andare. Un solo sguardo durante il banchetto, due al massimo, aspetta che sia lei che Sigurd abbiano abbassato gli occhi per lanciargliene un altro. Non precipitarti a cercarla quando lui sarà partito, qualche giorno di attesa renderà i tuoi incontri meno sospetti. Se ti fermi a parlare con lei quando non è da sola, sii sbrigativa. Non fermarti ad osservarla, non sospirare. Ricorda sempre chi è. Ricorda qual è il tuo posto.  

Sa benissimo che nessuno sospetterebbe nulla: Eivor è sua cognata, e la sua migliore amica. Il fatto che nei sorrisi che le rivolge ci sia altro, che in quel tipo di sogni le sue mani sostituiscano ormai quelle di suo marito, probabilmente è invisibile ad un occhio esterno. Una consapevolezza che, invece di sollevarla, le rende la bocca ancora più amara.

Così, ha imparato a nascondere indizi. Se sulle prime lo faceva per dimostrarle affetto e cercare in lei una compagnia che rendesse meno lunghe le giornate di solitudine, col tempo è diventata una necessità: quell’arazzo intessuto dal tempo ha cambiato immagine, e non è stata la fedeltà a ricamarlo. Dopo le prime risate, le confidenze che le ha lasciato quasi distrattamente, tra loro si è creato qualcosa di nuovo e incredibilmente fragile, qualcosa che desidera con tutte le sue forze nonostante continui a ripetersi quanto sia sbagliato. Perché quel rapporto non somiglia a ciò per cui l’avevano preparata, ma ciò che vive ogni giorno è molto più bello, più concreto di qualunque sogno. Ed Eivor merita ogni singolo sorriso a distanza, ogni premura nascosta. Messaggi innocenti lasciati nel suo baule, parole gentili e ringraziamenti generici a cui cerca di infondere un po’di calore in più, sperando che capisca. Che metta insieme gli indizi, l’uno dopo l’altro, come fili sul retro di un ricamo complesso, come tracce nel bosco.

Fino a quel momento, continuerà a farsi bastare i sogni.
Si infilerà sotto le coperte accanto a Sigurd e la immaginerà su di lei, così bella e gentile, così forte. Chiuderà gli occhi, e farà finta che le sue dita siano quelle lunghe e ruvide di Eivor, per quanto diverse al tatto possano apparire. Le immaginerà tra le sue gambe, sul collo, un polpastrello che le sfiora le labbra e le schiude appena, bloccato dal timore di compiere un passo falso, e si immaginerà annuire: va’ avanti. Eivor ha bisogno di essere incoraggiata, cerca parole lievi sussurrate all’orecchio nel silenzio della sala delle mappe ormai vuota. Eivor la toccherebbe con una dolcezza che la farebbe piangere, ne è sicura, e per un attimo sente le dita tremare.
Terrà tutto dentro di sé, al sicuro. Fino a quando non potrà più nascondersi, e le confesserà tutto. E l’incanto si spezzerà al suo rifiuto, o forse no.

Finché non guarda Eivor distesa su di lei, la testa sul suo petto, il respiro reso lieve e regolare dal sonno che alla fine l’ha raggiunta. Russa appena, come un orso ferito, e la sua pelle nuda la scalda più del mantello che ha steso su di loro. La protegge dalla notte e dal mondo, anche se nessuno sguardo potrebbe raggiungerle lassù. Solo la luna, e quel senso di colpa che non ha rinunciato a farsi strada, che minaccia di prenderla alla gola, come una belva feroce.

Eppure non si è mai sentita così libera.






__________

Voglio bene a Randvi, e la scena finale con Eivor mi ha resa felice all'inverosimile. Questa che avete appena letto è un omaggio senza pretese al loro rapporto, ma spero davvero che l'ispirazione mi assista per scrivere altro su di loro.
La citazione sotto il prompt è una strofa di How Big, How Blue, How Beautiful di Florence Welch. 

 

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Capitolo 3
*** Estate [Eivor/Ivarr] ***


47. “L’estate è quel momento in cui fa troppo caldo per fare quelle cose
 per cui faceva troppo freddo d’inverno”
(Mark Twain)
 





La prima volta la attribuisce all’alcool. O ad un errore, che è più o meno lo stesso.

Le mani di Ivarr le scivolano addosso senza che quasi se ne accorga, e la risata che le sgorga dalla gola copre i suoni del banchetto che si affievoliscono in lontananza. È secca, incurante del resto. Accompagna i loro respiri spezzati, la aiuta a continuare senza pensare a nulla se non alla bocca di Ivarr sulla sua, a quelle dita sottili e scattanti che frugano, accarezzano, spostano stoffa e graffiano pelle. E un attimo dopo sono a terra, e un’eternità dopo è di nuovo da sola, tra tre mura di legno che la mattina dopo riconosce come una stalla, la bocca impregnata di idromele e i pensieri sparsi in giro, armi su un campo di battaglia abbandonato.

L’alcool porta agli errori e gli errori hanno l’odore dell’alcool, ma quando cavalca accanto a lui e lo ascolta raccontare, qualche giorno dopo, gli scarsi ricordi della notte non le lasciano addosso l’imbarazzo che temeva.
Ivarr il Senza Ossa le racconta storie di battaglie che non ha mai vissuto, e per quanto sia impossibile pianificare delle strategie e fargliele rispettare, o spegnere la sua sete di violenza in occasioni in cui si rivela solamente dannosa, la sua compagnia aggiunge sempre qualcosa alle giornate. È come vivere la storia attraverso il corpo di chi l’ha sperimentata in prima persona; le sue mani si muovono rapide anche mentre cavalca, creano figure in aria cercando di tenere il passo delle parole. È irruento, sempre pronto a distogliere l’attenzione da ciò che sta facendo per rivolgerla altrove, ma quella sua irrequietezza ha qualcosa di magnetico: più volte si è sentita come se non riuscisse a togliergli gli occhi di dosso. Una bussola che non punta al Nord, ma a qualcosa che non riesce ancora a comprendere. Sa solo che, in breve tempo, non riesce più a farne a meno.

La seconda volta potrebbe ancora attribuirla all’alcool, se non altro perché è preceduta da un banchetto.

Il morale è alto, i boccali e i corni vengono svuotati e riempiti nuovamente nel giro di pochi minuti. Anche Ceolbert ha bevuto, e con le guance paonazze continua a ridere e a cantare a squarciagola, ricevendo grandi pacche sulle spalle da chi gli sta accanto. Una gioia contagiosa che, invece di annebbiare i pensieri, li rende stranamente più vividi, ma non tanto da portarla ad un ripensamento finale, quando sono soli e le bevute proseguono senza di loro. Non abbastanza da impedirle di stringere le braccia attorno alle spalle segnate di Ivarr, di cercare di nuovo il punto in cui la sua armatura si apre per sfilargliela di dosso.

Ivarr consuma, divora tutto ciò che lo circonda, e se anche sapesse come spegnere quella fiamma, non metterebbe a frutto quella conoscenza. Le sue labbra mordono la pelle tenera tra il collo e l’orecchio, le dita afferrano, sfiorano, si impadroniscono del suo corpo come farebbero con un terreno inesplorato. Si lascia sfuggire un gemito solo ogni tanto, ed è molto più simile alla sua risata secca e netta di qualche tempo prima che al sospiro di un’amante. Forse il loro linguaggio è diventato simile da quando hanno trascorso più tempo insieme, riflette Eivor, o forse in fondo hanno lo stesso modo di concepire quelle avventure. In ogni caso, l’imbarazzo non riesce a ricavarsi un posto nel suo cuore, neppure dopo aver trascorso la notte a terra, su un letto di fortuna che probabilmente ha già fatto da testimone a innumerevoli storie di quel genere.
Forse è perché non pensa più di aver commesso un errore. La sua vita è stata costellata da sbagli e ripensamenti, ma afferrarlo per le spalle e baciarlo con tutta la foga che sente in corpo non è mai stato tra quelli.

Il giorno successivo trascorre come nulla sia accaduto. Ivarr cavalca, racconta, la chiama Morso di Lupo come sempre, e lei non prova nemmeno a cercare un’inflessione differente nel modo in cui pronuncia quel nome, perché è complicato e qualunque parola lasci le sue labbra un secondo dopo già assumerebbe un significato differente. Ha rinunciato a cercare di sbrogliare il mistero di Ivarr il Senza Ossa, Ivar il Figlio di Ragnar che porta lo stesso nome che le leggende gli assegnano, ma che non somiglia a nessuna di loro.

E intanto l’estate trascorre nel tepore dei giorni che si allungano fino ad accorciarsi ancora, e la terza volta arriva mentre tutto si prepara per le trattative con Rhodri.

Se anche Ivarr le sembra sovraeccitato all’idea di rivedere l’uomo che gli ha procurato quella cicatrice, sceglie di non dargli peso, ed è quello l’errore che maledirà più di ogni altro. Più agitato che mai, sembra preda di demoni che solo lui riesce a vedere, ma che lo accompagnano ovunque. Nemmeno la presenza di Ceolbert sembra calmarlo, né la promessa di andare a caccia insieme o la prospettiva dell’ennesima bevuta in compagnia: è solo con se stesso pur camminando in mezzo a loro, una lontananza che Eivor riesce a spiegarsi solo con la sua irresistibile capacità di immaginare i piani e di disfarli qualche minuto prima che possano essere messi in atto. E quando quella notte cerca di nuovo la sua bocca, lo fa con una foga eccessiva anche per lui. Dimentica il caldo della notte estiva che serpeggia intorno a loro, il fatto che qualcuno potrebbe vederli perché la loro scorta di fortuna non durerà per sempre: tutto svanisce sul corpo di Eivor, pensieri e parole, persino – forse, lo spera – il caos che gli riempie la mente, velocizzando ogni azione. E quando tutto finisce, e le resta un brandello di tempo per passargli le dita tra i capelli e sulla pelle martoriata del viso, si ritrova a sperare che quei demoni siano spariti. O almeno, che lo lascino stare per un po’.
Quasi lo prega, stringendo gli occhi, contro la voce che le dà della stupida: come può farsi benedire dalla calma chi è naturalmente portato al caos?

Qualche ora dopo, stringe la mano di Ceolbert tra le sue, cercando di fargli coraggio mentre lo riporta sulle spalle all’accampamento, il corpo lieve come un pupazzo riempito di segatura. E quando Ivarr le rivela quello che ha fatto, quando lo affronta sulla cima della montagna accanto al corpo appeso come un trofeo di quello che una volta era Rhodri, capisce che il suo è stato solo un augurio, sorretto da speranze fragili quanto un velo di ghiaccio. Inutile, destinato al fallimento prima ancora di prendere consistenza.

Le si avvicina ancora una volta, ma non come desidererebbe: è una brutta parodia delle notti che hanno vissuto, brutta e crudele. Lo colpisce perché non saprebbe in che altro modo fermarlo, perché in fondo è solo l’ennesimo modo di dargli quello che vuole, anche se in questo caso le volontà non coincidono. Vorrebbe urlargli che non è giusto, che avrebbe potuto rinunciare a quello che è e trovare una via, abbracciare il presente dimenticando il passato dopo tutto quello che è stato, ma la ascolterebbe davvero? Avrebbe senso cercare di spezzare una catena che ha già iniziato a stringersi attorno alla sua vita, per il solo desiderio di voler fare la differenza?

La loro holmgang consuma il tempo, divora lo spazio e le restituisce un corpo che ride fissando il cielo, senza più posare lo sguardo su di lei. La vendetta è compiuta. E a lei non resta altro che appoggiargli l’ascia sul petto e guardarlo accogliere il suo destino, socchiudere gli occhi in attesa di quel regno di gloria che ha cercato fino all’ultimo, dimenticando tutto il resto.

Lei compresa.





___________

Se questa storia esiste è merito di Ailisea, che mi ha trascinato nel limbo della Ivarr/Eivor e per prima mi ha dato la scintilla di ispirazione necessaria a scrivere su questi due. Generalmente sarei più propensa a immnaginare fix-it fics per eliminare qualunque infelicità e finale tragico ai personaggi che ho apprezzato, ma la raccolta è tutta fedele al canone ed era tanto che non scrivevo angst, per cui.....
Alla fine mi sono accorta di aver seguito poco o nulla il prompt, ma pazienza. Spero possa piacervi comunque!

Grazie a chiunque si sia soffermato a leggere sia questo capitolo che i precedenti :) 
Fede

 

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Capitolo 4
*** Longanimity [Eivor/Randvi] ***


» Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it
» Prompt: Longanimity (lista pumpWORD)
» N° parole: 698 
 

Longanimity 
“Nome: costante atteggiamento di generosa indulgenza o di sopportazione”
 


“A volte pensiamo di non essere abbastanza forti per quello che ci accade…”

Si gira verso Randvi, gli occhi ancora impregnati di sonno: lei è lì, come ogni mattina, la sua figura coperta per metà dalle pellicce. Aspetta che si giri anche lei e le rivolga il suo splendido sguardo, quegli occhi celesti che può finalmente ammirare senza paura di essere vista da qualcuno che potrebbe riferirlo a suo fratello. Chissà chi tra gli Dei deve aver deciso che le loro strade si incontrassero, pensa ogni tanto. Chi ha mosso i fili delle loro esistenze perché un giorno decidesse di portarla con sé per una cavalcata nel Grantebridgescire, e accettasse il suo bacio su quella torre a metà tra l’acqua e la terra.

Randvi si volta e sposta una mano dove può accarezzarla, nello spazio caldo tra i loro corpi. Eivor la copre con la sua, sfiorandole le nocche con la punta del dito. Come ha fatto a vivere tutti quegli anni senza guardarla così, ogni mattina? Così abbandonata, così fiera e splendida, nuda e forte e delicata come non lo è mai stata in sua presenza?

“E poi andiamo avanti comunque. In qualche modo, succede e basta,” sospira, appoggiandole la testa sulla mano per poterla guardare da sotto in su, cogliere il suo sorriso proprio mentre nasce. Quando l’ha baciata per la prima volta, le è sembrato di prendere una boccata d’aria dopo un’eternità in apnea: tutto era diverso, nulla era cambiato. Non all’esterno, almeno. Erano libere ma solo tra quelle mura diroccate, se avessero osato portare qualcosa di quel pomeriggio a casa le cose si sarebbero messe male per entrambe… e Randvi lo sapeva. Randvi l’ha sempre saputo. Le cose che sopportiamo per amore della quotidianità.

Finché l’equilibrio non si spezza del tutto, e qualcosa viene fuori. A forza, gridando per liberarsi.

“Tu sei più forte di ogni cosa, Eivor. L’ho sempre pensato.”

Randvi si avvicina a lei, si fa spazio perché le permetta di appoggiarle la testa sul petto. Il suo corpo è caldo, ancora intorpidito, i muscoli ben definiti che le sfiorano la carne nuda. Un brivido delizioso la attraversa da capo a piedi. Quando fanno l’amore la tocca con devozione, accarezza ogni millimetro della sua pelle con la stessa attenzione, senza dimenticarne nessuno. È una quotidianità fatta di gesti, un regalo che mai avrebbe pensato di meritare. Le sorride, abbassando lo sguardo, ma dentro di sé è grata di quella fiducia.

“Non ho fatto nulla di speciale. Ho solo… impedito agli eventi di avere la meglio su di me. Con una certa testardaggine, aggiungerei.”
“Non è solo quello,” la rimprovera lei, sfiorandole il petto con la punta del dito. Proprio lì, dove la sera prima ha appoggiato le labbra, quel tanto che bastava a raccogliere un gemito. “Hai superato tante di quelle cose. Quello che ti ha fatto Sigurd, e Dag, e la guerra… chiunque avrebbe finito col perdere sé stesso, ma non tu. Ed è per questo che tutti ti amiamo.”

Mentre abbassa la testa verso la sua e la bacia ancora, riflette su quanto sia vero. Sigurd che le gridava contro, accusandola di volergli usurpare il trono. Suo fratello, l’uomo con cui è cresciuta, la persona che più le è stata vicina durante la sua crescita, che le voltava le spalle considerandola una traditrice. Dag e quella lotta insensata, il suo sguardo pieno di rabbia mentre lo colpiva ancora e ancora. Ivarr a terra, Ivarr che insultava suo padre e le confessava quello che aveva appena fatto. Uno dopo l’altro, tasselli di dolore, sfide che ha dovuto accettare a forza. E per cosa, poi?

Almeno, sei rimasta te stessa.

Se gli Dei me l’hanno messe di fronte per capire che genere di persona sono, spero abbiano una buona opinione di me, pensa. Ma ora che Sigurd è tornato suo fratello, ora che la donna che ama è tra le sue braccia e le sorride come se non esistesse nulla di più bello, sente che può finalmente mettersi quei giorni alle spalle. Lasciarli passare come una tempesta che esaurisce la propria forza e corre via, raccogliere i pezzi nella quiete del villaggio. Con Randvi, con tutti gli altri.

“Ti amo anche io.”





_________


Piccolissimo esperimento inserito nel Writober 2021, ma che ci tenevo a pubblicare per dare un po' di corpo a questa raccolta che, alla fine, è nata per scribacchiare senza pretese su Eivor. Leggendo la parola su cui è basato il prompt ho immediatamente pensato a lei e beh, la storia è andata avanti da sola, come sempre succede. 
Come al solito l'incoraggiamento e l'amore dietro le quinte sono tutto merito di Ailisea e della sua pazienza 

 

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Capitolo 5
*** Notte stellata [Eivor/Valka] ***


28. Notte stellata




“Non guardo le stelle da troppo tempo… forse da quando ero piccola.”

La voce di Eivor spezza il silenzio della notte, coprendo per un attimo lo scroscio morbido dell’acqua della cascata. Valka le fa strada, anche se non serve: ormai la conoscono bene entrambe. I rumori del villaggio si affievoliscono in lontananza man mano che raggiungono il rifugio e la notte si fa più fonda e impenetrabile, ma non più spaventosa. Poche cose sono ancora in grado di spaventarla, dopo una vita di battaglie come la sua.
Un rapace notturno grida qualcosa in una lingua che ancora non comprendono, e Valka distende una pelliccia sulla roccia bianca davanti a loro. Quando alza la testa cercando Eivor, la trova già persa a fissare il cielo.

“È stata mia madre ad insegnarmi le costellazioni. All’inizio ero felice anche solo per la possibilità di stare alzata fino a tardi insieme a lei… ma con il tempo ho imparato a conoscerle. ‘Ti aiuteranno quando andrai per mare’, mi diceva, e mi prendeva la mano per indicarmele.”

Si ferma un attimo, lasciando che l’amica inspiri l’aria della notte e raccolga il significato portato da quell’informazione prima di continuare. “Mi piaceva stare con lei. E anche l’idea di partire un giorno, e di seguirle come avevano fatto gli eroi delle sue storie. Mi faceva sentire importante.”
La sente, più che vederla, annuire.

“Quello che ci insegnano i nostri genitori resta sempre con noi. Anche se non ce ne accorgiamo, scava solchi profondi. Nel bene e nel male.”

Pensa a sua madre, alle parole d’incoraggiamento che le sussurrava all’orecchio quando la vedeva in difficoltà, al modo in cui maneggiava l’arco con sicurezza, senza mai staccare lo sguardo dal suo bersaglio. Si chiede se non ci sia qualcosa di lei nei gesti che compie ogni giorno, una traccia nascosta che solo chi conosceva bene Rosta potrebbe individuare e che persino a lei sfugge. Pensa a Svala, seduta davanti al fuoco nella sua capanna, e alla se stessa di otto anni che abbassava lo sguardo al suo cospetto, intimorita. Vengo a chiederti quello che hai visto, esordiva sua madre, e la veggente scuoteva il capo e si alzava a prendere qualcosa in un ampolla. Valka non c’era, o forse era lei a non averci fatto caso: aveva paura, a quel tempo. Il mondo era esaltante e spaventoso, il confine tra i due sentimenti era difficile da tracciare.

Prova a riconoscere le costellazioni di cui le parlava, alzando le dita per formare quelle strane figure che, secondo sua madre, servivano a misurare il cielo. Accanto a lei, Valka socchiude gli occhi, alza la testa lasciando vagare lo sguardo. In lontananza, un martello batte su un’incudine, seguito da un grido di gioia argentino che spezza l’aria a metà. Una voce di donna piena d’allegria, lontana ma contagiosa.

“Quando sono nata, mia madre già sapeva che dono mi sarebbe toccato in sorte. Lo aveva avuto prima di me, e sua madre prima di lei, e ad ogni nascita aspettavano di vedere come si sarebbero manifestati i segni. Chiudevo gli occhi, e i miei antenati mi sussurravano segreti all’orecchio, posti in cui avrei trovato oggetti che mi appartenevano. Sognavo bambini che sarebbero nati poco dopo, ossa e sangue e immagini che non sapevo decifrare, e mia madre mi prendeva la mano e sorrideva come solo lei sapeva fare.” Si volta verso di lei: la luna le illumina il viso solo in parte, ma Eivor conosce così bene le sue espressioni da vederle nonostante il buio. “Così, mi ha insegnato tutto quello che sapeva. Ad accogliere il sapere di Frejya, a non avere paura di ciò che sperimentavo nel sonno. Mi è stata accanto ogni giorno per aiutarmi a diventare quella che sono. E anche ora che non è più tra noi…” si ferma un attimo, come per cercare le parole adatte. Vorrebbe sfiorarle una spalla, ma sente che è un momento privato che Valka ha deciso di dedicarle perché si fida di lei. “… ma una parte di lei vive ancora, lo so. Mi è dispiaciuto lasciarla a riposare a Rygjafylke, ma portare i suoi insegnamenti qui mi ha resa felice. In qualche modo, sento di aver fatto la cosa giusta.”

“Sono felice che tu sia qui. Ravensthorpe non sarebbe la stessa senza di te,” afferma Eivor, e sente che non avrebbe potuto confessarlo altrimenti. Le vuole bene perché è sempre stata parte della sua vita e dei momenti importanti, e perché sa di potersi fidare di lei in maniera incondizionata. Valka sempre pronta a dare una mano, che ha capito tutto di lei e Randvi e le ha lasciato solo consigli gentili, senza giudizi a sorreggerli.
Valka sorride, e inaspettatamente le si avvicina ancora. Quante volte hanno condiviso lo spazio attorno al laghetto, nel silenzio verde e azzurro delle belle giornate primaverili? Valka puliva le pelli o sistemava i suoi strumenti, Eivor faceva il bagno, lasciandosi cullare da quell’atmosfera rilassata. Poche parole, la sicurezza di poter lasciare quel silenzio intatto, senza doverlo per forza trasformare in una conversazione per non sentirne il peso. Una veggente, la loro guaritrice, ma prima di tutto un’amica. E in tempi del genere, avere amici fidati è molto più di quanto la vita sia disposta a concedere a quelli come lei.

È l’atmosfera che si è creata a spingerla ad alleggerirsi il cuore. Quando ci ripenserà, giorni dopo, si chiederà come ha fatto a tenersi quel peso dentro per anni, senza provare mai ad affidarne una parte a chi le vuole bene, anche solo per sentirsi consolare. Perché si carichi di quei pesi costantemente, testardamente, quasi a dover scontare una pena autoimposta.

“A volte vorrei essere meno arrabbiata. Da bambina… dopo che è successo tutto, non riuscivo a non avercela con mio padre,” mormora, spostando qualcosa a terra con il piede, un ramo o un sasso, non fa differenza. “Ogni volta che ripensavo a quella sera, invece di piangere ero invasa dalla furia. Come è potuto succedere, mi chiedevo, com’è possibile che abbia fatto quello che ha fatto? Non riuscivo a capacitarmene. E dopo la rabbia arrivava il dolore, sordo, che non riuscivo nemmeno a sfogare. Ce l’avevo con lui perché era stato così stupido da non capire le vere intenzioni di chi aveva di fronte, ce l’avevo con la sua lealtà, con quello che aveva fatto… e la rabbia tornava, in un circolo infinito. A volte immaginavo il Padre di Tutti che gli chiudeva in faccia le porte delle sue sale, e quell’idea mi confortava. Nutriva la mia furia. Non…”

Si interrompe per prendersi la testa tra le mani. Sente le lacrime lottare per farsi strada oltre i suoi occhi, ma ha imparato così bene a trattenerle da ignorare il groppo che le stringe la gola. Inspira, un rantolo tremante, triste. “Non so nemmeno io cosa pensassi. So solo che soffrivo. E avrei voluto che qualcuno condividesse il mio peso. Come posso essere un capo, una vera jarlskona, se non riesco nemmeno a sconfiggere il mio passato?”

“Eivor…”

Valka espira piano, ed è come se completasse l’azione che l’amica ha iniziato. Le prende una mano – dita piccole che curano, che spalmano unguenti e tracciano segni, cosa hai visto, Veggente? Cosa puoi dirci del Padre di Tutti e della Madre della Magia? – e stringe la sua, regalandole un po’ del suo calore. Con un polpastrello asciuga una lacrima caduta su un dito. E quando parla di nuovo, la sua voce è sicura. Antica.

“La sopraffazione è l’arma dei codardi. Di chi rifugge il confronto perché sa di non poter offrire nulla all’altro, e non sa che farsene di ciò che riceverebbe. E chi è codardo non vuole conoscere, né capire, né costruire, si limita a usurpare senza pietà… ma tutto ciò che hai guadagnato, la tua conoscenza, le tue conquiste, le hai vinte da sola. Con la forza, e la pazienza.” Gli angoli della sua bocca si incurvano appena. Si gira per guardarla, sfila la mano dalla sua presa e la alza, sfiorandole la fronte con due dita, come fa sempre quando le disegna il viso per i rituali. Un gesto che le trasmette sicurezza. Eivor chiude gli occhi, si lascia andare, grata di esserne ancora in grado.

“Ogni singolo abitante di Ravensthorpe dovrebbe sentirsi orgoglioso di averti come capo, Eivor. Io lo sono.”

Resta così ancora per un attimo, con gli occhi chiusi e il profumo della notte che le avvolge, e il canto dei rapaci che si perde in lontananza, una chiamata e una risposta. Il calore di Valka si sposta dal suo viso di nuovo alla sua mano, stringendola con gentilezza. E ci sono ancora stelle da guardare, lassù, con il cuore più leggero e i pensieri che si spostano come le nuvole, che ora permettono di ammirarle meglio.
 

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Capitolo 6
*** Spalle [Eivor/OC] ***


31. Spalle
 



Com’è bella, girata di spalle e con il sole che le sfiora la pelle. Sembra una creatura nata dalle onde, come se questo spazio le appartenesse dalla nascita.

Rowena si muove piano nell’acqua fredda del laghetto di Ravensthorpe, increspando la superficie trasparente, trasformandola in un tessuto di cerchi e onde spezzate. Ogni tanto la sua pelle è attraversata da un brivido impercettibile, eppure non intende rinunciare: il laghetto di Valka è troppo invitante per non provare a farsi un bagno. Per quanto non si sia ancora completamente abituata alla sua nuova gente sta cercando in tutti i modi di adattarsi a loro, e quell’impegno è così tenero da scaldarle il cuore ogni singola volta.

“Fredda, eh?” la stuzzica, avvicinandosi piano. Sa che arrossirà, perché succede sempre e ormai colleziona i suoi sguardi deliziosamente imbarazzati come trofei. “Sicura di non voler uscire? Ho lasciato delle pelli e una coperta sulla riva… se vuoi puoi sederti, e bagnare solo i piedi.”
E guardarmi. Come la prima volta, quando eri appena arrivata al villaggio e mi osservavi di sfuggita, una cerbiatta silenziosa che si nasconde tra le ombre del bosco.

“No,” afferma lei, decisa, e alza appena il mento. Eivor non riesce a trattenere un piccolo sorriso, mentre Rowena avanza ancora e tenta la mossa più difficile: immergersi fino alle spalle. Ci riesce, ma non senza battere i denti, lottando disperatamente perché lei non se ne accorga. La fascia di lino che le copre i seni si inzuppa, attaccandosi alla sua pelle. La osserva, e una scossa di calore liquido le invade il bassoventre.

Com’è bella.

Si ritrova a pensarlo di continuo, nemmeno troppo distrattamente ormai. I capelli mossi, scuri come l’ala di un merlo, venati dello stesso rosso autunnale, che il sole estivo rende più caldo. Gli occhi chiari che socchiude appena mentre i raggi li sfiorano per poi spostarsi sul fogliame, le macchioline marroni che le spuntano sul naso, sulle spalle. Quella risata contagiosa che, dopo le prime settimane a Ravensthorpe, ha udito sempre più spesso. La consapevolezza che non la detesti più: ha finito per ambientarsi. E quella sera, mentre festeggiavano Litha, tra l’idromele che scorreva a fiumi e i canti, le ha offerto la sua bocca perché la baciasse. Una richiesta muta ma pressante, le sue piccole dita che le affondavano nelle scapole, stringendosi a lei come se avesse paura la lasciasse andare troppo presto. Rowena, la ragazza sassone che ormai saluta ogni abitante del villaggio come se lo conoscesse da sempre, che vuole imparare da Valka come curare le ferite e ascolta avidamente le storie di Holger, chiedendone ogni volta un’altra. Così gentile e paziente, e intelligente.

La sua Rowena.

“Penso di essermi abituata ormai,” riprende, e si sposta verso di lei con gli occhi che scintillano. La pelle d’oca che le copriva le braccia sembra sparita, così come ogni traccia di imbarazzo nel trovarsi praticamente nuda in sua presenza. Da quando l’ha baciata, qualcosa è cambiato nel suo sguardo: sembra essersi quasi tolta un peso di dosso, come se il rischio di poter essere rifiutata in qualunque momento l’avesse finalmente abbandonata. Il muro che si era costruita attorno sembra essere crollato, una pietra dopo l’altra.

Allarga le braccia per accoglierla, sfiorandola con le mani intorpidite dall’acqua fredda. Rowena scivola verso di lei, lieve come uno di quegli insetti che pattinano sulla superficie immobile degli stagni, le tocca un fianco, sistema le gambe così vicine alle sue che Eivor deve cederle terreno, spostarsi per farle spazio sul grosso sasso su cui si è appoggiata. Le punta addosso uno sguardo di sfida, o forse solo di soddisfazione per essere riuscita a completare un’impresa impossibile, è difficile capirlo. Sa solo che i loro corpi sono vicini, e che il suo, nonostante tutto, emana un calore che riconoscerebbe tra mille.

Non avrei mai pensato che mi accettassi. Mai, nemmeno in un milione di anni. E poi sei venuta da me spontaneamente, mentre iniziavano le danze e tutti intorno a noi cantavano, e la festa entrava nel vivo. Ti sei alzata sulle punte, hai avvicinato la bocca alla mia. E quando ti ho preso il viso tra le mani, ho sentito che sorridevi sotto alle mie labbra.

Il seno di Rowena è freddo, ma quando allunga le dita per sfiorarlo, spostando la striscia di lino ormai completamente fradicia, è come se assorbisse il suo calore. La attira a sé, i capelli che fluttuano come alghe scure attorno a loro, accarezzandole, e la abbraccia. È così piccola, pensa, così minuta: un topolino che si nascondeva tra le assi del pavimento di una casa razziata, sperando di non essere vista. Eppure, a distanza di mesi, le sue braccia stanno iniziando a diventare asciutte e muscolose, quanto quelle delle altre donne del villaggio. Della sassone arrabbiata e caparbia, così votata all’autodistruzione da rifiutare il cibo per un’intera settimana, non è rimasto più nulla, o forse appena una traccia sbiadita, nell’angolo del cuore da cui ha estratto e gettato via le sue ultime paure.
Appoggia un dito sulla sua fronte, facendolo scendere lungo il profilo del naso, tra i suoi occhi socchiusi, e poi sulle labbra, sul mento. Indugia per un attimo sulla linea dritta e tremante del collo, così delicato. Quante vite ha tolto finora? Impossibile tenerne il conto, e in fondo nemmeno vuole farlo. Sono gli Dei a scegliere chi diventeremo, ma l’ultima parola spetta a noi. Se non avesse mai scelto quella vita, nessuna delle due sarebbe lì. Ma ne valeva davvero la pena? insinua una voce. E lei è in grado di vederti per chi sei davvero?

Come se le avesse letto nella mente, Rowena alza gli occhi e il suo sguardo è così puro, così pieno di fiducia che sente gli occhi riempirsi di lacrime. Se solo fosse ancora in grado di piangere.  

Sì.

Continua il suo percorso verso le clavicole e poi sul petto, tra i seni piccoli e soffici, solenne e lenta come una benedizione, come se stesse tracciando segni di cui solo loro conoscono il significato. Una consacrazione, un sacrificio donato esclusivamente a lei, ma Rowena non è una vittima sacrificale. Non potrebbe mai esserlo: ha lottato da quel primo giorno, e continua a farlo costantemente, trasformandosi di volta in volta, ed è proprio quella forza nella delicatezza ad averla attirata verso di lei.

Le appoggia il palmo aperto della mano sul petto, proteggendo il suo cuore senza rendersene conto. Inspira, e chiude gli occhi. Dopo qualche attimo la mano di Rowena si unisce alla sua, ed è fredda come l’acqua del lago, e intrisa della stessa forza.

“Eivor,” le sussurra, guardandola ancora. L’ultima volta in cui aveva provato a fare il bagno nel laghetto – lo ricorda come se fosse avvenuto il giorno prima – le labbra le erano diventate viola dopo soli cinque minuti. E ora eccole, appena screpolate dal vento freddo che si è alzato quella mattina, ma rosa, appena più scure della sua pelle. Ha un piccolo neo vicino al mento, minuscolo. Un moto di orgoglio le suggerisce che forse è l’unica ad averlo notato.
Le sorride, accogliendo il nome dalle sue labbra. Può significare tutto, ma sceglie di considerarla una risposta ad una domanda lasciata in sospeso. Se vuoi, puoi considerarla casa tua, le ha sussurrato quella notte dopo la festa, quando erano entrambe troppo ubriache e troppo estasiate da quel bacio per tornare a casa. Lei l’ha baciata ancora, ma non ha risposto.

Le solleva il mento con due dita, per poi prenderle di nuovo il viso tra le mani e baciarla ancora, ringraziando Freya di quel dono, pregando gli Dei e chiunque sia disposto ad ascoltarla di conservarla sempre così, libera e forte, e felice.

“Eivor,” sussurra di nuovo lei, mentre la sua fronte è appoggiata a quella della donna che le sta di fronte. La sua drengr, la guerriera che le ha offerto se stessa prima ancora di rendersene conto.

“Dove ci sei tu, mi sento a casa.”





______



Rowena è nata ancora prima che la partita di Valhalla mia e della mia metà entrasse nel vivo, ed è nata proprio da quelle headcanon e da quei discorsi che immaginavano un personaggio femminile sassone accanto ad Eivor donna. Con il tempo si è evoluta, è cresciuta, ha iniziato ad avere una sua storia e delle sue motivazioni, che ancora non ho descritto se non in piccole storie come questa. Non avevo mai scritto su di lei, per cui spero che questo "battesimo del fuoco" non sia tremendo come temevo :) 

Grazie di aver letto fino a qui, lettore! E a chiunque abbia apprezzato questa raccolta. Avete sempre tutto il mio affetto 
 ♥
Fede 

 

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