In sospeso

di JaneBee95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il liceo non finisce mai ***
Capitolo 2: *** Torna sempre qualcosa ***
Capitolo 3: *** Estate 2015 ***



Capitolo 1
*** Il liceo non finisce mai ***


Pensavo che dopo quel lunedì di fine giugno 2014 non l’avrei più rivisto, ne ero convinta.

Eravamo entrambi finalmente diplomati dopo aver condiviso cinque lunghi anni tra i banchi di un liceo classico di provincia.
Mi ero resa conto di provare qualcosa per lui quando eravamo al secondo anno, ma non so di preciso che cosa avesse scatenato questa mia cotta nei suoi confronti. Mi ricordo solo che quando ero tornata in classe, dopo che una brutta influenza mi aveva obbligata a casa per una settimana, lo guardavo con una certa attenzione. Mi preoccupavo sempre di dove fosse, lo cercavo continuamente con lo sguardo e mi sorprendevo a sbirciarlo con la coda dell’occhio durante le lezioni.
E a mano a mano che passavano i giorni, questo mio sentimento aumentava sempre di più.
Non diminuì nemmeno quando ebbi il mio primo ragazzo a diciassette anni e questa cosa mi mise molta confusione oltre a parecchi sensi di colpa.

Finito il liceo, come succede nella maggior parte dei casi, anche noi due ci allontanammo, ma non per motivi particolari. Frequentavamo compagnie diverse, scegliemmo facoltà in atenei lontani uno dall’altro e questo ci portò inevitabilmente a sentirci sempre meno spesso, fino a non sentirci più.
Ci ritrovammo tre anni dopo passando insieme qualche ora a bere qualcosa con la scusa di aggiornarci sulle nostre vite e su quello che era successo durante tutti i mesi in cui non ci eravamo visti. Quelle poche ore insieme riuscirono a far riaffiorare un po’ dell’infatuazione che era rimasta per lui dagli anni del liceo e mi bastò per rendermi conto che lui era l’unica persona dell’intera classe con cui mi trovavo ancora bene, come se stessimo trovando in una bolla dove il tempo si era fermato al 2014 e ci fossimo solo io e lui, insieme, a parlare e a guardarci negli occhi, imbarazzati, come degli adolescenti alle prese con i primi amori.

L’ultimo anno fu molto travagliato per tutta la classe: i rapporti tra noi compagni erano ridotti all’osso ed era palese che stessimo aspettando (quasi) tutti la fine della maturità per salutarci e non rivederci più. Ero venuta a sapere che l’anno precedente si era preso una cotta per una nostra compagna, che però non ricambiava, e il comportamento superficiale di lei aveva fatto sì che non si parlassero più. Considerando che eravamo a malapena poco più di una dozzina, si crearono presto dei gruppetti che ruppero ancora di più l’armonia che si era formata così a fatica durante i primi quattro anni.

Fu forse quella sera che uscimmo che mi rivelò di aver provato dei sentimenti per me proprio l’ultimo anno di superiori, senza però essersi dichiarato proprio a causa della relazione che avevo in quel momento.
Quando me lo disse quasi non volevo crederci. Iniziai a fantasticare su come sarebbe potuto essere stare insieme sul serio, come una coppia, dopo tutto quel tempo a rincorrersi senza però riuscire a prendersi.

Ma la mia fantasia rimase lì, in quel bar, quella sera.

Mi laureai a dicembre del 2017 e un paio di mesi dopo iniziai a lavorare. Nel frattempo, avevo conosciuto altri ragazzi e stavo vivendo il mio periodo wild di cui ancora oggi parlano i miei genitori tirando un sospiro di sollievo contenti che sia terminato. Ebbi modo di vivere una relazione che mi creò solo in seguito molti problemi nel relazionarmi di nuovo con persone che conoscevo da sempre e che avevo allontanato e di fiducia.

Le mie giornate si alternavano tra il lavoro in ufficio e le ripetizioni che davo a ragazzi e ragazze e andai avanti così per diversi mesi.
A ottobre dello scorso anno, proprio per aiutare una studentessa universitaria a superare degli esami di inglese, riallacciai i rapporti con la mia professoressa di inglese, con la quale passai una piacevole mattinata sorseggiando tè e chiacchierando del passato.
Non potevano mancare vari commenti sui miei vecchi compagni di scuola e fu proprio parlando di loro che mi resi conto che tra tutti quelli che avevo lasciato qualche anno prima, solo lui mi mancava e provavo un senso di nostalgia ogni volta che veniva menzionato.

Salutai e ringraziai la mia professoressa per l’aiuto, chiusi il cancelletto di casa alle mie spalle e tirai fuori il telefono. Cercai il suo nome tra le vecchie chat e gli scrissi di nuovo, a distanza di tre anni dall’ultimo aperitivo.

Da quel giorno continuammo a scriverci e ad aggiornarci su quello che stavamo facendo, sul perché avevo deciso di ricontattarlo dopo tutto quel tempo, ma fu solo a giugno di quest’anno che riuscimmo a organizzarci per incontrarci.

Una delle caratteristiche che mi sono sempre ricordata di lui – e che ogni tanto mi faceva innervosire – era l’attesa infinita che dovevo avere per poter uscire insieme, cosa che capitava pochissime volte l’anno. Con mia sorpresa riuscire a trovare una sera che andasse bene a entrambi non richiese troppo tempo e, da quando ne parlammo, passarono un paio di settimane.
Mangiammo e bevemmo tanto (soprattutto io). Ripercorremmo vecchi aneddoti del liceo, tra quelli che ci avevano regalato un po’ i professori e un po’ i nostri compagni. Parlammo dell’università, di quello che avevamo vissuto e di ciò che avevamo fatto per arrivare quella sera a cena insieme.
Ci confidammo anche emozioni e sensazioni che non avevamo, forse, avuto il coraggio di dirci anni prima e che confessammo nonostante un velo di imbarazzo da parte di entrambi. Faticavamo a guardarci negli occhi, complice l’alcol, ripensando ai baci sfiorati, agli abbracci sognati e a quei desideri che sembravano troppo proibiti per poter essere realizzati.

In quell’istante ogni ricordo sopito si riaccese. Metti un forte temporale estivo, diversi litri di birra, un film e due poco più che ventenni da soli che pensavano solamente a come poteva essere passare una notte una con l’altro.

Accadde, inevitabilmente.

Ci confidammo paure e pensieri di quella notte che non pensavamo avremmo mai potuto dirci. Il suo timore di non essere stato all’altezza delle mie aspettative, la mia sciocca convinzione che non sarebbe mai accaduto. La nostra comune rassegnazione al fatto che avevamo vissuto – e forse stavamo ancora vivendo – una possibilità per noi due che era iniziata e finita anni prima, durante quel temporale.

Non volevo che finisse. Sapevo che una volta conclusa la serata non avrei potuto averlo per me.
Temporeggiavo, trovavo scuse per avvicinarmi a lui, per toccarlo, accarezzarlo, sfiorarlo. Ma non potevo andare oltre, avrei rischiato di rovinare quello che avevamo condiviso nell’arco delle ore precedenti. Così lo salutai abbracciandolo, con l’unico desiderio di poterlo rivedere il prima possibile.

Le nostre conversazioni non si fermarono, ma ripresero i giorni successivi, parlando del più e del meno, delle nostre giornate o, semplicemente, di quello che più ci passava per la mente. Mi chiedevo quando avrei potuto passare di nuovo del tempo con lui, poter ripetere la serata appena trascorsa, continuare a parlare per provare ancora una volta quella sensazione che mi faceva tornare una ragazzina del liceo. Tra una chiacchiera e l’altra, tra un commento e un messaggio passavano i giorni e poi le settimane. Ero convinta che alcuni sguardi e alcuni gesti di quella sera fossero solo frutto della mia immaginazione. Che sciocca, mi dicevo. Sono passati anni, come puoi ancora provare certe cose? Eppure, quel tiepido calore che sentivo ogni volta che stavo con lui si era presentato anche quella sera. Dai, sono passati anni, smettila di farti illusioni. È capitato quella volta, vi siete trovati, ma avevate vent’anni, ora è tempo di andare oltre, di superare qualsiasi cosa sia rimasta dentro di te.
Mi ripetevo queste parole tutti i giorni incessantemente, tanto che ormai era diventato un pensiero fisso che però stava in un angolino della mia testa e ogni tanto tornava a farsi sentire più forte degli altri giorni.
Continuavo le mie giornate a fare avanti e indietro dall’ufficio, a studiare la sera e a sistemare casa nei weekend. Chissà cosa stava facendo lui. Pensava a quella sera ogni tanto? Pensava a me? Queste domande iniziavano a diventare un tormento.

Basta, non posso continuare a pensarci, devo andare avanti. In fondo, lo avevamo detto anche l’ultima volta: il passato deve rimanere tale e non possiamo fare niente per cambiare le cose ed è inutile vivere ancora con i ricordi ancorati ad anni fa. La sua posizione era stata più che chiara. E allora perché a me era sembrato che ci fosse qualcosa in sospeso mentre cercavo di temporeggiare prima di salutarlo definitivamente?

La risposta non tardò ad arrivare.  

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Capitolo 2
*** Torna sempre qualcosa ***


Non mi sarei mai aspettata di ricevere, tra i vari messaggi che ci si scambiava quotidianamente, quello che mi avrebbe dato la risposta a quei pensieri che ormai non mi lasciavano più in pace.
In realtà non speravo neanche di riuscire a vederlo di nuovo dopo così poco tempo dall’ultima volta, considerando che di mezzo c’erano state le vacanze.

Mi chiese se mi andasse di fare una serata pizza e film, come quella che avevamo trascorso sei anni prima. Non nego che il mio primo pensiero andò a quella esatta parte di sera, quando né io né lui stavamo prestando molta attenzione alla televisione.
Impossibile, mi dissi. Era stato chiaro durante la nostra ultima conversazione e non credevo che potesse intendere proprio quello.
Accettai, fingendo una certa innocenza. Subito mi rispose che il venerdì successivo sarebbe stata la giornata perfetta, dal momento che avrebbe avuto casa libera. Lo informai che sarei arrivata più tardi in serata, dovendo tornare dal lavoro e la strada era tanta. Dopo che ci mettemmo d’accordo, iniziò quella che mi sembrò un’attesa infinita.

Passavano i giorni, e io li contavo uno ad uno, come una bambina che aspetta il giorno di Natale. I messaggi, nel frattempo, si facevano più piccanti tanto che ormai non potevo più fingere che quella che ci aspettava sarebbe stata una semplice serata pizza e film tra due vecchi compagni di scuola.
Quasi stupidamente glielo dissi, ammisi che avevo tutt’altra idea di come si sarebbero potute svolgere le cose tra di noi. Fu lì che mi stupì. Mi lasciò tutta la libertà di scegliere come potevamo comportarci, in base a come mi sentivo io. Sapeva che erano passati anni e che non poteva dare per scontato che mi sarei gettata tra le sue braccia appena aperta la porta d’ingresso. Ma in realtà non mi aspettavo nessun atteggiamento diverso da parte sua: si stava rivelando premuroso, come sempre, e questa cosa mi fece sobbalzare il cuore.

Mi punzecchiava, mi stuzzicava, cercava di capire quali fossero i miei punti deboli, ma soprattutto i miei desideri. E più faceva così, più viaggiavo con la mente, ritornavo a sei anni prima, a quella sera illuminata dai lampi, a quei primi timidi baci dettati dalla voglia di scoprirsi e conoscersi intimamente. Era malizioso e sapeva che questo aveva su di me un certo effetto, perché lui mi aveva sempre fatto un certo effetto. Sapeva che cosa dirmi per ottenere da me una reazione forte, che gli facesse capire le mie intenzioni per quella sera, perché fino a quel momento mi ero trattenuta; in realtà non avevo ancora deciso come mi sarei comportata, se lasciarmi andare alla curiosità o stare sulle mie. Ero molto combattuta e irrequieta perché non riuscivo a immaginare che cosa avrebbe comportato una o l’altra scelta. Che cosa sarebbe successo se avessi deciso di andare fino in fondo? E se avessi invece scelto di non lasciarmi sedurre dai ricordi e desideri adolescenziali?

Giorno dopo giorno sentivo l’agitazione crescere, non riuscivo a pensare ad altro e non volevo farlo. Non avevo ancora preso la mia decisione, ma pensarci non faceva altro che aumentare la mia ansia e avevo paura che avrebbe potuto rovinare la nostra serata. Così smisi di rimuginarci fino a quella sera.
Tra una punzecchiata e l’altra, rivelai la mia emozione e, con mia sorpresa, anche lui ammise la stessa cosa. Sorrisi a leggere quel messaggio e mi sentii più sicura. Non era solo una mia sensazione, c’era davvero qualcosa che andava oltre la voglia di stare insieme.
Con questi pensieri e i messaggi maliziosi che ci scambiavamo, riuscii a distrarmi e a far passare in fretta il tempo fino a quella tanto agognata serata. Contai i minuti che ci separavano e più diminuivano, più sentivo il cuore battere e lo stomaco stringersi dall’emozione. Per l’ora di cena parcheggiai davanti a casa sua e lo vidi accogliermi sulla porta d’ingresso.
Ormai c’eravamo, era arrivato il momento di cui tanto avevamo parlato nei giorni precedenti e su cui avevo fantasticato sorprendendomi a immaginarmi intere scene di noi due in diverse situazioni, da quelle più stupide a quelle più spinte.

Fu gentilissimo, come sempre, e mi invitò ad accomodarmi, mentre trovai già la tavola apparecchiata per la nostra cena. Ha pensato a tutto, pensai quando vidi tutto pronto, la birra fredda pronta per essere stappata e versata, la pizza fumante.
Trascorremmo una buona ora a parlare del più e del meno, del lavoro, di film e delle nostre famiglie. Lo aiutai a sparecchiare contro le sue proteste e insistenze a lasciar stare e poco dopo ci sedemmo sul divano, uno accanto all’altra, pronti per guardare il film che aveva scelto appositamente per la serata, horror, come da tradizione.
Li ho sempre odiati quei film, mi suggestionano troppo, e lui lo sapeva, ma come sei anni prima, anche in quella serata non poteva mancare quel tassello, così a malincuore accettai di vederne uno; o meglio, passai quasi tutto il tempo cercando di coprirmi il viso, anche se fu parecchio difficile. Sapendo che lo avrei fatto si preparò a tenermi ferma, stringendomi i polsi bloccandomi. Era forte, molto, ma la cosa non mi spaventò, anzi, mi eccitò molto. Lo trovavo intrigante, sexy e ne approfittai per giocare un po’, per stuzzicarlo. Ogni volta che potevo mi avvicinavo sempre più a lui, fingevo di spaventarmi per potermi stringere a lui e sentire i suoi muscoli sotto le mie dita, muscoli che non mi ricordavo avesse e la cosa mi sorprese molto, mi scaldò.

Fui triste quando finì il film, non avevo avuto modo di fare nient’altro se non inscenare spaventi solo per sentire il suo corpo vicino al mio, volevo percepire il suo calore e il suo cuore battere mentre mi appoggiavo al suo petto.
Scelse un altro film, solo per temporeggiare ancora un po’, dal momento che né io né lui stavamo facendo quel passo in più per movimentare le cose. Questa volta, però, eravamo molto più a nostro agio, tanto da trovarci sdraiati e abbracciati sul divano. Le sue dita mi accarezzavano i capelli, erano delicate e scendevano piano lungo la schiena e risalivano da un fianco. La mia mano si spostò lentamente dietro la sua schiena, graffiandola dolcemente fino all’orlo dei jeans incontrandone la cintura, per poi percorrerla su tutta la cucitura fino al suo ventre, sfiorandolo appena. Questo lo fece reagire e lo sentii: sobbalzò eccitato e iniziai a sentire un rigonfiamento premere contro la mia pancia.
I nostri respiri si facevano più affannati, il film era ormai passato in secondo piano da un po’.
Risalii continuando ad accarezzarlo sotto la sua maglietta, sentendo finalmente i muscoli che tanto immaginavo sotto le mie dita. Mi stavo eccitando, riuscivo a sentirlo.
I nostri sguardi non si erano ancora incrociati, non volevamo interrompere quella magia mista a eccitazione, ma non passò molto che successe.
Ci guardammo intensamente per pochi attimi, fino a che lui non parlò.
“Era quello che speravo succedesse tra di noi. Tu lo vuoi?”. Annuii e basta. Non feci in tempo a dire niente che si allungò verso di me e sentii le sue labbra premere contro le mie.
Con quel gesto riaffiorarono i ricordi di sei anni prima, impetuosamente.

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Capitolo 3
*** Estate 2015 ***


Estate 2015
“Sai che soffro il solletico, basta!” gridai ridendo mentre mi divincolavo dalla sua presa. Sapeva che era il mio punto debole e se ne approfittò appena riuscì ad essere abbastanza vicino a me per potermi torturare.
“Preferisci questo o gli horror?” mi chiese deridendomi.
“Sono quasi tentata di risponderti gli horror” risposi cercando di darmi una sistemata ai capelli e alla canottiera.
“Allora non ci sono problemi se ne mettiamo un altro, che dici? Ma questa volta non ti devi coprire gli occhi, altrimenti non vale.” Come potevo dirgli di no? Ero pronta ad assecondare qualsiasi cosa mi chiedesse di fare.
Era passato appena un anno dalla fine delle superiori, ero andata avanti, avevo conosciuto altri ragazzi, ma, nonostante ciò, rimanevo ancora vittima del suo fascino come il primo giorno. Ma non dovevo farglielo notare, non potevo rischiare di rovinare quella serata che avevo desiderato da quando avevo iniziato a provare qualcosa per lui.
“D’accordo, come vuoi. Però sceglilo tu, io non ci capisco molto.” Gli lasciai il telecomando e andai in cucina portando con me le marmitte da riempire con altre patatine e snack vari. Feci altre scorte di bibite, acqua e alcol, tra cui quella pessima vodka alla frutta, con cui si era ubriacato durante la gita del terzo anno e a quel pensiero sorrisi.
“Scelto?” chiesi mentre mi sistemai sul divano poco distante da lui.
Yes! Spengo la luce, però, così merita di più.” Si alzò, premette l’interruttore e la sala rimase al buio, illuminata sporadicamente dai lampi che provenivano da un minaccioso temporale estivo e dallo schermo della televisione.
Riuscivo già a sentire il cuore in gola dalla paura, e il film non era ancora iniziato, ma la sola idea di fantasmi e presenze soprannaturali mi suggestionava.
 
I primi venti minuti filarono tutto sommato lisci, ma poco dopo iniziarono le prime scene inquietanti e non potei far altro che raggomitolarmi su me stessa contro le proteste di lui mentre cercava di tenermi ferma; non era abbastanza forte, così riuscii a dare le spalle alla televisione sedendomi sulle sue gambe abbracciandolo forte.
“Dimmi quando posso girarmi” gli chiesi con una vocina appena udibile.
Capendo la mia agitazione mi strinse accarezzandomi la schiena per rassicurarmi mentre mi descriveva le varie scene. Era dolce, molto, e mi intenerii a vedere come si stava preoccupando per me.
Non smise di coccolarmi, anzi, di tanto in tanto mi chiedeva se stessi bene e se me la sentissi di guardare il film. Accettai con riluttanza ma si assicurò di circondarmi le spalle con il suo braccio per stringermi a lui qualora ci fossero state delle scene troppo spaventose per i miei gusti (ovvero quasi tutte!).
 
Alla fine del film si scostò un po’ da me, mi guardò e mi propose un gioco per alleviare la tensione del film.
“Che gioco?” gli chiesi fingendo curiosità.
In realtà sapevo benissimo a cosa si riferisse perché ero stata proprio io a proporglielo nei giorni precedenti durante l’organizzazione della serata.
Era una cosa molto stupida, ma era l’unico modo che mi era venuto in mente per movimentare un po’ l’atmosfera. Un gioco alcolico. Per un fan di questo genere di pacchianate sarebbe stato perfetto e mi disse di sì appena glielo proposi.
Lo scopo del gioco era, ovviamente, cercare di far bere l’altro il più possibile; quindi, optammo per una sorta di ping-pong alcolico.
“Quello che mi avevi proposto l’altro giorno, ricordi?” Certo, come potrei scordarmi?
“Ah, sì! Ho capito a cosa ti riferisci” finsi.
Nel giro di pochi minuti preparammo il tavolo sistemando vari bicchieri di plastica pieni di birra, liquori vari e vodka. Recuperai la pallina di plastica che ero riuscita a trovare tra i vari giochi stipati – e dimenticati – in garage e iniziammo a giocare.
Nessuno dei due aveva un’ottima mira, quindi erano più le volte in cui dovevamo correre per la casa a recuperare i lanci persi o mancati che quelle in cui facevamo effettivamente centro, perciò questo ping-pong alcolico durò più del previsto.
 
L’alcol iniziò a farsi sentire dopo tre o quattro tiri giusti e, per mia sfortuna, non si trattò di birra. Cominciai a ridere senza motivo per ogni sciocchezza, cosa che rese impossibile poter continuare a giocare.
“Stai bene?” mi chiese trascinando le parole. Ero riuscita a centrare molti più bicchieri rispetto a lui e gli effetti si sentivano appena iniziò a parlare.
“Cerrrrto!” squittii per poi scoppiare a ridere subito dopo. Probabilmente erano le numerose r a sembrare così divertenti.
 
Ci trascinammo entrambi verso il divano.
“Ho bisogno di una pausa…” ammisi lasciandomi andare.
“Oooh, dai, che mezza calzetta che sei!” gli piaceva stuzzicarmi e darmi fastidio solo per vedere come reagivo.
Mi girai verso di lui e lo fissai per un attimo prima di dirgli: “Accidenti, mi fai impazzire, lo hai sempre fatto”. Sorrisi, era l’alcol a parlare e speravo che non avesse rovinato l’atmosfera.
“Io? Vogliamo parlare di te? L’ultimo anno ho maledetto il fatto che tu avessi una relazione.” Come? Allora me lo aveva già detto, ma a causa dell’alcol non mi ricordavo tutti i dettagli della serata.
Proseguì: “Ero cotto di te, ma era troppo tardi e non volevo rovinare le cose tra te e il tuo ragazzo.” Ritornai di colpo lucida, ma non mi mossi, mi limitai a guardarlo aspettando che aggiungesse altro. “Poi iniziammo l’università e ci perdemmo di vista, così non ho più avuto modo di dirtelo.”
Non dissi niente per un po’, ero rimasta sconcertata dalla sua confessione.
“Mannaggia a te…” Sussurrai distogliendo lo sguardo. “Ma adesso non sono impegnata…” Lui sì, però, mi ricordai.
Sentii la sua mano prendermi dolcemente il mento. Era a pochi centimetri dal mio viso. Restammo in silenzio. Sapevo che non avrebbe mai fatto il primo passo, così mi buttai io. Lo baciai.
Brava, ottimo, hai mandato tutto a quel paese, pensai.
Ci staccammo. Ero terrorizzata, avevo paura di aver rovinato tutto. Al contrario, si avvicinò a me e ricambiò il mio bacio. Fu passionale, pieno di desiderio. L’alcol ci aiutò semplicemente a sbloccare quel qualcosa che non sarebbe nato senza di esso.
Coraggio liquido, è proprio vero.
 
Mi fece sedere sulle sue gambe, continuando a baciarci.
Le mie mani gli tenevano ora il viso ora i suoi ricci castani, mentre sentivo la sua presa sui miei fianchi.
Dopo qualche istante ci allontanammo. Lo guardai e riuscivo a leggergli negli occhi la stessa voglia che avevo io di lui.
“Vieni con me” dissi a bassa voce. Mi misi in piedi e gli presi la mano.
Senza aggiungere nulla me la strinse e si alzò lasciandosi guidare fino alla mia camera.
 
Riprendemmo esattamente dove avevamo interrotto pochi attimi prima.
I baci si fecero via via più passionali. Le nostre mani a tratti si intrecciavano per poi andare a scoprire e studiare i nostri corpi a vicenda.
D’un tratto mi trovai sdraiata, lui sopra di me.
“Vuoi scoprire come sarebbe stato tra di noi?” mi chiese. Ormai l’alcol non c’era più, ero rimasta solo io a parlare.
“Sì, voglio”, sussurrai per poi baciarlo di nuovo.

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