La strada non presa

di komova_va
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pasta al sugo ***
Capitolo 2: *** Specchi ***
Capitolo 3: *** Fortissimo ***
Capitolo 4: *** Sola ***
Capitolo 5: *** Autunno ***
Capitolo 6: *** Niente - parte prima ***
Capitolo 7: *** Niente - parte seconda ***
Capitolo 8: *** Confessioni - parte prima ***
Capitolo 9: *** Confessioni - parte seconda ***
Capitolo 10: *** Un passo alla volta ***



Capitolo 1
*** Pasta al sugo ***


Era un freddo giovedì di settembre, l'ultimo giorno del mese per l'esattezza. Sdraiata sul divano di casa sua, Irene Cipriani guardava distrattamente le pareti bianche della sua cucina e pensava a quanto fosse difficile pensare e fare previsioni sul futuro, soprattutto in retrospettiva, quando ormai si sa già come sono andate le cose e si realizza quanto improbabile o inaspettato o forse addirittura assurdo l'esito sarebbe apparso ai nostri occhi soltanto qualche tempo prima. Il tutto mentre teneva la testa pigramente appoggiata sul petto di Maria Puglisi e le gambe distese lungo la parte opposta del divano, in attesa che la cena preparata da quest'ultima fosse finalmente pronta. Cos'è che avevano per cena, tra l'altro? Era così stanca che nemmeno se lo ricordava... Irene spostò lo sguardo verso i fornelli e vide la pentola sul fuoco con la pasta, e all'improvviso le tornò in mente. Ecco cosa c'era, la pasta al sugo. Visto che a cena c'erano soltanto loro, aveva detto Maria.

-Che poi, fammi capire una cosa, - esordì Irene di punto in bianco, la sua voce l'unico rumore che contrastava l'acqua che bolliva nella pentola messa sul fuoco, -com'è che quando c'è Stefania le prepari piatti da far venire l'acquolina in bocca e quando siamo solo noi due per cena c'è giusto una misera pasta al sugo?

A giudicare dalla risposta di Maria, era chiaro che quest'ultima non stesse prendendo con la dovuta serietà l'accorata lamentela (che aveva anche solide basi, per giunta) di Irene: -Allora, prima di tutto quando c'è Stefania le cene le preparo anche a te, - sottolineò Maria, ponendo particolare enfasi su quell'ultima parolina monosillabica alla fine della frase, -e secondo, questo passa il convento stasera. Hai voluto andare a pranzo oggi in latteria e spendere soldi? E allora dobbiamo risparmiare sulla cena, Irè, è matematica.

-Ma sentila, sembri pronta per iscriverti alla scuola di ragioneria della signora Conti, - la prese in giro Irene, alzando lievemente lo sguardo per osservare il viso dell'altra ragazza e la sua reazione. Maria ridacchiò, abbassando a sua volta gli occhi su di lei per incontrare quelli color verde di Irene.

-Eh, sicuro guarda! - replicò, con evidente ironia nella voce. -Io poi con la matematica proprio non ci prendevo a scuola, so a malapena fare le operazioni più semplici.

Irene invece a scuola in matematica era brava, le piaceva molto di più rispetto a quei lunghi temi di italiano noiosissimi dove bisognava parlare di cose che nemmeno esistevano senza un motivo, ma in quel momento si trattenne ed evitò di dirlo.

-Sì può sempre imparare, - le fece presente. -Lasci la signora Amato e l'atelier e inizi a farti una carriera ai piani alti, dove circolano gli stipendi che contano. Prima ti fai prendere in prova dalla signora Conti, e poi chissà, se vede che sei brava e te la cavi può anche essere che quando se ne va in pensione o si stufa o si trasferisce tu la sostituisci e assumi il controllo della contabilità, - ipotizzò Irene. A lei del resto piaceva sognare in grande: se proprio doveva trovare una carriera alternativa per Maria, perché limitarsi a una posizione di medio livello quando invece poteva assumere il comando di tutto il giro di affari del Paradiso? Sicuramente in un modo o nell'altro Irene avrebbe trovato il modo di corromperla e far venire qualcosa in tasca anche a lei stessa.

-Se, vabbè, e a che scopo tutto questo scusa?- domandò retoricamente la sua coinquilina, con un sottofondo di presa in giro che Irene non mancò di notare.

-Come a che scopo?!- rispose l'altra, stando al gioco e fingendo che la risposta a quel quesito fosse in realtà palese. -Così ogni sera quando torni a casa invece di farmi della semplice pasta al sugo puoi andare al mercato, comprare tanti ingredienti pregiati e cucinarmi tutto quello che voglio io, - affermò infine, anche con una certa soddisfazione.

-Ah sì, contabile e pure cuoca personale di Irene Cipriani?- Maria le rivolse un'occhiata dubbiosa e inarcò un sopracciglio, alquanto scettica nei confronti di quella doppia proposta di lavoro ipotetica. Si vedeva che quella ragazza non aveva proprio fiuto per gli affari e gli investimenti nel capitale umano.

-Eh certo, se permetti è anche un onore, - ribadì Irene con convinzione. Per tutta risposta, evidentemente indispettita dalla sua (naturalmente finta) hybris, Maria afferrò Irene per le spalle e fece come per spingerla giù dal divano, scostandola da sé. Irene avvertì subito la lontananza dal suo corpo e, presa alla sprovvista, istintivamente sentì la mancanza del calore che quest'ultima emanava sotto di lei e di quella sensazione di torpore e familiarità che aveva provato fino a qualche istante prima.

-Ma che fai?!- chiese, sentendosi quasi tradita, mentre cercava con le mani di tenersi aggrappata ai cuscini per evitare di cadere. Alla fine, Maria ebbe pietà di lei e l'aiutò a rimanere in equilibrio, allungò la mano nella sua direzione e le afferrò il braccio destro, poi la tirò versò di sé.

-Te lo meriti, - affermò con tono di rimprovero, anche se nel mentre un piccolo sorriso divertito tradiva la sua aura di finta serietà.

Nel frattempo, con l'aiuto di Maria Irene si risistemò sul divano e riprese la stessa posizione che aveva occupato fino a poco prima; si raggomitolò nuovamente contro il fianco della sua coinquilina e appoggiò la testa contro il suo petto, poi chiuse gli occhi per una manciata di istanti. Sentì la mano di Maria, che ancora teneva stretto il suo braccio destro, scorrere leggermente giù lungo quest'ultimo, poi allentò la presa. Tuttavia lasciò la mano lì, non la allontanò, e anzi, Irene percepì la punta delle sue dita cominciare a muoversi quasi impercettibilmente sul tessuto della sua maglia, pseudo-sfiorandole la pelle in piccole carezze ritmate. Era una sensazione... piacevole. Nessuna delle due disse niente per riconoscere ad alta voce quel piccolo gesto, quel minuscolo movimento che a chiunque altro sarebbe apparso insignificante, eppure entrambe ne erano pienamente consapevoli. Irene si lasciò cullare dalla sensazione di calma e tranquillità interiore che stava provando in quel momento e quasi senza rendersene conto fece un respiro profondo, sentendo di poter abbassare la guardia e rilassarsi; solo allora si accorse, incidentalmente, di avere il suo profumo addosso. Non che la cosa le desse particolarmente fastidio comunque, o le dispiacesse. Maria aveva sempre un buon odore, forse perché a differenza sua era in grado di fare il bucato decentemente.

Da quando avevano incominciato a vivere insieme, il rapporto tra le due ragazze era molto cambiato. Soprattutto negli ultimi mesi, quando le tensioni riguardanti Rocco erano finite e i litigi più seri, i drammi e i periodi di silenzio stampa finalmente erano cessati, le due si erano avvicinate parecchio. Non nel senso che andavano d'amore e d'accordo, certo, i battibecchi e le piccole scaramucce erano all'ordine del giorno, così come le prese in giro scherzose e le battute. Soltanto che era cambiato il tono, il contesto. Adesso che Maria non la odiava più per partito preso, Irene aveva cominciato ad aprirsi un po' di più con lei, a fidarsi, ed era capitato che qualche sera rimanessero in cucina a chiacchierare del più e del meno. Forse era proprio a causa di quella quotidianità che le univa che Irene aveva incominciato ad abbassare la guardia in sua presenza e lasciarsi un po' andare, e stranamente, in concomitanza con tutto ciò, aveva iniziato ad esserci anche molto più contatto fisico di quanto Irene si sarebbe mai aspettata.

All'inizio era incominciato con i piccoli gesti, una carezza mentre passavano l'una accanto all'altra, una pacca sulla spalla in segno di conforto dopo una giornata particolarmente faticosa, e piano piano erano diventati sempre più frequenti e automatizzati, come fossero stati una parte fissa delle loro interazioni e le loro dinamiche. Questo poi era particolarmente strano per Irene, che era notoriamente una persona che non amava esageratamente le manifestazioni di affetto di qualsiasi sorta. Eppure con Maria... con Maria per qualche motivo era diverso; ormai si trovavano a toccarsi o abbracciarsi in maniera spontanea, tanto che poco prima mentre Stefania aveva dato a suo padre i regali in cucina senza rendersene conto le due ragazze erano state abbracciate per tutto il tempo. Irene lo sapeva che non sarebbe dovuto essere normale, eppure, di fatto, a una parte di lei nemmeno dispiaceva così tanto. In qualche modo, quei piccoli gesti di vicinanza la facevano sentire più accolta, più benvoluta... più a casa. Lei e Maria non avevano mai effettivamente parlato della cosa, né avevano mai sentito la necessità di confrontarsi in merito, eppure entrambe sapevano perfettamente ciò che stava succedendo e tacitamente ricercavano quei piccoli contatti in ogni occasione, ogni qualvolta il contesto lo permettesse. A parole, invece, naturalmente continuavano a darsi contro ad ogni singolo pretesto.

-Sai Irè, - proferì Maria, rompendo il silenzio venuto a crearsi nel frattempo, -mettiamo che per finta io ce la avessi davvero questa possibilità no, penso che al dottor Conti ci direi comunque di no. Alla fine io col mio stipendio semplice sono più contenta, perché almeno posso fare le cose che mi piacciono e passare tutto il giorno con la signora Agnese. Non siamo mica tutti arriviste come a te.

-Ah io sarei l'arrivista adesso?! - commentò Irene, ancora una volta con falso sdegno per giocare un po' e farsi passare come vittima.

-Nooo, per carità, una suora sei tu, - le rispose a tono Maria, lasciando intendere che volesse dire tutto il contrario. Per quanto fosse sempre dolce e carina con tutti, Irene aveva notato che con lei invece non si risparmiava mai di usare il sarcasmo... che risentisse della sua influenza a causa di quella crescente vicinanza?

-Sì, è vero, a volte mi preoccupo dei soldi, - le concedette Irene, -ma non lo faccio perché sono superficiale. È che avere soldi significa avere l'indipendenza e la libertà, e avere la libertà significa avere tutto, - spiegò semplicemente. Sapeva che la sua collega non la vedeva certo in quel modo negativo, che ormai quella fase l'avevano superata da un pezzo, ma la semplice possibilità che potesse essere rimasto anche solo il più piccolo dubbio, sia in lei che nelle altre sue amiche più strette, la turbava parecchio, per cui Irene aveva pensato che ribadire una volta di più il suo punto di vista non avrebbe certo fatto del male a nessuno.

-E tu è questo che vuoi, la libertà?- chiese Maria. Irene alzò lo sguardo e vide che gli occhi verdi dell'altra ragazza la stavano già osservando; come se ne accorse, Maria distolse immediatamente lo sguardo per concentrarsi sui fornelli. Non doveva mancare molto ormai, la pasta probabilmente era quasi pronta. Nonostante questo, Irene continuò a guardarla mentre le dava la sua risposta.

-Certo. Con mio padre ero tutto meno che libera, hai visto anche tu che tipo di persona è... sapere che non potevo oppormi a lui perché dipendevo completamente dal suo stipendio era terribile, - ammise, con una punta di amarezza della voce. Non era un periodo della sua vita che amava particolarmente ricordare, anche se la parte peggiore in assoluto erano stati indubbiamente gli ultimi giorni di vita di sua madre.

-Ma comunque avevi il lavoro al paradiso tu, no?- le fece notare Maria. Irene annuì.

-Certo, ma vivevo comunque sotto il suo tetto. C'erano spesso tensioni, litigi... non era piacevole, - spiegò, sospirando. L'unica consolazione che poteva trarre da tutto ciò era che ora lui non aveva più alcun potere su di lei, e Irene finalmente aveva incominciato a stare (un po') meglio; soprattutto, stava meglio con sé stessa, che era la cosa migliore che avrebbe potuto augurarsi.

-Posso immaginare... - la compatì Maria. Irene sentì la sua mano che iniziava lentamente a spostarsi su e giù lungo il suo braccio destro, forse per darle sostegno morale. La Venere la lasciò fare e si godette in silenzio per alcuni istanti la sensazione del tocco dell'altra ragazza.

-Non siamo mica tutte fortunate come Stefania, - commentò poi alla fine, -ad avercelo io un padre così.

Ed ecco che le carezze che le piacevano tanto si interruppero improvvisamente: Maria ritrasse momentaneamente la mano per tirarle una piccola sberla sulla spalla, rimproverandola come faceva sempre, nonostante nel mentre stesse accennando ad una risata. Irene si strinse nelle spalle e la lasciò fare, sapeva che stavano semplicemente giocando. Poi, la mano di Maria tornò a posarsi sul suo braccio.

-Irene, c'è la pasta da assaggiare... - le fece presente la sua coinquilina, rendendo alquanto ovvia l'implicazione alla base di quella affermazione: una di loro due avrebbe dovuto alzarsi.

-Non possiamo semplicemente scolarla? - obiettò Irene, per prendere tempo. -Ad occhio direi che dieci minuti sono passati.

-Irene no, te l'ho già detto cento volte, la pasta si assaggia! - protestò Maria. -Se no come fai a capire se è buona o no?

-Segui le istruzioni e tieni il tempo, che differenza fa? Più o meno siamo lì, su!

Era chiaro che i loro punti di vista sull'argomento erano decisamente incompatibili.

-Come che differenza fa?! - replicò Maria con fare drammatico, come se Irene avesse appena detto un'eresia. -Anche solo pochi minuti possono fare la differenza! Madre santissima, le basi proprio a te bisogna spiegarti. Dai, va' ad assaggiare, - ordinò con fare perentorio.

-Mmm.

Tutto quello che uscì dalle labbra di Irene furono semplici mugolii di protesta, per il resto nessuno dei suoi muscoli accennò il più piccolo movimento. In fondo un po' era anche colpa di Maria: se non si fosse sentita così comoda e a suo agio vicino a lei, probabilmente avrebbe avuto una maggiore spinta ad alzarsi. Invece adesso l'idea di lasciare quel divano le sembrava un crimine contro i diritti umani, che sicuramente non si meritava di subire.

-Che c'è, ti stai opponendo?- la richiamò all'ordine la sua coinquilina, constatando a sua volta la pigrizia di Irene e la sua riluttanza ad alzarsi ed eseguire il comando che le era stato impartito.

-Sì, - rispose Irene, senza mezze misure. -Il mio corpo si rifiuta di alzarsi, non ci posso fare niente.

E in effetti non era nemmeno una bugia. Chi era lei per andare contro ciò che il suo corpo desiderava?

-Madonna, quanto la fai tragica! - esclamò Maria, ora quasi esasperata. -Flora dovrebbe disegnarli per te gli abiti di scena, visto che ti piace così tanto fare i teatrini.

-È più facile per te, tu stai tutto il giorno seduta! - le fece notare Irene. Da un punto di vista logistico, era inevitabile che il lavoro di Venere richiedesse molte più energie fisiche rispetto a quello da sarta. -Noi siamo a malapena quattro veneri e mezza e dobbiamo servire le folle di clienti che vogliono i capi dell'ultima collezione di Gabriella o sono alla ricerca della rivista del paradiso market, a fine giornata i miei piedi sono distrutti!

-Eh, poverina... - la prese in giro Maria, evidentemente non cogliendo (per la seconda volta) la serietà delle problematiche da lei esposte.

-Vorrei vedere te al mio posto! - esclamò Irene, la cui indignazione questa volta aveva basi ben più solide di prima. In realtà dentro di sé sapeva perfettamente che Maria aveva ragione e che la pasta andava assaggiata, e che visto che Maria si era presa il disturbo di cucinare per entrambe e apparecchiare lei avrebbe almeno potuto fare lo sforzo di verificare che fosse pronta e scolarla... ma la verità era che, a parte il momento di pigrizia che stava avendo e la stanchezza della giornata, provocare Maria per vedere fin dove si sarebbe spinta un pochino la divertiva. D'accordo, forse era giusto un po' crudele a mettere alla prova la sua pazienza in quel modo, ma era proprio più forte di lei.

-Guarda che un altro po' e la pasta si fa scotta se non la assaggi, dai vai per favore! - la esortò Maria, per l'ennesima volta.

-E va bene... - sospirò Irene, alzando gli occhi al cielo. Del resto tirare troppo la corda non avrebbe portato a nulla di buono. -Ma ad una condizione, - aggiunse poi, con un sorrisetto sulle labbra.

-Quale condizione? Ho già paura.

-La condizione è che stasera si cena sul divano, - dichiarò Irene con serietà. Già immaginava la reazione oltremodo negativa che avrebbe scatenato dall'altra parte, ma non le importava. Almeno un tentativo valeva la pena farlo, no?

-Sul divano?! Assolutamente no, - rispose Maria, più che categorica che mai. Ecco, per l'appunto.

-Ma dai!- tentò l'altra, una seconda volta.

-Ma manco per idea! Su, cammina ad assaggiare ora, - intimò la siciliana, con il tono di chi non ammetteva repliche. Com'era che Maria era sempre gentile e carina con tutti, e lei era l'unica a doversi beccare il suo lato dispotico? Non era affatto giusto.

-Si vede proprio che stai passando troppo tempo insieme alla signora Amato... - commentò la Venere, alludendo alla natura da gendarme della donna più anziana. Sì, Maria stava senza dubbio risentendo di troppe influenze negative.

-Irene con te così bisogna fare, vedi che se ti si da retta si finisce per fare sciocchezze, - la ammonì nuovamente Maria. Sciocchezze? D'accordo, forse qualche volta Irene si faceva trascinare un po' troppo dalla sua impulsività, ma non era certo un crimine, suvvia. Sapevano tutti che senza di lei là al Paradiso sarebbe stata una noia mortale, era inutile negarlo. Avrebbero dovuto ringraziarla, casomai.

-Ah sì, sciocchezze? - protestò Irene. -Mangiare sul divano sarebbe una sciocchezza secondo te?

-Ma certo che sì! - rispose prontamente Maria, senza esitare. -È scomodo, non possiamo appoggiare il piatto da nessuna parte e se il divano si sporca poi dobbiamo anche metterci lì a togliere le macchie. Che poi, dobbiamo, sicuro mi toccherà a me perché tu ti inventerai qualche scusa come tuo solito per evitare di faticare.

Il tono di voce di Maria adesso stava iniziando a sembrare alquanto scocciato, e Irene intuì che continuare ad andarle contro non l'avrebbe portata da nessuna parte. La Venere decise allora di cambiare strategia: se discutere non avrebbe fatto cambiare idea alla sua interlocutrice, magari mostrarsi accondiscendente e compiacente avrebbe aiutato di più.

-Ti prometto che se si sporca pulisco solo ed esclusivamente io! - promise Irene con solennità e assoluta serietà. Ormai era diventata una questione di principio, non avrebbe lasciato quel divano senza prima aver ottenuto almeno una piccola vittoria. Per sembrare più convincente alzò lo sguardo su Maria alla ricerca del contatto visivo, ma gli occhi di quest'ultima erano ancora fissi sui fornelli. Che stesse... evitando apposta di guardarla?

-Sì, certo, e io ci dovrei credere... - la ignorò Maria. -Probabilmente se ti ci metti da sola finisce pure che peggiori le cose, - ipotizzò.

-Ma dai, non è vero! - replicò Irene, nonostante in cuor suo sapesse che nelle parole della sua coinquilina un fondo di verità c'era. -E poi staremo attente, cerchiamo di non far cadere il sugo e siamo a posto, con la pasta non facciamo nemmeno le briciole! - spiegò, provando ancora una volta a dissuaderla con argomentazioni logiche.

-Eh, Irene, ho detto di no! - ripeté Maria ancora una volta, questa volta guardando Irene negli occhi per enfatizzare la sua decisione. Certo che quando ci si metteva Maria sapeva davvero essere testarda, ma Irene non era certo da meno. -E poi si può sapere che cos'ha il tavolo che non va? - proseguì la siciliana. -Ci mangiamo tutte le sere! Che differenza fa qui o là? -

-La differenza, - iniziò Irene, sostenendo lo sguardo di Maria -è che qui possiamo mangiare sdraiate e siamo più comode, e non ci dobbiamo alzare.

Le due si guardarono in silenzio per alcuni secondi, e Irene ebbe la sensazione che tutto il non detto fra di loro improvvisamente stesse iniziando a diventare sempre più difficile da ignorare, sempre più presente all'interno della loro consapevolezza e sempre meno un dettaglio marginale da relegare sullo sfondo. Le bastò osservare l'espressione di Maria per capire che quest'ultima aveva intuito che Irene si riferiva alla loro vicinanza, e che la cosa non lasciava indifferente nemmeno lei. Era forse... arrossita? No, probabilmente doveva essere un'impressione della mente di Irene, anzi, quasi sicuramente. Alla fine, Maria distolse lo sguardo e ritrasse la mano dal suo braccio, e Irene avvertì subito la mancanza del suo tocco. Santo cielo, la cosa stava davvero degenerando. Si trattava pur sempre di Maria Puglisi! Per quale assurdo motivo le stava dando tutta quell'importanza?

-Vabbè, ho già capito che qua se non mi alzo io la pasta diventa colla, sei una vergogna va', - si arrese infine l'altra ragazza, alzandosi dal divano mentre rivolgeva ad Irene un'occhiata di palese disapprovazione. Mentre la guardava allontanarsi verso i fornelli, Irene si morse il labbro inferiore e si domandò se davvero avesse ceduto per sfinimento, o se invece non stesse scappando da un qualcosa che non desiderava affrontare. Chissà, forse entrambe le cose.

Nel frattempo, dopo aver scolato la pasta Maria appoggiò i due piatti di ceramica sul ripiano accanto a sè e li riempì con quella che sarebbe stata la loro cena, poi si avvicinò alla tavola apparecchiata e prese due forchette, che inserì all'interno dei piatti insieme alla pasta. Irene si sarebbe aspettata di essere chiamata a sedersi per (finalmente) mangiare; e invece, contro ogni aspettativa Maria riprese in mano i piatti e si avvicinò al divano. Gli occhi di Irene si illuminarono nel realizzare che, incredibilmente, la sua richiesta era stata esaudita, era riuscita davvero a convincere Maria a mangiare sul divano! Forse la sua parlantina aveva più potere su di lei di quanto si aspettasse. Di fronte a lei Maria sospirò e, proprio quando era sul punto di passarle il suo piatto, lo alzò improvvisamente e mise in chiaro, prima di concederle definitivamente la cena:

-Però stasera i piatti li lavi tu, siamo intese?

-Intesissime, - annuì Irene, con un sorriso trionfante dipinto sul viso mentre internamente pregustava già il cibo che da lì a poco avrebbe mangiato.

-Guarda che non sto scherzando Irene, - la ammonì Maria, evidentemente non ancora pienamente convinta dalla sua promessa, -se ti sottrai giuro che da qui fino alla prossima estate tutte le volte che io e Stefania ci mangiamo la pasta per te la faccio in bianco.

-In bianco con il burro?- volle accertarsi Irene. Per quanto non fosse esattamente dietetica, era comunque un'alternativa migliore di quella con l'olio, fin troppo insipida per i suoi gusti.

-No, in bianco nel senso che la prendo, la scolo, te la metto nel piatto e tu così te la devi mangiare, - la minacciò Maria. Alla prospettiva di doversi mangiare un piatto del genere, un piccolo brivido attraversò la schiena di Irene. Chi l'avrebbe detto che una ragazza così tanto piccola e innocua potesse nascondere un lato tanto oscuro.

-Buon appetito, - disse infine Maria, sedendosi accanto a Irene mentre le porgeva il piatto con la forchetta.

-Questo è terrorismo psicologico, però, - si lamentò Irene, mentre con la mano destra prese la forchetta e cominciò ad arrotolare gli spaghetti. Poi, finalmente si portò la porzione di pasta alla bocca e ingoiò il primo boccone. Il sapore del sugo invase il suo palato e all'improvviso sentì le energie riaffiorare al suo corpo. Non le importava nemmeno che fosse un piatto che aveva già mangiato innumerevoli volte nella sua vita, le bastava mangiare, soprattutto visto il supplizio che aveva passato per averlo (senza doversi alzare tra l'altro, un dettaglio non indifferente).

-Mmm, - sospirò Maria, -sempre a fare la vittima tu, eh.

-Certo, tu mi minacci, fai la tiranna, - evidenziò Irene, incurante di avere ancora la bocca mezza piena.

-Ah, tiranna io?! Io ti preparo la cena e pure gli insulti mi devo beccare.

-Hai ragione, ti chiedo scusa, - le concedette la Venere, ancora leggermente scossa dalla minaccia appena ricevuta (il che non era altro che una prova a sostegno della sua tesi, comunque). -Buonissima la pasta comunque, - aggiunse poi, dopo diversi istanti di silenzio in cui entrambe le ragazze dedicarono la loro completa attenzione al cibo, come era giusto che fosse. -Certo, forse un po' troppo cotta... - scherzò poi, con un sorriso sulle labbra mentre mandava giù un'altra forchettata.

Maria non le rispose, non a parole comunque; si limitò semplicemente a lanciarle un'occhiata fulminante, e dal momento che Irene non era pienamente sicura che avesse capito che la sua non era altro che una battuta (certo, a onor del vero forse avrebbero dovuto scolarla qualche minuto prima, ma era consapevole di non essere certo nella posizione di poter avere pretese, figuriamoci poi di farlo presente), la ragazza preferì chiarificare:

-Dai che sto scherzando.

-Sarà meglio, va, - la mise in guardia Maria, coprendosi la bocca con una mano mentre parlava.

Seguirono altri istanti di silenzio, completamente dedicati alla cena, in cui Irene continuò a mangiare e godersi il tanto meritato nutrimento dopo una giornata di duro lavoro. Certo, il pranzo che avevano consumato in latteria vinceva a mani basse, se proprio doveva dirla tutta, ma anche la pasta di Maria in fondo non era male. Alla fine fu proprio quest'ultima a riprendere la parola, per chiederle: -Sei comoda?

-Molto, - decretò Irene con un sorriso soddisfatto sulle labbra, mentre allungava le braccia e si stiracchiava come per dare prova della comodità del divano e la morbidezza dei suoi cuscini. Certo, non avere una superficie su cui appoggiare il piatto non era certo l'ideale, ma per una sera valeva la pena di sacrificarla, considerando tutti i benefici che ne derivavano. -Manca giusto un posto in cui appoggiare il bicchiere e sarebbe perfetto, - commentò infine, rammaricandosi del fatto che tutti quei carboidrati le stessero facendo venire sete mentre, tristemente, l'acqua era così lontana. Il suo corpo si sarebbe dovuto arrangiare: non si potevano certo vincere tutte le battaglie.

-Secondo me tutte 'ste fantasie sulla carriera e il lavoro ai piani alti stanno cominciando a darti un poco alla testa, sai, - sentenziò Maria, girandosi verso di lei per guardarla.

-Tu dici?- chiese Irene, ricambiando l'occhiata.

-Giusto un pochino, - confermò Maria, con palese ironia.

-Irene, posso farti una domanda?- domandò poi la sarta, dopo un'ulteriore pausa all'interno della conversazione.

-Dimmi, - la incoraggiò l'altra ragazza, ora leggermente incuriosita.

-Prima, no, mi dicevi che quando vivevi con tuo padre non ti sentivi libera... - iniziò Maria.

Irene annuì per confermare quanto appena detto dalla sua coinquilina, in un tacito invito a proseguire con il quesito.

-E invece adesso ti senti libera, in casa con me?- chiese infine la mora. Non appena si rese conto di ciò che aveva appena detto, Maria si affrettò subito a correggersi e rettificare:-Cioè, con me e Stefania certo, con noi volevo dire.

Irene si prese alcuni secondi prima di rispondere. Con me? Maria le aveva appena chiesto se si sentisse libera con lei? Certo, poi si era corretta e aveva precisato che intendeva dire con lei e Stefania, ma del resto si sa che è la prima versione quella che conta. Da un lato, Irene si sentì quasi sollevata di quel salvataggio in calcio d'angolo, perché se la domanda fosse stata effettivamente quella lei non avrebbe proprio saputo come rispondere. Già, si sentiva libera insieme a Maria? Una parte di sé voleva dire di sì, che ormai si erano lasciate alle spalle le loro divergenze e tutto sommato, in un certo qual modo, avrebbe anche potuto reputare l'altra ragazza un'amica. Un'altra parte di sé, tuttavia, non si sentiva ancora pienamente a suo agio in sua presenza, o comunque non libera di fare o dire tutto ciò che voleva, come invece si sentiva con Stefania o con Dora. Forse era a causa dei loro trascorsi, forse era perché Maria era sempre così rigida e composta, o forse semplicemente perché erano due persone davvero tanto diverse... Chissà, forse se la giovane sarta fosse riuscita a sciogliersi un po' e lasciarsi andare anche Irene si sarebbe sentita più libera di esprimere sé stessa in sua presenza. Ma ad ogni modo, perché a Maria interessava saperlo? Da quando in qua le importava qualcosa di lei? Preferendo non indagare sull'argomento (anche se doveva ammettere che una certa curiosità di fondo c'era), Irene optò per una risposta più diplomatica:

-Sì, certo che mi sento libera con voi. Qui ho... è come se avessi trovato la mia dimensione, in un certo senso, - spiegò, preferendo non andare nei dettagli. Probabilmente Maria glielo aveva semplicemente chiesto per riempire il silenzio e fare un po' di conversazione, per cui Irene immaginò che non si aspettasse chissà che risposta approfondita... no?

-Cioè?- volle sapere l'altra, implicitamente chiedendo maggiori spiegazioni in merito.

-Cioè che posso parlare liberamente, dire quello che penso, voi mi prendete un po' in giro, io rido, ma alla fine stiamo bene insieme. No? - chiese conferma Irene.

-Certo, - replicò Maria, annuendo.

Mentre la sua interlocutrice prese una delle ultime forchettate di pasta dal suo piatto, Irene andò avanti a spiegare, casomai Maria avesse voluto approfondire il discorso (cosa che in realtà, in minima parte, se doveva essere sincera, interessava comunque anche lei; giusto un po', ecco):-Ormai ho imparato che posso fidarmi e riesco ad aprirmi un po' di più, se è questo quello che intendi. Perché, per te non è così?

-No, no che scherzi, anche io mi sento libera con voi ovviamente, - precisò Maria, coprendosi nuovamente la bocca con la mano destra. Forse era un'impressione di Irene, ma la sua collega non le era parsa eccessivamente convinta di quella risposta. -Era una domanda così, tanto per sapere, visto che mi dicevi che con tuo padre ti trovavi male, - aggiunse poi.

-Sarà... - rispose Irene sovrappensiero, con ben poca convinzione; evidentemente quella sfumatura non mancò di essere notata da Maria.

-Che c'è? - domandò quest'ultima, che aveva colto immediatamente quella nota di scetticismo.

-No, nulla, - tentò di farla desistere Irene. La ragazza tenne lo sguardo fisso sul suo piatto, ormai anch'esso quasi vuoto, per sfuggire al confronto visivo con Maria, e raggruppò una parte degli ultimi spaghetti rimasti per portarsela alle labbra e mangiarla; almeno così avrebbe avuto una scusa per non parlare.

-Dai, Irè, ormai le conosco le tue facce, - la esortò l'altra, -su dimmi.

-Ma non c'è niente, davvero!- insistette Irene, parlando con la bocca piena.

-Dai, avanti, tanto lo so che vuoi dire qualcosa.

Capendo che Maria non accennava a desistere, Irene decise di arrendersi e si risolse a risponderle, sperando di non urtare troppo i suoi sentimenti, o di offenderla:-No, niente, pensavo solo che a volte non si direbbe, ecco.

-Che cosa scusa?- replicò Maria, immediatamente sulla difensiva. Ecco, ancora una volta la Venere aveva dimostrato che la delicatezza non era esattamente il suo forte. Era più forte di lei: certe cose soltanto Stefania avrebbe saputo dirle nel modo giusto e con il tono giusto.

-Che ti senti libera con noi... - tentò di spiegare con voce docile, mentre continuava a tenere i suoi occhi fissi sul piatto che aveva appoggiato in grembo, -o proprio in generale, che ti senti libera.

-E perché dici questo?- volle sapere Maria. Il suo tono non sembrava eccessivamente arrabbiato, per fortuna; almeno quello. Ma comunque, Irene reputò che non fosse una saggia decisione addentrarsi in una discussione di quel genere (soprattutto senza Stefania lì presente a calmare le acque), per cui onde evitare possibili conflitti preferì fare un maldestro tentativo di tornare sui propri passi:

-Ecco, lo sapevo che dovevo tenermelo per me, fa finta che non abbia detto niente, - risolse la Venere.

-No dai sul serio, perché lo pensi? - chiese ancora una volta Maria, di nuovo, senza traccia di aggressività o irritazione. -Sono curiosa.

Benissimo, ora si era scavata la fossa da sola: come avrebbe fato a trovare il modo di darle praticamente della santarellina senza urtare la sua (alquanto fragile e precaria) sensibilità sarebbe stato tutto da vedere.

-Ma no, nessun motivo particolare, - iniziò Irene, -è che tu sei sempre così... così posata, così controllata, così precisa... io non ci riuscirei mai a essere come te. Non fai mai niente che vada anche solo un pochettino fuori dagli schemi, contro le regole, soltanto per il gusto di farlo, - spiegò, tentando di sondare con cura ogni sua parola. Soddisfatta del risultato ottenuto, Irene si premiò mangiando l'ultima (per suo dispiacere) forchettata di spaghetti rimasta nel piatto, per congratularsi con sé stessa della diplomazia esibita.

-Ma che c'entra, quello è il mio carattere, - si difese Maria. -Sono stata cresciuta così io, anche perché te lo lascio immaginare cosa avrebbero fatto i miei genitori se non ubbidivo...

-Anche mio padre non era certo contento, ma comunque non mi ha mai fermata, - rifletté Irene ad alta voce. La stessa Tina non veniva certo da un contesto molto diverso da quello di Maria, eppure non aveva mai lasciato che le sue origini mettessero un freno alle sue possibilità. -Quando è stata l'ultima volta che hai fatto una cosa soltanto perché ti andava, senza nessun obbligo o imposizione o perché qualcun altro ti aveva detto di farla?- le chiese poi Irene.

Sapeva che non era una domanda a cui Maria sarebbe stata in grado di rispondere con facilità, e infatti era proprio per questo che gliela aveva posta. Non che Irene desiderasse a mettere a disagio le persone di proposito, certo, ma trovava divertente metterle alla prova, provocarle un po', in un certo senso, specialmente sui punti che per loro erano più critici. E Maria Puglisi era senza dubbio una delle persone che trovava più divertenti da provocare, soprattutto a causa della sua vena tragica e la sua tendenza al melodramma. E comunque, non era solo per quello che lo stava chiedendo: in realtà, un pochino Irene era anche curiosa di sapere la risposta al suo quesito. Maria era sempre così rigida e seria: c'era davvero solo quel lato di lei, o esisteva anche una parte del suo carattere a cui piaceva svagarsi e divertirsi? L'ipotesi le sembrava così improbabile che se davvero esisteva un lato nascosto di Maria, Irene avrebbe voluto conoscerlo.

-Ma che ne so Irè, anche tu con 'ste domande, così su due piedi... - rispose l'altra ragazza, prevedibilmente colta alla sprovvista. Nel frattempo, Irene posò per terra il piatto ormai vuoto così che non la intralciasse. Poi tornò a rivolgere la sua completa attenzione a Maria, girando il corpo leggermente nella sua direzione per guardarla meglio mentre allo stesso tempo appoggiava la mano destra sul proprio ginocchio.

-Allora, non ti viene in mente niente?- insistette la Venere.

-Ma non è questo... - temporeggiò ancora un po' Maria, prima di fornire la sua risposta definitiva: -ecco, adesso ad esempio, ho mangiato sul divano perché mi andava di farlo.

-Ma se sono stata io a convincerti!- obiettò Irene. Data la tiritera a cui era stata sottoposta per arrivare all'approvazione di quella decisione, quello era proprio l'ultimo esempio che avrebbe potuto usare a suo favore.

-Sì però se devo dirti la verità un poco mi andava pure a me di stare seduta qua... - ammise Maria, la quale a sua volta aveva finito la pasta e ora teneva lo sguardo fisso sulle proprie ginocchia, quasi come se quasi si vergognasse di quella confessione. Ecco, Irene in quel momento realizzò che molto probabilmente la risposta alla sua domanda sarebbe stata negativa: non esisteva una versione di Maria Pulisi a cui piaceva divertirsi; non poteva esistere proprio per natura.

-Ah! Ma guarda un po' che bugiarda che sei, - la rimproverò scherzosamente, mentre sulle sue labbra si formava un ghigno divertito.

-Ma che bugiarda e bugiarda!- tentò di difendersi Maria, arrossendo lievemente. Irene la guardò e per un attimo le fece quasi tenerezza.

-Quindi adesso vorresti negare di avermi fatto la predica per mezz'ora, “Irene no”, “il divano si sporca”, “non si può”, mentre invece in realtà lo volevi pure tu!- continuò ad accusarla Irene, mentre gesticolava esageratamente per far arrivare alla sua interlocutrice il messaggio. In realtà non era seriamente arrabbiata con Maria, ovviamente, voleva semplicemente testare le acque e giocare un po' con lei.

-Sì vabbè che c'entra, mica solo perché una cosa la voglio allora significa che devo dirlo per forza o la devo fare, - spiegò l'altra ragazza, continuando a tenere gli occhi bassi.

Mm? E quello cosa significava? Se non la avesse conosciuta bene e non avesse saputo che era di Santa Maria da Partanna che si stava parlando, Irene avrebbe quasi potuto pensare che avesse qualcosa da nascondere, o comunque che ci fosse un qualcosa a cui stava pensando di cui non voleva parlare – o almeno questo era quello che sembrava stesse gridando a gran voce il suo sguardo mogio mogio e quasi colpevole. E, ovviamente, era proprio per questo che Irene aveva l'obbligo morale di indagare e scoprire cosa fosse esattamente ad occupare i suoi pensieri. Non che le interessasse seriamente comunque, era solo così... per occupare il tempo, per giocare. Probabilmente sarà stata qualche sciocchezza relativa al suo promesso sposo, anzi, quasi sicuramente. Ma comunque, Irene decise di non insistere in maniera troppo palese e tentò di rimanere sul vago, almeno per il momento.

-Vedi? Proprio come dicevo io prima! - sottolineò la ragazza, per validare la propria tesi e dimostrare ancora una volta di avere ragione – come sempre d'altra parte.

-Ma nella vita uno mica può fare tutto quello che vuole, Irene! - esclamò Maria, visibilmente coinvolta nella discussione. Un po' troppo per una normale chiacchierata alla fine di un pasto, pensò tra sé e sé Irene. Sì, valeva sicuramente la pena di indagare, anche nell'eventualità in cui la cosa alla fine riguardasse semplicemente la sua noiosissima relazione a distanza.

-Certo, non tutto tutto, ma almeno qualcosina... - le fece notare Irene.

-Eh, e infatti alla fine abbiamo mangiato sul divano, no?- rimarcò Maria; come se avesse avuto qualche importanza, poi.

-Sì, solo perché ti ho convinta io, - sottolineò nuovamente la Venere.

Ecco, pensò la ragazza tra sé e sé, se voleva mettere sotto torchio Maria quello era il momento giusto: presa dai gesti teatrali e l'esposizione di accorate argomentazioni, durante il loro piccolo dibattito Irene aveva finito per avvicinarsi alla sua coinquilina quasi senza rendersene conto. Approfittando della cosa, la ragazza decise di diminuire ulteriormente la distanza che le separava per far sentire Maria ancora più sotto esame e spingerla a farsi scappare ciò che le interessava. Con un movimento rapido si spostò leggermente sul divano per sedersi ancora più vicina a lei, non in modo troppo evidente, ma abbastanza perché si sentisse la differenza. Poi, ruotando il busto e il viso nella direzione della sua interlocutrice, Irene guardò dritto negli occhi verdi di Maria e chiese, il tono di voce lievemente più basso rispetto a prima per contribuire a creare un'atmosfera di confidenza:

-Dai, dimmi, qual è una cosa che vorresti fare in questo momento?

-I-in questo momento?- ripeté Maria, se possibile ancora più impreparata di prima.

Lo sguardo della ragazza si abbassò di poco per una frazione di secondo, poi tornò a posarsi nuovamente su quello di Irene. Però, adesso che la guardava da così vicino, Irene doveva ammettere che Maria aveva proprio dei begli occhi, di una sfumatura di verde che rasentava quasi l'azzurro. Anzi, a dirla tutta, se proprio doveva essere sincera Maria aveva anche un bel viso, e le poche (rarissime) volte in cui non le rivolgeva espressioni cupe o imbronciate o non alzava gli occhi al cielo dalla disperazione ma invece le sorrideva era ancora più bella, si vedevano di più le sue fossette e le sue labbra sembravano ancora più morbide e... aspetta un attimo, le stava fissando le labbra ora?! Com'era successo?! Quando se ne rese conto, Irene ritornò immediatamente in sé e realizzò solo in quel momento che aveva finito per fissare il suo viso decisamente più a lungo di quanto avrebbe dovuto. Comunque, Maria sembrava aver fatto la stessa cosa, o forse stava semplicemente cercando di elaborare una risposta e trovare il modo di uscire da quella situazione. Osservandola con attenzione, Irene notò immediatamente una leggera sfumatura rossa che le colorava guance.

Ahà, allora qualcosa c'era! Evidentemente la domanda di Irene doveva aver innescato qualche sorta di pensiero in lei, e ora si sentiva imbarazzata. Probabilmente era qualcosa che non avrebbe dovuto dire ad alta voce, o non si spiegava la sua reticenza a rispondere... per un attimo, ma solo per un attimo, Irene si chiese se potesse essere qualcosa che riguardava proprio lei. Poi scacciò quel pensiero con la stessa velocità con la quale era arrivato. Sarebbe stato assurdo, d'altra parte. Lei e Maria non si piacevano particolarmente, e questo lo sapevano tutti, perfino Don Saverio. Perché Maria avrebbe dovuto nascondere la cosa e avere remore nel dirlo? Non avrebbe avuto senso.

-In questo momento voglio che tu lavi i piatti, ecco cosa voglio! - rispose infine Maria, dopo attimi di silenzio che erano sembrati interminabili.

La ragazza mise fine alla tensione alzandosi dal divano e avvicinandosi al lavandino, soltanto per lanciare uno sguardo perentorio a Irene e indicare con la mano destra le pentole sporche, a mo' di generale che istruiva i soldati sulla direzione da seguire per raggiungere il campo di battaglia. E così, l'immagine degli occhi di Maria e il suo bel sorriso fu immediatamente sostituita all'interno della sua mente dalla versione alla quale era decisamente più abituata, la Maria noiosa che le andava sempre contro. Irene alzò gli occhi al cielo e sbuffò, scocciata. I patti erano i patti e ora sapeva anche lei di non avere scampo, doveva alzarsi e adempiere alla sua parte dell'accordo, tuttavia la voglia di lasciare il divano si faceva sempre più scarsa con ogni secondo che passava.

-Dai, ti conosco, più rimandi e più poi non hai voglia di farlo, - la esortò Maria. In effetti era vero, Irene non poteva nemmeno darle tutti i torti. Rassegnata al suo triste destino, la ragazza si tirò finalmente su e raccolse i piatti sporchi, per portarli vicino alle altre pentole che avevano usato.

-E va bene, ma non è finita qua, - assicurò Irene, rivolgendo alla sua coinquilina uno sguardo che lasciava intendere che presto quella conversazione sarebbe andata avanti. Una volta tolti i piatti di mezzo, sicuramente avrebbe trovato una strategia per farla parlare e farsi dire quale oscuro desiderio affollava i suoi pensieri.

-Io intanto vado in bagno allora e mi cambio per la notte, - annunciò Maria, avviandosi verso la sua stanza mentre indicava con un cenno del braccio la porta del bagno.

-Va bene, a tra poco, che qua ci penso io, - le assicurò Irene. La ragazza si tirò su le maniche e prese in mano la spugna che usavano per lavare i piatti, sperando che vedere lo sporco che se ne andava via per lasciare spazio alla superficie pulita e splendente la avrebbe aiutata a farsi venire in mente un'idea. L'unica cosa di cui era certa, era che avrebbe trovato il modo di far parlare Maria Puglisi.


Angolo dell'autrce

So che può sembrare strana questa svolta Mariene vista la mia adorazione per gli Irocco, ma un po' per la mancanza di contenuti, un po' perché le dinamiche di Maria e Irene mi stanno piacendo veramente tanto in questo daily, ho deciso di sperimentare e provare a sviluppare un po' il loro rapporto dando una chiave di lettura alternativa, le cui hint e il sottotesto ho comunque sempre apprezzato anche nella scorsa stagione. Spero di essere riuscita a rappresentare questi due personaggi in modo realistico e fedele alla loro versione della soap, senza quindi tradire la loro essenza in favore delle dinamiche che voglio rappresentare. Ringrazio chiunque è arrivato a leggere fino alla fine dando alle Mariene anche solo una possibilità! Naturalmente arriverà presto la seconda parte, in cui scopriremo cos'è successo nel resto della serata. A presto!

 

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Capitolo 2
*** Specchi ***


Maria guardò la propria immagine riflessa nello specchio del bagno, la vestaglia da notte color rosa appena indossata che mostrava alcune pieghe alla base del collo; il viso che la stava osservando dall'altra parte, con un'aria a metà tra il preoccupato e il perplesso, le sembrava così poco familiare che a stento riusciva a riconoscersi. La ragazza si passò una mano tra i lunghi capelli ricci, ora sciolti e liberi di cadere a cascata sulle proprie spalle, poi sospirò.

Che cosa ci succede?, pensò tra sé e sé, interrogando silenziosamente la versione di se stessa che aveva davanti agli occhi. Già, che cosa le stava succedendo? Stava passando troppo tempo con Irene Cipriani, ecco cosa succedeva. Quella ragazza aveva il potere di confonderla, e di farla arrabbiare, e di convincerla a fare cose che non avrebbe dovut- voluto, non avrebbe sicuramente voluto fare, se non fosse stato per lei e la sua influenza negativa, anzi, pessima. Già, perché Maria sicuramente non desiderava sedersi vicino a lei, tenerla stretta mentre sentiva la voce di Irene sparare babbiate e fingere di riprenderla e rimproverarla, anche se poi in realtà tra sé e sé pensava che la sua ironia l'aiutava un po' ad alleggerirsi e le faceva sembrare tutte le preoccupazioni della giornata semplici piccolezze, invece degli ostacoli insormontabili che la sua ansia cronica le faceva vedere. Non desiderava sedersi sul divano di casa sua affianco a Irene e mangiare lì con lei una semplice pasta al sugo, non desiderava che Irene la guardasse negli occhi tanto intensamente come aveva fatto prima e soprattutto non desiderava starle a quella distanza così ravvicinata, a tal punto che se si fosse sporta ancora un po' avrebbe quasi potuto...

Nonononono, cosa stava andando a pensare?! Maria osservò l'immagine del suo viso nello specchio e vide le sue guance completamente rosse, mentre sentiva il cuore nel petto cominciare a battere più forte, così tanto che se Irene le si fosse avvicinata in quel momento probabilmente sarebbe stata in grado di sentirlo pure lei con le sue stesse orecchie.

Allora, una brava ragazza certe cose non le deve nemmeno pensare. È chiaro?!, si intimò, rivolgendo a sé stessa il tono che normalmente avrebbe usato con qualcuno come Irene Cipriani. Toglitelo dalla testa e non ci pensare proprio.

Maria chiuse gli occhi e sospirò una seconda volta. Cercò di fare mente locale e sgomberare il suo cervello da tutti quei pensieri e quelle sensazioni ingombrati e così profondamente sbagliate, ma non appena ci provò nella sua mente si materializzò il ricordo di pochi minuti prima, il viso di Irene così vicino al suo e l'immagine degli occhi verde smeraldo di lei che per alcuni secondi le fissavano le labbra. Ed ecco che la tachicardia faceva ritorno e Maria si ritrovò sovrastata da tutte quelle sensazioni al di fuori del suo controllo che tanto detestava. Non se l'era immaginato, era sicurissima che lo sguardo di Irene fosse stato fisso proprio sulla sua bocca, non poteva essersi sbagliata. E allora, una stupida stupida parte del suo cervello iniziava a domandarsi se anche Irene... se per caso anche Irene non avesse fatto in quel momento gli stessi pensieri, se per caso anche lei non avesse desiderato... Quella cosa le faceva così paura che non riusciva nemmeno a dirlo, nemmeno ad ammetterlo a sé stessa; perché se lo avesse fatto sarebbe diventata reale, e Maria non lo poteva permettere. Non poteva essere reale, non doveva.

Eppure, per quanto si sforzasse di convincersi del contrario, tutto quello che lei sentiva, quella miriade di sensazioni che le affollavano la mente e il cuore e lo stomaco e il resto del corpo erano reali, talmente reali che anche volendolo non riusciva a smetterci di pensarci. Maria sospirò una seconda volta. Aveva bisogno di calmarsi e di riprendere il controllo di sé stessa. Non poteva permettere a Irene di sovrastarla, di avere tutto quel potere su di lei. Di perdere se stessa. Perché la Maria che conosceva, quella che era cresciuta con dei sani principi cattolici e aveva dei valori ben piantati dentro di sé, lo sapeva perfettamente che certi pensieri non si facevano, che erano peccato. E lei non era come Irene, a certe cose ci dava un peso. Lei lo sapeva che fare quello che si desiderava senza pensare alle conseguenze era sbagliato, che era da persone immature e irresponsabili, che c'erano delle regole nella società ed esistevano per una ragione. Lei. Perché per Irene Cipriani era così facile comprenderlo e comportarsi di conseguenza? Magari così l'avrebbe piantata una buona volta di darle il tormento, con tutte quelle domande strane.

Di nuovo, il suo cervello riprodusse la scena che aveva vissuto nel salotto poco prima, la voce di Irene che domandava:-Dai, dimmi, qual è una cosa che vorresti fare in questo momento?

E ancora una volta, Maria perse il controllo su di sé mentre i battiti del suo cuore acceleravano oltre ogni misura. In quel momento i suoi occhi avevano guardato Irene e d'istinto, senza doverci pensare, la sua mente aveva proiettato un'immagine ben chiara e netta di ciò che desiderava fare, proprio lì, proprio su quel divano. Non era stato il frutto di un pensiero o di un ragionamento, era stato come un impulso (a cui per fortuna non aveva dato adito), un qualcosa che era partito da dentro di sé in modo spontaneo. Un qualcosa che aveva sentito. Lo aveva percepito in modo vivido e inequivocabile, e più Maria cercava di negarlo e di reprimerlo, più questa cosa tornava in superficie a tormentarla. Doveva esserci una via d'uscita. Doveva esistere per forza. E adesso, il pensiero che Irene era di là che la aspettava in attesa di sentire una sua risposta la agitava ancora di più.

Avrebbe potuto inventarsi una qualsiasi bugia. Avrebbe potuto fingere un mal di testa e chiedere a Irene di andare a dormire prima, adducendo come ulteriore scusa il fatto che avrebbero dovuto alzarsi presto il giorno dopo. Se avesse voluto, avrebbe potuto trovare mille modi per evadere il problema e rimanere al sicuro, rinchiudersi in camera sua e lasciare fuori dalla porta ogni pensiero e sensazione che non fossero ben accetti o compatibili con i suoi valori. Sì, volendo poteva farlo. Poi però si guardò allo specchio e si domandò se in realtà fosse quello che voleva davvero, ma purtroppo non riuscì a darsi una risposta. Da un lato, voleva sentirsi al sicuro e scappare dal terremoto emotivo che Irene risvegliava in lei; preferiva molto di più la sensazione di calore, tranquillità e sicurezza che le dava Rocco. Lui era una persona semplice, un ragazzo di poche pretese che aveva bisogno di poco per essere felice: buon cibo, la sua bicicletta e l'affetto dei suoi cari. Le sensazioni che Maria provava in sua presenza erano tutte perfettamente accettabili e lei era perfettamente in grado di controllarle e soprattutto di controllarsi, anzi, non doveva proprio fare il minimo sforzo. Le bastava comportarsi come sapeva che le fidanzate si dovevano comportare e fare le due cose che le riuscivano meglio: cucinare e dargli il suo sostegno.

Irene invece era tutto il contrario. Lei era proprio l'opposto di semplice, e il controllo quando si trattava di lei Maria non sapeva nemmeno dove stava di casa. Sentiva il desiderio di contraddirla, di provocarla, di andarle contro, di darle torto, che generalmente non provava mai nei confronti di nessuno; tuttavia, allo stesso tempo desiderava anche starle vicina e ricercava il contatto fisico (cosa che comunque era reciproca) ogni qualvolta ne avesse la possibilità, soprattutto negli ultimi tempi. La verità era che Irene le faceva desiderare fin troppe cose, e non tutte potevano essere espresse. Una di quelle, le costava ammetterlo, era proprio quella di tornare in salotto e trascorrere il resto della serata sola con lei, continuare con i loro battibecchi e i loro finti litigi, e soprattutto... Maria non poteva ammetterlo nemmeno a sé stessa, ma la realtà era che dentro di sé moriva dalla voglia di scoprire se anche Irene... se quello che aveva pensato lei prima in un attimo di debolezza lo stesse pensando pure Irene o se era stato tutto nella sua testa, se certi sguardi e certe implicazioni nel suo tono se li era soltanto immaginati o se invece erano veri, reali. Maria non ne aveva idea. Cosa le importava poi? Non avrebbe dovuto importarle. Non così tanto. Anzi, per niente. Però purtroppo non era così. E poi, se ci fosse effettivamente stato un distacco emotivo da parte dell'altra ragazza nei suoi confronti, perché insistere così tanto? Perché chiederglielo così tante volte, perché stuzzicarla così insistentemente? D'accordo, Irene in realtà faceva così con tutti, riusciva a esasperare pure il dottor Conti a momenti, quindi Maria non aveva certo tanto da stupirsi, eppure anche per la norma di Irene quel livello di insistenza le era sembrato un po' troppo... o forse si stava semplicemente illudendo che lo fosse, perché era quello che voleva?

Tutti quei discorsi sui desideri la stavano facendo impazzire, ecco qual era la verità. Maria non riuscì più a sostenere il suo stesso sguardo e abbassò gli occhi sul pavimento, e nel mentre pensò a quanto fosse infinitamente più semplice la vita di Rocco, per il quale si ritrovò a provare una punta di invidia. Lui quello che voleva lo sapeva bene: bastava una scampagnata in una domenica di sole a renderlo felice, magari seguita da un bel picnic. Fu in quel momento che a Maria venne l'illuminazione: ecco cosa avrebbe dovuto rispondere a Irene, cucinare! Cucinare era una cosa che le piaceva fare e che la divertiva, a prescindere da tutto e da quello che le dicevano le altre persone. Ecco, adesso aveva la sua risposta, sarebbe tornata di là e avrebbe risposto così a Irene, e finalmente l'avrebbe lasciata stare e non avrebbe più insistito. Proprio come voleva. Perché era quello che voleva, giusto? Certo che sì. Cos'altro avrebbe potuto desiderare? Che Irene non ci credesse e continuasse a insistere, che capisse da sola quello che Maria non riusciva e non poteva dire e la rassicurasse dicendole che da parte sua era lo stesso e non c'era niente di sbagliato? Ovviamente no. Sarebbe stato assurdo, ridicolo e sbagliato. Profondamente sbagliato, proprio come tutti quei pensieri che non avevano né capo né coda. Maria non poteva permettere che quella paura rivolta a cose sulle quali non esercitava alcun controllo la sottomettesse e la schiacciasse: al contrario, avrebbe fatto un altro respiro profondo, si sarebbe fatta coraggio, avrebbe finto come ogni giorno della sua vita di non provare nulla per Irene Cipriani che non fosse un vago senso di amicizia misto a disappunto per la sua indole anticonformista e disinibita, sarebbe tornata nel salotto e le avrebbe tenuto testa. E così fece.


 

-Finalmente, stavo incominciando a darti per dispersa.

Quando Maria fece finalmente ritorno nel salotto di casa ragazze, il caratteristico sarcasmo di Irene fu la prima cosa che trovò ad accoglierla; non che avrebbe dovuto stupirsene, in realtà, Irene era sempre la solite Irene. Era lei che si stava illudendo di... non sapeva nemmeno lei di che cosa, esattamente. Appena entrata, Maria studiò la stanza con circospezione e notò che la sua coinquilina era comodamente seduta sul divano, certo ben lontana dal tenere una postura composta e ordinata come facevano tutte le ragazze educate e per bene, ma comunque seduta, non sdraiata né stravaccata. Il che significava che, ipoteticamente, se qualcun altro avesse voluto sedersi lì vicino, lo spazio ci sarebbe stato. Maria osservò per una frazione di secondo il posto vuoto sul divano accanto a Irene e ripensò a quanto erano state vicine poco prima, dopo che Stefania se n'era andata via e poi per tutto il resto della cena. Ripensò alla sensazione che le aveva provocato il contatto fisico con lei, il calore che aveva sentito quando l'aveva stretta a sé, e subito il suo cuore minacciò di tornare a battere forte quanto prima; per quanto istintivamente si sentisse attratta dall'idea di ripristinare nuovamente quel contatto e sentire di nuovo Irene così vicina, Maria capì presto che quella sicuramente era una cattiva idea. Onde evitare di tornare a sentirsi come poco prima in bagno, Maria preferì preservare la sua pace mentale e optò per sedersi su una delle sedie del tavolo, che comunque le avrebbe permesso di guardare in faccia Irene e sostenere una conversazione con lei... semplicemente, a una distanza di sicurezza (decisamente necessaria).

Irene la osservò prendere posto in silenzio, senza aggiungere ulteriori commenti. Solo allora Maria realizzò che nel frattempo, proprio come lei, anche Irene aveva avuto il tempo di cambiarsi e mettersi in tenuta da notte: stava infatti indossando la sua camicia da notte verde, che secondo Maria era anche fin troppo leggera visto il periodo e il cambio di stagione che erano in procinto di attraversare. Eppure, a Irene non sembrava importare più di tanto, quasi come se non sentisse il freddo, forse perché era cresciuta in ben altre temperature rispetto al caldo della Sicilia che aveva accompagnato l'infanzia e l'adolescenza di Maria. E comunque, al di là della temperatura, coprirsi un poco di più male non le avrebbe certo fatto, però del resto a ognuno il suo...

Spostando lo sguardo verso il lavello e i fornelli, Maria notò poi con una certa sorpresa (indubbiamente positiva) che ogni cosa era al suo posto: non c'era alcuna traccia di piatti sporchi o pentole da lavare, e anche la tavola era stata sparecchiata (non che fosse stata un'impresa impossibile, visto che non ci avevano nemmeno mangiato, ma comunque). Dunque Irene si era decisa a darsi una mossa, finalmente. Almeno quello.

-Vedo che ti sei data da fare, ah, - la stuzzicò Maria, girando lo sguardo verso di lei dopo essersi assicurata che il resto della cucina fosse in ordine.

-Per forza, dopo quello che mi hai detto! - rispose Irene. Maria si sentì quasi in colpa, non si aspettava certo di impressionare Irene così tanto. Certo era che quando si parlava di cibo, improvvisamente Irene prestava subito più attenzione, chissà come mai.

-Vedi che con te solo le minacce funzionano, ormai t'ho capita, - scherzò Maria, accennando ad un sorriso.

-Questo non è assolutamente vero. Per tua informazione, anche i giusti incentivi possono fare la differenza!

Maria la guardò con curiosità, alzando il sopracciglio destro. Giusti incentivi? Cosa intendeva dire Irene? Voleva prenderla in giro come suo solito, o stava effettivamente pensando a qualcosa in particolare?

-Ah sì? E che incentivi vorresti, sentiamo un po'? - domandò Maria, nel tentativo di indagare.

-Tu che cosa dici?

-Devo sparare a caso? Allora, vediamo un poco... - Maria decise di stare al gioco e fece finta di pensarci sul serio, appoggiando il gomito sul ginocchio mentre si portava la mano destra sotto il mento. Poi, dopo alcuni secondi di silenzio, finalmente le rispose: -Dunque, così a braccio mi viene da dire essere portata al lavoro tutte le mattine con una bella auto di lusso, oppure andare a cena al ristorante cinque volte a settimana, o meglio ancora, diventare capocommessa e bacchettare tutte le altre Veneri dal mattino alla sera.

Per tutta risposta, Irene si limitò a guardarla e scuotere la testa con finto fare deluso:-Però, non immaginavo avessi un'opinione così bassa di me, che mi credessi così materialista.

-Perché scusa, tutte queste qua non ti interessano per niente quindi, è questo che stai dicendo Irè? - la sfidò Maria. Si era resa conto che Irene stava facendo finta, ma anche così Maria doveva ammettere di essersi sentita un filino in colpa. Sapeva benissimo che Irene Cipriani era molto di più di quello che diceva di desiderare, nonostante facesse il possibile per nasconderlo.

-No, sto dicendo che sei ingiusta con me... - si lamentò Irene, fingendosi offesa.

-Ah, pure. E perché, sentiamo?

-Perché ci sono cose che per me sono molto più importanti di andare al lavoro in macchina o a cena al ristorante, ma evidentemente non tutti sono in grado di cogliere la mia sensibilità, - concluse la Venere, di nuovo con fare drammatico. Questa volta però il realismo scenico aumentò, dal momento che Irene non si limitò semplicemente a protestare contro le presunte accuse avanzate da Maria, la quale ovviamente era perfettamente consapevole del piccolo teatrino che stava mettendo su, ma per rendere il tutto più credibile si alzò anche dal divano e fu sul punto di fare un'uscita di scena drammatica verso la porta della sua stanza; soltanto che Maria non le permise di arrivare tanto lontano.

-Ma dove vai!- esclamò divertita non appena l'altra le passò vicino, e prima che se ne rendesse conto, quasi come presa da un impulso istintivo, le afferrò il braccio con un vigore che non sapeva nemmeno di avere e ritrascinò Irene sul divano, esattamente nello stesso punto in cui era stata seduta fino a poco prima; soltanto che questa volta, dopo averla messa a sedere come si fa con un bambino che fa i capricci, invece di allontanarsi sulla sedia Maria prese posto accanto a lei. Anche questo gesto le venne quasi automatico, non era un qualcosa sul quale aveva dovuto pensare o ragionare come aveva fatto nel momento in cui era rientrata nella stanza, aveva semplicemente sentito quella semplice azione come naturale. E non le venne in mente che forse era meglio evitare che si ripresentasse uno scenario come quello di prima, non le venne in mente che la vicinanza ad Irene Cipriani solitamente non portava mai a niente di buono, non le venne in mente il perché aveva preferito mantenere una distanza di sicurezza e piazzarsi sulla sedia giusto qualche minuto prima. Se se ne fosse ricordata e avesse dato retta al suo buonsenso, forse la serata avrebbe finito per concludersi in modo diverso. E invece, Maria in quel momento non stava pensando proprio a niente; l'ironia di Irene aveva finito per contagiare anche lei, e lei aveva deciso di stare al gioco e darle corda, per qualche ragione. Non si rendeva conto nemmeno lei di quanto avesse bisogno di un po' di leggerezza.

-Madò che permalosa che sei, amunnì! - scherzò Maria, lasciandosi andare ad un sorriso mentre osservava il viso imbronciato di Irene, che se ne stava con le braccia conserte. Vedendo che l'altra non accennava a rispondere, la ragazza proseguì per ottenere da lei una qualche reazione:

-Dai dimmi, quali sarebbero queste cose che per te sono così tanto importanti? - insistette. In attesa della risposta, appoggiò il gomito su uno dei cuscini del divano mentre lasciò riposare di nuovo la testa sulla sua mano aperta, la postura del suo corpo decisamente (e quasi inconsapevolmente) inclinata verso la sua interlocutrice e i suoi occhi verdi intenti a scrutare il viso di Irene, quasi come se lo stesse studiando alla ricerca del più piccolo cambiamento per poter avere un indizio o un segnale su ciò che le stava passando per la testa, uno qualsiasi.

-Neanche per sogno! - protestò nuovamente Irene, la quale teneva lo sguardo fisso sul pavimento e non accennava a guardarla negli occhi. Da un lato la cosa faceva sentire Maria più tranquilla, per assurdo: se Irene era decisa ad ignorarla, lei poteva osservarla meglio senza che questa se ne accorgesse o le rivolgesse altri sguardi come quello di prima che la facevano sentire a disagio. Non che le piacesse fissare Irene Cipriani comunque, assolutamente, né le interessava farlo. Ma proprio no.

-Hai voluto fare quella che ne sa più degli e non mi prende sul serio? - proseguì poi Irene, con tono saccente. -Ora ne paghi le conseguenze.

-Quanti drammi che fai, Madre Santa! - sospirò Maria, congiungendo le mani in segno di disperazione. -Ci credo che poi sei così brava a fare l'attrice.

Non appena ascoltò la sua stessa voce Maria si rese immediatamente conto del messaggio che aveva appena fatto passare, nemmeno troppo tra le righe, e si pentì immediatamente di quell'ultima frase da lei pronunciata. Non aveva detto nulla di chissà che sconveniente o strano, e comunque era la verità, Irene era brava a recitare, attività in cui invece lei faceva proprio pena (e si vedeva), ma comunque l'idea di essersi lasciata sfuggire un complimento davanti alla diretta interessata un pochino le dava fastidio. Non voleva che Irene scoprisse quello che realmente pensava di lei, e tutte le cose positive che non le aveva mai detto, che non aveva mai detto a nessuno in realtà. C'erano cose che era meglio non si sapessero, e che la sua stupida bocca avrebbe fatto meglio a tenere per sé.

Comunque, Irene non mancò di notare l'osservazione, naturalmente: -Sbaglio o mi hai appena fatto un complimento?-, fece presente, mentre l'incavo della sua bocca si incurvò in un piccolo sorriso.

L'interesse nella conversazione da parte della Venere, com'era prevedibile, era aumentato all'istante, e Irene sgusciò per un attimo fuori dal suo stato di finta arrabbiatura e rivolse finalmente un'occhiata a Maria, decisamente più addolcita rispetto alla versione imbronciata di poco prima.

Maria venne colta alla sprovvista dalla reazione: che a Irene importasse veramente ciò che pensava di lei, che le avesse fatto davvero piacere quella sua osservazione? Ma no, subito dopo tornò alla realtà e si disse che era semplicemente la solita Irene, sarebbe andata dietro il primo che le diceva brava e le faceva gli applausi; e Maria ancora stupida che si illudeva di poter contare qualcosa per lei, che il suo parere significasse qualcosa. Lei che era così diversa poi, così timida e impostata e a tratti anche impacciata. Cosa avrebbe dovuto fregargliene della sua opinione, giustamente?

Per questo, Maria decise di non concederle troppo terreno e rimanere sul vago con la sua risposta:-Può essere... e comunque non ti montare la testa, oggettivamente è vero che sai recitare, è solo una constatazione. Dai, ora che ti ho anche fatto un complimento, me la dici la risposta a 'sta domanda?

-E così pensi di comprarmi con i complimenti, eh? Mi dispiace ma ci vorrà molto di più, - si rifiutò Irene, facendo ritorno al suo precedente stato d'animo. Questa volta la ragazza incrociò anche le braccia al petto, forse per dare un'ulteriore segnale di chiusura e resistenza verso i tentativi di riappacificazione di Maria.

-E sentiamo, cos'è che devo fare per ricevere il tuo perdono? - insistette la sarta, fingendo un tono serio per stare al gioco della sua coinquilina.

Guardando Irene, Maria osservò tra sé e sé che le era seduta davvero molto vicino... le sarebbe bastato allungare la mano soltanto di pochi centimetri per arrivare a toccare la sua spalla. E, se poi avesse proceduto ad allungarla ancora un po', avrebbe quasi potuto sfiorarle il viso e le guance... Aspetta un attimo, stava davvero pensando che voleva toccare Irene Cipriani? Cosa le stava prendendo? Certo che non lo voleva... O forse era troppo codarda per farlo, forse aveva troppa paura per ammetterlo perfino a se stessa, essendo ben consapevole del fatto che non si potesse. Stupidi desideri inespressi e stupida Irene che si metteva perfino ad incoraggiarli. Se solo avesse saputo...

-Beh, tanto per cominciare potresti rispondere alla domanda che ti ho fatto io per prima, e poi se ne può parlare, - fece presente Irene.

Ecco qua; bastò una semplice frase per gettare di nuovo Maria nel panico.

-Ah, giusto, la domanda di prima... - tergiversò. No, poteva farcela, ci aveva già pensato prima a quale risposta dare. Aveva tutto sotto controllo. Ma davvero sarebbe bastato a convincere Irene?

-Allora?- la spronò l'altra, tenendo gli occhi fissi su di lei.

-Irè, mi metti sotto pressione così!- sbottò Maria, la quale non si sentiva per nulla aiutata dall'insistenza e l'esuberanza della sua coinquilina. -Cos'è che vuoi sapere esattamente, una cosa che mi piace fare?- aggiunse poi, per ricapitolare.

-Sì, una cosa che ti andrebbe di fare questo momento, - riepilogò Irene.

-Beh, non proprio in questo questo momento, ma in generale la prima cosa che mi viene in mente quando penso a quello che mi piace fare è cucinare... a parte il lavoro, chiaro, - riuscì finalmente a rispondere. Maria si congratulò con se stessa per essere finalmente riuscita a dare a Irene quello che voleva senza aver finito per ridicolizzarsi o fare la figura della cretina (o dire troppo). Dall'esterno poteva anche dare l'idea che avesse la situazione sotto controllo e che fosse calma e rilassata, ma dentro di sé la realtà era ben diversa. Del resto, non era la prima volta che le succedeva con Irene, che sortiva spesso quell'effetto su di lei.

-Cucinare? Sarebbe questo il tuo grande desiderio?- la prese in giro Irene, inarcando un sopracciglio. Maria si sentì immediatamente ferita nell'orgoglio da quella risposta derisoria, e anche un po' offesa (e non in modo ironico e innecessariamente drammatico come quello di Irene). Per quanto la sua prima reazione istintiva fu quella di mettersi sulla difensiva, riuscì a mantenere il controllo quel tanto che bastasse da rimanere educata e non attaccare Irene a sua volta. Non in modo eccessivo, perlomeno.

-E che c'è di male? Mica tutti possiamo avere tutti i tuoi sogni di gloria, nel mondo servono anche cuochi e sarte e postini, ah - le fece notare Maria.

-No no infatti, per carità, non c'è niente di male, - replicò Irene, tutt'altro che convinta. La ragazza, al contrario di Maria, non era molto brava nel mascherare i suoi sforzi per non ridere, e le sue labbra erano piegate in un sorriso canzonatorio che lasciava intendere perfettamente cosa pensasse a riguardo.

-E allora perché ridi?- la accusò Maria, arrossendo. Non che le importasse dell'opinione di una persona come Irene, che di contatto con la realtà ne aveva ben poco evidentemente, ma le dava fastidio che le sue passioni e i suoi interessi venissero ridicolizzati così. Come se Irene poi avesse chissà quali aspirazioni. Se non altro Maria non aveva bisogno di un uomo per fare ciò che la rendeva felice.

-Ma no, niente, pensavo solo che è incredibile che l'unica cosa che fai soltanto per piacere è qualcosa che bisogna fare in ogni caso per sopravvivere, - commentò la Venere, questa volta in tono più serio.

-Irè, che ti devo dire, se non ti vado bene puoi sempre cercarti un'altra coinquilina, - rispose a tono Maria, nuovamente sulla difensiva. Irene sicuramente non aiutava a far venire meno il suo imbarazzo, d'altra parte.

-Chi sarebbe quella permalosa adesso, sentiamo un po'? - la stuzzicò l'altra. Maria per tutta risposta alzò gli occhi al cielo, senza degnarla di uno sguardo. -E comunque anche la mia era soltanto una constatazione, mica una lamentela. Anzi, se ci pensi alla fine è anche conveniente: a te piace cucinare mentre a me piace mangiare bene. In un certo senso ci completiamo, no?

In effetti, alla fine il ragionamento di Irene filava pure. Maria sapeva che stava scherzando, ma una parte di sé si sentì comunque compiaciuta e felice di aver ricevuto un complimento per le sue doti culinarie, e una sensazione di calore si diffuse alla base del suo stomaco. Irene aveva forse ammesso che insieme funzionavano bene? No, non gliela avrebbe fatta passare liscia così facilmente. Meritava di penare perlomeno ancora un po'.

-Quindi fammi capire, secondo la tua logica tu sei quella che mi sfrutta mentre io invece mi faccio usare a tuo piacimento?- riepilogò la ragazza.

-Permalosa e drammatica, - ribadì Irene, citando appositamente le parole usate poco prima dalla stessa Maria. -Forse in fondo non siamo poi così diverse, no?

-E va bene, - cedette Maria, lasciandosi andare ad un sorriso autoironico mentre ripensava ai suoi modi di fare spesso tragici e tendenti al pessimismo cronico. Purtroppo aveva il brutto difetto di non essere abbastanza consapevole di se stessa certe volte (ovvero sempre), e succedeva che gli altri dall'esterno riuscissero a farle notare comportamenti o tratti che le appartenevano prima ancora che lei stessa li notasse o li vedesse. Non aveva mai pensato che effettivamente l'amore per la tragicità era una cosa che lei e Irene condividevano. -Forse certe volte anche io tendo ad esagerare un poco... ma questo non cambia che i pasti gratis te li scordi, ti avviso, - la mise in guardia, mentre con il braccio tracciava una “x” immaginaria nell'aria per rendere il concetto ancora più chiaro.

-Eddai, hai visto anche tu quello che combino quando mi metto ai fornelli... io ci provo anche, non è colpa mia se proprio non sono capace! - piagnucolò Irene.

-Certo, non è mai colpa tua Irene. Che poi, non è che non sei capace secondo me. È che non ti applichi, - le spiegò Maria, e lo pensava veramente. Se soltanto fosse stata capace di restare seria e concentrata per più di quindici secondi, Irene avrebbe anche potuto essere brava secondo lei. Quando una cosa le interessava, come ad esempio vendere un abito alle clienti o ottenere una qualche informazione, la sua coinquilina sapeva essere molto sveglia e fare caso ai particolari; quando voleva poi era anche molto brava ad improvvisare ed essere creativa e fantasiosa, tutte cose che in cucina, tutto sommato, non guastavano mai. Non che Maria avesse prestato attenzione a Irene e avesse fatto caso a tutti questi piccoli particolari nel corso della loro convivenza, ovviamente; li aveva semplicemente notati per caso.

-Una frase per niente scontata e banale, - la prese in giro Irene. Da un lato era quasi meglio che non le avesse creduto e avesse ricondotto il tutto ad una banale frase di circostanza.

-Dai, sono seria! - tentò di convincerla Maria. -Cucinare richiede attenzioni ai dettagli e cura, se tu invece ti distrai e pensi ad altro poi sbagli le dosi, i tempi, e ci credo che il cibo poi non viene buono.

Del resto, Maria sapeva, o per meglio dire, aveva notato per caso nonostante il suo completo e palese disinteresse nei riguardi dell'altra ragazza, che Irene era una persona che apprezzava molto la sincerità e la franchezza. Se avesse voluto davvero aiutarla a migliorare, probabilmente avrebbe dovuto farle notare prima di tutto i suoi punti deboli, affinché fosse in grado di lavorarci su e rinforzarli.

-Insomma mi stai dicendo che non sono tagliata, - ricapitolò Irene, la quale evidentemente ancora una volta non aveva colto il senso del discorso di Maria.

-Ma no, non ho detto questo... è che ti devi impegnare, - tentò di farle capire Maria, questa volta spiegando il tutto in modo più chiaro e coinciso.

-Quindi secondo te c'è speranza anche per me, non sono un caso disperato?- chiese Irene. Per un attimo i suoi occhi verdi si illuminarono come era successo poco prima, e Maria si domandò se davvero le interessasse migliorare ai fornelli o se di nuovo Irene la stesse solo prendendo in giro e fosse un altro dei suoi scherzi.

Un po' per questo, e un po' per evitare di dare alla Venere false speranze, Maria esitò alcuni istanti, prima di rispondere: -Eh, diciamo che con la pratica si può sempre migliorare, ecco...

-E quand'è che ho occasione di fare pratica? - ribadì Irene, un po' sconsolata. -A pranzo siamo quasi sempre fuori, la sera torno stanca dal lavoro e mettermi a provare nuove ricette è l'ultimo dei miei pensieri.

-Ah se per assaggiare la pasta hai fatto la tragedia greca non oso immaginare se dovessi metterti a fare addirittura cose nuove, - rifletté Maria ad alta voce.

-Ecco, infatti... e poi non conosco nemmeno molti piatti, da sola diventa tutto più difficile.

Le due ragazze per un istante si guardarono, e Maria si domandò un'altra volta se Irene avesse buttato lì quell'ultima frase per caso o se ci fosse invece un intento di qualche genere dietro le sue parole. A giudicare dall'occhiata che si scambiarono, entrambe capirono di star pensando la stessa cosa, anche se nessuna delle due osò verbalizzarla. Non subito, perlomeno. Maria sapeva che sarebbe stata una cattiva idea. Che non aveva senso e che non avrebbe portato a nulla di buono. Eppure, una parte di sé, quella che nutriva un po' di fiducia verso Irene e le sue potenzialità – dunque quella tutt'altro che lucida e obiettiva – la spinse a proporre:

-Irè, se ti fa piacere e se hai seriamente voglia di imparare, potrei insegnarti qualcosa io.

-Davvero?- chiese Irene, con un po' di incertezza. Dal modo in cui la stava guardando e in cui la sua voce aveva pronunciato quell'unica esitante parola, Maria capì che la sua coinquilina stava seriamente prendendo in considerazione l'offerta, e la cosa per qualche ragione la rese felice.

-Certo, - le rispose, nonostante fosse altrettanto incerta e dubbiosa nei confronti della riuscita di quel progetto improvvisato. -Magari partiamo dalle basi, ecco, ma si potrebbe fare.

-Tipo un panino?- chiese l'altra, presumibilmente scherzando (o almeno era quello che Maria si augurava di tutto cuore).

-Vabbè, adesso, se hai bisogno di aiuto per farti un panino ti serve proprio l'aiuto di uno bravo Irè, ma bravo forte, - l'avvertì.

-Dai che scherzo, direi che fino alla pasta ci siamo, - la rassicurò Irene con un sorriso.

-Ah bene, sulla pasta non ne ero sicura... - spiegò Maria, senza nemmeno distaccarsi troppo dalla realtà. Dopodiché decise di prendersi alcuni istanti per riflettere e ragionare su quale piatto sarebbe stato meglio proporre alla sua potenziale allieva come esordio. Naturalmente doveva essere qualcosa che richiedesse una minima preparazione, e non un semplice ingrediente messo sopra una fetta di pane, ma allo stesso tempo non doveva essere nemmeno troppo complicato o troppo lungo o troppo impegnativo, altrimenti Irene si sarebbe scoraggiata e avrebbe finito per desistere. Certo, se fosse partita scegliendo qualcosa che fosse di suo gradimento e che le piacesse mangiare, magari Irene sarebbe stata anche più motivata ad imparare a prepararlo, se non altro per se stessa e per soddisfare il proprio appetito. Ripassando mentalmente i piatti preferiti di Irene (che Maria si ricordava soltanto per caso, ancora una volta, nulla più di una mera questione di circostanza naturalmente) e ciò che la vedeva mangiare più spesso e con più gusto, ad un tratto le venne un'idea. -E se ti insegnassi a fare la frittata?

-La frittata?- ripeté Irene, sondando quella proposta con attenzione. Maria non gliela aveva mai vista cucinare in casa (di fatto le cose che Irene cucinava erano molto, molto limitate), per cui aveva correttamente immaginato che non sapesse farla.

-Vedi che è semplice, anzi, una cavolata davvero, e per farla ci vogliono giusto cinque minuti, - tentò di convincerla, facendo leva su tutti gli elementi che avrebbero potuto spingerla a dire di sì.

-Beh, se la metti così si potrebbe provare. Che cosa ci servirebbe? - chiese poi Irene.

-Ma niente, sostanzialmente uova e parmigiano, - illustrò Maria, mentre mentalmente ripassava la rapida procedura da insegnarle, -e poi dipende da cosa ci vuoi mettere dentro.

Per tutta risposta, Irene si alzò di scatto e si allontanò dal divano, lasciando sola Maria che la osservava dubbiosa muoversi nella stanza. La ragazza si avvicinò al frigorifero e aprì l'anta, poi squadrò per alcuni secondi i cibi (non tantissimi) contenuti al suo interno. Se Irene avesse dato una mano a fare la spesa una volta ogni tanto magari avrebbero anche potuto prendere più cose in una volta, ma Maria una sola era e il numero di buste che riusciva a portare era limitato. Fortuna che qualche volta la signora Agnese l'accompagnava al mercato e facevano la spesa assieme, almeno qualcuno che le dava un po' di sostegno c'era. Alla fine, dopo quella che sembrava essere un'accurata ispezione, Irene propose:

-Potrebbe andare bene il prosciutto cotto?

-Sì, certo, perché no... - confermò Maria, che continuava a nutrire grossi dubbi nei confronti delle intenzioni della sua coinquilina. -Perché? Mica vuoi metterti a farla ora la frittata?

Il prosciutto serviva per i panini dell'indomani poi, per evitare di spendere altri soldi in caffetteria. Salvatore era buono e caro, ma giustamente quello che preparava aveva un costo e non sempre con il loro stipendio riuscivano a permettersi il pranzo già preparato. Ma naturalmente, Maria non si aspettava che Irene si ricordasse di questo piccolo particolare, né che per lei avesse importanza.

-E perché no scusa? - obiettò Irene. -Anzi, non sarebbe affatto una cattiva idea, visto che ho ancora un po' di fame.

-Ma abbiamo già lavato tutto! - le fece presente l'altra. Cucinare avrebbe significato sporcare altri piatti, un'altra padella, altre posate.... -E poi adesso è tardi.

-Ma se non sono neanche le nove! E comunque hai visto che ci metto due secondi a lavare le cose, - evidenziò Irene, la quale effettivamente aveva anche ragione. Soltanto da quando era a Milano Maria si ritrovava a cenare a certi orari, ma a casa sua a Partanna probabilmente i suoi genitori si stavano appena mettendo a tavola (e manco era così sicuro). -Eddai, fallo per aiutare una povera ragazza senza speranza.

Maria non sapeva se era la fame a farla parlare così o la effettiva voglia di imparare una ricetta nuova (anche se aveva i suoi sospetti), stava di fatto che in qualche modo Irene stava riuscendo a convincerla. Forse perché, per quanto non lo volesse ammettere, un pochino quella strana idea improvvisata piaceva anche a lei, per una serie di ragioni. Le piaceva aiutare le altre persone, le piaceva fare cose che la facevano sentire utile e apprezzata e capace; le piaceva cucinare; le piaceva mangiare, e anche lei, come Irene, aveva ancora un po' di fame, specie dopo la semplice pasta al sugo che avevano avuto per cena; e poi, le piaceva anche.... le piaceva anche passare del tempo con Irene, per quanto non fosse contenta di ammetterlo. Anzi, per una volta il capovolgimento delle dinamiche sarebbe volto a suo vantaggio: finalmente Irene non avrebbe potuto fare la parte di quella superiore e che si prendeva gioco degli altri, perché era Maria quella a doverle insegnare. Il fatto di avere un certo potere su di lei, per quanto piccolo e limitato a una situazione molto breve, la faceva sentire... Non avrebbe saputo nemmeno lei come spiegarlo, stava di fatto che le faceva venire voglia di accettare la proposta di Irene e fregarsene dei soldi in più che avrebbe dovuto spendere l'indomani in caffetteria, o in latteria, o ovunque sarebbero finite a mangiare.

-E va bene, ma solo perché a dire la verità un po' di fame ce l'ho anche io, - si arrese infine Maria. Non era proprio la ragione principale, ma senza dubbio aveva una certa importanza. Mentre vedeva il sorriso soddisfatto dipinto sul viso di Irene e si alzava dal divano per raggiungerla, Maria pensò tra sé e sé che dare voce ai desideri inespressi e ascoltare l'istinto non era poi così male.




Nota dell'autrice:
E niente, doveva essere una one shot, eppure in qualche modo è diventata una cosa divisa in tre parti. Avrei voluto concludere il tutto in una parte sola, ma visto che la cosa stava andando per le lunghe ho pensato di fermarmi qua e raccontare l'epilogo della loro serata in un'ultima parte finale (o almeno questo è quello che spero). Spero vi sia piaciuta e ringrazio tutte le persone che si sono prese tempo per leggere il seguito!

 

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Capitolo 3
*** Fortissimo ***


Se qualcuno avesse mai detto ad Irene Cipriani che un giorno avrebbe finito per utilizzare il suo tempo libero per cucinare, addirittura di sera, dopo una lunga giornata di lavoro e di sua spontanea volontà, Irene lo avrebbe preso per pazzo. Figuriamoci poi se le avessero anche raccontato che sarebbe stata in compagnia di Maria Puglisi, e che si sarebbe pure divertita nel farlo. La se stessa del passato avrebbe pensato che dovevano essere per forza i primi segni di squilibrio mentale, mentre l'Irene del presente osservava con un'espressione orgogliosa la frittata che cuoceva all'interno della padella, fiera del fatto che fosse riuscita a prepararla da sola e che avrebbe presto mangiato qualcosa di buono cucinato solo ed esclusivamente dalle sue stesse mani. Con la supervisione di Maria, certo, ma il grosso lo aveva fatto lei.

A dirla tutta, Irene era rimasta alquanto sorpresa dalla scoperta che, quando voleva – ovvero molto raramente – Maria sapeva essere proprio una brava insegnante: aveva dato a Irene istruzioni precise e chiare, senza però sostituirsi a lei e cucinare al suo posto, così che Irene potesse sperimentare il tutto in prima persona e imparare la ricetta per poterla riutilizzare il futuro. Che poi, in realtà era davvero un procedimento molto semplice, non ci voleva veramente niente a rompere due uova, sbatterle e aggiungere gli altri ingredienti... semplicemente, nessuno glielo aveva mai insegnato e lei non aveva avuto nessuno a cui chiedere. Maria invece le era sembrata quasi contenta di farle vedere come si faceva, aiutarla e trasmetterle la sua conoscenza, tanto che Irene si era sentita addirittura fiera di se stessa e del risultato finale – nonostante il poco che aveva effettivamente fatto. Ma del resto chi era lei per lamentarsi, la politica del “minimo sforzo massima resa” era da sempre una delle sue preferite.

-Cosa dici, è pronta?- chiese Irene, spostando lo sguardo su Maria alla ricerca di una conferma.

-Ma che pronta, Irene, prima va girata, - le ricordò l'altra ragazza, -prendi la spatola.

-La che?

-La spatola, questa qua, - le fece vedere, afferrando un attrezzo che assomigliava molto ad una specie di paletta da cucina. Non si faceva prima a chiamarla paletta? Così ci si confondeva di meno e l'associazione era più immediata! Comunque, una volta tanto la Venere preferì non obiettare e prese in mano l'oggetto senza opporsi, troppo concentrata sulla fase finale della preparazione del suo dopo cena per dedicarsi alle polemiche.

-Ecco, adesso piano piano la sollevi e la giri, - le spiegò Maria. La faceva facile lei che era già pratica.

-D'accordo.

Irene provò a sollevare i bordi della frittata con un po' di incertezza, ma si dovette fermare quando si rese conto che a momenti la stava sfaldando completamente. Per fortuna, Maria giunse in suo soccorso.

-Aspetta, vedi che così la sfasci, - l'ammonì gentilmente, -devi fare veloce e con sicurezza, non così che sembra quasi che hai paura.

-Ecco, fai tu, io non riesco, - si scoraggiò Irene, dopo un secondo tentativo infruttuoso. Tuttavia, Maria non le permise di lasciare perdere così facilmente.

-Ma che fai tu, dai, lo facciamo insieme, - la esortò quest'ultima.

Dopo alcuni passi in direzione di Irene la sua coinquilina si posizionò alle sue spalle, appoggiò la mano destra sul suo polso e lo strinse con fermezza, pronta per dirigere i suoi movimenti. Irene sentì un piccolo brivido attraversare il suo braccio; evidentemente era stata colta di sorpresa da quel contatto inaspettato. La sensazione di avere Maria così vicina era... strana. Diversa da quella giocosa e spensierata che provava alla luce del giorno, quando scherzavano insieme a Stefania e le altre Veneri. Adesso, forse anche a causa del buio che era calato, la sera e il fatto che erano sole in casa, Irene diede a quel gesto una connotazione di maggiore intimità. Forse anche la posizione vulnerabile che aveva scelto di assumere contribuiva – si stava affidando completamente a Maria per riuscire a fare qualcosa in cui lei stessa aveva ammesso di non essere capace. E se da un lato tutto questo un po' la intimoriva, quasi le faceva paura, talmente tanto non era abituata a gestire un certo tipo di sensazioni, dall'altro un po' la intrigava e la incuriosiva. Dall'altro, una parte di sé non riusciva a non domandarsi cosa sarebbe successo se invece Maria si fosse avvicinata a lei solo un po' di più.

Lasciandosi guidare dalla presa ferma di lei e una sicurezza che Irene non le aveva mai visto esibire, in pochi passaggi fu in grado di sollevare la frittata e rigirarla, senza nemmeno creare danni. Alcune parti dei bordi si erano un po' sfaldate nei suoi maldestri tentativi precedenti, ma non era nulla di irreparabile in ogni caso, e non danneggiava neanche più di tanto l'aspetto esteriore del piatto. Soddisfatta del successo ottenuto, Irene si girò per guardare negli occhi Maria e si ritrovò faccia a faccia con la sua insegnante, che a quanto pareva era più vicina di quanto non avesse immaginato. Le stava capitando un po' troppe volte nel corso di quella serata di avvicinarsi così tanto a lei... che fosse una semplice coincidenza, o magari, sotto sotto, c'era una parte di lei che stava effettivamente ricercando quella vicinanza?

-Ecco fatto, - esordì Irene con un sorriso trionfante. Adesso perlomeno aveva imparato il meccanismo e in futuro avrebbe saputo cavarsela da sola.

Maria ricambiò il sorriso, mentre la sua mano le lasciava il polso. Sembrava felice anche lei della sua riuscita. -Vedi che quando dai retta agli altri e ti fidi di chi ti vuole aiutare poi le cose ti vengono bene?

-È che per me non è facile, - ammise Irene in un sussurro mentre abbassava gli occhi sul pavimento, quasi come se le costasse fare quell'ammissione. Normalmente, alla luce del giorno e davanti alle altre persone non si sarebbe mai esposta così tanto, però quell'atmosfera di confidenza venuta a crearsi la stava spingendo a lasciarsi andare in modi che nemmeno lei si sarebbe aspettata da se stessa.

-Fidarti?- chiese Maria.

-Anche, quello e chiedere aiuto... - confessò, nonostante le costasse fatica ammettere ad alta voce le sue difficoltà. Chiedere aiuto era qualcosa che la faceva sentire più debole, più esposta in un certo senso... più vulnerabile. Però non era così che si era sentita poco prima insieme a Maria. Contrariamente alla Maria che aveva creduto di conoscere l'anno precedente, quella versione di lei più tranquilla e rilassata era stata in grado di mettere Irene a proprio agio... anzi, se non fosse stato assurdo, Irene avrebbe addirittura detto che con lei riusciva perfino a divertirsi. Chissà, forse era anche per quello che accettare il suo aiuto le era venuto relativamente semplice. -Grazie, - concluse poi con un'espressione di riconoscenza, e così dicendo rialzò finalmente lo sguardo e tornò ad incontrare i grandi occhi verdi della ragazza.

-E di che, io niente ho fatto, sei stata tu che hai cucinato da sola, - le fece presente Maria. Era la seconda volta nel corso della serata che le faceva i complimenti per qualcosa, un vero e proprio record. Adesso che aveva sciolto i capelli ed era sorridente e serena poi, a Irene sembrava ancora più bella di prima. Ricordava quella settimana lontana in primavera in cui Maria aveva rilasciato quell'intervista e tutti al Paradiso non avevano parlato di altro per giorni, ricordava tutte le lodi che aveva ricevuto e la gelosia che lei stessa si era ritrovata a provare nei suoi confronti per tutte le attenzioni che le erano state date. All'epoca, tutti quegli apprezzamenti le erano sembrati quantomeno esagerati, per non dire immeritati. Adesso invece la guardava e le sembrava di aver avuto accesso per la prima volta ad un lato di lei che non aveva mai avuto la possibilità di vedere e conoscere, che inevitabilmente incoraggiava Irene ad aprirsi e lasciarsi andare a sua volta.

-Lo sai, credo sia la prima volta in assoluto che mi concedi i meriti per qualcosa, - commentò Irene con ironia.

-Perché è la prima volta in assoluto che ti ho vista prendere sul serio qualcosa.

-Ma come? E quando abbiamo fatto lo spettacolo teatrale per la parrocchia di Don Saverio, non conta? - le ricordò. -Ci ho messo anima e corpo nell'interpretazione di Cecca! - enfatizzò poi, come suo solito.

-Ma se l'hai fatto solo per non farmi avere la parte e darmi fastidio! - controbatté Maria.

-Questo non è assolutamente vero! E che mi dici di quando sono stata capocommessa per una settimana prima dell'arrivo della Moreau?

-Sì, e hai ribaltato tutto il Paradiso soltanto per metterti in mostra, - la smontò Maria una seconda volta.

-Non è colpa mia se la mia creatività non è stata capita e apprezzata, - scherzò Irene, in realtà ben consapevole della gravità che aveva avuto quel suo colpo di testa.

-Ecco ora che mi ci fai pensare c'è qualcosa per cui dovrei assolutamente concederti i meriti, sai, - la sorprese infine la giovane sarta. A giudicare dal suo tono, Irene capì che sicuramente sarebbe arrivata una risposta sarcastica o ironica, ma non le importava e decise comunque di lasciarla fare.

-E cioè?

-Hai il merito di pretendere di avere sempre ragione su tutto, questo non te lo toglie nessuno guarda, - scherzò Maria.

-Veramente io non pretendo di avere ragione, io ho ragione, è diverso.

-Ah sì, e su cos'è che vorresti avere ragione, ad esempio?

Irene la guardò in silenzio per alcuni istanti e non rispose, la sua mente tornò a quando erano state sedute sul divano subito dopo cena e le aveva chiesto quale fosse una cosa che desiderava fare in quel preciso istante. Aveva visto Maria arrossire e per un attimo, ma soltanto per una rapidissima frazione di secondo, si era chiesta se per caso quest'ultima avesse pensato a qualcosa che la riguardava, dal momento che, sempre per una rapidissima frazione di secondo, anche il suo cervello si era lasciato prendere da pensieri analoghi, quasi senza rendersene conto. Ecco, il primo pensiero di Irene fu che avrebbe voluto avere ragione proprio in quel momento, senza nemmeno sapere perché o a che pro. Ma naturalmente non era nella condizione di dirlo. Sarebbe stato assurdo. O no?

Guardando Maria, Irene si domandò se fosse davvero tutto nella sua testa, se il sottotesto che accompagnava le loro interazioni fosse qualcosa che si stava immaginando per chissà quale assurda ragione, o se invece anche Maria aveva colto la tensione crescente tra loro. Visto il soggetto, era anche probabile che non avesse smesso di pensare al suo fidanzato neanche per un istante durante il corso di quella conversazione... però se fosse stato così, che bisogno avevano di parlare a quella distanza ravvicinata? Che bisogno c'era di toccarsi così spesso, di insultarsi, di provocarsi? Anzi, se possibile, quel piccolo duello verbale aveva fatto venire voglia a Irene di avvicinarsi a Maria ancora di più e sentire di nuovo la sensazione del tocco di lei sulla sua pelle, della sua mano che l'accarezzava... Irene la guardò e pensò che avrebbe voluto avere ragione sulla reciprocità di quel desiderio, e invece non aveva modo di scoprirlo. Chiederglielo naturalmente non era un'opzione, e anche se così fosse stato l'altra non lo avrebbe mai ammesso. Le rimaneva soltanto una cosa da fare... rischiare.

-Non lo so, - disse Irene, facendo un respiro profondo. Cercò di farsi coraggio per trovare la forza di fare quello che voleva fare mentre si sforzava di mostrarsi sicura di sé come al solito, nonostante dentro fosse più nervosa che mai. Un conto era provare determinati impulsi e sensazioni per una frazione di secondo e lasciarli passare, un conto era concretizzarli. Alla fine si disse che in fondo un piccolo gesto come quello che aveva in mente non avrebbe cambiato più di tanto le cose tra loro, ma le avrebbe permesso di capire meglio se anche Maria fosse sulla sua stessa lunghezza d'onda.

E così, mentre a parole rispondeva un vago: -Forse troppe cose-, lasciò che la sua mano destra si allungasse di pochi centimetri verso quella di Maria, sfiorandole delicatamente le nocche. Non ebbe nemmeno il tempo di stringerla come avrebbe voluto che la mora si ritrasse immediatamente e fece un passo indietro, rivolgendo uno sguardo di puro terrore alle loro mani quasi unite. Poi si allontanò da Irene e cominciò a guardarsi freneticamente attorno, come alla ricerca di qualcosa che potesse portarla via di là.

-Io vado a prendere i piatti che se no dove la mangiamo 'sta frittata, - biascicò la sarta, correndo via in fretta e furia.

Irene la guardò prendere piatti, posate e bicchieri mentre veniva attraversata da un misto di sensazioni diverse, che perlopiù convergevano in un senso di delusione di fondo, per la maggior parte rivolta a se stessa. Stava pur sempre avendo a che fare con Santa Maria Goretti, il fedele braccio destro di Agnese Amato. Seriamente si era aspettata che... no, non lo sapeva nemmeno lei che cosa si era aspettata, ma indubbiamente non era stato niente di buono o di sensato. L'unica cosa di cui era certa, era che qualsiasi cosa avesse provato, o avesse pensato di provare, evidentemente non sfiorava Maria nella maniera più assoluta. Invece che fare voli pindarici e soffermarsi a pensare ad improbabili scenari, avrebbe fatto meglio a concentrarsi sulla sua frittata e prendere da lì il conforto emotivo di cui aveva bisogno. Ecco, doveva essere senz'altro la fame a farle questi brutti scherzi, adesso finalmente si spiegava tutto.

Nel frattempo, mentre lei si faceva prendere dallo sconforto e dalle riflessioni, Maria in maniera molto più pratica e concreta posò i piatti sul ripiano vicino ai fornelli, spense la fiamma, fece scivolare la frittata su uno di dei due piatti e poi la tagliò in due parti. Infine, mise una delle due metà sul secondo piatto e iniziò a portare il proprio, con posate annesse, verso il.... divano? Irene stava avendo un'allucinazione, o seriamente Maria stava scegliendo di mangiare sul divano per la seconda volta nel corso di una serata? Se lo avesse raccontato a Stefania, probabilmente non ci avrebbe creduto. La Venere prese il suo piatto e le posate e seguì a ruota l'altra ragazza, sedendosi accanto a lei (questa volta a una distanza ben più ragionevole rispetto a prima).

-Ah, questa volta direttamente sul divano, vedo che facciamo progressi, - la prese in giro Irene, mentre si accingeva a tagliare la sua porzione. Maria, accanto a lei, stava facendo esattamente la stessa cosa.

-Solo per questa sera, non farti venire strane idee, - mise in chiaro.

-Sì sì, certo... Ormai è chiaro che ti sto portando sulla cattiva strada, - scherzò Irene, divertendosi come suo solito a stuzzicare un po' la sua coinquilina.

-Ma manco per sogno, anzi questa è proprio l'ultima volta che mangiamo così, - rispose l'altra in tono categorico.

Irene notò il modo bizzarro in cui Maria stava gesticolando con la mano con la quale reggeva la forchetta, e invece di mangiare il pezzo di frittata che aveva preso preferiva sventolarlo per amore di enfasi. Quasi senza rendersene conto le venne da sorridere, e facendosi prendere dall'istinto decise di giocare ancora un po' con lei: con uno scatto afferrò con decisione il braccio di Maria e avvicinò la sua forchetta alla bocca, abbastanza da poter sporgere il viso in avanti e fregarle il suo boccone di frittata.

Maria non rispose a parole, si limitò a rivolgerle un'occhiata di profonda disapprovazione, alla quale Irene replicò prontamente:-Che c'è? Se è l'ultima volta devo godermela fino in fondo!

-Sei incorreggibile va!, - la riprese Maria, ridendo. -E pure ladra.

-Dai, vieni che ti ridò il pezzo, - si offrì Irene, per amore di giustizia. Potevano essere dette tante cose di lei, ma ladra proprio no.

Maria sembrò accettare l'invito in silenzio: senza dire nulla afferrò quella che avrebbe dovuto essere la forchetta di Irene, che ancora non era stata usata, prese un pezzo della sua parte di frittata e se lo portò alle labbra.

-Buona?- domandò Irene, con una certa dose di aspettative.

Maria annuì mentre si portava una mano alla bocca:-Sì, non male dai, - si complimentò infine.

Effettivamente era buona, le era uscita proprio bene – chissà, forse Maria aveva ragione, se si fosse applicata un po' di più avrebbe potuto davvero diventare brava. Le due ragazze non ebbero bisogno di tanto tempo per finirla, anzi, dopo pochi minuti il piatto di Irene era già completamente vuoto; su quello di Maria, al contrario, era rimasto un unico, solitario pezzettino.

-Irè io sono un po' piena, - disse alla fine quest'ultima, che aveva notato il modo pieno di interesse in cui Irene stava osservando il suo piatto. -Se vuoi l'ultimo pezzo te lo lascio a te.

-Sei sicura?- chiese Irene, colta momentaneamente di sorpresa. Per un attimo si chiese se davvero Maria fosse piena, o se glielo stesse lasciando perché aveva capito che aveva ancora un po' di fame e voleva fare una gentilezza.

-Non te lo meriti eh, ma puoi prenderlo.

-Grazie, - rispose Irene. Non dovette certo farsi pregare per accettare l'invito, prendere con la forchetta l'ultimo pezzo di frittata e portarselo alle labbra.

Mentre il sapore di uova e prosciutto si diffondeva nella sua bocca per l'ultima volta, Irene guardò il tavolo vuoto di fronte a sé. Avrebbe voluto dire qualcosa a Maria, qualsiasi cosa, ma non ci riuscì. Avrebbe voluto riprendere il discorso che avevano fatto durante la cena e cercare di trovare una maniera alternativa per spingerla a parlare, ma era come se la sua mente fosse vuota. Forse quello che era successo poco prima l'aveva scoraggiata, e ora si domandava se valesse davvero la pena di insistere in quel frangente. Il modo in cui Maria si era allontanata di scatto da lei parlava piuttosto chiaro, del resto... Voleva davvero andare avanti e correre il rischio di prendersi una porta in faccia, che potenzialmente avrebbe anche potuto farle male? Inizialmente esitò un attimo, ma poi si ricordò che se quella stessa sera si fosse persa d'animo e si fosse lasciata scoraggiare a quest'ora si sarebbe ritrovata ad andata a letto con un buco nello stomaco e una certa dose di insoddisfazione. Del resto non aveva niente da perdere – piatti da lavare a parte, naturalmente.


 

Dal momento che questa volta era stata Irene a cucinare per entrambe, Maria si era offerta di occuparsi dei piatti e lasciare la sua coinquilina riposare in pace sul divano. E naturalmente, proprio quando Irene aveva la possibilità di starsene seduta a non fare niente come piaceva a lei, giustamente invece doveva scegliere di alzarsi per mettersi lì vicino e asciugare le cose mano mano che Maria le lavava. Se non trovava il modo di indispettirla in qualche maniera, quella proprio non era contenta. In realtà fino ad adesso la serata non stava nemmeno andando troppo male: avevano mangiato, si erano divertite e c'era nel complesso una bella atmosfera... eppure, Maria non riusciva proprio a spiegarsi il senso di agitazione che provava e che non accennava a lasciarla in pace. O per meglio dire, avrebbe voluto non saperselo spiegare. Poi si ricordava il modo in cui Irene aveva cercato di prenderle la mano prima e il panico tornava ad avere la meglio su di lei. Come se fosse stato chissà che gesto poi, o avesse avuto chissà che significato...

Sapeva che molto probabilmente stava ingigantendo le cose come suo solito, lei e Irene erano state così vicine che era anche possibile che l'avesse sfiorata per sbaglio. E anche se fosse stato, poi? Dopotutto erano amiche, vivevano insieme, era normale scambiarsi qualche gesto di affetto, di tanto in tanto. Eppure, quando Maria se l'era ritrovata così vicina e aveva sentito il tocco timido ed esitante di lei sulle sue dita, il suo primo impulso era stato quello di scappare via. Non sapeva nemmeno lei perché lo avesse fatto, non riusciva a spiegarselo con le parole... era stato semplicemente ciò che aveva sentito di fare. Chissà, forse quello che aveva provato in quel momento l'aveva spaventata talmente tanto che aveva sentito il bisogno di scappare via.

Però, adesso che invece ci ragionava a mente fredda, mentre in silenzio puliva le tracce di uovo dai piatti e li passava a Irene per farli asciugare, si rendeva conto che forse, se avesse potuto tornare indietro, non avrebbe reagito così. Forse, per quanto fosse spaventata da tutti quei sentimenti, le sarebbe piaciuto rimanere lì vicino a Irene e vedere dove volesse arrivare. E invece, oramai era troppo tardi per rimediare e l'occasione era sfumata. Il suo cervello era così contraddittorio che ormai pure lei stessa aveva rinunciato a capirsi: da un lato voleva Irene lontana e sopprimere tutte quelle sensazioni sbagliate, voleva riprendere il controllo di se stessa, ma dall'altro c'era qualcosa di Irene che continuava ad attirarla. Non succedeva spesso che le due si ritrovassero a passare del tempo da sole, tra il Paradiso, le Veneri e Stefania, e adesso che per la prima volta avevano un'intera serata da trascorrere assieme, fin troppe cose che Maria aveva cercato di sopprimere stavano venendo a galla, indipendentemente dal fatto che lo desiderasse o meno.

Se poi a questo ci si aggiungeva il fatto che Irene non stava facendo assolutamente niente per favorire la sua tranquillità mentale, ma anzi, l'esatto opposto, si ottenevano subito tutti gli ingredienti per un bel disastro. Adesso che avevano finito di cucinare e mancava ancora un po' di tempo prima che Stefania ritornasse a casa, ed entrambe le ragazze la volevano aspettare alzate per farsi raccontare com'era andata la sua prima cena con il padre e la sua nuova famiglia, Irene era tornata alla carica con le domande e le aveva di nuovo chiesto cosa le andasse di fare adesso per passare il tempo. Per fortuna che ora Maria, con la scusa di lavare i piatti, aveva un pretesto per evitare il suo sguardo e concentrarsi su altro, e questo la faceva pensare più lucidamente, al punto che la risposta che riuscì a formulare sembrava quasi sensata e ragionata e non dettata dalla paura di essere sincera e lasciarsi scappare un qualcosa di troppo.

-Allora Irè, è la terza volta che mi chiedi che cosa voglio fare stasera, se c'è qualcosa che vuoi sentirti dire dimmelo chiaro che almeno non perdiamo la giornata, - la esortò Maria, in qualche modo sperando di ottenere da Irene un qualche indizio sulle sue reali intenzioni.

-Vuoi che ti dica la verità?- domandò Irene, mentre riponeva il primo dei due piatti al suo posto e afferrava il secondo, che Maria aveva appena finito di sciacquare.

-Certo, - replicò l'altra, con il tono di chi non era affatto convinto. Non lo sapeva con certezza nemmeno lei se davvero voleva la verità o se preferiva continuare a nascondersi dietro ambiguità e sottotesti.

-La verità è che secondo me tu prima non stavi pensando alla cucina, stavi pensando a qualcos'altro e non me lo vuoi dire, - l'accusò Irene. Ecco, aveva colto nel segno (come molto spesso faceva d'altronde, anche se Maria non glielo avrebbe mai riconosciuto). Se avesse continuato a mentire, probabilmente non avrebbe fatto che rendere ancora più palese il fatto che stesse nascondendo qualcosa, purtroppo per lei.

-Guarda che veramente sei tu quella che ha mille segreti e intrallazzi, - le fece quindi notare, con l'intento di cambiare argomento e spostare l'attenzione su altro, possibilmente qualcosa che la riguardasse il meno possibile, -ti ricordo che hai pure dormito nel magazzino per un periodo e noi tutte lo siamo venute a scoprire solo mesi dopo.

-Non cercare di cambiare argomento, - l'ammonì la Venere. Ecco, lei certe cose proprio non le sapeva fare. -Non dicevi prima che bisogna imparare a fidarsi delle persone, ad accettare l'aiuto degli altri?

-Ma io mi fido Irè, è che davvero non c'è niente di cui parlare, - tentò Maria ancora una volta.

-E allora spiegami perché prima eri così strana.

-Ma te l'ho detto, non c'è niente, è solo un'impressione tua, - insistette ancora una volta.

-Infatti, e di solito le mie impressioni non sbagliano, - osservò Irene, purtroppo avendo ragione. -Guarda che stai parlando con una che fino a un'ora fa non sapeva neanche fare una frittata, un bambino di cinque anni ci riuscirebbe, - scherzò poi, forse per rilassare l'atmosfera e tentare di mettere Maria un pochino più a suo agio. E la parte peggiore era che ci stava anche riuscendo. -Non hai proprio nulla di cui ti devi vergognare.

Nonostante la tensione Maria si lasciò sfuggire un sorriso, divertita da quel paragone. Poi chiuse il rubinetto e appoggiò la padella sul ripiano, così che Irene avrebbe potuto prenderla una volta finito con le posate e asciugarla. -Vedi che girare la frittata non è mica così semplice, ah, - tentò di rassicurarla, mentre si asciugava le mani con uno dei canovacci appesi al muro.

-E infatti io ci sono riuscita solo perché tu mi hai dato una mano, - osservò Irene, passando a dedicare le sue attenzioni alla padella.

Maria le sorrise e distolse lo sguardo, un po' imbarazzata. Non lo avrebbe mai ammesso, ma piaceva anche a lei ricevere complimenti, e soprattutto le piaceva sentirsi apprezzata e utile, le piaceva quando gli altri riconoscevano il suo valore e le sue capacità. Che tutto questo stesse venendo proprio da Irene, poi, che tipicamente non era una che si perdeva tanto in chiacchiere e in complimenti, la rendeva ancora più felice. -Lo sai, non credevo che avessi un lato sensibile, - osservò Maria timidamente. -Cioè, un po' sì, ma non lo conoscevo bene.

-Guarda che non lo faccio solo per te ma anche per me stessa, - decretò Irene, la quale cambiò immediatamente tono di voce dopo quell'osservazione e si irrigidì un po'. -Tu mi hai aiutato in qualcosa, ora io voglio cercare di fare lo stesso per te e sdebitarmi, se posso...

-Quindi è solo per questo che lo vuoi sapere? Non c'è nessun altro motivo, insomma?- tentò di indagare Maria. Cosa stesse sperando di sentirsi dire in risposta, poi, non lo sapeva nemmeno lei.

-Certo, per questo. Che altro motivo dovrebbe esserci, no?- chiese retoricamente la Venere, mentre nel frattempo metteva la padella al proprio posto. Ecco, con quella avevano finalmente finito.

-No, infatti, nessuno, - concordò Maria, abbassando lo sguardo. Intuendo che la sua coinquilina non l'avrebbe lasciata stare tanto facilmente e che se non le avesse dato una risposta soddisfacente probabilmente quella discussione sarebbe andata avanti per chissà quanto ancora, la ragazza decise alla fine di dargliela vinta e provare ad accontentarla, per come poteva. Fece mente locale e pensò ad un'altra cosa da fare che avrebbe potuto proporre, e che allo stesso tempo potesse anche giustificare il suo imbarazzo iniziale, quando ad un tratto un'idea le venne in mente:

-D'accordo. Allora, se proprio lo vuoi sapere, prima stavo pensando che mi piacerebbe imparare a ballare.

Avrebbe potuto inventarsi una scusa, avrebbe potuto trovare mille altri modi in cui rispondere ed evadere la curiosità di Irene. E invece, tra tutte le cose a cui avrebbe potuto pensare proprio ballare aveva detto. Era così assurdo che a momenti neppure Irene ci credeva, infatti:

-A ballare?- domandò quest'ultima, quasi divertita. Questa volta fu Maria ad irrigidirsi a causa del suo commento.

-A ballare, - le confermò, con un po' di esitazione. -Perché, è tanto strano?

-No, ma se è solo questo potevi dirlo subito!

La ragazza si avviò verso la radio che tenevano sul ripiano vicino alla finestra e la sintonizzò sul canale che trasmetteva musica, e le note di “Ventiquattromila baci” di Celentano riempirono l'appartamento. -Si da il caso che io sia la Venere migliore del Paradiso in fatto di passi di danza, - aggiunse poi con un sorriso compiaciuto.

-Irè abbassa un po' che qua svegliamo tutto il palazzo, - la riprese Maria, colta di sorpresa dalla velocità con la quale l'altra ragazza aveva accettato la sua proposta.

-E tu smettila di preoccuparti di quello che pensano le altre persone una buona volta, - controbatté Irene, che però eseguì la richiesta e abbassò leggermente il volume della radio, quanto bastasse affinché la musica da fuori non si potesse sentire.

-Dai, adesso vieni qua e pensa a rilassarti una buona volta, - la invitò poi.

Maria osservò il modo in cui Irene si muoveva a tempo di musica e pensò che sembrava proprio nata per quello: era così sciolta e disinvolta, si vedeva che le veniva naturale. Era come diceva lei, bisognava non pensare e divertirsi. Maria invece si sentiva quasi in soggezione di fronte a lei, ben più impostata e soprattutto nervosa.

-Beh, che fai, mi lasci sola?- la esortò la sua coinquilina, alzando un sopracciglio in segno di disapprovazione nei confronti della sua reticenza.

-È che non so come si fa, Irè, - tentò di spiegarsi lei in maniera impacciata, se possibile sentendosi ancora più in imbarazzo di prima.

-Ma smettila su, - le ordinò Irene. Senza darle il tempo di replicare prese per mano Maria e la trascinò tra il tavolo e il divano, dove bene o male c'era un po' più spazio per muoversi.

-Non è difficile, tu fa' quello che faccio io, - le spiegò, senza lasciare andare la sua mano per invogliarla a ballare a sua volta.

Maria studiò per qualche istante i movimenti ondeggianti delle sue anche e il modo in cui le sue gambe sembravano quasi roteare, mentre il peso si spostava continuamente tra il tacco e la punta del piede. I suoi occhi per un momento rimasero quasi incantati dalla naturalezza di quei movimenti e le forme del suo corpo, solo a guardarla Irene le trasmetteva spensieratezza e leggerezza e le faceva venire voglia di ballare a sua volta. E così, facendosi coraggio per superare l'imbarazzo iniziale, provò a buttarsi anche lei e cercò di riprodurre con meticolosa attenzione lo schema di movimenti seguito dalla sua coinquilina.

-Così dici?- chiese, per avere la conferma di aver capito come fare.

A giudicare dal modo in cui Irene la guardò e la piccola risata che le rivolse, probabilmente non doveva stare andando molto bene.

-Più o meno, ma non così rigida, - spiegò Irene, -ti devi divertire. Segui il ritmo della musica e lasciati andare.

In effetti, se paragonata a Irene, lei con i suoi movimenti impacciati non reggeva proprio il confronto.

-E com'è che si fa a lasciarsi andare?- chiese, consapevole del fatto che nel suo caso era quasi un'impresa possibile.

-Così, - rispose Irene, mentre alzava il braccio e dava una spinta con vigore per fare girare Maria su stessa.

Okay, un pochino era stato divertente, doveva ammetterlo. Più o meno stava incominciando a capire cosa intendeva Irene ora quando diceva di seguire il ritmo della musica... Poi, tutto d'un tratto sentì il braccio dell'altra ragazza ritirarla a sé con vigore e in un attimo si ritrovò catapultata verso di lei senza che potesse opporsi. Ancora una volta si ritrovavano faccia a faccia, a pochissimi centimetri di distanza l'una dall'altra. Soltanto che questa volta, con la musica in sottofondo che alleggeriva l'atmosfera, era pure peggio. Questa volta Maria non era più sicura di volersi allontanare.

-Visto? Non è poi così difficile, - disse Irene, mentre le sue labbra si incurvavano in un sorriso soddisfatto. Soltanto allora Maria si rese conto che le stava di nuovo fissando e si affrettò a riportare lo sguardo sui suoi occhi verdi, che... se possibile, la destabilizzarono ancora di più.

-Forse per te Irè, - rispose. Ormai aveva seguito alla lettera il suo consiglio e stava piano piano incominciando a spegnere i pensieri, e complice anche la voce di Celentano la sua bocca iniziò a parlare ancor prima di essersi messa d'accordo con il suo cervello:-Tu sei sempre così tranquilla, ti vivi tutto senza troppi problemi, e soprattutto sei brava in tutto. Io non lo so come fai: sei brava a fare la Venere, sei brava a recitare, a far divertire le persone, a ballare, qualsiasi cosa tu sei brava.

Soltanto dopo aver parlato Maria si rese conto che era troppo tardi, e oramai non poteva più rimangiarsi cosa aveva detto. Il suo sguardo si riempì di tensione mentre aspettava con trepidazione la risposta di Irene, quasi impaurita dalla sua reazione. Soltanto che questa volta, a spaventarla non era l'ipotesi che Irene facesse la scema o si desse delle arie come suo solito. Questa volta Maria aveva paura che Irene si allontanasse da lei e respingesse quella che era stata la cosa più vicina ad una dichiarazione che in quel momento era in grado di fare. Mentre il tocco della mano di lei stava quasi mandando a fuoco la sua pelle, Maria sentì un calore improvviso espandersi nel suo petto e si rese conto che voleva Irene ancora più vicina. Voleva toccarla, voleva... voleva... Gesù, le sue labbra dovevano davvero finirla di distrarla. L'unica cosa che Maria sapeva con certezza, era che se Irene in quel momento si fosse allontanata da lei si sarebbe sentita sprofondare.

Per fortuna, la reazione di Irene fu ben diversa. La ragazza non si allontanò, anzi; prese la mano di Maria che stava ancora stringendo nella sua e intrecciò le loro dita assieme, gesto che Maria fu più che contenta di assecondare. Poi, mentre il suo pollice cominciava a disegnare piccoli cerchi concentrici sull'indice di Maria mandando piccole scosse elettriche per tutto il suo corpo, Irene le rivolse un sorriso addolcito e domandò timidamente:-Sul serio lo pensi?

Ormai incapace di parlare o formulare un pensiero coerente o coeso, Maria si limitò ad annuire, mentre il suo corpo continuava ad essere come paralizzato. Non le era mai successo di sentire così tante cose tutte insieme e tutte in una volta.

-Non me lo aveva mai detto nessuno, - confessò Irene, in poco più di un sussurro.

E se a quel punto le cose si stavano mettendo male per Maria e per le sue capacità cognitive, quello che Irene fece subito dopo non fece altro che dare il bacio d'addio all'ultima dose di autocontrollo rimasta in lei: con la mano che aveva libera, la ragazza scostò dal viso di Maria alcune ciocche di capelli ricci, poi sporse la testa in avanti e le posò un delicato bacio sulla fronte. Fu una questione di pochi secondi, poi Irene ritrasse le labbra e tornò ad osservarla con un'espressione dubbiosa, quasi spaventata; ma bastarono quei pochi secondi a cambiare tutto per lei. Il calore che aveva provato all'interno del petto si sparse in tutto il resto del suo corpo come una miccia appena accesa; le gambe tremarono, a malapena riuscirono a tenerla in piedi, un brivido le percorse la schiena mentre le piccole scosse elettriche che aveva avvertito prima all'altezza della mano scoppiarono all'interno del suo stomaco come un tornado che infuriava. Quando rialzò lo sguardo sul viso di Irene e rincontrò i suoi occhi, a stento ricordava come respirare.

Maria proprio non lo sapeva a cosa stava pensando. Anzi, probabilmente non stava pensando. Se il suo cervello fosse stato funzionante, sicuramente sarebbe riuscito a fermarsi prima di commettere l'irreparabile. E invece, dei pensieri ormai non era rimasta neanche l'ombra. C'era soltanto Irene, così tanto vicina a lei, le loro mani unite, le sue labbra tentatrici... e il cuore che le batteva fortissimo nel petto. Chiuse gli occhi, si lasciò spingere dalla scarica di adrenalina che aveva in circolo e mentre avvertiva un senso di vuoto alla base dello stomaco che la faceva sentire come se fosse sul punto di cadere da un enorme precipizio, sospirò e sporse il viso in avanti di appena qualche centimetro. Poi, superando la paura più grande che avesse mai sperimentato in tutta la sua vita, posò delicatamente le labbra su quelle di Irene e si lasciò precipitare nel vuoto; cadere non era mai stato così dolce.

Il primo sfiorarsi di labbra fu sufficiente a farle perdere il respiro e paralizzarla quasi del tutto. Fu un contatto piuttosto breve, della durata di appena qualche secondo; Irene, dall'altro lato, non reagì, non accennò a muovere un muscolo né a rispondere in alcuna maniera, verbalmente o meno. Non la allontanò, né la respinse, ma nemmeno rispose al bacio né invitò Maria ad approfondirlo. E così, quando si allontanò da lei, Maria riaprì gli occhi e rimase col fiato sospeso fino alla reazione dell'altra ragazza. La paura la stava quasi mangiando viva, e mille scenari catastrofici si dipinsero nel suo cervello in quei pochi millesimi di secondo che dovette aspettare prima che Irene a sua volta riaprisse gli occhi. Quando lo fece, Maria esalò un sospiro di sollievo nel vedere le sue labbra trasformarsi in un piccolo sorriso soddisfatto e all'improvviso, non avrebbe saputo spiegarsi nemmeno lei come né perché, capì che sarebbe andato tutto bene. Irene lasciò andare la sua mano per accarezzarle con esitazione la guancia destra, e di nuovo Maria sentì la pelle andare a fuoco sotto il suo tocco. Esalò un altro respiro per riprendere tutta l'aria che aveva perso, poi vide Irene sporgere il viso in avanti e chiuse gli occhi, un istante prima di ricevere il suo bacio.

Questa volta il contatto durò un po' più a lungo, e soprattutto, Maria reagì e inclinò la testa leggermente a sinistra, il che permise al suo labbro inferiore di infilarsi tra quelle di Irene, che la accolsero con gioia. Lo aveva desiderato così tanto, per così tanto tempo e senza nemmeno esserne pienamente consapevole che non le sembrava vero, al punto che tutto il suo corpo era scosso da brividi che percorrevano indisturbati la sua schiena. Senza rendersene conto iniziò a cingere con le braccia la schiena di Irene per sentirla più vicina, mentre le sue labbra continuavano a tornare su quelle della sua coinquilina per chiederle altri baci, che quest'ultima era ben felice di concederle. Nel frattempo, anche Irene con la mano libera incominciò ad accarezzarle la schiena mentre le sue gambe iniziarono a muoversi in direzione del divano, movimento che Maria assecondò quasi automaticamente. Dopo pochi passi lei e Irene si lasciarono cadere senza pensarci due volte e si misero sedute l'una vicina all'altra, Maria esalò un sospiro tremante sulle sue labbra morbide prima che Irene le strappasse un altro bacio.

Sì, andava decisamente meglio così, stavano sicuramente più comode e Maria riusciva a toccarla e accarezzarla più agevolmente. Le sue mani continuavano a fare su e giù per la schiena di Irene e la stringevano a sé quanto più possibile, mentre Irene incominciò ad accarezzare i suoi lunghi capelli ricci, cosa che, se possibile, la mandò ancora di più su di giri. Senza rendersene conto la sua bocca si schiuse piano piano e sentì la lingua di Irene ripassare lentamente i contorni del suo labbro inferiore e successivamente di quello superiore, per poi fare capolino timidamente all'interno, dove incontrò con entusiasmo quella di Maria.

Fu solo in quel momento che Maria si rese conto di non aver mai capito cosa fosse un bacio vero fino a quel momento: solo allora scoprì che era così che avrebbe dovuto sentirsi. Adesso riusciva finalmente a spiegarsi cosa fossero le farfalle nello stomaco, le ginocchia molli e tutte quelle altre sensazioni di cui sentiva sempre parlare. Che poi, magari fosse stato solo lo stomaco il problema. Nel suo caso, tutto il suo corpo era in subbuglio, fermentava, scalpitava e la stava praticamente supplicando di avere più baci. Il calore che stava sentendo prima si era quadruplicato, in certe zone più di altre, e a momenti le sembrava quasi di soffocare, ma non le importava. Il suo unico pensiero era Irene, baciare Irene, toccare Irene, sentire Irene, farsi stringere da Irene, e nel frattempo la sua lingua continuava a farsi accarezzare da quella di lei secondo un ritmo tutto loro. Adesso che finalmente era riuscita ad ammettere almeno a se stessa quello che desiderava il suo corpo glielo stava gridando fortissimo, a squarciagola, in barba a tutte quelle le volte in cui invece era stato messo a tacere in favore di quello che tutti gli altri avevano creduto giusto per lei.

Se fosse dipeso da lei, trovare la forza di fermarsi sarebbe stato molto, molto difficile, e Irene sicuramente non le facilitava il compito, ma purtroppo (o per fortuna) ci pensò la vita reale a riportarla nel regno dei comuni mortali. Più specificatamente, quel bellissimo incantesimo si interruppe non appena le sue orecchie captarono provenire da fuori la finestra un rumore di passi e due voci, una maschile e una femminile. Oh. Stefania e suo padre erano tornati. Oh.

Oh.

Fu esattamente in quel momento lì che la caduta finì e tutti i suoi desideri di sfracellarono al suolo; l'impatto fu molto, molto più duro di quanto aveva immaginato. Rimasta senza fiato, Maria si allontanò di scatto da Irene e balzò in piedi, come un soldatino sull'attenti. A fatica riprese a respirare e fece lunghi sospiri profondi, per reintegrare l'aria persa. Poi corse immediatamente verso la radio e la spense, a malapena registrò la canzone che stavano passando in quel momento. Fortunatamente avevano mantenuto il volume molto basso ed era assai improbabile che Stefania e suo papà avessero sentito qualcosa. I due per fortuna non rientrano immediatamente in casa ma rimasero sul pianerottolo a chiacchierare, tuttavia la percezione di Maria era fin troppo alterata per poter afferrare di cosa stessero parlando o riuscire ad ascoltare attivamente quella conversazione. Anche volendo non ce l'avrebbe fatta, non era nelle condizioni. Il suo cuore stava ancora battendo all'impazzata all'interno del petto e le sue braccia erano inconsciamente sporte in avanti, alla ricerca del corpo di Irene che fino a pochi istanti prima era stato stretto al proprio. Già, Irene. Maria aveva troppa paura per riuscire a guardarla, preferiva tenere gli occhi abbassati sul pavimento in silenzio, lo sguardo carico di vergogna. Una sensazione di nausea la colpì alla base dello stomaco e sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Aveva voglia di piangere. Aveva voglia di correre via, di scappare, di chiudersi a chiave in camera sua e sotterrarsi. All'improvviso si sentì triste e sola, come in una trappola troppo grande per poterne uscire. Solo in quel momento riuscì a cogliere appieno la gravità di quello che aveva appena fatto, e ne fu colpita come da una tempesta in pieno inverno.

Che cosa le era preso? Quella... la persona che aveva appena fatto quelle cose e pensato certi pensieri non era lei. Non poteva essere lei. Era come se fosse stata posseduta da uno spirito esterno, un qualcosa che l'aveva presa e l'aveva spinta verso la via del peccato prima che potesse rendersene conto e fermarsi. Cosa avrebbero pensato i suoi genitori, la sua famiglia, se la avessero vista comportarsi così? E la signora Amato, per la quale era praticamente come una figlia? Non riusciva nemmeno a trovare le parole per dire ciò che era successo, non riusciva nemmeno a capacitarsene, a darci un nome. Non voleva farlo, non poteva. Tutto quello che desiderava era dimenticarsi quell'orribile esperienza e fare finta che non fosse mai accaduta. Sì, doveva per forza, che altra scelta aveva? In fondo era stato soltanto un... soltanto un... un errore, ecco cosa. Un qualcosa che non aveva alcun significato e a cui si sarebbe costretta a non pensare mai più, con tutti i mezzi possibili. E doveva assicurarsi che anche Irene lo capisse e facesse lo stesso.

-Irene, - iniziò, continuando a tenere lo sguardo fisso sul pavimento per la vergogna. -Quello che è successo stasera non lo deve sapere nessuno, - sussurrò, per la paura che Stefania da fuori la potesse sentire.

-Ah ah, - rispose Irene, in tono assente.

-È stata solo una sciocchezza, - proseguì, cercando di convincere se stessa più che la sua interlocutrice.

-Ah ah.

-Una sciocchezza che non si ripeterà mai più, - aggiunse con gravità. -Faremo finta che non è mai successa e non ne parleremo più.

-Ah ah.

Alla terza risposta bisillabica che riceveva, Maria incominciò seriamente a preoccuparsi e alzò lo sguardo verso Irene, per capire come stesse. I suoi occhi la trovarono seduta sul divano esattamente nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata, lo sguardo perso nel vuoto e le braccia tese in avanti, forse anche lei ancora inconsciamente alla ricerca di Maria. Sembrava quasi caduta in una sorta di trance, come se non si fosse resa pienamente conto di ciò che era appena successo e il suo cervello stesse faticando per riuscire ad elaborarlo. Era uno stato d'animo che Maria riusciva a capire molto bene, proprio con tutto il cuore.

-Irene, guarda che sono seria, - cercò di richiamare la sua attenzione la ragazza siciliana, alzando leggermente il tono di voce mentre si avvicinava di qualche passo verso il divano. Sentì il suo cuore farsi un po' più piccolo nel vedere la sua coinquilina in quello stato, e si sentì profondamente in colpa perché sapeva che era soltanto colpa sua. Se non fosse stata tanto debole e avesse trovato la forza di resistere ad uno stupidissimo impulso, ora non si ritroverebbero entrambe così.

-Promettimi che non ne parlerai con nessuno e che ti dimenticherai tutto, - insistette, -Irene, devi promettermelo.

Non poteva permettere che un errore come quello rovinasse la sua vita per sempre. Non poteva permettere alla sua stupidità di mettere a repentaglio tutto quello che aveva lottato così tanto per costruire. Aveva un lavoro, delle amiche, una casa, una famiglia che le voleva bene, un fidanzato e presto si sarebbe sposata-

Con un uomo che ti ha paragonato ad un piatto di pasta e patate

si sarebbe sposata-

Con un uomo che non fa nemmeno lo sforzo di scriverti due righe una volta ogni tanto per interessarsi a te e sapere come stai, mentre tu gli mandi lettere lunghe tre pagine, fronte retro, a cui manco risponde

si sarebbe sposata-

Con un uomo che non ti fa ridere come ti fa ridere Irene, non ti fa sentire leggera e spensierata ma soltanto nervosa e cupa e insicura

si sarebbe sposata-

Con un uomo che non ti ha mai baciata come ti ha baciata Irene, che non è riuscito a farti provare in mesi di relazione quello che lei ti ha fatto provare con un solo bacio

Si sarebbe sposata e basta, non c'erano santi che tenessero! Rocco non sarà stato perfetto, certo-

Non arriva nemmeno lontanamente al minimo sindacabile che dovrebbe dimostrare una persona innamorata e sul punto di sposarsi

-non sarà stato perfetto, anzi, ma era quello giusto. L'unico che potesse andare bene per lei, l'unico che lei poteva amare. Irene non poteva essere una scelta perché era una donna, e le donne non possono stare con altre donne. Le donne hanno bisogno di uomini al loro fianco che le proteggano e si prendano cura di loro, proprio come lei aveva bisogno di Rocco. Qualsiasi altra opzione, soprattutto non di sesso maschile, era fuori questione. I suoi sentimenti erano fuori questione. Dovevano esserlo.

-Va bene, - rispose Irene, continuando ad evitare il suo sguardo.

-Va bene cosa Irene?- chiese Maria, che per stare tranquilla aveva bisogno di avere la certezza matematica che avesse capito.

-Non ne parlerò con nessuno e mi dimenticherò tutto, - ripeté meccanicamente l'altra.

Maria non era ancora pienamente convinta che avesse compreso del tutto la situazione, ma non aveva proprio più le forze di continuare a parlare con lei. Aveva solo voglia di tornare in camera sua, infilarsi sotto le coperte e scomparire.

-Va bene. Sentì io vado a dormire, sono un po' stanca e mi gira un poco la testa, ce lo dici tu a Stefania ora che arriva, e poi mi racconta tutto domani di com'è andata stasera?

-D'accordo. Buonanotte.

Maria non le rispose, si sentiva troppo in colpa per prolungare quella conversazione più del dovuto. Con la coda tra le gambe scappò via e si rifugiò in camera, chiudendosi la porta alle spalle. Non ebbe nemmeno la forza di trascinarsi fino al letto: appoggiò la schiena contro la porta e scivolò lentamente a terra, seppellì la testa tra le ginocchia e la coprì con entrambe le braccia. Poi scoppiò a piangere, soffocando i singhiozzi nella stoffa della sua camicia da notte color rosa per non farsi sentire.

Pochi istanti dopo, la porta di casa si aprì. Stefania era tornata.

-Ciao Irene. Allora, com'è andata la serata con Maria?

 



Nota dell'autrice
E niente, doveva essere una cosa semplice, carina e divertente e invece si è trasformata in un tragedione. Che dire. Non so se continuerò a sviluppare questa storia e scrivere un ipotetico sviluppo del loro rapporto o se si concluderà così, una semplice strada non presa, come suggerisce il titolo, ma in ogni caso ringrazio le persone che l'hanno letta tutta, spero di essere riuscita almeno un pochino a farvi piacere le Mariene e di non essere andata troppo oltre le loro personalità nel canon. A presto!

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Capitolo 4
*** Sola ***


-Ma no ragazze, sono sicura, vi dico che l'ho sentito con le mie orecchie!

La voce di Dora Vianello, quella sera, arrivò alle orecchie di Maria Puglisi come un sordo rumore di sottofondo, una vaga eco in lontananza che rimbombò in qualche meandro del suo cervello e con la stessa velocità ne uscì, senza riuscire a destare l'attenzione della sarta, appena entrata nello spogliatoio delle Veneri. Le sue coinquiline si erano già cambiate, constatò Maria con una rapida occhiata; dovevano soltanto mettersi i cappotti ed erano pronte per uscire. Tuttavia, come al solito, Irene sembrava in vena di fare polemica (tanto per cambiare):

-Ah beh, allora se l'hai sentito tu siamo a posto! - si prese gioco della collega, mentre attraversava lo spogliatoio da parte a parte per raggiungere il proprio armadietto. Mentre camminava il suo sguardo si posò per una frazione di secondi su Maria, la quale non esitò ad abbassare la testa e fingere di non essersene resa conto.

Circa una settimana era passata dal bacio con Irene, e non c'era giorno in cui Maria non si fosse pentita di quello che era successo. Di quello che lei aveva fatto. Era stato un solo momento di debolezza, soltanto uno, eppure era stato più che sufficiente a mandare in crisi ogni sua certezza e farla cadere in uno stato di assoluta negazione verso di sé e tutto ciò che aveva provato, o che perlomeno aveva pensato di provare. Aveva trascorso tutto il venerdì e il sabato successivi a quella maledetta serata cercando di evitare Irene il più possibile: sul lavoro si era praticamente rinchiusa in atelier con la signora Agnese, mentre a casa aveva trascorso il momento dei pasti immersa nel mutismo selettivo, a momenti non distoglieva nemmeno lo sguardo dal piatto. Con Stefania, di tanto in tanto, qualche parola di cortesia era pure riuscita a scambiarla; ma con Irene, invece, non era neanche da parlarne. Dopo quel bacio pensava a lei tutte le notti, non appena si infilava sotto le coperte e chiudeva gli occhi la sua mente proiettava le immagini di giovedì sera e a Maria per un attimo sembrava di tornare là sul divano, di poter risentire il sapore delle labbra di Irene che la cercavano, la sensazione delle sue mani tra i capelli che la stringevano a sé e il desiderio di toccarla ovunque che si diffondeva in lei e al quale era molto molto difficile resistere. Sentiva di nuovo quella sensazione di vuoto alla base dello stomaco, il cuore che batteva forte e quell'esplosione di calore nel petto, e allora, proprio come quella sera, non riusciva a trovare le forze di resistere e ripercorreva con la mente quegli istanti, ancora e ancora e ancora. Sapeva che così si rendeva la vita difficile da sola, da brava fessa che era, che non ci doveva pensare proprio e bloccare quegli istinti sul nascere, sapeva che ogni volta che si addormentava pensando a lei e al suo viso e al suo corpo e alle sue mani e alla sua voce e ai suoi baci e a tutte queste cose messe insieme era come se il peccato lo stava facendo un'altra volta, però non aveva le forze di resistere. E la cosa peggiore era che lei, sotto sotto, neanche lo voleva.

Se poi in tutto questo ancora si metteva a parlare con Irene durante il giorno e passare altro tempo con lei, allora poteva stare sicura che quella dalla testa non se la toglieva proprio più; però, se Maria doveva essere onesta, non era quella l'unica ragione per la quale aveva deciso di incominciare ad evitarla il più possibile. Un'altra parte di lei aveva paura che se si fosse ritrovata di nuovo da sola con lei avrebbe potuto baciarla di nuovo, e questo pensiero la spaventava da morire. O peggio, la spaventava la sola idea di guardarla e rendersi conto di volerla baciare di nuovo. Fintanto che le stava lontana, invece, poteva continuare a vivere la sua vita tranquillamente e riusciva a rifuggire certi pensieri profondamente sbagliati; perlomeno di giorno. Si consolava dicendo che quello che accadeva di notte dentro il suo cervello lei non lo poteva controllare, e che presto col tempo sarebbe passato da solo; l'importante in fondo era che poi si comportava bene e non metteva in pratica quello che desider- quello che era sbagliato fare, e fintanto che Irene restava lontana da lei il pericolo non ci stava... giusto?

A dire la verità, non è che Maria ne fosse stata così tanto convinta, soprattutto visto e considerata la fatica che le costava fare quel sacrificio che, almeno secondo lei, non sarebbe dovuta essere così grande. Il problema non era tanto quello che faceva o non faceva, il problema era proprio lei. Era lei che avrebbe dovuto essere in grado di stare lontana da Irene senza alcun problema e pensare soltanto al giorno in cui si sarebbe trasferita a Roma, e invece con ogni ora che le passava lontana la desiderava sempre più vicina, ne sentiva la mancanza come se fosse stato un fioretto in cui aveva deciso di rinunciare alla cosa che le piaceva più di tutte. Però, d'altra parte era anche vero che lei più di così proprio non poteva fare, e la sua unica speranza era che il Signore lo vedesse, lo capisse e riuscisse a perdonarla, augurandosi che con il tempo avrebbe piano piano incominciato a sentirsi meglio. Del resto glielo aveva detto anche Don Saverio di fare così, e che tutto questo unito alla preghiera erano le uniche cose che potevano guarirla. E Maria sperava di tutto cuore che avesse ragione, perché altrimenti non avrebbe saputo che altro inventarsi.

Parlare con Don Saverio non era stata una cosa che aveva pianificato o che aveva scelto razionalmente e consapevolmente, quanto piuttosto l'ultima spiaggia alla quale si era aggrappata per non cadere nella disperazione più totale, l'unica cosa che aveva pensato potesse aiutarla dopo giorni di panico, sensi di colpa e solitudine. Dopo la tristezza di venerdì e sabato Maria aveva capito di non essere in grado di gestire tutto quello che stava provando da sola e che aveva bisogno di parlarne con qualcuno, qualcuno che non la facesse sentire sbagliata e non la giudicasse per i suoi errori, altrimenti avrebbe finito per impazzire. Il problema era che la lista di persone a sua disposizione era molto limitata, per non dire inesistente: Irene e Stefania naturalmente non erano un'opzione, ci mancava solo di coinvolgere Stefania poi e peggiorare le cose. Con le altre Veneri non aveva tanta confidenza, e la famiglia Amato era imparentata con l'uomo che teoricamente avrebbe dovuto sposare da lì a pochi mesi. La sua famiglia, poi, era pure peggio: nella migliore delle ipotesi le avrebbero detto che era soltanto un gesto di affetto nei confronti di un'amica e di non pensarci più. Magari fosse stato così semplice. Se non altro Don Saverio a causa del segreto professionale non avrebbe potuto dirlo a nessun altro, e anzi, col fatto che quello sapeva i problemi di tutti i fedeli, facile pure che gli era già capitato di sentire di altre persone che avevano avuto situazioni simili almeno una volta nella vita e magari sapeva qual era la soluzione, come fare per farsi passare certi pensieri una volta per tutte. E così la domenica, prima della messa, Maria lo aveva raggiunto nel confessionale e piena di vergogna e paura aveva iniziato a raccontargli tutto.

All'inizio visto anche l'imbarazzo aveva fatto un po' di fatica a cominciare il suo racconto, completamente terrorizzata al pensiero del giudizio negativo che da lì a poco sarebbe arrivato e la delusione che avrebbe dato a Don Saverio. Poi però, dopo le varie esortazioni del prete a raccontare tutto con sincerità ed essere stata rassicurata del fatto che il Signore era misericordioso e a tutto c'era rimedio, Maria piano piano si era fatta coraggio e aveva incominciato a raccontare, e inaspettatamente, più la storia andava avanti, più diceva ad alta voce e verbalizzava quello che si era tenuto dentro per fin troppo tempo ed era pesato su di lei e sul suo cuore come un macigno, più aveva incominciato a sentirsi... stranamente bene. Quasi sollevata, come se si fosse finalmente tolta un peso dal cuore e poteva essere quasi più leggera, più libera. La reazione del prete, poi, fu anche meno terrificante di quella che si era immaginata. Invece di giudicarla o farla sentire in colpa per il “tradimento” che in un certo senso era avvenuto nei confronti di Rocco, le aveva spiegato che dopo un grande periodo di lontananza come quello che stavano passando loro era normale iniziare a sentire la mancanza della persona amata, e così poteva succedere che per sbaglio ci si confondesse e si incanalassero per errore quei sentimenti verso chi si trovava più vicino a noi, come Irene nel suo caso.

Quindi, in sostanza, quello che Maria pensava di provare verso di lei era semplice affetto amichevole confuso per altro che a causa della mancanza di Rocco si era intensificato, e quella spiegazione aveva convinto Maria abbastanza da sentirsi a posto con la sua coscienza. Il prete le aveva spiegato che se avesse scritto tante lettere a Rocco, se lo avesse pensato intensamente ogni giorno e avesse continuato a pregare il Signore presto sarebbe passato tutto, e che doveva soltanto tenere duro fino al matrimonio; poi si sarebbero sposati e tutto sarebbe andato bene. E allora, Maria aveva ritrovato momentaneamente la serenità: aveva detto le preghiere per espiare la sua colpa ed aveva assistito in silenzio alla messa, più tranquilla e serena. Soltanto stare dentro la chiesa la faceva sentire più protetta e al sicuro, anche il semplice fatto di sentire l'odore di incenso e i canti del coro... un po' come un piccolo pezzo di Partanna e della sua vita là che si era portata con sé e l'aveva seguita fino a Milano.

Poi era tornata a casa, aveva rivisto Irene e ogni sua certezza era crollata di nuovo. Possibile che fosse davvero tutto nella sua testa, che quello che provava per lei erano solo sentimenti per Rocco che proiettava sulla persona sbagliata? Perché a Maria era sembrato tutto così reale, quello che sentiva era reale. Poi però si diceva che non era possibile, e se anche Don Saverio glielo aveva detto una motivazione c'era. Sicuramente la signora Agnese sarebbe stata d'accordo con lui, e sicuramente anche tutte le altre persone che conosceva. Il matrimonio poteva essere soltanto tra un uomo e una donna, alternative non ce n'erano. Quello che sentiva per Irene era una semplice confusione, un errore che presto si sarebbe risolto. Se solo evitarla e starle lontana fosse stato più facile... se non altro la presenza di Stefania, almeno in parte, la aiutava. Quella ragazza aveva il dono di riuscire a fare sentire meglio tutti intorno a lei, e Maria beneficiava sicuramente della sua energia positiva. Fu proprio la voce di quest'ultima a riportarla con la mente nella stanza. Per quanto quella conversazione le interessasse poco e niente Maria si sforzò di prestare comunque attenzione, pensando che magari rimanere concentrata su qualsiasi pettegolezzo Dora avesse sentito l'avrebbe aiutata a non pensare a... cose a cui non doveva pensare.

-Irene! - Stefania rimproverò dolcemente l'amica. -Ma che cos'hai sentito di preciso Dora?

-Stavo andando a cercare la signora Conti, come mi aveva detto la signorina Moreau, - iniziò a spiegare la commessa, -e mentre ero lì sono passata per caso davanti all'ufficio del signor Landi e ho sentito che stava parlando con il dottor Conti.

-E così hai origliato, - tagliò corto Irene. Quella se non metteva in difficoltà le altre persone non era contenta.

-Non ho origliato!-, si difese Dora, -casomai sarai tu che fai certe cose. Volevo entrare per vedere se la signora Conti fosse lì con loro visto che il suo ufficio era vuoto, ma mi sembrava maleducato interromperli, e così...

-E così?- Sofia la incitò a continuare.

-E così ho sentito che il signor Landi stava parlando di un suo ex fidanzato, diceva al dottor Conti che è solo da un paio di mesi che è finita e quindi è ancora una ferita aperta per lui. Non ho capito molto bene i dettagli, poi me ne sono andata via perché ho capito che la signora Conti non era con loro. Non mi faccio gli affari degli altri, io, - rinfacciò Dora, rivolta a Irene.

-A me non sembra proprio, - commentò l'altra, un po' indispettita.

Maria, nel frattempo, era rimasta come di sasso. Ex fidanzato? Aveva capito bene? Sapeva benissimo di non essere stata chiamata in causa e di non c'entrare assolutamente niente con il discorso delle ragazze, ma per qualche motivo non riuscì a fare meno di sentirsi subito, inspiegabilmente, molto nervosa. Quasi come se una parte di sé avesse avuto paura, per assurdo, come se fosse stata un colpevole che assiste in silenzio alle indagini della polizia in merito al suo delitto, con la paura di essere scoperta da un momento all'altro.

-Ex fidanzat-O?- domandò Stefania, calcando particolarmente la O finale. -Quindi ha detto proprio così? Basta un attimo per confondere una O con una A...

-Anche se fosse ha continuato a parlarne al maschile per tutto il resto della conversazione, per cui dubito che si sia confuso... - spiegò Dora.

Dopo quella rivelazione nella stanza esplose il silenzio. Nessuna delle ragazze aprì bocca per parlare, tutte troppo imbarazzate per dire o fare qualsiasi cosa. Paola sembrava leggermente a disagio, Stefania e Sofia alquanto stupite, mentre Irene... Maria decise di evitare di guardare Irene di proposito, il volto girato nella direzione opposta per evitare che ciò potesse succedere anche solo per errore. Nonostante questo, il fatto stesso che Irene non stesse dicendo niente e fosse rimasta in silenzio era già eloquente di per sé... solitamente aveva sempre un qualche commento da fare su tutto, normalmente adesso sarebbe stato il suo turno di sciogliere l'atmosfera e fare qualche battutina. E invece, Irene rimase in silenzio, proprio come tutte le altre. Maria non poté fare a meno di domandarsi se ci fosse un perché.

-Quindi il signor Landi è omosessuale? Non l'avrei mai detto, - commentò infine Stefania, rompendo il gelo venuto a crearsi (per fortuna).

-Io penso di sì... Elegante, intelligente e ben educato com'è sarebbe stato un sogno per ogni donna avere un marito come lui, che peccato, - protestò Dora, quasi avvilita e intristita dalla notizia.

-Secondo me non c'è niente di male,- si inserì Sofia, -e poi non sono fatti nostri, quello che conta è che con noi è sempre gentile, no?

-Oddio, forse un pochino strano per me lo è, da pensarci più che altro,- aggiunse Paola, -però alla fine avete ragione, basta che vada bene a lui, no?

-Infatti, tanto saremmo state tutte troppo giovani per lui in ogni caso, - scherzò Stefania. -È una brava persona e si vede, e il dottor Conti lo stima molto. Se al posto di avere una fidanzata come tutti gli altri uomini ha un fidanzato sono affari suoi, secondo me. No?

-Assolutamente, ben detto - concordò Sofia. -Non dev'essere facile per lui riuscire a vivere serenamente con questa parte di sé, se ci pensate...

-Però il dottor Conti lo sa, - fece presente Dora, -quindi magari ai suoi amici più intimi lo ha detto e lo accettano.

-Lo spero, magari avessero tutti una mentalità aperta come il dottor Conti... - commentò Stefania, con un pizzico di amarezza. Poi, dopo alcuni istanti di silenzio, la ragazza si voltò verso Irene e domandò:-E tu non dici niente? Hai sempre da ridire su tutto, e su una notizia come questa non hai commenti?

Maria trasalì; per qualche ragione, il fatto che l'attenzione si fosse spostata su Irene la rendeva incredibilmente nervosa. Aveva forse... paura di quello che avrebbe potuto dire? Paura che la potesse esporre, proprio lì, davanti a tutte, e raccontare cos'era successo tra loro? Ma no, non aveva senso. A parte che se lo avesse fatto Irene ci andava di mezzo tanto quanto lei, ma poi perché avrebbe dovuto? Nonostante i loro alti e bassi, Irene era pur sempre un'amica, non le avrebbe mai fatto una cosa del genere... no? Ma perché si stava a preoccupare tanto, se poi nemmeno era il suo caso. Lei era felicemente fidanzata e si stava pure per sposare, tutto questo non c'entrava niente con lei, e se anche Irene per qualche strana ragione si fosse voluta mettere a dire il contrario nessuno ci avrebbe creduto. Non aveva motivo di preoccuparsi, proprio nessuno. Eppure, nonostante la logica le stesse suggerendo l'opposto, Maria si sentiva quasi sotto esame e aveva paura, come quando da bambina la maestra guardava il registro e osservava tutti i nomi, uno ad uno, prima di decidere chi far venire alla lavagna per correggere i compiti. Per fortuna, quel giorno non spettò a lei farsi interrogare:

-Non commento perché non c'è niente da dire, non sono fatti nostri, - tagliò corto Irene.

-Per una volta hai detto una cosa intelligente, - scherzò Dora, guadagnandosi un'occhiataccia da parte della collega. Nonostante l'atteggiamento dell'amica sembrasse molto più tranquillo e rilassato, Irene per qualche motivo pareva un po' più in tensione rispetto alle altre... il che, ovviamente, gettò Maria nel panico una seconda volta. Era forse per colpa sua? Certo che era per colpa sua, per cos'altro poteva essere! Irene sicuramente stava pensando a lei, a loro... Come avrebbe potuto non farlo, visto il contesto? E di nuovo, mille paure diverse tornarono ad affollare la testa di Maria. E se le altre lo avessero capito? E se se ne fossero accorte? Se avessero fatto due più due e collegato il fatto che entrambe erano rimaste in silenzio e non avevano detto niente? Se avessero incominciato a mettere sotto torchio Irene e lei si fosse lasciata sfuggire qualcosa? O peggio, e se avessero iniziato a sospettare e fare domande direttamente a lei, che non era in grado di mentire nemmeno pagata? Avrebbero capito tutto in un secondo.

Stai calma, non agitarti, se ti agiti è peggio e sicuro così lo capiscono poi. Fa' come Irene, continua a ignorarla e fa finta di niente, se ti chiedono qualcosa tu rispondi il giusto, né troppo né troppo poco.

-Ma no, certo, questo lo so anche io, si faceva così per dire, - si affrettò a precisare Stefania. -Mi sembrava solo strano che non avessi niente da dire, tutto qua.

-I tipi di pettegolezzi che interessano a me sono altri, mie care. Cosa me ne faccio di parlare di Landi quando ci sono così tanti uomini liberi, disponibili e pronti a cadere ai miei piedi?

Ecco, come suo solito Irene era riuscita a recitare bene la parte della disinvolta e risultare convincente nel suo dissimulare. Maria avrebbe dovuto sentirsi sollevata: probabilmente in quel modo ogni traccia di possibile sospetto era completamente sparita dalla mente delle ragazze. E allora perché una parte di sé aveva provato una punta di amarezza nel sentirla pronunciare quelle parole?

Ché sul serio credevi che quella stava a pensare a te? Dopo solo un bacio, poi?

No, infatti, figurati se a me frega qualcosa. Anzi, meglio così, Irene non pensa a me e io non penso a lei.

Certo. Peccato che non è vero niente, ma questa è un'altra storia.

-Ecco, questo sì che mi sembra un commento più da Irene, - la prese in giro Dora.

-Guarda che sono capace di dire cose serie anche io, per tua informazione, - puntualizzò l'altra. -Anzi, se proprio ci tieni a saperlo io penso che il signor Landi sia molto coraggioso a riuscire a essere se stesso e scegliere chi amare. - Quando la sentì dire quelle parole, Maria si riprese immediatamente dalla delusione che aveva appena ricevuto e il suo cuore tornò a battere all'impazzata. Sentì le guance iniziare ad assumere un intenso colorito rosso dall'emozione e per evitare di dare nell'occhio e attirare l'attenzione delle Veneri – nessuna la stava guardando visto che si era messa in disparte vicino alla porta, ma comunque – finse di doversi chinare a raccogliere una spilla che le era caduta, onde evitare di incontrare lo sguardo delle altre ragazze – d'accordo, di Irene, onde evitare di dover guardare Irene. Non sapeva se quest'ultima la stesse osservando o se si fosse anche solo accorta di lei, l'unica cosa che Maria percepì furono le sue parole finali:-semplicemente non è una cosa di cui mi interessa parlare. Dai, andiamo adesso che si sta facendo tardi e voglio andare a casa, ho una voglia di mettere i piedi a bagno che non ve la immaginate.

Per fortuna la sua lamentela riuscì a guadagnarsi la simpatia delle altre ragazze, che in vari cenni e mormorii di assenso concordarono che fosse effettivamente ora di tornare a casa e godere un po' del meritato riposo. Maria nel frattempo, ancora un po' scossa dalle parole della sua coinquilina, cercò di fare finta di niente e si rialzò, sforzandosi di mantenere la calma. Che cosa aveva voluto dire Irene? Stava davvero solo parlando del signor Landi, o si stava forse riferendo a... a qualcun altro? Voleva forse dirle che avrebbe voluto stare con lei, ma non aveva abbastanza coraggio? No, sarebbe stato assurdo, se solo cinque secondi prima quella era lì che parlava di uomini... eppure, una piccola parte di sé continuava a ripensare ai baci che si erano scambiate, al modo in cui Irene l'aveva tenuta stretta, e secondo Maria non ci stavano tanti dubbi sul fatto che...

No, non lo dire. Se lo dici è peggio, non ci pensare. Ricorda quello che ha detto Don Saverio, è Rocco la persona che ami.

-Scappo anche io, Franco mi aspetta, buona serata ragazze!- le salutò Paola.

-Buona serata!

E così, in pochi istanti, Irene e Stefania raggiunsero Maria dalla porta e le tre cominciarono ad avviarsi verso la fermata del tram per fare ritorno a casa. Il freddo che stava incominciando a colorare l'aria autunnale piano piano si insediò anche tra il loro piccolo trio, tutte e tre rinchiuse nel silenzio e nelle loro riflessioni. Più nello specifico, Maria stava zitta perché non aveva proprio idea di cosa dirsi. Non aveva le forze di parlare con Irene o scherzare sulla giornata di lavoro che aveva appena avuto, agitata com'era dalla conversazione appena avvenuta. Era come se la sua mente avesse bisogno di processare a dovere quello che aveva appena sentito e rielaborarlo. Allo stesso modo, il completo e totale silenzio la metteva a disagio, e fu dunque grata a Stefania quando finalmente aprì bocca per chiederle:

-E tu Maria cosa ne pensi di Roberto?

Lì per lì la domanda la colse impreparata. Non ebbe nemmeno il tempo di aprire la bocca per formulare una qualche risposta, comunque, perché Irene la precedette per replicare al posto suo:-Fai sul serio? Davvero vuoi chiederlo alla presidentessa di Famiglia Cristiana qua presente?

Maria si sentì lievemente offesa dal suo tono di voce, così come dall'implicazione alla base della sua frase. -A parte che io non sono manco abbonata, - le fece presente, un po' irritata. Poi tornò a rivolgersi a Stefania e aggiunse: -e comunque la penso come Irene... ci vuole molto coraggio a fare certe scelte.

-Perché tu pensi che sia una scelta? Secondo me non si può decidere chi amare, ci si innamora e basta, - obiettò Stefania.

Quanto aveva ragione, si ritrovò a pensare Maria. Se lei avesse potuto scegliere, sicuramente non sarebbe stata a pensare tutto il tempo a...

-No, certo, che credi che non lo so Stefà, - replicò, con una punta di malinconia nella voce. -Però si può sempre scegliere se dirlo oppure nascondersi.

Fu proprio in quel momento, mentre lo diceva, che Maria si rese conto per la prima volta che negare ciò che sentiva e reprimere tutto non era la sua unica scelta. Se avesse voluto, anche lei avrebbe potuto fare come il signor Landi e dirlo, e dire a Irene che moriva dalla voglia di baciarla di nuovo e che ogni giorno che passava forzandosi di starle lontana, senza rivolgerle la parola, si sentiva sempre più triste e cupa. Certo, che poi nella realtà dei fatti era una scelta che anche volendo non avrebbe potuto mettere in pratica era un altro discorso, ma restava il fatto che era pur sempre una possibilità; era lei che invece stava decidendo di nascondersi e continuare a fare ciò che gli altri si aspettavano.

-E vivere in una bugia per il resto della propria vita? Non lo so, io penso che il signor Landi faccia bene a non vergognarsi, almeno con gli amici e con il dottor Conti, - commentò Stefania.

-Davvero dici?- commentò Maria, quasi incredula. Per un istante, ma solo per un istante, si immaginò come sarebbe stato poter parlare di quei sentimenti con le sue amiche senza vergognarsi, come se fosse stata una cosa normale e non un delitto da nascondere a ogni costo, e si ritrovò a provare una punta di invidia verso quell'uomo.-Certo, perché dovrebbe? Non fa del male a nessuno, - spiegò Stefania, come fosse stata la cosa più naturale del mondo.

-Dai, lasciala in pace, per oggi i discorsi rivoluzionari sono stati anche troppi per lei, - la prese in giro Irene, questa volta più amichevolmente.

Maria capì che non lo stava dicendo per insultarla o deriderla, ma semplicemente perché doveva aver intuito che l'argomento la metteva in difficoltà e voleva aiutarla, in qualche modo. Eppure, nonostante questo, Maria si sentì un po' demoralizzata. Non voleva che Irene ignorasse quello che lei provava così, come se non fosse stato niente, non voleva fingere di essere come tutte le persone che invece non capivano certe cose e giudicavano e basta, a prescindere.... anche se Maria non poteva certo dire quello che pensava realmente, in quel momento sentì il desiderio di esprimerlo comunque, in qualche modo, seppur nel suo piccolo e con le sue modalità. Chissà, forse era stata la storia di Roberto a ispirarla, forse era stata la consapevolezza che qualcun altro come lei provava sensazioni simili alle sue, e invece di sentirsi sbagliato per questo riusciva ad esternarle e farsi accettare dalle persone che gli stavano vicine. Forse fu il desiderio inconscio che aveva di accettarsi a sua volta, del quale non era ancora pienamente consapevole nemmeno lei, che la portò a non voler stare più in silenzio.

-Non essere cattiva Irene, - intervenne Stefania in suo favore, -ognuno ha le proprie convinzioni, bisogna rispettarle.

E fu così che Maria raccolse finalmente la forza di parlare e disse, riuscendo perfino a guardare Irene negli occhi:-E comunque io mica ho detto che fa male, ah, questo te lo sei inventato tu. Ho detto solo che ci vuole coraggio, tutto qua.

Era una dichiarazione piccola e semplice, Maria lo sapeva, anche perché di più non poteva davvero dire... ma era il suo modo di comunicare che quello che provava c'era, esisteva e ne era consapevole, e che l'unico motivo per cui non lo esternava era perché non ce la faceva, perché non ne aveva il coraggio e soprattutto perché non poteva; il mondo in cui lei era nata e cresciuta era ben diverso da quello di Roberto Landi.

E se prima Maria aveva creduto alle parole di don Saverio, adesso non era più tanto convinta che quello che il prete le aveva detto fosse la cosa giusta. Cosa ne poteva sapere lui di quello che c'era tra lei e Irene, di come era andata veramente quella sera. Adesso la consapevolezza che amare un'altra donna era una cosa che poteva succedere e che di fatto succedeva e che c'erano persone che addirittura la accettavano, nonostante fosse diverso dalla norma o da quello che si aspettava la società, la stava piano piano portando a domandarsi se forse quello poteva essere anche il suo di caso. Se avesse saputo che amare Irene era un'opzione che aveva, che poteva scegliere Irene, che poteva stare con Irene, che non era soltanto confusione o uno sbaglio o un errore o un'anomalia, come invece credeva, avrebbe comunque desiderato sposare Rocco? Avrebbe comunque voluto un uomo nella sua vita, se tutti non le avessero fatto credere fin da bambina che era nel suo destino, che non era una scelta ma l'unica aspirazione possibile per una ragazza? Maria non lo sapeva più, e non era nemmeno più sicura che continuare a negarlo e imporsi una risposta che non sentiva fosse la soluzione al problema.

Voleva bene a Rocco, gliene voleva davvero, era una brava persona con tante qualità e lei desiderava sul serio che fosse felice nella vita e si realizzasse... ma quello che aveva provato con Irene era un'altra cosa. Del tutto un'altra cosa, completamente un'altra cosa, interamente un'altra cosa. Con Rocco, la sola idea di dormire insieme in una camera d'albergo, anche in letti separati, l'aveva spaventata a morte solo qualche mese prima. Con Irene, invece, sarebbe rimasta sul divano a baciarla per ore. E per la prima volta, Maria si domandò se tutto quello che le avevano sempre raccontato sull'amore e sul matrimonio e sulle cose che avrebbero dovuto unire un uomo e una donna, o comunque due persone, non fossero nient'altro che una bugia. Se forse ci voleva di più che venire dallo stesso paese per riuscire a capirsi e ad amarsi. Lei e Irene venivano da due mondi diversi, due universi a parte erano, con lei era come parlare due lingue diverse; eppure, per assurdo, Maria si sentiva più libera con lei che con tutta la gente della sua terra. E anche se era consapevole di non poter stare con lei e che nel suo di mondo una cosa del genere non era manco ammissibile, figuriamoci poi accettabile, almeno adesso sapeva perlomeno dare un nome a quello che sentiva. Adesso sapeva che non era più l'unica, e anche se poteva sembrare strano, la cosa le dava un certo conforto; adesso, Maria sapeva che non era più sola.

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Capitolo 5
*** Autunno ***


Autunno.


I giorni passavano e sera dopo sera l'atmosfera autunnale si insediava sempre più nella quotidianità delle ragazze e di Maria. Erano le piccole cose a farla rendere conto del tempo che passava, le foglie degli alberi che cadevano, i colori della natura che cambiavano, il freddo che la accoglieva ogni sera quando faceva ritorno a casa dal Paradiso e si faceva ogni volta più pungente, ogni giorno lo sentiva penetrare tra le pieghe del suo cappotto e arrivarle fin dentro le ossa; ogni mattina alzarsi dal letto si faceva sempre più difficile, e le sue mani a fine giornata diventavano sempre un po' più rosse. E in un certo qual modo, lei sentiva che dentro di sé stava avvenendo lo stesso processo di cambiamento. Proprio come gli alberi che perdevano le foglie e diventavano nudi e spogli al cospetto dell'inverno che sarebbe arrivato da lì a poco, così lei sentiva che stava perdendo ognuna delle sue certezze, ogni cosa dentro di sé che aveva sempre pensato di conoscere e di sapere, e si sentiva piccola piccola al cospetto della bufera emotiva che si portava dentro; il pensiero del matrimonio in primavera, un tempo il suo più grande desiderio, la cui realizzazione era stata lo scopo a cui aveva dedicato le sue giornate e le sue energie, il suo pensiero fisso, si era lentamente trasformato in un'arma a doppio taglio.

Da un lato vedeva, o perlomeno si illudeva di vedere, nella vita matrimoniale la salvezza a tutti quei dubbi che la tormentavano, e sperava che una volta che sarebbe diventata una moglie e, con il tempo, una madre, avrebbe semplicemente accettato quello che il suo ruolo di donna per natura le imponeva e in qualche modo sarebbe tornata a essere felice, senza fare pensieri strani su cose che non poteva ottenere. Dall'altro lato però, sapeva che nel momento in cui avrebbe detto il sì sull'altare tutte quelle parti di sé che non aveva avuto idea esistessero per tutta la sua vita e che stava piano piano scoprendo sarebbero morte per sempre. Sapeva che avrebbe dovuto dire addio a quei sentimenti sbagliati e a tutto quello che provava per Irene... il che era un bene, in ogni caso, no? Comunque quello che provava non l'avrebbe portata da nessuna parte, se non a soffrire ancora di più.

Eppure, da quando aveva scoperto che anche il signor Landi... da quando aveva scoperto che esistevano persone che, che poteva succedere di.... sì insomma, di innamorarsi di un altro uomo o di un'altra donna, ecco, che era una cosa che capitava ad altri e che c'erano alcune persone che la accettavano e vivevano così, senza doversi negare, quei pensieri non la lasciavano stare. Si domandava se era tutto vero oppure no, si domandava se forse, per assurdo, la stessa cosa potesse capitare anche a lei. Una parte di sé moriva dalla voglia di parlare con il signor Landi a riguardo e chiedergli un consiglio, un aiuto, perché lei non aveva proprio idea di dove sbattere la testa. Un'altra parte però, molto più realista e concreta, non si sarebbe mai osata, naturalmente. A stento lo conosceva, figuriamoci se poteva avvicinarlo per parlare di lei e di Irene. Eppure, in quel momento Maria sentiva che era l'unica persona che forse avrebbe potuto capirla.

Ma il problema non era solo quello. Il problema era che se Maria lo avesse effettivamente fatto, anche nell'ipotetico (impossibile) caso in cui fosse riuscita a scambiare con lui due parole e aprirsi sull'argomento, l'idea di scoprire che la storia di Landi si applicava anche a lei, che lei era proprio come lui, la terrorizzava ancora di più. Maria aveva sempre pensato a sé stessa soltanto all'interno dei confini della società in cui viveva, da sempre Partanna era il suo mondo, la sua realtà. E a Partanna lei aveva la sua famiglia, le sue radici, il suo posto, la sua identità... si era innamorata di Rocco proprio perché con lui poteva condividere tutti questi aspetti che nessuno al di fuori avrebbe mai potuto cogliere, e con il fatto che si conoscevano fin da bambini avevano in comune anche tanti ricordi di infanzia, erano praticamente cresciuti insieme. A Partanna, Maria era sicura che il suo posto sarebbe stato accanto a lui. Doveva essere così, non poteva essere diversamente. A Partanna, non era possibile che gli uomini amassero altri uomini e le donne amassero altre donne. E se poi invece avesse scoperto di essere proprio così, che lei invece non voleva un uomo al suo fianco ma un'altra donna? Da quando era venuta a sapere di questa possibilità il suo cervello continuava a pensarci e ripensarci, e in cuor suo le bastava ripensare ai momenti con Irene per trovare la risposta che non aveva ancora il coraggio di ammettere.

Però un conto era tenerselo dentro e ignorarlo, fare finta che non fosse reale. Ma se avesse dovuto invece dirlo ad alta voce, se avesse dovuto confrontarsi con un'altra persona e riconoscerlo, se si fosse trasformato in qualcosa che andava oltre la sua paranoia, ma in un confronto e poi in un dato di fatto... cosa ne sarebbe stato di lei? Cosa sarebbe successo alla sua identità? Se dentro Partanna lei non poteva più esistere, allora cosa sarebbe rimasto di lei? Proprio per quello Maria si sentiva come un albero che mano a mano che i giorni passavano continuava a perdere le foglie, sempre di più e inesorabilmente e senza che lei potesse fare qualcosa per fermare il processo o tornare indietro. E il momento in cui anche l'ultima sarebbe caduta, il momento in cui i suoi rami sarebbero rimasti completamente vuoti... quel momento la spaventava più di ogni altra cosa. Aveva paura di perdere se stessa, eppure sentiva che l'identità che avrebbe dovuto sentire come sua non le apparteneva proprio; non più. Non da quando aveva scoperto di avere altre opzioni, di poter scegliere. Certe volte pensava che sarebbe stato meglio se lei e Irene non si fossero mai baciate, anzi, forse sarebbe stato più semplice se Rocco se la fosse portata a Partanna e avessero vissuto là felici, o se non altro illudendosi di esserlo. Almeno così le loro foglie non sarebbero state sparpagliate via al primo soffio di vento.

Per una qualche ironia della sorte, proprio quella mattina il nome di Roberto Landi venne fuori durante la colazione. Da quando Stefania aveva apportato le correzioni all'articolo su Marilyn, tra i due si era creata una sorta di... confidenza? Non proprio. Forse era più corretto dire simpatia o complicità. Di tanto in tanto durante la pausa pranzo o i momenti vuoti capitava che i due si incrociassero e si scambiassero un breve saluto e qualche parola di circostanza; si stimavano a vicenda, insomma. E con il fatto che a Stefania adesso era venuta la passione per il giornalismo, era comprensibile che vedesse in lui una sorta di esempio, un modello da seguire e da imitare. Il fatto che si fosse scoperto che lui era... sì insomma, di certe sue inclinazioni, non aveva affatto cambiato la stima che la ragazza nutriva nei suoi confronti, e di questo Maria ne era sollevata, per una qualche ragione.

Chissà, forse l'idea che Stefania non nutriva vergogna o disgusto nei confronti di sentimenti in cui in parte anche lei avrebbe potuto identificarsi la rassicurava... almeno un pochino. Irene invece su di lui non si esprimeva mai, rimaneva sempre molto vaga ed evitava l'argomento quanto più possibile, e Maria non riusciva a fare a meno di domandarsi se fosse soltanto un caso o se invece dietro questo comportamento ci fosse un perché. La curiosità di scoprire se anche Irene stesse avendo gli stessi suoi dubbi, le sue paure e le sue incertezze in parte la toccava, ma non si sentiva pronta a parlare con lei dell'argomento. Non che non lo desiderasse, in realtà... ma allo stesso tempo, ancora una volta la paura di quello che sarebbe potuto uscire da un loro eventuale confronto era troppo grande e la destabilizzava. Non sapeva se temesse di più l'ipotesi di scoprire che Irene aveva solo scherzato con lei, che era stato tutto un gioco, oppure la possibilità di baciarla un'altra volta e alimentare ulteriormente la sua tempesta emotiva e la sua confusione.

-Riuscite a credere che il signor Landi sta già pensando al prossimo numero del Paradiso Market? Il primo è uscito poco più di una settimana fa e sta già cercando nuove idee per il secondo!

-Beh, mi sembra anche normale, considerando che vanno in stampa ogni mese, - replicò Irene. -Dovranno pur farsi venire in mente qualcosa e darsi il tempo di scriverla.

-Mmm, sempre a criticare tu, - la rimproverò Maria scherzosamente, -guarda che mica è semplice farsi venire in mente idee originali.

-E infatti sono ancora in alto mare, - le informò Stefania, -o almeno è quello che mi ha detto l'altro giorno. Il Commendator Guarnieri vorrebbe che parlassero del traforo del Monte Bianco e sta un po' spingendo per quello, ma lui e il dottor Conti non sono molto ispirati.

-E lo credo bene! A chi vuoi che interessi leggere di buchi nelle pietre, in una rivista di vestiti poi?- obiettò Irene. -Mi sembra assurdo che lo stiano anche solo prendendo in considerazione.

-Eh lo so, infatti è proprio per questo che sono preoccupati, non pensano che sia un argomento proprio adatto al genere di pubblico che hanno in mente, ecco.

In effetti Maria doveva dare ragione a Stefania, potevano sicuramente trovare argomenti più interessanti di cui parlare.

-E infatti non lo è! Scusa ma perché non ne approfitti per proporre tu un argomento? Magari poi gli piace e ti fanno partecipare alla scrittura dell'articolo, - propose Irene.

Maria la guardò e si ritrovò a provare una punta di invidia per la sua caparbietà. Non era nemmeno un suggerimento così sbagliato: così facendo Stefania avrebbe potuto mettersi in gioco e proporre le sue idee. Maria invece, timida com'era, non si sarebbe mai osata a fare una cosa del genere... Un tempo l'avrebbe considerata semplice arroganza e sfacciataggine, ora invece si stava domandando se davvero Stefania non avrebbe fatto la cosa giusta ad approfittarne.

-Sì, forse potrei, - concordò Stefania, -però dovrebbe essere un qualcosa di cui sono veramente convinta e su cui avrei qualcosa da dire.

Dopo un temporaneo attimo di silenzio, Irene le suggerì:-Potresti scrivere qualcosa sui vestiti e il cinema! Ad esempio gli abiti che indossano più spesso le attrici nei film o nei fotoromanzi.

-Non lo so Irene, è un po' vago, e poi abbiamo già parlato di cinema con Marylin, serve qualcosa di nuovo, - replicò Stefania, -altrimenti le clienti dopo un po' si stufano.

-Anche questo è vero, - convenne Maria.

-E sentiamo, tu invece cosa proporresti?- la sfidò Irene, guardandola negli occhi. Maria tergiversò per qualche istante. Quanto detestava quando Irene cercava di metterla in difficoltà di proposito.

-Io? Che c'entro io? - tentò di opporsi la ragazza.

-Eh, c'entri, visto che sei così brava a criticare le mie idee proponilo tu un argomento per aiutare Stefania, forza, - la esortò Irene.

Come se fosse stato semplice. Naturalmente la sua mente, già di per sé poco creativa e per nulla incline ai voli di fantasia, non accennava a collaborare nemmeno un po'.

-Ma fammi capire una cosa Stefà, questa rivista la leggono in tutta Italia, sì?- chiese conferma Maria, che ad essere sincera non aveva mai prestato troppa attenzione ai dettagli di quella iniziativa. Prima di suggerire qualsiasi cosa, perlomeno doveva informarsi un po' di più e capire chi sarebbe andato a leggere gli articoli pubblicati.

-Sì certo, è collegata all'iniziativa della vendita per corrispondenza, - le spiegò la sua coinquilina, -che negli ultimi anni è stata estesa a tutta Italia.

-E allora stavo pensando che magari sarebbe bello fare un articolo anche per le ragazze del Sud e non solo quelle di Milano, - concluse infine Maria, un po' titubante.

-Guarda che le ragazze sono ragazze ovunque, - tagliò corto Irene, -mica siete speciali o diverse solo perché venite da un'altra regione o mangiate cose diverse.

-Ma che c'entra Irè, mica volevo dire quello, - si difese Maria. -Che credi che noi giù a Partanna andiamo vestite come voi, che l'abito british di Gabriella le ragazze della nostra età lo metterebbero?

-In effetti questo potrebbe essere uno spunto interessante, - commentò Stefania, -dimmi qualcosa di più.

-Eh, e che devo dire, - titubò Maria, incerta su come continuare quello che era stato un semplice pensiero istintivo e spontaneo, -per noi il modo di vestire è diverso da come lo intendono al Paradiso, non sempre siamo libere di scegliere come voi. Sai quanti vestiti usati ho dovuto mettere delle figlie delle amiche di mia mamma? Che poi non è solo questo. È che noi questo concetto di vedere tanti abiti diversi, provarli e scegliere quello che ci piace di più, che ci sta meglio, proprio non ce lo abbiamo, - tentò di riassumere, al meglio che poteva. Era stato anche per quello che le ci era voluto un bel po' prima di adattare il suo guardaroba ai gusti delle ragazzi milanesi.

-Quindi non vedete l'abbigliamento come un modo per esprimere voi stesse, è questo?- cercò di capire Stefania.

-No, ma che scherzi, certo che lo è! - si affrettò a chiarire Maria, pensando a quanto il modo di vestire giù influisse sull'opinione che la gente si poteva fare di una persona. Una ragazza con indosso l'abito di Gabriella sicuramente non sarebbe mai stata vista come seria o rispettosa o timorata di Dio. -Ad esempio in base alle stoffe che uno indossa e i tessuti dei suoi abiti si capisce già subito se tiene i piccioli oppure no, - procedette con la spiegazione, tutta contenta di poter parlare di una realtà che conosceva bene e che ci fosse qualcuno a cui interessava e disposto ad ascoltarla, -ci sono colori che in certe circostanze non si possono indossare, oppure per le ragazze se una è sposata o no lo vedi subito già da come si veste. In pratica tutto quello che indossi parla per te e dice ciò che sei. È solo che noi spesso non lo possiamo scegliere quello che siamo.

I suoi occhi si posarono per un istante su Irene, seduta di fronte a lei dall'altro capo del tavolo, e un'ondata di malinconia la travolse. Vide gli occhi di lei sostenere il suo sguardo e a Maria per un attimo sembrò che quel breve silenzio racchiudesse una tacita comprensione che non aveva bisogno di spiegazioni o parole. Poi, per evitare di destare troppi sospetti o che Stefania capisse qualcosa, si affrettò a distogliere lo sguardo per tornare a concentrare la sua attenzione sulla più giovane delle sue coinquiline, concludendo il discorso da poco iniziato:-Al Paradiso invece è diverso, qua se una ragazza è figlia di un banchiere o del lattaio poco importa, conta che l'abito gli piace e che addosso ci sta bene. È un po' come se a Milano le ragazze sono libere di scegliere come vogliono essere viste dagli altri, insomma. Non so se mi sono spiegata bene.

-Ti sei spiegata benissimo invece, - rispose Stefania, la quale dalla voce sembrava alquanto entusiasta dello spunto appena ricevuto. -Anzi, mi hai dato un'idea, potrebbe essere interessante un confronto tra quello che rappresenta la moda per le ragazze del nord e del sud e come gli abiti del Paradiso rispecchiano questo concetto.

-Davvero dici? Guarda che io l'ho detto così, era una fissaria, tanto per rispondere e dire qualcosa.... - mise le mani avanti Maria, arrossendo leggermente. Fintanto che si trattava di una conversazione tra amiche in casa era un conto, ma l'idea di parlarne veramente sul Paradiso Market era un'altra cosa. Se Stefania lo avesse proposto e poi magari a Landi l'idea non piaceva? O peggio, se lo pubblicavano e poi non interessava a nessuno e la rivista falliva? Del resto a Milano erano tutti così moderni, così aperti, così avanti, a chi poteva interessare sentire parlare dell'esperienza della gente del sud. -Ma secondo te sul serio a qualcuno interesserebbe sentire queste cose qua, Stefà?

Fu soltanto in quel momento che Maria si rese conto, inaspettatamente, che l'idea di vedere la sua esperienza e quella delle persone del suo paese raccontata in una rivista che tutti avrebbero letto le sarebbe piaciuta, che era una cosa che in realtà desiderava. Il confronto con le ragazze del nord spesso l'aveva scoraggiata e non poco... ricordava quando aveva fatto il colloquio per diventare una Venere e soltanto guardando la sua avversaria, Patrizia, quella ragazza bionda tanto bella ed elegante e raffinata, Maria aveva capito di non avere speranze in partenza. Anche se cercava di non darlo a vedere, si sentiva spesso invisibile o inadeguata e nonostante negli ultimi tempi avesse incominciato ad adattarsi al clima milanese e anche il suo guardaroba stava piano piano incominciando ad aggiornarsi un po', questo non toglieva che il fatto di trovare una rappresentazione di quella che era la sua cultura e la sua educazione l'avrebbe resa felice. Avrebbe contribuito a farla sentire visibile, a darle una voce, a rendere più “valido” quello che lei sentiva e che aveva vissuto.

-E perché non dovrebbero interessare scusa? - chiese retoricamente Stefania. -Ci sono un sacco di ragazze del sud anche qua a Milano, secondo me è giusto aprirci a un pubblico più ampio e che la nostra rivista includa tutti.

In effetti Maria non ci aveva mai pensato, ma Stefania poteva avere ragione. Magari, proprio come lei, c'erano tante altre ragazze che avrebbero voluto trovare uno spazio e una voce in una realtà così diversa da quella in cui erano nate e cresciute. E all'improvviso, l'idea di scrivere di questo nella rivista del Paradiso aveva incominciato a sembrare a Maria meno spaventosa e quel desiderio che non sapeva nemmeno di aver nutrito stava incominciando a spingerla sempre di più verso il sostenere Stefania nella realizzazione dell'articolo.

-Guarda come si sta allargando, non hai fatto nemmeno un articolo e già parli della “nostra” rivista, - la prese in giro Irene.

-Ma dai Irene, dicevo “nostra” nel senso del negozio, - precisò Stefania con un sorriso divertito, -visto che ci lavoriamo tutte e tre.

-Sarà. Allora andate a parlare da Landi in pausa pranzo?- continuò Irene.

Maria rimase un po' interdetta dalla sua scelta di parole. In che senso “andate”? Stefania e... chi altri?

-In che senso andate?- chiese dunque, un po' confusa. Perché ovviamente Irene non si stava certo riferendo a...

-Beh, l'idea è stata tua no? È giusto che tu vada con Stefania a proporla.

Stefania non disse nulla, si limitò semplicemente ad annuire e osservò Maria in attesa di una sua reazione.

-Ma va' Irè ma che dici, io l'ho detto così tanto per dire, mica posso andare da Landi così, è Stefania quella che sa scrivere e si fa venire le idee per la rivista, - mise in chiaro fin da subito Maria, improvvisamente agitata dall'idea di doversi confrontare con il pubblicitario. Un conto era parlare della sua idea con le amiche a colazione e rispondere alla domanda di Irene con la prima cosa che le veniva in mente, un conto era doversi confrontare con uno che il giornalista lo faceva di professione. Lei che aveva appena la quinta elementare poi, tra tutti! La persona meno adatta proprio.

-Ma non è vero! Irene ha ragione, l'idea me l'hai suggerita tu, quindi per discutere ed elaborare l'argomento ci devi essere anche tu!- replicò Stefania, -sicuramente ci potrai essere di grande aiuto.

-Di grande aiuto, io? - rispose Maria, quasi incredula. Non si era mai sentita granché utile per nessuno in vita sua, e anche nelle volte in cui qualcuno dimostrava di apprezzare ciò che faceva, aveva sempre la costante sensazione che fosse semplicemente il suo dovere e quello che ci si aspettava da lei, il minimo indispensabile insomma. Figuriamoci poi in un ambito di cui sapeva praticamente niente, cosa avrebbe potuto fare.

-Stefà, io posso anche provarci, però te lo dico, la scrittura proprio non è cosa mia, non ti aspettare chissà che eh, - mise subito in chiaro Maria, onde evitare che l'altra si facesse aspettative che in seguito la avrebbero delusa.

-Stai tranquilla, non dovrai scrivere proprio niente, serve solo che tu dica le stesse cose che hai detto a me ora per aiutare il signor Landi a capire se è fattibile usarle come base per un articolo, tutto qua, - la rassicurò Stefania.

-Se è solo questo posso farlo... - concluse Maria, ancora un po' titubante, -spero di servirvi a qualcosa.

Prima di alzarsi da tavola e mettere da lavare la propria tazza, gli occhi verdi di Maria incontrarono per un breve istante quelli di Irene, che le rivolse un piccolo cenno del capo, quasi impercettibile; dopodiché, si avvio verso il lavandino. Era forse un cenno di incoraggiamento quello? No, doveva essersi confusa, probabilmente era un semplice scherzo della luce. Comunque, aveva cose più importanti a cui pensare ora. La sua giornata doveva cominciare.

 


-Signor Landi, possiamo parlarle un momento?

La voce flebile e insicura di Stefania rispecchiava perfettamente il nervosismo che quest'ultima sentiva, e che Maria accanto a sé provava di riflesso, quasi come se riuscisse a percepirlo dall'amica e farlo proprio di riflesso. Irene, d'altra parte, sembrava piuttosto tranquilla e sicura di sé, come sempre d'altro canto.

Verso la fine di quella mattinata lavorativa le ansie, i dubbi e le incertezze di Stefania si erano ingigantite esponenzialmente con ogni minuto che passava e che la rendeva più vicina alla pausa pranzo, momento in cui, almeno in teoria, avrebbe dovuto parlare con il signor Landi. E così, vedendo che la sua amica si stava facendo prendere dalla paura e avrebbe di nuovo rischiato di perdere un'occasione preziosa per colpa della sua incertezza, Irene aveva capito che era il caso di farsi avanti e spingerla ad andare su in redazione (anche perché se fosse dipeso da Maria...). E così, era finita che Irene aveva preso in mano la situazione e aveva deciso di accompagnare Stefania e venire con loro, ovviamente insieme anche a Maria. Le tre si erano viste davanti all'atelier e insieme avevano bussato alla porta dell'ufficio di Landi, in trepidante attesa di una sua risposta. Maria, tra le tre, era quella che si sentiva più nervosa di tutte. Non era soltanto la questione dell'articolo a renderla agitata, ma anche qualcos'altro di cui ovviamente non poteva (né voleva) parlare. In quegli istanti di attesa prima che la porta si aprisse, si domandò se anche Irene un pochino fosse nervosa, se anche lei ci pensava a...

-Prego, è aperto.

Con un po' di timore, Stefania posò la mano sulla maniglia e spinse, muovendo i primi esitanti passi all'interno della stanza. Irene, la quale entrò subito dopo di lei, procedette molto più spedita e con sicurezza di fronte alla scrivania dell'uomo, e le altre due finirono per adattarsi a lei e seguirla.

-Buongiorno, - salutò Irene, con il solito sorriso ruffiano che rivolgeva alle persone quando palesemente voleva qualcosa in cambio, fosse stato anche solo farsi bella o far bella figura. Maria conosceva bene quell'espressione ormai, anche perché era molto diversa dai sorrisi sinceri che rivolgeva quando invece era veramente felice, di solito molto più rari e moderati, come ad esempio quando la mattina lei le faceva trovare il caffè già fatto o si occupava di lavare la caffettiera e le tazzine al posto di Irene, che biascicava il suo mite “grazie” ancora un po' assonnato prima di guardarla e sorridere.

-Buongiorno, - le andò dietro Maria, molto più insicura, la cui voce si sovrappose a quella un po' più squillante di Stefania:

-Buongiorno signor Landi. La disturbiamo?

-No no, prego, stavo giusto riordinando le ultime cose prima di andare in pausa pranzo, - le rassicurò l'uomo, mentre sistemava alcuni fogli sulla scrivania inserendoli in una cartellina color marrone. -Ditemi, - concluse, alzando infine lo sguardo sulle tre ragazze.

Maria fu tentata di abbassare gli occhi a terra per la vergogna, ma si costrinse a non farlo. Ancora una volta la sensazione di trovarsi fuori posto prese il sopravvento su di lei e la fece sentire piccola piccola, ma resistette all'esigenza di scappare perché Stefania e Irene erano lì con lei (e anche perché, se lo avesse fatto, avrebbe sicuramente fatto la figura della scema). Anche lei doveva stare con loro e fare la sua parte, per cui fece del suo meglio per soffocare le sue insicurezze ed ignorare l'impressione di essere una scolaretta in procinto di essere messa sotto esame.

-Ecco, noi saremmo qui per parlarle dell'articolo sul prossimo numero del Paradiso Market, - iniziò Stefania, la quale evidentemente condivideva la stessa sensazione che provava Maria a giudicare dal nervosismo nella voce.

-Esatto, - continuò Irene, -con tutto il rispetto per il Monte Bianco, ma non siamo molto convinte che sia un argomento molto interessante per le clienti, o che c'entri molto con una rivista di moda.

-Cioè, naturalmente sappiamo che si tratta di un tema molto interessante, - mentì Stefania, alla quale importava in realtà ben poco, proprio come a Maria del resto, -ma pensavamo che forse la nostra rivista non è proprio il canale più consono per affrontare certe questioni, come diceva anche Irene...

-Signorina Colombo, pensavo che ormai sapesse che certi formalismi se li può anche risparmiare con me, - rispose Landi con ironia.

-No, certo, era per dire che non mettiamo in alcun modo in discussione la sua autorità, - chiarì Stefania, -la nostra è solo un'osservazione esterna, così, da persone che magari possono immedesimarsi nel punto di vista delle clienti...

-E non metto in dubbio che abbiate ragione, - replicò il pubblicitario, in tono amichevole, -lo so anche io che il traforo del Monte Bianco non c'entra niente con quello che trattiamo, però purtroppo non c'è molto che io possa fare. Umberto Guarnieri è il principale finanziatore della nostra rivista, e questo in pratica significa che può fare il bello e il cattivo tempo senza conseguenze.

-Però l'ultima parola spetta pur sempre al dottor Conti, no? - ricordò Irene. -Se lui non è d'accordo il Paradiso Market non va in stampa.

-Certo, questo è vero, però... - provò a ribattere Landi.

Irene, vedendo una breccia attraverso la quale aprirsi un varco, proseguì con la sua parlantina:-Quindi se lei propone al dottor Conti un argomento alternativo che sia più interessante magari lui può convincere Guarnieri a cambiare idea.

-E scommetto che voi siete qui per propormene uno, - concluse l'altro, con una certa rassegnazione. Dal suo tono di voce e il modo in cui si era posto nei loro confronti, tuttavia, Maria riuscì a capire che in realtà anche lo stesso Landi avrebbe preferito di gran lunga uno spunto alternativo alle richieste perentorie di Guarnieri, per cui forse in fondo in fondo la loro intromissione non gli dispiaceva poi così tanto. Se non altro non sembrava irritato all'idea di ascoltare quello che avevano da dire, e questo contribuì a far sentire Maria un po' più rilassata.

-Esattamente, - concluse Irene, girandosi poi verso la più giovane delle sue coinquiline -vero Stefania?

-Sì, anche se l'idea a dire la verità non è proprio mia, lo spunto me lo ha dato la signora Puglisi, - iniziò la Venere. Maria si limitò a fare un cenno del capo ma non rispose, lasciando che la sua amica continuasse con il discorso. Sicuramente Stefania sapeva dire tutto quanto molto meglio di lei.

-Stavamo pensando che visto che la rivista del Paradiso Market si rivolge a tutta Italia da quando abbiamo ampliato l'iniziativa della vendita per corrispondenza sarebbe carino dedicare il secondo numero anche a realtà diverse oltre a quella di Milano, magari parlare di come si vestono le donne al sud per fare un esempio e cosa rappresenta per loro l'abbigliamento, per far sentire tutte più invogliate a rivolgersi a noi e al nostro catalogo, - spiegò.

-Non è male come proposta, - decretò Landi, -io e Vittorio molti anni fa avevamo lanciato un'iniziativa proprio su questo, “La settimana del sud”, potrebbe essere interessante riallacciarci all'argomento e riproporlo nel Paradiso Market. Però come pensate di trattare la cosa? Io non sono mai andato oltre Bologna, ne so relativamente poco.

-Ci può aiutare Maria! - propose Stefania, girandosi verso l'amica. -Digli quello che hai detto a me stamattina.

E fu così che lo stato di nervosismo misto ad ansia che aveva accompagnato Maria per i primi minuti di quel colloquio tornò più forte di prima. I battiti del suo cuore cominciarono ad aumentare non appena sentì l'attenzione del pubblicitario (e non solo) puntata su di sé, mentre la bocca diventò improvvisamente secca. No, ce la poteva fare. Stefania contava su di lei, ma soprattutto lo doveva a se stessa, che per prima avrebbe voluto dare una voce e una rappresentazione a tutte le persone della sua terra.

-Ma no niente, - iniziò, sforzandosi di mostrarsi più sicura di quanto in realtà non fosse, -dicevo solo che da noi giù non c'è questa cosa di scegliere l'abito che ci piace di più, ci sono meno libertà, una brava ragazza seria si deve per forza vestire in un certo modo ad esempio. Invece qua al Paradiso è diverso perché tutti possono decidere che cosa mettersi, cosa ci piace, cosa non ci piace. Si può scegliere, insomma.

-Io quindi avrei pensato, - si introdusse nuovamente Stefania, -che potrebbe essere interessante intervistare alcune ragazze del sud che vivono qua a Milano e fare delle domande per vedere se si ritrovano in quello che ha detto Maria, come si vestono di solito, quanto influisce il gusto personale su quello che indossano, quanto influisce il giudizio della gente, dei familiari, del marito o del fidanzato...

-La base è buona, però serve che il Paradiso e i nostri abiti siano il tema centrale, - fece notare Landi. -Potremmo scegliere cinque donne di cinque fasce d'età diverse e tutte nostre clienti, e tra le domande potreste chiedere come è cambiato il loro modo di vestire da quando hanno iniziato a frequentare il Paradiso e cosa rappresentano i nostri abiti per loro.

-E il tema centrale, - proseguì Stefania, -potrebbe essere che comprando al Paradiso le donne sono libere di scegliere cosa indossare e quindi anche l'idea che vogliono dare di loro al mondo, quello che vogliono essere, al di là dell'età o del ceto sociale o della provenienza geografica.

-Mi sembra perfetto!- concluse Landi. -D'accordo signorina Colombo, voglio darle fiducia e metterla alla prova. Avete tre giorni per fare le interviste e scrivere l'articolo, i tempi sono stretti e se a Vittorio non dovesse piacere non possiamo rischiare di ridurci all'ultimo e non fare in tempo ad andare in stampa.

-Avete? Pensavo che lei ci avrebbe aiutato, - chiese Stefania, un po' disorientata.

In effetti tre giorni erano davvero pochi, si ritrovò a pensare Maria... dove avrebbero trovato cinque donne, clienti del Paradiso e del sud disposte a farsi intervistare, in così poco tempo poi?

-Io?- domandò l'uomo, quasi come se fosse stato sorpreso dall'idea o addirittura divertito. -Temo che la mia presenza vi sarebbe soltanto di intralcio. Io non conosco molto bene le realtà meridionali, per non dire per niente, e il giudizio di un uomo non farebbe altro che far sentire le clienti a disagio o sotto esame, come se dovessero per forza dare una risposta giusta o intelligente. Il nostro obiettivo è che si sentano a loro agio e libere di esprimersi, e sicuramente parlando con altre donne, di cui una meridionale come loro, - e così dicendo i suoi occhi si posarono per un attimo su Maria, prima di tornare a guardare Stefania e proseguire con il discorso – si lasceranno andare più liberamente.

Maria rimase immobile sul proprio posto, interdetta da quell'ultima parte del discorso di Landi. Quindi alle interviste avrebbe dovuto partecipare pure lei? Avrebbe dovuto aiutare Stefania? Gesù, che situazione. Ma poi una più inadatta di lei non avrebbero potuto trovare, lei che era sempre così timida e discreta, le pareva sempre di disturbare o di dare fastidio o di dire cose stupide, ora doveva mettersi a parlare con sconosciute e pure farci domande. Se non altro era una cosa che interessava Stefania, e quindi Maria immaginava che se ne sarebbe perlopiù occupata lei. Magari lei sarebbe dovuta stare lì per dare sostegno morale, o per fare compagnia, e limitarsi a prendere appunti... o almeno era quello che sperava.

-Quindi più che un'intervista deve essere una chiacchierata informale, - concluse Stefania.

-Sì, diciamo di sì, - confermò Landi. -E si porti dietro la signorina Puglisi, miraccomando, penso che le sarà di grande aiuto.

Maria sospirò e annuì. Quello che aveva detto il signor Landi aveva senso in realtà, perfino lei si era sentito un po' sotto esame al suo cospetto e non aveva nemmeno dovuto parlare, se non più di quel tanto. Certo, questo dipendeva anche dal fatto che lui era un suo superiore ed erano lì per proporgli un'idea alla quale non sapevano come avrebbe reagito, ma comunque anche farsi intervistare e raccontargli della propria vita, le proprie esperienze, le proprie usanze, non le sarebbe venuto così spontaneo... perlomeno a una persona timida come lei.

Dopo essere state congedate per andare in pausa pranzo, Maria, Stefania e Irene scesero le scale e si diressero verso lo spogliatoio delle Veneri. Maria naturalmente diede la sua disponibilità ad aiutare Stefania con il progetto, ma rimase in silenzio o quasi per tutto il resto della conversazione, mentre le altre due chiacchieravano allegramente in merito alla buona riuscita dell'incontro e l'articolo che presto sarebbe stato scritto. Maria invece era piena di dubbi e perplessità, e soprattutto di incertezze. Non si sentiva all'altezza del compito che le era stato affidato, aveva paura di deludere Stefania e il signor Landi, ma più di tutto aveva il terrore di scoprire che, proprio come i vestiti che aveva sempre indossato, nemmeno ciò che aveva sempre pensato di essere corrispondeva a quello che in realtà si portava dentro.
...


 

Alla fine, con sua grande gioia Maria aveva scoperto che fare interviste non era così male. La signora Agnese e sua zia Rosalia erano riuscite a trovare abbastanza persone per il loro progetto, e il fatto che fosse stato tutto presentato a loro come una “chiacchierata informale” e la presenza di Maria le aveva spinte ad aprirsi e raccontare le loro esperienze e sensazioni, proprio come aveva predetto il signor Landi. Il materiale che avevano raccolto era stato sufficiente a fornire Stefania abbastanza contenuti per creare un articolo con i fiocchi, e Maria in tutto ciò si era addirittura divertita. Certo, non era un'esperienza che avrebbe voluto ripetere tanto presto (per non dire mai), certe cose le lasciava volentieri a Stefania o a quelli del mestiere, ma la cosa più importante era aver dato una mano ad un'amica ed essere stata d'aiuto.

Un'altra nota positiva era il fatto che anche il signor Landi aveva approvato l'articolo, e aveva acconsentito a parlare con Vittorio per farglielo leggere e sottoporlo al suo giudizio. Proprio quella mattina lei e Stefania erano andate nel suo ufficio a portargli il materiale prima dell'inizio della giornata lavorativa, e Maria si era sentita così felice per l'amica che a momenti le sembrava quasi che un po' del merito lo avesse avuto pure lei. Visto che avevano ancora un paio di minuti a disposizione prima dell'orario di apertura, Landi aveva chiesto a Stefania di andare nell'ufficio di Beatrice Conti e farla venire per dare un'occhiata all'articolo, così da avere il parere obiettivo di una donna che aveva tutte le carte in regola per essere una delle potenziali clienti del Paradiso e, di conseguenza, una delle loro lettrici. Subito dopo che la Venere lasciò la stanza, Maria e Landi rimasero da soli e il silenzio calò su di loro.

Maria sapeva che era soltanto una questione di minuti prima che l'amica ritornasse, anzi, probabilmente di secondi, ma comunque si sentì a disagio e immediatamente diresse lo sguardo sul pavimento per evitare di incontrare quello del pubblicitario. In realtà, c'era una parte di lei che avrebbe voluto parlargli, cercare un contatto con lui... mentre un'altra ne era terribilmente spaventata, forse proprio in virtù di quello che sapeva sul suo conto. Non avrebbe dovuto sentirsi attirata da lui, non avrebbe dovuto desiderare di parlargli e cercare di capire se la sua storia fosse vera. E invece, purtroppo, così non era. Maria non poteva più ignorare quella parte di sé che cercava risposte, ma allo stesso tempo, aveva troppa paura (e imbarazzo) per porre le giuste domande.

Tuttavia, inaspettatamente, fu proprio Landi che in quegli istanti di silenzio decise di fare un passò in avanti verso di lei e tenderle la mano:-E lei che cosa ne pensa signorina Puglisi, è soddisfatta del risultato?- le chiese, di punto in bianco. Maria alzò lo sguardo su di lui, un po' presa alla sprovvista. Non era abituata al fatto che qualcuno le chiedesse la sua opinione, né tanto meno ad esprimerla poi.

-Io? - domandò, come se volesse accertarsi che stesse parlando proprio a lei, nonostante la cosa fosse palese – del resto era l'unica persona all'interno della stanza. -Sì, certo, - rispose infine, un po' esitante. -Perché?

-Non lo so, non mi sembra molto convinta, - azzardò Landi. Maria abbassò lo sguardo, sentendosi un'altra volta in imbarazzo. Il suo malumore era così palese che ormai stava diventando difficile nasconderlo. Landi sembrò cogliere il suo disagio e si affrettò ad aggiungere, con educazione:-Ma forse è semplicemente presa da pensieri suoi, probabilmente non sono affari miei, mi scusi se sono stato inopportuno.

Maria esitò un attimo prima di rispondere. Stefania sarebbe probabilmente rientrata a momenti. Avrebbe tranquillamente potuto fare finta di niente, aggiungere qualche frase di circostanza sulle interviste o il tempo o l'autunno o l'ultima collezione di Gabriella per riempire il silenzio, spostare l'attenzione su un altro argomento e fare finta di niente. E invece, Maria in quel momento realizzò che non voleva. Non voleva niente di tutto ciò. Consapevole del fatto che non poteva parlare apertamente delle sue effettive preoccupazioni, optò quindi per una via di mezzo.

-Ma no, si figuri... - iniziò, rassicurando il suo interlocutore. -È che stavo pensando che sarebbe bello se davvero fosse così, sa.

-Che cosa?- chiese Landi, un po' confuso.

In realtà si era volutamente tenuta sul vago, così che alla richiesta di spiegazioni da parte del pubblicitario avrebbe potuto rispondere:-Se bastasse un vestito del Paradiso delle Signore per poter scegliere quello che vogliamo essere, il lavoro che vogliamo fare, la persona con cui vogliamo stare... Mi scusi, probabilmente a lei non interessa, come se non ho detto niente.

Maria guardò l'uomo in trepidante attesa, pentendosi quasi subito di ciò che si era appena lasciata sfuggire. Sicuramente a lui non interessava di tutto ciò, sicuramente quello non era né il tempo né il luogo appropriato, sicuramente non avrebbe gradit-

-Beh, per quanto i nostri abiti siano belli un vestito da solo non basta, certo, - convenne Landi con un sorriso, risvegliando Maria dal turbine di ansie e paranoie che si stavano già insediando nel suo cervello. Tutto sommato non le sembrava irritato né infastidito, il che contribuì a tranquillizzare la ragazza, già in preda al terrore di aver detto o fatto la cosa sbagliata. -Penso che per tutti prima o poi arrivi il momento in cui bisogna guardarsi dentro e capire chi siamo veramente e quello che vogliamo, - aggiunse poi lui, dopo una breve pausa.

-Anche per lei è arrivato?- domandò Maria, guardandolo negli occhi. Per un attimo le era venuto il dubbio che anche lui si stesse riferendo a... sì, insomma, alla stessa cosa che aveva in mente lei, e il suo bisogno di saperne di più ebbe la prevalenza sulla timidezza e la discrezione. Non sapeva quante altre occasioni avrebbe avuto di ritrovarsi da sola con lui, per cui tanto valeva tentare il tutto per tutto.

-Sì, diciamo di sì, - rispose il pubblicitario. -Io ho vissuto questo periodo diversi anni fa ormai, e le assicuro che non è stato facile. Ci vuole il suo tempo.

-E coraggio, - aggiunse Maria, quasi sovrappensiero. L'occhiata perplessa e un po' interdetta che il suo interlocutore le rivolse le fece capire che forse, anche solo vagamente, anche Landi stava finalmente iniziando a capire dove volesse andare a parare. Sentì il cuore iniziare a batterle nel petto più forte di prima, e presa dall'agitazione si affrettò a spiegare, onde evitare domande di lui alla quale non era pronta a rispondere:-No, nel senso che, se uno è sempre stato abituato a pensare certe cose di se stesso o della sua vita, poi capire che si sbagliava e che forse non tutto è come si pensava non è semplice. Ci vuole coraggio anche solo per ammetterlo, - concluse.

Pur non potendosi guardare allo specchio Maria era alquanto sicura di essere diventata tutta rossa in faccia, e che, se possibile, ciò che aveva appena detto aveva reso ancora più chiaro e palese la cosa a cui stava facendo riferimento, il problema che da un po' di tempo la turbava.

Attimi di silenzio seguirono le sue parole, e quando finalmente la sarta riuscì a trovare il coraggio di guardare Landi in faccia il modo in cui lui la stava osservando le tolse ogni dubbio e le diede la conferma: sapeva che aveva capito. Non la stava giudicando in realtà, né sembrava disgustato o infastidito dal pensiero, quanto piuttosto appariva un po' sorpreso ma in modo positivo, come chi riconosceva un suo simile in una terra piena di persone estranee. E Maria non aveva la più pallida idea di quello che provava in merito. Da un lato, il pensiero che qualcuno sapesse di lei, di quello che era, o che perlomeno avrebbe potuto essere, la spaventava da morire, la faceva sentire spaventata e vulnerabile e senza protezioni. Dall'altro, però, una parte di sé provava una strana sensazione che non era in grado di spiegare nemmeno a se stessa... era forse sollievo? Un po' come se si fosse tolta un peso dal cuore, o qualcuno le avesse spostato un mattone dal petto che la bloccava, la teneva giù, la paralizzava e le impediva di muoversi. Forse era stato semplicemente l'effetto dell'adrenalina e dell'ansia che aveva provato prima, un momento prima di parlare, ora sparite dopo aver finalmente ricevuto la reazione positiva di Roberto, o almeno così lasciava presagire il suo sguardo. Stava di fatto che, per quanto si sentisse tesa e preoccupata, in qualche strano modo Maria scoprì anche di sentirsi inaspettatamente... meglio. Come se Landi la avesse appena liberata da un'accusa che pendeva su di lei segnandone la condanna. Per la prima volta dopo tanto tempo, Maria si sentiva finalmente libera. O almeno, si sentì così per qualche istante.

-Signorina, - incominciò il pubblicitario, dopo alcuni secondi di silenzio. Il fatto che avesse improvvisamente abbassato il tono di voce e avesse lanciato un'occhiata circospetta alla porta, come per verificare che nessuno stesse entrando proprio in quel momento, le diede un'ulteriore conferma del suo sospetto: Landi aveva capito tutto. -Lo so che non ci conosciamo e spero di non apparirle fuori luogo dicendole questo, però sappia che se ha bisogno di parlare con qualcuno di quello che sta attravers-

-Eccoci qua!

La voce squillante di Stefania si riversò nella stanza prima ancora che Landi potesse terminare la sua frase, distruggendo la piccola e precaria bolla all'interno della quale la ragazza si era rifugiata con tanto di effetto sonoro. Riportata alla realtà, Maria si sentì improvvisamente in colpa per la piccola – e tacita – confessione che aveva appena rilasciato, desiderando quasi di potersi rimangiare tutto. A peggiorare le cose c'era il fatto che, oltre a Beatrice, Stefania aveva avuto la brillante idea di portarsi dietro anche Irene, la cui vista era sufficiente a scombussolare Maria e confonderla ulteriormente.

-E lei che ci fa qua?- domandò istintivamente, alzandosi in piedi e allontanandosi dalla scrivania di Landi. Maria non l'aveva guardata in faccia, ma era chiaro a tutti che si stesse riferendo a Irene. La ragazza fece alcuni passi verso la parete destra della stanza e continuò ad evitare lo sguardo di della commessa bionda, mentre dentro di sé era attraversata da una miriade di sensazioni contrastanti.

-Volevo leggere l'articolo pure io, - si difese Irene, senza però mostrare di essersela presa eccessivamente. Si avvicinò alla sedia lasciata vuota da Maria e si sedette, accompagnata dalla signora Conti che prese posto accanto a lei. Stefania invece rimase in piedi, al fianco della ragioniera. -Solo perché adesso lavori fianco a fianco con Stefania non hai mica l'esclusiva su di lei, - aggiunse la Venere, questa volta girandosi verso Maria per affrontarla esplicitamente. Quest'ultima le rispose con una smorfia infastidita, incrociando le braccia al petto.

-Allora, sono proprio curiosa anche io di leggere questo articolo, - disse la signora Conti, forse anche per dissipare la tensione.

Maria fece un sospiro silenzioso e avanzò di alcuni passi verso Irene, mentre alle due donne veniva messo davanti l'articolo da leggere. Approfittando del fatto che l'attenzione della sua coinquilina era monopolizzata dal pezzo di Stefania e lei avesse quindi la guardia abbassata, Maria lasciò che i suoi occhi si posassero sul viso di Irene e la osservassero per qualche istante, un'azione che spesso si era ritrovata a fare, a volte anche inconsapevolmente, quando l'altra era distratta e non se ne accorgeva. La sua bocca si incurvò in un piccolo sorriso mentre osservava l'aria assorta e concentrata della Venere intenta nella lettura, lo sguardo leggermente corrucciato, le labbra strette in una linea sottile. Fu in quel momento che Maria si rese conto di quanto esattamente fosse affascinata da Irene Cipriani e la sua evidente bellezza, accentuata ancora di più dal modo disinvolto e a tratti persino sfacciato in cui si muoveva e si poneva verso gli altri.

E se prima Maria non si era mai soffermata ad esaminare e prendere in considerazione tutto ciò e aveva semplicemente registrato quei pensieri come cose di poco conto, il più delle volte neanche riconoscendoli pienamente per quello che erano, adesso per la prima volta quella consapevolezza la colpì come un macigno. Adesso non riusciva più a negare sé stessa e convincersi che fosse normale nutrire certi sentimenti verso un'amica. Presa dalla vergogna e dai sensi di colpa, Maria spostò immediatamente lo sguardo da Irene e diede un'occhiata per la stanza. Fortunatamente Stefania era distratta e non aveva fatto caso a lei, ma scoprì invece che il signor Landi era stato attentissimo. Il suo sguardo incontrò quello di Maria, e non ci fu bisogno di parole perché entrambi capissero cosa stava pensando l'altra persona; per quanto assurdo potesse sembrare, Maria in quel momento ebbe la forte sensazione che ne avrebbero riparlato, che non sarebbe finita così. Che fosse un prezioso alleato o un'altra delle numerose prove a cui il Signore la stava sottoponendo negli ultimi tempi non le era ancora chiaro, ma immaginò che molto presto lo avrebbe scoperto.

 

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Capitolo 6
*** Niente - parte prima ***


Irene Cipriani varcò la soglia della caffetteria sovraffollata quel sabato pomeriggio con la stessa gioia ed entusiasmo di un bambino che va dal dentista il giorno dopo l'Epifania. Il brusio e le chiacchiere di tutte le persone sedute ai tavoli che bevevano, mangiavano, ridevano e parlavano di argomenti dei quali le interessava meno che del traforo del monte Bianco penetrò nelle sue orecchie fino ad arrivarle dentro la testa, e le bastarono meno di un paio di secondi per avvertire l'impellente bisogno di uscire, fare marcia indietro e risfidare le strade di Milano battute da una pioggia che nell'ultimo quarto d'ora aveva incominciato a farsi sempre più forte ed intensa. E lo avrebbe anche fatto, se ne sarebbe addirittura fregata del freddo, la pioggia e l'eventualità di bagnarsi i vestiti e i capelli, se non fosse stato per Stefania Colombo, la quale invece era determinata ad entrare per andare a parlare con l'ultima persona che Irene avrebbe voluto vedere: si trattava, naturalmente, di Maria Puglisi.

-Ciao ragazze! - le salutò Marcello dalla cassa, rivolgendo loro uno dei suoi caldi sorrisi accoglienti, -anche voi in giro con questo tempo?

-Esatto, - rispose Stefania con espressione cordiale, decisamente più di buon umore di Irene, -eravamo in centro a fare una passeggiata e un po' di compere...

-Fatemi indovinare, ha incominciato a piovere e avete deciso di rifugiarvi qua da noi perché sapete che abbiamo i dolci più buoni di tutta Milano, - scherzò Marcello, riuscendo a strappare un sorriso a Stefania.

-Quasi, - lo corresse la ragazza, mentre si sfilava il cappotto per lasciarlo nell'appendiabiti accanto alla porta. Irene seguì il suo esempio in silenzio, lasciando che fosse la sua coinquilina a spiegare la situazione. -Siamo qui per parlare con Maria in realtà, ma sicuramente non diremmo di no a una bella cioccolata calda. Vero Irene?

Irene annuì debolmente, senza troppa convinzione.

-Missà che vi toccherà berla al banco ragazze perché qua al momento siamo pieni, - rispose Marcello, mentre con un cenno del capo indicava i tavoli della caffetteria tutti pieni: in effetti aveva ragione, non era rimasta libera neanche una sedia. A quanto pareva il numero di persone che aveva cercato rifugio dalla pioggia non era certo basso, per la gioia dei due soci. Irene pensò tra sé e sé che giornate come quelle dovevano essere una vera miniera d'oro per la loro piccola impresa. -Maria comunque è nel retro in laboratorio, la trovate là. Non so a che punto siamo con i dolci ma credo che avrà quasi finito ormai.

-D'accordo, grazie Marcello, - lo salutò Stefania.

La ragazza si diresse verso il retro del negozio mentre salutava Sofia e Salvatore dietro il bancone, impegnati a servire i clienti. Irene la seguì in silenzio. Le due Veneri spiegarono rapidamente ai camerieri che sarebbero passate un attimo in laboratorio per parlare con Maria, e Salvatore le fece passare senza esitazione.

Quel sabato pomeriggio, infatti, Maria aveva bellamente deciso di piantarle in asso per andare ad aiutare gli amici della Caffetteria con... qualsiasi cosa stessero facendo. Se Irene aveva capito bene Salvatore aveva parlato di un ordine per una festa di compleanno e il fatto che avevano un sacco di dolci da preparare e pochissimo tempo, e ovviamente Santa Maria da Partanna non si poteva certo sottrarre al nobile scopo di aiutarli, nonostante non glielo avesse chiesto proprio nessuno e, sempre secondo Irene, se la sarebbero potuta cavare da soli senza problemi. Insomma, detto chiaramente, come loro solito volevano semplicemente qualche allocco da sfruttare che lavorasse gratis senza chiedere nulla in cambio, e ovviamente Maria corrispondeva perfettamente alla descrizione. Non che la cosa le importasse comunque, o le desse fastidio. Figuriamoci se perdeva il suo tempo con pensieri o stupidaggini come quelle.

Del resto Maria la stava ignorando da più di una settimana, non c'era da sorprendersi se anche quel giorno aveva deliberatamente deciso di evitarla per andare a fare altro. Sembrava che qualsiasi altra cosa ormai fosse diventata più importante o più rilevante o più interessante per lei rispetto a... beh, rivolgere la parola alle sue coinquiline. Durante le cene o la colazione se ne stava in silenzio tutto il tempo o quasi, parlava giusto se interpellata, la pausa pranzo ormai la trascorreva perennemente in atelier con la nuova stilista e la signora Amato, e lo scorso fine settimana aveva praticamente utilizzato qualsiasi scusa possibile per passare meno tempo possibile a casa; che poi, l'andazzo pareva essere rimasto lo stesso anche in questo. E a Irene, naturalmente, di tutto ciò non importava affatto. Proprio per niente. Non si sentiva né infastidita né ignorata né irritata, niente di tutto ciò. Maria Puglisi poteva fare quello che voleva, lei ne era completamente indifferente.

In sua difesa, Irene doveva ammettere che effettivamente l'umore di Maria nelle ultime settimane era stato abbastanza... pessimo, per usare un eufemismo. Appariva sempre triste, sempre mogia, sempre cupa, pareva ritornata ai tempi in cui Rocco era ancora a Milano e non la degnava di uno sguardo (il che in realtà indicava la stragrande maggioranza del tempo in cui Rocco aveva vissuto a Milano), chiunque sarebbe stato in grado di notarlo. Lei e Stefania ne avevano parlato tra di loro qualche volta, si erano chieste se fosse il caso di provare a parlarle, di cercare di capire cosa avesse, come aiutarla, ma Irene aveva sempre tentato di scoraggiare ogni tipo di intervento in questo senso per convincere la sua coinquilina a dare a Maria un altro po' di tempo, ipotizzando che magari fosse un semplice malumore passeggero dovuto alla mancanza di notizie (e di interesse) da parte di Rocco, e che con la prossima lettera sarebbe tutto passato. La realtà, però, era ben diversa, e Irene ne era pienamente consapevole. O per meglio dire, no, non ne era proprio del tutto consapevole, anche perché Maria non le parlava, quindi di certo non poteva sapere con certezza che cosa le passasse per la testa. Però andava anche detto che, in tutta sincerità, era possibile che ne avesse quantomeno una vaga idea, ragion per cui voleva fare il possibile per evitare che Stefania iniziasse a ficcare il naso nella questione e finisse per scoprire cose che... beh, che nessuno avrebbe mai dovuto sapere. Come ad esempio il fatto che si erano baciate.

A giudicare dal modo in cui Maria aveva reagito al loro bacio (bacio per altro iniziato proprio da lei), i sospetti di Irene la portavano a pensare che la sua coinquilina si sentisse tremendamente in colpa per quanto successo tra loro quella sera e ora la stesse evitando esattamente per quella ragione. E quello che era peggio era che, a dirla tutta, la cosa era anche legittima, era perfettamente logico. Quello che era successo tra loro era stato un semplice momento di debolezza, un errore, lo aveva detto anche la stessa Maria. Era Rocco la persona di cui lei era innamorata e che presto avrebbe sposato ed era quindi normale che Maria ora volesse starle lontana per rimanergli fedele, che sentisse il bisogno di mettere un po' di distanza tra di loro e riflettere su quella pagliac- sulla loro relazione (non che ci volesse una così grande riflessione per arrivare a capire perché la poverina fosse stata spinta tra le braccia di un'altra persona, ma comunque quella parte a Irene chiaramente non interessava). E proprio perché era tutto perfettamente logico e lecito e Irene razionalmente sapeva che Maria aveva ogni diritto di reagire così ed allontanarla, che presto sarebbe diventata una moglie e la sua priorità ora doveva essere eliminare qualsiasi cosa potesse crearle confusione, Irene aveva stabilito che avrebbe semplicemente accettato la cosa passivamente, mostrando indifferenza più totale nei confronti di Maria e i suoi atteggiamenti.

Del resto a lei non interessava, no? E sicuramente non sentiva la mancanza di lei e dei momenti che erano solite trascorrere insieme, dei loro battibecchi durante la cena, né per assurdo di quando facevano le pulizie insieme perché Maria, esasperata, aveva capito che quello era l'unico modo per spingere Irene a fare qualcosa e darsi da fare in casa. Non le mancavano certamente le piccole attenzioni che Maria le riservava, quando preparava il caffè anche per lei perché la mattina si svegliava per prima e quando Irene arrivava in cucina con i capelli spettinati glielo faceva trovare già pronto nella tazzina, quando Irene impazziva perché non riusciva a trovare le cose per la casa anche se le sembrava di aver guardato dappertutto almeno trecento volte e Maria in pochi secondi gliele tirava fuori, quando la domenica pomeriggio o dopo cena giocavano a carte in cucina tutte insieme e Irene si arrabbiava ogni volta che perdeva e Maria la prendeva in giro, e più di tutto non sentiva la mancanza della maniera (spesso ignorata o data per scontato o non apprezzata abbastanza) in cui Maria Puglisi faceva sentire le persone attorno a lei importanti e ascoltate e apprezzate, della maniera in cui si prendeva cura degli altr- di lei, della maniera in cui si prendeva cura di lei. No, tutto ciò non le mancava per niente. Che facesse quello che le pareva e passasse tutti i suoi pomeriggi in caffetteria a fare dolci e schiavizzata, non erano certo affari di Irene. Anzi, se non fosse stato per Stefania lei lì da loro non ci sarebbe proprio passata quel pomeriggio, anche a costo di prendersi la pioggia.

-È permesso?- domandò Stefania, bussando alla porta del laboratorio che lei e Irene trovarono socchiusa.

-Sì, avanti! - le invitò una voce femminile, che a nessuna delle due ragazze era particolarmente familiare.

Irene aggrottò le sopracciglia. Era piuttosto sicura di averla già sentita in vita sua, almeno un paio di volte, ma proprio non riusciva ad identificare la persona a cui apparteneva... E soprattutto, perché Maria fosse insieme a qualcun altro nel laboratorio. Marcello e Salvatore avevano davvero assunto una pasticcera professionista che lavorasse per loro? No, quello era da escluderlo in partenza. La curiosità di Irene, tuttavia, venne soddisfatta in pochi secondi: non appena Stefania aprì la porta e le due coinquiline fecero il loro ingresso nella stanza, in piedi di fronte a Maria trovarono l'ultima persona che si sarebbero aspettate di vedere in un contesto del genere.

-Buonasera, - le salutò Ludovica Brancia di Montalto, il grembiule che copriva gran parte dei suoi vestiti e le mani sporche di farina.

Irene rimase un po' interdetta alla vista della ragazza, specialmente in un posto e in un contesto che non le appartenevano minimamente. Poi però, ricordandosi che a quanto pareva lei e Marcello si frequentavano da diversi mesi, la sua presenza lì cominciò ad avere un senso. Del resto Maria aveva detto che erano molto indietro con la consegna e avevano bisogno di tutto l'aiuto possibile, magari la disperazione era stata grande a tal punto che perfino Ludovica Brancia era sembrata meglio di niente. In ogni caso, dopo un primo stupore iniziale Irene passò oltre per concentrarsi sull'altra persona presente nella stanza, ovvero Maria. Quando i suoi occhi si posarono su di lei Irene si rese conto che anche Maria la stava osservando e, a giudicare dall'espressione sul suo viso, pareva altrettanto sorpresa di trovarsela lì davanti.

-Irene, - fu infatti la prima parola che disse la ragazza. Irene sostenne il suo sguardo senza risponderle per una manciata di istanti, non riuscendo a capire se l'altra fosse contenta di vederla. Una parte di sé avrebbe istintivamente detto di no, però un'altra invece aveva notato che c'era qualcosa di leggermente... diverso, nel modo in cui Maria l'aveva guardata e la stava tutt'ora guardando. O forse era semplicemente il suo cervello che stava impazzendo e la stava portando a vedere significati nascosti dove invece non c'erano.

Realizzando che quel silenzio prolungato avrebbe potuto destare sospetti, Maria proseguì infine, girandosi poi verso la minore delle due Veneri:-Stefania! Cosa ci fate qua?

-Siamo passate a farti un saluto, - spiegò Stefania cordialmente. La sua voce giungeva alle orecchie di Irene come un suono lontano, dal momento che quest'ultima era troppo impegnata a osservare Maria e cercare di studiarla per interessarsi alle chiacchiere di circostanza. -Come procede coi dolci?

-Tutto bene grazie, - replicò lei, senza sembrarne eccessivamente convinta. Irene si era accorta che si stava appositamente sforzando di non guardare nella sua direzione, tendenza che era diventata quasi un'abitudine per lei nel corso di quegli ultimi giorni. -Sofia ci ha lasciate sole perché stavamo a buon punto e di là è pieno di gente, - spiegò poi (calcando eccessivamente la “g” di gente come suo solito), -Salvo e Marcello stavano impazzendo e così è andata a dare una mano.

-Ah, bene allora! - concluse Stefania con un sorriso di circostanza. -Sembra tutto buonissimo qui!

-Vi assicuro che lo è, - commentò la Brancia, sforzandosi allo stesso modo di essere carina e fare conversazione. Irene semplicemente non aveva le energie per tutto ciò; non in quel momento. -Maria è un'ottima pasticcera, al contrario di me, - scherzò infine, mostrando un piccolo sorriso ironico mentre abbassava lo sguardo sul ripiano di lavoro pieno di dolci.

-Ma non è vero, - la contraddisse prontamente Maria, che naturalmente doveva sempre distinguersi per l'eccessivo buonismo, -serve soltanto fare pratica e un poco di buona volontà.

-Avete quasi finito quindi?- domandò poi Stefania.

-Sì, quasi, ci manca poco, - confermò la siciliana. -Perché?

-Io e Irene stavamo pensando di fermarci a cena fuori stasera visto che è sabato, anche perché siamo già in centro e si sta facendo tardi, siamo passate a vedere a che punto stavi per chiederti se volevi unirti a noi! - la invitò Stefania.

A giudicare dall'occhiata che Maria rivolse loro, Irene capì subito che la risposta che sarebbe arrivata di lì a poco sarebbe stata negativa. Il che, di nuovo, non sorprendeva, visto l'atteggiamento evitante di Maria. Irene aveva cercato di dissuadere Stefania e spingerla a tornare a casa, preparare una cena veloce e semplice e trascorrere la serata giocando a carte mentre sentivano la radio, le aveva detto che probabilmente Maria si sarebbe negata come faceva sempre ormai, ma Stefania non l'aveva voluta ascoltare preferendo invece credere che forse una serata fuori con le amiche l'avrebbe aiutata a distrarsi e, perché no, magari anche raccontare cosa le passava per la testa. Come se Maria potesse prendere anche solo lontanamente in considerazione l'ipotesi di parlare con qualcuno di quello che era successo tra loro. Come se Maria potesse prendere anche solo lontanamente in considerazione l'ipotesi di provare qualcosa per Irene.

Non sarebbe successo nemmeno tra un milione di anni, e Irene non poteva permettere a se stessa di illudersi e credere in qualcosa che l'avrebbe portata soltanto a soffrire e stare male per l'ennesima volta. Se doveva essere lucida e analizzare la cosa da un punto di vista esterno e obiettivo, col senno di poi Irene avrebbe quasi potuto pensare che tutti gli sforzi che aveva compiuto in primavera per far fidanzare Maria e Rocco non erano stati altro che un tentativo di proteggere se stessa per evitare di farsi illusioni, ponendo l'oggetto del suo interesse in una posizione che l'avrebbe resa irraggiungibile per lei così che il suo cervello si sarebbe in qualche modo costretto a non pensarci, vedendola tra le braccia di un'altra persona. E invece eccola qua; a distanza di mesi, in qualche strano modo tutto quello che aveva fatto non era servito proprio a niente, visto che aveva finito per illudersi in ogni caso.

Si sentì proprio per questo molto stupida e anche un po' irritata quando Maria annunciò la sua risposta, rendendosi conto solo in quel momento della piccola delusione che l'ennesimo rifiuto di Maria provocò in lei:-No ragazze grazie ma stasera proprio non mi sento, poi qua ne abbiamo ancora per un po', ora che metti a posto, pulisci, sistemi, rassetti, già le nove si fanno. Comunque facciamo un'altra volta sicuro, è che stasera proprio non c'arrivo, scusate.

-Ma no allora non fa niente, - rispose Stefania, altrettanto delusa a giudicare dal tono di voce, anche se per motivi diversi da quelli di Irene con ogni probabilità, -ti aspettiamo e veniamo a casa con te, non ti facciamo cenare da sola.

-Ma che dici Stefà, ci manca solo che rinunciate per me, - tentò di dissuaderla Maria, evidentemente determinata a rimanere da sola ed evitare la loro compagnia (ovvero quella di Irene), -voi andate, davvero, magari mangio qualcosa qua in caffetteria e poi mi faccio riaccompagnare da Salvo.

-Non lo dica neanche per scherzo signorina, - si inserì la Brancia, forse impietosita dall'eccessivo altruismo di Maria (che a tratti rasentava l'assurdo, almeno in quel determinato contesto) -ci pensiamo io e Marcello a rimettere a posto tutto qua, tanto non abbiamo grandi piani per la serata. Lei è stata fin troppo gentile a venire a dare una mano oggi e per di più nel suo giorno libero, le assicuro che il suo aiuto è stato prezioso, ma è sabato sera, sarebbe un crimine trattenerla qua a pulire dopo che ha passato tutto il pomeriggio a impastare farina e infornare dolci.

-Parla così solo perché non conosce bene Maria, - rispose Irene con fare sprezzante, -a lei piace proprio votarsi al sacrificio e farsi usare e sfruttare dagli altri, ha un'inclinazione naturale.

Normalmente non sarebbe stata così acida e cattiva, soprattutto in presenza di una persona che non conosceva, ma Irene aveva comunque la sensazione che Maria si sarebbe ritrovata in una posizione scomoda a doversi inventare un secondo pretesto per declinare l'invito e starsene per i fatti suoi; almeno così le aveva risparmiato la pena e il fastidio di rifiutarla un'altra volta. Come se ce ne fosse stato bisogno poi. Che poi tra le righe si leggesse un po' di fastidio e irritazione, beh... quello era un altro discorso. Non che stesse volutamente cercando di provocare una reazione da parte di Maria di qualche tipo, vista la totale indifferenza che mostrava verso di lei. Assolutamente no.

-Irene! - la riprese Stefania. -La scusi...

-La scusi signorina Brancia, la lasci perdere, - si aggiunse Maria, -Irene l'inclinazione naturale ce l'ha per parlare troppo e non saper stare al suo posto, non si smentisce mai.

Non la degnò di uno sguardo nel pronunciare quelle parole, ancora una volta l'attenzione di Maria era spostata totalmente su un'altra persona, in quel caso la giovane Brancia.

-Meglio parlare troppo che restare sempre zitti e non essere in grado di esprimersi, - la provocò un'altra volta Irene, facendo volutamente un'allusione più generale al silenzio stampa di Maria dell'ultimo periodo. -Comunque, se vuoi stare qui a fare la schiava e pulire non sarò certo io a fermarti, io e Stefania possiamo cenare anche da sole, - concluse infine, con un penoso e fallimentare tentativo di sembrare distaccata e menefreghista.

-Le assicuro che di solito vanno molto più d'accordo di così, vero Irene?- tentò di smorzare la tensione Stefania, rivolgendosi ancora una volta alla Brancia. Perché lei e Maria si preoccupavano così tanto di ottenere la sua approvazione e apparire normali e socialmente accettabili ai suoi occhi? Come se il suo cognome facesse poi tutta questa differenza. D'accordo, un pochino effettivamente la faceva, e in parte della cosa ne risentiva anche Irene, ma pur sempre entro certi limiti. Forse in un'altra circostanza si sarebbe comportata diversamente anche lei, ma il comportamento di Maria la stava irritando fin troppo per farla ragionare lucidamente.

No no no no no, questo non va bene. A te non te ne deve fregare niente di Maria Puglisi e di quello che fa o non fa. Sei Irene Cipriani! Non puoi ridurti a fare la figura della pazza davanti alla ragazza di Marcello, hai una dignità tu. Datti un contegno e cerca di fare la persona normale per favore.

-Diciamo che ci sopportiamo, ecco... - rispose Maria per Irene, al silenzio dell'altra ragazza, troppo immersa nei suoi pensieri per realizzare che Stefania in realtà si sarebbe aspettata una risposta da parte sua, -a volte.

-Ma quindi cosa vuoi fare Maria alla fine, non ho capito, vieni a cena con noi o no?- domandò una seconda volta Stefania, anche se Irene aveva capito che molto probabilmente era soltanto una formalità e che anche la sua amica aveva colto che Maria con loro quella sera non voleva proprio starci.

-No ragazze passo, scusate, stasera proprio non mi sento, - ribadì infatti la sarta. -Voi però andate, veramente, mi sento in colpa che poi restate a casa per colpa mia.

-Ma c'è qualcosa che non va?- domandò Stefania, in tono preoccupato. Ecco, pessima mossa. Ora Maria si sarebbe messa in allarme, avrebbe capito che Stefania aveva colto che si stava comportando in modo strano e che probabilmente c'era qualcosa sotto e come risultato si sarebbe ulteriormente chiusa in se stessa, per evitare che scoprisse cose che invece dovevano restare nascoste.

-Ma no Stefà, che ci deve essere... - negò Maria. -Forse giusto un po' di pensieri, - ammise poi, dopo qualche attimo di silenzio, -ma quello è normale, poi passano.

-Va bene, se ne sei sicura... - rispose la Venere, fortunatamente scegliendo di non insistere (decisione piuttosto saggia).

-Scusate se mi intrometto, - si inserì nuovamente la Brancia, -se non avete fretta di uscire per andare a cena potrei chiedervi un favore grande grande?

-Certo, se possiamo aiutarla volentieri, - acconsentì Stefania. Irene guardò la sua amica e annuì, dando così implicitamente il suo assenso.

-Se avete giusto dieci minuti liberi, sarebbe un grande problema per voi dare il cambio a me e Marcello?

Irene e Stefania si guardarono interdette, prese per un attimo in contropiede da quella richiesta. La fidanzata si Marcello si affrettò a spiegare, forse anche perché aveva colto la loro parziale perplessità:-Lo so che non dovrei chiedervelo ma sono ore che vado avanti a impastare, ho proprio bisogno di fare una pausa e staccare un po', sono venuta ad aiutarlo coi dolci oggi pomeriggio anche per stare un po' insieme e praticamente tra una cosa e l'altra ho visto più teglie e scodelle sporche di uova e farina che il mio fidanzato.

-No, certo, per me va bene, non c'è problema, - garantì Stefania, accennando un sorriso.

-Anche per me, - le andò dietro Irene, sebbene fosse un po' scettica e non avesse particolarmente voglia di andare dietro il bancone a servire cioccolate calde e pulire bicchieri. D'altro canto loro non avevano poi chissà quante cose da fare prima di andare a cena e se fossero uscite avrebbero finito per prendersi la pioggia e bagnarsi. In fondo sarebbe stato maleducato rifiutarsi, tutto considerato.

-Grazie, grazie mille, davvero, - le ringraziò la Brancia con un sorriso raggiante, -lunedì mattina dirò a Marcello di portarvi delle brioche calde al Paradiso apposta per voi.

-Beh, io di certo non dico di no, - scherzò Irene, approfittando subito dell'occasione. Del resto non si rifiutava mai il cibo, soprattutto se gratis.

-Eh certo, ti pareva, - la riprese Maria. Irene alzò gli occhi al cielo e la ignorò, ma dentro di sé per un momento si sentì insolitamente agitata nel ricevere quell'inaspettata risposta. Era forse... felice che Maria le avesse rivolto la parola? Oh signore, la sua situazione stava peggiorando sempre di più.

-Cos'è che dobbiamo fare precisamente?- domandò infine Stefania.

-Niente di particolare, - e così dicendo Ludovica Brancia si tolse il grembiule e sembrò avvicinarsi a.... Irene? Oh no. Oh no. Che non avesse in mente di... ?

-Lei potrebbe prendere il posto di Marcello di là al bar, - spiegò, rivolgendosi a Stefania. Poi porse il grembiule a Irene, la guardò negli occhi e concluse la frase:-Mentre lei invece può rimanere qui con Maria a finire le ultime teglie. Se non è un problema, ovviamente.

-No, nessun problema, - rispose Irene con un mezzo sorriso, per sforzarsi di apparire convinta. Dentro di sé in realtà il panico la travolse tutto d'un tratto, come un'ondata che la investì quando meno se lo aspettava.

Certo, parte di sé era contenta di poter restare sola con Maria e avere l'opportunità di passare del tempo con lei dopo una settimana in cui praticamente non si erano rivolte la parola, ma un'altra invece non si era certo aspettata che accadesse così... rapidamente? E soprattutto non così, non lì, non in quel momento! Irene non era pronta. Che cosa avrebbe dovuto dirle? Avrebbe dovuto cercare di fare un po' di chiarezza sul raffreddamento del loro rapporto, oppure era meglio che stesse zitta e continuasse a fare il gioco di Maria? Non ne aveva la più pallida idea. Sapeva solo che quell'improvvisa svolta la rivitalizzò tutto d'un tratto e la fece uscire dal suo umore pensieroso e anche un po' scorbutico, che per tutta la giornata l'aveva accompagnata. Nel bene o nel male si scoprì inaspettatamente felice di avere a disposizione un po' di tempo da passare da sola con Maria, nonostante in realtà si trattasse di appena una manciata di minuti, e la cosa non andava affatto bene. Per niente bene.

Ricordati quello che ci siamo dette prima, datti un contegno e cerca di fare la persona normale. Questa tra qualche mese si sposa, il suo unico pensiero sarà Rocco al momento. E anche se non lo fosse, non esiste né in cielo né in terra che si metta contro tutta la famiglia e quella del futuro marito per... beh, per stare con te. Mettiti l'anima in pace e fattene una ragione, meglio adesso che troppo tardi.

-Siete sicure di essere in grado di non saltarvi addosso per dieci minuti?- domandò Stefania scherzosamente, mentre Irene con aria assente si metteva il grembiule.

A quella domanda, Irene osservò il viso di Maria farsi tutto rosso mentre spalancava gli occhi, probabilmente presa alla sprovvista dal modo in cui la loro coinquilina aveva formulato la frase e dal doppio senso di “saltarsi addosso”. Per un attimo la mente di Irene si riempì di immagini che raffiguravano in modo piuttosto vivido il modo in cui si erano quasi letteralmente saltate addosso poco più di una settimana prima, le braccia di Maria che la stringevano possessivamente a sé, le mani di Irene tra i suoi lunghi capelli ricci che attiravano l'altra ragazza per averla ancora più vicina mentre le sue labbra cercavano quelle di Maria per chiedere un altro bacio, e poi un altro e un altro ancora...

No! Datti un contegno e cerca di fare la persona normale per favore.

A differenza di Maria l'espressione di Irene riuscì a rimanere impassibile, evitando così di tradire ciò che le stava passando per la testa. Maria, d'altro canto, era molto più facile da leggere, per non dire proprio palese... era una fortuna che Stefania fosse così ingenua da non rendersene conto – d'altra parte lei e Maria erano due ragazze, chi avrebbe mai sospettato che tra loro potesse esserci di più di una semplice amicizia? Se Maria avesse baciato un altro ragazzo, probabilmente sarebbe stata fritta.

-Faremo il possibile, - rispose infine Irene, per portare l'attenzione su di sé ed evitare quindi che le altre due si concentrassero troppo su Maria, troppo imbarazzata per dare una risposta -ma non garantisco niente.

 

Una delle convinzioni errate più comuni che la gente aveva sempre nutrito in merito a Ludovica Brancia di Montalto era che costei fosse una persona fondamentalmente egoista. Certo, andava detto che forse, in determinati periodi della sua vita, quelli più bui e tetri, l'altruismo non era stato proprio il suo forte. Tuttavia, Ludovica considerava se stessa una persona che, tutto sommato, possedeva una buona dose di capacità interpersonali, sufficienti ad averla fatta sopravvivere per ventisette anni della sua vita nell'alta società milanese, anche con ottimi risultati. Naturalmente sarebbe stato stupido e ipocrita negare che gran parte della sua fortuna e popolarità erano dovute al suo nome, anzi, al suo cognome per essere precisi. Però era altrettanto vero che, se la famiglia in cui era nata le aveva aperto fin dai primi anni della sua vita tante, tantissime porte, era stato anche merito della sua indole estroversa e socievole se era riuscita a costruirsi l'ampia rete di conoscenze che aveva; del resto fare la vice-presidentessa del circolo più esclusivo di Milano non era cosa da tutti, e se Adelaide di Sant'Erasmo aveva scelto proprio lei tra tutte le candidate era perché sapeva che possedeva tutte le capacità necessarie.

Di certo Ludovica non aveva grandi conoscenze alle spalle, aveva fatto la scuola di magistero e dopo aver preso il diploma non aveva lavorato neanche un giorno della sua vita. Però aveva un dono, una capacità che spesso non si poteva imparare o improvvisare, ci si nasceva e basta: riusciva a capire senza il minimo sforzo quello che le persone con cui aveva a che fare desideravano o si aspettavano da lei, quello di cui avevano bisogno. Chissà, forse perché in parte era stata cresciuta con la costante pressione di soddisfare le aspettative altrui, di essere ciò che la società richiedeva o riteneva appropriato, di essere all'altezza. Ne conseguiva che il suo primo istinto quando si approcciava ad una persona che non conosceva era quello di leggerla e capire di cosa avesse bisogno e poi fare il possibile per darglielo e accontentarla, ottenendo così apprezzamenti e approvazione. Era proprio quello il segreto del suo successo, il perché il ruolo di vice-presidentessa le calzava a pennello: riusciva a trovare sempre il modo per far coincidere le varie necessità dei soci e capire quali tipi di misure ed eventi fossero appropriati per l'occasione.

Proprio per questa ragione, Ludovica Brancia di Montalto quel sabato pomeriggio ci impiegò approssimativamente venti secondi per capire che, per prima cosa, Maria Puglisi avrebbe preferito parlare di qualsiasi cosa tranne che del suo fidanzamento; ad essere onesti la cosa era abbastanza evidente, soltanto Salvatore sembrava non accorgersene visto che aveva continuato per circa venti minuti a farle domande su Rocco, se già avessero scelto la data delle nozze e lei avesse incominciato a pensare al vestito, se lui le scrivesse, cosa le diceva nelle lettere... tutte domande a cui la giovane sarta aveva risposto sì e no a monosillabi, quando andava bene. Il suo disagio era stato così palese che a Ludovica quasi era sembrato papabile, e aveva finito per sperare in prima persona che Salvo cogliesse l'antifona e cambiasse argomento. Tutto ciò, naturalmente, l'aveva portata a concludere che o quel Rocco non si stava comportando bene nei suoi confronti, o era Maria quella ad essere poco convinta della loro relazione. Chissà, forse c'era un po' di verità in entrambe le opzioni... cosa che naturalmente la ragazza non avrebbe potuto esternare in presenza di Salvatore, dal momento che lui era il cugino del futuro sposo.

Con il passare delle ore Salvo, Sofia e Marcello si erano alternati in laboratorio, uno dei tre restava lì ad aiutare Maria e Ludovica con i dolci mentre gli altri due servivano ai tavoli e si occupavano della clientela. Tuttavia a Ludovica l'atteggiamento evitante e schivo della sarta era rimasto impresso, portandola a chiedersi quale fosse di preciso la ragione che l'aveva spinta a distaccarsi da Rocco... possibile che avesse un altro? Ad una prima occhiata, nessuno l'avrebbe mai detto. Ludovica ricordava ancora quando anni prima si era recata in atelier da lei e la signora Amato per provare l'abito da sposa che avrebbe indossato al presunto matrimonio con Riccardo. A giudicare dalle poche cose che le aveva sentito dire, le aveva fin da subito dato l'impressione di una ragazza semplice e devota alla famiglia, e le cose che Salvatore e Marcello le avevano raccontato sul suo conto, le rare volte in cui la sua relazione con Rocco era capitata all'interno della conversazione, non avevano fatto altro che confermare quell'impressione.

Eppure Ludovica era ben consapevole del fatto che fin troppe volte le apparenze si rivelavano ingannevoli, e che anche la più semplice e apparentemente banale delle persone nascondeva dentro di sé segreti, pensieri ed emozioni che mai avrebbe osato esternare ad alta voce. Del resto era proprio quella la parte che reputava più interessante. Fu proprio per quello che, quando la clientela iniziò a farsi più numerosa all'interno del bar verso il tardo pomeriggio e le due ragazze rimasero da sole in laboratorio, la Brancia non ebbe il minimo dubbio in merito all'argomento da portare nella conversazione. Del resto in qualche modo dovevano occuparlo il tempo, e chiacchierare del più e del meno era pur sempre meglio che restare nel silenzio tombale.

-Allora signorina Puglisi, mi dica la verità... - incominciò, con finto fare drammatico per accentuare l'ironia della situazione e far capire all'altra ragazze che stesse scherzando, così da metterla almeno un pochino a proprio agio, - come pasticcera sono pessima, non è vero?

-Ma no signorina Brancia, che dice, non è poi così male!- la rassicurò subito Maria, rivolgendole un sorriso di incoraggiamento. Se fosse sincera oppure no questo Ludovica non lo sapeva, ma non era quello il punto. -E poi impara molto in fretta, guardi quante cose ha fatto oggi!- aggiunse, facendo un cenno del capo in direzione di tutti i dolci che avevano sfornato per la festa di compleanno dell'indomani, che poi era anche la ragione per la quale erano entrambe corse in aiuto dei soci che si erano ritrovati impossibilitati a gestire un ordine così grande in così poco tempo e contemporaneamente mandare avanti il locale.

-Sì, peccato che più della metà fossero da buttare, - le fece presente Ludovica, mentre tutti i suoi fallimentari tentativi tradotti in uno spreco di tempo, farina e zucchero le ritornavano in mente.

-Ma è normale si figuri, le prime volte anche per me era così glielo assicuro, - raccontò Maria. -Che poi è anche un po' questo il bello della cucina secondo me, ti insegna ad accettare le sconfitte e riprovare fin quando le cose alla fine non ti escono bene.

-Ah in questo sono un'esperta... - mormorò Ludovica con voce leggermente malinconica. Dopo qualche attimo di silenzio decise di aggiungere, rendendosi conto che forse l'altra persona non si sentiva a proprio agio a farle ulteriori domande a riguardo:-Mi scusi, non volevo metterla a disagio parlando di cose personali, probabilmente nemmeno le interessa.

-No, ma che disagio, non si preoccupi!- esclamò immediatamente Maria, ancora una volta rassicurandola. Poi, dopo un attimo di esitazione, fissò Ludovica negli occhi e domandò:-Si riferiva al... - la sua voce si interruppe, e Ludovica ci impiegò ben poco a capire che avrebbe voluto dire “matrimonio”, ma si era interrotta e aveva dovuto cercare un altro modo per esprimere il concetto,- a quando doveva sposare Riccardo Guarnieri l'anno scorso?

-Proprio così, - confermò. -Lo sa, in realtà se ci ripenso adesso mi dispiace quasi più per l'abito stupendo che lei e la signora Amato avevate cucito apposta per me, era davvero bellissimo, - disse, mettendo volutamente un po' di enfasi per creare una connessione con la sarta.

-Ah se lo ricorda ancora?- chiese conferma Maria, con gli occhi che per un secondo le si illuminarono mentre la bocca si incurvava in un sorriso felice.

-Certo che sì, - replicò lei, contenta di essere riuscita a far sentire la sua interlocutrice apprezzata per il lavoro che aveva fatto. -Dopo tutte le prove che abbiamo fatto, poi... Immagino quante maledizioni mi avrete lanciato insieme a Gabriella, - aggiunse ironicamente.

-Giusto un pochino, - scherzò Maria, strappando a Ludovica un sospiro divertito.

Quest'ultima lasciò passare alcuni secondi di silenzio, poi riprese:-Ero così ossessionata dall'idea che fosse tutto perfetto, l'abito, la chiesa, i fiori, il pranzo, gli invitati, ero terrorizzata al solo pensiero che all'ultimo qualche dettaglio improvviso venisse fuori e facesse saltare tutto... E alla fine la cosa che non andava ero proprio io, - rivelò, con un po' di malinconia. Per qualche ragione, aveva come l'impressione che fosse uno stato d'animo che l'altra ragazza poteva capire molto bene, a giudicare dalle reazioni di prima all'argomento “matrimonio”.

-Mi dispiace davvero tanto signorina Brancia...

-Stia tranquilla, ormai ho smesso di essere triste per come sono andate le cose da un bel pezzo, - replicò Ludovica, che non voleva portare la conversazione su un piano eccessivamente melodrammatico. -Anzi, se vuole che le dica la verità sono contenta che sia finita così, di non essermi sposata dico.

-Beh, certo, se no non avrebbe conosciuto Marcello del resto, - convenne Maria.

-Anche per quello sì, ma non solo. È come le dicevo prima signorina Puglisi, - incominciò, ormai decisa ad entrare nel merito dell'argomento e raccontare come si era sentita al tempo, sperando in quel modo di poter aiutare la ragazza che aveva di fronte, -avevo tutto programmato fin da quando ero piccola: il matrimonio, lo sposo, l'unione delle nostre famiglie, il resto della mia vita... E non mi ero mai soffermata a pensare neanche per un momento se tutte queste cose le volevo anche io, se andavano bene per me o se era semplicemente quello che tutti si aspettavano che io facessi. So che può sembrarle assurdo, ma le assicuro che a volte non è per niente facile capire la differenza.

-Non è assurdo per niente invece, anzi, non sa come la capisco, - confessò finalmente Maria, ammettendo ciò che Ludovica aveva sospettato sin dall'inizio. Allora non si era sbagliata, c'era davvero qualcosa che Maria si stava tenendo dentro, e che probabilmente doveva starla consumando.

-Sul serio?- chiese, implicitamente invitandola ad aprirsi sull'argomento.

-Eh, meglio di quanto immagina signorina, - confermò la sarta, rimanendo comunque sul vago.

-Non vorrei essere indiscreta, ma forse un po' lo avevo intuito, - ammise la Brancia. -Non mi è sembrata molto felice di parlare del suo matrimonio prima, con Salvatore... - fece un altro tentativo.

-Diciamo che mi trovo in una situazione molto simile alla sua, ecco. Però la prego, non dica niente a Salvo e Marcello di questo, - le chiese Maria, con un tono che a tratti appariva quasi spaventato. A momenti faceva quasi tenerezza, per non dire compassione. -Sono solo fissarie alla fine, cose che passano.

-Le prometto che tutto quello che mi dice non uscirà da questo laboratorio, può starne certa, - le garantì Ludovica per tranquillizzarla. -Però, se posso permettermi, non mi sembra che abbia la faccia di una persona che è contenta di sposarsi ora... - aggiunse, un po' titubante.

Dal modo in cui Maria evitava il suo sguardo e la tensione nel suo linguaggio del corpo capì di aver colto nel segno ma che la sola idea di ammetterlo le faceva quasi paura, e allora Ludovica decise che forse valeva la pena di venirle un po' incontro per cercare di aiutarla come poteva. Chissà, forse raccontare un po' meglio la sua esperienza avrebbe aiutato Maria a sentirsi un po' più compresa e un po' meno sola:

-Glielo dico perché se Riccardo non avesse annullato il matrimonio e io non mi fossi ritrovata senza più niente in mano a quest'ora ci saremmo sposati e avrei commesso l'errore più grande della mia vita. Solo che io a differenza sua all'epoca non riuscivo a rendermene conto, pensavo che sposarlo sarebbe bastato a rendermi felice per sempre. E invece poi con il tempo ho capito che se lo avessi fatto avrei vissuto una vita piena di insoddisfazioni, sentendomi sempre inadeguata, sbagliata, non abbastanza per lui... Per questo le dico, ci pensi bene, anche perché dopo non si torna indietro.

-Lo sa, quello che lei descrive è molto simile a come mi sono sentita io con Rocco tante volte, - confessò Maria, sempre tenendo gli occhi bassi, -e forse pure troppe. A volte quando ancora non stavamo insieme mi sembrava proprio di dover faticare per ricevere le sue attenzioni, due parole gentili, mi accontentavo davvero di un niente per essere felice. È come ha detto lei, mi sentivo sempre che ero io quella sbagliata se lui non mi voleva, se non si decideva a fare un passo, che forse non era pronto e mi dovevo impegnare io di più per convincerlo a stare con me, che dovevo fare le strategie per conquistarlo, pareva una guerra.

Ludovica la guardò e si sentì invadere da un misto di tenerezza e compatimento nei suoi confronti. Quante volte anche a lei con Riccardo era sembrato di doversi impegnare e sforzarsi per tenerselo accanto, e sempre con pessimi risultati. Chissà, forse se non avesse messo incinta Nicoletta Cattaneo prima o poi anche loro due si sarebbero ritrovati nella stessa posizione di Maria e Rocco. Non aveva bisogno che Maria lo dicesse apertamente per capire quanto aveva sofferto (e probabilmente ancora soffriva) per quella situazione, esattamente nello stesso modo in cui aveva sofferto lei ogni volta che Riccardo l'aveva fatta sentire ignorata o poco importante o trascurata o la sua seconda (per non dire terza, quarta, quinta, sesta, ventesima) scelta, e se possibile la pena che stava provando per lei aumentò ulteriormente.

-Mi sembra di sentire parlare la Ludovica del passato, glielo giuro, - le rivelò con un po' di amarezza. -E allora come mai lei vuole sposarlo?- domandò poi, sperando che quella domanda spingesse Maria a chiedere a se stessa se lo stesse facendo per i motivi giusti.

-Eh, perché voglio sposarlo... la verità è che me lo domando pure io ora, - confessò Maria sommessamente.

-E di questo ne ha parlato con qualcuno?- le chiese poi, nonostante anche in questo caso poteva tranquillamente immaginare quale fosse la risposta. Con chi avrebbe dovuto parlarne esattamente, la signora Amato? E poi Ludovica sapeva che non c'era solo questo. Il problema principale, quello alla base, era che quando per tutta la vita una certa visione viene imposta su qualcuno, alla fine per assurdo si inizia a pensare di non avere diritto di sentirsi in modo diverso, si inizia quasi a dimenticare che le emozioni che si provano hanno una qualche rilevanza. Figurarsi se questo poteva portare una persona nella loro condizione a dare voce a quello che sentivano ed esprimerlo, se a momenti neppure loro stesse riuscivano a riconoscerlo pienamente. Era stata soltanto l'esperienza che aveva vissuto ad averla fatta riflettere e spronata a guardarsi dentro e ascoltarsi, per poi capire con il tempo che quel matrimonio sarebbe stato nocivo tanto per lei quanto per Riccardo.

-No, macchè, - rispose Maria, confermando ancora una volta quello che Ludovica aveva già ipotizzato. -Un po' è anche perché mi vergogno se devo essere sincera, dopo quanto abbiamo dovuto lottare per stare insieme poi...

-Però dico, ci sarà un perché lei si è innamorata di lui, no?- le ripropose la domanda l'altra, forzandola quindi a interrogarsi e riflettere su quelle che erano le sue di emozioni.

-Diciamo che è un po' come il suo caso con Guarnieri signorina Brancia, - raccontò Maria, -le nostre famiglie ci volevano insieme fin da piccoli e io ho sempre pensato che alla fine ci saremmo sposati, che era lui quello giusto per me. Però adesso... è che ultimamente sono successe delle cose che mi hanno un po' scombussolata e mi hanno fatto riflettere, ecco, e non lo so più se questo mi basta adesso e se mi va ancora bene.

Beh, quello prometteva bene. Era proprio perché si stavano avviando sulla giusta strada che Ludovica sapeva bene che non poteva lasciare perdere il discorso proprio adesso, anche correndo il rischio di sembrare invadente:-Riflettere a proposito di cosa? Se se la sente di parlarne, naturalmente.

-Ma un po' su tante cose, sul fatto che ad esempio Rocco non mi chiede mai niente di me, a volte mi sembra che manco m'ascolta, che quello che dico o quello che faccio non gli interessa... - iniziò la sarta. -E poi...

-E poi?- ripeté Ludovica. A giudicare dal tono di voce di Maria e l'esitazione che aveva mostrato nel finire quella frase, sembrava quasi che alla parte più importante, quella che le premeva di più, doveva in realtà ancora arrivare.

-E poi niente, io ho capito che forse con lui non mi sono mai sentita veramente bene, ecco. Cioè non che mi trattava male o era cattivo perché si figuri, Rocco è un pezzo di pane, si vede subito che è un uomo gentile e sensibile, però... però non mi è mai venuto da essere spontanea con lui, che ne so anche solo lasciarmi andare, ridere, scherzare insieme. Ha presente quando sei insieme ad una persona, la guardi e pensi solamente che vorresti starci vicino anche per ore, anche solo seduti insieme senza fare niente di particolare, perché ti basta averla accanto che tu già solo così ti senti bene?

Gli occhi di Maria per un attimo si illuminarono mentre pronunciava quelle parole, e Ludovica si rese conto che quella era la prima volta nel corso della conversazione in cui le era sembrata veramente felice. Non ci voleva poi un genio a capire che chiaramente non stava pensando al suo futuro marito.

-E questa persona scommetto che ha un nome e un cognome, - concluse infine lei ad alta voce.

-Eh...

-A giudicare dalla sua faccia direi che ho fatto centro, - commentò, lasciando all'altra la libertà di ampliare l'argomento senza però chiedere in modo diretto.

-La prego signorina Brancia mi prometta che non lo dirà a nessuno, se qualcuno lo viene a sapere... - iniziò la sarta, nuovamente spaventata. La compassione di Ludovica nei suoi confronti, se possibile, crebbe ulteriormente.

-Gliel'ho già detto, può stare tranquilla Maria, sul serio, - tentò nuovamente di rassicurarla.

-Lei pensa che sono una persona orribile se devo sposarmi e non riesco a smettere di pensare a... a questa persona?- domandò Maria.

-Niente affatto. Anzi, penso che lei abbia avuto la grande fortuna di rendersene conto quando è ancora in tempo per cambiare le cose. Lo sa, io sono convinta che se mi ha parlato in questo modo di quest'altra persona è perché forse dentro di sé lo sa già quello che vuole. Deve soltanto trovare la forza di ammetterlo, - la spronò Ludovica, sperando che il suo discorso potesse esserle di qualche conforto. Sapeva bene che a parole era molto semplice, con i fatti invece spesso era tutt'altra storia.

-Forse sì... Però non è così facile. Io e questa persona... diciamo che non è semplice. Anzi, è praticamente impossibile, - raccontò Maria, inavvertitamente mettendo curiosità a Ludovica in merito a tutta la faccenda.

-Perché pensa che lui non ricambi?- tentò di ipotizzare.

-No, non è questo... - incominciò Maria, un po' esitante. -Cioè non lo so a dire la verità... C'è stato un bacio, però poi dopo ho avuto paura e così ci ho detto che non ne dovevamo parlare più e di dimenticarselo...

-E poi?- chiese l'altra, curiosa di scoprire gli sviluppi.

-E poi niente, da quel momento faccio il possibile per evitare di rimanerci sola assieme anche se non è semplice, perché io lo so che ho sbagliato e mi sento davvero tanto in colpa... - rivelò Maria. -Però vede il fatto è che se anche scoprissi che anche questa persona, insomma, ricambia, non può proprio funzionare a prescindere, la mia famiglia non accetterebbe mai una cosa così... e non solo la mia famiglia.

Le cose si stavano facendo inaspettatamente interessanti. Un amore proibito, chi l'avrebbe detto che la giovane Maria Puglisi si addentrasse in storie di questo tipo? Immediatamente la mente di Ludovica fu portata a chiedersi quale fosse il grande ostacolo che impediva la loro unione, e una serie di ipotesi le vennero in mente. Avrebbe potuto trattarsi di un uomo molto più vecchio di lei, o molto più ricco di lei, oppure addirittura già sposato, o comunque fidanzato... Però c'era un dettaglio che nella sua testa non quadrava. Perché aveva detto che non era semplice non rimanere sola con lui? Per quel che ne sapeva lei la signorina Puglisi e la signora Amato trascorrevano la maggior parte del tempo al Paradiso, almeno durante la settimana, per cui se evitarlo non era semplice doveva necessariamente trattarsi di qualcuno che lavorava lì... Il che non aveva assolutamente senso visto che la maggior parte degli impiegati era di sesso femminile. Che si trattasse di un qualche magazziniere? In quel caso però non sarebbe dovuto essere così difficile, tranne giusto il signor Ferraris, che per giunta abitava pure nel suo stesso palazzo (e ovviamente la sola idea sarebbe stata quantomeno ridicola). Per cui a meno che non fosse una donna, Ludovica doveva iniziare ad escludere che fosse qualcuno di collegato al Paradiso e magari prendere in consid... oh. Oh.

Beh, se si fosse trattato di una donna, questo avrebbe spiegato tante cose. Anche perché Salvatore ne avrebbe parlato a Marcello se avesse visto la futura moglie di suo cugino trascorrere all'improvviso tanto tempo con un altro uomo, e Marcello ne avrebbe parlato con lei, visto che avevano l'abitudine di raccontarsi a vicenda i pettegolezzi sulle persone che conoscevano. Una donna, d'altra parte, non avrebbe destato il minimo sospetto. Che Maria Puglisi si fosse davvero innamorata di una delle Veneri? Se è così, Ludovica poteva ben capire perché ora fosse completamente terrorizzata da quei sentimenti.

-Come fa a esserne così sicura?- domandò poi, curiosa di vedere se la risposta della sarta avrebbe potuto confermare la sua ipotesi.

-Eh, diciamo che lo so e basta. E poi non è solo la mia famiglia il problema... è che non lo potrebbe sapere proprio nessuno, ecco, un po' come nel caso suo e di Marcello, - spiegò Maria. Beh, se fosse stata una relazione tra due donne, sarebbe stato molto semplice intuire il perché...

-Non è una situazione facile, lo capisco perfettamente, - la compatì Ludovica. -Io naturalmente non posso dirle cosa fare Maria, è giusto che segua quello che sente. Però le posso dire che tornando indietro rifiuterei Riccardo mille volte pur di stare con Marcello, anche se è difficile, anche se abbiamo praticamente tutto il Circolo e la società contro e mia madre probabilmente preferirebbe disconoscermi come figlia piuttosto che accettarlo come futuro genero. Non posso dire che tutto questo non mi pesa, certo, però... - si fermò, cercando le parole giuste per esprimere al meglio quello che voleva dire.

-Però?

-Però non c'è mai stato nessun altro che mi ha mai fatta sentire come lui. La differenza più grande rispetto a Riccardo era che alla fine io non ero nemmeno innamorata di lui, amavo l'idea di averlo e di essere sua moglie. Invece di Marcello amo la persona che è, così come lui ama me. E non mi ha fatto sentire sbagliata, inadeguata o non abbastanza nemmeno una volta, glielo garantisco. Mi ama per quella che sono e questo vale molto di più dell'approvazione della società, o di mia mamma o di tutti quelli che non riescono a capirci, - raccontò, sperando di riuscire ad incoraggiare almeno un pochino la povera Maria a non lasciarsi abbattere e seguire quello che il suo cuore le diceva. Se non altro sapere di avere il sostegno di almeno una persona poteva essere un punto di partenza.

-Sono contenta che adesso siete felici, signorina Brancia. Anche io penso che fa bene a seguire quello che sente... ci vuole molto coraggio. Io però non lo so se ce l'ho, - sospirò Maria, abbattuta.

-Certo che ce l'ha! - la incoraggiò Ludovica. -Intanto ha avuto il coraggio di dirlo a qualcuno, e se permette non è poco.

-È da tempo che avrei voluto farlo in realtà, però non sapevo a chi dirlo... - confessò con occhi tristi. A Ludovica bastò un'occhiata per realizzare che doveva sentirsi più sola che mai, soprattutto se aveva ragione e il peso di quella situazione gravava su di lei come un macigno. -Anzi mi dispiace di averla disturbata coi miei problemi, che lei sicuramente avrà cose più serie a cui pensare.

-Ma si figuri quale disturbo, anzi le dirò, a volte secondo me risulta addirittura più facile aprirsi con uno sconosciuto, chissà forse perché temiamo di meno il loro giudizio... - disse, nel tentativo di cercare di tranquillizzare l'altra. Spinta dalla compassione per lei, Ludovica si sentì di aggiungere, per quanto probabilmente sarebbe potuto sembrare strano:-per cui sul serio, non si faccia scrupoli a cercarmi se ha bisogno di parlarne di nuovo o se vuole raccontarmi un po' meglio...

Stava per finire la frase e rassicurare Maria sul fatto che avesse una mentalità aperta e che qualsiasi cosa le avesse raccontato e chiunque fosse stata questa persona lei non l'avrebbe giudicata, quando la conversazione fu bruscamente interrotta da un rumore che proveniva da dietro la porta: qualcuno aveva appena bussato.

-È permesso?



Nota dell'autrice
Ho deciso di dividere questo lungo ed estenuante capitolo in due parti perché era davvero necessario. Quando ho iniziato pensavo che sarebbe stata una semplice one shot leggera e che ricalcasse i toni della soap, e invece con ogni aggiornamento si aggiunge l'ennesima carellata di dramma e disperazione per queste due poverette. Spero non risulti troppo pesante da leggere, non vedo l'ora di mettere un punto a questa lunghissima parte iniziale sull'accettazione dei loro sentimenti e dedicarmi a cose più leggere, anche perché le puntate più recenti mi hanno fornito davvero una lista infinita di spunti sui quali lavorare. Grazie alle povere anime che stanno ancora leggendo questo melodramma francese, lo apprezzo molto! Spero vi sia piaciuto anche l'approfondimento che ho dato a Ludovica, personaggio che mi ha sempre incuriosita. Nel prossimo capitolo trovate la parte seconda, più breve rispetto a questa prima che riunisce invece due scene.

 

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Capitolo 7
*** Niente - parte seconda ***


-Irene?

-Sì?

-Si può sapere che t'è preso prima?

La voce contrariata di Maria fece risuonare nella stanza semi-vuota tutto il disappunto della coinquilina di Irene (per non dire irritazione). Anche l'ultima teglia di dolci era stata infornata quasi nel più completo silenzio, rotto di tanto in tanto da due frasi di circostanza pronunciate perlopiù dalla Venere in un fallimentare tentativo di riempire quei momenti vuoti. Adesso che finalmente avevano finito, ecco che Maria si era finalmente decisa a rivolgerle la parola e che cosa faceva? L'attaccava?! Sarebbe dovuta essere Irene quella arrabbiata con lei, casomai! E invece stava pure cercando di comportarsi bene e andare d'accordo, nonostante il suo atteggiamento evitante delle ultime settimane non le avesse proprio fatto piacere.

-Prima quando?- domandò, non capendo precisamene a che cosa stesse facendo riferimento la sua coinquilina. Del resto niente di quello che diceva o faceva le andava mai bene.

-Prima, con Ludovica... - spiegò Maria, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. Evidentemente notando l'espressione quantomeno stupita di Irene nel sentire l'altra chiamare Ludovica Brancia di Montalto per nome, Maria si corresse subito dopo:- Con la signorina Brancia.

E da quant'era che avevano tutta quella confidenza? Adesso che la Brancia aveva ricevuto l'approvazione di casa Amato perché stava con Marcello all'improvviso era diventata simpatica? Mah. Certe volte Irene faticava proprio a comprendere certe logiche.

-Ah, Ludovica, la chiami anche per nome!- scherzò. -Cos'è, siete in confidenza adesso?- domandò, tentando di sembrare molto meno interessata di quanto in realtà non fosse per cercare di capire se davvero Maria ci avesse stretto amicizia – per quanto improbabile le sembrasse quell'ipotesi.

-Ma va, che dici, è che prima stavamo tutte e due qua a preparare dolci e abbiamo parlato un poco-, raccontò Maria, -è simpatica.

-Ah sì? Adesso hai amicizie nell'alta società? - la prese nuovamente in giro Irene. Del resto l'aveva addirittura definita “simpatica”, non era poi una domanda così strana da fare. Un momento... non sarà stata mica gelosa del fatto che Maria aveva passato del tempo e dato attenzioni a un'altra ragazza? Oh no. No, ma certo che no, figuriamoci se le importava di cosa faceva quell'altra là. Una persona che preferiva passare il suo sabato pomeriggio chiusa in caffetteria a lavorare gratis rispetto alla compagnia sua e di Stefania chiaramente non meritava le sue attenzioni.

-Se, adesso, due chiacchiere abbiamo fatto, lascia perdere i sogni di gloria qua che non è cosa, - replicò Maria, sempre rigida e seria. Tuttavia, per mezzo secondo a Irene sembrò di intravvedere un piccolo sorriso spuntare sul suo viso e sentì per un istante un tuffo al cuore al pensiero di essere riuscita a strapparglielo. Significava che forse Maria non era così distante come voleva far sembrare... o no? In parte la cosa le faceva piacere.

-Giusto, dimenticavo che tu frequenti solo le persone che di cognome fanno Amato, altrimenti non ti piacciono, - la schernì poi, cercando di mascherare al meglio che poteva tutti i sentimenti contrastanti che stava provando in quel momento. -E di cosa avete parlato?- domandò, ancora un po' curiosa di approfondire la faccenda. Giusto un pochino.

-Ma no, niente, del più e del meno... Così, giusto per dire qualcosa. - Dopo una pausa di qualche secondo in cui Irene attese pazientemente che rivelasse altro, Maria continuò:-Mi ha raccontato un po' di lei e Marcello se proprio ci tieni a saperlo, della loro storia. A me Salvo giusto due cose aveva detto ma non è che ne sapevo più di tanto.

-Qualche pettegolezzo interessante?- chiese la Venere.

-Irè, se anche lo sapessi non te lo direi, che tu poi a tutta Milano lo vai a raccontare e mezzo Paradiso domani già lo sa, - la ammonì Maria, e questa volta Irene fu sicura di vedere, sempre per una manciata di istanti, l'espressione che Maria faceva sempre quando le veniva da ridere ma si doveva trattenere e fare la seria, e immediatamente Irene si addolcì dentro e buona parte della rabbia e del risentimento che aveva provato nei suoi confronti svanirono in un colpo, all'improvviso cancellati dalla sensazione di familiarità che suscitavano in lei i loro continui battibecchi e i finti litigi, i quali naturalmente continuavano a nascondere tutta una serie di cose che però rimanevano non dette. Sapeva soltanto che le era mancata Maria in quei giorni, e adesso che finalmente poteva passare un po' di tempo sola con lei (quasi quasi Ludovica Brancia iniziava a star simpatica anche a lei) per un attimo le cose le sembravano tornate come prima; alla normalità.

-Ma se domani è domenica!- fece presente Irene, fingendosi contrariata.

-Appunto, per questo ho detto mezzo, - continuò a prenderla in giro Maria. Ma da chi stava imparando ad essere così sfacciata quella ragazza? Pensare che all'inizio quando era arrivata a Milano era tutta buona e gentile con tutti, e Irene invece si beccava sempre le frecciatine e le prese in giro, non era giusto!

-Guarda che si da il caso che sono perfettamente in grado di tenere un segreto, quando voglio! - si difese Irene, tentando di mantenere alto il suo orgoglio e il suo nome. Tuttavia, non appena ebbe detto quelle parole si rese immediatamente conto che così facendo aveva fatto (involontariamente) un implicito riferimento a... quello che era successo tra loro, e che di fatto lei avrebbe dovuto (cosa che aveva fatto, chiaramente) mantenere segreto. Lei e Maria si scambiarono un'occhiata di intesa, e a giudicare dall'espressione spiazzata, un po' spaventata ma soprattutto molto imbarazzata sul viso di quest'ultima, capì che stavano pensando la stessa cosa. Allora, per dissipare l'imbarazzo e il piccolo disagio venuto a crearsi, alla fine la Venere decise di aggiungere:- È soltanto che il più delle volte non voglio, tutto qua.

-Ecco, appunto, sei incorreggibile, - la riprese Maria ancora una volta, naturalmente evitando l'argomento come la peste. -Già è tanto che non ti sei fatta scappare con le altre ragazze che Ludovica e Marcello hanno una storia, e menomale, che se no succedeva il finimondo e ci andavo di mezzo pure io.

-Quanto la fai tragica! -esclamò Irene, in parte quasi divertita dai soliti eccessi di drammaticità mostrati dalla coinquilina. -E che sarà mai, come se a Dora o Paola poi cambiasse così tanto sapere che due che conoscono a malapena hanno una storia e passano il sabato pomeriggio a preparare dolci in caffetteria.

-Intanto loro non vogliono che si sappia e noi questa cosa la dobbiamo rispettare, - le fece presente Maria, questa volta con più serietà. Ed ecco che la versione noiosa e pesante stava tornando... Sul serio, Irene certe volte proprio non riusciva a capire da dove venissero tutte le paranoie che si faceva.

-Se lo dici tu... - rispose, con un po' di scetticismo. Dopodiché non aggiunse nient'altro e lasciò che cadesse nuovamente il silenzio, curiosa di vedere se Maria avrebbe ripreso la conversazione e, nel caso, di cosa avrebbe voluto parlare. La sua risposta non tardò ad arrivare:

-Senti, ma... a proposito di segreti, - cominciò Maria, la voce piena di un nervosismo quasi palpabile.

-Sì?- chiese Irene, mentre dentro di sé si riaccese improvvisamente la speranza che forse, finalmente, Maria volesse parlare di...

-Tu non... non lo hai detto a nessuno, no, di... - iniziò quest'ultima, titubante. Mentre abbassava lo sguardo a terra, quasi come se si fosse vergognata troppo per guardare Irene negli occhi, la sua voce si fece più flebile e sommessa.

-Di cosa?- domandò Irene, per incoraggiarla a finire la frase.

-No, niente, lascia stare, - si ritrasse all'ultimo l'altra.

E no eh! Questa volta Irene non le avrebbe permesso di scapparsene via tanto facilmente. Non che in effetti lei si sentisse pronta per parlare apertamente di quella cosa, o di quello che aveva significato, perché forse in fondo non lo sapeva nemmeno lei con precisione, c'erano così tante cose sulle quali non aveva voluto soffermarsi a pensare o riflettere per paura di aprire una parentesi così tanto grande che poi sarebbe stato impossibile richiuderla senza farsi male – cosa che ovviamente sarebbe successa, visto che Maria presto si sarebbe sposata. Eppure, nonostante tutto, Irene avrebbe preferito comunque affrontare l'argomento rispetto a continuare a fare finta che non fosse successo nulla. Chiaramente Maria era rimasta turbata da quanto accaduto, e se non riusciva a bloccarlo al punto che questa cosa le impediva di intrattenere rapporti con lei come prima allora era meglio che risolvessero la questione una volta per tutte e la affrontassero.

E poi, non c'era solo quello... il fatto era che anche per Irene, per quanto quest'ultima avesse fatto del suo meglio per non mostrarlo, le cose erano cambiate profondamente. Spesso, soprattutto quando restava da sola, ripensava a quanto successo, ripensava a come erano stati belli quei momenti insieme e tutta quella serata e si sentiva profondamente ferita dal fatto che Maria aveva deciso da sola di ridurre tutto ad un niente, come non fosse mai accaduto. Non se lo meritava nessuna di loro due, e per quanto sapesse che era pur sempre un qualcosa a cui l'altra ragazza non avrebbe mai voluto (e probabilmente neanche potuto) dare un seguito, avrebbe preferito almeno ammetterlo e parlarne in modo onesto invece di vedere represse tutte le sue emozioni dalla decisione di un'altra persona.

-Dai, dimmi, che cosa!- insistette dunque, determinata a non lasciarsi scappare l'occasione.

-Ma no, niente, una cosa che non c'entra niente, non serve neanche che lo dico... - tergiversò Maria. Se non fosse servito a niente dirlo Irene sapeva che non l'avrebbe nemmeno menzionato, e la cosa la spinse a non arrendersi così facilmente e continuare ad insistere. Del resto conoscendo Maria era anche probabile che non avesse il coraggio di portare autonomamente l'argomento nella conversazione (come del resto non ne aveva mai avuto Irene nell'arco di quei giorni), e che avesse quindi bisogno di una spinta.

-Tu lo sai che non lo sopporto quando fai così, vero?- chiese Irene, assumendo per una volta un tono più serio e deciso.

-Così come?

-Dici una cosa e poi ti tiri indietro, - le fece notare, protestando. -Se non ne vuoi parlare non ne parlare proprio, altrimenti cosa lo dici a fare!

Maria sospirò e abbassò lo sguardo a terra una seconda volta. Ecco, ci siamo, pensò tra sé e sé Irene. Finalmente il momento della verità.

-Ma no niente Irè, dicevo soltanto dell'altra sera, di quello che è successo.... Tu non lo hai detto a nessuno, no?- chiese Maria, mantenendo un tono di voce estremamente basso. -Come ti ho chiesto.

-L'altra sera quando? - Irene finse di non capire. Visto quanto Maria l'aveva evitata nell'ultimo periodo, adesso se non altro le doveva di fare uno sforzo ed andare un po' più nello specifico.

-L'altra sera quella sera Irene, quante ce ne devono essere!- esclamò Maria, quasi alterata. Irene non sapeva se avesse reagito così perché aveva veramente creduto che lei se ne fosse dimenticata, ma il sospetto la fece per un attimo sorridere e, allo stesso tempo, contribuì a rasserenarla almeno temporaneamente. Se Maria era scattata in quel modo significava che le aveva dato fastidio, il che era un ulteriore conferma del fatto che quel bacio per lei non era stato esattamente un niente. -Quello che è successo tra noi, hai presente... - continuò poi Maria, quasi in un sussurro.

A giudicare dal modo in cui la voce quasi le tremava a Irene sembrò quasi spaventata e per un attimo le fece tenerezza. Aveva una voglia immensa di stringerla a sé e rassicurarla del fatto che non era sola e che tutto si sarebbe sistemato in un modo o nell'altro, ma non lo fece e si trattenne; il suo corpo era come paralizzato a causa di tutta la tensione accumulata.

-Sì, ho presente, - rispose Irene infine, abbassando la voce a sua volta -e no, non l'ho detto a nessuno, puoi stare tranquilla. Non è il genere di cosa che ho interesse a raccontare in giro, se ti rassicura.

-Ah, bene, - sospirò Maria, quasi sollevata. Poi, dopo qualche istante, aggiunse:-Ma perché ti sei pentita dici?

Aspetta un attimo, che cosa le aveva appena chiesto?! Sul serio le aveva appena domandato se si fosse pentita? La domanda colse Irene così alla sprovvista che il suo primo istinto fu quello di scappare via ed evadere il quesito – se non altro proprio perché non era preparata e, di conseguenza, non aveva una risposta pronta.

-Pensavo che avessi detto di non parlarne più, no?- domandò, correndo ai ripari.

-No ma infatti io manco lo volevo dire veramente, sei tu che hai insistito, - gettò la colpa su di lei Maria.

-Ah, io?

-Sì, tu, vedi qualcun altro qui? Poi non c'è manco tanto da dire se per questo, no? - chiese Maria.

Entrambe si guardarono in silenzio per qualche istante e una strana atmosfera di imbarazzo invase la stanza. Perché doveva essere tutto così complicato? Perché non poteva semplicemente andare dall'altra parte del tavolo, baciare Maria un'altra volta e ignorare tutti gli Amato e tutto il resto, e invece dovevano per forza fare queste cose noiose e difficili e faticose come parlare?

-Infatti, visto che facciamo finta che non è successo niente, - evidenziò Irene, con una punta di amarezza. Poi, capendo che Maria in qualche modo un passo verso di lei lo aveva fatto e ora stava a lei venirle incontro per sbloccare la situazione, si prese qualche istante per racimolare tutto il suo coraggio e rispondere, infine, alla domanda che poco prima aveva evitato:- E comunque se proprio lo vuoi sapere la risposta è no.

-Che risposta?- domandò Maria, momentaneamente disorientata.

-Mi hai chiesto se mi sono pentita prima, no?- le ricordò. Poi, sentendosi a sua volta imbarazzata da quella confessione, che allo stesso tempo era in qualche modo anche un'ammissione di vulnerabilità, Irene fu sopraffatta dall'istinto di allontanarsi e diede quindi le spalle a Maria, facendo alcuni passi in direzione del muro dietro di lei senza nessuna ragione in particolare, se non quella di fare due passi per la stanza e scaricare almeno in parte la tensione. Mentre aspettava la reazione di Maria, che per lunghissimi, interminabili secondi non accennava ad arrivare, un'ondata di nervosismo la travolse al punto che le sembrò quasi che una voragine fosse sbucata all'altezza del suo stomaco e la stesse inghiottendo da dentro. Fino a quando, alla fine, non sentì un rumore di passi accompagnato da una voce.

-No aspetta Irè, sul serio non te ne sei pentita?

Quando Irene si girò, scoprì con sua enorme sorpresa che Maria si era pericolosamente avvicinata a lei e ora le stava di fronte, le guance arrossate e gli occhi verdi puntati sul suo viso che la fissavano con una serietà disarmante, come se fosse stata una questione di vita o di morte.

-Sul serio, - confermò, dopo una breve esitazione. No, non si sarebbe tirata indietro proprio adesso, soprattutto visto quanto aveva dovuto aspettare per avere quel momento da sola con lei. Se si fosse lasciata sfuggire l'occasione a causa della paura, chissà quando sarebbero riuscite a parlare di nuovo... -È stato... - Irene esitò un attimo, alla ricerca delle parole giuste (che però non rivelassero troppo di quello che in realtà aveva provato), -quello che mi sentivo di fare in quel momento. Quella pentita casomai sei tu, visto che sei scappata come un coniglio e mi eviti come la peste da quel giorno, - la accusò infine, facendo chiaramente intendere la delusione che Maria aveva provocato in lei con quel comportamento.

-Irene mettiti nei miei panni, cos'altro potevo fare? - le chiese con rassegnazione, gesticolando con le mani per dare una maggiore enfasi. Irene vide Maria fare un passo verso di lei e accorciare le distanze tra loro e all'improvviso sentì il cuore iniziare a batterel più forte all'interno del petto. Erano così vicine... -Io non... quello che ho fatto non doveva succedere, punto, non ho nessuna scusa. E non dovrebbe manco succedere più... se ti sto lontana almeno non corro il rischio nemmeno per sbaglio, - concluse infine, spostando lo sguardo sul tavolo alla loro destra.

Irene la guardò con dolcezza mentre un sorriso colorò le sue labbra. Sapeva che non era quello il momento adatto, ma dove prima dentro di sé aveva avvertito una pesante voragine che la inghiottiva e la buttava giù adesso invece si sentiva come fluttuare, ad aver ricevuto l'ammissione che anche Maria avrebbe voluto baciarla di nuovo e se si stava tenendo lontana da lei era perché non era sicura che sarebbe stata in grado di trattenersi dal farlo una seconda volta – oltre ai sensi di colpa, chiaramente. Spinta dall'ammissione indiretta della ragazza, anche Irene sentì di avere voglia di fare un passo verso di lei e allora allungò una mano verso la guancia di Maria e gliela accarezzò con dolcezza per alcuni istanti, prima di spostare delicatamente il suo viso verso sinistra così che i loro occhi potessero incontrarsi nuovamente.

-È di questo che si tratta allora? Scappi da me perché hai paura che se rimaniamo sole ci sarà un altro bacio?- le chiese con un sorriso, senza però spostare la mano. A Maria tuttavia quel contatto non sembrò dare per nulla fastidio, visto che non fece assolutamente niente per spostarsi o per allontanarla.

-Sshh, abbassa la voce! - esclamò prontamente l'altra, sussurrando. -E comunque no, non è questo, - spiegò poi, evitando ancora il suo sguardo mentre la colorazione rossa che tingeva le sue guance, se possibile, si faceva ancora più intensa. Irene la osservò e seppe con certezza che stava mentendo, ma la lasciò continuare e non la interruppe, mettendosi nei suoi panni e capendo che non doveva essere una posizione affatto semplice per lei. -È che... un po' è che mi sento in colpa, però non c'è solo questo. È che io da quel giorno sto avendo tanti pensieri, tanti dubbi, mi sembra che sto uscendo pazza.

-Hai dei dubbi su di me?- le domandò Irene, mentre sentiva il suo cuoricino farsi stretto stretto all'interno del petto vedendo quanto Maria stava soffrendo e stava male. Se era stata dura per lei, non riusciva neanche a immaginare cosa avesse passato l'altra ragazza... ed entrambe erano state troppo spaventate per riuscire a parlarsi e confrontarsi apertamente, lasciando quindi che tutti quei pensieri e quei sentimenti e quelle incertezze le divorassero da dentro.

-No... - sospirò Maria sconsolata. -Cioè sì, anche, non solo... Non lo so Irè, mi sembra di essere confusa su tutto, su tutto proprio.

Irene lo sapeva che forse non era proprio una buona idea, ma in quel momento poco le importava. Il suo istinto finì per avere la meglio e, vedendo l'altra ragazza così affranta e triste e spaventata, per una volta diede retta alla sua parte emotiva e avvolse Maria in un abbraccio di conforto. Scoprì solo allora di non essersi nemmeno resa conto pienamente di quanto ne sentiva la mancanza, almeno fino a quel momento. La sensazione di calore che provò mentre teneva stretto il corpo piccolino e minuto di lei e le accarezzava teneramente la schiena la pervase e la travolse, e Irene senza pensarci chiuse gli occhi e per un attimo si abbandonò ad essa, lasciando tutto il resto dei pensieri fuori dalla porta di quel piccolo laboratorio. Cucinare insieme a Maria Puglisi provocava decisamente uno strano effetto su di lei, ma in tutta sincerità ormai non cercava nemmeno più di combatterlo.

L'unica cosa che Irene registrò di quel momento fu il profumo di dolci e farina che invadeva la stanza e la ragazza tra le sue braccia, e tutto un tratto per alcuni secondi le bastò per essere felice. Il solo fatto di avere Maria accanto a sé, anche così, anche in momenti semplici e quasi rubati come quello lì, in cui nemmeno parlavano né facevano niente di particolare, era sufficiente a farla sentire... bene. Poteva sembrare banale o forse addirittura anche stupido, ma non avrebbe saputo trovare parole più appropriate per descriverlo.

-Tu invece non hai dubbi, pensieri, è tutto come prima per te?- domandò poi Maria, la voce ancora piuttosto scossa.

Irene esalò un sospiro. Pur continuando a tenere Maria stretta tra le sue braccia (e viceversa) fece un passo indietro per poterla guardare negli occhi, poi rispose alla sua domanda:-Certo che ho dei dubbi, però tu mi hai detto che volevi fare finta che non fosse successo niente, e allora ho pensato che non aveva senso perdere tempo a pensarci e ho cercato di fare come volevi...

-Che credi che non c'ho provato anche io a dimenticarmene e fare come se non fosse successo niente? Però io non ci sono riuscita. Anzi, non ci riesco.

Per l'ennesima volta nel corso di quella conversazione Irene sentì un tuffo al cuore, mentre la sensazione di vuoto alla base dello stomaco tornava a minacciare di risucchiarla, questa volta senza alcuna possibilità di risalita. Maria Puglisi aveva appena ammesso di non riuscire a non pensare a lei, nonostante ci avesse provato (e pure tanto). Maria Puglisi aveva appena ammesso di non riuscire a dimenticarsi del loro bacio. Irene osservò le sue guance arrossate e i suoi bellissimi occhi verdi che quasi splendevano e sembravano come illuminare la stanza, e anche se era l'ultimo dei pensieri che avrebbe dovuto avere, soprattutto in un momento come quello, il suo cervello non riuscì a fare a meno di pensare che Maria Puglisi era stupenda e che aveva una grandissima voglia di baciarla (un'altra volta), proprio lì e proprio allora, tanto più che il suo viso le era così pericolosamente vicino e le sarebbe davvero solo bastato inclinare un po' il capo, sporgersi in avanti di qualche centimetro e poi incontrare quelle labbra morbide e... No! Non era il momento (né il luogo, a dirla tutta). Maria era triste e confusa e sconfortata, e se lei si fosse lasciata tentare e avesse ceduto al suo istinto dandole un altro bacio questo non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, probabilmente per entrambe. Adesso doveva pensare a calmarla e parlare con lei, una buona volta, per chiarire definitivamente la loro situazione. Quello che sarebbe successo dopo, ulteriori baci inclusi, nessuno era ancora in grado di prevederlo (anche se Irene in cuor suo già sapeva che ci sarebbe rimasta malissimo se Maria alla fine le avesse detto che non se la sentiva e avesse preso la decisione di allontanarsi per dare un taglio netto a qualsiasi cosa ci fosse stata tra di loro, la sola idea le spezzava il cuore).

-Non è facile neanche per me, - sospirò Irene, mentre con una mano accarezzava nuovamente la guancia dell'altra ragazza. Prendendola poi per le braccia, Irene la fece spostare di qualche passo e la mise a sedere su uno degli sgabelli all'interno della stanza, poi le prese le mani e parlò guardandola negli occhi: -Però tu ti stai per sposare e mi hai detto che è stata una sciocchezza, che te ne vuoi dimenticare... Cos'altro posso fare?

Sapeva perfettamente che Maria non era nella posizione di poter scegliere, di poter dare una possibilità a quella che era stata una semplice scintilla spenta sul nascere... eppure Irene era lì davanti a lei e la guardava come se dalle sue prossime parole dipendesse il destino dell'umanità, e tratteneva il respiro mentre una piccola, stupidissima parte di lei nutriva ancora la speranza di essere smentita, che la sua coinquilina invece le dimostrasse il contrario.

-Non lo so Irè, non lo so, - fu la risposta sconsolata di Maria. -Però io in questi giorni ho capito che anche se ignoro il problema comunque non serve a niente.

-Il problema? Sarei un problema adesso? - domandò Irene in tono ironico, cercando di buttarla sul ridere per smorzare un po' della tensione che era venuta a crearsi. Certo non era la risposta che avrebbe voluto sentire, ma perlomeno era un qualcosa a cui poteva aggrapparsi; se non altro Maria non aveva più intenzione di continuare a negare l'evidenza, era un inizio.

-Ma no, che hai capito, non tu...- tentò di spiegarsi quest'ultima.

-E allora cosa?- chiese Irene, sperando di riuscire a tirarle fuori qualcosa.

Maria abbassò lo sguardo e non rispose, e un silenzio assordante invase la stanza. Irene attese qualche istante, ma dall'altra parte non arrivò alcuna reazione, l'altra ragazza se ne rimaneva lì seduta con lo sguardo fisso per terra. Capendo che forse aveva bisogno di un piccolo incoraggiamento, Irene le alzò il mento per guardarla negli occhi e fece un secondo tentativo:

-Qual è il problema allora? - le chiese con dolcezza.

Maria continuò a restare in silenzio, soltanto che questa volta Irene riuscì ad osservarla meglio e si rese conto che i suoi occhi nel frattempo si erano riempiti di lacrime, che silenziosamente avevano incominciato a scenderle giù per le guance e rigarle il viso. La Venere capì solo allora quello che stava succedendo: probabilmente Maria non parlava perché non ci riusciva.

-Vieni qua, va tutto bene...- la rassicurò, mentre lasciò andare la mano della ragazza che stava ancora tenendo per avvicinarsi a lei e stringerla a sé in un abbraccio protettivo. Maria seppellì la testa nel suo petto e si lasciò coccolare, e nel mentre Irene le accarezzava la schiena e il collo e sentiva i suoi singhiozzi che venivano soffocati contro il grembiule che stava indossando. Più la sentiva piangere, più il cuore nel petto le si faceva piccolo piccolo e avvertiva una stretta che era quasi dolorosa. -Va tutto bene... - continuò poi, pur sapendo che difficilmente Maria le avrebbe creduto.

-Irene io non ce la faccio, - esalò infine quest'ultima, la voce rotta dal pianto. Poi si liberò dalla stretta di Irene e scivolò via dallo sgabello, allontanandosi da lei di qualche passo.

-A fare cosa?- chiese Irene, un po' contrariata da quella distanza improvvisa. Adesso che finalmente aveva l'impressione che qualcosa si stesse smuovendo, adesso che si era illusa che forse da parte di Maria avrebbe potuto esserci una reciprocità di qualche tipo...

-Non ce la faccio, - rispose e basta lei, facendo dietro front verso la porta. Irene la guardò confusa per qualche istante, non capendo cosa stesse succedendo. Fu solo quando l'altra fu sul punto di varcare la soglia e uscire che si rese conto che stava andando via.

-Maria, dove vai! - esclamò, venendole dietro per fermarla. -Aspetta!

Fu tutto inutile: Irene la guardò attraversare il locale sotto gli sguardi perplessi di Stefania, Salvo e Sofia per poi uscire dalla porta, senza nemmeno prendere il capotto o l'ombrello, aveva fatto giusto in tempo a togliersi il grembiule e appoggiarlo distrattamente vicino alla cassa. E Irene rimase lì. Si sentì triste, amareggiata e soprattutto impotente: lei e Maria avevano dato inizio a un qualcosa che chiaramente era più grande di loro, qualcosa che probabilmente nessuna delle due era in grado di affrontare. Chissà, forse era anche meglio così. Almeno non c'era pericolo che lei finisse per rovinare tutto, come suo solito del resto. Almeno non avrebbe finito per ferire Maria o per deluderla. Almeno così nessuna delle due avrebbe sofferto. E allora perché si sentiva come se una delle poche cose belle che avesse mai costruito in vita sua fosse appena scappata da lei e lei glielo avesse permesso, senza neanche muovere un dito? Perché quando Maria aveva lasciato la caffetteria sotto i suoi occhi si era sentita sprofondare?

-Irene dov'è andata Maria? Perché è corsa via piangendo? - le domandò Stefania. Irene non la guardò neanche, aveva gli occhi ancora fissi sulla porta dalla quale Maria era uscita pochi istanti prima.

-Non lo so... - rispose, troppo intontita per aggiungere altro o dare una spiegazione convincente.

-Come sarebbe a dire “non lo so”, come fai a non saperlo?! - replicò Stefania, quasi irritata. -Irene, che cosa le hai detto? Io lo so che non lo fai con cattive intenzioni, però giuro che se questa volta hai detto o fatto qualcosa che-

-Stefania se ti dico che non lo so non lo so! - sbottò la Venere all'improvviso. Come se avesse avuto bisogno di essere anche rimproverata, per giunta. Non aveva proprio tempo per questo. L'unica cosa che sapeva era che Maria era uscita da sola a Milano, in centro, con la pioggia, senza giacca né ombrello, e con una conversazione in sospeso con lei. Più i secondi passavano e più le possibilità di ritrovarla e farla ragionare diminuivano, e Irene non aveva proprio altro tempo da perdere. -Adesso scusami ma vado a vedere dove si è cacciata, - decretò infine con fermezza, passando oltre l'amica per affrettarsi a ritrovare la sua coinquilina. Dovunque Maria fosse andata a finire, lei l'avrebbe raggiunta e l'avrebbe riportata in laboratorio. Avevano una cosa in sospeso da troppo tempo ormai, e Irene questa volta aveva tutta l'intenzione di chiudere la faccenda una volta per tutte, nel bene o nel male.



Nota dell'autrice
Ecco qua la parte finale del capitolo. Purtroppo vi anticipo già che il tanto agognato confronto non avverrà nel prossimo capitolo perché prima di parlare tra loro Irene e Maria hanno bisogno di fare chiarezza prima di tutto con loro stesse. Grazie ancora per aver letto fin qua!

 

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Capitolo 8
*** Confessioni - parte prima ***


Quando quella sera Irene sentì bussare alla porta di casa sua, per un momento il sangue le si gelò nelle vene. Lei e Stefania smisero immediatamente di parlare, e con il cuore in gola la maggiore delle due si alzò per andare ad aprire. La delusione nei suoi occhi fu più che evidente quando davanti a lei si delineò il profilo della signora Amato, in tenuta da casa. Del resto la persona che aspettava lei le chiavi per aprire ce le aveva e non avrebbe avuto bisogno di bussare, ma una parte di sé comunque ci aveva sperato. Più i minuti passavano, accompagnati dall'inesorabile consapevolezza che Maria era da qualche parte là fuori, sola e al freddo, magari anche in pericolo, più Irene sentiva il peso che aveva sul cuore farsi sempre più grosso e ingombrante, a tratti addirittura opprimente. Aveva lo stomaco così chiuso che era riuscita a mangiare a malapena due forchettate del risotto che Stefania le aveva preparato, tanto era grande la sua preoccupazione. Se solo non si fosse spinta così oltre, se non la avesse forzata a parlare di qualcosa che per Maria evidentemente era fuori questione... E invece, come suo solito aveva rovinato tutto.

Dando una prima occhiata alla signora Amato, Irene immaginò che fosse venuta lì per rimproverarla o farle il terzo grado sul perché quella sera la loro coinquilina non fosse rincasata con loro dalla caffetteria. Del resto anche Salvatore era stato presente e aveva visto tutta la scena, compreso il momento in cui Irene e Stefania avevano fatto ritorno tre quarti d'ora dopo per avvisarli che non erano riuscite a trovare Maria da nessuna parte, né al Paradiso né in piazzetta né al mercato, e nemmeno in tutti i luoghi che visitavano abitualmente ogni qualvolta andavano a fare un giro in centro.

E invece, con suo grande stupore, per una volta Agnese Amato la sorprese in positivo quando quella sera parlò sull'uscio della porta di casa sua, per comunicarle l'unica notizia che Irene aveva un disperato bisogno di sentire: -Buonasera, scusate se vi disturbo a quest'ora ma di là c'è Maria al telefono, dice che vuole parlare con voi.

-Maria?!- chiese Irene, come per verificare di aver capito bene e che non fosse soltanto un'illusione della sua mente. I suoi occhi si illuminarono istantaneamente quando sentì il nome della ragazza: Maria stava bene ed era al sicuro, grazie al cielo! Per la prima volta Irene riuscì a tirare un respiro di sollievo, contenta di sapere che non le fosse successo nulla di grave. Anche Stefania sembrò molto felice di apprendere la notizia: scattò immediatamente per andare a prendere le chiavi di casa, e mentre Irene usciva nel pianerottolo lei chiuse rapidamente la porta alle loro spalle.

-Al telefono, ma dov'è adesso?- domandò poi la più giovane alla signora Amato. -Eravamo così in pensiero per lei!

-Dice che sta a casa di una amica sua, quella vostra collega, Paola se non sbaglio - spiegò quest'ultima. -Non chiedetemi come c'è arrivata là perché non me lo ha detto, anzi, me l'ha detto ma era tutta confusa, non s'è capito molto, non so magari a voi dice di più...

A casa di Paola? Di Paola Cecchi? Irene non aveva la più pallida idea di cosa pensare. Però il fatto che avesse chiesto di parlare con loro era positivo, no? O magari intendeva semplicemente Stefania e voleva dirle che a casa non ci sarebbe più tornata, per non dover più avere a che fare con lei. Mentre mille possibilità catastrofiche si alternavano nel suo cervello, le due ragazze fecero il loro ingresso all'interno di casa Amato e si avvicinarono verso la cornetta del telefono. Stefania istintivamente si fece da parte e fece cenno a Irene di avvicinarsi e rispondere, però Irene rimase immobile e si bloccò. Aveva troppa paura per poter fare anche solo un altro passo, paura di sentire la voce di Maria che ferita e arrabbiata le diceva di non volerla più vedere e di sparire, paura di scoprire che non sarebbe più tornata. E allora, spaventata, scosse il capo e con un gesto del braccio fece capire a Stefania che era meglio che fosse lei a parlarci. E così, alla fine Stefania prese in mano la cornetta e rispose:

-Maria! Che fine hai fatto? Siamo tutti in pensiero per te, io e Irene prima ti abbiamo cercato dappertutto!

Seguirono alcuni secondi di silenzio, in cui Irene studiò con minuziosa attenzione ogni cambiamento nell'espressione facciale della sua collega per capire se ciò che l'altra le stava dicendo fosse negativo o positivo. Il suo viso sembrava piano piano rilassarsi mano a mano che gli istanti scorrevano, pesanti come macigni, e questo contribuì a rasserenare Irene almeno in parte. Se Maria in quel momento fosse stata impegnata a ricoprirla di insulti, probabilmente Stefania l'avrebbe mostrato apertamente. E invece sembrava... quasi rassicurata da quello che stava sentendo, qualsiasi cosa fosse stata.

-Irene?- domandò poi Stefania, rompendo il silenzio. La ragazza si voltò a guardarla con una certa dose di perplessità, poi aggiunse:-Sì, Irene è qui con me. Vuoi che te la passi?

I battiti del cuore della Venere aumentarono all'improvviso quando sentì il suo nome chiamato così, ad alta voce, tutto ad un tratto. Era con lei che Maria voleva parlare. Irene si sentì istantaneamente debole, e un'enorme voglia di prendere e scappare via da quel piccolo appartamento seduta stante si impossessò di lei. Certo, il fatto che Maria la stesse cercando non poteva certo essere troppo negativo, eppure parte di sé si sentiva terrorizzata all'idea di affrontarla apertamente, specialmente dopo che si erano finalmente decise a parlare di... beh, di quello che era successo. E la prima reazione di Maria non era certo stata troppo promettente. Se avesse finito per alterarla senza volerlo anche questa volta, per farla piangere o farla stare ancora peggio?

-D'accordo Maria non preoccuparti, adesso te la passo, - concluse infine Stefania, decretando per lei le sorti del suo avvenire. -Irene, Maria vuole parlare con te!

Facendo un bel respiro per darsi coraggio, Irene capì di non potersi sottrarre ulteriormente. Racimolando tutta la forza che aveva, annuì alla richiesta di Stefania e si avvicinò al telefono, prese in mano la cornetta con una certa dose di riverenza e finalmente rispose:-Pronto?

-Pronto, Irene? - la voce soffusa dall'altra parte della comunicazione fu sufficiente a far fluttuare lo stomaco di Irene, al punto che ebbe bisogno di alcuni istanti prima di raggruppare i pensieri e dare una risposta sensata. Era ridicolo che la voce di Maria Puglisi, che aveva sentito così tante volte in vita sua, le provocasse reazioni del genere, eppure così era.

-Sì, sono io, - disse infine. -Come stai?- domandò poi, ritrovandosi a non sapere cosa dire.

-Bene, grazie, - replicò Maria. Irene capì subito dal suo tono di voce che si trattava di una bugia, ma non era quello né il momento né il luogo per entrare nel merito della questione, per cui preferì non controbattere. -E tu come stai?

-Io... - chiaramente con Agnese Amato a un passo da lei (e Tina e Salvatore seduti al tavolo della cucina, per giunta) Irene non poteva rispondere a quella domanda, o comunque non in modo sincero, per cui optò per mantenere la conversazione su un piano molto più generale e replicare: -Io e Stefania eravamo molto preoccupate per te, abbiamo passato un'ora a cercarti! Dove sei adesso?

Come Maria fosse arrivata a casa di Paola (o il perché) era una questione che Irene aveva tutte le intenzioni di scoprire, per giunta.

-Lo so me l'ha detto e mi dispiace, - si scusò la sarta, ignorando quell'ultima domanda, -infatti ti volevo chiedere scusa se sono scappata via così, non volevo che pensavi che era per colpa tua. Tu non hai sbagliato niente prima Irè, sono io che... che non ce l'ho fatta. - Maria rimase in silenzio per alcuni istanti, e Irene capì che probabilmente sarebbe stato il suo turno di rispondere, ma il suo cervello era come bloccato. Sapendo di essere circondata da persone che stavano ascoltando ogni parola di ciò che lei stava dicendo, si sentiva irrimediabilmente frenata e giudicata, e nonostante desiderasse consolare Maria e cercare di farla sentire meglio, visto il suo tono di voce triste e abbattuto, non le veniva in mente proprio niente da dire. -Io volevo parlarti, sul serio, - aggiunse allora la sua interlocutrice, -però...

-Hai bisogno di tempo?- chiese la Venere, cercando di capire le sue difficoltà e mostrarle allo stesso tempo comprensione. Del resto non era facile neanche per lei.

-Forse. Non lo so Irè, sono molto confusa adesso, ho troppe cose per la testa e mi sembra di non capirci più niente. Non sono tornata a casa stasera perché non ce la facevo ad affrontarti e parlare con te, è questa la verità, - ammise Maria a bassa voce, quasi come se stesse confessando una colpa. A Irene faceva quasi tenerezza e, allo stesso tempo, si sentiva dispiaciuta di aver involontariamente provocato quella reazione in lei e averla fatta scappare via spaventata.

-Ho capito, - fu tutto quello che riuscì a dire. -Però non... - iniziò, facendo una breve pausa per pensare a come impostare la frase in modo che non suonasse troppo strana alle orecchie di chi stava ascoltando: -non sei costretta se non ti va, lo sai? - le ricordò. Non voleva che Maria si sentisse forzata o in dovere nei suoi confronti, se non era ancora pronta a parlare dell'argomento Irene non l'avrebbe costretta.

-Lo so, però mi va, te lo assicuro, - la sorprese invece Maria. -Anzi, io ho capito che ho proprio bisogno di parlare con te e chiarire questa cosa una volta per tutte, ti volevo dire anche questo. È che prima mi hai presa alla sprovvista e non ero pronta, ho bisogno di stare un poco da sola ora per riflettere e capire meglio alcune cose. Va bene se domani dopo la messa torno a casa e parliamo un po' di... di noi due?

Oh. Beh, questo non era affatto previsto. Come sarebbe a dire che adesso all'improvviso Maria era pronta a parlare del loro rapporto, che voleva un confronto già l'indomani? Non aveva appena detto di essere confusa? Adesso quella a non essere preparata delle due era Irene.

-Domani?- chiese conferma Irene con incertezza.

-Eh, sì, domani, - ripeté Maria. -Perché, non ti va?- domandò poi, probabilmente avendo colto il timore nella voce della ragazza.

-No, no, certo che voglio, domani va benissimo, - concluse Irene, un po' forzatamente. Fino a poco prima avrebbe dato qualsiasi cosa per poter scambiare due parole con Maria, adesso invece non vedeva l'ora di defilarsi e scappare nella sua stanza. Del resto se proprio dovevano parlare doveva prima farsi un esame di coscienza e cerare di capire cosa dirle, come minimo. Nonostante tutto, per quanto anche lei non avesse idea di come gestire quella miriade di emozioni contrastanti, era contenta che il problema fosse finalmente affrontato apertamente, invece di continuare con quei silenzi pieni di parole non dette, che finivano per pesare su di loro più della verità che non avevano il coraggio di rivelare. -Buonanotte allora, - fece poi per concludere.

-Irene aspetta!- la chiamò Maria, inaspettatamente.

-Sì? - rispose l'altra, in parte spaventata da quello che la sua interlocutrice doveva ancora dirle. Aveva già abbastanza pensieri per la testa così, ce ne mancavano solo di nuovi.

-No niente, ti volevo anche dire che mi dispiace se sono stata distante in questi giorni, non è per te, - si scusò infine Maria. -È solo che avevo paura e pensavo che se ti allontanavo risolvevo il problema, e invece alla fine sono solo stata peggio... Però mi manchi Irè.

Per l'ennesima volta nel corso di quella conversazione Irene rimase come ammutolita, senza sapere cosa dire. Non solo Maria si era scusata per essere stata distante da lei ed aver passato più di una settimana ad evitarla, ma le aveva anche detto che a causa della sua assenza era stata peggio e che sentiva la sua mancanza. Irene non sapeva cosa dire, ma probabilmente anche se fossero state insieme nella stessa stanza, lontane da occhi indiscreti, la situazione non sarebbe cambiata più di tanto. Se c'era una cosa in cui Irene Cipriani era una frana quella era proprio esprimere i suoi sentimenti, soprattutto quando entrava in gioco l'affetto. E al pensiero di dover dire a Maria che anche lei aveva sentito la sua mancanza, che erano stati dei giorni tristissimi e che aveva una voglia matta di riaverla a casa con sé, di tornare a prenderla in giro e scherzare insieme e farla ridere (anche se Maria fingeva di essere irritata e la rimproverava, ma Irene sapeva che era tutta una finta per non darle soddisfazione), al pensiero di ammettere ad alta voce che in quel momento desiderava solo vederla e stringerla e assicurarsi che stesse bene e che tutte le paure che avevano tormentato la sua mente fino a pochi minuti prima erano soltanto un vago e lontanissimo ricordo, Irene si bloccò e sembrò come perdere la capacità di parlare. Le parole le rimasero in gola e lei non riuscì ad esprimersi né a dire nient'altro, tant'è che dopo un po' toccò nuovamente a Maria sbloccare la situazione.

-Irene ci sei ancora?- chiese la ragazza.

-Sì, sì ci sono scusa!- confermò la Venere, come risvegliata all'improvviso dalla paralisi all'interno della quale era scivolata. -Non preoccuparti comunque, sul serio, facciamo che ne discutiamo meglio domani allora, d'accordo?- tagliò corto, senza sapere come rispondere a ciò che Maria le aveva appena detto e preferendo quindi defilarsi. Se andava avanti così, l'indomani avrebbe finito per esprimersi a gesti. -Buonanotte, - concluse poi.

-Buonanotte, a domani, - la salutò Maria, con una punta di delusione nella voce.

E a Irene dispiaceva di averla fatta rimanere male, le dispiaceva veramente, ma anche volendolo non sarebbe stata capace di dire di più. Del resto con Agnese Amato lì accanto Irene non avrebbe potuto spingersi oltre, nemmeno con tutta la buona volontà del mondo.

Non appena mise giù la cornetta, Irene si sentì all'improvviso tutti gli sguardi del resto dei presenti addosso. In un primo momento nessuno disse niente, ma a giudicare dal modo in cui la stavano osservando era chiaro che tutti si stessero aspettando qualcosa da lei: forse una spiegazione, un resoconto di ciò che Maria le aveva appena detto, forse la motivazione dietro alla sparizione della ragazza o il perché fosse andata proprio da Paola (cosa che per altro la stessa Irene ancora non sapeva). E di nuovo, proprio come era accaduto pochi istanti prima, Irene rimase un'altra volta in silenzio. Alla fine fu proprio Agnese Amato a prendere la parola per chiedere quello che tutti lì dentro si stavano domandando.

-Allora che t'ha detto?- chiese la donna. I suoi occhi si posarono su Irene e la osservarono in trepidante attesa di una risposta, e immediatamente la ragazza si sentì ancora più sotto pressione di quanto già non fosse. Era evidente che si fosse intuito che era successo qualcosa tra di loro, ma nessuno osava chiederglielo apertamente.

-Niente, solo che sta bene e che domani torna a casa dopo la messa, - mentì Irene, sperando di svicolarsi da quella situazione spiacevole.

-Sicura? Solo di questo avete parlato?- la incalzò Agnese. Irene era perfettamente consapevole di non aver dato una delle sue interpretazioni più convincenti, anzi, ma una sciocca parte di sé aveva comunque sperato che sarebbe bastato per poter essere lasciata in pace e correre ai ripari.

-Mamma sono fatti loro cosa si sono dette, - intervenne Tina, fortunatamente venuta in suo soccorso, -a noi ci basta sapere che Maria sta bene e che domani torna a casa. Hai visto? Tutto risolto.

-Sarà, è che mi è parso un poco strano che voleva parlare proprio con te... - riprese la signora Amato, rivolgendosi ancora una volta a Irene, la quale stava incominciando a sentirsi sempre più messa alle strette. La stava forse accusando di qualcosa? Come se già non avesse avuto abbastanza problemi di suo, ora Irene si doveva pure preoccupare delle insinuazioni di quell'impicciona e i suoi giudizi! Poteva già immaginare quali sentenze avrebbe sparato sul suo conto non appena se ne sarebbe uscita da quella porta.

Intuendo le sue difficoltà, anche Stefania si inserì nella conversazione per darle una mano:-Ma no signora Amato, Maria mi ha chiesto di parlare con Irene perché sono molto amiche e voleva scusarsi anche con lei per averla fatta stare in pensiero... Vero Irene?

-Sì, infatti, - confermò Irene, riagganciandosi alla storia dell'amica, -abbiamo parlato proprio poco avete sentito anche voi. Adesso scusate ma devo tornare a casa, ho un po' di mal di testa per cui missà che è meglio se vado a coricarmi, - si congedò infine, aprendo la porta per uscire. Stefania non esitò a venirle dietro e rivolgere un cordiale saluto al resto degli Amato, compresi quelli che la cordialità non se la meritavano affatto.

-D'accordo, a domani allora, buonanotte, - le salutò Agnese, prima di chiudere la porta di casa alle loro spalle.

Le due rientrarono nel loro appartamento nel più completo silenzio. Irene passeggiò nervosamente per la cucina per alcuni istanti, come per scaricare la tensione accumulata; mentre passava accanto ai fornelli, come per verificare che fosse tutto pulito e non avessero lasciato piatti sporchi nel lavello, la voce di Stefania rimbombò tra le pareti della casa e colpì Irene dritta dove le faceva più male:

-Irene tu mi devi una spiegazione. Prima con la signora Amato ti ho coperta ma l'ho capito anch'io che c'è qualcosa sotto. Cosa sta succedendo tra te e Maria?

Irene si girò verso di lei con il cuore in gola e una forte sensazione di nausea alla base dello stomaco. Sapeva che Maria le aveva chiesto di non fare con parola con nessuno di quanto successo, ma era davvero arrivata ad un punto in cui non ce la faceva più a tenersi tutto dentro. O per meglio dire,ce l'avrebbe anche fatta, se solo adesso non avesse dovuto discutere della cosa con lei senza essere minimamente preparata ad affrontare le conseguenze. Il panico e la paura stavano avendo la meglio su di lei e se non si fosse confidata con Stefania probabilmente avrebbe finito per impazzire, e così Irene decise di fare quello che prima o poi sarebbe stato comunque inevitabile: le avrebbe raccontato tutta la verità.

 

Qualche ora prima

C'erano alcuni incontri che secondo Maria erano causati dal destino, da una volontà più forte e superiore a ogni cosa che anche volendo non poteva essere fermata. Il suo con Roberto Landi, quella sera, rientrava pienamente all'interno della categoria appena citata, almeno secondo la sua modesta opinione. Maria era in piedi alla fermata del tram quando lo incrociò, e stava tremando dal freddo. Aveva avuto così tanta fretta di uscire dalla caffetteria e prendere un po' d'aria che si era dimenticata là cappotto, borsetta e ombrello, e ora come risultato stava rischiando di prendersi un forte malanno. Eppure, il pensiero di tornare dentro e dover affrontare gli sguardi di Marcello, Salvatore e Sofia, e più di tutti lo sguardo Irene, le metteva una tale paura mista ad ansia e soggezione che aveva avuto soltanto voglia di scomparire e correre via, anche a costo di dover sopportare il freddo e la pioggia. Aveva trovato rifugio sotto la pensilina, sotto la quale altre persone stavano aspettando come lei che arrivasse il mezzo pubblico, e con ogni secondo che passava le lacrime continuavano a sgorgare dai suoi occhi verdi e gonfi senza accennare a fermarsi.

Non aveva nessuna voglia di tornare a casa e aspettare che Irene rincasasse, l'idea di doverla riaffrontare la destabilizzava parecchio, soprattutto viste le sue attuali condizioni. Aveva soltanto bisogno di un posto lontano dagli occhi della gente in cui potersi lasciare andare e piangere tutte le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento. I suoi problemi sarebbero comunque rimasti lì ad attenderla l'indomani mattina, per cui tanto valeva prendersi una serata per fuggire dal mondo e cercare di dimenticare tutto. In quel momento, rinchiudersi in camera sua le era sembrata la migliore delle alternative disponibili. Fu proprio allora che vide passare di lì Roberto Landi.

-Signorina Puglisi?- domandò l'uomo, avvicinandosi a lei di qualche passo. La sua voce era così incerta e tentennante che sembrava che a stento riuscisse a riconoscerla, e Maria non poteva nemmeno biasimarlo più di tanto. Le sue attuali condizioni dovevano fare pietà... Senza contare che il buio della sera sicuramente non doveva averlo aiutato.

-Buonasera, - fu tutto quello che riuscì a dire Maria, in poco più di un sussurro.

-Che cosa ci fa qua così, senza neanche un cappotto o un ombrello poi?!- le chiese Landi, ai limiti dell'incredulità mentre la squadrava da capo a piedi. -Venga sotto, - aggiunse poi, avvicinandosi a Maria quanto bastava per ripararla con il suo ombrello, fortunatamente abbastanza grande per due persone.

-Li ho dimenticati, - tentò di spiegare Maria tra i singhiozzi, che non aveva proprio le energie per riuscire a dare più dettagli in merito.

-Tenga, prenda il mio cappotto, - si offrì immediatamente il pubblicitario, mentre incominciò a sfilarsi il soprabito, chiaramente troppo largo per lei.

-No signor Landi veramente non c'è bis- incominciò a dire, ma fu interrotta quando l'uomo le porse il proprio cappotto con un sorriso compassionevole stampato in faccia. Maria stava morendo di freddo e si sentiva profondamente sola e spaesata, per cui finì per cedere e accettare l'atto di gentilezza del suo superiore, infilandosi quel cappotto nero di almeno due taglie più grandi rispetto alla sua. Il solo atto di averlo addosso la fece sentire immediatamente più protetta e al sicuro, e per la prima volta nel corso di quella serata le sembrò che non tutto fosse destinato ad andare in rovina.

-Lo prenda lei, veramente, starà congelando. Venga, la riaccompagno a casa. Ho l'auto parcheggiata proprio qui dietro, non è un problema darle un passaggio, - si offrì Landi.

Maria annuì e lo seguì in silenzio, e i due cominciarono a camminare sotto l'ombrello di lui mentre i passanti attorno a loro li fissavano con aria quantomeno stranita. Ma a Maria in quel momento non importava, anzi, a malapena se ne rese conto. Sapeva soltanto che l'arrivo di quell'uomo era stato come provvidenziale per lei, e che al momento l'unica cosa che le interessava era arrivare alla sua macchina tutta intera. Quando finalmente la raggiunsero ed entrarono Maria si sistemò sul sedile accanto a quello del conducente, e dovette fare uno sforzo immane per trattenere i singhiozzi e non scoppiare a piangere.

-Signorina Puglisi, senta, - incominciò Landi, girandosi verso di lei. Maria mantenne invece lo sguardo fisso sui vetri bagnati dell'auto, senza voltarsi. -Posso chiederle se è successo qualcosa? Perché non mi sembra che vada tutto bene... Per caso c'entra con quello di cui stavamo parlando l'altro giorno, nel mio ufficio?

-Le è mai capitato di sentirsi un estraneo ovunque, signor Landi? - domandò Maria con voce sommessa, mentre le lacrime cominciavano a scenderle dagli occhi e rigarle le guance, imitando così le gocce di pioggia che bagnavano il parabrezza dell'automobile. -Come se ormai non c'è più nessun posto in cui può stare bene. Io così mi sento, come se non so più dove andare.

-Più di quanto immagina, signorina. E mi chiami Roberto, non c'è bisogno di tutte queste formalità. Vede Maria, so bene quello di cui sta parlando perché io stesso ho passato anni della mia vita a sentirmi così, specialmente quando avevo la sua età, - raccontò lui. Se non altro il fatto di non essere la sola a dover affrontare certe esperienze la rassicurava almeno un po'.

-E che cosa ha fatto per ritrovare la strada giusta, per capire cosa fare?- domandò lei, sperando che la risposta del suo interlocutore potesse illuminarla sul da farsi o mostrarle alternative a cui non aveva ancora pensato. In realtà, dentro di sé Maria la aveva già trovata la sua risposta, già lo sapeva qual era la cosa giusta... oddio, forse proprio non giusta giusta, ma quella giusta per lei. Soltanto che non aveva il coraggio di ammetterlo. Non ad alta voce e nemmeno a se stessa. Figuriamoci a Irene poi, senza nemmeno sapere cosa provava lei invece.

-Ho semplicemente dato ascolto a me stesso, - le rivelò Landi. -Lo so che sembra una banalità, ma a volte è la strada più difficile quella da percorrere se vogliamo essere felici.

Nell'istante in cui pronunciò quelle parole, a Maria venne immediatamente in mente la poesia che Flora aveva fatto leggere a lei e alla signora Agnese, “La strada non presa”. Ricordava di aver pensato a Rocco nel sentire quei versi e al fatto che lei ormai la sua strada con lui l'aveva già presa, anzi, era l'unica strada che poteva prendere. O almeno, così aveva pensato allora. E se invece era Ludovica ad avere ragione? Se era ancora in tempo per cambiare? Se forse, per una volta, spettava a lei la decisione del percorso da seguire? La strada che lei in cuor suo sentiva di voler percorrere infatti era proprio quella più difficile, proprio come aveva detto il signor Landi. E se però tutti gli altri invece dicevano che era sbagliato, che era soltanto confusa e che si stava sbagliando, proprio come pensava don Saverio cosa doveva fare? Qual era la cosa giusta?

-E se invece dare ascolto a se stessi fosse sbagliato?- domandò Maria, tenendo gli occhi bassi.

-Dare ascolto a se stessi non è mai sbagliato signorina, mi ascolti bene, - rimarcò il signor Landi. -Quello che dicono le persone là fuori è difficile da ignorare e lo so bene, però nessuno ha il diritto di dirci se quello che siamo o quello che sentiamo è giusto o sbagliato. Siamo noi gli unici in grado di stabilirlo, noi e nessun altro.

Maria fece un respiro profondo mentre le parole che aveva appena sentito risuonarono dentro di lei con la stessa forza e intensità della musica di una banda che marcia per le strade di paese. Siamo noi gli unici in grado di stabilirlo, noi e nessun altro. Beh, se fosse dipeso solo ed esclusivamente da lei, Maria avrebbe pensato che non era giusto che avesse aspettato praticamente da sempre che Rocco si accorgesse di lei, non era giusto farsi trattare come un oggetto che doveva aspettare di essere scelto e dare continuamente prova di essere degna delle attenzioni di uno che invece nemmeno si ricordava che esisteva a momenti, che quasi mai aveva dimostrato di volerla e che da quando era andato a Roma non scriveva, non chiamava, non la pensava. Aveva cercato di negare tutte queste cose persino con se stessa e ignorarle da sempre, solo perché le avevano insegnato che era giusto così. Rocco era l'uomo e quindi aveva bisogno di fare i suoi giri e i suoi allenamenti prima di fare sul serio, mentre lei invece da brava ragazza doveva aspettarlo pazientemente. Eppure, adesso che Roberto Landi glielo faceva presente, Maria capì all'improvviso che non si era mai soffermata a pensare e decidere se anche secondo lei tutto questo poteva essere giusto. Se le andava bene essere trattata così, se le faceva piacere, se era felice. E la risposta ovviamente era no, che non le sembrava giusto per niente.

Quello che invece le sembrava giusto era stare con Irene. Era quello che provava quando le stava vicino, i loro litigi, il prendersi in giro, le risate, il lasciarsi andare totalmente perché sapeva di non aver bisogno di dimostrare proprio niente quando erano insieme. Con Irene, Maria non si sentiva in dovere di fare determinate cose o comportarsi in un determinato modo per ottenere le sue attenzioni, perché sapeva che sarebbero arrivate spontaneamente. Se con Rocco doveva costantemente lottare per ricevere in cambio l'un per cento degli sforzi che faceva, con Irene invece poteva... riposare. Maria non avrebbe saputo trovare parole migliori per dirlo. E questo era quello che era giusto per lei, stare con una persona che non pretendeva niente da lei, che non la faceva sentire in dovere di fare nulla per farsi piacere, se non il semplice atto di essere se stessa. Come faceva ad essere sbagliato soltanto perché si trattava di un'altra donna?

-Signor Landi io sono innamorata di un'altra donna, - riuscì finalmente a confessare guardandolo negli occhi, proprio in virtù di questa riflessione che le diede la spinta a tirare fuori quello che per giorni si era portata dentro, mentre a stento tratteneva i singhiozzi. -Anche questo pensa che non è sbagliato?

-Certo che non lo è, - la rassicurò immediatamente lui, con un sorriso gentile. -Una cosa sbagliata è uscire di casa con questo tempo senza portarsi dietro il cappotto e rischiare di far venire la polmonite al povero malcapitato giunto in soccorso per riportarla a casa, - aggiunse l'uomo, chiaramente ironico. Per la prima volta nel corso della giornata Maria riuscì finalmente a sentirsi serena, e senza rendersene conto si lasciò andare ad una risata liberatoria causata da tutta quella situazione paradossale e quasi assurda, specialmente vista dall'esterno. Spinta da un impulso, Maria si avvicinò a lui e lo avvolse in un abbraccio, mentre le lacrime continuavano a scendere copiose e bagnare il suo viso e il largo cappotto nero che aveva ancora addosso. Aveva paura, tanta paura, e in quel momento quel poveruomo capitato lì per caso era per lei l'unica fonte di sicurezza e protezione che avesse a disposizione, per cui si aggrappò a lui come fosse la sua unica salvezza. E in quel momento, almeno un pochino, almeno per qualche istante, Maria si sentì al sicuro. Si lasciò andare ai singhiozzi che aveva trattenuto fino ad allora e le sembrò di non essere più in grado di fermarsi, mentre lui pazientemente le accarezzava la schiena e la teneva stretta a sé, in silenzio.

-E per quel che vale, - parlò il signor Landi in un secondo momento, quando Maria sembrava essersi calmata almeno in parte, -la signorina Cipriani sarà anche un po' particolare ma tutto sommato mi sembra una brava persona. Ha scelto bene.

-Come lo sa? - chiese Maria, nuovamente spaventata, mentre scioglieva l'abbraccio e si allontanava da lui per tornare a mettersi sul sedile. -Ha sentito qualcosa da qualcuno?- continuò incalzante. All'improvviso il panico la avvolse e il dubbio che stessero iniziando a correre voci su di loro per un istante la pietrificò.

-Stia tranquilla, non ha dovuto dirmelo nessuno, - la rassicurò lui. -Me ne sono accorto da solo vedendovi insieme, diciamo così, ma non penso che ci sia qualcun altro che ha capito come stanno le cose o che ha notato qualcosa, - spiegò, contribuendo a tranquillizzare Maria, almeno temporaneamente. -È da molto che va avanti la vostra storia?

-No ma quale storia si figuri, - lo smentì immediatamente, arrossendo al solo pensiero. Una storia con Irene... per quanto assurda quell'idea potesse sembrarle, c'era una parte di Maria che lo avrebbe desiderato veramente in realtà. -Tra me e lei non c'è niente.

-Ne è sicura?

-C'è stato solo un bacio, ecco, - raccontò lei, abbassando istintivamente lo sguardo per la vergogna. Non immaginava che dirlo a qualcuno sarebbe stato così liberatorio, eppure si sentì subito meglio, come se si fosse levata un peso dal cuore. Per la prima volta Maria era stata in grado di dire ad alta voce le parole che non aveva avuto la forza di ammettere per fin troppo tempo, e adesso che finalmente c'era riuscita non sembravano più così pesanti e opprimenti, come un macigno che la teneva costantemente giù, ma anzi si sentiva lei stessa in grado di dominare e padroneggiare quei pensieri di cui quasi si era sentita schiava, come impaurita dalla loro semplice esistenza. Adesso che finalmente li aveva riconosciuti e buttati fuori, non facevano più così paura. Adesso finalmente era lei ad avere il controllo e per la prima volta si sentiva in grado di affrontarli, affrontarli veramente. -Ma è stato più di una settimana fa, poi non ci siamo quasi più parlate, - aggiunse, continuando la spiegazione. -Io ormai devo sposarmi in primavera e non... non posso essere innamorata di lei. Non posso e basta, - sospirò con una punta di amarezza, ritornando alla triste realtà della sua situazione.

-Maria, queste cose purtroppo non siamo noi che le scegliamo, non può forzare un sentimento o un'attrazione, se non ci sono. E glielo dice uno che ha lasciato la sua fidanzata tanti anni fa per lo stesso identico motivo, - ammise finalmente lui, formalizzando a parole ciò che Maria sapeva già ormai da tanto tempo.

-E se n'è mai pentito?- gli chiese quest'ultima, curiosa di scoprire se quella strada non presa valesse la pena di essere percorsa.

-Mai, - confermò il pubblicitario con sicurezza. -Coraggio, la riporto a casa adesso, così si fa un bel bagno caldo e si riprende dal...

Casa? Oh no. Oh no. Casa voleva dire Irene, e Irene voleva dire parlare e confrontarsi e... Maria non era pronta. Non adesso. Dopo la giornata estenuante che aveva avuto, non aveva abbastanza energie per vedere un'altra volta Irene Cipriani e ammettere tutti quei sentimenti che erano ancora una grande incognita per lei. Aveva bisogno di un po' di tempo per capire e riflettere e soprattutto stare sola e recuperare le forze. Le serviva un momento di pausa dal mondo, e Roberto Landi in quel momento pareva essere arrivato apposta per darle la soluzione che stava cercando.

-Signor Landi la prego non mi porti a casa mia, - lo supplicò tutto d'un fiato, senza neanche lasciargli finire la frase. -Non ce la faccio ad affrontare Irene adesso.

-Avete litigato?- volle sapere lui.

-No, litigato no, è che prima in caffetteria stavamo parlando e siamo rimaste sole, e io... - Maria si interruppe per qualche istante mentre la sua mente ripercorreva quei momenti, poi concluse: -Lei voleva delle risposte e io non sapevo cosa dirle. E così sono scappata.

-E pensa che scappare sia la soluzione al problema? - chiese lui, dando chiaramente a vedere che non era affatto d'accordo con quell'approccio. Ancora una volta, Maria sapeva che aveva ragione.

-No lo so che non lo è, ci ho anche provato ma non ha funzionato, - ammise quest'ultima con rassegnazione. Più provava ad evitare quello che si portava dentro peggio si sentiva, il senso di colpa e di vergogna dentro di lei non avevano fatto altro che aumentare esponenzialmente dopo quella fatidica sera. I pochi momenti di sollievo che aveva avuto erano stati proprio quelli in cui finalmente era riuscita ad aprirsi e confrontarsi con qualcuno, prima con Ludovica (anche se solo parzialmente) e ora proprio con Landi. -Non è Irene il problema alla fine e nemmeno Rocco, il problema sono proprio io, - rifletté ad alta voce. -E non posso scappare da me stessa per sempre.

-Appunto, non può e non deve, - la incoraggiò lui. -Se invece di giudicare quello che sente e reprimerlo imparasse ad ascoltarlo ed accettarlo, a quest'ora si sentirebbe molto meglio, - le consigliò. E Maria in cuor suo, per quanto fosse ancora molto confusa e spaventata, sapeva che aveva tutte le ragioni del mondo. Se il semplice parlare ad alta voce di tutte quelle sensazioni per ora ancora estranee a lei era bastato a farla sentire più libera e leggera, non immaginava neanche come si sarebbe sentita se avesse addirittura trovato il coraggio di accettarle e di esprimerle con la diretta interessata, Irene. Per un attimo le immagini del loro bacio le tornarono in mente e si sentì quasi tremare. Se era stato così bello lasciarsi andare con lei la prima volta, chissà se la avesse addirittura baciata una seconda volta, e poi una terza, una quarta, una quinta... Sarebbe stato stupendo. Solo in quel momento Maria si rese pienamente conto di quanto la desiderasse, e capì che quel bacio le aveva fatto così paura non soltanto perché era una cosa sbagliata e perché era impegnata con un'altra persona, ma anche e soprattutto perché avrebbe voluto rifarlo. Era la prima volta che si ritrovava a capire cosa significava desiderare un'altra persona, e quanto potesse essere intenso e bello e forte. -Parlo per esperienza perché ci sono passato anche io, glielo assicuro... - continuò Roberto, nonostante Maria fosse stata momentaneamente distratta, -e avrei tanto avuto bisogno di qualcuno che mi dicesse tutte queste cose.

-Lei dice davvero? Quindi secondo lei non devo reprimere quello che provo per Irene?- chiese Maria. C'era timore nella sua voce, certo, ma una parte di lei invece si sentiva quasi... felice? La sola idea che sarebbe stato possibile vivere in libertà la sua attrazione per Irene, per quanto con grandissime limitazioni, era quasi rivoluzionaria per lei. Adesso finalmente era consapevole del fatto che era una scelta che lei avrebbe potuto fare, se solo lo avesse voluto. E lei lo voleva, lo voleva veramente. Doveva solo essere coraggiosa e prendere in mano le redini della sua vita, per una volta, invece di lasciare che fossero sempre gli altri a decidere per lei. Questa volta, Maria la strada giusta da prendere l'avrebbe scelta da sola, con la sua testa.

-No, certo che no, - confermò Landi, accarezzandole un braccio in segno di solidarietà. -So che è difficile e che ci vuole tempo, ma se invece che scappare ed evitarla le parlasse con sincerità le garantisco che si sentirebbe molto meglio, - le assicurò lui. E Maria sapeva che aveva ragione, e infatti si sentiva più determinata che mai ad affrontare la sua coinquilina e chiarire una volta per tutte che significato avesse avuto quel bacio. Soltanto... non quella sera. Non così. Per parlare con Irene, prima doveva pensarci lei a cosa dire, scavare dentro se stessa e cercare di capire se se la sentiva oppure no di dare una possibilità a quel rapporto, tutto considerato, senza più giudizi e senza più reprimersi a prescindere prima ancora di potersi ascoltare, come le aveva detto Landi.

-Lo so forse ha ragione, però adesso non ce la faccio proprio, - lo supplicò Maria. -Sono confusa e ho bisogno di fare chiarezza, devo pensare a cosa dirle, non riuscirei a parlarci ora, - ammise, sperando che lui le venisse un po' incontro e la tirasse fuori da quella situazione disperata.

-E va bene, - si arrese lui infine, mentre Maria gli rivolgeva il più luminoso dei sorrisi. Finalmente anche le lacrime si erano fermate e il cuore di Maria era decisamente più leggero, sapendo che avrebbe potuto avere un po' di tregua e l'occasione di stare da sola per almeno una notte. Ne aveva decisamente bisogno. -Facciamo così, solo per questa sera se se la sente può fermarsi a dormire da me, - le propose lui, -così ha il tempo di riprendersi un po' e riflettere a mente lucida. Però deve promettermi che domani mattina tornerà a casa e parlerà con Irene. Affare fatto?

-La ringrazio signor Landi, lei questa sera mi ha salvato la vita proprio!- lo ringraziò Maria, abbracciandolo una seconda volta per mostrargli tutta la sua riconoscenza. Normalmente non si sarebbe certo presa tutte quelle confidenze, né avrebbe mai accettato l'invito a dormire a casa di un uomo scapolo per una notte (certo, con il signor Landi non correva pericolo perché certe intenzioni non le poteva avere proprio, anche per questo infatti Maria aveva accettato con tranquillità), ma questa era una situazione disperata. A casa non ci poteva proprio tornare, e con tutte le spese che aveva ci mancava solo di pagare una stanza in una pensione per una notte, con quello che costavano a Milano poi.

-Gliel'ho già detto, può chiamarmi Roberto, - le ricordò lui, mentre accendeva il motore dell'auto per partire. -E già che ci siamo, arrivati a questo punto direi che ci possiamo dare del tu.


Nota dell'autrice
Un altro aggiornamento pieno di drama, e come è facilmente intuibile dal titolo nemmeno il prossimo porterà troppe gioie (anche se perlomeno stiamo facendo qualche progresso). In realtà ho nuovamente deciso di dividere il capitolo in due parti perché già così la narrazione si stava facendo piuttosto lunga e non volevo appesantirla troppo. Se finalmente i pianeti si allineano dopo il prossimo aggiornamento Irene e Maria dovrebbero finalmente riuscire a parlarsi e chiarirsi, un parto insomma. Per chi stesse ancora seguendo e fosse interessato a leggere cose più leggere segnalo l'ultima one-shot che ho pubblicato proprio su loro due, ambientata però all'interno del canon. In realtà ho scritto anche una versione alternativa ambientata all'interno di questo universo alternativo ma la posterò a suo tempo, quando arriveremo al periodo di gennaio (ovvero tra dieci anni considerando che in tutti questi mesi ho coperto l'arco temporale di una decina di giorni, ma è anche vero che superata questa prima fase critica poi le cose andranno più veloci). Grazie a chiunque stia ancora leggendo questa roba!

 

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Capitolo 9
*** Confessioni - parte seconda ***


-Irene tu mi devi una spiegazione. Prima con la signora Amato ti ho coperta ma l'ho capito anch'io che c'è qualcosa sotto. Cosa sta succedendo tra te e Maria?

L'atmosfera all'interno della cucina si fece immediatamente più pesante, e sia Irene sia Stefania ne erano pienamente consapevoli. Che quest'ultima ormai avesse capito che qualcosa non tornava era ufficiale, ma probabilmente era ben lontana dall'immaginare il reale motivo dietro le tensioni di quei giorni.

-Siediti, - la invitò Irene, mentre si lasciò scivolare esausta su una delle sedie del tavolo della cucina. Stefania obbedì e si mise accanto a lei, alla sua destra. La Venere continuò a tenere gli occhi bassi sulla tovaglia per non incontrare il suo sguardo, mentre tra sé e sé rifletteva su come impostare il discorso. Come poteva parlare di una cosa che nemmeno lei avrebbe saputo definire in modo corretto, né tanto meno spiegare?

-Allora? Sto aspettando, - le ricordò Stefania, osservando la reticenza dell'altra. -Cos'è successo, avete litigato?

-Non proprio... - rispose Irene, continuando a tergiversare. Se Stefania ci fosse arrivata da sola sarebbe stato tutto più semplice, ma figuriamoci se certe fortune potevano mai capitare a lei.

-Come non proprio? O sì, o no... Ma c'entra qualcosa Rocco?- ipotizzò poi la minore. Irene si irrigidì immediatamente nel sentir pronunciare quel nome e fu invasa dai sensi di colpa. Aveva pensato spesso anche a lui durante quei giorni di confusione, al fatto che Maria avrebbe dovuto sposarlo a breve e lui non sapeva nulla di quello che stava succedendo tra loro. Certo, se si fosse interessato a lei un po' di più non sarebbe certo morto, ma comunque...

-Beh, diciamo, in un certo senso... - continuò a rimanere sul vago.

-Irene, non è che provi ancora qualcosa per lui?- volle sapere Stefania. Magari fosse stato quello il problema, pensò Irene tra sé e sé.

-No, certo che no, - ribadì poi, questa volta con più convinzione.

-Dimmelo guardami negli occhi per favore, - la incitò la sua coinquilina, che da acuta osservatrice aveva notato il modo in cui Irene stava continuando ad evitare il suo sguardo e le sue occhiate indagatrici. Irene sospirò e obbedì alla sua richiesta, incontrando gli occhi color marrone di Stefania.

-Non provo più niente per lui Stefania, te lo assicuro. Io provo qualcosa per lei.

Un silenzio spettrale seguì quell'ammissione tirata fuori quasi a forza, e Stefania non ebbe bisogno di parlare per dare voce al suo scombussolamento interiore; ci pensò benissimo la sua faccia a farlo per lei. Irene la guardò e si sentì sprofondare; nemmeno quando le aveva detto di aver baciato il ragazzo che interessava alla loro amica aveva reagito così male. Si sentì profondamente in colpa e sbagliata e quasi sporca per ciò che era successo, proprio come si era sentita quando Maria aveva scoperto di lei e Rocco. Ma perché finiva sempre per cacciarsi in situazioni di quel genere? Se persino la sua migliore amica questa volta non riusciva a comprenderla e compatirla, forse aveva davvero esagerato.

-Come... Come lei? - disse infine Stefania, ancora incredula. -Lei... Maria?- domandò, come se il solo pensiero di loro due insieme fosse stato assurdo.

-Eh, - confermò Irene in un sospiro.

-Ah, - fu tutto quello che l'altra ebbe da dire. Irene osservò il suo viso mostrare palesemente tutta la confusione che la Venere stava provando in quel momento, mentre il suo cervello probabilmente stava ancora tentando di capacitarsene e processare quanto appena appreso. Beh, se non altro Stefania non sembrava completamente schifata, soltanto... tanto tanto perplessa. Del resto era comprensibile, visto che persino la stessa Irene sarebbe scoppiata a ridere se qualcuno le avesse preannunciato un mese prima che Maria Puglisi l'avrebbe baciata. -E, - proseguì Stefania dopo un'altra lunga pausa, schiarendosi la voce, -e lei lo sa?

-Più o meno... - rispose Irene, non esattamente incoraggiata ad entrare nei dettagli vista la reazione di lei.

-Cioè cos'è successo? Glielo hai detto e lei ha reagito male?- provò ad ipotizzare la sua coinquilina.

-Non proprio... la settimana scorsa mentre eri a cena da tuo padre siamo rimaste sole e... e ci siamo baciate, - confessò finalmente Irene, evitando il suo sguardo un'altra volta. Era un peso sul cuore che si teneva dentro da fin troppo tempo, e da un lato avere finalmente qualcuno con cui parlarne era quasi liberatorio per lei. Dall'altro ovviamente la paura e l'incertezza la stavano tormentando, del resto non faticava certo ad immaginarsi come avrebbe reagito Stefania a quell'ammissione. Cosa ci si poteva aspettare da un'accoppiata improbabile come la loro, d'altra parte?

-Vi siete baciate?!- esclamò Stefania, quasi urlando. Ecco, per l'appunto.

-Shh, abbassa la voce! - la riprese Irene, sperando vivamente che gli Amato nell'appartamento accanto non avessero sentito. Era decisamente improbabile, ma l'idea che quel segreto uscisse dalle loro quattro mura la terrorizzava. -E comunque sì, - confermò infine, a bassa voce.

-Ma l'hai baciata tu o ti ha baciato lei?- chiese Stefania, moderando il tono. A cos'era dovuta tutta quella curiosità poi? Era davvero così improbabile che Maria potesse interessarsi a lei?

-All'inizio lei, - raccontò Irene, ricordando le immagini di quella serata, -poi io e poi abbiamo continuato...

-Cioè te la sei baciata per una serata intera?!- esclamò Stefania, nuovamente scandalizzata da tutte quelle rivelazioni. Irene avrebbe dovuto immaginarlo che non sarebbe stata una conversazione facile da intraprendere...

-Una serata intera adesso, sei arrivata tu dopo poco, non è durato chissà quanto, - tentò di minimizzare lei, ricordando il senso di stordimento che aveva provato quando Maria aveva bruscamente interrotto il contatto. Per qualche minuto le era sembrato di star vivendo in una realtà parallela, come se quello che era appena successo non fosse accaduto veramente. Non a lei perlomeno; non a loro. Se lei stessa aveva avuto difficoltà a capacitarsene, non immaginava quanto fosse difficile ora per Stefania.

-Io non ci posso credere, - continuò quest'ultima, portandosi una mano sulla fronte mentre appoggiava il gomito sul tavolo. -Maria che bacia te! La nostra Maria! È... è assurdo, - concluse, scuotendo il capo.

-Non mi sei molto d'aiuto, - le fece presente Irene, ora un pochino infastidita. Doveva andare avanti ancora per molto?! Se non altro con Rocco era stata più comprensiva, nonostante tutti i sensi di colpa che poi le aveva fatto venire.

-Scusa, scusa, hai ragione... - convenne Stefania, tornando momentaneamente in sé. -E poi dopo che vi siete baciate cos'è successo?

-Niente, abbiamo sentito che stavi rientrando e così mentre parlavi con tuo padre sul pianerottolo ci siamo fermate e lei mi ha detto di non parlarne più e di fare come se non fosse successo niente, - raccontò Irene, senza riuscire a nascondere una certa delusione.

-Ah sì? Ti ha detto questo?

Irene annuì.

-E tu ci sei rimasta male?

-Non importa, - tagliò corto Irene, che non amava esternare eccessivamente i suoi sentimenti. Non sentimenti come quelli perlomeno. -Forse ha ragione, è stata una cosa senza senso e farei meglio a dimenticarmene.

-Ma quindi poi non ne avete più parlato?- chiese Stefania.

-Esatto, - confermò l'altra. -È per questo che ultimamente ci evita sempre e se ne sta sulle sue... - raccontò poi, come per aiutare Stefania a unire insieme tutti i tasselli del puzzle. E infatti, il viso di quest'ultima sembrò come illuminarsi.

-Adesso ho capito! Ora ha tutto molto più senso in effetti, - concluse. Irene la guardò e non capì se tutto ciò significasse che stava piano piano incominciando ad accettare la cosa o se invece fossero ancora al punto di partenza. -E quindi era di questo che stavate parlando in caffetteria?

-Sì, più o meno... - confermò la Venere. -Mi ha chiesto se lo avevo raccontato a qualcuno, e le ho detto di no. E poi dopo mi ha detto che non sa come gestire questa cosa, che si sente in colpa e che ora non sa come comportarsi con me, per farla breve. E poi dopo è scoppiata a piangere ed è andata via.

-Oh Signore, - sospirò Stefania, alquanto allarmata. -E tu?

-Io cosa?- ripeté Irene senza capire.

-Tu come stai vivendo tutto questo?

Ed ecco che si toccava il tasto dolente. Già, come la stava vivendo lei la cosa? La verità era che Irene era così spaventata dall'idea di riporre le sue speranze in un qualcosa che agli occhi di tutti sarebbe sembrato assurdo, per l'appunto, e finire per illudersi, che paradossalmente preferiva accontentare Maria e accettare passivamente la sua decisione, senza essere chiamata in causa; se non altro così non sarebbe rimasta ferita e non rischiava di soffrire. Come avrebbe fatto a funzionare un'ipotetica relazione tra di loro con il matrimonio di Maria imminente, la famiglia Amato nell'appartamento a fianco e la società che non contemplava proprio l'idea di due donne insieme? Sarebbe stato impensabile. Questo però non significava certo che Irene voleva perderla come amica.

-Io... se lei se ne vuole dimenticare io rispetto la sua scelta, ovviamente. Però il fatto è che non sono più sicura che sia così, - mormorò, finalmente arrivando al nocciolo della questione, ovvero ciò che in quel momento la turbava maggiormente.

-Cioè che vuoi dire?- domandò Stefania, aggrottando la fronte.

-Prima al telefono mi ha detto che oggi in caffetteria se n'è andata via così perché non se la sentiva di parlare, che non è tornata a casa perché è confusa e ha bisogno di fare chiarezza. Domani però torna e vuole... - Irene fece una piccola pausa, mentre la voce di Maria le risuonava ancora una volta in testa, con tutto il peso che quelle parole comportavano. -Vuole parlare.

-Parlare?

-Sì, parlare, - ripeté Irene, tenendo gli occhi bassi per via della paura che quella piccolina ed innocua parolina provocava in lei. -Ha detto che le piacerebbe parlare di noi due e risolvere questa cosa.

-Beh, questo è positivo no? - convenne Stefania. -Forse si è accorta che continuare ad evitarti crea solo tensioni e non serve a nessuno.

-Lo so Stefania, però... sono io che non so se me la sento, - tentò di spiegarsi Irene. Era d'accordo con quello che diceva Stefania in linea puramente teorica, sicuramente chiarirsi era positivo e avrebbe fatto bene al loro rapporto. Nella pratica, però, le cose non erano così semplici. Per chiarirsi c'era bisogno di avere le idee chiare, e quello sicuramente non era il caso di Irene.

-E perché no? Guarda che l'ho notato che hai sentito la mancanza di Maria questa settimana, e adesso capisco anche un po' meglio il perché, - le fece notare la sua coinquilina.

-Lo so, ma che c'entra... un conto è averla nella mia vita come amica, un conto come qualcosa di più, - rifletté Irene ad alta voce. Era davvero pronta ad affrontare un simile cambiamento?

-Ma tu che cosa provi per lei Irene? Ti piace?- cercò di capire la Venere più giovane.

-Sì, certo che mi piace, - ammise Irene con sicurezza. Su quella parte lì, perlomeno, non c'erano dubbi. Era tutto il resto il problema. -Mi piace molto. Però ho paura che magari questa cosa è troppo grande per me... per noi. C'è un matrimonio di mezzo qua, come faccio a rovinarlo e far saltare tutto all'aria?!

-Ma questo cosa c'entra, è Maria che ti ha cercata e ti ha detto che vuole parlare del vostro rapporto! - le ricordò Stefania. -È giusto che tu sia sincera e le dica cosa senti, poi sarà lei a decidere cosa fare.

-E se lei ha già deciso che vuole sposare Rocco? Se si vuole dimenticare di me, mentre io come una scema sto qui a farmi mille illusioni?- obiettò Irene, facendosi prendere dall'ansia e dalle paure. Aveva cercato di fare del suo meglio per impedirsi di prendere in considerazione la possibilità di una storia con Maria proprio perché la Venere prediligeva un approccio realista e razionale alla vita; la prima reazione mostrata dalla sarta d'altra parte aveva giustificato completamente il suo atteggiamento cauto.

-Adesso calmati, questo non lo puoi sapere, - cercò di farla ragionare Stefania. -E poi, se ti fosse indifferente non avrebbe certo reagito così al vostro bacio, non pensi? Probabilmente si è allontanata perché questa cosa è difficile anche per lei e starti vicino la confonde ancora di più, - tentò di ipotizzare la ragazza.

-E allora siamo in due, - sospirò Irene.

-Anche tu sei confusa?

-Sì... Domani le devo parlare e la verità è che non so proprio cosa dirle, - si lamentò Irene, sperando vivamente che la sua coinquilina potesse esserle d'aiuto in qualche maniera.

-Qual è il problema? Non sai se ti senti di avere una relazione? - provò a capire Stefania.

-Anche, ma non è solo questo...

-E allora cosa?

Stefania allungò una mano verso quella di Irene, appoggiata sul tavolo, e la strinse forte, in segno di supporto e vicinanza. Un piccolo sorriso si dipinse sul volto di Irene mentre quest'ultima ricambiava la stretta. Fu allora che la ragazza finalmente si decise e trovò la forza di dare voce al dubbio che da giorni ormai la tormentava e che Irene non aveva avuto il coraggio di ammettere a nessuno, nemmeno a se stessa: -Io... io sono attratta dagli uomini Stefania. Sono sempre stata attratta dagli uomini e lo sono anche adesso. E se penso al mio futuro, mi sono sempre immaginata con un marito e dei figli, con un uomo al mio fianco. Io tutte queste... queste cose per un'altra donna io non le ho mai provate. - Irene sospirò, facendo una breve pausa di qualche secondo per riflettere su quanto aveva appena detto. Se lei stessa non aveva idea di ciò che voleva, come poteva offrire certezze a Maria o farle promesse? -La mia paura è che magari adesso sono solo confusa e tutti questi sentimenti per Maria alla fine sono solo un'amicizia molto forte. Cosa faccio se adesso le dico che me la sento, che voglio provare a stare con lei, lei annulla il matrimonio con Rocco e poi alla fine scopro che mi sono sbagliata, che le donne non mi piacciono? Io ho paura di farla soffrire, è questa la verità. Non voglio illuderla e darle speranze solo per spezzarle il cuore.

-Ed è davvero molto nobile da parte tua. Però non è nemmeno giusto che sacrifichi te stessa e i tuoi sentimenti solo per paura che le cose con lei vadano male, - la fece nuovamente riflettere Stefania. -Lascia stare l'attrazione per gli uomini e per le donne per un momento, pensa solo a Maria. Tu ti senti attratta da lei sì o no?

-Sì, lo sono, su questo non ho dubbi, - rimarcò Irene, che ben ricordava le sensazioni che aveva provato durante quel bacio e il desiderio di avere Maria stretta a sé, di toccarla e di stringerla.

-E allora questa è l'unica cosa che conta, - ribadì Stefania.

-Però con lei è diverso... non mi è mai capitato di voler baciare un'altra ragazza o un'altra donna, a parte lei. Non è strano?- si domandò Irene, più confusa che mai.

-Magari non hai mai capito che ti piacciono le donne perché non ci hai mai riflettuto, o magari non hai mai incontrato quella giusta, - ipotizzò Stefania, -però non è detto che non possa essere vero.

-E come spieghi che sono attratta dagli uomini allora?- controbatté Irene. Se forse le spiegazioni di Stefania potevano anche avere un qualche fondamento, non cambiavano comunque il fatto che a Irene erano sempre piaciuti gli uomini: anche di questo la Venere era sicura al cento per cento. Cosa fare dunque?

-E chi lo dice che bisogna scegliere per forza?- la invitò a riflettere Stefania. -Forse molto semplicemente ti piacciono sia gli uomini che le donne. Visto? Problema risolto.

-Secondo te è possibile?- domandò Irene, sinceramente perplessa da quella nuova possibilità che ora si apriva davanti ai suoi occhi.

Era una conclusione così semplice, così banale, così ovvia quasi, in un certo senso, ma nonostante ciò Irene per qualche ragione non l'aveva mai presa in considerazione, almeno prima di quel momento. Era davvero possibile non dover scegliere, che lei fosse attratta sia dagli uomini che da Maria, o forse più in generale anche dalle donne, senza che nessuna delle due cose fosse meno valida dell'altra? Era davvero possibile che questi due aspetti potessero coesistere in lei? Perché, se così fosse stato, questo avrebbe risolto gran parte dei suoi dubbi e delle sue ansie. Certo, rimaneva sempre il problema del matrimonio con Rocco, del giudizio della famiglia di Maria, della società, di quello che Maria provava per lei, e altre mille cose a cui in quel momento Irene nemmeno riusciva a pensare... ma almeno così avrebbe saputo che quello che provava era valido e legittimo.

Se non poteva essere sicura di come sarebbero andate le cose per loro e se ce l'avrebbero fatta a far funzionare quella relazione tanto improbabile sulla carta, se non altro poteva essere sicura di quello che sentiva. E poteva affrontare Maria, l'indomani, con la consapevolezza di provare per lei un sentimento che era reale, e forte e intenso, molto più reale della facciata dietro la quale Irene si nascondeva ogni giorno. Quello che provava per lei andava ben oltre il muro che la Venere metteva spesso e volentieri tra lei e gli altri; era un qualcosa che nasceva da dentro di lei, che partiva dall'interno, e che aveva fatto capolino nel suo cuore piano piano, in punta di piedi, senza che lei nemmeno se ne rendesse conto a momenti, giorno dopo giorno. Ed era reale, tremendamente reale, forse al punto da farle quasi paura. Fu soltanto in quel momento, durante quella strana conversazione con Stefania, che Irene riuscì a rendersene conto, e le sembrò persino assurdo che avesse continuato a dubitarne per così tanto tempo, persino quando la cruda realtà le era scoppiata in faccia e le aveva dimostrato senza ombra di dubbio che , lei provava qualcosa per Maria Puglisi. Chi lo avrebbe mai detto.

-Secondo me sì. Io penso che l'amore è amore alla fine, non bisogna per forza mettersi a catalogarlo o analizzarlo, è una cosa che in fondo non si può spiegare, - rifletté Stefania. -Se tu adesso senti questa attrazione per Maria e dovessi scoprire che la cosa è reciproca non devi per forza avere già tutto chiaro per stare con lei, non c'è nulla di male ad essere confusi, soprattutto all'inizio. Vedrai che poi alla fine lo capirete insieme che cos'è che vi unisce, con il tempo. Però se invece decidi di scappare e rinnegare tutto, allora questa possibilità la perdi in partenza e non è giusto né per te né per lei.

Irene la guardò e pensò che forse non se la meritava un'amica così saggia e paziente. Stefania aveva ragione, aveva ragione su tutta la linea. Ma potevano davvero farcela, lei e Maria? Davvero aveva senso sperare che potesse nascere qualcosa, soprattutto con quelle premesse?

-E allora cosa devo fare secondo te, intromettermi ancora tra lei e Rocco col rischio di farla soffrire?- domandò Irene, ancora parzialmente presa dai sensi di colpa.

-Sii semplicemente onesta e dille le cose che hai appena detto a me stasera. Vedrai che poi da lì lo deciderete insieme qual è la cosa più giusta per voi, - concluse Stefania, come se fosse stata la cosa più semplice e scontata del mondo. E chissà, forse lo era davvero. Forse era il cervello di Irene che, trovandosi ad avere a che fare con una situazione del tutto nuova per lei, ingigantiva le cose fino a farle apparire come ostacoli insormontabili, quando in realtà sarebbe bastato procedere per gradi e fare un passo alla volta. Intanto potevano cominciare con il parlarsi in modo onesto e aperto, come aveva appena detto Stefania; dopo giorni di silenzio stampa, sembrava in effetti la cosa più sensata da fare. Tutto il resto, forse, poi sarebbe venuto da sé. E chissà, forse da un lato era anche meglio così.



 

Nota dell'autrice
Allora, finalmente ce l'abbiamo fatta ad arrivare quasi alla fine di questo parto. Finalmente nella prossima parte queste due riusciranno a parlarsi e si chiariranno. Ho voluto usare questo capitolo (diviso in due) per fare capire quale fosse la prospettiva di Irene e di Maria, come affronteranno il chiarimento che avverrà a breve e quello che provano. Nel prossimo aggiornamento, sperando di non doverlo dividere in più parti, finalmente si arriverà a un confronto. Grazie ancora alle povere anime che stanno ancora leggendo questa storia!!

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Capitolo 10
*** Un passo alla volta ***


Quella domenica dopo il temporale che aveva infuriato per tutta la notte era tornato il sereno, e se questo poteva valere per Milano, Maria ancora non sapeva se lo stesso si sarebbe applicato anche al rapporto tra lei e Irene. Aveva passato la notte in bianco sul divano del signor Landi, soltanto alle prime luci del mattino era riuscita a prendere sonno e riposare un paio d'ore; quando si era risvegliata, a momenti si era sentita quasi più stanca di prima. In fondo non c'era da stupirsene, i pensieri quella sera non le avevano dato tregua neanche per un istante. Parlando con il signor Landi le era sembrato tutto facile, tutto semplice, ancora le sembrava di poter risentire le sue parole: 'dia ascolto a se stessa signorina e tutto andrà per il meglio'. Non appena era rimasta sola, invece, le sue ansie, paure e paranoie erano tornate a tormentarla. Ormai non aveva più dubbi sui sentimenti che provava per Irene, sapeva con certezza che era lei la persona che desiderava e che Don Saverio si sbagliava, non era solo confusione o un'amicizia molto forte, come invece le aveva detto il prete.

Piano piano Maria era andata a ritroso con la mente per ripercorrere tutti i momenti che aveva condiviso con la Venere negli anni passati, a partire dal loro primo incontro quando la ragazza aveva fatto la prova per il ruolo di commessa al Paradiso, che alla fine era andato alla sua rivale. Aveva ripensato a tutti i litigi con Irene, gli sguardi, le maleparole che si erano rivolte, le loro differenze... La gelosia che molto spesso Maria si era ritrovata a provare nei suoi confronti, tutte le volte che aveva pensato a lei, che la aveva osservata quando l'altra non se ne accorgeva. Aveva ripensato anche al suo rapporto con Rocco, e a come fosse diventata immediatamente più coinvolta e determinata a conquistarlo da quando anche Irene aveva incominciato a mostrare più interesse verso il magazziniere, mentre i primi tempi appena arrivata a Milano Maria si era dimostrata molto più titubante. In un certo senso, il fatto che anche Irene lo volesse glielo aveva fatto desiderare ancora di più, e Maria era arrivata ad escogitare ogni stratagemma per tenerla lontana da lui, come se vederli insieme le avesse dato fastidio proprio... e all'epoca aveva semplicemente pensato che era normale, che era gelosa delle ragazze che ronzavano attorno a Rocco e quindi non voleva che nessun'altra gli stesse vicino. Adesso invece si domandava se non fosse stata Irene fin dall'inizio l'oggetto del suo interesse, quella che veramente desiderava.

Maria aveva anche notato gli apprezzamenti estetici che molto spesso si era ritrovata a fare tra sé e sé per la sua coinquilina, tutte le volte che aveva pensato che Irene fosse molto bella, che aveva classe, stile, eleganza, era sciolta, spontanea, audace, e poi anche divertente, tutte le volte che l'aveva vista con un abito o un vestito e aveva pensato, naturalmente senza dirlo a nessuno, a come le stava bene, a come valorizzava il suo fisico o le sue gambe, pensando che fosse semplice invidia e senso di inferiorità misto a insicurezza. E invece, con suo enorme stupore Maria aveva finito per comprendere che tutti quei pensieri non volevano dire che vedeva Irene come una rivale di cui preoccuparsi, ma bensì che a lei Irene piaceva, e pure tanto. Perché non si era mai ritrovata a pensare queste cose di Rocco? Perchè non le era mai venuto da guardarlo e sentirsi attratta da lui, sentire il desiderio spontaneo di averlo vicino e toccare il suo corpo? Certo, Maria naturalmente aveva gli occhi e sapeva quindi riconoscere che era un bel ragazzo, aveva un bel viso, era alto... Però con Irene era diverso. Con Irene, Maria si ritrovava proprio a desiderarla, ed era un qualcosa di completamente diverso dal saper dire se uno era un bel ragazzo oppure no.

E così, durante quella notte insonne Maria aveva scoperto con suo enorme stupore di aver desiderato Irene senza nemmeno rendersene conto fin dalla prima volta che l'aveva vista. Una Venere del Paradiso, bella, sicura di sé, con un portamento impeccabile... e se prima agli inizi l'aveva odiata per come la trattava, per la sua freddezza e il suo cinismo, da quando avevano incominciato a conoscersi meglio e Maria si era resa conto di chi fosse la vera Irene, la persona che si nascondeva dietro la maschera da cattiva che indossava ogni giorno, quel legame non era stato più soltanto una questione fisica, ma anche e soprattutto emotiva. Maria aveva incominciato a conoscere i lati di lei che Irene per qualche motivo faceva il possibile per nascondere agli altri, ma che secondo Maria erano anche i più belli: la sua sensibilità, la sua generosità, il modo in cui si spendeva per le amiche per farle contente, la sua creatività, la sua empatia, anche il suo essere goffa e imbranata quando si trattava di faccende domestiche... E aveva finito per innamorarsi di ognuna di quelle piccole cose.

E adesso veniva la parte difficile. Che fare ora? Adesso che aveva capito sul serio che cosa provava, doveva andare a dirlo a Irene. Fare finta di niente e negare tutto ormai non era più possibile, e nemmeno riuscire a stare vicina a Irene come se le cose fossero state uguali a prima. Dovevano parlarne, nel bene o nel male... peccato che il solo pensiero di di dirlo ad alta voce le faceva una paura tremenda, al punto che quasi si bloccava e non riusciva a respirare. Se Irene le avesse detto che per lei era stato tutto un gioco e che la vedeva solo come un'amica, Maria sapeva che il mondo le sarebbe crollato addosso e si sarebbe sentita ancora più sbagliata di quanto già facesse. E se invece Irene le avesse detto che la ricambiava e che anche lei la voleva... Il pensiero di baciarla di nuovo e di riprovare tutte quelle cose forti e sconvolgenti che aveva già provato quella sera le faceva paura in egual misura, se non addirittura di più, anche se in un modo totalmente diverso. Insomma, per farla breve, Maria dubitava che sarebbe riuscita ad uscirne viva e con la sanità mentale ancora intatta, anzi, a dirla tutta pareva proprio impossibile.

L'unico pensiero che la motivava, oltre alle parole del signor Landi chiaramente, era il fatto che nel bene o nel male quell'orribile agonia che aveva vissuto per tutti quei giorni sarebbe finita, quella fase di incertezza mista a negazione e angoscia e sensi di colpa, quel senso di smarrimento che nasceva dal non saper proprio cosa fare, che pesci pigliare. Se non altro la risposta di Irene sarebbe servita a chiarirle un po' le idee, in un modo o nell'altro. Fu con quella pesantezza nel cuore, quel senso di ansia mista a paura ed eccitazione che a momenti le faceva mancare il respiro, che bussò tre volte alla porta di casa sua quella domenica mattina, di ritorno dalla messa proprio come aveva preannunciato. Attese con il cuore in gola per qualche secondo che Irene venisse ad aprire la porta, dal momento che aveva lasciato le chiavi di casa all'interno della sua borsetta, ancora in caffetteria: quegli istanti terribili le parvero i più lunghi della sua vita. Quando il profilo della ragazza bionda si delineò finalmente davanti ai suoi occhi con l'aprirsi della porta, Maria per un secondo si dimenticò persino come respirare. Irene non le era mai sembrata così vicina e allo stesso tempo così lontana prima di allora; pareva che la soglia della porta di casa che le divideva fosse lunga chilometri, invece di millimetri.

-Ciao, - la salutò Irene, dopo un primo momento di silenzio. La sua coinquilina accennò ad un mezzo sorriso.

-Ciao, - rispose Maria, troppo agitata per riuscire a dire qualsiasi altra cosa. Poi, gettando un occhio all'interno della casa, la sarta si rese immediatamente conto che la loro cucina sembrava... vuota. Un pensiero balenò all'improvviso all'interno della sua mente: -Stefania non c'è?

-No, è a pranzo con suo padre... siamo solo io e te, - spiegò Irene. Il suo tono di voce pareva tutto sommato tranquillo e disinvolto, certamente non in modo eccessivo ma quantomeno il giusto; Maria invece si sentiva morire dentro. Davvero Irene era tranquilla e serena, o era solo quello che cercava di far vedere?

In ogni caso, la cosa non fece altro che agitare Maria ancora di più, tant'è che l'unico suono che le uscì di bocca fu un semplice:-Ah.

Il fatto che Stefania fosse fuori, poi, significava che sarebbero state completamente sole fin da subito. Insomma, a brevissimo avrebbe scoperto di che morte doveva morire. Capendo che non aveva scampo e che il suo destino ormai era segnato, lei e Irene avrebbero parlato, Maria lasciò passare ancora un paio di istanti in silenzio per racimolare tutto il suo coraggio e fare un bel respiro, per poi trovare la forza di riuscire finalmente a dire:

-Irene io e te dobbiamo parlare.

-Allora ti va di parlare un po'?- chiese simultaneamente Irene, mentre le sue parole si sovrapponevano a quelle di Maria.

Maria la guardò ed entrambe le ragazze si lasciarono andare ad un sorriso, come divertite dal fatto che avessero parlato all'unisono, avendo avuto lo stesso pensiero. Quel piccolo momento contribuì a rasserenare un po' l'atmosfera e far dissipare almeno in parte la tensione di Maria, e per un attimo le sembrò di aver ritrovato una qualche complicità con Irene, come se la distanza che le separava fosse diminuita almeno di un poco. Fu proprio questo che le diede la forza di fare un passo in avanti ed entrare finalmente a casa propria, chiudendosi la porta alle spalle. Chissà, magari un passo alla volta alla fine ce l'avrebbe fatta a raggiungerla.

-Allora, - incominciò Maria, troppo imbarazzata per introdurre subito l'argomento, -hai già mangiato?- domandò, osservando la tavola ancora vuota accanto alla quale si piazzò. Era veramente la prima cosa che le era passata per la testa, buttata lì giusto per dire qualche cosa e non restare ancora in silenzio.

-No, non ancora... - spiegò Irene, facendo qualche passo verso di lei. -Tu?

-No, no manco io, sono appena tornata dalla messa, - raccontò Maria, nonostante sapesse che Irene già le sapeva quelle cose, glielo aveva detto la sera prima al telefono che sarebbe andata a messa, però a dirla tutta nemmeno le importava. Era così tesa che aveva bisogno di rompere il ghiaccio e perlomeno tentare di dissipare un po' dell'imbarazzo che sentiva per sciogliersi un po', altrimenti poi sarebbe stata troppo nervosa per aprirsi con Irene e parlare di quello che sentiva. -Pensavo che magari prima parliamo e poi preparo qualcosa, possiamo fare della pasta se vuoi, - propose, spostando la conversazione su un qualcosa di più semplice e a lei più familiare. Se non altro parlare del pranzo e della cucina le veniva semplice, era qualcosa che lei conosceva bene e su cui si sentiva sicura.

-Sì, la pasta va benissimo, - confermò Irene.

Maria la osservò con la coda dell'occhio mentre fingeva di guardare i fornelli vuoti e in quel momento ebbe la conferma che anche la sua coinquilina era un po' agitata, anche Irene si sentiva in imbarazzo, anche se lo faceva vedere di meno di lei. In realtà questa cosa paradossalmente ebbe l'effetto di riuscire a tranquillizzare Maria, che se non altro capì di non essere l'unica delle due ad essere nervosa. A dire la verità, Maria non aveva la più pallida idea di che cosa aspettarsi da Irene, se ci fossero delle possibilità per loro o se invece l'unica delle due a provare qualcosa fosse lei; le sue insicurezze alla fine riuscivano ad avere sempre la meglio e i suoi pensieri continuavano a metterle il dubbio se davvero una ragazza come idda poteva interessarsi a una sempliciotta come lei. Anche per quello Maria stava cercando di studiarla minuziosamente prima di parlarle e di osservare indizi che potessero aiutarla a capire quale sarebbe stata la reazione di Irene, così da prepararla psicologicamente a un possibile rifiuto. E il fatto che anche Irene sembrava un po' nervosa sicuramente giocava a suo favore, per quanto non significasse poi nulla di definitivo.

-Ti ricordi che anche la prima sera che sei venuta qua ho fatto la pasta Iré?- disse poi Maria, per sbloccare la conversazione e cercare di pensare a un qualcosa di positivo che potesse accomunarle.

-Sì, me lo ricordo, la pasta con le sarde, - precisò Irene, lasciando Maria piacevolmente sorpresa.

-Davvero te lo ricordi?- chiese la sarta, quasi stupefatta. Alla fine era un dettaglio piccolo, quasi insignificante, eppure nella mente di Irene (e anche nella sua a dirla tutta) per qualche motivo era rimasto. Che fosse un altro segnale da interpretare come positivo? Quella sera d'altro canto era stata molto importante per lei, per loro e per il loro rapporto... Maria se la ricordava molto bene la sensazione stranissima di vedere Irene Cipriani sotto il suo stesso tetto per la prima volta, che mangiava con lei alla sua stessa tavola. Ricordava le strane emozioni che aveva provato, la tensione, il nervosismo, l'agitazione, pensando che fossero dovuti al semplice fatto che non si conoscevano poi così bene e nulla di più... adesso invece avere Irene lì con lei era diventata una cosa così tanto semplice e banale, quasi ordinaria, che al contrario le sembravano strane le volte in cui invece non era presente. Era incredibile com'erano cambiate le cose in poco più di sei mesi.

-Come no! - ribadì Irene con convinzione, accennando ad un sorriso quasi ironico. -Quella notte ho dormito poco e niente perché mi era rimasta tutta sullo stomaco, - spiegò poi con una leggera enfasi, come per far passare il tutto come una storia semi-tragica (come suo solito del resto, perché quella se non faceva la sceneggiata proprio non era contenta, ormai Maria lo sapeva – e per qualche ragione assurda le toccava ammettere che pure quello le piaceva di lei, purtroppo).

-Ah quindi non era buona, è questo che stai dicendo Irè?!- scherzò Maria, stando al gioco.

-Nono buonissima, per carità, solo un po' pesante... - la rassicurò Irene, immediatamente intuendo che non era il caso di scherzare con il fuoco e andare a toccare un argomento delicato come la cucina e il cibo. -E poi quella sera avevo tanti pensieri, tante preoccupazioni, probabilmente mi sarebbero rimaste sullo stomaco anche due foglie di insalata.

-Eh lo capisco... - sospirò Maria. -Pure io ieri sera non ho dormito bene perché avevo tanti pensieri, ero nervosa,- confessò, tenendo lo sguardo basso.

-Eri nervosa a causa mia?- domandò infine Irene. Maria deglutì per il nervosismo e l'agitazione. Ci siamo, pensò tra sé e sé.

-No... - rispose in un primo momento, quasi di riflesso e senza nemmeno pensarci, mentre alzava lo sguardo per riaffrontare Irene e guardarla in faccia. -Cioè, sì, anche..., - si corresse poi; tanto era inutile negare l'evidenza, che poi Irene se ne accorgeva comunque quando diceva le bugie. -Sono un poco agitata pure ora Irè se ti devo dire la verità, - decise di rivelare infine. Non aveva senso cercare di nascondersi e farsi vedere come quella forte e impassibile; non con Irene soprattutto.

-Anche io lo sono, se può consolarti, - le rispose quest'ultima subito dopo.

-Eh, diciamo che un po' m'aiuta, - replicò Maria, quasi tirando un sospiro di sollievo. Allora c'aveva visto giusto, non era lei l'unica a sentirsi tesa e agitata, pure Irene stava nella stessa condizione.

La Venere per tutta risposta rimase in silenzio, fece un passo verso di lei e le prese la mano, accarezzandole timidamente il dorso. Dopo un primo attimo di sorpresa e tentennamento, Maria decise di darle un segnale a sua volta e ricambiò il gesto intrecciando le loro dita assieme. Si guardarono e rimasero in silenzio, e Maria sapeva che non avevano bisogno di parole per capirsi. Le bastava vedere il modo in cui Irene la stava guardando per sentire chiaramente tutto quello che ancora non riuscivano a comunicare a voce.

Poi, senza interrompere quel piacevole contatto fisico, Irene accennò a muoversi verso una delle sedie del tavolo della cucina per sedercisi, e Maria la imitò mettendosi su quella accanto. Del resto se dovevano parlare sedute stavano più comode.

-Allora... - incominciò la Venere, leggermente imbarazzata. -Com'è andata la serata a casa di Paola?

-A casa di Paola?- ripeté Maria, aggottando un sopracciglio. Che Paola e Paola, che cosa c'entrava adesso nel discorso?

-Sì... la signora Amato ha detto che eri a casa di Paola ieri, - rispose Irene, con l'aria un po' confusa. -Perché, non è così?

All'improvviso Maria si ricordò della piccola bugia che aveva dovuto raccontare per salvare le apparenze e tutto le fu più chiaro. -No Irè, ho mentito perché non le potevo dire dove stavo veramente, se no chissà che andavate a pensare, - le spiegò, sentendosi leggermente in colpa per quella bugia (per quanto innocente fosse stata).

-Ah. E allora dov'eri?- domandò la Venere, adesso quasi sospettosa. Nonostante Maria sapesse che era stata preoccupata per lei e che non era bello averla tenuta in pensiero per tutto quel tempo, una parte di sé non riusciva a non essere felice del fatto che anche Irene la avesse pensata e che si preoccupava; significava che ci teneva, dopotutto.

-Ero a casa del signor Landi, - raccontò infine Maria.

-Del signor Landi?! Cioè Roberto Landi?- esclamò Irene, quasi incredula. Ecco, proprio la reazione che aveva sperato di evitare.

-Eh, lui. Ma non c'è da pensar male Irè perché non è successo proprio niente, e poi già lo sai che a lui non ci interessano le femmine, - precisò Maria, che voleva impedire a Irene di farsi venire in mente certi pensieri sul nascere. Era una ragazza per bene lei, figuriamoci se sarebbe andata a dormire a casa di un uomo se avesse avuto anche solo il minimo dubbio che potesse approfittarsi di lei.

-E come sei finita a casa sua?- volle sapere la sua coinquilina.

-È una storia complicata, non c'ha senso che te la racconto ora, - tagliò corto Maria. Non aveva voglia di soffermarsi su particolari inutili che richiedevano tempo per essere spiegati bene, tanto che Irene lo sapesse o no il succo del discorso non cambiava. -Diciamo che casualmente ieri è passato dalla fermata del tram e mi ha vista là, e così mi ha fatto salire in macchina con lui per riportarmi a casa, - riassunse molto brevemente.

-Lo credo bene, una che esce senza giacca e senza ombrello! - la rimproverò Irene, stringendo un po' più forte la mano di Maria. La sartina ricambiò la stretta, mentre una piacevole sensazione di calore le avvolgeva lo stomaco. Com'era bello sentirla vicina, poterla stringere e toccare e guardare e averla di nuovo accanto a sé dopo tanti giorni di lontananza. -Potevi prenderti un malanno, - concluse Irene, riportando Maria alla realtà dopo quel breve attimo di distrazione.

-Eh lo so Irè pure lui me lo disse, ma ieri proprio non avevo la testa di pensare a queste cose, - si scusò Maria. -E così niente poi una volta in macchina sono scoppiata a piangere e gli ho raccontato tutto, - proseguì poi.

-Tutto cosa?- chiese Irene, tentennando.

-Tutto... di noi due, - ammise Maria, abbassando lo sguardo mentre i sensi di colpa prendevano di nuovo il sopravvento su di lei. Sperava veramente tanto che Irene non si sarebbe arrabbiata, anche perché se aveva parlato non era certo stato per male: se avesse continuato a tenersi tutto dentro, probabilmente non ce l'avrebbe fatta ad arrivare a fine giornata senza esplodere.

-Cioè il signor Landi sa che... che ci siamo baciate?- domandò Irene, quasi incredula.

-Sì, lo sa, - confermò Maria. -Lo so ti chiedo scusa forse non glielo dovevo dire, però ero proprio disperata Irè, non sapevo cosa fare. E lui in quel momento mi sembrava l'unico che mi poteva capire, - tentò di spiegarsi, sperando che la sua coinquilina non sarebbe stata troppo arrabbiata.

-Non ti preoccupare... in realtà anche io ieri sera ne ho parlato con Stefania, un po' per il tuo stesso motivo, - le raccontò Irene, quasi con fare colpevole.

-Con Stefania?! - esclamò Maria, alzando improvvisamente la voce.

-Sì... Non ho avuto scelta, tanto lo aveva capito da sola che c'era qualcosa che non andava, non la smetteva di farmi domande! - tentò di discolparsi Irene. Poi, dopo un breve momento di silenzio necessario a Maria per processare quanto appena appreso, la Venere le domandò:- Sei arrabbiata?

-No, ma ché figurati, alla fine lo capisco, - rispose semplicemente Maria. Come poteva biasimare Irene se lei aveva fatto esattamente la stessa cosa, del resto? Certo, il pensiero che Stefania sapesse di loro da un lato la agitava e la spaventava, e non poco. Chi glielo garantiva che le cose sarebbero rimaste uguali, che Stefania l'avrebbe guardata nello stesso modo di prima, che non l'avrebbe considerata un mostro o diversa o sbagliata? Certo, tanto prima o poi lo avrebbe scoperto comunque, almeno così non aveva dovuto dirglielo lei. O comunque, lo avrebbe scoperto se lei e Irene... se, insomma, loro avessero deciso di... E se Irene aveva voluto dirglielo, forse la sua intenzione era proprio quella? -È difficile tenersi tutto dentro, - concluse infine Maria. -Anzi, per me è stato proprio impossibile, ogni giorno che passava mi sembrava di impazzire.

Irene le accarezzò dolcemente il dorso della mano, poi si sporse leggermente verso di lei, come per avvicinarsi. La mente di Maria sembrò come annebbiarsi mentre il panico prendeva il sopravvento: come era possibile volere così tanto una cosa ma allo stesso tempo averne così tanta paura? Più sentiva Irene avvicinarsi a lei, sia sul piano fisico che su quello emotivo, più la cosa le sembrava reale e non soltanto un pensiero dentro la sua testa, e questo faceva sì che la sua paura aumentasse a dismisura.

-E come ti senti adesso? Stai meglio dopo averne parlato con lui?- le chiese la Venere. Gesù, quegli occhi verdi la rendevano fin troppo debole.

-Sì, un po' sì forse... - rispose, sforzandosi al massimo per non far vedere l'effetto che Irene aveva su di lei. -Mi ha aiutato a fare chiarezza, anche se sono ancora molto confusa su tutto Irè, - ammise lei. -Però almeno un po' di cose le ho capite.

-E cioè cos'hai capito?

Coraggio, ce la puoi fare, disse Maria a se stessa. In fondo lo sapeva quello che doveva dire, dentro la testa ce lo aveva chiaro, doveva solo trovare il modo di tirarlo fuori e spiegarlo anche a Irene. Facendo appello a tutto il suo coraggio, finalmente la ragazza riuscì a confessare quello che per giorni si era tenuta dentro, vergognandosene come una ladra: -Ho capito che se ho reagito così e ti ho allontanata l'ho fatto solo perché in fondo avevo paura, come se non riuscivo ad accettarlo nemmeno io quello che provavo. Onestamente io non lo so se riuscirò mai a farlo, però non posso più continuare a convincere me stessa che è stato un errore o un momento di confusione e negare la verità... perché in fondo io lo so che non è così.

-Quindi è stato... è stato qualcosa di più per te? - le domandò Irene. Questa volta Maria riuscì a percepirlo chiaramente che era nervosa pure lei, non era facile per nessuna delle due in fondo.

-Esatto Irè. Io... io se penso a Rocco non riesco a sentire le cose che sento con te. Ero convinta che lo amavo perché pensavo a lui tutto il tempo, perché arrossivo quando mi parlava, perché quando mi guardava e mi diceva un complimento o due parole carine mi sembrava di toccare il cielo con un dito... Però non lo so più ora, comincio a credere che forse era tutto nella mia testa. Forse sapevo che tutti sarebbero stati contenti se me lo sposavo, la mia famiglia, la signora Agnese, gli Amato... e allora anche per questo lo volevo così tanto Irè. Mi sembrava che se stavo con lui avevo trovato il mio posto in un certo senso, e invece alla fine ero prigioniera di qualcosa che non era reale, - raccontò. Le parole che Ludovica le aveva rivolto le riaffiorarono in mente, quello che le aveva raccontato sulla sua storia con Riccardo Guarnieri nella quale Maria si era rispecchiata sotto molti, moltissimi punti di vista, e che in fondo un po' le aveva dato la forza e la consapevolezza necessaria a rendersi conto che tutte quelle cose toccavano in realtà anche lei.

-Ne sei proprio sicura? Come sai che non è reale?- le chiese Irene.

-Perché con te è diverso Irè, - fu la prima risposta di Maria, quello che a primo impatto le venne istintivo dire. -Quando stavo insieme a Rocco io pensavo di essere felice, ma se ripenso ai momenti con lui poi mi rendo conto che non facevo nemmeno caso a come mi sentivo io. Pensavo soltanto a lui, se gli interessavano le cose che dicevo, se ero noiosa, se gli piaceva il cibo che gli preparavo... era come se dovevo sempre dimostrare che andavo bene per lui, come se dovevo convincerlo a scegliermi, ma la realtà è che ero sempre tesa, sempre in ansia. Nemmeno ci andavo a pensare se era lui ad andare bene per me, se con lui mi sentivo bene, se mi dimostrava di tenerci o mi faceva sentire desiderata, ascoltata, mi facevo bastare le briciole. Mentre invece, con te... con te io ci voglio stare Irè perché mi sento libera finalmente. Io lo so che non dovrei pensarti, non dovrei cercarti e neanche le dovrei provare tutte queste. E invece non riesco nemmeno a starti lontana.

Ecco fatto. Finalmente c'era riuscita, glielo aveva detto. Era la prima volta che riusciva ad aprirsi in modo così spontaneo e sincero e diretto con qualcuno, neppure con Rocco lo aveva mai fatto, perché lui in qualche modo aveva sempre dato per scontati i suoi sentimenti e che lei desiderasse stare insieme a lui e il matrimonio. La paura era ancora lì, certo, però adesso nonostante tutto Maria si sentiva un po' più sicura di sé, e soprattutto fiera di avere avuto il coraggio necessario ad esporsi e non nascondersi più. Adesso toccava a Irene fare la sua mossa.

-Se è per questo non ci riesco nemmeno io, - fu l'unica risposta di Irene. E per quanto breve e semplice e piena di incertezza e titubanze e paure, era tutto quello che Maria in quel momento aveva bisogno di sentire. Non ci riusciva nemmeno Irene a starle lontana, e probabilmente nemmeno lo voleva. Erano entrambe nella stessa situazione, e insieme l'avrebbero affrontata. Già soltanto questo bastava a rassicurarla.

-E quindi che facciamo?
….


-Che facciamo?- ripeté Irene, non del tutto sicura di come interpretare la domanda. In che senso 'che facciamo'? Perché c'era un qualcosa che avrebbero dovuto fare, di preciso?

-Eh, come la affrontiamo questa... questa situazione?- spiegò Maria, un po' titubante. Magari fosse stato così semplice riuscire a darle una risposta.

-Anche io ci ho pensato molto ieri, parlando con Stefania, - iniziò Irene, non avendo una reale soluzione da offrire ma soltanto altre domande.

-E sei arrivata a una conclusione?-

-Più o meno... - replicò, rimanendo sul vago. -Più no che sì per la verità. Io mi sento molto in colpa ad essere sincera, - fu la prima cosa che Irene si sentì di dire. Già una volta si era intromessa nel rapporto tra i promessi sposi siciliani e i risultati erano stati catastrofici, al punto che se non si fosse cosparsa il capo di cenere per giorni nessuno l'avrebbe più fatta entrare all'interno di quella casa con ogni probabilità. L'idea che si potesse ripresentare una situazione analoga con la famiglia Amato la spaventava e non poco.

-Per Rocco dici?- chiese Maria.

Irene annuì in silenzio.

-Lo so, mi sento in colpa anche io, - cercò di rassicurarla Maria. -E non solo per lui. Ti immagini il dispiacere che darei alla signora Agnese...

-Però è anche vero che non puoi continuare a vivere un sentimento immaginario per far contenta la signora Agnese, - le fece presente Irene. Faceva riflettere che le preoccupazioni di Maria andassero tanto ai sentimenti di Rocco quanto a quelli della zia, come se fosse stata una parte integrante della loro relazione (cosa che poi in fondo non andava nemmeno troppo lontana dalla realtà).

-Irè ma tu lo sai quanto ci tiene a questo matrimonio... - sospirò Maria, piuttosto amareggiata.

-Certo che lo so, ma che senso ha sposarti se tu per prima non sei felice? - la spinse a riflettere Irene. Non era giusto e né tanto meno sensato che Maria desse così tanta importanza alla signora Agnese e ai suoi sentimenti, in primo piano avrebbe dovuto mettere soltanto se stessa e quelli che erano i suoi di desideri, ovviamente. -Vedrai che piano piano, con il tempo se ne farà una ragione e capirà.

-Anche se fosse, vedrai che quello che non capirà sarà mio padre, - ribatté Maria, con un velo di tristezza e malinconia che non passò certo inosservato agli occhi della Venere. -Tu non lo sai com'è... Con che faccia glielo dico che non mi sposo più? Quello è capace pure che mi disconosce come figlia.

Irene sospirò. Non c'era nulla che lei potesse dire o fare per sistemare le cose, per cambiare la situazione o la società, per convincere il padre di Maria ad approvare perlomeno la sua scelta di non sposarsi con Rocco. Un uomo così probabilmente avrebbe chiuso la figlia in convento senza starci troppo a rimuginare, a giudicare dalle poche cose che sapeva sul suo conto. E sapeva che per Maria non era facile, non era facile per niente. Per lei era diverso, il rapporto con suo padre lo considerava perso per sempre e non aveva più alcun interesse nel ricercare la sua approvazione, anche perché sapeva che non sarebbe arrivata in alcun caso. E così, volendo evitare inutili parole di rassicurazione che non avrebbero fatto altro che sembrare ipocrite oltre che insensate, Irene si limitò a tirare Maria verso di sé e stringerla tra le sue braccia in modo protettivo. L'altra ragazza reagì positivamente a quella richiesta di contatto e appoggiò immediatamente la testa sopra il petto di Irene, che fu ben felice di accoglierla: presto le sue mani iniziarono ad accarezzarle il braccio e la spalla mentre la Venere appoggiò comodamente il mento sopra la testa di Maria e i suoi capelli raccolti. Anche la sartina rimase in silenzio, afferrò i lembi della camicetta bordeaux che Irene stava indossando quella mattina e li strinse forte, quasi come se si stesse aggrappando a lei come a un'ancora di salvezza.

A Irene bastarono quei pochi secondi per capire che stava facendo la cosa giusta, che non avevano proprio nulla di cui sentirsi in colpa. Stare vicino a Maria era così naturale per lei e spontaneo e piacevole che semplici momenti come quello avrebbe voluto durassero un'eternità. Era tutto così facile da capire che Irene si domandava come avesse fatto ad avere anche solo il minimo dubbio a riguardo, a pensare che sentirsi così bene e felice e tranquilla in compagnia di un'altra persona potesse essere uno sbaglio.

-Quindi è questo il problema? - mormorò, senza smettere di accarezzarla. -Hai paura di come reagiranno le altre persone se dovessi annullare il matrimonio con Rocco?

-Anche, sì... - replicò Maria, continuando a stringere forte il tessuto della sua camicetta mentre la pelle di Irene sotto di essa stava lentamente andando a fuoco, nonostante la sarta ne fosse ignara.

-Metti da parte gli altri per un secondo adesso, il matrimonio e la tua famiglia, pensa solo a te stessa, - la invitò Irene, sperando di poter aiutare Maria a fare chiarezza dentro di sé e prendere una decisione. -Tu che cos'è che vorresti? Vorresti comunque sposarti con Rocco se dipendesse da te?

-Irè,- le rispose Maria in un sussurro, chiamando il suo nome. La Venere allentò la presa su di lei così che la sua coinquilina potesse allontanarsi di poco e alzare lievemente il viso per guardarla negli occhi. E in quel momento, Irene sentì tutte le sue difese crollare all'improvviso e sciogliersi come neve al sole sotto lo sguardo perso e smarrito e allo stesso tempo carico di desiderio che Maria le rivolse. -Ma chi voglio prendere in giro io, - esalò la ragazza, mentre i suoi grandi occhi verdi si abbassarono per un momento sulle labbra di Irene, ora socchiuse.

-Di sicuro non me, - fu l'unica frase che Irene riuscì a mettere in piedi, senza nemmeno sapere bene come. Il modo in cui Maria aveva prima pronunciato il suo nome e poi l'aveva guardata lasciava poco spazio all'immaginazione in merito a quello che la ragazza desiderava, perlomeno in quel momento, e Irene si ritrovava a volere esattamente la sua stessa cosa. Così tanto, e in modo così forte e impetuoso e vivido, che in quel momento le sembrò impossibile riuscire a continuare a trattenersi. E soprattutto, lei non lo voleva. Non più.

Spaventata, timorosa, interdetta ma allo stesso tempo ben sicura di quello che desiderava, di quello che entrambe desideravano, Irene si sporse a sua volta verso Maria fino ad arrivare al punto da sfiorare le sue labbra. Poteva sentire il suo respiro accarezzarle la pelle, ma prima di baciarla un'altra volta tentennò per qualche istante e si fermò per una frazione di secondo, come bloccata dalla paura e l'incertezza. Se lei lo avesse fatto, se si fosse presa la responsabilità di baciare Maria una seconda volta, adesso con molta più consapevolezza delle implicazioni che questo gesto avrebbe avuto e non più sull'onda dell'emozione di un momento, tutto sarebbe cambiato per lei e ogni cosa non sarebbe stata più come prima. Avrebbe significato dichiarare apertamente di volere un'altra donna, di volere Maria Puglisi. E da lì, difficilmente poi sarebbe potuta tornare indietro. Se la sentiva veramente? Poi Irene spostò gli occhi sul viso di Maria, osservò il modo in cui stava trattenendo il respiro e la sua bocca socchiusa e i suoi occhi verdi intenti a fissarle le labbra, e capì che non aveva mai desiderato qualcosa tanto intensamente come in quel momento. Chiuse gli occhi, si fece coraggio e inclinò leggermente la testa a lato, prima di ricercare finalmente, in maniera un po' esitante, il contatto con le labbra di lei.

In un primo momento Maria rimase immobile, come paralizzata. Irene sentiva il cuore sul punto di esplodere nel petto, e la sensazione sembrò come triplicarsi quando, subito dopo che pose fine a quel breve contatto superficiale, Maria non lasciò passare nemmeno un istante prima di riavvicinarsi a lei e prendersi un altro bacio, che Irene fu ben contenta di ricambiare. Catturò il labbro superiore di Maria tra le sue mentre una scarica di brividi le attraversò la schiena, e si concedette qualche istante per indulgere nel contatto. Le mani di Maria nel frattempo si piazzarono sulla sua schiena e i suoi capelli come per reclamare Irene a sé, mentre Irene cominciò ad accarezzarle dolcemente la schiena e la base del collo, scoperta dai capelli legati della sarta.

Le due ragazze si guardarono per una frazione di secondo negli occhi in silenzio, prima di tornare a cercarsi reciprocamente lasciandosi andare a una serie di baci lenti e dolci e un po' timorosi, come se Irene avesse paura che da un momento all'altro qualcuno sarebbe entrato a strapparle Maria dalle braccia e quindi desiderasse poter vivere ed assaporare ogni singolo istante di quei momenti magici, che quasi parevano fare parte di una vita alternativa e distante, talmente era difficile per lei rendersi conto che tutto ciò era reale e stava succedendo sul serio. A giudicare dal modo in cui Maria la teneva stretta a sé e, se possibile, sembrava star cercando di attirarla ancora più vicino, Irene si rese presto conto che i baci dovevano star piacendo anche a lei, e non poté far altro che gioirne. Ogni volta che Irene si ritraeva e poneva fine, almeno temporaneamente, al contatto, Maria la ricercava e ne chiedeva ancora, sempre di più e con una foga sempre maggiore, richiesta alla quale Irene era ben più che felice di adempiere. Anzi, a dirla tutta con ogni bacio Maria sembrava acquisire sempre più sicurezza e decisione, tant'è che Irene dopo un po' decise di osare e schiudere le labbra per leccare quelle di Maria. La ragazza reagì molto positivamente all'invito e non esitò ad aprire la bocca a sua volta, così che Irene potesse lasciare entrare la punta della sua lingua all'interno della bocca di Maria. Un piccolo gemito si propagò nella stanza in seguito a quel contatto approfondito e la cosa non fece altro che incoraggiare Irene a chiedere di più e a prenderselo, mentre le loro lingue si cercavano e si ritrovavano in continuazione, spinte da un desiderio incontrollabile che non accennava a diminuire. Dio, come aveva fatto anche solo a pensare di poter vivere il resto della sua vita privandosi di tutte queste meraviglie.

-Io non ti lascio andare un'altra volta, - esalò infine Irene, senza fiato, sopra le labbra di Maria, gli occhi ancora chiusi per impedirsi di risvegliarsi dallo stato di trance nel quale era caduta e correre il rischio di scoprire che quei baci erano stati tutti soltanto un bellissimo sogno. -Lo so che sembra assurdo, però... io una possibilità a noi due la voglio dare, - mormorò infine, ancora non del tutto cosciente del pensiero che il suo cervello aveva formulato ad alta voce. Maria non rispose, o comunque non immediatamente, cosa che portò Irene ad allarmarsi e riaprire gli occhi, come per controllare che fosse ancora lì con lei. Fortunatamente la sarta si trovava esattamente dove l'aveva lasciata, anzi, ad essere sinceri anche molto più vicina, e aveva un sorriso gigante e un po' intontito dipinto sul volto, lo stesso che con ogni probabilità doveva avere anche lei in quel momento. -Se mi vuoi anche tu, ovviamente, - aggiunse Irene, messa momentaneamente in allarme dall'assenza di una risposta.

-Certo che ti voglio anche io Irene, - replicò Maria con un tono di voce che non ammetteva dubbi a riguardo, come fosse stata la cosa più ovvia del mondo. Come per volerla rassicurare della veridicità della sua affermazione, la ragazza attirò Irene a sé per il colletto della camicetta e la baciò di nuovo, e la Venere la lasciò fare felicemente ricambiando subito il gesto d'affetto.

-Davvero?- chiese poi quest'ultima, ancora incredula (e un po' stordita da tutti quei baci e l'effetto che sortivano su di lei).

-Tantissimo ti voglio, - ripeté Maria in un sussurro fermo e deciso, mentre cercava di recuperare il fiato perso. Ascoltando quelle parole Irene si sentì immediatamente fremere dal desiderio, e se riuscì a trattenersi dal prendere Maria e portarsela sul divano per dimostrarle come la cosa fosse assolutamente reciproca, fu semplicemente per la frase che seguì subito dopo:- Però le cose non saranno semplici per noi, bisogna anche guardare in faccia la realtà.

-Lo so anch'io che non sono semplici, però possiamo affrontarle assieme, - tentò di farla riflettere Irene, piano piano iniziando a riacquistare un briciolo di lucidità. La Venere si sporse in avanti per lasciare a Maria un dolce bacio sulla fronte volto a rassicurarla, poi aggiunse:- Un passo alla volta.

-Che vuoi dire?- chiese l'altra, un po' perplessa.

-Dico che è normale che adesso è difficile affrontare tutto in una volta, bisogna andare per gradi secondo me, - tentò di spiegarsi meglio la Venere. -Potremmo provare a passare un po' di tempo insieme da sole e cercare di capire meglio che cos'è... quello che ci unisce, - iniziò, provando a pensare al da farsi nell'immediato e a una soluzione che potesse essere realistica e fattibile. -Se sei d'accordo. E così ci rendiamo conto di come vanno le cose e capiamo se può funzionare...- concluse. Sul viso di Maria scorse chiaramente diverse emozioni intervallarsi tra di loro, confusione, perplessità e forse anche un pizzico di delusione e rammarico. Sapeva che non era un granché quello che era nella posizione di offrirle in quel momento, anzi, probabilmente Maria avrebbe avuto bisogno di maggiori rassicurazioni e certezze da parte sue, ma Irene non era proprio nella condizione di poterle fare promesse o sentite dichiarazioni d'amore. Non subito perlomeno. -Anche a me questa cosa fa un po' paura, se devo dirti la verità, - si spiegò allora, sperando di riuscire a far capire un po' meglio a Maria il suo punto di vista e la sua prospettiva. -È tutto nuovo anche per me, è per questo che preferisco andarci piano. - Questo non significava certo che le promesse o il desiderio di impegnarsi a lungo termine non sarebbero mai arrivati, soltanto che aveva bisogno di tempo e di capire meglio lei stessa quello che sentiva, in cosa sarebbe potuto sfociare quel rapporto in procinto di nascere.

-Hai ragione Irè scusa, ero così presa dai miei guai che non ho nemmeno pensato che magari pure tu avevi paura, che sei confusa pure tu, - rispose Maria, fortunatamente mostrandosi comprensiva. -E però col matrimonio che faccio nel frattempo?

-Beh, tu e Rocco vi dovete sposare a marzo, no? - chiese conferma Irene. -Non devi mica andare sull'altare tra mezz'ora! Potremmo lasciar passare un po' di tempo e vediamo come si evolvono le cose, - offrì. Non era un granché come soluzione, ma era l'unica cosa che in quel momento Irene si sentiva in grado di fare, concentrarsi sul presente e affrontare i problemi man mano che si sarebbero presentati, vivendo il suo rapporto con Maria giorno per giorno.

-E se vediamo che le cose tra noi vanno bene e funzionano?- chiese allora Maria.

-Se vediamo che le cose vanno bene, - incominciò la Venere, improvvisando, -magari sotto Natale che abbiamo le ferie lo raggiungi a Roma e ci parli...

-Sotto Natale?- ripeté Maria, decisamente contrariata dalle tempistiche proposte.

-Mica si può annullare un matrimonio per telefono o tramite lettera, non ti pare? - la fece riflettere Irene. -Lui non è qua, non ti telefona, non si fa mai sentire... In fondo non sarebbe come prenderlo in giro, è più un'omissione della verità, - ragionò, cercando di convincere Maria di quella tesi in fondo un po' tirata per i capelli. La verità era che con tutto il casino successo dopo il loro primo bacio, le tensioni, il nervosismo e tutti quei sentimenti contrastanti, per Irene in quel momento sollevare anche il polverone del matrimonio annullato sarebbe stato decisamente troppo – e non era nemmeno la diretta interessata. Sarebbe stato assurdo pretendere che Maria, che aveva vissuto il tutto almeno dieci volte peggio di lei, si sentisse immediatamente pronta a un passo del genere. Avevano entrambe bisogno di tempo e di tranquillità, soprattutto psicologica.

-Omissione, menzogna, poco cambia Irene... - le fece presente Maria con aria mogia e rattristata. L'idea di nascondere la verità a tutti e continuare a sentirsi legata a una promessa che non aveva alcuna intenzione di mantenere non doveva essere semplice per lei.

-Però che alternative abbiamo se ci pensi? - obiettò Irene, accarezzandole la guancia destra. -Preferiresti partire per Roma adesso e dirgli che vuoi far saltare tutto, per poi andare ad affrontare la tua famiglia? - le domandò, cercando di far capire a Maria che la soluzione che aveva proposto, per quanto brutta e scorretta potesse sembrare, era anche l'unica che al momento fosse fattibile per entrambe.

-No, hai ragione, adesso come adesso io non me la sento di parlargli, - convenne la sarta. -Ho bisogno di tempo, di capire meglio... Già ho tanti pensieri ora, non ce la faccio ad affrontare anche la cosa del matrimonio. Se lui fosse qua io non me la sentirei di prenderlo in giro chiaramente. Però, con lui lontano, le nostre famiglie che hanno già organizzato tutto... - sospirò la sarta, lasciando intendere che in fondo, per quanto la cosa non le piacesse, si trovava suo malgrado a dover dare ragione a Irene: ora come ora purtroppo non potevano fare altrimenti.

-Lo so, è difficile. Un passo alla volta, va bene? - ripeté Irene. Maria annuì e abbassò lo sguardo con un'espressione piena di sensi di colpa, così per cercare di tirarla su la Venere si sporse verso di lei e le lasciò un rapido bacio a fior di labbra, che se non altro ebbe l'effetto di strapparle un sorriso, per quanto piccolo. -Secondo me la cosa migliore adesso è pensare al presente, il resto verrà strada facendo.

-Sì forse è la cosa migliore, pensare al presente e fare le cose piano piano, - concordò Maria. -È che mi sento tanto in colpa Irè.

-Non devi invece, anzi, non dobbiamo, - tentò di rassicurarla Irene, parlando con decisione. In realtà molte delle ansie di Maria e dei suoi timori riusciva a capirli molto bene perché erano le stesse sensazioni che provava lei, anche se cercava di non darlo a vedere e mostrarsi più forte di quella che in realtà era. -Non stiamo facendo niente di male, alla fine, - cercò di convincerla (rivolgendosi in parte anche a se stessa).

-Magari fosse così facile capirlo, - rispose Maria, sconsolata. -Io mi vergogno tanto di quello che sento, di essere diversa... mi sento tanto sbagliata.

-Non sei sbagliata Maria, nessuna di noi due lo è, - rimarcò Irene, pur sapendo che non sarebbe stato sufficiente a far cambiare opinione all'altra ragazza. -Vieni qua, - la invitò poi, attirandola a sé per farla sedere sulle sue ginocchia. E mentre le sue braccia avvolsero la vita di Maria per stringerla in un abbraccio rassicurante, quest'ultima appoggiò la sua fronte contro quella di Irene e rimasero immobili così per alcuni secondi. La Venere chiuse gli occhi e per un istante si sforzò di dimenticarsi tutto quello che si trovava al di fuori della porta di casa, godendosi le sensazioni piacevoli che quel contatto provocò in lei.

-Come fa a essere sbagliato essere così tanto felice, ah? - sussurrò Maria, rompendo il silenzio, mentre accarezzava dolcemente il viso di Irene. -Me lo dici?

-Felice? Sei felice ora? - domandò l'altra mentre riapriva gli occhi, con un sorriso gigante stampato sul volto che lasciava ben intendere che la cosa fosse decisamente reciproca.

-Molto, - le assicurò Maria, ricambiando il sorriso.

-Dove sei ora, in questo preciso momento?- insistette la Venere, volendo un po' giocare con lei.

-Preciso preciso, - ribadì Maria. Nel frattempo le sue mani passarono dal viso di Irene ai suoi capelli, infilandosi delicatamente tra i suoi ricci biondi. Nonostante quest'ultima a parole non disse nulla per commentare quel piccolo gesto, in realtà segretamente le fece piacere più di quanto non si sarebbe aspettata.

-Compagnia inclusa?- domandò poi, ridacchiando.

-Ah no quella invece è pessima proprio, - scherzò Maria.

-Come scusa?- si finse indignata Irene, mentre la ragazza tra le sue braccia si lasciò andare ad una risata liberatoria e spensierata. La Venere non le diede nemmeno il tempo di replicare: consapevole di non doversi più trattenere, seguì il suo istinto e annullò nuovamente la distanza tra di loro con un bacio e poi un altro ancora, che Maria ricambiò felicemente.

-Sono fiera di te, lo sai?, - le disse infine con orgoglio, guardandola negli occhi. -Hai avuto davvero un grande coraggio.

-Anche io sono fiera di me stessa Irè, - sussurrò Maria in risposta. E in fondo, alla fine, la cosa che contava più di tutte era proprio quella.

 

Nota dell'autrice
Eccoci qua, finalmente siamo giunti a una sorta di punto di svolta e le Mariene si sono ritrovate. Non so sinceramente se ci sia qualcuno che è ancora ineressato a questa storia o se ci sia anche solo mai stato, ma nel caso ringrazio ancora una volta tutte le persone che sono arrivate a leggere fin qua e mi scuso per i tempi biblici che avete dovuto aspettare per avere questo ricongiungimento. Non mi sarebbe sembrato naturale inserire dichiarazioni o promesse d'amore perché appunto, come sottolinea la stessa Irene, sono ancora all'inizio ed è tutto molto nuovo per loro. La mia idea è quella di andare avanti con questo prompt e scrivere one shot che seguono le trame principali di questo Daily e come le Mariene le avrebbero affrontate essendo una coppia (i problemi con la ricerca di una nuova coinquilina, Rocco e la Miss, il signor Rossi e la vendita della casa, la sfilata sabotata da Dante, il dramma SanColombo, il tirocinio di Maria nel negodio di abiti da sposa). Non so se e quanto riuscirò a completare ma dal momento che adesso per molti mesi non avremo più contenuti la speranza e la volontà ci sono.

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