A game of courage - Bakudeku Halloween Story

di 0421_Lacie_Baskerville
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***



Capitolo 1
*** 1 ***


A game of courage

- Bakudeku Halloween story -

 

 

The only road i know

Nowhere to go, but home

Nowhere to go

Maybe our time is up

But still you can't look back

( Love is end – Keane )

 

Era una stupida, stupida, idea. Izuku l'aveva intuito nel momento in cui aveva visto quella luce maliziosa accendersi negli occhi castani della sua migliore amica e un sorriso birichino curvarle la bocca.

≪ E se facessimo qualcosa per Halloween? Qualcosa di alternativo? ≫ aveva esclamato pensierosa e al suono della sua voce lo scribacchiare assorto delle matite, il mormorio delle spiegazioni di Todoroki, Momo e Iida, perfino il borbottio esasperato di Mina che di grammatica inglese non stava capendo nulla, si erano spenti. Gli sguardi dell'intera classe si erano spostati sulla ragazza che sedeva sul cuscino davanti al tavolino di vetro, con il pugno premuto contro la guancia paffuta e lo sguardo perso nel vuoto. ≪ Facciamo qualcosa, si, ≫ aveva detto Uraraka schiudendo le labbra a bocciolo con aria meditabonda. ≪ qualcosa di diverso dal solito per festeggiare tutti insieme la notte di Halloween. ≫

≪ Cosa intendi con diverso? ≫.

Sero era stato il primo a rompere il silenzio che era sceso nella sala comune, corrugando pensieroso l'ampia fronte pallida ed esprimendo a parole il pensiero che si era affacciato sui visi dei loro compagni.

Izuku aveva stretto la presa sulla sua tazza di porcellana, con un brutto presentimento in petto. Le gambe piegate contro il petto e la schiena sprofondata contro lo schienale morbido del divano si erano tesi leggermente quando gli occhi castani di Ochaco si era posati su di lui per un'istante prima di correre sui compagni di classe. ≪ Qualcosa che non si è soliti fare. ≫ aveva specificato, parlando lentamente come se stesse cercando di schiarirsi le idee. ≪ Per Halloween tutti fanno sempre le stesse cose, avete presente? Costumi. Festicciole con musica e punch. Dolcetto o scherzetto. ≫

≪ Siamo un po' cresciuti per dolcetto e scherzetto. ≫ l'aveva interrotta Jirou, arricciando le labbra in una smorfia irritata che aveva attratto lo sguardo placido di Tsuyu, seduta accanto ad Ochaco e intenta a tormentarsi il labbro con le dita affilate. ≪ A me piace dolcetto e scherzetto. È un classico. ≫

≪ Si, va beh. Ma Aizawa non penso ci permetterà di fare scherzi alla gente. ≫ La voce sbuffante di Sato conteneva una punta d'ironia nell'intromettersi e strappare a Tokoyami al suo fianco un cenno affermativo con la testa. ≪ Siamo pur sempre aspiranti eroi. ≫

Un brusio confuso si era alzato nella sala comune, riempiendo l'aria che profumava di tè caldo e biscotti al miele delle voci dei membri della classe. Izuku gli aveva guardati con apprensione crescente, gli occhi verdi spalancati e la tazza di porcellana calda stretta nelle mani sfregiate, vagliare quell'idea e tutte le sue sfumature.

Era un freddo pomeriggio di ottobre, il vento soffiava forte dietro le grandi vetrate della sala comune e nell'aria indugiava l'odore delle foglie di tè nero con cui Yaoyorozu aveva preparato loro qualcosa di caldo per aiutarli a studiare. Izuku era stato felice all'idea di passare un pigro pomeriggio d'autunno a studiare con i suoi amici e compagni. Era divertente vedere Kaminari e Kirishima arrovellarsi il cervello sulle pagine dense di sottolineature e appunti, l'espressione quasi luminosa che gli distendeva i tratti del viso nel momento in cui riuscivano finalmente a capire.

Gli piaceva il mormorio calmo e controllato di Todoroki mentre spiegava le parti più ostiche delle regole grammaticali e delle pronunce, aiutandolo a superare l'ostacolo molto più rapidamente di quanto sarebbe riuscito a fare da solo. Nel vedere però quella luce maliziosa accendersi nel castano degli occhi della sua migliore amica, aveva sentito nascere dentro di sé l'inquietante pensiero che Ochaco stesse macchinando qualcosa di poco piacevole.

≪ Non saprei, Ochaco. ≫ tentò d'intromettersi incerto, gli occhi verdi che vagavano verso le alte vetrate dove il vento spingeva foglie oro e cremisi su un tappetto di erba secca. ≪ Non ci sono molte cose che potremo fare e non so se sia il caso di deciderlo ora che non siamo tutti presenti. Aspettiamo almeno che Kacchan, Hakagure e Ojirou tornino, prima di decidere qualcosa. ≫

All'orizzonte si stavano ammassando nuvole temporalesche, ma di Kacchan non c'era nessuna traccia. Una smorfia gli curvò la bocca nervosa, era uscito più di un'ora prima, per nulla impensierito dal vento gelido o dalla prospettiva di perdere quelle ore di studio ozioso in loro compagnia e di quel passo avrebbe beccato il temporale.

Un nodo di agitazione strinse la gola di Izuku nel vedere la schiena della sua amica raddrizzarsi con un movimento morbido e felino. I capelli castani sfiorarle le guance rosate nel voltarsi a guardarlo con un sorriso candido quanto malizioso. ≪ Bakugou farà comunque un sacco di storie per venire e sono certa che agli altri non dispiacerà la nostra idea. ≫ disse con decisione e il sorriso sulle sue labbra si estese nel suggerire divertita. ≪ Anzi, non lasceremo alcuna possibilità a Bakugou di rifiutarsi. Dovrà adeguarsi a noi. ≫

Izuku rimase letteralmente a bocca aperta nel fissarla. Kacchan che si adeguava a qualcun altro, come si vedeva che non lo conosceva affatto. Si sarebbe infuriato. Avrebbe gridato e gli avrebbe insultati tutti. Infine, gli avrebbe mandati al diavolo e se ne sarebbe andato per i fatti suoi, perché nulla faceva arrabbiare Kacchan più di sentirsi dire cosa dovesse fare e Izuku che gli era cresciuto accanto, lo sapeva fin troppo bene.

Ma Ochaco non gli diede nemmeno il tempo di spiegarglielo. A Izuku bastò incrociarne lo sguardo per capire che non solo non le importava di cosa avrebbe fatto o detto Bakugou, aveva in mente di incastrarlo in qualcosa. Un brivido gelido gli percorse la pelle nel momento in cui realizzò che lei non aveva mai smesso di pensare a quello che gli aveva detto qualche giorno prima, in un momento di sconforto, ma non c'era nulla che potesse davvero fare per impedire la catastrofe. Perché quando Uraraka Ochaco decideva di dover aiutare uno dei suoi amici, non c'era davvero nulla che potesse fermarla.

≪ Potremo fare una festa. ≫ propose Kaminari con entusiasmo, parlando sopra a Izuku mentre lui insisteva con la voce squillante che tradiva tutto il nervosismo che gli stava montando dentro. ≪ Ma sarebbe comunque meglio aspettarli. ≫

Kaminari seduto dall'altra parte dello stesso divano in cui sedeva lui, per scusarsi dell'interruzione gli fece un cenno con la mano e un sorriso radioso. ≪ Magari in maschera. Potremo mascherarci. ≫ insistette però suscitando uno strillo eccitato da parte di Mina, appollaiata su un altro divano con il libro aperto sulle gambe incrociate. ≪ Si. Si e ancora si. Ho già in mente il costume perfetto che vi lascerà tutti senza parole! ≫

≪ Ma non è un po'... scontato? ≫ sussurrò pensierosa Jirou, tirandosi indietro e poggiando tutto il peso sui palmi. La bocca sottile si arricciò in una smorfia mentre gli occhi pallidi correvano a guardare il resto dei compagni cogliendo al volo i loro pensieri. ≪ Non tanto diverso da quello che facciamo di genere. Non volevate qualcosa di diverso? ≫

≪ No, Kyoka ha ragione. Faremo una cosa diversa. Una cosa alternativa. ≫ concordò Ochaco, gli occhi castani fissi su Izuku che iniziava a sentirsi come una pallina da flipper sbattuta da ogni parte nello spostare l'attenzione da un compagno all'altro senza trovarne nemmeno uno disposto a dargli sostegno. Perfino, Iida l'aveva abbandonato, incrociando le braccia sul petto e annuendo fra sé mentre parlava con Kirishima di quanto sarebbe stato utile a tutti consolidare i loro legami con qualcosa di leggero e divertente invece che con i soliti allenamenti.

Nei grandi occhi castani fissi nei suoi era comparsa una luce scaltra che alimentava l'inquietudine che gli si agitava dentro. La bocca di rosa di Ochaco si stese in un lento sorriso che avrebbe trovato incantevole se non gli avesse fatto sprofondare il cuore nel petto. ≪ Faremo una sfida di coraggio a coppie in un vecchio cimitero e ognuno di noi dovrà dimostrare di essere un vero uomo... o una vera donna... passandoci del tempo dentro. ≫

Fu quello il preciso momento in cui Izuku iniziò a desiderare con un trasporto disperato che Kacchan entrasse da quella porta e mettesse fine a tutto. Nessun'altro avrebbe potuto mettere a tacere quell'idea malsana che stava nascendo nella mente di Ochaco come lui. Nessun'altro poteva mettere fine all'entusiasmo infantile di Kirishima e impedirgli di balzare in piedi, gridando ≪ Una sfida così virile, ma certo! Perché non è venuta a me quest'idea? Grande, Uraraka, facciamolo. ≫

Nessun'altro avrebbe potuto mettere un freno a quella pessima, davvero pessima, storia che Ochaco aveva tirato fuori con naturalezza e per cui stava coinvolgendo tutti pur di realizzarla, come sempre artefice e catalizzatore dei progetti dell'intera classe, ignorando le sue proteste e suppliche di aspettare.

In quel momento, Izuku pensò che non gli sarebbe proprio dispiaciuto se quella porta si fosse aperta per lasciar entrare un eroe che lo salvasse. Qualcuno che scacciasse l'imbarazzante verità che lui sentiva già la paura strisciargli nelle viscere al pensiero di trovarsi in un luogo tanto lugubre e in una notte tanto spaventosa, ancor prima che la sfida non era nemmeno iniziata.

***

Il temporale era scoppiato prima che Katsuki riuscisse a rientrare in dormitorio. Il cielo si era fatto buio, ma lui non ci aveva fatto caso. Infondo, il vento aveva soffiato gelido e feroce per tutto il pomeriggio, asciugandogli addosso il sudore e facendolo rabbrividire. Nessun allenamento era stato sufficiente a dissipare del tutto quel brivido gelido lungo la spina dorsale.

Nel costeggiare il bosco in un'ultima corsa prima d'infilarsi sotto il getto caldo della doccia, la pioggia aveva preso a cadere fitta e pesante imprimendogli i vestiti e scivolandogli lungo la pelle, strappandogli dalle labbra tutta una serie d'imprecazioni per cui sua madre avrebbe sentito l'esigenza di sciacquarli la bocca con il sapone da bucato.

Gli stivali affondarono nel terreno fangoso mentre attraversava di corsa il prato diretto verso le luci allegre del dormitorio. Aveva preso una scorciatoia per arrivarci prima, perciò invece che comparire per il sentiero di pietra emerse dal lato dell'edificio, costeggiandone il muro fra i bassi cespugli e maledicendo in silenzio il temporale e il cattivo karma che gliel'aveva mandato.

Il suono di voci ovattate strisciò alle sue orecchie, sotto lo scrosciare della pioggia persistente e lo spinse a rallentare il passo. Un brivido gelido gli percorse la schiena, c'era qualcuno sul portico coperto intento a parlare così piano che Katsuki dovette aspettare di aver raggiunto la prima colonna per afferrarne le parole.

≪ ...sempre meglio che starsene a deprimersi guardando qualcun altro prendere l'iniziativa al tuo posto. ≫ stava dicendo una voce leggermente squillante, irritante e famigliare. Katsuki corrugò la fronte pensieroso, ma fu la seconda voce a folgorarlo e arrestarne definitivamente il passo.

≪ Non posso credere che tu intenda farlo. ≫ disse Deku con un gemito e Katsuki non dubitò nemmeno per un'istante che fosse stato lui a parlare. Quella voce l'avrebbe riconosciuta fra mille, così irritante da essere inconfondibile, così famigliare da togliergli ogni dubbio sul suo proprietario. La conosceva così bene che si voltò a guardare nella direzione da cui proveniva con le sopracciglia aggrottate in una muta domanda.

≪ Ma è perfetto. ≫ stava dicendo l'altra voce, tenace e sicura, insinuandosi al di sotto dello scrosciare della pioggia e ignorando il verso frustrato che era sfuggito dalle labbra di Deku. ≪ Questo ti sarà d'aiuto, non ti potrà evitare. Dovrà per forza accorgersi di te. ≫

≪ Si, per ridermi in faccia. ≫ replicò Deku, con una punta d'irritazione così insolita per lui da spingere Katsuki a sporgersi con cautela da dietro il muro e controllare la situazione. Lanciò un'occhiata al portico sfiorato dalla luce calda che filtrava dalle grandi vetrate e individuò all'istante la figura inquieta di Deku voltarsi a lanciare un'occhiata risentita alla ragazza a pochi passi da lui, gli occhi verdi baluginanti di ombre e la bocca arricciata in una smorfia petulante. ≪ Perché è questo che farà se mai verrà a saperlo. Mi deriderà per averlo anche solo pensato. ≫

Sotto la pioggia scrosciante, Katsuki si passò il palmo della mano sul viso per spingere via le gocce che scendevano ad accecarlo e corrugò la fronte perplesso davanti alla figura inquieta di Deku che riprendeva a misurare il portico a grandi falcate con un'espressione corrucciata ad alterare la morbidezza dei tratti del suo viso e un'ombra a scurire il verde delle iridi. ≪ Ma perché non mi sono stato zitto, fin dall'inizio? ≫ si chiese, sollevando le mani percorse da spesse cicatrici e gesticolando agitato. Una mano s'insinuò nella massa disordinata dei suoi capelli mentre si voltava a lanciare un'occhiata inquieta alla ragazza che lo fissava con irritazione crescente. ≪ Non avrei mai dovuto confidartelo, tanto più che è impossibile che uno come me gli piaccia allo stesso modo. ≫

Un verso strozzato sfuggì dalla bocca arricciata di Ochaco Uraraka. ≪ Senti, già non mi spiego cosa ci vedi in lui, se poi fai anche così... ≫ commentò scocciata, roteando gli occhi nocciola e incrociando le braccia sul petto. il giubbino rosa che aveva indossato per ripararsi dal freddo frusciò a quel gesto, attutendo la sua voce scontenta. ≪ mi fai passare la voglia di aiutarti. ≫

I folti riccioli scarmigliati di Deku ondeggiarono nell'aria densa di umidità quando si voltò a guardarla. ≪ Io non ti ho chiesto di aiutarmi, Ochaco. Maledizione. ≫ sbottò Deku e la sua voce acuta si sollevò di tono, inasprendosi. ≪ Non ti ho mai chiesto di farlo. Se ti ho parlato di lui è solo perché sono certo che le cose non possono cambiare fra noi e che come mia amica, mi avresti ascoltato. ≫

Katsuki si sbalordì di sentirlo risponderle in quel modo, con una scintilla di rabbia appena trattenuta nella voce e qualcosa a indurire i tratti morbidi del viso. Aveva indossato solo una felpa larga di un pallido azzurro e un paio di pantaloni sportivi perciò non sapeva dire se il tremito che gli scuoteva il corpo atletico e fece guizzare i tendini delle braccia mentre chiudeva le mani a pugno, dipendesse da un'emozione violenta che lo scuoteva o dal freddo pungente nell'aria.

Non erano molte le volte in cui Katsuki aveva visto emergere quel lato della sua personalità che cozzava con la sua solita gentilezza disarmante e innaturale, ma quando era accaduto, era sempre stato in presenza di un criminale e delle sue contorte motivazioni. D'altronde, nient'altro poteva far arrabbiare Izuku Midoriya quanto le ingiustizie e la cattiveria gratuita. Ma adesso, il ricettacolo della sua rabbia sembrava proprio la stessa ragazza che gli girava intorno da quando avevano messo piede in quella scuola per la prima volta.

Katsuki non aveva mai capito che genere di rapporto fosse il loro. Secondo alcune voci, erano amici intimi. Per alcuni, fra cui spiccava il piccolo pervertito della classe, quell'intimi significava che scopavano se non che avessero una vera e propria relazione sentimentale. Per lui era un mistero come si potesse essere tanto ottusi da non capire cosa mettesse tanto in imbarazzo Deku del corpo femminile.

A pochi passi di distanza da lui, Ochaco storse la bocca in una smorfia e sbuffò. Sul suo viso pieno, sfiorato dalla luce calda che filtrava dalla vetrata, si era dipinta un'espressione scocciata che faceva scintillare gli occhi nocciola coronati di ombre come quelli acuti di un gufo.

Katsuki la studiò per un lungo istante di quiete in cui entrambi si soppesarono in silenzio, in evidente contrasto su qualcosa che a lui risultava poco chiaro. Sapeva che avrebbe dovuto uscire allo scoperto o andarsene, passare dal retro e lasciargli ai loro battibecchi che non lo riguardavano affatto e ancora meno, avrebbero dovuto interessargli, ma la curiosità gli bruciava dentro e lo inchiodava dietro quella parete, sotto la pioggia gelida che si insinuava nei vestiti e gli percorreva la pelle fredda.

Voleva sapere cosa stesse succedendo, cosa si celasse dietro l'espressione tormentata che stava emergendo sul viso di Deku, inclinandone la rabbia e conferendo alla sua bocca una piega amara, su perché dovessero discuterne proprio all'ingresso, al freddo e al gelo, costringendo anche lui a sorbirsi tutta la pioggia gelida che lo inzuppava.

≪ Non ti illudere, non ci verrà nemmeno. ≫ disse infine Deku, spezzando il silenzio teso che si era formato fra loro e passandosi la mano fra i folti riccioli scuri in un gesto frustrato. Alla luce soffusa della vetrata, le morbide onde fra le sue dita apparirono nere, in aperto contrasto con il candore delle dita. Il suo viso corrucciato era un gioco di ombre e luci che accentuava la piega amara della bocca. ≪ Lo conosco, piuttosto che partecipare a una cosa del genere si getterebbe dal tetto. ≫

Di fronte a lui, Uraraka reclinò la testa di lato e lo sguardo nei suoi occhi si addolcì un poco. ≪ Sei un fifone, Deku. ≫ sospirò rassegnata, sciogliendo la stretta sul petto e rilassando appena le spalle. La sua voce squillante si abbassò fino a diventare un mormorio suadente nel commentare. ≪ Non capisco qual è il problema. Male che vada saprai la verità e potrai andare avanti. ≫

Nell'espressione del viso di lui, Katsuki riconobbe qualcosa del bambino che era stato e accanto a cui era cresciuto. Un rifiuto cocciuto e radicato ad accettare una visione delle cose diversa da quella dei suoi progetti, la stessa che l'aveva condotto fino alle porte dello Yuei per inseguire il sogno di diventare eroe nonostante tutte le prese in giro e le parole di scoraggiamento ricevute negli anni.

Uraraka non lo sapeva, forse, quanto fosse testardo quel ragazzo e quanto difficilmente tornasse sui suoi passi quando aveva preso una decisione. Gli occhi castani di lei scattarono verso il lato del portico, attratti dal fruscio dello stivale di Katsuki sull'erba fangosa che lo costrinse a ritrarsi di scatto e sbattere la schiena contro la pietra bagnata.

Per un lungo istante non osò nemmeno respirare, gli occhi rossi socchiusi sotto il peso del velo di pioggia che gli bagnava il viso e il petto serrato in una morsa di agitazione. Non voleva certo farsi beccare in una situazione così ambigua e far nascere in quei due il sospetto del tutto errato che gli interessasse quello di cui stessero parlando. La voce di Uraraka si risollevò dopo quelle che gli parvero ore, ma che oggettivamente dovevano essere secondi, sollevandolo del peso dell'incertezza. ≪ Verrà. Verranno tutti quanti. Visto quanto è orgoglioso non potrà sottrarsi senza fare la figura del codardo. Parteciperà, vedrai, e se non lo farà di sua volontà lo convinceremo con l'aiuto di Kirishima e degli altri. ≫

≪ Non ci mettere in mezzo pure lui, ti prego. ≫ gemete Deku con una nota affranta nella voce che gli conferì qualcosa d'indifeso. Pur senza vederlo direttamente, Katsuki riusciva a immaginare con una certa chiarezza la curva imbronciata della sua bocca, le ombre che i riccioli scuri allungavano sul suo viso e che fece tendere un filo invisibile nel suo petto.

Dal suo rifugio, Katsuki poté solo fremere in silenzio, divorato da una curiosità vorace che cresceva man mano che la voce lamentevole di Deku s'insinuava al di sotto dello scrosciare gelido della pioggia. ≪ Tu non capisci, Ochaco. Non voglio che si sappia. ≫ Poche volte, Katsuki si era sentito così desideroso di sapere qualcosa come in quel momento, ancor di più perché Deku tradiva uno strano tormento nel mormorare. ≪ Sono sicuro che se lo sapesse, Kacchan mi ucciderebbe. No, probabile che mi deriderebbe a vita. ≫

Gli occhi verdi si sollevarono a incrociare quelli castani di Uraraka che inarcò un sopracciglio ben disegnato, le braccia incrociate sul petto e un'espressione impassibile sul viso paffuto. Deku ispirò bruscamente, la mano sfregiata che spingeva indietro i riccioli scuri e scopriva la fronte candida segnata da un solco ansioso. ≪ Ma il punto è che non funzionerà, Ochaco. Quello che hai in mente, non funzionerà mai. ≫

Il corpo del ragazzo biondo s'irrigidì al suono del proprio nome, una tensione che scese lenta su di lui come la pioggia che lo bagnava, appiccicandogli i vestiti addosso. Gli occhi rossi si sgranarono fissando il prato bagnato dalla pioggia senza vederlo davvero. Rivoli gelidi gli percorrevano la pelle e scivolarono sotto i vestiti bagnati, incrostandogli le ciglia bionde e accecandolo, ma lui non mosse un solo muscolo mentre la voce squillante della ragazza risuonava ovattata e lontana, del tutto incomprensibile.

Non riuscì a capire cosa stesse dicendo, distratto com'era dal rielaborare quello che aveva sentito fino a quel momento e cercare di conferirgli un senso logico. Ma non poteva credere che le cose stessero proprio come le stava immaginando lui.

Non era mai stato gentile con lui. In realtà, poche persone erano in grado di farlo tendere e innervosire, di fargli rivoltare lo stomaco e montare dentro una rabbia tale da accecarlo, quanto ci riusciva Midoriya Izuku con tutta la sua sfacciata gentilezza. Ogni volta che quelle iridi luminose si posavano su di lui e Deku, quel buono a nulla, gli sorrideva goffo, il candore genuino che emanava dalla sua persona faceva venire voglia a Katsuki di rompere qualcosa.

Ma il pensiero che Deku lo ritenesse capace di insultarlo per le sue preferenze sessuali lo considerava un insulto ingiusto e immeritato. Una vera crudeltà da parte di qualcuno che avrebbe dovuto conoscerlo abbastanza da sapere che quella era l'unica cosa su cui non avrebbe mai aperto bocca. Nel fissare il prato sferzato dal vento gelido e dalle raffiche di pioggia, un altro pensiero gli sorse dentro nel ripensare a quella strana conversazione.

Era assurdo. Erano sempre stati insieme, lo aveva avuto sempre sotto gli occhi e in mezzo ai piedi, come aveva fatto a non accorgersi che si era innamorato di qualcuno?

Come aveva fatto a non notare i segnali e scorgere il luccichio di quegli occhi rivolgersi a qualcuno in particolare. Perché non gli era mai venuto in mente che sarebbe potuto accadere una cosa del genere. Sussultò nel venir strappato dai suoi pensieri dall'irruzione di una terza voce che gridò al di sopra di quelle più basse e agitate di Deku e della sua amichetta, interrompendo la loro conversazione. Approfittò di quel momento di distrazione per scivolare lungo il muro, diretto all'ingresso sul retro, senza fare alcun rumore.

Aveva una vaga idea di chi fosse la persona di cui Deku doveva essersi innamorato e per cui pensava l'avrebbe deriso. Poteva trattarsi solo di lui, ovviamente, quel maledetto Bastardo a metà di Todoroki Shouto.


 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Concedimi un ultimo ballo,

un'ultima ora

l'ultimo sole

per l'ultima volta

(concedimi, Matteo Romano)

 

L'ultima volta che aveva festeggiato Halloween doveva avere otto anni e la mamma di Kacchan aveva comprato per loro pacchi di caramelle colorate, addobbato il soggiorno con festoni a forma di zucche sdentate e streghe volanti e sistemato ragni di plastica negli angoli bui della stanza.

Il sorriso di Kacchan aveva qualcosa di estasiato mentre si riempivano le pance di dolci per poi correre per tutta la casa con i loro compagni e giocare ad acchiapparello. Quando era scesa la sera ed erano rimasti da soli, avevano guardato un film dell'orrore di nascosto dai genitori e Izuku aveva tremato per tutto il tempo, gli occhi sbarrati fissi sulle immagini terrificanti che scorrevano sullo schermo e le mani che stringevano forte un lembo dei vestiti di Kacchan, ma non era riuscito a distogliere lo sguardo.

No, non aveva voluto farlo.

Perché farlo avrebbe significato ammettere di non essere coraggioso quanto lui e mostrarsi debole ai suoi occhi gli era insopportabile già allora.

Quando era scesa la notte, Izuku ricordava di essere rimasto a dormire da Kacchan, rannicchiato al suo fianco con le mani che stringevano il tessuto del suo pigiama e il viso nascosto contro la sua spalla minuta. Ogni piccolo rumore e scricchiolio gli era parso un mostro pronto a balzare dalle ombre per divorarlo e solo la mano di Kacchan che stringeva la sua mescolato al calore emanato dal suo corpo, era riuscito a dissipare quel misto di paura e inquietudine che era rimasto ad attanagliargli il petto, fino a farlo sprofondare nel sonno.

Quella era stata una festa molto diversa da ciò che l'attendeva adesso a quasi diciott'anni compiuti. Era di sicuro più facile per un bambino trovare un dignitoso costume per mascherarsi rispetto a quanto lo fosse per un adolescente.

Izuku scorse la pagina web picchiettando con l'indice sulle labbra mentre borbottava fra sé, gli occhi che studiavano e scartavano ogni immagine che gli si presentava davanti. Il fatto era che non aveva la più pallida idea di cosa scegliere senza passare per un idiota e veder comparire quel ghigno derisorio sulle labbra di Bakugou Katsuki.

La rondella del mouse si arrestò sulla foto di un completo elegante d'altri tempi, il lungo mantello nero di velluto che sfumava verso l'interno in un color borgogna e il colletto alto e rigido che arrivava alle orecchie del modello. Canini allungati pungevano le labbra arrossate da cui scendeva un filo di sangue.

Izuku socchiuse gli occhi verdi, osservandolo pensieroso e provando a immaginarsi con qualcosa del genere addosso. Pettinarsi i riccioli scuri perché rimanessero indietro, sarebbe stato un incubo e non era poi tanto certo di riuscire ad annodare il fazzoletto intorno al collo perché scendesse elegante sul panciotto, ma la cosa peggiore era quel sospetto.

"Un patetico succhiasangue." Avrebbe detto la voce strascicata di Kacchan e Izuku la sentì risuonargli nella mente come se fosse lì con lui, intento a interrompere il suo tentativo di immedesimazione. Sapeva fin troppo bene cosa avrebbe detto se l'avesse visto arrivare vestito in quel modo. "Cazzo, Nerd, che originalità. Superi sempre le mie aspettative. In negativo."

Un sospiro esasperato gli sfuggì dalle labbra schiuse e la rondella prese a scorrere facendogli sfilare davanti agli occhi un'altra fila di costumi. Aveva più o meno capito cosa avrebbero messo Iida e Ochaco, perfino qualcun altro dei suoi amici. Non aveva idea di come Kacchan si sarebbe mascherato né se qualcuno fosse riuscito a convincerlo. Una stretta allo stomaco gli levò il fiato a quel pensiero, aveva così tanta ansia che una parte di lui aveva iniziato a sperare che non venisse proprio.

Appena l'aveva visto ricomparire, fradicio come un pulcino e con il viso corrucciato in un'espressione più cupa del solito, aveva semplicemente deciso di battere la ritirata e non stare a guardare come avrebbe preso la notizia di quell'assurdo progetto. Che ci pensassero i suoi amici, o Iida e Ochaco, a persuaderlo a partecipare. Lui non ci teneva a diventare il ricettacolo della sua rabbia immotivata e far calare ulteriormente le sue possibilità di successo.

Un sospiro rassegnato sfuggì dalle labbra di Izuku che nascose il viso nelle mani prima di abbandonarsi contro lo schienale della sedia e fissare la zucca di ceramica che gli faceva da portapenne sulla scrivania con la bocca arricciata in un broncio scontento.

Occhi neri a mezzaluna rovesciata ricambiarono il suo sguardo con un ghigno sdentato. Era solo uno stupido oggetto che Yaomomo aveva creato nell'addestrarsi e di cui Izuku si era gentilmente fatto carico dal momento che la ragazza poteva creare le cose, ma non riassorbirle o distruggerle. Un gesto gentile che avevano compiuto anche altri della classe a differenza di Katsuki che aveva storto la bocca e alzato gli occhi al cielo, borbottando aspro. Ritenta il prossimo secolo, Coda di Cavallo.

Izuku era rimasto a fissarlo in silenzio mentre si allontanava con i suoi amici, Kirishima e Kaminari, le mani in tasca e quella camminata indolente che gli si addiceva come una seconda pelle.

Da quando avevano iniziato a lavorare insieme per l'agenzia di Endevour, quasi due anni prima, le cose con Kacchan avevano iniziato a prendere una piega diversa rispetto al passato. Non sarebbero mai tornati ad essere affiatati come quando erano bambini e condividere il letto sembrava loro naturale, ma aveva iniziato a sperare di poter almeno costruire un buon rapporto di amicizia, una collaborazione, qualcosa di positivo che nemmeno lui sapeva definire ma che desiderava con forza.

Kirishima c'era riuscito in poche settimane. Kaminari in qualche mese. Perfino, qualcun altro della classe poteva vantare ormai di avere un rapporto amichevole con quello scontroso ragazzo, allora perché lui non c'era riuscito?

Perché Izuku che lo conosceva da sempre aveva visto la loro amicizia sfumare e deteriorarsi finché parlare era diventato impossibile, perfino impensabile?

Piano piano, fra gli insulti e le imprecazioni di Kacchan e la frustrazione crescente di Izuku stesso, avevano continuato a lavorare insieme senza di fatto costruire nemmeno la parvenza di un rapporto civile al di fuori delle missioni.

Katsuki lo detestava, era evidente.

La sola presenza di Izuku lo rendeva irritabile e suscettibile e faceva scaturire commenti aspri, grida rauche e imprecazioni volgari. Per lui aveva solo insulti o critiche, nei migliori dei casi qualche battuta sarcastica mirata a schernirlo e far scemare il suo entusiasmo per i risultati ottenuti.

Perfino quando faceva le cose per bene o si illudeva di farlo, Kacchan riusciva a scovare quell'unico dettaglio che rovinava tutto.

Eppure, per quanto fosse frustrante per Izuku non essere mai all'altezza delle elevate aspirazioni dell'altro, entrambi avevano dovuto affrontare la verità lampante che indipendentemente dal fatto che non riuscissero a parlare, loro due insieme lavoravano benissimo. I loro piani erano simili, le loro azioni coordinate senza bisogno di premeditazione, perfino la loro capacità di reazione e di azione era molto simile.

Sul campo di battaglia qualsiasi rivalità esistente fra loro finiva solo per spingergli a coprire l'uno le debolezze dell'altro, a chiudere ogni via di fuga al nemico di turno e a portare in salvo ogni vita messa in pericolo, perché entrambi avrebbero considerato un fallimento irreparabile perderne anche solo mezza. In pratica, erano i partner perfetti sul campo: sapevano cosa l'altro avrebbe fatto prima ancora che lo pensasse perché era esattamente quello che avrebbero fatto per primi.

Peccato che Kacchan a malapena gli rivolgesse la parola durante gli allenamenti o il tragitto verso casa, se non per abbaiare commenti taglienti che nascondevano un fondo di verità e qualche critica poco velata su quanto Izuku fosse un'idiota pronto a farsi ammazzare per un ideale.

Il fatto che avesse quasi sempre ragione, poi, non facilitava le cose. Era difficile capire se Kacchan glielo stesse dicendo per cattiveria o perché nel suo modo contorto lo stesse incoraggiando a migliorare quelle piccole cose che non funzionavano. Era doloroso pensare che lui l'avesse guardato proprio in quell'unico momento in cui non stava dando il meglio e avesse perso così l'occasione di mettersi in luce davanti ai suoi occhi.

La sera percorrevano la strada verso la stazione e la Yuei senza quasi rivolgersi la parola. Kacchan indossava auricolari bluetooth e gli precedeva di qualche passo, lasciando lui e Todoroki indietro a chiacchierare. I suoi silenzi avevano la consistenza incantevole delle acque calme sfiorate dalla luce lunare e conferivano ai tratti cesellati del suo viso, una bellezza mascolina difficile da ignorare.

Le spalle larghe e le braccia muscolose, la schiena dritta e solida, ogni parte del suo corpo per quanto rilassato tradiva una certa grazia felina e la consapevolezza di quanto fosse recettivo a tutto ciò che lo circondava. A volte, era riuscito a strappargli qualche commento sulle loro prestazioni congiunte sul campo, più raramente riusciva a fargli rallentare il passo per guardare una vetrina o comprare qualcosa in fumetteria prima di rientrare.

Già così, era un grosso passo in avanti rispetto alle medie, ma Izuku non si sentiva mai soddisfatto di quei piccoli scambi e anzi, più quegli occhi rossi lo fissavano senza dire una parola, più Kacchan gli rivolgeva qualche frase masticata d'irritazione che suonava quasi come un'accettazione o si muoveva in suo aiuto sul campo, più Izuku sentiva crescere in sé una punta sorda di dolorosa gioia che alimentava il desiderio di protrarre quei piccoli momenti all'infinito.

Seduto sulla sedia, nella penombra della sua stanza, si passò una mano sul viso e gemette di frustrazione. La triste verità era che a lui Kacchan era sempre un po' piaciuto fin da quando erano bambini, ancora prima di arrivare a capire cosa questo significasse. Crescendo le cose si erano complicate e Izuku aveva creduto di aver superato e perfino dimenticato quei sentimenti.

Povero illuso, era proprio il caso di dirselo.

Era bastato vederlo bruciare di rabbiosa preoccupazione per lui una sola volta, con i biondi capelli appiccicati alla pelle pallida dal sudore della battaglia e gli occhi brucianti di apprensione spalancati a fissarlo inorriditi. Sentirlo gridare il suo nome con voce strozzata, mentre Izuku agonizzava intrappolato sotto le macerie di un edificio crollato, perché quella scintilla si riaccendesse e divampasse come un incendio.

Attraverso le palpebre calanti, la figura forte e impavida di Kacchan gli era sembrata per la prima volta fragile e incredibilmente vicina da raggiungere. Quasi fosse ancora il bambino che lo chiamava con una nota di apprensione nella voce e si voltava a cercarlo con quegli occhi rossi penetranti, solo per trovarlo a inciampare sui suoi stessi piedi e rovinare a terra.

Gli era sembrato quasi che allungando la mano e stringendo quella che lui stava protendendo per afferrarlo, potesse colmare la distanza che il tempo aveva scavato fra loro e permettergli finalmente di toccarlo. Avrebbe perfino potuto credere che i rivoli che gli solcavano le guance fossero lacrime e non l'acqua dell'idrante vicino che pioveva su di loro, bagnando il cemento e le macerie.

Deku l'aveva chiamato con la voce insolitamente bassa e rauca, gli occhi rossi che scorrevano dalle macerie che gli bloccavano l'addome al viso pallido che si era sollevato a guardarlo al suono del suo nomignolo. ≪ Perché non aspetti mai?

Una domanda per cui non esisteva alcuna risposta. Izuku agiva sempre per proteggere gli altri prima che potessero farsi male e questo era tutto. Ma in quella domanda aveva anche scorto una vena di terrore che aveva pensato essere rivolto a lui.

Gli era sembrato che Kacchan fosse spaventato per lui, ma solo di questo si era trattato. Un'impressione. Perché nulla era davvero cambiato in un anno da quel giorno, a parte che ogni volta che lo vedeva scherzare e ridere con Kirishima quella stretta al petto si faceva insopportabile. Un dolore sordo che lo dilaniava come una belva e lo faceva arrabbiare, alimentando i suoi dubbi e sensi di colpa per quei sentimenti egoistici che erano riaffiorati prepotenti in lui e che non riusciva a scacciare per quanto ci avesse provato.

E poi, era arrivata quella sera fatidica, quella per cui si ritrovava ora a dover cercare uno stupido costume assecondando i folli piani della sua amica.

La pioggia formava rivoli come vene pulsanti sul vetro delle finestre dell'ufficio di Endevour e Izuku stava finendo di riscrivere il suo rapporto dopo che Burnin gli aveva fatto notare un errore grossolano che aveva compiuto nella stesura. Riflesse nel vetro delle finestre le immagini di Todoroki e Kacchan erano vicine, poggiate alla stessa parete e intente a punzecchiarsi a vicenda in quel loro modo particolare, nell'attesa che lui terminasse e gli raggiungesse.

In pratica, Kacchan stava sfogando l'irritazione di essere costretto ad aspettarlo su Todoroki, attaccando senza tregua quella sua impenetrabilità pur di suscitarne una reazione considerevole. Shouto incassava con calma i suoi commenti pungenti e le battute sferzanti, gli occhi spagliati che fissavano la fila di scrivanie con una luce irritata nel fondo delle iridi che lottava per non lasciar intravedere al compagno.

A Izuku dispiaceva vederlo così sotto pressione e costretto a rispondere con lapidaria sicurezza a ogni frecciata dell'altro, allargando di volta in volta il ghigno che curvava le labbra di Katsuki. Voleva finire di copiare il rapporto e correre in soccorso dell'amico. Kacchan sapeva essere davvero irritante quando voleva e soprattutto, sembrava avere un sesto senso nello scovare i punti deboli altrui e le parole che avrebbero fatto più presa su di loro. Non era giusto che Shouto sopportasse tanto a causa sua, specie dopo una pesante giornata di lavoro.

Si era concentrato per poter finire prima ed era allora che il battibeccare di quei due si era arrestato. Izuku aveva sussultato confuso al suono basso e vibrante della risata di Kacchan, così raro e insolito da lasciato senza fiato per la sorpresa. Nel voltarsi a cercarlo con lo sguardo, l'aveva scorto accanto alla figura muscolosa ed elegante di Todoroki che sorrideva, gli occhi spagliati che fissavano il viso dell'altro aperto in una risata che non era sprezzante o ironica, ma sinceramente divertita.

A qualcuno sarebbero apparsi come semplici amici che scherzavano dopo aver portato a termine una buona missione, a Izuku era parso tutt'altro. Era stato allora che aveva iniziato a capire come Shouto Todoroki piacesse a Kacchan più di quanto gli sarebbe mai piaciuto lui, tanto da lasciarsi scappare una risata sincera che a lui non concedeva da decenni.

Un senso di vuoto gli aveva afferrato lo stomaco ed era peggiorato quando avviandosi verso casa, il loro battibeccare era continuato incessante sotto le luci aranciate delle vetrine addobbate per la festa di Halloween alle porte. Katsuki aveva persino afferrato un ragno peloso di plastica da una bancarella e l'aveva sventolato sotto gli occhi spagliati di Todoroki che storcendo la bocca disgustato, l'aveva spinto via sotto lo sguardo divertito del compagno.

Cos'hai cinque anni? ≫ gli aveva chiesto Shouto, mantenendosi fra loro due con una mano affondata nella tasca e l'altra che faceva ricadere il ragno di plastica nella bancherella in cui l'aveva trovata. ≪ Anche se non capisco come si possa trovare questo genere di cose spaventose nemmeno a quell'età.

Non lo sono, infatti. ≫ aveva replicato Katsuki, con una scrollata di spalle e gli occhi rossi avevano superato la figura elegante di Todoroki solo per posarsi su di Izuku, la bocca che si stendeva in un ghigno nel aggiungere. ≪ Solo un'idiota potrebbe trovarli spaventosi. Ma fanno atmosfera e vedere i buoni a nulla farsela addosso è sempre divertente.

Un sopracciglio rosato si era sollevato a quel commento, ma Shouto non aveva colto la frecciatina altrettanto bene quando Izuku. La sua voce pacata si era sollevata a rispondere con disinvoltura e ancora una volta, Katsuki gli aveva risposto con una tranquillità dolorosa per Izuku. Quando aveva provato a farsi avanti e partecipare allo scherzo, quegli occhi rossi si erano socchiusi a guardarlo in silenzio prima di tornare a concentrarsi sulla strada con indifferenza e tornare a ignorali entrambi.

Kacchan non aveva avuto più voglia di giocare e solo Todoroki gli si era rivolto con la consueta gentilezza, lasciandogli a stringere la gola un groppo amaro difficile da mandare giù.

Era tornato a casa sconfitto, amareggiato e consapevole di quanto fosse sciocco desiderare qualcuno che non l'avrebbe mai ricambiato e mal lo sopportava. Qualcuno che nonostante tutti i suoi sforzi non lo guardava mai davvero e sembrava non trovare nulla di buono in lui che valesse la pena notare. Forse, Kacchan, avrebbe perfino trovato offensivo se non disgustoso essere oggetto dei desideri di Izuku e avrebbe preferito qualcun altro, chiunque altro, a lui.

Nel varcare la soglia del dormitorio dietro la sua schiena muscolosa, desideroso di potersi infilare nella propria camera e lasciarsi alle spalle quella giornata, aveva dovuto sopportare la beffa di vederlo rianimarsi nel raggiungere Kaminari e Kirishima sui divani, intenti a giocare alla play.

Era stato come ricevere un'ulteriore conferma di ciò che da tempo sospettava. Se anche Kacchan non era attratto dalle ragazze più di quanto non lo fosse Izuku stesso, lui rimaneva l'ultima persona al mondo che avrebbe mai guardato in quel modo. Perfino, Shouto aveva più possibilità di lui di conquistarlo e se considerava il rapporto che aveva istaurato con Kirishima, probabilmente, Kacchan aveva già chi gli piacesse.

Era scivolato nella propria stanza prima che le lacrime che erano salite a pungergli gli occhi, traboccassero e lo tradissero. Non voleva che qualcuno si preoccupasse e tanto meno, sollevare domande inopportune sul perché stesse piangendo. Ad Ochaco però non era sfuggito il modo in cui aveva saltato la cena quella sera e gli era bastata un'occhiata per capire che qualcosa non andava.

Si era presentata davanti alla sua porta ben oltre la mezzanotte, con un pacco di biscotti in una mano e un'aria terribilmente decisa stampata in volto. L'aveva tartassato di domande finché sfinito, Izuku aveva dovuto confessare tutto.

L'errore più grande della sua vita per quanto l'avesse fatto sentire più leggero, svuotarsi la coscienza e non dover più trattenere tutto dentro.

Il cellulare sulla sua scrivania si illuminò, diffondendo una luce azzurrognola nel buio della stanza e delineando i contorni degli oggetti sulla scrivania. Izuku si allungò a prenderlo, scorgendo le lettere nere che tracciavano il nome di Ochaco sullo schermo. Aveva inviato un messaggio nella chat di gruppo con le indicazioni sulla sfida e una fila di risposte affermative e fin troppo entusiaste si erano succedute al di sotto.

Nello scorgerle con lo sguardo, un verso strozzato gli sfuggì dalla bocca. Lanciò un'occhiata alla pagina web aperta e si rassegnò a dover sottostare alla pessima – pessima, Ochaco, pessima – idea della sua amica.

Trascorse i giorni seguenti divorato dall'ansia e da un brivido inquieto che si intensificava ogni volta che vedeva Ochaco confabulare con Yaomomo o qualcun altro della classe, per poi tacere quando lui arrivava a portata d'orecchio.

Kacchan non dava segni rivelatori sulla sua decisione di partecipare o meno. Non sprizzava entusiasmo come Kaminari, Kirishima o Mina. Non era nemmeno soddisfatto come Tokoyami che continuava a sprecare complimenti a favore delle tenebre e dei cimiteri avvolti dalle ombre della notte, sulle origini della festa in arrivo e tanto meno, si lasciava coinvolgere dai preparativi come Iida.

Gli sembrava che invece avesse preso a ignorarlo più del solito. Sia durante le lezioni che sul campo, era insolitamente silenzioso e spesso lo sorprendeva a fissare il vuoto perso nei propri pensieri. Non lo guardava almeno che non fosse strettamente necessario e ancora meno gli rivolgeva la parola.

Izuku l'osservava di sottecchi con ansia crescente mentre chiacchierava con Kaminari e Kirishima. Si sentiva trafiggere il cuore da un dolore sordo ogni volta che Mina l'abbracciava a tradimento, cogliendolo alle spalle e strappando dalla bocca sprezzante del ragazzo biondo un borbottio infastidito.

Arrivarono davanti a quei cancelli neri contorti che Izuku ancora non sapeva se Kacchan ci sarebbe stato o meno e che cosa intendesse fare Ochaco a proposito.

Gli sembrava di avere un blocco di ghiaccio a pesargli sul petto mentre indossava il suo costume e si avviava al posto concordato, rimuginandoci sopra. Magari la sua assenza sarebbe stata un colpo di fortuna che l'avrebbe salvato da una figuraccia epica, evitatogli di fare un errore di cui si sarebbe pentito per il resto della sua vita o magari, se si fosse dato il tempo e il modo, avrebbe potuto dimenticare Bakugou Katsuki e innamorarsi di qualcun altro.

Afferrò quella piccola speranza e la tenne stretta a sé per qualche minuto prima di sentirla spegnersi fra le sue dita, come la fiamma di una candela soffocata dalla mancanza d'ossigeno. Si arrese con un sospiro all'evidenza che non sarebbe mai stato così facile per lui, dimenticarlo.

La notte era nera, rischiarata dalla luce tremula di una fila di lampioni e dalle lanterne che Yaomomo aveva allineato sul marciapiede per segnalare il punto d'incontro. La luce tremula delle candele al loro interno infittiva le ombre, gettando una tenue luce sugli alti muri che chiudevano il cimitero alle sue spalle e sulle sbarre affusolate del cancello. Un vento gelido sferzava la strada deserta insinuandosi sotto gli strati di stoffa dei vestiti e gli strappò un brivido che risalì lungo la schiena rigida nel fermarsi davanti alle due ragazze.

Ochaco gli rivolse un sorriso complice e incoraggiante che non servì ad allentare la tensione che Izuku si sentiva crescere dentro. Odiava Halloween da sempre e in quel momento, con l'ombra opprimente del cimitero a incombere su di lui, l'odiava più che mai.

Nel silenzio penetrante della campagna, le voci e i passi dell'intera sezione A che confluiva a gruppi sparsi assumeva un'assonanza distorta che non l'aiutava a calmare i nervi tesi. Sembravano fuori luogo, le risate e le chiacchiere leggere, i commenti divertiti e gli scherzi sui costumi indossati – alcuni davvero fantasiosi e fuori tema – in quella situazione.

In piedi accanto ad Ochaco e Iida, Izuku lanciava occhiate inquiete ad ogni nuovo arrivato da sotto l'orlo del cappuccio candido, sorprendendosi a trattenere il fiato ad ogni piccola delusione che gli fioriva in petto a tradimento per poi rilasciarlo di botto alla vista di un nuovo gruppo di persone. Contò a uno a uno il numero di assenti scemare e quello dei presenti crescere con i loro bei costumi addosso che facevano sembrare lui di una banalità assurda e le chiacchiere divertite, a tratti cariche di aspettativa, che risuonavano nella notte.

Avvertì una stretta al cuore quando finalmente i suoi occhi ansiosi si posarono sulla figura famigliare di Kacchan che scendeva lungo la via accanto a Kirishima, con quel suo passo indolente e inconfondibile che gli apparteneva come una seconda pelle.

Lo trovò all'istante bello come una maledizione di cui non ci si poteva liberare e si sentì scottare le guance nel chinare il capo per cercare di nasconderlo. Kacchan lanciò loro a malapena uno sguardo, gli occhi rossi socchiusi a studiargli a distanza, prima di tornare a focalizzare la sua attenzione sul suo gruppo di amici e storcere la bocca in una smorfia sprezzante.

Qualsiasi cosa disse al resto del gruppo, era troppo lontano per sentirlo e poté vedere solo l'espressione offesa sul viso di Kaminari e udire il riverbero delle risate di Kirishima e Sero.

Izuku lo guardò da sotto le ciocche dei capelli mossi, una smorfia a curvargli la bocca e un senso di vuoto a serrargli lo stomaco. Alle sue spalle, Ochaco si alzò sulle punte degli stivaletti bassi per bisbigliare qualcosa all'orecchio di Iida prima di picchiettargli con le dita sulla spalla. Izuku si voltò in tempo per vederla correre in avanti e fermarsi all'ingresso del cimitero, togliendo il cappello nero a punta da sopra la testa e stringendolo nelle piccole mani. ≪ Finalmente ci siamo tutti. ≫ annunciò e le labbra dipinte di nero si tesero in un sorriso ammiccante che catturò l'attenzione fremente di tutta la classe. ≪ Iniziamo con il creare i gruppi, che ne dite? Poi Momo vi spiegherà le regole e cosa dovremo fare. ≫

Il vociare nella strada assunse una sfumatura diversa, carica di entusiasmo a stento trattenuto e aspettativa crescente. Tutti gli sguardi confluirono sulla streghetta avvolta dalla luce delle lanterne e alle due ragazze che l'affiancavano, aiutandola nel compito. Il sorriso che Ochaco rivolse loro era incantevole, tanto che se Izuku non fosse stato assolutamente certo che fosse impossibile, si sarebbe innamorato di lei in quel preciso istante.

≪ Abbiamo cercato di rendere la cosa più divertente e interessante. ≫ continuò la ragazza, gli occhi nocciola scintillanti sotto il velo di trucco scuro che le appesantiva le palpebre. ≪ Spero davvero che questa notte resterà impressa nella vostra mente per molto tempo. ≫

Nel pronunciare quelle ultime parole con calore e trasporto, Izuku ebbe la strana sensazione che il suo sguardo scintillasse in modo strano nel incrociare lo sguardo di qualcuno nel gruppo e le guance si colorassero appena di un tenue rossore che la faceva sembrare più carina.

Per l'occasione, aveva indossato un vestito dalla gonna vaporosa di un tenue arancio rifinito di ragnatele nere. Il corsetto che gli stringeva il petto metteva in risalto le sue curve morbide e faceva sembrare la sua pelle più chiara alla luce soffusa delle torce. Era bellissima e nel raccogliere i biglietti con i loro nomi sopra ed estrare le varie coppie, appariva come una vera strega intenta a fare un qualche sortilegio.

Izuku l'osservò rapito, con il cuore che batteva rapido in petto e che minacciava di arrestarsi ad ogni nuovo nome annunciato dalla voce pacata di Yaomomo. Accanto a lei, Ochaco gli strizzò l'occhio con un sorriso malizioso nel sollevare la piccola mano e annunciare un'altro abbinamento, pronunciandone i nomi per prima. ≪ Midoriya Izuku e Bakugou Katsuki. ≫

Il cuore mancò un battito al suono discordante di quei due nomi. Lo sapeva che sarebbe accaduto, eppure la notizia di essere il compagno di Kacchan gli causò un dolore sordo al petto che era in parte gioia e in parte sofferenza pura e semplice. Gli parve impossibile credere come qualcosa che lo spaventava al punto da dargli sogni inquieti la notte, potesse renderlo anche così felice da fare male e far scorrere un filone di euforia come elettricità lungo tutto il corpo.

Gli occhi verdi cercarono d'istinto la figura dell'altro ragazzo fra quelle dei loro compagni fino a scovarlo rigido e immobile accanto a un Kirishima che sorrideva incredulo, con la bocca socchiusa per lo stupore e gli occhi rossi sbarrati.

Al di sotto dei biondi capelli spettinati, i tratti marcati del suo viso tradivano una sorpresa tale d'ammorbidirgli i lineamenti e farlo sembrare più giovane dei suoi anni. ≪ Ah?! ≫ esalò con la voce rauca ridotta a uno sbuffo graffiante d'aria.

La bocca sprezzante si contrasse quando la mano del compagno picchiò sulla sua spalla e Kirishima si chinò su di lui per dirgli qualcosa all'orecchio. Katsuki non diede segno di prestargli ascolto, gli occhi rossi che vagavano come alla ricerca di qualcosa solo per arrestarsi in quelli verdi di Izuku.

Un brivido profondo corse lungo il suo corpo e gli accese le guance nel trovare in quelle iridi scure un muro che gli celava la natura dei suoi pensieri. L'ansia e il calore che si agitavano nel petto di Izuku si acuirono sotto lo sguardo dell'altro che storse la bocca in una smorfia e iniziò a imprecare sonoramente.

≪ Deku?! ≫ sbottò, interrompendo Momo e facendo sussultare qualcuno dei loro compagni. Gli occhi rossi si assottigliarono incattiviti nello spostare lo sguardo sulle due ragazze che lo fissavano con la bocca schiusa per la sorpresa. ≪ Io con Deku non ci voglio andare nemmeno in missione, figurati in un cazzo di cimitero nel cuore della notte. ≫ sbottò, scoprendo i denti in una smorfia irritata. ≪ Ripesca all'istante e fai in modo che non sia lui il disgraziato che mi devo portare dietro durante questa stronzata. ≫

≪ No, le regole sono regole Bakugou. ≫ rispose Ochaco, dopo un attimo d'esitazione. Lisce ciocche di capelli castani le sfiorarono il viso nello scuotere la testa, le piccole dita che stringevano un bigliettino di carta come a proteggerlo da un'invisibile tentativo di strapparglielo via. ≪ Come tutti, anche tu ti adeguerai. ≫

Un verso stizzito sfuggì dalla bocca del ragazzo biondo, accentuando il cipiglio cupo che gli induriva i tratti del viso. La gioia che aveva invaso il petto di Izuku poco prima scemò al suono aspro della voce di lui che sibilava. ≪ Io adeguarmi? Caso mai, voi dovete farlo. Te lo ripeto, Faccia Tonda, io con Deku non ci entro là dentro. ≫

Izuku chiuse gli occhi per un istante, trattenendo il fiato. Adorava la sua amica, ma a volte si chiedeva che cosa le passasse realmente nella testa ad uscirsene con frasi del genere e portare avanti piani simili. Come l'era saltato in mente di metterlo in squadra proprio con Kacchan e fargli sussurrare all'orecchio da un Iida imbarazzato e perplesso. ≪ Uraraka voleva che ti dicessi di non preoccuparti se vi perdete e che anzi, al tuo posto farebbe proprio in modo che accadesse. Mi dispiace ma non so cosa intenda. ≫

Maledizione Ochaco, imprecò fra sé. Non osò nemmeno sollevare lo sguardo per incrociare quello bruciante di Kacchan che sentiva pizzicare sulla pelle e perforargli il cranio, facendosi strada fra gli strati di stoffa, carne e ossa.

≪ Non preoccuparti, lo so io cosa intende. ≫ rispose a Iida, solo per tranquillizzarlo. Lui invece, si sentì invadere da una sensazione fredda alla bocca dello stomaco nel guardare i neri cancelli aprirsi sul cimitero pieno di ombre che l'attendeva. Ormai, era troppo tardi per fare un passo indietro e fuggire, perciò respinse indietro quella sensazione di gelida inquietudine e avanzò deciso.

 

 


/ Angolino Lacie /

Stranamente nella prima parte mi sono scordata di lasciare un mio commento per dirvi che questa storia nasce come storia a tema Halloween e che quindi sarebbe dovuta essere una lunga os di una sola parte che avrei pubblicato il 31 ottobre. Alla fine però ero così entusiasta che ho deciso di suddividerla in più parti e pubblicarla per tutto il mese di ottobre e forse anche oltre ( se non riesco a rispettare le tempistiche. ). Un'idea attuata solo perchè per una volta stavo usando gli skip time e i cambi di pov e di cui mi sono mezza pentita.
Ringrazio chi di voi a deciso di leggerla e l'ha perfino aggiunta nelle sue liste (nonostante la prima parte sia abbastanza piatta) spero che vi piacerà fino alla sua fine :D

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


How can you see into my eyes like open door?

Leading you down into my core

Where I’ve become so numb

( Bring me to life, Evanescence )


Il grigio delle lapidi era traslucido alla luce argentea della luna, ancora bassa all’orizzonte. I rami degli alberi, i cui tronchi ricurvi sorgevano fra le tombe come sentinelle silenziose, si stendevano sui sentieri in pietrisco simili a braccia adunche dalle sottili dita ricurve che si protendevano verso i visitatori indesiderati.

Alle loro spalle, sempre più lontano ad ogni passo, il cancello di ferro contorto iniziava a perdersi nella nebbia della sera che inghiottiva le voci dei loro compagni. L'unica lama di luce che fendeva la gelida oscurità della notte, si arrestava nell’incontrare i filoni di nebbia che strisciavano sul terreno, aggrappandosi alla pietra consumata dalle intemperie di angeli piangenti e santi addolorati che seguivano i loro movimenti con occhi ciechi.

Anche se razionalmente Izuku sapeva che non c’era nulla di cui avere paura, l’aria stagnante e gelida, il silenzio sinistro che avvolgeva ogni cosa e le ombre che la torcia che reggeva in mano disegnavano intorno a loro, sembravano suggerire alla parte più primitiva di lui tutto il contrario.

Kacchan lo precedeva di qualche passo, senza guardarlo. La catena che gli pendeva dallo spesso collare di cuoio al collo tintinnava a ogni passo indolente. Le orecchie lupesche di un caldo castano dorato si confondevano fra il biondo cenere dei suoi capelli e il pesante giubbotto verde scuro che copriva jeans stracciati e una maglia bianca altrettanto mal ridotta, aveva l’aria di essere caldo e soffice nonostante il tessuto strappato sulle maniche. Molto più del sottile lenzuolo candido indossato da Izuku sopra lo spesso maglione in lana che non tratteneva nemmeno un briciolo di calore.

Alla fine aveva scelto il costume più banale di sempre, convinto com’era che tanto la figura da idiota l’avrebbe fatta qualunque cosa si fosse messo addosso. Almeno, sotto il mantello bianco con il cappuccio, dipinto di un sorriso sghembo e chiuso sul davanti da un nastro verde a scacchi bianchi, poteva sperare di passare inosservato.

Osservò di sottecchi la figura dell’altro ragazzo davanti a lui, le sue spalle ampie e forti e la massa dei capelli che nella luce della luna pareva argento puro. Izuku tremò per il freddo e qualcos’altro, una strisciante inquietudine gli stringeva lo stomaco e arricciava la sua bocca in un broncio scontento. Perfino mascherato in quel modo, Kacchan appariva non meno figo e bello del solito.

Lui e Todoroki dovevano essere gli unici al mondo a non perdere nemmeno un briciolo del loro contegno mascherandosi, perché Izuku si sentiva un completo imbecille con quel vestito da fantasmino addosso, tanto più che aveva deciso di non separarsi dalle sue adorate sneaker rosse che ben poco centravano con il resto del costume.

Tirò il cappuccio del lenzuolo sulla fronte, nascondendo la massa scarmigliata di riccioli scuri e borbottando fra i denti. ≪ Dannazione Ochaco. ≫. Voleva bene alla sua migliore amica, ma questa volta aveva proprio esagerato. Come gli era venuto in mente che bloccarlo con Kacchan nel mezzo di un cimitero potesse in qualche modo migliorare i rapporti fra loro? Tanto più che non riusciva a immaginare un posto e una situazione meno romantiche di quella. Non gliel’avrebbe perdonata tanto facilmente.

Il vento fischiava nell’insinuarsi fra i rami scheletrici degli alberi e le foglie scricchiolarono sotto le suole delle scarpe dei due ragazzi che risalivano il contorto sentiero verso il centro del cimitero. Katsuki rallentò il passo, lanciandosi alle spalle uno sguardo cupo con gli occhi rossi pieni di ombre. ≪ Hai detto qualcosa? ≫ abbaiò bruscamente, facendolo trasalire.

Izuku sentì le guance coprirsi di un caldo imbarazzo e incassò la testa nelle spalle ringraziando mentalmente l’oscurità e il cappuccio che l’aiutavano a nascondersi da quello sguardo penetrante. ≪ N-niente. ≫ sussurrò, con gli occhi inquieti che setacciavano le fredde lapidi intorno a loro, strappandogli un verso strozzato dalla bocca beffarda. Katsuki diede un calcio a una pietra che spiccava sul terreno regolare, mandandola a sbattere contro una lapide con un tonfo sordo. Una nota sardonica trasparì dalla voce bassa e strascicata. ≪ Mi era sembrato di sentirti frignare come un bambino. ≫

Una punta di irritazione fiorì nel petto di lui a quelle parole, spazzando via l’inquietudine che gli stringeva il ventre. Izuku raddrizzò le spalle e sollevò la testa, fissandolo con gli occhi luccicanti di determinazione sotto l’orlo del cappuccio. Sarebbe morto piuttosto che mostrarsi spaventato davanti a lui e dargliela vinta. ≪ Nei tuoi sogni. ≫ sibilò in risposta, storcendo la bocca in una smorfia irritata e accelerando il passo per affiancarlo. ≪ Piuttosto sei sicuro di non essere tu quello spaventato, Kacchan? Spiegherebbe perché non la volevi fare questa sfida. ≫

≪ Non la volevo fare perché è una cosa terribilmente stupida. ≫ replicò lui, voltandosi a lanciargli una seconda occhiata. Stavolta, Izuku tenne la testa alta e ne incrociò lo sguardo, deciso a non lasciargli intravedere la paura gelida che gli si agitava dentro, viscida e sinuosa come una serpe. Un angolo di quella bocca sprezzante si sollevò verso l’alto in un sorriso beffardo. ≪ Roba che solo quella donna poteva inventarsi, esaurita com’è. ≫

Izuku serrò la mascella, la mano che stringeva la torcia tremò nel cercare di controllare l’irritazione crescente e quella fitta dolorosa al petto nel trovarsi vicino a lui. Di tutti i costumi che avrebbe potuto trovare, Kacchan aveva scelto proprio quello che gli stava meglio e rispecchiava il lato più selvaggio e oscuro del suo carattere.

Sfiorato dalla luce argentea della luna piena che svettava sopra i tetti della città e dal languore della torcia, il biondo dei suoi capelli risultava tanto chiaro quanto i suoi occhi scuri, gocce di sangue che bruciavano di calore nelle ombre della notte. La catena che scivolava giù per le clavicole marcate sbatteva contro il suo petto muscoloso e la maglietta strappata, mescolando il suo tintinnare cristallino al sibilo inquieto del vento e al raschiare dei rami.

Mina gli aveva dipinto il contorno degli occhi di nero, dandogli uno sguardo più lupesco che fece contrarre qualcosa all’interno del petto di Izuku. Così truccato e vestito, Kacchan, aveva tutto l’aspetto di un vero licantropo, pericoloso e selvaggio, tanto più che nell’arricciare infastidito le labbra lasciò intravedere un canino leggermente più appuntito degli altri denti. ≪ Ti dai una mossa, sfigato, o dobbiamo restare qui fino all’alba? ≫ gli chiese con un ghigno.

Izuku trasalì, sentendosi avvampare le guance nel realizzare di essersi incantato a fissarlo ed essere rimasto indietro. Distolse lo sguardo di scatto, stringendo le spalle all’interno del lungo lenzuolo che cadeva a coprirlo fino alle caviglie e cercò di regolarizzare i battiti del suo cuore che si erano fatti di colpo frenetici. La voce aspra di Kacchan, sempre rauca e leggermente strascicata, tradiva una punta di irritazione mentre riprendeva a parlare con disinvoltura. ≪ Voglio uscire di qui prima di tutti gli altri così da conseguire una vittoria perfetta e porre fine alla tortura della tua compagnia. Perciò vedi di non rallentarmi. ≫

Izuku conosceva quel ragazzo da quando era bambino e non era mai stata una persona gentile e premurosa. Non all’apparenza, almeno. Alle medie era perfino degenerato fino a diventare una persona sgradevole, un vero stronzo sotto tutti gli aspetti, ma dopo tutto quel tempo pensava di essersi ampiamente abituato a quel atteggiamento odioso. Si era anche convinto che più della metà delle cose cattive che uscivano da quella bocca sprezzante in realtà, nemmeno le pensava davvero. Invece, ci rimase male e un calore mortificato gli invase il petto a quelle parole aspre.

Se Ochaco aveva pensato di fargli un favore bloccandolo lì dentro da solo con lui, era evidente che non aveva preso in considerazione cosa ne avrebbe pensato Kacchan. Perché lui a Izuku non lo voleva vedere nemmeno in classe e mal lo sopportava sul lavoro, figurarsi in una prova di coraggio nel bel mezzo di un cimitero. Il luogo meno romantico del mondo, tra l’altro. “Grazie, Ochaco. Questa me la paghi.” Strisciò i piedi sul selciato e borbottò fra i denti. ≪ Nessuno ti sta obbligando a restare. Per quanto mi riguarda, te ne puoi anche andare da solo. ≫

Si sentì incredibilmente soddisfatto di sé stesso per quelle parole che il vecchio, timido e goffo, Midoriya Izuku non sarebbe mai stato in grado di pronunciare. Almeno, finché Katsuki non inarcò un unico sopracciglio biondo, gli occhi baluginanti di ombre come un predatore pronto a balzare sulla sua preda e sbranarla. ≪ Bene, dammi la torcia. ≫ sibilò, tendendo la mano e facendogli segno di cedergli la loro unica fonte di luce.

Piuttosto che dargliela e rischiare di restare intrappolato in quel posto lugubre al buio, Izuku si sarebbe fatto ammazzare. Storse la bocca in una smorfia, il cuore che batteva rapido in petto, e replicò tagliente. ≪ No. ≫. Un'unica parola che fece baluginare cupi gli occhi di Kacchan, come fiamme nell’oscurità.

≪ No? ≫ ripeté, schioccando le labbra come se stesse assaporando il retrogusto di quel rifiuto netto. ≪ Tu mi stai dicendo di no, Deku? Ti stai davvero rifiutando di darmi quella stupida torcia e magari anche quella stupida candela? ≫

Izuku deglutì, gli occhi fissi in quelli cupi dell’altro ragazzo. Avvertì il panico risalirgli dal petto e chiudergli la gola e dovette sforzarsi di ricacciarlo indietro. ≪ Esatto, Kacchan. Se vuoi andare avanti da solo dovrai farlo senza, perché io non ti do un bel niente. ≫ sussurrò con voce strozzata e gli occhi verdi si fissarono sulla bocca sprezzante di lui che si curvò in un sorriso pericoloso. La sua voce bassa e rauca, conteneva una punta di malsano divertimento nel commentare. ≪ Vorrei proprio vedere come ci riusciresti a impedirmelo, ma per vincere dobbiamo uscire entrambi. Non ha detto così, quella donna? ≫

Un filo d’aria gli riempì il petto nel ricordarsi quella parte delle regole, alleviando un po' della tensione che si era sentito crescere dentro. Infondo, Ochaco doveva essersi aspettata che Kacchan potesse decidere di mollarlo indietro e la sua meravigliosa amica si era premunita per scongiurare quella possibilità. Era in momenti come quelli che Izuku la voleva abbracciare, invece annuì stringendo le labbra in una linea sottile per nascondere il sorriso che gli era sorto spontaneo.

Kacchan lo fissò per un’istante ancora, prima di distogliere lo sguardo e affondare le mani nelle ampie tasche del suo giubbotto, con uno sbuffo seccato. ≪ Comunque, cos’è che ha detto che dovevamo farcene di quell’ammasso di cera? ≫

≪ Portarcela dietro fino a raggiungere la chiesa. ≫ ammise di malavoglia, assicurandosi che fosse ancora dove l’aveva infilata, nella sua cintura. Un sottile stecco di cera candida su cui avevano inciso il nome suo e quello di Kacchan con l’inconfondibile ed elegante calligrafia di Iida. ≪ Dobbiamo lasciarla sull’altare e prendere la campanella che lei e Momo ci hanno lasciato per poi portarla con noi fuori dall’altro cancello. ≫

≪ Ma che senso ha? ≫ borbottò seccato, dando un calcio a un altro sasso e mandandolo a ruzzolare davanti a loro. Gli occhi vitrei di pietra delle statue gli guardarono afflitti come a rimproverargli di quel gesto irrispettoso nei confronti dei loro morti. Izuku lanciò un’occhiata tutt’intorno, ai banchi di nebbia che scivolavano sul tappetto di gramigna e foglie morte e deglutì, rabbrividendo.

Avevano raggiunto una parte del cimitero popolata da statue d’infanti su cui giacevano ampie corone di fiori che le ombre rivestivano di nero pece. Piccole lastre di marco erose dal tempo e sepolte dalla vegetazione, venivano sfiorate dalla luce tremula della loro torcia. ≪ N-non lo so. ≫ ammise Izuku con un tremito nella voce bassa, distogliendo lo sguardo inquieto per riportarlo sulla strada buia davanti a loro. ≪ Ha detto così. ≫

Il senso, sospettava, era solo quello di costringergli a stare in quel cimitero il più allungo possibile nella speranza che qualcosa accadesse, ma per il momento l’unica cosa che rischiavano era che gli venisse un attacco di nervi per la tensione. L’aveva sempre saputo che era la peggiore delle idee. Il sibilo del vento fra i rami bassi che incombevano sulle loro teste declinò in un fruscio di foglie morte e penetrò nei loro vestiti, facendolo rabbrividire fin dentro il midollo. Katsuki l’aveva di nuovo superato, non degnandolo di alcuna attenzione nel borbottare fra sé con uno sbuffo seccato. ≪ Quella donna guarda troppi film, accidenti a lei. ≫

Izuku ciondolò con la testa un assenso, il viso corrucciato in un’espressione testarda. Per quanto fosse il primo ad avercela con lei per quella stupida idea, mai avrebbe lasciato che qualcun altro ne parlasse in quel modo. ≪ Lo sai vero che non puoi definire tutte le ragazze “quella donna” come fai con tua madre? ≫ gli fece notare e un mezzo sorriso divertito gli curvò la bocca nervosa perché Mitsuki odiava quando il figlio l’appellava in quel modo.

Katsuki gli scoccò un’occhiataccia da sopra la spalla con un unico occhio rosso luccicante nelle ombre. ≪ Io definisco chi voglio come cazzo voglio. ≫ replicò e come a volerlo rimarcare, ricalcò su quel nomignolo discutibile che gli aveva affibbiato da bambini. ≪ Deku. ≫

Izuku sollevò gli occhi verdi al cielo scuro, esasperato. Stava per rispondere qualcosa quando sentì lo schiocco di un rametto spezzarsi e il cuore gli balzò in gola, mozzandogli il respiro. Si voltò di scatto con un sussulto, gli occhi che seguivano il fascio di luce della torcia e scrutavano fra le fila di lapidi che emergevano dalla terra e dalla gramigna, avvolte in filoni di nebbia strisciante, luccicando alla luce argentea della luna.

Da qualche parte, qualcosa scricchiolò e frusciò. Un frullio di ali di corvo fendete l’aria con uno stridio acuto. Izuku trasalì con un verso strozzato sulle labbra tremanti e reclinò la testa per vedere ombre volatili fendere la notte, muovendosi fra i contorti rami. Lungo il sentiero, Katsuki si era fermato nell’oscurità impenetrabile e lo attendeva con le spalle rigide e gli occhi che scrutavano guardinghi tutto intorno.

≪ Corvi. ≫ borbottò Izuku, abbastanza forte perché il compagno lo sentisse. In quei mesi di lavoro sul campo avevano affrontato cose peggiori di uccelli onnivori che si muovano con il favore delle tenebre, si sentì ridicolo ad essersi spaventato. Il cuore aveva preso a battergli così forte in petto da fare male, nel affrettarsi a raggiungere Katsuki ebbe la spiacevole sensazione che lo si potesse sentire anche dall’esterno. ≪ Scusa, per un attimo ho pensato di aver sentito qualcosa. ≫

Nessuna risposta venne dal compagno che strinse le spalle sotto il giubbotto verde scuro, percorrendo un’ultima volta con lo sguardo i tronchi curvi degli alberi che la notte dipingeva di nero. Il vento sibilava gelido penetrando gli strati di stoffa e sferzandogli con l’aria densa dell’odore di vegetazione bagnata di umidità. In piedi nel mezzo del selciato, appena sfiorato dalla luce della torcia, Izuku notò che Kacchan tutto sembrava tranne che umano. Eppure, lui era l’unica cosa che al momento non lo spaventava ne impensieriva e che anzi, l’aiutava a mantenere il controllo.

≪ Muoviamoci. ≫ disse alla fine il ragazzo biondo, con qualcosa di inafferrabile nella voce bassa, e si voltò per riprendere a camminare verso l’alta cupola che si iniziava a intravedere nella nebbia. Izuku deglutì nervoso, stringendo più forte la torcia nella mano per fermare il tremito che scuoteva la luce e riprese a camminargli dietro sentendosi molto stupido e un po' ridicolo.

Il pietrisco sotto le suole delle sue scarpe scricchiolò, qualcosa gli gremì la gamba con dita lunghe e affilate, gelide al tatto come il ghiaccio, affondando nel tessuto strappato dei suoi pantaloni e trattenendolo. Un brivido gelido gli percorse la gamba e corse lungo il suo corpo fino a trasformarsi in un urlo di puro terrore che risuonò acuto nel silenzio ombroso del cimitero.

Dita adunche serrarono la presa sulle sue caviglie, strattonandolo indietro. Izuku si voltò di scattò, un grido rauco sulle labbra, e gli occhi sbarrati trovarono solo ombre e nient’altro sul terreno sdruccevole. Qualunque sua reazione fu frenata da quella mancanza, dall’essenza visiva di un nemico da colpire e contro cui lottare. Si sentì tirare indietro da quella mano gelida che cercava di trattenerlo e scivolò sulla ghiaia, sbattendo il ginocchio. La torcia gli cadde dalle mani e rotolò sul pietrisco, un dolore sordo gli strappò un verso strozzato dalle labbra.

Davanti a lui, Katsuki trasalì e si voltò di scatto, gli occhi rossi spalancanti nella notte lo individuarono fra le ombre che scalciava e incespicava per liberarsi, con il viso sfigurato dal terrore. Le mani che affondavano nel terreno alla ricerca di un sasso o un bastano da usare per fendere l’aria e liberarsi.

Un’altra mano si tese ad afferrargli anche l’altra caviglia e con uno strattone gli fece perdere del tutto l’equilibrio, strappandogli dalla bocca urla stridule mentre il pietrisco gli graffiava il petto e il viso. Sarebbe stato trascinato via, fra le lapidi e le statue piangenti, se mani calde e sicure non l’avessero afferrato per le braccia che si dibattevano, tirandolo via con tanta forza che Izuku si ritrovò scaraventato sul pietrisco con un sibilo di dolore.

≪ Vieni fuori! ≫ ruggì Katsuki e la sua voce furiosa fu soffocata dal rombo assordante delle sue esplosioni. Uno strillo acuto risuonò nell’aria insieme allo stormire delle foglie. Izuku si districò a fatica dalle pieghe del lenzuolo che gli si era aggrovigliato intorno al corpo e si sollevò su un gomito con un gemito strozzato di dolore, gli occhi verdi che correvano spaventati tutto intorno.

Là dove prima aveva lottato contro quell’agghiacciante presenza invisibile, ora c’era Katsuki, rigido e allerta avvolto dalle ombre che le sue esplosioni rendevano mutevoli nel risuonare per tutto il cimitero. Scintille d’oro e cremisi danzavano nell’aria spargendo l’odore dolciastro della nitroglicerina e conferendo alle espressioni di pietra delle statue qualcosa di contorto e minaccioso.

Il sibilo del vento gli portò alle orecchie il suono di una risatina soffocata e il fruscio delle foglie, il sfregare di pietra su pietra. Izuku si irrigidì, seduto per metà nella sterpaia umida e fissò le ombre con un brivido inquieto. ≪ Ha-Hakagure. ≫ esalò con una nota acuta nella voce tremante e un lampo di lucidità. Il cuore aveva preso a battergli così forte in petto che temeva sarebbe esploso per lo spavento. Senza farsi troppo notare dall’altro ragazzo, si sfregò la guancia graffiata, la voce bassa e incerta che tradiva una nota acuta. ≪ Deve essere lei. Sicuro che sta tentando di farci paura. ≫

Un fruscio fra le ombre e il sussurrare indistinto di una voce fra il sibilare del vento tra i rami, raggiunse entrambi. Katsuki indietreggiò di un passo, avvicinandosi a Izuku e stendendo la mano alle sue spalle come a cercarlo. Un gesto che aveva compiuto centinaia di volte sul campo di battaglia, ma che in quel frangente risultò inutile.

≪ Sei in piedi? ≫ gli domandò non trovandolo, ma lui non riuscì a trovare la voce per rispondere. Il respiro gli sfuggiva dalle labbra come un sibilo, gli occhi sbarrati fissi là dove prima era stato aggredito da quelle mani fredde ed ora non c’erano altro che pietrisco e foglie smosse. La voce di Kacchan gli arrivò alle orecchie indistinta e lontana. ≪ Cazzo, Deku, pure della tua ombra hai paura. Rialzati in piedi, deficiente. ≫

≪ Q-qualcosa… qualcosa mi ha afferrato la caviglia. ≫ protestò debolmente lui, gli occhi verdi che correvano tutt’intorno alla ricerca di qualcosa che non fossero volti di pietra che lo fissavano con espressioni addolorate e ombre contorte dalle inquietanti sembianze. Uno sbuffo seccato sfuggì dalla bocca arricciata di Katsuki, simile al ringhio feroce di un lupo. ≪ Si, va bene, ma ora rialzati che cazzo. Quella stronza potrebbe ritentarci. ≫

Gli era caduta la torcia e il fascio giallognolo della sua luce disegnava una linea retta che si infrangeva sulla pietra di una lapide. Izuku deglutì nell’allungarsi per raggiungerla e il suo sguardo cadde su qualcosa di pallido e lucido che spuntava dalla gramigna e lo fissava vacuo. Sbatté le palpebre, una, due, tre volte, prima che la paura gli togliesse il fiato e la sua mente agitata riconoscesse il rosso dei capillari sul bulbo, il cerchio slavato dell’iride e la pupilla nera fissa nel vuoto.

La bocca gli si contorse per un misto di orrore e terrore che lo scosse come un tremito. Fra le foglie un occhio vitreo lo fissava e si mosse con uno scatto. Un nuovo grido sorse dal fondo del suo petto, rauco e atterrito, graffiandogli la gola e strappando un’imprecazione sonora dalle labbra dell’altro ragazzo.

Izuku strisciò indietro sul selciato, scorticandosi i palmi per la fretta di allontanarsi e andò a sbattere con la schiena contro la pietra fredda di una lapide. Un singhiozzo strozzato si ruppe sulle sue labbra tremanti e Katsuki comparve nel suo campo visivo con un balzo. Calpestò con un suono raccapricciante e molle sotto le suole degli stivali il bulbo oculare, imprecando ancora una volta. ≪ Fanculo a quelle stronze. È gelatina o qualche schifezza simile. Opera di quella scema di Coda di cavallo. ≫ gli disse, sollevando il viso per guardarlo ma anche la sua voce rauca tradiva un lieve tremito, adesso. Il respiro gli sfuggiva rapido dalla bocca arricciata in una smorfia violenta. ≪ Cazzo, Deku, smettila di strillare come una fottuta ragazzina isterica. Si stanno a prendere gioco di noi, non lo vedi?! ≫

Izuku scosse la testa, rabbrividendo contro la fredda pietra. Ochaco. Ochaco. Come aveva potuto fargli uno scherzo simile la sua amica? Un verso strozzato gli sfuggì dalla bocca arricciata in una smorfia atterrita. Cercò di rialzarsi, ma pestò con le scarpe l’orlo del suo lungo lenzuolo e ricadde a terra, il cappuccio gli scivolò giù dalla testa e una pioggia di riccioli gli piovete davanti agli occhi.

Gliel’avrebbe fatta pagare, pensò con un motto di rabbia che gli arse in petto come un fuoco e gli fece venire voglia di gridare frustrato. Era semi sdraiato nella polvere e nella gramigna, raggelato fino al midollo in un ridicolo costume da fantasma, a tremare come una foglia. In nessun universo avrebbe voluto trovarsi in quella situazione, ancora meno avrebbe voluto vedere che la sua totale umiliazione veniva sancita da quegli occhi rossi che lo fissavano in silenzio, dall’alto del volto inespressivo dell’ultima persona al mondo da cui avrebbe voluto farsi vedere così.

Izuku sentì il viso avvampare e le ciglia inumidirsi di lacrime. Altro che aiutarlo, dopo questo Kacchan lo avrebbe schifato a vita, lui che i deboli gli aveva sempre disprezzati. Se aveva mai avuto una possibilità, Izuku seppe di essersela appena giocata e aver perso tutto. Il cuore gli sprofondò nel petto, chiuse gli occhi traendo un respiro tremulo e sentì il pietrisco scricchiolare sotto le suole degli stivali di Kacchan che si avvicinava lentamente.

Riaprì gli occhi e lo sbirciò da sotto i riccioli scuri che gli erano caduti in viso, la bocca arricciata in un broncio scontento. Kacchan sembrava imponente visto dal basso, il viso lupesco impenetrabile quanto i suoi occhi scuri che lo scrutavano come gocce di sangue nella neve. ≪ Sei il solito fifone, Deku. ≫ gli disse piano, contraendo la mandibola. ≪ Solo tu potresti spaventarti per una cosa del genere. ≫

Izuku si accartocciò su sé stesso con un senso di vuoto alla bocca dello stomaco e chinò il capo, affranto. Percepì il peso del suo sguardo addosso come un formicolio alla base del collo e un brivido gli corse lungo la spina dorsale, scuotendolo. Che fosse paura o l’aria gelida che gli penetrava dentro era difficile da dire. Forse era solo l’umiliazione di essere riuscito a cancellare in pochi minuti di panico qualsiasi progresso fosse riuscito a fare in quegli anni. Qualsiasi barlume di rispetto avesse guadagnato in quanto futuro eroe e uomo ai suoi occhi e ai propri.

Un lungo sospiro sfuggì dalle labbra di Kacchan perdendosi nel sibilo incostante del vento che si incanalava fra i rami e le lapidi. Lo sentì chinarsi in avanti con un fruscio, la mano grande e ruvida che gli afferrava il braccio e lo tirava, rimettendolo in piedi in malo modo. ≪ Dai, muoviti. ≫ borbottò fra i denti, la voce insolitamente bassa e calma. ≪ La chiesa è proprio alla fine di questa strada, ci siamo quasi. Muoviamoci e usciamo da qui. ≫

Izuku non oppose alcuna resistenza nel lasciarsi rimettere in piedi sulle gambe molli come gelatina. Tremava come una foglia e gli occhi verdi continuavano a scattare ovunque intorno a sé pur di non guardare in viso l’altro ragazzo. Un fruscio e una risatina sinistra risuonò nell’aria facendogli balzare il cuore in gola e tendere ogni muscolo rigido del corpo. Senza accorgersene mosse un passo istintivo e finì per andare a sbattere contro il petto di Katsuki che si irrigidì.

≪ Hai rotto le palle! ≫ gridò quest’ultimo con un motto di esasperata rabbia, strappando un verso strozzato dalle labbra di Deku. Lo guardò spaventato più da quell’improvvisa vicinanza che dall’espressione rabbiosa sul suo viso a cui era abituato. Kacchan, però, non lo spinse via. Non lo stava nemmeno guardando mentre puntava la torcia tutto intorno illuminando a caso tronchi ricurvi, lapidi di pietra e angeli piangenti i cui occhi sembravano sempre intenti a fissargli.

≪ Prima o poi ti rimetterai quei cazzo di vestiti e sarai individuabile. ≫ gli gridò dietro il ragazzo biondo, con una nota feroce nella voce rauca. ≪ E allora stai pur certa che ti troverò e anche se sei una ragazza ti farò rimpiangere di essere venuta al mondo! ≫

≪ Kacchan, non è carino… ≫ soffiò, con una punta di rimprovero nella voce bassa. Il corpo di Kacchan accanto al suo era caldo, il suo odore leggermente acre gli fece scorrere dentro un brivido inquieto che s’intensificò quando lui l’interruppe bruscamente. ≪ Zitto, Deku. ≫.

Kacchan reclinò la testa bionda in attento ascolto, come avrebbe potuto fare se quelle orecchie lupesche gli avessero conferito l’udito di un vero animale. Gli occhi rossi si socchiusero nello scrutare le ombre, ma se anche Hakagure non fosse andata via era impossibile per loro poterla individuare dal momento che era invisibile.

Il vento faceva frusciare le foglie, strappandole dai rami scheletrici degli alberi e sibilando fra le tombe. Izuku trasse un respiro tremante e strinse le braccia intorno il petto, cercando di porre fine al tremito che lo scuoteva. Patetico, si rimproverò. Se Endevour l’avesse visto in quel momento gli avrebbe revocato il contratto, disgustato di vedere il nome della sua famosa agenzia associato a un buono a nulla come lui e avrebbe avuto ragione.

Un sospiro teso gli sfuggì dalle labbra. Dio, quanto odiava Halloween. Era da quando aveva otto anni e avevano guardato di nascosto un film dell’orrore che non era così spaventato da quella stupida festa. Il respiro gli si ruppe sulle labbra in un verso strozzato, gli occhi verdi si chiusero per un istante. ≪ M-muoviamoci. ≫ sussurrò, lanciando un’occhiata alle proprie spalle dove il sentiero veniva ingoiato dalle ombre e dai banchi di nebbia. Da qualche parte, nascosta alla sua vista, doveva esserci la chiesa di cui aveva parlato loro Ochaco con la campanella da riportarle. ≪ Finiamo questa stupida sfida e non parliamone mai più. ≫

Un sussulto sorpreso lo scosse nel sentire la mano calda e ruvida di Kacchan afferrargli il polso e costringerlo a sciogliere la stretta sul petto. Izuku sollevò il viso rivolgendogli uno sguardo smarrito e il suo cuore sfinito da così tante intense emozioni diverse ebbe un ulteriore sussulto nel sentire le dita ruvide di lui scendere a intrecciarsi con le sue.

Intravide appena uno sprazzo dell’espressione cupa sul viso teso di lui, prima che gli voltasse le spalle e riprendesse a camminare spedito, tirandoselo dietro. ≪ K-Kacchan? ≫ lo chiamò incerto, la voce ridotta a un sussurro acuto, ma nessuna risposta venne dal ragazzo che lo precedeva. Tutto quello che gli concesse, a parte il calore bruciante della sua mano sulla propria, fu di guardare la linea marcata delle sue spalle, il sussultare soffice del cappuccio bordato di candida pelliccia e il biondo cenere dei suoi capelli da cui spuntavano due orecchie lupesche. Dettagli che Izuku osservò con un mezzo sorriso a curvargli le labbra.

La mano di Kacchan era calda come se la ricordava da quando erano bambini, più spessa sui palmi e decisamente più ruvida e grande dell’ultima volta in cui l’aveva stretta. Anche allora era stato perché si era spaventato, ma non ricordava più cosa l’avesse impaurito, quella volta, così tanto da farlo piangere e costringerlo a prenderlo per mano. Forse era solo che anche il piccolo sé stesso desiderava così tanto prendere Kacchan per mano da aver cercato di proposito un modo per riuscirci. Un po' come lui quando aveva accettato di entrare in quel cimitero.

Fu felice di scoprire che quel lato burbero della personalità di Kacchan esisteva ancora, da qualche parte sotto la sua smania di vincere e l’atteggiamento sprezzante.

≪ M-mi dispiace di aver gridato. ≫ mormorò Izuku, sentendosi scottare le guance per la vergogna. Dopo il trambusto di poco prima, il silenzio gli sembrò strano e graffiante. ≪ Mi ha sorpreso non vedere nulla e sentire solo q-quelle mani. ≫

Un brivido gelido gli risalì lungo la spina dorsale, era stata la cosa più strana che gli fosse mai capitata. Percepire qualcosa con tutti i sensi, ma non riuscire a vederla. Davanti a lui, Kacchan emise un verso insofferente che lasciava intuire tutta la sua contrarietà. ≪ Come sempre. ≫ sibilò fra i denti, la voce bassa e rauca e le dita che affondavano nella sua pelle. ≪ Tutto quello che sai fare è sputare fuori scuse del cazzo e stronzate varie. È meglio se la chiudi quella cazzo di bocca prima che decida di portarti fuori da qui a calci. ≫

Izuku si morse il labbro, risentito. Dopo la scenata che aveva fatto, non c’era da sorprendersi che il livello di sopportazione di Kacchan nei suoi confronti fosse sceso ancora. Oltre la sua figura mascherata, scorse i muri di pietra di una vecchia chiesa dall’aspetto dimesso che gli attendeva fra i banchi di nebbia.

Una strana sensazione gli strinse il ventre, facendogli accapponare la pelle. Gli occhi verdi corsero a guardarsi attorno, quasi aspettandosi di incrociare lo sguardo di qualcuno nel salire gli scalini consumati e si intensificò al cigolio sinistro dei cardini arrugginiti quando Kacchan spinse la pesante porta di legno per entrare. Un’unica stanza polverosa gli accolse al suo interno, rischiarata dalla luce calda delle candele che gettavano ombre sui loculi e sui fiori appassiti. Una raffica di vento entrò con loro facendo curvare le fiammelle e mettendo in allarme le ombre, spegnendo alcune luci con uno sfrigolio.

L’odore della cera calda e dei fiori appassiti lo colpì come uno schiaffo, dolce e intenso. Nell’ingresso freddo della navata, Katsuki socchiuse gli occhi rossi studiando l’ambiente circostante con sospetto. ≪ Che schifo di posto, da dove l’ha tirato fuori quella matta? ≫ borbottò e la sua voce strascicata rimbalzò fra le pareti in un’eco dimesso, facendogli scorrere dentro un nuovo brivido inquieto.

Izuku si liberò dalla stretta della sua mano a disaggio, attirando su di sé quegli occhi brucianti e cupi che lo scrutarono come se si aspettasse di vederlo piangere. Era l’ultima cosa che Izuku intendesse fare. Un verso strozzato gli sfuggì dalla bocca arricciata in una smorfia. ≪ H-ha fatto una ricerca sui cimiteri più vecchi in zona. ≫ sussurrò, lanciando sguardi tutt’attorno per assicurarsi che anche lì non gli attendesse qualche altra trappola, ma il suo sguardo incontrò solo pareti polverose su cui spiccavano lettere in ottone che riportavano dei nomi e delle date di nascita e morte annerite dal tempo. ≪ Ochaco è una che se una cosa decide di farla, la deve fare bene e questo cimitero è davvero molto vecchio. ≫

Solitamente, Izuku apprezzava questo lato della sua amica, solo che stavolta avrebbe preferito avesse ripiegato sulla solita banale festa a base di alcool e ridicoli costumi piuttosto che su una simile assurdità. Forse, se avesse bevuto abbastanza Kacchan si sarebbe perfino ammorbidito e sarebbero riusciti a parlare. Sicuramente, Izuku si sarebbe sentito più a suo agio se il suo cuore avesse smesso di sussultare a ogni rumore strano che i suoi sensi sovraeccitati coglievano.

Lanciò un’occhiata al ragazzo al suo fianco e deglutì. Percepiva una lieve tensione nervosa trasparire da lui, specchio di quella che sentiva strisciare dentro di sé. C’era qualcosa di estraneo in quel luogo, a quell’ora, qualcosa che forse con la luce del giorno non avrebbe trovato, ma che la notte gelida alle sue spalle e la luce dorata delle candele imprimevano in ogni ombra e pietra.

Non sapeva più dire se a renderlo inquieto fosse quello strano formicolio alla base del collo, la sensazione gelida di qualcosa che l’osservava dalle ombre alle sue spalle, o se era il suono dei passi indolenti che risuonavano nell’aria gelida, satura dell’odore dolciastro dei fiori morti e della cera, insieme alla voce rauca di Kacchan. ≪ E potrei pure essere d’accordo con lei, se non fosse schifosamente ridicolo tutto ciò. ≫ commentò con uno sbuffo, avanzando verso il fondo della navata.

Abbandonato da solo accanto alla porta, il rumore di un grattare sommesso sulla pietra gli arrivò alle orecchie e gli strappò un verso strozzato dalle labbra serrate. Si rifiutò di voltarsi a sbirciare fuori, assecondando i suoi folli e irrazionali timori e avanzò fra le alte pareti polverose. L’altare si trovava alla fine della navata, un unico blocco di pietra che sembrava quasi emergere dal pavimento, ricoperto da una sottile tovaglia candida e decorato da candelabri e lumini dalla luce rossa. Nell’avvicinarsi ai vasi di fiori sistemati con cura a terra per le celebrazioni di tutti i morti, Izuku scorse una fila ordinata di candele con delle scritte incise a indicare quali coppie avevano già portato a termine la sfida prima di loro.

Riconobbe quella di Jirou e Kaminari le cui grida acute erano arrivate fino al punto di partenza e oltre, nutrendo la sua angoscia nell’attesa del suo turno. Ochaco stessa con Tsuyu, entrate e uscite in quindici minuti senza che dal cancello sentissero alcunché di strano. Iida e Momo che si erano attardati più di quanto si fossero aspettati e che avevano sollevato più di un commento malizioso e qualche gomitata a Todoroki, impassibile come sempre. Una a una erano state allineate con cura sulla tovaglia candida e lasciate a bruciare come omaggio.

Izuku le osservò nella luce tremula e trasalì, voltandosi di scatto a guardare l’entrata alle loro spalle quando un colpo di vento portò un raschiare sommesso e fece tremare le fiamme delle candele, curvandole e spegnendone alcune.

≪ Perché stai ancora tremando, Deku? ≫ La voce di Kacchan di genere così aspra e sprezzante, risuonò nel silenzio penetrante della chiesa come un sussurro vellutato. Quasi una carezza che accentuò il brivido che gli scivolava sulla pelle fredda. Izuku deglutì, voltandosi a guardare il suo profilo nella luce tremula, avvolto da ombre che ne accentuavano i tratti più marcati. ≪ I-io… ≫ sussurrò e le guance gli scottarono per la vergogna mentre ammetteva di malavoglia. ≪ odio questo posto e odio questa stupida sfida. ≫

≪ Lo so. ≫ rispose lui, con una semplicità tale da lasciarlo spiazzato per un’istante. ≪ Lo sai? ≫ ripeté, la bocca schiusa per la sorpresa di non scorgere alcuna nota astiosa nella voce dell’altro. Gli occhi rossi di Kacchan, solitamente sempre pronti a fulminarlo con occhiate cupe ogni volta che sul campo si metteva in pericolo o faceva qualcosa che reputasse stupido, ora fissavano il tremolio della fiamma di una candela con un’ombra a oscurarne l’iride. ≪ Tu l’hai sempre odiato Halloween fin da quando eravamo mocciosi. ≫ borbottò, allungando la mano a coppa intorno alla piccola fiammella e schermandola dall’aria gelida che entrava dalla porta aperta. ≪ Non posso credere che tu sia stato così stupido da accettare di fare questa sfida quando ne sei spaventato. È ridicolo quasi quanto il fatto che se si trattasse di dover catturare un pericoloso omicida, non lo saresti affatto. ≫

Izuku lo guardò con gli occhi sbarrati e le labbra schiuse, incapace di smettere di fissarlo. Avrebbe voluto fargli notare quanto fosse diverso dover affrontare una persona in carne ed ossa dall’attraversare un luogo dall’atmosfera così opprimente, ma l’unica cosa su cui la sua mente riusciva a concentrarsi era quel piccolo accenno al loro passato comune. ≪ T-te lo ricordavi, Kacchan? Davvero? ≫ mormorò, quasi fra sé e mentre lo diceva qualcosa gli si agitò dentro. Katsuki arricciò la bocca in una smorfia irritata, gli occhi pieni di ombre sotto le corte ciglia bionde. ≪ Certo, idiota. Mica soffro di amnesia o demenza. ≫ sbuffò, facendolo arrossire.

La luce mutevole delle candele disegnava un gioco di ombre sul suo viso solenne e distante, colorandogli la pelle di una sfumatura rosata. ≪ Ci ho pensato in questi giorni, al perché avresti potuto accettare di fare questa cosa. ≫ mormorò, gli occhi rossi intenti a fissare qualcosa che sembrava vedere solo lui, riflesso nel cuore ardente di quella piccola fiamma. Izuku avvertì una stretta allo stomaco al suono rauco della sua voce, così bassa da essere appena udibile nel silenzio della cappella. ≪ Mi ci sono rotto la testa, ma non riesco davvero a capire cosa ti abbia spinto a fare una cosa del genere. ≫

Le labbra gli tremarono nello schiudersi, le mani nascoste sotto il lenzuolo candido si contrassero e Izuku mosse un passo in avanti, riducendo la distanza fra di loro. ≪ Perché sapevo che ci saresti stato tu. ≫ sussurrò con un filo di voce che si confuse allo sfrigolio delle candele e al sibilo del vento. Il corpo di Kacchan si tese a quelle parole, tanto che immaginò di poter vedere le orecchie lupesche fremere in ascolto mentre Izuku sussurrava, carico di aspettativa. ≪ Ci sei tu, qui con me, perciò… anche se lo odio sono anche un po' felice di averlo fatto. ≫

Gli occhi rossi si sollevarono a incrociare i suoi, gemme scure che gli fecero scorrere un brivido inquieto sotto la pelle. Il respiro gli sfuggiva rapido dalle labbra schiuse, infrangendosi nel silenzio penetrante. Riusciva quasi a sentire i meccanismi della mente di Kacchan che lavoravano frenetici per capire cosa intendesse. In quel ambiente freddo con l’odore dei fiori morti e della cera disciolta a riempirgli il petto, realizzò che Ochaco aveva ragione. Piuttosto che stare fermo ad aspettare che qualcun altro si facesse avanti e si prendesse quello che voleva lui, doveva almeno provare ad accorciare le distanze.

≪ Kacchan ≫ sussurrò con un filo di voce e dovette interrompersi per cercare il coraggio e le parole. Riccioli scuri gli scivolarono sugli occhi nel chinare appena la testa e sbirciarlo da sotto le lunghe ciglia nere, un groppo a chiudergli la gola. ≪ Mi dispiace. È stata una stupida idea, ma non è facile riuscire a parlare con te e pensavo… che forse in questo modo le cose avrebbero funzionato. ≫

Sul viso marcato di lui comparve un’espressione indecifrabile, gli occhi rossi si socchiusero nell’osservarlo gettando un’ombra sugli zigomi marcati. Izuku rabbrividì nel sentire la mano calda e ruvida di lui sfiorargli il collo e stringere il tessuto sottile del cappuccio, sollevandolo a coprire i riccioli scuri. ≪ Questo perché sei un idiota. ≫ sussurrò, la voce bassa e rauca e gli occhi rossi fissi in quelli verdi di lui. Qualcosa di caldo gli si agitò dentro nel vederlo reclinare la testa di lato, un sorriso sghembo a curvargli le labbra e conferire qualcosa di feroce alla sua espressione.

Il respiro gli morì sulle labbra in un verso strozzato e il cuore prese a battergli rapido in petto. Le dita di Kacchan stringevano il tessuto sottile del lenzuolo coprendogli la testa, l’altra mano scese a scavarsi la strada fra le pieghe del lenzuolo fino a sfiorare la cintura al di sotto. ≪ Ma è un bene che ci sia io qui con te, Deku. Non hai nulla da temere, non è per questo che hai fatto in modo che la tua amichetta estraesse il mio di nome? ≫

Izuku trasalì. ≪ Tu… l’avevi capito? ≫ mormorò sorpreso e il sorriso sul viso di lui si inclinò fino a svanire. Le guance gli bruciarono nel sentire quelle dita agili stringere e sfilare la candela dalla cintura dei suoi pantaloni per posarla di traverso sull’altare. Avvertì sulla pelle, attraverso i vari strati dei vestiti, l’assenza del suo tocco sulla pelle e il dolore sordo che gli causò. Un formicolio che correva lungo il ventre e gli tolse il respiro per il bisogno di inseguire quel contatto fantasma. La mano afferrò quella di lui, facendolo trasalire sorpreso.

≪ Cosa…? ≫ esclamò Kacchan con un verso strozzato, fissando sorpreso la mano che ricopriva la sua tenendola sull’altare. Izuku premette le dita sul dorso, sentendo i tendini al di sotto dei polpastrelli e il calore emanato dal suo tocco. ≪ L’ultima volta che abbiamo festeggiato Halloween… ≫ mormorò con un tremito nella voce che attrasse quegli occhi scuri come rubini sul suo viso lentigginoso. ≪ Anche allora mi sono spaventato e hai dovuto fare qualcosa per calmarmi. Mi hai preso per mano e hai detto che finché ci fossi stato tu non avrei dovuto avere paura. T-ti ricordi, vero? ≫

Sotto il suo sguardo, la luce mutevole delle candele generava un gioco di ombre e sfumature di colore sul viso confuso di Kacchan che lo fissò sbattendo le palpebre in silenzio. Izuku avvertì il battito del suo cuore farsi doloroso, ma era troppo tardi per tornare indietro e rimangiarsi tutto. Strinse la mano di Kacchan sull’altare, sfiorando con la punta delle dita la cera dura al di sotto e la sua voce ebbe un lieve tremito nel continuare. ≪ Volevo solo un’occasione… un’occasione per stare con te da soli. ≫ ammise e le guance gli scottarono per un improvviso imbarazzo.

Un sibilo sfuggì dalle labbra di Kacchan, la bocca gli si arricciò in una smorfia incredula, mentre Izuku ancora sussurrava con voce tremante di emozione a stento contenuta. ≪ Lo so che è stupido e che probabilmente non serve a nulla, ma sono l’unico che non lasci mai avvicinare e non capisco perché. Ti conosco più di chiunque altro, eppure… Tu non scherzi mai con me. Non mi parli mai. Io… vorrei che lo facessi, almeno un po'. Vorrei che tu mi vedessi. ≫

Gli occhi di Kacchan si socchiusero nella luce mutevole, profondi e intensi come fiamme racchiuse in vetro impenetrabile da cui Izuku non riusciva a distogliere lo sguardo. C’erano centinaia di cose che voleva dirgli, ma in quel momento non riusciva a ricordarsene nemmeno una. Davanti all’intensità di quegli occhi, perfino la consapevolezza di dove si trovasse e perché sembrava svanire.

Non era sicuro di chi dei due si fosse mosso per primo, né come successe. Un attimo prima stava annegando in quel mare scarlatto, con il petto sconvolto da un misto di sensazioni diverse e l’attimo dopo, la sua bocca era piena di calore liquido e di qualcosa di dolce. Le dita di Kacchan affondarono nel tessuto del cappuccio tirandolo a sé e sfiorandogli la guancia con una dolcezza di cui non lo riteneva nemmeno capace. Le sue labbra si mossero su quelle di lui e la sua lingua si spinse a cercarlo, affondando nel incavo della bocca e stuzzicandogli il palato. Izuku trattenne il fiato, la mano che si sollevava a cercare il calore del suo corpo trovando il tessuto morbido del suo giubbotto a cui appigliarsi.

Un verso strozzato gli sfuggì dalla bocca premuta sulla sua, le ciglia sbatterono gettando un’ombra sugli zigomi arrossati e tutto finì come era cominciato. Deku si trovò a trattenere il fiato nella stretta navata carica dell’odore di fiori appassiti e cera sciolta. Nella luce danzante della fiammella gli occhi socchiusi di Kacchan erano pieni di ombre e la sua bocca si arricciò in un piccolo sorriso sghembo nel vedere che Izuku non indietreggiava. Sulle sue labbra era rimasta una lieve traccia di quel bacio e aveva il sapore di Kacchan.

≪ Quindi era di questo che parlavate tu e quella streghetta. ≫ mormorò con quella sua voce bassa e rauca, appena strascicata, che strisciò nel silenzio della chiesa come se emergesse da un racconto. ≪ Avrei dovuto capirlo, che idiota. ≫ borbottò con una risatina sprezzante. ≪ Ed io che pensavo ti piacesse il Bastardo visto come gli scodinzoli sempre dietro. ≫

Izuku si sentì scottare le guance e la bocca gli si schiuse con un tremito come a rispondere in ritardo a quel contatto, ma nessun suono ne venne fuori. Nessuna parola. Non c’era nulla che potesse dire, sorpreso com’era. Non avrebbe mai pensato che il suo primo bacio sarebbe avvenuto in quel modo, in piedi davanti a un altare su cui bruciava una fila ordinata di candele con addosso dei ridicoli costumi.

Kacchan non si era mosso, inarcò un sopracciglio biondo e lo guardò un po' sorpreso quando Izuku strinse la presa sul giubbotto e si spose in avanti, inseguendo quel contatto di cui era stato privato troppo presto. Di una cosa era certo anche se in modo alquanto vago e irrazionale. Se l’avesse lasciato uscire da quella chiesa senza fare niente di niente, quel bacio sarebbe sfumato e svanito nelle ombre di quella notte. Non sarebbero mai stati in grado di parlarne. Peggio ancora, aveva il terrore che avrebbe sancito la fine di ogni cosa. Quei piccoli miglioramenti ricavati in quegli anni, i progressi fatti e perfino quella vicinanza ritrovata durante quella sfida… avrebbe perso tutto quanto.

Il pomo d’Adamo nella gola di Kacchan ebbe un piccolo sussulto sotto gli occhi grandi e scuri di lui, la sua bocca si schiuse ancora prima che Izuku la sfiorasse con la propria. Non fu gentile nel catturargli le labbra e graffiarle con i denti. Kacchan non era mai stata una persona gentile e delicata. Izuku trattenne perfino il fiato nel sentire quella bocca voluttuosa spingersi a cercarlo affamato, muovendosi con una sicurezza che lui non aveva. Un brivido gli corse lungo la pelle e Deku allungò una mano per affondarla nella massa scarmigliata dei capelli di lui, soffici proprio come gli aveva sempre immaginati.

Un verso strozzato gli sfuggì dalle labbra schiuse e si perse nel silenzio penetrante della chiesa. C’era qualcosa di sacrilego nello stringerlo in un ambiente simile, qualcosa che l’odore di fiori morti e cera disciolta sembrava rimarcare. Nell’aria il rintocco secco di qualcosa di metallico che urtava la pietra rimbalzò fra le pareti polverose. La porta si spalancò con un grido dei cardini arrugginiti all’impeto improvviso del vento che fece irruzione spegnando metà delle candele e facendogli sussultare entrambi per lo spavento.

≪ A cosa state giocando? ≫ chiese una voce dolce come campanelle al vento coprendo il frusciare delle foglie che rotolavano sul pavimento, sospinte dal vento gelido.

Izuku balzò indietro al suono infantile di quella voce cristallina, incespicando nelle scarpe rosse per la vergogna di essere appena stato scoperto a baciare un ragazzo davanti a un altare nel cuore della notte. Nella sagoma della porta aperta fra le ombre e la nebbia, una bambina gli osservava con occhi neri come la notte, la bocca sottile tesa in un sorriso che gli fece scorrere un brivido inquieto su per la spina dorsale. ≪ Posso giocare anche io con voi? ≫



--- Angolino Lacie ---

Finalmente sono riuscita a pubblicare la terza e penultima parte, alla faccia della connessione internet che non funzionava. Domani (o al più tardi dopo domani) pubblicherò anche l'ultima che conterrà un Pov di Katsuki.

Inutile con lui mi sento più a mio agio a scrivere XD

Inoltre, è una tempistica azzeccata perchè con l'arrivo della bambina è scattata la mezzanotte nella storia.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio,

di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia.

( Amleto, Shakespeare )


Era scattata la mezzanotte e nel vano della porta una figura minuta gli osservava con gli occhi rossi che la notte dipingeva di nero pece. Katsuki mosse un passo indietro andando a sbattere contro l’altare in pietra, il viso pallido come gesso, totalmente preso alla sprovvista e un po' sopraffatto dagli ultimi eventi. Al suo fianco, Izuku rabbrividì con le guance lentigginose coperte da un pesante rossore sotto l’ombra del cappuccio. ≪ M-mi dispiace, piccola. Q-quello era… un gioco da grandi. ≫ esalò, con una nota stridula nella voce irritante.

≪ Dei ragazzi grandi… ≫ sussurrò lei con voce infantile, sottile come il vento che soffiava fra i rami degli alberi all’esterno, facendo rabbrividire entrambi nell’aria gelida. Katsuki si chiese distrattamente se il freddo pungente che avvertiva lo stava immaginando o se esistesse qualche oscura ragione per cui gli pareva che la temperatura nella chiesa fosse precipitata di colpo. Scoccò un’occhiataccia al ragazzo al suo fianco che balbettava agitato cose senza senso e la bocca gli si arricciò in una smorfia. ≪ Che cazzo stai dicendo? ≫

≪ Si, un gioco per ragazzi grandi. ≫ insistete Deku, gesticolando con le guance arrossate e ignorandolo del tutto. ≪ Non è adatto alle bambine. Magari quando sarai più grande… non ora, però. ≫

≪ Era da tanto che nessuno veniva qui ≫ commentò la bambina, reclinando la testa di lato e osservandogli nella luce quasi inesistente che le poche candele diffondevano intorno a loro. ≪ Tanto tempo, si… ma oggi c’è tanto movimento. ≫

Un brivido gelido gli percorse la schiena tesa facendogli contrarre qualcosa dentro. Era una bambina spettrale, vestita con un abito d’altri tempi, ricco e fuori moda, come gli scuri boccoli che scendevano lungo la schiena e il cerchio di rame fra le piccole mani candide che attirava la luce senza rifletterla. In qualunque altro giorno gli sarebbe parso assurdo trovare una bambina in un posto del genere e con addosso un vestitino così antiquato, ma quel giorno le cose strane erano così tante da rendere quella insignificante. Non di certo paragonabile all’assurdità di vedere il Nerd sporgersi verso di lui, con gli occhi scintillanti e le labbra schiuse come se volesse baciarlo.

≪ Sembra che non siamo gli unici che hanno deciso di fare una sfida di coraggio stanotte. ≫ commentò piano, Deku, sfoggiando uno di quei suoi sorrisi gentili che contenevano una punta dell’inquietudine che l’aveva accompagnato per tutta la sera. Katsuki non ne fu affatto sorpreso, anzi. Era così tipico di lui, tremare come una foglia per tutto il tempo, spaventato dalle cose più ridicole, per poi dimenticarsi ogni paura quando si trovava davanti una bambina da proteggere e salvare, tornando ad essere il solito irritante futuro eroe che gli faceva venire voglia di stendere a forza di pugni.

≪ Tu dici? ≫ commentò aspro, facendolo arrossire. Si pentì di avergli tirato sulla testa quel ridicolo cappuccio, dietro cui poteva nascondersi con facilità ora che le ombre si erano infittite, lasciandoli intravedere solo la piega incerta della bocca. ≪ Beh, mi pare evidente. ≫ borbottò e il lungo mantello frusciò nell’avvicinarsi alla porta. Katsuki lo seguì con passo indolente lungo la navata avvolta dalle ombre, più perché si aspettava qualche altro colpo basso simile a quello precedente che per altro.

≪ Ma dove sono i tuoi amichetti? Ti sei forse persa? ≫ domandò Deku con dolcezza, inginocchiandosi davanti alla bambina che gli osservava da dietro la porta spalancata e una nota di stupore si insinuò nel suo tono, al di sopra del fruscio del ridicolo lenzuolo che indossava. ≪ Non dirmi che ti hanno lasciato andare da sola in un posto così spaventoso. ≫

La bambina non avanzò, fissò immusonita la soglia della porta con gli occhi neri e il visetto pallido. La voce bassa che si mescolava al sibilo del vento e al frusciare delle foglie sulla pietra sembrava provenire da molto lontano. L’odore dolciastro dei fiori appassiti si appesantì con quello della terra umida, eppure, a Katsuki non parve che si fosse messo a piovere. ≪ Oh non c’è nessun’altro qui. ≫ commentò lei, stringendo un lembo del vestito nella piccola mano e dondolando sulla punta delle scarpette, la testolina scura reclinata per continuare a guardarli da sotto le lunghe ciglia. ≪ Nessuno vuole mai venire a giocare qui con me. ≫

La fronte di Izuku si corrugò perplessa. Katsuki avvertì qualcosa contorcersi all’interno del suo petto e la mano si tese con un tremito ad afferrare la spalla del ragazzo al suo fianco, conficcando le unghie nella pelle attraverso lo spesso strato del maglione, costringendolo ad alzarsi. Deku sollevò lo sguardo sorpreso, incespicando nelle scarpe rosse, e fissò il viso pallido e gli occhi rossi sbarrati del ragazzo al suo fianco. ≪ K-Kacchan, che ti prende? ≫ mormorò, corrugando la fronte con una smorfia sulle labbra.

Katsuki trattenne il fiato, inorridito, un brivido gelido che gli correva lungo la schiena tesa nel notare qualcosa di strano in quella figura pallida. Quella stupida notte sembrava non dover più finire di sbalordirlo. Sapeva che accettare di parteciparvi era stata una stupidaggine, tanto più che non aveva nessunissima voglia di vedere Deku provarci con il Bastardo, sorridergli dolcemente come faceva sempre e svanire per il sentiero ombroso con lui.

No, non ne aveva alcuna voglia, ma aveva ancora meno voglia di starsene in camera ad annoiarsi e rimuginare su cosa stesse succedendo lontano dai suoi occhi. Deku odiava Halloween da sempre ed era facilmente impressionabile, cosa pensava di ottenere con simili premesse?

Se era deciso ad entrare in quel cimitero, voleva esserci quando avrebbe fatto la figura dell’idiota davanti a tutta la classe e a Todoroki, spaventato a morte da qualche ombra o qualche stupidaggine simile. Invece, il nome estratto con quello insulso di lui era stato quello di Katsuki, cosa che l’aveva gettato nella confusione più totale per diversi minuti, ma mai quanto quello che si trovava davanti in quel momento.

≪ Volete giocare con me? ≫ insistette la bambina con un sorriso ampio e tremulo e il suono della sua voce lo fece trasalire, riportando lo sguardo di entrambi su di lei. Le foglie rotolarono ai suoi piedi con un sfruscio, ma nemmeno un capello di lei si scompose, le pieghe impalpabili del vestito immobili nell’aria gelida gli fecero agitare dentro qualcosa di freddo. ≪ Nessuno vuole mai giocare con me. ≫

Morbidi boccoli scuri scivolarono dalle spalle minute e le sfiorarono il merletto del vestito nel reclinare la testa per osservarli. Deku trasalì, voltandosi a guardarla preoccupato, la bocca si schiuse per rispondergli ma Katsuki fu più rapido. ≪ No. Nessuno di noi vuole giocare con te. ≫. La sua voce suonò più aspra del solito e fece sussultare il ragazzo al suo fianco. I suoi occhi verdi, prima scintillanti e intensi tanto da lasciarlo senza fiato, ora lo fissarono increduli. ≪ Kacchan, ma che dici! È solo una bambina, non parlarle così. ≫

Non c’era più traccia di quell’espressione desiderosa che l’aveva gettato nella confusione più totale insieme alle sue parole, tanto meno dell’intensità con cui l’aveva guardato nello sporgersi a baciarlo, costringendo Katsuki ad agire preventivamente, perché col cazzo che gli avrebbe lasciato dire che aveva preso lui l’iniziativa. Ora, nelle ombre che si ricorrevano sul suo viso lo sguardo tradiva un sentimento più cupo, un rimprovero silente che sembrava rimarcare la differenza fra loro in quanto eroi.

≪ Deku… che cazzo ci farebbe una bambina in un cimitero nel cuore della notte? ≫ sbottò gelido, scoccandogli un’occhiata cupa. Niente, ecco cosa. Una bambina che sembrava non avere più di dieci anni non ci faceva nulla in un luogo del genere e quella in particolare sembrava essere strana. Se ne stava fuori dalla porta, avvolta dalle ombre, con il vento che soffiava alle sue spalle come passandole attraverso.

Più la fissava, più Katsuki si convinceva che doveva essere una trappola alla pari di quella che avevano teso loro lungo la strada, una qualche illusione o qualcosa di altrettanto stupido, ma tutto quello che Deku vide fu una bambina che schiudeva la bocca tremante in un verso deluso.

≪ Quello che ci facciamo noi, probabilmente. ≫ replicò seccato, liberandosi della sua stretta con uno strattone. Gli occhi verdi socchiusi e pieni di ombre lo guardarono con un guizzo di quella sua solita testardaggine, la stessa che nemmeno un anno prima l’aveva portato a finire mezzo sepolto sotto le macerie di una palazzina. ≪ Perché devi essere sempre così diffidente e scontroso? ≫

≪ Perché cazzo non usi la testa per qualcosa di meglio di dire stronzate? ≫ rispose con un sibilo, arricciando le labbra a scoprire i denti in una smorfia irritata. Il soffio del vento si insinuò sotto il giubbotto pesante e gli fece scorrere un brivido lungo il corpo rigido, la mano tesa a indicare qualcosa sul pavimento di pietra impolverata. ≪ Non ha un’ombra. ≫

Sotto il cappuccio gli occhi verdi di Deku si sbarrarono sorpresi e la bocca tremò prima di schiudersi in una smorfia. ≪ Certo che no. È nel buio. ≫ commentò con uno sbuffo che fece divampare l’irritazione nel petto di Katsuki come una fiamma, spegnendo sul nascere la scintilla di soddisfazione che per un attimo era affiorata in lui. Intorno a loro le poche candele rimaste accese sfrigolarono sfiorate dalla brezza gelida e minacciarono di spegnersi, rendendo difficile scorgere l’uno i tratti dell’altro. ≪ E perché non viene dentro? ≫ insistette implacabile, più per un totale rifiuto a dargliela vinta che per altro. ≪ Questa è sicuramente opera della tua amichetta del cazzo. Un’altra trappola per cercare di spaventarci. ≫

≪ Magari perché tu gli fai paura. ≫ replicò e stavolta, nella voce di lui trasparì una certa dose di esasperazione che gli fece prudere le nocche dalla voglia di colpirlo. Deku rabbrividì nell’aria gelida, la voce bassa e vibrante appena udibile nel silenzio della navata. ≪ È solo una bambina che si è persa, Kacchan. Non è una pericolosa serial killer. ≫

Una smorfia curvò la bocca di Katsuki che esitò. Forse aveva ragione e si trattava solo dell’ennesima vittima di quella stupida festa, un’altra bambina costretta a mascherarsi in modo ridicolo e affrontare un altrettanto stupida sfida di coraggio, ma si rifiutava di ammetterlo e darla vinta al ragazzo che lo guardava con la bocca nervosa arricciata in un broncio. ≪ Questo non puoi dirlo con certezza. ≫

Gli occhi verdi di Deku rotearono esasperati fino a posarsi sul vano della porta. Il suo corpo si tese e irrigidì, la bocca schiusa in un’espressione di pura sorpresa. Katsuki inarcò un sopracciglio e seguì il suo sguardo, dubbioso. La notte all’esterno era fitta e sferzata dal vento gelido che si insinuava fra gli alti rami scheletrici, sibilando minaccioso. Là dove prima c’era una bambina che indugiava nel vano della porta, ora rimanevano solo ombre e silenzio. Il brivido gelido sulla sua schiena si fece più profondo, facendogli accapponare la pelle. Trattenne il fiato mentre Deku si avventurava fuori, un verso sofferente sulle labbra.

≪ L’hai spaventata. ≫ mormorò accusatorio, voltandosi a guardarlo dal primo scalino con il viso in ombra velato di preoccupazione. Katsuki storse la bocca in una smorfia risentita, sentendosi agitare dentro una certa inquietudine. ≪ Magari se n’è tornata da dove veniva. ≫ replicò con voce rauca.

Nel seguirlo fuori, il vento gelido si insinuò sotto i vestiti sferzandogli la pelle. Deku stava tremando nel guardarsi attorno ansioso, gli occhi spalancati a scrutare i visi di pietra delle statue che emergeva da un tappetto di terra e gramigna. ≪ O magari è qui intorno. ≫ mormorò quasi fra sé, prima di voltarsi a guardarlo. Katsuki seppe cosa stava per dire prima ancora che quella bocca nervosa si schiudesse a parlare. ≪ Dobbiamo cercarla, Kacchan. ≫

≪ Sei fuori di testa? Abbiamo perso fin troppo tempo per questa sfida ≫ sibilò, la bocca arricciata in una smorfia irritata e gli occhi rossi socchiusi. Deku lo guardò con uno sguardo inflessibile, i tratti del viso contratti in un’espressione battagliera. Lui lo sapeva che la gente aveva una percezione fasulla di quel ragazzo. Si ostinavano a credere che la sua gentilezza lo rendesse malleabile come creta, senza rendersi conto che in realtà era duro come acciaio e altrettanto inflessibile. ≪ Noi siamo eroi. ≫ insistette Deku, gli occhi verdi pieni di ombre fissi nei suoi. ≪ Non possiamo lasciare una bambina sola in un cimitero. Non in una notte come questa. ≫

Katsuki storse la bocca in una smorfia insofferente. Valutò la possibilità di lasciarlo lì e andarsene, finire da solo quella ridicola sfida a cui nemmeno voleva partecipare e lasciare che Deku si aggirasse per quel luogo lugubre alla ricerca di quella strana bambina. Non ci avrebbe messo molto a pentirsene e tornare a tremare come una foglia, spaventato da ogni fruscio e scricchiolio. Ma quel suo fare da eroe l’irritava fino all’eccesso ed era certo che se l’avesse lasciato lì l’intera classe l’avrebbe messo alla gogna. ≪ Hai tremato fino ad ora, vedi di fare meno l’eroe dei miei stivali. ≫ sibilò alla fine, con uno sbuffo. Scese gli scalini che gli separavano con passo indolente, la mano che frugava in tasca per estrarre la torcia e accenderla. ≪ Non può essersi allontanata troppo con quelle gambette corte. Sarà qui attorno, vedrai. ≫

Il fascio di luce colpì il volto di Deku, facendogli strizzare gli occhi verdi, la bocca tesa in un sorriso leggero. Il vento soffiava gelido fra i rami degli alberi facendo frusciare le foglie e incanalandosi fra le lapidi consunte. Senza più l’odore dolciastro dei fiori e della cera disciolta, tornò la sensazione di estraneità che quel posto ispirava. L’aveva scelto proprio bene, Uraraka, uno scenario perfetto per una sfida come quella che forse sarebbe apparso meno inquietante con la luce del sole a delineare con chiarezza ogni cosa.

La nebbia confondeva i margini delle lapidi e dei fiori poggiati come omaggio, costringendoli a camminare lentamente per non incespicare e cadere. Girarono intorno alla chiesa senza scorgere nemmeno un movimento, il pietrisco che scricchiolava sotto le suole delle scarpe. Avvolti nel silenzio, Katsuki avvertiva con chiarezza il raspare agitato del respiro del ragazzo al suo fianco e fu tentato di allungare la mano per stringere la sua e calmarlo, ma dopo quello che era successo nella chiesa non sapeva se era una buona idea.

Era entrato in quel cimitero con il dubbio di non aver capito nulla di quello che stava succedendo davvero. Di quello che aveva origliato. I suoi dubbi erano peggiorati davanti a quell’altare quando Deku se n’era uscito con quelle frasi disarmanti. Ripensandoci, in quel portico, non aveva mai detto di essere innamorato di qualcun altro, il suo nome era l’unico che aveva pronunciato, eppure non aveva senso. Non era mai stato gentile con lui, anzi, l’aveva sempre fatto innervosire il trovare quegli occhi sbarrati su di sé, doversi sempre assicurare che non si facesse ammazzare nel salvare qualcun altro per poi vederlo sorridere con dolcezza a gente come Todoroki Shouto. Per di più, ogni volta che Katsuki si era messo in mezzo fra loro, Deku aveva reagito mettendo su un’espressione imbronciata pari a quelle che gli rivolgeva da bambino e si era fatto avanti per riguadagnare tutta l’attenzione persa, da subdolo egocentrico qual era.

Nel muoversi fra le lapidi sfiorate dalla luce argentea della luna e le alte statue che gli fissavano come sentinelle silenti, le braccia che si sfioravano occasionalmente mentre lo scricchiolio dei loro passi si mescolava al sibilo gelido del vento e al frusciare dei vestiti, ebbe un brivido più profondo quasi l’inquietudine di Deku gli si stesse trasmettendo. Ogni tanto, si concedeva di smettere di scrutare le ombre per studiare l’espressione inquieta sul suo viso.

Ad ogni fruscio e scricchiolio, il suo corpo era scosso da un sussulto lieve. Le labbra si stringevano in una linea sottile e gli occhi spalancati scrutavano nelle ombre con fare inquieto. Katsuki s’irrigidì quando quelle iridi dipinte di nero si posarono su di lui, scoprendolo a fissarlo. Un lieve sorriso, timido e imbarazzato, curvò la sua bocca nervosa. ≪ Q-qualcosa non va, Kacchan? ≫ gli domandò con un sussurro acuto.

Katsuki socchiuse gli occhi rossi, la bocca stretta in una linea sottile e contrariata. ≪ No. ≫ rispose, dando un taglio netto alla conversazione prima ancora che nascesse e dipingendo su quel viso dolce un’espressione delusa e sorpresa. La mano sfregiata si sollevò a tirare il cappuccio perché coprisse meglio i riccioli scuri sulla fronte e gli occhi socchiusi. C’era qualcosa nel modo in cui tentava di nascondersi sotto quel sottile lenzuolo che Katsuki trovava insopportabile. ≪ Falla finita di tremare. ≫ sbottò, facendolo sussultare per l’improvvisa forza della sua voce strascicata e strappandogli un verso strozzato dalla bocca. ≪ D-di fare cosa? ≫ gemette Deku, guardandolo da sotto l’orlo del cappuccio.

Katsuki digrignò i denti, un senso di irritazione crescente nel petto. ≪ Lo sai benissimo. Continuare a girare per questo schifo di posto è stata una tua stupida idea. Vuoi fare l’eroe? Almeno fingi che stiamo dando la caccia a un criminale e torna a comportarti come sempre. Cazzo. ≫. Dopo il rimbombo della sua voce, il silenzio sembrò farsi pesante e inopportuno. Il fruscio del vento fra i rami alti degli alberi lo riempì. Deku aveva rallentato il passo, le guance coperte da un pesante rossore e una scintilla di malumore nello sguardo. ≪ M-mi dispiace, è solo… ≫ mormorò per poi interrompersi e distogliere lo sguardo, con un sospiro. ≪ Niente, lascia stare. Mi dispiace di averti coinvolto, Kacchan. ≫

≪ Se dici di nuovo che ti dispiace ti mollo qui. ≫ sibilò in risposta fra i denti serrati. Un verso strozzato fu l’unica risposta che gli concesse mentre avanzavano fra le statue di angeli piangenti chini su lastre di marmo consumato dalle intemperie. Una voce spezzò il silenzio fra loro, risuonando cristallina nel fruscio del vento. ≪ Avete cambiato idea? ≫

Katsuki trasalì, un’imprecazione sulle labbra e gli occhi rossi scattarono a scrutare le ombre. Il fascio di luce colpì la pietra consumata di una lapide che sorgeva ai piedi della statua di una bambina. Accanto a lui, Deku ansimò afferrandogli il braccio con le mani tremanti e tirandolo indietro. Seduta sul bordo della lapide la bambina reclinò la testa di lato e lo guardò con gli occhi rossi che non riflettevano la luce, le gambe bianche che fendevano l’aria penzolando nel vuoto.

Nelle ombre della notte, la sua intera figura sembrava traslucida quanto la lapide sotto di lei e la statua al suo fianco. Katsuki avvertì i battiti del suo cuore farsi rapidi e dolorosi all’interno del petto, le mani di Deku che stringevano la presa tremando sempre più forte. ≪ K-Kacchan… ≫ sussurrò lui con gemito basso, ma Katsuki non trovò la voce per rispondergli. I suoi occhi spalancati stavano fissando i tratti morbidi scolpiti nella pietra, gli occhi che fissavano la lastra di marmo stesa ai suoi piedi su cui erano stati scavate lettere chiare e numeri che il tempo aveva limato.
 
In memoria di Lacie Baskerville

1911 - 1920

Rovi si erano stesi sulla lastra di pietra ed erano cresciuti intorno alle sue mani pallide rivestendo un cerchio di rame ossidato e spezzato, identico a quello che la bambina al suo fianco stava facendo roteare intorno al polso sottile. ≪ Volete giocare con me? ≫ gli chiese con un ampio sorriso che non raggiunse gli occhi rossi e scintillanti che gli fissavano.

Un verso atterrito sfuggì dalla bocca di Deku mentre Katsuki muoveva un passo indietro, incapace di dare un senso logico a quello che stava guardando. Un verso strozzato gli sfuggì dalle labbra, spezzando la sua voce. ≪ Lacie? ≫ mormorò, leggendo il nome inciso sulla pietra. La bambina fermò il cerchio, avvolgendoci intorno le dita pallide e traslucide quanto la sua sosia di pietra là accanto. Il visetto dolce si volse a guardarlo con un’espressione indecifrabile. ≪ Si? ≫

Un brivido gelido gli attraversò il corpo teso, scuotendolo. Katsuki non si era mai reputato una persona impressionabile, ma nel far scorrere lo sguardo sul visetto delicato di quella strana bambina spettrale a quello di pietra al suo fianco, per poi calare sulle lettere che componevano il nome e le date di nascita e morte, si sentì rizzare tutti i peli addosso. Afferrò il braccio di Deku con uno scatto, strappandogli dalla bocca nervosa un grido rauco che si perse nel fruscio del vento e nello scalpiccio dei loro passi sul tappetto di gramigna. Corsero a perdifiato verso il muro più vicino. Deku non oppose alcuna resistenza nell’inseguirlo, incespicandogli accanto fra i rovi e le lapidi, lasciandosi indietro la figura spettrale della bambina che gli osservava con occhi del colore del sangue.

Il muro gli tagliò la fuga, alto e scrostato, Katsuki ci si arrampicò sopra con l’agilità dettata dall’adrenalina in circolo, voltandosi solo per assicurarsi che Deku fosse al suo fianco. Lanciò appena un’occhiata alla distesa buia di lapidi e alberi contorti, individuando il fascio della torcia caduta fra i rovi. La bambina si era fermata là a fissarli con un sorrisino divertito e la piccola mano sollevata a far roteare il suo cerchio di rame. Un groppo gli chiuse la gola per un attimo e si trasformò in un’imprecazione sonora nel momento in cui Deku l’afferrò per i vestiti e lo trascinò giù con lui, il viso travolto dal terrore e gli occhi traslucidi di lacrime non versate.

Lo stupore sul volto dei loro compagni quando gli raggiunsero, gli strappò un’altra imprecazione che si trasformò in una vera fiumana di volgarità quando gli domandarono se avevano almeno riportato la campanella. A quel punto, Katsuki ne fu certo. Lui Halloween lo odiava da morire, più di quanto avesse mai fatto Deku.


 
-- Angolino Lacie –

Non so come scusarmi per l’increscioso ritardo! Purtroppo, nel cambiare computer avevo perso le credenziali, non riuscivo a accedere al sito e ho temuto di aver perso l’account! Mi dispiace molto per avervi fatto attendere così tanto per il finale di questa storiella.

(ps. Mi chiedo se qualcuno di voi ha colto la citazione a Pandora Hearts e quella a Doctor Who. Mi sono presa un po' di libertà con questa piccola storia )

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Capitolo 5
*** 5. ***


Nota Lacie : Dopo mesi che l'avevo data per finita questa storia mi è tornata in mente, insieme ai progetti che avevo fatto su di essa.

È vero che è nata principalmente come fiction festiva a tema Bakudeku, ma sarà che sono particolarmente sentimentale di questi giorni o che nel rileggerla il finale non mi soddisfava quanto un tempo ( ho davvero un brutto rapporto con i finali aperti. ), tanto sta che la mia mente ha iniziato a ribollire di nuove scene.

E non c'è stato modo di mandarle via, perciò qualunque sia la ragione mi è venuta voglia di proseguirla e ho buttato giù un nuovo capitolo (a cui ne seguiranno degli altri. Anche se prevedo sarà comunque una storia breve ). Ci saranno altre ship e altri pov tra cui forse uno di Uraraka e uno di Shouto oltre che il proseguo delle vicende di Izuku e Katsuki e non so ancora quanto sarà spinta, ma nel caso vi avviserò a inizio capitolo.

Detto ciò, per la lettura di questo capitolo vi consiglio l'ascolto della canzone citata qui sotto. Mi ha accompagnato e ispirato per tutta la stesura. Anzi, si può dire che è stata lei a influenzare questa ripresa della storia e vi metterà nel mood giusto.

A chi deciderà di leggere, come sempre, va tutta la mia riconoscenza. Non sono mai abbastanza brava a ringraziarvi.

Baci

Lacie.

 

 

 

It just doesn't rhyme, it's not how it should be

It's like dacing , dancing without music

Me whithout you and you whithout me

( Dancing without music, BRDGS )

 

Doveva essere l'idea peggiore che gli fosse mai venuta in mente in tutta la sua breve e monotona vita, si disse Izuku nell'avanzare lungo il corridoio buio del dormitorio con il cuore che batteva rapido in petto e le mani fredde che tremavano appena.

Nel silenzio della notte, ombre scure si rincorrevano sulle pareti rivestite di legno e sulle porte rigorosamente chiuse. D'altronde era passata da un pezzo la mezzanotte e la maggior parte dei suoi compagni dormiva già da ore, era solo lui che non ci riusciva e si aggirava per i corridoi come un'anima in pena. I suoi passi ovattati erano l'unico suono che animava l'immobile silenzio ombroso che avvolgeva l'intero dormitorio e accompagnava il battito rapido del suo cuore verso la sua meta.

Era una pessima idea che non avrebbe portato a nulla di buono, lo sapeva. Perfino peggiore di quella avuta da Ochaco e che aveva avuto come unico risultato di gettarlo in un baratro di insicurezze e confusione da cui non riusciva a riemergere e dentro cui continuava a rivoltarsi, senza tregua.

Si era infilato a letto che le prime luci del nuovo giorno filtravano dalle tende tirate e il cielo plumbeo si affacciava da uno spiraglio rimasto aperto, ma Izuku non era riuscito a prendere sonno perché Kacchan l'aveva baciato, l'aveva stretto contro il suo corpo e rubato il respiro dalle sue labbra umide, ma poi se n'era andato senza dirgli una parola.

Dietro le palpebre chiuse vedeva il bagliore caldo delle candele riflettersi nel rosso delle sue iridi. Il suo sguardo basso e la mano che schermava la fiamma danzante dall'aria gelida della notte. Vedeva il suo viso aprirsi in quel sorriso impudente che gli aveva curvato per un istante le labbra prima che la sua bocca si fondesse con quella di Izuku. Risentiva il misto del suo odore mescolato a quello dolciastro dei fiori morti e della cera sciolta riempiergli il petto come se fosse di nuovo lì e procurargli un dolore sordo al cuore.

Pareva così tangibile da poterlo toccare con la punta delle dita, lo sentiva sulle labbra che si schiudevano a inseguire un sogno, ma ogni volta lo risvegliava il ricordo di come dopo Kacchan non l'avesse degnato di una sola parola e se ne fosse andato con i suoi amici senza nemmeno voltarsi a guardarlo.

Non una parola, un gesto o anche solo uno sguardo gli aveva concesso Kacchan da quella sera e Izuku aveva preso a fingersi impegnato ogni volta che le loro strade si incrociavano, perché era più facile fingere che non facesse male se si comportava come se non fosse successo nulla d'importante.

Era più facile fingere che non passasse ogni notte e ogni risveglio a pensare al sapore delle sue labbra, a rabbrividire al suono della sua voce rauca e a ricordare il modo in cui gli aveva parlato davanti a quell'altare mentre si guardavano negli occhi.

Sembrava più facile, ma in realtà, nulla di tutto ciò lo era.

Non era facile ignorarlo come faceva lui, sforzarsi di ridere alle chiacchiere leggere degli amici e comportarsi come suo solito, mentre cercava di convincersi che non faceva così tanto male da non riuscire a smettere di pensarci.

Nel fermarsi davanti alla sua porta chiusa e bussare con mano tremante, Izuku sentì il cuore battere a un ritmo irregolare e rendere il suo respiro rapido e incerto. Era una pessima idea, ma non poteva più sopportare il pensiero che fosse successo proprio quello che aveva temuto e quel bacio finisse per scivolare in un nulla di fatto di cui non erano in grado di parlare.

Il silenzio risuonò del rintocco delle sue nocche contro il legno come un pendolo che batteva l'ora e dilatava il tempo nell'attesa che lui gli aprisse. Il cuore nel suo petto aveva preso a pompare ansia e inquietudine nelle vene, diffondendole per tutto il corpo e accentuando la tensione che gli irrigidiva i muscoli.

Era venuto così com'era, con la t-shirt e i pantaloncini sportivi con cui era solito dormire e un brivido gli corse lungo la pelle scoperta su cui il gelo della notte premeva. Le sopracciglia sottili si corrugarono sotto le onde disordinate dei suoi capelli e gli occhi verdi rimasero fissi su una porta che pareva intenzionata a tenerlo chiuso fuori ad aspettare una risposta che tardava ad arrivare.

Forse, Kacchan dormiva così profondamente da non averlo sentito, si disse mandando giù un groppo di tensione e imbarazzo e risollevando la mano per bussare con più forza. Ritentò con il cuore che batteva tanto forte da fare male e il rimbombo dei suoi colpi sul legno gli parve assordante quanto una sequenza di spari, tanto da fargli temere di svegliare chiunque in quel corridoio tranne l'unica persona che voleva vedere.

Un'imprecazione gli sfuggì dalle labbra nel non ricevere alcuna risposta che non fosse il silenzio pieno della notte. Si era preparato tutto un discorso nella sua camera da poter snocciolare quando se lo sarebbe trovato davanti, ma sussultò quando la porta si aprì di scatto e la voce rauca di Kacchan, velata di sonno e irritazione risuonò nell'aria, cogliendolo di sorpresa.

≪ Chi cazzo rompe le palle a quest'ora?! ≫ sbottò, affacciandosi sulla soglia con il viso imbronciato stropicciato per il sonno e i biondi capelli spettinati. Gli occhi rossi sotto le spesse sopracciglia aggrottate si posarono su di Izuku, facendo scaturire un brivido inquieto lungo la schiena tesa di quest'ultimo.

Tutte le cose che voleva dirgli, il discorso che si era accuratamente preparato e perfino la sua determinazione, svanirono dalla sua mente di colpo. La voce di Kacchan era bassa e strascicata nell'insinuarsi nel silenzio denso di ombre che era calato ad avvolgergli. ≪ Tu. ≫ disse come se quella parola contenesse tutto un discorso da cui lui fosse rimasto inevitabilmente chiuso fuori. ≪ Cosa ci fai qui? ≫ gli chiese, battendo due volte le palpebre come a metterlo a fuoco nella semioscurità.

Le labbra di Izuku si schiusero a vuoto nel tentativo di dargli una risposta coerente, ma nessuna parola gli venne in aiuto. Nell'incrociare quegli occhi velati di ombre scoprì che non era pronto ad affrontarlo, che tutte le cose che aveva pensato di dirgli sembravano una più sciocca dell'altra e che forse, la ragione per cui Kacchan non gli aveva detto niente era che non c'era proprio nulla di cui parlare.

Il silenzio che calò su entrambi gli parve avere lo spessore di un muro invalicabile. La luce soffusa di una lampada che filtrava dall'interno della camera di Katsuki, disegnava ombre scure sulla sua t-shirt nera, mettendo in risalto i muscoli delle braccia e delle spalle ampie. Bionde ciocche gli ombreggiavano il viso spigoloso, accentuandone l'espressione cupa e il candore della pelle su cui il rosso delle iridi risaltava.

Izuku restò a guardarlo senza riuscire a dire nulla, gli occhi verdi ombreggiati dalle lunghe ciglia scure e la bocca che tradiva qualcosa dell'amarezza che si sentiva dentro. Kacchan fu il primo a rompere quel silenzio imbarazzante con il graffiare ovattato della sua voce. ≪ Vuoi entrare? ≫

La domanda fece sussultare il cuore di Izuku in modo del tutto inaspettato, rinvigorendo la scintilla delle sue speranze. Si sentì fremere dentro nel vederlo farsi da parte per lasciarlo passare, la mano grande e ruvida che stringeva il legno della porta e qualcosa d'inafferrabile nel fondo dei suoi occhi scuri, intenti ad osservarlo.

Non era mai stato nella sua stanza prima e nel varcarne la soglia, la prima cosa che realizzò fu che era completamente diversa da quella che aveva avuto da bambino. Era arredata con un certo gusto e una prevalenza di colori chiari che ben poco aveva in comune con la camera dei suoi ricordi e di cui l'unico filo conduttore con il passato era un poster a edizione limitata di All Might, appeso alla parete.

Una batteria era stata incastrata in un angolo della stanza, così ben curata da riflettere la luce soffusa della lampada accanto al letto disfatto, e una libreria conteneva la collezione di manga di cui Kacchan non parlava mai con gli altri più qualche rivista di moto che lo sorprese, perché non avrebbe mai potuto immaginare potessero piacergli. C'era anche una poltrona dall'aria comoda che accoglieva un vecchio volume di Full Metal Alchemist che doveva aver riletto di recente.

Nell'osservare quel ambiente nuovo e famigliare allo stesso tempo, Izuku divorò i dettagli che lo componevano e che facevano parte del mondo da giovane adulto di Kacchan a cui lui aveva così scarso accesso.

Si concesse però solo pochi istanti per farlo, così da non insospettire il ragazzo alle sue spalle e fare la figura di un inquietante stalker. Prese un rapido respiro per cercare di calmare il battito accelerato del cuore e riprendere il controllo sui propri pensieri. ≪ M-mi dispiace averti svegliato. ≫ disse, posando lo sguardo sulle coperte gettate di lato e deglutendo a vuoto nel voltarsi a guardare Kacchan chiudere la porta con una spinta. ≪ È solo che h-ho davvero bisogno di parlare con te di una cosa e non potevo più aspettare. ≫

La sua figura alta e muscolosa si tese appena a quelle parole. Gli diede una stretta allo stomaco senza che riuscisse a capire perché. A volte era difficile perfino per lui capire cosa di quel ragazzo gli piacesse così tanto e perché fosse così difficile liberarsi dalle sensazioni che gli suscitava la sua presenza o la sua assenza. Altre, era fin troppo facile riuscirci e innamorarsene pareva la cosa più naturale del mondo.

In quel momento, pur non trovando le parole, sapeva che il suo cuore non avrebbe preso a battere a quel ritmo irregolare e le sue mani non gli avrebbero trasmesso quel pizzicore languido, se a guardarlo e parlargli fosse stato qualcun altro. Non gli avrebbe dato lo stesso brivido che avvertì correre lungo la spina dorsale ed esplodere alla base della nuca che gli dava lui, con la sua sola presenza.

≪ No, va bene. ≫ mormorò Katsuki, voltandosi a guardarlo con gli occhi rossi sfiorati dalla luce soffusa della lampada che dipingeva di oro bianco le ciocche bionde dei suoi capelli e conferiva qualcosa di mite all'espressione del suo viso. ≪ In realtà, anche io ho delle cose da dirti. Meglio farlo così che in un altro modo. ≫

Il suo cuore ebbe un piccolo sussulto nel sentirlo dire che voleva parlargli e una parte di lui iniziò a fremere, accesa dalla speranza che volesse dirgli le stesse cose che voleva dire anche lui. Gli occhi verdi si sollevarono a cercare d'incrociare i suoi, scintillando speranzosi. Immaginò come sarebbe stato coprire la distanza che gli divideva e allungare le mani per prendere le sue. Vedere quella bocca schiudersi per baciarlo e dirgli che aveva passato i giorni a fingere che non gli importava nell'illusione che facesse meno male.

Se si fosse avvicinato abbastanza da dover reclinare la testa per continuare a guardarlo, avrebbe provato imbarazzo o sarebbe stato naturale come lo era stato la prima volta?

La bocca gli si schiuse a liberare un sospiro teso, le mani abbandonate lungo i fianchi si strinsero a pugno nel tentativo di racimolare un po' della determinazione che l'aveva invaso davanti a quell'altare e aveva reso possibile baciarlo. ≪ K-Kacchan, dobbiamo parlare di quello che è successo durante la sfida. ≫ sussurrò e la voce gli tremò un poco nel ricordare il bagliore caldo delle fiammelle delle candele e l'odore dolciastro dei fiori morti e della cera sciolta.

Se chiudeva gli occhi poteva risentire il tocco rude delle labbra di lui sulle proprie. Il modo in cui aveva sorriso, con il rosso delle iridi accese di riflessi dorati e di ombre scure. Il respiro gli si ruppe sulle labbra in un verso strozzato e le guance presero a scottargli, velandosi di un tenue rossore. Era più difficile concentrarsi su ciò che voleva dire, se permetteva ai ricordi di distrarlo. ≪ Davanti a quell'altare, tu... io... dobbiamo parlare di cosa ha significato. ≫

La voce gli morì sulle labbra umide, gli occhi verdi si sollevarono a guardare il ragazzo che indugiava accanto alla porta con entrambe le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni del pigiama e un'espressione seriosa sul viso spigoloso. ≪ Deku... ≫ lo chiamò piano e il suo soprannome sulle sue labbra aveva un suono strano che gli fece stringere un nodo alla bocca dello stomaco. ≪ Non ha significato proprio niente quello che è successo. ≫

In un istante, Izuku avvertì il respiro morirgli sulle labbra e il cuore sprofondargli nel petto insieme a tutte le sue speranze e gran parte dei suoi dubbi. ≪ N-niente? ≫ ripeté con un filo di voce, così piano che lui stesso faticò a sentirsi. Katsuki annuì, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni grigi e un'espressione indecifrabile sul bel volto che gli impediva di comprendere i suoi pensieri. ≪ È stato solo un momento nel mezzo di una stupida sfida in una stupida notte. Non c'era bisogno di rimuginarci tanto sopra, non credi? ≫

Izuku non rispose. Gli sembrò di essere stato spinto all'interno di un oceano gelido e venir travolto da onde spumeggianti che lo spingevano sempre più affondo, riempiendogli le orecchie e la bocca di acqua amara che rendeva i suoi sensi inutili. ≪ Niente. ≫ ripeté e per un attimo, si chiese se non avesse sentito male o se il nervosismo non stesse giocando qualche brutto scherzo alla sua mente, ma la voce rauca di Kacchan risuonava nella stanza bassa e nitida, appena meno graffiante del solito, e impossibile da fraintendere.

≪ Eppure, me lo sentivo che ti stavi ad angosciare per questa cosa. Conoscendoti era prevedibile. ≫ commentò, scuotendo appena la testa bionda con gli occhi rossi fissi in un punto nel vuoto e la bocca arricciata in una smorfia. Ogni traccia di sonno era svanita dal suo viso mentre diceva. ≪ Puoi smettere di pensarci. Non è successo niente. Ti sei spaventato per quella stupida sfida e... ≫

≪ Non è così ≫

La voce di Izuku risuonò all'interno della stanza forte e chiara, più acuta di quanto non volesse. Katsuki sussultò leggermente, sorpreso dalla foga con cui pronunciò quelle parole.

Le mani che aveva stretto lungo i fianchi risaldarono la presa fino a far guizzare una scintilla di dolore lungo gli arti tesi, ma stavolta non si trattava solo di racimolare il coraggio per farsi avanti. Aveva il terrore di ciò che lui stava dicendo e che Izuku non voleva ascoltare. ≪ Non c'è bisogno di rimuginarci sopra? ≫ ripeté con un tremito sulle labbra umide e gli occhi verdi che cercavano disperatamente di incrociare quelli di lui. ≪ Stai scherzando, vero? Io... io... ci ho pensato per tutto questo tempo. ≫

Ogni notte da quando era successo aveva chiuso gli occhi e rivissuto quel momento e lui gli veniva a dire che non aveva significato niente? Impossibile. Il trasporto con cui l'aveva baciato non poteva essere simulato e tanto meno lo sguardo nei suoi occhi quando gli aveva sorriso.

Izuku era certo di non essersi immaginato nulla di quella sera, nemmeno l'imbarazzo che era calato su di loro mentre vagavano fra le tombe e che aveva reso difficile iniziare un qualsiasi discorso. Ma Kacchan era una figura statuaria avvolta in un gioco di bagliori dorati e ombre scure che lo guardava con un'iride sfiorata dalla luce della lampada e l'altra inghiottita dalle ombre, senza lasciar trasparire nulla dei suoi pensieri.

Izuku dovette aggrapparsi alle sue convinzioni con tutto sé stesso per non cedere a quello sguardo impenetrabile.

≪ Non ho fatto altro che pensarci. ≫ ammise, muovendo un passo verso di lui e accorciando la distanza che gli divideva, con il respiro che sfuggiva rapido dalle labbra tremanti e gli occhi verdi fissi nel rosso di quelle iridi impenetrabili. ≪ Non hai idea di quanto ci abbia sperato. Di quanto l'abbia desiderato... N-non puoi dirmi che non ha significato niente. So che non è così. ≫

I pugni lungo i fianchi tremarono nello stringersi fino a conficcare le corte unghie nei palmi freddi mentre la sua voce si spegneva nel silenzio ovattato della notte. L'aria era fredda e una lama di luce lunare filtrava dalle tende lasciate scostate per riversarsi sul parquet lucido fino a sfiorare i piedi di Izuku.

L'espressione sul viso di Kacchan sembrava scolpita nel granito tanto era impenetrabile. Troppo tesa e silenziosa, per non nutrire la sua inquietudine. Lo guardò in silenzio, le ampie spalle rigide che tradivano una certa tensione e gli occhi socchiusi fissi in quelli spalancati di Izuku, dentro cui si riflettevano tutta la profondità delle sue emozioni. ≪ Kacchan... ≫ sussurrò con un filo incerto di voce che tradiva il timore che gli stava crescendo dentro davanti al protrarsi dei suoi silenzi. ≪ Ti prego, dimmi che non mi sono immaginato ogni cosa. ≫

Katsuki non rispose subito. Distolse lo sguardo dal suo, gli occhi rossi ammantati di ombre e la bocca voluttuosa atteggiata in un cipiglio cupo che gli induriva i tratti del viso. Pure senza il costume da licantropo, Izuku poteva cogliere qualcosa di lupesco nel modo in cui quelle iridi penetranti scattarono a guardarlo con la coda dell'occhio e le spalle muscolose guizzarono sotto il tessuto scuro della t-shirt.

≪ Io non ho provato niente. ≫ disse con tono brusco e una freddezza tale nella voce rauca che Izuku sentì le sue parole penetrargli nello sterno come lame e sprofondare nella sua carne, aprendo squarci sanguinanti. Gli occhi verdi si fissarono nel rosso di quelle iridi coronate di ciglia pallide e ombre scure, senza riuscire a credere a quello che gli aveva appena sentito dire. ≪ T-tu non hai provato niente? ≫ ripeté con voce soffocata e un senso di gelo ad attanagliargli il petto e salire a gremirgli la gola.

Un verso strozzato sfuggì dalle labbra contratte del ragazzo davanti a lui, le spalle si strinsero sotto il tessuto nero della t-shirt e il biondo dei suoi capelli parve ammantarsi di oro liquido nelle ombre della notte. ≪ Non fraintendermi, Deku, non ti attaccherei mai perché sei attratto dai ragazzi. ≫ gli disse e la sua voce rauca risuonò nella stanza piena di ombre stranamente calma e profonda, un mare quieto che celava un intero mondo sottomarino a cui non c'era accesso. ≪ Ma quel bacio non ha significato niente per me e non cambia le cose fra noi. ≫

Izuku sentì qualcosa nel suo petto rompersi, immaginò che fosse il suono del suo cuore che cadeva in frantumi ai loro piedi nel prendere atto che era stata tutta una sua illusione. Quel bacio non aveva significato niente per Kacchan per questo ignorarlo nel passargli accanto, fingere che lui non fosse presente nella stessa stanza in cui si trovava, non era mai stato difficile per lui. Non gli aveva fatto male quanto ne aveva fatto a lui, perché non aveva mai significato abbastanza per poterlo ferire.

Lo realizzò in un attimo e desiderò non essersi mai alzato dal letto per andare a parlargli. Non voleva piangere davanti a lui, ma non riuscì a frenare le lacrime che salirono a pungergli gli occhi verdi e a sporcargli la voce con il loro sapore amaro. ≪ N-non può essere vero. Tu mi hai baciato, Kacchan! ≫ gridò e la sua voce arrocchita rimbalzò fra le pareti in penombra della stanza mentre le mani si serravano con più forza lungo i fianchi. ≪ Cosa vuol dire che non hai provato niente?! Non prenderti gioco di me su una cosa così seria. Tu mi hai baciato. ≫

≪ Era quello che palesemente volevi fare. ≫ rispose Katsuki e nella calma disinteressata che aveva sfoggiato fino a quel momento s'insinuò un poco della sua solita irascibilità. I tratti del suo viso si indurirono mentre la bocca sprezzante si contraeva in una smorfia. Sotto le spesse sopracciglia aggrottate, gli occhi rossi baluginarono cupi. ≪ Che fosse per ingelosire qualcun altro o per... ≫

≪ Non sto tentando di ingelosire proprio nessuno! ≫ sbottò Izuku, sovrastando la sua voce con la propria e liberando un singhiozzo rotto che si infranse sulle sue labbra tremanti. Gli occhi rossi baluginarono cupi sotto le sopracciglia bionde nel sollevarsi a incrociare quelli lucidi e feriti di Izuku che si morse il labbro per fermarne il tremito.

≪ Come ti pare, non fa differenza. ≫ replicò Katsuki brusco e un'ombra calò a oscurargli il viso e indurire la piega della bocca. Sotto lo sguardo di quegli occhi di brace che lo fissavano senza lasciargli alcun appiglio, una lacrima sfuggì e cadde a rigare il viso di Izuku.

Il respiro gli si ruppe sulle labbra senza che trovasse le parole per rispondergli. Infondo, avrebbe dovuto sapere che sarebbe finita così. Essere innamorato di lui era sempre stata una danza solitaria. Era come ballare da solo al centro di una sala da ballo senza alcuna musica a guidarlo con solo la vista della sua immagine distante che non lo fissava mai e non gli veniva mai incontro.

Non era mai stato facile, ma non era nemmeno una cosa su cui avesse un reale controllo. Nel momento in cui le loro bocche si erano scontrate però gli era quasi sembrata tangibile la possibilità di poter ballare insieme, quella melodia senza musica, anche senza una coreografia da seguire o un posto in cui farlo.

Sarebbe andato bene tutto, invece nel vederlo schiudere le labbra e sospirare, le lunghe dita da musicista che s'infilavano nelle ciocche scarmigliate dei suoi biondi capelli spingendoli indietro, capì quanto si fosse sbagliato. Quanto affondo ci avesse sperato, tanto da illudersi che per una volta la realtà l'avrebbe accontentato.

≪ Cazzo, Deku non guardarmi così. ≫ mormorò Katsuki scontento, tirando le bionde ciocche scarmigliate e storcendo la bocca in una smorfia. Gli occhi rossi vagarono per la stanza prima di tornare su di lui. ≪ Non renderlo più difficile di quanto non sia. ≫

Il suono graffiante della sua voce gli ferì le orecchie, facendolo tremare. In tanti anni che lo conosceva, non gli aveva mai procurato un dolore così profondo come quello che si sentiva pulsare nel petto in quel momento, nel realizzare che su quella pista da ballo, Kacchan non si era mai presentato. Era stato lui a continuare a ballare da solo, a ricercarlo e a desiderarlo, mentre Kacchan non aveva mai provato nulla.

La rabbia gli montò dentro come una tempesta improvvisa, rendendo il suo respiro rapido e la voce acuta. ≪ Sei uno stronzo! ≫ sbottò, scagliandosi contro il suo petto e spintonandolo. ≪ Mi stai dicendo che mi sono immaginato tutto?! Che non significava nulla?! ≫

Katsuki barcollò indietro, le labbra strette in una linea sottile e gli occhi rossi celati solo un velo di capelli biondi. Non provò nemmeno a fermarlo, afferrandogli il polso con la mano e chiamandolo per nome. Izuku urlò, onde scure gli caddero sugli occhi verdi bagnati di lacrime e solcarono le guance arrossate. Tirò via il braccio di scatto, come se il contatto con la sua pelle potesse scottarlo e procurargli più dolore di quanto già non ne provasse. ≪ Stai zitto, zitto. Non voglio ascoltarti. ≫ sibilò, cercando di passargli accanto e imboccare la porta chiusa, ma le mani di Katsuki lo spinsero indietro facendolo incespicare sui piedi nudi.

≪ Ti sto dicendo che la tua è solo una fantasia e che faresti meglio a lasciartela alle spalle. ≫ sbottò Katsuki e sul suo viso sfiorato dalla luce soffusa della lampada, gli occhi rossi baluginarono cupi. ≪ Non c'è nulla di male se ti piacciono i ragazzi, Deku, ma non sono io il ragazzo che ti deve piacere. ≫

Il viso di Kacchan tradiva una calma che raramente gli aveva visto esternare, per quanto cupa. I suoi occhi sormontati da ciglia pallide non lasciavano intravedere nemmeno l'ombra dei suoi pensieri. A Izuku non era mai parso più lontano e irraggiungibile di così, totalmente distaccato dal bambino dagli occhi caldi e dal sorriso astuto che gli era cresciuta accanto.

Non c'era nulla del calore del suo sguardo, della calda forza delle sue mani che considerava così rassicurante quando erano bambini da sciogliergli il cuore. Non c'era nulla del ragazzo rude che poteva sempre trovare al suo fianco quando vacillava e che l'avrebbe preso per mano se si fosse spaventato. Nel gioco di ombre e luci che bordavano la sua figura, Izuku indietreggiò scuotendo la testa.

≪ Chi sei tu per decidere chi può piacermi e chi no? ≫ sussurrò con una punta di risentimento nella voce bassa e un brivido inquieto gli corse lungo la spina dorsale nel percepire l'amaro che quelle parole gli lasciavano sulla lingua. Riccioli scuri caddero a sfiorargli gli occhi pieni di ombre, la voce di Katsuki strisciò nel silenzio della sua camera come un sussurro arrocchito da emozioni che Izuku non comprendeva e a cui non sapeva dare un nome. ≪ Non è nemmeno una cosa che puoi decidere da solo. ≫ disse, stringendo i pugni lungo i fianchi e fissandolo con occhi che la notte dipingeva di nero pece. ≪ Non puoi costringermi a ricambiarti o ad assecondare i tuoi desideri. Sei libero di pensarla come vuoi, ma io sono libero di rifiutarmi. Non sono la persona giusta per te. ≫

La bocca di Izuku tremò nell'arricciarsi in una smorfia amara. C'erano centinaia di cose che avrebbe voluto dirgli, ma sotto quegli occhi rossi che lo guardavano senza vederlo davvero, Izuku scoprì di non avere voce. Non davanti il granitico rifiuto di lui o alle sue parole che non gli lasciavano alcun margine per sperare.

Un verso strozzato sfuggì dalle sue labbra e si infranse nel silenzio della stanza, lacrime salate caddero a rigargli le guance lentigginose nel sentire fiorire dentro di sé un sentimento di sconfitta. Avrebbe dovuto saperlo che sarebbe finita così e si rimproverò da solo per aver osato sperare in qualcosa di diverso. Si diresse a passo rapido verso la porta della camera a capo chino, cercando di impedirgli di vederlo piangere per lui e risparmiare a sé stesso almeno quella umiliazioni.

≪ È la cosa migliore Deku. ≫ La voce di Katsuki, soffocata e rauca, lo raggiunse mentre abbassava la maniglia e apriva uno spiraglio nel corridoio silenzioso. A Izuku parve che le sue parole fossero pugni che gli colpivano il petto, lasciandogli lividi addosso che non sarebbero guariti in breve tempo. ≪ Infondo, lo sai anche tu. Non sono la persona giusta per te. ≫

Izuku non rispose nel chiudersi la porta alle spalle con la gentilezza che lo caratterizzava da sempre e Katsuki rimase immobile ad ascoltarlo allontanarsi. Non riusciva a respirare bene. C'era qualcosa nel suo petto che sembrava voler schiacciare i polmoni fino a soffocarlo. Barcollò verso la poltrona e si lasciò cadere sopra con un sospiro.

Era fatta ed era la cosa migliore per entrambi.

Nello sprofondare fra i cuscini morbidi e rivolgere lo sguardo al soffitto, si chiese come mai si sentisse tanto idiota se quello che aveva appena fatto era la cosa giusta.

≪ Sono un'idiota. ≫ sussurrò alle ombre della notte con un sorriso tirato e interpretò il silenzio che seguì come una conferma del cosmo alla sua affermazione. Sentì il bisogno di riequilibrare subito la cosa per renderla più accettabile con sé stesso. ≪ Un'idiota, si. Ma che ha fatto la cosa giusta. ≫

 

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Capitolo 6
*** 6. ***


Don't take this the wrong way

I want you to be happy

But it's hard to watch you fall again

'Cause now I gotta play pretend

Spending all of my time

Dancing on this fine line

( Play Pretend, Alex Sampson. )

 

Il vestito che indossava era del tutto inadeguato per il locale in cui si trovavano, ma Ochaco l'aveva realizzato quando ormai era troppo tardi e non poteva più accampare una scusa per dare buca agli amici.

Era nero con una gonna rivestita di pizzo leggero che arrivava fino a mezza coscia e le conferiva un'aria un po' sbarazzina. Molto diversa da quella più sexy o alla moda delle altre ragazze con i loro vestitini attillati che catturavano le luci cangianti del locale mettendo in risalto tutta la pelle lasciata scoperta su cui i ragazzi continuavano a posare lo sguardo.

L'unica eccezione la faceva la sua amica, Yaoyorozu Momo, che appariva in quel marasma come una regina, con il suo top bianco e la lunga gonna in velo nero. I lunghi capelli ricadevano lungo la schiena come una morbida massa lucida di piume di corvo, catturando la luce e accendendosi di riflessi dai mille colori.

Nello sporgersi sul bancone del bar e cercare di attirare l'attenzione del barman agitando il braccio nudo, Ochaco era sicura che se ci fosse stata lei al suo posto nessun barman si sarebbe sognato di farla attendere una vita per quattro drink che contenevano più ghiaccio che alcool mentre ragazzi mezzi ubriachi venivano serviti prima nonostante fossero arrivati dopo.

Nel vedere i suoi tentativi cadere in un nulla di fatto per la terza volta, Ochaco sbuffò seccata. ≪ Ehi, devo ordinare! Ce la fai o no? ≫ gridò sopra il trambusto della musica e del vociare dei clienti. Il barista, un ragazzo smilzo che doveva avere una ventina d'anni, le lanciò appena un'occhiata indolente e roteò gli occhi, voltandosi a servire una bella ragazza dai capelli biondi striati di nero e un top talmente stretto e corto da lasciar ben poco all'immaginazione.

Ochaco si trovò a battere il piede a terra, indispettita, solo per ricordarsi troppo tardi dei tacchi che indossava e che gli facevano dolere i piedi.

≪ Stronzo. ≫ sibilò, storcendo la bocca in una smorfia e strappando una risata alle sue spalle. Si voltò di scatto nel sentire una mano poggiarsi sulla sua spalle, già pronta a litigare e con il cuore che aveva perso un battito per la sorpresa, solo per incontrare due occhi rossi caldi e dolcissimi che la fecero subito sentire bene. ≪ Dai non prendertela. ≫ gli disse Kirishima Eijirou con un sorriso dentellato che faceva divampare il rosso nei suoi occhi come qualcosa di caldo e liquido. ≪ Io e Denki siamo convinti che gli scelgano a posta i barman. Fa parte del pacchetto saper lasciare ad attendere per una vita i clienti, altrimenti non si spiega come mai è una tale crociata riuscire a prendere un drink. ≫

Una risatina spontanea sfuggì dalle labbra della ragazza e indugiò al di sotto della cacofonia di suoni mentre Eijirou si faceva avanti per prendere il suo posto e le dava un buffetto sulla guancia paffuta. Alle sue spalle, Ochaco si trovò completamente ingoiata dalla sua ombra dato che era più alto e muscoloso di quanto fosse lei, completamente protetta da ogni gomitata e spinta degli altri clienti che nel tentativo di farsi servire sembravano voler travolgere il balcone fino a scavalcarlo.

In quella bolla di sicurezza, i suoi occhi castani tornarono a fissarsi sulla figura alta ed elegante della sua amica che l'aspettava accanto a un Iida dall'aria impacciata nella camicia candita e quella più armoniosa di Todoroki Shouto.

Formavano uno strano trio nei margini della pista. Tutti vestiti con una sottile eleganza da alta società e un drink alla mano, dietro cui nascondere un sorriso composto. Ogni volta che si guardava attorno, un'espressione di disappunto segnava il viso di Iida, così alto da sormontare di un'intera testa la folla di corpi intenti a ballare al ritmo della musica. Al suo opposto, Shouto sfoggiava una discreta curiosità per tutto quello che lo circondava.

Suo padre non era mai stato troppo propenso a lasciarlo fare amicizia con i suoi coetanei e quelle erano le sue prime uscite, Ochaco trovava affascinante lo stupore quasi infantile che gli si dipingeva in volto a ogni nuova esperienza e che illuminava il suo viso come se qualcuno avesse acceso una lampadina dall'interno.

Infine, c'era Yaoyorozu con il suo bel vestito e la pelle d'alabastro su cui l'ombretto color fumo risaltava, delineandole il contorno degli occhi a mandorla e facendo apparire il nero delle iridi come gemme luccicanti da cui nessuna persona sana di mente avrebbe voluto distogliere lo sguardo.

Era bella, Yaoyorozu. Anzi, era proprio bellissima e nessun barista si sarebbe sognato di lasciarla sbracciarsi per ordinare. Così come i ragazzi si voltavano a guardarla, lei non riusciva a distogliere la sua attenzione dal ragazzo al suo fianco. Era la sua metà perfetta, Shouto, con la camicia nera e i jeans scuri a cui aveva agganciato pigramente il pollice, gli occhi spagliati sotto la frangia dei capelli lisci scivolavano sui compagni con la calma che lo distingueva solo all'apparenza.

Ochaco prese il drink che Eijirou gli porgeva e lo bevette senza distogliere lo sguardo, improvvisamente incapace di negare a sé stessa che il problema non era il bizzarro caschetto dei suoi capelli castani, il trucco applicato con mano inesperta che non la faceva brillare o il vestito acquistato a una svendita in un negozietto da quattro soldi, ma fosse lei stessa ad essere inadeguata.

Yaoyorozu non aveva certo bisogno di mettersi in mostra per attirare l'attenzione. Non le servivano vestiti sexy che mettessero in luce l'abbondanza di forme femminili sul suo corpo o un atteggiamento più spigliato e rumoroso che costringesse le persone ad ascoltarla, lei aveva un fascino più discreto che sfoderava in modo naturale ed elegante.

A meno che non si tratti di fare gli occhi dolci a qualcuno, pensò con una punta di veleno e gli occhi castani si socchiusero nell'abbassare il bicchiere già vuoto e ripoggiarlo sul bancone, sotto lo sguardo esterrefatto di Kirishima. Il sapore della menta e del rum bianco le risultò più amaro del solito nel vedere la sua bellissima amica ridere con grazia e poggiare una mano sul braccio scoperto del ragazzo, un tocco gentile e delicato che pareva una carezza e fece abbassare lo sguardo di Shouto e inarcare un sopracciglio rosato.

≪ Ehm, va tutto bene 'Chako? ≫ le domandò incerto, Eijirou, e una fossetta gli segnò lo spazio fra le sopracciglia quando lei annuì con un po' troppa forza. ≪ Tutto benissimo, morivo di sete. ≫ mentì con un sorriso che non sembrò convincere l'amico. ≪ E ora, mi ordinerò un altro Mojito, ma tu vai avanti dagli altri. Mi sa che stanotte Denki è fortunato, credo si sia appartato da qualche parte dato che non lo vedo. ≫

≪ Ne dubito. ≫ replicò il ragazzo dai capelli rossi quanto i suoi occhi. ≪ Più probabile che sia in bagno a vomitare l'anima. ≫ borbottò, sistemando con più attenzione i drink nelle ampie mani e strappandole un sorriso sincero. ≪ Era già bello che è andato quando l'ho lasciato. ≫

Denki Kaminari era il ragazzo più spigliato e buffo che Ochaco avesse mai avuto modo di conoscere. Negli anni di superiori in cui erano stati compagni aveva avuto modo di scoprire quanto fosse anche imbarazzante nel rimorchiare le ragazze e quanto poco reggesse l'alcool. Ridacchiò al pensiero che fosse crollato addormentato da qualche parte fra i divanetti e una parete e diede una pacca incoraggiante a Kirishima che sarebbe andato sicuramente a cercarlo, dato che era un bravo amico e un ancora più, un bravo ragazzo.

≪ Ti raggiungo tra poco e ci scateniamo sulla pista, okay? ≫ disse, superandolo con un sorriso sbarazzino e cercando d'ignorare la fossetta che era comparsa a segnargli lo spazio fra le sopracciglia. Sulla pista, si appuntò Ochaco, non era il termine giusto e la faceva sembrare del tutto inadeguata.

Kirishima però non la rimproverò, si limitò a un sorriso gentile e si diresse verso gli amici che aveva lasciato sparsi per tutto il locale, lasciandola a guardarlo.

Il sorriso sulle sue labbra si spense lentamente e gli occhi castani tornarono a soffermarsi sul trio che ridacchiava per qualcosa detto. La mano di Yaoyorozu era tornata a stringere il drink così che Shouto poteva osservare le persone intente a dimenarsi sulle sopraelevate e Iida prestare attenzione a quello che la ragazza stava dicendo.

Avrebbe potuto raggiungergli e unirsi a loro o andare dietro a Kirishima e aiutarlo con un Denki che non si reggeva più in piedi, invece, passò la serata accanto a quel bancone a sorseggiare un mojito dopo l'altro, con gli occhi castani che seguivano, perdevano e ritrovavano i suoi amici. A un certo punto, era riuscita perfino ad appropriarsi di uno sgabello e appollaiarsi là sopra sotto lo sguardo scontento del barman che l'occhieggiava di traverso ad ogni nuova ordinazione. ≪ Non starai bevendo un po' troppo, ragazzina? ≫ borbottò, facendole scivolare davanti agli occhi annebbiati un altro bicchiere di plastica colmo fino all'orlo di ghiaccio e foglie di menta. ≪ Non sono nemmeno così tanto certo che il tuo documento non sia falso. ≫

Ochaco prese il bicchiere e chiuse le labbra sulla cannuccia, succhiando il drink con gli occhi castani annebbiati e la testa che girava appena. Non era nemmeno tanto sicura che ci stesse mettendo la quota giusta di rum, nonostante le girasse un po' la testa e avesse un certo sensore di nausea a chiuderle lo stomaco, col cavolo che gli avrebbe rimostrato il documento.

Il ragazzo la stava guardando con l'aria imbronciata e qualcosa di sospettoso nello sguardo, ma non poteva certo dirgli la verità. ≪ È vero quanto il castano dei miei capelli. ≫ rispose, facendogli un gran sorriso con aria del tutto innocente da dietro la cannuccia del drink.

Il ragazzo corrugò la fronte, guardando poco convinto al caschetto di Ochaco che evitò di fargli sapere come si schiarisse di alcuni toni i capelli perché odiava come gli stava il castano scuro con cui era nata. Non era certo colpa sua se in Giappone l'età legale per bere fosse assurdamente fissata ai ventidue anni, ma venisse permesso agli studenti di lavorare sul campo sin dal primo anno di liceo.

Aveva visto più disastri urbani, crolli e spargimenti di sangue di quanto ne vedessero normalmente le ragazze della sua età, eppure il governo non la reputava in grado di reggere un po' di alcool. Ridicolo. Si era guadagnata ogni singolo yen che poteva spendere per quei drink e che stava sottraendo a spese più ordinarie.

Nell'abbassare lo sguardo sul bicchiere provò una gran amarezza nel realizzare che avrebbe dovuto massacrarsi di straordinari anche quel mese per poter coprire le spese ordinarie e aiutare i suoi genitori con le bollette del piccolo appartamento in cui vivevano. I soldi guadagnati durante l'estate erano già stati spesi per la scuola e quel poco che restava per i regali di compleanno organizzati con la classe, le feste e le uscite. Perfino quel vestitino era frutto delle dure ore passate a lavorare e se l'era concesso solo perché non ne aveva che un altro – ancora più inadeguato – da usare per quelle occasioni.

Un sospiro teso le sfuggì dalle labbra carnose nel liberare la cannuccia e fissare il ghiaccio nel suo bicchiere nuotare nel liquido chiaro. L'estate pareva così lontana con le sue giornate troppo calde e le sere fresche, con i colori sgargianti dei vestiti leggeri e l'odore di limone nell'aria.

Le feste di quartiere nel quale risuonavano le antiche melodie tradizionali e le risate dei bambini, l'espressione di candida sorpresa e meraviglia sul viso elegante di lui e il tepore delle sue mani che le scostavano dal viso una ciocca di capelli.

Il modo in cui l'aiutava a indossare lo yukata nella piccola stanza d'affitto resa soffocante dalla calura estiva, sporgendosi a posarle un bacio leggero sulla pelle tesa del collo e strappandole dalla bocca un risolino sciocco che sapeva di calda felicità. Le sue dita cosparse di calli che gli stringevano il braccio con fare protettivo davanti alla comparsa di un criminale durante le interminabili ore di ronda insieme.

Le mancavano le serate passate a ballare sotto un cielo fatto di stelle, con la sabbia fra le dita dei piedi e la risata di Toru nelle orecchie. Izuku che sgranocchiava noccioline per aiutarsi a reggere una birra chiara e che finiva per crollare lo stesso, lamentandosi come un bambino e giurando di non rifarlo più, solo per ricaderci la sera successiva contrariando del tutto Iida e facendo sorridere Shouto.

E poi, i turni interminabili durante il giorno e quelli più strani durante la notte che intervallava con qualche ora di sonno e tante uscite con gli amici a bere e scherzare. A ricordarsi che nonostante la fatica e le difficoltà, tutti i problemi della vita adulta che avevano fatto irruzione nella sua di vita troppo presto, avevano ancora diciott'anni e il mondo era loro.

Novembre era appena agli inizi, eppure l'aria aveva già il profumo della neve alle porte e quell'atmosfera che preannunciava i mesi invernali mentre lei avrebbe voluto tornare al caldo dell'estate, al sole che le scottava la schiena attraverso i vestiti e al sorriso candido sulle labbra di lui che sapeva di gelato alla fragola e stracciatella. Ritrovare le ronde per le vie della città passate a condividere crepes dolci ripiene di gelato che si scioglievano nelle mani e bibite ghiacciate.

Invece, non era stata nemmeno capace di fare per sé stessa quello che aveva fatto per Izuku, pur senza la sua approvazione.

≪ Ochaco, ma dove eri finita? ≫ la voce di Momo, dolce e musicale come una sinfonia angelica, la fece voltare. La testa le girò per un momento, costringendola ad afferrare il bordo dello sgabello per restare in equilibrio e non cadere. Nell'incrociarne gli occhi neri e scintillanti, Ochaco pensò che doveva aver davvero l'aspetto di un'ubriaca se la sua amica la guardava così scandalizzata, la mano graziosa che si poggiava contro la bocca a bocciolo e qualcosa di riprovevole nello sguardo.

≪ Qui. Sono sempre rimasta qui. ≫ rispose allegramente Ochaco, sfoderando un sorriso largo e lanciando un'occhiata al barista che le osservava discretamente. ≪ Con il mio nuovo amico e un bicchiere pieno in mano. ≫. Sollevò il bicchiere giunto quasi alla fine e il ghiaccio al suo interno schioccò mentre alle sue spalle, il barista ruotava gli occhi infastidito e si dedicava a servire qualche altro cliente.

Momo non commentò lo squallore della scena, da brava ragazza di buona famiglia qual era, e si limitò a stringere le labbra in una linea sottile che fece ridacchiare Ochaco come una bambina.

≪ Ti si è sbavato il trucco. ≫ commentò Momo, prendendo a frugare nella pochette ed estraendo un pacco di salviette umidificate. ≪ Vieni che ti aiuto a sistemarti prima di tornare dagli altri. E ci porti un caffè, per cortesia. ≫ disse e sollevando un unico dito guadagnò l'attenzione del barista che ignorò la folla strillante degli altri clienti per servirla.

Ochaco la guardò con una morsa di acida amarezza a serrarle lo stomaco, senza sapere se si trattava dell'alcool ingerito o della consapevolezza che lei non sarebbe mai riuscita ad ottenere un risultato simile con la stessa eleganza. La bocca le si storse in una smorfia e il nasino si arricciò. ≪ Lascia perdere, guarda. Penso che me ne tornerò a casa. Queste scarpe mi stanno uccidendo e comunque sembro una scappata di casa che ha rubato la prima cosa trovata ≫

Era un giudizio piuttosto duro da rivolgere a sé stessa, lo capì dal modo in cui l'altra ragazza la guardò. La sua bocca a bocciolo si schiuse e gli occhi neri si sgannarono nel fissarla. ≪ Ma che dici, Ochaco. ≫ protestò con voce musicale, allungando la mano per sistemarle alcune ciocche di capelli. ≪ Tu sei bellissima. Hai solo l'aria un po' stravolta e te ne stai qui tutta immusonita. Se c'è qualcosa che ti preoccupa... ≫

Ochaco non rispose, distogliendo lo sguardo da quelle iridi nere che la guardavano con affetto sincero. Sembrava una regina, Yaoyorozu. Perfino con il mascara e l'ombretto che avevano perso lucentezza con il passare delle ore, ancora con i lunghi capelli in ordine e la pelle fresca come il bocciolo di una rosa.

Lei invece si sentiva accaldata, appiccicosa per gli umori della stanza e il sudore adrenalinico di chi si stava lasciando andare, con l'odore dell'alcool nei capelli e il suo sapore nella bocca. La premura con cui si sporse a sistemarle l'eyeliner sbavato la fece sentire a disaggio, fuori luogo e inadeguata, più del vestito che indossava.

≪ Non pensi che questo vestito non vada bene per questo locale? ≫ le domandò con incertezza pur sapendo che la sua amica non avrebbe mai detto qualcosa di scortese, per quanto vero fosse. ≪ Che mi faccia sembrare... strana? ≫

Momo si raddrizzò, sbattendo le lunghe ciglia e soppesandola con calma, un'espressione pensierosa sul bel viso. Ochaco l'osservò in attesa, mordicchiandosi il labbro inferiore con il cuore che batteva rapido in petto e la musica pulsante a rimbombarle nelle orecchie. Non si sorprese quando lei scosse la testa e le sorrise. ≪ Era questo che ti preoccupava? Oh 'Chako, ma stai tranquilla. Ti fai troppe paranoie. ≫ la rimproverò bonariamente, sorridendole.

Avrebbe voluto ricambiare quel sorriso, ma era fin troppo consapevole di come avesse evitato di darle una risposta diretta e chiara. Forse, perché non le sarebbe piaciuto il suo responso o perché sarebbe suonato troppo scortese per una ragazza educata come Yaoyorozu.

Qualunque fosse la ragione, Ochaco non ebbe nemmeno il tempo di pensare a una risposta perché l'altra ragazza la guardò con occhi scintillanti e un sorriso speranzoso sulle labbra rosate. ≪ Sai, penso che stanotte sia la notte in cui Shouto si farà avanti. Me lo sento. Siamo in sintonia come mai prima. ≫

C'era calore nella sua voce ridotta a un sussurro speranzoso, nel modo in cui le stava pulendo il viso dalle sbavature e pettinando i capelli con le dita umide, in quegli occhi neri che la guardarono da sotto le lunghe ciglia scure. Era così bella quando sorrideva, elegante e femminile in un modo del tutto adatto ai lunghi silenzi composti di Shouto Todoroki. Eppure, lui non era solo questo. Non era solo quello che la gente si aspettava da lui, dal suo nome e dal suo sangue, ciò che mostrava al mondo intero e che erano briciole in confronto a ciò che celava.

Nel guardare la sua amica, Ochaco provò l'impulso così forte di mettersi a urlare da sentire la bocca tremare. Strinse la presa sulla sua seggiola e soffocò quel bisogno con un sorriso. ≪ Sarebbe bello, Momo. ≫ le disse, scandendo le parole per sbiascicare di meno.

Lei annuì, stringendo la salvietta fra le mani affilate e stropicciandola in modo distratto. ≪ Si, speravo che accadesse prima. Ad Halloween ero praticamente certa che i nostri nomi sarebbero stati estratti insieme, ma non è accaduto. ≫ ammise, procurandole un dolore sordo da qualche parte nel petto che si acuì quando lei sollevò lo sguardo in cerca di una rassicurazione o una conferma. ≪ Ma ora è diverso, sono sicura che andrà bene. Vero? ≫

Poche volte, Ochaco si era sentita così tanto inadeguata e incapace di aiutare qualcun altro come in quel momento. Quando Izuku le aveva confessato la sua cotta per Bakugou Katsuki, non gli era stato chiaro il come fosse potuto accadere che un ragazzo tanto dolce e gentile potesse innamorarsi di uno stronzo che a volte non pareva nemmeno umano, ma gli erano subito balenati in mente diverse strategie per aiutarlo a conquistarlo.

Macerie da spostare, civili intrappolati in luoghi stretti e inaccessibili, missioni di shopping dell'ultimo momento o piani di conquista alla stregua dell'impossibile. Non c'era nulla che avrebbe potuto fermarla, perché nulla aveva più importanza per Ochaco che vedere i suoi amici felici e soddisfatti. Ma dire a Momo quello che voleva sentirsi dire o peggio, aiutarla ad ottenerlo, era un'altra cosa e le riempiva la testa di un silenzio ovattato terribilmente fastidioso.

≪ Momo... ≫ iniziò a dire, schiudendo le labbra secche alla disperata ricerca delle parole giuste da pronunciare. Voleva davvero che quegli occhi scuri continuassero a splendere di speranze e vederla sorridere, perché le voleva davvero bene, ma cosa poteva dirle in quel momento che fosse sincero e non la ferisse?

Nel cercare una risposta i suoi occhi castani colsero un movimento fra la folla che le risultò famigliare. Il suo sguardo si spostò alle spalle della ragazza e riconobbe i ragazzi avvicinarsi a loro.

≪ 'Chako, dove eri finita? ≫ urlò Denki Kaminari, andandole incontro man fermo sulle gambe. I biondi capelli si erano appiccicati al viso sudato su cui svettava un sorriso sciocco che lasciava capire quanto fosse ubriaco. Tanto che Iida dovette afferrarlo per le braccia e rimetterlo dritto. Per tutta risposta, lui rise e la sua allegria avrebbe fatto ridacchiare anche Ochaco se non avesse visto Kirishima e Shouto proseguire verso di loro, lasciando gli altri due indietro.

Il suo cuore perse un battito, la voce di Momo risuonò nella cacofonia di suoni e il sorriso di Eijirou si stese sul suo viso, ma tutto quello a cui Ochaco riuscì a pensare fu che avrebbe fatto meglio ad andarsene prima o a non venire affatto.

Non quella sera, almeno.

≪ Ehi, che fate qui in disparte? ≫ le domandò Kirishima incuriosito, strappandole una smorfia. ≪ Mah, nulla di che. ≫ rispose, accennando un sorriso di scuse. Lanciò un'occhiata alla ragazza al suo fianco che si era rianimata alla vista dei ragazzi e di uno in particolare, e aggiunse. ≪ Stavo giusto dicendo a Momo che io torno a casa. ≫

Un'espressione sorpresa e delusa comparve sul viso di Kirishima, gli occhi rossi si socchiusero nel guardarla. Accanto a lui, Shouto inarcò un sopracciglio rosato, gli occhi spagliati sotto la frangia delicata dei capelli pieni delle ombre generate dalle luci cangianti cercarono d'incrociare i suoi senza che lei glielo permettesse.

I muscoli sotto la camicia nera si tesero appena, ma i tratti raffinati del viso di lui si tesero senza tradire nemmeno uno dei suoi pensieri agli occhi degli altri. Ochaco cercò di concentrare il suo sguardo sul rosso delle iridi di Kirishima e non pensare al formicolio che aveva preso a risalirle lungo le gambe ora che quegli occhi particolari erano su di lei, di ignorare Momo che si fece avanti, i lunghi capelli neri che ondeggiavano sulla schiena semi scoperta e un lieve broncio a incresparle le labbra rosee. ≪ Pensa di non stare bene con quel vestito. Per favore, diteglielo anche voi che non è così. ≫

Una strana espressione comparve sul viso di Kirishima. L'improvvisa attenzione di cui venne investita le fece scottare le guance per l'imbarazzo mentre Momo si voltava verso il ragazzo al suo fianco e gli sfiorava il braccio con le dita lunghe e affusolate. ≪ Dirglielo anche tu, Shouto, che sta benissimo con quel vestito. ≫

Il suo cuore perse un unico doloroso battito, a quella richiesta crudele. Eppure, non resistete alla tentazione di sollevare lo sguardo e incrociare quelle iridi color fumo e cielo d'estate. Il sapore di limone e rum sulle labbra le parve farsi più pronunciato, così come il ricordo del sole caldo sulla pelle e il frusciare pigro delle lenzuola nell'aria che profumava di limonata fresca e della pelle di lui.

"Dobbiamo alzarci. Faremo tardi" la voce impastata di stanchezza e il sole che gli accendeva l'iride azzurra di riflessi argentei, mettendo in rilievo la cicatrice rosata sul candore della pelle, il sorriso pigro con cui la guardava nello stropicciarsi l'occhio. Il cuore che le batteva rapido in petto tanto come stava facendo in quel momento, fissando il riflesso di ricordi che sapevano d'estate negli occhi di lui, chiedendosi se lui stava guardando la stessa cosa nei suoi.

Era appena un momento, ma a Ochaco parve durare ore quel lungo istante di silenzio in cui la guardò senza che nessun altro sapesse, senza che lei dovesse fingere di non sapere e di non ricordare. Qualcosa si contrasse nel suo ventre sotto quello sguardo così particolare che cercava di tenere stretti pure i pensieri più superficiali.

≪ Stai benissimo, Uraraka, con quel vestito. ≫ le disse, scandendo le parole con cautela e causandole un crampo doloroso al ventre. Gli occhi spagliati rimasero fissi nei suoi, il mondo parve svanire, la musica divenne una pulsazione sorda che scandiva i battiti del suo cuore e Ochaco si trovò a chiedersi cosa sarebbe successo se la notte di Halloween avesse truccato la propria estrazione come aveva fatto con quella di Izuku.

≪ Vedi? Lo pensa anche Shouto, perciò ti prego 'Chako smetti di startene qui tutta sola e vieni a ballare con noi. ≫ La voce di Yaoyorozu s'intromise nel suo mondo, mandandolo in frantumi con un sorriso affettuoso che riuscì a farla sentire la persona peggiore del mondo.

Shouto distolse lo sguardo, affondando entrambe le mani nelle tasche dei jeans e Ochaco avvertì il crampo nel suo ventre farsi doloroso in modo del tutto diverso nel vedere la mano di Yaoyorozu stendersi a prendere la sua con un sorriso genuino sulle labbra.

Per un attimo, le venne voglia di mettersi a gridare. Ne sentì l'impulso fin dentro il petto e nella testa. Dovette chiudere gli occhi per riuscire a soffocarne l'eco e quando gli riaprì, il mondo ondeggiava in un mare di colori e la sua mano stringeva un drink mezzo finito. Sollevò l'altro braccio in alto, sorridendo fino a farsi male alle guance e con una risatina allegra sulle labbra tese in un sorriso che dissimulava alla perfezione l'amarezza che provava, scese dallo sgabello e circondò le spalle dell'amica. ≪ Okay, gente. Mi avete convinta. Andiamo a divertirci! ≫

Kirishima le rivolse un sorriso sollevato, Momo fece una piccola smorfia nel lasciarsi trascinare dalla sua allegria spumeggiante. L'unico che parve non crederle e restò a guardarla con sguardo impenetrabile, fu Shouto, ma a lui Ochaco non si permise di lanciare più nemmeno uno sguardo che potesse rivelare il suo gioco di finzioni.

 

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Capitolo 7
*** 7 ***


È che da tempo non so dove andare

Provo ad urlare ma non ho più voce

Tu dici: "Dai si può ricominciare"

Ma io non ho da offrirti più parole

Sì, è vero tu mi incanti anche se non mi parli

Ma il sole è spento e non lo vedo più da queste parti

( Niente, Ultimo )

 

Il locale in cui Kirishima si era andato a cacciare non era stato facile da raggiungere, fuori portata com'era. Sorgeva in periferia, circondato da vecchi palazzoni fatiscenti che sembravano vuoti da anni, in un grosso edificio dalle alte finestre illuminate a giorno da potenti fari e un parcheggio all'aperto su cui nutriva ben poca fiducia.

Erano quasi le quattro di mattina, ma il numero di persone che fremevano perché i buttafuori gli lasciassero entrare era tale che non faticò a riconoscere che quello fosse il posto alla moda di cui Kaminari gli aveva parlato per settimane e nel quale quei due idioti dei suoi amici avevano deciso di andare a rintanarsi l'unica sera in cui Katsuki non riusciva a trovare pace nella propria stanza.

Era stato difficile riprendere sonno dopo che Deku se n'era andato, portandosi via la rabbia e l'amarezza che gli arricciavano la bocca nervosa e l'immagine di quegli occhi verdi brucianti bagnati di lacrime. Gli aveva lasciato però l'eco delle sue parole e l'inclinazione sofferta della sua voce, la consapevolezza di aver appena mandato in frantumi e avvelenato qualunque ricordo avesse avuto di quella notte spettrale e dell'interno della chiesa, di ciò che avevano lasciato davanti all'altare.

Meglio così, si ripeté per la millesima volta e prima o poi, era sicuro che gli sarebbe suonato meno stonato di quanto non lo fosse mentre sfilava dalla tasca del giubbotto in pelle il cellulare e sbuffava seccato nel lanciare un'occhiata allo schermo illuminato nella sua mano.

Sperava che l'amico avesse la decenza di raggiungerlo fuori per poter parlare in santa pace, ma Kirishima aveva visualizzato il suo ultimo messaggio senza rispondergli e Katsuki sospettava che non avesse voglia di sprecare il biglietto d'ingresso per venirsi a gelare il culo all'aperto più di quanto lui avesse voglia di entrare là dentro.

Il rimbombo della musica si poteva sentire fin dal cancello che stava varcando, un'odiosa EDM che faceva fremere la gelida aria invernale e distorceva qualsiasi pezzo originale ci fosse al di sotto fino a renderlo irriconoscibile. Qualcuna delle ragazze in attesa gli lanciò un'occhiata incuriosita dalla folla, spogliandolo con gli occhi ammantati di ombre e luci artificiali, per poi scambiare qualche commento con le amiche.

Katsuki non ci badò molto. Era dalle medie che aveva a che fare con sguardi invitanti che incontravano solo il muro della sua indifferenza e qualche tentativo di approccio flirtante di cui cercava di liberarsi con commenti sferzanti e derisori, mandando in pezzi le speranze di quelle sciocche oche che non si erano lasciate scoraggiare dalle sue occhiatacce.

Purtroppo, non sempre funzionava e una ragazza gli si avvicinò per sfiorargli il braccio con le dita piene di anelli scintillanti e un sorriso accattivante a curvare la bocca dipinta di rosso. ≪ Sei in compagnia? ≫ gli chiese, e un verso sorpreso gli sfuggì dalle labbra nel vederlo ritrarsi di scatto e scoccarle un'occhiata carica di disprezzo.

≪ Ma chi cazzo ti conosce? ≫ sbottò bruscamente, attirando su di loro qualche sguardo curioso che la fece arrossire. La squadrò dalla testa di capelli castani che cadevano sul corpo sottile alla punta delle scarpe con tacchi che non la rendevano abbastanza alta da poterlo guardare negli occhi senza reclinare il capo. Una smorfia gli contorse la bocca mentre lei impallidiva, le labbra schiuse per lo stupore e una scintilla di rabbia a prendere forma nel fondo del suo sguardo al suono aspro della voce di lui. ≪ Vedi di eclissarti. ≫

Gli occhi rossi tornarono a fissare la folla e i buttafuori che controllavano l'ingresso, come se nessuno l'avesse mai interrotto per rivolgergli la parola. Constatò con crescente irritazione che i ragazzi stavano venendo trattenuti all'esterno per permettere al locale di riempirsi di ragazze, sollevando acute proteste da ogni parte che il personale stava beatamente ignorando.

≪ Ma che razza di stronzo. ≫ sibilò indignata, la ragazza che aveva appena liquidato, allontanandosi sui tacchi alti per tornare dalle sue amiche che avevano assistito alla scena. Katsuki le lanciò appena un'occhiata, la bocca arricciata in una smorfia mentre l'ascoltava borbottare fra sé. ≪ Non sei mica tutto questo granché. ≫.

Un sopracciglio biondo si sollevò, quasi divertito dalla velocità con cui aveva cambiato idea su di lui. Era bastato davvero poco, pensò con l'ombra di un ghigno a curvargli le labbra, per uccidere con un assaggio del suo caratteraccio qualsiasi desiderio di conoscerlo che il suo aspetto le avesse ispirato.

Se Kaminari l'avesse visto, avrebbe scosso la testa indignato per poi lamentarsi di come Katsuki avesse tutte le fortune e non le apprezzasse abbastanza. Kirishima l'avrebbe ammonito per il modo in cui l'aveva fatto, ma avrebbe scrollato le spalle come se infondo, non ci si potesse fare nulla.

Il sorriso sulle sue labbra si inclinò nel venir assalito a tradimento dal pensiero che se al suo posto ci fosse stato Deku, non sarebbe stato così sbrigativo e scortese nel liquidarla.

No, lui sarebbe arrossito fino alla punta delle orecchie come il Nerd sfigato che era sempre stato, imbarazzato per essere stato notato da una ragazza carina e lusingato per il suo interesse. L'avrebbe rifiutata, forse, ma l'avrebbe fatto in un modo tanto gentile e goffo – premurandosi di ringraziarla prima di tutto – che lei non se la sarebbe nemmeno presa e si sarebbero salutati con tranquillità.

Qualcosa gli si contrasse dentro, spazzando via ogni forma di divertimento o buon umore e facendogli serrare le labbra in un broncio irritato. Ancora adesso, dopo anni di tirocinio per l'agenzia di Endevour, Deku aveva l'abitudine di arrossire quando qualche ragazza correva a ringraziarlo per il suo aiuto, come se non fosse mai del tutto cresciuto dal ragazzino timido che era stato e ogni ombra di complimento potesse gettarlo nell'imbarazzo più totale.

Abbassava lo sguardo sulla punta delle inseparabili scarpe rosse come se avesse ancora otto anni, le iridi verdi ombreggiate dalle lunghe ciglia e dalla punta ondulata dei capelli. Si grattava il retro della nuca con fare nervoso, balbettando qualche frase di circostanza su come avesse fatto solo il proprio dovere in quanto eroe, ciò che reputava giusto come persona e che chiunque altro avrebbe dovuto fare al suo posto. Come se avesse sempre chiaro davanti agli occhi il confine fra ciò che era giusto e ciò che non lo era.

Il rossore che gli colorava le guance in quelle occasioni non aveva nulla a che spartire con quello di quella notte, davanti all'altare, con le luci mutevoli delle candele a dipingergli di un tono dorato la pelle chiara e l'ombra del cappuccio a scurire gli occhi verdi scintillanti, sollevati a guardarlo.

Un brivido gli corse lungo la schiena e Katsuki cercò di sopprimerlo insieme al ricordo dell'alone dorato delle candele e dell'odore di cera sciolta e fiori morti che infestava l'aria gelida della navata. Di quegli occhi verdi disarmanti, intenti a guardarlo da sotto le lunghe ciglia, mentre sussurrava fra le ombre "ci sei tu qui con me", come se con quelle parole potesse cancellare in un unico colpo anni di prese in giro, incomprensioni e rivalità, e rendere la sua presenza in quella chiesa più legittima di quanto non fosse.

All'interno del locale, Kirishima era una sagoma indistinta fra le tante, impossibile da riconoscere e notare nel mezzo di una folla compatta, intenta a muoversi al ritmo della musica fra le luci cangianti. Nel farsi largo a forza di gomitate e imprecazioni, Katsuki scosse la testa cercando di scacciare via ogni pensiero che lo riconducesse a Deku.

I fili che tessevano la trama di quegli occhi pieni di lacrime che lo fissavano dalle ombre della sua stanza con il cuore spezzato dalle sue parole, il tremito della bocca nervosa che si era schiusa a liberare un singhiozzo rotto e perfino la vibrazione della sua voce. Recise ognuno di quei fili costringendo sé stesso a lasciarselo alle spalle, a sfuggire dal suo spettro che lo perseguitava e che non l'aveva lasciato trovare pace nella propria stanza nonostante tutti gli sforzi fatti.

Era uscito proprio per poter sfuggire ai pensieri su di lui che gli impedivano di dormire, sarebbe stato il colmo dover continuare a venirne perseguitato anche ora che era a un passo dai suoi amici.

Si guardò attorno alla ricerca di una famigliare capigliatura rossiccia e di un sorriso allegro e premuroso, ma in mezzo a quella folla brulicante che gli tagliava la strada e ostruiva la visuale, sembrava un'impresa impossibile.

Nel mezzo della confusione gli parve di riconoscere qualcuno e dovette strizzare gli occhi per essere sicuro di non vederci male. Si, quello pareva proprio il Bastardo a Metà intento a parlare con la rappresentante della classe mentre i suoi occhi spagliati fissavano qualcosa di distante, perso nel mezzo della folla.

Per un terribile istante, pensò che potesse esserci anche Deku e tutto il suo corpo si tese e irrigidì. Ma era impossibile, vero? Il coprifuoco era scattato da un pezzo e non erano in molti ad essere disposti a violarlo e rischiare di venire scoperti. Il Nerd era l'ultima persona al mondo che ci avrebbe provato.

Si mosse all'interno della folla con il cuore che batteva rapido in petto e lo sguardo che vagava per la stanza, quasi aspettandosi di incontrarlo dentro ogni ombra o nella figura indistinta di uno sconosciuto. Da qualche parte di quel locale, intendo a gravitare intorno al Bastardo a Metà come al suo solito.

Non gli erano mai piaciute le discoteche e Kirishima lo sapeva bene, ma non si era fatto certo degli scrupoli a farlo venire fin lì dopo averlo lasciato al gelo, intento a bussare al vetro della sua finestra senza ottenere risposta. Ma se lui fosse stato lì, gliel'avrebbe detto, vero?

Vero?!

Gli ci volle più di una decina di minuti di giri a vuoto, prima di riuscire a scorgere il rosso vivace dei suoi capelli e riconoscere la sua figura muscolosa su un divanetto ad angolo, in una zona in ombra del locale, intento a sorseggiare qualcosa da uno di quei calici con le luci sul fondo. A quel punto aveva superato già da un pezzo il limite della sua tolleranza e voleva far esplodere ogni singola persona in quel locale fino ad aprirsi una comoda strada che lo portasse a destinazione.

A stento si trattenne, frenato dal pensiero che Endevour avesse minacciato di revocargli il contratto se avesse fatto qualcosa che mettesse in cattiva luce la sua prestigiosa agenzia. Quell'uomo era una rottura di coglioni sotto diversi aspetti, ma restava comunque uno degli eroi più importanti del Paese, con il cazzo che si poteva permettere di giocarsi il posto di tirocinante alle sue dipendenze. Specie quando era a un passo dal diploma.

Nell'avanzare scorse una sagoma in ombra giacere rannicchiata sulla gamba dell'altro ragazzo, un giubbino steso sopra a mo' di coperta e il viso affondato contro il corpo dell'altro. Nella luce cangiante e nelle ombre fitte che correvano in tutta la stanza, gli parve fosse una ragazza in una situazione ben poco appropriata a un luogo pubblico. Dovette arrivargli di fronte per poter riconoscere il biondo grano dei capelli di Kaminari e la sottile linea scura che gli percorreva a mo' di firma.

Dormiva profondamente sulla gamba di Kirishima, con la bocca socchiusa da cui pendeva un filo di bava e i tratti disfatti. Non ci voleva certo un genio a capire che aveva bevuto fino a svenire.

≪ Ehi, ce l'hai fatta finalmente. ≫ lo salutò Kirishima con un ampio sorriso, sollevando il bicchiere ormai vuoto nella sua direzione e rivelando come anche lui non fosse rimasto incolume dagli effetti deleteri dell'alcool. Katsuki storse la bocca irritato nel prendere posto su una poltroncina e guardò male il ragazzo che dormiva sulle gambe di lui. ≪ Di nuovo sbronzo? ≫ domandò, anche se non ce n'era davvero bisogno.

Era evidente cosa avesse fatto per tutta la sera ed era la stessa cosa che faceva quasi ogni sera, con buona pace delle sfuriate di Katsuki o delle raccomandazioni di Kirishima. E con altrettanta buona pace delle occhiatacce che Aizawa gli avrebbe lanciato il giorno dopo in classe, nel trovarlo intontito e lento a capire, in procinto di addormentarsi perfino nel mezzo delle esercitazioni pratiche.

≪ Di nuovo sbronzo. ≫ confermò con un sospiro, l'altro. Lo sguardo che posò sul ragazzo addormentato però aveva un calore affettuoso che quello di Katsuki non aveva, e che si trasmise al tocco della sua grossa mano sulla nuca di lui. Kaminari mugugnò nel sonno nel sentirsi pettinare indietro i capelli con una premura tale da strappargli un sospiro rasserenato.

≪ Non so davvero che cosa fare con lui. ≫ mormorò Kirishima quasi fra sé, socchiudendo gli occhi alle luci cangianti del locale e gettando una fitta ombra sulle iridi scarlatte. ≪ È così irresponsabile... A volte ho paura a distrarmi. Finisco sempre per preoccuparmi di cosa sta facendo e di come si ridurrà. ≫

Katsuki si lasciò sfuggire uno sbuffo nell'allungarsi verso il tavolino ingombro di bicchieri vuoti, colmi di ghiaccio mezzo sciolto, e sceglierne uno da riempire con quello che sembrava prosecco. Non c'era che dire, quando nelle uscite venivano coinvolti i tre ricconi della classe le ordinazioni subivano un'impennata di prestigio.

La voce di Kirishima era appena un sussurro amareggiato nella confusione che gli circondava, nulla di più di un sospiro rassegnato che accompagnava il movimento della sua mano fra i biondi capelli dell'altro. ≪ Come se potessi impedirgli di distruggersi in questo modo. ≫ disse e gli occhi di Katsuki si fissarono sulle sue dita che spostavano bionde ciocche di capelli, fermandosi a tracciare il profilo di una guancia su cui si intravedeva ancora l'alone di un vecchio livido in procinto di guarire.

Il vetro nella mano di Katsuki catturò le luci rivestendosi di mille colori, il liquido all'interno ondeggiò mentre se lo portava alle labbra e ne saggiava il sapore con la punta delle labbra, scoprendolo aspro e frizzante tanto da fargli correre un brivido sulla pelle.

Non beveva mai, ma quella sera non gli sarebbe dispiaciuto potersi stordire a tal punto da lasciar scivolare via i pensieri. Se non avesse avuto così tanta paura di perdere il controllo e finire per fare qualcosa di stupido, forse si sarebbe fatto sedurre dalla promessa di oblio che l'alcool nelle sue mani offriva.

Lasciò scorrere la lingua sulle labbra umide, contemplando quella possibilità seducente con ancora il pizzicore delle bollicine sulla lingua e lanciò un'occhiata di sbieco al ragazzo al suo fianco, tornando bruscamente alla realtà. ≪ Non è colpa tua. Non puoi salvare qualcuno che è troppo testardo per lasciarsi salvare. ≫ commentò, accomodandosi meglio sulla poltroncina imbottita e spostando lo sguardo sui corpi in movimento nell'ampio spazio che sfregavano, si sfioravano, gravitavano l'uno in prossimità dell'altro, formando un'unica onda in continuo movimento. Una marea in mutamento perpetuo che incanalava gli umori dei suoi componenti e ne amplificava gli effetti.

≪ E non dovresti nemmeno doverlo fare. ≫ aggiunse, inumidendosi le labbra con la punta della lingua e cogliendo l'aspro sapore di un nuovo sorso di spumante sulla pelle. ≪ Siamo eroi, non santi. Non possiamo prenderci la responsabilità delle scelte degli altri o cercare di cambiargli. ≫ borbottò fra i denti e per un'istante, gli parve di riconoscere occhi verdi lucenti come gemme nel viso lentigginoso di uno sconosciuto che lo fecero sussultare leggermente.

Ma non era Deku.

Deku non era mai stato così alto e non se ne andava in giro con il passo baldanzoso di chi credeva di avere il mondo ai suoi piedi. Un verso strozzato gli risalì dalla gola fino alle labbra arricciate in una smorfia. ≪ C'è già il fottuto mondo a pensarci. Ad ognuno le sue cazzo di responsabilità. ≫

La voce rauca si spense nel silenzio denso di musica pulsante e Kirishima lo guardò con una strana espressione sul viso, gli occhi rossi resi opachi dall'alcool ingerito e il bicchiere nelle sue mani che mandava bagliori rosati. Una leggera risata gli sfuggì dalle labbra e indugiò nell'aria, dopo appena un'istante d'indecisione. ≪ Come sei profondo, stasera. ≫ scherzò, sventolando la mano in aria e Katsuki sorrise, sollevando il bicchiere e guardandolo come se fosse il vero artefice del suo discorso. ≪ Cazzo, questa roba deve essere più forte di quanto non pensassi. Mi sta già a dare alla testa. ≫

≪ Questo è perché non bevi mai. ≫ commentò Kirishima, con una risata leggera che sciolse la smorfia sulle labbra di Katsuki in un sorriso sghembo, la ruga che gli segnava lo spazio fra le sopracciglia aggrottate si appianò lentamente al suono della risata spensierata di lui e del calore liquido che gli accendeva gli occhi. ≪ Dovrebbero fare di te il volto immagine della campagna contro l'abuso di alcool. Cavolo, ti ci vedrei a dirci che per essere brave persone non dobbiamo ubriacarci. ≫

≪ Per essere eroi passabili non dovreste ubriacarvi, idiota. ≫ replicò con un sogghigno Katsuki e si sorprese della facilità con cui si ritrovò a rilassarsi, nello scambiare chiacchiere inutili con il ragazzo al suo fianco e sorridere divertito di tanto in tanto. ≪ Alcool e fumo riducono le prestazioni e hanno effetti deleteri sul sistema cardio circolatorio. Se sperate di riuscire a inseguire almeno la mia ombra, dovreste davvero evitare di ridurvi così ≫

Uno sbuffo sfuggì dalla bocca socchiusa di Kaminari, quasi si fosse accorto del dito di Katsuki puntato contro di lui. Kirishima si raddrizzò, portando due dita alla fronte e con aria estremamente seria e naturale, per uno che lo prendeva per il culo, esclamò. ≪ Si, signore. Avrò cura di ricordarmelo domani quando smaltirò la mia sbornia durante l'ora di Midnight, signore ≫

≪ Vai a farti fottere. ≫ sibilò Katsuki, sopprimendo a stento un sorriso divertito per sembrare più minaccioso e arrabbiato di quanto non si sentisse. Il sorriso di Kirishima fu come un lampo bianco nel mezzo del suo viso e fece divampare il rosso delle sue iridi. ≪ Spiacente, amico. Stasera pare che non ci sia nessuno di mio gusto. Serata sfortunata. ≫

Una risata aspra sfuggì dalla bocca imbronciata di Katsuki senza che riuscisse più a trattenersi, allargando il sorriso sulle labbra dell'altro ragazzo che scrollò le spalle con disinvoltura e prendeva un altro sorso dal suo bicchiere.

Sin da quando aveva messo piede per la prima volta allo Yuei, Kirishima era stato come un fulmine a ciel sereno, l'aveva colpito con tanta violenza da lasciarlo impietrito e disorientato per un bel po' di tempo. Incapace di capire cosa significasse averlo sempre accanto che gli parlava come se si conoscessero da sempre e passare dal balcone per bussare alla camera di Katsuki fosse la cosa più naturale del mondo.

Negli anni, Katsuki si era abituato alla solitudine, ad avere i suoi spazi, a suscitare timore e disprezzo negli altri e a contare solo su sé stesso. Era lo studente migliore, il migliore degli atleti, un prodigio che non faticava a raggiungere i traguardi che si prefiggeva, ma che finiva sempre per sentirsi schiacciato dalla consapevolezza che non era mai abbastanza.

Mai all'altezza delle proprie ambizioni e mai abbastanza per essere davvero amato dagli altri, per sentirsi accettato da loro o parte integrante di qualcosa. Era solo ed era vuoto, ma se anche questo non lo spaventava, non lo rendeva nemmeno felice. Kirishima aveva preso tutto ciò e l'aveva spazzato via, con la stessa naturalezza con cui qualcun altro si liberava della polvere su un tappetto.

Aveva bussato alla sua porta, una notte del primo anno, e gli aveva chiesto di aiutarlo con i compiti di matematica. Non era servito prenderlo a male parole o borbottare direttive condite da grida rauche e nemmeno sbuffare ogni volta che se lo trovava fra i piedi, Kirishima aveva riso del suo malumore e si era ricavato il suo posto al suo fianco con una costante dedizione contro cui c'era davvero poco che potesse fare.

Nel guardarlo sorseggiare il suo bicchiere nuovamente pieno, il braccio abbandonato sullo schienale con disinvoltura e la testa bionda di Kaminari adagiata sulla gamba, Katsuki si chiese quanto sarebbe stata più facile la sua vita se solo avesse potuto innamorarsi di lui.

Delle sue movenze, dei suoi sorrisi, del modo in cui parlava e cogliere ogni vibrazione di voce, ogni mutamento di emozione, che celava. Sentirsi riempire il petto di quelle sensazioni fino a colmare qualsiasi vuoto che gli abitasse dentro e far divampare emozioni che altrimenti sarebbero rimaste assopite, intente a languire dentro di lui, mentre bruciava di pensieri che lo riguardavano.

Dopo, forse, non si sarebbe più sentito tanto a disaggio in mezzo alle persone. Non si sarebbe sdraiato nel proprio letto con il braccio sulla fronte a contemplare quella sensazione di solitudine, sapendo che di sotto tutti ridevano e scherzavano senza sentire la sua mancanza.

Gli occhi rossi di Kirishima si sollevarono a guardarlo con una muta domanda nello sguardo e una ruga a segnare lo spazio fra le sopracciglia. ≪ Vuoi finalmente dirmi cos'è che ti turba o vogliamo continuare a fare finta che vada tutto bene? ≫ gli domandò con cautela, sporgendosi a posare il calice sul tavolino già ingombro di bicchieri vuoti, dentro cui il ghiaccio si scioglieva.

Katsuki non rispose subito, gli avambracci poggiati sulle cosce tese e il calice nelle sue mani che catturava le luci mutevoli della sala. Se solo avesse potuto innamorarsi di lui... pensò, con una punta di amarezza, scivolando sulla poltrona un po' più vicino al bordo e chinando appena il capo nel borbottare. ≪ Devi essere proprio sbronzo per pensare che qualcosa non vada. ≫

Kirishima inarcò entrambe le sopracciglia, un'espressione scettica dipinta sul viso dove luci colorate e ombre danzavano. ≪ Ti ho lasciato al dormitorio che te ne stavi andando a letto, come sempre troppo presto e mi ritrovo una marea di tue chiamate e insulti alle tre del mattino. ≫ commentò, facendolo vergognare di sé stesso. ≪ Non mi pare molto normale. Non più che trovarti qui un'ora dopo. ≫

Katsuki storse la bocca in una smorfia, distogliendo lo sguardo imbronciato. Si era fatto prendere da una crisi di nervi nel continuare a rivoltarsi in quel letto e rivedere sempre le stesse fottute immagini dietro le palpebre chiuse. Un carosello di ricordi che alimentava la sua inquietudine e non gli dava pace. Eppure, non dubitava di aver fatto la cosa giusta quella notte.

≪ Dai, Kat. È evidente che è successo qualcosa. ≫ sbuffò, scivolando sui sedili del divano e lanciandogli un'occhiata indagatrice. ≪ Tu odi le discoteche. Se sei venuto a stanarmi fin qui, c'è decisamente sotto qualcosa. ≫

Davanti ai suoi occhi socchiusi, le lacrime che rigavano le guance lentigginose di Deku scintillavano alla luce fioca come le bollicine nel fondo del suo bicchiere. Già riuscire a riprendere sonno la prima notte non era stato facile, non era sicuro di poter stare chiuso in camera un'altra notte senza finire per dare di matto.

Non con la testa invasa dal ricordo di quella bocca imbronciata e del suo sguardo ferito, delle lacrime che gli rigavano il viso mentre gli gridava contro o dell'espressione quasi sorpresa che aveva sfoggiato quando l'aveva incrociato in cucina per la colazione e Deku aveva distolto di scatto lo sguardo per celargli la sua rabbiosa amarezza, la delusione che gli scuriva gli occhi e che gli aveva levato l'appetito.

Non davanti alla dedizione con cui aveva cercato di evitarlo per tutto il giorno, sia in classe che fuori, e che Katsuki aveva adottato a sua volta nel modo più discreto possibile, solo per vederlo sedere accanto a persone come Shouto Todoroki e sorridere dolcemente mentre lui gli poggiava una mano sulla spalla con disinvoltura.

Le dita che stringevano il bicchiere si contrassero sul vetro e la sua voce suonò più rauca del solito nella confusione del locale che gli avvolgeva. ≪ Ho solo dovuto fare una cosa che andava fatta. Per quanto fosse scomoda e spiacevole... ≫ mormorò e Kirishima lo guardò con una strana ombra a scurirgli gli occhi, il corpo teso e rigido.

Dall'altra parte del divano, Kaminari si agitò nel sonno dando segni di essere stato assalito da una certa irrequietezza che gli fece sfregare la guancia contro i jeans dell'amico e si quietò al tocco protettivo della mano di lui sulla spalla. ≪ E questa cosa spiacevole che dovevi fare cos'era? ≫ gli chiese con la stessa dolcezza con cui avrebbe parlato a un bambino.

Katsuki sollevò lo sguardo per incrociare quello di lui. In tutta la sua vita, nemmeno sua madre gli aveva mai parlato così. C'era qualcosa d'irritante in quel tono che gli ricordava Deku o la madre di lui, ma loro erano persone gentili per natura e non contavano. Forse suo padre quando riusciva a ricavarsi un po' di tempo dal lavoro e Katsuki non aveva combinato qualche guaio che lo facesse infuriare, gli si era rivolto in quel modo.

≪ Ho parlato con Deku di quello che è successo durante la sfida. ≫ ammise con voce soffocata e un nodo gli strinse lo stomaco. Gli occhi rossi si socchiusero nella luce soffusa e mutevole del locale nel vedere il viso dell'amico illuminarsi, aprendosi in un sorriso sotto il suo sguardo. ≪ Finalmente, direi ≫ esclamò con entusiasmo. ≪ E com'è andata? Che vi siete detti? ≫

Katsuki distolse lo sguardo e scosse piano la testa, nel dire con voce rauca. ≪ Solo... che non ha significato niente. ≫

Kirishima lo guardò in silenzio con i rossi capelli pettinati come sempre all'indietro, fissati da una dose eccessiva di gel che gli conferiva una certa rigidità sgradevole da vedere quanto probabilmente lo sarebbe stato toccarli. Eppure, si chiese se sarebbe riuscito a rabbrividire nel affondare la mano fra le rosse ciocche e lasciar scorrere le dita dentro. A sentire il cuore accelerare e la pelle formicolare per la voglia di prolungare il contatto più flebile fino a renderlo intimo.

Se avesse potuto costringere sé stesso a provare quelle emozioni, quel sentimento, sarebbe stato tutto più facile e meno spaventoso di quanto non fosse la realtà delle cose.

≪ È venuto a cercarmi in camera, ieri notte, così ho fatto ciò che dovevo. ≫ Il respiro gli si ruppe sulle labbra in un sospiro esausto. Era scappato dalla sua camera perché i pensieri non gli davano tregua e non riusciva a prendere sonno, ma non era stata una mossa furba. Anche immerso nella confusione e lontano dalla fonte di essi, poteva sentire quel retrogusto amaro infondo alla gola e il ribollire dei ricordi dentro la testa, con tutto il loro carico di emozioni e dubbi.

≪ Gli ho detto che non ho sentito niente e che si era immaginato tutto. ≫ sussurrò, gli occhi rossi fissi nel vuoto e il bicchiere a un soffio dalle labbra che tese in un sogghigno sfrontate. ≪ E credo di essere stato piuttosto convincente visto come mi si è scagliato contro e ha preso ad evitarmi. Nemmeno alle medie si è mai impegnato così tanto per non incrociarmi e a quei tempi, doveva essere davvero più spaventato da me di quanto lo sia ora. ≫

Il silenzio che seguì, Katsuki lo sentì pulsare dell'EDM che faceva vibrare l'aria nel locale e muoveva i corpi di centinaia di persone in modo disordinato. Il liquido frizzante gli calò giù lungo la gola, espandendolo e la voce di Kirishima lo ruppe con un verso strozzato. ≪ Perché devi continuare a punire te stesso in questo modo? ≫ gli chiese con un'innocente stupore che lo colpì quanto le parole che usò. ≪ Se ti ha baciato vorrà pure dire qualcosa. Non credo che l'avrebbe fatto se non ti avesse già perdonato il passato, quindi perché non puoi perdonarti anche tu ed essere sincero con lui per una volta? ≫

≪ Non sono la persona giusta per lui, Eji. ≫ disse senza guardarlo, le dita che si chiudevano intorno al calice vuoto con tanta forza da sentire i tendini al di sotto tirare. ≪ Non lo sono mai stato. Nemmeno quando eravamo bambini... ho continuato a riempirlo di botte e insulti e lui ha continuato a inseguirmi. Ero convinto che a una certa si sarebbe fatto da parte, ma lui non è uno che molla. ≫

Gli occhi rossi si sollevarono a guardarlo, trovandolo che lo fissava con un qualcosa di malinconico nella curva della bocca. Le parole avevano un sapore amaro, il retrogusto di una storia che conosceva bene, la profondità di un vuoto che gli era cresciuto dentro fino a non poter essere più colmato. Ma era la cosa giusta da fare, la migliore che potesse fare per lui e per sé stesso, mettere fine a tutto prima di riuscire a ferirlo ancora.

≪ Ha continuato a preoccuparsi per me e ad ammirarmi. Io ero odioso. Ero uno stronzo e gli ho detto di buttarsi da un tetto. ≫ disse e il rimbombo di quelle parole gli risuonò nella testa come lame che gli penetravano il cervello. E nonostante questo, Deku aveva sentito il bisogno di inseguirlo per rassicurarlo che non gli aveva mai mentito e che quel nuovo potere nato in lui gli era stato prestato da qualcun altro.

Se gliene avesse dato la possibilità, avrebbe reso quel bacio l'inizio di un nuovo tipo di tormento. L'avrebbe inseguito con ancora più dedizione e Katsuki l'avrebbe ferito in un modo nuovo, avrebbe attinto da lui a piene mani fino a lasciarlo svuotato. ≪ Ho visto come sorride al Bastardo a Metà. Non è più un bambino, ma continua ad aggrapparsi a un sogno infantile. Può avere qualcuno di diverso, ora. Qualcuno che sappia prendersi cura di lui e che quando sorride non finisce per dire qualcosa di sgradevole. ≫

Era di questo di cui aveva bisogno. Qualcuno come il Bastardo a Metà che nel camminargli accanto a fine turno, sorrideva al suo vociare insulso e avesse parole gentili da rivolgergli, che non si sentisse irritato da ogni suo miglioramento come se potesse minare i propri risultati e farlo apparire meno di quanto non fosse.

Con un po' di tempo e determinazione, poteva abituarsi all'idea che Deku lo lasciasse andare e avesse qualcun altro. Qualcuno che invece di lasciarsi inseguire, gli avrebbe camminato accanto, tenendolo per mano. E anche se non ci fosse riuscito, si era assicurato di bruciare la possibilità di poterlo avere.

≪ Pensi davvero di poter stare a guardare mentre si innamora di qualcun altro? ≫. Una ruga era comparsa a segnare lo spazio fra le sopracciglia corrugate di Kirishima che lo guardava con un'ombra a scurire il viso mentre Katsuki si portava il bicchiere alle labbra e prendeva un lungo sorso, fino a svuotare il bicchiere. ≪ Davo fuoco ai suoi quaderni e gli rubavo la bicicletta. Direi che non sono proprio la persona migliore di cui potesse innamorarsi. ≫

Era la peggiore, pensò chiudendo per un attimo gli occhi e massaggiandosi la radice del naso. ≪ Distruggere questa illusione è stata la cosa migliore che potessi fare per lui. Sopravvivrà alla delusione e si troverà qualcuno di migliore, qualcuno che non lo ferirebbe come potrei fare io. ≫

Era la cosa migliore che potesse fare, si ripeté e prima o poi, era certo che si sarebbe abituato a quell'idea al punto che avrebbe smesso di fare male. Lui, Deku, l'aveva amato con la stessa noncuranza dei bambini che non sanno di dover avere cura dell'oggetto del loro amore se non volevano vederlo cadere a pezzi.

L'aveva distrutto, pezzo dopo pezzo, con le parole e con i gesti e aveva realizzato troppo tardi cosa questo significasse. Era stato un ragazzo timido e goffo che incespicava sui suoi stessi piedi e non incrociava mai il suo sguardo. Poi, un giorno lui aveva sollevato la testa e gli aveva risposto per le rime, sorprendendolo.

D'allora, era stato un continuo cercare di tenergli testa, una sfida che Deku sembrava muovere più a sé stesso che a Katsuki. Aveva raccolto i frammenti che lui gli aveva strappato e aveva preso a ricomporre la sua vita in modo che lui non ne fosse più il fulcro, ma era rimasto qualcosa di quel legame che gli aveva uniti e se fosse riuscito a strapparlo, probabilmente Deku avrebbe avuto una vita migliore ad attenderlo.

≪ D'accordo, ma non sei più quella persona. ≫ intervenne Kirishima, socchiudendo gli occhi e storcendo a sua volta la bocca. Katsuki abbassò lo sguardo sulle labbra tese di lui e provò a immaginare cosa sarebbe successo se si fosse sporto a baciarlo. Se avesse potuto tornare indietro e riscrivere la storia, porre dei punti, fare in modo di potersi innamorare di qualcun altro e dare a Deku la stessa opportunità.

Se avesse potuto farlo, forse avrebbe smesso di sentirsi come se qualcuno gli stesse premendo una lama contro il petto e gli occhi verdi di Deku lo stessero guardando mentre l'affondava nel suo cuore. Sarebbe stato più semplice, ma nulla era mai stato semplice con Izuku.

≪ No, dici? ≫ sussurrò, sorridendo sprezzante. Gli occhi rossi baluginanti di ombre sotto le sopracciglia aggrottate e una morsa a stringergli il petto. ≪ Ne sembri più convinto di me, Capelli di Merda. Io non potrei giurare che non finirei per commettere sempre gli stessi errori. ≫

≪ Magari ho solo più fiducia in te di quanto ne abbia tu. ≫ replicò lui, con una punta di amarezza nella voce bassa e gli occhi rossi socchiusi nelle ombre della sala. ≪ So quanto in questi anni hai lavorato duramente per cambiare. Sono sicuro che se ne parlassi con lui, scopriresti che non c'è nulla di cui avere paura. ≫

≪ Non posso dargli quello che vuole, lo capisci? ≫ mormorò, pur sapendo che per lui fosse impossibile capire qualcosa del genere. Non sapeva come fosse sentirsi sempre come se non si fosse abbastanza e nessun risultato fosse mai sufficiente a farlo sentire soddisfatto.

Non sapeva cosa significasse sentirsi soffocare davanti ai sorrisi dolci di qualcuno e al suo sguardo ammirato ed essere assaliti dal terrore che potesse penetrare le sue difese e vederlo per davvero, prendere consapevolezza che aveva sempre ammirato una facciata e che infondo, non c'era nulla che potesse prendere da lui perché Katsuki non aveva mai avuto nulla da dargli in cambio.

Sul viso dell'amico era comparsa un'ombra triste che gli scuriva il rosso rubino delle iridi e curvava la bocca in una smorfia amara. Kirishima lo guardò in silenzio, come alla ricerca delle parole che potessero smuoverlo, consapevole che quando Katsuki parlava in quel modo c'era ben poco da fare. Sussultò al suono di una risata allegra che faceva irruzione nella loro piccola bolla, mandandola in frantumi.

Katsuki si voltò di scatto mentre l'amico sollevava lo sguardo, con un sospiro rassegnato sulle labbra secche. ≪ Ed eccola, l'altra che finisce sempre per distruggersi con le sue mani. ≫ lo sentì borbottare mentre Uraraka Ochaco gli raggiungeva ondeggiando su un paio di tacchi alti. C'era una risata delirante sulle sue labbra dipinte di scuro e un velo di confusione alcoolica negli occhi spalancati che correvano dal loro tavolo al ragazzo che la seguiva apprensivo, borbottando rimproveri e pregandola di stare ferma mentre tendeva le mani come ad afferrarla prima che cadesse.

≪ Kiri. Kiri. La borsa prestooo. ≫ strillò Uraraka, sporgendosi verso l'altro ragazzo con un sorriso allegro e un po' stonato. Katsuki dovette sbattere due volte le palpebre per assicurarsi di non avere le allucinazioni, ma no. Quella era proprio la streghetta amica del Nerd che tutti pensavano avesse una storia con lui e aveva proprio l'aspetto di una che aveva bevuto troppo.

≪ Ma cosa cazzo... ? ≫ borbottò fra i denti, attirando su di sé lo sguardo confuso della ragazza che lo guardò come se non si fossero mai incontrati prima, con gli occhi socchiusi che le ombre del locale dipingevano di nero pece. ≪ Tu... ? ≫ mugugnò pensierosa, Ochaco, corrugando la fronte sotto la frangia di capelli castani.

C'era un velo di sudore sulla pelle chiara di lei e un lieve sentore di menta a impregnarle il respiro. Katsuki la fissò con la bocca socchiusa per lo stupore. Aveva sentito dire da Kaminari che era una ragazza che amava divertirsi e stare in compagnia, ma non l'aveva mai vista ridotta in quel modo e si chiese se era questo che l'altro aveva inteso quando gliene aveva parlato.

≪ Dannazione, 'Chako. ≫ borbottò Kirishima, frugando dietro la schiena di Kaminari, probabilmente alla ricerca della borsa della ragazza. Sul viso spigoloso era comparsa un'espressione contrariata, specchio di quella guardinga di Iida alle sue spalle. ≪ Spero che tu abbia finito di bere. ≫

Lei non rispose, chinando la testa di lato per osservare meglio Katsuki alla luce mutevole del locale. Qualcosa però la distrasse, facendola voltare di scatto. Troppo velocemente perché riuscisse a tenere l'equilibrio nelle sue condizioni. I due ragazzi si irrigidirono nel vedere le gambe nude di lei cedere e farla scivolare in basso, la gonna bordata di morbido pizzo che ondeggiava nell'aria, ma nessuno dei due fu abbastanza veloce da afferrarla.

Katsuki reagì senza pensare, come gli accadeva spesso in battaglia e sul campo, l'afferrò un'istante prima che urtasse il tavolino ingombro di bicchieri vuoti e la trasse a sé. Si sorprese di quanto fosse piccola e leggera sotto le sue mani, tutta morbide curve e sentore di menta fra le sue braccia.

Ochaco gli scivolò in braccio con disinvoltura, sotto lo sguardo sorpreso di tutti e scoppiò a ridere, circondandogli il collo con le braccia nude. ≪ Ma è Kacchan. ≫ esclamò con un'allegria infantile che lo fece trasalire. Gli occhi rossi si sbarrarono mentre lei gli sorrideva, poggiando la testa contro la sua spalla e sfiorandogli la guancia con la punta fredda delle dita, la voce ridotta a un sussurro sognante. ≪ Il Kacchan di Deku. ≫

Il Kacchan di Deku, si ripeté lui e quelle parole per qualche ragione, avevano uno strano sapore che alimentò e fece divampare l'irritazione nel suo petto fino a cacciare via ogni forma di stupore. ≪ Tu torni al dormitorio, ora. ≫ le disse, bruscamente con un tono che non ammetteva repliche e fece schiudere sorprese le labbra di lei.

Iida e Kirishima lo guardarono stupiti e trasalirono quando Ochaco emise un gridolino stridulo che divenne subito una risatina sciocca, nel venir trascinata in piedi. Non aveva mai stretto una ragazza, era leggera e straordinariamente bassa. Le circondò i fianchi con un braccio, tenendola sollevata contro il proprio corpo con la punta delle scarpe a qualche centimetro da terra e le braccia di lei avvolte intorno al collo. La bocca gli si arricciò in una smorfia nel voltarsi verso il divanetto su cui Kirishima sedeva, con la borsa della ragazza in una mano e incrociare lo sguardo confuso di Kaminari sdraiato sopra l'altro ragazzo, con le bionde ciocche sugli occhi ocra.

≪ Anche tu. ≫ gli sibilò contro Katsuki, scoprendo i denti in una smorfia arrabbiata a cui l'altro rispose con uno sguardo confuso. Kaminari sbatté un paio di volte le palpebre, un'espressione intontita sul viso stropicciato dal sonno e dall'alcool. Non oppose resistenza quando Katsuki e Kirishima l'aiutarono a rimettersi in piedi sulle gambe malferme.

≪ Non è possibile che voi due idioti puntiate a diventare eroi distruggendovi a questo modo. ≫ sibilò Katsuki, contorcendosi per riuscire a reggere la ragazzina che l'abbracciava ridacchiando e facendo dondolare i piedi nel vuoto e il ragazzo che si guardava attorno confuso. ≪ Cosa succede? ≫ gli chiese Kaminari, sbiascicando appena le parole.

Gli occhi ocra si posarono sul viso di lui, socchiudendosi alle luci soffuse e gettando un'ombra sugli zigomi marcati. Sembrò riconoscerlo con un'istante di ritardo mentre si appoggiava a Kirishima per non ricadere sul divanetto alle sue spalle. ≪ Kat? ≫ lo chiamò con voce soffocata e un sorriso gli tese le labbra. ≪ Sei venuto a prendermi? ≫

Katsuki roteò gli occhi nel farsi scivolare il suo braccio intorno alle spalle. ≪ Stai zitto, scemo. Ti riporto al dormitorio. ≫ borbottò fra i denti, strappando all'altro ragazzo un sorriso intontito. ≪ Qualcuno dovrà pur assicurarsi che voi idioti torniate a casa sani e salvi. ≫

E ovviamente sarebbe toccato a lui, prenderli a urla fino a far entrare del buonsenso in quelle zucche vuote.

 

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Capitolo 8
*** 8. ***


8.


I guess I was too blind to see it

Cause now you're only on my phone

Cause slamming doors and crying out

I thought it'd get you back 'till now

I didn't believe you'd ever leave me

So please just listen to me now

( Roses are red, Jon Caryl )

 

Gli occhi castani di Ochaco tremolarono nella luce dorata della mattina che filtrava dalle tende dischiuse, aprendosi con uno sfarfallio delle ciglia per poi richiudersi un'istante dopo.

Una voce bassa e dolce stava chiamando il suo nome, un poco spazientita, cercando di strapparla da sogni che avevano il sentore del mare e del vento salmastro fra i capelli. Ochaco gemette, affondando il viso nel morbido calore del suo cuscino e nella sensazione della sabbia fresca fra le dita dei piedi, di quegli occhi come cielo d'estate e mare in tempesta che la fissavano sgranati nella luce argentea del lungomare e nelle ombre della notte.

Dimmi una cosa che nessuno sa di te. sussurrò Ochaco nella brezza leggera del mare, tirandosi indietro una ciocca di capelli che le premeva sulla guancia con un lieve sorriso a curvare le labbra. Dimmi qualcosa che non hai mai detto a nessuno.

≪ Ochaco. ≫ la chiamò una voce dolce, sottraendola al ricordo del viso elegante di Shouto, sfiorato dalla luce soffusa delle stelle, a quegli occhi che luccicavano nelle ombre della notte e della sua bocca che si schiudeva per lo stupore.

Dimmelo tu, qualcosa che nessuno sa di te.

Una mano grande e ruvida si posò sulla sua spalla, scuotendola dolcemente e mandando in frantumi ciò che restava del sogno. Le immagini dei suoi ricordi si dispersero al suono della voce bassa di Deku che mormorava ≪ È pomeriggio inoltrato, devi svegliarti. Dai, Ochaco. Apri gli occhi. ≫

Ochaco serrò gli occhi con più forza, nascondendo il viso nel cuscino e rifiutandosi di rinunciare ad aggrapparsi ai brandelli del suo sogno con tutta sé stessa. Sembrava così lontano adesso, quel momento, quando ancora poteva guardare in quelle iridi spagliate senza sentire una stretta dolorosa al ventre e illudersi che lui fosse proprio come apparisse. Nulla di più dell'immagine che mostrava a tutti quanti e che indossava come un'armatura costruita per proteggersi dagli sguardi di chi avrebbe potuto ferirlo.

La luce delle stelle aveva reso l'occhio grigio di Shouto più scuro, un nero vellutato sotto la frangia candida che contrastava con il rosso vivo dell'altra metà e l'azzurro profondo dell'iride. La sua voce era un mormorio che cercava di dissimulare, senza troppo successo, l'amarezza che covava dentro di lui e che faceva risuonare qualcosa in lei, un filo sottile che vibrava all'unisono con le emozioni che trasparivano dalle sue parole e si stendeva fra loro come il più inaspettato dei collegamenti.

Ochaco non l'aveva mai visto con tanta nitidezza come quella sera, in piedi sul bagnasciuga con la brezza marina a sospingere indietro i suoi lisci capelli e lo sguardo che cercava quello di lei. Non gli era mai parso più vero, imperfetto e umano di così. Più... avvicinabile, come se per la prima volta potesse contemplare l'idea di allungare una mano e toccarlo senza pensare che lui avrebbe potuto restarne disgustato.

≪ Ochaco? ≫ la chiamò Deku e l'odore corposo del caffè le stuzzicò le narici, insinuandosi a forza nel suo petto e strappandole via gli ultimi rimasugli del sogno. Ochaco sfregò la testa contro il cuscino con un senso di perdita nel petto e una fitta lancinante le trafisse le tempie, strappandole di bocca un gemito afflitto. ≪ No, lasciami ancora cinque minuti. ≫ mugugnò, nascondendo il viso e coprendosi la testa scarmigliata con le mani, nel disperato tentativo di rimanere ancorata a quel sogno che minacciava di svanire nelle ombre della sua mente.

Solo cinque minuti, il tempo necessario a perdersi in quel ricordo e poter guardare Shouto nella luce delle stelle, con la camicia candida che gli metteva in evidenza le spalle ampie e forti e il colletto che gli sfiorava il collo elegante. Ricordare il modo in cui le ciocche rosse dei suoi capelli e quelle bianche si sfioravano e mescolavano nella brezza salmastra che soffiava dal mare mentre i suoi occhi spagliati la guardavano come se non esistesse nient'altro al mondo che lui volesse vedere e ogni cosa si riducesse a loro due in quella spiaggia.

≪ Ma anche no. ≫ esclamò Deku, con la voce squillante, perforandole il timpano e causandole una fitta sorda di dolore alle tempie. La mano sfregiata afferrò le coperte che l'avvolgevano per tirarle via di scatto. Improvvisamente, Ochaco sentì freddo e rabbrividì mentre lui esclamava con forza. ≪ Hai pure saltato le lezioni, 'Chako, è ora di alzarsi. Non puoi ridurti così una sera si e l'altra no e poi stare a poltrire tutto il giorno. Che diavolo ti sta succedendo? ≫

Un verso lamentevole sfuggì dalle labbra di lei e per un attimo, lo maledisse in silenzio. Gli voleva bene ed era il suo migliore amico fin dal primo anno di liceo – il fratello che aveva sempre desiderato avere - ma Dio se a volte non le faceva venire voglia di strozzarlo.

La testa gli pulsava per i postumi della sbornia e ora, a sostituire i ricordi della spiaggia c'erano quelli della sera prima. C'era l'immagine divina di Yaoyorozu nel suo top bianco che le sorrideva con gli occhi neri scintillanti di speranze e aspettative, facendola sentire la persona peggiore del mondo.

C'era lo sguardo di Shouto, velato di quella che gli era sembrata malinconia che incontrava il suo mentre poggiava una mano sulla schiena di Momo e l'accompagnava fuori, lasciandola lì a guardarli con la consapevolezza che quella sarebbe stata la sera in cui l'avrebbe perso definitivamente. La sera in cui lui e Momo si sarebbero baciati, cancellando qualsiasi possibilità di poter tornare indietro e recuperare un poco di quella felicità assaporata nelle calde giornate estive, dentro una stanza che puzzava di umidità.

Gli occhi castani pizzicarono di lacrime che non voleva lasciar cadere ed Ochaco trattenne il fiato per rilasciarlo di botto, in un sospiro. ≪ Ti odio. ≫ borbottò contro il cuscino e la sua voce si confuse fino a diventare un borbottio incomprensibile. Meglio così, si disse, non era sicura a chi fosse realmente rivolta quella dichiarazione. Se a sé stessa, alla sua amica o al ragazzo che si stava chinando su di lei per chiamarla con voce suadente. ≪ Ochaco, dai. Svegliati. ≫

La grande mano ruvida sulla sua spalla scivolò a tamburellare sulla schiena, facendole il solletico attraverso il sottile tessuto della canottiera. ≪ Ti ho preparato anche il caffè e ho detto ad Aizawa-sensei che eri malata. ≫ le confidò con più dolcezza, quasi volesse persuaderla dal riemergere dal suo cantuccio di coperte e lenzuola, per tornare alla realtà. ≪ Non vorrai continuare a dormire fino a domani. Guarda che se continui a distruggerti così, mi prenderò come puntiglio personale di non farti più uscire la sera. ≫

Ochaco sospirò. Non avrebbe mollato la presa, lo sapeva. Izuku era tanto gentile quanto testardo e se si fosse messo in testa che in qualche modo lei aveva bisogno di essere salvata, si sarebbe dedicato anima e corpo a farlo.

Nel rotolare sulla schiena, lo guardò attraverso le palpebre pesanti e le ciocche disordinate dei suoi capelli, chiedendosi perché non riuscisse a esternare quello che la divorava almeno con lui. Se avesse potuto parlarne, forse, non sarebbe stato più così doloroso, ma a quel punto sarebbe diventato anche reale.

≪ Non oseresti. ≫ sussurrò con voce arrocchita dal sonno, gli occhi castani fissi sul viso di lui e sul sentiero di lentiggini che correva sulle sue guance piene. Un sorriso storto curvò la bocca di Deku, accendendo il verde dei suoi occhi di una luce maliziosa. ≪ Sfidami. ≫ le disse e Ochaco sbuffò.

A volte, non faticava a credere che lui e Bakugou fossero amici d'infanzia. Si assomigliavano, anche se a prima vista sembravano diversi come il giorno e la notte. Non ci teneva per nulla a vedere quel filo sottile che li accomunava divampare nello stesso fuoco malizioso che accendeva i loro sguardi di spirito di competizione e divertimento, come se nulla piacesse ad entrambi più che superare qualsiasi limite e vedere cosa sarebbe successo poi.

Una fitta alla testa le strappò un gemito stanco dalle labbra secche. Lo stomaco vuoto si rivoltò mentre si premeva entrambe le mani sul viso e cercava di arginare le fitte lancinanti che le trafiggevano le tempie. ≪ Mi sembra di sentire Bakugou. Ieri sera non la finiva più di rompere. ≫ sospirò, massaggiandosi la fronte con la punta delle dita e riportando lo sguardo sull'amico, chino su di lei con un'espressione vulnerabile in viso e gli occhi verdi sbarrati.

≪ L'h-hai visto? ≫ le domandò e la sua voce suonò bassa e fragile come cristallo nella camera invasa dalla luce grigiastra del sole invernale. Ochaco sbatté le palpebre e si maledisse in silenzio per esserselo lasciato sfuggire. Ovvio che Deku non volesse sentire parlare di lui, aveva passato gli ultimi giorni a piangere per come erano finite le cose fra loro e a evitarlo nei corridoi di scuola. Eppure, sul suo viso dolce c'era una curiosità e un desiderio di sapere che non riusciva a celare del tutto e che lo facevano sembrare più giovane dei suoi diciotto anni.

≪ Ci ha riportati al dormitorio. ≫ ammise a malincuore, lanciandogli un'occhiata inquieta. Nel sollevarsi sui gomiti e mettersi a sedere, le coperte sotto di lei frusciarono e Deku spostò il braccio per congiungere le mani sulle ginocchia, la tazza stretta in una mano e lo sguardo che fissava il liquido scuro al suo interno. ≪ E... ha detto qualcosa? ≫ domandò incerto, accennando un sorriso.

Un velo tremolante calò sul suo viso e fece scintillare i suoi occhi verdi come la superficie di uno stagno. Solo allora Ochaco notò che aveva l'aria stanca e gli occhi un po' arrossati, come se avesse pianto.

Una morsa di amarezza le strinse il petto, velandole lo sguardo. ≪ Mi dispiace, Deku, io... ero ubriaca da morire. Non ricordo molto di cosa abbia fatto o detto. ≫ ammise, scuotendo piano la testa e la morsa che le serrava il petto si acuì alla vista dell'espressione amara sul viso di lui.

Vedere Shouto andarsene con Momo, dopo una serata passata a vederla flirtare con lui, era stato il colpo di grazia per lei. Non aveva fatto altro che bere e cercare di dimenticare dopo.

≪ Credo che fosse in discoteca a un certo punto... con Eijirou. ≫ ammise titubante, corrugando la fronte dolorante per sforzarsi di mettere ordine nei suoi pensieri e arricciando le labbra in una smorfia pensierosa. ≪ Ci hanno riportato a casa e per tutto il tempo Bakugou ha urlato un sacco. Specie verso Denki. ≫

Nella nebbia dei suoi ricordi danzavano immagini frammentarie e brandelli di pensieri, l'ombra amara del bisogno di dimenticare e strapparsi di dosso quelle emozioni che non poteva più permettersi di provare, e... Bakugou. Gli occhi rossi che baluginavano cupi nella luce cangiante della discoteca e le sue mani ruvide che le stringevano i fianchi. ≪ Mi ha messo a letto, credo. ≫ sussurrò, abbracciandosi le ginocchia al petto e rabbrividendo per l'aria fresca che le sfiorava la pelle. ≪ Bakugou, dico. Ricordo vagamente che mi ha riportato in camera di peso, imprecando per tutto il tempo. Non so davvero dove li impari certi insulti. Non credo che si trovino sul dizionario. ≫

Deku trasalì e sgranò gli occhi verdi, rischiando di rovesciarsi il caffè addosso. ≪ Ka-Kacchan, è stato qui? ≫ squittì con una nota acuta nella voce e Ochaco accennò un sorriso nel vedere del rossore comparire sulle guance di lui. ≪ Si, è stato stranamente... premuroso. ≫ ammise, stringendo le labbra in una linea sottile e allungandosi a prendere la tazza di caffè dalle mani dell'amico.

Si era già raffreddato e nel portarsela alle labbra il suo sapore amaro le diede una bella svegliata. Deku si era dimenticato il dolcificante, di nuovo, ma non gli disse nulla. La stava guardando con una strana malinconia a velare il verde dei suoi occhi e Ochaco si chiese se potesse intuire quanto la sorprendesse aver scoperto quanta calda sicurezza avessero le braccia di Bakugou Katsuki e quanto delicate fossero le sue mani.

Le sembrava di poter capire un po' meglio perché Deku ne fosse innamorato dopo averlo visto chinarsi sul letto di lei e rimboccarle le coperte fino al mento. Le dita ruvide che le accarezzavano le guance accaldate nello scostare delle ciocche di capelli e scoprirle la pelle bagnata di lacrime.

Sei una stupida, Faccia Tonda. le aveva detto, gli occhi rossi dilatati nel guardarla con una rabbia cupa che non capiva e che non sapeva di aver fatto nascere in lui. Avresti dovuto farlo innamorare di te.

Ochaco aveva sentito il petto stringersi in una morsa dolorosa e gli occhi nocciola bagnarsi di lacrime a quelle parole. "Credevo di averlo fatto." avrebbe voluto urlare, ma le parole le si erano incagliate in gola, spezzate da un singhiozzo rotto che era sfuggito dalle sue labbra tremanti.

Aveva pensato che fosse ciò che lui provava nello stare insieme e svegliarsi l'uno accanto all'altro con la testa poggiata sul suo petto. Era ciò che lei aveva provato nel poter guardare la morbida curva delle sue labbra socchiuse, l'espressione vulnerabile e innocente sul suo viso che conferiva una nuova morbidezza ai suoi tratti eleganti, ed essere l'unica a cui era stato concesso quel privilegio.

L'unica che potesse vedere come apparisse Shouto Todoroki quando era impegnato a gemere per il piacere e i suoi occhi la guardavano neri come pece. Il suo tocco bruciava come fuoco sulla pelle e la fame con cui la baciava le toglieva il fiato, rivelando quanto profondo fosse il suo bisogno e la sua paura di essere amato.

Tanto profonda da farlo rabbrividire ad ogni tocco, le braccia che l'avvolgevano forte come per impedirle di sfuggire via e lasciarlo solo.

E Ochaco aveva amato ognuna di quelle cose.

La sua aria assonnata la mattina quando si trascinava fuori dal letto per fare colazione e rispondeva a mugugni ai suoi tentativi di fare chiacchierare. I silenzi che l'avvolgevano quando camminavano per le bancarelle dei festival estivi nei loro abiti tradizionali, mano nella mano. La meraviglia quasi infantile con cui si approcciava alle cose che non conosceva e non gli erano famigliari che accendevano una particolare luce desiderosa nel fondo dei suoi occhi spagliati.

Il guizzo dei suoi muscoli flessuosi quando si sollevava a stringerla fra le braccia e baciarla, sussurrandole sulle labbra parole dolci come il miele che le facevano scorrere un brivido lungo la schiena.

Amo vederti ridere. le aveva detto una volta, prima di baciarla con trasporto e Ochaco gli aveva circondato le spalle nude con le braccia, abbandonandosi contro il suo petto e rabbrividendo di segreto piacere perché nessuno le aveva mai detto una cosa simile prima.

Le mani di Shouto erano tiepide perfino con il calore dell'estate a rendere soffocante l'aria nella stanza, le avevano stretto i fianchi con dolcezza prima di rovesciarla oltre il bordo del futon con un movimento fluido. Aveva riso, Ochaco, stringendogli i fianchi con le gambe nude e affondando le mani nei suoi capelli setosi e Shouto aveva sorriso come non l'aveva mai visto fare a scuola.

Un sorriso che gli illuminava lo sguardo e faceva scintillare il grigio fumo e l'azzurro lucente dei suoi occhi. Nel rotolare insieme su quel futon, nello stringersi a lui mentre si baciavano e sentire il suo sapore sulle labbra, il tocco gentile delle sue dita sulla pelle e quello sguardo che nessun'altro aveva mai potuto vedere sul bel viso di lui – e che Ochaco sapeva essere stato solo suo - aveva pensato che quello fosse ciò che si provava quando si era innamorati.

Ma era solo lei a esserlo.

Era stata solo lei a illudersi che avrebbero potuto continuare quel gioco di sguardi e far durare quella felicità spensierata per sempre. Solo lei ad aver pensato di potersi svegliare ogni giorno con la testa poggiata sulla sua spalla e contare con la punta delle dita tutte le sue cicatrici, fino a scacciare via il dolore dei ricordi che portavano con loro con piccoli baci sulla pelle.

Bakugou non aveva detto niente davanti al suo singhiozzare rotto ed era rimasto là dove si trovava, seduto sul bordo del letto ad accarezzarle la testa finché non si era addormentata. Nello stesso punto in cui ora sedeva Deku, con lo sguardo perso a fissare fuori dalla finestra e qualcosa di amaro nella curva della bocca.

Non serviva un genio né tanto meno un quirk che permettesse di leggere i pensieri, per capire che stava pensando alla sua storia con Bakugou. Al modo in cui era finita fra loro nella stanza di lui - ancora prima di cominciare - fra le ombre della notte e la luce soffusa della lampada, quando solo pochi giorni prima sembrava destinata a prendere tutta un'altra piega.

≪ Deku? ≫ lo chiamò piano, con la voce ridotta a un sussurro rauco appena udibile nel silenzio della sua camera che fece voltare il ragazzo verso di lei con una muta domanda negli occhi in ombra.

Per un attimo, lo guardò senza dire niente - incapace di articolare la domanda che era sorta nella sua mente e a cui non sapeva dare risposta - prima di schiudere le labbra e scoprire di non avere voce con cui porla.

Davanti al suo silenzio, la bocca espressiva di Deku si tese in un sorriso gentile che non raggiunse gli occhi cupi. ≪ Che ti succede 'Chako? ≫ le domandò con una nota apprensiva nella voce morbida e le dite ruvide le sfiorarono le guance fresche in una carezza gentile. ≪ Ultimamente hai l'aria così triste. ≫

Ochaco trasalì e sollevò lo sguardo per incrociare quello di lui, sorpresa di scoprire che c'era qualcuno che se n'era accorto nonostante avesse tentato di celarlo in ogni modo. ≪ Ma che dici, Deku? Sto benissimo. ≫ provò a protestare, con una risatina e le guance paffute le si velarono di un tenue rossore quando lui scosse piano la testa. ≪ Non è vero. ≫

La risata morì sulle labbra di Ochaco insieme al suo sorriso al suono delle parole di lui che indugiavano nell'aria fresca. ≪ So che vorresti far credere a tutti che è così e che va tutto bene, ma da quando siamo tornati dalle vacanze hai l'aria così triste e non fai altro che cercare di tenerti impegnata o distruggerti. ≫ sussurrò Deku, cercando il suo sguardo e causandole un dolore al petto.

Gli occhi verdi si socchiusero alla luce del tardo pomeriggio invernale, osservandola come se potesse vedere attraverso la maschera che si era sforzata di tenere addosso per tutto quel tempo. ≪ Non so se è per quella faccenda con i tuoi o per altro, ma Ochaco... se sei triste puoi parlarne con me. Io ci sono. Nulla mi impedisce di esserci per te. Sono pur sempre tuo amico. ≫

Ochaco lo guardò in silenzio, le dita che stringevano la tazza di porcellana ormai fredda fino a intorpidirle e un groppo a stringerle la gola. C'era qualcosa di dolce nell'espressione sul viso di lui che si confondeva con l'ombra amara che gli velava lo sguardo. Sembrava così ingiusto che qualcuno come lui dovesse amare un simile stronzo che si era preso gioco dei suoi sentimenti e l'aveva illuso solo per dirgli che non aveva significato nulla, quel bacio, e che non aveva provato nulla nel rubarglielo.

Nel trattenere il fiato per un'istante e rilasciarlo in sospiro soffocato, si chiese come diavolo fosse possibile che Bakugou non vedesse quanto Deku fosse speciale e quanto fosse stupido rifiutare di essere amato da lui quando avrebbe potuto solo guadagnarci.

Quegli occhi verdi che la guardava con tanta intensità da percepirne il tocco sulla pelle come una carezza, erano gli unici a scorgere cosa si nascondeva dietro i suoi sorrisi e l'allegria esuberante di sempre. E Bakugou li aveva avuti puntati sopra da sempre, fin da quando erano bambini.

≪ Pensi che si possa smettere di essere innamorati di qualcuno? ≫ sussurrò con voce rauca, spezzando il silenzio immobile che alleggiava fra loro e avvertendo il sapore amaro delle lacrime infondo alla sua gola farsi più pronunciato. Deku la guardò in modo strano, gli occhi verdi sgranati che catturavano la luce del sole. Ochaco si mosse a disagio e un verso strozzato le sfuggì dalle labbra umide. ≪ Voglio dire, se potessi scegliere di chi innamorarti o smettere di esserlo... sarebbe più facile, no? Magari l'unica cosa che ci impedisce di farlo è che ci intestardiamo su quella persona quando basterebbe lasciarla andare. ≫

La voce le morì sulle labbra senza sapere dove volesse andare a finire con quella domanda e se avesse un senso quello che stava dicendo. Forse voleva solo credere di poter smettere di sentirsi così. Di poter controllare le proprie emozioni e decidere di smettere di amare qualcuno che non sarebbe mai stato suo per quanto potesse farle male.

≪ Ochaco... ≫ sussurrò Deku e un verso strozzato sfuggì dalla sua bocca socchiusa. Non era sicuro di aver capito cosa lei gli stesse chiedendo, ma nel guardare il suo viso pallido e le profonde occhiaie che le segnavano la pelle sotto gli occhi tristi pensò che doveva essere importante.

≪ Dico solo che sarebbe stato più facile per te se avessi potuto scegliere di innamorarti di qualcun altro. ≫ sussurrò lei, fissando all'interno della sua tazza e lasciando che le ciocche castane dei suoi capelli cadessero a celare l'espressione del suo viso allo sguardo di lui. ≪ Qualcuno che non sia Bakugou Katsuki, dico. ≫

Izuku non rispose. Ochaco sembrava triste da quando erano tornati a scuola dalle vacanze estiva. Aveva pensato che fosse stanchezza per i turni massacranti a lavoro o nervosismo perché quello sarebbe stato il loro ultimo anno insieme come studenti, ma era più di quello. ≪ Non so che cosa ti stia succedendo né se tutto questo riguarda una qualche delusione d'amore. ≫ mormorò Izuku, stringendo le labbra in una linea sottile. Avvertì il sussulto che scosse il corpo della ragazza al suo fianco, senza doverla guardare e un sospiro stanco gli sfuggì. ≪ Ma non credo che sia così semplice. ≫

≪ Lascia perdere. ≫ sussurrò lei, evitando il suo sguardo e poggiando le labbra imbronciate sulla porcellana della sua tazza. ≪ È una domanda stupida. ≫

Izuku corrugò la fronte, incerto, guardandola sorseggiare il suo caffè freddo con una strana tensione in petto. Le mani sfregiate si intrecciarono fra loro, creando una prigione per i suoi pensieri. A volte era difficile anche per lui capire come avesse potuto innamorarsi di Kacchan in modo così disastroso e come potesse continuare a provare sentimenti simili perfino ora che l'aveva respinto.

Era triste, amare una persona che non ti dava in cambio mai nulla. Lo faceva sentire come intrappolato in una stanza semi distrutta a cercare fra le macerie qualcosa che non poteva mai raggiungere e a cui non sapeva rinunciare. Intento a cercare di ballare da solo una coreografia pensata per due.

Ma poi, ricordava com'erano calde le sue mani di bambino sulla sua pelle e il modo in cui il rosso delle sue iridi sembrasse divampare alla luce del sole, come due fiamme gemelle che contenevano tutte le sue emozioni, perfino ora che lo guardava sempre di traverso. Il suo sorriso storto, da eterno attaccabrighe che lo trafiggeva sempre come un colpo al cuore, togliendogli il fiato, e che era letale quanto il suono della sua voce rauca o il tocco della sua mano.

≪ Non penso che possiamo scegliere di chi innamorarci. ≫ mormorò Izuku, chiudendo gli occhi e dietro le palpebre chiuse rivide il viso pallido di Kacchan, bagnato di rivoli d'acqua che piovevano dall'alto e gli occhi rossi sbarrati mentre la sua mano si tendeva ad afferrarlo.

Perché non aspetti mai, Deku? gli aveva chiesto e la verità era che lui non poteva permettersi di aspettare. Perché se l'avesse fatto, Kacchan l'avrebbe lasciato indietro e non poteva – proprio non poteva – accettare una cosa del genere.

≪ Non è una cosa su cui si può avere controllo. Succede e basta ≫ disse con voce soffocata, stringendo le mani fino a far guizzare una scintilla di dolore lungo i polsi tesi. ≪ Non possiamo scegliere di innamorarci più di quanto possiamo smettere di esserlo. ≫

Aveva centinaia di ricordi di Kacchan che amava e alcuni, gli erano più cari di altri, ma anche se gli avesse elencati tutti, non sarebbe bastato a spiegarle il perché amasse così tanto Kacchan.

Anche se gli avesse raccontato della prima volta che l'aveva visto piangere e tirare su con il naso o che aveva sentito il cuore mancare un battito per un suo sguardo, quando durante una missione aveva commentato per la prima volta che quella era la vittoria degna dei migliori – l'unica vittoria che loro due insieme potessero ottenere - non sarebbe stato abbastanza.

Sarebbe sempre mancato qualcosa.

Le parole giuste che dessero forma a un sentimento su cui non aveva mai avuto controllo e che aveva continuato a crescere in lui con il tempo. La capacità di esprimerlo a parole, così da renderlo chiaro a qualcuno che non avrebbe mai potuto capire, perché non provava quello che sentiva Izuku ogni volta che guardava il suo Kacchan e non avrebbe mai potuto vederlo come lo vedeva lui.

Abbassò lo sguardo e incrociò quello della ragazza seduta sul letto, al suo fianco, sentendosi stringere un nodo nel petto. Gli occhi nocciola di Ochaco erano velati di una malinconia impalpabile, un sentimento struggente che disegnava ombre scure nelle sue iridi e alterava i tratti del suo viso. ≪ Non possiamo scegliere, eh? ≫ mormorò e Izuku si chiese perché improvvisamente sembrasse che anche lei stesse pensando a qualcuno.

≪ No, non penso che funzioni così. ≫ sussurrò, accarezzandole una guancia con le nocche spaccate dal freddo. La voce bassa ridotta a un sussurro che conteneva tutta l'amarezza che era nata in lui da quando aveva visto Kacchan, avvolto dalle ombre della notte, pronunciare quelle parole con un'espressione granitica in viso.

Io non ho provato niente. ≫

≪ Ma sarebbe bello se si potesse. Sarebbe... più facile. ≫

 

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Capitolo 9
*** 9. ***


9.

Oh, this house of glass was never made to last

Got the windows stained with memories from our past

And as we drift apart, it all begins to crack

It took so long to build but all fell down so fast

( House of glass, Jon Caryl )


 

All'inizio delle vacanze estive, Ochaco aveva ricevuto l'inaspettata visita dei suoi genitori e la notizia peggiore della sua giovane vita. Tutto nello stesso momento e con nessun preavviso che l'aiutasse a prepararsi a ciò che l'aspettava.

Nell'aria calda aleggiava il profumo della salvia e il brusio degli studenti intenti a percorrere il vialetto d'accesso per tornare alle rispettive famiglie, con le valige che sussultavano accanto e gli abiti informali addosso, a sostituire le ordinate divise che avevano indossato per i mesi di scuola.

Nel finire di impacchettare le sue cose nella camera all'interno del dormitorio, Ochaco si guardò attorno con una strana nostalgia a stringere lo stomaco. Le sarebbe mancata quella stanza - ora svuotata dalle sue cose - e ancora di più, avrebbe sentito la mancanza delle notti passate in compagnia di Momo e Tsuyu a cercare di rendere lo studio più divertente o a fare nottata parlando di ragazzi e sogni nel cassetto con Mina e Toru.

Ma era anche felice all'idea di rivedere di persona i suoi genitori e poter trascorrere qualche giorno con loro, in tranquillità, prima di cominciare con il tirocinio estivo. Stava ancora sorridendo quando avvertì un movimento alle sue spalle.

≪ Ochaco? ≫

La voce di Izuku suonava dolce come sempre mentre si voltava a guardarlo, trovandolo affacciato nel vano della porta a sbirciare dentro la camera con Iida accanto. Gli occhi verdi alla luce del sole si accendevano di mille sfumature sotto l'ombra dei riccioli disordinati che gli sfioravano il viso.

A Ochaco piaceva il modo in cui mutavano tonalità a seconda della luminosità dei pensieri del suo proprietario e catturavano la luce nella stanza. ≪ Ehi, pensavo foste già andati via. ≫ li accolse, con un sorriso a cui Tenya rispose con un movimento di diniego della testa. ≪ Aspettavamo te, ma visto che tardavi a scendere... ≫ Scrollò le spalle con un mezzo sorriso sulle labbra. ≪ Pensavamo di andare tutti e tre insieme dato che questa sarà l'ultima occasione di vederci per un po' di giorni. ≫

≪ Vuoi una mano a portarle? ≫ chiese Izuku, con un sorriso gentile a curvare le labbra, accennando con la testa alle valigie disseminate per la stanza. ≪ Hai più roba di quanto non mi fossi accorto. ≫

≪ Mai quanto te, Deku. ≫ rise Ochaco, sventolando una mano in un gesto vago e un sorriso birichino a curvare le labbra. ≪ Ho visto quanti scatoloni hanno richiesto la tua collezione di action figures. ≫ replicò, facendogli la linguaccia come una bambina. Le guance lentigginose di lui si accesero di un caldo rossore, ma Ochaco non ci badò, troppo presa a chinarsi ad afferrare una delle sue valige. ≪ E comunque, non avete già le vostre da portare? ≫

La bocca le si era arricciata in una smorfia nel far strisciare sul parquet lucido il pesante borsone che aveva riempito e che non riusciva a sollevare. Era un po' vecchio e qualche cucitura aveva iniziato a cedere, perciò doveva muoverlo con cautela se sperava di riuscire a tenerlo integro almeno fino a casa dei suoi.

Forse poteva azzerarne la gravità e se avesse incontrato Aizawa, sostenere che si trattava di allenamento extra prima di lasciare lo stabilimento scolastico.

Una ruga era comparsa a segnarle lo spazio fra le sopracciglia mentre Izuku si faceva avanti, scuotendo la testa. ≪ Io ho spedito tutto ieri sera. Mi sono lasciato solo una borsa da viaggio. ≫ ammise con un sorriso, imbarazzato. Accanto a lui, Iida spuntava per la sua molle e nel sollevare la mano per sistemarsi gli occhiali, gli occhi azzurri si persero ad osservare la stanza invasa dal sole. ≪ Anche io ho già provveduto. Mia madre ha mandato dei facchini a impacchettare le mie cose per portarle a casa. Dovrebbero aver mandato qualcuno a prendermi con la macchina di famiglia per le ultime cose. ≫

Ochaco e Izuku si erano scambiati uno sguardo a quelle parole. Tenya era un bravo ragazzo e cercava sempre di non far pesare sugli altri la sua condizione di figlio di buona famiglia. Non aveva quel distacco gelido che caratterizzava Shouto Todoroki, così composto e silenzioso da rendere difficile coinvolgerlo in qualsiasi cosa e che gli conferiva un'aura da intoccabile, quasi potessero sporcargli gli abiti firmati se solo si fossero azzardati a sfiorarlo con la punta delle dita.

Non era nemmeno come Momo e la disinvolta sicurezza con cui sfoggiava la sua carta di credito o se ne usciva con frasi da alta borghesia che riuscivano a far sentire Ochaco l'ultima dei senza tetto senza che la sua amica volesse farlo.

Entrambi si muovevano come se sapessero di avere il mondo a portata di Visa e che sarebbe bastato il suono dei loro nomi di famiglia a spalancare tutte le porte, con buona pace dei comuni mortali costretti a sgobbare per ottenere qualsivoglia cosa.

Iida Tenya era diverso e Ochaco l'adorava per quella sua modestia innata, per l'impegno che metteva a conformarsi a tutti gli altri e farli sentire come non ci fosse alcuna differenza fra loro. Eppure, qualche volta anche lui si lasciava sfuggire qualcosa che ricordava loro quanto fosse diverso il mondo in cui era cresciuto dal loro.

La cosa peggiore era che Ochaco sapeva che lui non voleva farlo e ci sarebbe rimasto male se gliel'avesse fatto notare, perciò fece finta di nulla. Nel guardarlo allungare la mano per prenderle la vecchia sacca dalle mani, però, non poté fare a meno di pensare a come dovesse essere più facile la vita di un ragazzo di buona famiglia che non doveva nemmeno preoccuparsi di farsi le valige da solo rispetto alla sua.

≪ Ho pensato di tenermi libero per aiutarti, 'Chako. ≫ le disse Tenya, con un sorriso gentile che si scoprì a ricambiare senza nemmeno accorgersene. ≪ Mi rattrista pensare che avresti spostato tutta questa roba da sola. Le ragazze non dovrebbero fare certi lavori. ≫

≪ Grazie. ≫ sussurrò Ochaco, imbarazzata perché poteva benissimo spostarli anche da sola quei dannati scatoloni, non era così impedita. Izuku, alle spalle del ragazzo, scrollò le spalle come a dire "che ci vuoi fare? È fatto così." e afferrò a sua volta uno degli scatoloni sotto lo sguardo truce della ragazza. ≪ Comunque, a noi fa piacere. Specie se avessi ancora quei biscotti buonissimi che hai comprato la settimana scorsa e volessi offrircene qualcuno. ≫

≪ Ah! ≫ strillò lei, facendo sussultare i due ragazzi, gli occhi castani scintillanti di divertimento. ≪ Lo sapevo io che c'era sotto qualcosa. ≫ esclamò, soffocando a stento il sorriso che era sorto sulle labbra e allungando la mano per dare un colpetto alla schiena dell'amico. ≪ Sei un pozzo senza fondo, Izuku! ≫

≪ Sono in via di sviluppo. ≫ replicò lui, caricandosi di un'altra scatola e soffocando una risata mentre Ochaco roteava gli occhi, sotto lo sguardo divertito di Tenya che sorrideva ad entrambi con spensierata allegria. ≪ Si, certo. Come no. ≫ commentò, ironica. ≪ L'età dello sviluppo dovresti averla superata da un pezzo. ≫

Nel lasciarsi alle spalle il dormitorio con la valigia che sussultava alle proprie spalle e i due ragazzi al fianco - carichi di scatole e con le borse da viaggio a tracolla - si era sentita montare dentro una certa euforia. L'estate era alle porte e loro avevano fatto tanti progetti per trascorrerla al meglio, non vedeva l'ora di poterli realizzare. Ne avevano parlato allungo durante le notti che precedevano la chiusura della scuola, seduti sui gradini d'ingresso del dormitorio a far scoppiare i petardi o intenti ad apparecchiare una tavola sull'erba fresca per mangiare sotto le stelle.

Toru aveva scoperto un piccolo chiosco sulla spiaggia, un posticcino piacevole in cui si radunavano molti loro coetanei a fare serata e non vedeva l'ora di portarli lì. Momo sarebbe andata in Francia con la sua famiglia e Kyoka aveva una lista di concerti a cui voleva partecipare e per cui aveva già prenotato di biglietti. Ochaco le aveva dato di gomito con un sorrisino saputo sulle labbra, quando Kaminari aveva espresso il desiderio di andare insieme a lei ad alcune delle esibizioni dei suoi idoli musicali, facendola arrossire.

Anche Ochaco aveva dei progetti per l'estate.

Avrebbe fatto il tirocinio all'agenzia di Riukyu – in cui sperava di essere assunta dopo il diploma come sidekick a tempo pieno – e per il resto, si era già messa d'accordo con tutti i suoi amici per impegnare il resto delle vacanze estive.

Infondo, quello sarebbe stato il loro ultimo anno come studenti e nessuno poteva sapere dove sarebbero stati l'anno successivo.

Alcuni sarebbero riusciti a farsi assumere in città, altri forse si sarebbero trasferiti in prefetture più distanti o addirittura in un'altra regione. Qualcuno progettava già di viaggiare all'estero e collaborare con eroi stranieri. In ogni caso, il loro ultimo anno assomigliava a un limbo in cui la spensieratezza di avere ancora diciott'anni e tutta la vita davanti si mescolava alla consapevolezza che la vita adulta incombeva su di loro, con tutto il peso delle responsabilità che comportava e delle speranze disattese per un futuro che rischiava di scivolare via dalle loro mani a ogni passo.

Ochaco, forse, era l'unica a sapere già cosa questo significava e non voleva sprecare il poco tempo rimastole per lasciarsi sfuggire quegli ultimi momenti di spensieratezza che rimanevano. Per questo, era stata entusiasta di organizzarsi con tutti quanti per impegnare ogni momento libero prima di dover dire addio ai suoi amici.

Izuku voleva andare al nuovo parco dei divertimenti acquatici e quando ne aveva parlato agli altri, in piedi nella sala comune, gli scintillavano gli occhi. Almeno finché la voce aspra di Bakugou non si era alzata dalla zona dei divani alle loro spalle per commentare sprezzante. ≪ Si, certo. Così ti prende un accidente sulle montagne russe acquatiche e inizi a piangere e frignare come un poppante.

Ochaco l'aveva guardato storto come se avesse colpito lei invece che l'amico. Uno sbuffo seccato era sfuggito dalle labbra di Katsuki nel veder avvampare le guance di Izuku, dipingendo un'espressione offesa sul suo viso lentigginoso. ≪ Solo perché è successo una volta quando eravamo piccoli, non significa che... ≫ aveva provato a dire, ma la voce aspra di Katsuki aveva coperto la sua, un ghigno sprezzante a curvare la bocca e gli occhi rossi ornati di ombre scure. ≪ Lascia perdere. Se vuoi conservare un briciolo di dignità, Deku, faresti meglio a stare lontano da quei posti.

Ochaco non capiva proprio perché Bakugou Katsuki dovesse essere così insopportabile delle volte. Almeno, Shouto Todoroki era educato e si era limitato a scuotere la testa, dando una pacca affettuosa sulle spalle di Deku. ≪ Non ci pensare, Midoriya. ≫ gli aveva detto con la voce bassa e qualcosa di rassegnato in viso. ≪ Lascialo semplicemente perdere.

Bakugou gli aveva guardati con gli occhi sfiorati dalla luce dorata del lampadario, scostante e scortese come sempre. Specie con Deku. Un sorriso strafottente a curvargli la bocca mentre gli occhi verdi dell'altro lo fissavano accesi di un'intensità che Ochaco non comprendeva. La bocca arricciata in un broncio scontento di Deku si era contratta nel mormorare con voce rauca. ≪ Allora, vieni anche tu.

Ochaco aveva sussultato. Qualcuno nella stanza si era zittito. Più di uno sguardo si era posato sul ragazzo in piedi con i pugni serrati lungo i fianchi fasciati dai corti pantaloncini, gli occhi verdi fissi sul viso impenetrabile di Bakugou e sulle sue iridi rosse. ≪ Ah? ≫

Un suono aspro e basso, quasi vibrante era risalito dal fondo della gola di Bakugou che aveva socchiuso gli occhi e aggrottato le sopracciglia con un'ombra malevola a oscurare il viso. ≪ Cosa hai detto?

Deku, non credo... ≫ aveva sussurrato Ochaco, agitata, ma Deku aveva scacciato le sue parole scuotendo la testa. Gli occhi brucianti di ombre e determinazione fissi in quelli rubino di Bakugou e la voce che si sollevava per risuonare nella stanza comune, al di sopra della confusione. ≪ Ho detto: vieni anche tu. Ti dimostrerò quanto ti sbagli.

Ripensandoci ora, dopo mesi, Ochaco si rendeva conto che avrebbe dovuto capirlo già allora cosa Deku provava per quel ragazzo. Avrebbe dovuto cogliere la verità nel verde scuro dei suoi occhi e nella piega decisa delle sue labbra morbide, in quel rossore che gli affiorava sulle guance in modo quasi impercettibile.

Invece, si era limitata a guardarlo con le labbra schiuse per la sorpresa. Gli occhi castani che sbirciavano nervosi il ragazzo biondo seduto sui divani, il braccio piegato sullo schienale, gli occhi rossi socchiusi e un'ombra sul viso a rendere illeggibile la sua espressione.

Il silenzio nella stanza vibrava della tensione che emanavano i loro corpi, di quella sorta di aspettativa che lo sguardo di tutti tradiva e che si era infranto al suono rauco della voce di Bakugou. ≪ Con il cazzo che butto anche solo un'ora del mio tempo libero per sopportarti. aveva sbuffato, gli occhi rossi divampanti come fiamme nella luce dorata. ≪ È già tanto che debba vedere la tua brutta faccia sul lavoro, figurati se ho intenzione di farlo nel tempo libero.

Tutta la tensione che aveva riempito Deku si era sgonfiata al suono di quelle parole aspre. Le sue spalle avevano ceduto, piegandosi come gli angoli della sua bocca e un intenso rossore gli aveva colorato le guance mentre Bakugou storceva la bocca in una smorfia e gli voltava le spalle, sprofondando nel divano. ≪ L'unica ragione per cui ti sopporto è Endevour. Non butto all'aria l'opportunità di imparare dal migliore per una nullità come te.

Ochaco aveva sentito la rabbia divampare dentro e accendergli le guance di un intenso calore, facendogli formicolare i palmi delle mani dalla voglia di prendere a ceffoni quel ragazzo insopportabile.

Come le sarebbe piaciuto metterlo a tacere in quel modo!

Menomale che nessuno sentirà la tua mancanza, Bakugou. ≫ aveva sibilato, afferrando il braccio di Deku. I muscoli sotto le sue dita erano duri e contratti, percorsi da un lieve tremito nervoso che teneva le sue mani serrate a pugno.

Ochaco percepiva il suo silenzio come una lama che scivolava sulla pelle, carezzandola senza tagliarla, incoraggiando la sua lingua a muoversi e sputare il veleno che sentiva agitarsi nel fondo dello stomaco. ≪ Anzi, direi che saremo tutti sollevati di non doverti sopportare un minuto in più del necessario.

Se le sue parole avessero avuto il potere di ferire Bakugou Katsuki ne sarebbe stata felice. Gli sarebbe bastato vedere un tremito, il retro della sua nuca bionda che si chinava o i muscoli del collo tendersi. Qualsiasi cosa che dimostrasse come fosse riuscita a colpirlo. Ma lui si era limitato a emettere uno sbuffo che suonava quasi come una risata di scherno e a urlare il nome di Kirishima mentre si sporgeva ad afferrare il joystick sul tavolino.

Come se Ochaco non esistesse.

Come se nessuno di loro potesse in alcun modo colpirlo o interessarlo e la loro stessa esistenza fosse cessata nel momento in cui aveva voltato loro le spalle.

Si, comprendere come Deku potesse essersi innamorato di un tipo così andava oltre la sua umana comprensione. Eppure, forse nessuno di loro aveva mai avuto controllo o possibilità di scelta. Avevano solo potuto incassare il colpo e venirne travolti, accettare che la persona per cui avevano perso la testa era sbagliata per loro anche quando ogni parte dei loro corpi gridava il contrario.

Ci vengo io, se non ti dispiace.

La voce di Todoroki era pacata e controllata come sempre, gli occhi spagliati avevano cercato quelli verdi di Deku con una cauta domanda dipinta nelle iridi. ≪ Non sono mai stato in un parco dei divertimenti acquatici.

Ma come...?! ≫ aveva esclamato Deku, riscuotendosi dai suoi pensieri e voltandosi a guardare l'amico con un'espressione sbalordita dipinta sul viso arrossato, le labbra schiuse e gli occhi sgranati. ≪ Shouto a volte mi stupisci. È ovvio che voglio che tu venga, solo non pensavo che fosse il tuo genere di cose. Scusami se non te l'ho chiesto subito.

Non preoccuparti di questo. ≫ aveva risposto lui con lieve sorriso a curvare le labbra. E se in quel momento qualcuno avesse detto a Ochaco che un giorno la vista di quel sorriso sarebbe riuscito ad annodarle lo stomaco e far fremere qualcosa dentro il suo ventre, si sarebbe preoccupata di chiamare un analista che aiutasse quel folle.

Perché Shouto Todoroki era come il satellite di un pianeta lontano, qualcosa di bello e affascinante da guardare ma che brillava di una luce fredda per cui non avrebbe mai potuto provare nulla.

Avrebbe voluto che le cose restassero così, ma non era stata tanto fortunata.


 

 

Era stato sul marciapiede della scuola che Ochaco aveva rivisto i suoi genitori dopo mesi di lontananza. L'aspettavano accanto a un taxi giallo limone parcheggiato fra le lussuose limosine e le lexus luccicanti dei studenti più facoltosi dell'accademia. I visi stanchi su cui si allargava un caldo sorriso e lo sguardo che scorreva sulla folla di studenti alla sua ricerca con trepidazione.

Nel momento in cui gli aveva notati - spiccare nella folla di ricconi come girasoli in un campo di rose - aveva sentito il cuore sussultare in petto, per un misto di meraviglia e gioia. Non le importava della folla di studenti in abiti dai colori sgargianti che bloccavano il marciapiede o dello strombazzare dei clacsono, delle voci concitate ed euforiche o che i suoi genitori sembrassero stonare nel mezzo di quelle auto lussuose quasi fossero macchie di colore in un quadro dalle tonalità discrete.

≪ Siete venuti fin qui, non ci credo! Ma come...? ≫ strillò, lasciando cadere la valigia a terra per correre a gettarsi fra le braccia spalancate di suo padre. Il suo petto ampio l'aveva accolta, caldo e famigliare come sempre, lasciando che vi nascondesse il viso e vibrando di una bassa risata. ≪ Come potevamo non venire? Non vedevamo l'ora di riabbracciarti. ≫

≪ Ci sei mancata tanto, tesoro. ≫ aveva detto sua madre, accarezzandogli la sommità della nuca con un sorriso a curvarle le labbra e gli occhi nocciola scintillanti alla luce del sole. E Ochaco aveva sorriso a sua volta, avvolta nel caldo rifugio di quel petto ampio che l'aveva protetta fin da bambina, con una risata sulle labbra e gli occhi abbagliati dal sole estivo che si rifletteva sui vetri e le carrozzerie delle macchine intorno.

≪ Voi di più. ≫

Poteva sentire il battito sordo del cuore di suo padre contro l'orecchio, quel ritmo che negli anni aveva cercato per calmare l'ansia e scacciare la tristezza che a tradimento l'assalivano. Forse per questo, quando aveva reclinato la testa per guardare il viso ampio di suo padre, il suo sorriso pieno di affetto e il suo sguardo caldo e aveva scorto le profonde occhiaie sotto i suoi occhi vispi, le rughe che gli scavavano la pelle bruciata dal sole e dalle intemperie, aveva pensato a turni massacranti di duro lavoro e alla fatica del viaggio.

L'aveva turbata constatare quanto sembrasse più vecchio e stanco dell'uomo che aveva salutato solo qualche mese prima. Scorgere del grigio sulle sue tempie e nei fili della corta barba. L'ombra dell'apprensione riflesso nei suoi occhi affettuosi che la scrutavano mentre le accarezzava le guance con il pollice ruvido e calloso.

I suoi genitori erano stati entusiasti di salutare anche Deku e Iida che conoscevano sin dal primo anno di scuola, intrattenendosi a parlare con loro. Sua madre sorrideva con dolcezza a Iida mentre suo padre sistemava i bagagli sul retro del taxi con l'aiuto di Deku, parlandogli con affetto nemmeno fosse stato suo parente.

È un ragazzo così carino e ben educato. State così bene insieme. ≫ le aveva detto spesso, sua madre, nella tranquillità della loro casa, causandole una contrazione alla base dello stomaco e facendole storcere la bocca in una smorfia. Mamma!

Che c'è? Sono sposata mica cieca. Gli occhi castani di sua madre luccicavano di divertimento nel guardarla e suo padre aveva annuito con un mezzo sorriso sulle labbra. ≪ Se devo essere sincero, l'idea che un altro uomo si prenda la mia bambina non mi piace per nulla. aveva ammesso, piegando il giornale sulle ginocchia con un fruscio della carta. ≪ Ma Midoriya è un ragazzo apposto. Non mi dispiacerebbe averlo come genero.

Oh, ma io parlavo di Iida, caro. ≫ replicava sua madre, voltandosi a guardarlo con un'espressione fintamente sorpresa in volto e il suono allegro di una risata a indugiare sulle labbra schiuse. ≪ È un così bel ragazzo di buona famiglia. Sono sicura che potrebbe darti una vita serena e felice.

A Ochaco non era del tutto chiaro se scherzasse o meno, se la prendesse in giro con quelle allusioni perché erano anni che loro tre formavano una sorta di trio a parte o se si era semplicemente resa conto che c'era stato un tempo in cui Ochaco aveva provato qualcosa per quel ragazzo timido e determinato che era Deku.

Quello che sapeva era che Iida era fidanzato con una ragazza di un altro dipartimento - una storia che sembrava funzionare per quanto lei sembrasse totalmente pazza – e Deku era gay fino al midollo e la sola vista di una ragazza lo gettava nel panico più totale. Ma anche se non fosse stato così, quei sentimenti che aveva nutrito per lui erano mutato in qualcosa di diverso e ormai, quando guardava a quei due ragazzi vedeva i fratelli che avrebbe voluto avere da sempre. Qualcuno che adorava e a cui voleva bene dal profondo del cuore, ma per cui non nutritiva alcuna attrazione fisica.

Quel giorno però non c'erano scherzi o discorsi allusivi. Solo suo padre che batteva la grossa mano sulla spalla di Deku e sua madre che abbracciava entrambi i ragazzi con affetto. ≪ Grazie di prendervi cura della nostra bambina. ≫

Ochaco arrossì per l'imbarazzo, cogliendo una luce divertita nel fondo degli occhi verdi di Deku. ≪ In realtà, è lei che si prende cura di noi. ≫

≪ Bugiardo. ≫ rispose Ochaco, muovendo solo le labbra senza emettere suono e ricevendo come risposta un sorriso divertito da Deku. Si erano salutati davanti al taxi in attesa, sotto i raggi caldi del sole d'inizio di estate, ripromettendosi di chiamarsi la sera stesa e le loro strade si erano divise.

Deku e Iida si erano mescolati alla folla di studenti e genitori, diretti a casa e lei era salita sul sedile posteriore del taxi, fra i suoi genitori, conscia che l'aspettavano ancora diverse ore di viaggio prima di poter godere di una doccia rinfrescante e del suo morbido letto.

Nel momento in cui il taxi si fermò davanti a una vecchia pensione dai muri macchiati di muffa, Ochaco avvertì una sorta di presagio stringerle il petto. Guardò sua madre nel sedile accanto a lei e poi suo padre, sull'altro lato, ma nessuno dei due sollevò il viso per ricambiare il suo sguardo e cogliere la muta domanda sul suo viso.

≪ C-che cosa...? ≫ sussurrò nel caldo abitacolo, lanciando uno sguardo inquieto al viso dolce di sua madre e cogliendo le rughe profonde che lo segnavano. Era sempre apparsa così stanca e vecchia o era lei che aveva conservato un ricordo più indulgente del suo aspetto?

≪ Mamma? ≫ la chiamò con una nota incerta nella voce, la bocca secca e le mani che stringevano l'orlo dei corti pantaloncini. ≪ Che cosa sta succedendo? ≫

Un sospiro stanco sfuggì dalle labbra di suo padre che sollevò il volto per guardare dritto davanti a sé. ≪ Aiutami a portare le valigie. Ne parliamo dentro. ≫

Il cuore di Ochaco batteva rapido mentre scendeva dal veicolo e aiutava suo padre a scaricare i bagagli. Sua madre pagò il taxi. Ochaco non disse una parola nel toccare con i polpastrelli umidi di sudore l'unica valigia dei suoi genitori e i propri bagagli, così da azzerarne la gravità e renderli più semplici da trasportare.

La piccola stanza che avevano affittato era in stile tradizionale con il tatami ruvido e scheggiato, le pareti macchiate di umidità emanavano un lieve odore dolciastro e la vecchietta che diede la chiave a suo padre disse qualcosa su tubature arrugginite che richiedevano tempo per dare l'acqua. Quando la porta si chiuse alle spalle della vecchia, lasciandoli soli nell'unica stanza, Ochaco sentì l'angoscia nel suo petto pesare come un macigno che le toglieva il fiato.

Si voltò a guardare i suoi genitori, i loro visi stanchi che evitavano di sollevarsi per incrociare il suo sguardo. ≪ Siamo nei guai, vero? ≫ chiese con voce soffocata e avrebbe voluto poter cancellare il tremito che rivelava come si sentisse una bambina spaventata davanti a una montagna troppo alta da scalare. ≪ La ditta di papà... la ditta edile è di nuovo in crisi, vero? ≫

Il silenzio nella stanza era rotto solo dal fruscio delle campanelle a vento alla finestra e dal sospiro stanco che sfuggì dalla bocca di suo padre quando si lasciò cadere sul tatami, accanto a sua moglie. ≪ Siediti, Ochaco. Dobbiamo parlare. ≫

Un brivido inquieto le risalì lungo la spina dorsale a quelle parole soffocate. Non le serviva nemmeno una risposta più articolata per capire. Non era la prima volta che la ditta entrava in crisi per i costi elevati di gestione e lei e sua madre si trovavano costrette a cercare un qualche lavoro che gli permettesse di tirare avanti.

Era tutta la vita che Ochaco combatteva contro la scarsità di denaro della sua famiglia e conviveva con la consapevolezza di non potersi permettere la stessa spensieratezza delle sue amiche.

≪ Lavorerò nei cantieri con te, papà. ≫ disse con decisione, sollevando il mento come a sfidare suo padre a negarglielo. A privarla della determinazione a volerli aiutare e contribuire al loro sostentamento. ≪ Annullerò tutti gli altri impegni e dopo le ore di tirocinio verrò ad aiutarti. Anzi, rinuncerò pure a quello se è necessario. Ne verremo fuori anche stavolta. ≫

La bocca di suo padre si contrasse in una linea dura, il viso basso e un'ombra a oscurarne il viso. Sua madre non la guardò nel portarsi una mano al petto e sfiorare l'anello che aveva appeso alla catenella. L'unico ricordo che le restava di sua nonna.

I pugni lungo i fianchi di Ochaco si serrarono con tanta forza da far sbiancare le nocche, ma i suoi genitori non sollevarono il viso per guardarla nemmeno quando lei compì un passo verso di loro. ≪ Ti ho sempre detto che il mio quirk poteva esserti d'aiuto e se ti aiuto per tutta l'estate vedrai che riusciremo a rimettere in carreggiata la ditta e pagare qualsiasi debito... ≫

≪ La ditta... non c'è più. ≫

La voce di suo padre si confuse alla sua, soffocata e stanca, gravata da un'amarezza che Ochaco non gli aveva mai sentito esprimere. Eppure, il significato delle sue parole le giunse con chiarezza, causandole un dolore sordo al petto.

La ditta che suo padre aveva costruito con il suo sangue e il sudore, che si era presa tutte le sue energie, consumandolo con preoccupazioni crescenti e angosce. La ditta che era la loro unica fonte di reddito e per cui suo padre aveva combattuto, garantendo loro del cibo caldo da mangiare anche quando le bollette non pagate e le cartelle esattoriali avevano iniziato ad accumularsi... Non poteva crederci.

≪ Cosa...? Cosa significa che n-non... che non c'è più? ≫ sussurrò, trattenendo il respiro e fissando supplichevole i suoi genitori dall'alto, le mani strette a pugno che tremavano appena. Sotto il suo sguardo sua madre scosse piano la testa, gli occhi castani velati di tristezza e disillusione si sollevarono per cercare i suoi. ≪ Tuo padre ha fatto tutto il possibile per impedirlo, ma... ≫

≪ Ho fallito. ≫ concluse lui per lei, gli occhi bassi che evitavano quelli di Ochaco e le grosse mani irruvidite da anni di lavoro abbandonate sulle gambe piegate. ≪ L'unica possibilità che mi è restata è stato dichiarare fallimento. ≫

Un respiro tremulo sfuggì dalle labbra di Ochaco che si lasciò ricadere lentamente a terra. Gli occhi castani fissarono il volto ampio di suo padre su cui la luce del sole disegnava un gioco di ombre, scorgendo il velo della disperazione e della vergogna che le impediva di guardarla. ≪ Mi dispiace, Ochaco. Ho fatto tutto ciò che potevo... ci ho provato, ma le spese si accumulavano e non avevamo denaro. Nessuno era più disposto a concedermi un nuovo prestito e... ≫ Un verso strozzato risalì dalla gola di suo padre, spezzandosi sulle sue labbra tremanti. Un luccichio di lacrime gli inumidì le corte ciglia. ≪ Vi ho deluse. Mi dispiace. Vi ho deluse entrambe. ≫

≪ Non dire così. ≫ sussurrò sua moglie, voltandosi a guardarlo con un'ombra a scurire gli occhi castani e la bocca serrata in una linea decisa. ≪ Hai fatto tutto ciò che potevi. ≫

≪ Okay. ≫ mormorò Ochaco, passandosi una mano sul viso con la sensazione di avere un macigno a schiacciarle il petto e renderle difficile respirare. ≪ Okay, possiamo ricominciare. Anche senza la ditta. ≫

Sul viso di sua madre l'angoscia scavava solchi profondi. Suo padre tacque, la testa china e gli occhi fissi sui palmi ruvidi delle sue mani. Il senso di oppressione che serrava il petto di Ochaco sembrò accentuarsi davanti a quel silenzio rassegnato, al loro rifiuto a reagire o fingere una rassicurazione di cui aveva bisogno.

≪ Ci sarà qualcuno disposto ad assumerti nonostante l'età. ≫ disse a suo padre, poggiando le mani sul tatami scheggiato e sporgendosi verso di lui, con gli occhi castani che cercavano disperatamente di incrociare quelli di lui e leggervi una rassicurazione che non poteva dargli.

≪ I soldi che ho mandato a mamma il mese scorso grazie al tirocinio? ≫ domandò con un tremito nella voce e un velo d'ansia. ≪ Possiamo usarli anche tutti. So che non sono molti però... ≫ Scosse la testa e le corte ciocche castane dei suoi capelli gli sfiorarono le guance pallide.

Si rendeva conto anche da sola che non stava pensando con lucidità e che la ridicola somma guadagnata dal suo tirocinio era già stata spesa. Eppure, doveva fare qualcosa. Doveva esserci qualcosa che potesse fare per i suoi genitori.

≪ Posso chiedere un anticipo su quelli del prossimo mese. Si, in qualche modo ce la caveremo. ≫ Il suo viso si accese di una flebile speranza nel voltarsi verso sua madre con quell'idea in testa e cercare il suo appoggio.

Ryukyu avrebbe capito se gliel'avesse spiegato, forse avrebbe accettato di darle più turni retribuiti e anche se per un po' avrebbero dovuto tirare la cinghia, se la sarebbero cavata. Come sempre. Come avevano sempre fatto.

≪ Ochaco, tu non capisci. ≫ le disse suo padre con una nota dura nella voce bassa che la ferì, perché non le aveva mai parlato in quel modo prima. ≪ Spiegami, allora. Cosa c'è che non capisco? ≫

La bocca di suo padre si serrò in una linea dura prima di schiudersi in un sospiro stanco. ≪ Io lo so che tu vuoi essermi d'aiuto. Sei una brava bambina e hai sempre cercato di aiutare me e la mamma mandandoci quel poco che potevi, ma questa volta è diverso. ≫

La mano che poggiava contro la coscia si contrasse, chiudendosi a pugno. Sua madre la coprì con la propria, stringendola forte come se così facendo potesse evitare di venir travolta dalla realtà della situazione in cui si trovavano. ≪ Ochaco con la ditta abbiamo perso tutto. ≫

≪ La nostra casa... ≫ mormorò suo padre, serrando gli occhi e lacrime di rabbia caddero a bagnare il dorso della mano di sua moglie che stringeva la sua. ≪ La possibilità di darti un futuro. Noi... mi dispiace, non possiamo. ≫

In quel momento, Ochaco avvertì nell'aria il rumore che fanno le cose quando si rompono. Il suono dei suoi sogni e delle speranze coltivate, delle ore e dei giorni sacrificati per esaudirli, per renderli un po' più reali e tangibili. Tutte le energie impiegate in quel solo compito, l'impegno messo nel realizzarlo, che in un solo istante venivano vanificati dal suono della voce rauca di suo padre che sussurrava. ≪ Non possiamo pagare i debiti rimasti e... nemmeno la retta della Yuei. ≫

Tutti quegli anni sacrificati a studiare senza sosta quel paragrafo che non le entrava in testa solo per superare un esame. I lividi che si era fatta, la nausea per aver usato troppo il suo quirk, perfino il dolore degli arti e delle ossa rotte ricompensato solo dal sorriso di un estraneo. Dalla consapevolezza di aver fatto la differenza per qualcuno. Dalla speranza che un giorno sarebbe diventata un'eroina capace di salvare qualcuno e di poter dare a sé stessa e ai suoi genitori quella sicurezza economica che non avevano mai avuto.

≪ La nonna ha accettato di ospitarci a casa sua per un breve periodo e aiutarci a rimetterci in piedi. ≫ La voce di sua madre suonava alle orecchie di Ochaco distante come provenisse da molto lontano, mille e mille leghe sotto un mare di gelida insensibilità. ≪ Vorremo che venissi con noi dal momento che... non possiamo più mantenere i costi dello Yuei. ≫

Tutta quella fatica e il duro lavoro, pensò con amarezza Ochaco fissando senza vederli davvero i visi dei suoi genitori. Tutto ciò che aveva sognato e per cui si era impegnata al punto da passare intere notti in bianco, angosciandosi per una verifica, combattendo la frustrazione per non essere all'altezza e la paura di fallire.

Tutto andò in frantumi come vetro al suolo e Ochaco seppe come si sentiva suo padre a vedere la sua vita spazzata via da un unico, disgraziato, evento.

≪ No. ≫ sussurrò con un filo di voce, appena udibile nella stanza spoglia. Ma era un rifiuto inutile che non aveva il potere di cambiare nulla. La supplica di una bambina che non poteva accettare la verità delle cose e che poteva solo sentire il sapore amaro delle lacrime infondo alla gola risalire a pungerle gli occhi e toglierle il fiato.

≪ Un anno. ≫ sussurrò con voce impastata e qualcosa nel suo petto si contrasse, causandole un dolore sordo. Per la prima volta in vita sua, provò così tanta rabbia da voler spaccare qualcosa con le proprie mani. Afferrare qualcosa e fracassarla a terra. Urlare fino a graffiarsi la gola e liberarsi del senso di frustrazione che le chiudeva la gola perché c'era così vicina.

Vicina a realizzare i suoi sogni. Vicina a raggiungere l'indipendenza e costruire quella sicurezza di cui aveva sempre sentito la mancanza. Vicina a vedere tutti i suoi sforzi e i sacrifici dare finalmente indietro i loro frutti.

≪ Manca solo un anno e sarò un'eroina. ≫ sussurrò e lacrime amare caddero a rigarle le guance piene mentre le labbra le tremarono. I suoi genitori non la guardarono. Non la guardavano mai quando parlavano di soldi, quando litigavano per le bollette che non potevano pagare, per i vestiti che non potevano comprare o le scarpe consumate che non potevano sostituire.

Non la guardavano mai mentre li ascoltava urlare, accovacciata in un angolo della stanza come un'ombra fra le tante. Un oggetto inanimato che assisteva impotente alle loro decisioni e sorrideva come se non le importasse di dover rinunciare a quella gita a cui tutti gli altri sarebbero andati, al cinema il sabato sera o a quel maglioncino che voleva. Fingendo che non le facesse male essere costretta a imporsi di non desiderare più di quel che si potessero permettere ed essere la brava bambina di cui i suoi genitori avevano bisogno.

Quella che avrebbe compreso anche se era troppo giovane per capire. Quella che avrebbe trovato il lato positivo e sfoggiato un sorriso allegro anche se voleva solo piangere e urlare. Perché non era colpa dei suoi genitori se non potevano darle di più. Era la vita ad essere ingiusta e questo Ochaco l'aveva sempre saputo.

Era la vita ad essere crudele.

Eppure, anche se l'aveva sempre saputo non riuscì a trovare la forza per sorridere e consolare i suoi genitori. Per dire loro che andava bene e non importava. Che non era colpa loro se le cose erano andate così e che anche se le faceva male il petto, anche se sentiva la rabbia ribollirle dentro, gli voleva bene come sempre.

Per la prima volta in vita sua, Ochaco aveva scoperto di non riuscire a trovare la forza di essere coraggiosa per sé stessa e le persone che amava ed era fuggita da quella stanza che puzzava di muffa, con le lacrime che le bagnavano il viso e la gola serrata in una morsa. Ignorando le voci dei suoi genitori che la chiamavano, i passi concitati che cercavano di seguirla e lo stesso battito forsennato del suo cuore che sentiva pulsava fin dentro le tempie.

Aveva vagato per strade che non riconosceva, senza sapere dove andare - senza avere alcun posto dove andare – finché le lacrime che le rigavano il viso si erano asciugate all'aria calda del tardo pomeriggio e i singhiozzi che la scuotevano si erano trasformati in un lieve tremito spossato.

Non aveva con sé né il cellulare né il portafoglio, ma non c'era un solo nome nella sua mente che desiderasse chiamare. Nessuno con cui volesse confidarsi o che volesse la vedesse in quello stato. Aveva così tanti amici a cui avrebbe potuto rivolgersi e non si era mai sentita più sola di così.

Nel sollevare lo sguardo sull'ingresso della stazione si chiese cosa sarebbe successo se fosse semplicemente scomparsa nel nulla. Se fosse fuggita e avesse fatto perdere le sue tracce. Forse esisteva un qualche posto nel mondo in cui avrebbe potuto ricominciare e avere la vita che aveva sempre sognato.

Ma già mentre lo pensava sapeva che non l'avrebbe fatto. I legami che la trattenevano erano troppo saldi e forti per permetterle di scappare e non esisteva posto al mondo in cui avrebbe potuto nascondersi da sé stessa.

Aveva vagato finché la luce del sole non si era fatta aranciata e le gambe non erano diventate pensanti. Le facevano male i piedi e il quartiere in cui era finita aveva strade strette e acciottolate che si erpicavano su una collina boscosa. Attraverso le fronde verdeggianti e la pietra modellata si scorgevano le fattezze di un antico tempio shintoista verso cui si dirigevano diverse persone.

L'odore di cibo caldo indugiava nell'aria, fra le vetrine illuminate di prodotti tradizionali e negozi di souvenir, e le fece brontolare lo stomaco. Alcuni mettevano in mostra campanelle a vento e altri manufatti tradizionali che attiravano turisti e altri curiosi, suonando una melodia fatta di note cristalline e tintinnì nell'aria calda.

Qualcuno le passò accanto e la superò, sfiorandole la spalla e chiamò con una nota di stupore nella voce bassa al di sopra del lieve brusio. Ochaco passò accanto a un muretto ricoperto di muschio su cui riposava un grosso gatto nero e un ristorante ghermito da una lunga coda di clienti in attesa, senza fare caso alle persone che le camminavano intorno.

Il giorno stava volgendo al termine, il sole tramontava oltre l'orizzonte e lei era stanca. C'era un'atmosfera tranquilla in quelle vie ancorate al passato, una sorta di pacifica serenità che la spingeva a continuare a vagare senza meta. Qualcuno la chiamò per nome, ma non ci fece caso e passò oltre, solo per bloccarsi nel mezzo della via quando una mano le afferrò il braccio nudo, trattenendola.

Si voltò lentamente a guardarsi indietro, la fronte corrugata e gli occhi castani che si sollevavano stanchi a fissare le iridi spagliate sotto l'ombra della frangia leggera che gli sfiorava il bel viso impenetrabile. La luce del sole morente accendeva il rosso dei suoi capelli di mille riflessi e disegnava una sfumatura rosata sul candore delle ciocche che ricadevano a sfiorare l'occhio grigio, spalancato insieme a quello azzurro a fissarla.

≪ Stai bene, Uraraka? ≫ le chiese con una nota incerta nella voce pacata e in quella luce crepuscolare, la cicatrice che deturpava la sua pelle sembrava più rossa e infiammata del solito. ≪ Non mi hai sentito chiamarti quando mi sei passata accanto? ≫

Ochaco non rispose, la bocca morbida socchiusa per la confusione crescente nel trovarsi davanti quel viso famigliare e inatteso. La mano di lui era fresca sulla sua pelle accaldata. L'aveva afferrata con quella destra e le lunghe dita eleganti chiudevano l'avambraccio quasi racchiudendolo del tutto. Le aveva fatto uno strano effetto vedere da così vicino la cicatrice che gli circondava l'occhio azzurro e realizzare che per quanto fosse orrenda, non riuscisse a cancellare del tutto la bellezza del suo volto.

Il respiro le morì sulle labbra in un sospiro stanco. Todoroki la guardò dall'alto, sbattendo le palpebre nello studiare con maggiore attenzione il suo viso e cogliere il rossore degli occhi, i segni delle lacrime che le segnavano le guance arrossate e qualcosa nell'espressione del suo viso fece balenare nel fondo delle sue iridi diverse un lampo di stupore.

≪ Cosa ti è successo? ≫ le domandò con voce soffocata e i tratti eleganti del suo viso si ammorbidirono nel chinare la testa di lato per osservarla meglio. Ciocche candide come neve al sole e rosse come fiamme ondeggiarono nell'aria calda, mescolandosi. ≪ Hai l'aria di aver pianto un bel po'. ≫

Ochaco non aveva intenzione di dirgli nulla, ma le parole corsero sulle sue labbra con le lacrime che salivano a riempirle gli occhi. ≪ Io... non lo so. ≫ sussurrò con un filo di voce e il respiro le si spezzò sulle labbra in un verso strozzato. Una lacrima cadde dalle lunghe ciglia percorrendole la guancia arrossata. ≪ È finito tutto e non so dove sono né come aggiustare le cose. Non so... cosa devo fare. ≫

Todoroki sbatté le palpebre un'unica volta, fissandola con i grandi occhi sbarrati. Nel suo bel viso inespressivo, confusione e stupore disegnarono una ruga nello spazio fra le sottili sopracciglia di due colori diversi e conferivano una nuova morbidezza ai tratti eleganti. ≪ Di cosa stai parlando? ≫

Ochaco scosse piano la testa, distogliendo lo sguardo dal suo con le labbra che le tremavano. Sollevò la mano libera per strofinarsi la guancia umida di lacrime e chiuse gli occhi, cercando di recuperare un briciolo di lucidità. Cosa stava facendo nel mezzo di un quartiere sconosciuto a piangersi addosso? Sarebbe dovuto essere a casa, dai suoi genitori, a dire loro che andava tutto bene.

Una fitta le attraversò il petto nel ricordare che una casa non ce l'aveva più. Era andata persa insieme alla ditta di suo padre, insieme al suo futuro e a quelle poche certezze che avesse mai avuto. ≪ Io... non lo so. ≫ mormorò, riaprendo gli occhi e incrociando quelli di lui che la fissavano con crescente preoccupazione.

In un'altra occasione, avrebbe trovato l'espressione di lui buffa. In tre anni che lo conosceva non l'aveva mai guardata così.

≪ Scusa, Todoroki, n-non so che cosa sto dicendo. ≫ Un angolo della bocca si tese con un tremito in una parvenza di sorriso. ≪ N-non farci caso, per favore. ≫

Avrebbe dovuto tornare dai suoi genitori, in quella stanza sconosciuta, a rassicurarli. Avrebbe dovuto salutare quel ragazzo e tornare indietro. Ma i piedi non ne volevano sapere di muoversi e nel liberare il braccio dalla sua stretta e sforzarsi di accennare un sorriso convincente, la voce e le labbra le tremarono. ≪ Credo di essere un poco confusa. Sono ore che vago e non so dove sono né come ci sono arrivata. Scusami se non ti ho salutato subito. ≫

Todoroki la guardò per un'istante ancora con preoccupazione, la mano destra sospesa nello spazio fra loro, prima che il suo viso si chiudesse come una porta, tornando a celarle la natura dei suoi pensieri. ≪ No... scusami tu. Non volevo importunarti, mi è solo sembrato strano il tuo comportamento. ≫ mormorò con voce pacata, allacciando il pollice destro alla tasca dei jeans e accennando un sorriso cortese. ≪ Mi stupiva il fatto che mi fossi passata accanto senza nemmeno ricambiare il saluto. Non è da te ignorare qualcuno. ≫

Ochaco scrollò le spalle. ≪ Io... non ti avevo notato. ≫ ammise e una risata un poco stridula le sfuggì dalle labbra. ≪ Assurdo, vero? Devo essere l'unica ragazza che non nota Todoroki Shouto mentre se ne va a spasso come qualsiasi altra persona normale al mondo. ≫

≪ Cosa vorresti dire? ≫

La domanda la spiazzò o forse fu la sincera confusione che balenò per il tempo di un battito di ciglia sul viso di lui, la nota tagliente nella sua voce controllata che la fece incespicare nelle parole e nei suoi stessi pensieri. ≪ Nulla, solo che... non è facile non accorgersi di te, ma ero così confusa che non mi sono nemmeno resa conto che mi avessi chiamato o che mi fossi passato accanto. ≫

La luce del tramonto conferiva una sfumatura rosata alla sua pelle chiara, proiettando l'ombra del colletto della camicia sulla clavicola marcata. Il dolce tintinnio delle campanelle a vento risuonava nell'aria. Un sopracciglio ramato si inarcò verso l'alto mentre lei si passava una mano fra i capelli castani, spingendoli indietro. ≪ Non so dove ho la testa. ≫

≪ Sei sicura di stare bene, Uraraka? ≫ le domandò, scrutandola con gli occhi diversi che la luce crepuscolare riempiva di ombre mutevoli. C'era qualcosa nella sua voce, nel modo in cui gli parlava che le suonava strano, quasi stesse cercando di avvicinare un gattino spaventato senza farlo scappare. ≪ Se vuoi posso accompagnarti alla stazione più vicina. È facile perdere l'orientamento fra queste stradine tutte uguali. ≫

Ochaco si trovò a guardarlo senza riuscire ad arginare il pianto che cercava di risalirle dal fondo della gola, gli occhi castani lucidi di lacrime e le labbra tremanti che si sforzavano di tendersi in un sorriso. ≪ Io... si, grazie. No, anzi. No. ≫

Scosse la testa, sfiorando il labbro inferiore con i polpastrelli e la voce le uscì inclinata nell'aria calda della sera. ≪ Non ho nemmeno il portafoglio o il cellulare. Sono uscita senza prenderli e oddio, i miei devono essere in pensiero. Staranno impazzendo dalla preoccupazione. D-devo tornare subito. Scusami, Todoroki. ≫

Si voltò di scatto, incespicando con i sandali sulle lisce pietre, gli occhi castani che scivolavano sulle vetrine dei negozi intorno e i bassi muretti ricoperti di muschio senza nemmeno sapere da che parte dovesse andare. Il suo stomaco brontolò, solleticato dall'odore di cibo caldo che indugiava nell'aria tiepida.

I lampioni si accesero con uno sfarfallio mescolandosi alla luce del tramonto e delineando le ombre dei passanti sui ciottoli piatti. La mano sinistra di Todoroki le afferrò la spalla, trattenendola. ≪ Aspetta. ≫

Ochaco si voltò lentamente a guardarlo, gli occhi castani socchiusi nella luce crepuscolare e le lunghe ciocche castane dei capelli a sfiorarle il viso. Nell'aria le campanelle a vento formavano una melodia fatta di tintinnì e note cristalline che si confusero con la voce sommessa di lui. ≪ Ti andrebbe di bere qualcosa insieme a me? ≫

La luce del crepuscolo disegnava ombre scure sul viso elegante di lui, le lunghe dita callose premettero sulla pelle accaldata di lei, attraverso il cottone leggero della canottiera, fino ad avvertire le ossa sottili al di sotto. ≪ Possiamo andarci a sedere da qualche parte e chiamare i tuoi con il mio cellulare per rassicurarli che stai bene. ≫

≪ Io... ≫ sussurrò incerta lei, arricciando le labbra umide in una smorfia petulante e fissando la mano di lui sulla propria spalla. Non riusciva a ricordare se si fossero mai anche solo sfiorati prima di quel momento e lo conosceva da tre anni buoni.

Todoroki però non ritrasse la mano, gli occhi spagliati che la fissavano da sotto l'ombra delle lunghe ciglia senza lasciar intravedere nemmeno la sagoma dei suoi pensieri. ≪ Sai, avrei dovuto incontrarmi con mio fratello Natsuo e la sua ragazza per cenare insieme a loro, ma mi hanno dato buca all'ultimo e mi farebbe davvero piacere se mi facessi compagnia. ≫. Un lieve sorriso fece capolino sul viso elegante di lui, delicato e candido come quello di un bambino e altrettanto timido. ≪ Detesto cenare da solo. ≫

Anche a distanza di mesi Ochaco non era sicura di sapere che cosa la spinse ad annuire e mormorare un debole ≪ Okay. ≫ con le labbra tremanti e le ciglia umide di lacrime non versate. Lasciare che lui la guidasse lungo la via invasa di turisti e luci dorate, con la mano tiepida che nel ricadere lungo il fianco le sfiorò la scapola nuda al di sopra della cucitura della canottiera.

Lei e Todoroki non erano nemmeno amici, solo due compagni di classe che condividevano alcune amicizie in comune. Lui era molto legato a Deku e Momo era perdutamente innamorata di lui fin dal primo anno. Ochaco era la migliore amica di entrambi, conosceva le storie su di lui, il modo in cui appariva ai loro occhi e non le stava nemmeno tanto simpatico. Eppure, si trovò a camminargli accanto nella luce della sera in un silenzio rotto solo dal dolce tintinnare delle campanelle a vento.

 

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Capitolo 10
*** 10 ***


10.

Le ci volle un po' per calmarsi abbastanza da riuscire a riprendere il controllo su sé stessa e asciugarsi gli occhi stanchi dal velo di lacrime che continuavano ad affiorare a tradimento. ≪ Grazie. ≫ sussurrò, stringendo nella mano il fazzoletto di stoffa che lui le aveva ceduto. ≪ Giuro che te lo restituirò quantomeno lavato. ≫

Nella luce crepuscolare, Ochaco osservò le coppie che risalivano la strada acciottolata tenendosi per mano e i piccoli gruppi di amici che scendevano alla spicciolata, fermandosi di tanto in tanto ad ammirare una vetrina luccicante o a sbirciare dentro qualche ristorante. Non le sfuggì il guizzo di una contrazione all'angolo della bocca di Todoroki, il suo sguardo discreto che l'osservava con la coda dell'occhio azzurro.

≪ Se insisti... ≫ mormorò, saltando giù dal muretto in cui sedevano insieme e rimettersi in piedi con la grazia disinvolta di un felino. Ochaco lo guardò dall'alto, le caviglie incrociate e il profumo delle felci che le sfioravano le braccia nude a riempirle il petto, voltarsi e tendere le mani come un principe che si protendeva ad aiutare una ragazzina delicata a scendere. ≪ Ma te l'ho detto che non è necessario. Mi basta che resti a farmi compagnia durante la cena. ≫

La bocca le si schiuse senza volere per la sorpresa. Nessun sorriso ammorbidiva la linea dura della sua bocca - lui non sorrideva mai, non davvero – e forse questo contribuiva a creare quell'aria impenetrabile intorno a lui, a dipingerlo come il tragico principe di una favola o lo stronzo snob che li guardava tutti senza emozione.

Il ragazzo di cui la sua migliore amica era innamorata ormai da anni senza successo.

Ochaco balzò giù dal muretto senza aspettare il suo aiuto e ruotò sulla punta dei piedi per voltarsi a guardarlo con il mento sollevato, come una bambina dispettosa che aveva appena reclamato la sua indipendenza. ≪ Se insisti... Hai già idea di dove andare o scelgo io? ≫

Lui la guardò imperscrutabile, abbassando lentamente le mani lungo i fianchi e agganciando il pollice alla tasca dei jeans. ≪ Conosco un posto. ≫ disse solo, con quella sua voce pacata che si mescolava al delicato tintinnare delle campanelle a vento nell'aria.

Sotto la frangia dei capelli che catturavano la luce dei lampioni, un lampo attraversò i suoi occhi spagliati. Un motto di irritazione, una spaccatura nella sua aria impenetrabile, che disegnò un sorriso sul viso Ochaco. ≪ Sai, Todoroki, realizzo solo ora che non ho davvero idea di quali siano i tuoi gusti. ≫

Il guizzo dell'angolo sinistro della sua bocca subito soffocato non poteva essere frutto della sua immaginazione. Non più dell'ombra che cadde a oscurare il viso di porcellana di lui quando reclinò la testa di lato e le disse ≪ Non ti resta che seguirmi per scoprirlo. ≫

Parole che suonavano quasi come una sfida o un tentativo di ripristinare la distanza che era venuta meno nell'ultimo quarto d'ora passato a singhiozzare dentro il suo fazzoletto mentre lui le dava goffi colpetti sulla schiena per calmarla.

Chi l'avrebbe mai detto che il promettente Shouto Todoroki, figlio di un grande eroe, erede di una facoltosa famiglia e speranza del mondo degli eroi, fosse goffo e incapace quanto un bambino a consolare qualcun altro?

La rivelazione aveva del confortante in modo quasi meschino. Eppure, non servì a farla sentire meglio. Ochaco lo seguì lungo la via acciottolata, guardandolo con la coda dell'occhio camminargli accanto. Il silenzio che scese fra loro era imbarazzante e si stese senza che nessuno dei due riuscisse a trovare modo di spezzarlo.

Non era mai stata tanto tempo da sola con Todoroki e nel camminare sotto il cielo crepuscolare fra le luci dorate delle vetrine e il tintinnare delle campanelle al vento, gli sembrò surreale trovarsi accanto a lui in quel posto sconosciuto e così fortemente ancorato a un passato lontano.

Ma Todoroki non le stava facendo alcuna domanda ed aveva avuto la gentilezza di fingere di non vedere le sue guance arrossate e gli occhi lucidi, di adeguare il passo a quello stanco e strascicato di Ochaco, camminandole accanto lungo la via acciottolata senza toccarla. Senza sapere che così facendo le stava risparmiando la fatica di fingere che tutto andasse bene e sfoggiare un sorriso allegro che celasse l'amarezza che covava nel suo petto.

I pensieri si rincorrevano nella sua mente, risuonando al suono delle campanelle al vento. Todoroki le sfiorò la schiena con la mano tiepida e l'accompagnò dentro un ristorante tradizionale di sua conoscenza, fra le pareti in legno spoglio sfiorate dalla luce soffusa che filtrava dalla carta di riso e i separé dipinti di immagini suggestive di venti e acque vorticanti intorno a figure divine avvolte in pregiati kimoni.

≪ Benvenuti nel nostro ristorante. ≫ disse loro una giovane cameriera, accogliendoli all'ingresso avvolta in un kimono elegante dipinto con un motivo di fuochi d'artificio che si dispiegavano come tanti fiori vermigli in un cielo notturno. ≪ Prego da questa parte. ≫

Todoroki si limitò a un cenno affermativo della testa e a un ringraziamento mormorato cortesemente. Ochaco lo seguì in silenzio, guardandosi attorno e stringendosi le braccia a petto, a disaggio per l'inadeguatezza dei vestiti che indossava. Un semplice paio di short e una canottiera giallo paglierino che mal si intonava all'austera solennità dei bassi tavoli e ai rami di ciliegio che affioravano dai vasi di ceramica.

Nell'aria indugiava l'odore di cibo caldo e il vociare allegro della clientela che affollava il locale. Alcuni avevano l'aria di essere turisti provenienti da altri paesi, i tratti occidentali fortemente esotici agli occhi di una ragazza che non aveva mai valicato i confini della provincia in cui era nata. Gli abiti alla moda che si rivestivano di ombre alla luce soffusa.

La giovane donna in kimono li guidò fino a un tavolo vuoto, chiuso fra una parete e due separé in legno e carta di riso dipinta che ritraevano una scia di stelle che si stendeva come un fiume scintillante di luce fra le figure solitarie di una donna e un uomo che si rivolgevano l'uno all'altro con aria malinconica.

A Ochaco servì qualche secondo per riconoscere il soggetto antico di quel dipinto e la storia ad essa legata: Orihime e Hikoboshi. I due innamorati condannati a vivere sulle sponde opposte della via lattea e incontrarsi una sola volta all'anno, nella settima notte del settimo mese.

Nel sedersi sui morbidi cuscini nella luce soffusa del locale, cercò invano qualcosa da dire al ragazzo che prendeva posto davanti a lei. Lo guardò allungare la mano candida verso il menù e aprirlo con disinvoltura, le lisce ciocche dei capelli che cadevano a coprire la metà superiore del suo viso e le dita che sfioravano le pagine plastificate, sfogliandole.

≪ Io... ti restituirò la mia parte per la cena. ≫ mormorò con voce incerta, agitandosi sul cuscino e una vocina maligna nella sua testa prese a ridere di lei. "E come? Non hai un soldo. I tuoi sono in bancarotta. Questo ragazzo è il rampollo di una delle famiglie più facoltose della città, non ha alcun bisogno dei tuoi spiccioli."

Todoroki sollevò il viso quel tanto necessario per guardarla con quegli occhi diversi come il cielo d'estate e quello d'inverno, così particolari da essere affascinanti. La voce bassa e controllata che non lasciava trasparire alcuna emozione. ≪ Non serve. Sei mia ospite stasera. ≫

≪ Sei gentile... ≫ mormorò Ochaco, nascondendo le mani sotto il tavolo e premendo le dita sudate sulle cosce nude. Si accorse subito dell'errore commesso, perché il suo corpo, privato della gravità iniziò a sollevarsi da terra e lei dovette affrettarsi ad afferrare il bordo del tavolo per non volare fino al soffitto.

Un colpo sordo risuonò nell'aria quando riuscì a congiungere le dita e ricadde sul cuscino con il viso in fiamme per la vergogna. Urtò con il ginocchio contro il legno duro del tavolo e un dolore cocente le strappò un gemito sordo dalle labbra.

Era davvero così nervosa da aver appena attivato il suo potere senza volerlo ed essersi resa ridicola in un luogo pubblico? Si massaggiò il ginocchio dolorante benedicendo fra i denti i separé che l'avevano protetta dagli sguardi distratti e casuali degli altri clienti.

Dall'altra parte del tavolo, Todoroki la guardava con gli occhi sbarrati e la bocca schiusa per lo stupore. Ochaco gli lanciò un'occhiata inquieta e le labbra le tremarono. ≪ Io... ≫

Il suono di uno sbuffo l'interruppe. Pochi centimetri. Si era sollevata per meno di una ventina di centimetri ma fu comunque umiliante e sconcertante vedere Shouto Todoroki portarsi la mano alla bocca, il corpo scosso da lievi tremori, e chinare il capo per celarle l'espressione del suo viso.

≪ Non è affatto divertente! ≫ sbottò indispettita, Ochaco, ispirando bruscamente e trattenendo l'aria nelle guance. Un bruttissimo vizio che aveva da quando era piccola e che fece ridacchiare Todoroki come un ragazzino, l'occhio azzurro e quello grigio scintillanti di malizia. ≪ Si che lo è. Bakugou direbbe che sembri uno scoiatolo con le guance piene di noci. ≫

≪ Io non sono uno scoiatolo. ≫ replicò sprezzante lei, arricciando le labbra in una smorfia irritata e incrociando le braccia sotto il seno. ≪ E Bakugou non direbbe mai qualcosa del genere. ≫

Avrebbe detto qualcosa di peggio. Quello sì. Avrebbe riso fino alle lacrime di lei, paragonandola a qualcosa di spiacevole, ma Todoroki? Non era mai stato il tipo da ridere degli altri. Eppure, c'era l'ombra di un sorriso sul suo viso ad ammorbidire i tratti perfetti e far scintillare i suoi occhi. ≪ Hai ragione. Probabilmente direbbe di peggio. ≫

Suo malgrado, Ochaco avvertì un piccolo sorriso fare capolino sulle labbra. ≪ Certo che direbbe di peggio. Direbbe che sembro un pokémon ≫ borbottò, scuotendo la testa e sottili ciocche castane le sfiorarono le guance arrossate. ≪ Ma pensavo che tu fossi un pochino meglio di quel troglodita. Che almeno non mi avresti preso in giro. ≫

Un'espressione confusa comparve sul volto di Shouto, il suo sorriso svanì e la sua voce suonò più bassa del solito. Un sussurro incerto come quello di un bambino timoroso di venir sgridato per una domanda sciocca che non aveva saputo trattenere. ≪ Cos'è un pokémon? ≫

E improvvisamente, nel guardarlo Ochaco capì cosa intendeva Deku quando le aveva detto che Shouto Todoroki non era affatto quello che la maggior parte della gente si aspettava.

C'era qualcosa di infantile nel suo stupore, nel modo in cui sbatté le ciglia osservandola nella luce tenue del locale e schiuse le labbra come se volesse rimangiarsi quella domanda. Qualcosa che mitigava quell'aria di gelida superiorità che sfoggiava in classe e lo faceva sembrare giovane e spaesato.

Qualcuno di completamente diverso da ciò che aveva sempre supposto fosse.

Ochaco non sapeva cosa avrebbe potuto dire se la cameriera non fosse sgusciata davanti al loro tavolo in quel momento. ≪ I signori vogliono ordinare? ≫ domandò con voce piacevole e un inchino discreto.

Sembrava venuta fuori da un'altra epoca, con le sue movenze misurate ed eleganti, la sua voce soave e quel kimono pregiato che costituiva la divisa delle cameriere. Solo gli occhi vispi e il filo di rossetto cremisi sulle labbra la tradivano per la donna di epoca moderna che era. La sua presenza permise a Todoroki di recuperare la sua solita espressione impenetrabile, cancellando qualsiasi confusione o vulnerabilità dal suo viso.

A Ochaco quasi dispiacque vederlo tornare distante e pensieroso, sfogliare con le dita il menù e ordinare la cena per entrambi. Sollevò lo sguardo solo una volta, quando lei cambiò l'ordinazione che aveva fatto per lei con un piatto di ravioli al vapore e polpette di riso e granchio. Si rifiutava di essere un ospite che lo faceva pagare troppo e poi, non aveva mai sopportato i ragazzi che si sentivano in diritto di imporle le loro scelte e decidere per lei.

Todoroki non protestò, limitandosi a restituire il menù e scostare con una mano le soffici ciocche vermiglie che erano cadute a ombreggiargli l'occhio azzurro. La luce delle lampade accendeva mille riflessi violacei sul rosso dei suoi capelli e faceva scintillare le ciocche bianche come neve al sole. Il colletto della camicia metteva in risalto le spalle muscolose e i muscoli tesi del collo, creando un certo contrasto con il candore della pelle che faceva apparire la cicatrice intorno all'occhio azzurro ancora più rossa e disturbante.

Dopo tanti anni avrebbe dovuto essersi abituata alla sua vista, ma all'orrore non ci si abituava mai. Non davvero. Non riusciva a immaginare come dovesse essere portare quel segno addosso ed essere costretto a vederlo ogni giorno della propria vita.

Distolse lo sguardo a disaggio, quasi spaventata dall'idea che lui potesse leggergli in volto la natura dei suoi pensieri con quei suoi occhi penetranti, e il suo sguardo si posò sul quadro dipinto sulla spessa carta di riso.

Una fanciulla avvolta in vesti voluminose volgeva il viso malinconico verso l'uomo che desiderava, intrappolato dall'altra parte del fiume che impediva ad entrambi di raggiungersi e realizzare il loro sogno. C'era qualcosa di struggente nelle linee dei loro corpi, nel modo in cui l'artista aveva tracciato le sfumature tenui dei loro volti e delle vesti, dando forma alla scena di una leggenda persa nel tempo più che a qualcosa di reale che si potesse afferrare con la mente.

Ochaco fissò con amarezza il fiume scintillante di stelle che si stendeva invalicabile fra i due amanti e le loro figure ammantate di malinconia, condannate a guardarsi con desiderio dalle estremità opposte senza mai poter ottenere quello che desideravano.

Ma in questo c'era una verità crudele.

Nessuno otteneva mai davvero quello che voleva. Per quanto impegno potevi metterci, per quanto vicino potevi arrivarci, bastava un unico disgraziato evento a spazzare via ogni cosa. Ochaco avvertì l'amarezza montarle dentro, una morsa dolorosa che portava con sé il sapore delle lacrime versate e la consapevolezza di trovarsi con le spalle al muro.

Perfino Orihime, con tutte le sue lacrime e la sua bellezza, era riuscita a ottenere da suo padre un'unica notte all'anno per ricongiungersi al suo amato. Uno scherzo crudele perché il fiume di stelle non poteva essere valicato e i due amanti sarebbero rimasti separati comunque - condannati a guardarsi senza mai potersi toccare e consapevoli di essere stati beffati ancora una volta - se non fosse stato per alcuni uccelli che mossi a compassione, avevano deciso di costruire un ponte con i loro corpi fra le due sponde.

Suo padre le aveva raccontato quella storia una sola volta - durante il Tanabata Matsuri, la festa a loro dedicata - quando era ancora piccola. Ricordava il suo viso stanco sfiorato dalle luci danzanti della festa e i suoi occhi scuri scintillanti che cercavano i suoi mentre la teneva fra le braccia perché non si perdesse nella folla.

Ti auguro di trovare un uomo che ti ami quanto Hikoboshi amava la sua Orihime. ≫ le aveva detto, suo padre, e Ochaco ricordava ancora adesso il sapore dello zucchero a velo sulle labbra, il volto sereno di sua madre sfiorato dalla luce cangiante delle lanterne e quello di suo padre. Il suo caldo sorriso ad ammorbidire i tratti duri inaspriti da anni di fatica e duro lavoro. ≪ Un uomo disposto ad aspettarti e a lottare per te. Un uomo che saprà amarti nonostante le difficoltà e che non si scoraggerà davanti a nulla pur di stare al tuo fianco.

E a sfidare un padre dispotico e un fiume di stelle per averti. ≫ aveva specificato sua madre e il suono della sua risata sbarazzina era risuonata nell'aria, al di sopra del brusio della festa e della musica, strappando un verso strozzato dalla bocca sorridente di suo padre.

Aggrappata alle sue ampie spalle, Ochaco l'aveva guardato voltarsi verso sua moglie con gli occhi scuri scintillanti di un sentimento profondo che conferiva una nuova misteriosa dolcezza al suo viso sorridente, alleggerendo le rughe che gli scavavano la pelle abbronzata. ≪ Beh, quello è il minimo. Ti pare? Non lascerei mai mia figlia a un uomo che non sia disposto a lottare per lei.

Sua madre aveva scosso la testa, soffocando una nuova risata. I capelli castani sciolti intorno al viso le avevano sfiorato le guance arrossate mentre si stringeva al braccio muscoloso del marito senza smettere di sorridere. ≪ Si, ma tu non hai il potere di stendere un fiume di stelle per dividerla da qualcuno. ≫ aveva detto, con una nota divertita nella voce dolce che aveva acceso una luce particolare nel volto di entrambi. ≪ E anche se l'avessi, non lo faresti.

Tu pensi troppo bene di me. aveva commentato suo padre e in cuor suo, Ochaco si era chiesta se lui avrebbe mai potuto lasciarla davvero andare. Se avrebbe permesso a un altro uomo di portarla via da lui. Ma sul viso di sua madre c'era una strana serenità, la tranquilla sicurezza scaturita da anni di vita in comune. ≪ Non renderesti mai nostra figlia così infelice come la povera Orihime, costretta a versare tutte le sue lacrime per l'uomo che suo padre le aveva proibito di amare.

Quello che Ochaco aveva sempre desiderato – quello che sognava da quando era bambina - non era una storia d'amore epica o la favola del principe azzurro. Aveva sempre saputo che quello era impossibile e che non avrebbe avuto alcuna possibilità che accadesse.

No, lei sognava di diventare un'eroina che avrebbe reso felici gli altri, aiutandoli, salvandoli, rassicurandoli con la sua presenza. Qualcuno che avrebbe potuto dare a sé stessa e ai suoi genitori quella sicurezza economica che la vita non aveva mai concesso loro. Ma nel guardare i suoi genitori in quel momento, sorridersi a vicenda nelle luci danzanti della festa e stringersi l'uno all'altro, aveva pensato che quello era il genere di amore che avrebbe voluto avere un giorno.

Non l'amore di una leggenda, tragico ed eroico, destinato a non realizzarsi mai se non nelle pagine di un libro o su uno schermo. Lei voleva essere amata come suo padre amava sua madre, guardata come se fosse il porto sicuro di qualcuno. La sua forza nascosta. Il fuoco in grado di far divampare le sue emozioni, la sua rabbia, ma anche la sua risata, di infonderle nuova voglia di continuare a lottare.

Voleva un amore come quello dei suoi genitori, in grado di spazzare via la stanchezza dai loro volti con un solo sguardo complice e illuminare i loro sorrisi di un calore che traspariva dai loro sguardi. Qualcuno che l'avrebbe guardata come se non fosse passato un solo giorno da quando si erano innamorati, perfino dopo anni, una figlia da mantenere e un mutuo da pagare.

≪ Hai l'aria sognante. Ti piace così tanto questo dipinto? ≫ le chiese Todoroki, guardandola dall'altra estremità del tavolo con gli occhi spagliati socchiusi sotto l'ombra della frangia. La sua voce bassa riportò Ochaco alla realtà e la fece sussultare, sul morbido cuscino su cui sedeva.

≪ No. Non particolarmente, almeno. ≫ ammise, distogliendo lo sguardo dalla figura di Orihime nella sua veste pregiata e riportandolo sul ragazzo di fronte a lei, all'altra estremità del tavolo. ≪ Non mi è mai piaciuta la storia di Orihime e del suo amato. Anche se immagino sia una bella storia. Fatta per far sognare le persone. ≫

Lei preferiva quel genere di storia che rendeva ogni piccolo gesto un filo sottile di una rete che permetteva di affrontare insieme ogni avversità, di superare ogni litigio e tutte le angosce della vita di tutti i giorni. Non la favola di una notte magica dispersa in una marea di giorni di solitudine e angoscia.

Un sottile sopracciglio ramato si inarcò in una muta domanda e Todoroki la studiò in silenzio per un lungo istante prima di posare il mento sul dorso della mano, continuando ad osservarla nella luce soffusa del locale. ≪ Ah. Sono loro quindi i soggetti del quadro. ≫ mormorò quasi fra sé e Ochaco si chiese come avesse fatto a non riconoscere un'immagine così suggestiva e iconica che aveva dato origine a una delle festività più conosciute del Giappone. ≪ Non dirmi che non conosci la loro storia. ≫

≪ Vagamente. Ricordo che una volta mia sorella mi disse qualcosa in merito. ≫ Un angolo della bocca di Todoroki si contrasse nella parvenza di un sorriso e gli occhi spagliati si socchiusero, celando l'ombra fugace di un'emozione. ≪ Credo che c'entrasse qualcosa con delle stelle o un fiume. ≫

≪ Altair e Vega, le stelle ai due lati della via Lattea. ≫ rispose Ochaco con un sospiro. Una ciocca castana cadde a sfiorarle la guancia e lei l'agganciò dietro l'orecchio, lasciando vagare lo sguardo sul quadro a lato. ≪ Secondo la leggenda, le due stelle sono rispettivamente il mandriano Hikoboshi e la tessitrice Orihime che si innamorarono e amarono al punto da dimenticare ogni altra cosa. Doveri. Famiglia. Responsabilità. Ogni cosa non esisteva più, c'erano solo loro e il loro amore. ≫

Era per questo che non le era mai piaciuta davvero quella storia. Ochaco strinse le labbra, fissando le linee argentee delle stelle che si dispiegavano in un fiume tra i due amanti. ≪ Tentei, il padre del cielo, li maledisse perché fossero costretti a vivere sulle due sponde del fiume senza potersi mai ricongiungere. Un castigo per aver dimenticato. ≫

≪ Dimenticato? ≫ ripeté Todoroki, schiudendo le labbra sorpreso e sollevando il viso dalla mano. L'azzurro dell'iride e il grigio fumo dell'altra luccicarono nella luce soffusa del locale. ≪ Di tessere e pascolare? Mi sembra esagerato. Quel padre era uno stronzo, ecco tutto. ≫

Qualcosa nella sua voce attrasse lo sguardo di Ochaco. Una nota tagliente appena soffocata da un velo di amarezza. Un'ombra che gli velò lo sguardo e fece tendere qualcosa dentro di lei. ≪ Tu ti fideresti di una persona che rinega ogni affetto e ogni dovere, dimenticando tutto quanto? ≫

Il tintinnio dei piatti e l'odore del cibo caldo riempivano il locale, mescolandosi all'incessante brusio delle chiacchiere e delle risate. Gli occhi castani si fissarono in quegli occhi diversi e impenetrabili di lui che la studiavano con la stessa attenzione che avrebbe riservato a un'equazione complessa e irrisolvibile.

≪ Qualcuno pronto a sacrificare i legami preesistenti per uno nuovo. Gli amici, la famiglia, le cose che diceva di volere... il suo stesso duro lavoro. ≫ La bocca di Ochaco assunse una piega amara, dura, la sua voce si velò di scherno. ≪ Per amore. ≫

Todoroki la guardava in silenzio dall'altra parte del tavolo, il grigio fumo dell'iride scurito dalle ombre che si allungavano sulla metà del suo viso e l'azzurro penetrante dell'altro che luccicava nella luce dorata delle lampade. ≪ Si, se quegli amici e quella famiglia cercassero di spingermi a lasciare la persona che amo e mi rende felice. ≫

La forza con cui pronunciò quelle parole, la sua voce nitida e sicura, fecero mancare un battito al cuore di Ochaco che schiuse le labbra per lo stupore. Dall'altra parte del tavolo, Shouto aveva raddrizzato la schiena e abbassato la mano, il palmo percorso da sottili cicatrici vecchie di decenni rivolto in alto. ≪ Si, se quel sogno e il suo duro lavoro diventassero una prigione in cui essere infelice. Lo farei. Combatterei per stare con quella persona anche contro un fiume di stelle, un re del cielo o qualsiasi altra stupidaggine simile. ≫

Nel pronunciare quelle parole, serrò la mano a pugno con tanta forza da farla tremare e sbiancare la pelle lungo le nocche in rilievo, un'espressione cupa sul bel viso e le labbra serrate in una linea sottile. Ochaco non aveva mai visto un'espressione tanto colma di decisione e tristezza sul suo volto.

Un sospiro le sfuggì dalle labbra e nel rilasciarlo tutta la tensione che aveva sorretto la sua schiena scivolò via. Si accasciò su sé stessa, abbassando le spalle e lo sguardo. A parti invertite, forse Todoroki non sarebbe scappato da quella stanza umida e dai suoi genitori. Lui avrebbe saputo trovare un modo per aggiustare le cose, ma lei?

Lei non aveva idea di cosa fare.

≪ Sei diverso da quello che pensavo. ≫ mormorò con amarezza. Deku gliel'aveva detto – Momo l'aveva intuito – ma lei non aveva creduto a nessuno dei due. Aveva sempre visto solo quell'espressione impenetrabile e i suoi modi controllati, si era convinta che Shouto Todoroki non fosse nulla di più che uno stronzo sotto mentite spoglie, ma era stato abbastanza gentile da accorgersi del suo turbamento e cercare di aiutarla. A modo suo. Come l'eroe che un giorno sarebbe diventato.

≪ Dipende da cosa pensavi. ≫ Un sospiro sfuggì dalle labbra di Shouto che riappoggiò il mento sul dorso della mano e le concesse uno dei suoi lievi sorrisi, appena accennati e così discreti da non lasciar trasparire alcuna vera emozione. ≪ Ho già sentito questa storia, comunque. Era di sicuro molto romantica visto come sospirava sognante mia sorella nel raccontarla. ≫

La luce delle lampade scavava le ombre sul suo viso, facendo apparire la cicatrice intorno all'occhio azzurro più scura. Il lieve sorriso sulle labbra si tese e una nota divertita trasparì dalla sua voce profonda. ≪ Sinceramente, le smorfie di Natsuo e i suoi occhi che roteavano esasperati mi distraevano parecchio dal racconto. Mi è servita tutta la mia forza d'animo per non scoppiare a ridere in faccia a mia sorella e spezzarle il cuore. ≫

Ochaco lo fissò incredula. Non riusciva nemmeno a immaginarselo, Todoroki Shouto in mezzo ai suoi fratelli che si comportava come un ragazzo normale e scoppiava a ridere. ≪ Natsuo è lo stesso fratello che ti ha dato buca oggi con la sua ragazza? ≫ domandò incuriosita e un timido sorriso fece capolino sul suo viso.

≪ Sospetto che abbia cambiato idea sul romanticismo da quando si è fidanzato. ≫ commentò Todoroki con una scrollata di spalle, infilando una mano in tasca prima di far scivolare il suo smartphone sul legno lucido del tavolo verso di lei. ≪ Adesso che ti sei calmata, non pensi che sarebbe meglio chiamare i tuoi genitori e tranquillizzarli su dove sei? ≫

Ochaco abbassò lo sguardo sul telefonino davanti a lei e deglutì. Non aveva avuto il coraggio di chiamarli e non l'aveva nemmeno adesso. Non ora che aveva ricordato il sorriso caldo di suo padre e il viso allegro di sua madre, così diversi dall'amarezza con cui le avevano comunicato la fine dei suoi sogni. Se avesse sentito la loro voce in quel momento, sarebbe scoppiata a piangere di sicuro.

≪ Uraraka? ≫

C'era una certa cautela nella voce bassa di Todoroki e nel modo in cui la guardò. L'occhio azzurro sotto la frangia vermiglia e quello grigio sotto le sottili ciocche candide che la fissavano con attenzione, come se avessero potuto scivolarle sotto pelle e cogliere i suoi pensieri. ≪ Cosa ti è successo? Perché stavi vagando per un quartiere che non conosci in stato confusionario? ≫

Un brivido attraversò la spina dorsale di Ochaco che incurvò le spalle, come a proteggersi da quella domanda e dalla voce controllata di lui che mormorava piano. ≪ Vorrei aiutarti, ma non posso farlo se non mi dici qual è il problema. ≫

≪ Perché dovresti? Non siamo mai stati amici io e te. ≫ La sua voce suonò più brusca di quanto non avesse voluto. Eppure, nel sollevare il viso e fissarlo negli occhi, non provò ad addolcire il tono con un sorriso o una battuta. ≪ È già tanto che mi hai sopportato fin ora. ≫

Un sopracciglio ramato guizzò verso l'alto e un'ombra cupa calò a indurire i tratti eleganti del suo viso. ≪ Beh, Midoriya sarebbe rimasto molto deluso se avessi abbandonato a sé stessa la sua migliore amica. ≫ commentò con una nota aspra nella voce, gli occhi scintillanti come gemme nella luce soffusa si addolcirono appena al suono di quel nome. ≪ Ha una grande opinione di te e non credo mi avrebbe mai perdonato. ≫

≪ Deku riuscirebbe a trovare qualcosa di buono perfino in un oni. ≫ rispose con amarezza Ochaco, abbassando lo sguardo sul tavolo in legno. Avrebbe potuto chiamare lui, chiedergli di raggiungerla e Deku l'avrebbe fatto, ma poi, Ochaco avrebbe dovuto raccontargli tutto. E non ne aveva le forze.

≪ Sarà per questo che continua ad essere così clemente con Bakugou. ≫ commentò Todoroki con una smorfia ironica a curvare la bocca e un guizzo di malizia negli occhi impenetrabili che strapparono uno sbuffo divertito a Ochaco. ≪ Bakugou fa decisamente più paura di un oni. ≫

Un lieve sorriso fece capolino sul viso di Shouto, sincero e pieno di affetto, addolcendo i tratti del suo viso e conferendo una nuova sfumatura alla sua voce. ≪ È la persona migliore che io conosca. Midoriya, intendo. Ogni volta che penso che il mondo non ha nulla di buono da offrire, lui mi costringe a vedere le cose da un'altra prospettiva. ≫

Un filo di tensione scivolò come elettricità sul corpo di Ochaco che raddrizzò la schiena e si morse il labbro, senza distogliere lo sguardo. Sottili ciocche vermiglie caddero a confondersi con quelle argentee quando lui chinò il capo di lato, le dita lunghe e affilate che tamburellavano sul tavolo con leggerezza. ≪ Se ti avessi ignorato quando sembrava che avessi bisogno di aiuto, forse non me ne avrebbe fatto una colpa, ma non avrei sopportato di vedere la delusione nei suoi occhi. ≫

Ochaco capiva cosa intendeva. C'era un modo particolare in cui Deku manifestava la sua delusione, un'ombra che offuscava il verde dei suoi occhi e lo faceva sembrare più giovane dei suoi anni. Un bambino amareggiato che si sforzava di sorridere rassicurante, causando un dolore sordo nel petto di Ochaco e di chiunque altro lo guardasse.

≪ Ti avrebbe perdonato. ≫ sussurrò e avrebbe perdonato anche lei. Per non averlo chiamato subito. Per non aver cercato il suo aiuto e aver provato a fuggire dai suoi problemi. Così come l'aveva perdonata la sera del loro secondo anno di liceo, quando l'aveva aspettato sotto una pensilina della palestra con il cuore in gola e la pioggia che le inumidiva le sottili ciocche di capelli sul collo.

Todoroki serrò la mano a pugno sul tavolo e strinse le labbra in una linea sottile. ≪ Sono io che non mi sarei perdonato. ≫ disse con sicurezza e qualcosa nell'espressione solenne del suo viso fece morire il respiro di Ochaco sulle sue labbra. Improvvisamente, seppe come sarebbe stato fra qualche anno.

Un eroe come pochi, affascinante e imperturbabile. Un eroe che avrebbe saputo rassicurare con un solo sguardo e una compostezza invidiabile chiunque si fosse trovato davanti.

≪ Sei una mia compagna di classe da anni e la migliore amica del mio migliore amico. ≫ continuò con sicurezza, la luce delle lampade che disegnavano ombre scure sul suo viso di porcellana mettendo in risalto la cicatrice che deturpava la sua bellezza. ≪ Non saremo amici, io e te, ma questo non significa che non puoi contare su di me se ne hai bisogno. ≫

Un velo di lacrime salì a inumidirle gli occhi castani e pungolare per traboccare. ≪ Non puoi aiutarmi. ≫ sussurrò con voce rotta e la comparsa della cameriera con le loro ordinazioni la salvò da aggiungere altro. Il tintinnio dei piatti che venivano posati sulla tavola riempì il silenzio fra di loro mentre distoglieva lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore nel tentativo di scacciare indietro la disperazione che le risaliva il petto, minacciando di sopraffarla.

≪ Mettimi alla prova. ≫ sussurrò Shouto quando la donna si fu allontanata, sporgendosi in avanti e cercando il suo sguardo con gli occhi scintillanti di ombre. Ochaco sollevò il viso con un lampo di rabbia, gli occhi brucianti di lacrime non versate e le guance che le si arrossavano.

≪ Puoi restituire a mio padre la sua azienda? ≫ gli chiese bruscamente. Todoroki sgranò appena gli occhi mentre lei sussurrava con asprezza. ≪ Puoi cancellare i nostri debiti o fare in modo che possiamo permetterci la retta per la Yuei? Puoi fare in modo che tutto quello che ho fatto negli ultimi anni – tutto il mio duro lavoro - per riuscire a diplomarmi e diventare un'eroina non venga gettato alle ortiche? ≫

La rabbia che le montò dentro, accendendole le guance di un caldo rossore e facendo vibrare la sua voce, non era né giusta né onesta. Non avrebbe mai dovuta essere espressa e tanto meno riversata sull'ultima persona al mondo che potesse capirla.

Disegnò una ruga fra le sopracciglia sottili di Todoroki. Ochaco storse la bocca in una smorfia sprezzante, le dita che grattavano sulle cosce tese mentre sibilava. ≪ Dubito che tu sappia come ci si sente a vedere tutta la tua vita andare in malora. Tutto ciò per cui hai duramente lavorato venire vanificato... Perciò fammi il favore di farti gli affaracci tuoi. ≫

Todoroki non rispose, il viso inespressivo che tradiva una lieve sorpresa. Un'ombra di malumore crebbe lentamente dentro i suoi occhi e forse fu per questo che pronunciò quelle parole. Forse alla base di tutto c'era il fatto che Ochaco l'avesse ferito e che lui volesse smentirla. Perché la sua voce suonò tagliente come una lama quando parlò. ≪ No, ma posso fare qualcos'altro. ≫

La sua mano elegante si era tesa ad afferrare il cellulare dimenticato sul tavolo fra loro prima ancora che Ochaco potesse aprire bocca per replicare. Sotto il suo sguardo incredulo, Todoroki Shouto – che non l'aveva mai degnata della sua attenzione – aveva sfoderato la carta di cui ogni figlio di papà disponeva, parlando al telefono con tono imperioso. ≪ Voglio che prendi come tirocinante una persona o te lo sogni che vengo con te domenica sera. ≫

***

≪ Gli hai lanciato un piatto di ravioli al vapore in testa?! ≫

La voce di Deku, squillante e scioccata nella strada affollata di pedoni, attirò più di uno sguardo perplesso, costringendo Ochaco a nascondersi dietro il visore trasparente del suo casco. Doveva assolutamente chiedere che ne facessero uno che si scurisse a commando, così avrebbe potuto nascondere il rossore sulle guance a ogni evenienza.

≪ Non urlare. ≫ protestò, lanciandogli un'occhiataccia e arricciando la bocca in una smorfia risentita. ≪ Certo che gli ho lanciato il piatto addosso. Chi crede di essere per trattarmi come una pezzente? ≫

Deku le camminava accanto, il braccio che sfiorava il suo e gli occhi strabuzzati sotto l'ombra dei riccioli scuri che gli sfiorava la fronte. Il cappuccio scuro alle sue spalle e la maschera intorno al collo che sussultavano ad ogni suo passo. La divisa da eroe che indossava donava una particolare sfumatura al verde dei suoi occhi, intenti a fissarla mentre camminavano insieme lungo la via affollata di pedoni nelle loro divise di eroi.

≪ Shouto ti offre un prestigioso tirocinio nell'agenzia di suo padre, l'eroe numero uno, ≫ ripeté Deku sempre più sconcertato, le labbra umide che faticavano ad articolare le parole e le mani coperte dai guanti candidi che si agitavano in aria. ≪ che ti può aiutare con i problemi finanziari dei tuoi e tu gli versi addosso un piatto di ravioli al vapore davanti a tutto il locale?! ≫

Non si è offerto. Ha deciso lui senza chiedermi se mi stava bene. ≫ replicò indispettita, puntando il mento in fuori con testardaggine. Era stato sconcertante l'espressione incredula sul viso di Todoroki quando Ochaco aveva afferrato il piatto davanti a lei e si era alzata per rovesciarglielo in testa.

Todoroki aveva sussultato, ritraendosi di scatto, ma era stato un gesto troppo inaspettato quello che aveva fatto perché potesse sfuggirne. Era rimasto paralizzato con il cellulare in una mano e la bocca socchiusa, le gambe scomposte che spuntavano da sotto il tavolo e le sottili ciocche rosse e bianche appesantite dal sughetto che si appiccicavano alla pelle umida. A guardarla con gli occhi spagliati strabuzzati e le pupille ridotte a due punti di spille. Un raviolo era rimasto impigliato nel colletto aperto, sotto l'incavo della gola, riversando il suo ripieno sulla camicia di lui.

Una scena catastrofica quanto comica. Difficilmente avrebbe mai dimenticato Shouto Todoroki scioccato e bagnato fradicio con dei ravioli al vapore in grembo che la guardava con il viso in fiamme.

Un verso strozzato sfuggì dalle labbra di Ochaco che si portò le mani al volto, mortificata. ≪ Ho reagito d'impulso. ≫ ammise a malincuore. Ogni volta che ripensava a quel momento aveva voglia di prendersi a schiaffi da sola, anche se una parte di lei persisteva a non voler ammettere l'errore. ≪ Sai che sono suscettibile all'argomento finanze. ≫

≪ Si, ma lui voleva aiutarti. ≫ specificò Deku, alzando distrattamente una mano per rispondere al saluto entusiasta di due ragazzine delle medie che si sbracciavano per attrarre la sua attenzione. Da quando aveva iniziato a lavorare per Endevour, tre anni fa, era diventato parecchio popolare fra la popolazione. ≪ Ci sarà rimasto malissimo. ≫

Più che male, Shouto aveva sfoggiato un'espressione incredula e mortificata che era mutata in furia gelida con la lenta costanza di una marea in crescita. Lo stato d'animo più sincero e palese che gli avesse mai visto manifestare in tre anni di scuola.

≪ Eh. Aveva l'aria inferocita quando mi ha inseguito fuori dal locale e mi ha trascinato in stazione. ≫ ammise, storcendo la bocca in una smorfia.

Non le aveva urlato contro come avrebbe fatto chiunque altro, ma la gelida furia che traspariva da ogni tratto del suo viso era fin troppo evidente e faceva scintillare i suoi occhi diversi come due lame gemelle alla luce della sera. ≪ Sei forse impazzita? ≫ le aveva chiesto con una nota tagliente nella voce. ≪ Che diavolo ti è preso?

Non ti ho mai chiesto di umiliarmi. aveva replicato lei, voltandosi di scatto con i pugni stretti lungo i fianchi e gli occhi castani brucianti di rabbia e lacrime non versate. ≪ Chi ti credi di essere per trattare gli altri come gli ultimi dei poveracci? Non mi serve la tua schifosa pietà, Todoroki. Non avrò un soldo in tasca o un nome importante come te, ma ho ancora una dannata dignità.

Nella luce delle lanterne che si dispiegavano davanti alla facciata del locale, il viso di lui era pallido di furia crescente. Un mare gelido dentro cui avrebbe potuto affogare e che ardeva con la ferocia di un fuoco freddo, riflettendosi nella sua iride azzurra e in quella grigio fumo. Fuoco e ghiaccio. Ochaco si era sorpresa di quanto lo facesse apparire bello quello sguardo bruciante, la piega feroce della bocca che cancellava ogni forma di mitezza del suo carattere. ≪ Bene, allora. Fai come diavolo ti pare.

≪ Dio, Ochaco. ≫ gemette Izuku, scuotendo la testa e serrando gli occhi per un attimo. La luce del sole che gli si riversava sul viso metteva in risalto il sentiero di lentiggini sulla pelle arrossata, scavando la fossetta all'angolo della bocca. ≪ Perché non avete chiamato me? Avrei potuto aiutarti o almeno mitigare il clima fra voi. ≫

Ochaco scosse la testa, piccole gocce di sudore le scivolavano sulla pelle accaldata, inumidendo il tessuto della divisa che le rivestiva il corpo come una seconda pelle. La cosa peggiore era che nonostante tutto, Todoroki Shouto aveva insistito per riaccompagnarla a casa o per meglio dire, aveva imposto ad entrambi quella tortura.

Non le aveva rivolto la parola mentre se ne stava in piedi sulla metro semi vuota, aggrappato alla maniglia che pendeva dal soffitto con lei che sedeva con le braccia incrociate sotto il seno e lo sguardo perso a fissare il vuoto. Entrambi con un'espressione offesa e arrabbiata sul viso che non si era stemperata nemmeno quando erano scesi e avevano percorso le vie sconosciute del quartiere alla ricerca della pensione in cui i suoi genitori alloggiavano.

Fatti trovare alle otto in punto davanti all'agenzia di mio padre. ≫ le aveva detto, con gelida insofferenza. Gli occhi diversi che bruciavano nella luce lentigginosa dei lampioni e Ochaco avrebbe voluto prenderlo a schiaffi per il modo in cui le aveva voltato le spalle, lasciandola davanti all'ingresso con un'ultima indicazione. ≪ Chiedi a Izuku l'indirizzo. ≫

Razza d'idiota, sbuffò fra sé.

In quel momento, sotto il sole cocente di mezzogiorno, Ochaco aveva ancora voglia di prenderlo a urla nonostante l'incredibile opportunità che le aveva dato. Grazie a lui aveva ottenuto un secondo tirocinio nella più importante agenzia di eroi della città che sommato a quello con Ryukyu, non solo le dava una certa visibilità, ma anche un discetto compenso mensile.

Soldi utili per poter almeno coprire una parte della retta della Yuei.

Un sospiro affranto le sfuggì dalle labbra arricciate in un broncio scontento. ≪ Lo so che è un miracolo che non si sia rimangiato l'offerta, ma mi dà sui nervi dovergli un simile favore. Mi fa sentire un'approfittatrice. ≫

Non aveva voluto raccontarlo nemmeno a Tenya, perché l'idea che sapesse l'avrebbe fatta morire d'imbarazzo. Lui era un rampollo di buona famiglia e non poteva capire le ansie e i disaggi di essere parte di una famiglia modesta. Non avrebbe potuto cogliere la dignità insita in una povertà laboriosa, basata sulla convinzione di doversi rimboccare le maniche e mettere da parte sogni e fantasie per tirare avanti.

Non sarebbe mai riuscita a guardarlo in quegli occhi come fiordalisi e ammettere che l'attività in cui suo padre aveva investito tutti i suoi risparmi, il sangue e il sudore della sua fronte per decenni era naufragata di colpo, lasciandoli con un'ipoteca che non potevano pagare e una retta scolastica esorbitante che non potevano coprire. Non l'avrebbe compreso più di quanto potesse farlo Momo o Shouto Todoroki e c'era il serio rischio che nella sua infinita generosità, Tenya si offrisse di aiutarla.

Ochaco sarebbe morta prima di accettare una cosa simile.

≪ Shouto non lo farebbe mai. ≫ disse deciso Deku, sollevando il mento con aria risentita e lanciandole un'occhiata penetrante con quei suoi occhi profondi come un lago disperso in una foresta lussureggiante. ≪ È una persona di parola. Un ragazzo onesto. Non ti sta regalando niente, Ochaco. Ti sta solo dando la possibilità di guadagnarti qualcosa. Se mi avessi chiamato, avrei insistito io stesso con Endevour per farti avere questo tirocinio. ≫

Ochaco gli lanciò un'occhiata attraverso il vetro sottile della sua visiera. ≪ Lo so che l'avresti fatto, solo che... ≫ sussurrò con amarezza, gli occhi castani che fissavano la luce del sole riflettersi sui vetri dell'imponente edificio che ospitava l'agenzia di Endevour e che si avvicinava a ogni passo. ≪ non era qualcosa che volessi condividere con qualcuno. ≫

Deku annuì, precedendola verso l'ingresso. ≪ Lo so, essere orgogliosi non è un male, ma a volte devi accettare il fatto di non potercela fare da sola e trovare la forza di chiedere aiuto. ≫ Il lampo di un sorriso fece capolino sul suo viso dolce, voltato a guardarla sopra la spalla, accendendogli lo sguardo. ≪ Altrimenti, noi eroi non avremmo nessuno da salvare. ≫

Ochaco fissò la sua schiena dritta e forte che la precedeva, la sicurezza con cui muoveva ogni passo mentre si dirigevano verso l'ufficio in cui tutti gli eroi si radunavano.

A volte, provava una nostalgia struggente per il ragazzino timido e goffo che era stato. Eppure, lui era sempre lì, celato sotto i muscoli asciutti e la determinazione che traspariva dal suo viso, nell'eco della sua risata. Un pallido riflesso del ragazzino che arrossiva quando lei allungava una mano per stringergli la spalla o prendergli la mano, che ridacchiava nervoso al suono della sua risata e corrugava la fronte pensieroso per le sue idee sciocche o avventate.

L'aveva perdonata per non averlo chiamato il giorno prima, proprio come aveva pensato avrebbe fatto. Era stato felice, quella mattina, di vederla comparire davanti all'agenzia di Endevour con la sua valigetta in mano e la prospettiva di lavorare insieme per tutta l'estate e le aveva sorriso con gli occhi scintillanti di entusiasmo, lasciando il fianco di Bakugou e Todoroki per andarle incontro.

Non era sicura di cosa si era aspettata da Todoroki, ma lui l'aveva a malapena degnata di uno sguardo, chiedendo a Izuku di occuparsi di lei e farle da guida finché non si fosse ambientata. Bakugou si era mostrato irritato dalla sua presenza e le aveva voltato le spalle borbottando qualcosa di incomprensibile fra i denti serrati, ma Izuku le aveva sorriso con calore e aveva accettato con serenità l'incarico.

L'aveva presentata a tutti e le aveva illustrato i loro compiti. A Ochaco era sembrato di cogliere un'ombra di rammarico nel verde dei suoi occhi solo quando aveva dovuto lasciare che Bakugou andasse in missione con Todoroki senza di lui.

Era rimasto a fissare la schiena muscolosa del ragazzo biondo con gli occhi socchiusi sotto l'ombra dei riccioli scuri e le parole che si confondevano sulle labbra. Le dita che stringevano i fogli nelle sue mani con tanta forza da rovinare la carta.

Deku, stai bene? gli aveva chiesto Ochaco preoccupata dal suo improvviso silenzio e lui era trasalito come se qualcuno l'avesse colpito con un pugno. ≪ Si, scusa. Stavo dicendo... ≫ Si era voltato di scatto, dando le spalle ai due ragazzi ed evitando lo sguardo di Ochaco per riprendere goffamente la spiegazione da dove si era interrotto. ≪ Questi li devi compilare a ogni fine turno, mentre questi sono per le violazioni di tipo penale...

Non aveva visto Bakugou voltare il viso verso di loro prima di girare l'angolo del corridoio. La piega amara della sua bocca dura e il suo sguardo che si posava sul corpo forte e atletico di Deku, chino sulla scrivania e intento a scorrere i fogli con le mani coperte da spesse cicatrici. Non aveva potuto notare il lampo di amarezza nel suo viso serio, prima di uscire dalla stanza.

Ma Ochaco si.

E si era sorpresa di quanto quello sguardo le fosse sembrato strano e inaspettato. Della sensazione che le aveva lasciato in corpo vedere il rosso di quelle iridi brucianti velarsi di un rammarico così simile a quello che scuriva il verde degli occhi di Deku. Quasi entrambi rimpiangessero di non poter fare squadra come sempre.

Ma Deku l'aveva perdonata anche di questo, come aveva sempre fatto. Così come era riuscito a perdonarla quella sera del loro secondo anno in cui Ochaco gli aveva parlato con il cuore in gola e gli occhi lucidi di lacrime amare dei suoi sentimenti per lui.

Una pioggia d'argento attraversata dalla luce dei lampioni e da un velo di nebbia contribuiva ad arricciare i riccioli neri di Deku in una massa aggrovigliata. I suoi occhi verdi si erano sgranati nel trovarla lì, ad attenderlo fuori dalla palestra in cui si stava allenando sotto la supervisione di All Might, con le guance arrossate e i capelli umidi di pioggia. Sotto una tettoia in cemento da cui cadevano rivoli d'acqua come fiumi in piena.

Ochaco. C-cosa ci fai qui? ≫ le aveva chiesto con un velo di nervosismo nella voce e lo sguardo che correva ovunque per non guardarla in viso. Le dita le tremavano, intrecciate dietro la schiena e aggrappate alla carta sottile di un pacchetto regalo. Un brivido le aveva attraversato il corpo nel costringersi a mostrarglielo, un debole sorriso a curvare le labbra. ≪ Io... l'ho preparato per te. Deku, io...

Lui l'aveva guardata nella luce della sera, con la pioggia battente che picchiettava sul selciato ai loro piedi e pioveva in rivoli dalla tettoia sopra di loro, coprendo e attutendo il suono della sua voce tremante.

L'aveva ascoltata, Deku. L'aveva lasciata buttare fuori ogni cosa con le lacrime che le bagnavano gli occhi, guardandola con il panico che gli trasfigurava il viso e l'angoscia dipinta nel verde delle sue bellissime iridi e Ochaco aveva saputo che lui non l'avrebbe ricambiata. E che ci sarebbe stato male per questo. Ma non le aveva nemmeno risparmiato la verità.

Aveva afferrato le sue mani tremanti e le aveva strette forte nelle sue, grandi e ruvide e così calde da bruciarle la pelle. Le aveva baciate entrambe, con disperazione, prima di premersele contro la fronte e lasciarsi sfuggire un singhiozzo. ≪ Mi dispiace. Mi dispiace davvero, Ochaco. le aveva detto con la voce strozzata. ≪ Io... non posso. Non posso fingere con te e mentirti. Non posso farlo.

Ochaco l'aveva guardato attraverso il velo delle lacrime. I riccioli scuri umidi di sudore e pioggia che le sfioravano i dorsi delle mani, creando onde sinuose sulla pelle chiara e il suono della pioggia che quasi portava via la sua confessione.

Una confessione diversa dalla sua. Piena di amarezza e vergogna, della paura di non essere accettato e capito, di venir respinto e disprezzato per quello che era.

Per quello che desiderava.

Come se ci fosse qualcosa di sbagliato nei suoi desideri, nel fatto che provasse attrazione per persone del suo stesso sesso e non per il genere che ci si aspettava dovesse piacergli. Come se lei avesse mai potuto odiarlo per essere quello che era e averlo condiviso con lei.

La pioggia aveva inzuppato i biscotti che erano caduti a terra, rovesciandosi sul cemento fra i loro piedi. Il suo cuore si era spezzato e le lacrime avevano preso a cadere sul viso di entrambi, ma Deku aveva continuato a tenerla stretta così forte da toglierle il fiato e lei si era aggrappata a lui, sussurrandogli nelle orecchie. "Va tutto bene. Andrà tutto bene. Questo non cambia niente." Come un incantesimo che avrebbe dovuto proteggerli e preservare quello che avevano costruito fino ad allora.

Ma non era stato sufficiente.

Nessuna rassicurazione lo era stata. Nessuna scusa lo era. Il cuore di entrambi si era spezzato, anche se per ragioni diverse e per un po' si erano allontanati l'uno dall'altro, troppo addolorati e pieni di vergogna per potersi guardare negli occhi.

Ne erano usciti più forti.

Si erano ritrovati e avevano ricostruito la loro amicizia su basi più solide di prima. Ochaco aveva superato la delusione e aveva compreso che i suoi sentimenti erano più profondi di una stupida cotta, erano un legame di fratellanza che non poteva essere spezzato. E Deku... Deku l'aveva perdonata e le aveva affidato il suo segreto. Aveva lasciato che lei l'aiutasse ad accettare quello che era, a smettere di vedersi sbagliato per questo.

Aveva iniziato a perdonare sé stesso.

Nel guardarlo ora, davanti al frigo intento a prendersi da bere mentre scambiava qualche parola con i colleghi, Ochaco non scorgeva più quel filo di disaggio che lo pervadeva un tempo. C'era un nuovo tipo di fiducia lui. La consapevolezza di essere a suo agio nel suo stesso corpo e nella sua pelle.

Non credeva che Deku fosse pronto a condividere con il mondo o con altri il suo orientamento, ma era anche convinta che ognuno di loro avesse il diritto di vivere la propria sessualità nell'intimità della propria persona senza doverlo sbandierare ai quattro versi. Finché Deku avesse continuato a sorridere in quel modo, lei si sarebbe sentita sicura di questo pensiero.

Avrebbe lottato solo quando lui sarebbe stato pronto a farlo per primo. Come sua amica. Come custode del suo segreto e anche come eroina. Seduta alla propria scrivania, intenta a colpire il plico di fogli che attendevano di essere compilati con il suo rapporto della mattina con la penna, il suo sguardo si posò sul ragazzo biondo seduto dall'altra parte.

Era intento a scrivere il suo rapporto con le bionde ciocche di capelli che gli ombreggiavano gli occhi rossi e un'espressione vagamente soddisfatta a conferire nuova bellezza al suo viso mascolino. Sembrava così tranquillo mentre scriveva, totalmente diverso dalla creatura irascibile che conosceva.

Alle sue spalle, Todoroki si era avvicinato a Deku. Ochaco li vide scambiarsi qualche parola prima di lanciare entrambi un'occhiata verso di loro, l'uno con un'espressione indecifrabile in volto e l'altro con gli occhi verdi socchiusi e una ruga a segnare lo spazio fra le sopracciglia aggrottate.

Una breve esitazione passò come un'ombra sul viso di Deku prima che lui si dirigesse a passo rapido verso la fila di scrivanie con una bottiglietta d'acqua in mano e le spalle rigide. Si fermò davanti alla scrivania di Bakugou, il corpo teso e un certo nervosismo a trasparire dal volto sfiorato dalla luce dorata del sole che filtrava dalle alte vetrate.

≪ Kacchan? ≫

La sua voce era leggermente rauca e fece schiudere le labbra di Ochaco per la sorpresa. Bakugou si irrigidì, gli occhi rossi si sgranarono appena, fissando i fogli di carta davanti a lui. Il suo viso aveva perso ogni forma di compiacimento e ora, tradiva una certa tensione nell'ascoltare Deku schiarirsi la gola per richiamare la sua attenzione. ≪ H-ho saputo che hai catturato tutto da solo quel pericoloso stupratore che si aggirava da giorni per il parco. ≫

Bakugou sollevò lentamente lo sguardo. Ochaco gli sedeva quasi di fronte e poté vedere il momento in cui un velo di impenetrabile irritazione cadde sul suo viso. ≪ Si, è stato un gioco da ragazzi. Quel depravato non ha avuto una sola possibilità di scapare. ≫

Deku lo sovrastava in altezza, le spalle rigide e un sorriso nervoso a curvargli le labbra. Una breve risatina gli risalì dal fondo del petto e indugiò nell'aria, gettando una strana ombra sul rosso degli occhi di Bakugou e facendo contrarre la sua bocca.

≪ Todoroki dice che è stato l'arresto più veloce della storia dei sidekick di questa agenzia. Endevour ne è molto colpito. ≫

Sul viso di Bakugou baluginò per un attimo un'espressione di puro compiacimento e soddisfazione che accese il suo sorriso sghembo di una bellezza selvatica. ≪ Ti sorprende? Era ovvio che andasse così. ≫

≪ No, certo che no. ≫ disse Deku, scuotendo la testa e ignorando lo sguardo confuso con cui Ochaco lo stava fissando. Riccioli scuri caddero a sfiorargli la fronte, ma lui li scostò con un gesto distratto della mano. ≪ Ma eroi molto più esperti hanno cercato di farlo senza successo. ≫

Il sorriso sul viso di Bakugou scomparve di colpo, i suoi occhi si socchiusero nella luce del sole squadrandolo in tutta la sua figura. ≪ Io sono più bravo. ≫ replicò con una nota dura nella voce graffiante che fece suonare le sue parole come lo schiocco di una frusta nell'aria.

≪ Certo. Certo. ≫ si affrettò a confermare Deku, rigirandosi la bottiglia fra le mani in un gesto nervoso. ≪ È grandioso, Kacchan. Ci tenevo a farti le mie congratulazioni. ≫ Un lieve rossore gli colorò il viso e un tremito speranzoso corse sul suo viso quando allungò la mano e poggiò la bottiglietta sulla scrivania, accanto al braccio di Bakugou che abbassò lo sguardo per fissarla accigliato.

Una ruga comparve a segnare lo spazio fra le sue bionde sopracciglia. La luce del sole colpiva la plastica e attraversava il liquido trasparente al suo interno disegnando un gioco di sfumature sulla pelle chiara di lui.

≪ E-ecco, ho pensato che magari avevi sete. ≫ spiegò Deku, accennando un sorriso nervoso. Gli occhi verdi socchiusi nella luce del sole che disegnava riflessi più chiari sulle sue iridi. ≪ Fa piuttosto caldo e tu sudi molto in estate. Specie in combattimento. Ma sudando si finisce per perdere molti sali minerali e se non stai attento finisci per disidratarti. ≫

Le labbra di Ochaco si schiusero per lo stupore. Per un attimo, si chiese se stesse sognando o se Deku stava davvero facendo quello che credeva con Bakugou. Forse il sole le aveva dato alla testa. Forse stava fraintendendo tutto. Todoroki dall'altra parte della stanza, aveva quasi un'espressione triste sul bel viso impenetrabile.

Li stava osservando appoggiato al bancone, le braccia muscolose incrociate sul petto e la divisa slacciata per lasciar respirare le clavicole madide di sudore. Gli occhi spagliati che li fissavano con la malinconia di chi fosse costretto ad assistere impotente all'ennesimo atto di una tragedia di cui conosceva fin troppo bene il finale.

Bakugou scosse piano la testa, i biondi capelli accesi di riflessi argentei dalla luce del sole che si allungava sulla sua scrivania. ≪ Non la voglio. ≫ disse solo, sollevando uno sguardo cupo su Deku che deglutì, la voce arrocchita di emozione. ≪ Prendila, per favore. ≫

Nel verde dei suoi occhi, la speranza e l'amarezza ingaggiavano una battaglia senza risultato. Il rossore che gli colorava le guance lentigginose lo faceva sembrare più giovane, vicino al ragazzino del loro primo anno di scuola, alla persona che le aveva confessato tremando e piangendo il suo segreto.

≪ Ti sei dato tanto da fare per prendere quel criminale. ≫ sussurrò con un sorriso goffo sulle labbra che fece scorrere un fremito sulla bocca dura di Bakugou. Gli occhi verdi fissi in quelli rubino di lui, si socchiusero appena mentre abbassava lo sguardo e aggiungeva con voce soffocata. ≪ Ti meriti almeno un po' di considerazione. ≫

≪ La tua considerazione la puoi gettare nel cesso. ≫ replicò sprezzante Bakugou, colpendo la bottiglietta d'acqua con un'esplosione. Scintille dorate si accesero nell'aria e riversarono acqua sul pavimento lucido dell'ufficio, attirando lo sguardo dei presenti.

Ochaco trasalì per lo spavento e trattenne il fiato nel portarsi d'istinto le mani al viso, scioccata dalla violenza insita in quel gesto. Bakugou si alzò dalla sedia con una smorfia furiosa a curvare le labbra e gli occhi ardenti fissi sul ragazzo davanti a lui. ≪ Non me ne faccio un cazzo della tua considerazione o dei tuoi complimenti e tanto meno, mi servono le tue ridicole premure. ≫

L'amarezza con cui Deku guardò i resti della bottiglietta sulle pianelle chiare le spezzò il cuore. Sembrava così infelice, così fragile, là in piedi di fronte a Bakugou con i riccioli scuri che gli ombreggiavano gli occhi socchiusi. ≪ C-caspico. ≫ disse solo. Un soffio di voce che sfuggì dalle sue labbra tremanti che si tendevano in un sorriso di scuse. ≪ Cerca solo di avere cura di te, Kacchan. ≫

Un tremito scosse il corpo di Bakugou e gli fece serrare più forte i pugni lungo i fianchi. Deku lo guardò negli occhi, un'ombra amara a scurire il suo sguardo prima di voltarsi e girare intorno alla scrivania di lui per prendere posto nella propria, accanto ad Ochaco e di fronte a quella di Bakugou.

Solo allora, Todoroki si fece avanti e li raggiunse.

Aveva rimboccato le maniche della divisa blu scuro e slacciato un poco la cerniera per lasciare respirare la pelle accaldata. Gli occhi spagliati scivolarono su Deku e corsero a Bakugou senza tradire alcuna vera emozione. ≪ Mio padre aspetta quel rapporto. L'hai finito? ≫ domandò, strappando un verso profondo al ragazzo biondo.

≪ Non darmi ordini. Non sono il tuo cagnolino. ≫ sibilò Bakugou, lanciando un'occhiata bruciante al ragazzo che si stava sedendo nella scrivania al suo fianco. Todoroki non lo guardò nemmeno quando lui borbottò ≪ Quando l'avrò finito lo consegnerò al vecchio. ≫

Ochaco invidiò la sua compostezza. L'insensibilità che traspariva da ogni suo gesto, ma i suoi occhi diversi fissarono Deku con gentilezza e disegnarono un sorriso sul viso lentigginoso di lui. ≪ Com'è andato il lavoro di squadra con Kacchan? ≫ gli chiese Deku, sporgendosi in avanti e Shouto alzò gli occhi al cielo, con una smorfia a curvare le labbra. ≪ Mi ha fatto venire mal di testa. ≫

≪ Ah. Mi dispiace. ≫

≪ Sei tu che mi hai dato sui nervi! ≫ sbottò Bakugou, sollevando lo sguardo dal rapporto che stava compilando con una meticolosa efficienza che lasciava Ochaco incredula. Todoroki inarcò un sopracciglio ramato, guardandolo con gli occhi scintillanti come le lame di un coltello. ≪ Non sapevo che fare il mio lavoro potesse farti saltare i nervi. Cercherò di ricordarmelo la prossima volta. Grazie di avermelo fatto notare. ≫

Bakugou roteò gli occhi borbottando qualcosa fra i denti. Un'imprecazione o una bestemmia che Ochaco fu felice di non poter capire. Un brivido le corse dentro quando distolse lo sguardo da lui e si accorse che Todoroki la stava osservando, il viso di porcellana sfiorata dalla luce del sole e l'aria pensierosa di chi stesse cercando di risolvere un'equazione irrisolvibile.

Non si erano rivolti la parola dalla sera prima, quando l'aveva lasciata davanti alla pensione con quell'ultima indicazione. "Chiedi a Izuku l'indirizzo". Come se nonostante l'avesse umiliato in un locale pieno di gente fosse ancora deciso a rispettare la sua decisione.

Eppure, Ochaco l'avrebbe capito se si fosse fatto indietro. Deku l'avrebbe perdonato per averla abbandonata. L'unica persona che Deku non sarebbe mai stato capace di perdonare era Bakugou.

Quella stessa ombra che velava i suoi occhi quando veniva ferito o deluso, divampava in un fuoco scuro di rabbia quando la fonte della sua delusione era Bakugou. In un'amarezza straziante che perdurava nel suo sguardo e si insinuava a tradimento nei suoi gesti.

Per chiunque altro, aveva solo gentilezza e rassicuranti parole, ma per lui la reazione era leggermente diversa. Era come se Bakugou fosse il rimpianto peggiore che dovesse sopportare, l'unica persona al mondo a cui non poteva perdonare con facilità le mancanze e da cui si aspettava sempre più di quanto si aspettasse chiunque altro.

Todoroki serrò la mano a pugno sul piano di metallo, lanciando un'occhiata a Bakugou che si stava alzando, sventolandogli in faccia il suo rapporto. Deku accennò un sorriso di scuse davanti alla sua irritazione e Ochaco si chiese se uno di loro due sapesse quanto a fondo Deku si fosse odiato per quello che era.

Quante notti avevano passato a litigare nel tentativo di fargli capire che amare una persona del suo stesso sesso non era una colpa o una vergogna, che non c'era nulla di male se non era attratto dalle ragazze, ma dai ragazzi. E che se Todoroki l'avesse lasciata vagare per quelle strade tutta sola e sperduta, Deku l'avrebbe perdonato.

Perché lui era fatto così.

 

 

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Capitolo 11
*** 11. ***


Questo capitolo è speciale. È dedicato per intero a una persona meravigliosa che ho avuto il piacere di conoscere grazie alle mie storie e che ha conseguito un grande successo: laurea in lingue con 110 e Lode.

@Pink_Yandere hai rivoluzionato il mio mondo e aperto le porte del Giappone ai miei occhi, mostrandomi aspetti di MHA che non avrei mai potuto cogliere senza la tua conoscenza della lingua, la tua sensibilità nel coglierne le sfumature e il tuo travolgente amore per la poesia e la musicalità insita nelle parole.

Sei e sarai sempre la mia dolce, tenace e appassionata Mido. Sarai sempre la mia spumeggiante e coraggiosa Ochaco.

Questo capitolo è per te.

 

11.

 

If I can dream long enough, you'd tell me I'd be just fine

I'll be just fine

So I drown it out like I always do

Dancing through our house with the ghost of you

And I chase it down, with a shot of truth

Dancing through our house with the ghost of you

- Ghost of You, 5 Second of you

 

La prima volta che Katsuki aveva sentito il cuore mancare un battito aveva dodici anni e il viso espressivo di Deku si era illuminato di un sorriso di sincera gioia che gli aveva acceso il verde degli occhi di mille sfumature.

Per un attimo, era stato come se qualcuno avesse acceso un fiammifero in una stanza buia, abbagliandolo con il divampare di un calore ramato nelle tenebre e lasciandolo paralizzato per lo stupore. Aveva capito subito che non si trattava di una reazione normale e che avrebbe cambiato ogni cosa. Gli era bastato alzare lo sguardo su di lui, il manico di legno della scopa chiuso nelle mani contratte, per capire che nulla sarebbe mai più tornato ad essere come prima.

Non sarebbe riuscito a fingere di non aver sentito il respiro impigliarsi in fondo alla sua gola nel vederlo sorridergli né frenare quel tremito nel petto. La sensazione che scintille roventi danzassero nella notte, dissipando il gelo ed espandendo un calore spaventoso nel suo petto.

La luce del sole a bordo piscina faceva scintillare le gocce d'acqua fra i capelli riccioluti e sulla pelle abbronzata, arrossandogli le guance coperte da una scia di lentiggini. Katsuki l'aveva colpito alla spalla senza pensare, come un animale selvatico messo alle strette che cercava un'ultima via di fuga prima di soccombere.

Era rimasto a guardare il sorriso sul viso di Deku spegnersi e mutare in stupore mentre cadeva con un grido stridulo nell'acqua scintillante alle sue spalle. Spruzzi freschi avevano lambito i suoi piedi nudi e le due scope abbandonate sulle pianelle umide. La luce del sole gli feriva gli occhi, riflettendosi nell'ampia massa d'acqua della piscina scolastica. Qualcuno aveva urlato, il vociare degli studenti era un brusio lontano e confuso che ondeggiava al margine della sua coscienza.

Katsuki, che cazzo hai fatto? ≫ gli aveva chiesto Amane, afferrandolo per il bavero della giacca e tirandolo indietro, con il viso stravolto e gli occhi neri sbarrati. Dietro di lui, Takuya fissava l'acqua cristallina ribollire di bolle d'ossigeno con orrore crescente e una mano premuta sulla nuca, fra le ciocche scarmigliate dei capelli castani. ≪ Sa almeno nuotare o l'hai appena ammazzato?!

Per la seconda volta, Katsuki aveva sentito il cuore sussultare nel suo petto e il suo corpo muoversi senza consultare il cervello. Le dita del piede avevano afferrato il margine scivoloso, era proteso in avanti sul punto di tuffarsi quando Deku era riemerso con uno sputacchiare di acqua e saliva, tossendo e ansimando in cerca di ossigeno. Il suo viso espressivo non era più pervaso dalla gioia, ma si era contorto in un'espressione smarrita da cucciolo ferito mentre la bocca gli tremava, liberando un eccesso di tosse.

Era stato allora che Katsuki si era trovato a sorridere con la pelle formicolante di una nuova sconosciuta sensazione. Nel essere guardato dal basso con le ciglia scure su cui si impigliavano piccole gocce argentee e un broncio tremante sulle labbra rosee, si era sentito pervadere dall'euforia.

L'aveva odiato come mai si era pensato capace e aveva odiato sé stesso per quel brivido di eccitazione lungo la schiena. Ancora di più, era stata la consapevolezza che fosse stato proprio Deku a causargli quella reazione a suscitare in lui le sensazioni peggiori, a colpirlo dritto al petto.

Perché di tutte le persone che c'erano al mondo, Katsuki aveva scoperto di dover provare un qualcosa del genere proprio per l'unica persona che non poteva accettare di amare. L'unico che avrebbe potuto rovinare senza nemmeno volerlo, corrompendo l'unica cosa buona che esisteva nel suo mondo.

In fondo, l'aveva sempre saputo. Il karma era un demone perverso che si divertiva a vedere le persone contorcersi nella loro stessa disperazione mentre distruggevano con le loro mani le cose che amavano, ma lui non gli avrebbe mai concesso la vittoria.

Almeno, era ciò che si era ripromesso quando aveva dodici anni. Prima di scoprire che sapore avessero quelle labbra espressive e quanto fossero morbide nella loro goffaggine. Prima di trovarsi in piedi davanti a un altare a profanare la sacralità di quel luogo, respirando a pieni polmoni quel misto di cera calda e fiori morti che si mescolava all'odore della pelle di Deku.

≪ Questo giorno resterà impresso nelle nostre menti come il giorno in cui Bakugou Katsuki si è ubriacato per la prima volta in vita sua. ≫ commentò una voce bassa, vibrante di divertimento, alle sue spalle. Katsuki sprofondò ancora di più nel comodo divano della sala comune, fingendo di non aver notato il rosso dei capelli di Kirishima comparire ai margini del suo campo visivo.

≪ Non sono ancora ubriaco. ≫ borbottò fra i denti serrati, portandosi il bicchiere mezzo vuoto alle labbra. Nella luce soffusa gli occhi rossi si socchiusero, continuando a guardare il riflesso del ragazzo che non aveva il coraggio di guardare direttamente, specchiarsi nelle alte vetrate.

La sua immagine distorta era semi coperta dal corpo muscoloso di Kirishima che si sporgeva sullo schienale del divano con le braccia puntate sul bordo e un sorriso ironico a curvare le labbra. ≪ Certo, come no. ≫

≪ Fottiti. ≫

La voce rauca di Katsuki suonò lamentevole alle sue stesse orecchie, raschiata dal nodo che gli si era formato in fondo alla gola nel momento in cui Deku aveva schiuso le labbra per ridere a qualcosa che il Bastardo a Metà aveva appena detto con un mezzo sorriso ironico stampato in faccia.

Dietro la spalla di Kirishima, poteva ancora scorgere i riccioli sinuosi formare onde nere sul viso pallido, conferendo una nuova profondità al verde scuro delle sue iridi. La curva morbida della bocca tesa in un sorriso leggero che si inclinava ogni volta che si portava la bottiglia di birra alla bocca per prenderne un sorso, come se ciò che stava bevendo non gli piacesse poi così tanto.

Allora per che cazzo la stai bevendo, Deku?

Forse perché era un idiota incapace di accettare i propri limiti e si spingeva sempre troppo oltre, con buona pace di ciò che potevano pensare gli altri. Un verso strozzato gli sfuggì dalla bocca arricciata in una smorfia insofferente. La musica pulsante si mescolò al chiacchiericcio nella sala comune e soffocò la sua voce rauca. ≪ Non mi guardare così. ≫

Kirishima accennò un sorriso, come se sapesse cosa stava pensando anche se era impossibile. Anche se Katsuki stesso non poteva credere di non avere più controllo sui propri pensieri. ≪ Ehi, io non ti giudico. ≫ replicò, incrociando le braccia sullo schienale del divano e ciondolando in avanti, gli occhi rossi che scrutavano la folla di studenti nella stanza. ≪ Trovo solo divertente che di genere ci rompi le palle con il non bere e oggi sei tu quello che va tenuto d'occhio. Però non ti giudico. ≫

≪ No, hai solo deciso di venire a rompermi le palle. ≫ commentò Katsuki con una nota di ironia nella voce rauca e un mezzo sorriso da attaccabrighe sulle labbra. La luce soffusa si rifletté sulle sue mani candide quando si portò il bicchiere alle labbra.

La mano affusolata di Todoroki si poggiò sulla spalla di Deku con leggerezza, stringendola. Le dita eleganti sfiorarono la pelle nuda del collo, al di sopra del colletto e risalirono a scompigliare i corti riccioli dietro la nuca.

Katsuki avvertì la tensione guizzare sui muscoli contratti e tenderli, la mano che stringeva con più forza il bicchiere di carta fino ad ammaccarlo. Il sorriso di Deku non vacillò quando sollevò lo sguardo sull'altro ragazzo e gli sorrise prima che la capoclasse si avvinghiasse al braccio di Todoroki e si sporgesse a dirgli qualcosa.

Per un attimo, si immaginò percorrere la stanza e raggiungere il tavolo in fondo alla stanza con passo felpato, poggiare la mano sullo schienale della sua sedia e chinarsi su di lui. Gli sguardi sorpresi dei due capoclasse, del Bastardo a Metà e della streghetta fissi su di lui mentre Deku sollevava il viso, sfiorato da ombre scure e luce dorata. Gli occhi verdi che si sgranava stupiti nel trovarlo chino su di lui con un mezzo sorriso a curvare le labbra.

Lo sentì sussultare nelle sue mani mentre lo traeva a sé, il corpo caldo e forte scosso da un tremito impercepibile e le labbra che si schiudevano affamate a catturare le sue, ricambiandolo con naturale prontezza. Il sapore aspro della sua bocca dolce sulla lingua si mescolò al ricordo di cera sciolta e fiori morti nella sua mente, solo per infrangersi come cristallo quando Eijirou gli assestò una pacca sulla spalla.

≪ Ehi, non fare quella faccia. Non ti stavo mica rimproverando. Ti fa bene perdere il controllo ogni tanto. ≫ gli disse, scavalcando lo schienale del divano con agilità e sprofondando nei cuscini al suo fianco. ≪ Basta che non fai esplodere niente e non uccidi nessuno. ≫

La spalla di Katsuki formicolava per il colpo ricevuto. Si voltò a guardarlo di traverso, arrabbiato per essersi perso nelle proprie fantasie e ancora di più per esserne stato strappato così presto. Forse a fargli rabbia era il solo fatto di essersi permesso di fantasticare su qualcosa di simile, quando si era assicurato di mandare al diavolo qualsiasi possibilità che riaccadesse.

Ebbe l'orrenda sensazione che il demone nella sua mente ridesse di lui mentre guardava Kirishima sporgersi a prendere uno dei bicchieri vuoti sul tavolino di vetro e riempirlo con una della delle tante bottiglie sparse nel mezzo.

≪ Ringrazia il mio autocontrollo o ti avrei già mandato all'altro mondo, razza di imbecille. ≫ sibilò, arricciando le labbra in una smorfia irritata che sortì come unico effetto quello di far roteare esasperato gli occhi dell'altro. ≪ Nemmeno l'alcool ti rende meno stronzo, Kats. Questo è un grosso problema. ≫

≪ Ti ho già detto di andare a farti fottere? ≫ replicò mordace, soffocando a stento un verso rabbioso. Kirishima lasciò scivolare il braccio lungo lo schienale e gli rivolse un sorriso strafottente. ≪ Spiacente, non amo il ruolo di passivo. ≫

Avrebbe voluto mollargli un pugno in faccia o dire qualcosa di estremamente spiacevole, invece si ritrovò a ridere prima ancora di rendersene conto. Kirishima lo fissò con un mezzo sorriso sulle labbra e qualcosa di scuro nel fondo di quegli occhi scarlatti che gli fecero scorrere un brivido inquieto sulla pelle. ≪ Sei un idiota. Parli un sacco di virilità ma non ricordo di averti mai visto con una ragazza. ≫

≪ Nemmeno io ti ho mai visto con una ragazza. ≫ commentò sottovoce Kirishima e la risata morì sulle labbra di Katsuki mentre lo ascoltava sussurrare ≪ Ma non mi verrebbe mai in mente di considerarti meno uomo per questo. ≫

Improvvisamente, non ebbe più voglia di scherzare. Si mosse a disaggio sul divano, evitando di incrociare lo sguardo dell'amico e gli occhi rossi si socchiusero nella fioca luce cogliendo il movimento di corpi che ballavano, riflessi nel vetro della vetrata.

La piccola streghetta si era gettata su Deku, prendendolo alle spalle. Lo vide gettare la testa indietro e sorriderle, con gli occhi scintillanti nelle ombre mentre le sfiorava il braccio nudo con le dita sfregiate. Ochaco gli disse qualcosa, le braccia che circondavano le spalle di Deku scivolarono sulla stoffa della sua camicia e le piccole mani di fata si intrecciarono su quella di lui, spingendolo ad alzarsi e guidandolo verso il gruppo intento a ballare.

La musica pulsava nell'aria umida, distorcendo le risate e il chiacchiericcio che riempiva la sala comune. Gli occhi rossi si socchiusero nella fioca luce, appesantiti da un velo di sonno. Si portò il bicchiere alle labbra e il liquido amaro scivolò sulla lingua senza trovare resistenza, scendendo a scaldargli il petto e nutrire un dolore sordo nel fondo del ventre.

≪ Non hai pensato a quello che ti ho detto, vero? ≫ domandò Kirishima, poggiando le braccia nude sulle cosce rivestite da jeans stracciati e reclinando la testa di lato per scrutarlo meglio in viso, come alla ricerca di qualcosa che potesse trovare solo riflesso sui suoi tratti. Ciocche scarlatte caddero a sfiorargli gli occhi e Katsuki sbuffò, lanciandogli un'occhiata di traverso con le palpebre calanti. ≪ Non rompere il cazzo. ≫

Il suono aspro della sua voce suonò come un ringhio nell'aria e disegnò una ruga nello spazio fra le sopracciglia nere dell'altro ragazzo che strinse le labbra con fare contrariato. Poté quasi sentire il demone nella sua mente ridere di lui e danzare nella luce soffusa mentre lo guardava avvelenare pure quell'amicizia insieme a tutto il resto, spingendolo a uccidere qualsiasi cosa di buono fosse riuscito a costruire in quegli anni.

Forse avrebbe fatto meglio a non andare a quella stupida festa. A starsene tranquillo in camera ad ascoltare i 5 Second of Summer, sfogliando l'ultimo numero di One Piece, facendo finta che il silenzio fra le note non gli scavasse dentro un dolore senza fondo.

Sarebbe rimasto comunque solo, alla fine.

Si sarebbero tutti resi conto che era incapace di ricambiare anche il gesto di gentilezza più misero e l'avrebbero abbandonato a sé stesso. E Katsuki sarebbe sopravvissuto anche così. Perché stare da solo era semplice per lui quanto era difficile per chiunque altro.

Sarebbe sopravvissuto perché aveva imparato a convivere con il silenzio e riempirlo con il suono della batteria, con il martellare della musica e il rombo delle sue esplosione. Aveva imparato a riempire il vuoto con i suoi successi e a convivere con la sensazione che non fosse mai abbastanza – che nulla sarebbe mai stato abbastanza – per riempire il vuoto nel suo petto.

≪ Sei un tale testone... ≫

Un sospiro rassegnato sfuggì dalla bocca contratta di Eijirou, ma nel rosso delle sue iridi, Katsuki, trovò solo affetto mescolato a dispiacere. L'ombra del rammarico per qualcosa che nemmeno lo riguardava, ma che si era preso a cuore senza che glielo chiedesse. Senza che dovesse trovare le parole e il coraggio per spiegaglielo.

Le labbra gli tremarono, costringendolo a prendere un altro sorso del drink fra le sue mani e cercare di soffocare quel qualcosa nel suo petto che si era contratto, procurandogli un dolore sordo, con l'alcool nel fondo del suo bicchiere.

≪ Gli affaracci tuoi mai, eh? ≫ disse, raschiandosi la gola e gli occhi rossi fissarono il fondo vuoto del suo bicchiere mentre le prime vertigini l'assalivano e due chiazze rosse gli coloravano le guance.

≪ Non quando il mio amico che non beve mai decide che ubriacarsi è meglio che affrontare un problema. ≫ replicò lui e un ampio sorriso baluginò nel suo viso mentre si lasciava ricadere contro lo schienale del divano al suo fianco. Ciocche ramate caddero a sfiorargli le tempie, sfuggendo alla fascia che gli trattenevano i capelli. ≪ Quindi... il piano è aspettare che come per magia i tuoi sentimenti svaniscano? Oppure, che Izuku si trovi qualcun altro? ≫

≪ Io non ho sentimenti. ≫ borbottò Katsuki fra i denti e i suoi occhi cercarono nel riflesso, l'immagine del ragazzo che aveva preso ad evitarlo perfino in classe, dove sedevano l'uno dietro l'altro senza possibilità di scampo.

Lo trovò intento a ballare con i suoi amici, fra il Quattrocchi che l'accompagnava sempre e la piccola streghetta che era sua complice da anni. Nell'osservarlo reclinare la testa e ridere di qualcosa che il capoclasse gli aveva appena detto, Katsuki provò un'inspiegabile amarezza.

Del ragazzino mingherlino che ricordava non era rimasto nulla, se non un'ombra riflessa nei tratti morbidi del viso. Un eco distorto che traspariva dalla sua risata e faceva scintillare il verde dei suoi occhi come smeraldi esposti alla luce del sole, mitigando la sua goffaggine e conferendo nuova sicurezza ai suoi gesti.

Dov'era finito il bambino timido che gli stringeva la mano, sbirciandolo da sotto le lunghe ciglia nere con un broncio tremante sulle labbra? Nel guardarlo, ora, sembrava che non fosse mai esistito.

Un velo di amarezza e rabbia gli risalì dal fondo del petto, stringendogli la gola e inumidendo gli occhi, perché lui avrebbe voluto rivederlo, poterlo incontrare, fingere che gli ultimi dieci anni non fossero mai esistiti e tornare a quando ancora non sapeva nulla. Quando ancora il suo cuore non aveva smesso di funzionare come si doveva e aveva ancora l'illusione di non essere vuoto dentro.

Quando Deku aveva ancora bisogno di lui per dormire la notte e fremeva d'impazienza nell'aspettarlo all'incrocio per andare insieme a scuola. Quando lui poteva ancora contare sul fatto che l'avrebbe trovato alle sue spalle, intento a incespicare, e non - Dio solo sapeva come - in mezzo al pericolo prima di lui.

≪ Kats? ≫

La voce di Kirishima era velata di preoccupazione. Katsuki abbassò lo sguardo e si rese conto di essersi alzato sulle gambe incerte, il bicchiere di carta accartocciato nella mano serrata a pugno da cui risaliva un filo di fumo. Kirishima lo guardò con gli occhi sbarrati e il viso cereo, congiungere le mani con uno scatto e far detonare un'esplosione sui suoi palmi.

Il bicchiere bruciò fra le urla sorprese e la confusione generale, ma a lui non importò. Così come non gli importava di avere gli sguardi di ridicole comparse puntati addosso o liquido appiccicoso sulle mani. Brandelli di cenere ondeggiarono nell'aria e caddero ai suoi piedi, diffondendo nell'aria un intenso odore di bruciata.

≪ Kats, non fare così. ≫ lo pregò Kirishima, con una nota affranta nella voce bassa. Gli occhi rossi di Katsuki baluginarono furiosi nel posarsi sul suo viso pallido e scorgere il dispiacere nelle sue iridi.

≪ Mi sono rotto il cazzo di questa maledetta festa. ≫ sibilò, scoprendo i denti in una smorfia d'insofferenza che alterò i tratti del suo viso. Ciocche bionde caddero a sfiorargli la fronte, appiccicandosi alla pelle umida di sudore. Scagliò ciò che restava del bicchiere addosso all'amico e lo guardò colpirgli il petto, sporcando il maglione rosso, per ricadere a terra senza fare rumore.

≪ Se mi guardi ancora così ti gonfio di botte, mi hai capito?! ≫ sbottò, scoprendo i denti in una smorfia violenta che accese il rosso delle sue iridi di una luce pericolosa. Kirishima non rispose, limitandosi a fissarlo con gli occhi sgranati e ombre scure che danzavano sul suo viso.

Le mani abbandonate fra le cosce si contrassero, mettendo in mostra i tendini, ma Katsuki non ci badò, superandolo come se non esistesse. Avrebbe voluto avere qualcosa da colpire. Qualcuno su cui riversare la sua rabbia, ma la persona che di solito prendeva di mira, ora era anche quella che l'evitava con maggiore tenacia.

I suoi occhi verdi lo guardavano con un'ombra a scurire l'iride, premendo sulla pelle sottile della nuca come un formicolio caldo da cui scaturì un brivido che scese lungo la spina dorsale. Nel voltarsi a lanciargli un'occhiata furiosa, Deku trasalì e distolse di scatto lo sguardo. Riccioli scuri caddero a ombreggiargli la metà superiore del viso e la sua bocca espressiva si contrasse in una linea dura che tradiva qualcosa di amareggiato e testardo allo stesso tempo.

Accanto a lui, Uraraka Ochaco serrò le labbra in una linea sottile e i suoi occhi castani luccicarono nella luce soffusa mentre allungava la mano e afferrava quella del Nerd con fare protettivo.

È troppo tardi per quello, stupida. Dovevi proteggerlo prima. Dovevi farlo innamorare di te. Dovevi venire a salvarlo da me quel giorno in piscina. Adesso, non è rimasto nulla che io possa fargli.

Le mani gli tremarono, serrate a pugno lungo i fianchi, e Katsuki le infilò in tasca per nasconderle agli sguardi distratti che lo sfioravano senza indugiare. Voltò le spalle con un grugnito al gruppo di Deku e cercò la protezione della folla per nascondersi dalla loro vista.

Era così stanco di stare lì a guardare l'impegno con cui Deku era riuscito ad escluderlo dalla sua vita in appena qualche giorno. La facilità con cui si era liberato di lui e aveva accettato di non rivolgergli più la parola o guardarlo, come se non avesse passato metà della sua vita a inseguirlo e l'altra metà a raccogliere i pezzi che lui aveva disseminato ai suoi piedi.

Adesso, non si fermava più a vedere quale strada avrebbe preso durante il pattugliamento o se Endevour gli avrebbe messi insieme. Non era più la persona che cercava per primo la mattina, quando entrava in classe e che doveva sorbirsi i suoi tentativi di fare conversazione.

Non era più niente. Ma questo era ciò che aveva scelto.

 

 

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Capitolo 12
*** 12. ***


12.


Ci siamo detti basta senza mai dirci addio

Perché sappiamo già che un giorno ci rincontreremo

In una vita o un'altra con te ci sarò io

Ciò che vedo è sfocato ma tu resti in primo piano

E allora torno indietro solo un attimo

Cartagine, Emanuele Aloia

 

≪ Vorrei tanto prenderlo a ceffoni ≫ borbottò Ochaco, accigliata. Gli occhi castani seguirono la figura di Kacchan aprirsi la strada nel mezzo della folla per poi tornare su quella di Kirishima, seduto sul divano, intento a guardarlo con l'aria sofferente.

La musica pulsava nella sala comune a tempo con il battito del cuore di Izuku. Le ombre che si rincorrevano sui volti, assiepandosi negli angoli, facevano apparire come argento i capelli biondi di Kacchan. Anche se le sue spalle erano forti come sempre, a Izuku sembravano rigide come se un peso insostenibile lo costringesse a resistere e combattere contro un nemico invisibile.

Kacchan era il combattere migliore che avesse mai conosciuto – dopo All Might ovviamente – ma perfino lui sembrava stesse perdendo la sua battaglia. ≪ Sembra così instabile su quelle gambe. ≫ sussurrò con apprensione, seguendo la figura statuaria di Kacchan svanire nel gioco di luci e ombre, fra corpi a cui faticava a dare un nome. ≪ Deve stare male. ≫

Ochaco, in piedi al suo fianco, lo fulminò con un'occhiataccia. Le lunghe ciglia impiastricciate di mascara si abbassarono, gettando un'ombra sugli zigomi arrossati dall'alcool ingerito. ≪ Non ci pensare nemmeno ≫ sibilò, puntandogli un dito contro e colpendolo sul petto con abbastanza forza da fargli male. ≪ Non ti farai trattare come una pezza da lui. Né ora né mai. ≫

Izuku trattenne il fiato, distogliendo lo sguardo dal suo. Si, non avrebbe dovuto preoccuparsi per Bakugou Katsuki. Non dopo il modo in cui l'aveva sempre trattato e soprattutto non dopo quello che gli aveva detto nella sua stanza.

"Non ha significato nulla."

A volte si svegliava nel suo letto con la sensazione del suo bacio sulle labbra e l'odore dolciastro dei fiori morti e della cera sciolta nel petto. A volte, si chiedeva se era successo davvero o se l'avesse solo sognato, come la bambina spettrale del cimitero.

Nella folla di pensieri che gli inondava la mente, riusciva a malapena a sentire la musica pulsante che rimbalzava nell'ampia stanza. Gli occhi verdi sbirciarono da sotto le lunghe ciglia la calca di studenti alla ricerca della figura famigliare del ragazzo che gli era cresciuto accanto. Ma lui non c'era più. Era svanito come per magia nella moltitudine, inghiottito nelle ombre e Izuku avvertì un dolore al petto come se insieme a lui avesse perso una parte di sé.

Davanti al suo silenzio, Ochaco gli afferrò il braccio con la mano umida di sudore, le dita che affondavano nella sua pelle accaldata. ≪ Dico davvero, Deku. ≫ Anche lei aveva smesso di ballare e lo guardava con un'ombra ostile riflessa nel castano degli occhi. ≪ Lui non vale nemmeno una delle tue lacrime. ≫

Izuku storse la bocca in una smorfia amara. A Ochaco non era mai piaciuto molto Kacchan, ma dal tirocinio – e ancora di più da quella notte in camera di lui – quell'antipatia si era inasprita. Izuku sperava che dipendeva dal suo spirito protettivo e da quanto gli volesse bene, ma nel guardarla in viso sentì comunque un guizzo di rabbia nel petto.

≪ Ho solo detto che mi sembra stia male. ≫ replicò con una smorfia irritata a curvare le labbra e lo sguardo che scivolava sulla folla alla ricerca del profilo famigliare di Kacchan. ≪ Non ho mica dato voce a una qualche stupida dichiarazione di amore e non sono salito su un tavolo per urlare qualcosa di imbarazzante alle sue spalle. ≫

Perfino dopo che Katsuki aveva preso a ignorarlo più di prima, gli veniva comunque naturale cercarlo, guardarlo quando lui non lo sapeva, controllare se stesse bene o se fosse ancora presente nella sua vita. Anche se era diventato una presenza che si limitava ad esistere ai margini estremi del suo mondo.

Cercava di dirsi che era solo l'abitudine, la sua naturale preoccupazione per un altro essere umano, ma in fondo sapeva che non sarebbe stato così sensibile al cambio di umore di qualcuno che non fosse lui. Il cuore gli batteva più forte nel petto, un dolore sordo che vibrava a ogni battito, ma di Kacchan non c'era più traccia. Si era perso nel mezzo della folla o forse, se n'era semplicemente andato.

≪ Ma per favore, sta benissimo. ≫ esclamò Ochaco, scuotendo la testa. I lisci capelli castani le sfiorarono le guance accaldate. La sua voce arrivava soffocata alle orecchie di Izuku, facendogli sperare di aver sentito male. Si chinò su di lei per sentirla meglio. ≪ Cosa? ≫ gridò al di sopra delle urla e della musica crescente. ≪ Non ti ho capito. ≫

Ochaco si sporse a sua volta, l'ombretto scuro sulle palpebre scintillante come gocce lucenti nella luce soffusa. ≪ Ho detto che sta benissimo. ≫ ripeté con una nota gelida nella voce e gli occhi scuri ammantati di ombre. C'era qualcosa nel suo sguardo che ricordava a Izuku lo strano discorso che avevano fatto nella camera di lei, prima di sdraiarsi insieme nel suo letto e fissare il soffitto persi ognuno nei propri pensieri.

≪ Non è vero. ≫ replicò Izuku con una sicurezza che non sapeva spiegare nemmeno a sé stesso. Eppure, ne era certo. Conosceva Kacchan da quando erano bambini, sapeva quando la sua era semplice irritazione e quando, invece, era sofferenza celata dietro ai suoi motti di rabbia. Quando stava solo sfogando il malumore nei confronti dei suoi genitori su tutto ciò che lo circondava o quando era qualcosa di più profondo a tormentarlo.

≪ Sta male, 'Chako. ≫ le disse con labbra tremanti e le mani si contrassero nel serrarsi a pugno lungo ai fianchi. Percepì lo sguardo penetrante di Iida sulla pelle, scivolare da uno all'altra mentre si sforzava di sentirli al di sotto della musica e capire cosa stesse succedendo, ma non gli importava. ≪ Kacchan... Kacchan sta soffrendo e io... ≫

≪ Non è un tuo problema. ≫ lo interruppe Ochaco, gelida, stringendo la presa sul suo braccio con tanta forza da fargli male. Aveva lasciato sollevato solo il mignolo, una precauzione che prendeva senza nemmeno accorgersene. Le ombre che si rincorrevano sul suo viso pieno conferivano al suo sguardo qualcosa di tagliente che ferì Izuku più della verità insita nelle sue parole. ≪ È stato lui a dirtelo, no? Non ha provato nulla. Si è solo preso gioco di te, quindi perché devi umiliare te stesso continuando a inseguirlo? ≫

Già, perché.

Nel voltarsi a cercarlo tra la folla, Izuku non riusciva a trovare una vera risposta da darle. Una giustificazione inattaccabile che gli permettesse di svicolare a quella situazione e gli desse il diritto di continuare a inseguire Kacchan, anche a costo di continuare a ballare in quella sala distrutta da solo.

Gli aveva spezzato il cuore, l'aveva illuso con un bacio che infestava tutti i suoi pensieri ogni volta che chiudeva gli occhi e poi, gli aveva detto che non aveva significato nulla per lui. Tutto ciò che aveva animato Izuku, l'aveva fatto tremare e gli aveva levato il respiro, non aveva significato nulla per la persona per cui aveva tirato fuori tutto il coraggio che aveva per dare voce a parole che si era tenuto dentro fino a quel momento.

Le labbra gli tremarono nello schiudersi e liberare un respiro rapido. Avvertì il sapore amaro delle lacrime in fondo alla gola e cercò di mandarlo giù. ≪ A volte Kacchan dice cose che non pensa solo per ferire gli altri e sé stesso. ≫. Nella luce mutevole che gli feriva gli occhi, Izuku evitò d'incrociare lo sguardo penetrante della ragazza. ≪ A volte, allontana le persone di proposito... come se avesse paura a lasciarle avvicinare. ≫

E a volte, l'aveva ferito con le mani quanto con le parole. Aveva preso e distrutto i suoi sogni, le sue speranze e gliele aveva lanciate addosso senza preoccuparsi che potessero tagliarlo come vetro. Era rimasto lì a guardarlo arrancare e contorcersi, ma ogni volta che Izuku aveva sollevato lo sguardo, l'aveva trovato lì.

Quando la palazzina gli era caduta addosso. Quando un villain l'aveva messo con le spalle al muro. Perfino quando la paura gli era strisciata dentro a tradimento, era sempre stato lì al suo fianco. A proteggerlo. A soccorrerlo. A gridargli contro. A cercarlo con la mano protesa dietro di sé, come una presenza sicura e costante su cui potesse sempre contare.

≪ Kacchan... ≫ sussurrò al di sotto della musica pulsante e la voce di Ochaco sommerse la sua mentre gli stringeva il braccio con entrambe le mani. ≪ Io ti voglio bene, Deku. ≫ gli disse e nel guardarla, Izuku si sorprese di scorgere nel suo viso un'espressione così nuda da renderla vulnerabile. ≪ Ma se gli vai dietro adesso non ti libererai mai di questi sentimenti. ≫

C'era di nuovo quel velo di tristezza nei suoi occhi scintillanti di ombre, la stessa che aveva quando gli aveva chiesto se potessero scegliere chi amare e quando smettere. ≪ Non smetterà mai di fare male e lui potrà continuare a prendersi gioco di te, ferirti e illuderti, senza che cambi mai nulla. ≫

La sua voce bassa si spense al di sotto della musica pulsante. Ombre scure correvano sul suo viso accaldato. Nel lasciarlo andare, Ochaco mosse un passo indietro e le labbra rosee si stesero in un sorriso incerto. ≪ Meriti di meglio, Izuku. ≫

≪ Chi sei tu per decidere chi può piacermi e chi no? ≫

Le parole gli sfuggirono dalle labbra arricciate prima ancora che se ne rendesse conto. Avvertì la rabbia che portavano con loro, il sapore amaro che gli lasciavano sulla lingua, eppure non seppe di averle pronunciate finché non vide gli occhi castani di Ochaco sgranarsi e la sua stretta allentarsi.

≪ Siete tutti così pronti a dirmi cosa è meglio per me, ma chi vi credete di essere per decidere al mio posto cosa o chi voglio al mio fianco? ≫ sibilò, serrando i pugni lungo i fianchi. Un dolore sordo lo colpì insieme al pulsare del suo cuore. ≪ Sono innamorato di lui da prima ancora di sapere cosa significasse questa parola, credi che possa dimenticarlo dall'oggi al domani come se nulla fosse? ≫

Avrebbe potuto descriverle la prima volta che aveva sentito il respiro venire meno al tocco caldo delle mani da bambino di Katsuki sulla pelle. La prima volta che l'aveva visto parlare a una ragazza che lo guardava come se fosse stato un Dio sceso in terra e la gelosia l'aveva assalito, solo per venir sostituita dal sollievo quando Katsuki l'aveva scacciata in malo modo, ridendole in faccia con cattiveria.

Si era sentito in colpa dopo. Si era sentito un mostro perché provava sentimenti così egoistici per una persona che avrebbe dovuto detestare. Ma per quanto ci avesse provato, non era riuscito a spegnere quella debole fiammella. ≪ Cazzo, Ochaco, ≫ sbottò, sollevando la voce sopra la musica e la rabbia gli contrasse la bocca in una smorfia. ≪ almeno sai che cosa si prova ad amare qualcuno che non puoi avere? Qualcuno che non riesci a dimenticare? ≫

Si pentì all'istante di averlo detto.

L'espressione sul viso di Ochaco era come vetro inclinato sul punto di frantumarsi. Perfino nelle ombre che le scivolavano sul volto arrossato riuscì a scorgere la sfumatura verdognola della pelle e il dolore nei suoi occhi. ≪ E tu lo sai? ≫ la sentì sussurrare con un filo di voce, appena inclinata come se anche quella si stesse per infrangere al suolo insieme al suo corpo tremante. ≪ Sai com'è svegliarsi ogni giorno con una persona che credi ti ami quanto tu ami lui, progettare le vostre giornate insieme, e vedere tutto questo andare in frantumi in una sola fottuta ora? ≫

Izuku la guardò senza rispondere, con la sensazione di essersi perso qualcosa d'importante. Aveva affrontato Katsuki nella stanza di lui allo stesso modo, ma a differenza di Ochaco che si limitò a tacere e distogliere lo sguardo, Kacchan gli aveva risposto a tono. Gli aveva ricordato che anche lui aveva diritto di decidere per sé stesso e non presentarsi su quella sala da ballo, lasciandolo da solo a ballare quella melodia senza musica che l'ossessionava.

Ochaco gli voltò le spalle senza nemmeno dargli la possibilità di rimediare. Lo lasciò a guardarla allontanarsi con lo stomaco contrato in una morsa e la sensazione di essere stato uno stronzo totale con la sua unica alleata.

 

***

 

Roses are red, violets are blue

I don't sleep at night 'cause I'm thinking of you

Alone with my thoughts, trapped in this bed

Know I'd give the world just to see you again

And your imperfections perfectly drawn up

But I was a fool to think you were in love

So roses are red, violets are blue

It's all in my head, no matter what I do

- Roses are red, violets are blue, Jon Caryl –

 

 

Ochaco si fece strada nel mezzo della folla, piccola e goffa sui tacchi alti, senza guardarsi indietro. I passi leggeri a stento si trattenevano dal correre, come se potesse scappare e lasciarsi tutto alle spalle.

Che cosa ridicola, come se si potesse seminare qualcosa che era dentro di lei e viveva annidata nel suo petto. Faceva male, però. Era doloroso come quando i suoi genitori le avevano detto che il suo sogno era finito e tutto il mondo le era crollato addosso. Le ricordava l'espressione sul viso cesellato di Shouto la notte in cui l'aveva riaccompagnata a casa. Il suo sguardo nella luce dei lampioni che la fissava fra le braccia di suo padre e sua madre.

In quel momento, gli era sembrato solo e indifeso. Quasi triste. Come un giovane e moderno Hikoboshi costretto a guardare qualcosa che desiderava con tutto sé stesso e che non poteva avere perché un fiume invalicabile di stelle lo tagliava fuori. Ma non era lei che desiderava con tanta struggente tristezza quella sera. Era stato l'amore dei suoi genitori per lei, il vederli stringerla e piangere nel mezzo della strada.

Ci aveva pensato solo una volta giunta a letto. Si era chiesta se Todoroki Shouto fosse mai stato abbracciato in quel modo dai propri genitori. Se c'era qualcuno che l'amasse al punto da piangere d'angoscia per la preoccupazione, di attenderlo con il cuore trepidante fino al suo ritorno e dimenticare la rabbia, la delusione e qualunque emozione negativa per gettarli le braccia al collo e stringerlo a sé. C'era mai stato qualcuno che l'avesse fatto sentire amato almeno la metà di quanto lo fosse Ochaco?

Una mano emerse dalla folla e l'afferrò per il gomito, tirandola di lato con un gesto brusco. Ochaco inciampò nei suoi stessi piedi, rischiando di cadere a terra e urtò la parete con la schiena. Le ombre la avvolsero, circondandola come una cappa protettiva e creando uno spazio sicuro in cui esistere lontano da occhi indiscreti.

Il suo cuore perse un battito nell'avvertire un respiro caldo sfiorarle la bocca schiusa, gli occhi che scintillavano come stelle incastonate nel manto della notte. La sua bocca premette su quella di lei, le labbra strusciarono l'una contro l'altra e si schiusero a cercarsi con i denti e la lingua.

Avvertì le mani ruvide di Shouto sulla pelle accaldata, sfiorargli le guance arrossate e scostare le ciocche di capelli che si erano appiccicate sopra. Il suo cuore batteva forte contro il seno, il corpo scosso da un tremito profondo nello stringersi a lui e lasciarsi stringere.

I capelli di lui le scivolarono fra le dita come seta. Si sentì girare la testa per un improvviso senso di felicità, come se il tempo si fosse riavvolto fino a farli tornare ai giorni che avevano passato in quell'appartamento che puzzava di muffa e limone. Alle giornate trascorse in ronda insieme, a bere bibite ghiacciate e a parlare sottovoce. Alle notti in cui poteva prenderlo per mano e camminare fra le bancarelle dei festival estivi nei loro yukata leggeri, con i fiori che lui le aveva messo fra i capelli, con il suo sguardo che la cercava al suo fianco solo per sorriderle.

Dimmi qualcosa che nessuno sa di te sussurrò nelle ombre della notte su una spiaggia che mostrava in lontananza le luci dei locali in chiusura. Il vento che veniva dal mare le scompigliava i capelli e le lasciava sulla pelle il sapore della salsedine, un ricordo che sapeva di dolcezza e di sogno allo stesso tempo.

Lo sguardo che lui le lanciò era impenetrabile. ≪ Dimmelo tu, qualcosa che nessuno sa di te.

Le mani ruvide che le sfioravano le guance, scesero ad accarezzarle il collo con dita leggere. Le sfiorarono la spalla nuda, disegnandone il contorno con delicatezza sotto la spallina di stoffa. Un lieve formicolio rimase là dove lui l'aveva toccata, accresciuto dalla sensazione di seta dei suoi capelli sulla fronte quando si scostò quel tanto necessario a mormorare sulle sue labbra tremanti. ≪ C'è una cosa che devo dirti ... Una cosa che non posso più tenere per me. ≫

Il suo respiro caldo le sfiorò le labbra, pungendole la lingua con il suo sapore asprigno. Era sempre stato bello. Lo era anche quando non si erano degnati di uno sguardo, ma nel reclinare la testa e guardarla con occhi ardenti di desiderio a Ochaco parve mille volte più bello.

≪ Non ce la faccio, Ochaco. ≫ le disse e lei si sorprese a trattenere il fiato e tremare nello stretto spazio fra la parete e il suo corpo atletico. I tratti cesellati di Shouto si tesero, ornati di ombre scure che facevano risaltare il chiarore lunare della sua pelle. ≪ Ti penso di continuo. Ti guardo e so che non posso toccarti... che è tutta colpa mia se soffriamo entrambi. ≫

Le labbra sottili di Shouto si schiusero in cerca delle parole. Aveva il colletto della camicia aperto, le clavicole sfiorate dalla luce mutevole della festa che faceva danzare le ombre sul suo viso. Eppure, Ochaco non l'aveva mai visto con tanta chiarezza prima. ≪ Non farlo. ≫ lo pregò con un sussurro tremante. ≪ Momo è mia amica. Non voglio farle del male. ≫

Le lisce ciocche di capelli di lui le sfiorarono il viso. Il suo respiro aveva un lieve retrogusto di lime che le portava alla mente ricordi che non voleva rievocare. La sensazione della schiuma di mare fra le dita dei piedi e la voce di lui, priva di ogni artificio che le parlava nella luce delle stelle. Il sapore del primo bacio che si erano scambiati sotto i raggi gentili di una luna calante con le sue dita intrecciate ai capelli e quelle di lei strette alla sua camicia.

≪ È questo il punto, Ochaco. ≫ sussurrò Shouto, guardandola negli occhi con le iridi spagliate che scintillavano come stelle diverse nella notte. ≪ Non ho mai desiderato così tanto qualcosa quanto desidero te. ≫

Ochaco desiderò poter distogliere lo sguardo e scappare via. Aggrapparsi al suo affetto per Momo e spingerlo via, ma mentre Shouto la fissava negli occhi con un'espressione che non riusciva a celare i suoi reali sentimenti, non riusciva a ricordare perché si fossero messi in quella situazione.

Perché si stavano facendo del male se tutto quello che desideravano era tornare ad essere felici insieme.

Le sue labbra si schiusero a saggiare quelle calde e voluttuose di lui senza che dovesse pensare di farlo. La sua bocca calda e morbida premette con forza contro quella di lei, quasi volesse imporle di ricordare il sapore della salsedine sulla loro pelle quella notte d'estate, quando si erano guardati per la prima volta e si erano visti. Cancellare tutti quei mesi di distanza e sofferenza per tornare a quella stanza dai muri macchiati di umidità e alla complicità che avevano raggiunto.

Ochaco avvertì una contrazione alla base del ventre. Tutto il suo corpo si protese a cercarlo, le mani si sollevarono ad afferrare il colletto inamidato della camicia, tirandolo a sé. L'altra si infilò fra le morbide ciocche bianche che gli nascondevano l'orecchio e in un attimo stava respirando il suo odore, stretta fra le sue braccia forti, con la sensazione della sua bocca sulla propria.

Le riportò in mente il calore del sole sulla pelle, attraverso la sottile stoffa della divisa da heroes. Il suo sguardo curioso nell'osservare i bambini che si arrampicavano sulle palestrine, lanciando urla e risa, e l'espressione quasi infantile con cui aveva accettato la crepes piena di gelato che si erano comprati.

Le aveva detto una cosa quel giorno che l'aveva stupita. Qualcosa sul fatto che non aveva mai giocato con altri bambini, nemmeno con i suoi fratelli, perché suo padre voleva che diventasse più forte. Le aveva detto che non aveva mai visto un parco dei divertimenti prima di allora se non sulle riviste e in tv. Le aveva detto che lei era stata la prima persona che aveva preso per mano, con cui si era sentito abbastanza sicuro da poter chiudere gli occhi e dormire.

Le aveva detto...

Ochaco soffocò un singhiozzo che era salito dal fondo della gola e reclinò la testa per sottrarsi a quel bacio. Cercò l'aria come se stesse soffocando e nell'aprire gli occhi ornati di lacrime incrociò lo sguardo di Shouto che si ritrasse quel tanto da permettere a entrambi di respirarsi a vicenda.

La cicatrice che gli deturpava il viso era un'ombra scura sotto la frangia di capelli che lei sfiorò con dita tremanti. ≪ No. No. ≫ sussurrò con un filo di voce, le labbra rosee piene del suo sapore. L'aveva desiderato così tanto ed ora che era lì capì che non poteva averlo, che era troppo doloroso doverlo rubare a qualcuno a cui teneva.

L'espressione sul viso di lui si ammorbidì, la bocca gentile si schiuse in un sorriso incerto. ≪ Cosa c'è? ≫ le domandò, accarezzandogli la guancia con la punta delle dita. La pelle tiepida contro quella bollente di Ochaco. Il petto le faceva male come se una lama invisibile lo stesse squarciando. ≪ N-non possiamo. Sai che non possiamo. ≫

Il dolore negli occhi di lui era tangibile come le sue dita che scivolavano fra le ciocche dei capelli. ≪ Parlerò con mio padre. Aggiusterò le cose. Ochaco... ≫ sussurrò, chinandosi sul suo viso e le sue labbra calde le sfiorarono una guancia leggere come una carezza. Ochaco avvertì un brivido correrle lungo la spina dorsale ed esplodere alla base del ventre.

≪ No, non lo farai. ≫ sussurrò, deglutendo. Gli occhi castani si chiusero, lasciando cadere una lacrima lungo la guancia arrossata e improvvisamente, vide quelle settimane nel loro appartamento affosso per quello che erano state realmente. Un sogno che avevano condiviso per sfuggire dalla realtà che li soffocava entrambi. L'illusione che esistesse un luogo in cui sarebbero potuti scappare da ciò che erano ed essere qualcun altro.

Nel guardare il viso mite di Shouto nelle ombre che l'avvolgevano, Ochaco desiderò con tutta sé stessa perdersi fra le sue braccia e dimenticare ogni cosa. Ma sarebbe stato tutto inutile. L'amore non era abbastanza per superare il baratro della realtà e lei questo l'aveva sempre saputo.

≪ È finita, Shouto. Tu, io, quell'appartamento... è stato uno sbaglio. Tutto uno sbaglio. ≫ Avrebbe voluto stare in quelle braccia con tutta sé stessa, ma come poteva fare una cosa simile alla sua amica? Come poteva credergli? Dopo quello che lui le aveva detto l'ultima notte che avevano passato insieme, dopo che non era riuscito nemmeno a smentire suo padre.

≪ Non sono mai stata la persona giusta per te e lo sai. ≫

≪ Tu sei tutto quello che voglio. ≫ ripeté lui, scostandosi. Le dita affusolate afferrarono quelle di lei, allontanandole dal suo viso cesellato e le strinsero in una morsa calda. Il grigio del suo occhio era nero nelle ombre e quello azzurro sembrava ghiaccio sul punto di spezzarsi. Entrambi la fissavano con una tale intensità da farle formicolare le guance di caldo rossore. ≪ Non sono mai stato così tanto me stesso se non con te. E lo so, lo so, che ho fatto un casino, ma sistemerò tutto. ≫

≪ Come? ≫ La voce di Ochaco si sollevò, velandosi di una durezza che affondava nel suo petto. Dovette sforzarsi di richiamare alla mente il momento in cui tutto era finito - il ghiaccio sul tatami che fumava ai loro piedi e il volto cesellato di Shouto contorto per la rabbia e la disperazione - per trovare la forza di pronunciare quelle parole. ≪ Dirai a tuo padre che non sono una sgualdrina che mira ai tuoi soldi? Gli dirai che non ti ho costretto a scappare da casa e vivere con me in un appartamento che puzzava di muffa? ≫

≪ Tu non mi hai mai chiesto niente, Ochaco. Sei l'unica persona che non si è mai aspettata nulla da me. ≫ sbottò, sollevando la voce e il suo bel viso si contorse per un motto d'irritazione. Gli occhi spagliati luccicavano nelle ombre di un'emozione violenta che non gli aveva mai visto esternare con nessun'altro. ≪ Tutto quello che ho fatto è stata una mia scelta e ho fatto un unico stupido sbaglio. Non ti ho saputo tenere testa a mio padre. ≫

Con lei fai così? Si chiese, trattenendo il fiato. Le dita serrate nella stretta di lui si contrassero fino a liberarsi e Ochaco distolse lo sguardo, incapace di guardarlo più allungo. Le mostri quanto sei capace di emozionarti sotto quella maschera imperturbabile. Le racconti di tutte le cose che avresti voluto fare e che tuo padre ti ha portato via. Le dici che non sei mai stato così felice in vita tua e che non hai mai desiderato tanto restare in un posto quanto lo desideri con lei?

Un errore? ≫ sibilò, storcendo la bocca in una smorfia e gli occhi castani fissarono le ombre dei suoi compagni che si muovevano ai margini della festa senza riuscire a dare loro un nome. ≪ Dì piuttosto una scelta. L'hai sempre saputo che non c'entravo nulla con te e il tuo mondo. Volevi solo una scusa per evadere e l'hai trovata in me. ≫

≪ Ochaco, guardami. ≫ sussurrò Shouto, la voce bassa che conteneva una nota fragile come se il ghiaccio dentro cui aveva nascosto sé stesso si stesse crepando. E Ochaco lo guardò, il cuore stretto in una morsa dolorosa. Il suo viso cesellato era pieno di angoscia e gli occhi velati di malinconia e dolore cercarono i suoi. Morbide ciocche di capelli gli coprivano la fronte aggrottata. ≪ Perché fai così? Sei stata tu a lasciare me, non il contrario. Hai detto che non volevi più vedermi... pensavo che ti sarebbe passata, ma non è successo. ≫

Ochaco ricordava l'esatto momento in cui l'aveva guardato e aveva visto quanto fosse profondo il baratro che li divideva. Avrebbe voluto dire che era accaduto mentre litigavano, ma era stato solo quando si era trovato davanti Enji Todoroki che l'aveva compreso. ≪ Sai benissimo il perché ≫ sibilò e un dolore sordo le pulsò dentro, ghermendole il petto e mozzandole il respiro. Avvertì la pelle formicolare là dove i loro vestiti si sfioravano, il corpo ipersensibile alla sua presenza. ≪ Perché non sarò il tuo sporco segreto da tenere nascosto sotto il letto. ≫ sibilò con una nota amara nella voce bassa che disegnò una smorfia infelice sulle labbra di lui. ≪ Non ti guarderò da lontano approfittando delle briciole che sei disposto a gettarmi. Non sono così stupida. ≫

≪ Non ho mai pensato che tu lo fossi. Ma mettiti nei panni... ≫ replicò lui, afferrandole le spalle con le mani tiepide. Le dita affusolate premettero sulle scapole, imprimendo il suo tocco conturbante attraverso la spallina del vestito fin dentro le sue ossa. ≪ Non posso soddisfare le aspettative di tutti. Non posso essere così tante cose diverse. Nasconderti da mio padre era solo un modo per proteggerti da lui. Per proteggerci entrambi dalla sua influenza velenosa. ≫

≪ Puoi esserlo accanto a Momo. ≫

Quelle parole gelarono entrambi. Furono come una doccia fredda che li riportò entrambi alla realtà, lontano dal ricordo di quella stanza dai muri macchiati di umidità e dal tatami scheggiato. Shouto la guardò nelle ombre del corridoio con un'angoscia palpabile e Ochaco posò le mani tremanti sul suo petto muscoloso per spingerlo con gentilezza via.

≪ Non capisci, Shouto? ≫ sussurrò, deglutendo le lacrime che le serravano la gola e minacciavano di traboccare dai suoi occhi spalancati. Le labbra le tremarono nell'arricciarsi in una smorfia piena di rabbia. ≪ Io non sarò mai all'altezza del nome dei Todoroki e tu non riuscirai mai a staccarti da loro. E perché dovresti? Sono la tua famiglia e io non potrei mai sopportare di essere la causa di un allontanamento fra voi. ≫

≪ Ochaco... ≫

Il suo nome sulle labbra di lui era il più dolce e amaro dei sussurri. Per un attimo, quella voce vellutata e il sapore di quel bacio fu tutto ciò a cui Ochaco riuscì a pensare. Lui la guardò in silenzio, pregandola di restare, di non andarsene o forse, era lei che desiderava così tanto che lo facesse da immaginarlo. Ma anche se avessero finto di non sapere che non c'era un vero futuro ad attenderli, come avrebbe potuto tornare a com'erano prima ora che l'aveva visto andare via con la sua migliore amica.

Ora che sapeva quanto lei fosse felice accanto al ragazzo che entrambe amavano.

≪ Abbiamo diciassette anni, Shouto. Abbiamo fatto una pazzia credendo di essere innamorati. ≫ sussurrò con voce rauca e una morsa le strinse il cuore nel vederlo indietreggiare come se l'avesse colpito con un pugno nello stomaco. ≪ Non potevamo restare per sempre chiusi in quella bolla a fingere che non appartenessimo a due mondi diversi. ≫

≪ Che stai dicendo? ≫ le chiese, la bocca tremò nell'arricciarsi in una smorfia inorridita. Gli occhi spagliati la fissavano sgranati da sotto le ciocche lisce dei suoi capelli. Ochaco si chiese quanto dolore potesse sopportare prima di cadere a pezzi e scoppiare a piangere, quanto se ne potesse contenere prima di crollare a terra. ≪ Sto dicendo che forse è meglio così. Io e te... stavamo solo sognando di poter stare insieme. ≫

La luce che sfiorava il volto sconvolto di Shouto faceva sembrare la sua pelle pallida e lucida. Ochaco era grata alla parete che premeva contro la sua schiena e le impediva di crollare, perché senza forse non avrebbe trovato nemmeno la voce per sussurrare. ≪ Sembrava tutto così facile tra noi... avremmo dovuto capirlo che non poteva durare. Non sarebbe mai dovuta nemmeno iniziare. Non quando Momo è innamorata di te dalla prima volta che ti ha visto. ≫

≪ Però è iniziata. ≫ esclamò Shouto e la sua voce prima così rauca e morbida da farle stringere lo stomaco in una morsa languida, divenne gelida e sferzante. Il grigio del suo occhio sinistro e l'azzurro del destro si freddarono fino a divenire lame gemelle che la perforarono con lo sguardo. ≪ Dimmi che non eri felice, Ochaco. Dimmi che non sono state le settimane migliori della tua vita. ≫

Ochaco trattenne il fiato e scosse la testa, le ciocche lisce dei suoi capelli si appiccicarono alla pelle sudata del collo. Le lacrime punsero gli occhi e le inumidirono le ciglia, ma sorrise come se andasse tutto bene. Come se dentro di lei qualcosa non si stesse inclinando e spezzando. ≪ Momo è la mia migliore amica e sai anche tu che la tua famiglia l'adorerà. Non le porterò via qualcosa che la rende felice. Non più. Lei... s-saprà darti tutto ciò che io non ho da dare... ≫

≪ E quello che voglio io non conta? ≫ sbottò Shouto, interrompendola. La voce resa gelida dalla rabbia che gli bruciava nello sguardo e che faceva contrarre le sue mani lungo i fianchi. Ochaco riusciva a sentire il battito rapido del cuore contro la cassa toracica, un rimbombo sordo che risuonava più forte della musica e che sperava lui non potesse sentire.

≪ Sai perché non è mi è mai piaciuta la storia di Orihime e Hikoboshi? ≫ gli disse piano, la voce ridotta a un sussurro amaro che dipinse un velo d'inquietudine negli occhi spagliati di lui. Dentro di sé, Ochaco soffocò le urla che avrebbe voluto lasciar uscire e si costrinse a scuotere la testa per metterle a tacere. ≪ È perché sono due egoisti che per il loro amore erano pronti a sacrificare tutto ciò che avevano di più caro prima. Erano pronti a voltare le spalle a qualsiasi affetto per la loro felicità. E se sei pronto a rinunciare a qualcosa che dicevi di amare per qualcos'altro... significa che non l'hai mai amato davvero. ≫

Nel staccare le spalle dalla parete alle sue spalle, Ochaco barcollò. Shouto allungò la mano per afferrarle il braccio in un gesto istintivo. Per un attimo, poté sentire il calore della sua pelle sulla propria, prima che si ritraesse e muovesse qualche passo indietro. ≪ Momo è mia amica ed è innamorata di te. Cosa vuoi fare, spetta a te deciderlo, ma io non sarò la ragione della vostra rottura. ≫

 

--- Angolino Lacie ---

Dopo una vita sono riuscita a scrivere questo capitolo che avevo mezzo iniziato tempo fa. Ha lievemente cambiato rotta rispetto quello che era il mio progetto iniziale ma okay, ho cercato di prenderla con filosofia.

Spero che stiate bene e che questo capitolo vi sia piaciuto.

Un abbraccio

Lacie

 

 

 

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