Il manuale delle emozioni

di BeingHuman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il sonno della ragione genera mostri ***
Capitolo 2: *** Notte Stellata ***
Capitolo 3: *** La persistenza della memoria ***
Capitolo 4: *** Urlo ***



Capitolo 1
*** Il sonno della ragione genera mostri ***


Il sonno della ragione genera mostri
Il sonno della ragione genera mostri

-Ed eccoci qui, amico mio. Questo museo contiene opere di un certo spessore e nel mio piccolo spero di riuscire a far in modo che tu le veda come le vedo io.- Disse l'uomo più alto all'uomo più basso.
-Che intendi con "come le vedo io"? Non dovresti offrirmi una visione oggettiva delle cose?- Replicò l'altro.
L'espressione di Sebastian cambiò da serena a divertita e un accenno di risata conquistò delicatamente il silenzio della mostra.
Alla fine si ritrovava sempre a dover spiegare tutto. Non sapeva se fosse colpa sua, magari poiché troppo criptico nei discorsi, oppure dei suoi interlocutori, non realmente interessati alle parole. Si diede un tono e cercò di chiarire le sue intenzioni; il suo amico non poteva di certo vedere la sua espressione, ma Sebastian era sicuro che potesse avvertire il suo complesso di eterno incompreso.
-Vedi, Michael, l'arte non può essere oggettiva. Per quanto l'immagine possa essere una e una soltanto agli occhi di tutti, ognuno le dà una propria interpretazione guardandola.- Spiegò.
Passarono alcuni minuti prima che Michael replicasse e Sebastian si convinse di aver detto qualcosa che potesse averlo turbato in qualche modo. In effetti era così: l'uomo era non vedente dalla tenera età, e sebbene avesse visto la forma di gran parte delle cose materiali di cui la vita umana si compone, molte di esse le aveva dimenticate non vedendole più; o semplicemente perché era troppo piccolo per associarle a qualcosa che gli sarebbe servito da adulto.
Sapeva come erano fatti gli animali, ma conservava ricordi visivi di soli cani, gatti e criceti.
Sapeva come erano fatti i volti delle persone, ma faticava a immaginare quelli degli estranei che lo aiutavano ad attraversare la strada.
Fortuna che aveva con lui Sebastian, l'amico di una vita, e Jonny, il suo cane guida.
-E io che non posso guardarla, come faccio a dare la mia interpretazione?-
L'espressione serena sul volto di Sebastian sparì. C'erano cose con cui doveva fare i conti, cose che costituivano la realtà della vita. Di solito si limitava ad accantonare quelle consapevolezze dure ed ingiuste, come il fatto che Michael fosse cieco e che lui fosse il suo unico amico vero.
Effettivamente neanche Sebastian aveva molti amici.
-Non c'è bisogno di vederla con gli occhi per guardarla. Tu stammi a sentire e non mi interrompere, d'accordo?- lo ammonì scherzosamente, cercando di mascherare quel velo di malinconia che un attimo prima aveva fatto ombra sulle sue emozioni.
Michael sorrise, cogliendo il tono giocoso, e annuì.
-Allora, il quadro che ti racconto oggi è di Francisco Goya. Realizzato nel 1797 attraverso una particolare tecnica di incisione su metallo, si esprime secondo me su un tema molto attuale.-
-Come si chiama il quadro?-
Un gesto di stizza della mano di Sebastian fece ridere Michael, consapevole di aver suscitato irritazione nell'amico. Irritazione che fu subito smorzata da una mano sulla spalla.
-Ti avevo chiesto di ascoltarmi, se non sbaglio. In effetti, stavo proprio per dirti il titolo dell'opera.-
-E qual è il titolo?-
Entrambi un po' divertiti dalla situazione risero, da buoni amici. Era questo il motivo per cui Michael aveva Sebastian come amico: lui non aveva paura di dirgli le cose, di fargli notare quanto fosse irritante. Non lo trattava come un disabile, anzi. Avrebbe dovuto ringraziarlo per il fatto che fosse un amico così sincero, ma non sapeva come farlo. Tuttavia sapeva che Sebastian avrebbe capito e che non ci sarebbe stato bisogno di dire grazie. La gratitudine era un concetto troppo implicito
per essere espresso da una parola sola e fortunatamente erano entrambi d'accordo su questo.
-Il sonno della ragione genera mostri. Questo è il titolo.-
-Impressionante.- disse Michael sarcasticamente, per smorzare il tono serioso che l'amico aveva preso ad assumere.
-L'immagine si compone della figura di un uomo che dorme con la testa appoggiata su un tavolo e attorno a lui una serie di animali mostruosi pronti ad attaccarlo. Tra questi ci sono volatili di varie fattezze e pipistrelli; appare anche una lince. E prima che tu me lo chieda, la lince è un gatto di dimensioni maggiori con le orecchie leggermente più a punta.- Spiegò Sebastian.
Michael si mostrava interessato. Era sempre così quando l'amico gli spiegava le cose nel modo più chiaro e riassuntivo possibile, poiché sapeva che Michael non amava i discorsi troppo lunghi ma troppo vuoti nel contenuto: non serviva dilungarsi nelle descrizioni se poi non si riusciva a trasmettere un significato reale e tangibile, significato che potesse essere compreso anche da un cieco come lui.
-Il tale addormentato è una metafora dell'intelletto umano che va a farsi benedire. E quando questo succede allora è lì che l'uomo fa prevalere il suo lato bestiale, il suo istinto.-
-Sono sicuro che è un'ottima scusa quella dell'istinto, per giustificare azioni orribili.-
-Ottima osservazione, Mike. Ma continuiamo. Nel momento in cui la ragione si addormenta, le bestie vengono fuori e tentano di assalire il pover uomo. Esse rappresentano le atrocità, le azioni figlie dell'ignoranza, le perversioni incontrollate, i vizi che prendono il sopravvento. Tutto diventa caos dominante.-
Sebastian fece una pausa preceduta da un sospiro prima di continuare. Era un tema che lo toccava da vicino, poiché tante volte si era interrogato sul significato della vita. -Vedi Michael, c'è il rischio che l'uomo non si risvegli più. Quando il caos prende il sopravvento non c'è più modo per dominarlo e tornare sani di mente. In effetti, tra sanità mentale e malattia il filo è sottilissimo.-
Michael annuì. Era realmente così. Lui stesso aveva avuto modo di toccare con mano la follia umana, seppure non potendola vedere con i propri occhi. E aveva deciso con se stesso che forse non vederla era stata una benedizione.
-Come sempre riassuntivo, ma esaustivo. Grazie Sebastian.-
-Ma non è finita! Devi dirmi la tua interpretazione del quadro ora che lo hai visto.-
Michael sembrò pensarci su, ma in realtà non aveva nessun dubbio. Quel quadro, seppur realizzato nel 1797, esprimeva un concetto che non sarebbe mai cambiato nel corso dei secoli.
-I mostri che assalgono l'uomo sono creati da lui stesso. E' egli stesso la causa dei suoi mali più grandi e può incolpare solo se stesso della sofferenza che questi demoni possono causare.- Sentenziò.
Sebastian annuì soddisfatto. Era felice con Michael, perché l'amico riusciva a capirlo sempre, senza fraintendere o cercare significati nascosti. Sapeva che con lui bastavano poche parole.
L'amicizia tra loro era così: semplice, vera, genuina; fatta di pregi come di difetti, non dispiaceva a nessuno dei due tenerla ancorata al cuore.
Perché le emozioni, quelle vere, non si sentono, non si vedono e non si toccano: si hanno dentro al cuore, cucite con dolore ma apprezzate nella loro complicatezza.

-Al prossimo quadro, Mike.-
-Al prossimo riassunto, Seb.-






 

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Capitolo 2
*** Notte Stellata ***


La notte stellata
Notte Stellata

-Buongiorno Michael. Sei caduto dal letto stamattina?-
Michael non si voltò verso la direzione da cui proveniva la voce; si limitò a sorridere. Aveva gradito non poco la visita al museo pochi giorni prima e aveva proposto a Sebastian di ritornarci. L'amico aveva accettato di buon grado: amava raccontare storie e spiegare la sua visione delle cose; forse perché doveva sentirsi molto solo.
-Quale opera mi descriverai oggi?- Gli aveva chiesto.
Avanzarono piano nell'ampia sala del museo, l'uno affianco all'altro. I cani non erano ammessi, per cui Mike aveva fatto affidamento unicamente sul suo senso dell'orientamento per arrivare nel luogo dell'appuntamento.
Sebastian gli aveva chiesto se volesse essere accompagnato, ma quando l'amico aveva rifiutato gli fu subito chiaro ch'egli non voleva mettere in discussione la sua indipendenza. E non sarebbe stato certo lui a discuterla.
-Oggi ti racconterò un pezzo di storia di Van Gogh. Saprai chi è, certamente.-
-Ma certo che so chi è, sono cieco, mica ignorante della cultura. Mi offendi.-
Il risolino di Sebastian causò l'imbronciatura di Michael, ma subito quest'ultimo la rimpiazzò con un movimento rassegnato del capo. A volte, il suo amico sapeva essere un vero saputello; certo, non poteva dire di non apprezzare quel lato di lui: era un aspetto che gli permetteva di accompagnarsi a un uomo colto qual era Sebastian e di apprezzare la verità dietro quei semplici discorsi d'arte.
Altre volte, avrebbe preferito ascoltare un altro tipo di parole da parte dell'amico. Sebastian non si perdeva quasi mai in sentimentalismi, tranne che alla fine delle loro visite. Momenti nei quali pronunciava una sola frase che potesse far intendere il suo stato d'animo, sottoforma di riflessione sulla vita.
Michael, invece, avrebbe avuto molto da dire. Parlare, per lui non era semplice. Più della metà del lavoro, quando la gente parla, lo fanno gli occhi: in essi, negli sguardi apparentemente normali, si cela una moltitudine di parole non dette. Era per questo motivo che Michael preferiva ascoltare: sapeva di non poter essere bravo abbastanza ad esprimersi. Ma, infondo, chi lo avrebbe ascoltato mai?
-Senti, Sebastian, ti faccio una domanda. Secondo te, come si fa a cadere nella solitudine?-
A quella domanda Sebastian sentì l'esigenza di arrestare la sua camminata e riflettere sulle parole da dire. Poi, decise che sarebbe stata l'arte a parlare per lui.
-L'opera d'arte che ti descriverò oggi ha proprio questo come argomento centrale. Adesso, siamo fermi al suo cospetto. E preparati a riflettere amico mio, perché la Notte Stellata è uno dei quadri più belli che io abbia mai visto.-
-Mmh. Vorrei avere gli occhi per vederlo, vecchio mio.-
Nessuno dei due rise a quella triste affermazione.
Michael gli fece cenno di procedere con la spiegazione e l'amico sorrise, impaziente di cominciare.
-Questo è uno degli ultimi, inquietanti quadri che Van Gogh dipinse prima di togliersi la vita. Si trovava all'intermo della clinica di Saint-Rémy, nel Giugno del 1889. Sai che fu lui a chiedere di essere rinchiuso?-
-Ma dai, e perché?-
-Van Gogh comprese di essere malato, e convenne che la soluzione migliore fosse farsi internare. Ma la vita in quel posto non era piacevole, affatto. L'uomo doveva sentirsi molto solo. Pensa che ormai si era talmente rassegnato ad essere vinto dalla sua malattia mentale, che non riusciva a trovare sollievo neanche parlando con se stesso.-
Michael sembrò rifletterci su. In quel momento, era convinto che l'amico parlasse di se stesso più che di Van Gogh. Ma, lo lasciò comunque continuare: non sarebbe stato lui a interrompere un monologo interiore - nel caso ce ne fosse stato uno, si intende - attraverso il quale potesse comprendere qualcosa in più del suo compagno di visite al museo.
-Van Gogh, una sera, guardò fuori dalla finestra. Credimi, amico mio, cercò di dipingere attenendosi a quella che era la realtà, ovvero uno scorcio notturno suggestivo. Ma proprio non riuscì a restare dentro le linee dritte di quella gabbia di matti, quando lui, in realtà, matto non lo era neanche un po'.-
-Perché dici che non lo era? Si è automutilato!-
Allora Sebastian si fece una grassa, grossa risata.
-Ah, vecchio mio! Ti rendi conto di quanta forza mentale ci vuole a realizzare di avere una malattia, accettarla e conviverci senza combatterla? Van Gogh aveva trovato il modo di andare d'accordo con i suoi demoni. Chi di noi sano di mente potrebbe dire di esserci mai riuscito?-
Il silenzio che scaturì da quella domanda retorica era il segno che Sebastian aveva centrato il punto.
-Ad ogni modo, come dicevo, il pittore non riuscì ad attenersi alla realtà piatta di una notte stellata normale. Ne dipinse una tutta sua, con diverse sfumature di blu e bianco per raffigurare il cielo. Ma il protagonista assoluto del quadro è questo enorme cipresso, nero e ondeggiante. Ai piedi di esso, un piccolo paesino, forse proprio Saint-Rémy. E per concludere, le stelle. Esse sembrano ruotare su se stesse, creando un effetto vortice accentuato soprattutto dal giallo al centro e dal bianco man mano che il contorno della stella si allarga. Straordinario!-
Mike ascoltava rapito, ormai era troppo interesssato. Ma si sa: quando c'è interesse, ci sono domande.
- Straordinario, sì, ma cosa c'entra con la solitudine?-
-Vedi, Michael, la solitudine cambia il nostro modo di vedere, percepire, sentire le cose. L'inquietudine di Van Gogh si comprende maggiormente osservando il cipresso, maestoso e di colore scuro, al di sopra di ogni altro dettaglio tanto da oscurare addirittura la bellezza delle stelle. Tutte quelle pennellate vorticose, tondeggianti, non sono altro che diverse vedute della realtà; esse rappresentano voglia di evadere, di mettersi in contatto con la natura. In quel caso, Mike, la natura poteva essere l'unica compagna dell'artista: egli si è rifugiato in lei, in una notte che sembrava durare un'eternità.-

Si fermarono per un po', dando adito al silenzio di riempire ogni vuoto.
Le parole causavano i vuoti: il silenzio li riempiva.
E così, era passata un'altra giornata apparentemente ordinaria, in cui ciascuno dei due uomini aveva dato qualcosa all'altro.
Nessuno dei due avrebbe voluto rompere il silenzio, ma a farlo fu l'uomo cieco: spettava a lui quest'arduo compito.
-E tu, Sebastian, tu riesci a trovare sollievo quando parli con te stesso?-
Allora entrambi capirono che quello era il momento di andare.

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Capitolo 3
*** La persistenza della memoria ***


La persistenza della memoria
La persistenza della memoria
Salvador Dalì







E' una verità universalmente riconosciuta che il tempo sia galantuomo. Ma, io vi chiedo, cari lettori, quante verità universalmente riconosciute sono realmente tali?
Né Michael né Sebastian credevano a quest'assurdità: il tempo non era stato per niente galantuomo con loro.
Il primo si era ritrovato cieco, solo, isolato dal mondo; il secondo versava nel medesimo stato di solitudine, con la differenza che almeno lui aveva assaggiato un po' di gioia prima. E chi dice che questo fosse un bene? Toccare il cielo con un dito e poi ritrovarvi senza, con il tempo che scorre inesorabile e voi lì, che ancora non realizzate di stare per assistere alla vostra disfatta.

Il tempo non era galantuomo, no. Non quella mattina.
Sebastian non riusciva proprio ad alzarsi: avrebbe voluto chiamare l'amico per annullare la solita visita alla mostra d'arte, ma non poteva. Non poteva deluderlo, ci sarebbe rimasto male. Avrebbe fatto affidamento sul suo vecchio amico bastone per camminare.
Le mattine di Settembre erano le più brutte per i suoi acciacchi alle ginocchia: stava invecchiando.
Per un attimo gli passò un ricordo per la mente, risultato del preciso istante in cui aveva posato gli occhi sulla foto della sua famiglia, sul comodino.
La teneva lì, e la guardava prima di andare a dormire. E in questo modo ingannava il tempo, che per un po' si congelava, a partire da quel ricordo.
C'erano sua moglie e sua figlia in quel ritratto formato 10x15, che risaliva a giusto vent' anni prima. Erano in vacanza in Italia, in una località chiamata Roccaraso. Si stringevano forte, per entrare nell'obbiettivo della fotocamera, e sui loro volti faceva da protagonista un acceso color rosso dovuto al freddo, per il particolare periodo dell'anno in cui avevano deciso di partire.
Sua figlia, Judith, gli aveva parlato di quel posto almeno un migliaio di volte prima che lui ce la portasse per davvero.
E magicamente, con uno schiocco di dita, erano passati quei vent'anni: Judith si era laureata, sposata e trasferita a Boston; sua moglie Roxanne aveva seguito un lungo percorso di guarigione dal cancro, ma alla fine aveva ceduto anche lei. E allora Sebastian si era ritrovato da solo.

"Ah, come sei patetico, vecchio mio. Rassegnati: tutti stanno bene, tranne te."


*****

Michael aspettava, seduto su quella vecchia panchina davanti casa sua: l'unico punto di riferimento che avesse veramente memorizzato, a parte la casa della vicina.
Sebastian era un po' in ritardo, cosa alquanto strana per uno come lui: così attento all'orario.
E già, non si poteva dire che Sebastian non ci tenesse al suo tempo. A detta sua, il tempo che trascorrevano alle mostre d'arte era tempo di qualità, arricchito ancora di più dalla compagnia di un amico cieco.
Ci aveva tenuto a specificare che il suo amico fosse cieco, chi sa per quale motivo. Michael aveva provato a immaginarseli tutti i motivi, ma proprio non giungeva a conclusioni. Ed era indeciso sull'aprire o no la questione: magari Sebastian avrebbe potuto offendersi in qualche modo. O era lui che avrebbe potuto offendersi?
Sarebbero andati a vedere la mostra di Dalì, un pittore moderno rispetto a quelli che avevano analizzato fin lì. E, a dirla tutta, un po' di modernità non gli dispiaceva per niente: tutto sapeva di vecchio, ormai; anche se lui cercava di mantenersi in forma, non riusciva a non avvertire sul suo corpo l'avanzata frenetica della vecchiaia.
Come ci era arrivato lì? A quel punto, cieco, stanco e senza speranza: come ci era arrivato così in fretta?
La sua mente gli ricordava tutti i giorni quel maledetto momento in cui aveva perso tutto quanto: la vista, la sua famiglia e la felicità. Aveva solo cinque anni, per cui fu affidato ai suoi zii fin quando non divenne autonomo e decise di andare via di casa.
Quel giorno di certo non si aspettava di sopravvivere all'incidente, eppure era sopravvissuto. O meglio, il suo corpo era sopravvissuto. Diventando grande aveva realizzato che ormai era soltanto un involucro con un piccolo nucleo all'interno.
Poi si ridestò dai suoi pensieri, accorgendosi della presenza di Sebastian che si era seduto accanto a lui.

-Buongiorno amico mio. Come stai oggi?-

*****

La mostra di Dalì era una delle preferite di Sebastian: ci andava ogni volta che poteva acquistare il biglietto ridotto, vale a dire, almeno una volta al mese.
Avrebbe fatto a Michael l'analisi di un dipinto a cui teneva molto.

-Bene, eccoci arrivati. Conosco questo posto come le mie tasche e ti informo che siamo davanti a "La persistenza della memoria".-

Michael lo incitò a continuare, sorridendogli.

-Realizzato nel 1931, è un dipinto molto particolare e devi assolutamente sapere i dettagli di quest'opera. Pensa che fu realizzata in sole due ore, da un Dalì con l'emicrania, solo a casa, che osservava la sua cena e rifletteva sul tempo.-
-La sua cena?-
-Sì, mio caro. Dalì si era fissato sull' "ipermollezza" del formaggio Camembert. Lo aveva osservato fino a farlo scomparire, in modo che rimanesse soltanto il ricordo della sua consistenza.-
-E poi?-
-Poi stava per spegnere la luce, quando ebbe l'illuminazione. Guardando quel formaggio, aveva riflettuto sulla relatività del tempo. Esso non può scorrere ugualmente per tutti gli esseri del pianeta, bensì l'intensità attraverso la quale il tempo si esprimerà, sarà diversa a seconda dei momenti che vivremo. Non si può quantificare un attimo, un'emozione contenuta in esso: possiamo quantificare attraverso i calcoli soltanto la meccanica nascosta dietro un istante. Possiamo calcolare i suoi minuti, le sue ore, i suoi secondi. Ma, sarai d'accordo con me quando dico che spesso un'ora non sembra un'ora, e un minuto non sembra un minuto.-

Non c'era niente su cui riflettere nelle parole di Sebastian: era vero. E, da un po' di tempo, a Michael i giorni sembravano passare lentissimi, al punto che avrebbe detto di star vivendo a furia di anni, ogni mattina.
Forse per Sebastian era la stessa cosa.

-E cosa raffigura questo quadro?-
-Esso ritrae degli oggetti spigolosi, su uno sfondo desertico identificato come Port Lligat: un ramo d'ulivo spoglio, un parallelepipedo e un plinto blu; al di sopra degli oggetti troviamo degli orologi con forme particolari: sembra che si stiano sciogliendo.-
-E scommetto che per questa parte Dalì abbia preso ispirazione dal formaggio.-

Ridevano. Poco, ma ridevano. E quanto avevano bisogno di ridere...

-Vedi, Mike, lo sfondo e gli oggetti rappresentano la vita, ovvero tutto ciò che viene investito e trasformato dal tempo, il quale si appoggia sopra di essi e modifica il suo avanzare tante volte quanti sono i momenti significativi della vita di un essere umano.-
-O di un animale.-
-O di un animale, sì. Vedo che comprendi la visione totale del creato che Dalì aveva. Ma c'è un particolare in più, in quest'opera.- fece una pausa, servendosi di un sospiro -C'è un orologio, uno solo, che è solido. Su di esso delle formiche brulicanti. Sapresti interpretare questo elemento?-

Mike ci rifletté un attimo su, ma parve capire le intenzioni del pittore. (Chi avrebbe potuto dirlo, se fosse stato davvero così?)

-Forse Dalì intendeva rappresentare il tempo che passa diversamente per ognuno di noi. Per le formiche ogni minuto è prezioso, dato che la loro vita dura soltanto pochi mesi.-
-Centro, amico mio, bravo.-

Era così contento quando riusciva a farsi comprendere senza parlare. Quasi come se fosse lui il creatore di quell'opera.

-Ma c'è anche un'altra cosa che devi sapere: nel dipinto, in modo totalmente estraneo al resto degli elementi, è presente un occhio chiuso, con lunghe ciglia.-
-Un occhio?-
-Sì, un occhio. Esso potrebbe rappresentare il sogno creato dall'inconscio di Dalì, non lo sappiamo con precisione. Ricorda che era pur sempre un surrealista.-
Michael storse il naso.
-Mmh. Potevi anche evitarla quest'ultima parte, le cose lasciate a metà non mi soddisfano.-
-E che cosa volevi? Pretendi davvero di poter leggere tutto dall'animo di una persona?-

Restarono in silenzio per un po'.
Ma stavolta non era il silenzio che riempiva i vuoti, no: era un silenzio che li creava.
Per la prima volta da quando si conoscevano, Mike aveva capito quanto fosse amara la metafora che Sebastian aveva imbastito per spiegare la sua vita. E il compito di analizzare quella figura retorica spettava a lui, che ormai era suo amico.

-Sai, Michael, stamattina non sarei venuto. Ero stanco, triste e acciaccato.-
-E cosa ti ha fatto cambiare idea?-

Sebastian prese un respiro profondo: gli occorreva del coraggio per aprirsi con le persone. E più vicine gli erano, più faticava a fidarsi.

-Gli anni passano per me come per te, vecchio mio. Abbiamo entrambi un'età ormai e sarebbe stato un peccato sprecare questo tempo nel mio letto, a leggere un libro poco interessante, riflettendo magari sul senso di colpa per averti lasciato solo.-

Michael aveva compreso. Ma aveva bisogno di uno sforzo in più da parte dell'uomo di fronte a lui, se voleva analizzare quelle metafore.
Quindi fece il finto tonto.

-Ma io non ho tristezza a star solo, Sebastian, non dovresti portelo come problema.-

Forse aveva tirato troppo la corda. O forse no.
Fatto sta, che per la prima volta ricevette in risposta un abbraccio.
Una stretta sincera, non troppo avvolgente, ma coinvolgente; era riuscito a ricavare qualcosa da tutta quella fatica: Sebastian aveva finalmente abbandonato quel linguaggio criptico fatto di parole, che imprigionavano qualsiasi emozione meritevole di essere espressa.
Sebastian aveva utilizzato un linguaggio comprensibile anche, soprattutto a un uomo cieco. Al suo amico.

-Non rimpiango nulla di questa mattinata insieme a te; ho preso la scelta giusta. Mi ha fatto bene all'animo.-

Si staccarono dall'abbraccio, ma ormai era fatta. Si erano evoluti entrambi: come uomini e come emozioni.







Salve a tutti!
Ci tenevo a pubblicarvi questo estratto dell'opera Vita Segreta, in cui il pittore racconta in pochi dettagli essenziali il perché di questo meraviglioso quadro.
A me ha colpito molto, quindi ve lo riporto.

«E il giorno in cui decisi di dipingere orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e invece, all'ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. Gala, però, uscì ugualmente mentre io pensavo di andare subito a letto. A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico dell'ipermollezza posto da quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier, com'è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una veduta di Port Lligat; gli scogli giacevano in una luce alborea, trasparente, malinconica e, in primo piano, si vedeva un ulivo dai rami tagliati e privi di foglie. Sapevo che l’atmosfera che mi era riuscito di creare in quel dipinto doveva servire come sfondo a un’idea, ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell’ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei più famosi, era terminato»





 
















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Capitolo 4
*** Urlo ***


L'urlo - Munch
Urlo

Il cielo di New York era uno sfondo adatto alle circostanze, quella mattina. Piovoso, come quasi sempre in Autunno, ma in un certo senso empatico.
Michael non sapeva quale opera d'arte avrebbe analizzato oggi insieme a Sebastian, ma qualsiasi fosse stata sarebbe andata benissimo.
Ne era convinto: prima o poi avrebbero visto tutti i quadri del mondo. O tutti quelli che il restante tempo che avevano a disposizione gli avrebbe permesso di ammirare.

Mentre camminava verso la mostra quella mattina, con il suo fidato amico cane, aveva fatto un viaggio mentale.
Si era ricordato di tutto il percorso che aveva dovuto affrontare da bambino, una volta rimasto solo.
Un percorso arduo, certamente, ma non nella sua interezza: a volte offriva periodi di pace interiore che Michael apprezzava e teneva stretti; questi però, sapeva che gli sarebbero scivolati via dalle braccia presto o tardi.
E allora gli venne in mente di quando, all'età di otto anni, gli venne il primo attacco d'ansia.
Come su una giostra, aveva cominciato a sentirsi disorientato, con le vertigini e il cuore a mille. Ricordava benissimo la sensazione di angoscia stringente che aveva provato: una morsa che comprimeva il cuore, che sarebbe esploso se avesse potuto.
E poi era arrivato il martello pneumatico nella sua testa; in un battito di ciglia si accorse che stava sudando freddo. La sua testa sarebbe uscita dal cranio se avesse potuto, proprio come il cuore.
Ormai tremava e si sentiva costantemente sotto attacco, impaurito, minacciato, in fuga. Il panico aveva preso il sopravvento su tutto se stesso, non lasciandogli nemmeno un po' di spazio, neanche un angolino; aveva un ammasso di fili ingarbugliati in testa che creavano pensieri negativi e senza senso talvolta, ma cavolo se erano reali.
Erano reali come la realtà, tangibili, molto più insistenti di qualsiasi altra cosa al mondo.
La sensazione stringente della paura contaminava anche il resto del corpo: lo stomaco faceva le capriole e poi si attorcigliava su se stesso.
Non avrebbe saputo dire quant'era durato quel momento. Ma la cosa certa era che gli aveva lasciato l'amaro in bocca, insieme alla paura che da lì a poco sarebbe ritornato.



*****

-Buongiorno Michael. Stamattina sei grigio come il tempo, vecchio mio.-
La voce inconfondibile di Sebastian gli arrivò chiara e bastò a ridestarlo dai suoi pensieri. Camminando era giunto a destinazione.
Forse quella mostra sarebbe riuscita nell'intento di migliorargli la giornata.
-Sebastian! Che opera osserviamo oggi?-
L'amico, che tra un istante avrebbe cominciato la sua lezione, si era preso un attimo per riflettere.
-Ce ne sono due tra cui sono combattuto. Lanciamo una moneta?-
E, quasi come fosse destino, la moneta scelse per loro: l' Urlo.

*****

-Lo sai, amico mio, che i popoli più a Nord del mondo sono conosciuti ad oggi per essere i più felici della terra?-
Michael annuì, semplicemente in attesa della frase che sarebbe venuta dopo.
-Ebbene, c'è sempre un'eccezione che conferma la regola. La nostra eccezione è il pittore norvegese, Edvard Munch.-
-Egli non era felice?-
-No, non del tutto. Il suo quadro più famoso, l' Urlo, ci racconta di una sera in cui passeggiando con gli amici, il pittore sentì un urlo.-
-Un urlo?-
-Sì, un urlo così reale da albergare solo nella sua mente.-
Michael sembrò rivivere la stessa sensazione di quella mattina, la stessa sensazione di quand'era bambino. Li aveva superati da molto tempo gli attacchi d'ansia, ma facevano parte di un ciclo di vita che non avrebbe mai dimenticato.
Non poteva credere che esistesse un pittore capace di capirlo. Negli anni in cui era cresciuto non erano molto conosciuti i disturbi mentali ed anzi, averne uno era considerata una cosa alla stregua di un ricovero per schizofrenia. L'ignoranza era viva più che mai.
Ma l'ostacolo più grande non era stato neanche questo: per anni aveva combattuto una guerra con se stesso, senza neanche esserne a conoscenza.
Forse anche Munch aveva provato la stessa cosa.

-All'improvviso, mentre camminava, Munch si sentì sopraffatto da questo urlo lancinante, tanto da sentire l'esigenza di buttarlo fuori in qualche modo. Così lo dipinse, o per lo più dipinse l'esperienza traumatica che aveva avuto.-
-E come riuscì a renderlo su tela?- domandò Mike curioso.
-Beh, innanzitutto la figura di spicco dell'opera è proprio quest'uomo che urla, con le mani sopra le orecchie, a voler esprimere tutta la sua disperazione. Ma in realtà sono gli elementi circostanti a dare forma al quadro: i due amici con lui quella sera, vengono rappresentati da Munch come figure del tutto indifferenti alla catastrofe interiore dell'artista, posti qualche metro dietro di lui in prospettiva. Essi rappresentano questo potere oscuro dell'ansia di rendersi invisibile agli occhi degli altri.-
Michael tirò un sospiro. Sapeva ciò a cui si riferiva il pittore: "è tutto nella tua testa".
-Il cielo è colorato nella parte superiore come se fosse un fiume di lava, mentre nella parte inferiore si vede questo netto distacco reso grazie al colore blu con sfumature nere, che ricorda vagamente La notte stellata.-


Michael si sentì sorpaffatto dalla descrizione dell'amico: se avesse potuto dare dei colori alle sue emozioni all'epoca, sarebbero stati decisamente gli stessi del quadro.
Non vedeva l'ora che la visita finisse, per togliersi quella pesantezza dei ricordi di dosso, ma al contempo condivideva con quell'artista un periodo della sua vita e la voglia di sentirsi compreso superava quella di andarsene.
Ma gli costò grande sacrificio riaffrontare quei demoni: li aveva già vinti in passato, ma eccolo lì che aveva di nuovo paura di loro.


-Questa è una di quelle opere che puoi sentire, Michael. E' un'esigenza dell'artista, uno sfogo, un'inquietudine espressa sfrontatamente, che lascia ben poco spazio alle interpretazioni. Furono altri i quadri che Munch realizzò sulle stessa scia dell' Urlo, i quali risentirono molto dell'influenza di quest'opera. Più che altro, risentirono molto del periodo buio che il pittore stava attraversando.-
-E quello era un attacco di panico in piena regola, Sebastian. So riconoscerne uno quando ce l'ho davanti.-
Il vecchio poco lontano da lui annullò tutte le distanze, scrutando attentamente le parole dell'amico cieco.
-Per sette anni ho sofferto di attacchi di panico, senza riuscire mai a trovare una spiegazione. Arrivavano all'improvviso, nei momenti meno opportuni. Come un fulmine a ciel sereno.-
-O come un urlo nella quiete, nel caso del pittore.-
-Già.-

Non c'era bisogno di molte parole. Entrambi avevano i loro mostri da nutrire; era per questo motivo che quella stessa mattina, a New York, tra i due non ci sarebbe stato nessun altro saluto se non il silenzio.








*Angolo autrice*
Salve a tutti.
Questo capitolo tratta un tema molto attuale tra i giovani d'oggi.
E' dedicato a mia sorella, l'ho scritto per lei.
Le dedico anche questo piccolo angolino, per ricordarle che possiamo superare tutto, insieme.
E' molto più saggia di me.
Non vi chiedo di leggere e giudicare il testo come gli altri brani di questa piccola raccolta, bensì di guardarlo diversamente.
Abbiamo tutti quanti delle domande da porci.
Vi invito alla riflessione.
Arrivederci.







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