Old stories are like old friends

di Dromeosauro394
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lume di candela ***
Capitolo 2: *** Galante ***
Capitolo 3: *** A song of snow and smoke ***
Capitolo 4: *** Lunga vita al re ***



Capitolo 1
*** Lume di candela ***


Mnestic lume di candela

“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

 

Prompt: Mnestic (pertinente alla memoria)

 

 N° parole: 660

 

Lume di candela

 

155 d.C. (dopo la Conquista di Aegon)

 

Rhaena era davanti all’altare del Guerriero, il viso illuminato da una candela.

Una lacrima le scese sulla guancia. “Vent’anni oggi”.

Il primo giorno in cui aveva visto il suo viso, lei era rimasta ammaliata, Corwyn era tutto ciò che un cavaliere potesse essere: nobile, avvenente, gentile. Lei era solo una ragazza dalle mille fantasie, lì nella Valle di Arryn si era risparmiata gli orrori della guerra, non aveva potuto far altro che innamorarsi.

Là però era sola, smarrita, lontana dalla famiglia per la prima volta, lontana da sua sorella Baela. Corwyn l’aveva fatta sentire di nuovo a casa, di nuovo felice. Si era crogiolata nell’infatuazione, ma senza illudersi. Non aveva mai pensato che avrebbe potuto scegliere chi sposare. Per tutta la vita aveva creduto di sposare Luke. Anzi da bambina aveva chiesto a suo padre se non avesse potuto sposare Jake insieme a Baela come Aegon il Conquistatore e le sue sorelle, così non si sarebbero mai separate. Invece poi il Concilio Ristretto le aveva chiesto chi lei volesse. E Rhaena non aveva avuto dubbi.

Finalmente dopo quegli anni terribili della Danza dei Draghi le sembrava di aver trovato di nuovo la pace. Invece nessun bambino. Tutto finito nel nulla. Corwyn era un grande cavaliere, si era guadagnato la spada in acciaio di Valyria di suo padre, ma non gli era servita a nulla. Un dardo di balestra ed eccola qui vent’anni più tardi davanti a una candela sciolta.

A volte si ripeteva che se anche fosse sopravvissuto non avrebbe funzionato, lui era più grande, un uomo con un matrimonio alle spalle e due figlie piccole. “Non saremmo durati”. Non poteva lasciarsi andare alla tristezza, aveva visto con suo fratello Aegon cosa succedeva.

Lei ormai era avvezza al dolore. Aveva assaggiato il sapore del lutto a cinque anni quando era morta sua madre e lo aveva gustato appieno durante la Danza dei Draghi. “Luke. Aveva tredici anni”. Poi erano seguiti suo padre, i suoi fratellastri e i nonni.

Finita la guerra sembrava che le cose potessero riprendere come prima, ma Bae era cambiata. Da gemelle identiche erano diventate completamente l’opposto: Baela selvaggia, insolente, disposta a tutto pur di fuggire dalla vita di corte; Rhaena sempre elegante, doveva tenere su l’immagine della corona, visto che Aegon era diventato un guscio vuoto. Niente aveva fatto riprendere suo fratello, né il ritorno di Viserys, né i figli tanto attesi con Daenera. “Un Targaryen che odia i draghi…” Corwyn invece adorava Luce del Mattino e il drago adorava lui, saltandogli sempre sulla spalla anche quando era troppo grossa. “Forse ora sta con lui ad aspettarmi?”

 

Uscì dal Tempio Stellato e fece un bel respiro. Il vento del mare le sventolo i capelli. L’Alta Torre si ergeva contro il cielo, il fumo del faro che si disperdeva in mille volute. Da lassù il mondo sembrava così piccolo, come quando ancora volava su Luce del Mattino. “Forse sarò l’ultima Targaryen ad aver danzato nei cieli”. Ogni volta sembrava ci fosse una nuova alba per lei, un nuovo inizio. “Invece poi…”

«Mamma, mamma». Piccole braccia le cinsero le gambe.

Garmund arrivò dietro alla loro figlia: «Laena, lascia stare la mamma».

Dietro di loro suo cognato Lyonel e sua moglie Sam.

«Tutto apposto?» le chiese Sam.

La Rhaena che l’aveva incontrata all’incoronazione di Aegon non avrebbe mai pensato che quella ragazza sarebbe diventata come una sorella, mentre Bae un’estranea lontana. “Gli dei hanno un gran senso dell’ironia. Un’infanzia passata a odiare gli Hightower e ora sono una di loro”.

Sorrise a Sam e prese in braccio la sua bambina. Sei lei e sei Sam, l’Alta Torre era sempre piena di strilli e grida. “Come lo era Roccia del Drago. Lì c’erano anche i ruggiti di drago”. Si girò verso il tempio. “Mi porteranno via anche questo?”

La famiglia Hightower scese i gradini, ma quel giorno Rhae non strinse la mano a suo marito. Quel giorno no.

 

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Capitolo 2
*** Galante ***


Galante kid-fic

Prompt: kid fic

 

Galante

 

288 d.C. (dopo la Conquista di Aegon)

 

Garlan corse veloce nel parco degli dei.

Trovò suo fratello al solito posto, intento a leggere sotto uno dei Tre Cantori. I tre grandi alberi diga univano i loro rami in una volta rossa che proteggeva Willas dal sole. L’acqua del laghetto di fronte a lui così calma che sembrava uno specchio. Il ragazzino si arrestò e si piegò a riprendere fiato. «Willas, devi sbrigarti! La nonna è arrivata. Papà dice che dobbiamo andare subito ad accoglierla».

L’adolescente sollevò lo sguardo dal libro sorpreso e poi guardò il cielo. «Oh, non mi ero accorto fosse passato tanto tempo. Hai ragione dobbiamo sbrigarci».

Garlan riprese a correre. Dopo poco si voltò e non vide il fratello dietro di sé. «Willas veloce. Dobbiamo…» vide Willas e improvvisamente ricordò. Il ragazzo si stava faticosamente alzando appoggiato al suo bastone, la gamba sinistra chiusa nell’imbracatura del maestro. Ancora non si era abituato a vederlo così.

I due fratelli si incamminarono al passo claudicante di Willas verso Alto Giardino.

 

«Oh, madre», disse Mace Tyrell dirigendosi a braccia aperte verso lady Olenna all’entrata del castello, «che gioia riaverti qui». Le stampò due grandi baci su entrambe le guance.

«Ti prego, sarò stata via neanche un mese».

Lady Alerie sorrise alla suocera avvicinandosi anche lei per baciarla. «Madre ci onori in que–».

«Alerie ne abbiamo già parlato, niente madre con me. E ora dove sono i miei prediletti, gli unici che vale la pena vedere qui?»

«Nonna!» strillarono all’unisono Loras e Maergery. I due bambini corsero a fare le feste alla nonna che gli accarezzò i lunghi boccoli castani. Il fratellino e la sorellina si assomigliavano così tanto che l’unico modo per distinguerli erano i vestiti.

«E gli altri due? Già non gli importa più di questa vecchia decrepita?»

«Oh, madre, non dire così. Loro sono… ehm. Oh, eccoli finalmente» esclamò Mace vedendo arrivare Garlan e Willas in fondo al corridoio.

Garlan sentì gli occhi della nonna squadrarlo da capo a piedi. Lo faceva sempre sentire a disagio. Si affrettò a raggiungerla.

«Ben arrivata nonna» disse dandole un bacio sulla guancia avvizzita. La nonna era talmente piccola che non doveva neanche alzarsi in punta di piedi.

«Ah ora non cominciare, se ci tenevi davvero alla nonna saresti arrivato prima» rispose lei abbracciandolo. Il bambino sentì le dita ossute tastargli la spalla cicciotta.

«Garlan non ha alcun colpa nonna» disse Willas arrancando. «Non voleva lasciar indietro il suo povero fratello zoppo».  Lo sguardo di Olenna cadde sulla gamba ferita del nipote.

«Ah, quella serpe Martell. Non lo perdonerò mai per quello che ti ha fatto» borbottò la vecchia.

«Beh, ora siamo compagni nonna» disse Willas battendo un paio di volte il proprio bastone contro quello di lei.

Olenna sorrise e tutta la famiglia si incamminò verso la sala grande.

 

Garlan prese felice un’altra fetta di dolce. «Garlan non faresti meglio a fermarti?» disse con voce ferma la nonna. «Non mi sembra che tu abbia bisogno di altri dolci».

«Madre, è un ragazzo che cresce. Un paio d’anni e dovremo chiamarlo Garlan il Gigante» ridacchiò Mace.

«Come è successo con te?» chiese Olenna affondando un dito magro e rugoso nella pancia del figlio.

Garlan poggiò la forchetta. Improvvisamente gli si era chiuso lo stomaco.

«Potremo chiamarti Garlan il Grasso allora?» bisbigliò Willas.

«No, Willas ti prego».

«Non ti piace? Allora Garlan il Gargoyle?»

«Willas…»

«Garlan il Grezzo, Garlan il Grullo…» cantilenò Willas. Garlan gli diede un pugno sul braccio.

 

Finita la cena, cominciarono le danze. I lord e lady dell’Altopiano piroettavano e cantavano nella grande sala. La voce profonda di lord Tyrell rimbombava più forte di tutte: «Dammi un bacio in riva al Canal Lungo e ancora altri due quando insieme sarem, perché morirem, domaaani».

«Io spero entro stasera» commentò Olenna seduta accanto a Willas.

Davanti a loro sfrecciò Maergery che si rincorreva con le cuginette e le compagne di corte. «Loras, Loras! Vieni a giocare con noi» disse correndo dal fratellino.

«No! Le femmine fanno schifo» disse lui scappando via come un fulmine.

«Tra qualche anno rimpiangerà tutte queste fanciulle che lo inseguono» disse Willas.

«Oh, non per tutti è così. Credimi» disse Olenna ingurgitando un lungo sorso di vino.

«Te la sei proprio legata al dito la storia di Daeron Targaryen».

«Se mi avesse sposato, stai certo che i Targaryen sarebbero ancora sul trono, ma non ho alcun rancore, direi che mi sono rifatta ampiamente» disse indicando la sala col bicchiere.

Garlan, nel frattempo, se ne stava fermo in un angolo. Aveva gli occhi fissi su Leonette Fossoway. La ragazza era solo un anno più grande, ma già lo superava di una testa. Non prendeva parte ai balli, ma accompagnava la musica con la sua arpa.

«Ehi».

Garlan si girò di scatto e vide Willas in piedi accanto a sé.

«Fratello purtroppo ora che i miei giorni sulla pista sono finiti, dovrai essere tu a sostituirmi» disse Willas mettendogli una mano sulla spalla. «Dovrai mantenere alto il nome dei Tyrell, mi raccomando». Cominciò a spingerlo verso il fondo della sala.

«Willas lo sai che non so…»

«Su, su, non sarai mica Garlan il Gaglioffo che ti rifiuti di portare onore alla tua casata?»

«Willas smettila con i soprannomi».

«Lady Leonette siete un portento».

Garlan improvvisamente vide che erano a un metro da lei.

«Troppo gentile» rispose con un filo di voce la ragazzina.

«Di sicuro sarete leggiadra nel ballo quanto lo siete nel suonare. Temo di non essere il miglior cavaliere stasera, ma mio fratello e più che pronto a sostituirmi. Vero Garlan?» disse colpendogli la gamba col bastone.

«Che? Oh, sì, certo». Tese una mano tremante verso Leonette.

 

I due minuti successivi gli sembrarono i più lunghi della sua vita. Anche quando smisero di ballare la testa continuava a girargli.

«Danzate benissimo lady Leonette» riuscì infine a dire il Tyrell.

«Grazie» rispose timida la Fossoway. «Però credo di cavarmela meglio con l’arpa».

«Oh, sì. Cioè, anche con quella siete brava».

Leonette rise. «Allora col vostro permesso torno a suonare. Siete stato molto galante, Garlan». Con una piccola riverenza si congedò.

Il ragazzino rimase fermò con una mano alzata in cenno di saluto.

«Dovremmo chiamarti Garlan il Galante» disse Willas alle sue spalle.

Il fratellino si voltò e sorrise. Quel soprannome sì che gli piaceva.

 

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Capitolo 3
*** A song of snow and smoke ***


Snow and smoke

“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

 

Prompt: Neve

 

N° parole: 1203

 

A song of snow and smoke

 

Fece attenzione a dove metteva i piedi, cercando di non far scricchiolare alcun ramoscello.

“Se qualcuno ci vede dirò che dovevo controllare Vermax”.

Dietro di lui, stagliato contro il cielo notturno, incombeva il profilo di Grande Inverno. Il vapore che si alzava dalle sorgenti calde dava all’intero parco degli dei un’atmosfera spettrale. Jace si strinse nella pelliccia, qui si sentiva davvero la presenza degli antichi dei.

Arrivò nello spiazzo davanti l’albero del cuore, ma nessuna traccia di lei.

«Sara» bisbigliò. «Sara»

Jace scrutò tra gli alberi innevati, ma vide soltanto grigio e bianco.

La faccia scolpita dell’albero diga sembrava fissarlo severa. Dopo poco sbuffò e si allontanò.

“Non sarei dovuto venire neanch’io”.

Prese la strada accanto alle sorgenti fumanti… ed eccola. Stava accarezzando il muso a Vermax. Il drago giallognolo emetteva piccoli versi di piacere e scuoteva le scaglie nere ogni volta che la mano della ragazza saliva lenta e delicata.

Il ragazzo avanzò verso di loro. Sara si girò, la luna le illuminò il viso pallido, incorniciato da lunghi capelli neri. Due occhi grigi e seri lo fissarono: occhi di Stark. “Non Stark, Snow”.

«Credevo non saresti venuto».

«Anch’io».

Si avvicinò e pose la mano sul muso di Vermax accanto alla sua. La pelle del drago era calda. Le loro mani guantate si strinsero.

«Jacaerys…»

Si tolse un guanto e le accarezzò la guancia liscia.

Le loro labbra si unirono nell’aria fredda. Jace inspirò l’odore dei suoi capelli.

“Questo è sbagliato. Non posso farlo. Non devo”. Ma non era la prima volta che succedeva e anche questa volta non si fermò.

Vermax grugnì, infastidito che a lui non toccassero più carezze. Il giovane drago strisciò via verso le sorgenti calde, l’unico posto dove si sentisse a suo agio in quell’inferno di ghiaccio.

Sara prese il principe per mano e si diressero sotto l’albero del cuore.

 

Rimasero a baciarsi e accarezzarsi come le altre notti, Sara distesa contro il legno pallido e lui sopra di lei. Quella notte però ogni bacio era piacevole e tremendo. “È l’ultima volta”.

Sara fece salire la mano sulla sua coscia.

Jace si staccò non un gemito. Si fissarono con i loro respiri che risalivano come pennacchi di fumo.

Non si erano mai spinti così oltre.

«Sara» le fermò la mano. «Non posso. Non possiamo».

«Domani ripartirai. Ti prego Jace».

Il ragazzo sospirò. «Ti ho già disonorato oltre ogni limite».

«Non mi disonorerai» sollevò la testa verso la volta di rami sopra di loro. «Siamo sotto l’occhio degli dei. Uniti davanti a loro».

Gli occhi marroni di Jace si specchiarono in quelli grigi di lei.

“Cosa sto facendo?! Sono erede al trono. Madre conta su di me. Baela… Come posso farle questo?” Ma Baela era sua cugina e praticamente una sorella per lui, cresciuti insieme a Roccia del Drago, ogni giorno passato insieme. “Ma il sangue del drago va mantenuto puro. Come se io fossi di sangue puro”.

Per la prima volta nei suoi quindici anni capì tutte quelle storie di cavalieri scissi tra il proprio onore e l’amore.

«Ti amo Sara» bisbigliò.

Riprese a baciarla con foga. Le loro mani corsero a sfilarsi i vari starti di pellicce. Voleva assaporare ogni momento. Non sentì l’aria fredda quando finalmente toccò la sua pelle nuda.

 

Restarono avvolti nelle pellicce tenendosi stretti.

Sara aveva la testa sul suo petto e gli passava lenta un dito sul braccio.

«Pensavo a tutte quelle storie in cui la ragazza bastarda finisce insieme al principe di turno. Suonavano così ridicole. E invece…» disse la Snow sorridendo.

Jace rimase in silenzio. «Beh…», non riusciva a credere di starlo per dire ad alta voce, «sono bastardo anch’io». La gola gli bruciò mentre lo diceva.

Sara inclinò la testa verso di lui.

«Sì. Tutte le voci sono vere. Sono uno Strong, non un Velaryon. Sono una farsa» disse con una risata strozzata. «Quando ero piccolo non capivo perché dicessero che Laenor non era il mio vero padre. Nonno Viserys diceva che erano menzogne e così mia madre; perciò, doveva essere così, no? Ma ora capisco. Insomma, basta guardarmi». Si strinse una ciocca di capelli bruni, non certo l’argento di Valyria.

Sara gli passò una mano sul viso. «Tu sei un principe».

«No, non lo sono. L’intera mia pretesa al trono è una bugia. Sono un bastardo! Tutti fanno affidamento su di me, nessuno appoggerebbe mia madre se lo ammettessi. E lo sanno tutti. Lo so che lo sanno. Probabilmente lo sapevi anche tu».

«Io ho solo visto un ragazzo a cavallo di un drago. Questo ti rende principe abbastanza per me e dovrebbe farlo per chiunque».

Jace le strinse la mano. «Ma se invece fossi un bastardo, se perdessi il mio titolo, non dovrei più sposarmi. Potrei abbandonare tutto e venire qui con te».

Sara ritirò la mano. «Sai che questo non lo puoi fare. L’hai detto tu stesso che nessuno appoggerebbe più i Neri. Domani ripartirai in volo Jace, lo sappiamo entrambi. Sapevi che un fiocco di neve come me si sarebbe sciolto col fuoco di drago. Abbiamo avuto questa notte e nessuno ce la potrà togliere».

Gli occhi gli divennero umidi. Com’era possibile fossero arrivati a questo? Doveva venire a conquistare l’appoggio di lord Stark, neanche sapeva avesse una sorella bastarda. Era successo tutto così velocemente: le passeggiate, le risate, il volo attorno a Grande Inverno e Sara che gli stringeva le mani attorno al petto. «È così piccolo. Sembra un castello di neve». Poi era venuta la prima notte nel parco degli dei e il primo bacio. “E ora è finita”.

Si rivestirono in silenzio.

Si incamminarono verso l’uscita quando videro che Vermax era uscito dalla sua tana. Il drago, grande poco più di un cavallo, stava acciambellato sulla riva, la neve sciolta attorno al suo corpo. Emetteva un verso che non gli aveva mai sentito fare come di pigolio. Si chinò accanto al muso nascosto tra le ali e gli solleticò la nuca. «Ehi bello, cos’hai?»

Il drago sollevò lentamente la testa. La luce della luna filtrò fra le ali e si rifletté su un piccolo oggetto bianco e scintillante, come neve appena caduta. “Vermax è un maschio. Com’è possibile?”

«È… È un uovo» esclamò Sara.

Jace fissò immobile l’uovo. Si chinò lentamente e allungò il braccio. Vermax fece un verso irritato. «Tutto apposto bello. Cioè bella».

Prese delicatamente l’uovo tra le dita, e sentì un piacevole tepore.

Si avvicinò a Sara. La ragazza sfiorò le piccole scaglie con sguardo incantato.

Le poggiò l’uovo tra le braccia.

«È tuo».

«Cosa? Jace non puoi…»

«Posso. Devo. Ti lascio questo e una promessa. Ho delle responsabilità verso la mia famiglia. Manca ancora molto prima che io debba sposare Baela. Se riusciremo a prendere il Trono prima di allora, tornerò da te. Non mi interessa ciò che diranno, possiamo prendere Vermax e andare dove vogliamo. Nessuno ci troverà».

Sara fissò l’uovo.

Jace sorrise. «Magari quando tornerò avrai un drago anche tu».

Sara sollevò quegli occhi di Stark, grigi, seri, occhi abituati a sopravvivere al freddo.

«Tornerò. Te lo giuro. Lo giuro sulla terra e sull’acqua, Lo giuro sul bronzo e sul ferro. Lo giuro sul ghiaccio e sul fuoco».

Sara premette le sue labbra su di lui, Jace le assaporò un’ultima volta.

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Capitolo 4
*** Lunga vita al re ***


Gentilezza

“Questa storia partecipa al Writober 2021 di Fanwriter.it”

 

Prompt: Gentilezza

 

N° parole: 815

 

131 d.C.  (dopo la Conquista di Aegon)

 

Lunga vita al re

 

Aegon tenne alta la testa. Un boato lo accolse quando la portantina uscì dai portali della Fortezza Rossa. «Viva Aegon!» «Viva il Re!» «Viva gli sposi!».

L’undicenne deglutì. “Questo non dovrebbe succedere”. Girò lentamente lo sguardo verso la folla, tutta Approdo del re si era riversata per le strade quel giorno. Oh, sì, l’incoronazione del nuovo re, la fine della guerra, l’unione dei Verdi e dei Neri nel matrimonio tra lui e Jaehaera. Si voltò a guardare la cuginetta accanto a lui. La bambina di nove anni guardava con sguardo perso la folla senza muovere un muscolo.

Strinse gli occhi, quel baccano lo rintronava. Le cappe dorate spingevano indietro la folla, ma gli sembravano comunque troppo vicini. Ad un certo punto vide una il braccio di una donna che scattava per lanciare qualcosa in aria. Si irrigidì pronto a chinarsi. Perché avevano voluto quella stupida portantina aperta? La mano della donna si aprì e alcuni petali fluttuarono nell’aria. Lanciavano fiori, sorridevano, esultavano; quelle stesse persone che volevano fare a pezzi lui e sua madre, quelle stesse persone che avevano ucciso dei draghi.

Alzò lo sguardo verso le rovine della Fossa del Drago. Poteva ricordarsi la notte in cui la cupola era crollata: il fuoco la faceva brillare come se fosse giorno, l’odore di fumo asfissiante, ma era rimasto sulle mura a guardare stretto da sua madre, così forte da fargli male.

Riportò lo sguardo sulla folla, cercando ustioni. “Almeno uno di loro dovrà aver partecipato quella notte. E ora è qui ad acclamarmi”. Non avrebbe restituito alcun saluto.

Le sue sorellastre invece si erano piegate a quel gioco. Lo precedevano nella processione verso la collina di Visenya, a cavallo di due destrieri neri. Rhaena salutava mostrando un dolce sorriso e prese al volo una rosa lanciata dal pubblico. Baela strillava come un’aquila e si avvicinò col cavallo al pubblico per stringere la mano a un bifolco e chiacchierare come fossero cari amici; forse lo erano davvero, Baela si divertiva a andare nei bassi fondi. “Dicono che anche a nostro padre piacesse”. Ad Aegon di sicuro no. “Devo resistere queste poche ore poi sarò di nuovo nel Fortino Maegor”.

Non era abituato a una città così grande. Roccia del Drago era piccola, sicura. “Lo doveva essere, lo era sempre stata”. Fissò il sole che splendeva e improvvisamente vide nuvole temporalesche e un cielo notturno.

Aveva provato a raccogliere la spada per difenderla, ma ser Harrold l’aveva scalciata via sogghignando. “Quell’uomo è una spada bianca ora”.

Poi improvvisamente ritornò quella visione. Ritornava ogni giorno non importava cosa succedesse, riusciva sempre a infilarsi nella sua mente. “No, no, no, no”. Il suono orrendo delle fauci di Sogno di Sole che scattavano, lo scricchiolio delle ossa, la carne che abbrustoliva. La bocca del drago che si apriva e si chiudeva, si apriva e si chiudeva… Sette volte e poi era finita. E il tonfo del piede che finiva a terra. Lo vedeva mezzo masticato e bruciato. Pochi secondi prima c’era sua madre, ora c’era un piede. Sentì il petto che si stringeva. “Ora sia il drago che il padrone sono morti. È finita, è finita, non pensarci”.

A volte mentre masticava gli tornava in mente l’’incubo di quella notte e non riusciva più a toccare cibo. Durante la notte rimaneva a fissare il cielo, se avesse chiuso gli occhi sarebbe riapparso il drago che inghiottiva sua madre.

“Non dovrei essere vivo. Se ci fosse stato Jace quella notte, non sarebbe successo”. Jace, Luke, Viserys anche se era più piccolo o Joffrey anche se era così arrogante. “Ognuno di loro sarebbe un re migliore”. Sarebbe dovuto morire la notte dell’assalto sulla nave. “Avrei dovuto far salire Viserys su Nube Tempestosa”. Sarebbe dovuto morire difendendo sua madre. “Non dovevo essere io. Non sono altro che un bamboccio inutile. Inutile! Un pisciasotto. È colpa mia se sei morto Viserys. È colpa mia se sei morta, madre”.

 Sentì un movimento e si girò di scatto. Era Jaehaera. La piccola stava tremando. Non piangeva, Jaehaera non piangeva mai era una bambina strana, aveva sentito suo padre una volta dire che aveva il cervello “come la zuppa di Fondo delle Pulci”. Jaehaera continuava a girare la testa da una parte all’altra e a tremare.

“Io almeno ho Bae e Rhae. Ho ancora Nonno”. A Jaehaera era rimasta solo sua nonna Alicent, ma non gliela facevano più vedere per paura che creasse inimicizia tra lei e il suo nuovo marito.

Il ragazzino allungò la mano. Prese la manina fredda e sudata di Jaehaera e la strinse. Sua cugina, la sua futura lo guardò con due grandi occhi viola. Aegon sorrise. Era un po’ che non succedeva, sentì le guance sforzarsi. Jaehaera smise di tremare.

Il corteo cominciò a disperdersi nella grande piazza della collina Visenya. La portantina continuò a salire, il piccolo re e la piccola regina con le mani strette strette.

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