Ryhana

di heliodor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Punto d'inizio ***
Capitolo 2: *** Luci ***
Capitolo 3: *** Prometti che sarai prudente ***
Capitolo 4: *** Il Dono deve essere protetto ***
Capitolo 5: *** Ritorno ***
Capitolo 6: *** Giardino segreto ***
Capitolo 7: *** In marcia ***
Capitolo 8: *** Chiedimi scusa ***
Capitolo 9: *** Atto di compassione ***
Capitolo 10: *** L'orrore in fondo al pozzo ***
Capitolo 11: *** Resta al sicuro ***
Capitolo 12: *** Trovami ***
Capitolo 13: *** Qualcuno da maledire ***
Capitolo 14: *** Un modo per sopravvivere ***
Capitolo 15: *** Fiamme ***
Capitolo 16: *** Bugiarda ***
Capitolo 17: *** Sei cambiata ***
Capitolo 18: *** Una fine peggiore ***
Capitolo 19: *** Devi volerlo ***
Capitolo 20: *** Fai la tua parte ***
Capitolo 21: *** Nuovi compagni ***
Capitolo 22: *** Nessun posto dove andare ***
Capitolo 23: *** Peggio di quanto pensassi ***
Capitolo 24: *** Il villaggio dei dannati ***
Capitolo 25: *** Poesie ***
Capitolo 26: *** Signore della morte, regina delle bestie ***
Capitolo 27: *** Sofferenza ***
Capitolo 28: *** Arrenditi. Rinasci ***
Capitolo 29: *** Attenta a ciò che desideri ***



Capitolo 1
*** Punto d'inizio ***


Punto d’inizio

“Resta giù” disse la voce con tono perentorio. “Non muoverti.”
Non aveva alcuna intenzione di farlo. Nemmeno sapeva come era arrivata lì, in quel buio che sembrava aver divorato il mondo.
Esiste un mondo? Si chiese. Esisto io?
Qualche attimo prima aveva fluttuato in un mare privo di sensazioni, come un naufrago alla deriva che lottava contro i flutti che volevano ingoiarlo.
Aveva lottato contro le onde del risentimento, gli spruzzi del dolore e dell’abbandono le avevano inumidito gli occhi, facendola lacrimare.
Lacrime, si disse. Posso piangere?
“Mi senti?” le chiese la voce di prima. “Puoi aprire gli occhi?”
“Sì” rispose con voce arrochita.
Il mondo prese forma in un guazzabuglio di ombre, sprazzi di luce e fontane di colore che si intersecavano tra di loro. Tutto sembrava rovesciarsi di continuo mentre cercava un senso in quello che vedeva. L’alto divenne il basso e la destra passò a sinistra prima di tornare al suo posto.
Lottò contro un conato di vomito, la gola inasprita dalla sete.
“Dove?” chiese con tono incerto, come se stesse saggiando ogni singola sillaba.
“Vicino al santuario” rispose la voce.
Stavolta qualcosa la costrinse a girare la testa verso sinistra. Quel movimento le costò una fitta di dolore al collo.
È una cosa buona, si disse divertita. Se posso sentire dolore vuol dire che sono ancora viva e ho un collo.
Quel pensiero le strappò un timido sorriso rivolto all’ombra che era accovacciata vicino al suo viso.
“I miei fiori” disse, la mente attraversata dallo sprazzo di un ricordo, una fugace visione di un cespuglio solitario ai piedi di un albero, insieme a una risata allegra e alla sensazione di pace e…
“Torna da me” disse la voce. “Non te ne andare di nuovo.”
Scosse la testa.
Altra fitta di dolore, stavolta meno intensa.
“Che cosa ci facevi qui sotto?” le chiese la voce. “Puoi dirmelo?”
Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la figura. Il viso di un uomo sui quarant’anni prese forma. Mento pronunciato, naso piccolo, occhi ravvicinati, guance appena velate da una barba rossiccia, la fronte solcata da profonde rughe d’espressione.
“Chi sei?” gli chiese.
“Grenn” rispose il ragazzo. “Il tuo nome?”
“Nome?” chiese a sua volta.
“Come ti chiami?” fece lui con gentilezza.
Scosse la testa. “Non lo so, non ricordo.”
Grenn annuì serio. “È normale. Hai battuto la testa quando c’è stata l’esplosione.”
“Esplosione?” chiese allarmata.
Grenn annuì di nuovo. “E poi c’è stato un crollo. Noi siamo arrivati subito dopo, quando tutto era già accaduto.”
“Che cosa è crollato? Qualcuno si è fatto male?” chiese allarmata. “Kaleena?”
Grenn si accigliò. “È una tua amica?”
Sbatté le palpebre. “Non so. Non ricordo.”
“Come sta? Si è ripresa?” chiese una seconda voce femminile.
Grenn alzò la testa. “Sta meglio. È solo confusa.”
Lei cercò di guardare dalla stessa parte e vide una figura alta e slanciata, il seno generoso e i capelli lunghi e neri che incorniciavano un viso tondo dai lineamenti delicati.
In quel momento la donna stava guardando altrove. “Portiamola via da qui. La volta potrebbe crollare e seppellirci tutti.”
Grenn si girò verso di lei. “Ce la fai ad alzarti?”
“Posso provare.”
Lui le porse entrambe le braccia e lei le afferrò. Aveva le mani coperte di vesciche e piccole ferite, come se qualcuno si fosse divertito a colpirla con un coltello minuscolo.
Alzandosi venne colta da un capogiro e dovette appoggiarsi alla spalla di Grenn. Lui le passò un braccio attorno alla vita.
“Su, forza” disse. “Sofesia ha ragione. Il santuario potrebbe crollarci addosso se non usciamo subito.”
Lei rispose con un grugnito e si lasciò condurre dal ragazzo. Barcollarono attraverso un condotto fatto di oscurità che sembrava solida e sul punto di chiudersi sopra di loro. Il senso di oppressione che avverti la costrinse a chiudere gli occhi.
“Ti senti bene?” le chiese Grenn.
“No” rispose.
“Vuoi riposare?”
Voglio uscire di qui, si disse.
“No, ce la faccio” rispose.
Grenn la sospinse per centinaia di passi, non sapeva dire quanti di preciso, fino a che non sentì il vento fresco accarezzarle le guance e l’odore di erba bagnata pervase l’aria.
Aprì gli occhi e lasciò vagare sguardo per la spianata, cercando di riconoscere il carro che sostava sul lato del sentiero e i cavalli che giacevano morti nelle pozze d’acqua.
Due figure si muovevano vicino al carro e una vagava tra i resti degli animali.
“Devono aver cercato di fuggire” stava dicendo mentre era china su di un cavallo. “Questo ha il collo spezzato.”
Una delle due che si trovava vicino al carro si voltò di scatto. “Non toccarlo” disse con tono apprensivo.
La ragazza fece un leggero balzo di lato, come se un insetto l’avesse attaccata.
“Non sai di che cosa è morto” proseguì la figura vicina al carro. “Potrebbe uccidere anche te.”
La ragazza fece una smorfia di disgusto. “Potevi anche dirmelo prima, Hargart.”
“Te lo sta dicendo adesso” disse l’altra figura. Alzò la testa e sgranò gli occhi. “Grenn” esclamò. “Chi è quella?”
La ragazza marciò decisa verso di loro. “L’hai trovata lì sotto?”
Grenn annuì. “Dammi una mano. Si regge in piedi a stento.”
Con l’aiuto dei due venne portata fino a una pietra di forma piatta e la fecero sedere.
Le due figure vicino al carro li raggiunsero.
“Sofesia ti ha detto di portarla fuori?”
Grenn annuì deciso. “Il santuario potrebbe crollare.”
“Allora dovresti rimetterla lì dentro” disse l’uomo. “È quella la punizione che si merita questa rinnegata.”
La ragazza gli scoccò un’occhiataccia. “Dici sul serio, Varkarl? Tu lo faresti?”
L’uomo annuì facendo ondeggiare il mantello nero che indossava sopra la tunica grigia e marrone. “Le farei anche di peggio, ma sarebbe potere sprecato.”
“Nessuno la toccherà” disse Sofesia avvicinandosi. “Almeno finché non avremo saputo da lei tutto ciò che ci serve.”
Varkarl la guardò accigliato. “E poi?”
“La porteremo da Ilyana. Lei vorrà di sicuro interrogarla di persona.”
L’uomo scosse la testa. “È una perdita di tempo.”
“Non sei tu a decidere” lo ammonì Sofesia. Le rivolse un’occhiata intensa. “Chi sei? E che cosa ci facevi qui?”
La guardò accigliata.
“Capisci quello che dico?”
Annuì.
“Allora rispondi” la esortò.
“Non ricordo” disse.
Sofesia guardò Hargart.
Il ragazzo indossava un mantello rosso e bianco. Aveva l’aspetto gracile e delicato e un viso grazioso con occhi e capelli scuri. “Può aver preso una botta molto forte” disse. “La memoria potrebbe non tornare prima di qualche giornata. Se tornerà.”
“L’ho detto che è inutile” disse Varkarl.
“Stai iniziando a stancarmi” disse Sofesia. “Khefra.”
La ragazza fece scattare la testa come se l’avessero punta di nuovo.
“Controlla il perimetro. Se trovi qualcuno lancia l’allarme.”
“Sì” rispose Khefra prima di andare via.
“Grenn” riprese la donna. “Tu che cosa ne pensi?”
“Non penso proprio niente” rispose.
“Che cosa stavano facendo qui?”
“Niente di buono” disse con tono cupo.
“Allora è necessario che la prigioniera ricordi ciò che ha visto e sentito.”
Prigioniera? Si chiese. Perché dovrei essere prigioniera? Che cosa ho fatto di male?
Sofesia tornò a guardarla. “Sei proprio sicura di non ricordare almeno come ti chiami? Se collabori potremmo essere clementi con te.”
Cercò di ricordare il suo nome e anche se lo sforzo le provocò un mal di testa, quella parola non riaffiorò dal mare torbido che erano i suoi ricordi.
Scosse la testa con vigore. “Non lo ricordo. Non ricordo niente di quello che è successo qui. Se lo sapessi vi aiuterei di certo.”
Sofesia la fissò in silenzio per qualche istante, poi disse: “Abbiamo ancora tempo e può darsi che il santuario non crolli subito. Ci prenderemo mezza giornata per riposare e darti il tempo di ricordare. Se per il tramonto non saprai darmi qualche risposta, ti assicuro che il tuo viaggio verso Nelnis non sarà affatto piacevole.”
Sofesia andò via senza darle la possibilità di risponderle. Voleva dirle che stava provando a ricordare ma che non le riusciva.
Era successo qualcosa di terribile e stavano incolpando lei.
Ma io non ho fatto niente, si disse. E di sicuro non ho fatto del male a qualcuno. È stato un incidente e se Kaleena fosse qui potrebbe spiegare tutto a quella donna.
Kaleena.
Era la seconda volta che quel nome riaffiorava nella sua mente.
È il mio nome? Si chiese. È così che mi chiamo?
Sentiva che quello non era il suo nome, ma poteva usarlo come appiglio per ricordare tutto il resto. La persona che lo portava doveva essere stata importante per lei al punto di aver dimenticato il proprio ma non il suo.
Kaleena.
Hana.
Quel nome riecheggiò nella sua mente e si sovrappose all’altro.
Hana e Kaleena.
Quella associazione le provocò un senso di vuoto e di sollievo al tempo stesso.
Vuoto perché quella persona non era lì con lei.
Sollievo per lo stesso motivo.
Grenn si sporse verso di lei. “Stai ricordando qualcosa?”
Annuì.
Lui si accigliò.
“Hana” disse. “Ryhana” aggiunse con più sicurezza, il ricordo che riaffiorava nella sua mente.
“È il tuo nome?” le chiese.
“Credo di sì” disse incerta. “Sì.”
“E Kaleena?”
Scosse la testa.
“Va bene, è già qualcosa. Che altro ricordi?”
“Fiori” disse. “Un cespuglio pieno di fiori rossi.”
“E poi?”
“Una mela.”
Grenn sospirò. “Non riesci a ricordare qualcosa di più specifico, che riguarda il santuario? Ci sarebbe davvero utile saperne di più.”
Ryhana guardò il pozzo dal quale erano risaliti. “Che cos’è?”
“Speravamo che ce lo dicessi tu” disse Grenn deluso. “Quella è l’entrata.”
“Del santuario?”
“Sì.”
“Chi ci viveva?”
Per qualche motivo sapeva che quel luogo era abitato. O che lo era stato in un tempo lontano. Così remoto da far sembrare insignificante l’esistenza degli imperi stessi.
Si stupì di aver pensato quella frase.
Sono sicura di non averla detta io, si disse. Devo averla sentita da qualcun altro, ma da chi? Non certo da Kaleena.
Non riusciva ad associare ricordi spiacevoli a quel nome.
Grenn sembrò sollevato di poterne parlare. “Ci abitava un mago, penso. Hargart saprebbe spiegarti meglio, ma non ha molta pazienza. Ha studiato per anni con gli eruditi di Nazdur e se ne vanta tutte le volte che può.”
Quell’ultima frase sembrò una lamentela più che una constatazione.
Proprio Hargart sopraggiunse con aria annoiata. “Penso” disse con tono saccente. “Che dovresti lasciarla riposare un poco. Potrebbe ricordare meglio, dopo.”
“E se non ricordasse?” domandò Grenn.
L’altro scrollò le spalle. “È solo un consiglio. Lianus di Berger in uno dei suoi saggi consiglia di far riposare chi ha problemi a ricordare dopo una botta violenta alla testa. Nei suoi testi cita almeno una trentina di casi simili.”
“Ho capito, ho capito” disse Grenn. Prese una coperta di lana dalla sacca a tracolla e gliela porse.
Ryhana la guardò accigliata.
“È per te” disse l’uomo. “Così non patirai il freddo.”
“Grazie” disse prendendola dopo un attimo di esitazione. “E tu come farai?”
“Prenderò una che apparteneva ai morti.”
Ryhana deglutì a vuoto. “Ce ne sono parecchi nel santuario?”
Grenn annuì.
“Quanti?”
“Trentasei” disse.
“È sbagliato” rispose. Un ricordo riaffiorò con violenza nella sua mente.
Grenn la guardò perplesso. “Tu sai quanti si trovavano qui prima dell’incidente?”
Annuì con vigore. “Cinquantadue” disse. “Otto mantelli, ventidue soldati, quattro inservienti, due guaritori. E sedici prigionieri.” Serrò la mascella. “Cinquantadue” aggiunse subito dopo.
“C’era qualcun altro oltre a voi?”
Annuì di nuovo.
“Ricordi almeno uno di quei nomi?”
“Sanzir” disse sicura. “Ricordo il suo nome.”
Grenn sgranò gli occhi. “Sofesia” chiamò a gran voce. “Sofesia. Vieni qui subito.” Guardò Ryhana. “Ricordi altro?” le chiese.
Gli occhi di Ryhana si riempirono di lacrime. “Sì” disse. “Sto iniziando a ricordare tutto.”

Note
Ryhana fa parte della serie di Anaterra ma come le altre storie è autonoma e non dovete aver letto ciò che ho scritto in precedenza

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Capitolo 2
*** Luci ***


Luci

Il suono del corno la scosse dal sonno. Ryhana balzò in piedi e ancora assonnata, muovendosi tra le ombre, afferrò la spada che aveva al suo fianco.
“Che succede?” le chiese la voce di Kariba, la ragazza dalla pelle scura con la quale divideva la baracca.
“Non l’hai sentito anche tu il corno?”
Kariba mugugnò qualcosa di incomprensibile. “Sarà un gruppo che sta rientrando da un giro” disse con voce assonnata. “Ritorno a letto. Domani la giornata sarà dura.”
Come tutte le altre, si disse Ryhana stringendo l’elsa della spada nella mano.
Sapeva a malapena usare quell’arma. Golgis, il soldato che si occupava della sicurezza lì al campo, aveva insistito perché anche le ancelle come loro imparassero a maneggiarne una.
Ryhana aveva passato un paio di pomeriggi ad addestrarsi tirando fendenti e affondi contro un povero albero dalla corteccia rovinata.
Si era arresa solo quando aveva avvertito i crampi al braccio farsi insopportabili.
“Riprenderai domani” aveva detto Golgis.
Ma l’addestramento non era ripreso anche se le avevano lasciato la spada. Era vecchia e arrugginita, ma almeno era del peso giusto per lei e non rischiava di colpirsi da sola quando la usava.
Jonee, una ragazza di due anni più grande di lei, si era staccata un dito con la sua spada. Zana, la guaritrice più anziana lì al campo, aveva escluso che la ferita si sarebbe infettata e aveva vietato alla ragazza di usare la spada e qualsiasi altra arma.
“Sei ancora in piedi?” le chiese Kariba con tono lamentoso. “Torna al giaciglio o domani ti trascinerai per il campo.”
“Ormai sono sveglia” disse. “Vado a controllare se fuori è tutto in ordine.”
“Ci sono le guardie che ci pensano.”
Ryhana la ignorò e andò alla porta della baracca. Era una tavola di legno appoggiata all’entrata e tenuta ferma da una corda. Le bastò sciogliere il nodo per aprirla, mise un piede fuori e la appoggiò di nuovo con delicatezza per non disturbare il sonno di Kariba.
Fuori era buio e le sagome delle altre baracche erano solo ombre che si stagliavano su uno sfondo nero. C’erano i fuochi dei bivacchi che illuminavano i visi stanchi e tirati dei soldati che montavano di guardia.
Ryhana individuò un gruppo di tre che sedeva con la schiena chinata in avanti e la lancia appoggiata sulla spalla e marciò verso di loro.
“Ho sentito il corno” disse rallentando quando arrivò a un paio di passi di distanza.
Uno dei soldati alzò la testa di scatto. “Che ci fai fuori dalla baracca?”
“Ho sentito il corno che suonava” ripeté.
“È una faccenda che non ti riguarda.”
“Ma” iniziò a dire.
“Torna nella baracca.”
“Agli inferi” disse al soldato. Girò su sé stessa e fece per tornare alla baracca. A cinque passi dall’ingresso si voltò per vedere se i soldati la stessero ancora osservando. I tre erano tornati a fissare il fuoco e parlottare tra loro.
Ryhana cambiò direzione e girò attorno alla baracca, raggiungendo lo spiazzo formato da una ventina di casupole tutte di un solo livello. In mezzo sorgeva una tenda che veniva usata dai guaritori. Quando vi guardò vide che un paio di figure si muovevano con passi veloci e nervosi.
Andò verso la tenda con passo sicuro, la spada sempre la fianco. “Mirok” disse nel buio a una delle figure.
Dall’oscurità emerse il viso spaventato di un ragazzo che poteva avere sui venticinque anni e un leggero accenno di barba sul mento liscio e appuntito.
“Ryhana” esclamò il ragazzo sorpreso. “Non dovresti essere qui fuori.”
“Il corno ha suonato.”
Mirok annuì. “L’ho sentito anche io. Per questo Anazi ci ha tirati tutti giù dal giaciglio.”
“Sta succedendo qualcosa di grave?”
“Non lo sappiamo nemmeno noi. Nessuno ci ha detto niente.”
“Il gruppo di Kaleena è fuori da parecchio.”
“Non devi preoccuparti. È normale.”
“Non sono mai stati fuori per così tanto tempo.”
“Senti, non voglio essere scortese ma dovresti proprio andare. A Celeth non piace che nella tenda ci siano persone diverse dai guaritori. Dice che inquinano i reagenti delle pozioni.”
“Fammi sapere se scopri qualcosa di nuovo” gli intimò Ryhana prima di andarsene.
Mirok annuì e rientrò nella tenda.
Ryhana marciò decisa verso la tenda della comandante, che in quel momento era assente. Al suo posto sapeva che c’era un suo luogotenente, Yov Harrell, uno stregone dalla pelle scura come la notte e i denti tutti marci.
“Yov” disse chiamandolo a voce alta. “Yov sei lì dentro?”
Il velo che chiudeva l’ingresso si scostò e un viso dagli occhi scuri si protese verso l’esterno. “Che hai da strillare, ancella? Stanno già servendo il pasto?” Chiese con voce impastata.
“Non hai sentito il corno?”
“Corno?”
“Hai bevuto di nuovo troppo vino?”
“La roba annacquata che danno alla mensa, dici? Solo due boccali.”
Ryhana si accigliò. “Da come parli ne avrai bevuti almeno dieci.”
“Ora tieni conto del vino che bevo, dannata ragazzina? Guarda che non ci metto molto a farti cacciare via se mi disturbi ancora.”
Il corno risuonò di nuovo sopra le loro teste.
“Lo senti?” fece Ryhana indicando il cielo.
Yov sospirò e uscì dalla tenda. Era alto una spanna più di lei ma magro e slanciato. Sulle spalle strette aveva un mantello di colore grigio stinto che gli scendeva fino alle caviglie. Qualcuno aveva ricamato sopra di esso l’immagine di una sirena dal petto generoso e i capelli che terminavano in ciocche simili a serpenti.
“Vediamo che accidenti sta succedendo” disse con aria seccata. “Scommetto che Efren è di nuovo ubriaco e ha suonato il corno per sbaglio.”
Ryhana lo seguì a testa bassa. “Non lo puoi dire.”
“È già accaduto, ragazzina.”
“E non chiamarmi ragazzina. Ho sedici anni.”
Yov scosse la testa. “Dovresti startene a casa tua, non qui a fare la guerra. Questa è una faccenda per gente adulta non per quelli come te.”
“Avete soldati più giovani di me nelle vostre formazioni.”
“Vero” ammise Yov. “Ma quelli sono uomini. Tu invece…”
Ryhana sollevò la spada mostrandogliela “Io ho questa.”
“Che paura” fece Yov con tono canzonatorio. “Immagino quanti Malinor metterai in fuga con quella lì. Magari lo stesso Alion in persona.”
“Non so nemmeno chi sia” ammise.
Yov scosse la testa. “Dannata ragazzina che vuole fare la guerra.”
Raggiunsero il confine del campo, un recinto di tronchi infissi nel terreno e inclinati in modo che le punte fossero rivolte verso l’esterno. Una torre di legno si ergeva per metà sopra di essi, collegata al terreno da una scala.
Yov si fermò davanti a questa e guardò in alto. “Efren” disse a voce alta. “Efren.”
Nessuna risposta.
“Dannazione, affacciati o verrò io lassù e non sarà affatto divertente.”
Una testa si affacciò verso il basso. “Chi sei?” domandò.
“Yov Harrell” disse. “Il tuo comandante.”
Efren si sporse di più. “Dannazione. Hai sentito il corno, finalmente. Credevo di dover lasciare il posto di guardia per venirti ad avvertire.”
“Qual è il problema?”
“Ho visto delle luci” disse l’uomo.
L’espressione di Yov si contrasse. “Dove?”
“A oriente, sopra una delle colline.”
“Dannazione” esclamò lo stregone. “Ne sei sicuro?”
“È buio e una luce si vede bene” rispose Efren.
“Continua a controllare.” Yov riprese a camminare diretto al centro del villaggio.
“Che vuoi fare?” gli chiese Ryhana faticando a tenere il passo dello stregone.
“Non è faccenda che ti riguardi.”
“Ma ti ho avvertito io” si lamentò.
“E di questo ti ringrazio.” Guardò la spada che portava nella cintura. “Che io sia dannato. Chi te l’ha data?”
“Me l’ha data Golgis. Dice che devo imparare a difendermi.”
“Almeno la sai usare?”
Si strinse nelle spalle.
“I malinor ammazzano tutti quelli che imbracciano un’arma o portano un mantello, ma risparmiano gli altri.”
“Dove l’hai sentito dire? Io sapevo che ammazzassero chiunque.”
“Te lo dico io” disse Yov. “Domani devi ridarla a Golgis. Poi ci farò io due chiacchiere con quell’idiota.”
Raggiunsero il centro del campo. “Lorgon, Skekter, Balyna” disse ad alta voce. “Qualcuno li svegli e li trascini qui, se necessario. Consiglio di guerra nella mia tenda.”
I soldati che si trovavano lì vicino si allontanarono in direzioni diverse.
“Tu torna nella tua baracca” disse rivolto a Ryhana.
“Voglio restare. Starò buona e non parlerò. Nemmeno ti accorgerai della mia presenza.”
“Lo farò eccome.”
“Ti riempirò la coppa del vino.”
Yov sospirò. “Come fa Kaleena a sopportarti?”
Ryhana sorrise. “Sarà l’amore.”
Lui sospirò affranto ed entrò nella tenda. “Entra. Devi versarmi il vino, l’hai scordato? Mi sa che me ne servirà parecchio, stanotte.”

Lorgon era un omaccione grosso e corpulento, con barba e capelli lunghi che sembravano fondersi insieme in una cascata color nocciola spruzzata di grigio.
Skekter era alto e magro, gli occhi che sembravano volergli schizzare fuori dalle orbite e parlava sussurrando mentre non guardava mai in viso l’interlocutore.
Balyna era piccola e sembrava una ragazzina, ma Ryhana sapeva che aveva sei anni più di lei.
Tutti e tre indossavano il mantello grigio, anche se il tessuto era macchiato e pieno di buchi.
Yov li fissò uno per volta. “Voglio formare un gruppo di esplorazione. Skek, tu sei quello più esperto di questa regione.”
“Parliamo di quel corno” disse Lorgon. “Che intendi fare?”
“Voglio creare un gruppo proprio per questo.”
“Non ci serve un gruppo” disse l’omaccione. “Usciamo in forze dal campo e affrontiamoli prima che siano loro ad attaccare.”
Skek annuì con foga. “Sarebbe la cosa migliore da fare, sì.”
Yov guardò Balyna. “Tu che ne pensi?”
“Io dico di non fare niente” disse la strega.
“Niente?”
Balyna annuì con foga. “Sono soltanto delle luci. Forse è un altro gruppo di esploratori che sta rientrando. Che ne possiamo sapere noi?”
“Voglio mandare un gruppo di esploratori proprio perché non ne sappiamo niente” disse Yov con tono spazientito. “Skek? In quanto puoi essere pronto per uscire?”
“Dobbiamo preparare i cavalli e un paio di altre cose.”
Yov annuì grave. “Vai subito.”
Lo stregone esitò.
“Che c’è ancora?”
Skek fece un cenno della testa verso Ryhana. “Quella è da quando siamo entrati che ha in mano la brocca del vino e io ho la gola secca. Ragazzina, che ne diresti di riempirmi la coppa?”
“Muoviti” la esortò Yov.
Ryhana prese una coppa e la riempì di vino. La porse a Skek che la prese come se contenesse oro liquido, la portò alla bocca e tracannò tutto con un sorso.
“Ottimo” disse lo stregone. “È ancora parte di quel bottino?”
“Ne ho ancor cinque o sei da parte” disse Yov. “Se ci porterai buone notizie, te ne darò una.”
“Due” disse Skek.
“Una e una coppa della seconda. Che berrai alla mia salute.”
Skek emise un rutto e ridiede la coppa a Ryhana. Fece un gesto di saluto a Yov e lasciò la tenda.
Ryhana poggiò la brocca di vino sul tavolo alle sue spalle e lo seguì fuori dalla tenda.
“Dove vai?” le urlò dietro Yov.
“Mi sono ricordata di una cosa importante” disse tenendosi sul vago.


 

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Capitolo 3
*** Prometti che sarai prudente ***


Prometti che sarai prudente

Si ritrovò a correre per il campo che si stava svegliando per raggiungere Skek.
“Skekter” disse per attirare la sua attenzione.
Lo stregone si voltò di scatto. “Che vuoi? Yov ti ha detto di portarmi un’altra coppa di vino?”
Ryhana gli mostrò le mani.
“Sono vuote” disse Skek. “Che delusione.”
Fece per girarsi ma Ryhana disse. “Potresti farmi un favore?” gli chiese.
Skek brontolò qualcosa.
“È un sì?”
“Io non faccio niente per niente, ragazza” disse lo stregone.
“Non posso pagarti.”
“Allora non hai alcuna speranza.”
“Ma posso prendere una bottiglia dalla riserva di Yov e portarla a te. Lui nemmeno se ne accorgerebbe. Non sa contare.”
“Sarebbe come rubarla.”
“Lui le ha rubate da un carico che avevano preso due Lune fa.”
Gliel’aveva detto Kaleena mentre le raccontava della loro ultima missione insieme al comandante Shenav.
Skek sospirò. “Che favore ti serve?”
“Trova Kaleena. Se fosse in pericolo potrebbe avere bisogno di aiuto.”
“Kaleena? Quella strega arrogante? Perché dovrei farlo?”
“Perché ti sto offrendo una bottiglia di buon vino per farlo” disse stizzita. “E con quella che ti darà Yov, fanno due.”
“So contare” rispose Skek. “E ne voglio due, di bottiglie.”
“Non posso prenderne due. Yov non è stupido e se ne accorgerebbe.”
“Ne ha più di sei nella riserva, vero?” chiese Skek.
“Sono almeno venti.”
“Che infame” disse lo stregone.
“Che vuoi fare?” gli chiese impaziente.
“Non so se mi conviene. Potresti anche avermi mentito.”
“Ti sto dicendo la verità. E se rifiuti ti perderai una buona bottiglia di vino perché sei troppo diffidente.”
“Agli inferi. Vacci tu ad aiutare la tua amica.”
“Lo farei, ma sono solo un’ancella. Nemmeno so impugnare la spada.”
Skek annuì. “E va bene, ma non ti assicuro niente.”
“Se la trovi, dovrai badare a lei.”
“Starò attento che non le succeda niente di grave, d’accordo? Ma se come temo sono caduti in una imboscata dei malinor, non potremo fare molto. E non rischierò la mia vita per lei.”
“D’accordo” disse. “Mi sembra giusto.”
“Prepara quella dannata bottiglia per quando saremo tornati” disse Skek prima di ripartire diretto al recinto dei cavalli.
Ryhana lo seguì per qualche istante, poi di diresse alla sua baracca.
Trovò Kariba che si stava infilando i vestiti e sbadigliava. “Dannazione, ma dove eri finita?”
“Riunione di guerra” disse entrando senza alzare gli occhi.
“A quest’ora?”
“È già finita.”
Kariba rimase in attesa.
“Non posso dirti quello che hanno detto. Se Yov lo venisse a sapere, mi spellerebbe viva e perderei tutta la sua fiducia.”
“Agli inferi” disse la ragazza. “Non ti ho chiesto niente, ma almeno potresti accennarmi qualcosa, no? Ho anche io qualcuno a cui tengo nel gruppo degli esploratori.”
Ryhana si fermò come se fosse stata colpita in viso da un pugno. “Samoel” disse trovando quel nome nascosto tra le pieghe dei ricordi. “Pensavo vi foste lasciati voi due.”
“Ci siamo rimessi insieme prima che partisse” disse Kariba.
“Non me l’hai detto” le disse con tono d’accusa.
Kariba si strinse nelle spalle. “Non ti dico tutto, così come tu non mi dici tutto di te e Kaleena.”
Ryhana sospirò affranta. “Mi spiace” disse. “Io” ebbe una esitazione. “Forse mi sto preoccupando per niente.”
“Che è successo?”
“Efren, la vedetta. Dice di ver visto delle luci sulle colline.”
“Solo delle luci?”
Annuì.
“Che hanno di strano?”
“Potrebbero essere incantesimi. Sfere infuocate, dardi magici.”
Non ne aveva visti molti, ma Kaleena le aveva fatto vedere quelli che sapeva usare. A volte evocava una piccola sfera tra le mani.
“Vedi?” le diceva divertita ed eccitata allo stesso tempo. “È come un piccolo sole che posso controllare.”
“Come ci riesci?” le aveva domandato Ryhana, lo sguardo rapito da quelle fiamme che sembravano volersi espandere e che l’altra teneva a bada tra i palmi delle mani.
“Ho il mio modo.”
Ryhana l’aveva guardata con espressione interdetta.
“Tutti hanno il loro modo” aveva aggiunto Kaleena. “Io, per esempio, sfrego tra di loro i palmi e poi li allontano.”
Ryhana ci aveva provato ma in mezzo alle sue mani non era apparsa alcuna sfera infuocata. “Non funziona.”
“Certo che no” aveva detto Kaleena divertita. “Tu non hai il dono.
“E se lo avessi?”
“Avresti il tuo modo di evocare un incantesimo.”
Kariba scosse la testa. “Come fa a dirlo?”
“Non lo so, ma Yov ha deciso di mandare un gruppo di esplorazione per controllare.”
“Chi?”
“Skekter.”
Kariba sbuffò. “È un idiota e un ubriacone. Hai idea di quante volte l’ho dovuto letteralmente trascinare nella sua baracca? Una volta è persino crollato sopra un tavolo della mensa. Mentre ero io di turno.” Scosse la testa. “Quello non saprebbe distinguere il fuoco di un bivacco da una sfera infuocata.”
“Yov si fida di lui” disse Ryhana, anche se era d’accordo con Kariba. Si infilò una tunica verde scuro e la chiuse in vita con una fascia di pelle. “E gli ho promesso una bottiglia di vino se avesse badato a Kaleena.”
“Tu hai una bottiglia di vino? Dove?” Kariba indicò la sacca con le cose che possedeva.
Ryhana lanciò un’occhiata distratta al fagotto. Sapeva cosa conteneva. Una coperta di lana piena di buchi, un paio di stivali di riserva, una tunica che vi aveva arrotolato attorno e una sacca più piccola con un pettine, ago e filo.
Una volta aveva dovuto ricucire una ferita sulla spalla di Kaleena. Ricordava ancora le sue smorfie di sofferenza mentre le infilava l’ago nella pelle.
Scacciò quel ricordo scuotendo la testa. “Non qui. È nella tenda di Yov, in una cassa che tiene sotterrata.”
“Yov ha una cassa di vino sotterrata?”
Ryhana annuì e si diresse alla porta della baracca.
“Dove vai ora?” le chiese Kariba.
“Da Yov. Ci saranno altri consigli di guerra e io non me li voglio perdere.”
“Se hai notizie di Samoel me lo farai sapere?”
“Certo” le disse. “Dove sei di turno oggi?”
“Alle cucine.”
Chiuse la porta e marciò decisa verso la tenda di Yov. Mentre si avvicinava notò che lì attorno si erano riuniti una cinquantina di soldati e cinque o sei mantelli.
Due di essi erano donne che potevano avere venti o trenta anni. Indossavano mantelli grigi e laceri, rattoppati decine di volte.
Ryhana conosceva solo una di loro, Balyna Tilf, che aveva visto la notte prima alla riunione nella tenda di Yov. Si fece strada fino a lei.
“Io ti saluto” disse cercando di essere cortese.
Balyna le rivolse un’occhiata perplessa. “Ti conosco?”
Ryhana arrossì. “L’altra notte, alla riunione. Servivo il vino.”
Balyna scrollò le spalle. “La serva, sì. Che vuoi?”
“Notizie degli esploratori?”
“È troppo presto” rispose la strega con tono annoiato. “Ci vorrà almeno mezza giornata per avere qualche notizia.”
“Yov che ha intenzione di fare?”
“Vorremmo saperlo anche noi” rispose Balyna. “Quell’idiota non ci dice niente.”
“Forse nemmeno sa cosa fare” disse lo stregone di nome Lorgon. “Fosse per me formerei le formazioni e marcerei fino alle colline.”
“Così ci faresti cadere in trappola” disse una strega di cui ignorava il nome. “Come quei disgraziati del gruppo di esplorazione.”
“Non lo puoi dire” disse Lorgon. Guardò Balyna. “Tu che ne pensi?”
La strega scosse la testa. “Shenav è troppo furbo per cadere in una trappola.”
Quelle parole la resero meno inquieta.
Kaleena è col gruppo comandato da Shenav, si disse.
Erano partiti in trenta mezza Luna prima per scortare il comandante verso un campo minore per un incontro. Kaleena non aveva potuto dirle di più.
“È un segreto” aveva detto mentre riempiva la sua sacca.
Ryhana era rimasta vicino alla porta della baracca, quasi non volesse farla uscire. “Non potevi rifiutare?”
“Shenav mi ha scelta di persona” esclamò Kaleena. “È un grande onore essere notate. Balyna e gli altri mantelli adesso mi guardano con rispetto.”
“A che ti serve il loro rispetto?”
“Tu non puoi capire.”
“Perché non ho i tuoi poteri?”
“Hana…”
“È pericoloso uscire adesso, con migliaia di soldati e mantelli di Malinor lì fuori.”
“Chi lo dice?”
“Mirok. E altri.”
“Mirok è un guaritore. E nemmeno tanto bravo. Shenav invece è lo stregone più forte dell’armata.” Kaleena aveva sospirato come faceva sempre quando era stanca di discutere. “Dovevo solo prendere la mia roba e andare. Dobbiamo partire subito.”
“Mi prometti che sarai prudente?”
Kaleena si era raddrizzata. “Sul mio onore” aveva detto passandosi la mano sul petto.
“E prometti che penserai a me tutte le sere prima di addormentarti? Perché io lo farò.”
“Lo prometto, ma solo quelle sere in cui non sarò di guardia.”
Ryhana aveva annuito grave.
Kaleena si era protesa verso di lei e le loro labbra si erano sfiorate prima con esitazione, poi con maggiore convinzione. Ryhana le aveva passato le mani dietro il collo e lei aveva fatto lo stesso cingendola per i fianchi. Erano rimaste abbracciate anche quando il bacio era finito, la testa di Ryhana affondata nel collo di Kaleena e il mento di lei appoggiato sulla sua spalla.
“Adesso devo proprio andare via” aveva detto la strega separandosi da lei.
“Sì” aveva detto Ryhana. “Non dimenticare la promessa.”
Kaleena aveva spalancato la porta della baracca. “E tu non stare troppo in pensiero. Tra meno di una Luna saremo di ritorno.”
“Giusto in tempo.”
Kaleena si era accigliata. “Per cosa?”
Ryhana le aveva sorriso. “È una sorpresa. Te la mostrerò quando torni.”
“Hai troppa fiducia in quello stregone” disse Lorgon con tono di sufficienza.
“Ha battuto i Malinor a Thalor e Oialin” ribatté Balyna.
Lorgon fece schioccare la lingua. “È stata fortuna. Ci sarei riuscito anche io.”
“Con metà delle forze del nemico?”
“I Malinor sono deboli e stupidi. E sono comandanti da un incapace.”
Balyna fece per ribattere qualcosa ma si interruppe e fece scattare gli occhi verso destra.
Ryhana si girò nella stessa direzione e vide Yov avanzare verso la tenda.
“Consiglio di guerra” annunciò. “Lorgon, Balyna, Serin e anche tu, Chaya.”
Una strega dai lunghi capelli neri e la pelle scura come la notte raddrizzò la schiena. “Io?” chiese esitante.
“Sì, tu. Con Skekter fuori sei tu la nostra migliore strega delle ombre.”
Chaya chinò la testa e seguì Yov dentro la tenda.
Ryhana si fece avanti ma venne bloccata da due soldati.
“È un consiglio privato” disse uno dei due.
“Devo servire il vino” obiettò.
“Oggi no. Tu sei Ryhana, quella che si occupa delle erbe. Non hai da fare alla tenda di Anazi?”
Ryhana sbuffò e fece un paio di passi indietro.
“Vai, vai” la esortò il soldato. “O dirò a Yov che non hai voglia di lavorare, così ti faranno andare via dal campo.”
“Vai agli inferi” gridò al soldato mentre si allontanava.
“Dopo di te, stupida” rispose l’uomo alle sue spalle.
Ryhana marciò a testa bassa fino alla tenda di Anazi, dove i guaritori e gli altri inservienti erano riuniti attorno ai lunghi tavoli pieni di ampolle e marmitte. Da alcune di esse si levava un leggero fumo, segno che erano state appena tolte dai focolari dove altre pentole stavano cuocendo.
Trovò Mirok mentre stava parlando a due ragazze dall’aria stranita.
“Dovete aggiungere questi ingredienti nella quantità esatta” stava dicendo con tono agitato. “È molto importante, avete capito? Se non lo fate dovremo buttare via tutto.”
“Sì” disse una delle ragazze con tono annoiato.
“Ho scritto su questa pergamena la formula da seguire” disse mostrando loro un foglio di carta con su scritti dei simboli.
Ryhana si era sempre domandata quale fosse il loro significato. Non aveva mai imparato a leggere e quando Kaleena aveva provato a insegnarglielo, le era venuto un gran mal di testa.
“Non è possibile” aveva detto lei interdetta. “Sei intelligente. Ricordi interi discorsi e non sei capace di imparare a leggere e scrivere?”
Ryhana si era stretta nelle spalle. “Le parole sembrano confuse.”
“Ma non lo sono” aveva esclamato Kaleena.
“Non so che dirti.”
Ryhana non riusciva a spiegarlo agli altri, ma ogni vota che cercava di concentrarsi su di una lettera o una parola, questa sembrava cambiare forma davanti ai suoi occhi, assumendone una del tutto diversa.
Quella che sembrava una V rovesciata diventava una S se la fissava abbastanza a lungo, mentre quella che un attimo prima era una O era diventata una N e poi una E ed era sicura che se l’avesse fissata più a lungo sarebbe cambiata ancora.
“Non importa” aveva detto a Ryhana per mitigare la sua delusione. “Saper leggere e scrivere non è così importante.”
“Ma lo è” aveva protestato Kaleena.
“Vorrà dire che leggerai tu per me” aveva risposto per consolarla.
Mirok alzò la testa verso di lei. “Sei qui” disse sollevato. “Tra poco Anazi avrebbe mandato qualcuno a cercarti.”
“Mi sembra che stiate andando bene.”
“Non grazie a te. Ho messo tutti a preparare pozioni per i feriti. Scegli un tavolo e mettiti a lavorare, svelta.”
Ryhana ubbidì e si accostò a uno dei tavoli, prese i sacchetti pieni di polveri sminuzzate e le ampolle già piene per metà di acqua e le avvicinò alla sua postazione.
“Se ti serve qualcuno che ti legga le pergamene” fece Mirok passandole vicino.
“Posso fare da sola” disse senza mostrare il suo fastidio.
“Lo so, lo so” si affrettò a dire Mirok. “Non ti volevo offendere.”
Ryhana rispose con un’alzata di spalle e prese uno dei sacchetti. Era pieno di una polvere rossa molto fine che sapeva di non dover mai toccare con le dita o le avrebbe procurato delle piaghe per giorni.
Usò un cucchiaio per raccoglierne un poco e lo versò in una delle ampolle.
“Una parte di polvere di Basilisco” disse a bassa voce mentre prendeva un secondo sacchetto di pelle.
Questo era pieno di piccole pietre color grigio scuro che emanavano un odore penetrante di putrefazione. Ne raccolse una manciata col solito cucchiaio e la versò nella ampolla dove aveva già messo la polvere di Basilisco. Ripeté l’azione altre due volte.
“Tre parti di corteccia di Albero Sentinella” disse di nuovo a bassa voce come se stesse recitando un poema. “Agitare contando fino a trenta.”
Prese l’ampolla nella mano destra facendo attenzione ad averla tappata prima di agitarla per il tempo necessario. Il liquido all’interno passò dal rosa chiaro al viola scuro e poi al verde marcio, segno che i reagenti erano stati ben mescolati.
Mise l’ampolla in un punto del tavolo dove non poteva cadere col rischio di rompersi e ne prese un’altra.
Mirok si fece vedere di nuovo quando aveva già allineato due dozzine di ampolle e ne stava preparando un’altra.
“Appena hai finito con quella devi andare da Anazi.”
Ryhana lo guardò interdetta. “Ho appena cominciato.”
“Ordini suoi.”
“Che vuole?”
“Non ne ho idea.”
“Ti sembrava arrabbiato?”
Mirok si strinse nelle spalle. “No, ma con Anazi è difficile dire quando è di buono o cattivo umore.”
Ryhana finì di preparare la pozione e si assicurò che un’altra ancella portasse quelle pronte al sicuro. Chiuse i sacchetti di pelle affinché il contenuto non si disperdesse o fosse contaminato dall’aria.
Trasse un profondo sospirò e si girò verso la tenda dove sapeva che Anazi la stava aspettando. Un attimo dopo, il corno risuonò di nuovo.


 

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Capitolo 4
*** Il Dono deve essere protetto ***


Il Dono deve essere protetto

Ryhana rimase immobile, le orecchie tese a intercettare un secondo suono. Anche gli altri che lavoravano ai tavoli si erano fermati.
“Un solo richiamo” disse una delle ragazze più giovani. Si chiamava Ivia e aveva solo due Lune più di lei, ricordava Ryhana. Lo aveva appreso sentendo parlare di lei due soldati, uno dei quali sembrava fosse intenzionato a corteggiarla.
“Le vedette hanno visto qualcosa” disse un anziano dai denti storti che aveva le mani infilate in uno dei sacchetti di pelle.
“Tornate al lavoro” disse Mirok. “Quello che stiamo facendo qui è importante.”
L’anziano scosse la testa e riprese a mescolare qualcosa dentro il sacchetto di pelle utilizzando le dita come un rastrello, mentre Ivia rimase con la testa alzata e gli occhi sgranati. Una delle donne al suo stesso tavolo le disse qualcosa e lei scosse la testa, tornando a chinarsi.
Ryhana sbatté le palpebre due volte, come a volersi risvegliare controvoglia da un sogno.
Anazi, si disse. Devo andare da lui. Vuole parlare con me. Sarà meglio che mi comporti bene o mi farà andare via dal campo.
Andò alla tenda dell’erudito e si affacciò all’entrata. “Sono Ryhana” disse a voce alta.
“Entra” risposero dall’interno.
Entrò e venne avvolta dalla penombra rischiarata solo dalla luce che filtrava dal tessuto della tenda. Al centro di questa era seduta una figura imponente, così alta e massiccia da poterla guardare negli occhi anche se lei era in piedi.
E io non sono molto bassa, si disse con un certo orgoglio. Solo un po’.
La figura aveva il viso liscio e sereno e gli occhi più chiari che avesse mai visto. I capelli erano neri e lisci e le guance paffute.
Anazi indossava una tunica color ocra chiusa in vita da una cintura marrone e da sotto il vestito spuntavano due piedi che calzavano sandali aperti simili a quelli che indossava lei, solo di almeno tre o quattro misure più grandi.
La tenda stessa sembrava essersi ristretta addosso all’erudito, come se la sua mole avesse risucchiato lo spazio attorno a sé lasciandone appena un poco per consentire a Ryhana di stare dentro a sua volta.
“Io ti saluto” disse rivolgendogli un inchino.
Anazi rispose con un movimento appena accennato della testa. “Come sta andando il lavoro di preparazione delle pozioni?”
“Bene” si affrettò a dire.
Prima che tu mi facessi chiamare qui, si disse. Avrei potuto fare molto di più.
Decise di tenere per sé quel pensiero.
Anazi annuì di nuovo. “Mi spiace di non aver avuto il tempo di conoscerti meglio, ma come vedi passo la maggior parte del tempo in questa tenda. Le mie povere ossa non mi permettono di restare a lungo in piedi e questa è l’unica posizione che riesco a sopportare.”
“Non puoi creare una pozione che guarisca le tue ossa?”
Anazi sorrise e Ryhana pensò di aver detto una stupidaggine.
Sta ridendo di me, si disse. Perché sono una povera contadina ignorante che non sa leggere e faccio domande sciocche.
“Purtroppo una pozione simile non esiste” disse Anazi. “E anche sapendolo, ti confesso di aver trascorso alcuni anni a cercarne una quando ancora riuscivo a muovermi, anche se con difficoltà. Girai alcune accademie, incontrai eruditi famosi e altri solo famigerati. Provai una certa quantità di sostanze che avrebbero dovuto aiutarmi, ma si rivelarono tutti dei fallimenti. Infine, incontrai Malag e mi convinse a passare dalla sua parte.”
Ryhana sgranò gli occhi. “Tu hai visto Malag di persona?”
Il sorriso di Anazi si allargò. “Non solo l’ho visto, ma gli ho anche parlato. Anche se devo ammettere che mi ha piuttosto deluso.”
Ryhana si accigliò.
“Non è la persona interessante che tutti dicono. Quando lo incontrai per la prima volta, la mia attesa era grande, ma ne rimasi piuttosto deluso.”
“Che cosa vi siete detti?” gli chiesi dopo qualche istante di esitazione. “È vero che ci sarà un nuovo mondo dopo la fine della guerra dove tutti vivremo in libertà?”
“La libertà” rispose Anazi. “È soltanto una parola. Tu non sei forse libera qui?”
Ryhana annuì. “Nessuno mi chiama stupida o mi vuole affogare nel fiume.”
Il viso di Anzi si contrasse. “È per questo che sei scappata?”
Ryhana annuì.
Ricordava bene gli ultimi anni a Osslean, dopo che sua madre e sua sorella erano morte durante un’epidemia. Loro l’avevano protetta da quelli che le dicevano che era stupida e che l’avrebbero volentieri gettata nel fiume per avere una bocca in meno da sfamare.
Yasina, la figlia di un mercante che aveva ereditato la carovana del padre dopo che era morto, voleva la sua casa per farne un deposito per le merci e l’aveva minacciata.
“Sei strana” le aveva detto una volta incontrandola davanti al forno. “E diversa. E a noi non piacciono quelli come te. Devi andare via o farai una brutta fine.”
La donna aveva detto quelle parole a voce alta, davanti a parecchi testimoni e nessuno si era fatto avanti per difenderla. Allora Ryhana aveva capito che se le fosse capitato qualcosa di brutto, Yasina non avrebbe subito alcuna conseguenza.
“Mirok mi ha detto del tuo piccolo dono.”
Ryhana si accigliò.
“Tu non sai leggere, vero?”
“Sì” disse cercando di nascondere l’imbarazzo. “Non ho mi imparato.”
“Mirok dice che le parole ti appaiono confuse e strane.”
Ryhana annuì con vigore. “Ho imparato le lettere” disse. “So come sono fatte e se ne vedo una so riconoscerla, ma tutte insieme no.” Scosse la testa. “Bretta diceva che avevo qualcosa di marcio nella testa, come quando apri un uovo e scopri che dentro è andato a male.”
Anazi sorrise. “Dentro la tua testa non c’è niente di guasto o marcio, Ryhana. So che hai imparato a memoria le formule di tutte le pozioni.”
“È vero.”
“Come hai fatto se non sai leggere una pergamena, se posso chiedertelo?”
“Non lo so.”
“Usi qualche tecnica?”
Ryhana si accigliò. “Tecnica? No, credo di no. Ho visto le altre ragazze che le preparavano e mi sono fatta dire da Mirok il nome di tutti i reagenti mentre li indicava uno per uno.”
“Quindi sai riconoscere al volo un reagente e hai imparato a memoria le formule.”
“Sì.”
“E non ti sei fatta più aiutare da Mirok?”
“No.”
“Nemmeno una?”
Ryhana scrollò le spalle. “Quando imparo una cosa di solito non la dimentico più.”
“Impressionante” disse Anazi. “E ti vergogni di questo dono?”
“Non mi sembra niente di eccezionale.”
“Molti eruditi ucciderebbero per avere un talento come il tuo. Imparare qualsiasi cosa leggendola una sola volta e ricordarla per tutta la vita.” Scosse la testa. “È una vera sfortuna che tu non sappia leggere. È come se il tuo dono fosse stato compensato da qualcosa. Un limite oltre il quale non puoi spingerti.”
Ryhana cominciava a sentirsi a disagio nella tenda e voleva solo uscirne.
“So che frequenti una strega di nome Kaleena.”
Ryhana annuì prudente.
Anazi non mutò espressione. “È importante che streghe e stregoni di questo campo siano sereni e trattati con cura.”
“Voglio molto bene a Leena” disse.
“L’avevo capito ed è molto bello, ma devi anche sapere che il Dono è molto importante per streghe e stregoni. Possono aver voltato le spalle ai loro circoli e aver avuto un buon motivo per farlo, possono aver abbandonato i loro Dei per abbracciare altre fedi, possono persino aver rinnegato i loro familiari e gli amici più intimi, ma nessuno di loro potrà mai rinnegare le proprie origini.”
“Kaleena” stavolta fu attenta a usare il nome completo. “Ha lasciato il circolo di Themar dopo che suo fratello è stato assassinato da un altro stregone.”
“Che storia triste” disse Anazi, anche se dal tono e dall’espressione non sembrava affatto addolorato.
Ryhana annuì con vigore. “Kaleena chiese giustizia, ma l’assassino era figlio di un nobile molto potente e loro venivano dalla provincia. Lei dice che non contavano molto e non vennero ascoltati.”
“Che cosa accadde dopo?”
“Kaleena non me l’ha mai detto. So solo che lei e altri di Themar si unirono a Malag dopo che lui sbarcò sul continente.”
Anazi annuì solenne. “Purtroppo è una storia simile a tante che ho già ascoltato.”
“Posso chiederti di che cosa avete parlato tu e Malag?”
L’erudito sorrise. “Di libri. Lui è un appassionato lettore, sai? Li colleziona, addirittura. Mi ha mostrato la sua biblioteca ed era molto fornita. È sempre alla ricerca di qualche testo da mettere sui suoi scaffli.”
“Libri?” chiese Ryhana scettica. “Soltanto di questo?”
Anazi scrollò le spalle.
Dall’esterno giunse il suono del corno.
“Di nuovo” disse Ryhana facendo scattare la testa verso l’alto.
“È la seconda volta in poco tempo” disse Anazi. “Qualcuno sta tornando da fuori.”
Ryhana deglutì a stento.
“Non voglio trattenerti ancora, Ryhana. Volevo solo incontrarti e conoscere di persona il tuo talento.”
“Ti ringrazio” disse distratta.
“Ricorda le mie parole, anche se sono certa che non le scorderai. Nemmeno volendo si riusciresti, vero?”
“Le ricorderò” disse avviandosi all’uscita.
Appena fuori marciò verso il centro del campo, dove una piccola folla si stava radunando attorno alla tenda di Yov. Il comandante era già uscito e stava parlando a soldati e mantelli.
“Sapete cosa dovete fare. Ai vostri posti.”
“Ci attaccano?” chiese Ryhana sopraggiungendo.
“No” rispose Yov seccato. “E ora tornatene alla tua baracca o dovunque tu sia alloggiata.”
Ryhana emise un mezzo grugnito e lo seguì mentre si dirigeva verso l’entrata del campo. Yov le lanciò un’occhiataccia ma non disse niente.
Davanti all’ingresso, due enormi pali di legno infissi nel terreno che reggevano una palizzata di tronchi con le punte rivolte verso l’esterno, si erano già radunati i soldati. I più anziani ed esperti li stavano organizzando per file e colonne di dieci soldati ciascuna.
Ryhana rimase in disparte per non intralciare il lavoro dei soldati che sembravano faticare ad organizzarsi, come se lo avessero fatto poche volte prima di allora.
O nessuna.
Dopo qualche tempo e molte urla da parte dei comandanti, una formazione di cento soldati era pronta e una seconda si stava organizzando. Una terza formazione non era nemmeno a metà.
Dall’alto della torre di vedetta risuonò di nuovo il corno.
“Da oriente” gridò Efren. “Lungo la strada principale.
Ryhana guardò verso il punto indicato e vide la strada snodarsi tra due colline coperte di alberi. Tra le due alture si alzava una nuvola di polvere che macchiava il cielo altrimenti di un azzurro intenso.
“Quanti?” gridò Yov.
“Ottanta” rispose Efren. “Forse cento.”
“Mantelli?”
“Metà. Ma da questa distanza non so dirti di che colore.”
Yov annuì. “Preparatevi a combattere.”
Ryhana deglutì a vuoto e rimase dov’era.


 

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Capitolo 5
*** Ritorno ***


Ritorno

Lo scalpiccio dei cavalli risuonò fino a loro destandola dal torpore. Poco prima, quando la formazione già pronta si era portata vicino all’ingresso del campo e Yov aveva allineato i mantelli a sinistra, dietro una palizzata mobile che avevano eretto apposta, la battaglia era sembrata imminente.
Tutti sembravano trattenere il fiato mentre aspettavano che Efren, la vedetta, annunciasse loro il nemico che stava arrivando.
Ryhana sapeva che i malinor usavano mantelli di colore nero con ricami in oro o argento, ma non erano gli unici. C’erano anche i mantelli verdi dei nazedir, quelli ocra e rossi di Theveshia o quelli blu e bianco di Olmathals. E anche quelli gialli di Themar.
Lei sperava che non ce ne fossero.
Kaleena le aveva detto che se i suoi confratelli e consorelle l’avessero trovata e riconosciuta tra i rinnegati, le avrebbero riservato un trattamento peggiore di chiunque altro.
“Ma io non ho paura di loro” aveva detto stringendo i pugni. “Se ci sarà da combattere, ne ucciderò più che posso.”
Ryhana ammirava il suo coraggio e al tempo stesso ne aveva paura. L’avrebbe volentieri implorata di fuggire lontano da lì se un mantello giallo fosse apparso tra quelli che la stavano attaccando, ma sapeva che sarebbe stato inutile.
“Vorrei davvero che ci fosse un modo per evitare tutto questo” aveva detto più tardi, quando si era calmata un poco.
“Forse un giorno saranno disposti ad ascoltare” aveva detto.
Kaleena aveva scosso la testa affranta. “No. Questo non accadrà mai. Loro non ascoltano, Hana.”
“Ma forse esiste un modo?”
“Se ci fosse, tutta questa guerra sarebbe inutile, non ti pare?”
“Non lo so” aveva detto stringendosi a lei. “Kariba dice che Malag troverà il modo.”
“Malag è soltanto un uomo. E anche molto anziano.”
Ryhana aveva sgranato gli occhi. “Non dici sul serio” aveva esclamato indignata.
“Che cosa ho detto di strano?”
“Malag è tornato dal regno dei morti.”
“Che sciocchezza” aveva risposto Kaleena. “Nessuno può risorgere dalla morte. A parte che a Nergathel. Dicono che lì i necromanti abbiano un incantesimo per riportare in vita una persona.”
“Ma è vero” aveva ribattuto. “Tu come te lo spieghi?”
“Cosa?”
“Il duello con Bellir e poi il suo ritorno.”
Kaleena aveva sospirato. “Non me lo spiego. E non lo sa nessuno che cosa è successo davvero. Tova dice che è tutta una menzogna dei Malinor e che non c’è mai stato nessun duello. Dice che Malag si è solo nascosto attendendo il momento giusto per tornare e guidare la ribellione.”
“Che sciocchezza” aveva sentenziato.
Kaleena aveva scrollato le spalle. “Tova la pensa così.”
“Chi sarebbe questa Tova?”
“Una strega con la quale uscivo in pattuglia.”
Ryhana si era accigliata. “In pattuglia?”
Kaleena aveva annuito.
“Da sole?”
“La maggior parte delle volte. Restavamo fuori tutta la notte a guardare le stelle e raccontarci storie paurose. Certe volte era molto divertente.”
“Davvero?”
“Sì.”
Ryhana si era alzata di scatto.
“Dove vai? Non avevamo deciso di stare un po’ insieme?”
“Mi sono ricordata di dover fare una cosa importante” aveva risposto polemica.
Kaleena si era accigliata. “Proprio ora?”
Lei aveva annuito ed era uscita dalla baracca.
“Mantelli grigi” gridò Efren spezzando il filo dei suoi ricordi.
“Quanti?” gridò Yov con voce eccitata.
“Una trentina. Tutti quelli che riesco a vedere. E c’è anche un carro. Vanno molto di fretta. Fareste bene a sgombrare l’ingresso o vi travolgeranno.”
“Dannazione” disse Yov. “Fateli spostare” gridò ai comandanti.
Ryhana osservò in silenzio mentre le due formazioni complete si spostavano di lato creando un passaggio di fronte all’ingresso. Nello stesso momento la terza formazione, quella che si stava ancora radunando, era completa a metà. I comandanti urlavano ordini e promettevano punizioni, ma i soldati si spostavano con indolenza.
I primi cavalieri superarono l’ingresso al galoppo fermandosi dopo una trentina di passi. Ryhana si sporse sperando di riconoscere il volto di Kaleena, ma rimase delusa quando si accorse che erano entrambi uomini.
Altri cavalieri arrivarono a gruppi di tre o quattro ma nessuno di essi era quella che stava cercando lei. Il carro passò qualche istante dopo seguito da una dozzina di cavalieri e, in mezzo a questi, riconobbe il viso di Kaleena.
Era sporco e mostrava tutta la stanchezza, ma era lei.
Ryhana sentì il cuore batterle più forte mentre cercava di farsi strada tra la folla che si era radunata vicino all’ingresso. Yov e gli altri mantelli di alto rango andarono incontro all’ultimo gruppo di cavalieri mentre questi stavano smontando.
Ryhana cercò di avvicinarsi ma venne prima fermata e poi sospinta indietro dalla folla che veniva costretta ad allontanarsi.
“Levatevi di mezzo” gridò una voce. “Levatevi di mezzo dannazione. Non avete niente di meglio da fare?”
Ryhana indietreggiò insieme agli altri e si sollevò sulle punte per guardare oltre le teste. Da quella distanza non riusciva a vedere che cosa stesse accadendo vicino al carro, ma poteva scorgere qualche figura che si muoveva.
Cercò di capire se ne conoscesse qualcuna o almeno quella che le interessava, ma era troppo lontana e rinunciò. Fece un paio di passi indietro e andò a sbattere contro qualcosa alle spalle.
“Attenta” esclamò una voce divertita.
“Scusa” disse d’istinto. Quando alzò la testa riconobbe il viso di Kaleena che le mostrava un largo sorriso.
“Sei il pericolo più grosso che ho corso da mezza Luna a questa parte.”
Ryhana le gettò le braccia al collo e incollò le sue labbra su quelle della strega. Lei reagì stringendola a sé e rispondendo con entusiasmo a quel bacio.
Ryhana trattenne a stento le lacrime quando lei l’allontanò con delicatezza.
“Devo respirare” disse Kaleena imbarazzata. Aveva le guance rosse e gli occhi sgranati.
“Mi sei mancata tanto” disse.
“Anche tu.”
Si scambiarono un secondo abbraccio e un altro bacio, stavolta più veloce.
“Sembri stanca” disse.
“Lo sono” ammise Kaleena. “Non faccio una vera dormita da tre giorni. Non potevamo fermarci o ci avrebbero raggiunti.”
“Vi stanno inseguendo?” le chiese allarmata.
“Adesso non più. Li abbiamo distanziati e poi siamo tornati al campo.”
“Devi raccontarmi tutto” disse.
Kaleena annuì. “Lo farò, ma dopo. Ora devo tornare da Shenav. Ha indetto un consiglio di guerra.”
“Siete appena tornati” si lamentò.
“Lo so, ma la missione non è ancora terminata.”
Ryhana si accigliò.
“Non posso dirti molto, ma rimedierò, te lo prometto. Verrò a trovarti alla capanna appena avrò un momento libero.”
“Ti aspetterò lì.”
Si separarono andando per strade diverse. Kaleena tornò in mezzo alla folla e alla confusione mentre Ryhana si diresse alla capanna. La raggiunse e vi si chiuse dentro, in parte tremante e sollevata.
Kaleena è tornata, si disse. Ed è viva e intera.
Aveva tanto temuto che il gruppo di Shenav tornasse senza di lei. Le avrebbero detto che era morta combattendo o in una imboscata mentre copriva la ritirata dei suoi compagni. Non riusciva a immaginare la morte di Kaleena meno che eroica.
Lei è fatta così, si era detta allora. Morirebbe per proteggere le persone che ama. Per proteggere me. E io morirei per lei?
Rimase seduta sul giaciglio aspettando che Kaleena tornasse. Poteva tornare da Mirok alla tenda dei guaritori, a preparare pozioni per quelli che erano tornati, ma non aveva visto molti feriti tra i cavalieri rientrati con Shenav.
Deve essere davvero abile come dice Kaleena, pensò.
Qualcuno bussò alla porta scuotendola dal torpore. “Entra” disse subito, senza sapere che fosse davvero Kaleena.
Quando la porta si aprì e la sua figura apparve sulla soglia, si sentì sollevata.
“Sono tornata” disse lei sorridendole.
Ryhana balzò in piedi di scatto e la baciò di nuovo. L’avrebbe fatto altre dieci volte ma voleva anche sentire il suo racconto.
Kaleena sedette sul giaciglio accanto a lei, le gambe incrociate. La tunica e il mantello erano sporchi e puzzava anche, ma a Ryhana non importava.
“Siete stati via molto” disse cercando di non farlo sembrare un rimprovero.
“Ci siamo allontanati parecchio” disse. “Almeno centocinquanta miglia da qui, verso occidente e poi a meridione.”
Ryhana si accigliò.
“Nemmeno io so perché siamo dovuti andare così lontano, ma è lì che abbiamo trovato ad attenderci Sanzir con il suo carro e la scorta.”
“Chi è?”
“Un monaco, credo. Solo Shenav ha parlato con lui e per il resto è rimasto sempre nel suo carro. Sembra che non sopporti la luce del sole o qualcosa del genere.”
“Che persona strana. Che ha di tanto importante?”
“Non so nemmeno questo, ma per il comandante lo era e tanto mi basta. Gli abbiamo fatto da scorta verso il campo.”
“Hai detto che vi stavano inseguendo.”
Kaleena annuì. “I malinor. C’era una loro pattuglia che ci ha intercettati.”
Ryhana ebbe un tuffo al cuore.
“Abbiamo dovuto combattere” ammise la strega. “Credo di averne uccisi due. Forse tre.”
Sgranò gli occhi.
Kaleena sorrise eccitata. “Ero fianco a fianco con il comandante. Lui mi aveva scelta come sua scorta personale e quando ha capito che i malinor stavano cercando di fuggire per avvertire i loro alleati, si è lanciato in un inseguimento. Li abbiamo intercettati e uccisi, ma due sono riusciti a scappare lo stesso. Così simo tornati al gruppo principale e siamo tornati l campo più velocemente che potevamo.”
Ryhana respirò solo dopo che lei ebbe finito di parlare.
“Qui che cosa è successo nel frattempo?”
“Non molto” si affrettò a dire. “Efren ha visto delle luci la notte scorsa.”
Kaleena annuì con vigore. “Eravamo noi della scorta di Shenav. Abbiamo messo in fuga dei predoni.”
“Predoni?”
“Una banda di quindici o dodici. Infestano questa regione come insetti pericolosi. Attaccano chiunque, carovane o semplici pellegrini.” Scosse la testa. “Shenav li odia quasi quanto i malinor.” Sbadigliò.
“Sei stanca? Vuoi dormire?”
Lei annuì. “Un po’ di sonno non mi farebbe male, ma divido la tenda con Amira e lei russa forte.”
“Puoi dormire qui” disse subito.
“E Kabira? Non dividi con lei la baracca?”
“Io mi accontenterò di stare in un angolo.”
“Non lo posso permettere” disse Kaleena alzandosi di scatto. “Ma grazie per l’offerta.”
Ryhana guardò la porta delusa. “Ci vedremo appena sarai più riposata?”
Kaleena annuì. “Mi spiace, ma ho proprio bisogno di dormire o crollerò a terra.”
“Sì” disse. “Vai pure. Domani ti mostrerò quello che ho fatto qui mentre non c’eri.”
Kaleena le sorrise. “Voglio proprio vedere. Ma solo per mezza giornata, tutto qui. Ci sarà molto da fare prima della partenza.”
Ryhana si accigliò. “Devi ripartire subito?” chiese preoccupata.
“Non io. Non da sola. Tutti. Shenav vuole trasferire il campo in un luogo più sicuro.”


 

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Capitolo 6
*** Giardino segreto ***


Giardino segreto

Ryhana la prese per la mano e la guidò attraverso la fitta boscaglia. Girarono attorno a un albero sentinella passando sopra le radici nodose che spuntavano dal terreno, le foglie che formavano un letto sotto i loro piedi. A ogni passo un fruscio rivelava la loro presenza ai piccoli animali del sottobosco, come scoiattoli e lepri, che fuggivano nascondendosi nelle tane.
“Fai piano” si lamentò Kaleena.
Ryhana rallentò il passo.
“È ancora lontano?” le chiese.
“No” rispose. “Manca poco.”
“Mancava poco anche un centinaio di passi fa.”
“Adesso mancano cento passi di meno.”
Kaleena ridacchiò. “Se ci allontaniamo ancora dal campo verranno a cercarmi per diserzione.”
Ryhana si fermò all’improvviso e la strega quasi le precipitò addosso per lo slancio che aveva ancora.
“Che succede?” chiese preoccupata.
“Dovrebbe essere qui.”
“Dovrebbe?”
“Avevo segnato il punto su di una corteccia” disse indicando gli alberi.
Kaleena si accigliò. “Quanto tempo fa?”
“Non ricordo, due Lune? Tre? Adesso sembra scomparso.”
“La corteccia sarà ricresciuta.”
“Non lo fa così in fretta” disse con tono di rimprovero. “Scusa.”
Kaleena scrollò le spalle. “Sei che ti intendi di piante che crescono. Se dici che è andata così, io ti credo. Cerchiamo meglio.”
“Ho fatto una croce su uno die tronchi.”
La strega si allontanò di qualche passo per esaminare il tronco di un albero. “Qui niente.”
Ryhana si ne esaminò un altro senza trovare il segno. “Eppure, era qui. Riconosco la radura. E quel masso lì” disse indicando una pietra dalla forma rotonda.
Kaleena esclamò qualcosa.
“L’hai trovato?”
“No. Era solo una lepre. Mi ha spaventata.”
“Andiamo, è solo un animaletto” disse Ryhana. “Hai combattuto contro i mantelli di Malinor. Non può farti davvero paura.”
“Non ho detto che ho paura di un coniglio” disse Kaleena con tono piccato. “Ma mi ha spaventata lo stesso. Tu ci vieni spesso qui da sola?”
“Da quando sei andata via, no” ammise. “Mirok dice che i boschi non sono più tanto sicuri.”
“E ha ragione. Sono pieni di predoni, devi stare attenta.”
“Siamo a due o trecento passi dal campo” disse Ryhana. “Non mi può succedere” si bloccò, gli occhi fissi sopra il tronco di un albero. Proprio in mezzo spiccava uno sfregio marrone. L’aveva inciso lei per segnare il punto. “Eccolo” esclamò. “L’ho trovato.”
Kaleena la raggiunse. “Dove?”
Indicò un punto vicino alle radici. “Proprio lì. Il mio giardino segreto.”
Dove aveva indicato c’era un cespuglio diverso da quelli che crescevano nel bosco. Invece dei soliti fiori rossi e rosa e delle foglie triangolari, questo era punteggiato da boccioli color viola attaccati a steli da cui si dipanava una matassa di foglie dalla forma allungata.
Kaleena si chinò verso la pianta. “È lei?” chiese.
Ryhana annuì.
“È la varietà che stavi coltivando a Oalian prima che levassimo il campo per venire qui?”
Era accaduto sei Lune prima, quando i comandanti avevano deciso di spostare il campo in quella regione. Avevano marciato per quasi una Luna e c’era voluto altro tempo per erigere le baracche e rendere abitabile quel posto.
Ryhana annuì di nuovo.
Kaleena si accovacciò vicino al cespuglio. “È diversa da come la ricordavo.”
“L’ho migliorata” disse con orgoglio. “Adesso è più forte e i colori sono più brillanti.”
“Come ci sei riuscita?”
Scrollò le spalle. “L’ho incrociata con una varietà del meridione. È meno bella ma più forte. La portarono alcuni mercanti che ci fecero visita quando tu eri di pattuglia. Avevano queste piantine e io chiesi qualche seme. Me li diedero senza pretendere niente in cambio.”
“Sei stata davvero brava. Sono impressionata.”
“Grazie” rispose.
“Come la chiamerai?”
Ryhana si accigliò. “Non ho pensato a un nome.”
“Ma deve averne uno. È un nuovo tipo di fiore.”
“Tu cosa suggerisci?”
Kaleena socchiuse gli occhi. “Dovrebbe portar il tuo nome” disse. “O quello di una persona a cui tieni molto.”
Ryhana annuì con vigore. “Giusto. Una persona a cui tengo molto. Fammi pensare. Chi potrebbe essere? Mirok? Kabira? Yov? O forse quel tizio alla mensa che sa fare l’ottimo stufato di verdure che mi piace tanto?”
Kaleena sogghignò. “Idiota” disse.
Ryhana tirò fuori la lingua. “Tu come lo chiameresti?”
La strega scosse la testa. “È il tuo fiore. Devi dargli tu un nome.”
Lei annuì e sedette con la schiena poggiata al tronco.
Kaleena poggiò a terra la sacca a tracolla e ne tirò fuori un fagotto. Quando lo aprì rivelò due pagnotte di pane, del formaggio e due mele.
Ryhana sgranò gli occhi. “Sono mele fresche?”
L’altra annuì e le porse il frutto più grosso e meno ammaccato. “Direttamente dalle scorte che abbiamo preso ai Malinor.”
“Si trattano come principi” disse Ryhana addentando il frutto. Lasciò che il sapore fresco le riempisse la bocca prima di dargli un altro morso.
“Fai piano o ti strozzerai” disse Kaleena divertita. Diede un morso più piccolo e delicato alla sua mela, masticando con calma.
“Non posso” disse Ryhana a bocca piena. “È troppo buono.”
“Lo so. Quando la guerra finirà ne mangeremo parecchi così.”
Ryhana annuì con vigore. “Almeno cinque al giorno. No, dieci.”
“Sì” rispose Kaleena divertita. “E con quali monete le pagherai?”
“Io coltiverò fiori” disse sicura.
“Fiori?”
Annuì. “Fiori. Li venderò a chiunque li voglia per abbellire la propria casa o per una festa. Nel mio villaggio quando si celebrava una nuova unione le case degli sposi venivano decorate con dei fiori.”
“Ma i fiori sono ovunque” disse Kaleena. “Perché qualcuno dovrebbe comprare proprio i tuoi?”
“Perché saranno i più belli” rispose sicura. “La gente pagherà il loro peso in monete per averli.”
“I fiori pesano poco” disse Kaleena divertita. “Dovresti venderne tantissimi per ricavarci qualche moneta.”
“Allora li venderò a ceste. Una per cinque monete.”
“Questo sembra già più sensato.”
Prese un pezzo di formaggio e lo addentò. “Tu” disse masticandolo. “Tu potresti fare da mia inserviente. Raccoglieresti i fiori una volta sbocciati.”
“Davvero?”
Annuì. “Ti pagherei.”
“Sembra interessante. Quanto?”
“Una moneta ogni dieci ceste che riuscirai a riempire con i fiori che coglierai.”
Kaleena si accigliò. “Un momento. Tu venderai ogni cesta per cinque monete, ma vuoi darne a me una ogni dieci ceste che riempirò?”
“Sì.”
“Non mi sembra molto giusto.”
Ryhana finì di masticare il formaggio e prese il pane. “Se il lavoro non ti interessa, posso darlo a qualcun’altra.”
“Non ho detto questo. Solo pensavo che noi due avremmo diviso tutto.”
“L’idea di vendere i fiori è mia” disse con tono sfrontato.
“Vero” fece Kaleena. “Facciamo una moneta per ogni cesta di fiori.”
“Una ogni cinque.”
“Andiamo” protestò Kaleena.
“È la mia ultima offerta.”
“Idiota” fece la strega gettandole addosso un mucchio di foglie.
Ryhana rise mentre si proteggeva con le mani da quella pioggia.
Dopo aver terminato il pasto restarono distese sulle foglie, gli occhi fissi sul cielo che andava rannuvolandosi.
“Tra poco inizierà la stagione delle piogge” disse Kaleena. “Significa che la guerra è iniziata da dieci Lune.”
“È passato poco più di un anno” osservò.
“Un anno fa nemmeno ti conoscevo” disse Kaleena voltandosi verso di lei.
Ryhana stava per dire qualcosa ma il rumore di rami secchi che si spezzavano la fece trasalire. Kaleena balzò in piedi con agilità innaturale trascinandosi dietro le foglie che si erano attaccare al mantello. Nella mano destra aveva qualcosa che luccicava mentre quella sinistra era vuota col palmo aperto rivolto verso l’esterno.
I passi si avvicinarono.
“Chi sei?” chiese Kaleena.
“Sono io” rispose una voce maschile. “Fyal.”
La strega sembrò rilassarsi. Il dardo scomparve e chiuse il palmo della mano.
Ryhana alzò la testa e vide comparire dall’altra parte della radura una figura. Era alta e portava un mantello grigio. Il viso era quello di un ragazzo che poteva avere venti o venticinque anni.
“Mi hai colta di sorpresa” disse Kaleena a disagio.
Fyal la salutò con un gesto vago della mano. “Mi dispiace, non era mia intenzione. Ti stavo cercando.”
“Mi hai trovata.”
“Devi tornare al campo con me.”
Kaleena si accigliò. “È la mia mezza giornata di riposo” disse incerta.
“Il comandante Shenav ha indetto un consiglio di guerra urgente. Vuole tutti i mantelli di altro rango nella sua tenda.”
“Quando?” chiese Kaleena allarmata.
“Hanno già iniziato.”
La strega raccolse la borsa a tracolla. “Devo andare” disse con tono dispiaciuto.
Ryhana annuì e si tirò su. “Vengo con voi.”
Sulla via del ritorno Kaleena li precedette camminando in silenzio mentre Fyal l’affiancò.
“È un piacere conoscerti” disse il ragazzo con tono educato.
“Il piacere è mio” rispose Ryhana.
“Kal mi ha parlato molto di te” disse lui imbarazzato. “Mentre eravamo in esplorazione. Dice che sai coltivare e fare pozioni. E hai una memoria eccezionale. Davvero riesci a ricordare quello che hai visto giorni fa?”
“Non tutto” ammise. “E non sempre. Se faccio uno sforzo posso ricordare molti particolari.”
Fyal sorrise. “È molto bello. Vorrei averlo io un dono come il tuo. Potrei ricordare che faccia avevano i miei genitori.”
“Non te li ricordi?”
“Sono morti quindici anni fa. Allora avevo cinque anni e ho solo qualche ricordo.” Scosse la testa. “Ti invidio davvero.”
Quando arrivarono al campo Kaleena la salutò e si diresse alla tenda. Per esperienza sapeva che i consigli di guerra potevano durare anche mezza giornata, notte compresa.
Decise di andare alla tenda di Anazi e preparare qualche pozione, ma trovò Mirok e gli inservienti che stavano smontando tutto.
“Che succede?” gli chiese allarmata. “Dove state andando?”
“Dove vanno tutti” rispose il ragazzo poggiando a terra una pentola di rame.
Ryhana lo guardò accigliata.
“Non sai niente? Dov’eri?”
“Con Kaleena, poco lontano da qui.”
Mirok annuì grave. “È solo una voce, ma è quasi certo che andremo via. Un’armata di Malinor è stata avvistata nella regione. Non è più sicuro stare qui. Se fossi in te andrei a preparare la sacca da viaggio.”


 

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Capitolo 7
*** In marcia ***


In marcia

Seduta sul fondo del carro, Ryhana distese le gambe intorpidite per il troppo tempo passato in quella posizione. Mirok, seduto in un angolo con la testa appoggiata a un sacco, emise un lamento quando il carro sobbalzò.
Un’altra buca, si disse. O una pietra?
Dopo l’ennesimo sobbalzo aveva smesso di pensarci. Si girò verso l’entrata del carro, un rettangolo di cielo intagliato nelle pareti di legno e si trascinò verso di essa.
Appena mise la testa fuori venne investita da uno scroscio d’acqua.
“Piove?” le chiese Mirok con voce impastata dal sonno.
Ryhana si ritrasse indietro e tornò a sedersi al suo posto.
Mirok sbuffò. “Non smette da almeno tre giorni. Se pioverà ancora sarà un guaio. Il sentiero diventerà un fiume di fango e i carri non potranno avanzare a pieno carico. Saremo costretti a procedere a piedi dopo aver abbandonato quello che non ci serve.”
Ryhana non voleva sentire le sue lamentele. Non voleva sentire niente di niente da quando due giorni prima era stata separata da Kaleena.
I primi tre giorni di viaggio erano stati tranquilli, quasi piacevoli. I soldati erano allegri e per niente preoccupati dal fatto che un’armata di Malinor potesse arrivargli addosso da un momento all’altro.
Possibile che non importi a nessuno? Si era chiesta.
Kaleena era passata a trovarla tutti i giorni. A lei era concesso andare a cavallo e doveva spostarsi spesso tra la testa e la coda della colonna per assicurarsi che nessuno si disperdesse.
“Tutti si fidano del comandante” aveva detto. “E anche io. Ci porterà in salvo come sempre.”
Ryhana avrebbe voluto avere la sua fiducia e invece aveva dovuto fingere di non essere preoccupata. Il secondo giorno era rimasta turbata da uno strano episodio.
Era stato Mirok a riferirgli quello che era successo.
“Stamattina è passato un tizio” aveva detto.
Ryhana si era accigliata. “Lo conosco?”
Il ragazzo aveva scosso la testa. “Grayz mi ha detto che fa parte del gruppo arrivato con l’erudito che Shenav e i suoi sono andati a salvare qualche giorno fa.”
Kaleena gliene aveva parlato prima della partenza.
“Si chiama Sanzir” aveva detto. “E non è un vero erudito, ma un monaco del culto.”
“Un monaco” le aveva fatto eco Ryhana. Aveva visto sacerdoti predicare al seguito della loro armata, ma non sapeva che cosa facesse di preciso un monaco.
“Che ha di particolare?”
Kaleena si era stretta nelle spalle. “Niente. A parte i suoi occhi.”
“Che hanno?”
“Sono bianchi.”
Ryhana cerco di immaginarli ma ogni volta che ci aveva provata ne era rimasta turbata. “Tu lo hi visto di persona? Com’è?”
Kaleena aveva scosso la testa. “Non io. A parte il comandante, l’unico che lo ha visto è stato Dovid. Dice che è completamente cieco, ma è riuscito a riconoscerlo anche se si è avvicinato senza fare rumore. Sembrava molto impressionato.”
“Avrà usato un trucco” aveva risposto con fare superiore.
Kaleena aveva scosso le spalle. “Devo continuare il giro. Verrò a trovarti quando ci fermeremo per mangiare e dormire.”
Quella sera lei e Mirok, insieme a una dozzina di inservienti di Anazi, avevano cenato con carne essiccata e pane raffermo. Ryhana aveva provato a non ripensare al formaggio dolce e alla mela che Kaleena le aveva portato giorni prima. Ogni volta che lo faceva avvertiva una fitta al ventre.
Mirok si era unito a loro quando avevano già iniziato.
“Dove si stato?” gli aveva chiesto.
“Anazi” aveva risposto il ragazzo. “Qualcuno deve pur portargli qualcosa da mangiare o sarebbe capace di farsi morire di fame.”
“Come sta?”
“Male. Il viaggio per lui è scomodo e gli procura grande sofferenza. Se non arriveremo presto al nuovo campo, non so che cosa potrebbe succedergli.”
Ryhana aveva deciso di chiedere a Kaleena quanto mancasse all’arrivo e se sapesse qualcosa. Quando lei l’aveva raggiunta, l’espressione cupa della strega le aveva fatto dimenticare la domanda che voleva farle.
“Divideranno la colonna” aveva annunciato tenendo gli occhi bassi.
Ryhana era rimasta con la carne secca che voleva offrirle stretta nella mano. Per qualche motivo sapeva che lei doveva dirle altro, ma allo stesso tempo non voleva sentirlo.
“Sono stata assegnata all’altra metà” aveva annunciato Kaleena.
Ryhana aveva avuto un tuffo al cuore. “Perché ci dividiamo?”
“Shenav pensa che una pattuglia di Malinor sia sulle nostre tracce. Per prudenza ha deciso di dividere la colonna per marciare più velocemente.”
“Se ci dividiamo non diventeremo più deboli?” aveva obiettato Kariba.
Kaleena si era stretta nelle spalle. “Anche a me sembra un’imprudenza, ma il comandante s quello che fa. Voglio dire, non ha mai sbagliato quando abbiamo affrontato i Malinor le altre volte. E ci siamo trovati in situazioni molto peggiori.”
Ryhana l’aveva guardata preoccupata.
“Non è questo il caso” aveva detto la strega. “Siamo sicuri di poter respingere qualsiasi attacco nemico. Sono a molte miglia di distanza, in una regione che non conoscono e devono seguire le nostre tracce. La pioggia ha reso morbido il terreno cancellando i segni lasciati dai carri. Non ci raggiungeranno mai.”
“Però ci dividiamo” aveva detto Kariba.
“È una mossa prudente” aveva risposto Kaleena. “Dobbiamo fidarci del comandante. Lui sa sempre che cosa è giusto fare e come deve essere fatto.”
Ryhana aveva molte domande da farle, ma lei era stanca e voleva lasciarla risposare.
“Passerò domani per salutarti” le aveva detto prima di andare via.
Si erano abbracciate scambiandosi un bacio veloce che Ryhana avrebbe voluto durasse di più.
La mattina dopo si erano rimessi in marcia e la colonna era stata divisa in due parti uguali. Quella con i carri di Anazi era stata mandata a settentrione, ma quello dell’erudito aveva proseguito sul sentiero diretto a occidente.
Mirok aveva assunto il comando del loro piccolo gruppo di guaritori mentre Kaleena si era presentata per gli ultimi saluti.
“Stai attenta” le aveva raccomandato Ryhana.
“Ci ricongiungeremo al nuovo campo” le aveva detto la strega. “E lì ti aiuterò a creare un nuovo giardino.”
Prima di partire aveva preso dei semi e li aveva infilati nella sua sacca, in un sacchetto che teneva in fondo perché non si perdesse o bagnasse.
Un lamento di Mirok la riportò al presente. Dopo aver sbirciato fuori aveva notato che c’era agitazione nella colonna. Nella mezza giornata successiva smise di piovere e apparve un sole incerto dietro le nuvole grigie. Da oriente spirava un vento pungente che la costrinse ad avvolgersi nella coperta di lana.
Quando le ombre si allungarono la colonna rallentò fino a fermarsi. Ryhana svegliò Mirok.
“Che succede?” chiese il ragazzo.
“Ci siamo fermati.”
Lui si accigliò. “Non è presto? Di solito facciamo la sosta quando è notte alta per sfruttare tutto il sole possibile. Ma fuori è ancora giorno.”
“Non lo so perché ci siamo fermati” disse spazientita. “Ma possiamo scoprirlo.”
Scivolò fuori dal carro atterrando con gli stivali dentro al fango. Un gruppo di cavalieri si stava avvicinando e uno di essi si sbracciava urlando ordini.
“Mettete le briglie a quella bestia” stava dicendo. “Staccate dal carro quel cavallo. Tu, prendi i sacchi di carne secca e caricali tutti su quel carro.”
Kariba osservava la scena in silenzio.
“Che succede?” le chiese.
“Non ne ho idea. Sono arrivati all’improvviso dando ordini a tutti.”
“Chi sono?”
“Fanno parte della scorta di quel monaco.”
“Sanzir?” chiese.
La ragazza annuì.
“Adesso comandando loro?”
Kariba si strinse nelle spalle.
Un cavaliere trottò verso di loro fermandosi a una decina di passi. Smontò con un movimento agile e avanzò con passo indolente.
Nel frattempo Mirok era sceso dal carro e si guardava attorno spaesato.
“Chi comanda qui?” chiese il cavaliere.
Aveva i capelli lunghi e marroni, pieni di sporco e spettinati. Indossava un mantello grigio sbrindellato ai bordi sopra una camicia sudicia e pantaloni scuri.
“Ho chiesto chi comanda qui, dannazione” ringhiò il cavaliere spazientito.
Mirok si fece avanti. “Io” disse esitando. “Anazi ha affidato a me il comando di questi carri.”
“Non più” disse il cavaliere. “Ora sono di Sanzir” aggiunse con tono arrogante.
“Ma sono i carri di Anazi” disse Mirok. “Sono pieni dei suoi reagenti e delle sue pozioni.”
“Non ci senti? Adesso sono di Sanzir.”
“Ma lui non può prenderli.”
Il cavaliere alzò una mano mostrandogli il dardo che brillava al centro del palmo. “Non dire quello che maestro Sanzir può o non può prendere, verme.”
Mirok deglutì a vuoto e fece un passo indietro. “Questo non è regolare.”
Il cavaliere emise una risata rauca che a Ryhana ricordò il latrato di un cane. “Devi fare una lista di tutto quello che contengono i carri e di tutti quelli che sono sotto il tuo comando.”
“Te la farò avere il prima possibile” disse Mirok.
“Io la voglio adesso” gridò il cavaliere.
Mirok corse al carro e prese una pergamena e una matita. Cominciò a scriverci sopra con mano tremante. Il cavaliere lo osservò annoiato per un po’ e poi si rivolse a loro.
“Voi chi siete? Lavorate per Anazi?”
Kariba annuì.
“E tu?”
Ryhana lo fissò accigliata.
“Ho detto a te, ragazzina” disse il cavaliere. “Non ci senti?”
“Le mie orecchie funzionano bene” rispose. “Mi chiamo Ryhana. E tu?”
“Wilgrath” rispose il cavaliere.
“Sei uno stregone?”
“Secondo te questo mantello lo indosso per vantarmi?” le chiese.
Ryhana arrossì. “Fai parte della scorta di Sanzir?”
Wilgrath la fissò accigliato. “Mi stai facendo l’interrogatorio, Relena?”
“Ryhana” lo corresse.
Wilgrath ghignò. “Ti chiamo come mi pare.” Girò la testa verso Mirok. “Hai finito tu con quella dannata lista?”
Il ragazzo annuì e gliela consegnò.
“Hai scritto tutto?”
“Puoi controllare tu stesso” disse Mirok.
“Non so leggere, idiota.” Si guardò attorno. “Torno dopo. Voi non muovetevi di qui, capito?”
Wilgrath rimontò a cavallo e trottò via impettito.
“Idiota” disse Kariba a denti stretti. “Ma chi crede di essere?” Guardò Mirok. “Dovevi farti trattare con più rispetto. Tu sei un guaritore importante qui.”
Il ragazzo scrollò le spalle.
Wilgrath tornò poco dopo, la solita espressione tronfia dipinta sul viso. Si fermò davanti a loro e puntò il braccio verso il carro. “Quello viene con noi” disse. Spostò il braccio verso Mirok. “E anche tu” disse. Il braccio si spostò una seconda volta puntando verso Ryhana. “E anche tu. Tutti gli altri proseguiranno col resto della colonna.”
Ryhana fece un passo avanti. “Perché noi? E dove andiamo?”
“E che ne so io, dannata ragazzina? Ordini di Sanzir. E ti consiglio di ubbidire se non vuoi passare un guaio.”


 

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Capitolo 8
*** Chiedimi scusa ***


Chiedimi scusa

Il carro si arrestò all’improvviso strappandola al dormiveglia. Da quando erano stati separati dal resto della colonna aveva dormito poco e male, alternando momenti in cui non riusciva a chiudere occhio ad altri in cui passava dal sonno alla veglia in continuazione.
“Tutto questo non è regolare” stava dicendo Mirok, le gambe raccolte contro il ventre. “Non è affatto regolare. Per niente.”
Ryhana faticò a mettere a fuoco la sua figura. “Ci devono una spiegazione” disse con voce biascicata.
Mirok sollevò la testa verso di lei. Aveva gli occhi arrossati di chi aveva dormito poco e male.
Anche io devo averli così, si disse. Chissà cosa penserebbe di me Kaleena se mi vedesse in questo momento.
Kaleena.
Da quando si erano separate aveva pensato a lei in quasi tutti i momenti liberi e a volte anche quando svolgeva un compito. E dopo essere stati divisi dalla colonna quel pensiero era diventato ancora più struggente.
Il timore di non rivederla più per molto tempo le attanagliava la mente, rendendole difficile ragionare con lucidità. Non aveva idea di dove fosse in quel momento ed era sicura che anche lei ignorasse dove si trovava.
Se sapesse che siamo stati divisi dalla colonna, si disse per consolarsi, verrebbe a cercarmi di sicuro.
Solo quel pensiero le impediva di gettarsi fuori dal carro e fuggire. Ci aveva riflettuto a lungo e aveva scartato quella possibilità.
Stavano attraversando una regione piena di boschi che non conosceva, seguendo un sentiero appena visibile. Non aveva una mappa della zona e anche se l’avesse avuta, non avrebbe saputo consultarla. Inoltre, pioveva sempre più spesso e con insistenza e aveva iniziato a fare freddo, segno che la stagione delle nevi si stava avvicinando.
Aveva fatto l’inventario di ciò che aveva nella sacca. A parte la coperta di lana e un paio di stivali di ricambio, poteva procurarsi una tunica decente e cibo per cinque o sei giorni di viaggio.
Ma sono a piedi, si era detta. E in questo modo non andrò molto lontana.
La boscaglia era fitta e guardando il sentiero aveva notato burroni profondi che si aprivano all’improvviso.
Di sicuro cadrei di sotto e mi romperei una gamba, si era detta. O l’osso del collo.
Aveva pensato di rubare un cavallo, ma sapeva appena montare in sella. E se lo avesse fatto, di sicuro Wilgrath e la soldataglia che faceva da scorta a Sanzir l’avrebbero inseguita e uccisa come era accaduto al povero Lihem.
Lihem, si disse.
Il ricordo del suo corpo martoriato la tormentava ancora di tanto in tanto.
L’uomo aveva cercato di allontanarsi dopo aver preso un cavallo e una sacca di provviste. Appena si erano accorti del furto Wilgrath e altri tre erano partiti all’inseguimento.
Ryhana si aspettava che lo riportassero indietro e lo punissero con qualche frustata. Era già successo che si verificassero dei furti con la fuga del ladro e Yov li aveva puniti in quel modo quando era riuscito a recuperarli.
Ma non quella volta.
Lihem forse era convinto di essere ancora al campo, ma le cose erano cambiate.
In peggio.
Wilgrath e i suoi erano rimasti fuori per due giorni e quando erano tornati avevano portato con sé il fuggitivo. Legato per le caviglie a uno dei cavalli. L’avevano trascinato per miglia e miglia sul sentiero accidentato.
Ciò che era rimasto di Lihem venne mostrato a tutti quelli che viaggiavano nella piccola colonna e quando ripartirono, il corpo fu abbandonato ai lati del sentiero per sfamare qualche animale di passaggio.
Dopo quell’episodio aveva smesso di pensare alla fuga con un cavallo.
Potrei sempre andare a piedi, si era detta, portando con me solo le mie cose. Viaggerei di notte e dormirei di giorno.
Aveva preso a fare piani di quel genere, ma li aveva scartati per paura che Kaleena tornasse a prenderla.
Se me ne andassi non mi troverebbe, si era detta. E potrebbe non trovarmi mai più in questi boschi sperduti.
Dopo quattro giorni di viaggio avevano fatto una sosta più lunga di mezza giornata per far riposare i cavalli.
“A terra” gridò qualcuno dall’esterno facendola sussultare.
Scambiò un’occhiata perplessa con Mirok.
“Voi dentro al carro” disse la stessa voce di prima. “Uscite subiti di lì o verrò a tirarvi fuori io. E vi assicuro che non sarà affatto piacevole.”
Ryhana si alzò riluttante e saltò giù dal carro, gli stivali che affondavano nel fango. Dietro di lei Mirok si lasciò scivolare a terra grugnendo e sbuffando.
Wilgrath li fissò con sguardo torvo. “Ce ne avete messo del tempo.”
Ryhana gli rivolse un’occhiata dura. “Che vuoi? Stavamo riposando.”
“Non parlarmi con quel tono, serva” disse lo stregone.
Ryhana arrossì per la rabbia.
“Mi devi portare rispetto, hai capito?”
Rimase in silenzio.
“Stupida” disse Wilgrath tra i denti. Si girò di scatto allontanandosi dal carro. “Venite con me. Tutti e due.”
Miro sospirò. “E adesso dove ci porteranno?”
“Non lo so” rispose, ma non si sentiva affatto tranquilla.
Seguirono Wilgrath passando davanti ai dieci carri che formavano la colonna. La metà era piena di casse e sacchi d cui ignorava il contenuto, ma gli ultimi tre erano occupati da gabbie di metallo.
Una dozzina di soldati armati di lancia montava di guardia insieme a due stregoni dall’aspetto trasandato.
Ryhana gettò una rapida occhiata all’interno delle gabbie, ricevendo sguardi pieni di rabbia o rassegnazione dai prigionieri.
Ne contò sei stipati in ogni gabbia. Indossavano vestiti laceri ed erano coperti di sporcizia. Uno aveva un occhio così tumefatto da essere chiuso mentre una donna che poteva avere sui quarant’anni se ne stava aggrappata con le braccia alle sbarre.
“Bella” disse la donna. “Tu, bella, lì.”
Ryhana girò la testa verso di lei. “Dici a me?”
La donna le sputò contro.
Ryhana fece per tirarsi indietro ma degli schizzi di saliva la raggiunsero alla guancia e alla spalla.
La donna rise sguaiata. “Che faccia che hai fatto” disse con voce stridula. Girò la testa verso uno dei prigionieri, un uomo dalla pelle scura e il viso tatuato che giaceva stravaccato sul fondo del carro. “L’hai vista che faccia che ha fatto? L’hai…”
Wilgrath scattò in avanti e la colpì al fianco facendo passare il braccio attraverso le sbarre. La donna sgranò gli occhi e gridò per il dolore e la sorpresa. Crollò in ginocchio, le braccia attorno al ventre e al fianco.
“Mi hai fatto male” si lamentò con tono incredulo.
Wilgrath sorrise. “Così impari a fare la stupida” le disse. Guardò Ryhana. “Regola numero uno. Se questi shlock ti rivolgono la parola, per qualsiasi motivo, ignorali. Hai capito?”
Ryhana annuì.
“Regola numero due. Se ti chiedono qualcosa, qualsiasi cosa, offrendoti in cambio qualunque cosa tu voglia, non accettare. Sono dei bugiardi. Hai capito?”
Ryhana annuì di nuovo.
“Regola numero tre. Per nessun motivo ti devi avvicinare alle sbarre. Un inserviente che era con noi prima di arrivare al vostro campo lo ha fatto e quando gli hanno afferrato il braccio, glielo hanno strappato. Quel poveraccio è morto dopo mezza giornata di atroci sofferenze. Hai capito?”
Ryhana annuì con meno convinzione.
“Che c’è? Non mi credi?” fece Wilgrath con tono irritato. “Janes” esclamò. “Janes, dannazione. Dove sei?”
Uno dei soldati si fece avanti. “Sono qui.”
“Racconta alla nostra amica che cosa è successo al povero Dalit.”
Janes scosse la testa affranto. “Gran brutta storia, quella. Davvero brutta.”
“Dille che cosa gli hanno fatto.”
Janes sembrò esitare.
“Avanti” lo esortò Wilgrath.
“Lo sai che poi mi viene da vomitare quando ci ripenso.”
Wilgrath ghignò. “Dille che cosa fecero al braccio del povero Dalit, Janes.”
Il soldato deglutì a vuoto. “Se lo mangiarono. Quei bastardi lo spolparono fino all’osso. E non erano nemmeno affamati perché dividevamo le nostre razioni con loro, come Sanzir ci aveva ordinato di fare.”
Wilgrath. “Povero Dalit. Povero idiota che non mi è stato a sentire. Tu non fare come lui, hai capito adesso?”
“Sì” disse Ryhana. Guardò Mirok come in cerca d’aiuto, ma il ragazzo stava fissando con occhi sgranati uno dei prigionieri distesi sul fondo del carro.
“Adesso vi spiego quello che dovete fare” disse Wilgrath. “Maestro Sanzir ci ha ordinato di badare a questi dannati topi. Dove stiamo andando non ve lo posso dire, nemmeno io lo so con precisione, ma ci siamo vicini. Diciamo altri tre o quattro giorni di viaggio in questi maledetti boschi e poi arriveremo. Ce ne sono venti in queste gabbie, ma a noi ne dieci. Vuol dire che almeno metà di loro deve arrivare viva a destinazione. Non ce ne servono di più.”
Ryhana lo guardò accigliata.
“Ci direte voi chi ce la può fare e chi no. Io vorrei che sopravvivessero tutti, dico sul serio.” Sottolineò la frase con un ghigno. “Ma so già che qualcuno di questi infami farà di tutto per morire prima dell’arrivo, non fosse altro se non per farmi un dispetto. Dico bene, Garrus?”
“Vai agli inferi, sporco askadiano” gridò un uomo dalla pelle chiara come il latte e i capelli biondo oro. A parte quello, il viso era incrostato di sudiciume e le braccia scheletriche che spuntavano dalla tunica lacera erano coperte di graffi e lividi. “Perché non vieni qui dentro così te lo dico di persona?”
Wilgrath gli rivolse un mezzo sorriso. “Avete capito che cosa dovete fare o ve lo devo spiegare di nuovo?”
“Chi sono queste persone?” chiese Ryhana. “Da dove vengono e perché li tenete in un gabbia?”
“Regola numero quattro. Niente domande sui topi. Per voi sono usciti da una fogna e lì torneranno. Chiaro?”
Ryhana avrebbe voluto rispondergli di no, ma decise che non valeva la pena farlo arrabbiare. “Se uno si ammala che facciamo? Abbiamo poche pozioni.”
“Scegliete quelli che possono sopravvivere” rispose Wilgrath perentorio. “Da questo momento viaggerete col vostro carro insieme a questi, così sarete più vicini.”
Fece per girarsi ma prima gettò un’occhiata a Mirok.
Il ragazzo stava tremando. “Io” disse esitando. “Io voglio parlare con Sanzir. Non dovrei essere qui, ma con il gruppo di Anazi.”
“È stato Anazi a dirci che potevamo prendere voi due” disse Wilgrath.
“Non è possibile” ribatté Mirok.
“Chiedilo a lui quando lo rivedrai.”
“È falso” disse Mirok con voce stridula.
Wilgrath si accigliò. “Mi stai dando del bugiardo?”
Mirok scosse la testa.
“A me sembrava proprio di sì” disse lo stregone marciando minaccioso verso il ragazzo.
Mirok si ritrasse. “Io volevo solo…” iniziò a dire.
Wilgrath lo afferrò per il collo e lo scaraventò a terra.
Mirok annaspò nel fango cercando di rialzarsi ma lo stregone gli afferrò i capelli e spinse in avanti, affondandogli la testa nel liquame. Quando la tirò su il ragazzo boccheggiò alla ricerca di aria.
“Lasciami” lo implorò Mirok.
“Chiedimi scusa” ringhiò Wilgrath.
“Ti chiedo scusa” disse Mirok.
Lo stregone lo lasciò andare. “Datti una pulita e mettiti al lavoro.” Guardò Ryhana. “Anche tu.”
Lei deglutì a vuoto.
In che guaio siamo capitati? Si chiese.


 

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Capitolo 9
*** Atto di compassione ***


Atto di compassione

Diede uno straccio a Mirok e lo osservò mentre si ripuliva il viso e la bocca pieni di fango.
“Ho bevuto quella poltiglia” si lamentò. “Potrei prendere un malanno. Lo sai cosa succede a quelli che bevono acqua contaminata?”
Ryhana scosse la testa.
“Una volta al campo è arrivato un soldato che aveva bevuto da uno stagno. Non si era accorto che non aveva piovuto per due intere Lune e che l’acqua non era cambiata. Dopo due giorni, era stato così male che non era più riuscito a mangiare niente. Anazi ha provato di tutto ma è morto mezza Luna dopo. Ha sofferto molto.” Si fermò. “Soffrirò anche io?” chiese.
Ryhana si strinse nelle spalle.
Mirok sospirò affranto. “Che sta succedendo? Perché Anazi ci ha messi in questo guaio?”
“Tu pensi che sia stato lui?”
“Non lo so. Wilgrath potrebbe anche averci mentito. Forse siamo stati rapiti e ci stanno portando chissà dove. Forse ci uccideranno tutti.”
“Vorrei proprio parlare con quel Sanzir” disse Ryhana.
Mirok la fissò con occhi sgranati. “Perché? Hai sentito Wilgrath, no? Non si può parlare con lui. Vuoi finire anche tu come me?”
“Sanzir non vi dirà niente.”
La voce la fece trasalire. Si era dimenticata dei prigionieri chiusi nei carri e sentirne parlare uno la sorprese. Alzò la testa di scatto e incrociò lo sguardo di un giovane uomo si trent’anni. Il viso era smagrito e segnato dalla stanchezza, con una barba di mezza Luna che sembrava fondersi nei capelli folti e castani. Le braccia che spuntavano dalla tunica sbrindellata erano ancora muscolose, segno che non si trovava da molto tempo dietro le sbarre.
Ryhana lo guardò accigliata.
L’uomo le rivolse un mezzo sorriso. “Ho detto che Sanzir non vi dirà niente. Quel dannato monaco parla poco e fa molto. E quando parla.” Scosse la testa affranto. “Dice solo sciocchezze.”
Ryhana fece per rispondergli ma Mirok le strinse il braccio. Si voltò verso di lui. “Voglio solo parlargli.”
“E se Wilgrath non volesse?”
“Non ci ha proibito di parlare con i prigionieri.”
“Potrebbe essere pericoloso lo stesso.”
“Come?”
Mirok scrollò le spalle. “Non lo so. Tu non avvicinarti alle sbarre se non vuoi perdere il braccio come quel tizio.”
“Starò attenta” disse facendo qualche passo verso il carro. Si fermò a sei o sette passi di distanza. “Come ti chiami?”
L’uomo sorrise. “Almeno sei educata per essere una rinnegata. Mi chiamo Arnik. E tu chi sei?”
“Ryhana.”
“Piacere di conoscerti. Sei una guaritrice?”
“No. Do solo una mano a creare pozioni.”
“È così che si inizia. Almeno è quello che ho sentito dire. Diventerai una guaritrice, se sopravvivrai alla guerra.”
“No” rispose.
Arnik sollevò un sopracciglio. “No? In che senso? Non vuoi sopravvivere alla guerra?”
“Non diventerò una guaritrice” disse. “Voglio coltivare fiori.”
“Una fioraia? Mi stai prendendo in giro?”
Scosse la testa. “Perché ti hanno messo su quel carro? Che cosa hai fatto di male?”
“Niente” rispose Arnik.
Ryhana si accigliò.
“Facevo parte di una carovana di mercanti.”
“Sei un mercante? Che cosa vendi?”
Arnik sorrise. “Niente. Facevo da scorta a un convoglio. Incontrammo dei rinnegati e ci fu uno scontro. Perdemmo e la maggior parte di noi morì, ma io e altri sopravvivemmo. Wilgrath e i suoi ci offrirono di unirci alla ribellione o morire. Alcuni accettarono e altri rifiutarono. E morirono.”
“Tu hai accettato?”
“Direi di no” rispose Arnik.
“Allora perché sei ancora vivo?”
L’uomo sorrise di nuovo e le girò le spalle.
“Aspetta” disse Ryhana facendo un altro passo.
“Sono stanco” rispose Arnik. “Voglio riposare.” Sedette in un angolo lontano dagli altri sei che occupavano lo stesso carro. Tutti lo guardavano con astio, tranne un omaccione dalla pelle scottata dal sole e il naso schiacciato. Lo fissava con sguardo accigliato sussurrando parole che Ryhana non riusciva a udire.
“State viaggiando da molto?” gli chiese.
Arnik chiuse gli occhi e incrociò le braccia sul petto.
Ryhana sospirò a raggiunse Mirok. Un paio di soldati avevano portato lì il loro carro e il guaritore si era messo a rovistare dentro una cassa.
“Che fai?” gli chiese.
“Ci sono almeno due prigionieri che hanno una brutta infezione alle gambe. Se peggiorassero dovremmo amputargliele.”
Ryhana fece una smorfia disgustata. “Dovremmo?”
“Siamo i guaritori qui. E ci dobbiamo occupare dei prigionieri. Non stavi ascoltando quando Wilgrath parlava? Deve sopravvivere almeno la metà.”
“Mirok” disse cercando le parole giuste. “Dobbiamo scoprire che cosa sta succedendo. Dove stiamo andando e perché.”
“A che cosa potrebbe servirci saperlo?” chiese lui senza voltarsi.
“Non vuoi sapere dove siamo diretti?”
“A queste persone non piacciono le domande” disse a voce bassa. “Prima lo impari, meglio sarà per te.”
Ryhana abbassò la testa e si girò.
Se almeno Kaleena fosse qui, si disse. Darebbe una lezione a quel Wilgrath e ci proteggerebbe da quelli dentro le gabbie.
Come aveva detto Mirok, due prigionieri avevano delle ferite gravi che si stavano infettando. Preparò due bende imbevute di olio e le mise in uno sportellino che poi chiuse. In quel modo si aprì all’interno del carro.
“Dovete metterle sulle ferite” spiegò il ragazzo con pazienza. “E tenerle per mezza giornata.”
Uno dei prigionieri prese le due pezze e le premette insieme sulla sua ferita.
“No, no” disse Mirok. “Stai sbagliando tutto. Quella benda serve per l’altro prigioniero.”
L’uomo lo fissò accigliato. “Le ho prese io per primo e me le tengo. Se Yush ne vuole una, deve chiedermela per favore.” Andò a sedere nell’angolo opposto del carro.
Ryhana guardò Yush. Era un uomo calvo e di corporatura minuta. Si chiese che cosa avesse potuto fare di così terribile da meritare di stare in quel carro.
Mirok andò a preparare una nuova benda e quando ebbe finito la infilò nello sportellino.
Il prigioniero di prima la prese e la tenne per sé.
“No” disse il guaritore. “Non devi prenderla.”
“Io prendo quello che mi pare” rispose l’altro tornando al suo posto. “Tanto a Yush non serve.”
Mirok le rivolse un’occhiata supplice.
“Farà così con tutte le bende che metterai lì dentro” disse Arnik.
Ryhana lo vide appoggiarsi alle sbarre e sorridere.
“Marchum è abituato così.”
Marchum, se quello era davvero il suo nome, grugnì qualcosa.
“Yush morirà se non viene curato” disse Mirok.
Arnik fece spallucce. “Ne sono già morti cinque prima che arrivassimo qui.”
“Ma Wilgrath ha detto che…”
“A nessuno di loro importa quello che dice l’askadiano” disse Arnik. “La metà di quelli che vedi vuole vivere e l’altra morire il più in fretta possibile per non prolungare la sofferenza.”
Mirok sospirò e scosse la testa. “Ma se ne moriranno troppi?”
“Questo è un problema tuo.”
Ryhana decise di farsi avanti. “Mirok” disse con tono deciso. “Prepara un’altra benda.”
Il ragazzo allargò le braccia. “Non hai sentito il prigioniero? Marchum se la prenderà di nuovo.”
Ryhana annuì. “A meno che non la prenda qualcun altro.”
Mirok si accigliò.
“Preparala” disse convinta.
“Se vuoi. Ma sarai tu a dargliela.”
Ryhana annuì e si allontanò dal carro. Attese con pazienza che Mirok finisse di preparare la benda e quando gliela porse la soppesò nella mano.
“È tutta tua, ma non sprecarla” le raccomandò il ragazzo.
Ryhana annuì e andò verso il carro, aprì lo sportello e ci poggiò dentro la benda.
Marchum si alzò e con fare indolente si avvicinò allo sportellino dalla sua parte.
Ryhana rimase ferma a osservarlo.
“Allora? Che vuoi fare? Mi stanco a stare in piedi” disse il prigioniero.
“Questa benda non è per te. È per Yush.”
“A lui non serve.”
“Non sei tu a decidere.”
Marchum ghignò. “Se non sei d’accordo, vieni dentro e fammi cambiare idea.”
“Non ho bisogno di venire lì” rispose Ryhana.
“Allora metti quella benda nello sportello o vai agli inferi.”
Ryhana guardò Arnik. L’uomo se ne stava seduto in un angolo, l’espressione divertita ma attenta.
“Tu potresti portargliela” disse rivolta al prigioniero.
Arnik sollevò un sopracciglio. “Perché dovrei?”
“Per pietà” disse. “Yush morirà soffrendo molto se non cura quella ferita.”
Arnik scrollò le spalle.
“Lui non si muove da lì” disse Marchum con tono tronfio. “O gli spezzo il collo.”
Ryhana deglutì a vuoto. “Arnik. Te lo chiedo per favore.”
Arnik sbadigliò. O forse finse di farlo, non ne aveva idea.
“Doppia razione per la cena” disse Ryhana all’improvviso.
Dietro di lei, Mirok disse: “Non puoi farlo.”
“Invece sì.”
“Wilgrath…”
“Capirà. Anche lui vuole che qualche prigioniero sopravviva.” Guardò Arnik. “Doppia razione per cena.”
Il prigioniero fece una smorfia. “Chi me lo garantisce?”
“Io?”
“E dove la prenderai la razione in più?”
“Ti darò la mia” rispose.
Posso resistere stando a digiuno per mezza giornata, si disse. E ho ancora del pane raffermo e del formaggio nascosti in fondo alla mia sacca.
Arnik la fissò perplesso. “Sei piccolina e mangi poco. La tua è una mezza razione per me.”
“È tutto quello che ti posso offrire” replicò.
Arnik si alzò con riluttanza. “Va bene” disse con tono rassegnato. “Marchum, levati di lì.”
Il prigioniero fece un ghigno. “Come vuoi.”
Ryhana lo vide farsi da parte e Arnik avvicinarsi allo sportellino. Chiuse dalla sua parte attivando il meccanismo che lo apriva dall’altra.
Arnik si chinò per raccogliere la benda.
“Ricorda che hai promesso” disse Ryhana.
“Io non ti ho promesso niente” disse l’uomo. “Ma darò questa benda a Yush visto che ci tieni tanto. E poi mi aspetto quella razione in più.”
“Sul mio onore” disse.
“Sì, certo. L’onore.” Arnik prese la benda e la diede a Yush. L’uomo a terra se la passò sulla ferita alla gamba.
“Metà di quella razione è per me” disse Marchum.
“Ovvio” rispose Arnik andando a sedersi al suo posto.
Ryhana si accigliò. Aveva temuto che Marchum si opponesse o tentasse di aggredire Arnik, ma il prigioniero si era fatto da parte senza protestare. Un pensiero prese forma nella sua mente.
“Voi due” esclamò indignata. “Voi due eravate d’accordo. Avete finto per costringermi a farvi dare una razione in più. La mia razione.”
“Non soltanto noi due” rispose Arnik indicando Yush. “Eravamo d’accordo tutti e tre.”


 

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Capitolo 10
*** L'orrore in fondo al pozzo ***


L’orrore in fondo al pozzo

“Sveglia” disse una voce. “Tirati su. Svelta.”
Ryhana aprì gli occhi e incontrò l’espressione preoccupata di Mirok.
“Che succede?” gli chiese.
“Stanno portando i prigionieri di sotto.”
Impiegò qualche istante a ricordare cosa fosse il “sotto” di cui parlava Mirok. “Nella buca?” chiese allarmata.
“Non è una buca” rispose l’altro. “Tu non hai visto dentro. C’è molto di più.”
“Cosa?”
“Meglio che tu non lo sappia.”
Lei però voleva spere. “Dimmelo” lo implorò.
Mirok scosse la testa. “Ho visto delle figure, nell’ombra.”
Deglutì a vuoto. “Mostri?”
Al villaggio a volte gli adulti parlavano di mostri che vivevano nelle grotte o sottoterra, ma erano storie che usavano per spaventare i bambini e dissuaderli dal rischiare di avventurarsi nelle grotte. Ogni tanto ne spariva qualcuno che non veniva mai più ritrovato.
Mirok scosse la testa con vigore. “No, no” disse. “Ho detto figure. Statue, per lo più.”
“Le statue non fanno paura” disse.
“Queste sì.”
Ryhana si accigliò.
Mirok fissò l’oscurità. “La loro forma è strana. Alcune sembrano urlare mentre si contorcono. Ce n’è una che somiglia a una donna che sta partorendo qualcosa di orribile, un mostro con due teste e una coda.” Scosse la testa.
Ryhana lo guardò disgustata. “E sei venuto svegliarmi per raccontarmi queste cose?”
“No” rispose il guaritore. “È il tuo turno. Wilgrath vuole che ci sia sempre uno di noi due vicino all’entrata del santuario.”
Ryhana lo sapeva, ma fino a quel giorno non c’era stato bisogno di applicare quella strana regola. Guardò fuori dal carro. Era buio ma la maggior parte delle stelle erano coperte dalle nuvole. Solo Andivalir, la luna più piccola, era visibile, mentre Takriri, la maggiore, era ancora dietro l’orizzonte.
Si tirò su a fatica. “Ci vado subito” disse.
“Mi spiace” fece Mirok. “Lo so che sei stanca, ma anche io ho bisogno di riposare un po’.”
“Sì, certo” rispose. Saltò giù dal carro e barcollò verso il punto in cui nel terreno si apriva un pozzo scuro che sembrava volerla ingoiarla. Si sentiva attirata da quella oscurità e al tempo stesso cercava di non fissarla troppo a lungo.
Attorno al bordo c’erano tre figure. Una apparteneva a Wilgrath mentre le altre due erano di soldati che marciavano insieme a loro.
Uno di loro stava parlando mentre indicava la buca.
“Sono scesi lì sotto da mezza giornata” stava dicendo. “E ancora non sono tornati.”
Wilgrath scosse la testa. “E allora? Vuoi andare tu di sotto a controllare quello che stano facendo?”
“No, ma Sentil ha detto che ha udito dei discorsi strani.”
Wilgrath lo guardò accigliato.
 Il soldato sembrò guadagnare un po’ di coraggio e aggiunse: “Sen dice che stanno per arrivare al santuario.”
“E lui che ne sa?”
“Lo ha sentito dire da Gullas, dopo che è tornato dal giro di esplorazione oltre il terzo livello.”
“Non c’è niente oltre il terzo” disse Wilgrath.”
“Sen dice il contrario. Dice che Sanzir ha detto a Gullas di non parlarne a nessuno, ma che c’è qualcosa oltre il terzo. Qualcosa di veramente brutto.”
“Se gli è stato detto di non parlarne avrebbe fatto meglio a restare zitto, non ti pare?”
“A Gullas piace bere vino annacquato dopo cena. Ce ne sono ancora un paio di bottiglie che tiene nascoste.”
“Idiota” disse Wilgrath. “Non andartene in giro a dire certe cose, capito?”
Il soldato annuì.
“Se lo fai ti vengo a prendere e ti stacco una mano” lo minacciò.
L’altro deglutì a vuoto.
Wilgrath le rivolse un’occhiata accigliata. “E tu che vuoi?”
“Mirok aveva bisogno di riposare.”
Lo stregone sospirò. “Quel tizio ha sempre bisogno di riposare. Sanzir non doveva farlo venire con noi. È troppo debole per certe cose.”
Ryhana gettò un’occhiata nella buca. “Che cosa c’è lì sotto?”
“Che te ne importa?”
Si strinse nelle spalle. “Sono solo curiosa.”
“Tienila per te la curiosità, ragazzina.”
Gli rivolse un’occhiata accigliata.
“Che c’è? Non ti piace se ti chiamo così? Perché è quello che sei. Una ragazzina idiota.”
Ryhana decise di ignorare le sue offese. “Tu hai paura” disse con tono di sfida.
Wilgrath fece u mezzo sorriso. “Di cosa avrei pura? Di te, forse?”
Ryhana fece un cenno con la testa verso la buca.
“C’è solo polvere lì sotto” disse lo stregone. “E qualche vecchia pietra scalcinata.”
“Tu lei hai viste?”
Lo stregone annuì.
“Anche le statue deformi?”
“Chi te l’ha detto questo?” fece lui con tono sospettoso.
“L’ho sentito dire.”
Wilgrath sospirò. “Sì, è vero, ci sono delle cose strane, ma non più di altre che ho visto succedere nelle ultime Lune.”
“Fammi un esempio.”
“Si parla di giganti che si sono risvegliati, a Mar Qwara” disse il soldato che aveva parlato prima.
“L’ho sentito dire anche io” disse l’altro soldato, più giovane e con un accenno di baffi sul labbro. “Giganti che hanno distrutto una montagna.”
“Che sciocchezze” tagliò corto Wilgrath. “Non dovreste stare a sentire queste cose. Ci fate la figura degli idioti.”
“Ma è vero.”
Lo stregone scosse la testa e indicò la buca. “Quello è solo un fosso nel terreno. Forse è stato scavato da qualche contrabbandiere che cercava un buon nascondiglio per la sua merce. Quello che ci hanno infilato dentro sarà il frutto di qualche vecchia rapina.”
“Senten dice che è il santuario di un mago antico” riprese il soldato.
“Maghi” fece Wilgrath con tono divertito. “Un’altra idiozia da beoni. Magari ci avrà messo dentro anche i nani e gli elfi cattivi che rapiscono i bambini dalle culle per portarli nella foresta, dico bene?” Rise e fece per allontanarsi.
“Dove vai?” gli chiese Ryhana.
“A te che te ne importa?”
“Credevo che saresti rimasto qui. A fare la guardia insieme a noi.”
“Devo dormire anche io” rispose lo stregone. “Verrà qualcun altro che mi sostituirà.”
Lo guardò allontanarsi mentre si dirigeva verso una delle tende montate ai confini della spianata. Quando l’avevano raggiunta, due giorni prima, le era parsa abbastanza accogliente. Sorgeva sul fianco della montagna e da lì poteva osservare le chiome degli alberi discendere fino alla valle tagliata in due da un fiume. Se spingeva lo sguardo più lontano, poteva scorgere le mura grigie di una città.
“Elnor” aveva detto Mirok quando l’aveva vista per la prima volta.
“È molto grande?” gli aveva chiesto.
“Ci vivono ventimila persone” aveva risposto.
“Ci vivevano” aveva detto Wilgrath sopraggiungendo. “Ma dopo che i Malinor si sono presentati alle loro porte, la popolazione si è dimezzata.”
Ryhana l’aveva guardato interdetta.
“Gli elnoriti si sono rifiutati di aprire le porte, così re Alion ha ordinato di prendere la città. I Malinor hanno ucciso metà della popolazione.”
“È orribile” aveva esclamato Mirok.
Wilgrath aveva scrollato le spalle. “I Malinor sono fatti così. Se non possono avere qualcosa, la distruggono.”
Come aveva promesso Wilgrath, il suo sostituto arrivò poco dopo. Era una donna di mezza età, il viso segnato dalla stanchezza e da minuscoli buchi che le attraversavano entrambi gli zigomi.
Si chiamava Fesel o qualcosa del genere, non ne era certa. Nessuno dei mantelli si era presentato a loro, tranne lo stesso Wilgrath che parlava a loro nome e ne aveva il comando.
Per quanto ne sapesse, Wilgrath era secondo solo a Sanzir, anche se c’erano un paio di inservienti che seguivano il monaco senza lasciarlo mai.
Ryhana lo aveva visto una sola volta, dopo che erano arrivati alla spianata. Sanzir era uscito dal suo carro aiutato dai suoi inservienti che lo avevano guidato per mano fino alla buca.
Indossava un saio grigio legato in vita da una corda color rosso stinto. La testa era lucida e il naso aquilino spiccava su di un viso altrimenti piatto e anonimo.
Anonimo a parte per gli occhi.
Ryhana li aveva visti quella volta e aveva sussultato davanti al loro biancore latteo. Lo sguardo di Sanzir aveva vagato per la spianata, come se stesse cercando qualcosa. O qualcuno.
Non si era posato su nessuno di quelli che lo stavano osservando, ma aveva solo fatto un cenno con la testa, come se avesse compreso e identificato con sicurezza tutti quelli che erano presenti. Aveva sussurrato qualcosa all’orecchio di un suo inserviente e questi lo aveva guidato fino alla buca.
“Dannazione” disse Fesel strappandola a quei ricordi. “Dovrei essere a cinquecento miglia da qui, a combattere contro quei maledetti mantelli neri, invece di fare la guardia a un buco.”
I soldati annuirono gravi.
La strega le rivolse un’occhiata di sfida. “Tu non sei d’accordo con me, guaritrice?”
“Io vorrei essere altrove e basta” rispose.
E magari con Kaleena, si disse.
Il fatto che lei non fosse venuta a cercarla la sconvolgeva. Ormai doveva aver capito che le loro strade non si sarebbero ricongiunte tanto in fretta.
Che aspetta a venirmi a prendere? Si chiese.
Non osava dare una risposta a quella domanda perché avrebbe dovuto ammettere che Kaleena non teneva a lei abbastanza da cercarla.
O che forse le era successo qualcosa di brutto che le aveva impedito di tornare da lei.
Quella era la risposta che più temeva. Poteva sopportare di perdere il suo amore, ma non di perderla.
Fesel annuì grave. “Buona risposta. Purtroppo non possiamo. Quello che stiamo facendo qui è davvero importante. Potrebbe cambiare l’esito della guerra.”
“Vinceremo?” le chiese.
La strega si strinse nelle spalle. “Nessuno può dirlo. Non con mezzo milione di malinor e loro alleati che stanno marciando verso la nostra armata. Ma pare che ci siano delle novità.”
Ryhana si accigliò.
Fesel sembrò incerta. “Forse non dovrei parlarvene, ma perché no? In fondo non è un segreto e tra poco lo sapranno tutti. Pare che Persym e Privel siano passati dalla parte di Malag.”
Non conosceva quei nomi. “Chi sono?” chiese. “Persone importanti?”
Fesel ridacchiò. “Mi prendi in giro? Privel faceva parte del consiglio di Taloras e Persym ha guidato l’alleanza di Valonde per qualche Luna.” Scosse la testa. “Pare che abbiano tradito e che re Andew li abbia mandati a Krikor.”
Krikor, pensò Ryhana.
Quel nome lo conosceva. Ogni tanto gli stregoni ne parlavano e anche Kaleena lo aveva nominato qualche volta.
“Ma sono riusciti a tornare in qualche modo” proseguì Fesel. “Incredibile, vero? Eppure, pare che sia successo davvero e che adesso guidino la nostra armata. E hanno portato una nuova arma con loro. Nessuno ne sa niente, è soltanto una voce, ma pare che possa farci vincere questa dannata guerra.”
Ryhana si ritrovò ad assentire. “Se la guerra finisse, noi saremmo liberi, giusto?”
“La speranza è questa, guaritrice.”
Stava per dirle che non era una guaritrice quando la terra tremò sotto i loro piedi. I due soldati vennero scagliati a terra e anche Ryhana cadde in ginocchio.
“Che succede?” gridò Fesel. “Un terremoto proprio ora?”
Un boato lacerò l’aria assordandola. Ryhana coprì le orecchie con le mani per difendersi ma il frastuono era così intenso he si trasmise al suo corpo come una spiacevole vibrazione. Si ritrovò a battere i denti mentre si contorceva al suolo, nella polvere.
I soldati gridarono quando qualcosa di luminoso squarciò il buio della notte. Un bagliore rossiccio esplose dalla buca seguito da un rombo sommesso.
Ryhana cercò di trascinarsi via ma qualcosa l’afferrò e sentì la pressione sull’addome e il petto farsi insopportabile. Gridò per il dolore e l’impotenza mentre veniva schiacciata a terra senza potersi rialzare.
Con la coda dell’occhio vide Fesel rialzarsi a fatica e accennare qualche passo per allontanarsi dalla buca che sembrava in fiamme.
La strega aveva fatto un paio di passi all’indietro quando sgranò gli occhi e guardò inorridita verso la buca. Ryhana seguì il suo sguardo e vide una torre di luce innalzarsi nel buio fino al cielo.
Il frastuono crebbe fino a diventare insopportabile e persino con le mani schiacciate sulle orecchie non riusciva a tenerlo lontano dalla sua testa.
Era come se fosse dentro di lei.
Parte di lei.
Sentì la pelle infiammarsi al tocco della luce che emanava dalla buca, come se fuoco liquido le stesse lambendo la pelle. Terrorizzata, iniziò a urlare e urlare e urlare finché le sue grida non coprirono almeno in parte quel frastuono.


 

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Capitolo 11
*** Resta al sicuro ***


Resta al sicuro

“Prosegui” la esortò Sofesia. La strega era seduta davanti a lei, il corpo proteso in avanti e gli occhi sgranati. “Che cosa è accaduto dopo?”
Ryhana scosse la testa. “Non me lo ricordo” rispose.
Sofesia sembrò contrariata dalla risposta. “Come sei arrivata dentro il santuario se quando tutto è iniziato eri vicino alla buca?”
“Non lo so.”
“E che perché dici di essere stata toccata dal fuoco se non hai segni di ustioni sulla pelle?”
Ryhana scosse la testa.
“E dove sono finiti Sanzir e gli altri che mancano? Ci sono sedici corpi che non abbiamo trovato.”
“Mi dispiace” disse affranta.
“Te l’avevo detto” fece Varkarl divertito. “Che questa qui non ci sarebbe stata di alcun aiuto. Meglio se l’ammazziamo subito come rinnegata e ci mettiamo a cercare quelli che sono scappati.”
Sofesia si alzò di scatto. “Ti ho già spiegato che la porteremo da Ilyana e sarà lei a decidere il suo destino.”
“Ma se iniziamo adesso la caccia” iniziò a dire Varkarl.
“Siamo solo in cinque” rispose la donna. “E quelli sono il triplo di noi.”
“Sono solo rinnegati.”
“Alcuni di loro erano mantelli di alto rango prima che la rivolta iniziasse. Non credo abbiamo scordato come si lancia un incantesimo.”
“A volte sembra che sia tu ad averlo dimenticato” rispose Varkarl con aria di sfida.
Sofesia lo fronteggiò a muso duro. “Prova a ripeterlo.”
Varkarl non indietreggiò. “Non sei adatta a questo comando. Spettava a me e lo sai bene.”
“Ilyana non era d’accordo.”
“Ilyana a volte ragiona col cuore invece che con la testa, come quando ha risparmiato la vita a Gladia invece di farla ammazzare subito.”
“Taci” l’ammonì Sofesia.
Varkarl le rispose con un mezzo sorriso. “Di che hai paura? Che parli male della tua amica?”
“Sentite” disse Grenn. “Siamo tutti stanchi e nervosi. Perché non dormiamo e domani ci rimettiamo in marcia? Questo posto mi piace sempre di meno e non voglio restare vicino al santuario di un mago più del necessario.”
Varkarl diede le spalle a Sofesia e andò a sedere su una pietra fuori dal cerchio eretto attorno al focolare.
Sofesia sembrò rilassarsi e disse: “Domani ci rimetteremo in marcia” annunciò. “Inutile restare qui più a lungo.”
A Ryhana venne assegnata una tenda e le fu concessa una coperta di lana in cui avvolgersi. Grenn sedette vicino all’ingresso.
“Non scapperò” disse. “Non saprei dove andare.”
“Lo so” rispose lo stregone. “Ma non sono qui per sorvegliare te, ma per proteggerti.”
Ryhana si accigliò.
“Sofesia non si fida completamente di Varkarl” disse a bassa voce Grenn. “E nemmeno io, se devo essere sincero.”
Ryhana deglutì a vuoto. “Io non gli ho fatto niente.”
“Stavi con i rinnegati. Per lui è sufficiente. Ora dormi. Domani sarà una giornata dura.”
Ryhana annuì ed entrò nella tenda. Cercò subito un angolo dove sistemarsi e usò una borsa abbandonata come cuscino. Distesa sul terreno morbido, faticò a scivolare nel sonno.
Kaleena, pensò prima di addormentarsi.
Aveva tanto desiderato che venisse a prenderla, ma adesso non ne era più tanto sicura.
Se puoi sentirmi, si disse, non venire a cercarmi. Resta al sicuro.

Khefra trottava al suo fianco, l’espressione annoiata. Sofesia doveva averle dato l’incarico di sorvegliarla per far riposare un poco Grenn. Lo stregone aveva gli occhi arrossati e stanchi, ma l’espressione era lo stesso vigile e stava in sella con la schiena dritta, come se fosse di vedetta. Sofesia cavalcava in testa affiancata da Varkarl mentre Hargart chiudeva la fila.
Ryhana aveva provato a concentrarsi sul sentiero, ma dopo mezza giornata passata in sella a vedere alberi sfilare ai lati, sentiva il bisogno di scambiare due parole con qualcuno.
“Tu hai visto il santuario?” chiese a Khefra.
La strega la guardò accigliata. “Sono scesa nella buca come te.”
“Io non ricordo di essere scesa” disse. “Mirok mi ha parlato di strane statue.”
Khefra scrollò le spalle. “A volte ci sono, altre no.”
“A volte?”
La strega annuì. “Non in tutti i santuari, solo alcuni.”
“Ne esistono altri?”
“Ce ne sono decine in questa regione. I rinnegati li usano come rifugi pensando di essere al sicuro. Finché non arriviamo noi a snidarli come topi.” Sorrise come ricordando qualcosa di piacevole.
Ryhana fissò di nuovo il sentiero.
Grenn la raggiunse e scambiò un cenno d’intesa con Khefra. “La tengo d’occhio io per un po’.”
La strega scrollò le spalle e si staccò raggiungendo Hargart in coda al gruppo.
Ryhana si rilassò un poco. Trovava più gradevole la compagni di Grenn che di tutti gli altri. Non piacevole, ma almeno riusciva a sopportare l’idea di essere una prigioniera quando era lo stregone a sorvegliarla.
“Dove stiamo andando?”
Grenn guardò altrove.
“Non me lo puoi dire o non vuoi dirmelo?”
Lui scosse la testa. “Sarebbe meglio se non lo sapessi. Nel caso in cui i rinnegati dovessero attaccarci e ti prendessero.”
“Giusto” disse. “Potrei fare la spia.”
“Sarebbe comprensibile. Tu stai dalla loro parte.”
Annuì. “Che cosa mi faranno?”
Grenn si accigliò. “Questo solo Ilyana potrà stabilirlo.”
“Chi è?”
“La comandante dei vigilanti in questa parte di continente.”
Ryhana sospirò. “Vigilanti. Ho sentito parlare di voi.”
“Posso immaginarlo. Non siamo molto amati dai rinnegati, visto che diamo loro la caccia e li uccidiamo. La guerra ha aiutato molti di loro a trovare rifugio, ma ogni tanto ne scoviamo qualcuno che pensa di poterci sfuggire lo stesso.” Scosse la testa.
“Una mia amica” stava per dire Kaleena ma ci ripensò. “Dice che date la caccia solo a streghe e stregoni.”
Grenn abbassò e alzò la testa. “È vero, ma a volte dobbiamo prima trovare chi fornisce loro aiuto e rifugio e si tratta per la maggior parte di persone comuni, senza poteri.”
“E cosa fate a loro?” gli chiese.
“Decidiamo caso per caso, non abbiamo una regola precisa.”
“Li ammazziamo come topi” disse Varkarl sopraggiungendo. “Ed è quello che faremo con te, rinnegata.”
Ryhana evitò di incrociare il suo sguardo per non provocarlo.
“Smettila” disse Grenn. “Ryhana sta collaborando. Ilyana ne terrà conto quando si tratterà di prendere una decisione.”
Varkarl ghignò. “Raccontarci un mucchio di bugie non è collaborare.”
“Ho detto la verità” disse Ryhana con veemenza.
“Vedremo” disse Varkarl. “Sofesia ha trovato delle tracce che portano a Elnor. Pare che almeno uno dei rinnegati sopravvissuti si stia dirigendo lì. E ci andremo anche noi.”
“Non dovevamo andare a Nelnis per incontrare Ilyana?” fece Grenn perplesso.
Varkarl ghignò di nuovo. “Sofesia ha cambiato idea.” Guardò Ryhana. “Spera che non sia un viaggio inutile o per te le cose si metteranno male.”
Vanno già male, si disse, ma preferì restare in silenzio.
Varkarl proseguì verso il fondo del gruppo lasciandoli soli.
“Non ascoltarlo” disse Grenn. “Sarà Ilyana a decidere.”
“Tu la conosci?” gli chiese.
“È una brava persona e ha aiutato molti a ricominciare, quando ha capito che erano davvero pentiti di ciò che avevano fatto.”
Ryhana si accigliò. “E quelli che non si pentono?”
“Ci sono anche quelli, sì” disse Grenn. “Ma sono davvero pochi. Ilyana sa essere molto convincente.”
Ryhana si limitò ad annuire.
Giunsero a Elnor dopo un’altra mezza giornata di marcia e una breve pausa per far riposare i cavalli. Le mura grigie della città spiccavano contro il cielo che si andava arrossando per il tramonto. L’ingresso era chiuso da una grata di metallo che si alzò mentre si avvicinavano.
Una dozzina di soldati con scudi dipinti di nero li attesero vicino al cancello. Sofesia e Varkarl andarono da loro e scambiarono qualche parola, poi tornarono con espressione perplessa.
“Ci accordano il permesso di restare in città il tempo necessario per le nostre indagini” disse Sofesia rivolgendosi agli altri. “Ma nessuno di loro ha raccolto qualche sopravvissuto. Siamo i primi a giungere qui in mezza Luna.”
Oltre il cancello di ingresso si apriva un cortile di cento passi di lato, con case di due o tre livelli che si allargavano a raggiera tutto intorno. Non sembrava esserci alcuno schema nel modo in cui i palazzi erano stati costruiti, se non quello di sfruttare tutto lo spazio a disposizione.
Ryhana era stata in due città più grandi prima di quella, ma vi era rimasta molto poco e quasi sempre accampata fuori dalle mura, insieme all’armata.
In sei Lune passate a viaggiare per la regione, non aveva mai dormito in un vero letto ma si era dovuta accontentare di un giaciglio polveroso, quando non della coperta di lana che adesso era perduta chissà dove.
Sospirò mentre attraversavano la città.
Sofesia e Varkarl parlarono per tutto il tragitto mentre Grenn rimase in silenzio, l’espressione torva dipinta sul volto. Ryhana notò che osservava i resti inceneriti delle abitazioni e scuoteva la testa.
“Metà della città è stata bruciata” disse mentre superavano ciò che rimaneva di una bella villa circondata da un giardino. Il fuoco aveva consumato sia l’edificio che le piante, ma qualche arbusto ingiallito aveva trovato la forza di spuntare dalla cenere, come se avesse atteso le piogge di quel periodo per rifiorire. “E l’altra metà cade a pezzi.”
“E non ne sei contento?” gli chiese Varkarl raggiungendoli. “Sembra quasi che ti dispiaccia.”
“Mi chiedo quanto potremo andare avanti in questo modo” rispose Grenn.
“Continueremo finché la guerra non sarà vinta e il rinnegato cacciato via per sempre.”
“E quante città dovranno essere bruciate per riuscirci?”
“Tutte quelle che serviranno” disse Varkarl. “A meno che tu non abbia il potere di ammazzare subito Malag. In quel caso la guerra finirebbe quel giorno stesso.”
“Se lo avessi me ne libererei subito.”
Lo stregone lo guardò interdetto.
Grenn scosse la testa. “Nessuno dovrebbe avere un potere così grande.”
“Sciocchezze” disse Varkarl. “Se io avessi la possibilità di eliminare Malag e la sua orda, non esiterei un istante. Sarebbe una benedizione per tutto il mondo conosciuto.”
Grenn si strinse nelle spalle.
Proseguirono fino ad arrivare davanti a un edificio di tre livelli. Davanti all’ingresso, un’insegna traballante aveva dei segni incisi a fuoco.
Ryhana strizzò gli occhi cercando di riconoscere le lettere, ma non ci riuscì. Per lei erano solo dei segni confusi che sembravano cambiare ogni volta che li fissava troppo a lungo.
“Dice Locanda del Pesce Morto” disse Grenn.
Ryhana annuì. “Grazie” rispose.
Lui la guardò perplesso. “Non devi vergognarti se non sai leggere. Nemmeno io ero capace fino a nove anni. Potresti imparare. Abbiamo un erudito a Nelnis che…”
“No” rispose secca. “Sarebbe inutile.”
Lui si accigliò.
“Non sono capace” aggiunse con tono più calmo.
“Che posto schifoso” disse Hargart con espressione disgustata. “Dovevamo proprio venire qui?”
“Ci è stato suggerito dai soldati all’ingresso” disse Sofesia.
“Non c’era un’altra locanda?” chiese lo stregone.
“Sono state tutte distrutte nell’attacco dei malinor” disse la strega con espressione cupa.
“Vieni” la esortò Grenn.
Ryhana ubbidì e fece per smontare. Appena messo piede a terra avvertì una fitta alla testa e tutto divenne buio.


 

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Capitolo 12
*** Trovami ***


Trovami

Kaleena le rivolse un ampio sorriso mentre l’aiutava a scalare il muro a secco. Le porse una mano e lei l’afferrò con gioia.
“Su, dai. Ancora uno sforzo. Manca poco.”
Ryhana respirò a fondo e si guardò attorno. C’era voluta mezza giornata di cammino per arrivare a quel muretto, sul fianco della collina, ma ce l’avevano fatta.
Da lì potevano dominare la valle sottostante, coperta di campi coltivati separati da sentieri di terra battuta. Quasi a ogni angolo sorgeva un casolare o una fattoria e ogni due o tre miglia si intravedeva un gruppetto di case più grande. Spostando lo sguardo verso oriente, poteva cogliere uno scorcio del campo che si erano lasciate alle spalle la mattina quando erano partite per quella escursione.
“È lontano” disse meravigliata.
Kaleena, lo sguardo perso sull’orizzonte, annuì facendo ondeggiare i bei capelli neri e ondulati. Dopo averli dovuti tagliare a causa di una epidemia di pidocchi scoppiata mezza Luna prima, stavano iniziando a ricrescere.
Tra poco potrò di nuovo passarle le dita tra i capelli, si disse deliziata.
Le piaceva molto assaporarne la morbidezza sotto i polpastrelli.
“Quanto ci metteremo a tornare?” le chiese. “Sarà buio quando torneremo al campo. Si arrabbieranno con noi.”
Kaleena scrollò le spalle. “Abbiamo un permesso fino a domani mattina. Fino ad allora nessuno baderà a noi. Tranne forse Mirok. Ti fa lavorare tanto?”
“Preparare pozioni non è faticoso” disse.
A volte lo trovava noioso e quando doveva chiedere agli altri inservienti di leggere per lei qualche etichetta lo trovava fastidioso a causa dei loro sguardi meravigliati e a volte seccati.
“È un buon lavoro” aggiunse. “E posso rendermi utile.”
Kaleena annuì seria e tirò fuori dalla borsa a tracolla un fagotto avvolto in un panno. “Ti portato un regalo.”
Il cuore di Ryhana accelerò di un battito. “Un regalo? Per me?”
“Sì, ovvio” rispose l’altra porgendole il fagotto.
Ryhana esitò. “Che cos’è?”
“Aprilo” la esortò Kaleena.
Prese il fagotto e lo soppesò nelle mani. “È leggero” disse.
“Sembri delusa.”
“No, no” si affrettò a dire.
“Allora aprilo, che aspetti?”
Ryhana afferrò un lembo del panno e lo tirò via con decisione. Uno sbuffo di luce fredda e azzurra le ferì gli occhi. Sorpresa, scostò l’altro lembo scoprendo un oggetto a forma di freccia dalla punta arrotondata. Poteva stare nel palmo della sua mano e sembrava fatto di un materiale traslucido.
“Che cos’è?” domandò meravigliata a Kaleena.
“È la chiave” rispose la ragazza.
Ryhana la guardò accigliata. “La chiave?”
“Pe rivederci di nuovo” disse Kaleena.
Ryhana sbatté le palpebre per la meraviglia. La luce sembrava essere diminuita all’improvviso, come se una nuvola avesse oscurato il sole.
“Di che cosa parli?” le chiese.
“Della rosa e del sole a nove punte, sciocca” rispose lei sorridente. “Trovali e ci rivedremo. Ma non farmi attendere troppo a lungo.”
La figura della ragazza ondeggiò, come se fosse fatta di aria e fumo.
“Kaleena?” fece con tono spaventato. “Che succede? Dove stai andando?”
“Trovami” disse la ragazza prima di sparire. “Trovami.”
“Kaleena” esclamò.

Barcollò per un paio di passi prima di trovare la briglia del cavallo e stringerla. Per un attimo rimase in bilico sulle punte degli stivali, pronta a cadere in avanti. Il mondo, che un attimo prima le girava attorno, stava rallentando permettendole di riprendere il controllo.
Una mano le afferrò il braccio.
“Stai bene?”
Girò la testa verso Grenn. “Sì” disse con un filo di voce. “Adesso sì.”
Lui la guardò con aria perplessa. “Sembravi sul punto di cadere a terra.”
Fece uno sforzo per raddrizzarsi. “Mi girava la testa e ho inciampato. Che sbadata” disse con un leggero sorriso.
Grenn annuì. “Deve essere stata la lunga cavalcata. Non ti sei ancora ripresa del tutto.”
“Sto bene” disse liberandosi della sua presa. “Posso camminare da sola.”
Varkarl e Sofesia si erano già avviati verso l’ingresso del Pesce Morto mentre Hargart e Khefra stavano legando i cavalli a un palo fuori dalla locanda.
“Questo posto non ha nemmeno una stalla dove mettere i cavalli” si stava lamentando Hargart.
“Vuol dire che dovremo fare la guardia affinché non ce li rubino” disse Khefra.
“Odio fare la guardia alle bestie” si lamentò Hargart. “Se avessi voluto fare questo lavoro, sarei rimasto al mio villaggio invece di andare via.”
“Sei andato via perché sei nato con il dono” lo ammonì la ragazza. “E il dono è prezioso e non deve essere sprecato.”
“Sì, sì” disse il ragazzo con tono seccato. “Questo lo so anche io.” Diede un ultimo strattone alla corda per assicurare il cavallo. “A chi tocca il primo turno di guardia?”
Khefra sorriso irriverente. “Al più giovane, è ovvio.” Marciò verso l’ingresso con fare impettito.
Hargart sbuffò di nuovo. “Lasciate qualcosa anche per me.”
“Vieni” disse Grenn.
Ryhana lo seguì con passo incerto. Temeva ancora che il buio l’avvolgesse come prima.
Senza un appiglio a cui reggermi potrei cadere a terra, si disse. E farmi male.
Non riusciva a spiegarsi che cosa le era accaduto.
Era un ricordo? Si chiese. O un’apparizione?
Non ricordava di aver mai scalato una collina insieme a Kaleena, ma poteva anche essere accaduto e poi averlo dimenticato come le era successo per l’incidente del santuario.
Scosse la testa.
Devo pensare a qualcos’altro, si disse. Devo distrarmi o impazzirò.
“Hargart” disse mentre varcava la soglia della locanda. “Non sembra molto contento.”
Grenn abbozzò un mezzo sorriso mentre teneva la porta aperta per farla entrare.
“Lui non è mai contento di niente e si lamenta di tutto, ma è il più intelligente di noi. Sa fare di conto velocemente, sa scrivere in maniera più che decente e conosce almeno dieci dialetti del continente.”
“Sono tutte cose che io non saprei mai fare.”
“Solo perché hai deciso di non esserne capace” disse lui, ma non sembrava volerla rimproverare.
“No, no” si affrettò a dire. “Sarebbe inutile anche cercare di imparare. Non sono in grado di riconoscere i numeri o le lettere.”
Grenn si accigliò.
“Mi sembrano solo linee e punti confusi” spiegò meglio.
“Non è la prima volta che ne sento parlare.”
Ryhana sgranò gli occhi. “Conosci un’altra persona come me?” gli chiese.
“Non proprio. C’era una persona, nel quartiere dove sono nato e cresciuto, che non aveva mai imparato a leggere e scrivere e non sapeva fare di conto. Ma a differenza tua aveva anche difficoltà a parlare e certi giorni si comportava in maniera strana.”
“Era violento?” chiese sorpresa.
Grenn scosse la testa con vigore. “No, no, era la persona più mite che conoscessi. Solo che a volte restava per mezza giornata a fissare un muro vuoto. Lui diceva di vederci delle ombre che si muovevano, che gli raccontavano una storia. Ovviamente le vedeva solo lui. Tutti lo credevano un po’ folle, ma non c’era davvero niente di cui aver paura. Tu però sei diversa. Non fissi le mura pensando che ti raccontino delle storie, no?”
Ryhana scosse la testa.
“No” disse.
Ma ho appena avuto una visione, pensò. In cui sono stata con una persona che non vedo da giorni in un posto dove non sono mai stata prima d’ora.
“Si chiamava Fech” proseguì Grenn con espressione seria. “Le poche volte che si esprimeva in maniera comprensibile raccontava le sue strane storie. Qualcuno cercò di insegnargli a leggere e scrivere, ma Fech diceva di non riuscire a capire quei simboli. Potevi insegnargli a tracciare le lettere e parole intere, ma dopo qualche giorno le dimenticava.” Scosse la testa. “Quando devi scrivere o leggere una lettera come fai?”
“Mi faccio aiutare da chi sa farlo” rispose.
Mirok le aveva letto qualche lettera inviatale da Kaleena e aveva scritto un pio di volte in risposta, ma si era sentita infastidita dal fatto che il ragazzo conosceva quelle cose e aveva le aveva chiesto di smettere.
Kaleena aveva accettato, anche se era sembrata delusa.
“Suridos” tuonò una voce. “Adesso fai entrare anche i topi nella tua locanda?”
Ryhana girò la testa di scatto verso il punto da cui proveniva la voce. Un uomo sui trent’anni si era alzato in piedi e li fissava con disprezzo.
“Abbassa la voce, Chorluk” rispose un uomo da dietro un bancone di legno.
La locanda era una sala sostenuta da travi di legno che spuntavano dal pavimento di pietra. Attorno a ogni trave era stato sistemato un tavolo da cui sembrava spuntare dal centro esatto. Ognuno aveva quattro o cinque sedie con cuscini imbottiti.
In quel momento metà dei tavoli erano occupati e pochi sguardi erano rivolti verso di loro, ma altre teste si stavano alzando e ogni volta che accadeva, gli occhi prima si sgranavano e poi diventavano due fessure sottili.
Mentre l’uomo dietro al bancone parlavano, altri due si alzarono in piedi.
“Cos’è questa storia?” fece Chorluk.
“Ti ho detto di abbassare la voce.”
Varkarl e Sofesia avevano quasi raggiunto il bancone quando un ragazzo si alzò e sputò tra i piedi dello stregone.
Questi si fermò e fissò il ragazzo.
Sofesia gli sussurrò qualcosa e lui si limitò ad annuire.
“Riprovaci e ti ammazzo” disse Varkarl.
Il ragazzo sputò di nuovo, ma stavolta lontano dagli stivali dello stregone.
“Sporco mantello nero” disse. “Che vuoi da qui? Non vi basta avere distrutto mezza città? Volete bruciare anche il resto?”
Varkarl sorrise e proseguì insieme a Sofesia.
“Vieni” disse Grenn sottovoce.
“Che succede?” chiese Ryhana.
“Non siamo i benvenuti qui” disse lo stregone.
Questo l’ho capito da sola, pensò Ryhana.
“Perché ce l’hanno con Varkarl?”
“È per via del suo mantello” rispose Grenn.
Sofesia e lo stregone si erano fermati davanti al bancone.
“Che volete?”
“Tu sei Suridos?” chiese Sofesia.
L’uomo dietro al bancone annuì grave.
“Ci servono due stanze.”
“Per quanto tempo?”
“Due notti almeno.”
Suridos annuì. “Venti monete. Anticipate.”
“È un prezzo alto” disse Varkarl. “Per questa topaia.”
“Allora vai a dormire da un’altra parte, mantello nero.”
“Non ci sono altre locande aperte in città” rispose lo stregone.
“Perché voi bastardi di Malinor le avete bruciate tutte” disse Chorluk con veemenza.
Varkarl si girò di scatto verso l’uomo. “Se erano tutte come queste, dovreste ringraziarci.”
Chorluk fece per prendere il boccale che aveva davanti a sé poggiato sul tavolo e lo alzò. Ryhana colse appena lo scintillio di qualcosa che fendeva l’aria e colpiva il braccio alzato dell’uomo, passandolo da parte a parte.
Chorluk lasciò la presa sul boccale e gridò tenendosi il braccio.
“Stai dietro di me” disse Grenn spostandola di lato. “Tra poco dovremo combattere.”


 

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Capitolo 13
*** Qualcuno da maledire ***


Qualcuno da maledire

Tutti quelli che erano seduti balzarono in piedi. Uno degli avventori più anziani lo fece così in fretta che perse l’equilibrio e finì a terra trascinandosi dietro la sedia e il piatto da dove stava mangiando una zuppa color ocra.
Ryhana indietreggiò di un passo mentre Grenn balzava davanti a lei e alzava la mano destra. Davanti a questa l’aria si increspò come l’acqua di un lago colpita da un sasso.
Ryhana poteva vedere le onde che si formavano nell’aria e si irradiavano tutto intorno alla figura dello stregone. Aveva già visto quell’incantesimo. Era stata Kaleena a mostrarglielo, insieme a tutti quelli che sapeva lanciare.
Scudo magico, di disse. È così che lo chiamano.
Nella sua mente affiorò il ricordo di Kaleena che lo evocava davanti a sé e poi la invitava a colpirla con un pugno.
“No” si era opposta. “Non voglio farti male.”
“Non accadrà.”
“Ma” aveva iniziato a protestare.
“Non mi succederà niente. Fidati.”
Ryhana aveva sospirato e poi aveva alzato il braccio per distenderlo in avanti col pugno chiuso. Kaleena aveva intercettato il colpo con lo scudo. Una forza aveva arrestato il braccio con delicatezza ma anche fermezza.
Per un attimo le era sembrato di affondare la mano in un pezzo di formaggio fuso o nell’imbottitura di un cuscino. Aveva avvertito un formicolio alla mano e al polso e poi al braccio. Non era fastidioso ma era sicura che sarebbe diventato spiacevole se avesse insistito.
“È strano” aveva detto facendo leva sulle gambe. “Non riesco ad andare oltre.”
“Se tu avessi il potere, forse ci riusciresti” aveva detto Kaleena divertita. “Ma se insistessi, potresti farti male davvero. Una volta Groger, uno dei soldati, ha sferrato un calcio a Nelana. Lei per difendersi ha evocato lo scudo un attimo prima e lui si è fratturato la caviglia.” Aveva scosso la testa con disappunto.
Chorluk era crollato in ginocchio, il braccio che perdeva sangue. Stava urlando ma nessuno lo aiutava. Tutti guardavano Varkarl e il suo braccio ancora teso in avanti e l’espressione divertita.
“Qualcun altro vuole aggredirci?” chiese rivolgendosi a quelli che si trovavano nella locanda.
Sofesia si voltò verso Suridos. “L’hai visto anche tu. Quel tizio ha cercato di aggredirci. Dovrei chiamare le guardie e farlo arrestare.”
Suridos la fissò accigliato.
“Forse si limiterebbero a portare via quel pezzente, ma potrebbero anche decidere di chiudere questo posto perché pieno di ribelli.”
“Noi siamo fedeli alleati di Malinor” disse l’uomo senza mutare espressione.
“Sono lieta di sentirtelo dire, ma noi non serviamo re Alion e la sua corte.”
“Il tuo amico indossa il mantello nero.”
Sofesia annuì. “Non tutti i mantelli neri servono lo stesso padrone.”
“Che volete?”
“Due stanze” disse la strega. “E la tua parola che verremo lasciati in pace. Ti darò anche qualche moneta in più e mi occuperò di far ricucire il braccio a quell’idiota, a patto che la smetta di urlarci contro e di cercare di tirarci addosso il tuo vino annacquato.”
Suridos annuì. “E se rifiutassi?”
“Tireremo giù questa fogna a colpi di sfere infuocate, te lo posso garantire.”
L’uomo sembrò rifletterci sopra. “Fanno dieci monete. Più cinque per ricucire Chorluk.”
Sofesia prese un borsello di pelle da una tasca del mantello e lo aprì. Ne prese una manciata di monete e le fece tintinnare sopra al bancone.
“Sono venti” disse Suridos.
“Cinque per uno stalliere di tua fiducia che si occupi dei nostri cavalli.”
L’uomo annuì e raccolse le monete.

“Almeno non dovrò fare la guardia” disse Hargart entrando nella sua stanza.
“Non ringraziarmi troppo” disse Varkarl alle sue spalle.
“Dividiamo la stanza?” gli chiese.
Lo stregone di Malinor annuì. “La mia punizione per aver salvato tutti.”
“Grazie per averci salvato da un tiratore di vino” disse Khefra con tono sarcastico.
La stanza era più ampia della baracca che aveva condiviso per quasi una luna con Kariba. Aveva tre veri letti e un armadio, più due bauli e persino un tavolo con due sedie.
“Io prendo il giaciglio sotto la finestra” disse Khefra gettando a terra la sua sacca. “Se a te non dispiace” aggiunse rivolta a Sofesia.
La strega rispose con un’alzata di spalle. “Io prenderò quello vicino alla porta e la nostra amica quello sotto il muro.”
Ryhana trovò il suo letto comodo. Era imbottito con vere piume e le lenzuola profumavano di pulito.
“Controlla che non ci siano le cimici” le suggerì Khefra. “Io le odio.”
“Nemmeno a me piacciono” disse Sofesia togliendosi la tunica dopo il mantello. Li lasciò cadere entrambi a terra per poi massaggiarsi le spalle. “Controlla anche il mio, di letto.”
“Controllatelo da sola” rispose la strega più giovane.
Sofesia le gettò un’occhiataccia. “Vuoi che te lo ordini?”
Khefra sbuffò e andò verso il letto di Sofesia.
Ryhana tolse gli stivali e li poggiò vicino al muro prima di levare la tunica sudicia e piegarla.
“Buttala via quella” disse Sofesia. Dalla sua sacca prese un fagotto e glielo porse.
Ryhana esitò. “Che cos’è?”
“Un regalo. Prendilo, su.”
Come nel sogno, si disse. Solo che era Kaleena a farmi un dono.
Prese il fagotto e lo soppesò. “È leggero.”
Sofesia sorrise. “Ti terrà al caldo. Per un po’.”
Aprì il fagotto e al suo interno scoprì una tunica color limone.
“Non è un granché” disse Sofesia. “E forse ti andrà un po’ larga, ma almeno non puzzerai troppo e sembrerai una persona decente.”
“Che cosa ha di strano la mia tunica?” le chiese mentre indossava quella nuova.”
“A parte urlare a tutti che sei una rinnegata?”
Ryhana serrò le labbra.
“Ascolta” disse Sofesia. “Dove stiamo andando i rinnegati non sono ben visti. Non lo sono da nessuna parte del mondo che li combatte, ma a Nelnis ancor meno. Il mio compito è portarti intera da Ilyana affinché lei possa vederti e parlarti.”
“E poi?”
Sofesia la guardò interdetta.
“Che cosa succede dopo che ho parlato con la tua amica?”
Khefra ridacchiò.
“Non è esattamente una mia amica” disse Sofesia sulla difensiva. “Ilyana è più una guida, oltre che la nostra comandante. Però non so che cosa deciderà di fare con te. Potrebbe lasciarti andare o giustiziarti. E tutto quello che c’è in mezzo.”
Ryhana deglutì a fatica.
“Che non ti venga in mente di scappare” disse Khefra sedendo sul suo letto come una bambina. “O dovremo darti la caccia per ucciderti. Come per quel tizio, te lo ricordi?”
Sofesia annuì. “Ruthor” disse.
“Chi era?” chiese Ryhana.
“Un idiota” rispose Khefra. “Che commerciava incantesimi sigillati. Noi lo scoprimmo e lo catturammo. Volevamo sapere dove si trovasse il suo nascondiglio e lui ce lo disse, offrendosi di accompagnarci. Sembrava un tipo che collaborava e invece.” Scosse la testa. “Alla terza notte di viaggio tentò di fuggire. Si allontanò per due miglia prima che Grenn e Varkarl lo trovassero. Quando li raggiungemmo, di lui non era rimasto molto. Lo aveva fatto a pezzi.”
Ryhana fece una smorfia. “Varkarl ha fatto questo? Poteva catturarlo.”
“Non Varkarl” disse Khefra divertita. “Fu Grenn a farlo a pezzi. Non sembra ma ha una forza tremenda quando usa i suoi incantesimi di trasmutazione. Le sue mani diventano come tenaglie di ferro e possono stritolare qualsiasi cosa.”
Sofesia annuì con foga. “Ruthor era un infame e meritava di morire in maniera anche peggiore, ma quello che gli toccò fu altrettanto terribile.”
Ryhana tentò di non pensare al corpo del povero Ruthor fatto a pezzi. E soprattutto cercò di scacciare dalla sua mente l’immagine del suo corpo ridotto in mille pezzi.
Grenn mi ha afferrata un paio di volte, si disse. Avrebbe potuto uccidermi facilmente, se lo avesse voluto. Chi sono queste persone? Dove mi stanno portando davvero? E cosa mi farà la donna di cui parlano se non sarà soddisfatta di me?
“Non male questo letto” disse Sofesia sedendo sul bordo. “Davvero morbido. Non mi sarei mai aspettata di trovarne uno così in una locanda di quart’ordine come questa. Si vede che per Suridos gli affari vanno bene, dopotutto.”
“Dopotutto?” fece Ryhana.
Sofesia annuì. “Dopo quello che è successo a questa città.”
Ricordava che Mirok le aveva accennato qualcosa quando avevano raggiunto la spianata.
“Quegli uomini sembravano avercela con voi” disse.
“Non con noi” disse Khefra. “Ma con Varkarl.”
“Cosa gli ha fatto?”
“A quei tizi? Niente.”
“Non capisco.”
“I Malinor hanno distrutto mezza città” spiegò Sofesia. “Una loro armata chiedeva rifugio per svernare e loro hanno chiuso le porte o qualcosa del genere. Così i mantelli neri hanno assaltato le mura e ammazzato quelli che trovavano davanti a loro.”
“È terribile” disse Ryhana.
“È la guerra” rispose la donna. “Strano che tu ti senta così inorridita. Di massacri devi averne visti parecchi mentre servivi i rinnegati.”
Ryhana non sapeva dire se era una domanda o un’accusa ma decise lo stesso di essere prudente. “Al campo ci limitavamo a cucinare, servire i pasti o preparare delle pozioni.”
“Interessante” disse Sofesia. “Continua.”
“Non ho mai visto una battaglia vera. Ho visto i feriti tornare e alcuni morire.”
“Non ti dicevano delle stragi ad Halvak o della fortezza data alle fiamme a Golnul con mille profughi all’interno?”
Scosse la testa.
Kaleena non le aveva mai accennato a quelle cose. Dai suoi racconti capiva che aveva visto cose terribili di cui non voleva parlare né ricordare e lei non aveva mai insistito troppo per saperne di più.
Forse avrei dovuto farle qualche domanda, anche dolorosa, si disse. Forse mi avrebbe aiutata in una situazione come quella in cui mi trovo, ma come potevo immaginare?
Sofesia sospirò. “Sei fortunata a non aver visto e sentito niente, allora. E nemmeno ad aver ascoltato i pochi che sono scampati. Ne abbiamo trovati parecchi e tutti maledicevano i rinnegati, Malag e la ribellione.”
“Come hanno maledetto Varkarl?” chiese.
Sofesia la fissò in silenzio. “Tutti hanno motivo di maledire qualcuno in una guerra.”
“Io ne ho abbastanza dei vostri discorsi” disse Khefra. “Se non vi spiace vorrei dormire un poco.”
“Farò io il primo turno di guardia” disse Sofesia. “Poi toccherà a te, intesi?”
Khefra rispose con un grugnito.
“Tu prova a dormire” disse la donna rivolta a lei.
“Posso farti una domanda?”
Sofesia annuì. “Puoi, ma non so se ti risponderò.”
“Perché siamo venuti qui? Pensavo che mi avreste portata da Ilyana.”
“Ci andremo dopo aver trovato qualche altro sopravvissuto. Devono essere qui attorno, non possono essere scomparsi o volati via. Due giorni in più non faranno molta differenza per la nostra comandante.”
“E se non trovassimo nessun altro sopravvissuto?”
“Andremo da Ilyana e le racconteremo tutto. Certo, non sarà contenta di scoprire che le abbiamo portato una sola sopravvissuta. Credo che si arrabbierà parecchio con noi. E con te.”
Ryhana deglutì a vuoto.
“A meno che tu non ci dica dove sono andati gli altri.”
“Non lo so. Non me lo ricordo.”
Sofesia scrollò le spalle. “Allora spera che Ilyana non sia di cattivo umore il giorno in cui la incontrerai.”


 

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Capitolo 14
*** Un modo per sopravvivere ***


Un modo per sopravvivere

Quando si alzò dal letto, la stanza era vuota. Ci mise qualche istante a ricordare dove si trovava e perché era lì. Sospirò affranta e infilò gli stivali con cautela. Andò alla porta e l’aprì.
Grenn era in attesa con le braccia incrociate sul petto e la testa abbassata, la schiena appoggiata contro il muro di fronte. Le rivolse un’occhiata perplessa.
“Stavo per entrare io. Temevo fossi scappata passando dalla finestra.”
“Io” disse incerta. “Non voglio scappare.”
Anche se non ci ho pensato davvero, si disse. Ma anche se mi fossi calata dalla finestra, dove sarei andata? Non conosco questa città e nemmeno i dintorni.
“Bene” disse Grenn. “Sono contento di sentirtelo dire perché dovrei darti io la caccia. Sofesia ti ha affidata a me finché saranno via.”
“Dove sono gli altri?”
“Partiti prima dell’alba. Per una missione.”
“Dove?” chiese
“È meglio che tu non lo sappia. Posso solo dirti che hanno avvistato qualcuno nei boschi qui attorno.”
“Chi?”
“Questo potresti dircelo tu. Il rinnegato ha aggredito i soldati di pattuglia ferendone uno e poi è scappato. Sofesia pensa si tratti di uno degli stregoni che erano con te. Forse quel Wilgrath o la donna di nome Fesel.”
“Perché hanno lasciato te qui?”
“Preferivi stare con Hargart? O Khefra?”
Scosse la testa.
“Dovrai accontentarti di me, temo.”
Ryhana cercò di dire qualcosa di gentile, ma non le venne in mente niente. “Ho fame” disse invece.
“Vediamo se di sotto è rimasto qualcosa.”

Un garzone dal viso smunto e l’espressione infelice le portò un vassoio pieno di brodaglia fumante e una crosta di pane. Ryhana lo ringraziò con un cenno della testa.
Il ragazzo rispose con un’alzata di spalle e si allontanò.
Il sole già alto illuminava i tavoli e le sedie vuote della locanda.
“Avete fatto scappare vi tutti” stava dicendo Suridos mentre passava lo straccio sul bancone. “Che l’Unico vi maledica tutti.”
“Misura le parole” disse Grenn. “Per favore.”
L’uomo sputò a terra e riprese a passare lo straccio.
“Idiota” disse Grenn girandosi verso di lei.
Ryhana bagnò il pane nella zuppa e diede un morso assaporandone la consistenza molle.
“Hai ricordato altro di quello che è successo al santuario?” le chiese.
Scosse la testa.
“Ne sei sicura?”
“Sì” disse cercando di non mostrare il fastidio che provava.
“Forse c’è qualcosa che non vuoi ricordare?”
“Ti giuro che…”
“Non giurare” disse lui alzando una mano. “Ti credo.”
Continuò a inzuppare il pane finché non rimase che un po’ di zuppa sul fondo della scodella. Bevve anche quella e la mise sul tavolo.
“Vuoi altro?” le chiese Grenn.
Ryhana scosse la testa.
“Pensaci bene. Potresti non mangiare altro fino a domani mattina.”
Lei si accigliò.
“Se conosco bene Sofesia, vorrà mettersi subito in marcia quando sarà tornata dalla battuta di caccia.”
“Sono piena” disse. “Al campo mangiavamo poco e solo quando ne avevamo la possibilità.”
Grenn annuì. “Come ti trattavano?”
“Bene.”
“Ti hanno rapita? O sono stati i tuoi genitori a venderti ai rinnegati?”
“No” rispose esasperata. “I miei genitori sono morti e io ho deciso di lasciare il villaggio.”
“Perché? Hai commesso qualche crimine? Hai ucciso qualcuno o rubato?”
Scosse la testa. “Mi credi una ladra e assassina?”
“Quello che credo io è irrilevante” disse Grenn. “Ciò che conta è quello che penserà di te Ilyana quando la incontrerai.”
“Cosa dovrebbe pensare?”
“Che stavi con i rinnegati senza un valido motivo.”
Il suo tono non era cambiato ma a Ryhana sembrò che la stesse accusando.
“Se avevi un motivo, ti conviene dirlo subito” proseguì Grenn.
Ryhana chiuse gli occhi e cercò di scacciare quel ricordo, ma più tentava più questo si affacciava alla sua memoria. Quando li riaprì, Grenn la stava fissando interdetto.
“C’era una donna al villaggio” disse cercando le parole giuste. “Voleva la mia casa per qualche motivo che sapeva solo lei. Disse che mi avrebbe uccisa se non fossi andata via.”
“E tu che cosa hai fatto? L’hai denunciata?”
“A chi avrei dovuto denunciarla? La guarnigione era partita non appena si era diffusa la notizia dell’arrivo dell’armata di Malag e insieme a loro erano partiti i nobili. Non sapevo a chi rivolgermi per avere protezione.”
“Così ti sei rivolta alle persone sbagliate.”
“I rinnegati mi hanno protetta” disse con veemenza.
Grenn annuì. “Questa singola frase potrebbe costarti la vita, se la pronunciassi davanti alle persone sbagliate.”
“Che cosa dovrei dire secondo te?”
“Racconta che sei scappata dal villaggio e che non sapevi dove andare. Hai cercato di raggiungere un luogo sicuro, ma ti hanno catturata insieme ad altri. Hai cercato di fuggire, ma eri sola e ti hanno costretta a servirli minacciando di uccidere i tuoi cari.”
“Sono morti.”
“Nessuno andrà mai a indagare se lo sono davvero” rispose Grenn.
“Mi stai suggerendo di mentire?”
“Ti sto suggerendo un modo per sopravvivere, Ryhana.”
“Perché dovrei fidarmi di te? Per quanto ne so mi stai dicendo queste cose per farmi accusare da Ilyana.”
“Pensala come vuoi” disse lui alzandosi di scatto. “Adesso dobbiamo andare.”
“Dove?” chiese lei allarmata.
“Andiamo a trovare un amico.”

Chorluk era seduto sulle scale che portavano al tempio dell’Unico, il braccio destro fasciato e l’espressione da cane bastonato dipinta sul viso.
Appena li vide arrivare scattò in piedi. “E voi che volete ancora da me?” chiese con tono alterato.
Grenn alzò le mani come in segno di resa. “Calma” disse. “Siamo solo venuti a vedere come stavi.”
Chorluk lo guardò accigliato. “Che ti importa di come sto?”
Grenn indicò il braccio. “Il guaritore ha fatto un buon lavoro?”
“Credo di sì” disse Chorluk meno agitato di prima. “Male non mi fa.”
“La ferita si è infettata?”
“No.”
“Il guaritore che tipo è? Uno bravo?”
“È il migliore in città” rispose l’uomo.
Grenn sembrò sollevato.
“Anche perché è l’unico rimasto in vita.”
Lo stregone annuì serio. “Mi spiace per l’incidente alla locanda.”
“Ti spiace?” fece Chorluk sorpreso.
Grenn annuì di nuovo. “Non doveva succedere.”
Chorluk fece un mezzo sorriso. “È quello che dico anche io. Volevo solo offrire da bere al tuo amico mantello nero e lui invece mi ha colpito a tradimento.”
“Non è mio amico” disse Grenn.
“Viaggi con lui.”
“A volte si viaggia con le persone che non ci piacciono.”
“Va bene” disse Chorluk dopo qualche istante di silenzio. “Le scuse me le hai fatte e il mio braccio sta bene. Che altro vuoi?”
Grenn si strinse nelle spalle e guardò l’entrata del tempio. Era di forma rozza e squadrata, con un solo ingresso che dava sulla sala interna. “Sei devoto all’Unico. È una buona cosa.”
“Io non la chiamerei devozione. Vengo qui perché la mia casa è distrutta, come metà di questo posto.”
“Mi spiace. Potete ricostruire, giusto?”
“Ci vorrà tempo e io non ho un posto dove andare a dormire. Ero andato alla locanda sperando di trovare un buco a un buon prezzo, ma quel bastardo del locandiere ha alzato i prezzi. Anche perché è l’unico ancora aperto e può fare quello che gli pare.”
“Non è giusto” disse Ryhana.
Chorluk la guardò sorpreso. “Parli pure, ragazzina?”
Lei arrossì.
“Chi è? Una vostra ancella?”
Grenn scosse la testa. “La stiamo scortando in un luogo sicuro.”
“È una persona importante allora” disse l’uomo.
“Non immagini quanto.”
“Dovete stare attenti. Fuori dalle mura è pieno di rinnegati.”
“Anche dentro” rispose Grenn.
“No, quelli sono arrivati e ripartiti con i mantelli neri.”
Lo stregone ghignò. “Attento a quello che dici o la prossima volta ci rimetterai la testa e non un braccio.”

Ryhana seguì Grenn in silenzio, godendosi la tranquillità di Elnor e delle sue strade. Le poche persone che incontrarono procedettero a testa bassa senza rivolgere loro un saluto o uno sguardo.
“Non sembrano felici di vederci” disse Grenn pensoso. “Nemmeno io lo sarei spendo quello che hanno combinato i Malinor.”
Ryhana pensò a una risposta da dargli ma decise di restare in silenzio.
Lui sembrò intuire qualcosa.
“Puoi parlare, se hai qualcosa da dire.”
Scosse la testa.
“Sei di poche parole. Piacerai a Ilyana. Lei apprezza molto questa qualità.”
Quell’argomento le interessava più di quello che i malinor avevano fatto alla città. “Ilyana è la vostra comandante.”
Grenn annuì.
“Ma voi per chi combattete? Siete con l’armata dei Malinor?”
“No.”
“Allora fate parte dell’alleanza?”
Ryhana ne aveva sentito parlare da Kaleena e da altri veterani che erano passati per il campo. La guerra non era iniziata lì, ma sull’altro continente. L’orda aveva sferrato un attacco da oriente e da occidente cercando di chiudere in una tenaglia i regni che si trovavano al centro, ma dopo intere Lune di battaglie l’attacco era stato respinto e Malag si era rifugiato nel continente antico, dove aveva proseguito la lotta.
Ryhana pensava che fosse una sconfitta, ma Kaleena e altri invece erano certi che si trattasse di una strategia pensata in anticipo.
“Malag ha solo fatto assaggiare loro la nostra forza” diceva Kaleena con tono convinto. “Ma è qui, su questa terra, dove tutto è iniziato e dove si trovano i regni più forti come Malinor, Chazar, Askad e Nergathel, che la guerra verrà decisa. Se abbattiamo loro, Valonde e gli altri li seguiranno.”
Ryhana avrebbe voluto avere la sua stessa sicurezza, ma non riusciva a pensarla allo stesso modo.
“Nessuna alleanza” rispose Grenn.
“Non capisco.”
“Noi Vigilanti non ci schieriamo mai” disse lo stregone. “Combattiamo quelli che violano le regole della stregoneria, per chiunque combattano, non importa.”
“Sanzir ha violato qualche regola?”
“È successo qualcosa in quel santuario” disse Grenn serio. “E noi dobbiamo scoprire cosa.”
Ryhana stava per dire che erano solo entrati in un vecchio buco pieno di statue orribili, quando sentì il suo corpo fremere e il cuore batterle così forte da sembrare sul punto di esploderle nel petto.
Grenn dovette notare qualcosa nel suo sguardo perché si protese verso di lei. “Che ti succede? Stai male?”
Balbettò qualcosa prima che una forza la trascinasse verso il basso facendole battere la testa sul selciato.


 

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Capitolo 15
*** Fiamme ***


Fiamme

“Respira” disse la voce ovattata di Grenn. “Ora ti passa.”
No, si disse. Non mi passerà affatto. Morirò qui, in questa città distrutta, senza sapere che cosa mi è accaduto davvero quel giorno al santuario, quando ho avuto la pessima idea di seguire Fesel dentro quel buco.
La consapevolezza di aver recuperato quel ricordo le fece sgranare gli occhi. Grenn la tirò su con facilità, come se pesasse quanto una bambina con la metà dei suoi anni e non fosse una donna quasi fatta.
“Ce la fai a restare in piedi?” le chiese.
Ryhana annuì.
“Sicura?”
“Sì” disse con voce impastata.
Grenn la lasciò andare e lei sentì fluttuare come se galleggiasse nel mare. Con uno sforzo di volontà indurì i muscoli delle gambe per reggersi su di esse e dominò l’istinto si aggrapparsi allo stregone.
“Non andare di fretta” le disse lui. “Prenditi il tuo tempo.”
“Che mi succede?” gli chiese.
“Credevo che me lo dicessi tu” rispose. “Ti era mai successo prima d’ora?”
“No.”
“Deve avere a che fare con l’incidente del santuario. Il colpo alla testa deve essere stato più pesante di quanto pensassimo.” Assunse un’espressione preoccupata. “A volte, ci sono ferite all’interno del corpo che non vediamo ma che un guaritore può scoprire e curare.”
“Che genere di ferite?” chiese allarmata. “È grave?”
“Non so. Finché un guaritore non ti darà un’occhiata, non lo sapremo mai. Dovrei portarti dallo stesso che ha curato Chorluk.”
“E se non riuscisse a curarmi?”
“Ne troveremo un altro nella prossima città. Vieni.”
Tornarono alla locanda ma prima di arrivarvi una coppia di soldati andò loro incontro.
“E adesso?” fece Grenn. “Che altro sta succedendo?”
“Sei tu il vigilante di nome Grenn?” gli chiese uno dei due.
Lui annuì. “Sono io.”
“Ho un messaggio da parte di Sofesia per te. Devi andare subito all’ingresso principale. E portare con te la prigioniera.”
Grenn esitò. “Te la senti?” le chiese.
Ryhana annuì. “Tanto non mi lasceresti qui da sola, giusto?”
“Giusto” ammise lui.
“E Sofesia ti ha ordinato di portare anche me.”
“Vero.” Guardò i soldati. “Vi seguiamo.”
Marciarono a passo sostenuto per le stradine di Enlor, passando davanti a edifici ridotti a scheletri carbonizzati e ad altri che non sembravano essere stati toccati dalla devastazione. Le finestre erano chiuse come le porte, ma non sprangate.
Ryhana riusciva persino a immaginare che vi fosse qualcuno dietro di esse, magari un padre e una madre preoccupati per i loro figli e che osservavano intimoriti quei soldati che percorrevano la strada con aria minacciosa.
Forse hanno anche paura di me, si disse. Mentre sono io che ho paura di quello che potrebbe succedermi.
Davanti all’ingresso erano radunate almeno due dozzine di soldati, alcuni dei quali vestivano con armature pesanti che scintillavano sotto i raggi del sole. C’erano anche due o tre mantelli neri che non aveva mai visto e quello di Varkarl.
Riconobbe subito Sofesia e Khefra, mentre Hargart era defilato rispetto agli altri e osservava annoiato la scena che si svolgeva al centro della piazza.
Qui i soldati avevano formato un mezzo cerchio con le lance puntate verso il centro, dove due figure erano in ginocchio. Una era grossa e massiccia mentre l’altra era più minuta e con la testa china.
Quella più grossa stava dicendo qualcosa. Avvicinandosi, Ryhana riuscì a cogliere parte di una frase.
“È stato quello lì” stava urlando sguaiato. “È stato quello lì. Chiediglielo a lui quello che è successo.”
L’altra figura alzò la testa e si guardò attorno con aria spaurita, gli occhi rossi e infossati.
Ryhana impiegò qualche istante per riconoscerlo.
“È Mirok” esclamò avvicinandosi.
Grenn le posò la mano sul braccio. “No” disse. “Stai lontana. È più prudente.”
Varkarl osservava i due con lo sguardo di un lupo affamato che stava scegliendo la preda sulla quale gettarsi per prima.
Fu Sofesia ad andare loro incontro.
“Dove li hai trovati?” le chiese Grenn.
“Nel bosco a dieci miglia dalla città” rispose la donna scuotendo la testa. “E pensare che ci siamo passati vicini. Se non fosse stato per i soldati che li hanno avvistati, sarebbero spariti.”
“Quello piccolo si chiama Mirok” disse Grenn indicandolo.
“Lo sappiamo già” disse Sofesia. “Non ha smesso un attimo di dire il suo nome mentre lo portavamo qui. A parte una volta.” Assunse un’aria perplessa. “Eravamo a un paio di miglia di distanza quando ha chiuso gli occhi ed è quasi caduto dal cavallo. Khefra lo ha afferrato al volo o si sarebbe rotto l’osso del collo.”
“È un errore” stava urlando Mirok. “Io non ho fatto niente, ve lo giuro.”
Varkarl si piazzò davanti a lui. “Stai zitto” disse con tono perentorio.
“Io” iniziò a dire Mirok.
Varkarl gli sferrò un calcio al petto così forte da scagliarlo all’indietro.
Mirok atterrò sulla schiena emettendo un gemito.
“Ti avevo avvertito” disse lo stregone con aria soddisfatta.
Girò le spalle al ragazzo e si diresse verso di loro.
“Che hai da guardare tu?” chiese a Ryhana con tono tronfio.
Lei lo fissò accigliata. “Mirok è solo un guaritore” disse rivolta a Grenn. “Come me.”
Lo stregone annuì grave. “Ti ho detto che avremmo giudicato caso per caso. Il tuo amico andava in giro con un pericoloso ricercato, a quanto pare.”
“Marchum” disse Sofesia. “Faceva parte di una banda di razziatori. Di solito non ci occupiamo di simili soggetti, ma penso che dovremo fare un’eccezione.”
“Che ne facciamo di loro?” chiese Grenn.
“Li portiamo a Ilyana. Sono certa che li vorrà interrogare.”
Dal centro della piazza giunse un gorgoglio sommesso. Ryhana girò la testa verso il punto da cui veniva il lamento e vide Mirok contorcersi a terra come se fosse in preda alle convulsioni.
“Sta male” disse allarmata.
Grenn si accigliò. “Forse è ferito. O malato.”
Il ragazzo arcuò la schiena in una posizione impossibile. Ryhana era sicura che se la fosse spezzata in due ma un istante dopo tornò ad allungarsi e contorcersi gemendo.
Anche Sofesia adesso lo fissava interdetta. “Ha qualche malattia? Perché se ne ha una potrebbe contagiarci tutti.”
“Quel bastardo sta fingendo” disse Varkarl. “Se mi permetti di dargli un altro paio di calci, vedrai che lo farò smettere.”
“Un altro tuo calcio potrebbe spezzargli il collo” disse la strega. “E a noi serve vivo per ottenere qualche informazione su quello che stava facendo Sanzir nel santuario.”
Mirok urlò facendola sussultare. Non c’era niente di umano in quel lamento che le aveva ferito i timpani. Sembrava il richiamo di un animale ferito. O che si preparava a sferrare un attacco.
“Lo faccio stare zitto?” chiese Varkarl.
Sofesia stava per rispondergli qualcosa quando un bagliore si accese vicino a Mirok rischiarando la piazza. Un lampo di luce intenso le ferì gli occhi e vide una colonna di fuoco alzarsi dal guaritore e avvolgersi attorno a uno dei soldati.
L’uomo mollò la lancia e urlò mentre il fuoco gli consumava la carne. Gli altri soldati si scansarono inorriditi da quella visione.
“Per l’Unico” esclamò qualcuno.
Ryhana cercò Grenn e lo trovò che fissava stupito il corpo di Mirok. Un lago di fiamme liquide si espandeva a partire dal guaritore come se le stesse generando in qualche modo.
“Dei” urlò un soldato mentre veniva raggiunto dalle fiamme. Danzarono attorno a lui prima di afferrargli le gambe con dita infuocate che risalirono fino al tronco e poi lo avvolsero del tutto.
Il soldato urlò cose incomprensibili mentre roteava per il cortile come una trottola appena lanciata da un bambino. Ryhana guardò dall’altra parte e colse lo sguardo dagli occhi sgranati di Khefra e quello disgustato di Hargart. Entrambi avevano evocato lo scudo magico.
Il viso di Grenn era rischiarato dalle fiamme, gli occhi rapiti da quello spettacolo.
“Aiutateli” gridò Sofesia. “Spegnete quelle dannate fiamme.”
Due soldati si mossero in direzione dell’ultimo che era stato colpito allungando le mani verso di lui. Nello stesso momento dal lago di fuoco che si allargava dal corpo di Mirok si alzò una colonna di fiamme intrecciate tra di loro.
Ryhana alzò la testa seguendone il movimento, come un animale affascinato dalle spire di un serpente e ignaro che quello spettacolo era stato messo in scena per distrarlo mentre il predatore lo divorava.
La colonna torreggiò sopra di loro, una massa informe di fuoco che sembrava tenuto insieme da qualche oscuro incantesimo che era stato scatenato nel cortile.
“Costrutto” gridò Sofesia. “Tenete pronti gli scudi.”
Come attirato dalla voce la colonna di abbassò verso la donna. Sofesia frappose lo scudo tra lei e il fuoco e nel momento in cui si toccarono generò una cascata di scintille che si sparsero tutte attorno a loro avvolgendoli.
Le fiamme sparirono lasciando dietro di sé una scia luminosa che l’abbagliò per qualche istante.
Ryhana cercò di indietreggiare ma si fermò quando udì il ruggito sopra la sua testa. Una seconda colonna si era alzata dal lago di fiamme e poi una terza una quarta.
Una di esse calò verso i soldati che erano corsi adi aiutare i loro compagni e li investì in pieno scagliandoli via. I corpi rotolarono sul pavimento coperto di lastre di pietra grigia.
Varkarl urlò qualcosa mentre puntava le mani con i palmi aperti verso una delle colonne di fuoco. Una lancia di pura luce fendette l’aria e tagliò in due la colonna, provocando scintille vicino al taglio. Le fiamme guizzarono per un istante e poi si estinsero come se avessero perso la loro forza.
“Colpisci alla base delle fiamme” gridò Grenn.
“Non dirmi che cosa devo fare” gli rispose Varkarl a denti stretti. Mentre parlava si muoveva di lato senza smettere di dirigere la lancia magica verso le fiamme. Dove l’incantesimo le toccava, il fuoco spariva sostituito dalle scintille.
Una colonna di fuoco si abbassò verso lo stregone. Lui fece per voltarsi ma era troppo lento. Ryhana pensava che le fiamme l’avrebbero colpito e ucciso, ma vide un’ombra scivolare tra loro e Varkarl.
Grenn aveva estratto una lama dal fodero e la stava usando per colpire la colonna infuocata. A ogni fendente ne strappava un pezzo che si dissolveva in una cascata di scintille.
Dalla parte opposta della piazza Sofesia era emersa dalle fiamme e stava colpendo una delle colonne con i dardi magici. Ogni proiettile strappava guizzi di fiamma alla colonna trasformandoli in rivoli di scintille.
Hargart si teneva un passo più indietro con lo scudo magico levato davanti a sé.
Ryhana fece per dirigersi verso di lui, sicura che dietro quello scudo avrebbe potuto ripararsi a sua volta. Nel momento in cui allungò il passo una colonna infuocata emerse dalle fiamme e precipitò verso di lei.
Avvertì sulla pelle la morsa del calore insopportabile ben prima che la raggiungesse. Gemette a quel tocco, sicura che un istante dopo sarebbe avvampata come i soldati prima di lei.
D’istinto, si girò verso le fiamme e alzò le braccia, i palmi delle mani rivolti verso l’esterno. Le fiamme l’avvolsero e lei urlò sentendole lambire la sua carne.
Tra poco sarà finita, di disse. Non ci vorrà molto, non ci vorrà molto, non ci…
Le fiamme si dissolsero in una cascata di scintille, ma l’impatto fu violento e la sbalzò indietro. Cadde sul selciato e gemette per il dolore e la sorpresa.
“L’hai vista? L’hai vista?” gridò una voce.
Ryhana fece per rialzarsi.
Mi ha mancata, si disse. Mi ha mancata per qualche motivo ma non sarò così fortunata la prossima volta.
Annaspò per rimettersi in piedi e quando ci riuscì un’ombra torreggiò su di lei.
Era quella di Varkarl.
Allungò una mano verso di lui in cerca d’aiuto e lo stregone gli porse la sua. Quando però cercò di afferrarla, continuò la sua corsa fino a colpirla al mento.
Il buio calò sopra di lei.


 

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Capitolo 16
*** Bugiarda ***


Bugiarda

“Hai sbagliato” stava dicendo una voce. “Hai sbagliato e ti secca ammetterlo. È così.”
“No” rispose una seconda voce.
Ryhana tentò di aprire gli occhi ma al minimo spiraglio di luce sentiva il dolore alle tempie riaccendersi. Decise di restare con gli occhi chiusi.
“Hai visto che cosa ha fatto.”
“Ero presente anche io.”
“Non hai niente da dirci?”
“No.”
“Tu hai passato con lei più tempo di tutti gli altri” disse la stessa voce con tono accusatorio. “Non puoi non essertene reso conto.”
“Tutti abbiamo passato del tempo con quella lì” disse una voce femminile. “Io ci ho persino dormito insieme.”
“Giusto.”
“Vero.”
“Non puoi incolparlo di niente” disse una seconda voce femminile.
Ci fu qualche istante di silenzio.
“Che cosa facciamo ora?”
“Continuiamo col piano originario.”
“No” disse una voce con tono perentorio. “È cambiato tutto, dannazione.”
“Non è cambiato niente.”
“Invece sì. L’hai visto anche tu che cosa ha fatto.”
Di nuovo silenzio.
“L’hai colpita davvero forte. Dorme ancora.”
“Starà fingendo.”
“A me non sembra.”
“Ha sempre finto, fin dall’inizio. Tutto quello che ci ha detto era falso.”
“Ci penserà Ilyana a farle dire la verità.”
“Io dico di ucciderla.”
“No” rispose una voce con tono perentorio. “Non sono questi gli ordini.”
“Quali ordini? Ilyana non ci ha detto che cosa fare in un caso simile.”
“Per questo dobbiamo portarla da lei.”
Parlano di me, si disse, la mente che iniziava a schiarirsi.
Il dolore alla tempia era ancora forte ma si costrinse ad aprire gli occhi. Il mondo era rovesciato su di un lato e lei riusciva a vedere solo le punte degli stivali.
Sbatté le palpebre due volte prima di convincersi che era tutto vero e che non stava sognando. Tentò di muovere un braccio ma qualcosa glielo impediva. Tirò verso di sé la gamba ma anche questa era bloccata. Fece leva con entrambe le braccia e scoprì che qualcosa le aveva legate insieme.
Mi hanno legata, pensò. E buttata da qualche parte.
Il terrore le fece moltiplicare gli sforzi per liberarsi.
“Si è svegliata” disse Khefra.
Il viso familiare di Sofesia si abbassò fino a guardarla negli occhi. “Come stai? Dormito bene?”
“Toglietemele” disse Ryhana sbattendo le catene sul pavimento.
La strega scosse la testa. “Sarebbe una cattiva idea.”
“Per favore.”
“Smettila” disse Varkarl con tono imperioso. Sentì uno stivale fare pressione sopra la sua schiena. “O ti spezzo qualche osso.”
“No” gemette.
Aveva visto i soldati trascinarsi per il campo sulle stampelle. Le fratture erano delle ferite comuni ma i guaritori faticavano lo stesso a curarle bene. La metà di quelli che avevano una gamba spezzata non tornavano mai a camminare come prima. E chi aveva fratture a entrambe faceva fatica persino a reggersi in piedi.
“Allora sta zitta” disse Varkarl.
Ryhana serrò le labbra e la pressione dello stivale diminuì un poco ma non del tutto.
Il viso di Sofesia venne sostituito da quello di Grenn. “Penso che tu ci debba delle spiegazioni, Ryhana.”
Deglutì a vuoto. “Non sapevo di Mirok.”
“Non è il tuo amico guaritore il problema qui, anche se lui ne è parte. Ci hai mentito sui suoi poteri.”
“No” disse con veemenza.
“Li ha usati contro di noi” disse Sofesia. “Nel cortile.”
“Non sapevo li avesse.”
“Stai mentendo” gridò Varkarl.
“No” disse. “Mirok non mi ha mai detto niente. Non lo sapevo, ve lo giuro.”
“Il giuramento di una rinnegata vale niente” disse Varkarl.
“Forse è vero” disse Grenn. “Forse non sapevi niente di Mirok e dei suoi poteri.”
Ryhana annuì con forza.
“Ma non ci hai detto niente dei tuoi.”
Quella frase la fece accigliare. “Io non ho poteri.”
Varkarl rise. “Ma la sentite? Osa ancora negare. È davvero patetica.”
“Continuare a mentirci” disse Sofesia. “Non ti sarà d’aiuto.”
“Non sto mentendo” disse disperata. “Sono nata senza poteri.”
“Hai evocato una scudo magico davanti ai nostri occhi” disse Varkarl con tono d’accusa. “Il costrutto di fuoco stava per incenerirti e tu lo hai annullato con lo scudo. L’abbiamo visto tutti.”
“Non so di che parli.”
Lo stregone le diede un calcio negli stinchi. Il dolore avvampò nella gamba e le fece stringere i denti.
“Bugiarda” urlò Varkarl. “Tutti ti hanno vista.”
“Io” disse cercando le parole. “Non so.”
Sofesia sospirò. “Non so cosa tu voglia ottenere” disse spazientita. “Ma comportandoti in questo modo non ti stai aiutando. Se ci avessi detto subito chi eri e cosa eri.” Scosse la testa. “Ora per te le cose si complicheranno parecchio.”
“Parliamo di quello che è successo nel cortile” disse Grenn.
“Non so niente.”
“Ha usato un costrutto di fuoco.”
“Non so nemmeno che cosa sia.”
“È un incantesimo da stregone di alto rango.”
“Chiedetelo a lui, non a me.”
“Il tuo amico rinnegato è morto” disse Varkarl.
Ryhana girò la testa verso di lui. “Morto?”
Lo stregone annuì tronfio. “L’ho ucciso io stesso. Gli ho spezzato il collo.” Sorrise. “È stato piuttosto soddisfacente.”
“Mirok è morto?” Chiese guardando Grenn.
Lui annuì grave. “Varkarl ha dovuto farlo.”
“L’ho voluto” lo corresse l’altro.
“Avremmo preferito prenderlo vivo, ma non la smetteva di riversarci addosso quel fuoco e così Varkarl ha fatto ciò che doveva.”
“Con molto piacere.”
Grenn storse la bocca. “E con la morte dell’altro rinnegato, Marchum, ci resti soltanto tu.”
“Ma non sentirti troppo sicura” disse Varkarl. “Se non ci dirai la verità, ti ammazzerò con le mie mani e non sarà una faccenda rapida come con il tuo amico rinnegato. Mi prenderò tutto il tempo necessario per farti soffrire, rinnegata.”
Ryhana si sforzò di ignorarlo e restare concentrata su quello di cui la stavano accusando. “Che cosa” disse a fatica. “Che cosa avrei fatto di così grave? Ho solo cercato di fuggire.”
Grenn si accigliò. “Ricordi che cosa è accaduto nel cortile?”
Annuì.
“Raccontacelo.”
Ryhana si concesse qualche istante per riordinare le idee. “Mirok si è sentito male, poi sono apparse quelle fiamme che uccidevano chiunque si muovesse.”
“Non sono apparse” disse Varkarl. “Le ha evocate il tuo amico rinnegato, Mirok.”
“Non è possibile” disse.
Varkarl ridacchiò. “O sei molto furba o pensi che gli stupidi siamo noi. Lo abbiamo visto tutti, dannazione. Il tuo amico era uno stregone rinnegato che ha cercato di uccidersi.”
“Mirok è un guaritore” gemette.
Ancora non riusciva a dire ‘era’. Per lei era ancora vivo e si erano separati solo pochi giorni prima, quando si erano fermati in quel maledetto spiazzo aspettando che Sanzir e i suoi uscissero dal santuario.
Sofesia sospirò affranta. “Così non ci sei di nessun aiuto, Ryhana.”
“Sempre che quello sia il suo vero nome.”
“Mirok l’ha chiamata così” disse Grenn.
Ryhana non ricordava se Mirok l’avesse chiamata per nome o meno.
“Ti fidi della parola di un rinnegato adesso?” gli chiese Varkarl con tono provocatorio.
Grenn scosse la testa. “Capisco che tu voglia proteggere il tuo amico stregone e che ci abbia mentito sui tuoi poteri” disse rivolgendosi a lei con tono paziente. “Ma ora ti conviene dirci tutta la verità.”
“È questa la verità” esclamò disperata. “Non ho alcun potere, non l’ho mai avuto prima di oggi.”
“Come ha evocato quello scudo magico?” le chiese Varkarl brusco.
“Non lo so.”
“E sapevi che Mirok era uno stregone?”
“No.”
“Eppure sei stata per intere Lune con lui, al campo dei rinnegati.”
“È vero” ammise.
“E non te ne sei accorta?”
Scosse la testa.
Varkarl le puntò un dardo magico contro il viso.
Ryhana trasalì e cercò di ritrarsi, ma le catene attorno alle braccia e le gambe glielo impedirono.
“Di questo però te ne sei accorta, giusto?” fece Varkarl sogghignando. Il dardo scomparve e si rivolse a Sofesia. “Io propongo di ucciderla.
“Gli ordini…” iniziò a dire la strega.
“Agli inferi gli ordini” disse Varkarl brusco. “Questa qui ci ha mentito per tutto il tempo. È chiaro che l’hanno lasciata indietro per coprire la loro fuga. Mentre ci portava su di un sentiero sbagliato, i suoi amici hanno avuto il tempo di scappare.”
Sofesia annuì grave. “Può darsi che sia così come tu dici, ma non possiamo decidere noi. Non siamo un tribunale. La decisione spetta a Ilyana.”
“Che sciocchezze” disse Varkarl. “Dovremmo ammazzarla subito e metterci sulle tracce dei suoi amici rinnegati.” Si allontanò scuotendo la testa.
Sofesia sospirò. “La sorveglieremo tutto il tempo. In due, per essere più sicuri. Hargart, Grenn. Iniziate voi per primi.”
Grenn annuì grave mentre l’altro sospirò affranto.
Sofesia lasciò la baracca seguita da Khefra. Dal punto in cui si trovava vide Hargart sedere in un angolo, l’espressione seccata, mentre Grenn rimase accanto a lei.
“Non ho mentito” disse Ryhana. “Non ho mai avuto i poteri. Non sapevo nemmeno di esserne capace.”
Lo stregone annuì grave. “Vorrei davvero crederti, Ryhana, ma se lo facessi, ho paura che non mi piacerebbe.”
Ryhana si accigliò.
“Sarebbe tutto più facile se tu stessi mentendo. Saprei con certezza che sei una bugiarda che ci ha ingannati tutti nascondendoci i suoi poteri.”
“Non vi ho nascosto niente” disse.
“Io spero invece che tu l’abbia fatto.”
“Perché?” chiese gemendo.
“Perché l’alternativa sarebbe tremenda e inaccettabile.” Si alzò di scatto. “Ora cerca di riposare. Ci attendono almeno dieci giorni di viaggio prima di Nelnis e dovrai farli legata da quelle catene.”
“Non sono necessarie” disse.
“Non sono io a decidere, ma Sofesia. E lei ha preteso le catene. Le dovrai tenere fino all’arrivo. Poi decideremo.”
Ryhana chiuse gli occhi e abbassò la testa. “Dei aiutatemi” mormorò. “Kaleena, aiutami.”


 

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Capitolo 17
*** Sei cambiata ***


Sei cambiata

 
Nelnis era un gruppo di case disordinate che sorgevano sui fianchi di una bassa collina. La sommità ea occupata da un castello protetto da mura grigie e da quattro torri. Al centro svettava un edificio più grosso e dall’aspetto tozzo.
“Mi chiedo se Ilyana sarà felice di vederci” disse Sofesia.
“Perché no?” le chiese Khefra. “Torniamo con una prigioniera e informazioni utili su Sanzir e la sua banda.”
“Che siano utili è da vedere” disse Varkarl emergendo dalla loro destra.
Ryhana girò la testa verso di lui ma il dolore al collo e alle spalle per la posizione resero difficile quel movimento. Al suo fianco, Grenn si mosse a disagio sulla sella.
“Se vuoi posso allentare un po’ le catene.”
“Meglio di no” disse Sofesia.
“Ormai siamo quasi arrivati.”
“Proprio per questo dobbiamo essere prudenti” obiettò la strega. “Gliele allenteremo quando saremo dentro la fortezza, al sicuro.”
“Andiamo allora” la esortò Varkarl. “Abbiamo già passato troppo tempo in compagnia di questa bugiarda.”
Le strade di Nelnis erano invase dal fango e dai detriti portati dalle piogge. I cavalli faticarono arrancando per la salita ma li portarono in cime, davanti al portone d’ingresso. Una saracinesca si alzò cigolando e loro furono liberi di entrare.
Il cortile era una massa informe di terreno scuro coperto di pozze dove gli zoccoli degli animali affondavano per riemergere a fatica.
Due soldati dall’aria annoiata li accolsero con svogliatezza. Insieme a loro, un uomo basso e tarchiato con un mantello blu dai ricami rossi.
“Guarda guarda che cosa abbiamo qui” disse rivolgendo a Sofesia un mezzo sorriso. “Avevo quasi perso la speranza di rivedervi.”
“Ci credevi morti? O forse lo speravi?” gli chiese la strega.
L’uomo scosse le spalle. “Vi pensavo da qualche parte a meridione di Dernelm a svenare, magari in una locanda davanti a un bel focolare.”
“Non siamo tutti come te” disse Khefra. “Gardor il molle.”
L’uomo le rivolse un’occhiataccia. “Attenta a come parli, ragazzina. Ti posso sempre spezzare un braccio, tanto per ricordarti qual è il tuo rango.”
“Io almeno adesso sono una vera vigilante, non come te” disse la strega.
Gardor ghignò. “Sei sopravvissuta a un paio di missioni e sei già arrogante come una veterana? Si vede che Rifon ti ha fatto da guida.”
“A proposito, dov’è?” chiese Khefra smontando.
“Ce lo dirà dopo” disse Sofesia, gli stivali affondati nel fango. “Prima dobbiamo vedere Ilyana. Sai dove possiamo trovarla?”
Gardor indicò la torre centrale con un cenno della testa. “Lì. Vi sta aspettando da due giorni.”
“Come ha fatto a…” iniziò a dire Sofesia. “No, fammi indovinare, Orrian?”
Gardor annuì grave.
“Dannazione” disse Varkarl. “Odio quel tizio. Non mi piace stare in sua compagnia.”
“Non esagerare” disse Hargart.
“Spero che Ilyana lo tenga chiuso in una gabbia” disse lo stregone scuotendo la testa.
Gardor indicò Ryhana. “E quella lì? Non vi sembra di aver esagerato con quelle catene? Non mi pare pericolosa.”
“Tu non la conosci” disse Varkarl.
Lo stregone rispose con un’alzata di spalle. “Ilyana vi vuole parlare.”
“Andiamo subito da lei” disse Sofesia.
“Uno alla volta. Mi ha anche detto in quale ordine. Per prima Sofesia, poi Varkarl, Hargart, Khefra e infine Grenn.”
Sofesia guardò Grenn. “Occupati della prigioniera. Sistemala in una delle celle con un’adeguata guardia.”
Grenn rispose con un cenno affermativo e aiutò Ryhana a smontare da cavallo.
Quando atterrò nel fango, ebbe un leggero capogiro dovuto al tempo passato in quella posizione scomoda, ma era grata lo stesso di potersi muovere un poco.
“Mi occupo io di lei” disse Gandor. “La sistemazione dei prigionieri spetta a me.”
Sofesia scrollò le spalle. “È pericolosa. Non ti fidare di lei.”
“Che poteri ha?”
“Non lo sappiamo ancora.”
Gandor si accigliò. “Questa strega non porta nemmeno il mantello grigio dei rinnegati. Glielo avete tolto voi?”
“L’abbiamo trovata così. Ci aveva raccontato di non avere i poteri.”
Ryhana fece per dire che non li aveva mai avuti ma ci ripensò. Dopo giorni passati a ripetere quella frase, aveva capito che era inutile.
“Piccola bastarda” disse Gardor. “Se ci avesse provato con me, le avrei spazzato volentieri una gamba.”
“Deve arrivare intera da Ilyana” disse Sofesia.
“Tranquilla, so come comportarmi con quelle come lei.” Afferrò un capo della catena e diede uno strattone deciso.
L’altro capo era legato alle catene che avvolgevano le braccia di Ryhana. A quel tocco si sentì spingere in avanti da una forza enorme. Cercò di opporsi ma non ci riuscì e quasi cadde a terra.
“Se cadi non ti aiuterò di certo” disse Gardor divertito. “E se non ti rialzi in fretta ti trascinerò nel fango fino alle celle. Hai capito?”
Ryhana lo seguì senza parlare.
Grenn l’affiancò nel primo tratto di strada. “Vai con lui e non contraddirlo. Andrà tutto bene.”
No, ti sbagli, si disse. Non sta andando affatto bene. Niente sta andando bene e per me le cose peggiorano ogni giorno che passa.
La cella era piccola e stretta, larga a malapena per consentire a una persona di entrarvi. Sul fondo vi era un giaciglio formato da una panca ricavata da un incavo nel muro e niente più. Nemmeno un secchio dove fare i propri bisogni o una feritoia per far passare un po’ di luce.
“Sembra un posto brutto” disse Gardor divertito alle sue spalle. “E forse lo è davvero, ma è caldo e sicuro. Avrai modo di riflettere un po’ sulle tue malefatte, rinnegata.”
Ryhana sedette sulla panca mentre la porta veniva chiusa. Il buio l’avvolse e lei chiuse gli occhi.
Gardor non le aveva tolto le catena e il loro morso era doloroso sui polsi, ma cercava di non pensarci. Ciò a cui non riusciva a smettere di pensare era Kaleena e quello che era accaduto con Mirok.
Anche se aveva negato a Grenn e gli altri di avere i poteri, lei aveva visto ciò che era accaduto. Sapeva che cos’era uno scudo magico, Kaleena glielo aveva mostrato più di una volta.
E sapeva che cosa erano i poteri.
Il dono, si disse. È così che lo chiamano.
Così almeno lo chiamava la sua amata Kaleena e tutti i mantelli che aveva conosciuto.
Io non ho mai avuto il dono, si disse. Ma adesso è qui e non so che cosa fare. Come potrò mai convincere queste persone che non ne so niente?
Si distese sulla panca e cercò una posizione comoda senza riuscirsi. Era stanca e assonnata e questo l’aiutò a scivolare in un sonno leggero e agitato.
Fece un sogno.
Era da sola in un giardino fiorito, davanti a due alberi gemelli che sembravano sentinelle a guardia di quel luogo. Una casa di legno e pietra sorgeva poco distante e sotto il portico sedeva una donna anziana che guardava verso l’orizzonte.
Andò verso di lei con passo prudente.
“Io ti saluto” disse, utilizzando la formula di cortesia corretta.
La donna si girò verso di lei e le sorrise. Il suo volto era quello di una anziana, pieno di grinze e dalla pelle cadente, ma sereno e amichevole.
“Io saluto te” rispose. “Vuoi un infuso? Una tisana?”
Ryhana scosse la testa. “Tu abiti qui?”
“Una volta, prima che bruciasse tutto.”
Si accigliò.
Non vedo i segni di un incendio, si disse.
“Tu sei qui per riportare l’equilibrio?” le chiese la donna all’improvviso.
“Equilibrio?”
La donna annuì. “Tutto è in equilibrio, anche quando muta. L’equilibrio è nel cambiamento stesso. Tu sei cambiata, Hana. E cambierai ancora. Come tutti noi. Io posso vederlo. Ho poco tempo per dirti queste cose, quindi, ascolta con attenzione.”
 
La porta si aprì cigolando e lei sussultò, gemendo come se il fiato le fosse tornato in quel momento. Scattò in piedi e quasi cadde a terra quando annaspò nel buio alla ricerca di un appiglio.
“Sono io” disse Grenn, una sagoma indistinta sulla soglia della cella.
Ryhana barcollò. “Io” disse esitando.
“Dormivi?” le chiese.
“Ci provavo” rispose confusa.
“Abbiamo finito di parlare con Ilyana. Lei vuole vederti.”
Ryhana deglutì a vuoto.
È giunto il momento, si disse.
Da quello che aveva capito. Ilyana era la loro comandante e sarebbe spettato a lei il compito di decidere il suo destino.
“Probabilmente ti farà mettere a morte” aveva detto Varkarl in una delle rare pause del loro viaggio verso Nelnis. “Se sei fortunata. Altrimenti ti attende un viaggio di sola andata per Krikor. Lo sai che cos’è?”
Ryhana aveva scosso la testa con vigore.
Varkarl aveva ghignato. “È un bel posto, pieno di gente come te. Rinnegati, assassini, traditori e cannibali. E di scorticatori. Ti ho detto di loro? Dicono che abbiano formato delle bande di decine di rinnegati che si divertono a tormentare le loro vittime spellandole prima di ucciderle. O forse le ammazzano spellandole. Chissà.”
“Smettila” lo aveva ammonito Grenn.
“Le sto solo dando qualche suggerimento utile.”
“La stai solo spaventando.”
“È bene che abbia paura.”
“No” aveva risposto lo stregone.
“Invece un po’ di timore le avrebbe fatto bene” aveva replicato Varkarl. “Prima di passare con i rinnegati e mentirci come ha fatto, la paura l’avrebbe bloccata. Sarebbe rimasta al suo circolo e non si sarebbe schierata contro l’alleanza.”
“Ci sono rinnegati anche lì” aveva detto Grenn.
“E allora? Per me sono tutti uguali.” Varkarl le aveva rivolto un’occhiata piena di disgusto. “A volte mi domando che cosa vi spinga a tradire i vostri compagni, a rinnegare i giuramenti solenni e ammazzare tanta brava gente.”
Ryhana era rimasta in silenzio.
Qualsiasi cosa dica, si era detta, la prenderà coma una sfida.
“Non sai rispondere, giusto?” aveva detto Varkarl con espressione tronfia. “La verità è che non hai una risposta. Voi rinnegati non ne avete una.”
“Una volta” aveva detto Grenn. “Ho interrogato un soldato che aveva disertato insieme alla sua formazione.”
Varkarl le aveva rivolto un’occhiata infastidita.
“Mi disse che avevano disertato perché non li pagavano da due Lune ed erano affamati.”
Varkarl aveva fatto schioccare la lingua. “Discorsi che qualsiasi mercenario farebbe.”
“Sembrava davvero affamato” aveva risposto Grenn.
“E con questo?”
“Gli offrii dieci monete, la paga di due Lune, ma rifiutò. Allora mi venne in mente di dargli un pezzo di formaggio e lui in cambio disse tutto, compreso dove si trovava il resto della sua formazione.” Aveva sorriso. “Mi disse che non aveva mai mangiato del formaggio così buono, ma io sapevo che era roba ammuffita da giorni.” Aveva scosso la testa.
“Quando è successo?” gli aveva chiesto Khefra.
“Un paio di anni fa” aveva risposto Grenn. “Vicino a Manzir, durante una disputa di confine con Taspar. La guerra non era nemmeno iniziata.”
“Vieni” disse Grenn spezzando il filo dei ricordi.
Ryhana lo seguì fuori dalla cella.

 

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Capitolo 18
*** Una fine peggiore ***


Una fine peggiore

 
Ilyana era una donna minuta di lunghi capelli mossi e grigi che le ricadevano sulle spalle strette. Sedeva in un angolo dello studio, rannicchiata su di una sedia imbottita, una pesante coperta di lana che le nascondeva le gambe.
Il mantello era di un celeste stinto con fregi color oro e platino.
Osservandoli, a Ryhana sembrò che danzassero sul tessuto come se fossero animati da una loro volontà.
Non si stanno muovendo davvero, si disse. Sono io che li vedo così. Devono essere delle scritte.
Nella stessa stanza c’era un uomo di mezza età, i capelli bianchi e radi che incorniciavano un viso sereno e due occhi vividi che la seguirono mentre Grenn la posizionava al centro di un tappeto, come se quello fosse un gesto convenuto in precedenza.
Ilyana sorrise mostrando profonde rughe ai lati della bocca e sulla fronte. Anche il collo era grinzoso e la pelle sembrava appesa alle ossa sottostanti.
“Perché quelle catene?” chiese con tono divertito. “È così pericolosa come dicono?”
“No” rispose Grenn. “Ma Sofesia non ha voluto correre rischi.”
“Io credo che qui siamo al sicuro” disse Ilyana. “Per favore Grenn, libera la nostra ospite.”
Ospite, pensò Ryhana. Si prende gioco di me?
Grenn armeggiò con un lucchetto e la liberò dalle catene facendole scivolare via. Alleggerita da quel peso Ryhana sentì uno strano torpore diffondersi nelle braccia e le spalle. Trattenne una smorfia di dolore a causa di un crampo.
“Adesso è meglio?” chiese Ilyana.
Ryhana si accigliò quando Grenn non rispose.
“Sì” disse annuendo. “Molto meglio.”
Grenn fece qualche passo di lato e due indietro, sistemandosi in un angolo dello studio.
Ilyana sorrise. “Bene, me ne compiaccio. Ora possiamo presentarci. Il mio nome è Ilyana Sakal del reale circolo di Dardel. Sono la comandante di questa fortezza e dell’Ordine dei Vigilanti in questa parte di continente.”
La donna tacque e rimase come in attesa.
“Ryhana” disse. “Del villaggio di Oc Piker.”
Ilyana annuì grave. “Oc Piker è vicino a Destun. È quello il tuo circolo?”
Ryhana scosse la testa.
“Allora Nenkis?”
Scosse di nuovo la testa.
“Gelend?”
“No” disse imbarazzata. “Nemmeno conosco questi luoghi.”
Ilyana si accigliò. “Non hai mai ricevuto un addestramento formale? Una guida non si è occupata di te?”
“Fino a qualche giorno fa nemmeno sapevo di avere il dono.”
Ilyana guardò il tizio seduto alla sua destra. “Kont?”
L’uomo si schiarì la gola. “Senza stimare la sua età non posso pronunciarmi.”
Ilyana sospirò affranta. “Quanti anni hai?” le chiese.
“Sedici” rispose subito. “E sette Lune.”
“Quasi diciassette. Kont?”
L’uomo tossicchiò di nuovo irritando Ryhana.
“Dai resoconti più recenti che abbiamo, nessuno mai ha manifestato i poteri dopo i quindici anni e due Lune. In tempi recenti, stando ai registri che ho potuto consultare nel poco tempo a mia disposizione, abbiamo avuto il caso di uno stregone di Yood che ha mostrato i poteri all’età di quattordici anni e sei Lune.”
Ilyana sorrise. “Quindi abbiamo qui un caso unico nel suo genere, giusto?”
“Permettimi di dubitarne” disse Kont con tono severo. “Io avrei una tesi diversa.”
“Ti ascolto.”
“La ragazza mente. Sulla sua età o su quello che le è accaduto.”
“Non è vero” disse Ryhana con veemenza. “Non ho mentito.”
Ilyana le scoccò un’occhiata perplessa. “Sembra crederci davvero.”
Kont sospirò.
“Potresti dimostrare che mente?”
“Forse potrei stimare la sua età dai denti.”
Ilyana si accigliò.
“Secondo alcuni eruditi di Narbal, sarebbe possibile stabilire l’età di una persona con certezza valutando lo stato di usura dei suoi denti.”
“Tu credi che sia possibile?”
“Mia signora” fece Kont con tono affabile. “Io non credo che questo caso meriti tante attenzioni da parte nostra. È chiaro che la ragazza sta mentendo.”
Ryhana fece per dire qualcosa ma Ilyana alzò una mano per zittirla.
“Kont non ti sta accusando” disse la strega. “Sta solo riferendo la sua opinione in merito. Sarò io a decidere se quello che dici è vero o meno e mi baserò su quello che tu mi dirai da questo momento in poi.”
Ryhana deglutì a vuoto.
“È chiaro?”
“Sì” disse con un filo di voce.
“Ora” proseguì Ilyana. “Grenn e gli altri componenti del gruppo di Sofesia mi hanno riferito una storia bizzarra, forse anche più dei tuoi presunti poteri tardivi. Dicono che facevi parte di un gruppo di rinnegati. È vero?”
Ryhana annuì.
“Tu che ruolo avevi?”
“Ero un’ancella. Aiutavo a servire i pasti e preparare pozioni per i feriti.”
Ilyana scrollò le spalle. “Niente di veramente grave, dopotutto, ma in tempi di guerra potrebbe valerti un’accusa grave.”
“Lo so” ammise.
“Adesso spiegami come è possibile che una strega sia stata messa a servire pasti e preparare pozioni, invece di essere inviata a combattere.”
“Te l’ho detto” disse Ryhana. “Non li ho mai avuti prima di quel giorno in cui…” Esitò.
“Continua” la esortò Ilyana. “Raccontami di quel giorno.”
Ryhana guardò Grenn e lui le fece un cenno con la testa.
“Devi dirci tutta la verità” disse Ilyana. “Adesso.”
Ryhana sospirò. “Dopo aver lasciato il campo, siamo stati divisi. Un gruppo è andato in una direzione, il nostro in un’altra.”
“Quale direzione?”
“Non lo so. Non ce l’hanno detto.”
Ilyana annuì grave.
“Poco dopo, siamo stati assegnati al gruppo di Sanzir.”
“Sai chi è?”
Ryhana scrollò le spalle. “Mirok e Wilgrath ne parlavano come se fosse un comandante. Ma lui era un monaco del culto e quindi penso fosse una persona importante. Non so molto altro.”
“Sanzir è un rinnegato” disse Ilyana. “Uno dei peggiori. È un leccapiedi di Malag, forse il suo consigliere più fidato dopo Gauwalt e Nimlothien. Non è un vero comandante né un combattente e non ha poteri, ma è comunque pericoloso. Ha fondato un’eresia del Culto dell’Unico che considera Malag il prescelto o qualcosa del genere. I suoi monaci infestano ogni città del continente diffondendo le loro scellerate menzogne. Sono una vera piaga.”
“Al campo c’erano dei monaci” disse Ryhana. “Ma non badavo molto a ciò che dicevano.”
“Si rivolgono soprattutto a streghe e stregoni per convincerli a disertare e passare tra i rinnegati con l’inganno e la promessa di un mondo migliore dopo la fine della guerra.”
Ryhana ricordò le parole che Kaleena le aveva detto poco prima che si lasciassero.
Anche lei le aveva sentite da uno di quei monaci? Si chiese. E ci credeva davvero o le aveva solo ripetute?
“Loro ti hanno mai parlato? I monaci del culto, intendo.”
Ryhana scosse la testa. “Ricordo solo che a volte uno dei monaci saliva su di una pietra e da lì parlava a tutti quelli che passavano davanti a lui. Io l’ho sempre evitato.”
“Non ti piaceva quello che diceva?”
Scrollò le spalle. “Parlava di cose che non comprendevo.”
Forse avrei dovuto interessarmi di quelle faccende, si disse. Ora mi sarebbe stato d’aiuto.
Ilyana annuì. “È più o meno quello che sappiamo anche noi. Torniamo a quando ti sei unita al gruppo di Sanzir. Quanto avete impiegato a raggiungere il santuario?”
“Cinque o sei giorni di viaggio.”
“E per tutto questo tempo hai mai parlato con Sanzir?”
“Lui passava tutto il tempo nel suo carro. O nella tenda, quando gliela montavano, ma non accadeva sempre.”
“Almeno l’hai mai visto?”
“Una volta sola, quando abbiamo raggiunto il santuario.”
“Descrivimi ciò che hai visto.”
Ryhana ricordava bene quello che era accaduto quel giorno. “Sanzir era un vecchio dalla testa calva. Camminava a fatica, come se zoppicasse. Due monaci lo accompagnavano.”
“Non ricordi altro?”
“È rimasto poco fuori dal carro. Appena arrivati è entrato nel santuario.”
“Ne è mai uscito?”
“No, che io sappia.”
“Cos’è accaduto dopo che Sanzir è entrato nel santuario?”
“I soldati e i mantelli hanno aperto le gabbie una alla volta e hanno portato di sotto i prigionieri.”
“Quanti erano?”
“Dodici” rispose subito.
“Li hai contati?”
Ryhana annuì. “Mirok e io dovevamo occuparci della loro salute. Era la nostra mansione in quel gruppo.”
“Capisco” disse Ilyana annuendo. “Marchum era uno di loro?”
“Sì” disse più sicura. Aveva la sensazione che rispondendo alle domande della strega stesse guadagnando la sua fiducia e non voleva sprecare quella occasione.
“E Mirok era l’altro guaritore del gruppo?”
“Sì” disse di nuovo.
“Anche lui aveva i poteri. Lo sapevi?”
Scosse la testa.
“Pensi che anche lui li abbia acquisiti nello stesso momento, come è accaduto a te?”
“Io non lo so” disse incerta. “Conosco poco dei poteri.”
“Sofesia dice che al campo frequentavi una strega di nome Kaleena.”
“Sì” disse meno sicura.
Dire il nome di Kal era stato un errore di cui si era subito pentita, ma quando aveva raccontato la sua storia a Grenn e gli altri era ancora sicura che fossero lì per aiutarla e non per metterla in catene.
“Da quanto mi hanno riferito, Mirok era più anziano di te.”
“Una volta mi disse che aveva ventiquattro anni.”
Ilyana guardo Kont.
“Assolutamente impossibile” disse l’erudito. “Lo escludo del tutto.”
Ilyana rispose annuendo. “Che cosa è accaduto nel santuario?”
Ryhana si accigliò.
“Sofesia e gli altri mi hanno riferito dei cadaveri trovati nei sotterranei. secondo quanto hai riferito, ne mancavano alcuni.”
“Sedici” disse Grenn. “Compresi Marchum e Mirok.”
“Ora ne mancano quattordici” disse Ilyana. “Che non sappiamo dove si trovano né che cosa stanno facendo.” Fissò Ryhana con interesse. “Non so perché neghi i tuoi poteri, ma sei una strega adulta, anche se ancora lontana dall’età per essere consacrata. Probabilmente sei una strega selvaggia e ti manca del tutto l’addestramento necessario, ma provvederemo anche a questo. Grenn Stribben.”
Lo stregone fece un passo avanti.
“L’affido a te. Le farai da guida. Pensi di potertene occupare?”
“E il gruppo di Sofesia?”
“Non esiste più. Varkarl è abbastanza esperto da avere un gruppo tutto suo e tu mi servi qui. Troverò un nuovo comandante cui affidare la giovane Khefra e l’intelligente Hargart. I loro talenti non andranno sprecati, così come il dono di questa ragazza.”
Grenn rispose con un mezzo inchino. “Me ne occuperò io” disse sicuro.
Ilyana annuì grave. “Inizia subito. Voglio che entro tre Lune la nostra amica sia pronta a usare i suoi poteri. Poi dipenderà da lei cosa accadrà.”
Ryhana comprese in quel momento che le era stata concessa una seconda possibilità. E che se avesse fallito, l’avrebbe portata a una fine peggiore.

 

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Capitolo 19
*** Devi volerlo ***


Devi volerlo

 
Grenn si piazzò di fronte a lei, le braccia distese lungo i fianchi e le gambe divaricate.
Ryhana, a una decina di passi di distanza, lo imitò. Si sentiva in imbarazzo a vestire quegli abiti puliti e comodi, compresi gli stivali di pelle nera nuovi e la tunica dai colori vivaci. Il pantalone era grigio scuro ed era morbido.
Niente a che vedere con i vestiti sbrindellati e sudici che era abituata a indossare al campo o gli stivali dalla suola consumata che faticava a conservare in buono stato.
Tutte quelle cose erano sparite, portate via dalle ancelle dopo che era stata liberata dalla cella e messa in una stanza più grande, accanto a quella di Grenn.
“Non credo di poterci riuscire” stava dicendo allo stregone.
Erano passati due giorni dal colloquio con Ilyana e da allora non l’aveva più vista, ma sentiva che era lì da qualche parte e la stava osservando.
“Non ci devi credere” rispose Grenn. “Devi volerlo.”
“Per te è facile.”
Grenn sollevò un sopracciglio.
“Tu sei nato con i poteri” aggiunse.
“Ho manifestato il dono a dieci anni e quattro Lune.”
“È tanto? O poco?”
“La maggior parte mostra i poteri tra i nove e i dodici anni. Quindi non è andata molto male.”
Ryhana respirò a fondo. “E adesso quanti anni hai?”
Non glielo aveva mai chiesto, anche se aveva sempre voluto saperlo.
“Trentuno e due Lune.”
Ryhana si accigliò. “È tanto tempo che hai i poteri.”
“Quasi venti anni. Ma non importa. Tutti i poteri che ho adesso sono uguali a quelli che avevo allora, il primo giorno. È questa la regola. Una delle tante.”
“Regola?”
Grenn annuì con vigore. “I poteri con cui nasci non cambiano col tempo. Sono sempre quelli. Alcuni nascono con poteri comuni, altri rari o molto rari. Ci sono quelli, infine, che nascono con poteri unici. In pratica esistono solo loro e pochi altri in grado di usarli.”
“Chi stabilisce queste regole?”
Lo stregone sorrise. “Nessuno lo sa. Esistono da sempre. Ogni strega o stregone lo sa e lo accetta. Alcuni nascono con molti poteri, altri con pochi e infine alcuni con poteri così strani che all’inizio nemmeno se ne rendono conto e pensano si essere maledetti o qualcosa del genere.”
“Io potrei essere maledetta” disse.
“Tu non sei maledetta, ma solo svogliata. Adesso basta parlare e vediamo di iniziare.”
Ryhana sospirò e strinse i pugni come se si stesse preparando a colpirlo. “Sono pronta.”
“Ora ti mostrerò un incantesimo.”
Ryhana annuì. “Fai pure.”
Grenn sollevò un braccio e aprì il palmo della mano. Sopra di esso apparve una sfera di luce bianca che fluttuava nell’aria.
Ryhana trattenne il fiato.
Grenn abbassò il braccio ma la sfera rimase al suo posto fluttuando sopra la testa dello stregone.
“L’ho già vista” disse pescando un ricordo dalla sua memoria.
A volte Kaleena la usava per rischiarare l’interno della baracca.
“Così risparmiamo le candele” le aveva detto scherzando.
“Sai anche come si chiama?” le domandò Grenn.
Scosse la testa.
“Ha molti nomi, ma quello più comune è Lumosfera. In questa parte del continente potresti anche sentire il nome Fiammella o Rischiarante.”
“Fiammella mi piace” disse.
“Usa quella che vuoi. Adesso evocane una tu.”
Ryhana lo fissò. “Come?”
“Alza il braccio e aprì il palmo come ho fatto io. Di solito funziona così.”
Sollevò il braccio destro e aprì la mano aspettandosi un’improvvisa esplosione di luce. Quando guardò in alto, non vi era alcuna Lumosfera o Fiammella.
Guardò Grenn un po’ delusa. “Non funziona.”
“Devi volerlo.”
“Ti assicuro che lo volevo davvero.”
“Stai mentendo.”
Fece per protestare ma ci ripensò. “Ci provo di nuovo?”
“Finché non ci riesci.”
Alzò il braccio di scatto, come se volesse lanciare qualcosa verso l’alto. Un bagliore si accese al centro della mano e lei sentì qualcosa che le pizzicava la pelle, simile al formicolio che avvertiva dopo essere rimasta seduta nella stessa posizione per troppo tempo.
Rise come una bambina. “Ce l’ho fatta” disse. “Ho evocato una Fiammella.”
Guardò Grenn. La sua espressione era perplessa.
“Non credo che…” iniziò a dire lo stregone.
Ryhana aprì il palmo della mano e subito dopo una leggera botta la fece sussultare. Avvertì una leggera pressione contro la mano che sparì un attimo dopo. Un proiettile che sembrava fatto di luce scaturì dal bagliore che aveva creato e viaggiò rapido fino al soffitto, dove si infranse in una cascata di scintille che le ricaddero tutto attorno.
Fece per scansarsi e mise un piede in fallo, scivolando a terra e sbattendo il ginocchio sul pavimento di pietra. Il dolore improvviso la fece urlare.
Seduta con le gambe incrociate, guardò Grenn che si chinava verso di lei.
“Che cos’era?” gli chiese.
“Dimmelo tu. Hai evocato un dardo magico.”
“Volevo evocare una Fiammella” disse col tono di una bambina imbronciata.
“Imparerai a farlo. Riprova col dardo.” Le porse la mano e l’aiutò a rimettersi in piedi. “Avanti.”
Ryhana alzò il braccio di scatto. Avvertì lo stesso formicolio di prima e nella mano chiusa intravide un piccolo oggetto di forma triangolare che sembrava emettere una leggera vibrazione, come se stesse nuotando nell’aria invece che nell’acqua.
“Puntalo contro il muro alla tua destra.”
Ryhana abbassò il braccio e fece come Grenn le aveva detto. Tese il braccio in avanti verso un punto al centro del muro di mattono grigi e rossi.
“Brava” disse Grenn. “Impari in fretta.”
“E adesso?”
“Assapora il potere.”
Ryhana si accigliò.
“Avverti il formicolio nel braccio?”
“Sì” rispose con un soffio.
“Seguilo a ritroso fino alla spalla.”
Ryhana si concentrò su quella sensazione e scoprì che partiva da qualche parte sotto l’ascella. “L’ho trovato” disse con voce eccitata.
“Prosegui.”
Stavolta concentrò la sua attenzione sul punto che aveva trovato. Da lì sentiva che c’erano due o tre diramazioni, come se il potere provenisse da più punti. Seguì quella più forte, che le causava la sensazione più intensa, fino a un punto sotto il costato.
“È nel mio petto?”
“È ovunque” rispose Grenn.
Ryhana sentì il fiato mancarle. Il braccio che reggeva il dardo le parve appesantirsi, come quando trasportava un secchio pieno d’acqua o un vassoio da una parte all’altra del campo. Avvertì il desiderio di aprire la mano e lasciare che il dardo partisse come aveva fatto poco prima.
“Vuoi lanciarlo, vero?”
“Sì” disse a fatica.
“Resisti.”
“Non credo di potercela fare” ammise.
“Ancora qualche istante.”
Un crampo improvviso al braccio le strappò un grido di dolore e le fece piegare il gomito verso il basso. Nello stesso istante aprì la mano e il dardo magico partì colpendo il muro un attimo dopo.
“Come ti senti?” le chiese Grenn.
Ryhana si stava massaggiando il braccio. “Stanca” rispose.
Lui annuì. “È normale. Usare il potere consuma le nostre forze e tu ne hai poche. Devi imparare a sfruttarle tutte.”
Ryhana si sorprese ad annuire.
Che sto facendo? Si disse. Io non dovrei fare nessuna di queste cose. Sono prigioniera di queste persone e non so che cosa si aspettano da me. E non sono una vera strega.
Aveva ripensato più volte a quello che le stava accadendo e aveva stabilito che tutto riconduceva a quanto era successo al santuario. Voleva dirlo a Ilyana, ma era sicura che lei avesse già valutato quella spiegazione e l’avesse scartata.
Quando scopriranno che non sono una vera strega che cosa mi faranno? Si chiese.
Kont.
L’erudito sembrava sapere molte cose, ma non osava chiedergli niente per non insospettirlo.
Dopo l’interrogatorio con Ilyana lui le aveva rivolto qualche rapida domanda su Sanzir e quelli che erano con lui, ma non le aveva chiesto niente del santuario e di cosa vi si nascondesse dentro.
Lei gli aveva raccontato delle statue che Mirok diceva di aver visto e che l’avevano spaventato così tanto da non voler più rientrare in quel posto.
“Statue, dici?” aveva fatto Kont con aria annoiata. “Tu lei hai viste di persona?”
Ryhana aveva scosso la testa. “Mirok le ha viste.”
“Lo stregone che Varkarl ha ucciso?”
“Non era uno stregone. O almeno, io non sapevo che lo fosse.”
Kont era sembrato riflettere su quelle parole. “Devo fare qualche domanda a chi era presente all’attacco di quel Mirok” aveva annunciato prima di lasciare la riunione.
Dopo di allora non l’aveva più visto.
“Per oggi può bastare” annunciò Grenn. “Riprenderemo l’addestramento domani.”
Ryhana fu lieta di poter tornare alla sua stanza e buttarsi sul letto. Dopo che il formicolio era sparito e con esso la sensazione di forza che il potere le aveva donato, si sentiva spossata.
Affondò la testa nel cuscino cercando la posizione più comoda. Non ne aveva mai avuto uno così morbido e il profumo di fresco e di fiori che emanava l’aiutò a rilassarsi.
Scivolò in un sonno leggero da cui riemerse sussultando. Guardò verso la porta, in attesa che succedesse qualcosa.
Due tocchi decisi, poi uno.
Con uno sforzo scivolò a terra. “Entrate” disse.
La porta si aprì e il viso impassibile di Kont fece capolino nello spiraglio. “Ti disturbo?”
“No” disse subito. “Niente affatto.”
In verità aveva intenzione di dormire fino al giorno dopo o almeno al momento della cena, ma ormi era sveglia e non voleva sembrare maleducata a quella persona.
“Posso entrare?” le chiese l’erudito.
“Certo” disse. “Entra pure.”
Kont aprì appena la porta e dopo essere entrato la richiuse. sotto il braccio aveva una pergamena e una penna nell’altra mano.
“Vorrei farti alcune domande se non sei troppo stanca.”
“Ho dormito poco” disse. “Ma credo di potercela fare.”
Kont annuì grave. “Quando ci siamo visti due giorni fa hai detto che Mirok non era uno stregone.”
“È così” disse.
Anche se non mi crederete mai, pensò, continuerò a ripeterlo.
Era stata tentata di dire che Mirok era uno stregone per compiacere Ilyana, ma sentiva che se avesse smesso di farlo l’avrebbe presa per una bugiarda.
Kont si schiarì la gola. “Ho parlato con Sofesia, Khefra, Hargart e Varkarl. In pratica tutti quelli che hanno catturato Mirok e l’altro rinnegato quando si nascondevano nei boschi attorno a Elnor. Quello che mi hanno detto è molto” Sembrò esitare. “Interessante.”
Ryhana rimase in attesa.
“Ho anche parlato con Grenn e lui mi ha riferito che poco prima dell’arrivo di Mirok e Marchum sei stata poco bene.”
“Ho avuto un giramento di testa. Penso per la botta che aveva subito al santuario.”
“Anche io penso che si tratti del santuario” disse Kont. “Ma non nel modo che pensate tu e gli altri. Se ho ragione, e spero di sbagliarmi, potremmo avere a che fare con qualcosa di molto peggio.” Fece una pausa. “Qualcosa che potrebbe distruggerci tutti.”

 

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Capitolo 20
*** Fai la tua parte ***


Fai la tua parte

 
Ryhana volò all’indietro e atterrò con la schiena sul terreno, rotolò per una decina di passi e quando si fermò il suo mondo era buio e dolore.
Aprì gli occhi. Il viso di Grenn la sovrastava. Stava sorridendo.
“Lo trovi divertente?” gli domandò a denti stretti.
“Stai migliorando” disse lo stregone.
“Sul serio?”
Grenn annuì. “Hai resistito qualche attimo in più prima di cedere.”
Ryhana sbuffò e tese la mano verso di lui. “Aiutami. Per favore.”
Lui le afferrò la mano e la tirò su. La sua presa era forte e decisa, ma non dolorosa come aveva temuto. Almeno non quanto i colpi che le aveva sferrato negli ultimi due giorni.
“Ora vedremo quanto sei resistente” aveva annunciato prima di iniziare.
Ryhana aveva evocato lo scudo magico. Dopo qualche esitazione, adesso riusciva a farlo aprendo la mano e rivolgendo il palmo verso l’esterno.
“Immagina di appoggiare la mano a una parete” le aveva spiegato Grenn qualche giorno prima.
Ryhana si era girata attorno. “Io non vedo pareti.”
“Immagina che ne esista una.”
“Dove?”
“Alla tua destra.”
Ryhana aveva cercato di visualizzare una parete di mattoni rossi e grigi nel punto dove Grenn le aveva detto. “La sto immaginando. E ora?”
“Fingi di appoggiarci sopra la mano.”
Ryhana aveva fatto come le aveva detto e aveva aperto la mano come se la stesse appoggiando sopra il muro. Se si fosse concentrata, avrebbe potuto persino avvertire la solidità della pietra, la superficie corrugata e le irregolarità.
L’aria si era increspata e lei aveva ritratto la mano.
“Continua. Stavi andando bene.”
“L’ho fatto davvero?” si era chiesta fissando la mano aperta.
“Riprova. Stavolta senza interrompere l’incantesimo.”
In un giorno aveva imparato a evocare e mantenere lo scudo e quello prima un dardo magico.
“Ora devi usarli insieme” aveva detto Grenn.
Ryhana iniziava a trovare divertente l’addestramento e Grenn non era mai troppo duro con lei, almeno non quanto si sarebbe aspettata.
“Basta così per il momento” disse Grenn.
“Non sono ancora stanca.”
“Maglio non esagerare. Stai facendo progressi enormi, ma non devi sforzare il tuo corpo. Non hai abbastanza forze per reggere tutto questo.”
“Mi sento bene.”
Grenn annuì solenne. “È la frenesia” disse.
Ryhana si accigliò.
“È una parola che usiamo nei circoli” spiegò lui mentre uscivano dalla sala e si immettevano in uno dei corridoi. “Per indicare quelli che perdono il controllo.”
Risalirono per una scala trovandosi al livello superiore, fatto di ampie sale illuminate dalla luce che pioveva da ampie finestre e non da torce o lampade a olio. Ryhana ne fu grata. Odiava quella luce finta e apprezzava i raggi del sole.
Grenn la condusse in una sala dalle pareti spoglie. Un tappeto color rosso scuro copriva quasi tutto il pavimento tranne un altare che si ergeva sul fondo, di fronte alla parete opposta.
Qui, posta su di un piedistallo, torreggiava la statua di un uomo in armatura. Con la mano destra sollevava una spada mentre con la sinistra reggeva uno scudo a forma di losanga.
Ryhana lo osservò interdetta. “Chi è?”
“Chi era” disse Grenn. “Il suo nome era Bellir. Ne hai sentito parlare, credo.”
Annuì. “È l’eroe. Quello che uccise Malag.”
“Proprio così.”
“Solo che Malag non è morto.”
Grenn scrollò le spalle. “Sempre che quello che abbiamo ora non sia un impostore. Ma chi ruberebbe il nome al più famoso rinnegato della storia?”
“Non lo so” disse incerta.
“Nemmeno io, perciò il Malag che stiamo combattendo adesso potrebbe essere quello originale. Il che ci porta a farci due domande. La prima è come sia sopravvissuto al duello con Bellir. La seconda, è come sia vissuto così a lungo. Per quanto ne sappiamo, durante la prima guerra Malag era già anziano. Dopo cento anni, lo sarà ancora di più.”
“Al campo parlavano spesso di lui.”
Grenn annuì solenne. “Che cosa dicevano?”
Ryhana guardò altrove.
“Non è un interrogatorio. Se non vuoi rispondere, non sei obbligata.”
“Lo so” disse. “È che mi imbarazza ricordarlo.”
“Perché?”
“Tutti dicevano che Malag era l’eletto, il prescelto, che ci avrebbe portati alla vittoria. E qualche volta ci credevo.” Scosse la testa. “Sono proprio una sciocca.”
“Non più di quelli che nell’alleanza pensano che Alion sia il prescelto. O re Andew di Valonde, che guida l’alleanza. E che sua figlia sia destinata a diventare la strega suprema della sua generazione.”
Un rumore di passi la costrinse a voltarsi di scatto. La figura esile di una donna di mezza età era apparsa in fondo alla sala e avanzava verso di loro.
“Io ti saluto” disse Grenn.
Ilyana rispose con un mezzo sorriso. “Come procede l’addestramento?”
“Bene” rispose lo stregone. “Fa progressi rapidi e sorprendenti.”
Ilyana annuì compiaciuta. “Sono felice di sentirlo. Ho fatto bene ad affidarla a te. Se proseguirai su questa strada, potremo persino pensare di consacrarla, tra un paio di anni.”
“Mi sembra prematuro.”
“Non sei convinto della tua allieva?”
“Ha appena iniziato il suo percorso. È inesperta e non sa dosare le forze.”
Ilyana sorrise. “Una strega esuberante è quello che potrebbe servirci per ribaltare le sorti della guerra.”
Ryhana si accigliò.
“Sei sorpresa?” le chiese Ilyana.
Scosse la testa. “Non so cosa pensare.”
“Molti confratelli e consorelle sono già caduti per mano dei rinnegati e altri moriranno. Dobbiamo rinforzare i nostri ranghi se vogliamo respingere l’invasione e mettere fine al dominio di Malag. Tu non sei d’accordo?”
Ryhana si strinse nelle spalle.
“Trovi difficile pensare di combattere i rinnegati, dopo che li hai serviti per così tanto tempo?”
Devo rispondere, si disse. E da quello che dirò potrebbe dipendere la mia vita.
“Voglio fare la mia parte” disse, ripetendo una frase che Kaleena diceva ogni tanto.
“Molto bene” disse Ilyana con tono compiaciuto. “Continua ad addestrarla” aggiunse rivolgendosi a Grenn.
“Le insegnerò tutto quello che so” rispose lo stregone.
Ilyana lo salutò con un cenno della testa e uscì dalla sala. Solo allora Ryhana tornò a respirare come prima.
Grenn serrò la mascella. “Devi essere più prudente quando parli. Specie con Ilyana.”
“Mi spiace. Volevo solo essere gentile con lei.”
“Non è la gentilezza che le interessa, ma l’obbedienza. Ilyana ti ha concesso una seconda possibilità, non sprecarla.”
“Grenn” iniziò a dire.
Lui le rivolse un’occhiata comprensiva. “Anche io sto rischiando. Ho dovuto garantire per te che saresti stata una buona allieva e una strega leale.”
“Voglio davvero fare la mia parte” disse cercando di essere convincente.
Grenn le rivolse un mezzo sorriso. “È quello che tutti ci aspettiamo. Adesso vai a riposare.”
Tornò nella stanza e la chiuse a chiave.
Fare la mia parte, si disse mentre fissava in silenzio la finestra che affacciava sul cortile interno della fortezza. Ma qual è la mia parte?
Negli ultimi dieci giorni, tra l’addestramento e la paura che Ilyana ordinasse di chiuderla in una cella per processarla, aveva avuto poco tempo per pensare a cosa significasse tutto quello.
Mi stanno addestrando come se fossi una vera strega, si disse. Ma io non lo sono. Deve essere accaduto qualcosa, lì nel santuario. Qualcosa di brutto che mi ha cambiata.
Svestì la tunica e ne scelse una nuova tra quelle nell’armadio. Tolse anche gli stivali e infilò dei sandali aperti più comodi per i suoi piedi stanchi.
Vai a riposare, le aveva detto Grenn.
Si distese sul letto e chiuse gli occhi cercando di non pensare al posto in cui si trovava e a quante miglia dovevano separarla da Kaleena e il resto dell’armata di Malag.
Kaleena.
Non la rivedrò mai più, si disse. A quest’ora sarà fuggita lontano per mettersi in salvo. Deve essere così o sarebbe venuta ad aiutarmi quando siamo state separate e io sono andata con Sanzir. A meno che non sappia niente di quello che è successo e mi stia ancora aspettando al luogo convenuto per l’incontro.
Tormentata da quel pensiero si addormentò.
Quando aprì gli occhi, il sole era basso sull’orizzonte, segno che l’ora della cena era prossima. Non aveva fame, ma Grenn le aveva imposto di mangiare a ogni pasto possibile.
“Devi sempre essere nel pieno delle tue forze” le aveva spiegato. “Non puoi mai sapere quando ti serviranno tutte. Questa è una regola che devi tenere a mente.”
C’erano molte regole da imparare e lei era brava in quello.
Non saper leggere mi aiuta, si disse.
I pasti venivano serviti in una sala interna alla fortezza, vicino alle grandi cucine da cui proveniva sempre un gradevole profumo di pane appena sfornato, zuppa calda e carne arrostita sulle braci.
Mentre scendeva le scale che portavano al livello delle cucine, incrociò Khefra. La strega era rimasta alla fortezza mentre tutti gli altri del vecchio gruppo di Sofesia erano partiti per una missione congiunta.
Grenn le aveva detto che non sapeva il motivo per cui Sofesia non l’avesse portata con sé scegliendo Hargart e altri tre mantelli, ma Khefra doveva essere rimasta contrariata da quella scelta, anche se non lo mostrava.
Io lo sarei, si disse.
“Io ti saluto” disse con tono cortese.
Khefra la fissò per un istante come se la vedesse per la prima volta. “Che io sia dannata” disse. “Se non ti conoscessi, potresti passare per una di noi.”
Ryhana non sapeva se sentirsi offesa o gratificata da quella frase. “Grazie” si limitò a dire per non sembrare scortese.
Scesero le scale affiancate.
“Ho sentito che Grenn ti sta addestrando.”
Ryhana annuì.
“Sono sorpresa. Lui ha fatto da guida a molti giovani streghe e stregoni, ma pensavo che dopo l’incidente con Ederet avesse smesso.”
“Ederet?” chiese.
“Non ne sai niente?”
“No.”
“Pensavo che qualcuno te ne avesse parlato.” Il suo viso sembrò illuminarsi. “Che idiota che sono. Tu qui non conosci nessuno, a parte noi.” Sospirò. “Vuol dire che te ne parlerò io. Ederet arrivò qui un paio di anni fa. Era giovane, appena consacrato, ma con un talento grezzo e poca disciplina. Ilyana lo affidò a Grenn per farlo diventare uno stregone vero. ci vollero sei Lune ma alla fine sembrò che Grenn avesse avuto successo.” Scosse la testa.
“Che cosa è successo, dopo?”
“Grenn scoprì che Ederet frequentava qualcuno fuori dalla fortezza. Una ragazza di nome Zienda o qualcosa del genere. Non ci sarebbe nulla di male, lo facciamo tutti, ma Grenn si insospettì e seguì Zienda. La ragazza era una spia per conto dei rinnegati. Stava raccogliendo informazioni su di noi e quelli che si trovavano all’interno della fortezza. Grenn informò Ilyana e si offrì di catturare Zienda, ma lei ordinò che fosse Ederet a farlo. E che la uccidesse di persona.”
Ryhana deglutì a vuoto. “E lo fece?”
Khefra sbuffò. “Ovviamente no. Quell’idiota era davvero innamorato della ragazza, anche se probabilmente lei non lo aveva mai ricambiato davvero. Invece di andare a catturarla, tentò di farla scappare. Ilyana allora ordinò a un intero gruppo di catturarla. Grenn partì a sua volta e li raggiunse prima che Varkarl e gli altri li trovassero.”
“Che cosa accadde?”
“Lo puoi immaginare. Ederet affrontò Grenn per difendere Zienda e lui dovette ucciderlo. Fu un duello durissimo da quanto ho sentito dire. Persino Varkarl rimase stupito quando vide che cosa era rimasto di Ederet. Il cadavere era irriconoscibile.”
“E Zienda?” chiese cercando di non sembrare troppo apprensiva.
Khefra scrollò le spalle. “Non riuscirono a trovarla. Scomparve nonostante l’avessero cercata ovunque. Ilyana ha anche messo una taglia sulla sua testa, ma quella dannata spia deve essersi rifugiata nel territorio dei rinnegati. Ma non potrà nascondersi a lungo. Quando l’armata di re Alion riconquisterà quelle terre, non avrà altro luogo in cui nascondersi.”

 

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Capitolo 21
*** Nuovi compagni ***


Nuovi compagni

 
Il suono del corno la strappò al sonno con violenza. Saltò giù dal letto e infilò la tunica che aveva gettato sulla sedia e gli stivali lì accanto.
Uscì dalla stanza con la vista ancora annebbiata e si mosse nel buio a tentoni, anche se ormai conosceva la strada. Da quasi una Luna la percorreva nei due sensi almeno sei volte al giorno.
Conosceva ogni pietra, ogni svolta e ogni irregolarità del pavimento. Sapeva a che distanza si trovava ogni torcia o lampada a olio e ogni quanto la loro fiamma veniva rinnovata dagli inservienti.
E sapeva dove si trovavano le scale che portavano al livello inferiore, nell’ampia sala che i mantelli al comando di Ilyana usavano per radunarsi quando c’era una riunione.
Lei non era mai stata ammessa, ma Grenn qualche volta le aveva fatto un resoconto sommario di quello che si erano detti.
“Il prezzo della carne è aumentato” le aveva detto una volta. “Così Ilyana ha deciso di ridurre le razioni per rientrare nelle spese che possiamo sostenere. Questo ha creato un certo disappunto in Thirei, che si è messo a strepitare di non voler rinunciare alle sue amate costolette. Ollee ha suggerito di requisire tutta la carne essiccata in città, ma Ilyana ha ribattuto che non vuole inimicarsi i mercanti proprio ora che le vie commerciali sono pericolose. Alla fine, si è deciso di contattare un altro mercante, ma non sarà in città prima di una mezza Luna. Fino a quel momento dovremo accontentarci di qualche salsiccia ammuffita che è avanzata nei magazzini e sperare che non ci vengano i vermi.”
“Vermi?” aveva domandato disgustata.
Grenn aveva annuito divertito. “Vermi. Sono terribili, peggio che affrontare un evocatore di alto rango. Almeno per me. Li ho avuti due volte e non voglio provare di nuovo quell’esperienza. Finché non avremo carne fresca mi accontenterò di pane e verdure. Magari della frutta secca, se ne è avanzata.”
Ryhana si era incupita.
“Sembri delusa. Anche tu ami la carne come il povero Thirei tanto da non poterne fare a meno?”
“No” si era affrettata a dire. “Credevo che nelle riunioni discuteste della guerra. Di come sta andando.”
Aveva sperato di scoprire qualcosa su Kaleena, anche se ogni volta aveva paura che Grenn le avrebbe rivelato che c’era stata una battaglia e che lei era stata catturata o uccisa.
Era un pensiero che l’atterriva e che al tempo stesso le faceva paura, ma non poteva fare a meno di pensarci, neanche dopo che Khefra le aveva raccontato di Ederet e Zienda.
“La guerra non è una faccenda che ci riguardi” aveva risposto Grenn. “E re Alion non ci informa sui suoi piani. Quell’uomo non si fida di nessuno a quanto ho sentito dire sul suo conto. A parte forse Mire, la sua consigliera principale.” Aveva assunto un’aria pensosa.
“Khefra dice che ci sarà una battaglia.”
“Ne parlato tutti da Lune ormai. Re Alion ha radunato un’armata di mezzo milione di soldati e diecimila mantelli. Niente di mai visto prima d’ora, nemmeno al tempo dell’Impero di Berger e dei Trenta Tiranni. La sua idea penso sia quella di marciare contro i rinnegati e ricacciarli fino al Mare di Fuoco o alle Terre Desolate, o magari spingerli verso la Costa Dorata.” Aveva scosso le spalle. “Potrebbe fare qualsiasi cosa con una potenza simile.”
Ryhana non aveva idea di quanto fosse grande l’armata di re Alion e non riusciva a immaginare mezzo milione di persone in marcia.
Immersa in quei pensieri raggiunse la sala delle riunioni.
Grenn e Ilyana erano già lì e stavano parlando tra di loro. Dalla parte opposta, una ragazza dal mantello verde e oro li osservava con sguardo annoiato, mentre due uomini dal mantello blu scuro e arancio chiaro si mantenevano in disparte. Sotto una colonna, la schiena appoggiata alla parete, Khefra osservava tutti con espressione divertita.
Ryhana puntò verso di lei muovendosi con cautela.
“Ti sei svegliata, finalmente” disse la strega accogliendola con un mezzo sorriso.
“Ho fatto più in fretta che potevo” si giustificò.
“Dovrai fare meglio la prossima volta o ti perderai la missione.”
Ryhana la guardò incuriosita.
“Grenn e Ilyana ne stanno discutendo. Oggi usciamo.”
“Il corno?” chiese.
Khefra annuì con vigore. “È arrivato un messaggero da” sembrò esitare come se stesse richiamando alla memoria un ricordo lontano. “Caraufer, credo. Mi sembra che abbia detto proprio così. Tu lo conosci quel posto?”
Scosse la testa.
Khefra scrollò le spalle. “Non importa, Kont lo saprà di sicuro. Chiederemo a lui come al solito o a uno dei suoi assistenti. Li conosci già?”
Grenn gliene aveva presentato soltanto uno, un omaccione di mezza età che indossava un vistoso grembiule e aveva le braccia piene di tatuaggi. A parte questo, sottolineava qualsiasi frase con una specie di grugnito.
“Lui è Neber” aveva detto lo stregone presentandoglielo.
“Onorata di conoscerti.”
“Sì” aveva risposto Neber. “Pure io.”
“Neb si occupa di pozioni e filtri. Non lasciarti ingannare dai modi bruschi o dall’aspetto selvaggio, è un fine conoscitore di ogni erba, fiore e pianta da qui alla Costa Dorata e anche oltre.”
“Anche oltre, sì” aveva risposto Neber.
“E non sa parlare molto bene il nostro dialetto” aveva aggiunto Grenn a voce bassa.
Ryhana aveva sospirato. “Conosci i fiori? Anche io ho la passione per loro.” Aveva sorriso. “Mi piace coltivarli, curarli e anche crearne di nuovi. Non è facile ma mi da grandi soddisfazioni.”
E avrei creato un giardino con Kaleena dopo la fine della guerra, si era detta. Se non fossero arrivati quel monaco e il suo santuario.
Aveva ricacciato indietro quel ricordo prima che la nostalgia per qualcosa che non sarebbe mai più potuta esistere l’afferrasse e la costringesse a piangere.
“Niente passione” aveva risposto Neber. “E io i fiori non li coltivo. Li cerco. Li trovo. Li prendo e li sminuzzo prima di cuocerli e bollirli.”
“Certo” aveva risposto. “Ma io li trovo comunque molto belli. Tu no?”
Neber aveva grugnito più forte. “Fiori. Ne conosco alcuni che ti possono curare le ferite e altri che ti fanno venire i malanni. Se ti prendi mezza parte di Corno Demoniaco e lo mischi con una parte di Violetta di Malinor, lasci tutti in infuso per una giornata, poi ottieni una pozione che ti fa sanguinare fino alla morte se la bevi.”
“Lo terrò a mente” aveva risposto.
Neber aveva riso. “Fai bene.”
“Stava scherzando” aveva detto Grenn dopo che Neber si era allontanato. “Credo che i fiori gli piacciano, ma che non voglia che si sappia troppo in giro.”
“Perché?”
“Viene da Apronek.”
Ryhana lo aveva guardato interdetta.
“È un regno vassallo di Belliron, sul grande continente.”
Aveva scosso la testa.
Grenn aveva sospirato. “Lì gli uomini comandano in virtù della loro forza e vigore. Lottano costantemente tra loro in una specie di arena per conquistarsi il rispetto e l’onore. Non possono mostrarsi deboli dicendo di amare cose delicate come i fiori o gli animali domestici.”
“Che cosa stupida.”
Grenn aveva scosso le spalle.
“Tu sei d’accordo con lui?” gli aveva chiesto.
“A me i fiori piacciono. Non tantissimo, ma piacciono.”
“Non tantissimo?”
“Li apprezzo.”
Ryhana aveva sorriso. “E le donne di Apronek approvano il comportamento dei loro uomini? Non li ritengono stupidi?”
“Non lo so. Non ho mai parlato con una donna di Apronek.”
“Secondo me non sono affatto contente.”
“Come fai a dirlo? Ne conosci qualcuna di persona?”
“No” aveva risposto. “Ma è stupido combattere in un’arena per dimostrare di essere il più forte. Che senso ha?”
“Per gli Apronek è importante.”
Ryhana aveva sospirato.
“Eccoli che arrivano” disse Khefra facendola tornare con la mente alla sala delle riunioni.
Ilyana e Grenn si stavano avvicinando e con un gesto avevano richiamato l’attenzione dei due stregoni e della strega dall’altro lato.
“Vieni” disse Khefra. “Andiamo a sentire anche noi.”
Ilyana sembrò attendere che fossero riuniti lì vicino prima di parlare. “Tutti voi avete udito il suono del corno. Un messaggero è arrivato alla fortezza. Purtroppo, non ha portato notizie dei gruppi di Sofesia e Varkarl. Devono essere ancora lontani per comunicare con noi o forse non hanno scoperto niente di interessante. Mi aspetto loro notizie entro la prossima Luna ma non è questo di cui voglio parlarvi adesso. Grenn?”
Lo stregone annuì. “Karaumin” disse lo stregone.
“Karaumin, vero” disse Khefra sottovoce. “Ho quasi indovinato, giusto?”
Ryhana decise di non risponderle e restare concentrata su Grenn e quello che stava per dire.
“Non è una città né un villaggio” proseguì lo stregone. “Ma più un centro minerario. Viene usato solo durante la stagione secca perché nelle altre la strada che conduce alle miniere è impraticabile a causa delle piogge o della neve. C’è un villaggio a valle chiamato Castis. Ogni dieci giorni i minatori mandano un paio di carri per fare scorte di cibo e materiali da scavo. Di solito sono abbastanza regolari e anche l’ultimo viaggio lo è stato, tranne per un piccolo particolare.” Fece una pausa, come a voler far fissare quelle parole nelle loro menti. “I mercanti hanno intravisto qualcosa, nella boscaglia. Non sappiamo se il fuoco di un bivacco isolato o di un vero e proprio campo, ma sono certi di avere scorto almeno un mantello grigio.”
“Sono arrivati fin qui” disse uno degli stregoni con tono cupo. “Vuol dire che l’armata del rinnegato non è lontana.”
“Taci” disse la ragazza col mantello verde con tono perentorio. “Non vedi che il comandante non ha ancora terminato di parlare?”
L’uomo le rivolse un’occhiata furente. “Tu non mi dici di stare zitto, mezza strega di Nazedir.”
La ragazza rispose con un’alzata di spalle.
“Non abbiamo prove che l’orda sia arrivata in questa regione” disse Grenn. “Quello che sappiamo è che re Alion li sta impegnando a cinquecento miglia da qui. I messaggeri parlano di scaramucce e scontri isolati, qualche villaggio dato alle fiamme e un paio di fortezze minori espugnate, ma la battaglia vera si combatterà altrove.”
“Questo non spiega perché i rinnegati dovrebbero spingersi fin qui” disse di nuovo lo stregone di prima.
Anche Ryhana cominciava a trovare fastidiose le sue interruzioni. Voleva sapere cosa stava accadendo all’orda e quando e dove ci sarebbe stata la battaglia con i Malinor.
Kaleena potrebbe essere lì, si disse. Mentre io sono qui a perdere tempo invece di cercare di raggiungerla.
Aveva pensato di fuggire di notte. Non sarebbe stato facile uscire dalla fortezza senza farsi scoprire, ma aveva un piano per raggiungere almeno l’ingresso. Da lì in poi non sapeva come procedere. Non conosceva la città né quella regione ed era sicura che si sarebbe persa.
Ed era altrettanto sicura che Grenn e gli altri vigilanti sarebbero partiti alla sua ricerca.
Come era successo con Ederet, si disse.
Non aveva più fatto domande su quello che era accaduto allo stregone, né le aveva rivolte a Grenn. Non voleva saperlo ed evitare di pensarci la rendeva meno inquieta.
“È chiaro” stava dicendo Grenn. “Che deve esserci un motivo.”
“Sono sbandati” disse lo stregone.
“Non possiamo dirlo.”
“Te lo dico io. Ho dato la caccia a parecchi di loro prima di venire qui.”
La strega dal mantello verde fece una risatina.
Lo stregone le scoccò un’occhiata furente. “Che cosa hai da ridere tu? Ridi forse di me, ragazzina?”
La strega scrollò le spalle. “Vedo uno stregone adulto che cerca ogni scusa per non andare a dare un’occhiata a un villaggio di minatori.”
Lo stregone arrossì. “Ripetilo, ragazzina.”
“Io sarò anche una ragazzina, ma tu sei un vigliacco.”
Lo stregone fece per avventarsi su di lei ma la mano di Grenn gli afferrò il braccio. L’uomo impallidì e fece una smorfia.
“Lasciami” gli intimò.
“Prima calmati” disse Grenn von tono perentorio.
Lo stregone digrignò i denti. “Ti ho detto di lasciarmi.”
“Solo se mi prometti che non cercherai di aggredirla.”
Lo stregone si divincolò dalla presa con uno strattone. “Nessuno può ridere in faccia a Gunt Tobinic, soprattutto non una ragazzina di Nazedir.”
“Angotte ha diritto quanto te di essere rispettata” disse Grenn. “Siete entrambi buoni mantelli.”
Tobinic fece una smorfia. “Questo puoi dirlo per me, ma per quella lì? È troppo giovane per aver fatto qualcosa di importante.”
Angotte ghignò. “Non sono andata a nascondermi, è vero.”
Tobinic strinse i pugni. “La senti? Continua. Vuole proprio che le dia una lezione.”
“Ora basta” disse Ilyana con tono perentorio. “Non siete qui per duellare e io non amo gli scontri. Sono stati i vostri circoli a mandarvi, dietro mia richiesta. L’ordine dei Vigilanti necessita di rinforzi proprio per queste missioni di esplorazione. Il comandante Grenn avrà il comando e voi andrete a Karaumin per indagare. È probabile che si tratti solo di un falso avvistamento, ma ripulire la regione dai rinnegati sbandati è uno dei nostri compiti. Mi aspetto che facciate tutti la vostra parte.”
Girò loro le spalle e marciò fuori dalla sala.
“Sembrava arrabbiata” disse Ryhana a Grenn.
Lo stregone sorrise. “È il suo modo di fare.”
“Niente addestramento mentre starai via? Mi potrò riposare?”
“Niente affatto” rispose lo stregone. “Ti addestrerai per strada. Ilyana vuole che porti anche te in missione.”

 

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Capitolo 22
*** Nessun posto dove andare ***


Nessun posto dove andare

 
Khefra emise un sospiro rassegnato. “Questo posto è peggio di quanto immaginassi” disse mentre smontava da cavallo. Gli stivali affondarono nel fango fino alle caviglie e mentre sollevava una gamba fece una smorfia. “Non ha smesso di piovere nemmeno un giorno da quanto siamo arrivati.”
“Adesso non piove” disse Grenn.
Ryhana si strinse nella mantellina. Era zuppa e umida, come tutto quello che aveva addosso. Anche i vestiti nella sacca legata al dorso del cavallo erano zuppi.
Dei, l’acqua deve essere entrata fino alle ossa, si disse.
Decise di non lamentarsi davanti a Grenn.
Khefra era l’unica che lo facesse ma svolgeva le sue mansioni con efficienza. La sua vista era la migliore e quando faceva luccicare gli occhi poteva vedere a distanze che gli altri non potevano raggiungere.
 A parte Angotte.
La strega sembrava a suo agio nella foresta.
“Somiglia a quella che abbiamo noi a Nazedir” aveva detto durante una sosta per far rifiatare i cavalli. “Ma più piccola e meno selvaggia.”
Khefra aveva sgranato gli occhi per la sorpresa. “Gli Alfar. Li hai mai visti?”
Angotte aveva scosso la testa. “Quei demoni vivono ben nascosti, sulle loro case sospese.”
“Sospese?” aveva chiesto Ryhana.
Angotte aveva annuito. “Fanno le loro case sugli alberi. Pochi le hanno viste ma è così.”
“Che sciocchezza” aveva detto Sofion, l’altro stregone che li accompagnava. Il suo mantello era azzurro scuro con fregi color verde. Erano disegni strani che Ryhana non riusciva a seguire e sembravano cambiare ogni volta.
Solo dopo un paio di giorni aveva capito che erano parole e aveva smesso di farci caso.
“Ti dico che è così” aveva detto Angotte col solito tono sufficiente.
“Tu le hai viste di persona?” le aveva domandato Gunt.
“No” aveva risposto la strega.
“Conosci qualcuno che le ha viste?”
“No.”
“Allora ha ragione Sofion. Sono tutte sciocchezze. Leggende che la tua gente racconta per spaventare le ragazzine.” Aveva sogghignato insieme all’altro stregone.
Angotte lo aveva fissato accigliata. “Idiota” aveva detto mentre si alzava di scatto.
Gunt aveva reagito puntando i piedi nel terreno, ma si era rilassato quando aveva visto la ragazza allontanarsi. “Stupida ragazzina” aveva sussurrato tra i denti.
“Quei due non si sopportano” le aveva sussurrato Khefra quando erano rimaste da sole davanti al bivacco.
Ryhana si era limitata ad annuire.
“Chissà se esistono davvero. Gli Alfar, intendo.”
Non ne aveva mai sentito parlare fino a quel giorno.
“Vivere sugli alberi deve essere strano. Tu che ne pensi?”
“Non lo so. Io vivevo in una casa vicino al fiume, al mio villaggio.”
“Sul serio? Racconta. Mi interessa.”
Ryhana si era accigliata.
“Ho sempre voluto vivere vicino a un fiume.”
“È una gran seccatura” le aveva detto.
Khefra l’aveva fissata come in attesa che proseguisse.
“Quando pioveva molto il fiume si ingrossava e l’acqua arrivava fino alle case.”
“Non avevate degli argini o qualcosa del genere?”
“L’acqua li buttava giù ogni volta che pioveva più del previsto. Una volta ne cadde così tanta che il fiume si portò via la casa del povero Isabuc.”
“Che vuoi dire con se la portò via?”
“L’acqua strappò la casa dal terreno e la trascinò a valle.”
“E Isabuc?”
Ryhana aveva scosso la testa. “Non lo trovarono mai più.”
Khefra aveva sospirato. “Forse non mi piacerebbe così tanto vivere vicino al fiume. Ma tanto non succederà.”
“Perché?”
La strega aveva sorriso triste. “Non lascerò mai l’ordine dei Vigilanti. Vivrò con loro finché non morirò.”
“Ti piace stare qui?”
“Lo detesto” aveva risposto la strega. “Ma non potrei andare da nessun’altra parte. Chi mi vorrebbe?”
“La tua famiglia?”
“Mia madre è morta e per mio padre è come se fossi morta io. Mi odia.”
“Non è giusto” aveva detto Ryhana cercando di mostrarsi comprensiva.
“Invece ha ragione a odiarmi” aveva risposto Khefra. “Dopo quello che ho fatto, chiunque mi odierebbe.”
“Che cosa hai fatto di così terribile?”
Khefra l’aveva guardata con espressione interdetta. “Non ti hanno detto niente?”
Aveva scosso la testa.
“Nemmeno Grenn?”
“Non mi parla di voi e io non gli chiedo niente.”
“Sei riservata” aveva detto Khefra. “È una qualità che apprezzo molto.” Si era alzata stiracchiandosi. “Tra poco sarà il mio turno di fare la guardia. Se non ti spiace vorrei riposare un po’ prima di iniziare.”
“Certo” aveva detto Ryhana. Voleva chiederle perché suo padre la odiava, ma aveva deciso di tenere per sé quella domanda.
Gliela farò un’altra volta, si era detta.
Ora, mentre la guardava scegliere un buon posto di osservazione, si chiedeva ancora quale fosse quel motivo.
Deve aver fatto qualcosa di davvero terribile, si disse. Se suo padre la odia.
Suo padre non l’aveva mai odiata.
O almeno non me l’ha mai detto, pensò.
Lavorava parecchio e stava poco a casa. Lei e sua madre vivevano da sole per quasi tutto l’anno e lui tornava per un paio di Lune, quando il tempo era brutto e le vie commerciali chiudevano.
Di solito, quando tornava le portava qualche regalo, come una mantellina o un paio di stivali nuovi o usati poco che aveva trovato in qualche mercato.
Non parlava dei suoi viaggi.
“Sono noiosi” diceva di solito quanto lei gli domandava qualcosa. “Fare la scorta a quei dannati mercanti è la cosa meno eccitante del mondo. Passi un sacco di tempo in sella o davanti a qualche bivacco in un posto sperduto, con persone che conosci appena e che magari nemmeno ti piacciono.” A quel punto scuoteva la testa. “Voi invece che mi raccontate della vivace vita qui al villaggio? Quanti cuccioli sono nati a Ceolin questa estate? È vero che Helgicia si è sposata? Non è un po’ troppo presto dopo che il povero Emuin è morto?”
Grenn smontò a sua volta e seguì Khefra. “Scegli con calma.”
La strega annuì.
“Non capisco il motivo di fermarci proprio adesso” disse Gunt. “Tra meno di mezza giornata potremmo essere al villaggio, magari ad asciugarci davanti a un focolare caldo e mangiare carne fresca invece di quella robaccia.”
“Quella robaccia viene dai magazzini dell’ordine” l’ammonì Angotte.
“Non ho chiesto il tuo parere.”
“E io ti sto dicendo di moderare le parole.”
Gunt la fissò accigliato.
“Grenn è nervoso” disse Ryhana.
Durante l’addestramento, aveva imparato a riconoscere qualche segno. Lo stregone parlava sempre con calma e a voce bassa, ma a volte la sua espressione era incrinata, come se un ricordo passeggero avesse aleggiato nella sua mente per qualche istante prima di dissolversi.
Non gli capitava spesso, ma una volta era rimasto assorto a fissare un arazzo per qualche istante, anche se lei lo stava chiamando per mostrargli come era riuscita a evocare in fretta un dardo magico.
Lui si era voltato di scatto e per un istante le era parso che volesse attaccarla. La sua espressione era mutata in fretta e gli occhi, da che erano sgranati, erano tornati quelli di sempre.
“Bene” le aveva detto. “Ora prova a farlo mentre ti muovi ed eviti qualche ostacolo.”
Sofion smontò con un gesto agile. “Ho bisogno di fare due passi” annunciò.
Grenn si voltò di scatto. “Ti ho detto forse di scendere?”
Lo stregone si fermò. “No, ma…”
“Allora stai al tuo posto.”
“Volevo solo camminare un po’.”
“Non ora” disse Grenn con tono perentorio. Si voltò verso Khefra.
La strega era salita su un’altura e stava guardando verso un punto a oriente.
“Che cosa vedi?” le chiese Grenn.
“Alberi. E il sentiero.”
“Guarda oltre.”
Gli occhi di Khefra scintillarono. “Case. Una dozzina in tutto. Il sentiero finisce lì.”
“Deve essere Castis” disse Gunt. “Che scoperta interessante” aggiunse con aria di supponenza.
“Zitto” fece Angotte.
“Vai agli inferi” rispose lo stregone divertito.
“Cos’altro vedi?” le chiese Grenn.
Khefra scrollò le spalle. “Niente. A parte le case, un pozzo e un recinto per i cavalli.”
“Fumo che esce da qualche camino?”
“Non mi pare.”
Grenn guardò verso l’alto. Il sole era coperto dalle nuvole grigie ma da uno spiraglio filtravano dei raggi. Indugiò per qualche istante su quella immagine perché la trovava bella.
Nel frattempo, Grenn era tornato al suo cavallo. “Anche tu, Khefra.”
“Come vuoi” disse la strega.
“Sei preoccupato?” chiese a Grenn.
Lui serrò la mascella. “Lo sembro?”
Ryhana annuì. “Che cosa ha visto Khefra?”
“Che cosa non ha visto, è la domanda giusta” rispose Grenn.
Ryhana lo guardò accigliata.
“Avanziamo con prudenza” disse lo stregone. “Io e Angotte in testa, Gunt sul fianco sinistro a una ventina di passi di distanza e Sofion su quello destro. Khefra e Ryhana in coda a guardarci le spalle.
Angotte affiancò Grenn mentre gli altri due stregoni si disponevano sui lati. Khefra la raggiunse e insieme avanzarono per il sentiero.
“Non vi distraete. Se notate qualcosa di strano, qualsiasi cosa, non abbiate paura di sbagliarvi e fare una brutta figura” disse Grenn. “Parlo anche per te, Ryhana.”
“Ho capito” rispose. Osservò Khefra che si guardava attorno con espressione serena. “Non l’ho mai visto così preoccupato.”
“È normale. Quando hai il comando, intendo. Non vuoi che succeda qualcosa di brutto ai tuoi mantelli.”
“Che cosa hai visto a Castis?”
“L’hai sentito anche tu, no? Case, un pozzo, niente fumo dai camini. Si vede che ai bravi abitanti del villaggio piace mangiare solo cibi freddi.”
“Tutto questo è inutile” disse Gunt. “Così impiegheremo un giorno intero per arrivare a Castis.”
Angotte si girò verso lo stregone e mosse le labbra, ma Ryhana non udì le parole. Una fitta le trafisse la testa e vacillò mentre lottava per non finire a terra, le mani serrate sulle briglie.
“Tutto bene?” sentì dire a una voce, ma non sapeva da che punto venisse e chi avesse pronunciato la domanda.
“Io” fece per dire. “Non so. Mi sento confusa.”
Il mondo vorticò attorno a lei costringendola ad abbassarsi e cercare il contatto col collo del cavallo. Abbracciò la bestia che reagì scuotendosi un poco. Una mano le strinse il braccio.
“Si sente male” sentì dire a Khefra.
Vide Grenn voltarsi verso di lei.
“È stata una cattiva idea” stava dicendo Gunt. “Portarla con noi.”
Stava per dirgli che si sentiva già meglio, quando un grido risuonò sopra le loro teste. Ryhana si girò di scatto e vide un’ombra passare accanto a Khefra e poi gettarsi contro Sofion.
Lo scontro fu così violento che strappò lo stregone dalla sella e lo gettò a terra. L’ombra sembrò torreggiare sopra di lui e in quel momento Ryhana ebbe la fugace visione di un viso alterato dalla rabbia, gli occhi sgranati e iniettati di sangue e due zanne che sporgevano dai due lati della bocca.
Fece per dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola quando vide l’ombra abbassarsi e azzannare la gola di Sofion.

 

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Capitolo 23
*** Peggio di quanto pensassi ***


Peggio di quanto pensassi

 
Il grido la scosse dal torpore e le fece dimenticare la fitta e il capogiro. Khefra lasciò il suo braccio ed evocò lo scudo magico.
A terra, Sofion agitava le gambe mentre la figura che gli era balzata addosso stava facendo qualcosa all’altezza della sua gola.
Ryhana si sporse per guardare meglio e vide che aveva le fauci spalancate e le zanne infilate nella gola dello stregone.
“Dannazione” gridò Angotte scagliandosi contro la figura. La colpì al fianco scagliandola via per una decina di passi. Sbatté con la schiena contro un albero e rimbalzò indietro, rimettendosi in piedi con un gesto agile.
“Attenta” gridò Grenn. “Mutaforma.”
Angotte evocò una lama magica nella mano sinistra e lo scudo in quella destra. “Vieni” incitò la figura.
Come un animale, l’aggressore si mise a quattro zampe e la fissò con le fauci spalancate. Un rivolo di sangue le era colato lungo il mento imbrattandole il collo e il seno.
Ryhana sgranò gli occhi quando si rese conto che era una donna ed era nuda dalla cintola in su. Solo un paio di pantaloni di tessuto grossolano nascondevano il resto, mentre i piedi erano scalzi e neri per la sporcizia. Ed erano anche macchiati di sangue.
Il torso e il viso erano scuri per la sporcizia e i capelli, scuri e unti, formavano una massa disordinata che ricadeva in ciocche sul collo e le spalle della donna.
Solo gli occhi, spalancati e di un bianco che spiccava sul resto, spezzavano quella monotonia. Le pupille erano di un marrone chiaro e si spostavano di continuo, senza soffermarsi su nessuno di loro in particolare.
Gunt era saltato giù e aveva evocato due dardi magici, uno per ciascuna mano. “Ammazziamola.”
“No” disse Grenn. “Ci serve viva. Se possibile.”
“Agli inferi” esclamò Gunt e puntò entrambe le braccia verso la donna. Esplose i dardi ma lei si mosse in fretta e scartò di lato. Lo stregone ne evocò altri due e li puntò alla schiena dell’obiettivo.
I due proiettili la raggiunsero ed esplosero in una cascata di scintille.
“Ha lo scudo” disse Gunt serrando la mascella.
La donna si immerse nella boscaglia facendo frusciare le piante.
“Dobbiamo ritrovarla” disse Grenn muovendosi verso lo stesso punto. “Gunt. Angotte. Voi venite con me. Khefra, tu e Ryhana occupatevi di Sofion. Portatelo al villaggio insieme ai cavalli e trovate qualcuno che si occupi di lui. Intesi?”
“Sì” rispose Khefra.
I tre sparirono nella boscaglia e il sentiero tornò silenzioso.
Khefra andò da Sofion e si inginocchiò al suo fianco. “Dannazione” disse.
Ryhana la raggiunse e lanciò una rapida occhiata allo stregone. Aveva le mani strette intorno al collo ed erano inzuppate di sangue. Anche la tunica e il mantello alle sue spalle erano macchiati di rosso.
“Vivrà?” le chiese.
“Non lo so, ma più tempo passiamo a chiedercelo senza fare qualcosa, meno possibilità avrà. Prendi la mia sacca, per favore.”
Ryhana ubbidì e andò al cavallo della strega, prese la borsa che aveva attaccato al fianco della sella e la portò alla strega.
Khefra la prese e frugò all’interno fino a trovare delle bende. Si rivolse a Sofion. “Devi togliere le mani per farmi vedere quanto è profonda la ferita.”
Lo stregone gorgogliò qualcosa.
Khefra gli prese le mani e le allontanò con delicatezza. Sotto, la carne era maciullata e rossastra e si intravedeva qualcosa di bianco e fibroso oltre di essa.
“Dannazione” sibilò la strega tra i denti. “Non sembra aver lacerato una vena o la gola. Riesci a respirare?”
Sofion annuì, gli occhi sbarrati.
“Forse vivrai se la ferita non si infetta, ma non so se riuscirai più a parlare come prima.” Si girò verso Ryhana. “Non che prima parlasse molto o dicesse qualcosa di importante.”
Prese una benda e la poggiò sulla ferita.
Sofion rabbrividì, il corpo scosso da un tremore.
“Brucia, lo so, ma non la farà infettare. Per il momento. Ora cerchiamo di farla stare al suo posto.”
Prese un pezzo di stoffa dalla borsa e lo avvolse attorno al collo di Sofion per quattro o cinque volte.
“Non posso stringere troppo o potrei soffocarti, ma nemmeno posso farlo troppo largo o la benda non servirà a niente. Aiutami a tenergli la testa sollevata” disse a Ryhana.
Si inginocchiò a destra dello stregone e gli sollevò la testa con delicatezza. Sofion reagì con un gorgoglio ma non si oppose.
“Potresti darmi un consiglio” disse Khefra. “Non eri una guaritrice, una volta?”
“Mescolavo pozioni, non curavo queste ferite.”
“E chi lo faceva?”
“Si chiamava Anazi. E altri due che lo aiutavano.”
Khefra scosse la testa. “E non ti hanno insegnato niente?”
“No” rispose. “Non ce n’era bisogno, credo.”
“Per fortuna, qualcuno ha insegnato a me.” Fece un ultimo giro attorno al collo di Sofion e tirò un capo della benda affinché aderisse col resto. Da una tasca interna del mantello tirò fuori una spilla e la usò per assicurare la benda. “Dovrebbe reggere fino al villaggio. Adesso devi darmi una mano a rimetterlo in sella. Pensi di riuscirci?”
Annuì.
“Te lo chiedo perché prima sembravi sul punto di crollare a terra.”
“Ora sto bene.”
“Hai avuto un capogiro?”
Annuì di nuovo.
“Come a Elnor?”
“Sì.”
“Forza” disse Khefra prendendo Sofion sotto le ascelle. “Tu afferralo per le caviglie.”
Ryhana ubbidì e lo sollevarono. Dapprima le sembrò pesante, ma concentrandosi il peso dello stregone sembrò diminuire.
È leggero, si disse, anche se è il doppio di me.
Lo trasportarono fino a uno dei cavalli e fecero per sollevarlo, ma Khefra quasi perse l’equilibrio.
“Dannazione” disse la strega. “Non ce la faremo mai in due.”
“Lascia provare me” si offrì Ryhana.
Khefra la guardò accigliata. “È troppo pesante. Lo farai cadere e tutti i miei sforzi saranno stati inutili.”
“Fidati. Sento di potercela fare.”
Sentiva la forza fluire dentro di sé come un formicolio sotto la pelle, nei muscoli e nelle ossa. Era una sensazione strana ed eccitante allo stesso tempo e ne era turbata.
Khefra scosse le spalle e appoggiò Sofion con le spalle a terra.
“Tieni fermi il cavallo” disse Ryhana posizionandosi dietro lo stregone.
Khefra afferrò le briglie. “Sbrigati, qualsiasi cosa tu voglia fare.”
Ryhana inspirò a fondo e passò le mani sotto il corpo di Sofion. Di nuovo, quella sensazione di formicolio nelle braccia e il corpo dello stregone che le sembrava leggero, quasi privo di consistenza. Lo sollevò senza alcuno sforzo, reggendolo con entrambe le mani. Facendo attenzione a non agitarlo troppo mise un piede in una staffa e fece perno su questo per sollevarlo fino alla sella e adagiarcelo sopra con delicatezza.
“Usiamo la corda per legarlo” disse Khefra.
La strega passò uno dei capi sotto la pancia del cavallo e assicurò l’altro alla sella. “Vado io con lui” disse issandosi a sua volta. “Tu raduna i cavalli per portarli al villaggio. Sai come fare, no?”
Ryhana annuì. Prese una corda e la usò per assicurare i cavalli di Grenn e Angotte al suo. Usò una seconda corda per assicurare quelli di Sofion e Gunt a quello di Khefra.
“Andiamo” disse la strega schioccando con delicatezza le redini.
Ryhana saltò in sella e si piazzò dietro di lei per coprirle le spalle.
Si fermarono solo una volta lungo il sentiero per controllare la ferita di Sofion e assicurarsi che la benda non si fosse spostata.
“Non perde più sangue” annunciò Khefra.
Sofion però aveva gli occhi chiusi e respirava a fatica.
“Sta male” disse Ryhana.
“Ha la gola squarciata” rispose Khefra. “È già molto che sia sopravvissuto.” I suoi occhi puntarono verso il sentiero e scintillarono.
“Hai visto qualcosa?” le domandò preoccupata.
Il pensiero che la donna dalle zanne ricurve avesse sopraffatto Grenn e gli altri e fosse tornata indietro per eliminare anche loro l’atterriva.
Cercò di scacciarlo concentrandosi sulla strada che ancora restava loro da fare.
Khefra scosse la testa. “La mia vista speciale funziona meglio da lontano che da vicino, ma è meglio di niente, no? Potrei scorgere qualcosa che ci è sfuggito.”
Il sentiero proseguiva tagliando in due la foresta e terminava tra due colline che formavano una gola naturale. Oltre di esso scorse un paio di case di legno.
“È il villaggio” disse con sollievo. “Siamo arrivate.”
Khefra tirò le redini. “Aspetta. Avanziamo senza fretta.”
“E Sofion? Non dobbiamo portarlo da un guaritore?”
“Dubito che un posto come questo ne abbia uno” disse la ragazza. “Sembra piuttosto tranquillo e silenzioso, non credi?”
Ryhana si strinse nelle spalle.
“Vai tu avanti” disse la strega. “Io ti seguo con Sofion.”
Lo stregone emise un debole lamento e alzò un braccio.
“Dovrai resistere ancora un po’” disse Khefra. “Dobbiamo essere sicuri che non ci sia qualcuno ad aspettarci oltre quelle colline.” Guardò Ryhana. “Vai, su. Vediamo quanto è stato bravo Grenn ad addestrarti.”
Ryhana trasse un sospiro e fece schioccare le redini. Mentre guadagnava velocità, si chiese se non ci fosse davvero qualcuno in agguato oltre la gola.
Perché attaccarci adesso? Si chiese mentre si infilava tra le due alture, accompagnata dal suono degli zoccoli sul terreno battuto. Potevano aggredirci miglia fa, quando eravamo sul sentiero e c’erano più posti utili per un agguato.
Forte di quella sicurezza si lanciò al galoppo e superò le colline, sbucando in una conca naturale. La prima cosa che notò furono le due case di legno che sorgevano poco oltre. Le finestre erano spalancate e vuote. Sembravano fissarla in silenzio.
Tirò le redini costringendo il cavallo a rallentare e infine a fermarsi.
Così sono troppo scoperta? Si chiese. Devo smontare e proseguire a piedi o continuare a cavallo?
Gettò un’occhiata al centro del villaggio. Lì le case erano una ventina, divise da un paio di strade che si incrociavano in una piazza a forma di stella a quattro punte.
Al centro vi era un pozzo e vicino un carro rovesciato sul fianco. L’insegna sull’entrata di un edificio di due livelli ondeggiava al vento. C’era un mucchio di vestiti che sembrava essere stato messo lì senza alcun motivo.
Si diresse verso il pozzo al piccolo trotto, girando la testa di lato per osservare quello che aveva intorno. La porta di una baracca sbatté facendola sussultare e quando raggiunse il pozzo fece fermare il cavallo e smontò con un gesto agile.
D’istinto andò al pozzo e vi gettò una rapida occhiata dentro. Fissò il buio per qualche istante prima di ritrarsi. Dall’altra parte della strada una figura a cavalo avanzò verso di lei.
Era Khefra con Sofion ben stretto tra le braccia.
Ryhana le andò incontro. “Che cosa ne pensi? Sembra disabitato qui.”
La strega si guardò attorno con sguardo accigliato. “È peggio di quanto pensassi. Molto, molto peggio.”

 

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Capitolo 24
*** Il villaggio dei dannati ***


Il villaggio dei dannati

 
Aiutò Khefra a mettere giù Sofion e poi a trasportarlo in una delle case. Dovettero sfondare la porta per entrare e sistemarlo su di un giaciglio.
“Il proprietario non si arrabbierà con noi?” chiese a Ryhana.
La strega fece spallucce. “Protesterà con Ilyana. Forse. Io però non credo che tornerà molto presto. E forse non tornerà affatto, come tutti i suoi compaesani.”
“Dove saranno tutti secondo te?”
“Non ne ho idea, ma qui attorno devono esserci parecchi posti dove nascondersi.”
“Credi che si siano nascosti?”
“Lo spero per loro.”
“E se non sono scappati?” le chiese.
“Vuol dire che sono morti.”
Ryhana deglutì a vuoto. “Avremmo dovuto trovare i loro corpi.”
La strega annuì. “È vero. qualcuno allora li avrà portati via.”
Ryhana non riuscì a capire se dicesse sul serio o si stesse prendendo gioco di lei.
Khefra si chinò vicino a Sofion. “Mi spiace, non posso fare ancora molto per te, ma spero che in questo buco si sia qualche pozione da poterti dare.”
Sofion rispose con un debole lamento. Aveva la pelle del viso color cenere e gli occhi cerchiati di nero.
“Non sta molto bene” disse Ryhana.
“Te ne sei accorta? Sta morendo, dannazione e noi non possiamo fare molto.”
“Forse ci sono delle pozioni qui in giro.”
“Chissà dove sono.”
“Le case non sono tante. Mentre tu rimani con Sofion, io potrei esplorarle.”
“Chi ti assicura che troverai quelle pozioni?”
“So riconoscerle. Le fabbricavo quando ero al campo dei rinnegati, ricordi?”
“Mi ricordo che ci hai anche detto che non avevi i poteri e invece sei una strega.”
Ryhana la guardò interdetta.
“Potresti averci mentito anche sul campo dei rinnegati. Magari sei una spia.”
“Non ti fidi di me?” le chiese dispiaciuta.
Khefra sospirò. “Per niente, ma che alternative ho?”
“Non scapperò via” disse Ryhana. “Voglio fare qualcosa di utile per Sofion, te lo giuro.”
“Allora vai e trova quelle dannate pozioni.”
Ryhana uscì dalla baracca e raggiunse il pozzo. Da quel punto poteva osservare l’intero villaggio ruotando su sé stessa. La strada principale era larga una trentina di passi e aveva il maggior numero di case. Ne contò una dozzina, compresa quella dove avevano portato Sofion. Lungo l’altra strada, larga quindici passi, contò otto edifici, di cui uno a due livelli.
Deve essere un posto importante, si disse.
L’ingresso era spalancato e qualcuno, nella fuga, aveva disseminato le scale che portavano al portico di frutti che adesso erano marciti. File di formiche stavano ripulendo in fretta insieme a mosche e scarafaggi.
Ryhana camminò cercando di evitarli ed entrò nell’edificio. L’odore di carne andata a male le aggredì le narici e la fece bloccare sulla soglia.
Carne marcita, si disse. Non è un buon segno. Chi lascerebbe la carne prima di andarsene? Io mi porterei dietro tutto quello che posso.
Il livello basso era una sala rettangolare larga una trentina di passi e profonda cinquanta. Travi di legno laccato sostenevano il soffitto da cui pendevano i ganci per appendervi le lampade a olio.
Tavoli di forma quadrata erano stati disposti a distanze regolari attorno al forno centrale, il cui camino di pietra si innalzava oltre il soffitto.
Passandovi accanto notò che era aperto e all’interno c’erano delle forme di pane ridotte in cenere vicino a dei ciocchi di legno anneriti dal fuoco.
Hanno lasciato il forno accesso e sono andati via, si disse. Chi mai lo farebbe se non avesse una grande fretta?
Il fondo della sala era occupato da un banco di legno dietro al quale erano sistemati degli scaffali. Su ognuno di essi erano allineate bottiglie senza un’etichetta.
Ryhana ne osservò un paio controluce per capire che cosa ci fosse dentro. Un liquido dal colore rosso screziato danzò davanti ai raggi del sole che stava tramontando. Tolse il tappo di sughero e annusò.
Vino, si disse. È ancora buono, ma non sarà di alcun aiuto al povero Sofion. Pozioni, ecco cosa devo cercare.
Adocchiò le scale che portavano al livello superiore, dove un corridoio che correva lungo il centro collegava una dozzina di stanze più piccole.
Deve essere stata una locanda piuttosto affollata, si disse.
Tutte le porte erano spalancate verso l’esterno, come se gli ospiti fossero andati via senza curarsi delle cose che avevano all’interno.
Passando davanti a una stanza gettò una rapida occhiata all’interno. Il giaciglio era disfatto ma il resto sembrava in ordine. L’unico baule era chiuso e accanto a esso vi era una sacca di pelle.
Prenderò solo pozioni, si disse mentre frugava al suo interno. Ne tirò fuori una coperta di lana, un libro che rimise al suo posto e un paio di guanti di pelle nera.
Sospirò e lasciò la stanza dopo aver rimesso al suo posto la sacca.
Nel caso i proprietari dovessero tornare, pensò.
Passò il resto del tempo frugando nelle altre stanze. Guardò nei bauli e negli armadi e persino sotto i giacigli. Rovistò persino in una fioriera e rovesciò un paio di vasi.
Tornando di sotto immersa nei pensieri, uno schiocco improvviso la fece trasalire. Evocò lo scudo magico nella mano sinistra e un dardo in quella destra.
“Sei stava veloce” disse una voce proveniente dal basso. “Ma non altrettanto attenta.”
Si sporse con prudenza per vedere chi aveva parlato e scorse una figura ferma sull’ingresso, le mani inquartate nei fianchi.
“Grenn?” chiese incerta.
Lui fece un passo avanti rivelando il suo volto. “Khefra ha detto che eri andata a cercare delle pozioni, ma che probabilmente eri scappata via per tornare dai tuoi amici rinnegati. Ho scommesso una moneta che invece eri rimasta e ho vinto” concluse sorridendo.
Ryhana si rilassò e fece sparire gli incantesimi. “Non c’è niente di utile qui. Forse avrei dovuto iniziare dalle baracche più piccole.”
“Hai fatto bene invece” disse Grenn. “Io avrei iniziato dalla locanda del posto.”
“Da quando sei tornato?” gli chiese raggiungendolo di sotto.
“Poco fa.”
“E quella donna? L’avete catturata?”
“Scomparsa nei boschi, ma la ritroveremo. Quell’assassina non ci sfuggirà.”
Ryhana si accigliò.
“Scusa, dovevo dirtelo subito. Sofion è morto poco dopo che siamo arrivati.”
 
“Eccoli” disse Gunt indicandoli col braccio teso.
Angotte alzò la testa e le rivolse un’occhiata fugace, mentre Khefra arrossì.
“Ti chiedo scusa” disse quando li raggiunse. “Ti avevo giudicata male.”
Ryhana scosse la testa.
“A mia discolpa posso solo dire che ero molto scossa per Sofion.”
“Non ti devi scusare” disse Ryhana.
Anche se mi hai dato della traditrice, si disse.
“Dobbiamo dare la caccia a quella bastarda” disse Gunt. “Sofion era una brava persona e non meritava di morire in quel modo.”
“Se può farti star bene” disse Khefra. “Se n’è andato serenamente. La benda che ho usato era imbevuta di pozioni lenitive.”
“Non mi fa stare affatto meglio” disse lo stregone battendo a terra un piede. “Niente affatto.” Guardò Grenn. “Che vuoi fare?”
Lo stregone si guardò attorno. “Voglio capire che cosa è successo qui” disse, la fronte corrugata.
Gunt strabuzzò gli occhi. “Che cosa dici?”
“Guardati attorno” disse Grenn. “Un intero villaggio è sparito.”
“E che vuoi che me ne importi? Uno dei nostri, un vigilante di alto rango, è stato ucciso da una rinnegata” gridò Gunt.
“Abbassa la voce” disse Grenn.
“Niente affatto” ribatté l’altro. “Voglio andare a cercare quella maledetta.”
“Lo faremo.”
“Quando?”
“Non appena avremo capito che cosa è successo agli abitanti di Castis.”
Gunt scosse la testa. “Ho capito. Farò da solo.” Fece per avviarsi verso uno dei cavalli.
“Non ti ho ordinato di muoverti” disse Grenn.
Lo stregone non rallentò il passo.
“Se prendi quel cavallo, sarai un disertore.”
Gunt afferrò le redini. “Chi di voi viene con me?” chiese agli altri.
Ryhana e Khefra guardarono Grenn, mentre Angotte non smise di fissare Gunt.
“Non fare lo stupido” disse la strega di Nazedir. “Grenn ha ragione.”
Gunt strinse le redini. “Sofion era uno di noi e voi non volete nemmeno provare a vendicarlo.”
“Lo scopo del nostro ordine non è la vendetta” disse Grenn. “In questo villaggio è successo qualcosa di brutto, puoi capirlo da solo. E credo che abbia a che fare con quella mutaforma. Se scopriamo che cosa è successo a Castis, sono sicuro che scopriremo dove è andata a nascondersi quella dannata assassina.”
Gunt sembrò rifletterci sopra. “Dannazione” disse lasciando le redini. “Io non sono affatto sicuro quanto te.”
“Vieni” disse Grenn. “Diamo un ultimo saluto a Sofion e seppelliamolo. Dopo decideremo che cosa fare.”
Gunt e Khefra scavarono una buca dopo che Grenn aveva indicato un punto a un centinaio di passi dalla baracca più esterna.
Lei e Angotte erano rimaste di guardia a scrutare nella boscaglia mentre Grenn osservava il pozzo.
“Secondo te che cosa è successo?” le chiese per rompere il silenzio.
Non aveva parlato molto con la strega durante il viaggio. Lei, Gunt e Sofion se ne stavano per proprio conto e parlavano solo con Grenn.
Angotte scrollò le spalle. “Non ho mai visto una cosa del genere. Non saprei dirti.”
“Secondo te sono morti tutti?”
“Finché non vedrò i loro cadaveri, penserò che sono vivi.”
“Dove?”
“Dove potrebbero nascondersi due o trecento persone secondo te?”
“Non lo so” rispose. “Mi dispiace per Sofion.”
“Non l’hai ucciso tu.”
“Lo so. Quella mutaforma. Che cos’era? Non ho mai visto quel potere.”
“È raro” disse Angotte. “Solo un mantello su diecimila lo possiede. Siamo stati molto sfortunati a trovarne una proprio qui.”
Ryhana annuì.
Mentre parlavano, Gunt e Khefra avevano calato il corpo di Sofion nella buca. Lo stregone era stato avvolto nel suo mantello e in un lenzuolo bianco preso da una delle baracche abbandonate.
Grenn si avvicinò al fosso e vi gettò una rapida occhiata. “Credeva nell’Unico o negli antichi Dei?” chiese a Gunt.
“Una volta l’ho visto pregare davanti a un altare di Albart.”
Grenn sospirò. “Che la sua anima possa navigare per il Grande Mare degli Spettri fino a trovare l’Isola del Riposo Eterno alla fine dei tempi.” Fece un cenno a Khefra.
La ragazza sbuffò. “Io ho scavato la buca. Perché non la fai riempire a quelle due?”
“Dopo ti riposerai per il resto della giornata.”
“Il sole è già tramontato” si lamentò Khefra.
Grenn le girò le spalle. “Restiamo qui fino a domani mattina, poi ci rimetteremo in marcia.”

 

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Capitolo 25
*** Poesie ***


Poesie

 
“Ho trovato le tracce” annunciò Angotte tornando insieme a Gunt.
Grenn aveva deciso di mandarli insieme in esplorazione attorno al villaggio.
“Non allontanatevi più di duecento passi” aveva detto loro mentre spiegava cosa voleva fare. “E restate sempre dove possiamo vedervi o sentirvi.”
“Che cosa speri di trovare?” gli aveva domandato Angotte.
“Qualsiasi cosa ci dica da che parte sono andati gli abitanti di Castis e perché.”
L’attesa era durata meno di mezza giornata durante la quale lei e Khefra avevano diviso le cose che erano appartenute a Sofion tra di loro.
“Non porta sfortuna derubare un morto?” aveva chiesto Ryhana.
Khefra aveva scosso la testa. “Solo se lo uccidi in battaglia. Sofion è stato ammazzato da un nemico, quindi è giusto prendere la sua roba e usarla. Lui sarebbe contento e avrebbe fatto lo stesso se fossi morta tu.”
“Perché dovrei morire io?”
“Era solo un esempio.”
Ryhana aveva distolto lo sguardo.
“Sei ancora arrabbiata con me per ieri?” le aveva domandato Khefra.
“No” aveva risposto cercando di essere convincente.
“Stai mentendo.”
“Non è vero.”
“Stai mentendo di nuovo.”
Ryhana aveva sbuffato.
“Ti chiedo davvero scusa per avere dubitato di te. Volevi davvero aiutare il povero Sofion.”
“Avrei voluto salvarlo.”
“A volte non si può salvare una persona, per quanto ci si sforzi.”
“Dove?” chiese Grenn andando loro incontro.
Angotte indicò un punto tra gli alberi distante cinquanta passi dal sentiero. “Da quella parte. Ci sono i segni di parecchie persone che hanno camminato in quella direzione.”
“Dove vanno?”
“Si dirigono verso l’alto. Devono aver scalato il costone della montagna.”
Grenn si accigliò. “Perché scegliere quella strada e non usare il sentiero? Sarebbe stato più comodo.”
“Forse il sentiero non era sicuro” suggerì Gunt. “Forse avevano paura della mutaforma e volevano evitarla.”
“Non lo sapremo finché non li avremo trovati” disse Angotte.
“Giusto” fece Grenn. “Ma il sentiero non è percorribile con i cavalli. Dovremo lasciarli qui con qualcuno che li sorvegli.” Guardò Ryhana.
“Voglio venire con voi” disse intuendo le sue prossime parole.
Grenn le sorrise. “La missione è già abbastanza complicata. Quando abbiamo deciso di portarti, pensavamo che sarebbe stata una faccenda facile da risolvere ma adesso.” Scosse la testa. “Non sei pronta per tutto questo. Rimani qui a sorvegliare i cavalli. E se non dovessimo tornare entro la fine della prossima giornata, ne sceglierai due e tornerai a Nelnis per riferire a Ilyana tutto ciò che è accaduto.”
“Non vi abbandonerò qui senza cavalli” disse subito.
“Sai fare di conto?” la rimproverò Grenn. “Ne prenderai due e il resto rimarranno qui. Ce ne saranno quattro, uno per ciascuno di noi.”
Ryhana scosse la testa. “Mi stai comunque chiedendo di abbandonarvi.”
“È un ordine.”
“Come farò a spiegarlo a Ilyana?”
“Lei comprenderà.”
“Non mi crederà mai” disse. “Penserà che vi ho traditi e che sono fuggita perché ho avuto paura.”
“Ilyana sa che queste cose possono accadere” disse Grenn. “E prima di partire, le ho detto che se ne avessimo avuto bisogno avrei mandato indietro te a chiedere aiuto.”
Ryhana fece per dire qualcosa ma ci ripensò.
Grenn tornò da Gunt e Khefra per parlare con loro e lei si ritrasse in un angolo della piazza.
“Ti sta facendo un grosso favore” disse Angotte.
Ryhana la fissò senza sapere cosa rispondere. Era la prima volta che la strega le rivolgeva la parola in maniera diretta.
“Grenn deve tenere parecchio a te se non vuole portarti con lui.”
“È la mia guida” rispose.
Angotte annuì. “Capisco cosa si prova.”
Ryhana si accigliò.
“Andiamo” disse Grenn tornando indietro. “Abbiamo ancora tre quarti di giornata per viaggiare col sole e voglio sfruttarli tutti.”
Angotte annuì e rivolse un cenno di saluto a Ryhana. “Se vedi o senti qualcosa di strano, non venire a controllare. Torna da Ilyana e avvertila.”
“Lo farò” disse con poca convinzione.
Grenn, Khefra, Gunt e Angotte lasciarono il sentiero e si inerpicarono tra gli alberi seguendo il pendio della montagna. Ryhana li seguì finché non sparirono dietro la macchia di verde.
Rientrò nella locanda e salì al secondo livello e da lì, usando una scala, sul tetto. Da quell’altezza poteva guardare fino a due o trecento passi di distanza.
Avvistò un movimento sotto le chiome degli alberi, un mantello scuro che si agitava e poi niente altro. Sospirò e rimase a scrutare l’orizzonte finché gli occhi non gli bruciarono per le raffiche di vento che spiravano da oriente.
Tornò di sotto e sedette a uno dei tavoli della locanda, cercando di immaginarla piena di avventori.
Nel suo villaggio c’erano due locande e una mezza dozzina di taverne dove gli uomini che tornavano dal lavoro nei campi andavano a spendere parte delle monete guadagnate.
Suo padre se ne teneva alla larga anche se i suoi amici mercanti le frequentavano quando facevano sosta al villaggio. E non era stato contento quando un paio di anni prima, per aiutare la famiglia, Ryhana era andata a servire nella locanda di Tomilus.
“È un postaccio” aveva detto suo padre borbottando. “Pieno di ubriaconi che aspettano solo il momento giusto per finire in qualche rissa.”
“Meglio” aveva risposto ironica. “Potrò sempre prenderli a pugni, se sarà necessario.”
Suo padre aveva scosso la testa. “Sei proprio sicura di volerci andare?”
“Quelle monete ci servono.”
“Posso trovarti un lavoro più tranquillo.”
“La mamma è d’accordo” aveva risposto.
Suo padre aveva sospirato. “Domani vado a parlare con Tom. Almeno non ti imbroglierà sulla paga.”
Ryhana aveva iniziato a lavorare nella cucina, lavando i piatti e le posate. La sera, quando i clienti si ritiravano nelle stanze o tornavano alle loro case, dava una mano a ripulire la sala insieme a Margicia, la figlia più grande di Tomilus.
Marg, come tutti la chiamavano, era una ragazza alta e slanciata dai capelli biondi come il grano e gli occhi chiari, una cosa rara al villaggio, tanto che qualcuno sussurrava che non fosse davvero figlia del locandiere ma di qualche mercante di passaggio.
Tomilus sembrava ignorare quelle voci e trattava Marg come gli altri figli. Ne aveva altri due ed entrambi davano una mano alla locanda insieme alla madre, una donna dalla pelle scura che veniva dalla parte orientale del continente.
Margicia accettava con insofferenza i lavori che il padre le assegnava e si lamentava tutte le volte che poteva.
“Le mie povere mani si rovineranno” diceva mentre passava lo straccio sui tavoli di legno. “E sollevando tutti quei sacchi di patate mi faranno venire dei muscoli orribili.”
Ryhana si limitava ad ascoltarla senza parlare male di Tomilus.
Margicia le piaceva, quando non si lamentava. Il suo alito profumava sempre di pesca e il balsamo che usava per i capelli li faceva luccicare sotto la luce del sole.
A volte si sorprendeva ad ammirarla, chiedendosi che cosa avrebbe provato ad accarezzare quei meravigliosi capelli o a toccare le sue labbra rosse e carnose.
Una volta Margicia si era presentata con un vestito blu scuro. Non una tunica o una camicia con pantaloni, ma un vero vestito con la gonna e le spalline di pizzo ricamato e una scollatura generosa che metteva in evidenza il seno non troppo abbondante né piccolo della ragazza.
“Cosa ne pensi?” le aveva chiesto dopo ver fatto un mezzo giro su sé stessa.
Ryhana aveva deglutito a vuoto ed era arrossita.
“Allora? Non dici niente?”
“È bello” aveva detto.
“Questo lo so” aveva risposto Margicia sorridendo.
Uno splendido sorriso.
“È l’ultima moda di Galaresia. Ti piace?”
“Sì.” Si era schiarita la voce. “Anche tu sei molto bella.”
“Grazie” aveva risposto lei gioviale. “Spero che piaccia anche a Ber.”
Berhard era il nome del figlio di Samamin, il mercante più ricco del villaggio. Ryhana lo conosceva perché suo padre aveva lavorato spesso con lui facendo da scorta ai suoi convogli.
Ber era alto e muscoloso, con la pelle dorata dal lavoro sotto il sole. Suo padre, per insegnargli il mestiere, lo aveva assegnato al carico e allo scarico delle merci dai carri quando arrivavano al villaggio.
“Ber?” aveva chiesto sorpresa.
Marg aveva annuito senza smettere di sorridere. “Il figlio di Samamin, il mercante.”
“Lo so chi è. Hai comprato quel vestito per lui?” chiese cercando di non mostrare la sua irritazione.
“Più o meno. Mi ha invitata alla festa di mezza stagione e sarebbe sconveniente presentarmi vestita come una klotz del villaggio.”
Klotz era un termine che usavano per indicare le donne non più molto giovani che non erano riuscite a trovare marito.
“Non avresti comunque corso quel rischio” le aveva detto.
“Lo so, ma volevo lo stesso distinguermi. Come mi sta?”
“Bene” aveva risposto con meno entusiasmo.
“Non ti piace?” aveva chiesto lei delusa.
“Sì” aveva risposto con tono incerto.
“Ma?”
Aveva esitato. “Non è sprecato per uno come Ber?”
“È il ragazzo più bello del villaggio” aveva risposto Marg. “Ed è anche divertente e intelligente. Legge libri, lo sapevi?”
Si era accigliata.
“L’altro giorno mi ha letto una poesia. Era meravigliosa. Parlava di una fata che si innamora di un principe e vanno a vivere insieme in un meraviglioso castello. Per un attimo credevo si essere io quella fata e quel principe…” Il suo sorriso si era allargato. “Puoi capire, no?”
“Certo” aveva risposto. “Devo tornare al lavoro, se non ti spiace.”
“Certo, fai pure.”
“Non mi vuoi aiutare?”
“Papà mi ha concesso mezza giornata. Credo che andrò a trovare il signor Samamin per mostrare il vestito a sua moglie. Lei ha viaggiato molto per questa parte del continente, certe faccende le comprende.”
“E magari ti farai leggere un’altra poesia da Ber?”
“Perché no?” aveva risposto prima di voltarle le spalle e andarsene.
Ryhana si era concentrata sul tavolo da pulire prima dell’apertura.
“Stupida” aveva sussurrato. “Se ne fossi capace, potrei leggere anche io qualche poesia.”
Il rumore del legno che schioccava la fece trasalire strappandola ai ricordi. Balzò in piedi e nel farlo fece cadere la sedia. L’eco si riverberò sulle pareti della sala facendola vergognare della sua stupidità.
Sarà stato un topo, si disse.
Un secondo tonfo la fece sussultare. Stavolta era netto e proveniva dal livello superiore. Evocò lo scudo e un dardo magico.
Non sono sola, si disse.
Raggiunse la scala e poggiò un piede sul primo gradino. Nello stesso momento, una voce giunse dall’alto.
“La regina della foresta e il signore della morte stanno arrivando.”

 

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Capitolo 26
*** Signore della morte, regina delle bestie ***


Signore della morte, regina delle bestie
 
Ryhana abbassò la testa, come aspettandosi un attacco che non arrivò. La voce tacque e lei rimase all’ascolto.
Rumore di passi.
“Chi c’è?” chiese.
Nessuna risposta.
“Sono una vigilante” disse, sperando che quello bastasse a spaventare chiunque si trovasse di sopra
“Una vigilante” ripeté la voce.
Devo fare qualcosa, si disse. Non posso limitarmi a restare qui sotto per sempre. Potrebbero esserci altri che stanno per arrivare, compresi le due persone di cui parlava la voce.
“Sto salendo” annunciò prima di affrontare la scala.
“Chi sei?” domandò la voce.
Ryhana tacque fin quando non raggiunse il livello superiore. Tenne la testa bassa per proteggersi dietro lo scudo magico e gettò una rapida occhiata al corridoio.
Era vuoto.
“Mi chiamo Ryhana” disse avanzando nel corridoio un passo alla volta.
“Ryhana” le fece eco la voce. “Un volta conoscevo qualcuno con quel nome.”
Ryhana si accigliò.
La voce proveniva da una delle stanze. Si diresse verso la porta spalancata camminando piegata in due.
“Tu come ti chiami?”
“Una volta” rispose la voce. “Avevo un nome. Credo.”
È folle o mi sta prendendo in giro? Si chiese.
Allungò il collo oltre la porta e gettò una rapida occhiata all’interno. Vicino al giaciglio scorse una figura piegata su sé stessa. Si ritrasse subito temendo di subire un attacco.
“È caldo qui” disse la voce. “Molto meglio della miniera. Sai, ho solo finto di essere morto, ma in verità ero vivo e ho visto tutto. Tutto.”
Ryhana trasse un profondo respiro e si protese con tutto il corpo in modo da trovarsi sulla soglia. La figura era rimasta ai piedi del giaciglio.
Ora che poteva guardarla meglio, notò i vestiti sbrindellati, la pelle ricoperta di pieghe e lividi e le gambe scheletriche che sporgevano da sotto il corpo.
“Non muoverti” disse.
La figura sembrò tremolare. La testa si girò verso di lei rivelando un viso smunto e coperto di sporcizia, le labbra spaccate e sanguinanti e un solo occhio che la fissava sgranato mentre l’altro era così tumefatto da essere chiuso. I capelli erano una massa arruffata e sporca.
“Tu non sei la regina delle bestie” disse sorpreso.
“Mi chiamo Ryhana” disse facendo un passo avanti. “Chi sei tu?”
“Ryhana” disse l’uomo. “Conoscevo una ragazza con quel nome.”
Questo l’hai già detto, pensò.
“Faceva la guaritrice” aggiunse l’uomo.
Ryhana si accigliò. “Una guaritrice?”
“Sì” rispose l’altro annuendo. “Era una guaritrice. Una volta mi ha aiutato. Non ricordo quando. È stato molto tempo fa. Tu la conosci?”
Ryhana scosse la testa.
Sta parlando di me? Si chiese. Lo conosco?
“Come ti chiami?”
“Yush” disse l’uomo. “Tutti mi chiamavano così, al villaggio. È un nome da cane, ma a me piaceva.”
“Yush” ripeté Ryhana. “Io ti conosco. Eri uno dei prigionieri di Sanzir.”
L’uomo urlò, come se quel nome gli procurasse dolore.
“Calmati” disse Ryhana spaventata. “Adesso sei al sicuro.”
“No” disse Yush. “Loro stanno arrivando. Li sento.”
“Come?”
Yush si picchiò la tempia con l’indice scheletrico. “Qui, nella testa. Sono qui. Sempre. Tutte le volte che siamo vicini. Io so dove sono loro e loro sanno dove sono io. Fa male.” Piagnucolò. “Fa molto male.”
“Ti farò passare quel dolore” disse sicura.
Yush la squadrò meravigliato. “Come?”
“Sono la guaritrice, no?”
Lui si accigliò. “Chi sei?”
Stava per rispondere Ryhana quando Yush sgranò gli occhi e gridò.
Ryhana si voltò di scatto e vide l’ombra venire verso di lei. Un attimo dopo era diventata una figura scura che si muoveva a quattro zampe. Due zanne che sporgevano dalle labbra luccicarono per un istante.
Ryhana gridò e si ritrasse un attimo prima che la donna mutaforma la colpisse alla gola con le mani piene di artigli. Alzò il braccio e lasciò partire il dardo.
Il proiettile la centrò alla spalla facendola gemere per il dolore. Nello slancio la raggiunse e la buttò a terra, schiacciandola sul pavimento.
La mutaforma si protese in avanti e spalancò la bocca mostrando due file di denti affilati. Ryhana strinse i denti e l’afferrò per le spalle usando le braccia per tenerla a distanza.
La mutaforma fece scattare la mandibola con un rumore secco. Ryhana sentì il formicolio invaderle le braccia e le gambe moltiplicando le sue forze.
Dietro di lei Yush gridava. “Mi ha trovato. Mi ha trovato. Or verrà anche lui. Verrà anche lui.”
Ryhana piegò il ginocchio e lo piazzò sotto l’addome della mutaforma, per poi usarlo come una leva per sollevarla e scagliarla lontano.
La mutaforma volò attraverso la stanza e sbatté con la schiena contro il telaio della porta, per continuare la corsa fino alla parete di fronte. Rimbalzò indietro e cadde al suolo intontita.
Ryhana si protese in avanti e afferrò la porta, sbattendola in avanti. La mutaforma si alzò di scatto e si protese in avanti. Udì la sua testa che batteva contro la porta.
Si alzò di scatto e poggiò il corpo contro la porta. Dall’altra parte la mutaforma diede un colpo tremendo tentando di sfondarla, ma il legno resistette.
Ryhana si guardò attorno e individuò un baule in un angolo. Yush si era rannicchiato vicino al giaciglio e gemeva silenzioso.
“Yush” disse.
“Lasciamo stare” rispose.
“Yush, devi aiutarmi.”
“No.”
“Devi o moriremo tutti e due.”
“Moriremo comunque. Lui sta per arrivare. Ci troverà e ci farà diventare i suoi nuovi schiavi.”
“No” disse con tono imperioso. “Adesso alzati e aiutami.”
Yush girò la testa verso di lei. “Che succede?” chiese.
“Prendi quel baule” disse indicandolo con un gesto della testa.
Yush guardò nella stessa direzione. “Che vuoi fare?”
“Ci barrichiamo dentro per il momento.”
“Non servirà” rispose l’uomo.
“Prendilo e basta” disse.
Yush obbedì riluttante e spinse il baule verso di lei. Senza staccarsi della porta mise il baule davanti. Era pesante ma non sarebbe bastato a tenere fuori la mutaforma, ma l’avrebbe rallentata dandole un po’ di tempo per pensare.
“Che sta succedendo?” chiese.
“Lui sta tornando” disse Yush rannicchiandosi vicino al giaciglio.
“Chi?”
“Il signore della morte.”
Questo non mi è affatto d’aiuto. “Che cosa vuole da noi?”
“Lui è la morte” rispose Yush.
“E la mutaforma?”
L’uomo le rivolse un’occhiata interrogativa.
“La regina delle bestie” disse Ryhana.
Il viso di Yush sembrò illuminarsi. “Lei lo aiuta, ma non lo serve. Gli procura nuovi schiavi e in cambio chiede solo un tributo. Forse diventeremo anche noi dei tributi, se saremo fortunati.”
“Io non voglio diventare né una schiava né un tributo” disse con tono deciso. “Adesso dimmi come sei arrivato fin qui.”
“Ho camminato” rispose Yush.
“Quanto?”
“Non lo so. Giorni? Lune?”
Ryhana aveva tenuto il conto del tempo passato con Grenn e gli altri. Da quando era stata trovata nel santuario, era passata una Luna e mezzo più qualche giorno.
“Hai camminato per sessanta giorni” disse. “Che cosa hai visto?”
“Ombre” rispose Yush. “Mi seguono ovunque. A volte le vedo persino nei sogni che faccio.” Sollevò le mani come se cercasse di afferrare qualcosa. “Tu le vedi?”
Scosse la testa.
“Strano, c’eri anche tu quando i demoni vennero a prenderci.”
“Demoni?”
Dall’esterno giunse un grido soffocato. Ryhana trasalì e temette che la mutaforma stesse per entrare nella stanza e si preparò a combattere.
“È arrivato” disse Yush piagnucolando. “Il re della morte è qui. Viene per il tizio che avete sotterrato. E per noi.”
Ryhana lo fissò accigliata. “Tu ci hi visti seppellire Sofion?”
Yush annuì con foga. “Vi ho seguiti fin da quando siete arrivati.”
“Come sapevi che stavamo venendo qui?”
Yush si toccò la tempia con l’indice. “Te l’ho detto, io li sento. E ho sentito anche te.”
“Senti” iniziò a dire.
Un rumore si passi pesanti oltre la porta la fece sussultare di nuovo. Seguì il rumore che si allontanava lungo il corridoio, verso le scale.
“Sta andando via” disse staccandosi dalla porta. “La mutaforma è scesa di sotto.”
“Lui l’ha chiamata a sé” disse Yush.
“Io non ho sentito niente. È la nostra occasione per andare via.”
Voleva uscire da quella stanza e dalla locanda e poi correre ad avvertire Grenn che la mutaforma era lì.
Loro sapranno che cosa fare, si disse.
“No” disse Yush scuotendo la testa. “Non è una buona idea.”
Ryhana concentrò le forze e spostò il baule allontanandolo dalla porta. Si voltò verso l’uomo. “Vieni con me. Ti porterò al sicuro.”
“Non esiste un posto sicuro. Il re della morte mi troverà ovunque. Lui sa che siamo qui.”
“Se non vuoi venire, resta nascosto qui dentro. Cercherò di tornare presto con qualcuno che ci aiuti.”
Yush reclinò la testa all’indietro ed emise una risata rauca. “Lui sta arrivando. Lui sta arrivando lui sta…”
Ryhana aprì la porta e si gettò nel corridoio, un dardo magico pronto a partire e lo scudo nell’altra mano. Rimase accucciata, le orecchie tese a percepire ogni più piccolo rumore.
A parte il suo respiro e la voce di Yush, non sentì altro. Si raddrizzò e percorse il corridoio fino alle scale. Gettò un’occhiata di sotto e notò una figura che sembrava attendere in piedi.
Dannazione, si disse ritraendosi. C’è qualcun altro.
Tornò a sporgersi per guardare meglio. La figura era ancora girata di spalle e sembrava fissare un punto sulla parete opposta della sala.
Non mi ha sentita, si disse rinfrancata. Devo trovare un altro modo per scendere o attendere che si allontani.
La figura si mosse, girandosi con bacino verso di lei.
Ryhana fece per ritrarsi indietro ma si bloccò.
Il viso di Sofion fissò le scale con espressione assente.
Sofion, pensò. Che cosa ci fa qui?
Lo stregone aveva ancora i segni sulla gola lasciatigli dalla mutaforma. L’espressione era serena e gli occhi, chiari e spalancati, fissavano il vuoto davanti a sé.
Non è morto, si disse, il cuore che le martellava nel petto. Khefra e Grenn devono essersi sbagliati e lo hanno seppellito per sbaglio.
Il mantello e i vestiti dello stregone erano pieni di terriccio che si era accumulato anche ai suoi piedi.
Forse può aiutarmi, si disse. Insieme possiamo raggiungere gli altri e salvarci tutti.
Si mosse verso le scale cercando di non fare rumore, ma un passo fece scricchiolare il legno di un gradino. Ryhana si fermò all’istante, mentre Sofion sollevò gli occhi verso di lei.
“Sono io” sussurrò. “Ryhana.”
Sofion spalancò la bocca ed emise un grido acuto, simile a quello di un animale ferito.

 

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Capitolo 27
*** Sofferenza ***


Sofferenza
 
Ryhana rimase immobile, i timpani lacerati da quel grido che risuonò nella sala.
“No” gemette. “Così la farai venire qui.” Fece per muoversi verso Sofion ma lui grugnì qualcosa e si gettò verso di lei, la bocca spalancata. “Fermo” disse cercando di respingerlo. Mosse un passo indietro e inciampò in un gradino. Cadde urtando con la schiena lo spigolo. Sofion si gettò su di lei e le artigliò la gola con le mani.
Erano gelide, come se avesse immerso le dita nel ghiaccio per tutto il giorno e le avesse tolte solo per afferrare la sua gola. Avvertì il fiato mancarle mentre Sofion la fissava con sguardo assente.
“Lasciami” gorgogliò afferrandogli i polsi.
Sofion sembrò spingere più forte e serrare la presa sulla sua gola.
“Basta.”
Ryhana fece leva sui polsi di Sofion fino a girarli nel senso opposto. L’osso scricchiolò sinistro e avvertì lo schiocco di qualcosa che si spezzava.
Sgranò gli occhi per lo sgomento. Non pensava di aver stretto così forte. Non voleva stringere così forte da spezzargli le ossa. Stava quasi per chiedergli scusa ma le dita dello stregone si serrarono ancora di più sulla sua gola.
Non vuole smettere, pensò. E io non voglio morire.
Evocò un dardo magico e lo puntò contro l’addome di Sofion.
“Lasciami andare” si sforzò di dire. “O ti colpirò.”
Sofion gravò con tutto il peso sul suo petto. Ryhana emise un gemito di dolore e frustrazione. Appoggiò la mano ancora chiusa al petto dello stregone e l’aprì di scatto.
Il dardo penetrò nella carne di Sofion e uscì dall’atra parte. Vide il dardo di luce dissolversi nell’aria seguito da una scia rossa di sangue.
La stretta di Sofion si allentò solo un poco.
L’ho mancato? Si chiese sgomenta.
Era sicura di averlo colpito al petto.
Devo avergli bucato un polmone, si disse. Se non il cuore.
Sofion digrignò i denti gorgogliando parole incomprensibili.
Mi sta uccidendo, si disse confusa. Dannazione. Morirò qui. Da sola, senza poter rivedere Kaleena. Riabbracciarla. Baciarla. Kal. Mi dispiace. Sarei dovuta venire a cercarti invece di unirmi a questi vigilanti. Io…
“Lasciala.” Il grido di disperazione la raggiunse prima che un’ombra le passasse accanto. Due mani si protesero verso Sofion e lo spinsero di lato. Lo stregone perse la presa sulla sua gola e lei fu libera di respirare.
Boccheggiò sulle scale, gli occhi che vagavano per la sala.
Yush era accanto a lei, le mani protese come se volesse artigliare qualcosa. O qualcuno. Dalle dita scheletriche scendevano dei fili che brillavano di luce propria. Ognuno di essi, una volta raggiunto il pavimento, si espandeva formando una rete che aveva occupato lo spazio tra lui e Sofion. Quegli stessi fili stavano formando un intreccio luminoso che avvolgeva i piedi e le caviglie dello stregone.
“Lo stai facendo tu?” gli chiese Ryhana.
“Sbrigati ad andare” piagnucolò l’uomo. “Non lo terrò fermo a lungo.”
Sofion si muoveva sollevando a fatica un piede e appoggiandolo nell’intrico di filamenti che si estendevano sul pavimento. A ogni passo i fili strappavano sottili pezzi di carne e si dissolvevano in una cascata di scintille.
Deve fargli molto male, si disse Ryhana.
Dall’espressione di Sofion non traspariva alcuna sofferenza, ma solo ostinata determinazione a raggiungerli. A una decina di passi da loro protese le mani in avanti.
Non mi farò toccare di nuovo da lui, pensò Ryhana. Si sollevò di scatto ed evocò un dardo per ogni mano. Li puntò verso Sofion e li lasciò partire uno dopo l’altro.
Entrambi colpirono lo stregone al petto, trapassandolo.
“Dannazione” sibilò tra i denti.
Altri due dardi magici.
Sofion sembrò inciampare ma si riprese.
Alle gambe, si disse Ryhana. Devo colpirlo alle gambe.
I due dardi successivi trapassarono le cosce dello stregone. Lui cadde in ginocchio ma continuò ad avanzare senza lamentarsi.
Ryhana gli puntò contro le braccia e lanciò una dozzina di dardi.
Urlò di rabbia mentre lo colpiva al collo, al petto e gli trapassava un braccio.
Sofion continuò ad avanzare.
“Perché non si ferma?” gridò Ryhana disperata. “Dovrebbe essere morto.”
“Lui è già morto” disse Yush ridacchiando. “È questo il dono che i servitori del signore della morte ricevono.”
“Morto” disse Ryhana.
L’ho visto venire seppellito questa mattina, prima che gli altri si mettessero in cammino, si disse. Come può essere qui adesso?
Sofion emise un lamento mentre annaspava per raggiungerli.
Devo fare qualcosa, pensò. E in fretta.
“Andiamo via” disse a Yush.
L’uomo sembrò vacillare.
“Ce ne andiamo” aggiunse spingendolo lontano dalle scale.
Lui non si oppose e si lasciò spingere docile. Chiuse le mani e i filamenti scomparvero insieme all’intreccio che aveva coperto il pavimento che si dissolse in una miriade di scintille.
Per un attimo Sofion fu libero di muoversi. Si alzò lamentandosi e subito ricadde, la testa che ciondolava sul collo staccato a metà.
Ryhana decise di ignorarlo e spinse Yush verso l’uscita. Sul rettangolo di luce disegnato dalla porta apparve una figura.
“Il signore della morte” disse Yush crollando in ginocchio.
Ryhana cercò di farlo rialzare ma lui si chinò in avanti, come se si stesse raccogliendo in preghiera, il corpo scheletrico scosso dai singhiozzi.
“Invoco il tuo perdono” stava dicendo. “Invoco il tuo perdono.”
La figura sulla porta fece un passo verso di loro.
E desso che cosa faccio? Si chiese indietreggiando. Si dimenticò di Yush e si girò di scatto, cercando un’altra via per uscire dalla locanda.
Una figura si erse davanti a lei, il viso sfigurato da enormi zanne che sporgevano dalle labbra.
La mutaforma, pensò sgomenta.
La donna le diede una spinta e la buttò a terra. Ryhana atterrò sulla schiena e fece per girarsi, ma lei la colpì alle gambe strappandole un grido di dolore e frustrazione.
Cercò di trascinarsi lontana ma la mutaforma la schiacciò al suolo con il suo peso. Ryhana fece per girarsi ma lei le afferrò il collo e strinse.
“Se ti muovi te lo spezzo” sibilò la mutaforma.
Ryhana rimase immobile.
Sull’entrata, la figura fece un altro passo rivelando il viso di un giovane uomo dalla pelle bronzea e il corpo tozzo e massiccio. Non era più alto di lei ma doveva pesare almeno il doppio.
“Tu” disse puntandole contro un dito grassoccio. “Hai idea del dolore che ho provato mentre colpivi il mio servitore?”
Ryhana si accigliò.
L’uomo indicò Sofion che ancora si dimenava sul pavimento cercando di rimettersi in piedi.
“Ho sentito tutte le ferite che gli hai inferto” proseguì. “E ancora adesso sento quel dolore. Sento il dolore di tutti. Tutti.” Gridò l’ultima parola.
Altre due figure apparvero alle sue spalle. Erano una donna e un anziano, i visi sfigurati e gli sguardi assenti. Alla donna mancava parte della mandibola mentre l’anziano aveva una macchia di sangue al centro dell’addome. Si mossero verso di lei a scatti, trascinando i piedi.
Ryhana cercò di sottrarsi alla presa della mutaforma, ma ottenne solo che lei la schiacciasse di più, aumentando la sua sofferenza e frustrazione.
La donna e l’anziano l’afferrarono per le braccia e la trascinarono sul pavimento verso l’uscita.
“No, no” gridò. “Lasciatemi andare. Lasciatemi.”
“Il dono, il dono” gridò Yush.
La mutaforma gli passò accanto e lo spinse di lato. “Zitto. O diventerai tu il dono.”
L’uomo serrò le labbra e si gettò a terra, la testa nascosta dalle braccia.
L’anziano e la donna trascinarono Ryhana fuori dalla locanda e la lasciarono solo dopo averla portata al centro della strada. Lei cercò di alzarsi ma la mutaforma le diede un calcio all’addome togliendole il fiato.
“Giù” disse la donna con voce rauca.
Ryhana ubbidì e alzò la testa. Attorno a lei c’erano altre figure. Ne contò una dozzina. Erano uomini e donne, ragazzi e ragazze, anziani e anziane. I loro occhi erano spenti, i loro sguardi assenti e la pelle di colore grigio o viola.
Una donna fissava il vuoto con la lingua penzoloni mentre un uomo era nudo dalla cintola in giù e non sembrava importargli. A un ragazzo mancava un braccio mentre a una ragazza qualcosa aveva portato via parte dei capelli.
“Sento il loro dolore” piagnucolò l’uomo che li aveva seguiti dalla locanda. “Sento tutto il loro dolore e non so come farlo smettere.”
“Un dono” disse la mutaforma. “Un dono lo farà smettere.” Afferrò Ryhana per i capelli costringendola ad alzare la testa. “Eccolo il dono, signore della morte.”
L’uomo sospirò. “Preparala, così potrò risvegliarla.”
La mutaforma le passò una mano sul collo. “Se non ti opponi, non sentirai molto dolore. Dopo starai meglio.”
Ne dubito, si disse.
“Sarai risvegliata. Il signore della morte ti farà provare la vera esistenza.”
“Avanti” disse il signore della morte.
“Sì, sì” gridò la mutaforma.
Lasciò per un attimo la presa sui capelli di Ryhana e lei ne approfittò per divincolarsi e rotolare di lato. La mutaforma la seguì annaspando per afferrarla. Lei evocò un dardo magico e lo lanciò, colpendola alla spalla destra. La forza del dardo la spinse un passo indietro.
Ryhana scivolò di lato e balzò in piedi, lo scudo evocato nella mano sinistra.
La mutaforma fece scattare le zanne. “Hai deciso di soffrire. Bene.”
“Yush” gridò Ryhana.
Nessuna risposta.
“Lo so che mi puoi sentire. Mi serve il tuo aiuto.”
La mutaforma fece due passi di lato, fissandola come un animale feroce che si prepara ad attaccare la preda. Con la coda dell’occhio Ryhana notò che le persone riunite nella strada si stavano avvicinando a lei un passo alla volta.
“Yush” gridò. “Se non esci subito, diventeremo entrambi il dono per questi mostri.”
La mutaforma balzò in avanti, le fauci spalancate. Ryhana usò le braccia per difendersi dall’attacco. L’impatto la spinse indietro e di lato ma sbilanciò l’attaccante, che impiegò qualche istante per voltarsi verso di lei.
Ryhana ne approfittò per puntarle contro il braccio e lanciarle un dardo magico. Una mano le artigliò la spalla sbilanciandola e facendole mancare il bersaglio.
Si voltò e ritrovandosi di fronte lo sguardo assente di una ragazza che poteva avere la sua età.
Un altro dono, si disse.
Con la coda dell’occhio vide il signore della morte muovere le dita come se stesse scrivendo qualcosa nell’aria. A ogni suo movimento corrispondeva uno dei suoi doni.
Li controlla in quel modo? Si chiese.
La mutaforma tornò all’attacco e la colpì al fianco. Ryhana gridò e scartò di lato cercando di non cadere. L’avversaria la incalzò colpendola all’addome e al viso. Stavolta perse l’equilibrio e cadde sulla schiena.
“Ora diventerai un dono” disse la mutaforma balzandole addosso.

Nota
Mi scuso per la prolungata assenza, ma dopo 5 anni passati a scrivere senza mai fare una vera pausa, avevo bisogno di staccare. Non è stanchezza né mancanza di idee, solo voglia di evadere un po' dalla routine e fare qualcosa di nuovo. Adesso che ho ricaricato le batterie non mi fermerò fino a che non avrò completato tutte le mie storie ancora in corso e poi chissà...

 

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Capitolo 28
*** Arrenditi. Rinasci ***


Arrenditi. Rinasci
 
Gridò e scalciò mentre la mutaforma le afferrava a un braccio e se lo portava alla bocca. Quando le zanne si chiusero su di esso Ryhana gridò sentendo le zanne penetrare nella carne.
“No” disse cercando di sottrarsi a quel supplizio, ma la mutaforma serrò di più la presa affondando i denti nella carne.
Ryhana sollevò il pugno libero e la colpì alla testa con la stessa forza che aveva usato con Sofion.
La mutaforma sembrò ignorarla ma sentì la morsa allentarsi.
Si fece coraggio e ignorando il dolore la colpì di nuovo e poi ancor, ancora e ancora finché il sangue non zampillò da una ferita, ma non sapeva se fosse la sua o dell’avversaria.
La mutaforma aprì la bocca e lei la sospinse all’indietro. La donna barcollò per alcuni passi come intontita, la parte destra del viso e della testa coperta di sangue.
“Male” disse incredula. “Mi hai fatta male.”
Ryhana non osò guardare il braccio che le aveva morso, ma dopo aver viso la terribile ferita di Sofion poteva immaginare come fosse ridotto.
“Maledetta” disse raddrizzandosi. “Adesso ti farò molto più male.”
La mutaforma si lanciò contro di lei, la bocca spalancata. Ryhana attese che fosse a un paio di passi di distanza e avanzò a sua volta.
Grenn le aveva insegnato qualche mossa che poteva usare quando combatteva.
“A che mi serve usare le mani, se posso usare i dardi magici?” gli aveva domandato.
Lui aveva sorriso. “A volte i pugni sono più utili dei dardi. Non puoi risolvere tutto con la stregoneria e i poteri.”
Fece finta di attaccare con il braccio sinistro ma scartò di lato e usò quello destro per colpire la mutaforma all’addome. La donna si piegò in due e tentò di afferrarle il braccio ferito. Ryhana fece un paio di pass indietro ed evocò un dardo magico. Lo puntò contro la mutaforma. Lei scattò in avanti e la colpì al ventre, mandandola a terra.
Se la ritrovò addosso, la bocca spalancata pronta a morderla di nuovo.
No, si disse. Stavolta no.
Caricò il braccio all’indietro e le sferrò un pugno alla mascella. Provò una certa soddisfazione sentendo l’osso che si spezzava contro le nocche.
La mutaforma venne scagliata indietro e scosse la testa.
“Fa male” disse sorpresa. “Fa male davvero.”
Ryhana balzò in avanti e verso l’alto e quando le atterrò davanti le afferrò la testa con la mano mentre con il ginocchio la colpiva all’addome.
La mutaforma si chinò in due e Ryhana, usando la mano di nuovo libera, le assestò un colpo alla nuca. La donna stramazzò al suolo e non si mosse.
Si raddrizzò respirando a fatica. Si sentiva esausta e al tempo stesso piena di forza, pronta a eseguire altri cento incantesimi, a lanciare mille dardi finché non avesse restituito a quei due tutto il dolore che avevano fatto provare a lei.
E all’improvviso quella sensazione sparì, sostituita da una profonda spossatezza e da un dolore alle ossa e ai muscoli. Strinse i denti e mise a fuoco la figura dell’uomo, il signore della morte, come l’aveva chiamato Yush.
Aveva alzato una mano, come a voler richiamare l’attenzione su di sé. Dal palmo aperto si dipanavano filamenti di un nero lucente che sembrava divorare la luce quando la incontrava. Come dei tentacoli erano strisciati fino a lei, seguendone i passi e le avevano avvolto le caviglie e le gambe.
Somigliano ai filamenti evocati da Yush, si disse.
Ma le somiglianze si fermavano a quello.
Tentò di avanzare verso l’uomo, ma riuscì a fare solo un passo prima che le gambe le cedessero. Cadde in ginocchio, la stanchezza che si propagava nel resto del corpo come un incendio.
I muscoli le facevano male e le ossa sembravano sul punto di volersi spezzare.
“Che cosa” riuscì a dire, ogni parola che le costava agonia. “Mi stai facendo?”
L’uomo respirava a fatica. “Non lo so” disse, come se fosse spaventato dal suo stesso potere. “Volevo solo fermarti ed eccomi qui.”
Ryhana cadde in avanti puntellandosi sul braccio intero. L’altro, ricoperto di sangue, le penzolava al fianco, inerte.
“Così” disse a fatica. “Mi uccidi.”
“Rinascerai” disse l’uomo. “Diventerai un dono. Come loro.”
Ryhana vide gli altri stringersi attorno a lei, le forze che diminuivano sempre di più a mano a mano che i filamenti neri le coprivano l’addome e risalivano fino al petto e al collo.
Una sensazione di torpore e un intenso bisogno di dormire e riposare si impossessarono di lei. Le palpebre divennero pesanti e il petto le bruciava a ogni respiro.
Smetti di combattere, sussurrò una voce dentro di lei. Arrenditi. Rinasci. Diventa un dono. Tutto ti sembrerà migliore. Non ci sarà dolore né sofferenza. Arrenditi, rinasci…
Un’ombra le passò accanto veloce, qualcosa tra le mani che luccicava e sembrava espandersi in mille onde mentre fendeva l’aria.
Ryhana tentò di aprire gli occhi socchiusi e girare la testa verso la figura, ma il dolore al collo glielo impediva.
L’ombra fece altri due passi, balzò verso l’alto e sollevò la spada di luce sopra la testa. Quando l’abbassò, udì uno schiocco leggero seguito da un tonfo attutito.
Qualcosa cadde a terra e lei sentì il petto farsi più leggero e il dolore attenuarsi fino a sparire. Anche le forze tornarono e la sensazione di stanchezza e torpore sparì.
Cadde lo stesso a terra, assaporando il sapore acre del terreno ancora inzuppato di acqua per le piogge. Restò in quella posizione, gli occhi socchiusi che fissavano il sole alto nel cielo.
La figura di prima torreggiò sopra di lei, il viso confuso nel bagliore della luce.
“Appena in tempo” disse con voce ovattata. “Stava per risucchiarti tutte le forze. Perché non ti sei opposta?”
“Smetti di resistere” disse con voce appena udibile. “Arrenditi. Rinasci.”
L’ombra si sollevò. “È qui” disse rivolgendosi a qualcuno che non poteva vedere.”
“Non farla muovere” rispose una voce maschile.
“Occupati della mutaforma.”
“È già morta.”
“La voglio viva.”
“Dannazione” imprecò.
“Il necromante è morto?”
“La sua testa staccata sembra dire di sì” rispose una voce divertita. “Ma se vuoi puoi chiederglielo.”
Ryhana tentò di alzarsi vincendo la stanchezza e il dolore.
“Resta giù” disse una voce maschile. “Non sei ancora abbastanza forte.”
“Sì” disse ricadendo all’indietro.
Giacque sulla schiena per un tempo che le sembrò lunghissimo. Attorno a lei figure avvolte nell’ombra si muovevano, a volte restavano ferme e altre parlavano tra di loro, come se lei non le stesse ascoltando.
“Erano solo in due?”
“C’è un terzo qui.”
“Dove?”
“Nella locanda?”
“Non lo uccidere.”
“Non sembra pericoloso. Ma parla parecchio.”
“Lo porteremo da Ilyana. Parlerà con lei.”
“Come vuoi.”
“Potrebbero essercene altri.”
“Dopo faremo un giro di esplorazione.”
Un’ombra si avvicinò e Ryhana aprì gli occhi, riconoscendo il viso divertito di Gunt.
“Mi senti? Capisci quello che dico?”
Annuì.
“Sei sopravvissuta. Davvero notevole.”
Gunt si allontanò ridacchiando.
Ryhana tornò a chiudere gli occhi e quando li riaprì era buio e non si trovava più in strada, nella polvere, ma su di un giciglio. Khefra era seduta nell’angolo opposto della stanza e la fissava con espressione annoiata.
“Ti sei svegliata. Finalmente.” Sbadigliò. “Ora potrò andare a dormire io.”
Ryhana alzò la testa e si guardò attorno. Era buio e dalle imposte filtrava solo la luce della luna maggiore. “Quanto?”
“Hai dormito per mezza giornata dopo lo scontro.”
“Scontro?”
“Quello col necromante e con la mutaforma. A proposito, le hai spaccato la faccia.” Sorrise. “Ben fatto.”
“Mi ha morsa” disse alzando il braccio sinistro.
Era fasciato ma c’erano delle macchie di sangue che punteggiavano le bende.
“Ho dovuto faticare parecchio per rimetterlo a posto, m rimarrà una bella cicatrice. Per fortuna non ha intaccato l’osso o un muscolo importante o non l’avresti più potuto usare bene come prima.”
Agitò il braccio come a saggiarne la consistenza.
“Non sforzarlo troppo” l’ammonì Khefra. Si alzò e si stiracchiò. “Vado a chiamare Grenn.”
“Lui è qui?”
“È di sotto. Mi ha detto di avvertirlo non appena ti saresti svegliata. Penso che voglia farti delle domande sulla mutaforma e sul necromante. E anche su quello strano tizio che non la smette di parlare.”
Ryhana si accigliò.
“Sembra fatto di sporcizia” aggiunse la strega con una smorfia di disgusto.
“Yush” disse Ryhana.
“È così che si chiama?”
Annuì.
Khefra scrollò le spalle e uscì dalla stanza.
Ryhana si lasciò ricadere sul giaciglio assaporandone la morbidezza, ma si rialzò quando la porta si aprì di nuovo e Grenn fece capolino sulla soglia.
L’espressione era preoccupata. “Come stai?”
Gli mostrò il braccio ferito.
“Mi dispiace. Il responsabile sono io. Non avrei dovuto lasciarti qui da sola senza essermi assicurato che la zona fosse sicura.”
“Il signore della morte?”
“Parli del necromante?”
Annuì.
“Morto. Angotte gli ha staccato la testa mentre ti stava attaccando.”
“Credevo di morire.”
“Saresti morta, se non fossimo arrivati noi. Ti aveva intrappolata nel suo incantesimo.”
Ryhana si accigliò.
“Noi lo chiamiamo Tocco Mortale.” Sorrise. “Lo so, non è molto originale, ma penso che spieghi come funziona. Estende il suo potere per assorbire il tuo.”
“Come ci riesce?”
“Come riusciamo a evocare uno scudo magico? O un dardo? O a levitare?” Si strinse nelle spalle. “È il dono.”
“Lui voleva trasformarmi in un dono. Lo ha detto più volte. Diceva di volermi liberare. Di volermi far rinascere.”
Grenn scosse la testa affranto. “La sua mente doveva essere sconvolta. O forse lo diceva solo per confonderti le idee.”
“La gente di Castis?”
Grenn assunse un’espressione seria. “Morti. E trasformati in rianimati dal necromante.”
“Rianimati?” chiese Ryhana. La seccava dovergli fare tante domande.
Non so niente di queste faccende, si disse angosciata. Dovrei imparare tutto per potermi difendere la prossima volta.
“Quelli che lui chiamava doni. Come il povero Sofion.”
“Mi ha attaccata.”
“Non era più lui, Ryhana. Non so se credi a quello che dicono i monaci del Culto, che tutti abbiamo uno spirito che dopo la morte si separa dal corpo e va in qualche altro posto.”
“A volte andavo al tempio. A volte.”
“Allora sai come funziona. Una volta che lo spirito si è separato dal corpo, non esiste incantesimo che possa riportarcelo. Quello che ti ha aggredito non era Sofion, ma solo il suo corpo controllato dal potere del necromante.”
“Voleva uccidermi.”
“Per poi poterti rianimare in seguito. È così che ha fatto con la gente di Castis. Con l’aiuto della mutaforma.”
“Lei è ancora viva?”
Annuì. “Viva, ma non può parlare. Le hai fratturato la mascella con quel pugno. Devi averglielo dato molto forte.”
“Volevo ucciderla.”
“E avresti fatto bene.” Sospirò.
“La miniera??”
“Anche lì erano tutti morti. Il necromante stava creando qui il suo piccolo regno di morte. Ma non sarebbe rimasto nascosto per sempre. Prima o poi i corpi sarebbero stati corrotti dalla decomposizione, diventando inutili e costringendolo a spostarsi altrove e ricominciare.”
Ryhana rabbrividì.
“Ora ti lascio riposare” disse Grenn raddrizzando la schiena.
“Solo una domanda” disse con voce flebile.
“Sì?”
“Yush.”
Grenn annuì. “È vivo e sembra voglia collaborare. Ha detto molte cose da quando lo abbiamo preso.”
“Era con me al santuario.”
“Lo sappiamo. Anche il necromante e la mutaforma erano lì. Almeno così dice Yush.”
Ryhana si accigliò.
“Ha fatto dei nomi, li verificheremo quando saremo da Ilyana.” Il viso venne attraversato da una smorfia che subito sparì.
“Che c’è?” gli chiese.
Lui scosse la testa. “Niente di davvero importante, ma c’è un’altra cosa che Yush ha detto.”
“Che cosa?”
“Riguarda te.” Grenn deglutì a vuoto. “Dice che tu eri nel santuario quando qualcosa li ha attaccati. Dice che sei stata tu a uccidere tutti quanti.”

 

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Capitolo 29
*** Attenta a ciò che desideri ***


Attenta a ciò che desideri
 
“Se anche l’avessi fatto” stava dicendo Gunt. “Sarebbe comunque una cosa buona, no?” Addentò un pezzo di carne secca e lo strappò dal resto. “Voglio dire, uccidere dei rinnegati che stanno compiendo qualche rito proibito è una cosa giusta. Ci avresti fatto un favore e dimostrerebbe che sei dalla nostra parte.”
“Io non ho ucciso nessuno” disse Ryhana sconvolta.
Da tre giorni ripeteva quella frase sperando che le credessero. Da quando avevano lasciato Castis e si erano messi in cammino verso Nelnis per tornare da Ilyana con il prigioniero.
La mutaforma era morta due giorni dopo il combattimento.
“Sono state le ferite dei dardi” aveva spiegato Khefra.
Ryhana sapeva che quelle ferite potevano infettarsi e portare alla morte in pochi giorni. Lo aveva visto accadere almeno cinque o sei volte al campo dei rinnegati, quando preparava pozioni per Anzi e Mirok.
“Sto solo dicendo” proseguì Gunt ignorandola. “Che non devi sentirti in colpa, tutto qui. Quella gente meritava di morire e tu hai fatto solo la cosa giusta.”
“Non li ho uccisi” disse alzandosi di scatto, le labbra che le tremavano e i pugni serrati.
“Adesso smettila” disse Angotte rivolta a Gunt.
Lo stregone le rivolse un’occhiataccia. “Stavo solo dicendo quello che penso.”
“È questo il problema.”
Ryhana si allontanò camminando a scatti. Il braccio le faceva male ma meno del giorno prima. Adesso riusciva a sollevarlo senza sentire una fitta di dolore e poteva anche stringere la mano.
Si rifugiò in un angolo buio della radura e sedette nell’erba, le gambe raccolte contro il petto.
Angotte la raggiunse. “Vuoi parlare?” le chiese.
“No” rispose, anche se voleva, ma non con lei.
La strega annuì. “Parlare ti aiuterebbe.”
“Come?” le chiese imbronciata.
“Era il tuo primo combattimento, giusto?”
Annuì.
“Ed è la prima volta che vedi qualcuno morire?”
Scosse la testa.
“Chi?”
“Mia madre” rispose.
“Mi dispiace. Come è morta?”
Sospirò. “Al villaggio scoppiò un’epidemia di febbre. Molti si ammalarono e guarirono, ma altri non ce la fecero. Lei sembrò stare bene per un paio di giorni, ma poi la tosse aumentò e il guaritore che doveva venire da un altro villaggio non si fece vedere. Aveva troppa paura.”
“È comprensibile avere paura. Tuo padre?”
“Morto anche lui. Faceva la scorta per dei mercanti. Vennero assaliti da una banda di predoni mentre erano da qualche parte vicino a Ferdin.”
“Gran brutta regione, quella. Due anni fa, quando ero appena consacrata, ci mandarono a controllare e scoprimmo che c’erano stati parecchi assalti.”
L’idea che Angotte fosse stata così vicina a suo padre e avrebbe potuto salvarlo, non la confortava affatto. “Vorrei stare un po’ da sola” le disse usando le parole più cortesi che riuscì a trovare.
“Certo” disse la strega con un sorriso forzato. “Hai ragione.”
La guardò allontanarsi mentre il ricordo di quello che era accaduto a Castis si faceva di nuovo strada nella sua mente.
“Si chiamava Deniane” disse Grenn apparendo come dal nulla.
Ryhana sussultò a quella vista. “Chi?” domandò.
“La mutaforma.”
Lei deglutì a vuoto. “Come lo hai scoperto?”
“Yush ha parlato. Nel suo delirio, Khefra e io siamo riusciti a capire qualcosa di quello che gli è accaduto da quando vi siete separati.”
Annuì e distolse lo sguardo.
“Non ti interessa saperlo?”
“No.”
“Dovresti sentire, invece. Potrebbe essere interessante.”
“Anche tu vuoi ricordarmi che ho ucciso tutte quelle persone?” gli chiese con tono indispettito.
“Tu dici di non ricordare.”
“Dico?”
“Finché non avremo scoperto tutto quello che possiamo, dovremo usare molta prudenza.”
Ryhana annuì. “Allora avanti. Dimmi che cosa hai scoperto da Yush.”
“Il suo racconto è molto confuso, ma ogni tanto diventa chiaro. Ha parlato di un rituale e di statue mostruose che hanno preso vita.”
“Le statue di cui parlava Mirok.”
Grenn annuì. “Proprio quelle.”
“Le statue possono farlo? C’è un incantesimo anche per quello?”
Lui la guardò con espressione incerta. “Alcuni possono creare dei costrutti.”
Ryhana si accigliò.
“Usano il proprio potere per modellare la materia inerte, come le pietre, il legno o l’acqua per dare loro una nuova forma.”
“Come?”
“È difficile da spiegare, io non ho questo potere e non conosco nessuno che lo possegga. In ogni caso, sarebbe vietato usarlo.”
“Perché vietato?” chiese incuriosita.
“È così da sempre. E, credimi, è meglio non chiedersi perché un potere non può essere usato. Inizi a mettere in dubbio che certe leggi siano giuste o meno e cadi nell’errore che fanno i rinnegati.”
“Anche io lo ero, no?” fece con tono polemico.
“Lo eri” disse Grenn. “Lo sei ancora?”
Ryhana sbuffò. “Continua per favore.”
“Yush dice che li hanno portati in un livello molto profondo del santuario. Sanzir era lì con loro, ma è andato via prima che iniziassero. Il monaco che prese il comando al suo posto diceva di chiamarsi Ermund. Tu lo conosci?”
Scosse la testa. “Sanzir e gli altri monaci non ci rivolgevano mai la parola. Nemmeno uscivano dal loro carro o dalla tenda quando facevano una sosta. Li avrò visti due o tre volte.”
“Sapresti riconoscerlo?”
Il viso raggrinzito dell’uomo le apparve nella mente come un fantasma.
“Sì” disse. “Credo di sì. Era anziano e calvo e indossava una tunica azzurra e nera. Lo ricordo.”
“Bene, perché ho intenzione di dargli la caccia.”
“Non è morto nel santuario?”
“Il suo corpo non era tra quelli che abbiamo trovato. C’era solo quello di un giovane monaco, non di uno anziano.”
Ryhana annuì con vigore. “Lo ricordo. Si chiamava Tobamm. Era alto e portava dei baffi ridicoli che lo facevano sembrare meno giovane, ma in maniera divertente.”
Grenn sorrise. “Hai davvero una buona memoria per una che li ha visti così poche volte.”
“Mia madre mi diceva sempre di imparare tutto a memoria perché non sapevo leggere.”
“Cercheremo di risolvere anche questo problema non appena saremo tornati a Nelnis.”
Ryhana si accigliò.
“Ci sono dei buoni eruditi in questa parte del continente, esperti in queste faccende. Kont ha letto dei saggi e forse potrà dirti a chi dovrai rivolgerti.”
“Grazie” disse, sorridendo per la prima volta da due giorni.
“Non ringraziarmi. È così che facciamo noi vigilanti. A volte possiamo sembrare arroganti e litigiosi, ma ci prendiamo cura dei nostri confratelli. E delle consorelle.”
“Io non sono una vigilante.”
“Se è per questo, non sei nemmeno una vera strega. Non ancora. Ma sono sicuro che Ilyana sarà più che felice di aiutarti a guadagnare un mantello, dopo che le avrò fatto rapporto.”
Ryhana si sentì confusa ma cercò di non darlo a vedere. “Stavi dicendo di Yush. Cos’altro ha raccontato del rituale?”
“Dice che portarono lui e altri prigionieri nel livello profondo e li misero in catene al centro di una sala circolare, vicino al bordo di un pozzo. C’erano delle statue rivolte verso di loro, ma non sa descriverle. Per lui erano solo orribili e non vuole aggiungere altro.”
“Anche Mirok sembrava molto impressionato.”
Grenn annuì con vigore. “Tobamm iniziò il rituale leggendo qualcosa da un libro.”
“Cosa?”
“Una sorta di filastrocca o di preghiera, ma Yush non la ricorda. Dice che era in una lingua strana, che non conosce. Dice che erano almeno in trenta nella sala ma che nessuno parlava perché tutti guardavano verso il centro. Dal pozzo emanava una specie di luce intermittente, come se avessero acceso mille fiaccole o cento lampade a olio.”
Ryhana lo fissò accigliata.
Grenn si strinse nelle spalle. “Ti sto riferendo le esatte parole di Yush.”
“Continua.”
“Non c’è molto da aggiungere. All’improvviso la luce è diventata così forte da essere accecante e lui è rimasto abbagliato. Dice che qualcosa lo ha liberato dalle catene e che si è trascinato verso le scale per raggiungere il livello superiore. Dice che non era solo e che c’erano anche Mirok e altri di cui non conosceva il nome. Qui il suo racconto di fa parecchio confuso e non so se credergli o meno. Yush dice che mentre risalivano hanno visto altri scendere.”
“Chi?”
“Un strega dai capelli neri, degli inservienti e…” Ebbe una esitazione. “Tu.”
“Io?”
Grenn annuì con foga.
“Io non sono scesa nel santuario.”
“È lì che ti abbiamo trovata.”
“Lo so, ma…” Non riuscì a trovare le parole adatte. “Io so che non ci sono andata. Non l’avrei mai fatto.”
“Perché no?”
“Avevo paura. Sarei piuttosto scappata via. Mai sarei entrata nel santuario, figuriamoci scendere in un livello così basso.”
“Eppure, tu eri lì quando siamo arrivati noi.”
Ryhana sospirò e scosse la testa. “Non so che cosa rispondere. Forse mi hanno trascinata lì sotto quando ero già svenuta.”
“Supponiamo che sia andata davvero come dici” disse Grenn. “Che cosa ti ha fatta svenire? E perché qualcuno ti avrebbe portata dentro il santuario mentre eri svenuta? E soprattutto, Yush dice che eri ben sveglia quando ti ha vista scendere con quella strega.”
“Si chiamava Fesel” disse. “Era anziana, ma meno di Ilyana. Aveva il viso sfigurato.”
“Era tra i cadaveri trovati nel santuario” disse. “Insieme a parecchi soldati.”
“Facevano la guardia all’ingresso. Non erano molto contenti e nessuno di loro voleva stare lì.”
“Sarebbero dovuti restare nelle loro città invece di unirsi alla rivolta” disse Grenn duro.
“Non mi hai detto come sono morti.”
Dopo essere uscita dal santuario non ci era più rientrata.
Grenn deglutì a vuoto. “La loro vista non ti avrebbe recato nessun giovamento e forse ti avrebbe turbata.”
Ryhana si accigliò. “Sono un’adulta, ormai. Ho già visto la morte. Mia madre è spirata tra le mie braccia.”
E dopo sono dovuta scappare via senza nemmeno darle un vero funerale ma una veloce sepoltura, si disse con rammarico.
“Morire con il conforto dei propri cari è una faccenda diversa da questa. Potrei arrivare a dire che è addirittura piacevole, ma di sicuro è preferibile alla sorte toccata a Fesel e agli altri che si trovavano nel santuario.”
“Che cosa gli è successo, Grenn?” chiese con un filo di voce. “Che cosa hanno fatto a quelle persone?”
“I loro corpi” disse lo stregone esitando. “Erano spezzati. Alcuni, rivoltati come guanti. Un ragazzo, forse un inserviente, era stato diviso a metà. La parte superiore giaceva a dieci passi dalle gambe, mentre il resto era sparpagliato in giro. Qualcosa aveva colpito con forza il viso di Fesel. L’abbiamo riconosciuta solo per il mantello e la tunica che tu ci hai descritto. Tobamm, il monaco, aveva tutti gli arti spezzati e ripiegati in maniera innaturale, come se qualcuno o qualcosa, magari una forza, si fosse divertito a sistemarlo in quel modo.”
“Basta” disse Ryhana. “Non voglio sentire altro.”
“Mi spiace” disse Grenn comprensivo. “Mi hai chiesto di sapere come erano morti e io te l’ho detto.”
“Attenta a quello che desideri, diceva un vecchio proverbio del mio villaggio.”
“Giusto” rispose Grenn. “Anche se erano nell’errore, non devi vergognarti nel provare compassione per quelle persone. La loro fine è stata così orribile da compensare tutto ciò che hanno fatto prima di allora.”
Perché non mi è di alcun conforto saperlo? Si chiese. E perché mi sento in colpa, anche se sono del tutto estranea?
Grenn trasse un profondo sospiro e si alzò. “Non voglio turbarti oltre e meriti di riposare.”
“Aspetta” disse Ryhana riprendendosi un poco. “Yush non ha detto altro?”
“La sua mente è confusa” disse lui vago. “Non possiamo fidarci totalmente d ciò che dice, ma solo trovare dei riscontri con quello che già sappiamo.”
“Ma lui ha un potere.”
“È vero.”
“Che non dovrebbe avere.”
Grenn rimase in silenzio.
“Come me” aggiunse.
“Ne riparleremo quando saremo da Ilyana. Ora riposati. Domani marceremo a lungo per avvicinarci a Nelnis ed entrare in una regione più sicura di questa.”

 

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