Bryce

di heliodor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lui sta tornando ***
Capitolo 2: *** La tua nuova guardia del corpo ***
Capitolo 3: *** La guerra è appena iniziata ***
Capitolo 4: *** Scommessa ***
Capitolo 5: *** Stammi lontana! ***
Capitolo 6: *** Sorriso affascinante ***
Capitolo 7: *** Cancellati dalla storia ***
Capitolo 8: *** Non si fidano di me ***
Capitolo 9: *** Non vincere prima di rivederci di nuovo ***
Capitolo 10: *** Posso fare di più ***
Capitolo 11: *** Quella che non sono ***
Capitolo 12: *** Cacciatori di ombre ***
Capitolo 13: *** Niente di buono ***
Capitolo 14: *** Nessuno dovrebbe morire da solo ***
Capitolo 15: *** Il Forgiatore ***
Capitolo 16: *** Tu non sai di che cosa è capace ***
Capitolo 17: *** Non sai niente di noi ***
Capitolo 18: *** Ho solo i miei poteri ***
Capitolo 19: *** Fiducia ***
Capitolo 20: *** Tu non sei la benvenuta ***
Capitolo 21: *** Il tuo valore ***
Capitolo 22: *** Gloriose vittorie ***
Capitolo 23: *** Forte per entrambe ***
Capitolo 24: *** Il mio nome è Bryce ***
Capitolo 25: *** Prigioniera ***
Capitolo 26: *** Smetti di essere ciò che sei ***
Capitolo 27: *** Offerta infame ***
Capitolo 28: *** Sono io al comando, dannata ragazzina ***
Capitolo 29: *** Puoi fidarti di me ***
Capitolo 30: *** Risolviamo la faccenda ***
Capitolo 31: *** Solo un ricordo ***
Capitolo 32: *** Che cosa faremo dopo ***
Capitolo 33: *** Leggi e regole ***
Capitolo 34: *** La ragione per cui lottiamo ***
Capitolo 35: *** Un nuovo mondo ***
Capitolo 36: *** Ottenere informazioni ***
Capitolo 37: *** Fine del viaggio ***
Capitolo 38: *** Sola contro tutti ***
Capitolo 39: *** Salvataggio ***
Capitolo 40: *** Mi serve il tuo aiuto ***
Capitolo 41: *** Impara a comandare ***
Capitolo 42: *** Niente è inevitabile ***
Capitolo 43: *** Solo tu puoi salvarci ***
Capitolo 44: *** Ospiti sgraditi ***
Capitolo 45: *** Protezione ***
Capitolo 46: *** Insieme ***
Capitolo 47: *** Rinunciare a combattere ***
Capitolo 48: *** La cosa che ti riesce meglio ***
Capitolo 49: *** Stupida e orgogliosa ***
Capitolo 50: *** La decisione è già stata presa ***
Capitolo 51: *** Giusto castigo ***
Capitolo 52: *** Ciò che è giusto ***
Capitolo 53: *** Non devo aver paura ***
Capitolo 54: *** Una via diversa ***
Capitolo 55: *** Fare la cosa giusta ***
Capitolo 56: *** Momento di gloria ***
Capitolo 57: *** Morte gloriosa ***
Capitolo 58: *** Fino alla fine ***
Capitolo 59: *** Andiamo a morire ***



Capitolo 1
*** Lui sta tornando ***



Mappa

Lui sta tornando

 
Un uomo era a terra, il petto squarciato da una ferita. Lei era in piedi, al suo fianco, il vestito imbrattato di sangue.
Era quello di suo padre.
Era schizzato verso di lei quando i dardi magici lo avevano raggiunto, spingendolo indietro. Lui si era accasciato al suolo mentre lei si era voltata per difenderlo col suo scudo magico.
La voce di sua madre la raggiunse, lontana e ovattata, mentre altri dardi magici esplodevano in una cascata di scintille davanti a lei.
Lo scudo vibrò e lei avvertì il potere che veniva consumato mentre fluiva dentro il suo corpo, nel braccio, nella mano fino al palmo dove diventava qualcosa di esterno a lei, ma sempre sotto il suo controllo.
Al centro esatto dell’altra mano apparve un oggetto piccolo e luminoso a forma di punta di freccia.
Era così che lo aveva immaginato prima di evocarlo.
Per qualche istante ne assaporò la fredda consistenza nella mano, quasi a saggiarne la realtà, mentre attorno a lei udiva le grida di quelli che erano stati feriti e non erano ancora morti.
Una figura le passò di fianco facendola trasalire. Il volto di Vyncent le si parò davanti, l’espressione stravolta. Una striscia di sangue rappreso gli divideva in due la guancia sinistra.
“Bryce” le gridò. “Vieni via.”
Fece per afferrarle la spalla ma lei si ritrasse. Il mantello azzurro ricamato d’oro e argento frusciò sul pavimento sfiorandole le caviglie.
Per un attimo restò immobile a fissarlo, come se il mondo attorno a lei avesse rallentato fino a fermarsi. Con la coda dell’occhio vide emergere da dietro una colonna un uomo.
Indossava una camicia bianca sporca di sangue e pantaloni blu scuro completati da stivali a mezza altezza. Sul suo viso accigliato leggeva la rabbia e la frustrazione mentre sollevava la mano destra e la puntava contro una ragazza dal corpo esile e i capelli rossi come il fuoco.
La ragazza rimase immobile a fissarlo.
Vai via da lì, avrebbe voluto urlarle, ma le parole non presero forma.
Il suo braccio si mosse da solo, alzandosi e puntando verso l’uomo con la camicia. Con un gesto fluido liberò il piccolo dardo di luce e potere che sfiorava il palmo della mano.
La freccia seguì una traiettoria diretta al collo dell’uomo, lasciandosi dietro una scia luminosa che sparì lasciando solo una traccia di sé.
Il dardo magico trapassò il collo dell’uomo e spuntò dall’altra parte, sparendo. Mentre si accasciava al suolo, Bryce si mosse verso la ragazza ancora immobile.
“Vai via di lì” le gridò.
Lei la guardò stupita. “Voleva uccidermi” disse. Era ancora in piedi vicino al balcone, le scarpe di velluto prezioso immerse in un mare di vetri ridotti in frantumi e sangue che era schizzato ovunque.
Girò la testa a sinistra. “Vyncent” disse al ragazzo che l’aveva seguito sulla balconata. “Portala al sicuro.”
Vyncent tese una mano alla ragazza dai capelli rossi e quel gesto sembrò scuoterla.
“Vai con lui” le disse per rassicurarla.
“E tu?” le chiese lei.
“Devo occuparmi dei rinnegati.”
Bryce la lasciò a metà di una frase voltandole le spalle e percorrendo a ritroso la strada che aveva fatto prima di arrivare lì.
Suo padre era ancora a terra ma non era da solo.
Una donna dai capelli biondo cenere era chinata sopra di lui mentre due uomini col mantello azzurro si erano piazzati ai suoi fianchi con le braccia puntate verso l’esterno.
Bryce vide ondeggiare l’aria vicino ai loro palmi.
“Madre” disse rivolta alla donna inginocchiata.
Lei alzò la testa. “Bryce.”
“Come sta?”
“Respira” disse. “A fatica, ma respira. E il suo cuore batte ancora.”
Bryce annuì decisa. Guardò i due uomini. “Voi restate qui, non fate avvicinare nessuno.”
Uno dei due annuì.
Bryce guardò oltre le loro teste e individuò il punto della sala più distante. Lì, vicino alla grande porta rettangolare che ne era l’ingresso, si erano accalcate una cinquantina di figure. Quasi tutte indossavano un mantello sopra i vestiti. La maggior parte erano azzurri, ma ne vide anche alcuni rossi, giallo limone e bianco.
Le altre, una quindicina, si stavano raggruppando con la schiena contro il muro. Attorno a loro brillavano le scintille dei dardi che si infrangevano contro gli scudi.
Una donna con il mantello rosso intenso aveva avvicinato i palmi e nello spazio che li separava stava evocando un sole in miniatura, una sfera di fiamme rutilanti che sembravano volersi espandere in tutte le direzioni.
Bryce notò con la coda dell’occhio Vyncent che portava via la ragazza dai capelli rossi e si sentì più tranquilla si mosse verso il gruppo che stava combattendo in fondo alla sala.
Dopo il primo passo, una figura si gettò contro di lei arrivando da destra. Il riflesso della luce sulla lama di una spada la fece sussultare. Eseguì un mezzo giro sul busto per parare l’affondo della spada con lo scudo magico.
La lama rimbalzò contro il potere che fluiva dalla sua mano increspando l’aria con onde che si propagavano in tutte le direzioni.
Bryce strinse i denti ed evocò un dardo magico nella mano libera. Alzò il braccio e lo puntò contro l’avversario che era indietreggiato preparandosi a un nuovo assalto.
Il dardo lo colpì all’addome proiettandolo all’indietro. La spada gli sfuggì di mano e cadde rimbalzando un paio di volte.
Bryce aveva già perso interesse nell’avversario e si era rimessa a camminare verso il fondo della sala.
“Ti ammazzo” gridò qualcuno alla sua sinistra.
Stavolta era pronta con un dardo e sollevò il braccio verso la figura che le stava balzando addosso.
La donna indossava un abito scuro sotto un grembiule bianco da ancella, uguale a quello che le servitrici portavano a palazzo.
Bryce si era preparata a un affondo di spada e rimase sorpresa quando la donna allungò una mano verso la sua spalla e strinse le sue dita contro la sua carne.
Un dolore intenso si propagò nella parte destra del suo corpo. La donna l’attirò verso di sé e le sferrò un pugno all’addome.
Bryce si piegò su sé stessa, il fiato che le mancava.
Un palmo più in alto e mi avrebbe sfondato il torace, si disse mentre barcollava indietro e cercava di sottrarsi alla presa della donna.
Lei alzò un pugno per colpirla alla testa e lo calò come una clava. Bryce sollevò entrambe le mani incrociando i polsi a mezz’aria per bloccare l’attacco.
L’impatto le procurò un dolore profondo alle braccia. Tentò di scivolare lontano ma la donna le afferrò il collo e strinse per soffocarla.
“Muori” ringhiò la donna a denti stretti, il viso distorto da una smorfia di odio e disgusto.
Bryce evocò i dardi magici e li puntò verso il corpo di lei, lasciandoli partire. I proiettili l’attraversarono sbucando dall’altra parte, ma la donna non mollò la presa.
“Dovrai fare di più” disse schiumando per la rabbia. “Dovrai…”
Bryce spalancò la bocca alla ricerca di aria, le dita della donna che affondavano sempre di più nella carne. Sentì scricchiolare qualcosa nella gola mentre cercava di divincolarsi da quella morsa.
 “Fare di più” continuò a dire la donna.
Bryce distese il braccio destro verso l’esterno e chiuse la mano a pugno, aprendola un attimo dopo. Nel palmo prese forma un oggetto lungo e sottile, l’impugnatura rivolta verso l’interno. La lama non aveva peso né un vero spessore. Era fatta dello stesso potere che adesso fluiva libero nel suo corpo consumando le sue forze e donandole forza e resistenza sovrumane.
Sollevò il braccio e lo calò con un gesto fluido e netto in avanti.
La donna che stava cercando di strangolarla sgranò gli occhi e fece un passo indietro, il braccio troncato di netto all’altezza del gomito, mentre la mano e il resto erano ancora stretti attorno al collo di Bryce.
“Tu hai” disse la donna incredula. “Tu hai…”
Bryce afferrò la mano ancora stretta attorno alla gola e la tirò via. Nel farlo le unghie affondate nella pelle morbida del collo ne strapparono qualche lembo. Gettò via l’arto disgustata e avanzò verso la donna, la lama di potere stretta nella mano.
Lei cercò di voltarsi ma Bryce balzò in avanti e affondò la lama nel suo fianco passandola da parte a parte. Muovendo il polso e facendo leva con il resto del braccio, tagliò di netto attraverso l’addome della donna e tirò via la spada.
Il sangue zampillò dallo squarcio mentre la sua avversaria crollava in avanti, la bocca spalancata in un urlo silenzioso.
Bryce fece sparire la lama di potere e tornò a guardare verso il fondo della sala, dove i mantelli avevano assediato i pochi sopravvissuti circondandoli su tre lati.
“Arrendetevi” disse una donna dai capelli chiari tagliati cortissimi.
Anche se era coperta di sangue e ferite, Bryce la riconobbe con una sola occhiata. L’aveva incontrata per la prima volta quel pomeriggio ma ricordava bene il suo nome.
Erix, disse formando la parola nella sua mente.
Al suo fianco, un uomo dall’aria imponente aveva evocato uno scudo magico. Indossava un mantello verde che sembrava ondeggiare nell’aria mentre si muoveva verso il muro formato dagli assediati.
Questi, non più di una decina, avevano formato un semicerchio al centro del quale, protetto dagli scudi magici che increspavano l’aria, c’era uno uomo dai capelli corvini e l’espressione di selvaggia esaltazione dipinta sul volto.
“Mai” gridò.
Erix fece un passo avanti. “Se vi arrendete adesso, avrete un giusto processo.”
“Lui sta tornando” gridò l’uomo alzando le braccia verso il soffitto. “Malag sta radunando le sue truppe per marciare contro le vostre misere città e fortezze.”
Bryce si accigliò mentre Erix serrò la mascella.
L’uomo al suo fianco disse qualcosa che da quella distanza non riuscì a sentire e lei assentì.
“Quando prenderà la vostra città” proseguì l’uomo. “Sarete voi a essere giudicati.”
Erix fece un altro passo avanti.
L’uomo gridò qualcosa prima di venire avvolto da una luce accecante.
Bryce socchiuse gli occhi cercando di resistere per guardare cosa stesse accadendo sul fondo della sala.
L’uomo stava gridando frasi incomprensibili mentre ondate di potere investivano tutti quelli che si trovavano a una decina di passi di distanza.
Bryce poteva sentire quelle onde schiaffeggiarle il viso provocandole una sensazione spiacevole.
“Sigillo di morte” gridò qualcuno.
Bryce vide il fronte dei mantelli sgretolarsi mentre tutti cercavano di allontanarsi dalla luce accecante e la fonte delle ondate di potere.
Vide Erix voltarsi verso di lei. “Usa lo scudo” le gridò.
Bryce alzò il braccio cl quale aveva evocato lo scudo magico un attimo prima di venire investita da un’ondata più forte delle altre. Fu così potente che dovette faticare per non essere trascinata via e scaraventata lontano da lì.
Il potere la circondò infrangendosi contro lo scudo in una cascata di scintille che le illuminarono il viso e infuriando per attimi che sembrarono interminabili.
E quando quel vento impetuoso fatto di potere si calmò, anche la luce accecante si affievolì fino a sparire.
Bryce aprì gli occhi e guardò verso il fondo della sala. Tutti quelli che si trovavano a meno di venti passi dall’esplosione di potere giacevano a terra ridotti a forme irriconoscibili.
La battaglia era finita.

Note
Oggi inizia una nuova avventura nella quale tenterò un percorso diverso. Questa sarà una serie di avventure lunghe 40-50 capitoli piuttosto che una singola storia da 300 e più. Non uso a caso il nome serie perché si tratta di più storie (almeno 8 al momento ma non mettiamo limiti alla provvidenza 😊 ) Ogni storia sarà indipendente dalle altre anche se potrà contenere eventi e personaggi secondari in comune.
Il/la protagonista cambieranno a ogni storia. Iniziamo con Bryce e poi proseguiremo con Ryhana (una strega rinnegata che deve imparare a usare i poteri che ha ricevuto e decidere che cosa vuole farne) per continuare con Myla (una monca guerriera che deve fermare una setta di eretici che vuole evocare un pericoloso demone) e altre storie che vi svelerò nei prossimi mesi.
Bryce si inserisce tra i primi capitoli di Joyce, coprendo un periodo che va grossomodo dal 5 al 15 ed espande le storyline di alcuni personaggi e ne aggiunge altri che spero vi piaceranno.
Cercherò di pubblicare un capitolo ogni due giorni in modo da darvi tempo di leggere tutto quello che posterò… perché vi ho detto che già nei prossimi mesi potrebbero uscire più di due o tre storie contemporaneamente? No? Ve lo dico adesso allora 😊
Il tutto ovviamente senza smettere di pubblicare un capitolo al giorno di Valya almeno fino a Natale (se non oltre).
Insomma una nuova follia, ma a me piacciono le sfide folli.
Consiglio per la lettura (assolutamente non obbligatorio): leggete i primi 5 capitoli di Joyce, poi tornate qui e proseguite Bryce.
O infischiatevene, tanto potete leggere Bryce in maniera del tutto indipendente.
A voi la scelta come al solito 😊

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Capitolo 2
*** La tua nuova guardia del corpo ***


La tua nuova guardia del corpo

 
Bryce sedeva piegata in avanti, le mani che le tremavano quando non era concentrata su di loro. Aveva nelle narici la puzza di sudore, morte e sangue e nelle orecchie le grida di quelli che erano stati feriti, compreso suo padre.
Alzò la testa verso la porta alla sua destra. Era di solido legno ed era chiusa. Due uomini col mantello azzurro stazionavano davanti a essa. Altri soldati armati di lancia e scudo andavano avanti e indietro per il corridoio.
Su quel livello le finestre si aprivano verso il cortile interno del palazzo, mostrando un ampio squarcio dei giardini.
In quel momento erano immersi nel buio, ma Bryce sapeva che tra poco il sole sarebbe sorto illuminando le aiole e i gazebo avvolti nelle piante rampicanti.
Una mano si posò sulla sua spalla facendola trasalire.
“Stai bene?” le domandò Vyncent.
Bryce lo fissò a lungo con sguardo perso nei suoi occhi azzurri e profondi. Indossava una tunica nera sotto il mantello color verde ricamato in oro e argento. I capelli, di un biondo così chiaro da sembrare bianchi, erano abbastanza lunghi da coprirgli il collo delicato ma non raggiungevano le spalle ampie e solide.
Annuì cercando di non mostrare la sua preoccupazione.
“Hanno attaccato senza alcun motivo” disse.
“C’è sempre un motivo per attaccare il nemico” rispose Vyncent.
“Noi siamo i nemici?”
“I giusti e gli onesti sono sempre i nemici dei rinnegati.”
Bryce fece una smorfia. “Quindi Malag è davvero tornato?”
Vyncent si strinse nelle spalle. “Così sembra.”
“Non era morto cento anni fa?”
“Penso che non esista qualcuno che possa rispondere alla tua domanda. Tutti quelli che potevano sono morti da almeno vent’anni.”
Bryce sospirò affranta. “Mio padre è oltre quella porta.”
Vyncent annuì grave. “I guaritori se ne stanno occupando. E a Valonde avete quelli migliori.”
A Bryce sfuggì un mezzo sorriso.
“Ho detto qualcosa di divertente?” chiese Vyncent. “O di ridicolo?” Aggiunse subito dopo, ma non sembrava arrabbiato né irritato.
“Non stavo ridendo di te” si affrettò a dire Bryce. “Ripensavo a mio padre. Lui odia i guaritori. Li disprezza. Dice sempre che non sono nemmeno dei veri stregoni.” Scosse la testa. “E adesso la sua vita dipende da loro, dai guaritori.”
Vyncent ghignò. “Hai ragione, è divertente.”
“Stai ridendo di mio padre” lo ammonì Bryce.
Vyncent tornò serio. “Ti chiedo scusa. Sono imperdonabile, specie in un momento come questo.”
Stavolta fu Bryce a ridacchiare. “Stavo scherzando.”
Vyncent sembrò rilassarsi un poco.
“Grazie.”
Lui si accigliò. “Per cosa?”
“Hai protetto mia sorella.”
Silenzio.
“La ragazzina dai capelli rossi.”
Vyncent annuì grave. “Lei. Sì... Se non ricordo male il suo nome è Joyce, giusto?”
Bryce annuì.
“Abbiamo ballato” disse Vyncent sorridendo.
“Cosa?” fece lei sorpresa.
Lui scrollò le spalle. “Lo avrei chiesto a te per prima, in fondo eri la festeggiata, no? La consacrazione era la tua. Ma eri troppo impegnata a parlare con quel tizio alto col mantello verde limone.”
“Gornig” disse Bryce. “Si chiamava Gornig. Veniva da Belliron, credo. Non lo ricordo.” Scosse la testa. “Mi sembra tutto così irreale.”
La porta si spalancò all’improvviso facendoli sussultare entrambi per la sorpresa. Bryce gettò una rapida occhiata all’interno e colse uno scorcio di quello che si trovava nella stanza. Un letto, una dozzina di uomini e donne che lo circondavano. Una figura distesa tra lenzuola sporche. Il viso dall’espressione stravolta di sua madre e quello impassibile di Razyan che l’osservava da uno degli angoli.
Fece per andare verso la porta ma questa venne richiusa da un soldato con suo disappunto. Stava per protestare quando una mano le artigliò la spalla.
Si voltò di scatto e riconobbe il viso sereno di suo fratello Galef. Indossava un completo bianco crema sotto il mantello blu ricamato con motivi floreali dorati.
“Che ci fai qui fuori?” le chiese.
“Aspetto notizie” gli rispose.
“Non ce n’è bisogno. Se ci saranno delle novità manderò un valletto a informarti.”
“Non voglio che sia un dannato valletto a dirmi che” esitò senza riuscire a trovare le parole.
O senza trovare il coraggio di pronunciarle.
“Vai a riposare” disse Galef. “È stata una giornata dura per te, con la consacrazione e tutto il resto.”
La consacrazione, si disse Bryce. La mia consacrazione. Il momento più importante della vita di una strega. Della mia vita.
Ricordava ancora l’emozione che aveva provato quella mattia quando aveva marciato fuori dalla sua stanza per raggiungere il cortile del palazzo dove l’attendeva la carrozza scoperta.
Vi erano montati in tre oltre al conducente. Suo padre, in qualità di re di Valonde e suo fratello Galef come suo accompagnatore ufficiale, lo stregone che l’avrebbe introdotta al circolo.
Aveva ancora negli occhi la folla che l’aveva acclamata mentre sfilava per la Via del Trionfo, la strada che dal palazzo reale conduceva alla cupola scintillante del circolo.
E il momento in cui Erix le aveva appoggiato sulle spalle il mantello azzurro con fregi bianco platino e oro, ancora la faceva fremere per l’emozione al ricordo di quello che aveva provato.
Era stato il momento più bello della sua vita, la giusta conclusione di tanti anni passati ad allenarsi nei sotterranei del palazzo prima con Galef e suo padre e poi con le altre guide che aveva avuto.
Quando i decani avevano annunciato che era stata ritenuta pronta per entrare nel circolo, il giorno del suo diciannovesimo compleanno, Bryce aveva nascosto a stento l’emozione che provava.
Non devo piangere, si era detta. Non devo piangere. Piangere è da deboli le ripeteva suo padre. Davanti a tutto quello aveva trattenuto le lacrime e adesso che sentiva il bisogno di versarne qualcuna, si era resa conto di non esserne capace.
Galef la stava fissando in silenzio. “Sei esausta” le disse con tono comprensivo. “Vai nella tua stanza e restaci. È un ordine da un tuo confratello di rango superiore.”
Bryce annuì e guardò altrove.
Galef alzò gli occhi verso Vyncent. “Io ti conosco. Eri alla consacrazione con Rajan di Londolin, vero?”
“Sono Vyncent” disse. “Io saluto te. Ti avrei reso un degno omaggio al ballo, ma sei andato via quasi subito.”
“Non gradisco molto la musica” disse Galef. “Ma sarei tornato per i dolci. Quelli non me li perdo mai. Bryce può confermartelo.”
Quella frase le strappò un debole sorriso. Galef riusciva sempre a farla ridere quando voleva.
“È vero” disse. “I dolci e i giochi con le carte sono la sua passione. Mia madre lo rimprovera sempre perché ne mangia troppi.”
“Almeno non ho quella per i libri della Stennig come Joyce.”
“Non farti sentire da lei” lo ammonì Bryce con tono dolce.
“Adesso vai” disse Galef gentile. “C’è un letto e delle calde lenzuola che ti attendono.”
Bryce annuì e li lasciò davanti alla porta in attesa che si aprisse di nuovo. Raggiunse la sua stanza e si gettò sul letto senza svestirsi. Stava ancora ripensando alla terribile giornata appena trascorsa quando scivolò in un sonno leggero.
 
Alzò la testa di scatto e si guardò attorno. Era buio ma dalle imposte abbassate filtravano i raggi del sole.
È giorno, si disse.
Due colpi alla porta la fecero sussultare. Si alzò e fissò la maniglia in silenzio, quasi temendo di toccarla.
Altri due colpi, più forti di prima.
Andò alla porta e la spalancò. Sulla soglia apparve Roge, l’espressione cupa. “Stavi dormendo?”
Almeno non è il valletto di Galef, si disse.
“Ci sono novità?”
“Lui sta meglio” disse.
Bryce tornò a respirare come prima. “Vado da lui” disse uscendo.
Roge le bloccò il passo. “Mi ha mandato Galef.”
Bryce si fermò.
“Dice che non c’è bisogno che ti presenti anche tu. Ci sono già i guaritori.”
“Voglio solo vederlo.”
“Prima devi cambiarti” disse Roge. “E dopo devi andare al circolo.”
Bryce si accigliò.
“Consiglio di guerra” disse suo fratello. “E pare che Erix voglia te al suo fianco. Non chiedermi il perché, ma è così. Ci saranno anche Razyan, la guida di Londolin e una mezza dozzina di stregoni e nobili alleati.”
“Non mi interessa” disse Bryce con tono sbrigativo.
“Questo era quello che ti dovevo dire” disse lui. “Ma tanto so già che farai di testa tua. Fai sempre così, no? Gli altri ti dicono che cosa è meglio fare e tu fai qualcosa. Di solito.”
Bryce ignorò l’accusa del fratello e gli sbatté la porta in faccia. Soddisfatta di essersi presa quella piccola rivincita aprì il guardaroba e vi gettò una rapida occhiata.
 
Il circolo era come lo ricordava. In fondo ne era uscita meno di un giorno prima consacrata come strega ed era difficile che in quel poco tempo che era trascorso fosse cambiato molto.
Un edificio alto e di forma circolare che occupava l’intera piazza occidentale della città. Una cupola coperta di lastre di metallo luccicavano sotto i raggi del sole come un secondo astro. Sapeva per esperienza che se avesse provato a fissarla in una giornata limpida come quella ne sarebbe rimasta abbagliata.
La piazza in cui sorgeva la cupola del circolo era di forma quadrata. Ogni lato misurava duemila passi almeno ed era punteggiata di colonne e archi che sembravano sorgere dalla pavimentazione stradale fatta di grandi lastre di pietra grigia.
L’edificio in sé occupava meno di un terzo della superficie della piazza ma si ergeva per cinque livelli nonostante la mole. A intervalli di cento passi si aprivano ingressi sormontati da archi. Sopra ognuno di essi svettava lo stendardo col simbolo del circolo, i tre cerchi concentrici bianchi su sfondo nero. In basso, quello di Valonde, la stella a cinque punte dorata su sfondo azzurro.
L’entrata principale era delimitata da un arco alto cinquanta passi davanti al quale sostavano dodici uomini e donne che indossavano il mantello color azzurro.
Bryce si diresse verso di loro con sguardo deciso. Era la prima volta che si recava al circolo con il mantello sulle sue spalle e ne avvertiva il peso.
Una delle sentinelle, una donna dalla pelle scura e gli occhi di un nero intenso, le andò incontro. “Io ti saluto” disse rivolgendole un ampio sorriso.
“Io saluto te” rispose Bryce. “Ti conosco?”
“Mi chiamo Elvana” rispose la donna.
Guardandola meglio si rese conto che era piuttosto giovane e che il mantello e i capelli tagliati corti l’avevano tratta in inganno.
Quanto devo sembrare una ragazzina con i miei capelli lunghi? Si chiese imbarazzata.
Amava la sua chioma color del grano e adorava i delicati ricci che di formavano senza che dovesse ricorrere all’aiuto di un’ancella, ma si rendeva conto che la facevano sembrare più giovane di quanto fosse.
“Elvana” ripeté Bryce. “Non ti ho mai vista al circolo.”
“Sono arrivata ieri” disse. “Per la consacrazione. Ma sono arrivata in ritardo e me la sono persa.” Guardò in direzione del castello.
Da quel punto potevano osservare la collina dalla quale dominava la città sottostante. Il castello era fatto di torri e guglie sottili che si lanciavano verso il cielo come altrettanti dardi di balestra pronti a essere scoccati. Poteva persino riconoscere il grande vessillo azzurro che sventolava sulla torre più alta con la stella a cinque punte simbolo del suo casato.
Quella stessa stella era stata ricamata in oro e platino sul suo mantello, in una piega nascosta che Bryce ogni tanto sistemava perché si potesse vedere.
“Vengo da Ningothris” disse Elvana.
Ningothris era la capitale di Nightanatois, una nazione vassalla di Valonde. Bryce lo sapeva bene perché uno dei suoi tutori l’aveva istruita per intere Lune su tutti i regni che formavano l’alleanza di Valonde.
“Sono onorata di conoscerti” disse impaziente di proseguire per la sua strada. Fece per muoversi ed Elvana la seguì. “Mi attendono all’interno” disse.
“Lo so” rispose la strega. “Erix non te l’ha detto?”
Bryce si accigliò.
“Sono la tua nuova guardia del corpo.”

 

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Capitolo 3
*** La guerra è appena iniziata ***


La guerra è appena iniziata

 
Erix l’attendeva in una delle sale interne del circolo. Bryce si districò tra corridoi e sale minori, la mente in subbuglio.
Quando arrivò davanti alla strega, che era in attesa con le braccia incrociate sul petto, era furiosa.
“Sei in ritardo” disse Erix.
“Non mi serve una guardia del corpo” sbottò.
Erix si accigliò.
Bryce indicò Elvana con un cenno della testa. “Parlo di questa qui” disse con tono sgarbato.
Elvana fece una smorfia di disappunto. “Peccato. Avevamo iniziato così bene.”
Bryce la ignorò tornando a concentrarsi su Erix. “Mi devi una spiegazione.”
“Io non ti devo proprio niente, principessa di Valonde. Eseguo solo gli ordini.”
“Di chi? Chi ti ha ordinato di darmi una scorta?”
“Khone. Il decano del circolo. Se hai delle rimostranze da fare, parlane con lui.”
“Lo farò” disse accigliata.
“Ma prima” aggiunse Erix. “Permettimi di illustrarti la situazione.”
Bryce fece per ribattere ma decise di restare in silenzio e ascoltare quello che aveva da dire la donna.
“Siamo stati attaccati.”
“Lo so” disse. “Ero presente anche io.”
“No, Bryce, tu non sai proprio niente. E non ti rendi conto di quanto sia grave quello che è accaduto alla tua consacrazione.”
“Sono morte parecchie persone.”
“Quella è solo una parte del problema” disse Erix. “Sono morte persone che non dovevano morire.”
“Esistono anche persone che possono morire per mano dei rinnegati?” chiese trattenendo a stento la rabbia.
Erix lanciò un’occhiata a Elvana. “Allontanati di una ventina di passi.”
“Come desideri” rispose la strega divertita.
Bryce la guardò allontanarsi. “Non mi serve una guardia del corpo. Non sono Joyce. So difendermi.”
“Tu sai difenderti, lo so” disse Erix. “Ti ho vista alla consacrazione.”
“Allora congeda Elvana.”
“Sono ordini di Khone.”
Bryce sentì la rabbia crescere dentro di lei. “Gli parlerò io e lo convincerò.”
“Bryce, ascolta. Io approvo la decisione del decano. Tutti noi l’approviamo. È una scelta saggia la sua.”
“Tutti voi?”
“Il consiglio ristretto di tuo padre. Tua madre la regina e i tuoi fratelli maggiori, incluso Roge. Il che ha sorpreso anche me se devo essere sincera. Anche loro avranno una guardia del corpo.”
“Perché?”
“I rinnegati hanno ferito tuo padre” disse Erix. “Forse non ti rendi conto di quanto sia grave anche solo pronunciare questa frase, ma fuori dalle mura sicure di Valonde non tutti sarebbero rattristati da questa notizia.”
“Parli di Malag?”
“Parlo della nostra alleanza” rispose Erix. “Ora ascoltami bene. È nostro dovere tenere al sicuro gli eredi al trono di Valonde.”
“Razyan è l’erede.”
“Tutti lo siete” ribatté la donna. “Nel caso uno di voi venga a mancare.”
Bryce deglutì a vuoto. “Stai augurando la morte a uno dei miei fratelli?”
“Le guardie del corpo servono a impedire che ciò avvenga.”
Si ritrovò ad annuire. “Questo posso comprenderlo” disse. “A patto che sia temporaneo.”
“Finché il re non si sarà ripreso dalle sue ferite dovrai avere una scorta al tuo fianco. Elvana è un’ottima strega. Si è consacrata due anni fa e gode della fiducia dei suoi confratelli. Viene da un circolo minore a noi affiliato e non ha molte conoscenze qui a Valonde. È la scelta più saggia che potessimo fare.”
“Ho già detto di essere d’accordo.”
“Non cercavo la tua approvazione” disse Erix con tono duro. “Volevo solo farti comprendere quello che sta per accadere.”
Bryce si sentì fremere. “Roge parlava di una riunione di guerra.”
“Quella è già iniziata.”
“Vorrei assistere.”
“Non sei stata invitata. Galef ti riferirà più tardi.”
“A lui è concesso assistere e a me no?”
“È uno stregone consacrato da cinque anni. Il suo rango è alto e gode della fiducia e del rispetto di tutti.”
“Non dovrebbe esserci Razyan lì dentro?”
Erix sembrò esitare. “I decani pensano che sia più prudente tenere separati gli eredi al trono per il momento.”
Bryce si sentì infiammare. “Non si fidano nemmeno dei loro più stretti alleati” esclamò. “Come siamo arrivati a tutto questo?”
Erix scosse la testa. “Per anni abbiamo fatto finta di non vedere che cosa stesse accadendo.”
Le porte si spalancarono all’improvviso e Bryce fu investita da un vociare sommesso.
“Noi restiamo contrari” stava dicendo un ometto dalla pelle abbronzata. Non indossava il mantello ma era vestito con una stola di pelle decorata con simboli che ritraevano animali marini.
Accanto a lui, Galef annuiva ma dalla sua espressione comprese subito che era contrariato. “Capisco i vostri dubbi ma non possiamo esitare proprio adesso.”
“Ci chiedete un impegno gravoso” disse l’ometto. “Che noi non possiamo affrontare in questo momento. In fondo noi di Taloras abbiamo sostenuto il maggior sforzo bellico nella guerra contro Vulkath e dobbiamo ancora riprenderci da allora.”
“Si tratta solo di un appoggio ufficiale.”
“Per ora possiamo solo fornirvene uno informale” replicò l’altro.
Galef chinò la testa in avanti. “Sarebbe in ogni caso gradito.”
“Riferirò a re Hagar e a Gladia” rispose l’uomo. “E quando mi risponderanno, vi avvertirò.” Lo salutò con un leggero inchino al quale Galef ricambiò con un gesto simile.
Quando l’ometto si fu allontanato Bryce andò dal fratello.
“Dall’espressione che hai” disse Galef divertito. “Sospetto che Erix ti abbia già detto della nuova regola.”
Bryce annuì e indicò Elvana. “Quella lì deve seguirmi dappertutto?”
Notò con la coda dell’occhio uno stregone dall’espressione corrucciata che li osservava da un angolo distante della sala.
“Quella è la mia scorta” disse Galef con espressione rassegnata.
Erix aveva avvicinato uno degli stregoni che erano usciti dalla sala e stava parlottando con lui a bassa voce.
“Si chiama Sten” aggiunse suo fratello.
“La mia Elvana.”
“È bella” disse Galef divertito. “Devi presentarmela.”
“Smettila di fare lo sciocco” lo rimproverò Bryce. “E dimmi di che cosa avete discusso lì dentro.”
Galef le indicò il corridoio. “Passeggiamo mentre parliamo, vuoi?”
Bryce lo seguì controvoglia.
“I decani vogliono la guerra” disse suo fratello.
“Bene.”
“Aspetta a dirlo. Saremo soli, almeno all’inizio. Noi e i nostri vassalli, intendo.”
“L’alleanza?”
Galef ridacchiò. “Quella possiamo anche scordarcela, per il momento.”
“Pensavo che i trattati significassero qualcosa per quelle persone” disse arrabbiata.
“Si sono proprio appellati a quelle carte, a dire la verità.”
Lei lo fissò interdetta.
“L’alleanza è stata creata cento anni fa nel timore che Malag o un suo discepolo potessero tornare a minacciarci.”
“E non è accaduto questo l’altra sera? Non siamo stati attaccati da Malag e dai suoi rinnegati?”
“Quelli che dicono di essere suoi rinnegati” la corresse lui.
“È uguale.”
“Non per i delegati di Taloras e Candor, tanto per dirne due. Sostengono che non ci sono prove che Malag sia tornato.”
“E allora chi ci ha attaccato?”
Galef si strinse nelle spalle.
“Nemmeno tu sei del tutto convinto.”
“Bryce” iniziò a dire suo fratello.
Lei lo fronteggiò con espressione decisa. “Dillo chiaramente. Senza nascondermi niente.”
Galef trasse un profondo sospiro. “Sono passati cento anni. Bellir ha ucciso Malag in duello, lo sanno tutti. Un attacco, anche se grave, non può cancellare tanti anni di storia.”
“Ma è accaduto” disse lei. “Come possono non capirlo. Come puoi, tu?”
Galef allargò le braccia. “Servono prove più forti.”
“Mi sono addestrata una vita intera per questo momento” disse Bryce. “E sento che è finalmente giunto. Quattro ambasciatori stranieri non potranno negarlo a lungo.”
“Quando avranno le prove che chiedono, scenderanno in guerra al nostro fianco.”
Bryce scosse la testa. “Questa è follia.”
“Questa è la guerra” disse Erix alle sue spalle. “Ed è appena iniziata. Vai nella tua stanza qui al circolo e restaci. Ci sarà un’altra riunione, stavolta tra i comandanti di Valonde. Se quei codardi non vogliono combattere, non possono decidere anche per noi.”
Quelle parole risollevarono l’umore di Bryce. Guardò Galef, la cui espressione si era intristita. Questo la turbò per qualche istante, quando ricordò che era arrivata lì senza altri vestiti a parte quelli che indossava.
“Ti farò portare un baule” disse Galef come comprendendo al volo i suoi pensieri. “Li farò portare anche per Roge. Penso che ne avremo bisogno.”
Bryce sospirò e, rimasta sola, si diresse al livello inferiore dove si trovava la stanza che gli era stata assegnata. Elvana l’affiancò.
“Che cosa vuoi?” le chiese con tono sgarbato.
La ragazza si strinse nelle spalle. “Svolgo il mio compito. Faccio la mia parte.”
“Non puoi andare a farla da un’altra parte?”
“Devo occuparmi della tua sicurezza, principessa.”
“Sono nel circolo di Valonde, in mezzo ai miei confratelli e consorelle. È forse il luogo più sicuro per me nel continente maggiore. Non ho bisogno che tu mi guardi le spalle.”
“I decani ed Erix non sembrano pensarla come te.”
“E come la pensano secondo te?” le chiese con tono di sfida.
Elvana si accigliò. “È evidente, no?”
Bryce scosse la testa.
“Non si fidano affatto dei tuoi confratelli e consorelle.”
A stento dominò l’istinto di darle un pugno. “Che tu sia dannata” esclamò infuriata. “Stai parlando dei mantelli consacrati di Valonde. I migliori del mondo conosciuto.”
Elvana si strinse nelle spalle facendo aumentare la sua irritazione.
“Devi chiedere scusa. Adesso.”
“Non ti ho offesa” disse Elvana.
“Hai offeso il circolo di Valonde.”
“Non mi pare.”
Bryce strinse i pugni. “Idiota” disse tra i denti marciando per il corridoio.
Elvana la seguì in silenzio fino alla porta di legno. Era piccola rispetto a quelle grandi e decorate che chiudevano l’ingresso delle sale del livello superiore.
Bryce la spalancò con un gesto rabbioso ed entrò nella stanza. Era senza finestre e misurava venti passi su ogni lato. Alla sua destra era appesa una lampada a olio che accese rivelando con la sua luce un letto, due bauli vuoti e un armadio a due ante. C’erano anche un piccolo scrittoio munito di sedia con matite e pergamene e uno scaffale occupato da mezza dozzina di libri, metà dei quali le erano stati regalati da Joyce e che non aveva mai letto né sfogliato da quando si trovavano lì.
Il pensiero di Joyce l’aiutò a calmarsi. Pensò a quanto doveva essere impaurita per quello che era accaduto e per aver dovuto assistere al massacro del giorno precedente.
Guardò Elvana, in piedi sulla soglia della stanza.
“Bella” disse la strega. “È più grande di quella che avevo a Ningothris, ma più piccola rispetto a quella che mi hanno dato qui. Sai, pensavo che…”
Bryce marciò verso di lei, afferrò la porta e la chiuse sbattendola.

 

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Capitolo 4
*** Scommessa ***


Scommessa

 
Quando aprì la porta, trovò il corridoio vuoto. Aveva atteso paziente nella stanza, cambiandosi d’abito prima di uscire, nella speranza che Elvana si stancasse di attenderla e andasse via.
Si guardò attorno soddisfatta e chiuse la porta alle spalle.
Nello stesso momento Elvana emerse da dietro l’angolo, l’espressione annoiata.
“Vai a fare una passeggiata?” le chiese divertita.
Bryce fece una smorfia di disappunto. “Dov’eri?”
Lei le sorrise. “Ti preoccupi per me? Non devi. Dovrei essere io a preoccuparmi per te.”
Scosse la testa esasperata e marciò nella direzione opposta. Elvana le si accodò subito, seguendola in silenzio.
Bryce raggiunse le scale e le scese a due alla volta. Appena raggiunto il livello inferiore con uno scatto girò l’angolo formato da una colonna e si infilò in un corridoio. Evitò d’un soffio due stregoni che giungevano dalla parte opposta e si infilò attraverso una porta spalancata.
Si ritrovò in una sala occupata da una mezza dozzina di tavoli allineati contro la parete. Al centro, sopra un tappeto, una strega e uno stregone si stavano fronteggiando in silenzio. Altri cinque o sei mantelli osservavano parlando tra loro a bassa voce.
Bryce attraversò la sala a testa bassa raggiungendo l’uscita opposta e appena fuori girò subito a destra e prese a correre per il corridoio fino alla svolta successiva.
Sapeva per esperienza che superato l’angolo vi era un bivio. Una scala saliva verso l’alto mentre in basso il corridoio procedeva dritto.
Prese le scale senza rallentare e si ritrovò di nuovo al livello superiore. Il corridoio era stretto e buio. Sollevò una mano e aprì il palmo. Un globo di luce intensa si formò poca sopra di esso e iniziò a fluttuare illuminando di una luce tetra le pareti.
Rallentò un poco l’andatura fino a raggiungere un ampio colonnato che si apriva verso l’esterno. Alzando la testa oltre la balaustra poteva vedere la piazza sottostante e le figure minuscole che la percorrevano in ogni direzione. Alzando gli occhi individuò le delicate anse del fiume che tagliava in due la città prima di gettarsi nel golfo Azzurro. Da quella altezza poteva persino vedere gli alberi delle navi che formavano una intricata foresta davanti ai moli. Immaginò i marinai che si preparavano a salpare o che erano appena arrivati, gli scaricatori che spingevano carrelli pieni di casse e sacchi colmi di frutti e tessuti. A quel punto poteva persino vedere le mura ergersi ai confini della città, racchiudendola in un abbraccio di pietra grigia.
“Perché non rallenti?” chiese una voce alle sue spalle.
Si voltò di scatto ma i suoi occhi videro solo il corridoio vuoto.
“Sono proprio qui di fronte a te” disse la stessa voce.
Bryce socchiuse gli occhi e una figura si disegnò nell’aria, come se fosse fatta di vento e luce tenue che ondeggiava in un luogo indefinito.
“Che tu sia dannata” esclamò.
La figura sembrò tremolare un attimo prima di diventare solida e ben visibile. Il viso sorridente di Elvana le apparve a cinque o sei passi di distanza, accanto a una delle colonne che sostenevano la balconata.
“Ti piace la mia illusione spettrale?” le chiese divertita.
Bryce respirò a fondo. “Come hai fatto a trovarmi?”
“Non ti ho mai persa di vista” rispose lei. “Appena ti sei messa a correre ho faticato un po’ a raggiungerti e quando hai preso le scale invece di andare dritta mi hai quasi ingannata, ma come vedi so svolgere bene il mio lavoro.”
“Agli inferi” esclamò. “Lo vuoi capire che non ti voglio vicina a me?”
“Guarda che nemmeno io sono contenta di doverti fare da scorta, principessa” disse Elvana seria. “Almeno stai rendendo la cosa divertente. Pensavo che mi sarei annoiata a morte nel badare a una strega di basso rango e invece…”
Bryce evocò un dardo magico nella mano destra. “Il mio rango è abbastanza alto da poterti dare una lezione qui e subito, se vuoi.”
Elvana la guardò accigliata. “Vuoi sfidarmi a duello? Sul serio?”
Bryce annuì. “Hai paura? Vuoi tirarti indietro?”
Lei sembrò rifletterci sopra. “No.”
 
Bryce entrò nella sala e marciò decisa verso il centro, dove il tappeto adesso era vuoto. I due mantelli che aveva visto poco prima stavano parlando tra di loro, accerchiati dagli spettatori.
“È stato un buon duello” stava dicendo un ragazzo dagli occhi chiari e i capelli color nocciola. “È stato un onore confrontarmi con te, Danya Amnon.”
La ragazza che gli stava di fronte aveva lunghi capelli corvini e sorrideva imbarazzata. “Anche per me, Misar Nizzanit.”
Bryce si fermò in mezzo alla sala. “Chi si offre di fare da arbitro in una sfida?”
Le teste dei presenti si volsero verso di lei.
“È Bryce” disse uno degli stregoni.
“La principessa” fece una strega sorpresa.
Elvana si fermò a cinque o sei passi di distanza da lei e si guardò attorno annoiata.
Uno dei ragazzi le rivolse un’occhiata accigliata. “È la strega di Ningothris.”
“Sì, è proprio lei.”
“Ci serve un arbitro per la sfida” disse Bryce a voce alta.
Le streghe e gli stregoni nella sala si consultarono tra di loro.
“Tocca a me” disse la strega che avevano chiamato Danya facendosi avanti.
Bryce la guardò perplessa. “Ti conosco?”
“Mi sono consacrata due Lune prima di te” rispose lei imbarazzata. “Ma la mia cerimonia è stata meno sontuosa della tua.”
Sembra quasi che le me lo stia rinfacciando, si disse provando una certa irritazione. “Vuoi fare tu da arbitro in questa sfida?”
Danya annuì. “Sarebbe un onore per me.”
Elvana ridacchiò. “Quanto rispetto per una strega di basso rango” disse. “Che non ha ancora dimostrato niente.”
Bryce serrò la mascella. “A Ningothris usate le regole delle nazioni civilizzate o avete le vostre?”
Elvana non smise di ghignare. “Si può dire che le abbiamo inventate noi” rispose. “Per rendere i duelli meno umilianti per voi di Valonde.”
Tra il pubblico si levò un vocio.
Danya prese un disco di metallo largo un palmo di mano e si piazzò tra le due streghe. Alzò l’oggetto affinché tutti potessero vederlo. “Come da tradizione devo ricordarvi le regole prima di uno scontro. Quando lancerò il disco in aria, potrete colpirlo in qualsiasi momento. Potete usare solo i dardi magici per colpirlo e nient’altro. Non potete levitare né usare corde o evocazioni. È chiaro? Chi colpisce per prima il disco guadagna un punto. Se il vostro dardo manca il bersaglio, l’avversario guadagna un punto. Se il disco tocca terra che nessuno lanci il suo dardo, nessun punto viene assegnato. Vince la prima che ottiene tre punti. Siete pronte?”
Bryce annuì decisa mentre Elvana scrollò le spalle.
Danya lanciò il disco in aria.
L’oggetto volteggiò sopra le loro teste prima di rallentare e iniziare una rapida discesa.
Bryce fece scattare gli occhi in alto.
Questo è il momento migliore, si disse. Quando il disco ha smesso di salire ed è più lento.
Alzò la mano dove aveva già evocato un dardo magico e lo lasciò partire. Il proiettile, simile a una freccia fatta di puro potere, colpì il disco producendo un tintinnio e una breve cascata di scintille.
Il disco toccò terra rimbalzando un paio di volte prima di fermarsi.
“Punto per Bryce” annunciò Danya sorridendo.
Bryce guardò Elvana. Gli occhi della strega erano puntati verso di lei e non aveva smesso di sorridere.
“Ti vuoi arrendere?”
Elvana scosse la testa.
Danya raccolse il disco e lo lanciò di nuovo in aria.
Bryce attese che rallentasse la sua corsa e alzò la mano, lanciando il dardo. Altro tintinnio e altra cascata di scintille che rischiarò per un attimo la sala.
Prima ancora che il disco toccasse il tappeto qualcuno aveva applaudito.
“Incredibile” disse uno stregone annuendo.
“L’ho vista a malapena muoversi.”
Bryce inspirò a fondo e guardò Elvana con espressione tronfia. “Ancora un punto.”
La strega schiarì la voce. “Che ne dici di scommettere qualcosa?”
“Adesso? Sei sotto di due punti.”
Elvana scrollò le spalle. “Se hai paura di scommettere…”
“Scegli tu la posta” la sfidò Bryce.
“Se vinci tu, smetterò di farti da scorta finché non sarai tu a chiedermelo di nuovo. Per piacere.”
Bryce ghignò. “Non accadrà.”
“Se vinco io” proseguì Elvana. “Accetterai che io ti faccia da scorta finché i decani non decideranno altrimenti.”
Soppesò la sfida della strega.
Sto vincendo di due punti, si disse. A volte ho perso una sfida, ma mai quando ho avuto un vantaggio così ampio. Non succederà ora, con questa mezza selvaggia.
“Sto aspettando una risposta” disse Elvana.
“Accetto.”
“Davanti a tutti?”
“Accetto la scommessa” disse a voce alta. “Tanto non perderò” aggiunse con tono più basso.
Elvana scrollò le spalle. “Ricorda che hai accettato.”
Danya si posizionò tra loro due. “Siete pronte?”
“Quando vuoi” disse Bryce.
Elvana rispose con un cenno della testa.
Danya lanciò il disco.
Bryce lo osservò salire e roteare. Stava per sollevare la mano quando un dardo lo colpì producendo una cascata di scintille.
I suoi occhi scattarono verso Elvana. La strega aveva sollevato il braccio e osservava soddisfatta il disco che era rimbalzato a terra.
“Punto per la strega straniera” disse Danya incerta.
“Elvana” la corresse lei.
“Elvana” ripeté Danya.
“Di Ningothris.”
“Di Ningothris.”
Bryce tenne gli occhi fissi sul disco finché Danya non lo raccolse.
“Due punti per Bryce e uno per Elvana” disse la strega.
Trasse un profondo respiro.
Danya lanciò il disco facendolo roteare. Bryce tenne gli occhi fissi sull’oggetto.
È stato un colpo fortunato il suo, si disse. Pochi riescono a colpire il disco mentre sta salendo. I colpi più sicuri sono quando rallenta prima di scendere. Devo solo aspettare e avere pazienza.
Un dardo fece tintinnare il disco.
Stavolta Bryce sussultò a quella vista.
La forza del colpo spinse il disco verso di lei, facendolo cadere tra i suoi piedi. Lo guardò inorridita mentre si fermava a mezzo passo di distanza dalla punta dello stivale in pelle.
“Punto per Elvana” disse Danya perplessa.
“Due colpi fortunati di seguito” disse la strega ghignando. “È decisamente strano, non trovi?”
Bryce tentò di ignorarla ma sentì la rabbia crescere dentro di lei.
È stata solo fortuna, si disse. Non sarebbe mai capace di colpire il disco tre volte di seguito mentre sta salendo. È impossibile. Eppure, potrebbe essere davvero il suo giorno fortunato.
Danya raccolse il disco e si portò in mezzo. “Due punti per Bryce e due per Elvana” annunciò.
Non posso perdere, pensò. Devo trovare il modo di ingannarla. Fingerò di muovermi per prima costringendola a tentare il tiro, così lei sbaglierà e io avrò vinto.
Danya lanciò il disco per la quinta volta.
Bryce ebbe la sensazione che tutti nella sala avessero smesso di respirare e che persino i loro cuori si fossero fermati in attesa di quello che stava per accadere.
Il disco salì fino a metà dell’altezza, superando di una spanna le loro teste.
Bryce guardò Elvana con la coda dell’occhio mentre non perdeva di vista il disco. Mosse la mano fingendo di alzarla, aspettandosi che l’altra facesse lo stesso, ma la strega rimase immobile.
Non sta funzionando, pensò in un attimo.
Poi vide le dita di Elvana muoversi, il polso cambiare angolazione e i muscoli della spalla contrarsi.
Vuole anticipare il colpo, pensò sgomenta. Di nuovo.
Senza rifletterci alzò il braccio e lasciò partire il dardo magico verso il disco.
La freccia di puro potere coprì in un attimo la distanza che la separava dall’oggetto e lo superò, finendo per colpire la parete opposta.
Il disco rallentò, sembrò fermarsi per un attimo e riprese a scendere, finendo la sua corsa tra i piedi di Danya.
La strega lo raccolse con dita tremanti e lo mostrò ai presenti. “Bersaglio mancato. Punto a Elvana. Sono tre per lei.”

 

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Capitolo 5
*** Stammi lontana! ***


Stammi lontana!

 
Elvana la seguì in silenzio per il corridoio oltre la sala. Bryce non era rimasta ad ascoltare i discorsi di quelli che stavano commentando la sua sconfitta.
Mentre usciva colse solo qualche frase.
“Non ha valutato la precisione.”
“Ha solo finto di lanciare, poi…”
“Hai notato come piegava il polso prima di…”
Idioti, si disse uscendo a passo di marcia, il viso arrossato per la rabbia e la vergogna che provava.
Aveva perso altre volte una sfida, ma mai in quel modo. Mai dopo essere stata in vantaggio di due punti. Mai per aver mancato il bersaglio.
Elvana l’affiancò.
“Se vuoi” disse con tono serio. “Posso spiegarti dove hai sbagliato. Così la prossima volta non commetterai lo stesso errore.”
“Taci” disse a denti stretti.
“Potrebbe esserti davvero utile per il futuro.”
“Basta” esclamò esasperata. “Hai vinto, non è abbastanza per te? Vuoi che mi inginocchi e ti baci i piedi?”
Elvana la guardò perplessa. “A cosa servirebbe? Non impareresti niente in questo modo.”
“Tu non puoi insegnarmi niente, Elvana di Ningothris” disse puntandole contro l’indice.
Lei fissò il dito senza parlare.
Bryce le volse le spalle e riprese a camminare per il corridoio. Giunta alla sua stanza aprì la porta e si infilò all’interno. Solo quando la chiuse emise un ringhio sommesso.
Andò al letto e sedette sul bordo, le mani che le tremavano e la mente in subbuglio.
Ho perso, si disse. Potevo liberarmene per sempre ma ho perso. Dovevo fare una sola cosa e ho fallito.
Si alzò di scatto, i pugni chiusi. Alzò la mano e nello stesso sitante fiamme color rosso accesso si formarono davanti al palmo. Il fuoco guizzò in tutte le direzioni cercando di liberarsi dalla gabbia in cui solo la volontà di Bryce poteva contenerlo.
Era generato dal potere che sentiva scorrere dentro di lei. Le sarebbe bastato un atto di volontà per liberare la sua forza distruttiva.
Per un attimo fu tentata di scagliarlo contro la porta. L’avrebbe distrutta in mille pezzi e fatto accorrere lì metà del circolo allarmato per un nuovo attacco.
Sarebbe una bella soddisfazione mettere un po’ di paura ai decani, si disse. Così imparerebbero a trattarmi come una bambina. Neanche fossi Joyce che ha bisogno di una scorta per muoversi.
Quel pensiero fece scemare la sua rabbia sostituendola con la vergogna. La stessa volontà che aveva generato la sfera infuocata la fece sparire in una cascata di scintille.
Sedette di nuovo sul bordo del letto, la testa che le faceva male.
Ho perso contro quella mezza strega, si disse. Come posso sperare di poter vincere contro Malag e la sua orda?
Quasi le sembrava di sentire le parole di suo padre quando la rimproverava.
“Ti devi impegnare di più” le diceva con tono severo. “O quando arriverà il momento, non sarai pronta.”
Bryce aveva solo undici anni e non comprendeva quelle parole. Non come le avrebbe comprese anni dopo e la sera dell’attacco quando aveva capito che la guerra tanto temuta era davvero iniziata.
“Quando arriverà quel momento” le ripeteva suo padre nelle pause che ogni tanto le concedeva. “Tu sarai la nostra guida. Devi essere forte. E devi fidarti di noi.”
“Noi?”
“Tua madre. Me. I decani. La tua guida. E quelli che saranno i tuoi confratelli e le tue consorelle. Loro guarderanno a te, quando scenderanno in campo per combattere. Avanzeranno quando tu avanzerai e ripiegheranno quando tu ripiegherai.”
Bryce non comprendeva il motivo di tutta quella fiducia.
Un giorno suo padre, forse accorgendosi dei dubbi che provava, la portò in una delle sale del livello sotterraneo del castello.
Era buia e poco illuminata, ma non era un problema usando una lumosfera.
“Evocane una” le aveva detto suo padre.
Bryce aveva ubbidito evocando al lumosfera nella sua mano. La luce bianca e fredda aveva illuminato i visi di uomini e donne fissati in dipinti allineati lungo le mura. Ne aveva contati una trentina prima di smettere.
“Chi sono?” aveva domandato al padre.
Re Andew di Valonde aveva assunto un’espressione solenne. “I migliori.”
Bryce si era accigliata.
“Le streghe e gli stregoni supremi che il nostro circolo ha generato nei secoli della sua storia. Qui li troverai tutti.”
Bryce si era avvicinata al dipinto di una donna dai capelli rossi annodati in complicate trecce. Indossava una cotta di maglia sotto il mantello azzurro.
“Somiglia a Joyce” aveva detto.
“Lei è Alyada di Valonde” le aveva detto suo padre. “È nata e vissuta in un’epoca pacifica. Combattemmo solo due guerre quando era in vita.”
Bryce aveva passato in rassegna una decina di visi. Alcuni erano ritratti in pose solenni, altri sorridenti o mentre erano impegnati in qualche attività come cavalcare o dipingere a loro volta.
C’era anche una ragazza dalla pelle scura come la notte e dall’aria triste.
“E lei chi era?”
“Yolane Twani di Mar Qwara” le aveva spiegato suo padre. “Fu costretta a fuggire dal dominio degli albini quando era molto più giovane di te e venne qui in esilio.”
“Perché venne esiliata?”
“Gli albini scacciano quelli che nascono con i poteri al di fuori del loro ristretto gruppo.” Aveva scosso la testa. “Yolane sposò il principe Janoz, che qualche anno dopo sarebbe diventato re di Valonde.”
“Quindi lei è una mia antenata.”
“Molti in questa sala lo sono. Il loro sangue scorre nelle nostre vene. Così come il loro dono. È il loro lascito e sta a noi fare in modo che non vada sprecato. O perduto.”
Bryce aveva fissato a lungo quei volti.
“Sono vissuti e sono morti affinché noi oggi avessimo tutto questo” aveva detto suo padre. “Non devi mai dimenticarlo. Se sei qui, adesso, lo devi anche a loro. Onora la loro memoria.”
“Come?” aveva chiesto.
“Diventando degna di stare qui in mezzo a loro. Diventa la strega suprema, Bryce. E nessun sacrificio che avrai compiuto sarà stato vano. Ma se cedi e abbandoni la tua lotta, se decidi di non essere abbastanza forte o abbastanza degna.” Aveva scosso la testa affranto.
Si alzò di scatto e andò alla porta, spalancandola. “Elvana” disse. “Credo di doverti delle scuse.”
Fissò il corridoio vuoto.
“Sei di nuovo dietro un angolo?” domandò ad alta voce sentendosi una stupida.
Rientrò nella stanza e chiuse la porta scuotendo la testa. Tornò verso il letto e si distese chiudendo gli occhi. Poco dopo era immersa in un sonno leggero.
Si svegliò in tempo per la cena e uscì dalla stanza sicura di trovare Elvana ad attenderla, ma il corridoio era ancora vuoto.
Perplessa, si recò alla sala dove servivano i pasti. Era un ambiente grande abbastanza da accogliere cinquanta tavoli da dieci posti ciascuno. In quel momento solo la metà delle sedie era occupata. Ne scelse una lontano da tutti gli altri e vi sedette dopo aver raccolto un vassoio di legno pulito da una bacinella sorvegliata da uno stregone.
Un valletto vestito con un camice grigio portò un vassoio colmo di carne e verdure e lo depositò in mezzo al tavolo in modo che chiunque potesse servirsi allungando la mano.
Altri vassoi pieni di formaggi e frutta vennero messi sul tavolo e infine un cesto con delle pagnotte ancora fumanti.
Bryce prese della carne e del formaggio a cui aggiunse delle carote tagliate e una pagnotta. Stava addentando il pane quando qualcuno sedette al suo fianco.
“Questo posto è occupato?” le domandò una voce divertita.
Alzò la testa e incontrò due occhi di un azzurro così profondo che per un attimo ebbe l’impressione di stare osservando due laghi gemelli
Invece erano gli occhi di Vyncent, lo stregone di Londolin che aveva conosciuto due giorni prima, al ballo della sua consacrazione.
Conosciuto non è il termine adatto, si disse divertita. Abbiamo combattuto fianco a fianco come vecchi veterani di mille battaglie.
“Posso sedere qui?” le chiese lui imbarazzato. “O vuoi restare da sola?”
Bryce scosse la testa con vigore. “No, no, siedi pure” disse. “Ti chiedo scusa.”
Lui agitò la mano con un gesto vago. “Perdonami tu. Ti ho colta di sorpresa e non volevo.”
Lo guardò mettere nel vassoio due fette di carne ancora grondanti sugo, un pezzo di formaggio e una pagnotta.
“Ti credevo sulla strada per Londolin” disse Bryce vincendo l’imbarazzo.
Vyncent deglutì un boccone di carne prima di risponderle. “C’eravamo” disse. “Ma Rajan mi ha detto di tornare indietro mentre lui avrebbe proseguito da solo.”
“E tu lo hai lasciato andare?”
“È la mia guida. Gli devo obbedienza.”
“Potrebbe essere pericoloso.”
“Per chi? Rajan Zedner? È lo stregone supremo di Londolin. Sono gli altri a doverlo temere.”
“È da solo e la strada potrebbe essere piena di rinnegati.”
Vyncent scrollò le spalle. “O lo lasciavo andare o mi avrebbe fermato con la forza. Tu non sai di che cosa è capace.”
Bryce ridacchiò. “No, ma vorrei proprio saperlo.”
Vyncent le rivolse un’occhiata perplessa.
“Erix, la mia guida” disse facendo un gesto vago con la mano. “Mi ha dato una scorta.”
“Una scorta?”
Bryce annuì seria. “Come se ne avessi bisogno.”
“Tu credi che non ti serva?” chiese lui bevendo acqua da una coppa di legno.
“Certo che no.”
Lui annuì. “Perché tu sei Bryce di Valonde. La futura strega suprema.”
Bryce arrossì. “Chi te l’ha detto?”
“Ne parlano tutti qui al circolo.”
Lei si accigliò. “Da quanto sei qui?”
“Da stamattina.”
Bryce sgranò gli occhi. “E non sei venuto a salutarmi?” chiese indignata.
Lui la fissò perplesso. “Non volevo disturbarti.”
“Non l’avresti fatto, Vyncent di Londolin.”
“Chiamami solo Vyncent” disse lui.
“E tu Bryce.”
“Principessa Bryce.”
Lei scosse la testa. “Solo Bryce.”
“Allora ti chiamerò solo Bryce. Sarà strano usare solo Bryce, ma se è quello che vuoi…”
Bryce rise. “No, non intendevo quello. Solo Bryce sta per solo, Bryce.” Fece una pausa. “Bryce.”
Vyncent annuì. “L’avevo capito. Ti stavo prendendo in giro.”
Bryce rise senza riuscire a staccare i suoi occhi da quelli di Vyncent.
“Ti sei alzata finalmente” disse una voce alle sue spalle.
Stavolta non rimase sorpresa.
Era quella di Elvana.
La strega la stava osservando con sguardo compiaciuto. “Potevi anche avvertirmi che venivi a mangiare alla mensa.”
“Te ne sei andata” disse con tono di rimprovero. “Non dovevi essere la mia scorta?”
“Credevo che saresti rimasta chiusa nella tua stanza a piangere sulla sconfitta” rispose Elvana. “E invece aspettavi solo che servissero carne e panini caldi.” I suoi occhi si volsero verso Vyncent. “E lui chi sarebbe? Un tuo amico?”
Vyncent si alzò agitando il mantello verde scuro. “Mi chiamo Vyncent” disse. “Sono onorato di conoscerti.”
Elvana lo fissò interdetta. “Il tuo mantello” disse con tono disgustato.
Vyncent si accigliò. “È sporco? Strappato?”
“No” esclamò la strega. “È il drago coronato quello ricamato lì sopra?”
Vyncent raccolse un lembo del mantello con l’indice e il pollice. “È il simbolo di Londolin.”
“L’avevo capito” disse Elvana lanciandogli un’occhiataccia. “Stammi lontana, Londolin.”
“Elvana” disse Bryce meravigliata.
“Se ti ho offesa ti chiedo scusa” disse Vyncent arrossendo.
“Stammi lontana almeno cento passi o te ne pentirai” ripeté Elvana puntandogli contro l’indice. “Non ti avvertirò di nuovo.”
 

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Capitolo 6
*** Sorriso affascinante ***


Sorriso affascinante

 
“Mi spiace molto” disse Bryce imbarazzata mentre osservava Elvana allontanarsi camminando a scatti, come se faticasse a trattenersi dal correre. “Non so che cosa le sia preso, ma andrò a parlarle e la costringerò a chiederti scusa.”
“Non è necessario” disse Vyncent tornando a sedersi.
“Ma non aveva il diritto di dirti quelle cose. È oltraggioso.”
Vyncent fece un gesto vago con la mano. “Dico sul serio. Non è necessario. La capisco.”
“La stai giustificando?” chiese meravigliata.
“In un certo senso, sì” ammise. “Comprendo la sua rabbia, anche se non ne sono il responsabile.”
“E di chi sarebbe la colpa?”
“Di un certo Jorathon Komel.”
“È uno stregone di questo circolo o del tuo?” gli chiese.
“Del mio, suppongo” disse Vyncent.
“Allora che se la prenda con lui” disse.
“È morto da almeno quattrocento anni.”
Bryce scosse la testa. “Come può Elvana essere arrabbiata con te per qualcosa che ha fatto questo Komel quattro secoli fa?”
“Per via della storia.”
“Non riesco a capire” disse cercando di nascondere l’irritazione nel tono della voce.
“Ti chiedo scusa” disse Vyncent come se avesse capito quanto le dava fastidio quel suo modo di fare. “Komel è stato l’ultimo dei re conquistatori di Londolin.”
“Re conquistatori?”
Lui annuì. “Una dinastia di re che espansero i confini del regno a discapito di quelli vicini. Conquistarono una decina di città in circa un secolo, finché non decisero di attaccare Nightanatois.”
“Ci fu una guerra?”
“Più di una. Combattemmo per quasi cinquant’anni. Komel conquistò un terzo dei loro territori prima di morire.”
“Che cosa accadde dopo?”
“Arrivaste voi.”
“Noi?”
Vyncent finì di masticare uno spicchio di arancia prima di dire: “Voi Valondiani. Re Jaedon, un tuo antenato, credo.”
“Abbiamo parecchi antenati” disse Bryce cercando nei suoi ricordi. “E io non ero mai attenta quando il mio tutore cercava di insegnarmi la storia.”
“Non c’è molto altro da aggiungere. Re Jaedon arrivò e sottomise sia Nightanatois che Londolin. Fu una guerra veloce con poche vittime.”
“Ancora non comprendo la reazione di Elvana” disse Bryce.
“I ninghotriani si preparavano a riconquistare i territori perduti quando arrivò re Jaedon. La sottomissione ha fissato i confini per sempre e con il successivo accordo di pace hanno dovuto rinunciare a qualsiasi rivendicazione.”
“Mi sembra comunque assurdo provare tanto risentimento.”
Vyncent si strinse nelle spalle e fece per alzarsi. “Mi accompagni?”
“Dove?” chiese Bryce sorpresa.
“Non so niente di questo posto” disse Vyncent. “E se devo essere sincero lo trovo enorme. Credo di essermi perduto tre o quattro volte prima di trovare questa sala. E ancora non ho idea di dove dovrò alloggiare.”
“Certo” disse deglutendo a fatica. “Posso aiutarti io.”
Vyncent le sorrise e a Bryce sembrò che il suo cuore battesse più forte.
“Ti ringrazio” disse. Indicò l’uscita della sala. “Ti spiace se andiamo adesso? Il sole è già tramontato e non vorrei essere costretto a dormire nella piazza.”
“Non lo permetterò” disse Bryce ritrovando un po’ di sicurezza. Andò verso l’uscita affiancata da Vyncent. Con la coda dell’occhio vide Elvana che la osservava scuotendo la testa e li seguiva dopo aver concesso loro una ventina di passi di vantaggio.
Dunque è così semplice tenerla a distanza da me? Si chiese divertita. Dovrei chiedere a Vyncent di accompagnarmi ovunque.
Quel pensiero la fece arrossire.
“Che hai?” le chiese Vyncent.
“Nulla” disse. “Pensavo solo all’altra sera. Al ballo.”
Lui annuì grave. “Mi spiace che sia stato rovinato dai rinnegati. La consacrazione è il momento più solenne nella nostra vita.”
“Non importa” si affrettò a dire Bryce.
“Il re è ancora grave? Che cosa dicono i guaritori?”
“Per ora niente.”
Erix le aveva promesso che l’avrebbe informata se ci fossero state delle novità.
“Ma quando sono andata via sembrava stare meglio. Le ferite sono serie ma non gravi. Si riprenderà, ma non sappiamo quanto ci metterà.”
“Vuol dire che la guerra inizierà senza il suo comando.”
“È un problema?”
“L’alleanza non esiste senza il suo comandante.”
Bryce non sapeva come ribattere a quella frase. “In qualche modo rimedieremo, no? Voglio dire, abbiamo già combattuto e ucciso Malag. Possiamo farlo di nuovo.”
“Ucciso” disse Vyncent. “Mi chiedo se voglia ancora dire qualcosa, se è davvero tornato.”
“Se?”
“Sono passati cento anni dal duello contro Bellir” disse Vyncent. “E all’epoca l’arcistregone era già piuttosto anziano, se vogliamo credere alle cronache. Ciò vuol dire che adesso avrebbe centosettanta anni? Centoottanta?”
Bryce fece un profondo respiro. “Cos’è più incredibile? Un uomo che torna dalla morte o uno che vive il doppio di chiunque altro?”
“Buona domanda. Tu hai una risposta?”
Scosse la testa. “No, ma quando troverò Malag glielo chiederò. E poi lo ucciderò.”
Vyncent sorrise. “Se sapessi il luogo in cui si nasconde che cosa faresti?”
“Lo andrei a uccidere.”
“Da sola?”
“Perché no?”
Bryce riusciva a immaginare sé stessa che si faceva strada nel castello di Malag uccidendo le sue guardie e poi affrontandolo in duello per uscirne vittoriosa.
Come nei romanzi d’avventura che piacciono tanto a Joyce, si disse divertita.
Quel pensiero le strappò un mezzo sorriso.
“Lo trovi anche divertente?” le chiese Vyncent con tono sorpreso e divertito a sua volta.
Lei si affrettò a scuotere la testa. “No, no, stavo solo pensando che potrei davvero affrontarlo, se sapessi dove si trova. Credi che sia folle?”
Lui scosse la testa. “Dopo che ti ho vista combattere l’atra sera, ho paura.”
“Per me?” chiese lei speranzosa.
“Per Malag. So che ne saresti capace, Bryce di Valonde.”
 
La stanza di Vyncent era più piccola della sua e spoglia. Bryce si sentì a disagio restando sulla soglia di quel cubicolo dalle pareti che sembravano volerla stritolare. A parte il letto, c’erano un baule e una sola sedia.
Nessuno scrittoio né un armadio dove appendere gli abiti.
“In ogni caso in questa sacca ho tutto ciò che mi serve” disse lui entrando nella stanza.
L’avevano trovata chiedendo a uno degli inservienti che sciamavano per il livello. L’avevano raggiunto usando una scala che portava verso il basso.
“Devi chiedere a uno di loro quando hai bisogno di qualcosa” le aveva detto Bryce. “Ma immagino lo sapessi già da solo” aggiunse temendo di averlo offeso.
“Avete degli inservienti?”
“E valletti. Si occupano di qualsiasi cosa ci serva. Si tratta di persone fidate, scelte una per una dal consiglio.”
“Non lo stavo mettendo in dubbio” aveva detto Vyncent. “Ero solo sorpreso. A Londolin non abbiamo inservienti al circolo. A pensarci bene, anche l’edificio del circolo è molto più piccolo e meno accogliente di questo. Solo i decani e pochi mantelli di alto rango possono alloggiarvi. Tutti gli altri sono costretti a prendere una camera nelle locande della città.”
“Non lo sapevo” aveva ammesso.
“Ma non mi sto lamentando” aveva aggiunto Vyncent. “Appena la incontrerò dovrò ringraziare Erix per l’ospitalità che mi ha concesso. In fondo non mi doveva niente.”
“Tu hai combattuto alla consacrazione.”
“Lo hanno fatto in tanti.”
Vyncent camminò fino al letto e depositò a terra la sacca dove teneva la sua roba. Si voltò verso di lei con espressione imbarazzata. “Adesso dovrei cambiarmi. Sai, vorrei dormire un poco. Sono due giorni che non dormo sul serio.”
Bryce rimase immobile sulla soglia.
Vyncent si schiarì la gola.
“Certo” disse come risvegliandosi dal torpore. “Se hai bisogno di qualcosa, non esitare a chiamarmi.”
“Lo farò” disse lui. “E grazie per la bella chiacchierata, Bryce di Valonde.”
“Solo Bryce” disse lei con un mezzo sorriso.
Lui ricambiò con un sorriso più ampio.
Bryce chiuse la porta e rimase in attesa per qualche istante, poi scosse la testa e si girò verso destra seguendo il corridoio.
Elvana l’attendeva con la schiena appoggiata al muro e le braccia incrociate sul petto.
“Che scena patetica” disse mentre le passava davanti.
Bryce si fermò rischiando si sbandare. “Cosa hai detto?”
“Ho detto che mi sei sembrata patetica” disse scandendo a una a una le parole. “Solo Bryce” aggiunse con un mezzo sorriso.
“Mi stai forse giudicando, Elvana?”
“Io non giudico te, ma Londolin.”
“Si chiama Vyncent.”
“Sono tutti uguali, Bryce. Un intero popolo di piccoli ratti che divorano tutto ciò che incontrano.”
“Quello che dici è ingiusto.”
“Noi avevamo un regno glorioso, costruito dal nulla con il sudore e il sangue di migliaia che erano fuggiti dal continente antico e dalle persecuzioni degli albini. E loro erano dei selvaggi senza storia.”
“Basta, non voglio sentire altro.”
“Non ti piace che dica la verità su quel Londolin.”
“Vyncent non ha alcuna colpa. Sei assurda.”
“Ancora oggi i Londolin rivendicano i nostri territori. Dicono che una volta appartenevano a loro. Noi però li abbiamo trovati vuoti quando siamo arrivati. Erano terre abbandonate da secoli, paludi infestate da malanni e campi che non producevano abbastanza da sfamare metà dei nostri. Sono stati i miei antenati a dissodare quei campi e a bonificare quelle terre. Le abbiamo rese fertili. Ospitali. Desiderabili. E i Londolin sono arrivati con i loro re conquistatori a portarcele via. Quando stavamo per riconquistarle, quei vigliacchi hanno invocato l’aiuto di Valonde.” Scosse la testa.
“Ora vuoi dare la colpa anche a noi? A me?”
“Non mi lamento di voi Valonde” disse Elvana. “Avete dimostrato di esserci superiori e noi lo abbiamo accettato. L’alleanza che ci avete proposto era vantaggiosa e non umiliante, ma i Londolin.” Scosse la testa con vigore. “Sono infidi e traditori. Non mi fiderò mai di loro, anche se ha un bel viso e un sorriso affascinante.”
Bryce si accigliò. “Lo trovi affascinante.”
Elvana sgranò gli occhi. “Non è quello che ho detto” disse indignata.
“Lo hai appena fatto. Hai detto che Vyncent ha un sorriso affascinante.”
“Ho detto altre cose prima di quello.”
Bryce scrollò le spalle. “Allora ho sentito bene.” Fece per andarsene ed Elvana la seguì.
“Davvero hai capito solo quello di tutto il discorso che ti ho fatto?”
“Ricordo solo qualche cosa su delle paludi e dei campi” disse facendo un gesto vago con la mano. “Non sono mai stata molto attenta a certe cose, devi scusarmi.”
“E va bene, va bene” disse Elvana esasperata. “Prenditi anche gioco di me, Bryce di Valonde, ma quando saremo sul campo di battaglia ti accorgerai di quanto vale la parola di un ningothriano e quella di un Londolin.”
Bryce annuì distratta e proseguì senza rivolgerle la parola finché non raggiunsero la sua stanza.
Vicino a essa notò subito una figura in attesa. Era quella di un valletto.
“Ho un messaggio per te da parte di sua eccellenza Erix” disse rivolgendole prima un rapido inchino.
“Che cosa vuole?”
“Dice che domani puoi lasciare il circolo per mezza giornata.”
Bryce si accigliò. “Ti h detto anche il perché?”
Il valletto scosse la testa. “Mi ha solo raccomandato di dirti di riempire la tua sacca personale con quello che ti serve per un viaggio di dieci giorni e di salutare le persone a cui tieni.”

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Capitolo 7
*** Cancellati dalla storia ***


Cancellati dalla storia

 
Il palazzo reale di Valonde era come lo ricordava, con le torri e le mura di pietra grigia e rossa alte cinquanta passi, le guglie che svettavano verso il cielo, gli stendardi che sventolavano sull’arco che delimitava l’ingresso alto cento passi, oltre il quale si apriva un ampio cortile che conduceva alle scale.
Mentre si avvicinava al piccolo trotto sentì il cuore che le batteva più forte. Aveva compiuto il tragitto tra il circolo e il palazzo centinaia di volte negli ultimi dodici anni, da quando aveva manifestato per la prima volta i poteri, ma sentiva che quella era diversa.
Potrei non rivedere questo luogo per molto tempo, si disse mentre smontava. Potrei non tornare che tra dieci Lune. O venti. O mai più, se dovessi cadere in battaglia.
Sentì il panico afferrarle le gambe e minacciare di buttarla a terra mentre porgeva le redini all’alfiere che si era avvicinato.
L’uomo le rivolse un inchino e si allontanò con l’animale. Dietro di lei, Elvana era saltata giù allo stesso modo e guardava il palazzo col naso rivolto all’insù.
“Quindi tu vivi qui” disse con aria distratta.
Quella frase spezzò la tensione che Bryce provava e la costrinse a cercare una risposta che non fosse scortese. “Hai qualcosa da criticare anche nel palazzo reale di Valonde?” le chiese.
“È grande” disse Elvana. “A Nightanatois non abbiamo niente del genere. Il palazzo reale è un edificio un po’ più grande degli altri e non ha un cortile. E nemmeno mura che lo difendono. Avete paura che i vostri sudditi tentino di attaccarvi mentre dormite?”
Bryce valutò se la sua domanda fosse sincera o la stesse solo provocando.
“Una volta Valonde era solo questo castello” disse. “E nemmeno era grande come lo vedi adesso. Era ridotto a qualche torre e al maschio e poco altro. E il villaggio dentro le mura.”
“Poi avete deciso che stavate troppo stretti e vi siete presi tutto il resto.”
“Il fiume” disse Bryce indicandolo con un gesto della testa, anche se da quella posizione non era visibile. “Abbiamo costruito un porto e poi ci siamo spostati verso il mare. Almeno credo. Non ricordo molto delle lezioni col mio tutore.” Scosse la testa. “Quel poveretto cercava di insegnarmi la storia ma come vedi ha fallito.”
Elvana si strinse nelle spalle. “A cosa serve sapere chi ha costruito questo o quello? Scommetto che sei più brava a distruggerle, le cose.”
Mi sta provocando di nuovo? Si chiese.
Accennò un passo verso le scale e notò che Elvana rimaneva immobile.
“Non vieni?” le chiese.
“Erix dice che nel tuo palazzo sarai più al sicuro che da qualsiasi altra parte. E che vorrai vedere in privato i tuoi genitori e i tuoi fratelli e sorelle. E che io non devo impicciarmi di queste cose perché sono solo la tua scorta.”
Bryce si accigliò. “Sono davvero le sue parole?”
“Più o meno.”
“E quando te le avrebbe dette?”
“Questa mattina, prima di lasciare il circolo. Sua eccellenza ha saputo della nostra stupida sfida.”
Bryce dominò a stento l’irritazione. “Ti è sembrata arrabbiata?”
“No. Solo sorpresa. Le hanno riferito che avevo vinto e che tu avevi perso.”
“Avrà capito che la tua è stata solo fortuna” disse sicura.
“In verità era sorpresa dal fatto che tu non mi avessi aggredita dopo essere stata sconfitta.”
“Non lo avrei mai fatto” esclamò indignata.
“Erix dice che non riesci a tenere a bada la rabbia.”
“Non è vero.”
Elvana si strinse nelle spalle. “Mi ha detto di lasciarti in pace mentre eri dentro il palazzo. Mi sembra saggio, no? Se non ti arrabbi, non mi sfiderai. E se non mi sfidi, non riceverai un’altra umiliazione.”
Bryce strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, il sangue che le martellava nelle tempie. “Ti odio” disse voltandosi di scatto.
Salì le scale a due a due cercando di ignorare Elvana ferma in fondo alla scalinata. Era sicura che se si fosse girata l’avrebbe sorpresa a ghignare.
Forse dovrei tornare indietro, si disse mentre posava il piede sull’ultimo gradino. E sfidarla di nuovo a quello stupido gioco per dimostrarle che la sua è stata davvero fortuna.
Scosse la testa e lasciò che il battito del cuore si calmasse. A testa bassa percorse i dieci passi che la separavano dall’ingresso vero e proprio, un rettangolo ritagliato nelle mura largo dieci passi e alto venti.
Mezza dozzina di soldati in armatura tirata a lucido e armati di lancia e scudo la salutarono mentre passava davanti a loro.
Bryce ricambiò con un rapido cenno della testa e si infilò all’interno ancora turbata dalle parole di Elvana. Le dimenticò del tutto quando scorse sua madre all’altro capo della sala.
Marget di Valonde indossava un abito grigio scuro e oro con ricami in argento. I capelli lunghi e color del grano erano simili ai suoi, mentre il viso aveva i lineamenti delicati degli abitanti del nord del grande continente.
Indossava il mantello azzurro con la stella a cinque punte del casato sormontata da quattro stelle più piccole formate da cinque raggi ciascuna.
“Io ti saluto” disse Bryce emozionata.
Sua madre le rispose con un inchino. “A stento ti ho riconosciuta quando sei passata sotto l’ingresso” le disse con voce emozionata.
“Madre” iniziò a dire.
Marget annuì. “Lo so. Non è stata la migliore delle consacrazioni.”
“Non parlavo di quello, ma di papà. Come sta?”
“Meglio” disse sua madre. “I guaritori dicono che si riprenderà presto.”
“Giorni?”
Lei scosse la testa. “Serviranno almeno due intere Lune. Forse tre.”
Bryce deglutì a vuoto. “Vuol dire che non inizieremo la guerra prima che sia di nuovo in piedi.”
“Purtroppo non possiamo attendere oltre” rispose lei con tono affranto. “È per questo che ti ho fatta venire qui. Stiamo concedendo a tutti la possibilità di porgere un ultimo saluto ai loro parenti e cari. Abbiamo preferito non affidare a un messaggero questa notizia. Anche se sappiamo che non resterà segreta a lungo. Il rinnegato ha informatori ovunque.”
Si incamminarono per i corridoi e le sale del palazzo. Dopo l’attacco regnava un silenzio e una calma che Bryce non conosceva. Tutti gli inservienti, i valletti e le ancelle sembravano spariti.
“È solo temporaneo” disse sua madre quando le chiese il motivo. “Presto tornerà tutto come prima.” La sua espressione mutò.
“Che cosa c’è?” le chiese.
“Niente tornerà come prima. Pensarla diversamente è solo un’illusione.”
“Basterà eliminare Malag” disse Bryce sicura.
“Il rinnegato è solo una parte del problema, Bryce” disse sua madre con tono triste. “Diciassette anni fa pensavamo di averlo risolto eliminando Vulkath, forse l’ultimo dei suoi seguaci, ma ci sbagliavamo. L’infame era solo l’inizio di un nuovo conflitto.”
“Vinceremo anche questa volta.”
“Lo spero” disse lei. “Potrei anche arrivare a dire che ne sono certa.”
“Non sembri contenta.”
“Sono gli stessi discorsi che facevano Gladia e le altre ai tempi di Vulkath. Ci dicevamo per farci coraggio che quella sarebbe stata l’ultima guerra, che da quel momento in poi avremmo garantito almeno cento anni di pace al continente, che i nostri figli non sarebbero stati costretti a scendere in battaglia.” Scosse la testa affranta. “Solo ora mi rendo conto di quanto fossi ingenua.”
“Vinceremo questa guerra” disse Bryce sicura. “E ci guadagneremo i cento anni di pace promessi.”
“Hai la mia stessa espressione quando lo dissi a Joane venti anni fa” disse Marget. “Lei mi rise in faccia e disse che ero una stupida e un’ingenua che viveva nel suo sogno romantico. Ora vorrei che fosse qui per dimostrarle che aveva ragione.”
Bryce deglutì a vuoto. “Vorrei salutare papà se posso.”
Marget annuì. “Vieni. Ti accompagno io.”
Andew di Valonde giaceva nel suo letto, il lato destro del corpo nascosto dalle bende. Anche se sofferente, Bryce notò che il suo viso conservava la dignità a cui era abituata. La mascella ben scolpita e i capelli folti e castani appena spruzzati di bianco gli donavano un aspetto giovanile a dispetto degli anni che aveva. Appena entrarono nella sua stanza tentò di raddrizzarsi.
“Il tuo mantello” disse con voce emozionata. “Fammelo vedere.”
Bryce sorrise imbarazzata.
“Avanti, gira su te stessa e fammi vedere quei ricami” la esortò lui.
Bryce ubbidì eseguendo un mezzo giro su sé stessa. Nel farlo gli orli del mantello strusciarono contro il pavimento producendo un suono simile a un sibilo sommesso.
“Meraviglioso” disse suo padre. “Quel sarto ha fatto un ottimo lavoro. Com’è che si chiama?”
“Folwin” disse subito Bryce.
Era stata Joyce a sceglierlo per lei, quasi cinque Lune prima, per farle confezionare il mantello.
“È il migliore del regno” aveva detto sua sorella entusiasta.
Bryce aveva acconsentito a farle scegliere il sarto anche se avrebbe preferito un mantello più modesto.
“Ti serve un mantello degno di te” aveva detto Joyce.
“Nessuno noterà quello che indosso” si era difesa lei.
“Invece sì” aveva replicato Joyce.
Bryce aveva rinunciato a contraddirla e si era rassegnata a indossare il mantello che Folwin le aveva confezionato.
“Smettila, Andew” lo ammonì Marget.
“Cosa ho detto di male?”
“Devi rivolgerti con rispetto a una strega consacrata.”
Andew annuì deciso. “Hai ragione. Hai ragione. Mi hanno detto che ti sei battuta con onore.”
“Ho solo fatto la mia parte” disse con tono umile.
“Non fare la modesta, Bryce” disse suo padre. “Tutti si aspettano grandi cose da te. Sei nata per questo momento, lo sai, vero?”
Bryce annuì.
“Erix che dice? E i decani? Sono pronti a partire? Ho sentito che stanno preparando qualcosa.”
“Ora non agitarti” disse Marget. “I guaritori dicono che devi riposarti.”
Re Andew fece una smorfia di disgusto. “Che vadano agli inferi i guaritori. Non sono nemmeno dei veri stregoni.” La sua voce divenne più calma. “So che Erix sarà una buona comandante. E un’ottima guida per te. Avrei voluto accompagnarti io in questo tratto di strada che devi fare, ma lei sarà altrettanto degna. Non l’ho scelta a caso. Ti insegnerà molte cose e tu dovrai apprenderle come se te le stessi insegnando io.”
Bryce annuì di nuovo. “Come stai?”
Suo padre fece un gesto vago con la mano. “Meglio. Potrei già rimettermi in piedi.”
“Non pensarci nemmeno” disse Marget.
“Non starla a sentire” disse lui. “So io come mi sento davvero. Adesso ascoltami, Bryce. So che Erix e i decani stanno organizzando una campagna. Ancora non l’hanno annunciato ufficialmente. Stanno solo aspettando che i messaggeri arrivino a destinazione.”
“Contro chi?” gli domandò interessata.
“Si parla di Sabira, nelle province meridionali. È un postaccio ai confini tra noi e Candor. Dicono che il rinnegato abbia portato lì una sua armata e minacci di conquistare la regione.” Scosse la testa. “Quel dannato folle si è messo in testa di farci la guerra sul serio. Dobbiamo dargli una lezione ed Erix è d’accordo con me.”
Marget gli lanciò un’occhiataccia.
“Con noi. In verità è più un’idea di tua madre che mia. Adesso è lei che si occupa di queste faccende.”
“Sono più brava di te” disse la regina.
“In queste cose, sì.”
“In tutto” disse lei.
Andew fece per risponderle e poi scosse la testa. “Sabira è a meno di ottocento miglia da qui, figlia mia. È come avere i topi sulla soglia di casa. Tutto ciò è inammissibile. Li dobbiamo cacciare fuori e assicurarci che non tentino mai più una cosa del genere. Non basterà vincere la guerra. Dovremo cancellarli dalla storia.”
“Sì, padre” disse convinta.
“Perché se non li cancelleremo, saremo noi a sparire.”

 

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Capitolo 8
*** Non si fidano di me ***


Non si fidano di me

 
“Mi usano come messaggero” disse Roge accigliato. Stava con la schiena appoggiata al muro e l’espressione corrucciata, come quella di un bambino a cui era stato portato via il giocattolo preferito.
Ha due anni più di me, pensò Bryce guardandolo con comprensione. Ma è come se fossi io la sorella maggiore e non lui il fratello più grande.
“È solo per il momento” disse lei comprensiva. “Prima o poi chiameranno anche voi.”
Roge alzò la testa e le rivolse un timido sorriso. “Guarda che puoi anche smetterla di fingere, Bryce. Lo so bene che il momento di cui parli per me non finirà mai. Scommetto che i decani hanno già stilato una bella lista di chi partirà e di chi verrà lasciato al circolo a marcire.”
“Di che lista parli?”
“È tutto già deciso. Wena aveva previsto tutto. Adesso quell’idiota di Karv non potrà più negarlo. Aspetta che gli racconti quello che sta succedendo.”
“Non dirgli niente che non sia già noto a tutti” lo ammonì Bryce.
Lui le rivolse un’occhiata di traverso. “Mi hai preso per un idiota, sorellina? Guarda che io mi sono consacrato due anni prima di te. So come funzionano le cose al circolo.” Fece schioccare la lingua per esprimere il suo disappunto. “Era tutto già deciso fin dall’inizio. Non mi stupirei se avessero saputo anche dell’attacco.”
“Roge” disse Bryce. “Devi stare attento quando dici certe cose.”
Erano in mezzo alle aiuole del giardino, vicino a uno dei gazebo che usavano nelle giornate della bella stagione per pranzare o per giocare.
Nel mio caso, pensò Bryce, per guardare gli altri giocare mentre mi veniva concesso di allenarmi all’aperto.
La maggior parte delle volte il suo addestramento veniva condotto nei sotterranei, in una sala che suo padre aveva adibito a palestra soltanto per lei.
“Tanto tu non andrai a dirle a nessuno, no?” fece lui. “O lo farai? Sei già diventata il nuovo pupazzo di Erix?”
“Smettila” esclamò esasperata. “Ero passata per salutarti ma vedo che non hai voglia di vedermi. Devo andare via e tornare tra qualche Luna?”
L’espressione di Roge si addolcì. “No, Bryce. Accidenti, certo che no. Scusami, sono proprio un idiota. È che volevo sfogarmi un po’. Sai, tutto questo parlare di guerra ha fatto venire idee strane a molti, giù al circolo.”
“È da lì che vengo. Ti ho cercato. Dove eri?”
“Te l’ho detto. Mi usano per fare da scorta ai messaggeri che viaggiano dal palazzo al circolo con i dispacci. Non si fidano a lasciarli andare da soli.”
“Siamo arrivati a questo? Non ci fidiamo più del nostro stesso popolo?”
“Metà dei rinnegati che hanno attaccato l’altra sera venivano dai territori dei nostri alleati. E l’altra metà dal resto del continente.”
“Mi chiedo come abbiano fatto ad agire senza che ce ne rendessimo conto.”
“Hanno degli alleati.”
Bryce lo guardò stupita.
“Qui, a Valonde. Ovunque. Forse anche a palazzo e nel circolo. Chi può dirlo con esattezza?”
“Se andrai in giro a dire certe cose finirai nei guai. Potrebbero accusarti di tradimento.”
“Se lo facessero, dimostrerebbero di essere loro i traditori. Solo un traditore potrebbe cercare di azzittire uno che cerca di svelare le loro congiure.”
“Ora mi fai preoccupare” disse Bryce. “Devo parlarne con Galef?”
“Agli inferi anche lui” disse Roge. Scosse la testa affranto. “Sai già dove andrete?”
Bryce esitò.
“Andiamo, Bryce. Non andrò a dirlo in giro. Non sono così idiota.”
Lei gli rivolse una lunga occhiata.
“Forse lo sono, ma lo sanno tutti. Chi mi crederebbe?”
Quella battuta le strappò un leggero sorriso. “Sibira.”
Roge socchiuse gli occhi. “È la prima volta che la sento.”
“È una città vicino al confine con Candor.”
“È un posto remoto. Cosa sperate di trovare lì?”
“Topi” rispose.
Roge si accigliò. “Topi?”
Lei annuì decisa.
“Allora vai” disse suo fratello. “La prossima volta che ci vedremo sarai un’eroina di guerra.”
“Io ne dubito. Ci sarà sicuramente chi meriterà quel titolo più di me.”
“Può darsi” fece lui. “Ma di sicuro nessuno di loro sarà più bella.”
“Smettila” disse imbarazzata.
“Dico sul serio. Al circolo c’è già chi ne parla.”
“Di cosa?”
“Pare che almeno un paio di stregoni vogliano farsi avanti.”
Bryce si accigliò.
“Non mi stupirei se alla fine della guerra si presentino a palazzo come pretendenti. Ovviamente spetterebbe a me giudicare se sono degni o no.”
Bryce finse di dargli un pugno. “Taci, idiota. E veglia su Joyce.”
“Lei ha già Mythey” disse Roge. “Anche se il vecchio cavaliere non è più quello di una volta.”
“Mythey può ancora tenere testa a venti guerrieri più giovani di lui” disse sicura.
“Ma non riesce a stare dietro a una ragazzina di sedici anni.”
 
Trovò Joyce in attesa davanti alla stanza del re. Quando la vide balzò in piedi.
“Bryce” disse.
Lei le fece cenno di stare calma. “Piano. Papà sta riposando.”
“Lo so” disse Joyce. “Aspetto che aprano la porta per vederlo.”
“Non stare qui. Torna in camera.”
Lei sospirò affranta. “Ci sono stata fino a poco fa. Non mi fanno scendere nemmeno nei giardini e il palazzo è pieno di soldati che sorveglino le scale tra i livelli.”
“È solo per poco” disse Bryce per rassicurarla. Non aveva idea di quanto sarebbe durato tutto quello.
Forse fino alla fine della guerra, si disse.
Le sue parole sembrarono rassicurarla. “Sei passata a trovare papà?”
Bryce scosse la testa. “Raccolgo le mie cose.”
“Ti trasferisci al circolo definitivamente?”
“L’ho già fato. Mi hanno anche dato una stanza tutta mia.”
“Ed è bella?”
Si strinse nelle spalle. “Ha tutto quello che mi serve.”
Joyce la guardò con espressione dubbiosa.
“Ho anche un guardaroba dove poter mettere qualche vestito” si affrettò a dire.
Lei sorrise.
“Ma non troppi. Sarebbero inutili al circolo.”
Joyce annuì comprensiva. “Hai sentito di Vyncent? È quello stregone di Londolin che era alla festa per la tua consacrazione.”
Bryce annuì vaga. “Sì. Credo di averlo visto un paio di volte.”
Il viso di sua sorella sembrò illuminarsi. “E stava bene? Era ferito?”
“No, stava bene. Gli hanno dato una stanza.”
“Vicina alla tua?”
“Su di un livello inferiore, in una zona destinata ai mantelli dei regni vassalli.”
“Non mi sembra molto giusto” disse Joyce delusa.
“Sono le regole.” Decise che quello era il momento migliore per dirle quello che doveva. “Ascolta. Sono passata anche per salutarti. Tra qualche giorno dovrò partire.”
“Vai da qualche parte?”
“Non sarò sola. Viaggerò con un’intera armata.”
Joyce la guardò allarmata. “È per via della guerra?”
Bryce annuì decisa. “Non posso dirti di più. Forse lo faranno la mamma o papà, ma io non posso, ho avuto degli ordini precisi.”
“Capisco” disse Joyce delusa. “Vyncent verrà con te?”
“Non lo so. Penso di no, almeno per il momento. In ogni caso non dipende da me.”
Lei scosse la testa e fece un gesto vago con la mano. “Vado a prendere un libro per te.”
“Non devi” si affrettò a dire.
“Insisto” rispose Joyce. “Torno subito” aggiunse andando via a testa bassa.
Almeno l’ho allontanata da questa porta, si disse. Non le fa bene stare qui fuori.
Joyce tornò come promesso con un libro tra le mani.
Sembra un volume piccolo, pensò Bryce sollevata.
Sua sorella glielo porse e lei lo soppesò nelle mani prima di leggere il titolo sulla copertina di pelle.
“Il Destino della Strega” lesse ad alta voce. “Di Adenora Stennig. È la tua preferita, giusto?”
Joyce annuì. “È una bella storia, ti terrà compagnia.”
“Ne sono sicura” si sforzò di dire.
“Bryce.”
“Sì?”
“Promettimi che starai attenta.”
“Lo farò” disse con tono solenne.
“E se per caso Vyncent avesse bisogno di te veglia su di lui.”
Bryce si accigliò. “Vyncent?”
 
Appena fuori dall’ingresso adocchiò uno degli stallieri e gli fece un rapido gesto con la mano. L’uomo rispose con un inchino e corse via.
Sistemò il sacco sulla spalla. L’aveva riempito con qualche vestito di ricambio, una coperta di lana nuova e degli stivali di riserva.
“Stavo quasi per andare via” disse Elvana. “Hai finito?”
“Devo ancora passare da una persona” disse buttando a terra il sacco.
Elvana lo fissò come se contenesse spazzatura. “Che ci devo fare con questo?”
“Non posso portarmelo in giro. È pesante.”
“Sei una ragazza davvero delicata, Bryce di Valonde.”
“Voglio solo risparmiare le forze per la guerra.”
“La persona che devi salutare chi è? Un tuo fidanzato?”
“No” rispose subito. “Solo un vecchio amico.”
Elvana annuì. “Sbrigati. Dobbiamo rientrare prima che la mezza giornata concessa da Erix sia passata. Non voglio essere punita per colpa tua.”
“Ci metterò poco” disse lasciandola in attesa.
 
Il capanno sorgeva addossato al muro di cinta, sotto una delle torri di guardia che una volta erano servite a proteggere il castello e che adesso erano vuote.
Era fatto per metà di mattoni e per l’altra di pietre grigie e squadrate tenute insieme dalla malta.
 Bryce ci arrivò seguendo un percorso tortuoso tra le aiuole del giardino, dopo aver superato uno steccato di legno. Era circondato da un recinto di tronchi legati insieme che formava un cortile interno di trenta passi per trenta.
Davanti all’ingresso, aperto, un uomo dai capelli bianchi era chino in avanti, le mani affondate nel terreno.
“Salve” disse Bryce con tono allegro.
L’uomo sollevò la testa e la guardò accigliato. “Salve a te.”
“Sto cercando un vecchio cavaliere. Non lo crederesti capace di reggere ancora la spada e lo scudo. L’hai per caso visto passare da queste parti?”
L’uomo raddrizzò la schiena e si guardò attorno. “Ti riferisci a quel cavaliere dall’aspetto fiero e dal portamento nobile? Mi pare di averlo visto, sì.”
“Fiero e nobile? Dici sul serio?” fece Bryce con tono scettico. “Forse non parliamo della stessa persona.”
L’uomo si mosse verso di lei con movimenti lenti ma studiati. “Fiero, esatto. Nobile forse non tanto, ma so per certo che a lui non importa molto.”
Bryce si lasciò sfuggire una mezza risata. “Va bene, va bene. Ti concedo la fierezza anche io.”
“E sono ancora capace di reggere la spada” disse l’uomo. “Per lo scudo, solo quando non è piovuto. Le mie povere ossa non sopportano l’umidità.”
Bryce indicò la buca alle spalle dell’uomo. “Hai deciso di cambiare lavoro o è stato mio padre ad assegnarti ai giardini?”
Lui scrollò le spalle. “Ho deciso di sistemare un po’ il terreno. Per me non c’è molto da fare a palazzo.”
“Ho sentito quello che è successo. Mi spiace tanto, Myt. Vorrei essere capace di far cambiare idea a mio padre, ma lo sai meglio di me che ormai ha preso la sua decisione.”
“Non mi lamento” disse lui con tono rassegnato. “E se devo essere sincero, sento che il mio tempo è finito. L’altra sera non ho potuto fare molto durante l’attacco. Sono arrivato quando tutto si era già concluso.”
“Non darti colpe che non hai. Nemmeno eri presente.”
“Se non avessi commesso quell’errore, sarei stato al fianco della principessa Joyce, come sempre.” Scosse la testa. “Il re ha ragione. Devo farmi da parte.”
Bryce non sopportava di vederlo così abbattuto. “Roge dice che papà ti ha offerto un titolo e delle terre.”
“Tuo padre è molto generoso, principessa Bryce.”
“Lo è solo con i suoi amici, Mythey. E lui ti considera un buon amico. Forse l’unico che abbia mai avuto.”
Il vecchio cavaliere scosse la testa. “Posso anche essere stato un buon amico, ma ho fallito nell’essere la scorta di sua figlia.”
“Vuoi dire che non accetterai?”
Mythey sembrò rifletterci per qualche istante. “Mi prenderò del tempo. Addestrerò il mio sostituto e poi deciderò se accettare l’idea di finire i miei giorni in una villa tra i campi o riprendere a girare per il continente.”
“Nessuno potrà mai sostituirti” disse Bryce con tono comprensivo.
Mythey le lanciò un’occhiata divertita. “Non parliamo del mio viaggio che sta per finire, ma del tuo che sta per iniziare. Finalmente ti sei guadagnata quel mantello.”
“Ti piace? È stata Joyce a volerlo così” disse divertita.
“Tua sorella è stata sempre molto convincente. Conoscendoti, tu avresti scelto la stoffa di una vecchia coperta di lana e ti saresti messa quella addosso, come da piccola.”
Bryce ricordò quando, a nove o dieci anni, aveva strappato un vecchio lenzuolo blu e lo aveva sato come mantello.
Joyce aveva insistito per disegnarci sopra la stella a cinque punte, simbolo del casato.
“Così sarà più bello” aveva detto con tono ingenuo.
“Non deve essere bello” aveva risposto Bryce. “Basta che abbia il colore giusto.”
“Invece sì” aveva protestato lei. “La principessa Yona indossa sempre un mantello bellissimo con ricami in oro quando combatte i mostri del mago Krausaar.”
Bryce si era accigliata. “Non c’è nessuna principessa Yona” aveva detto. “E i maghi sono soltanto delle leggende.”
“No, è vero” aveva insistito lei. “L’ho letto in un libro.”
“Quale?”
“Le Avventure di Yona e Gadi. Sai, loro si vogliono molto bene ma poi Krausaar rapisce Yona e…”
“Sono qui per salutarti” disse per spezzare il filo dei ricordi.
“Sei in partenza?”
Bryce annuì con vigore. “Ma non posso dirti per dove.”
Mythey trasse un profondo sospiro. “Finalmente potrai mettere alla prova la tua abilità.”
“L’ho già fatto, alla festa.”
“Quella non era la guerra, principessa.”
“È uguale” disse stringendosi nelle spalle. “Si tratta sempre di colpire i nemici prima che loro colpiscano te per primi, no?”
“È molto più complicato di come credi, principessa. Dovrai stare molto attenta.”
“Non ho paura.”
“È proprio quello il problema.”
Lei gli rivolse un’occhiata perplessa.

 

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Capitolo 9
*** Non vincere prima di rivederci di nuovo ***


Non vincere prima di rivederci di nuovo

 
Elvana le rivolse la parola solo quando lasciarono il cortile interno del palazzo. “Sicura di aver detto addio proprio a tutti?”
Bryce scosse la testa.
“Chi manca dall’elenco?”
“Razyan.”
“L’erede al trono?”
Bryce annuì. “È partito con una scorta, ma non mi hanno detto per dove.”
“Non si fidano abbastanza di te?” le chiese lei con tono provocatorio.
“Non si fidano di nessuno” disse irritata. “E hanno fatto bene e tenermi all’oscuro. Se i rinnegati mi catturassero, non potrei rivelare niente di utile.”
“Quindi non si fidano di te.”
Bryce sospirò esasperata e fece schioccare le redini. Cavalcò per il viale che discendeva la collina, lasciandosi dietro Elvana e il palazzo.
Ha ragione, si disse mentre rallentava per non travolgere un carro che arrancava lungo la salita nel senso opposto al suo. Non si fidano di me. Mi tengono fuori da qualsiasi decisione. Non so nemmeno dove siamo diretti e quando partiremo.
“Rallenta” gridò Elvana alle sue spalle.
La vide lottare con le redini mentre faticava a mantenere dritto il cavallo.
“Non sai cavalcare?” le chiese.
Elvana strinse i denti. “Nightanatois è una città di mare.”
“Anche Valonde lo è” disse Bryce indicando i moli. “Eppure, io so cavalcare e tu no. Non ve lo insegnano al vostro circolo?”
Voleva prendersi una piccola rivincita sulla strega che l’aveva umiliata fin da quando l’aveva incontrata.
“La nostra città è piccola rispetto a questa” disse Elvana raggiungendola. “Le strade sono strette e ce ne saranno due o tre dove un cavallo può passare.”
Bryce ridacchiò.
“Mi credi una selvaggia, giusto?” fece lei perplessa.
“No” fece Bryce. “Infila meglio il piede nella staffa e non stringere troppo sui fianchi. Ai cavalli di Valonde piace essere trattati con rispetto, non come fai tu.”
“Rispetterò i vostri cavalli” rispose Elvana. “Ma dovranno meritarselo. Come le vostre principesse.”
Bryce fece schioccare di nuovo le redini e partì al piccolo trotto. Percorse la strada che la divideva dal circolo accelerando e rallentando per consentire a Elvana di raggiungerla.
Quando entrò nella piazza era di umore migliore di quando l’aveva lasciata. Consegnò il cavallo allo stalliere e proseguì a piedi senza attendere Elvana.
Appena dentro il circolo un valletto si avvicinò a lei. “Ho un messaggio per te da parte della comandante Erix.”
“Comandante?” pensò ad alta voce.
Il valletto annuì. “La comandante vuole vederti nel suo studio.”
“Sono appena tornata” disse. “Devo portare questa nella mia stanza.”
“Posso farlo io” si offrì il valletto.
Bryce poggiò la sacca a terra controvoglia. “Mettila solo nella stanza. Penserò io a sistemare le mie cose dopo aver parlato con la comandante.”
“Come tu comandi” rispose il valletto prendendo la sacca.
“Sei appena consacrata e ti trattano già come una strega di alto rango” disse Elvana alle sue spalle.
“Taci. Erix vuole vedermi.”
“Allor andiamo, no? Che aspetti?”
“Vuole vedere me” rispose irritata.
Elvana si strinse nelle spalle.
 
Lo studio di Erix era più grande della sua stanza di almeno il doppio. Era occupato da una libreria piena di volumi dall’aria severa e da un largo tavolo con dodici sedie imbottite.
Erix ne occupava una, mentre uno stregone dalla testa lucida come una palla di vetro e il naso adunco ne occupava un’altra.
“Io vi saluto” disse entrando.
Il valletto all’esterno le chiuse la porta alle spalle. Ebbe un fugace visione di Elvana che sbadigliava prima che la porta si serrasse.
“Io saluto te” rispose Erix.
Lo stregone si limitò a un leggero cenno con la testa. “È lei?” chiese.
Erix annuì.
“La somiglianza con Marget è sorprendente. Mi aveva già colpito la prima volta che la vidi, ma adesso…” Scosse la testa.
“Ti conosco?” chiese Bryce prudente.
“Il mio nome è Persym.”
Bryce deglutì a vuoto. Aveva già sentito quel nome prima di quel giorno.
“Ora mi riconosci?” chiese lui divertito.
“Ho sentito parlare di te” disse Bryce prudente. “Sei l’arcistregone.”
“Quello è solo un titolo senza nessun valore reale” disse Persym. “La mia vera funzione in questo circolo è quello di comandare i mantelli di rango più elevato. Comandare in guerra, intendo.”
“Finché siamo in pace” disse Erix. “Sono i decani ad assicurarsi che le regole del circolo vengano rispettate.”
“Tutti rispettiamo la loro saggezza” disse Persym. “Ma in guerra è necessario affidarsi a una guida unica. Troppe voci che parlano tutte insieme creano confusione. Una sola voce che parla per tutti induce all’obbedienza.”
Bryce annuì in maniera educata.
“Dobbiamo parlare con una sola voce” disse Persym. “E avere una sola guida. Procedere divisi in questo momento darebbe un vantaggio enorme ai rinnegati. Concordi con me?”
“È certamente come dici tu.”
Persym fece un cenno solenne con la testa. Si alzò dalla sedia e si rivolse a Erix. “La mia visita qui è conclusa, comandante.”
“Ti accompagno” si offrì Erix.
“Non è necessario” disse l’arcistregone. Tornò a rivolgersi a Bryce. “Riponiamo tutti la massima fiducia in te, Bryce di Valonde. Ho sentito dire che ti sei comportata con valore durante l’attacco, nonostante tutto.”
“Non ero da sola” disse. “C’erano altri con me. Compresa la comandante Erix.”
“Ma tutti guardavano te” disse Persym. “La futura strega suprema della sua generazione. È una fortuna averti al nostro fianco in questa guerra. Molti si sentiranno rinfrancati dalla tua presenza.”
“Cercherò di non deluderli” disse.
“La modestia non ti si addice” l’ammonì Persym. “Tu sei nata per compiere imprese grandiose.”
Bryce decise di restare in silenzio.
“Ora devo proprio andare” disse l’arcistregone. “Io vi saluto” aggiunse. Andò alla porta e l’aprì. Un valletto si affrettò a indicargli il corridoio e chiuse la porta con delicatezza.
Erix sospirò. “Idiota” disse.
Bryce si accigliò.
“Che c’è? A te non è sembrato questo?” le domandò la strega.
“L’arcistregone…” iniziò a dire.
“È un idiota. Non metto in dubbio la sua abilità, l’ha dimostrata nella guerra contro Vulkath l’infame, ma questa è una faccenda diversa.” Si alzò con un movimento rigido, come se fosse rimasta seduta a lungo e faticasse ad adattarsi. “Malag non è l’infame. È diverso. Vulkath terrorizzava i suoi e gli obbedivano solo perché temevano ritorsioni da parte dei suoi Spettri. Il rinnegato no.”
“No?” chiese Bryce.
“Abbiamo interrogato i tre prigionieri che sono sopravvissuti all’attacco” disse Erix con espressione cupa. “Erano così feriti e deboli che non sono riusciti a usare il sigillo di morte.”
“Hanno parlato?”
“Sì.”
“Dopo quante torture?” chiese.
“Nessuna. Non abbiamo nemmeno dovuto minacciarli. Hanno parlato spontaneamente, come se non desiderassero fare altro.”
“Che cosa hanno detto?”
L’espressione di Erix mutò diventando dura.
“Ti chiedo scusa” disse subito Bryce. “Deve trattarsi di informazioni che devono restare segrete e il mio rango…”
“Il tuo rango non c’entra niente” disse la strega. “Quello che hanno detto…” Scosse la testa affranta. “È ciò che mi ha convinta che questa sarà una guerra diversa. E peggiore di quella contro Vulkath.”
“È qualcosa che riguarda Malag e il suo misterioso ritorno?”
“Riguarda lui, sì” disse Erix. “Ma non in quel senso.”
Bryce la guardò perplessa e confusa.
“Quei rinnegati lo amano, Bryce. Non lo temono, non lo rispettano, almeno non nel modo in cui noi intendiamo il rispetto. Non si limitano a ubbidire ai suoi ordini. Lo venerano, Bryce. Lo considerano una sorta di prescelto. Parlando con uno di loro, ho avuto la sensazione che il suo fosse amore.”
“Come possono amare un mostro?”
“Forse perché non lo considerano tale?” ribatté Erix con tono esasperato. “Persym e tutti i comandanti sembrano voler ignorare la faccenda. Persino i decani, Khone escluso, la ritengono solo una bizzarria e niente più.” Fece una pausa. “Dobbiamo scoprire perché lo amano, Bryce. O dovremo versare parecchio sangue per vincere questa guerra.”
 
Bryce quasi barcollava quando lasciò lo studio di Erix. Ad attenderla nel corridoio c’era solo il valletto che l’aveva accolta.
Lo salutò con un cenno della testa e scese al livello inferiore, diretta alla sua stanza. Quando svoltò l’ultimo angolo notò una figura ferma davanti alla porta.
Elvana deve essere venuta qui ad accogliermi, si disse divertita. Le dirò che può andare a dormire perché devo sistemare le mie cose.
Guardò meglio e notò che la figura non era quella di Elvana ma apparteneva a uno stregone dal mantello verde e i capelli che sembravano luccicare sotto le lampade a olio.
“Vyncent?” chiese, il battito del cuore che accelerava un po’ per la sorpresa e l’emozione.
Lui girò la testa verso di lei. “Mi avevano detto che eri tornata” disse avvicinandosi.
“Dovevi mandarmi un valletto per avvertirmi” disse imbarazzata. “Non ti avrei fatto aspettare così tanto.”
“Non sono qui da molto” replicò Vyncent. “
“Vuoi fare un altro giro per il circolo?” si offrì Bryce anche se si sentiva stanca e voleva stendersi sul letto e recuperare un po’ di forze.
Lui scosse la testa. “Volevo solo essere il primo a dirtelo.”
Bryce lo fissò interdetta.
“Non lo sai? Stanno affiggendo i nomi di quelli che partiranno.”
“Non ne sapevo niente” ammise.
“Ho letto il tuo nome tra quelli scritti sulle pergamene” proseguì Vyncent. “Sembra che sia iniziata sul serio. La guerra, intendo dire.”
Bryce cercò di mascherare la sua sorpresa con un mezzo sorriso. “Vinceremo” disse sicura. “E tu? Ti unirai a noi?”
“Il mio nome non è nell’elenco, ma chiederò di essere inserito con il prossimo contingente. Voglio fare la mia parte.”
“Ti aspetterò” disse imbarazzata.
Lui le sorrise.
Un sorriso splendido.
“Devo chiederti un favore.”
Farei qualsiasi cosa per te, stava per rispondergli, ma si trattenne.
“Se posso” disse invece con educazione.
“E una promessa.”
“Una promessa?”
Il sorriso di Vyncent si allargò. “Promettimi questo, Bryce di Valonde. Non vincere prima di rivederci di nuovo.”

 

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Capitolo 10
*** Posso fare di più ***


Posso fare di più

 
Il campo era una distesa di tende color crema racchiuse in una palizzata di legno alta il doppio di un adulto. Visto dall’alto, Bryce ebbe la possibilità di ammirarne l’efficienza e la praticità.
Venti file di venti tende ciascuna. Ogni tenda era occupata da una ventina di soldati. C’erano tende più piccole destinate ai mantelli di alto rango.
Al centro del campo una tenda più grande delle altre era circondata dai vessilli sui quali dominava l’azzurro di Valonde.
Ognuno di essi aveva il simbolo del casato che era presente in quell’armata. Da quella distanza non poteva scorgerli, ma dalle poche informazioni che era riuscita a raccogliere sapeva che dovevano essere presenti il sole a nove raggi dei Banzirr, il cervo coronato dei Calish, il drago a due teste degli Arkov e così via.
“Sei più impressionata o spaventata?” le chiese Elvana sopraggiungendo alle sue spalle.
Bryce si accigliò. “Nessuna delle due.”
La strega scrollò le spalle. “Rientriamo?” le chiese.
Bryce avrebbe voluto restare ancora un po’ sulla collina per osservare dall’alto la pianura circostante. Da lì poteva vedere i campi coltivati punteggiati da poche fattorie isolate e un paio di minuscoli villaggi. A una ventina di miglia di distanza da quel punto, si intravedevano le mura di una città bassa sull’orizzonte.
Ilenor, si disse. Il che vuol dire che Valonde è a ottocento miglia da qui. Non sono mai stata così lontana da casa.
“Vuoi restare qui?” le chiese ancora Elvana con tono insistente.
Perché deve comportarsi in questo modo? Si chiese infastidita. Sembra quasi che provi piacere nel tormentarmi.
Elvana l’aveva seguita da Valonde mantenendo il suo incarico di guardia del corpo.
Lei era andata a parlarne con Erix per convincerla a darle un altro incarico.
“Credo di poterne fare a meno” le aveva detto.
“Noi crediamo di no” aveva risposto Erix.
“Sono una strega consacrata. E ora faccio parte della tua armata.”
“È bello che tu lo abbia evidenziato, principessa. Significa che hai ben chiaro il concetto di ubbidienza agli ordini della tua comandante.”
Bryce aveva sbuffato stizzita. “Tutto questo è assurdo, comandante Erix. Tu sei la mia guida. Io dovrei fare da scorta a te.”
“Viviamo in tempi strani” aveva risposto la strega. “Che richiedono azioni adeguate alla loro stranezza. Elvana si è comportata bene a Valonde e io non vedo alcun motivo per rimuoverla dal suo incarico.”
Bryce aveva fatto un respiro profondo. “Credo di potermi esprimere meglio se non ho una scorta che mi segue ovunque.”
“E noi pensiamo invece che sia una cosa buona che tu abbia una scorta. Discorso chiuso.”
Aveva fatto per dire qualcosa ma lo sguardo severo di Erix l’aveva costretta a desistere.
“Come tu comandi” aveva detto con tono rassegnato.
Erix aveva annuito grave. “Se proprio vuoi renderti utile, ci sarebbero da ispezionare i posti di guardia in cima alla collina e assicurarsi che le vedette non dormano o siano ubriache. Potreste andare tu ed Elvana.”
“Come tu ordini” aveva risposto
Bryce era alla sua tenda. Qui aveva trovato Elvana ad attenderla.
“Ispezione ai posti di guardia sulla collina” le aveva annunciato con tono seccato.
“Sul serio?” aveva fatto lei accigliata.
Bryce aveva annuito. “Io vado. Ma se vuoi restare non sei obbligata a seguirmi.”
“Vango” aveva risposto lei seccata. “Ma le ispezioni le affidano solo a quelli che vengono puniti. Sicura di non aver fatto arrabbiare Erix per qualche motivo?”
Non avevano parlato ma allontanarsi dalle tende l’aveva rasserenata.
Se rimane in silenzio posso quasi sopportarne la presenza, si disse. Quasi.
Bryce si limitò ad annuire. “Torniamo” disse.
Mentre passavano attraverso il cancello che delimitava l’ingresso al campo, i soldati la salutarono battendo le lance sul terreno.
“Noi ti salutiamo” disse uno di loro.
“Io saluto te” rispose perplessa. “Ti conosco?”
“Tu no” rispose il soldato. “Ma io sì. E anche tutti gli altri. Abbiamo sentito dire quello che hai fatto al ballo, quando i rinnegati ci hanno attaccato.”
Bryce lo guardò perplessa. “Cosa dicono di me?” chiese interessata.
“Che ne hai uccisi dieci” rispose il soldato. “Con un colpo solo.”
“Greif dice che hai passato un rinnegato da parte a parte” disse un soldato più giovane, il viso devastato da un qualche tipo di sfogo della pelle che la faceva somigliare a quella di un rospo. “Mentre ne uccidevi due con i dardi magici.”
Gli altri annuirono convinti.
“Chi dice queste cose?” chiese.
“Tutti” rispose il soldato giovane. “Io l’ho sentito dire da Greif, ma non so da chi l’abbia sentito lui.”
Scosse la testa. “Io non…”
Elvana le diede un colpo al fianco.
Lei le scoccò un’occhiataccia.
“La principessa non ha alcun interesse nella gloria” disse la strega rivolgendosi ai soldati. “E a voi non deve importare se ne ha uccisi cinque o sei mentre volteggiava nella sala da ballo.”
I soldati la osservarono stupiti.
“O erano sette?” fece Elvana socchiudendo gli occhi.
“Smettila” disse Bryce.
“No, no” disse lei scuotendo la testa. “Erno otto, adesso ricordo.”
I soldati ridacchiarono scambiandosi occhiate e scuotendo la testa.
Bryce avvampò per la vergogna e afferrò Elvana per un braccio. “Andiamo” disse trascinandola lontano dall’ingresso.
Elvana non oppose resistenza e continuò a ridere.
“Che ti è preso, me lo spieghi?” le chiese rabbiosa.
“Ma li hi sentiti quegli idioti?”
“Purtroppo sì.”
“E sei contenta che girino certe voci su di te?”
“Ti sembro contenta?” le domandò.
Elvana scrollò le spalle. “Volevo solo rimetterli al loro posto. Per il tuo bene.”
“Mi hai reso ridicola.”
“Invece no” insisté Elvana. “Lasciare che circolino certe voci ti fa sembrare una sciocca. Finirà che nessuno ti prenderà più sul serio.”
Bryce scosse la testa. “Smettila. Sei la mia scorta o no? Devi solo badare che non mi accada niente di brutto.”
“Era quello che cercavo di fare, ma tu sei troppo stupida per capirlo.”
Bryce si diresse alla sua tenda. La condivideva con altre due streghe, mentre Elvana, essendo una straniera, era stata assegnata a una zona diversa.
Lei la seguì in silenzio.
“Vado alla mia tenda” le disse con tono seccato. “Ora siamo al campo e qui di sicuro non corro pericoli.”
Elvana scrollò le spalle. “Non ti sto seguendo. Voglio salutare Fraska. È vietato?”
Bryce sospirò affranta e cambiò direzione.
“Dove vai adesso?” le chiese Elvana.
“Da un’altra parte” le rispose. “Divertiti con Fraska.”
Aumentò il passo per distanziarla e non rallentò finché non fu certa che non la stesse seguendo. Voltandosi non la vide dietro di lei.
Potrebbe essere invisibile, si disse.
Sbatté due volte le palpebre concentrando parte del suo potere nella vista spettrale. Il mondo cambiò aspetto, diventando un miscuglio di ombre grigie e tenui che si muovevano attorno a lei. Scandagliò il campo fino alle tende lontane un centinaio di passi ma non vide alcun bagliore.
Se Elvana avesse usato il fantasma spettrale, lei avrebbe notato la traccia lasciata dal potere che stava usando anche a quella distanza.
Quando fu certa che non la stesse seguendo, sbatté di nuovo le palpebre e il mondo tornò al suo aspetto consueto.
Respirò a fondo e si avviò in direzione della tenda al centro del campo. A mano a mano che si avvicinava sentiva la rabbia defluire e la calma tornare. Quando fu davanti all’ingresso era di nuovo serena.
I mantelli di guardia erano tre, due uomini e una donna che la squadrarono severi.
“Finita la passeggiata, principessa?” le chiese uno degli stregoni.
“Sono appena tornata dal giro d’ispezione per riferire alla comandante.”
Lo stregone fece un mezzo sorriso. “Su cosa? Il numero di fiori che hai raccolto? O sul colore delle foglie degli alberi?”
La strega al suo fianco ridacchiò mentre il terzo, più anziano, rimase in silenzio.
“Elvana e io abbiamo controllato la sommità della collina” disse Bryce tenendo a freno la rabbia. “Per assicurarci che nessuno tenti di scalarla dall’altro versante.”
“Ci sono già due posti di vedetta sulla collina” replicò lo stregone. “I vostri occhi non servivano.”
“Eseguivamo gli ordini della comandante” disse Bryce fremendo.
“Che li riceve dal re tuo padre” replicò lo stregone. “Molto comodo, se vuoi il mio parere.”
“Non te l’ho chiesto” ribatté. “Perché non mi interessa.”
La sua espressione si fece dura. “Forse ti interesserà sapere che fino a ora non ti sei rivelata molto utile alla causa della guerra.”
“Sarò utile quando si tratterà di combattere.”
“Non temere. Tu e la tua amica strega della notte non vi sporcherete le mani come noi. Sono certo che la comandante quel giorno vi concederà di andare a passeggio tra i boschi come avete fatto fino a oggi.”
Trasse un profondo sospiro. “Mi vuoi annunciare o devo fare da sola?”
Lo stregone fece un altro mezzo sorriso e si spostò di lato. “Come tu ordini, principessa.”
Bryce procedette a testa bassa e dopo aver scostato il lembo di stoffa che chiudeva l’ingresso si infilò nella tenda. Le mani le tremavano e il sangue le martellava nelle tempie.
Erix, la comandante, era in piedi dietro al tavolo sostenuto da cavalletti che aveva piazzato al centro esatto della tenda. Sulla destra vi era un giaciglio sul quale qualcuno aveva gettato un paio di coperte di lana. A sinistra un baule aperto e vicino a esso un braciere spento.
Bryce avanzò di un paio di passi e rimase in silenzio, le mani giunte dietro la schiena. Si sentiva ancora turbata per lo scontro che aveva avuto fuori dalla tenda, la mente che faticava a tenere a bada i pensieri.
Erix alzò gli occhi verso di lei. “Devi dirmi qualcosa?”
“Devo riferirti sul giro d’ispezione alla collina.”
La strega sollevò la testa e la fissò con espressione rassegnata. “Ti ascolto.”
“Niente di nuovo da riferire” disse Bryce seria. “Come ieri. E il giorno prima. E il giorno prima ancora.”
“Bene” disse Erix abbassando di nuovo la testa. “Puoi andare.”
Bryce esitò.
“Sei ancora qui” disse Erix.
“Voglio fare la mia parte” disse con tono deciso.
“È quello che stai facendo.”
“Non mi sembra abbastanza” replicò con veemenza.
Erix alzò la testa di scatto. “Questo lo stabiliamo noi comandanti. Tu limitati a eseguire gli ordini.”
“So che posso fare di più.” Avanzò di un passo. “Dammi la possibilità di dimostrarlo.”
“A chi?”
Bryce serrò le labbra.
“Non sai rispondere?”
“Girano delle voci” disse con tono più calmo. “Su di me.”
“Siamo un’armata in marcia” disse Erix. “Lontani ottocento miglia dalla capitale. Senza possibilità di distrarsi o fare molto altro. È normale che girino delle voci.” Fece un mezzo sorriso. “Girano voci su tutti. Persino su di me. Credi che non le senta anche io? I soldati mi chiamano Strega del Crepuscolo.”
“È un bel soprannome.”
“Lo fanno perché li costringo a rimettersi in marcia prima del sorgere del sole” disse lei divertita. “Dicono anche cose peggiori, ma cerco di non badarci.”
“Falli punire” suggerì Bryce.
“A cosa servirebbe?”
“Terrebbero a freno la lingua.”
“Oppure inizierebbero a sussurrare invece di parlare a voce alta. E io non voglio che la mia armata sussurri alle mie spalle, magari discutendo di come disertare alla prima occasione o sconfitta.”
Bryce deglutì a vuoto.
“Hai altre lamentele da fare?” le domandò Erix. “Ho del lavoro da svolgere, qui.”
“Nessuna” disse con tono orgoglioso. “Posso tornare alla mia tenda se non hai più bisogno di me?”
Erix annuì e Bryce lasciò la tenda a testa bassa.

 

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Capitolo 11
*** Quella che non sono ***


Quella che non sono

 
Appena messo piede fuori tornò a respirare come prima. Dentro la tenda aveva provato la sensazione di soffocare mentre Erix la rimproverava.
Solo perché voglio essere utile, si disse. Mentre quelli che sparlano di lei alle sue spalle non subiscono nessuna conseguenza. Non è giusto.
Lo stregone di prima le rivolse un mezzo sorriso. “Sei andata a riferire alla comandante? Spero sia stata contenta dei fiori che le hai portato.”
Bryce si girò di scatto verso di lui, lo sguardo accigliato. “Se non chiudi quella bocca, ti prenderò a calci così forte che dovranno raccoglierti con un secchio e portarti un pezzo alla volta dalla comandante.”
Lo stregone sgranò gli occhi e smise di sorridere. “Che tu sia dannata. Una strega di basso rango come te deve rivolgersi con rispetto a Zakie Divash.”
“Vieni a prenderti il rispetto che ti devo” rispose Bryce. “L’ho messo qui sulla punta del mio stivale.”
Divash fece un passo verso di lei. “Ora ti insegnerò il rispetto, strega inferiore. Solo perché sei una principessa non hai il diritto di…”
“Dalle una bella lezione, Zak” disse la strega al suo fianco.
Bryce sentì il potere fluire attraverso il corpo fin nelle braccia e nelle gambe, indurendo i muscoli e le ossa.
“Sei ancora in tempo per chiedermi scusa” disse Divash.
Bryce mosse un passo di lato, il corpo che sembrava più leggero di prima, come se avesse perso metà dei suoi chili e ne avesse guadagnati altrettanti di muscoli. Il potere che scorreva in lei era come un formicolio alle gambe dopo che era rimasta troppo a lungo seduta nella stessa posizione, ma non le creava disagio.
“E tu sei ancora in tempo a baciarmi i piedi” rispose per provocarlo.
Divash divenne paonazzo. “Ti spezzerò un braccio. Uno solo. E ti lascerò scegliere quale.”
Bryce fece per scagliarsi contro di lui ma qualcosa le sfiorò il fianco e perse l’equilibrio. Annaspò mentre cadeva in ginocchio a un paio di passi di distanza.
Divash avanzò verso di lei ma una figura gli bloccò il passo. Lo stregone scalciò e balzò indietro. Una striscia luminosa apparve attorno alle sue gambe, avvolgendole dal polpaccio fino al ginocchio.
Divash gridò per la rabbia e il dolore.
Corda magica, pensò Bryce.
L’altro capo di quel filo luminoso terminava tra le mani di Elvana. La strega lo reggeva come avrebbe fatto un marinaio con una corda usata per legare una barca al molo.
“Non posso lasciarti da sola nemmeno per un attimo, principessa.”
Divash afferrò la corda con una mano e fece ruotare il polso. Il filo si spezzò in una cascata di scintille che illuminarono per un istante il suo volto.
“Tu che vuoi, strega della notte?” le domandò a denti stretti.
Elvana fece sparire la corda agitando le mani nell’aria. “Mi assicuravo che non ti facessi male.”
Divash le lanciò un’occhiata perplessa. “Proteggevi me?” domandò incredulo.
Elvana annuì. “Bryce ti avrebbe fatto a pezzi come promesso” disse. “E poi ti avrebbe consegnato alla comandante.”
Lo stregone le rivolse un’occhiata disgustata. “Sciocchezze” disse. “Quella è una mezza strega” disse indicando Bryce. “Non è nemmeno capace di reggersi in piedi.”
Bryce si accorse di essere ancora inginocchiata e balzò in piedi, i pugni stretti pronti a colpire.
“L’ho solo colta di sorpresa” disse Elvana. “Ma in uno scontro leale non ne uscirei intera. Nessuno di voi ci riuscirebbe. Nemmeno attaccandola tutti insieme.”
“Tu l’hai vista combattere?” le chiese Divash.
“No, ma puoi chiedere a chi era presente la sera dell’attacco. Fatti raccontare quanti rinnegati ha ucciso Bryce di Valonde. E come ha fatto a uscirne indenne senza nemmeno una ferita.”
Divash fece per dire qualcosa ma sembrò ripensarci. Scosse la testa e disse: “Mi ha mancato di rispetto.”
“Lo so. Lei non rispetta nessuno” disse Elvana. “Ma anche tu non sei stato molto cordiale nei suoi riguardi.”
“Io non devo nessun rispetto a quella lì. Non quando indossiamo entrambi il mantello.”
“E tu non farlo” disse Elvana. “Ti ha forse chiesto di inchinarti quando ti passa davanti?”
“No, ma…”
“O di baciare il terreno dove ha camminato?”
“Certo che no” rispose lo stregone indignato.
Elvana allargò le braccia. “Che ne dici di chiudere qui la faccenda, quando ancora non si è fatto male nessuno?”
Divash sembrò pensarci sopra, poi disse: “Hai ragione. Non ci guadagno niente a dare una lezione a quella lì” disse scrollando le spalle.
Elvana si girò verso Bryce. “Adesso stringetevi la mano.”
“E soprattutto” disse Divash. “Non ci guadagno niente a dare una lezione a una mezza strega come te.”
Sul viso di Elvana apparve un sorriso e si girò di scatto verso lo stregone. “Stavamo andando così bene. È un vero peccato.”
“È un vero peccato dover sopportare la tua puzza, mezza strega di Ningothris.”
Elvana fece scattare il braccio in avanti colpendo il mento di Divash col pugno. Lo stregone fece due passi indietro e cadde in ginocchio.
“Ora ti romperò il naso” disse Elvana avanzando con i pugni chiusi. “Così non sentirai più la mia puzza.”
La strega al fianco di Divash scattò in avanti e colpì Elvana all’addome con un calcio.
Elvana barcollò all’indietro mentre lottava per restare in piedi. La strega avanzò e si protese in avanti per sferrarle un pugno, ma lei parò il colpo con il gomito e rispose sferrandole una testata sulla guancia.
La strega gridò indietreggiando di un paio di passi.
Divash si era rialzato e stava sollevando le braccia verso Elvana.
Bryce scattò in avanti e lo colpì all’addome con un pugno. L’uomo si piegò in avanti e l’afferrò per le spalle trascinandosela dietro mentre cadeva.
Si ritrovarono avvinghiati a terra mentre lui la colpiva al volto con i pugni. Bryce puntò una gamba indietro e sollevando il ginocchio dell’altra colpì Divash al bacino.
Lo stregone ululò e lei lottò per toglierselo di dosso mentre rotolavano di nuovo. Un pugno dello stregone ca raggiunse alla punta del mento e il buio calò su di lei.
 
Fraska le passò una pezza imbevuta di un olio dall’odore penetrante. Bryce la prese tra le dita con diffidenza. “Che ci devo fare con questa?”
“Sinir dice che devi tenerla sul mento. Farà diminuire il gonfiore.”
Bryce soppesò la pezza nella mano e poi la avvicinò al mento dove, oltre a una leggera ferita, poteva sentire sotto i polpastrelli un bozzo preoccupante.
Per fortuna non mi ha rotto la mandibola, si disse. Quello sì che sarebbe stato un problema.
Roge una volta era caduto da cavallo e se l’era rotta, passando le successive tre Lune a mangiare solo cibi che le ancelle e i valletti dovevano sminuzzargli.
I guaritori avevano faticato ad aggiustargli l’osso perché tornasse a parlare e mangiare come prima.
Sedeva accovacciata nella tenda di Sinir il guaritore. Era un uomo ancora giovane e alto, con sopracciglia così folte da nascondergli gli occhi.
L’aveva visto solo una volta, appena arrivata lì barcollando dopo che gli altri mantelli l’avevano separata da Divash e l’altra strega.
Elvana sedeva accanto a lei e sembrava ridersela di gusto. Aveva un occhio mezzo chiuso e un dito piegato in una posizione innaturale ma non sembrava spaventata.
Fraska le porse una pezza uguale a quella che aveva dato a lei. La strega era grossa e massiccia ed Elvana sembrava una ragazzina al suo cospetto.
“Fammi indovinare” disse Elvana. “La devo mettere sul dito?”
La strega fece di no con la testa. “Sull’occhio. Al dito penserà dopo Sinir.”
“Dopo?” fece Elvana. “Io pensavo che me l’avrebbe raddrizzato subito.”
“Prima deve sistemare le costole di Jennie.”
Elvana si accigliò.
“La strega che hai picchiato” fece Fraska.
“Si chiama Jennie?”
Fraska annuì.
Elvana rise forte e la strega la guardò perplessa. “Che nome stupido” disse. “Ho fatto bene a picchiarla.” Si girò verso Bryce. “E tu come stai?”
“Bene” mormorò, la benda premuta contro il mento. Il dolore si era attenuto ma ora era turbata da un altro pensiero.
Ho picchiato uno stregone di alto rango, si disse. Un confratello. Giusto una Luna fa ho promesso di difenderli con la mia vita e adesso eccomi qui, seduta in una tenda dopo averne colpito uno.
Guardò Fraska. “Sai Divash come sta?”
La strega annuì. “Ha solo qualche livido.”
“Come sarebbe a dire?” fece Elvana con tono indignato. “Solo qualche livido?” Guardò Bryce. “Credevo che l’avessi colpito.”
“L’ho fatto” disse. “Più di una volta.”
“Dovevi colpirlo più forte.”
“Ci ho provato” si lasciò sfuggire.
Che sto facendo? Si chiese. Dovrei mostrarmi atterrita e dispiaciuta per quello che ho fatto. Dovrei alzarmi e andare da Divash per chiedergli scusa e poi implorare il perdono di Erix, che di sicuro sarà molto delusa da quello che ho fatto. Dovrei, ma non è quello che voglio.
Elvana scosse la testa. “Sei proprio una delusione, principessa Bryce.”
Fraska emise una risatina. “La prossima volta che volete fare a botte dovete rivolgervi a qualcuno che lo sa fare.”
“Per esempio?” chiese Elvana accigliata.
“Per esempio me” disse Fraska. “Io colpisco forte e incasso bene. E quel Divash è sempre stato un prepotente. Mi piacerebbe rompergli il naso, se potessi.”
Elvana rise e le diede un colpetto al fianco col gomito. “Visto, principessa? Nemmeno a lei piace quel tipo. Deve essersi fatto un bel po’ di nemici qui al campo.”
Fraska annuì. “E anche al circolo, ma è molto forte e rispetta i suoi compiti e gli altri mantelli di rango più elevato. Dicono che un giorno potrebbe diventare un consigliere. O addirittura un decano.”
“Allora è una persona importante” disse Elvana. “Hai preso a pugni uno stregone importante, principessa.”
Bryce scosse la testa. “Smettila per favore. Ne ho abbastanza delle tue sciocchezze. È per colpa tua se abbiamo litigato.”
“Mia?” fece la strega con tono indignato. “Dici sul serio?”
Bryce annuì. “Tua” disse con tono accusatorio. “Potevo gestire da sola la faccenda senza che tu intervenissi.”
“Ho dovuto farlo per proteggerti.”
“Nessuno te l’ha chiesto.”
“Infatti mi è stato ordinato. È il motivo per cui devo seguirti sempre, l’hai scordato?”
“No” disse alzandosi di scatto. “Ma speravo l’avessi fatto tu. Ti sei messa in mezzo ed ecco il risultato.”
“Io non ho fatto proprio niente.”
“Hai colpito Divash. Per prima.”
“Lui mi ha provocata. Tu eri presente, puoi dirlo.”
Bryce serrò le labbra. “Ti ha detto delle cose, è vero.”
“Visto? Ho ragione io.”
“Ma tu potevi rispondere con parole altrettanto cattive, invece ti sei fatta provocare.”
Elvana si strinse nelle spalle. “Ognuno reagisce a modo suo alle provocazioni. Io tiro pugni, tu invece che cosa volevi fargli?”
“Io?” fece sorpresa. “Niente.”
“Stai mentendo” fece Elvana putandole contro l’indice. “Ti ho osservata mentre lo fissavi adirata. Conosco quello sguardo.”
“Tu non sai proprio niente di me” disse arrabbiata.
“Invece sì, principessa Bryce. Il tuo era lo sguardo di chi ne aveva abbastanza di subire offese e che si preparava a rispondere con un bell’attacco a tutte quelle provocazioni. Scommetto che non volevi prenderlo a pugni, ma piantagli un bel dardo magico proprio qui nel petto.”
“No” disse Bryce con forza. “Mi stai accusando di una cosa orribile. Anche il solo pensarlo mi farebbe sembrare un mostro.”
“Ti farebbe sembrare una persona” disse Elvana.
Bryce fu tentata di darle uno schiaffo.
Mi farebbe sembrare quella che non sono, si disse. E le darei ragione.
Gettò a terra la pezza datale da Fraska e uscì dalla tenda.

 

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Capitolo 12
*** Cacciatori di ombre ***


Cacciatori di ombre

 
Erix sollevò la testa di scatto non appena ebbe messo piede nella tenda. Bryce si fermò a fatica per lo slancio che si era data.
“Sono qui per chiedere scusa” disse. “E per accettare la punizione che merito.”
Erix la guardò accigliata. “Pensi di meritarne una?”
Bryce annuì con vigore. “Ho colpito un confratello. Più di una volta.”
“So quello che è successo fuori dalla mia tenda. Ero presente anche io.”
Bryce non ricordava chi li avesse divisi. I momenti successivi alla rissa erano ancora confusi nella sua mente, ricordava che l’avevano trascinata via per le spalle e poi tenuta ferma mentre si calmava. Poi uno stregone dalla folta capigliatura nera l’aveva accompagnata alla tenda di Sinir il guaritore.
“Mi dispiace” disse chinando la testa in avanti. “Per la vergogna che ti ho arrecato.”
Erix annuì. “Sinir che cosa dice?”
Bryce si accigliò. “Il guaritore?”
“Conosci un’altra persona con quel nome?”
Scosse la testa.
“Sei ferita?”
“No” disse Bryce. “Ho solo un terribile mal di testa. Sinir dice che durerà per qualche giorno, ma se prendo un infuso mi passerà prima.”
“Allora prendilo.” Erix abbassò la testa sulle carte che stava leggendo.
Bryce rimase in attesa che dicesse qualcosa. Dopo alcuni istanti di silenzio, non riuscendo a trattenersi oltre, disse: “Accetterò qualsiasi punizione tu ritenga giusta. E capirò se non vorrai più essere la mia guida.”
Erix alzò di nuovo la testa. “Sto ancora pensando alla vostra punizione. Quando ne avrò scelta una, ve lo comunicherò.”
“Vostra?”
Erix annuì. “Tua e di Elvana.”
Bryce deglutì a vuoto. “Mi sembra giusto.”
“E anche di Davish e Jennie.”
“Loro non c’entrano” disse subito.
“Dici? Non era con loro che vi ho trovate a lottare?”
“Sono mantelli di alto rango.”
Erix ghignò. “Più alto è il rango, più severa sarà la punizione. Sono le regole.”
“Non è giusto.”
“Non spetta a te decidere cosa è giusto e cosa non lo è, Bryce di Valonde.”
“Elvana ha colpito Divash per prima” disse. “È lei che ha iniziato.”
“E Divash ha reagito, giusto?”
Annuì.
“Non doveva. Sa quali sono le regole in questi casi. Non è la prima volta che scoppia una rissa. Da quando siamo partiti ci sono state venti scazzottate e tre feriti. Un soldato è stato persino pugnalato alla spalla.” Scosse la testa. “È quello che accade quando un’armata resta per troppo tempo inattiva. Ma le cose stanno per cambiare.”
Bryce si accigliò. “In che modo cambieranno?”
“Lo saprete tutti quando sarà il momento. Adesso vai. Manderò qualcuno a comunicarti la punizione che dovrai subire.”
Bryce la salutò con un cenno della testa e lasciò la tenda. Fuori i mantelli di guardia la squadrarono dalla testa ai piedi. Per un attimo pensò che fossero amici di Divash, ma i loro sguardi non erano ostili, solo incuriositi.
Sospirò prima di allontanarsi diretta alla sua tenda. Qui trovo le altre due occupanti, Fraska e Neta Livit, che parlavano tra di loro.
Neta la salutò con un cenno della testa. “Fraska mi ha detto che hai rotto la faccia a Divash.”
Ora lo sapranno tutti, si disse esasperata.
“È stato solo un incidente.”
Neta le sorrise. “Div è andato in giro a provocare metà dei mantelli di basso rango cercando di farsi sfidare per umiliarli. Meritava una lezione.”
Fraska annuì con vigore. “La penso anche io così.”
“Non dovevi far compagnia a Elvana?”
La strega si strinse nelle spalle. “Sinir mi ha detto di andare. Doveva sistemarle il dito e non voleva gente attorno.”
Bryce sospirò.
Almeno sarà impegnata per un po’, si disse.
Fece per entrare nella tenda ma notò che Neta la stava ancora guardando e le sorrideva.
“La prossima volta che fate a pugni con Divash e i suoi venite a chiamarmi” disse.
“Non ci sarà una prossima volta” disse accigliata.
“Va bene anche se dovete fare a botte con qualche altro gruppo. C’è quello di Borasz. E di Ariame.”
“Ariame” esclamò Fraska come se stesse ricordando un episodio spiacevole. “L’altro giorno ha imposto a tutti quelli di rango inferiore al suo di non sedersi finché i suoi non avessero finito di mangiare. Sono andati così lenti che alla fine quelli che non hanno resistito se ne sono andati a pancia vuota.”
“Che idiota” disse Neta. “Quella sì che meriterebbe una lezione.”
“Ha i gemelli Svojta che la proteggono” disse Fraska. Guardò Bryce.
“Davvero?”
Fraska annuì solenne.
“Prebo è un bravo ragazzo” disse Neta. “Da lui non me l’aspettavo proprio. Ma Banzirr è marcio dentro. Lo dicono tutti.”
“Vero” fece Fraska annuendo di nuovo.
“È dei vostri confratelli e delle vostre consorelle che state parlando male” le ammonì Bryce.
Neta si strinse nelle spalle. “E allora? Non è che prima della consacrazione fossero meno idioti.”
Fraska ridacchiò.
Bryce scosse la testa ed entrò nella tenda. In un angolo adocchiò la sacca dove teneva la coperta di lana e le altre cose che si era portata dietro da Valonde. C’era anche un giaciglio ridotto a una coperta di lana poggiata a terra in un punto in cui il terreno era abbastanza morbido da non romperle la schiena.
Si distese sulla coperta e afferrò la sacca pizzandola sotto la testa. Le faceva ancora male e si sentiva indolenzita, ma non voleva darlo a vedere alle altre.
“Se ti mostri debole non ti seguiranno”, le aveva detto suo padre in una pausa tra un allenamento e l’altro. Quando voleva parlarle la faceva sedere su una delle panche di legno della sala.
Ricordava parecchie di quelle chiacchierate solo tra lei e il re. A volte lui attendeva che avesse finito di allenarsi con Galef o un altro mantello fatto venire dal circolo.
All’inizio Bryce non aveva compreso quei discorsi e a cosa servissero. Nei primi anni si era allenata per compiacere suo padre, che sembrava così orgoglioso di lei e dei suoi progressi.
“Diventerai la più forte” le diceva. “Più di tua madre. E lei è stata la strega suprema della sua generazione.”
All’epoca, quando sentì per la prima volta quella frase, aveva nove o dieci anni.
“Kem dice che era una certa Joane la più forte” aveva risposto.
Kem era il diminutivo di Kemmen, lo stregone che da un paio di Lune l’addestrava.
Suo padre l’aveva guardata perplesso. “Kem ha detto proprio così?”
Bryce aveva annuito seria.
“Kem non capisce niente” aveva sentenziato il re. “Nemmeno le ha viste combattere insieme. Io invece sì e ti posso assicurare che Marget era molto più forte di quella odiosa strega del continente antico. E sarebbe ancora la strega suprema della sua generazione se non fosse stato per quel dannato...” Si era interrotto, il viso che cambiava espressione corrucciandosi. “Per quello spiacevole incidente.”
“La mamma ha avuto un incidente?”
“Molto tempo fa, quando è nata Joyce” aveva risposto suo padre. “Ma adesso è tutto passato, sta bene.”
“Perché Joyce non si può allenare con me?”
Suo padre aveva sorriso. Un sorriso velato di tristezza, come aveva imparato a riconoscere in seguito. “Lei non ha i poteri. Non ancora. Noi speriamo che li mostri presto.”
“Quando li avrà potrà allenarsi con me?”
“Naturalmente, ma se non accadrà, tu non dovrai essere triste.”
“Ma Razyan, Galef e Roge hanno tutti i poteri” aveva detto. “Perché lei dovrebbe nascere senza?”
“A volte succede. Il dono non è per tutti.”
Bryce si era accigliata. “Se non avrà i poteri, vorrà dire che non è mia sorella? O che lei non è tua figlia?”
Suo padre l’aveva stretta a sé. “Ma certo che no, sciocca. Lo sai che hai due zii che sono nati senza poteri? Vivono entrambi a Goral ma ogni tanto passando da Valonde.”
Bryce si era sentita tranquilla e sicura nell’abbraccio di suo padre e non aveva fatto più domande, nemmeno quando, anni dopo, era apparso chiaro a tutti che Joyce non avesse i poteri.
Sua madre era sembrata sollevata dalla cosa mentre suo padre cambiava umore quando qualcuno vi accennava e alla fine tutti quelli che si trovavano a palazzo avevano imparato che era meglio non parlarne in sua presenza.
Bryce aveva convenuto con il re che il dono non era per tutti e aveva proseguito nei suoi allenamenti. Ogni tanto scendeva nei sotterranei del palazzo per visitare la sala dei dipinti.
Evocava una lumosfera e passava in rassegna quei volti, cercando somiglianze con lei e sua sorella. Aveva trovato un giovane uomo dai capelli rossi che le sorrideva nella fissità del tempo e una donna dalla chioma fluente che invece la osservava con espressione severa, come se si preparasse a giudicarla per non aver eseguito bene un incantesimo.
A volte cercava i volti che somigliavano a lei o a uno dei suoi fratelli maggiori. Ne trovava sempre molti, tanti quanti quelli che somigliavano a Joyce.
Ma sempre tornava a quel volto che suo padre le aveva mostrato la prima volta, quello che apparteneva a una donna fiera e dalla pelle scura come la notte che l’osservava con espressione triste, come se non fosse felice di essere lì e al tempo stesso non sapesse in quale altro posto andare.
A volte lo fissava così a lungo che gli occhi iniziavano a lacrimarle. Quel giorno, più degli altri, si era sentita sola in quella sala e si era chiesta se sarebbe mai accaduto che qualcuno, tra tanti anni, sarebbe sceso lì sotto per osservare il suo, di ritratto.
 
Una mano la scosse dal sonno e lei aprì gli occhi. Il viso di Fraska, largo e piatto, incombeva sopra di lei.
“Che succede?” chiese assonnata.
Gettò un’occhiata fuori. Era ancora giorno ma il colore era virato verso l’arancione e la posizione delle ombre era cambiata.
Quanto ho dormito? Si chiese.
“Vieni” disse la strega. “Abbiamo un nuovo compito.”
Bryce si accigliò. Alzandosi sistemò la coperta di lana prima di uscire dalla tenda. Fuori c’erano altre persone in attesa, tre uomini e due donne.
Tutti indossavano il mantello e a giudicare dalle loro espressioni nessuno di loro era felice di trovarsi lì.
“Così siete voi” disse uno degli uomini. Indossava una cotta di maglia sotto il mantello e portava la barba lunga di almeno mezza Luna.
“Siamo noi” disse Neta.
“Ne mancano tre” disse una delle due streghe. Portava un largo cappuccio sulla testa che le nascondeva i capelli ma in compenso gli occhi, chiari e grandi, erano ben visibili.
L’uomo si accigliò. “Un altro gruppo?”
La strega annuì grave. “Due mantelli di alto rango e una strega di un regno vassallo.”
Lo stregone sbuffò. “Ci mancava solo questa.” Guardò le tre streghe. “Che esperienza avete in fatto di esplorazioni?”
Neta si strinse nelle spalle. “Nessuna” disse.
Fraska scrollò la testa. “Siamo assegnate alla difesa delle formazioni” spiegò. “È quello il nostro compito.”
“Mantelli da battaglia” disse la strega di prima con espressione divertita.
Lo stregone con la cotta di maglia annuì poco convinto. “Tu sei la principessa, vero?” chiese rivolgendosi a Bryce.
Lei annuì. “Io ti saluto.”
Lo stregone sollevò un sopracciglio. “Qui non siamo a corte né al circolo, non ci salutiamo e non esistono le buone maniere. Ci chiamiamo per nome.”
Ma io non so il tuo, si disse Bryce.
“Arriva Jol” disse la strega indicando alla sua destra.
Voltandosi, Bryce vide quattro figure avvicinarsi. Ne conosceva tre. Una apparteneva a Elvana. Camminava con andatura decisa e aveva la mano destra fasciata da una benda. Le altre due erano quelle di Divash e Jennie. La quarta era uno stregone dall’aria seccata che portava un arco lungo meso di traverso sulla schiena.
Questi fece un cenno di saluto allo stregone con la cotta di maglia. “Gli altri tre” disse indicandoli.
Lo stregone li squadrò a uno a uno. “Tu devi essere Divash” disse rivolto all’altro.
“E tu chi saresti?”
“Yan Kobler.”
Divash impallidì e deglutì a vuoto. “Yan il cacciatore di ombre?”
L’altro annuì. “Proprio io.”
“Sono onorato di conoscerti, Yan” disse Divash. Guardò gli altri. “Anche voi dovreste esserlo.”
Elvana ridacchiò. “Cacciatore di ombre? Sul serio?”
Yan la fissò perplesso.
“E quante ne hai catturate, per curiosità?”
“Abbastanza” fece lo stregone. Si rivolse a tutti i presenti. “Ora fate tutti parte del mio gruppo” disse ad alta voce. “Le due streghe che vedete al mio fianco sono Jhela Matz e Adi Krausaar. I tre stregoni invece sono Ebam Osrit, Gamal Suserr e Toral Tizon. Imparerete i loro nomi col tempo. Se i rinnegati ce ne concederanno.”
“Cos’è questa storia?” chiese Divash. “Voi siete esploratori e noi mantelli da battaglia.”
“È vero” disse Yan. “Ma da questo momento siete esploratori. Ora siete anche voi cacciatori di ombre. E lo resterete finché sarete in vita.”

 

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Capitolo 13
*** Niente di buono ***


Niente di buono

 
“Magnifico” stava dicendo Divash.
Cavalcavano da mezza giornata in un territorio brullo fatto di distese di terreno vuoto disseminate da pietre di colore bianco erette su colline e alture. Ogni tanto incrociavano qualche bosco isolato o un torrente che tagliava pigro la valle.
“Per colpa tua ho perso il mio rango” aggiunse lo stregone.
Bryce tentò di ignorarlo mentre cercava di concentrarsi su quello che dovevano fare.
Yan li aveva mandati avanti per cercare un buon punto per guadare il fiume e proseguire nel loro viaggio di cento miglia verso meridione.
“Trovatemi un posto dove non mi bagnerò gli stivali e dove non correrò il rischio di azzoppare uno dei cavalli” aveva ordinato loro quella mattina.
Erano partiti in tre dal campo temporaneo che Yan aveva stabilito vicino a una collina.
“Gamal avrà il comando del vostro gruppo” aveva ordinato lo stregone.
E adesso era lui a cavalcare alla loro testa seguito da Bryce e Divash.
“Non dare a me la colpa” rispose Bryce seccata.
“Non la do solo a te” rispose Divash. “Ma anche alla strega della notte che ti sei portata dietro come ancella.”
Era contenta che Elvana non fosse lì con loro.
Se avesse sentito le parole di Divash, si disse divertita, l’avrebbe picchiato di nuovo.
Elvana si era offerta di andare con loro ma Yan era stato chiaro.
“Ti voglio qui con me” aveva detto.
Elvana gli aveva gettato un’occhiata perplessa.
Lui l’aveva ignorata e aveva proseguito spiegando loro cosa voleva fare.
“Se passiamo il fiume” aveva detto tracciando una linea nel terreno con un rametto. “Potremo esplorare la parte meridionale del confine. Ci sono almeno cinquanta miglia di territorio disabitato da qui ad Arzit e io voglio sapere se ci sono pattuglie di rinnegati in giro.”
“E se ne incontriamo una?” aveva chiesto Jennie con tono indolente.
Nemmeno lei era felice di trovarsi lì e non lo nascondeva bene come Divash.
“Ci allontaniamo e cambiamo strada” aveva risposto Yan.
“Come dei vigliacchi” aveva detto la strega con tono saccente.
“Come spettri” l’aveva corretta Ebam Osirit.
Dei tre che facevano parte del gruppo originario, era il più giovane e più entusiasta di partecipare a quel giro di esplorazione.
Parlandoci avevano scoperto che si era unito al gruppo una Luna prima e che fino a quel momento avevano esplorato la regione attorno al confine per assicurare che l’armata di Valonde non subisse attacchi alle spalle.
“È la tattica preferita dei rinnegati” aveva spiegato Ebam. “Si nascondono da qualche parte e aspettano che li superiamo per prenderci alle spalle, ma Yan è troppo furbo per quei bastardi e riesce sempre a capire se siamo seguiti o no.”
“Ne avete incontrati parecchi di rinnegati?” gli aveva chiesto Elvana.
Ebam aveva annuito con foga. “Tre volte” aveva risposto sollevando tre dita.
“E cosa avete fatto?”
“Le prime due li abbiamo lasciati andare. Erano troppo lontani per un inseguimento.”
“E la terza?”
Ebam aveva sorriso. “C’è stato uno scontro. Loro hanno cercato di prenderci alle spalle ma Yan li ha attirati verso il fiume e li ha aggirati. Poi li ha fatti dividere facendo inseguire due di noi dai loro cavalieri e infine li ha attaccati su fianco. Io ero nel gruppo più avanzato perché sono bravo a lanciare sfere infuocate.”
“Digli dell’altra armata” gli aveva detto Adi.
Adi Krausaar era una strega giovane ma la testa rasata la faceva sembrare più anziana di due o tre anni. Indossava sempre il cappuccio per nascondere la testa e non lo toglieva mai, tranne quando veniva sera e se lo toglieva.
Elvana le aveva chiesto perché e lei aveva fatto una smorfia.
“Porta sfortuna” aveva detto una volta. “Dormire con il capo coperto attira i demoni senza volto che abitano sotto terra.”
“Prima aveva dei bei capelli neri e lunghi” aveva sussurrato Ebam. “Ma ha fatto un errore e Yan l’ha costretta a tagliarli per punizione.”
“Non mi sembra una cosa molto grave” aveva detto Elvana.
“Tu non sai quanto ci teneva ai suoi capelli” aveva risposto Ebam.
“Di quale altra armata parlava?” gli aveva chiesto Bryce.
Ebam si era schiarito la gola. “Di quella che marciava dopo la nostra.”
“C’è una seconda armata?” aveva fatto Bryce stupita.
“Ce ne sono molte in marcia. Dopo che siamo partiti da Valonde i regni vassalli hanno organizzato le loro forze e si sono uniti alla battaglia” Aveva spiegato lo stregone. “Quella che abbiamo incontrato noi era formata da stregoni e soldati di Londolin, Arental, Argreda e un’altra mezza dozzina di regni più piccoli.”
“Londolin” aveva sussurrato Bryce.
Elvana aveva fatto una smorfia.
“Per caso tra di loro c’era uno stregone di nome Vyncent?”
Ebam scosse la testa. “Mi sembra di no.”
“Sai dove erano diretti?”
“Arzit. Dissero che stavano andando lì.”
“Perché?”
Ebam aveva scosso la testa. “Non lo sapevano nemmeno loro. I comandanti non dicono perché muovono le loro armate. Così se gli esploratori vengono catturati non possono rivelare nessuna informazione importante.”
“Mi sembra giusto” aveva detto Elvana alzandosi per sgranchirsi le gambe. “E a chi interessa che cosa fanno dei campagnoli come i Londolin? Magari vanno a zappare la terra attorno ad Arzit perché c’è scarsità di manovali.”
“Giusto” aveva detto Jennie ridacchiando.
Bryce era avvampata per la vergogna e la rabbia ma non aveva risposto.
“Si chiama Elvana” disse tornando a Divash e le sue accuse. “E ti consiglio di non chiamarla strega della notte. Ho come l’impressione che non le piaccia quel soprannome.”
“Che vuoi che mi importi di cosa le piace o no? Io la chiamo come voglio.”
“Così otterrai solo che ti salti addosso di nuovo.”
“E io le spaccherò di nuovo quella sua brutta faccia.”
Bryce si strinse nelle spalle.
“La smettete voi due lì dietro?” fece Gamal con tono infastidito.
“Ti chiedo scusa” disse Bryce.
Divash invece schioccò le labbra in segno di disappunto.
“Hai qualcosa da ridire, Div?”
Divash si accigliò. “Solo gli stregoni del mio rango possono chiamarmi in quel modo.”
“Che vuoi che mi importi di come ti chiamano gli altri? A me piace così” rispose Gamal.
Quella risposta strappò a Bryce una risatina.
Divash la fissò in cagnesco. “Attenta a quello che fai, principessa. Non ho dimenticato che mi hai colpito.”
Bryce stava per rispondergli quando Gamal disse: “Farai bene a mettere da parte la tua rabbia. C’è qualcosa lì.” Indicò l’ansa del fiume con un braccio teso.
Bryce guardò nella stessa direzione e vide qualcosa disseminato sulla sponda del fiume, tra gli arbusti radi che formavano una barriera naturale.
Sbatté due volte le palpebre facendo diventare il mondo un posto grigio e privo di colore. Solo alcuni oggetti luccicavano come piccole torce. Ne vide uno dietro un cespuglio.
“C’è qualcuno nascosto” disse.
Gamal socchiuse gli occhi. “Dove lo vedi?”
“Dietro quei cespugli, proprio vicino all’ansa del fiume.”
Lo stregone tirò le redini per rallentare. Bryce lo imitò affiancandolo.
“Divash” disse Gamal. “Fai un giro largo a destra. Non ti avvicinare a meno di cinquanta passi.”
Divash rispose con un grugnito e diede uno strattone deciso alle redini. Bryce lo guardò allontanarsi al leggero trotto, lo sguardo fissò sui cespugli.
“Secondo te che abbiamo lì?” le chiese Gamal.
Bryce soppesò le parole. “C’è qualcuno nascosto.”
“Solo uno?”
“Sì.”
“Ne sei sicura? Potrebbero dipendere le vite di altre due persone da quello che risponderai.”
“Sono sicura. La mia vista spettrale è buona.”
Gamal trasse un sospiro. “Io avanzo, tu mi copri. Se vedi qualcosa di strano, scappa e torna da Yan per avvertirlo.”
“Non ti lascio qui da solo” disse Bryce.
Lui ghignò. “È una dichiarazione d’amore la tua? Te lo chiedo perché hai scelto un bel momento per farla.”
Bryce arrossì. “Non lascio indietro un confratello.”
“Questo confratello ti ha dato un ordine, Bryce di Valonde. Sei in grado di eseguirlo?”
“Credo di sì” disse dopo qualche istante di silenzio.
“Bene.” Gamal fece schioccare le redini e si avviò al fiume.
Bryce attese qualche istante e lo seguì a sua volta. Mentre si avvicinavano usò la vista spettrale per esaminare il fiume e i suoi dintorni. Di nuovo l’unica fiammella che vide ardere in tutto quel grigio fu quella nascosta dietro un cespuglio.
Gamal, una ventina di passi davanti a lei, ardeva come un piccolo sole che risaltava contro il grigio smorto e uniforme dello sfondo.
Persino Divash, a più di cento passi di distanza, mentre si muoveva lasciava dietro di sé una scia che poteva seguire senza fatica.
Gamal accelerò all’improvviso cavalcando ventre a terra. Presa alla sprovvista, Bryce impiegò qualche istante per adattarsi alla sua velocità.
Lo stregone raggiunse i cespugli e infilarsi nella piccola macchia di verde. Bryce rallentò il passo e tornò alla vista spettrale per esaminare la zona.
La fiamma di Gamal ardeva alta e l’abbagliò per un istante. Con la coda dell’occhio vide la fiamma più piccola spostarsi verso sinistra, sempre nascosta dai cespugli che lì crescevano alti quasi al bacino.
Bryce la seguì fino a quando non sparì dietro un rialzamento del terreno.
“Si è mosso” disse.
“In che direzione?” chiese Gamal.
“Sulla tua destra, dietro quel rigonfiamento nel terreno.”
Gamal annuì ed evocò lo scudo magico. Nell’altra mano vide brillare un dardo magico. Lo stregone saltò già dal cavallo e avanzò acquattato nella vegetazione.
Bryce smontò a sua volta e si accovacciò. Evocò lo scudo magico senza perdere di vista la montagnola dietro alla quale era sparita la fiammella.
In quel momento Gamal la raggiunse e si lasciò scivolare dietro di essa. Bryce trattenne il fiato mentre attendeva il ritorno dello stregone.
E se non dovesse tornare? Si chiese. Sarei davvero capace di abbandonarlo qui senza aiutarlo? Anche se mi ha ordinato di farlo?
Gamal riemerse da dietro l’altura e le fece cenno di avvicinarsi. Bryce ubbidì con senso di sollievo e dopo essere smontata da cavallo attraversò gli arbusti per raggiungerlo.
“Che cosa hai trovato?” gli chiese.
Lo stregone era accigliato. “Niente di buono.”

 

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Capitolo 14
*** Nessuno dovrebbe morire da solo ***


Nessuno dovrebbe morire da solo

 
Divash scosse la testa e guardò altrove. “Non durerà a lungo” disse allontanandosi di qualche passo. “Se devi fargli qualche domanda, fai in fretta.”
Gamal si chinò sui talloni e allungò una mano in avanti, come a cercare un contatto. Davanti a lui, disteso su una stuoia che Divash aveva tirato fuori dalla sua borsa a tracolla, uno stregone stava morendo.
Bryce cercò di tenere gli occhi puntati sul viso dal colorito terreo e gli occhi marroni macchiati di sangue, ma lo sguardo le scivolava in basso, verso la macchia rosso scuro che si allargava sull’addome del ragazzo.
È giovane, si disse. Non deve avere più di venti anni, forse ventidue.
Gamal trasse un sospiro. “Come ti chiami?” chiese con voce delicata, come se avesse paura di pronunciare quelle parole.
Il ragazzo sgranò gli occhi. “Dinur” rispose con un filo di voce. “Ma tutti mi chiamano Din.” Ogni parola sembrava costargli una immane sofferenza e Bryce provò pena per lui e i suoi sforzi.
“Onorato di conoscerti Din” rispose Gamal.
Dinur indossava un mantello celeste con ricami gialli e arancioni.
“Arental” le aveva spiegato Divash mentre prendeva la stuoia. “Conosco i simboli e i colori. Ho dei parenti che vivono lì.”
Bryce si era limitata ad annuire. I due stregoni avevano sollevato con delicatezza Dinur poggiandolo sulla stuoia. Prima il ragazzo si trovava riverso tra gli arbusti che circondavano la collinetta dietro la quale lo avevano trovato.
“Deve essersi nascosto qui per sfuggire a chi lo ha attaccato” aveva suggerito Gamal mentre attendevano che il ragazzo si riprendesse abbastanza per parlare. Nel frattempo gli aveva esaminato la ferita e aveva scosso la testa.
“È grave?” aveva domandato Bryce.
Lo stregone aveva annuito. “Non arriverà a domani. Possiamo solo alleviare le sue sofferenze con il Sonno Lieve.” Aveva tirato fuori una boccetta piena di liquido scuro che aveva agitato nella mano. “Basteranno poche gocce sciolte nell’acqua per farlo addormentare. Morirà nel sonno, sereno.”
Bryce aveva sospirato cercando di non pensare a quello che stavano per fare. Poco dopo Dinur aveva aperto gli occhi e chiesto di bere.
Divash gli aveva porto la sua borraccia e il ragazzo ne aveva bevuta mezza a grandi sorsi.
“Non bevevo da tre giorni” disse respirando a fatica. “Quei maledetti rinnegati ci hanno tirato un bello scherzo.”
Parlava con un accento che a Bryce sembrava strano nel modo in cui troncava le vocali alla fine di ogni parola. Impiegò qualche istante ad abituarsi a quel modo di parlare.
“Ce la fai a parlarcene?” gli chiese Gamal. “Ci sarebbe di grade aiuto.”
Dinur si accigliò. “Voi non fate parte dell’armata di Artesia. Da dove venite?”
“Noi stiamo con Erix.”
Dinur annuì. “Siete i Valondiani? Credo che una nostra pattuglia vi abbia incontrati un Luna fa mentre marciavamo più a settentrione di qui. Il gruppo di Lasker mi sembra che riferì di avervi incontrati.”
Gamal annuì con vigore. “Lo ricordo. Lo stregone con quel dente rotto che gli dava un sorriso strano. E fischiava quando parlava. Era molto divertente.”
Dinur sorrise. “Sì, è proprio lui. Noi lo chiamiamo Lask la Serpe per via di quel suo modo di parlare, ma credo sia più per farsi gioco di lui che per paragonarlo a un vero serpente, non so se mi spiego.”
Gamal gli sorrise a sua volta. “Lo penso anche io.”
Dinur reclinò gli occhi verso l’alto ed emise una sorta di muggito.
“Fa male” disse lo stregone. “Quel rinnegato mi ha aperto la mancia in due con quella dannata spada.”
“Gliela faremo pagare” disse Gamal. “Ma devi aiutarci a capire dove sono.”
“Vicini” disse Dinur con uno sforzo. “Quando li abbiamo incontrati. Erno vicini a noi. Ci hanno seguito, credo.”
“Perché?”
“Forse per scoprire dove si trovano gli altri.”
“L’armata di Artesia?”
Dinur annuì.
“Dove si sono accampati?”
“A trenta miglia verso occidente” disse lo stregone. “Alla biforcazione di un fiume. Non ho idea di come si chiamasse la zona.”
“Sei stato chiaro. La troveremo.”
“Dovete avvertirli.”
Gamal si accigliò.
“Dell’armata dei rinnegati” aggiunse Dinur con espressione sofferente. “Erano a poche miglia quando li abbiamo individuati. È per questo che ci hanno seguito. Quando Avidan se n’è accorto ha deciso di dividerci e cambiare percorso per sviarli. Loro ci hanno inseguito e raggiunto e c’è stato uno scontro.” Scosse la testa. “Li ho visti morire tutti. Tutti.” I suoi occhi si riempirono di lacrime. “Avidan è caduto per primo, poi Adar, Halim e anche Shiri. Lei era la più giovane. Si era consacrata solo sei Lune fa. Voleva vedere Valonde ma non ci siamo nemmeno passati vicino. Le dissi che dopo la guerra ci saremo andati insieme e…” Reclinò la testa di lato.
“Diamogli il Sonno Lieve” disse Gamal tirandosi su.
“Può ancora dirci qualcosa” suggerì Divash. “Se lo addormentiamo adesso non si sveglierà più.”
 Gamal scosse la testa. “Ha detto tutto quello che poteva. Diamogli la pozione.”
“Posso fargli io una domanda?” chiese Bryce.
Gamal la guardò perplesso. “Una sola” disse dopo qualche istante di silenzio.
Bryce si chinò in avanti. “Dinur” disse. “Din.”
Il ragazzo aprì gli occhi. “Chi sei?”
“Mi chiamo Bryce.”
Il ragazzo annuì calmo.
“Nell’armata di Artesia” disse col cuore che le batteva più forte. “Hai conosciuto uno stregone di nome Vyncent? Veniva da Londolin.”
“Ce n’erano molti che venivano da lì” rispose il ragazzo. “Ma non ne ricordo nessuno con quel nome.”
“Ne sei sicuro?”
“Eravamo in diecimila. Non li conoscevo tutti.”
Bryce annuì. “Perdonami se te l’ho chiesto.”
Fece per alzarsi ma il ragazzo gorgogliò qualcosa.
Lei si accigliò.
“Il tuo nome” disse Dinur in un sussurro. “Bryce. L’ho già sentito. Al campo, quando parlavano dell’attacco a Valonde. Eri tu?”
Bryce fece per rispondere ma lo stregone chiuse di nuovo gli occhi e la sua espressione si rilassò. “Din?” chiese accigliata.
“Dagli la pozione” disse Gamal rivolto a Divash.
Bryce andò a sedersi in disparte tra i cespugli, il viso rivolto verso l’orizzonte tagliato in due dal fiume.
Oltre quell’orizzonte potrebbe esserci l’armata di Vyncent in marcia, pensò. Basterebbe andare poco oltre, forse qualche miglio, per vederla. Potrei partire subito e cavalcare fino a raggiungerli per avvertirli del pericolo che corrono. Ci metterei mezza giornata, una al massimo.
Restò con gli occhi fissi verso il fiume finché il sole non raggiunse il suo punto più alto nel cielo.
Gamal la raggiunse. “È finito” disse. “Ora possiamo andare.”
“Potevamo andarcene anche prima” disse Divash. “Non dovevamo per forza aspettare che il ragazzo morisse.”
“Nessuno dovrebbe morire da solo” ribatté Gamal. I suoi occhi vagarono lungo il corso del fiume, l’espressione del viso accigliata.
“Era già morto prima che lo trovassimo” stava dicendo Divash.
“Zitto” fece Gamal.
Lo stregone gli lanciò un’occhiataccia. “Tu non mi puoi parlare così.”
“Zitto ho detto” fece Gamal scrutando un punto verso meridione.
Bryce seguì il suo sguardo fino a individuare sei figure che si dirigevano verso di loro lasciandosi dietro una nuvola di polvere.
“Chi sono?” chiese.
“Di sicuro non amici nostri” disse Gamal. “I tuoi occhi possono scrutare nell’oscurità meglio dei miei, ma io posso vedere più lontano.”
Divash guardò nella stessa direzione. “Che cosa vedi?”
“Mantelli grigi.” Gamal si precipitò giù dalla collinetta. “Ai cavalli. Svelti.”
Bryce lo seguì e montò in sella. “Non lo seppelliamo?” chiese indicando il corpo di Dinur.
Gamal scosse la testa.
“Quelli vengono per seppellire noi, principessa” disse Divash. Guardò Gamal come in cerca di appoggio.
“Seguiremo il fiume” disse lo stregone. “Sarà più facile far perdere le tracce se troviamo una macchia di alberi. La pianura è troppo scoperta.”
Bryce fece scioccare le redini e seguì gli altri due che si erano già lanciati al galoppo. “Perché non li affrontiamo?” chiese gridando per sovrastare il rumore degli zoccoli.
“Sono troppi” rispose Gamal. “Ma i nostri cavalli sono migliori dei loro. Possiamo distanziarli e far perdere le tracce.”
“Chi ti dice che siano migliori?” chiese Divash.
“Nessuno. Lo spero. In caso contrario moriremo prima che la giornata finisca.”
Cavalcarono a briglia sciolta seguendo le anse del fiume. Ogni tanto Gamal si voltava indietro per osservare gli inseguitori.
“Non li stiamo distanziando” disse. “Ma nemmeno si avvicinano. Strano.”
“Non è una buona cosa?” domandò Bryce.
“Nemmeno ci provano ad aumentare l’andatura” rispose lo stregone. “Sembra che vogliano solo tenerci d’occhio.” La sua espressione mutò di colpo. Girò la testa di scatto in tutte le direzioni. “Dannazione. Dannazione. Dannazione” esclamò aumentando il tono della voce ogni volta che ripeteva la stessa parola. “Sono un idiota.”
“Che hai?” gli chiese Divash.
Gamal indicò un punto davanti a loro col braccio teso. “Guarda.”
Bryce guardò verso il punto indicato e scorse quattro figure che venivano verso di loro. Erano più visibili e definite di quelle che li stavano inseguendo. Poteva persino vedere i mantelli grigi svolazzare sulle spalle di due di essi.
Divash deglutì a vuoto. “Ci hanno accerchiato” disse. “Con il fiume a sinistra e nessuna possibilità di attraversarlo, possiamo solo continuare su questa strada o dirigerci verso la valle.”
“Ci piomberanno addosso lo stesso” disse Gamal stringendo i denti. “Ma se attraversiamo il fiume adesso, possiamo distanziarli.”
“Come?” chiese Divash.
Gamal indicò un’ansa del fiume. “Superiamo quella e poi attraversiamo il fiume.”
“La corrente è più forte in quel punto. Ci trascinerà via.”
Lo stregone annuì. “E lo farà anche con loro, spero.”
“È un’idea folle” disse Divash.
“Tu che cosa suggerisci?”
Lo stregone tacque.
Bryce sentì salire la tensione mentre galoppavano verso l’ansa del fiume. Qui il corso d’acqua si restringeva acquisendo velocità, mentre formava un gomito attorno a una montagnola.
“Non ce la faremo mai” disse Divash.
Gamal spinse la sua cavalcatura nell’acqua immergendosi fino alle gambe. “Venite” gridò.
Bryce serrò le mani sulle redini e spinse il cavallo giù per il leggero pendio e poi nell’acqua. L’entrata fu brutale e sentì il colpo riverberarsi sulla schiena mentre faticava a restare in sella.
Il cavallo avanzò verso il centro del fiume districandosi tra le rapide che volevano strapparlo e trascinarlo via. Bryce dovette lottare con le redini per tenerlo dritto.
La bestia annaspò per tenere la testa fuori dall’acqua, con Bryce che si chinava in avanti per cercare di calmarlo e spingerlo a proseguire.
“Dannazione” gridò Gamal.
Bryce girò la testa verso di lui e lo vide con metà del corpo immerso nell’acqua mentre si teneva attaccato alla sella con la mano sinistra. Il suo cavallo stava affondando nell’acqua resa torbida dai mulinelli che si formavano al centro del fiume.
Divash era poco più indietro e guardava alla sua destra, gli occhi sgranati e pieni di terrore.
Cosa può esserci peggio di tutto questo? Si chiese Bryce.
Guardò nella stessa direzione e vide l’acqua del fiume sollevarsi e diventare un muro alto venti passi che precipitava verso di loro.

 

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Capitolo 15
*** Il Forgiatore ***


Il Forgiatore

 
Il sole sparì dietro la massa di acqua compatta che si stava sollevando dal letto del fiume. Bryce aveva visto le onde del mare infrangersi contro le scogliere del molo di Valonde, quelle volte che suo padre o sua madre l’avevano portata a vedere quello spettacolo naturale.
Adorava il rumore dei flutti che si infrangevano contro gli scogli sollevando nuvole di spruzzi d’acqua che riempivano l’aria di un odore salmastro.
Ma lì, al centro di quel fiume senza nome, non c’era niente di bello o di naturale in quell’onda che stava sollevando l’acqua.
Un attimo dopo che aveva formulato quel pensiero si sentì prima sollevare e poi scagliare via insieme al suo cavallo.
Senza più un appiglio a cui afferrarsi si lasciò trascinare dalla corrente. L’acqua l’avvolse e ne avvertì la pressione che le mozzava il respiro. D’istinto chiuse la bocca e trattenne il fiato.
Libera di non doversi più occupare della sua cavalcatura concentrò il potere nelle gambe e all’interno del suo corpo. Come se quello fosse un segnale, l’onda la trascinò di nuovo e lei si sentì scagliare prima verso l’alto e poi in basso.
L’impatto col terreno fu violento e le strappò un urlo di sorpresa e di dolore. L’acqua attorno a sé esplose al contatto disperdendosi in una pioggia di goccioline.
La spinta violenta che aveva subito la fece rotolare sul terreno sabbioso per una ventina di passi prima di fermarsi, dolorante in ogni parte del corpo.
Si concesse un solo attimo di riposo e balzò in piedi. I muscoli sottoposti a quello sforzo risposero con uno spasmo doloroso attenuato solo dal potere che sentiva scorrere dentro di lei.
Girò la testa verso il fiume, dove l’acqua si stava posando spezzata in tate piccole onde che ne increspavano la superficie.
Con la coda dell’occhio individuò una figura massiccia che giaceva a una decina di passi da lei. Era il suo cavallo. Aveva entrambe le gambe spezzate e la testa girata in una posizione innaturale.
Respirò a fondo per schiarire la mente. A sinistra, Divash si stava puntellando sulle braccia mentre lottava per rialzarsi. Le lanciò un’occhiata veloce e tossì un paio di volte.
“Costrutto d’acqua” disse con voce rotta dalla sofferenza. “Devono avere un forgiatore tra di loro.”
Bryce annuì e tornò a guardare verso il fiume. Si aspettava di veder spuntare Gamal da un momento all’altro, ma l’aveva visto venire strappato via dalla sella e roteare nell’acqua un attimo prima di perderlo di vista.
Quattro cavalieri apparvero da dietro la collina e si diressero verso il fiume. Si trovavano dall’altra parte, divisi da lei e Divash dall’acqua ancora agitata.
“Non sarò un problema per loro attraversarlo” disse lo stregone raddrizzandosi.
Bryce aprì il palmo della mano sinistra e tese il braccio in avanti. Concentrò il potere davanti a sé e fece roteare il polso da destra a sinistra come aveva imparato a fare da bambina. L’aria davanti a sé tremolò come l’acqua di un lago increspata dalle onde.
Divash aveva fatto lo stesso usando la mano destra e ora sembrava attendere i quattro che stazionavano dall’altra parte del fiume.
“Vattene adesso, principessa” disse lo stregone.
Bryce lo guardò con la coda dell’occhio. “Vattene tu. Sei ferito.”
Divash aveva uno squarcio sulla gamba destra lungo un palmo.
“La mia vita non vale quanto la tua. Resto io e ti do il tempo di metterti in salvo. Almeno non morirò da infame.”
“Ma sarò io a vivere da codarda” replicò Bryce.
Divash ridacchiò. “Se sopravviviamo ti racconterò una storia.”
Bryce annuì. “Sarò onorata di ascoltarla.”
Uno dei quattro smontò da cavallo e avanzò verso la riva del fiume. Insieme a un altro cavaliere era l’unico a indossare il mantello grigio. Gli altri due avevano lance e scudi legati alla sella dei cavalli.
Invece di smontare restarono in sella come se stessero aspettando qualcosa.
“Credo” disse Divash perplesso. “Che quello sia il nostro forgiatore. Hai mai combattuto contro uno di loro?”
Bryce scosse la testa.
“Sono pericolosi con i loro dannati costrutti. Evitali se puoi e punta al forgiatore. Sempre.”
“Mi dici cose che so già. Dimmi qualcosa che non so.”
Divash ghignò. “Colpisci più forte che puoi, dannata ragazzina. Come quando mi hai preso a pugni.”
Lo stregone rinnegato sostò sulla riva del fiume e alzò un braccio puntandolo verso di loro. Bryce concentrò il potere nello scuso magico ma l’attacco non arrivò.
“Vogliamo la principessa” disse il rinnegato. “Se ce la consegni, ti lasceremo andare.”
Sanno chi sono, pensò Bryce. Come l’hanno capito?
Guardò Divash con la coda dell’occhio.
“Intendi rispondergli o restare zitto?” gli chiese.
Lui scrollò le spalle. “È una buona offerta. Posso pensarci sopra?” Gridò lo stregone.
Il rinnegato serrò il pugno. Le acque del fiume si sollevarono come se qualcosa stesse per emergere dal fondo.
Bryce sbatté le palpebre facendo diventare il mondo un posto grigio e dai colori spenti. Tranne per i fili che brillavano attorno allo stregone rinnegato. Dalla sua figura si dipanavano come una lunga matassa di capelli che terminava nel fiume, ne avvolgeva le acque nelle sue spire di potere e dava loro una nuova forma.
Forgiatore, pensò Bryce. È davvero la parola adatta per questo potere.
Sbatté di nuovo le palpebre e il mondo tornò a essere quello di prima. Le acque del fiume si erano sollevate formando un vortice che si avvolgeva attorno alle spire di potere evocate dallo stregone.
“Attenta” gridò Divash.
Bryce era già scattata in avanti. Nella mano destra accumulò il potere dandogli la forma allungata di una spada. La lama, fatta di puro potere e controllata dalla sua volontà, faceva vibrare l’aria mentre la fendeva. Intercettando i raggi del sole che si stava abbassando verso oriente emise barbagli di luce simili allo scintillio di un gioiello.
Il vortice d’acqua si sollevò verso il cielo come un gigantesco verme sorto dal fiume stesso, la testa formata da un cono rovesciato. Tentacoli liquidi sferzarono l’aria come serpenti alla ricerca della loro preda.
Uno di essi saettò a destra di Bryce facendola scattare nella direzione opposta. Il tentacolo la seguì spazzando il terreno, diretto alle sue gambe.
Se mi colpisce me le spezzerà, si disse.
Attese fino all’ultimo istante prima di concentrare il potere nelle gambe e spiccare un balzo verso l’alto. Il tentacolo le passò sotto sfiorandola. Bryce eseguì una capriola e con la lama magica ancora evocata nella mano destra fendette il tentacolo d’acqua.
Ci fu uno scintillio e poi una cascata di scintille dove il potere della lama e quello che teneva insieme il tentacolo si scontrarono e fusero, annullandosi a vicenda.
Bryce roteò nell’aria atterrando a due o tre passi di distanza mentre il tentacolo si dissolveva in una pioggia di goccioline d’acqua.
Esaltata da quella piccola vittoria riprese a correre verso il gigante d’acqua. La creatura si era spostata in avanti trascinandosi dietro l’acqua del fiume.
Concentrata su di essa percepì quasi con fastidio le altre due figure che si mossero a destra dell’evocazione. Colse lo scintillio degli scudi sotto il sole morente farsi più vicino.
I soldati, pensò. Mi era scordata di loro.
Una figura si mosse verso di loro e colse il rumore netto, quasi rassicurante, dei dardi magici che esplodevano contro il metallo di uno scudo.
Con la coda dell’occhio intravide Divash avanzare con lo scudo magico evocato nella mano destra e i dardi in quella sinistra.
Due tentacoli si staccarono dalla creatura e piovvero su di lei da direzioni opposte. Con un movimento rapido scartò di lato per evitare il primo e usò la lama magica per tagliare l’altro. Stava per voltarsi e fronteggiare il tentacolo che aveva evitato quando qualcosa la colpì alla schiena togliendole il fiato.
Gridò per il dolore e la sorpresa mentre veniva spinta in avanti e poi a destra. Un dolore intenso si propagò nella gamba sinistra quando uno dei tentacoli si avviluppò attorno all’arto.
Strinse i denti e lo tranciò in due con la lama magica.
Non sta andando bene, si disse. Non sta andando affatto bene.
Altri due tentacoli si avventarono su di lei. Bryce ruotò sul busto tagliando il primo ma il secondo l’afferrò al fianco avvolgendosi attorno a lei come una cintura.
La stretta le provocò un dolore intenso al bacino e la sensazione di venire stritolata. La forza dell’evocazione la sollevò da terra facendola volteggiare nell’aria.
Bryce sapeva già cosa sarebbe accaduto dopo. Il forgiatore voleva sfracellarla contro le rocce scagliandola da quell’altezza.
Chiuse il palmo facendo sparire lo scudo.
Tanto è inutile, si disse.
Lo aprì di nuovo evocando una seconda lama di potere, abbassò il braccio e ruotando il polso tagliò il tentacolo. Precipitò per qualche istante e quando atterrò l’impatto si riverberò nella schiena. Fece una capriola in avanti evitando il secondo tentacolo che cercava di afferrarla e corse verso il gigante d’acqua.
Se devi colpire qualcuno, pensò, colpisci il forgiatore. Sì, ma dove si trova?
Cercò la figura dello stregone con la coda dell’occhio ma non riuscì a individuarla. In compenso era arrivata a una decina di passi dal margine del fiume quando una figura le passò accanto.
Fece per voltarsi e qualcosa la colpì con violenza al fianco e poi al petto. Il dolore avvampò all’istante mentre volava all’indietro.
L’impatto col terreno fu così forte e violento che la fece gridare e poi rotolare per una decina di passi. Alzò la testa di scatto e vide la stessa figura balzare sopra di lei e poi calare verso il basso, i pugni sollevati pronta a colpirla come un maglio.
Attese fino all’ultimo istante prima di scartare di lato ed evitare d’un soffio l’attacco. L’immagine fugace di un mantello grigio le passò accanto così veloce da avvertire l’aria che veniva spostata sulla pelle delle braccia e del viso.
Alzò la lama magica nella mano destra e affondò il colpo. La figura eseguì una torsione col bacino e bloccò il colpo con lo scudo magico. Scintille piovvero quando la lama e lo scudo si incontrarono con i loro poteri.
Per un istante poté fissare negli occhi la figura che l’aveva attaccata. Un viso giovane dal colorito bruno intenso la fissò con rabbia. Occhi neri e profondi appena socchiusi nello sforzo di reggere a quel tremendo confronto.
La giovane strega rinegata ringhiò mentre lottava con lo scudo per tenere lontano da sé il potere che scorreva violento nella lama magica di Bryce.
“Maledetta” gemette la strega mentre alzava la gamba e le sferrava un calcio negli stinchi.
Bryce strinse i denti e sopportò il dolore mantenendo ferma la lama magica.
Con la mano libera la strega le sferrò un pugno al viso che la intontì per un istante. Il contatto tra scudo e lama si interruppe e la strega rinnegata fu libera si indietreggiare.
Se mi colpisce di muovo mi ucciderà, pensò Bryce.
Chiuse entrambi i palmi delle mani e poi li riaprì, distese le braccia in avanti e li avvicinò, aperti. Al centro esatto, dove si congiungevano, apparve un filo di luce fredda e intensa che rischiarò il suo viso donandole un’espressione tetra.
La strega avanzò per colpirla di nuovo, ma sgranò gli occhi e protese il braccio in avanti alzando lo scudo magico.
Bryce concentrò altro potere al centro dei palmi, creando una lama di puro potere che simile a una lancia si protese verso la strega rinnegata.
La punta della lancia magica colpì lo scudo dell’avversaria e altre scintille piovvero tra di loro. Bryce strinse i denti riversando nell’incantesimo tutta la sua forza e la rabbia.
La lancia superò lo scudo e proseguì la sua corsa passando la spalla della strega da parte a parte. La ragazza gridò e abbassò il braccio. Bryce fece ruotare il bacino spostando la lancia di potere e facendole attraversare la carne della nemica.
La ragazza emise un gorgoglio e si accasciò a terra nel suo stesso sangue.
Bryce diresse la lancia magica verso il gigante si acqua che nel frattempo era cresciuto torreggiando sopra di lei. Dove l’incantesimo toccò l’evocazione produsse una cascata di scintille.
Muori, dannazione, pensò Bryce muovendo la lancia come un coltello rovente nel burro. Con un movimento del busto tagliò un’ampia porzione della creatura, ma un attimo dopo fili di potere invisibili a occhio nudo la sostituirono con altra acqua raccolta dal fiume.
È inutile, si disse. Così consumerò tutte le mie forze. Devo trovare il forgiatore. Ma dov’è? Dove, in nome dell’Unico?
Vagò con gli occhi senza trovare la figura. Si era aspettata di trovarla sul margine opposto del fiume, intenta a controllare e guidare l’evocazione, ma guardando da quella parte non vi era traccia dello stregone.
A meno che, si disse, non stia guardando nella direzione sbagliata.
Sbatté due volte le palpebre e fissò lo sguardo sull’evocazione, al centro esatto del letto dove il fiume era scomparso per lasciare il posto alla sabbia.
Lì, proprio al centro, tra filamenti di potere che si intrecciavano uno sull’altro formando una ragnatela inestricabile dove l’acqua veniva imbrigliata, c’era una figura in piedi.
Nella confusione poteva vedere fili di potere correre dalla figura alla sua evocazione e viceversa, in uno scambio che permetteva al forgiatore di averne il controllo.
Eccolo, si disse.
Corse in avanti ignorando la stanchezza e il dolore ai muscoli e balzò in alto. L’evocazione calò su di lei come un’onda che si abbatteva sugli scogli.
“Diventa più forte” sentì dire alla voce di suo padre in un angolo remoto della sua memoria. “Devi essere come la roccia. Niente potrà scalfirti. Diventa più forte. Sii degna di quelli che ti osservano dal passato.”
L’impatto violento con l’acqua le tolse il fiato ma lo ignorò. Prima di entrare nell’evocazione respirò a fondo. In ognuna delle mani evocò una lama di potere e le mulinò mentre avanzava all’interno della creatura.
Poteva sentire l’abbraccio mortale dell’acqua stringersi su di lei mentre si addentrava in quell’inferno e al tempo stesso avvertiva il potere che si annullava ogni volta che le sue lame incontravano i filamenti e li spezzavano.
Gocce di acqua piovvero su di lei mentre mulinava le lame in tutte le direzioni scavando e scavando finché non vide la figura ergersi al centro del fiume, le braccia protese in alto e l’espressione concentrata.
Bryce emerse nella bolla che il forgiatore aveva creato attorno a sé, godendosi per un attimo la sensazione di forza nell’essere sopravvissuta a quella prova e assaporando l’espressione stupita e sgomenta al tempo stesso del suo avversario.
“Io” disse col poco fiato che le restava. “Sarò degna di loro.”
Un attimo dopo affondò la lama nel petto dello stregone.

 

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Capitolo 16
*** Tu non sai di che cosa è capace ***


Tu non sai di che cosa è capace

 
Fluttuò esausta, abbandonandosi al dolce cullare dell’acqua, gli occhi rivolti al sole basso sull’orizzonte. Una mano l’afferrò per una spallina della tunica e la tirò a sé. La sensazione di pace e benessere sparì facendola tornare alla realtà.
Si sentì issare e poi adagiare sul terreno, mentre il viso dalla mascella squadrata la osservava dall’alto riempiendo metà del cielo.
“Vyncent?” domandò con voce impastata.
Un sorriso comparve sulla faccia. “È il nome del tuo fidanzato?” le domandò con tono divertito.
“No, lui” balbettò confusa. “Non lo so.” Sgranò gli occhi e sollevò la testa di scatto. Un dolore intenso la fece trasalire.
“Piano” disse l’uomo. “Prenditi qualche istante per recuperare.”
Bryce strizzò gli occhi e cercò di mettere a fuoco la vista. Il viso dell’uomo divenne quello di Divash mentre la sensazione di straniamento spariva e iniziava a ricordare.
Guardò verso il fiume. L’evocazione era sparita insieme al forgiatore. Per un istante il suo viso le apparve davanti facendola sussultare.
Lasciò vagare lo sguardo sul terreno. “Dove?” chiese.
Divash si accigliò.
“Ho ucciso una strega rinnegata proprio qui.”
Lui scosse la testa. “Sono sull’altra sponda.”
Bryce guardò in direzione del fiume e vide il corpo della strega a una decina di passi di distanza dall’acqua. C’erano anche altri due corpi riversi a terra e una lancia infissa nel terreno.
“Li ho uccisi io” disse Divash. “Anche se non ho molto di cui vantarmi. Hai fatto tu il lavoro più difficile.”
“Il forgiatore?”
“Trascinato via dalla corrente.”
Bryce si alzò allarmata. “Potrebbe tornare.”
“Calmati” disse Divash. “Quel dannato è morto. Lo hai fatto a pezzi con le tue lame spettrali.”
Bryce si guardò i palmi. Se si fosse concentrato avrebbe potuto ancora sentire il potere fluttuare a poca distanza dalla sua carne mentre teneva a bada l’incantesimo dandogli la forma che desiderava. “L’ho fatto a pezzi” disse con espressione trasognata.
Divash la studi con interesse. “Frenesia da battaglia” disse come se quella fosse una sentenza.
Bryce si sentì avvampare. “Non è vero.”
Lo stregone annuì grave. “Hai tutti i segni, Bryce di Valonde.”
“Ti dico che non è così.”
“Non hai nulla di cui vergognarti” disse lui con tono comprensivo.
Quelle parole la irritarono di più. “Taci. Io ho il perfetto controllo.”
“Capita a tutti, Bryce. Specie le prime volte. Senti il potere scorrere dentro di te, ti blandisce e pochi attimi dopo non hai più alcun controllo.”
“Basta” esclamò Bryce con tono perentorio.
Divash scrollò le spalle e indicò i cavalli alle loro spalle. “Ti senti pronta ora? Dovremmo andare.”
Bryce si accigliò.
“Il secondo gruppo” disse lo stregone. “Quello di sei cavalieri. Sono ancora diretti qui. I nostri sono morti ma se prendiamo i cavalli dei rinnegati avremo una possibilità.”
“Possiamo affrontare anche loro” suggerì Bryce.
Sentiva ancora il potere scorrere dentro di lei come una fiume impetuoso che lottava per rompere gli argini dopo giorni e giorni di pioggia.
Voleva usare il potere, voleva liberarsi di quel peso e al tempo stesso accumularne altro dentro di sé.
Divash la osservava preoccupato. “Sarebbe una cattiva idea. Ho già visto troppe volte quella espressione.”
Bryce scosse la testa. “Sto bene.”
“Niente affatto. Se cedi alla frenesia, sai bene che cosa ti aspetta dopo.”
Rabbrividì al pensiero di perdere ogni controllo e lasciare che fosse il potere a controllarla. A dominarla.
“Come pensavo” disse Divash. “Prendiamo i cavalli e andiamo via. Hai bisogno di calmarti, prima di usare di nuovo il dono.”
“Forse” disse Bryce esitando. “Forse hai ragione.”
Divash prese per sé uno dei cavalli e porse le briglie dell’altro a lei. “Sono buoni” disse. “Non ottimi, ma buoni. Ci porteranno fino a Yan e gli altri se li trattiamo bene.”
Bryce si guardò attorno a individuò una sacca gettata a terra. Riconobbe con sollievo la macchia scura su di un lato. La raggiunse e si chinò sopra di essa, raccogliendola.
“Che cosa fai?” le chiese Divash saltando in sella.
“È la mia sacca” disse. “L’ho gettata per alleggerire il cavallo prima di attraversare il fiume. Ora la riprendo.”
“Lasciala lì. Non appesantiamo i cavalli.”
Bryce esitò.
“Buttala, dannazione.”
Aprì la sacca e vi frugò dentro fino a trovare un libro. Lo tirò fuori e buttò la sacca.
Divash la guardò interdetto. “Dovevi prendere quello?”
Bryce montò in sella e annuì. Mise il libro in una tasca interna del mantello.
“Un libro” disse lo stregone. “Sul serio?”
“Per me è importante.”
“È un ricordo del tuo fidanzato? Quel Vyncent di cui parlavi prima?”
Bryce arrossì. “No” esclamò. “E lui non è il mio fidanzato. È solo un amico.”
Divash scrollò le spalle.
“Il libro è di Joyce. Mia sorella. Me l’ha prestato prima di partire e lo rivorrà indietro quando tornerò a Valonde.”
“Potevi portarle una copia” disse Divash.
“Lo avrebbe capito. Non è stupida. Conosce questi libri pagina per pagina. Se le portassi una copia me la farebbe pagare cara.”
Divash ghignò. “Hai appena ucciso un forgiatore di alto rango e hai paura della tua sorellina?”
Bryce si accigliò. “Tu non sai di che cosa è capace.”
 
Divash sedette con le gambe incrociate e l’espressione accigliata. Al buio il suo viso era una sagoma appena visibile sullo sfondo delle stelle.
Avvolta nel mantello, Bryce alzò appena la testa. “Vuoi che ti dia il cambio?”
Lo stregone scosse la testa. “Riposa, principessa Bryce. Sei stata vicina al tuo limite oggi. Non sarebbe saggio sforzare di più il tuo corpo.”
La sensazione di benessere e di esaltazione era durata solo poche miglia. Mentre il sole spariva dietro l’orizzonte aveva avvertito dolore in tutti i muscoli e le ossa. La vista era calata e riusciva a stento a stringere le redini.
“Devo fermarmi” aveva detto a Divash.
“Non ce la fai a resistere per altre due miglia? C’è una macchia di alberi a due o tre miglia da qui. La ricorda dalla prima volta che ci siamo passati, con Gamal.”
Bryce bofonchiò qualcosa.
Divash si era accigliato.
“Resisterò” aveva detto con voce impastata.
Lo stregone aveva annuito.
“Gamal” aveva detto Bryce dopo un miglio. “Se lasciamo la strada del fiume non lo troveremo mai.”
Divash aveva scosso la testa. “Dimenticalo. È morto.”
“Non puoi saperlo.”
“Bryce” aveva iniziato a dire.
“Dobbiamo esserne sicuri.”
Divash aveva sospirato. “A quest’ora la corrente lo avrà portato decine di miglia a valle, in pieno territorio dei rinnegati. Se hai voglia di morire per essere sicura che sia un cadavere fai pure. Ma rifletti su questo. Anche se fosse ancora vivo, finirà tra i rinnegati che lo uccideranno.”
Bryce era rimasta in silenzio, la testa china in avanti e l’attenzione concentrata sul mantenere le redini. Come annunciato da Divash avevano trovato un buon posto per fermarsi tre miglia dopo. Era una collina coperta di alberi dal fusto ampio e le chiome dai rami cadenti e carichi di foglie gialle e brune.
“Somigliano alle Vedove Addolorate” aveva detto passando sotto uno degli alberi.
Divash aveva annuito. “Ci fermiamo qui” aveva detto indicando uno spazio in mezzo agli arbusti, dietro due tronchi affiancati.
“Ma sarai stanco” disse Bryce perplessa. “Hai combattuto anche tu, oggi.”
Divash ridacchiò. “Io non lo chiamerei combattere. Ho ucciso due soldati. Tu invece hai ucciso due mantelli di alto rango.”
Bryce si accigliò.
“Il forgiatore” aggiunse Divash. “Anche se non sapremo mai il suo nome era chiaramente forte. Hai visto come controllava quel costrutto? Bisogna essere davvero abili per riuscirci. Come hai fatto a ucciderlo?”
“Ho colpito il forgiatore” disse Bryce.
Divash si accigliò.
“Si nascondeva dentro l’evocazione.”
“Che io sia dannato. Sei andata a prenderlo fin lì dentro?”
Bryce annuì.
“Tu sei folle, principessa Bryce.”
“Bryce” disse lei. “Chiamami solo Bryce.”
Divash annuì. “Come vuoi.”
“Solo, Bryce” aggiunse. “Non solo Bryce. È diverso.”
Lo stregone la fissò perplesso.
Lei scoppiò a ridere.
“Cosa c’è di così divertente?”
Bryce scosse la testa. “Ho solo ricordato una cosa.”
Lui annuì serio.
Bryce chiuse gli occhi per qualche istante. Quando li riaprì Divash era ancora lì ma stava guardando da un’altra parte.
“Li abbiamo distanziati?” gli chiese.
“Credo di sì. Devono essere passati oltre, ma quando si accorgeranno che ci siamo fermati e torneranno indietro per esplorare la collina, noi saremo già ripartiti. Con un po’ di fortuna raggiungeremo Yan al punto convenuto e torneremo da Erix.”
“L’armata di Dinur” disse Bryce. “Sta per essere attaccata.”
Divash chinò la testa in avanti.
“Cosa ne pensi?”
“È una brutta storia” disse lo stregone a bassa voce.
“Dobbiamo avvertirli.”
Lui alzò la testa di scatto. “Non ci pensare, ora.”
“Ma dobbiamo.”
“Non è una faccenda che ci riguarda.”
Bryce avvertì un groppo in gola. “Noi siamo vicini.”
“Prima dobbiamo avvertire la comandante Erix. Sarà lei a decidere che cosa fare.”
Bryce scosse la testa. “L’armata di Erix è a giorni di distanza. Nel tempo che ci metteremo a raggiungerla e decidere che cosa fare, l’armata di Dinur verrà attaccata e distrutta.”
“Non possiamo farci niente” disse Divash alzandosi.
Bryce fece per ribattere ma lui le fece un cenno deciso con la mano.
“Smettila” disse lo stregone. “Non pensarci nemmeno. Ora riposa e domani ti sembrerà diverso.”
Bryce chiuse gli occhi e poggiò la testa sul cuscino che aveva improvvisato ammucchiando delle foglie sotto il mantello.
Faticò a prendere sonno tormentata dal pensiero che Vyncent stesse viaggiando ignaro che la sua armata stesse per essere attaccata.
Devo avvertirlo, si disse prima di scivolare nel sonno.

 

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Capitolo 17
*** Non sai niente di noi ***


Non sai niente di noi

 
Elvana la guardò come se stesse osservando un cane randagio capitato per caso nel giardino di casa. “Hai un aspetto orribile, principessa” disse con espressione divertita.
Divash le rivolse un’occhiataccia. “Lasciala stare” disse lo stregone con tono duro.
Elvana sgranò gli occhi. “La difendi, ora?”
Lui grugnì qualcosa e procedette verso il cerchio di pietre al centro del campo. “Avete della carne fresca da mangiare? O del vino caldo? Sono due giorni che non mangiamo niente.”
Yan fece un cenno con la testa a Fraska. “Prendi della carne essiccata.”
Divash sospirò.
“È tutto quello che abbiamo.”
“Me la farò bastare” disse lo stregone. “Immagino tu voglia sapere cosa è successo e come è morto Gamal, giusto?”
Yen annuì.
Bryce perse interesse nei due e si concentrò su Elvana. La strega la stava esaminando da vicino.
“Che fai?” le chiese infastidita.
“Potresti essere ferita.”
“Sto bene” disse sottraendosi a lei. “Non ho nemmeno un graffio.”
“A volte le ferite sono all’interno. Non si vedono.”
Bryce scrollò le spalle. Avvicinandosi al campo era cresciuta dentro di lei l’inquietudine per tutto il giorno. Da quando avevano lasciato il nascondiglio tra gli alberi aveva pensato all’armata di Vyncent e a come fare per avvertirli. Era sicura che Yan avrebbe mandato dei messaggeri, e se non lo avesse fatto lei l’avrebbe convinto.
Ne era sicura.
Devo esserne sicura, si era detta.
Elvana le diede un colpetto sulla spalla. “Sembra che tu stia bene. Che ne diresti di raccontare alla tua amica Elvana quello che è accaduto?”
“Ti sei la mia scorta, non un’amica” disse con tono serio.
Elvana sgranò gli occhi. “Così mi offendi” disse.
Bryce sbuffò. “Abbiamo incontrato una pattuglia di rinnegati. Siamo scappati ma ci hanno raggiunto. Abbiamo combattuto e io ho ucciso due mantelli rinnegati. Divash ha ucciso due soldati. Gamal è morto.”
Elvana annuì a ogni frase. “Mi spiace per Gamal. Hai questa brutta faccia perché ti eri affezionato a lui?”
Bryce lo conosceva appena e fino a quando Yan non li aveva mandati di pattuglia insieme aveva scambiato con lo stregone due o tre frasi che nemmeno ricordava.
Scosse la testa. “C’è una nostra armata” disse. “In giro per la valle, oltre il fiume che la divide in due.”
“Un’armata di Valonde?” chiese Elvana.
Bryce scosse la testa. “Vassalli. Diecimila soldati e forse cento mantelli.”
“Sono quelli incontrati da Ebam?”
Bryce annuì. “Se non sono loro, allora ci sono due armate disperse per questa valle.”
Elvana si accigliò. “Potrebbe essere una buona notizia, no?”
“I rinnegati progettano di attaccarli alle spalle.”
La strega annuì grave.
“Dobbiamo avvertirli” disse.
“Dobbiamo?”
“Vedi altri che possano farlo, qui attorno? Ci siamo solo noi” disse con tono accalorato.
“Adesso calmati” disse Elvana.
Bryce le diede uno spintone e marciò verso uno dei giacigli. “Mi servono una coperta di lana e una sacca. Ho dovuto buttare la mia.”
“Te ne troveremo una” disse Elvana seguendola.
Bryce raggiunse il giaciglio e tirò un calcio a una delle sacche.
“Ti ho detto di calmarti” l’ammonì Elvana.
“Non dirmi quello che devo fare.”
“Io sono la tua scorta.”
“Ho ucciso due mantelli rinnegati di alto rango” gridò. “Da sola. Posso fare a meno di te.” Si guardò attorno. “Potrei fare a meno di chiunque qui” aggiunse a voce più bassa.
Elvana la fissò divertita. “Sai farti apprezzare quando vuoi, principessa di Valonde. Trovi sempre le parole giuste.”
“Le belle parole non ci serviranno in questa guerra” disse Bryce esasperata.
“Tu pensi?” fece Elvana. “Imparare a usare le parole nel modo giusto potrebbe servirti parecchio invece.”
Bryce pensò a una risposta piccata ma ci rinunciò. Adocchiò Yan e Divash che stavano parlando tra di loro e li raggiunse.
“Yan” disse marciando con decisione. “Che hai intenzione di fare?”
Lo stregone le rivolse un’occhiata severa. “Ne stavo parlando con Divash proprio ora.”
Si piazzò davanti a lui. “Ti ho chiesto che cosa vuoi fare tu.”
“Ascolta bene, principessa” iniziò a dire Yan.
“Ascoltami tu. Ci sono diecimila soldati e cento mantelli che stanno per essere attaccati alle spalle dai rinnegati e io voglio andare ad avvertirli.”
“Divash e io…” iniziò a dire Yan.
“Non mi importa di quello che pensate voi due” lo incalzò Bryce. “Tu sai bene qual è la cosa giusta da fare.”
“Dobbiamo prepararci per…”
“Noi andremo ad avvertirli” disse con tono deciso.
“Questa decisione…”
“È il nostro dovere” disse Bryce. “Cercare di fare il possibile per avvertirli. E se non sei d’accordo con me, te lo dirò qui e adesso che cosa ne penso.”
“Io non credo che tu capisca il…”
“Io andrò” disse Bryce. “Da sola, se necessario.”
“La mia opinione in merito…”
“E se tu cercherai di impedirmelo” aggiunse Bryce alzando la voce e puntandogli contro l’indice. “O se ci proverà chiunque di voi, si dovrà scontrare con me.”
Yan incrociò le braccia sul petto, come se fosse in attesa che proseguisse.
“Sfiderò chiunque a duello” dichiarò Bryce. “E vi batterò, se necessario. Ma non dirmi che non andremo.”
Lo stregone la fissò in silenzio.
Bryce attese impaziente che dicesse qualcosa. Era pronta a sfidarlo. Gli avrebbe dimostrato quanto era grande e profonda la sua motivazione.
Yan socchiuse gli occhi riducendoli a due fessure.
“Non hai niente da dire?” gli chiese Bryce con tono impaziente. “Il tuo è un sì o un no?”
Yan guardò sopra la sua spalla. “Tu, strega della notte.”
“Modera le parole, esploratore” rispose Elvana.
“Tu che la conosci meglio di noi, si comporta sempre in questo modo?”
Bryce guardò Elvana.
La strega stava sorridendo. “Non è stupida. Il suo problema è che non ascolta mai quello che dicono gli altri.” Si accigliò. “Tuttavia, non stare a sentire gli altri potrebbe essere una forma di stupidità. Quindi sì, è stupida. Ma è dannatamente forte. Vero, Divash?”
Lo stregone annuì con foga. “Ha ucciso il forgiatore facendo a pezzi la sua evocazione. Pochi ci riescono in quel modo. Davvero pochi.”
Yan annuì e la soppesò con lo sguardo. “Vuoi andare ad avvertire l’armata di vassalli, Bryce di Valonde?”
“Tu no?” gli domandò lei con tono di sfida.
Yan ghignò. “Secondo te di cosa stavamo discutendo Divash e io prima che tu ci saltassi addosso facendo l’idiota?”
Bryce deglutì a vuoto. “Non lo so.”
“E perché non lo sai?”
Scosse la testa.
“Forse perché non ce l’hai chiesto?”
Bryce si strinse nelle spalle. “Io credevo che tu volessi andare da Erix.”
Yan si accigliò. “Perché avrei dovuto fare una cosa simile? Sarebbe da infami abbandonare degli alleati in difficoltà.”
“Io…” disse esitando.
“E quale vantaggio ne trarremmo tornando da Erix e facendo massacrare diecimila soldati e cento mantelli?”
“Io non lo so” rispose Bryce arrossendo.
“Forse non lo sai perché non ce l’hai chiesto?” le domandò Yan col tono di chi si rivolge a una bambina.
Bryce si sentì avvampare di rabbia e di vergogna. “Dimmi soltanto se andremo.”
“Certo che lo faremo” disse Yan. “Ma a modo nostro, con tutte le precauzioni.”
“Ma così servirà più tempo.”
“Lo sfrutteremo bene” rispose Yan. “Troveremo il percorso giusto per raggiungerli senza farci trovare dai rinnegati. In caso contrario, ci saremmo fatti massacrare per nulla, non trovi?”
“Io” disse cercando le parole giuste. “Credo di sì.”
Yan annuì. “Abbiamo un paio di borse in più. Fattene dare una da Toral. È lui che si occupa di queste cose.”
“Sì” disse annuendo. Fece per girarsi ma lui le fece un cenno con la mano. “Cosa c’è?”
“Un’ultima cosa. Non parlarmi più in quel modo, hai capito?”
Bryce deglutì a vuoto e annuì.
 
Toral le diede una borsa a tracolla. “Dentro ho infilato una coperta di lana, una borraccia per l’acqua, una ciotola che puoi usare per riempirla d’acqua o di zuppa, un coltello per tagliare la carne e la frutta.”
“Speravo potessi metterci un paio di stivali di ricambio e una tunica” si lamentò. “Quella che ho addosso inizia a puzzare.”
“Dovrai sopportare il cattivo odore” disse lo stregone. “E la prossima volta, pensa a fare un po’ di raccolto.”
Bryce si accigliò. “Che cosa dovrei raccogliere?”
“Quello che trovi addosso ai morti.”
Lei lo fissò stupita.
“Che c’è di male? Sono morti e la loro roba non gli servirà più. Si trovano cose interessanti e quello che non ti entra, puoi scambiarlo con altri oggetti utili. La borsa che ti ho dato l’ho presa a un mercante Alteriano che era morto da due giorni. Lo trovammo mentre cercavamo di aggirare una montagna.” Scosse la testa e sorrise come se stesse ricordando qualcosa di piacevole. “Avresti dovuto vedere come era ridotto quel poveraccio. Dico sul serio, è una fortuna che quella sacca si sia salvata. Credo fosse l’unica cosa ancora intera in tutta la carovana perché vedi, tutto il resto era…”
“Me lo racconterai la prossima volta” tagliò corto Bryce. Non aveva alcuna voglia di sentire quel racconto ma non aveva trovato parole migliori per interrompere Toral. “Adesso voglio solo riposare.”
“Certo. Prendi uno dei giacigli che ho preparato.”
Bryce tornò al giaciglio che aveva preso a calci e lo sistemò stendendoci sopra la coperta di lana. Gettò la sacca a terra e l’aprì. Prese il libro che aveva nella tasca interna della tunica e lo mise nella sacca con attenzione.
Elvana la raggiunse mentre si stava sistemando sulla coperta. “Ti sei calmata adesso?” le chiese.
Bryce annuì.
La strega si accovacciò al suo fianco. “Sei stata ingiusta con Yan.”
“Io credevo che volesse abbandonarli al loro destino.”
“Perché avrebbe dovuto farlo, Bryce di Valonde?”
Scosse la testa. “Non lo so. Forse avevo solo paura che lo facesse.”
“Questo perché non conosci affatto Yan” disse Elvana. “Così come non sai niente di tutti gli altri che compongono il suo gruppo, di Divash. E di me.”
Bryce si accigliò.
“Lo so, non te ne importa granché di noi” disse la strega. “Tu vuoi solo vincere la tua guerra e onorare i tuoi antenati o qualcosa del genere.”
“La faccenda è molto più complicata di quanto pensi” disse sulla difensiva.
“Davvero?”
Annuì.
“Perché non provi a spiegarmela tu?”
“Non capiresti.”
“Pensi che io sia una stupida, Bryce?”
Scosse la testa. “No, non lo sei, ma ci sono faccende che tu o Yan non potete comprendere. E sono cose che riguardano solo me.”
“Però non ci sei solo tu, qui. Siamo in dieci. O meglio, lo eravamo prima che il povero Gamal morisse. A proposito, hai pensato a rivolgere qualche parola di conforto a Yan?”
Bryce la guardò interdetta.
“Lo vedi che ho ragione io? Sei tanto forte quanto stupida. E non stai mai a sentire quello che dicono gli altri. O non presti attenzione a quello che fanno. O come lo fanno.” Scosse la testa. “Lo sapevo che non avrei dovuto accettare di farti da scorta.” Si alzò di scatto. “Riposa. Yan vuole che lo siamo tutti prima di partire. Ha deciso che lasceremo il campo domani mattina prima del sorgere del sole.”

 

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Capitolo 18
*** Ho solo i miei poteri ***


Ho solo i miei poteri

 
Bryce cavalcò fino ad affiancare Yan. Lo stregone procedeva con la testa alta e gli occhi che vagavano sulla superficie brulla della valle.
“Che posto desolato” stava dicendo sottovoce. Si voltò verso di lei. “Qualcosa da riferire, Bryce di Valonde?”
Lei socchiuse gli occhi. “Volevo chiederti scusa” disse. “Per ieri. Ti ho mancato di rispetto davanti a tutti. Ho usato parole irripetibili. Vorrei poterti esprimere tutto il mio dispiacere.”
“Mi pare che tu lo stia già facendo. E in maniera abbastanza convincente. Per quanto mi riguarda, la faccenda è chiusa.”
“Ti ringrazio.”
“C’è altro che volevi dirmi?”
Bryce esitò. “In verità, sì.”
Non ti importa granché di noi, disse una voce dentro la sua testa. Somigliava a quella di Elvana.
“Mi spiace per Gamal” disse. “So che eravate molto amici.”
Yan annuì grave. “Lo consideravo più di un amico.”
“Tenevi a lui?”
Lo stregone annuì.
“Perché gli hai assegnato quella missione?”
“Avrei dovuto assegnarla a un altro? O un’altra?”
“Se tenevi a lui…” disse Bryce.
“Tu avresti fatto lo stesso con una persona a cui tieni?”
Bryce si strinse nelle spalle. “Io avrei cercato di tenere al sicuro quella persona.”
“Facendo correre lo stesso rischio a un’altra.”
Bryce arrossì. “Non volevo dire questo.”
“Che cosa, allora?”
Sospirò. “Non lo so, credo di essere confusa.”
Yan annuì. “Non sei confusa. Sei solo fortunata.”
Lei si accigliò.
“Non hai mai dovuto dare ordini a qualcuno?”
Bryce cercò di ricordare. “Abbiamo dei valletti e delle ancelle a palazzo. E anche al circolo. Diamo loro dei compiti semplici, come portare dei messaggi e aiutarci nel vestirci o fare il bagno.” Sorrise. “A dire la verità, è già da qualche anno che non mi aiutano a lavarmi.”
“Hai mai ordinato a uno di quei valletti di andare incontro a morte sicura?”
“Certo che no. Non sarebbe necessario.”
“E se invece lo fosse?”
“Andrei io al posto suo” disse sicura.
“Molto coraggioso da parte tua” disse Yan. “Ma non otterrai molto sacrificandoti. Prima o poi incontrerai qualcuno più forte o più scaltro di te, o semplicemente più adatto a quel compito.”
“Non voglio che qualcuno muoia al posto mio.”
“Per quale motivo?”
“È sbagliato” disse con tono perentorio. “E ingiusto.”
Yan annuì grave. “E ti farebbe apparire come una codarda, giusto?”
Bryce tacque.
“Ci vuole coraggio anche nel mandare qualcuno a morire. Sapendo che probabilmente morirà. E se è una persona a cui tieni.”
“Io non capisco” disse.
“Te l’ho già detto. Sei fortunata a non capire.”
Jehla Metz li raggiunse al piccolo trotto. “Toral è tornato” disse con espressione cupa. “Dice di aver trovato qualcosa.”
Toral si era allontanato per esplorare la regione qualche miglio più avanti. “È a poca distanza da qui” disse parlando davanti a tutti. Mentre parlava scuoteva la testa. “Non è un bello spettacolo.”
“Andiamoci subito” disse Yan.
“E se fosse una trappola?” chiese Jehla.
Osservandola come Elvana le aveva suggerito qualche giorno prima, Bryce aveva notato che era lei a parlare più spesso con Yan e lui prendeva consiglio da lei.
“Se noteremo qualcosa di strano ci ritireremo subito” disse Yan. “Portaci lì, Toral.”
Il posto indicato dallo stregone era a due o tre miglia di distanza. Era una larga spianata brulla e incolta. Arrivandoci, Bryce ebbe la sensazione che qualcosa l’avesse calpestata di proposito. Il terreno era disseminato di corpi mezzi divorati dai corvi e dai vermi. Passandoci vicino ne vide uno trafitto da una lancia che lo aveva inchiodato al suolo e un altro mezzo carbonizzato. Un altro ancora era nudo dalla cintola in su ed era scalzo, ma non sembrava avere i segni di un colpo mortale. Ne contò una trentina prima di perdere interesse.
Yan si chinò su uno di essi e afferrò il lembo di un mantello. “È grigio.”
“Questo è rosso” disse Toral esaminandone un altro. “Direi Northon dai ricami.”
“Giallo limone” fece Fraska.
“Arental” disse Jehla cupa. “Deve essere di lì.”
Bryce sentì un groppo salirle in gola. Quasi senza rendersene conto iniziò a cercare mantelli di colore verde chiaro, anche se sperava di non vederne alcuno.
Quando Divash tirò su un lembo di quel colore, perse un battito. Andò verso di lui per osservare il corpo che aveva trovato. Apparteneva a una donna di trent’anni, anche se metà del viso era sparita.
Yan li riunì attorno a sé. “Sono le tracce di una battaglia” disse serio. “Devono averli attaccati sul fianco. Un’incursione veloce che li ha colti nel sonno.”
“Ci sono ancora i bivacchi” disse Jehla spostando una pietra annerita. “E i giacigli. Qualcuno deve esserci morto dentro.”
Yan annuì. “Forse era un gruppo distaccato dal resto dell’armata.”
“La retroguardia” suggerì Divash. “A giudicare dal numero, direi certo soldati e dieci mantelli.”
“Devono aver attaccato nella notte” disse Ebam. “Ci sono i segni di almeno trecento cavalieri in armatura pesante.”
“Va bene” disse Yan tirando le redini a sé. “Qui non c’è molto altro da vedere. Cerchiamo le tracce dei nostri alleati e seguiamole a ritroso. Da qualche parte dovrebbero terminare.”
“Io non sono d’accordo” disse Jehla. “Abbiamo trovato la prova che l’armata è stata attaccata. Per quanto ne sappiamo, potrebbero già essere tutti morti.”
“Dobbiamo scoprirlo” replicò Yan.
“Erix deve sapere” disse la strega.
Bryce si sentì fremere.
“Calma” le sussurrò Elvana.
Lei la fissò interdetta.
“Lo so che vorresti prenderla pugni” aggiunse. “Ma non ti sarebbe di alcun aiuto.”
“Tu non si che cosa vorrei farle.”
Elvana ridacchiò e scosse la testa.
“È nostro dovere proseguire” disse Yan con tono perentorio.
“Il nostro dovere è proteggere l’armata di Erix” insisté Jehla. “Adesso abbiamo la prova che questa regione è infestata di rinnegati. Era il motivo per cui siamo stati mandati in esplorazione. Ero presente anche io quando Erix ti ha dato l’ordine.”
“Non c’è bisogno che tu me lo rammenti.”
“Forse sì, Yan.”
Lui le scoccò un’occhiataccia. “Stai insinuando qualcosa, Jehla?”
La strega tacque.
“Sei libera di parlare.”
“Dopo la morte di Gamal” disse Jehla dopo qualche istante di esitazione.
“Continua” la esortò Yan.
“Il tuo giudizio potrebbe essersi offuscato.”
Yan la fissò con espressione dura.
“Non voglio offenderti” aggiunse Jehla. “Ma tutti noi sappiamo quanto ci tenessi.”
“Credi che la sua morte mi abbia cambiato?”
“Potrebbe aver cambiato i tuoi propositi. Forse vuoi vendetta sui rinnegati che lo hanno ucciso, anche se sono morti anche loro.” Scosse la testa. “Non lo so, Yan. Convincimi che ho torto, per favore.”
Yan fissò un punto verso l’orizzonte. “Scegli due degli altri” disse dopo qualche istante di silenzio. “Tranne Bryce e la sua scorta puoi portare con te chiunque. Viaggia solo di notte, senza usare le strade principali e torna da Erix per avvertirla.”
“Yan” iniziò a dire Jehla.
“Ho deciso” disse lo stregone voltandole le spalle.
Jehla chinò la testa. “Come vuoi. Sei proprio un idiota.”
La strega scelse Ebam e Neta per il viaggio di ritorno. Ci fu un rapido saluto tra i due gruppi e quando i tre furono distanti, Yan diede l’ordine di muoversi.
Toral andò in esplorazione insieme a Fraska e quando tornò le ombre si erano allungate e un’altra giornata era trascorsa.
“Abbiamo trovato delle tracce” annunciò lo stregone sedendosi al bivacco insieme agli altri. “Puntano verso settentrione in maniera decisa.”
Yan si massaggiò il mento. “Quanti?”
“Molti cavalieri. Cinque o diecimila, non posso dirlo con esattezza.”
“Potrebbero essere i rinnegati” disse Divash.
Yan scrollò le spalle. “Anche se lo fossero, vorrebbe dire che stanno seguendo l’armata alleata. E noi siamo diretti dalla stessa parte.”
“Così finiremo dritti nella loro bocca” disse Divash.
“Siamo pesciolini troppo piccoli perché ci notino” disse Yan.
“In questo mare vuoto siamo fin troppo visibili” si lamentò l’altro.
“Noi siamo bravi a farci notare poco.”
Divash brontolò qualcosa e si alzò.
Bryce andò alla sua sacca e l’aprì dopo essersi seduta sulla coperta di lana. Frugò all’interno fino a trovare il libro. Evocò una lumosfera facendola fluttuare sopra la sua testa e aprì il volume alla pagina dove aveva lasciato il segno. Le lettere incise sul foglio sembrarono danzare davanti ai suoi occhi stanchi per la lunga giornata, ma si sforzò lo stesso di seguire le vicende di Niv il crudele principe assassino mentre insidiava la bella Shili e Tevel, il legittimo erede al trono delle fate, era prigioniero di un orco cattivo.
“Leggi quella robaccia?” le chiese Elvana divertita.
Bryce sospirò e proseguì nella lettura.
Niv aveva contattato un abile falsario e gli aveva fatto comporre una lettera firmata dal cugino, in cui Tevel rinunciava al trono e rinnegava la bella Shili. Per coprire le tracce aveva fatto trucidare il falsario e dato alle fiamme la sua bottega. Ora stava tornando a palazzo e si preparava a far scattare la sua trappola contro l’ignara principessa, che nelle sue stanze piangeva per la lontananza di Tevel chiedendosi se sarebbe mai tornato da lei.
“Sembra che ti piaccia davvero” disse Elvana sedendosi al suo fianco.
Bryce piazzò una foglia secca tra le pagine per tenere il segno e chiuse il libro. “Sto cercando di leggere, se non ti spiace.”
Elvana si sporse verso il libro. “Il Destino della Strega” disse con tono perplesso. “Di Adenora Stennig. Davvero ti piace questa roba?”
“Piace a mia sorella Joyce” disse infastidita. “Me l’ha prestato lei.”
“E tu lo leggi.”
“Sì. È un libro. È fatto per essere letto, giusto?”
“Se lo dici tu.”
“Che cosa vuoi?” le chiese esasperata.
Elvana scrollò le spalle. “Niente. Solo parlare. Non c’è molto altro da fare, qui.”
“Allora vai a parlare con qualcun altro” le disse con tono sgarbato.
Elvana si alzò di scatto. “Sei proprio un’idiota, Bryce di Valonde.”
“Vai agli inferi” le disse voltandole le spalle.
Attese che Elvana si fosse allontanata prima di aprire il libro. Riprese la lettura dal punto in cui l’aveva interrotta. Niv era tornato a palazzo e aveva fatto in modo che Shili avesse la lettera falsa in cui Tevel rinnegava l’eterno amore che si erano giurati la sera del ballo in cui si erano conosciuti. Per sua fortuna, Anila la sua fedele ancella, aveva intuito qualcosa e si preparava ad avvertirla, quando il crudele Niv l’aveva fatta rinchiudere in una cella dei sotterranei per impedirle di avvertire Shili dell’inganno.
“Dannazione” disse chiudendo il libro di botto. Lo lanciò contro la sacca e si avvolse nella coperta di lana. Restò con gli occhi chiusi cercando di allontanare qualsiasi pensiero per scivolare nel sonno, ma il ricordo dei corpi disseminati per la pianura riemergeva a ogni tentativo.
E se tra di loro ci fosse stato Vyncent? Si chiese. Come avrei reagito? Che cosa avrei fatto?
Per un attimo invidiò la povera Shili. Lei almeno poteva essere arrabbiata con l’amato Tevel, anche se si trattata di un inganno del perfido Niv. E aveva Anila che era dalla sua parte, in un palazzo in cui tutti gli altri le erano ostili e nemici.
Io non ho nessuno, si disse. Solo il mio potere. E devo usarlo nel migliore dei modi. E per ritrovare Vyncent, se è in pericolo.

 

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Capitolo 19
*** Fiducia ***


Fiducia

 
“A dieci miglia da qui” disse Toral con tono eccitato. “Ho visto i fuochi.”
Yan annuì deciso. “Insegne?”
“Quelle giuste. Arental, Belsier, Londolin e altre.”
Yan annuì di nuovo. “Sono loro. Tracce di assedio?”
Toral scosse la testa. “Nessuna. Dalla collina possono osservare la valle fino a trenta miglia di distanza. Tra poco ci avrebbero avvistati comunque.”
“Suggerisco lo stesso prudenza” disse Divash.
Bryce aveva notato che dopo la partenza di Jehla era diventato lui il consigliere di Yan.
“Sono alleati” disse Fraska.
“Alleato non sempre vuol dire amico” ribatté lo stregone. Guardò Elvana. “Chiedilo a lei.”
Elvana gli rivolse un’occhiata di sfida. “Che cosa vuoi insinuare?”
Divash scrollò le spalle. “Vogliamo parlare delle incursioni attorno a Clondalk? O di quello che avete combinato a Vilcroen?”
“Quelle terre erano nostre” disse Elvana. “Fino a che i Londolin non ce le rubarono.”
“E voi le avete saccheggiate.”
“Chiedere un tributo alle città non è saccheggiare.”
“Chiedilo a quelli che si sono visti portare via tutto, strega della notte. Siamo dovuti intervenire noi di Valonde prima che i Londolin vi facessero a pezzi, ma se fosse dipeso da me li avrei lasciati fare.”
“Basta così” disse Yan perentorio. “Ci avvicineremo facendoci vedere da molte miglia di distanza per non allarmarli.”
“Così gli renderemo le cose troppo facili” disse Divash.
“È il modo di agire di un alleato.”
Lo stregone ridacchiò. “È una bella frase da scrivere su di una tomba.”
Yan lo ignorò e si rivolse agli altri. “Faremo come ho detto. Avanziamo senza fretta in modo che ci vedano e abbiano il tempo di valutare la situazione. Sono in fuga da giorni, probabilmente stanchi e arrabbiati per la perdita di tanti dei loro amici. Potrebbero fare cose avventate e noi non dobbiamo provocarli. È chiaro?”
Tutti annuirono, persino Divash. “È una follia” disse. “Ma sei tu quello che comanda. Per il momento.”
Yan grugnì qualcosa e fece schioccare le redini.
La valle si allungava tra due catene montuose a destra e sinistra. La collina di cui aveva parlato Toral era nella parte meridionale, vicina a un fiume con il letto in secca che in quel momento era ridotto a un rigagnolo.
Guardando verso di essa Bryce notò un paio di torri grigie rovinate dal tempo e delle mura con degli ampi squarci. Non riconobbe alcuna figura, ma potevano trovarsi tutti all’interno.
“Rallentiamo” disse Yan quando si trovarono a metà strada.
“A quest’ora dovrebbero già aver deciso se siamo amici o nemici” disse Divash.
Yan tacque.
“Ancora sicuro che questa sia la cosa giusta da fare?” gli chiese con tono provocatorio.
“È un idiota” le disse Elvana sottovoce. “Ma stavolta ha ragione.”
“Sono alleati” disse Bryce. “Non ci attaccheranno.”
“Ti invidio” disse la strega.
Bryce la guardò stupita. “Tu invidi me? Ora mi sorprendi.”
Elvana annuì. “Invidio il modo in cui ti fidi di persone che non hai mai visto prima o che hai appena conosciuto.”
“Sono alleati” disse di nuovo.
A un miglio di distanza dalla collina Yan diede l’ordine di rallentare ancora.
“Se non usciranno che farai?” chiese Divash divertito. “Ci darai l’ordine di accamparci proprio qui fuori?”
Yan lo ignorò. “Voi aspettate qui” disse avanzando.
“È una cattiva idea” disse Divash.
“So quello che sto facendo” disse lo stregone.
L’altro scrollò le spalle. “Vuole morire.”
Bryce cavalcò fino ad affiancare Yan. “E se ti colpiscono?” gli chiese preoccupata.
“Non lo faranno.”
“Sarebbero già dovuti uscire dall’avamposto e venirci incontro.”
“Hanno solo paura.”
“Diecimila persone impaurite sono più o meno pericolose di dieci?” gli chiese.
Yan le sorrise. “Se muoio, prendi tu il comando.”
Bryce sgranò gli occhi. “Divash è di rango più elevato.”
“E con questo? Lo sono tutti nel nostro gruppo. Ora aspettami insieme agli altri.” Diede uno strattone deciso alle redini e cavalcò verso la collina.
Bryce si lasciò raggiungere dagli altri mentre lo osservava arrampicarsi su per i fianchi dell’altura e puntare all’ingresso, un arco crollato a metà che si apriva nelle mura. Dietro di esso colse alcune figure muoversi prima che Yan vi sparisse oltre.
“Speriamo per il meglio” disse Divash. “Ma state pronti per il peggio.”
Elvana smontò da cavallo e sedette a terra in disparte. “Non ne potevo più di stare in sella” si lamentò. “Ho la schiena a pezzi.”
Fraska, Toral e gli altri smontarono e sedettero in disparte a chiacchierare tra di loro. Divash invece andò da lei. “Che ti ha detto?” le chiese.
Bryce si accigliò. “Che dobbiamo fidarci di lui.”
Lo stregone annuì grave. “Bella cosa la fiducia. Peccato che di questi tempi non possiamo permettercela.”
“Se non possiamo fidarci nemmeno dei nostri vassalli, che cosa ci resta?”
“Noi” disse Divash.
Bryce guardò altrove.
“Io non sono stato invitato al ballo dopo la tua consacrazione” disse lo stregone dopo qualche attimo di silenzio. “Non sono di rango abbastanza elevato, ma conosco qualcuno che era presente. Che ha combattuto al tuo fianco, Bryce.”
“Chi?”
“I loro nomi non contano. Conta ciò che hanno visto.”
“Cosa?”
“Uomini e donne che una volta erano fedeli a Valonde cercare di ucciderci. La metà dei rinnegati che si sono infiltrati al ballo venivano da qui. Non erano di Malinor, di Orfar, di Belliron o di qualche sperduto regno del continente. Erano nati e cresciuti qui, tra di noi. Meno di un anno fa li consideravamo mici. Fratelli, qualche volta. E adesso.” Scosse la testa.
“I rinnegati sono questo. Persone che tradiscono la fiducia dei loro alleati.”
“Tu non guardi le cose dalla giusta prospettiva” disse Divash.
Di nuovo quella parola, pensò Bryce.
“Malag ci ha lanciato un segnale e noi lo stiamo ignorando.”
“Continua.”
“Ci sta dicendo che non possiamo fidarci di nessuno. Nemmeno dei nostri alleati. Chiunque, oggi o domani, potrebbe rivolgere le sue armi e i suoi dardi contro di noi.”
“Sembra quasi che tu l’ammiri” disse con tono provocatorio.
“È da solo e si batte contro i grandi regni uniti contro di lui. E ha avuto cento anni per preparare questa guerra. Noi che cosa abbiamo fatto nel frattempo?”
Bryce non aveva una risposta da dargli e nemmeno era sicura di volergli rispondere.
Dalla collina giunse il suono di un corno che fece scattare le teste di tutti verso l’alto.
“È un buon segno?” si chiese ad alt voce.
“È un segno” disse Divash perplesso. “Che sia buono o cattivo penso che lo scopriremo presto.”
Yan apparve vicino all’ingresso e non era solo. Ai suoi fianchi procedevano due cavalieri. Entrambi indossavano il mantello. Quello a sinistra era giallo limone, quello a destra verde scuro.
I tre discesero dalla collina al piccolo trotto e andarono loro incontro. Elvana e gli altri rimontarono in sella.
“Non sembrano ostili” disse Divash.
“Ma nemmeno amichevoli” aggiunse Toral perplesso.
“Yan sembra sereno” disse Adi.
Bryce aveva notato che era quella che parlava di meno nel gruppo originario delle ombre e cavalcava più indietro quando si mettevano in marcia. L’unico col quale scambiava qualche parola era Toral e lui sembrava sempre piuttosto apprensivo quando lei si attardava durante le marce.
Dèi, si disse. Siamo insieme da quasi mezza Luna e conosco così poco di queste persone. Elvana ha ragione. Mi fido di gente che conosco appena.
I tre cavalieri discesero la collina e trottarono verso di loro. Solo allora Bryce poté cogliere qualche particolare più chiaro sui volti dei due che lo accompagnavano. Quello a sinistra apparteneva a una donna dai capelli scuri e la pelle macchiata dall’età. Avanzava con portamento fiero, come se li osservasse dall’alto in basso per giudicarli.
Quello a destra invece avanzava con un sorriso ampio disegnato sul viso dai lineamenti più delicati che Bryce avesse mai visto, incorniciato da capelli chiari ed esaltato da occhi di un azzurro che le facevano sospettare che avesse rubato quel colore dal cielo stesso. Il suo mantello volteggiava dietro di lui come se fosse agitato da un vento invisibile mentre veniva verso di lei senza smettere di sorridere.
Solo a una ventina di passi di distanza li vide rallentare, mentre a ogni passo il suo cuore batteva più forte. Era un battito simile a quello di un martello nella forgia, quando Vyncent si fermò a una decina di passi di distanza e le rivolse un cenno con la mano.
“Io ti saluto, Bryce di Valonde” disse con tono allegro. “È bello rivederti di nuovo.”
“Vyncent” bofonchiò confusa.
La strega alla sinistra di Yan si fece avanti e le scoccò un’occhiata severa. “Tu sei la principessa Bryce di Valonde?”
Bryce sbatté le palpebre per la sorpresa. “Io ti saluto” disse senza pensarci, come le era stato insegnato quando doveva rivolgersi a una strega o uno stregone di rango più elevato del suo.
La donna continuò a fissarla in modo severo. “Ti ho chiesto se tu sei Bryce di Valonde.”
“Sono io” disse dopo qualche istante. “Tu chi sei?”
“Sei proprio la figlia di Marget e di quell’idiota di Andew?”
Alle sue spalle Elvana ridacchiò.
Bryce si schiarì la gola imbarazzata. “Io” disse. “Credo di sì.”
“Credi? Non sei sicura delle tue origini?”
“Sono chi dico di essere” rispose più sicura. “Sono la figlia di Marget e Andew, sovrani di Valonde.”
La strega si avvicinò e sembrò studiarla da vicino. “La somiglianza c’è” disse con tono scettico. “Hai l’eleganza e la bellezza di Marget, su questo non ho alcun dubbio, ma sembra che tu abbia ereditato anche la stupidità di tuo padre.”
Bryce si sentì infiammare da quelle parole. “È del re che stai parlando.”
“Credi che non lo sappia?”
“Scegli con cura le parole, allora” l’ammonì.
La strega le scoccò un’occhiata divertita. “Sì, hai proprio la sua stupidità e l’arroganza.”
“L’arrogante qui sei tu” le rispose.
La strega le voltò le spalle rivolgendosi a Yan. “Non stavi affatto mentendo.” Guardò Elvana. “Nemmeno sulla strega della notte. Un terzo dei nostri sono di Londolin. Sarà divertente vedere che cosa accadrà.”
Elvana le rivolse un sorriso forzato.
La strega diede un deciso strattone alle redii. “Venite dentro. Tutti. Parleremo dopo.” Lanciò un’occhiata a Vyncent. “Tu hai garantito per loro e tu te ne dovrai occupare.”
Vyncent le rispose con un cenno della testa. “Penserò io a loro.”
La strega cavalcò verso la collina e solo allora Yan emise un leggero sospiro. “Per ora siamo salvi” disse rivolgendosi agli altri. “Cerchiamo di sfruttare il poco tempo che abbiamo guadagnato.”

Note
Saltato un capitolo per problemi di connessione ma lo recuperiamo oggi e domani :)

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Capitolo 20
*** Tu non sei la benvenuta ***


Tu non sei la benvenuta

 
Bryce fece trottare il cavallo al fianco di quello di Vyncent. Lui era passato in testa guidandoli lungo il sentiero che si avvolgeva attorno alla collina e portava all’avamposto in cima.
Appena i loro occhi si incontrarono, Bryce sentì un brivido percorrerle la schiena.
È vivo, si disse sollevata. Sta bene. E ha ancora quel magnifico sorriso.
Aveva temuto che fosse morto in qualche battaglia o in un agguato dei rinnegati, ma ora che lo vedeva lì al suo fianco non riusciva a credere di essere stata così fortunata.
“Credo” disse Vyncent. “Di doverti qualche spiegazione.”
“Sì” disse imbarazzata. “Ti avevo lasciato a Valonde. Pensavo ci sarebbero volute intere Lune per raggiungere il confine meridionale.”
“Rajan è riuscito a organizzare in fretta un’armata di trentamila soldati e trecento mantelli.”
“È grande quasi quanto quella di Erix.”
Vyncent annuì. “L’attacco nel giorno della tua consacrazione ha impressionato molto i regni vassalli.  Re e governatori hanno subito inviato le loro forze e Rajan, usando dei dispacci, li ha fatti radunare in un punto convenuto il più vicino possibile al confine.”
“Dove?”
“Foldor.”
“È a trecento miglia da qui” disse Bryce ricordando una mappa che aveva consultato insieme a Erix. “Vi siete allontanati troppo.”
“Noi siamo partiti prima di Rajan. Voleva che occupassimo una fortezza vicino al confine con Candor, ma come vedi ci siamo dovuti ritirare in fretta.”
“Cos’è accaduto?”
“Rinnegati” rispose Vyncent. “Ecco cosa. Un’armata di cinquantamila soldati e cinquecento mantelli. Hanno travolto le nostre forze uccidendone un terzo e disperdendone altrettante. Noi siamo tutto ciò che ne resta.” Indicò le torri sopra di loro con un cenno della testa.
Bryce si accigliò. “Almeno stai bene.”
Vyncent si strinse nelle spalle. “Non tutti. Metà dei soldati si sono ammalati per la fame e la sete. In giro non c’è molto da cacciare e la valle è priva di fiumi e laghi. Presto dovremo spostarci. Artesia ne stava discutendo con i pochi comandanti sopravvissuti.”
“Artesia?” chiese Bryce. “Ti riferisci a quella odiosa donna che mi ha offesa?”
Vyncent annuì divertito. “Proprio lei.”
“Ti diverte l’idea che mi abbia offesa?” gli chiese infastidita.
Il suo sorriso si allargò. “In verità, sì. Ma Artesia fa così con tutti. Rajan non la sopporta ma quando mi ordinò di unirmi alla sua armata, mi avvertì di non reagire alle sue provocazioni.”
“Ha offeso anche te?”
“Più di una volta.”
“È intollerabile” disse Bryce. “Perché si comporta in questo modo?”
“Rajan dice che doveva far parte di un gruppo di streghe, ma che fu cacciata via o perse l’occasione per qualche motivo e da allora è diventata così.”
“Cosa c’entrano mio padre e mia madre?”
“Non lo so e a dire la verità ti consiglio di non chiederle niente.”
“Dovrei sopportare in silenzio?”
“È lei al comando, ora.”
Bryce sbuffò. “Sarà difficile trattenermi se usa di nuovo quelle parole verso mio padre.” Cercò di sgombrare la mente dalla rabbia che aveva provato e si concentrò sui problemi che avevano. “Artesia ha detto che tu hai garantito per noi.”
Vyncent annuì serio. “È così. Quando vi abbiamo avvistato, c’è stata una discussione tra i comandanti.”
Bryce si accigliò.
“Non riuscivano a mettersi d’accordo su cosa fosse meglio tra uccidervi subito o attendere che vi avvicinaste di più. Avevamo già pronti una trentina di cavalieri che vi avrebbero inseguiti e uccisi, se necessario.”
“È assurdo.”
“Vi credevamo esploratori rinnegati.”
“Non avevate notato i nostri mantelli?”
“Il secondo attacco che abbiamo subito è iniziato così.”
“Racconta” lo esortò.
“Vennero in dodici. In tre indossavano il mantello blu e gli altri erano soldati con le insegne di Valonde e di alcuni vassalli.”
“Chi erano?”
“Rinnegati” disse Vyncent. “Ma l’abbiamo scoperto soltanto dopo. Dissero di venire dall’armata di Erix.”
“Non è possibile” esclamò Bryce.
Lui si strinse nelle spalle. “Io non ero presente quando vennero accolti, ma parlai con un paio di loro.”
“Che cosa dissero?”
“Sembravano di Valonde, Bryce. Vestivano come voi. Parlavano col vostro strano accento.”
“Strano?”
Lui annuì. “Li interrogarono. Persino io feci qualche domanda. Furono molto convincenti.”
“Che cosa accadde dopo?”
“Se ne andarono dicendo che sarebbero tornati all’armata di Erix per riferire che noi eravamo vicini al confine. Due giorni dopo venimmo attaccati da un’armata di rinnegati. Sapevano esattamente dove stavamo andando e come colpirci. Puntarono alle retrovie, dove avevamo concentrato le riserve di cibo e acqua.” Sospirò. “Ecco perché non si fidano molto di voi.”
Bryce annuì solenne. “Quello che hanno fatto i rinnegati è da infami.”
“I rinnegato dovrebbero esserlo per definizione” disse Vyncent.
“Dovrebbero?”
“Durante l’attacco ne catturammo un paio. Erano feriti gravemente, senza speranza di poter sopravvivere fino al giorno dopo. Artesia e i comandanti decisero di interrogarli lo stesso per trarne qualche informazione utile.”
“Parlarono?”
Vyncent annuì.
“Che cosa dissero?” gli chiese con impazienza. “Rivelarono qualche informazione importante? Il nascondiglio di Malag?”
“Parlarono, sicuro” disse lo stregone. “Dissero anche più di quanto volevamo sapere.”
Bryce si accigliò.
“Quella gente è folle, Bryce” proseguì Vyncent con voce cupa. “Non fecero altro che ripetere quanto fossero felici di morire per Malag. Maledissero i circoli e i regni che avevano servito fino a poche Lune prima. Dissero che si erano uniti alla ribellione perché non si poteva creare un mondo nuovo senza distruggere quello vecchio, che la stregoneria era arrivata alla fine del suo tempo e che i circoli sarebbero scomparsi insieme ai vecchi regni.”
Bryce scosse la testa. “Combattono per queste sciocchezze?” gli chiese.
“Per loro sembravano faccende serie. Ed è questo che mi preoccupa più di ogni altra cosa.”
“E del rinnegato? Di Malag? Che cosa dissero?”
“Lo considerano l’eroe prescelto, come quello delle profezie.”
Bryce deglutì a vuoto. “Non hanno rivelato dove si nasconde? La sua orda è qui, non può essere lontano.”
“A quale orda ti riferisci?”
“Quella che vi ha attaccato.”
“Non è l’unica.”
Bryce serrò la mascella. “Ce ne sono altre?”
Vyncent annuì. “Mentre ci dirigevamo a sud abbiamo attraversato varie regioni. Dove ci siamo fermati abbiamo raccolto notizie più recenti di quelle che sono giunte a Valonde. Ci sono almeno tre armate di rinnegati in marcia. Forse quattro.”
“Quattro” disse Bryce. “E in quale di queste si troverebbe Malag?”
“A che cosa ti servirebbe saperlo?”
“Andrei da lui e lo affronterei in duello” disse sicura.
Vyncent sorrise. “So che lo faresti di sicuro, Bryce. Ma sarebbe del tutto inutile, temo. L’arcistregone è un vile e non accetterebbe mai la tua sfida. Forse ti farebbe combattere contro qualche suo leccapiedi, come Gauwalt l’evocatore o Nimlothien la Strega Bianca.”
“Io so che potrei battere Malag” disse Bryce. “Sono nata per questo.”
Dicendolo, le sembrò di udire suo padre che glielo ripeteva ogni volta che si sentiva stanca dopo un allenamento o aveva voglia di uscire in giardino e godersi il sole del tardo pomeriggio invece di stare rinchiusa in un sotterraneo a sudare e farsi colpire da un addestratore.
Vyncent sorrise mesto. “Vorrei che fosse così semplice.”
“Lo sarebbe, se potessi arrivare abbastanza vicina all’arcistregone. È vecchio e debole e io potrei colpirlo facilmente.”
“Se sapessimo dove si trova, forse potremmo sferrare un attacco, ma non sappiamo dove sia. È molto abile a mantenere il segreto.”
“Non lo sarà per sempre” disse Bryce stringendo i pugni. “Lo troverò e metterò fine a questa guerra.”
“Se andrai a cercarlo, io verrò con te” disse Vyncent sorridendole.
Bryce ricambiò il suo sorriso.
Stava per aggiungere che avrebbe fatto volentieri il viaggio con lui, da sola se necessario, quando una voce alle sue spalle disse: “Questo sarebbe davvero un problema, Londolin.”
Si voltò e vide Elvana che risaliva la collina dietro di loro.
Da quanto è lì che ci ascolta? Si chiese infastidita. E quanto ha sentito di ciò che ci siamo detti?”
“Io ti saluto” disse Vyncent in tono allegro. “Lieto di vedere che sti bene. Sei ancora la scorta di Bryce?”
Elvana scrollò le spalle. “Sì, anche se lei spesso se ne dimentica. Da quello che ho capito, penso che preferirebbe avere te, come scorta personale.”
Vyncent arrossì.
“Sei patetica” disse Bryce.
“Ma non lo stai negando” rispose Elvana.
“Taci” le intimò.
La strega ridacchiò.
Almeno l’ho fatta stare zitta, pensò Bryce con sollievo.
Mentre parlava con Elvana, Vyncent era andato avanti con suo disappunto. Fece avanzare il cavallo fino a raggiungerlo davanti all’ingresso dell’avamposto, un arco di pietra tra due mozziconi di mura consumate dal tempo.
Davanti a esso una dozzina di soldati armati di lancia e scudo montavano di guardia insieme a due mantelli di colore verde scuro.
Uno di essi si fece avanti e guardò nella loro direzione con espressione severa. “Artesia” disse a voce alta. “Ci fai correre un grosso rischio. Non ti è bastata la prima volta?”
La strega fece una smorfia di disgusto. “Fatti da parte, Maggart. Questo gruppo viene dall’armata di Erix.”
“Come quello precedente” rispose lo stregone. “E guarda poi che cosa è accaduto.”
Artesia indicò Bryce. “Quella lì, anche se non sembra, è la principessa di Valonde. La figlia di Marget e Andew.”
“Chi lo dice?” chiese Maggart.
“Garantisco io per lei” rispose Vyncent.
Lo stregone lo fissò con disappunto.
“Ne abbiamo già discusso con i comandanti prima che andassi a riceverli” disse Artesia con tono spazientito.
“Forse dovevamo discuterne di più” rispose lo stregone.
“Fatti da parte” gli intimò Artesia.
Maggart restò immobile, come a soppesarla, poi fece un passo di lato. “Come vuoi. Sei tu la comandante.”
Bryce ebbe la sensazione che volesse aggiungere ‘per ora’, ma Maggart si limitò a lanciarle un’occhiata ostile. Quando Elvana gli passò di fronte i suoi occhi sgranarono.
“La strega della notte” disse indicandola con il braccio teso.
Elvana si girò verso lo stregone. “Hai qualcosa da ridire?”
“Tu non sei la benvenuta qui” disse Maggart.
Artesia lo fissò con disgusto. “Hai proprio deciso di farti disprezzare da tutti? La strega della notte è la scorta della principessa Bryce.”
Maggart sputò tra le zampe del cavallo di Elvana. “Non dovevi venire qui, ladra. Dovevi restare nel tuo vaqir a marcire. Nessuno di noi ha dimenticato che cosa avete combinato a Vilcroen e Taissill tu e i tuoi amici ladri.”
Elvana lo fissò accigliata.
Maggart girò su sé stesso e superò l’entrata.
Bryce si sporse verso Elvana. “Cos’è un vaqir?”
“Voi li avete i bagni pubblici a Valonde?”
“Sì, certo” rispose.
“Anche noi, ma prima usavamo i vaqir al loro posto” rispose la strega. Fece schioccare le redini e la superò diretta all’ingresso.
Bryce la vide sfilare chiedendosi che cosa fosse un vaqir.

 

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Capitolo 21
*** Il tuo valore ***


Il tuo valore

 
“È un buco scavato nel terreno” stava dicendo Elvana con tono esasperato. “Che una volta si usava al posto dei bagni pubblici. Una volta che era bello pieno e puzzolente, veniva coperto con la terra e ci si dimenticava della sua esistenza.”
Bryce l’ascoltava divertita e disgustata al tempo stesso.
“Soddisfatta ora?” le chiese Elvana spazientita.
“Direi di sì, anche se avrei preferito non ascoltare la spiegazione.”
“Sei tu che me l’hai chiesta.”
“Ero solo curiosa di sapere” si difese.
“Cosa? Perché Maggart ha usato quella parola?”
Bryce annuì.
“E adesso che lo sai?”
“Perché ti offende così tanto?” le domandò.
“Chi ti dice che mi offende?”
Bryce si strinse nelle spalle.
“Non sono affatto offesa. Pensa alle faccende tue, Bryce di Valonde. Ho come l’impressione che preferiresti stare da sola con Londolin in questo momento.”
Artesia aveva provveduto a riservare loro delle tende. Le prime due le aveva assegnate ai componenti del loro gruppo. La terza era riservata a loro.
“È comoda e ci starete bene” aveva detto la strega.
“Devo proprio stare con Elvana?” aveva domandato Bryce.
“È la tua scorta, no? Non sarebbe una buona idea dividervi.”
“Non rispondi, principessa?” fece Elvana strappandola ai ricordi. “Ti farebbe piacere se al mio posto ci fosse Londolin qui dentro?”
“Si chiama Vyncent.”
“Il suo nome non conta. I Londolin sono tutti uguali. Arroganti. Prepotenti. Come quel Maggart.”
Quello stregone non piaceva nemmeno a lei ma era sicura che Vyncent fosse diverso.
“Lui non è come gli altri” disse Bryce. “E preferirei dividere la tenda con chiunque in questo avamposto, piuttosto che con te.”
Elvana le rise in faccia e andò a sedersi su di una stuoia. A parte quello la tenda era vuota. Avevano sistemato le loro sacche in un angolo e il resto dello spazio era a loro disposizione.
Bryce infilò la mano nella sacca e ne trasse il Destino della Strega. Aveva lasciato Shili in pericolo e Anila, la sua fedele ancella, prigioniera nelle celle sotterranee del castello dove il malvagio principe Niv, l’usurpatore, l’aveva fatta rinchiudere per impedirle di avvertire la principessa.
Evocò una lumosfera e lesse di come Anila veniva liberata dal prode cavaliere Ronnel, il quale era segretamente innamorato di lei da quando l’aveva vista a palazzo solo qualche giorno prima. Anila premiava quel gesto eroico baciandolo per la prima volta. Il cavaliere e l’ancella si facevano strada nelle segrete, ma il tempo scorreva veloce e se non avessero fatto in tempo a uscire, non avrebbero potuto impedire che il principe Niv sposasse con l’inganno la dolce Shili.
“Devi proprio usare la lumosfera a quest’ora?” si lamentò Elvana, la testa mezza avvolta nella coperta di lana.
“È buio” disse Bryce. “Non posso leggere senza una luce.”
“Leggerai domani, quando sorgerà il sole.”
“Domani potrei essere impegnata.”
“In cosa, se dovrai dormire per recuperare il tempo che ora stai sottraendo al sonno?”
Bryce chiuse il libro e lo infilò in una tasca interna del mantello. Con un gesto veloce della mano fece sparire la lumosfera e si alzò dirigendosi all’ingresso della tenda.
“Dove vai?” le chiese Elvana.
“Mi serve un po’ d’aria. Tu non scavare buche nella tenda per usarle come voqir” disse per provocarla.
“Idiota” le gridò dietro Elvana. “E si chiamano vaqir.”
Si concesse un ghigno mentre metteva la testa fuori dalla tenda. La spianata tra le mura mezze crollate era occupata da altre tende uguali alla sua. Ne aveva contate quasi cinquanta, ma ce n’erano almeno il triplo. Soldati sorvegliavano la valle dall’alto delle mura e delle due torri ancora in piedi. Una terza torre, al centro di quello che una volta doveva essere il cortile della fortezza, era crollata a metà. Una luce palpitante proveniva dall’unica entrata, un arco alto appena a farci passare sotto una persona senza costringerla a piegarsi in due.
Quella era la tenda di Artesia ed era lì dentro che Yan si era infilato appena giunti al campo. Insieme a lui erano entrati i comandanti dell’armata, Vyncent incluso.
Bryce lo cercò con lo sguardo tra le tende ma non riuscì a trovarlo.
Forse è ancora dentro? Si chiese.
Girò tra le tende incrociando sguardi distratti che fissavano i bivacchi che languivano. Nell’aria non c’era odore di carne cucinata o di zuppa, ma solo di legno marcito messo a bruciare nei bracieri.
I volti dei soldati erano scavati e le loro espressioni rassegnate. Un ragazzo che poteva avere la sua età sonnecchiava appoggiato a un mozzicone di colonna, il corpo mezzo avvolto nella coperta di lana.
Uno stregone con il mantello color giallo limone la guardò passare e mormorò qualcosa di incomprensibile. Bryce lo ignorò cercando con lo sguardo un angolo tranquillo dove sedersi a leggere.
Girò attorno a ciò che restava di una torre trovando un incavo tra le mura. Il tempo aveva staccato alcune pietre formando un sedile naturale dove si accomodò sistemando il mantello come se fosse una coperta.
Evocò la lumosfera e la lasciò fluttuare sopra la sua testa. Aprì il libro al punto dove aveva lasciato Anila e Ronnel che cercavano di scappare. Il capitolo finiva con i due che incontravano un ostacolo nei sotterranei. Quello successivo si apriva con Shili che si struggeva al pensiero della sorte toccata al suo amato Tevel.
Bryce si accigliò.
Quando ha scoperto che Tevel è stato rapito? Non credeva che l’avesse rinnegata?
Ricordò che in un capitolo precedente, Yanait, un mago di corte crudele e intrigante, aveva creato un filtro per cancellare il ricordo dell’ultima mezza Luna vissuta dalla principessa perché aveva assistito a un antico ed empio cerimoniale per evocare un demone.
Bryce chiuse di scatto il libro, gli occhi che le bruciavano e la mente confusa.
Demoni, maghi, principesse, si disse, non ci sto capendo più niente. Come fa Joyce a leggere questa roba? Non riuscirò mai a finire il libro prima di tornare a Valonde. Se mai tornerò.
Quel pensiero la colpì. Non aveva mai messo in dubbio che sarebbe tornata a Valonde. Nei suoi pensieri, tornava a casa con la notizia della morte dell’arcistregone per mano sua, dopo un’aspra battaglia che la vedeva trionfare sulla sua orda di rinnegati.
Non aveva alcun dubbio su quello. Era sicura che Erix avrebbe condotto l’armata allo scontro decisivo contro quella di Malag e lei si sarebbe occupata dell’arcistregone mettendo fine al suo empio regno.
Ma non esiste una sola orda, si disse. Ci sono almeno quattro armate e chissà quante altre di cui ancora non sappiamo niente. Non sarà una guerra veloce come mi avevano detto.
“Deve essere proprio un bel libro quello” disse una voce facendola trasalire.
Alzò la testa di scatto incrociando lo sguardo divertito di Vyncent. Alla luce della lumosfera il suo viso dai lineamenti delicati sembrava ancora più dolce e gli occhi più chiari e profondi, se mai fosse stato possibile.
“Il Destino della Strega” disse Vyncent inclinando la testa di lato per leggere il titolo. “Di Adenora Stennig. Ne ho sentito parlare.”
Bryce rise imbarazzata. “Non è mio. È un prestito di Joyce.”
“Tua sorella?”
Annuì. “La ricordi, giusto?”
“Certo” fece lui, il viso che gli si illuminava. “Come avrei potuto dimenticarla? Non ti ho chiesto se stesse bene quando hai lasciato Valonde e io non ho avuto il tempo di passare per porgerle i miei saluti.”
“Stava bene.”
“Era ancora spaventata dopo l’attacco?”
Bryce annuì. “Era anche preoccupata per mio padre.” Sospirò. “Spero stiano bene. Tutti quanti.”
“Lo spero anche io.” Vyncent. “Ti ha domandato di me?”
“Mio padre?”
Vyncent ridacchiò. “Parlavo di Joyce.”
Bryce si accigliò. “Non so, non ricordo” disse incerta. “È importante?”
Vyncent si strinse nelle spalle. “No. Le hai scritto qualche lettera?”
“Quando ero con l’armata di Erix” disse Bryce. “Due lettere. E ho anche ricevuto una risposta. Spero di trovare una seconda lettera quando tornerò alla mia armata.”
“Lo spero anche io. Porgile i miei saluti se le scriverai una terza lettera.”
“Lo farò” disse Bryce. “La riunione è finita?”
“Non ancora. Artesia ha fatto uscire tutti tranne Yan. Credo voglia discutere con lui le prossime cose da fare.”
“Yan non è un comandante” disse Bryce.
“Conosce questa regione meglio di chiunque altro. Credo che Artesia voglia sfruttarlo per portare la nostra armata in salvo.”
“Sarebbe la cosa migliore da fare” disse Bryce.
“Ma prima dovremo trovare acqua e cibo. Avrai notato che non siamo messi molto bene.”
“L’ho visto” disse.
Ricordava i visi scavati e gli sguardi assenti.
“Vi aiuteremo” disse Bryce sicura. “Tuti noi lo faremo.”
“Proprio tutti?”
Bryce annuì.
“Anche la tua scorta personale, Elvana?”
“Lei forse un po’ meno degli altri” ammise. “Maggart sembra disprezzarla, ma sono certa che lei non gli abbia fatto alcun torto.”
“Alcuni di noi disprezzano gli abitanti di Nightanatois.”
“È per via del re conquistatore?”
“Non solo.”
“Vilcroen” disse Bryce. “Maggart ha parlato di questo luogo. L’ho già sentito nominare.”
Vyncent annuì grave. “È stato un episodio molto spiacevole. Anche se è accaduto qualche anno fa nessuno a Londolin ha ancora dimenticato. Né perdonato.”
Bryce attese che proseguisse.
Vyncent sospirò. “Dieci anni fa, i Ningothriani passarono il confine con Londolin e attaccarono alcune città.”
“Un atto di guerra?”
Lui annuì. “Vilcroen venne assediata e poi saccheggiata.”
“Aggredire un alleato è un atto da infami.”
“Molti di Londolin la pensano così.”
“Ora comprendo Maggart. Anche io avrei difficoltà a stare vicina a una di loro.”
“Questo spiega anche perché non ce ne sono in questa armata. Rajan ha pensato bene di dividere i due contingenti mettendoli in armate diverse. Per evitare che accadessero cose spiacevoli come questa mattina.”
“Non devi fartene una colpa” disse Bryce. “Avete tutto il diritto di sentirvi offesi.” Scosse la testa.
Vyncent invece si strinse nelle spalle. “Non incolpare Elvana. Lei era troppo giovane a quel tempo. Lo eravamo tutti, tranne forse lo stesso Maggart e qualche altro soldato. So che lui perse un fratello in quella campagna.”
“Mi spiace per lui.” Sospirò cercando le parole successive. “Volevo ringraziarti.”
“Per quale motivo?”
“Hai garantito per me” disse. “Davanti ad Artesia e gli altri.”
“Ho solo detto loro chi sei. E quanto vali.”
Il cuore di Bryce prese a battere più forte.
Vyncent guardò dietro di sé. “Ora devo completare il mio giro di ispezione e controllare che nessuno si azzuffi per qualche sciocchezza.”
“Certo” disse Bryce raddrizzando la schiena. “Vai pure. Non ti trattengo oltre.”
Mentre si allontanava fissò la schiena di Vyncent finché non sparì dietro una tenda.

 

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Capitolo 22
*** Gloriose vittorie ***


Gloriose vittorie

 
“La tenda del comandante Maggart è quella lì” disse il soldato indicandone una vicina alla torre crollata.
“Ti ringrazio” disse Bryce.
Il soldato rispose con un cenno della testa e tornò a sedersi.
Bryce camminò fino alla tenda di Maggart. All’esterno c’era un vessillo infisso nel terreno. Raffigurava un corvo col becco ricurvo.
“Posso entrare?” chiese ad alta voce.
“Entra” rispose qualcuno dall’interno.
Bryce scostò il velo che chiudeva la tenda e si infilò sotto di esso. Maggart sedeva sulla stuoia al centro, le gambe incrociate e l’espressione assorta.
“Ti disturbo? Se vuoi ripasso dopo.”
Lo stregone scosse la testa. “Immagino tu abbia un buon motivo per venirmi a parlare.”
“È così” disse Bryce.
“Ti ascolto, ma non metterci troppo. Devo completare i miei esercizi di meditazione.”
Bryce si accigliò.
“Non sai di cosa parlo, giusto?” chiese lui con tono divertito.
Lei scrollò le spalle. “So cosa vuol dire meditare.”
“Qui non c’è molto da fare e passare il tempo con i miei pensieri aiuta molto. In caso contrario, finirei per azzuffarmi come hanno fatto un paio di sere fa.”
“Vyncent mi ha detto che ci sono state delle risse.”
“Due soldati si sono accoltellati. Uno è morto. Non è stata esattamente una rissa. Ma ad Artesia e agli altri comandanti piace pensarla in questo modo. Li fa sentire più tranquilli, come se avessero il controllo di quello che sta accadendo.” Scosse la testa. “Illusi.”
“Tu non hai fiducia in Artesia?” chiese Bryce.
“Ho fiducia nel fuoco e nell’acciaio. E nei miei poteri. Artesia e gli altri non hanno ancora compreso che non vinceranno questa guerra seguendo le loro vecchie regole.”
Bryce si accigliò.
“Ti hanno raccontato che cosa accadde prima di venire attaccati?”
“So della pattuglia di rinnegati.”
 Maggart annuì grave. “Allora sai che cosa abbiamo dovuto passare da quel giorno. Senza cibo e con poca acqua, attraversare questa regione desolata è un suicidio. La città più vicina è a duecento miglia da qui, ma potrebbe trovarsi su Andivalir o Takriri, non ha importanza. Artesia decise di portarci qui perché lo riteneva un posto sicuro.” Scosse la testa. “Una valle chiusa con una sola entrata e una sola uscita. Ci sono solo montagne intorno a noi e nessuno qui è un minatore.”
“Yan è il miglior esploratore dell’armata di Erix” disse Bryce sicura. “Lui saprà portarci in salvo.”
“Come, principessa? Se domani dovesse apparire un’armata di rinnegati, che cosa faremmo secondo te? Deboli e sfiduciati come siamo, non dureremo a lungo.”
“Combatteremo” disse Bryce. “Se non ci sono alternative.”
Maggart sospirò. “E se l’alternativa ci fosse?”
“Contro i rinnegati non si può fare altro.”
“Ammiro la tua sicurezza. Per quanto mi riguarda, voglio solo portare in salvo quelli che sono sotto il mio comando. Li ho condotti io qui, promettendo una campagna di gloriose vittorie e invece li sto costringendo a una fine umiliante. È questo che Artesia e gli altri non riescono a comprendere.”
Bryce annuì solenne. “Il tuo sembra un intento nobile.”
“Nobile? La sopravvivenza non lo è, ma è a questo che ci hanno ridotti.”
“Chi?” chiese allarmata.
“Chiedilo a Erix quando la rivedrai. È stata lei a ordinarci di venire qui.”
“Per occupare la regione?”
“Per tenere impegnati i rinnegati mentre l’armata di Valonde viaggiava sicura.”
Bryce sentì l’inquietudine agitarsi dentro di lei. “Erix non avrebbe mai fatto niente del genere.”
“Se non lei, quelli che le danno ordini. Gente come Ferres o Persym. O tuo padre, il re.”
Bryce serrò la mascella. “Ero venuta a chiederti scusa per Elvana” disse.
“Puoi tenerti le tue scuse” disse Maggart duro. “Porgile a quelli che lì fuori stanno per morire di fame e di stenti per difendere voi di Valonde.”
“Io ti saluto” disse Bryce volgendogli le spalle.
Quando uscì dalla tenda inspirò una lunga boccata d’aria per calmarsi. Il sole era appena sorto dietro le montagne a occidente ed era ancora fresco abbastanza da essere sopportabile, ma sapeva che con l’avanzare della giornata il caldo sarebbe aumentato e con esso il disagio di chi non aveva abbastanza acqua.
Trovo Yan che osservava l’orizzonte dall’alto di una delle torri crollate. Per raggiungerlo dovette arrampicarsi facendo attenzione a non scivolare sulle rocce. Si aiutò usando il potere per rinforzare i muscoli delle gambe e delle braccia.
Yan la guardò con espressione perplessa. “Vieni a goderti il panorama?”
Bryce scosse la testa. “Dobbiamo fare qualcosa per l’acqua.”
“Chi ti dice che non ne abbiamo parlato?”
“Cosa vi siete detti alla riunione?”
Yan sorrise. “Dovrebbe essere un segreto.”
“Dovrebbe o lo è?”
Lui scrollò le spalle. “Dannazione, non ci siamo detti niente che tra poco non sapranno tutti al campo.” Fece una pausa. “Non sono messi affatto bene.”
“Lo so. Ho parlato con Maggart. E ho visto i soldati.”
Yan annuì. “Sono esausti. Hanno combattuto in due battaglie e le hanno perse entrambe. Significa che alla terza sconfitta questa armata non esisterà più. Ancora non capisco come abbia fatto Artesia a tenerli insieme. In circostanze diverse si sarebbero già dispersi per la regione.”
“Non sarebbe meglio?”
Yan si accigliò.
“Divisi attirerebbero meno l’attenzione. Noi siamo solo in dieci e riusciamo a nasconderci bene.”
“Non sono esploratori. Non tutti, almeno. Ne avevano qualcuno anche piuttosto abile, ma li hanno persi negli scontri. Non sopravviverebbero a lungo se si dividessero.”
Bryce fece per dire qualcosa ma Yan le fece un cenno con la mano.
“Abbiamo elaborato un piano” disse lo stregone. “Giusto per dimostrarti che non siamo degli sprovveduti.”
“Ti ascolto.”
“Guiderò una missione di esplorazione. Lo scopo è cercare acqua e cibo. Le città sono lontane ma ci sono dei villaggi qui attorno. Avranno dei pozzi da cui attingere l’acqua per bere e coltivare.”
“Sarà pieno di rinnegati.”
“Lo so. È per questo che avrò una scorta adeguata.”
“Voglio farne parte.”
Yan si accigliò. “Non puoi.”
Bryce ebbe un tuffo al cuore. “Io faccio parte del tuo gruppo.”
“Mi spiace, Bryce, ma preferisco che tu sia qui al sicuro. Sarebbe davvero troppo pericoloso portarti con noi, stavolta.”
“Mi hai portato con te fin qui.”
“Era diverso” disse Yan.
“Come?” fece lei irritata.
Lo stregone distolse lo sguardo da lei.
“Yan?” gli chiese con tono insistente.
“Non erano questi gli accordi.”
Bryce si accigliò. “Quali accordi?”
“Quelli che ho preso con Erix.”
“Voi due vi siete accordati?”
Yan annuì. “Dopo la rissa con Divash, Erix voleva rimandarti a Valonde. Pensava che non fossi pronta.”
“Non è vero.”
“Lasciami finire.”
Bryce avrebbe voluto dire altro ma serrò le labbra.
“Le dissi che ti avrei presa nel mio gruppo.”
“Perché?”
“Avresti preferito tornare a Valonde?”
“Mai” esclamò.
Per Bryce tornare a casa senza nemmeno aver combattuto sarebbe stata una sconfitta. Si sarebbe opposta. Avrebbe lottato, se necessario.
“La tua espressione dice tutto” fece Yan. “E lo dissi a Erix. Lei e io abbiamo avuto la stessa guida, ci conosciamo da anni e lei si fida di me. Le disse che ti avrei presa nel mio gruppo e ti avrei portata in esplorazione in una regione tranquilla.”
Bryce avvampò. “Questo” disse contenendo a stento la rabbia. “È umiliante.”
Yan trasse un profondo respiro. “Le nostre intenzioni erano buone. Pensavamo che questa regione fosse sicura, con l’armata dei vassalli a controllarla. Ma non avevamo previsto l’audacia dei rinnegati.”
Bryce si accigliò.
“Ho parlato con Artesia. Ti hanno riferito che dopo la prima battaglia hanno catturato dei rinnegati?”
Annuì. “Vyncent dice che erano dei folli.”
Yan sorrise. “Anche nella loro follia le informazioni che ci hanno fornito potrebbero essere utili per capire i piani dell’arcistregone. Pare che voglia sferrare un attacco, ma non sappiamo né quando, né dove.”
“Scopriamolo” disse Bryce.
“È quello che ho intenzione di fare. “Ma prima dobbiamo portare al sicuro questa armata. Ogni singolo guerriero o mantello ci serviranno in questa guerra e io non voglio sprecarne nemmeno uno.”
“Porta anche me” disse Bryce.
“Mi spiace” rispose Yan. “Sei più utile qui che come esploratrice.”
“Non è vero” protestò con veemenza.
Yan si strinse nelle spalle. “Ho preso la mia decisione.”
Bryce gli voltò le spalle e scese dalla torre saltando sulle rocce. Quasi scivolò prima di atterrare ma riuscì a rimanere in equilibrio e si lasciò cadere a terra. Marciò decisa verso la tenda al centro del campo, quella davanti alla quale c’erano i vessilli di Arental e di altri.
“Tu non puoi entrare” disse una strega vicina all’ingresso. Indossava il mantello verde limone e una tunica di colore rosso sopra pantaloni scuri.
“Devo parlare con Artesia.”
“La comandante è impegnata.”
“Lasciala passare Fenya” disse una voce proveniente dall’interno.
La strega sembrò esitare, poi fece un passo di lato. “Entra.”
Bryce passò senza guardarla e si infilò nella tenda.
Artesia l’attendeva in piedi, le braccia incrociate sul petto.
“Voglio andare con Yan” disse Bryce con tono deciso.
La strega sbuffò. “Ecco che emerge la tua somiglianza con Andew.”
“Voglio andare” ripeté. “Faccio parte del suo gruppo. Potrei essergli utile.”
“È Yan che decide chi parte e chi resta. In ogni caso, saranno solo due del suo gruppo ad andare. Gli altri otto saranno della nostra armata.”
“Perché?”
“L’ho deciso io.”
“Dimmi il motivo” disse a muso duro.
Artesia sospirò esasperata. “Sei più stupida di tuo padre. Adesso esci, ho da fare.”
Bryce rimase immobile. “Perché mi volete proteggere? Non è giusto.”
“Tu sai quello che è giusto e quello che è sbagliato, principessa Bryce?”
“Sono una strega come tutti gli altri” disse toccandosi il petto con il palmo della mano.
“Allora comportati come tale e accetta gli ordini di chi ha un rango superiore al tuo.”
“Sono più forte di chiunque altro in questa armata. Posso dimostrartelo.”
“Non l’ho mai dubitato. Tu sei destinata a diventare la strega suprema, lo sanno tutti. Da anni. Quell’idiota di tuo padre è andato in giro per mezzo continente a ripeterlo.”
“Allora fammi andare con Yan e gli altri.”
“No” disse Artesia. “Sarebbe inutile. Mi servi qui. Questa è la mia decisione.”
Bryce scosse la testa e uscì dalla tenda.

 

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Capitolo 23
*** Forte per entrambe ***


Forte per entrambe

 
Arrivò alle mura prima di rallentare e fermarsi. Sentiva ancora la rabbia infiammarle la mente ma stava scemando.
Mi sono comportata come una stupida, si disse. Chissà cosa penseranno adesso di me Yan e Artesia.
Ripensò agli allenamenti a Valonde, ai giorni passati in una sala buia e puzzolente insieme alle guide che venivano dal circolo solo per addestrarla.
Ricordava ancora il dolore che aveva provato quando la colpivano per irrobustirla.
“Devi imparare a sopportare il dolore” le diceva suo padre ogni volta che si lamentava di un nuovo livido o di una botta che aveva subito.
Bryce cercava di resistere ma a volte desiderava solo che la smettessero. Una volta era stata tentata di scavalcare il muro del palazzo e scendere in città.
Il pensiero di dare una delusione a suo padre l’aveva bloccata.
Quell’idiota è andato a dirlo in giro per il continente, aveva detto Artesia, come se quello fosse un demerito e non la visione di suo padre.
Il suo più grande desiderio.
“Il mio capolavoro” le aveva detto una volta dopo una giornata di allenamenti. “Tutti potranno ammirarti, Bryce.”
Quando iniziava a parlare in quel modo gli occhi del re diventavano lucidi, come se trattenesse a stento le lacrime.
“So che a volte posso sembrarti severo e crudele” le diceva. “Ma è importante che tu diventi forte, Bryce. Ci sono persone molto più crudeli di me lì fuori. Persone che ci hanno fatto del male.”
“L’arcistregone?” gli aveva chiesto lei.
Suo padre aveva annuito.
“Che cosa vuole da noi? Cosa gli abbiamo fatto per odiarci così tanto?” All’epoca, quando aveva ascoltato per la prima volta quella storia, aveva otto o nove anni e non capiva, anche se avrebbe voluto.
“Lui odia tutto ciò che abbiamo costruito di buono e di bello” aveva risposto suo padre. “Odia i circoli, odia le nostre leggi. Odia noi stessi. Dice che vuole creare un mondo migliore e più giusto, ma in realtà vuole distruggere il nostro.”
“Perché?”
“Nessuno lo sa” le aveva risposto suo padre. “Alcuni dicono che sia un folle, altri un demone. Nessuno sa la verità.”
“Kemmer dice che Malag è morto. È stato Bellir a ucciderlo.”
Suo padre aveva cambiato espressione. “Malag resterà vivo finché le sue idee lo saranno. Anni fa, quando tu eri molto piccola, un suo servitore fece una cosa terribile a tua sorella.”
Bryce aveva sgranato gli occhi. “Joyce?”
Lui aveva annuito. “Cercarono di ucciderla. Una bambina che nemmeno era ancora nata. Solo grazie a tua madre riuscì a salvarsi.” Aveva scosso la testa affranto. “Lo capisci, Bryce, con quali mostri dobbiamo combattere? Se non ci dimostreremo alla loro altezza, verremo sopraffatti.”
Il pensiero che qualcuno potesse fare del male a Joyce l’aveva sconvolta. “Non voglio che Malag faccia male a Joyce” aveva detto con il tono ingenuo di bambina.
“Lo so. È per questo che devi allenarti e sopportare il dolore. Devi diventare forte per entrambe.”
“Sì” aveva risposto convinta.
“E quando sarai diventata abbastanza forte” aveva proseguito suo padre. “Guiderai l’alleanza che dovrà abbattere per sempre l’arcistregone. Solo allora saremo davvero salvi e Joyce sarà al sicuro.”
Bryce era balzata in piedi, di nuovo piena di forze e pronta a ricominciare gli allenamenti anche se era piena di lividi e dolorante. “Troverò Malag” aveva dichiarato. “Lo sfiderò a duello e lo ucciderò. E Joyce sarà salva.”
 
Vyncent sedette accanto a lei davanti al fuoco del bivacco che languiva. Era rimasta a fissare le fiamme che si spegnevano immersa nei suoi pensieri e non si era accorta che lui si era avvicinato.
Trovandoselo al fianco trasalì.
“Non volevo spaventarti” disse Vyncent con tono dispiaciuto. “Vuoi che ti lasci da sola?”
Scosse la testa.
“Sembravi davvero assorta.”
“Ripensavo agli anni passati a Valonde.”
Lui la fissò interdetto.
“A volte mio padre mi parlava di Malag” aggiunse. “Di quando sarebbe tornato a minacciarci e del fatto che dovevo essere pronta per quel giorno.”
“Lui sapeva che sarebbe tornato?” le domandò.
“Credo di no. Credo che lo temesse. È sempre stata la sua ossessione, in un certo senso. E alla fine ha avuto ragione lui. L’ha sempre avuta, a pensarci bene.”
“Tuo padre è saggio, altrimenti non sarebbe divenuto re.”
Bryce sorrise.
“Ho detto qualcosa di divertente?”
“No, scusa” si affrettò a dire. “Mio padre non è diventato re perché è saggio. Secondo quello che mi ha raccontato, si è trattato più di un caso.”
Vyncent si accigliò.
“Fino ai tredici anni non aveva mostrato alcun potere” spiegò Bryce con pazienza. “I nonni pensavano che fosse nato senza.”
“Come Joyce?”
Annuì. “Proprio come lei.”
“E invece?”
“Voleva diventare un erudito. Studiava per farsi presentare da un maestro all’accademia di Valonde. Ha ancora i libri sui quali stava studiando all’epoca, in uno scaffale della sua libreria.”
“E cosa accadde?”
“Vulkath” disse Bryce. “Iniziò la sua ribellione proprio quell’anno. E più o meno nello stesso momento mio padre mostrò i primi poteri. Una guida iniziò ad addestrarlo mentre la prima guerra infuriava. Si addestrò per dodici anni convinto che dovesse diventare uno stregone del circolo. Forse un decano, se si fosse dimostrato davvero abile.”
“Ma non è andata così.”
Bryce scosse la testa. “Zio Gurran era di quattro anni più grande di lui. Era destinato a diventare re ed era lo stregone supremo della sua generazione.”
“Ne ho sentito parlare. Anche da quelli che non l’hanno mai incontrato di persona.”
“Morì nella battaglia del Fiume Nero, prima della battaglia di Mashiba. Poco dopo la fine della guerra morì anche il nonno e mio padre venne incoronato.” Scosse la testa e sorrise di nuovo.
Vyncent le sorrise di rimando, come se si sforzasse di comprendere quello che la divertiva.
“Povero papà” disse tornando seria. “Non è mai riuscito a diventare ciò che voleva davvero. Erudito, stregone di alto rango, principe, re. Per tutta la vita ha inseguito il destino che decideva per lui la strada che doveva prendere.”
“Non è una regola che vale per tutti noi?”
“Non per me” disse Bryce sicura. “Io so il motivo per cui sono nata.”
Vyncent la guardò accigliato.
“Il mio scopo è uccidere Malag” continuò. “Sono nata per questo. Mi sono allenata duramente per diventare la migliore e adesso...” Scosse la testa affranta.
“Vorresti essere altrove?”
“So che non dovrei essere qui. Il mio posto è dove si trova Malag. È lì che dovrei andare, mentre Yan ed Erix cercano di tenermi lontana da lui.”
Vyncent sospirò. “Avrai la tua occasione. Tutti l’avremo.” Sorrise. “Io l’avrò domani, tanto per fare un esempio.”
Bryce si accigliò.
“Yan mi ha scelto per far parte del suo gruppo di esplorazione.”
Lei lo fissò a bocca aperta.
“In verità, sono stato io a chiedergli di andare. Artesia ha accettato dopo averci pensato un poco. Ero venuto a salutarti. Non è divertente? L’ultima volta eri tu ad andare via e adesso tocca me.”
 
Bryce attraversò metà campo a testa bassa e non la rialzò fino alla sua tenda. Vi entrò e adocchiò la sacca.
Elvana era seduta in un angolo. “Conosco quella espressione. È quella che fai quando stai per prendere a pugni qualcuno.”
Bryce le lanciò un’occhiataccia. Prese la coperta di lana e la piegò.
“Che stai facendo?”
“Parto” rispose mentre infilava la coperta dentro la sacca.
“Per dove?”
Bryce esitò. Non aveva idea di dove sarebbero andati Yan e il suo gruppo. Aveva intenzione di prendere uno dei cavalli e di seguirli a distanza di qualche miglio.
“Vado da qualche parte” rispose con tono vago.
“Da qualche parte” ripeté Elvana. “Non ci sono mai stata e tu? Sembra un posto dannatamente lontano.”
“Tu non vieni.”
Elvana saltò in piedi. “Mi spiace doverti contraddire.” Si fermò come se ci avesse riflettuto sopra. “In effetti, non mi spiace affatto contraddirti. Lo trovo divertente e molto soddisfacente se devo essere sincera, specie quando fai quella smorfia di disappunto piegando da un lato la bocca. Io verrò con te.”
“Ti ho detto che non ti voglio” disse Bryce.
“Posso almeno chiederti il motivo di tanta fretta?”
“No” disse sollevando la sacca e passandosela sulle spalle.
Fuori è ancora buio, si disse. Se prendo adesso un cavallo dal recinto, potrò allontanarmi senza essere vista. Resterò nelle vicinanze dell’avamposto, così quando il gruppo di esplorazione lascerà la valle, li seguirò da una certa distanza.
“Per caso” fece Elvana scuotendo la testa a destra e sinistra. “Ha a che fare con un certo stregone di Londolin? Te lo chiedo perché ti comporti sempre in maniera strana quando si tratta di quel tipo. Voglio dire, in maniera più strana del solito.”
Bryce si fermò per trarre un sospiro. “Che cosa vuoi da me?”
“Niente” rispose la strega. “E se potessi, ti lascerei andare per la tua strada. Ma non posso.”
“Io vado” disse Bryce avanzando di un passo.
Elvana si frappose tra lei e l’ingresso della tenda. “No.”
“Fammi passare.”
“No.”
Bryce strinse i pugni. “Non te lo chiederò di nuovo.”
Elvana non si mosse. “Senti” iniziò a dire.
Bryce concentrò il potere nelle braccia e nelle gambe. Con un movimento rapido le afferrò le spalle e la spinse di lato. Elvana crollò a terra e rotolò via.
Bryce la vide rialzarsi con la coda dell’occhio. “Non voglio ferirti” disse.
Anche se lo vorrei, aggiunse a mente.
“Io invece sì” disse Elvana alzandosi. Le balzò contro e la colpì con un calcio all’addome.
Bryce si piegò in due e venne spinta indietro dalla forza del colpo. Atterrò sulle natiche e rimbalzò per un paio di passi fermandosi contro il tessuto della tenda.
Fece per rialzarsi ma Elvana l’afferrò per il risvolto della tunica e la sollevò senza sforzo. Bryce le diede una testata sul naso facendole mollare la prese e indietreggiare di un paio di passi.
“Lasciami” ringhiò. “Dannata ladra.”
Elvana si passò una mano sul naso e guardò con espressione accigliata il sangue che le colava dalla narice sinistra. “Se mi hai rotto il naso ti spezzo un braccio.”
Bryce si lanciò contro di lei per colpirla al viso, ma la strega intercettò il suo attacco alzando il braccio e le diede una ginocchiata al ventre.
Bryce indurì i muscoli e avvertì appena il dolore. Ruotò il busto e le diede una gomitata al petto che scagliò Elvana indietro facendola atterrare sulla schiena.
La strega fece per rialzarsi ma Bryce le sferrò un calcio al viso. Elvana rotolò sulla stuoia e rimase immobile.
Bryce si concesse due profondi respiri prima di voltarsi e uscire dalla tenda.

 

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Capitolo 24
*** Il mio nome è Bryce ***


Il mio nome è Bryce

 
Il cavallo, si disse assaporando l’aria fresca fuori dalla tenda. Devo trovarne subito uno e andarmene. Elvana non resterà a terra per molto e appena fuori si metterà a gridare che sono sparita e…
Una mano le artigliò la spalla e la costrinse a voltarsi. Colta di sorpresa non riuscì a opporsi né vide il pugno che la raggiunse alla guancia.
Si piegò sulle ginocchia mentre cercava di tenersi in piedi. Elvana le afferrò la testa e le sferrò una ginocchiata sul mento che le tolse il fiato e fece calare il buio.
L’impatto con il terreno la fece sussultare. D’istinto balzò in piedi ed evocò un dardo magico nella mano destra e lo scudo in quella sinistra.
Anni di addestramento le fecero compiere i movimenti successivi senza che dovesse pensarci. Cercò la sagoma di Elvana e le puntò contro il dardo magico.
“Ti ammazzo” gridò mentre glielo lanciava contro.
La strega oppose lo scudo dissolvendo il proiettile in una cascata di scintille che le illuminarono per un istante il volto tumefatto.
Bryce le scagliò contro mezza dozzina di dardi che l’altra parò, ma ad ogni colpo la sua mente elaborava e scartava uno degli schemi di attacco che suo padre e le altre guide le avevano insegnato.
“Impegna l’avversario con un attacco serrato, poi attaccalo quando pensa che tu sia stanca” poteva sentire dire dalla voce di suo padre.
Le scintille si stavano ancora dissolvendo nell’aria quando scattando in avanti individuò la sagoma di Elvana ed evocò la lama magica.
“Mi hai costretta a farlo” gridò mentre calava la lama verso di lei. L’incantesimo attraversò la spalla e l’addome della strega, spuntando dall’altra parte.
Bryce cercò di mirare a un punto non vitale.
Le procurerò una brutta ferita, si disse mentre affondava il colpo, ma sopravvivrà.
Il contatto con il corpo della strega produsse una cascata di scintille che la lasciò perplessa. Mentre affondava la lama nella carne non incontrò la resistenza che si era aspettata. Anche l’espressione di Elvana rimase immutata, come se quel terribile colpo non le avesse procurato nemmeno dolore.
La figura sembrò tremolare e iniziò a dissolversi. Bryce la vide sparire come foschia che veniva dissolta dai raggi del sole appena sorto.
Dannazione, si disse mentre voltava le spalle. È solo uno spettro.
“Idiota” disse Elvana alle sue spalle.
Bryce fece per girarsi ma il ginocchio nel fianco le mozzò il fiato e le impedì di completare il movimento. Fece scattare il braccio in avanti ma la lama magica fendette l’aria.
Elvana era già lontana un paio di passi e stava intrecciando qualcosa tra i palmi delle mani.
Bryce balzò indietro e si preparò a colpirla di nuovo.
Stavolta devo essere sicura di colpire quella vera, si disse mentre evocava tra i palmi un’altra lama magica.
Elvana srotolò qualcosa tra le mani, come se una corda di luce si fosse materializzata nel suo palmo e la fece scattare verso di lei.
Bryce si spostò di lato e si preparò ad avanzare, ma la strega eseguì un rapido movimento col polso e la corda magica virò verso di lei.
Il tocco tra la sua gamba e l’incantesimo la fece trasalire come se fosse stata punta da un migliaio di insetti in una volta sola. Fece leva sull’altra gamba e si gettò di lato per evitare un secondo attacco.
La corda si ritrasse per un istante ma tornò a calare verso di lei mentre Elvana la dirigeva tenendola ben salda nella mano. Bryce stavolta attese fino all’ultimo e quando la punta della corda fu a un passo da lei, scattò verso l’incantesimo affondando un colpo deciso con la lama magica.
Nel punto in cui la sua lama e la corda di Elvana si toccarono esplosero le scintille. Bryce concentrò il potere che fluiva dentro di lei nella lama, passando da parte a parte la corda e spezzandola in due.
Elvana emise un gemito strozzato mentre eseguiva un rapido gesto col braccio per richiamare la corda.
Sei mia, pensò Bryce gettandosi verso di lei nello stesso momento. Balzò in avanti e sollevò la lama sopra la testa eseguendo un affondo deciso dall’alto verso il basso.
Elvana alzò entrambe le mani materializzando lo scudo magico davanti a sé.
Bryce avvertì la pressione di quel potere opporsi al suo affondo e concentrò i suoi sforzi per abbattere la sottile barriera che la divideva dalla strega.
Un altro sforzo, si disse mentre sentiva cedere lo scudo e avanzare la lama verso la pelle di Elvana. Ancor uno.
Elvana gemette e strinse i denti.
Bryce affondò la lama.
Qualcosa la colpì al fiano e la scagliò di lato. Gemette per il dolore la sorpresa lottando per rimettersi subito in piedi. Alzò gli occhi e vide due figure stagliarsi davanti a lei.
Anche nel crepuscolo poteva vedere gli scudi magici fluttuare davanti ai loro corpi.
“Ferma” gridò una voce rabbiosa alla sua destra.
Girandosi, riconobbe il viso di Maggart. Lo stregone aveva evocato i dardi magici e li stava puntando verso di lei.
“Non muoverti” disse una seconda voce alla sua sinistra.
Una strega dai capelli neri corvini stava evocando i dardi magici e li puntava nella sua direzione.
Bryce tornò a concentrarsi sui due che si erano frapposti tra lei ed Elvana.
“Fai sparire quelle lame” disse Maggart. “O ti colpiremo.”
Bryce cercò di schiarire la mente. “Mi ha aggredita” disse con voce affannata. “Voleva uccidermi.”
Elvana si era rimessa in piedi e aveva alzato le mani in segno di resa. Una strega le stava puntando i dardi alla schiena mentre le diceva qualcosa che non riusciva a udire.
“Lo stabiliremo noi che cosa è accaduto” disse Maggart. “Via quell’incantesimo.”
Bryce sospirò e fece sparire le lame magiche.
 
Seduta in un angolo della tenda, Bryce nascose il viso tra le mani e scosse la testa.
Ho rovinato tutto, si disse. Dovevo restare con Erix. O a Valonde. Non ero pronta per tutto questo. Non lo sono mai stata. Ho deluso mio padre. Tutti.
“In piedi” disse una voce.
Alzò la testa e vide Maggart torreggiare sopra di lei, lo sguardo severo.
Bryce esitò.
“Ho detto in piedi.”
Si alzò barcollando. Non si sentiva stanca per lo scontro per Elvana. Sentiva di non aver nemmeno intaccato le sue forze, eppure era esausta.
“Con me” disse Maggart.
Bryce lo seguì fuori dalla tenda. Era buio, fatta eccezione per qualche torcia accesa su dei trespoli e un paio di lumosfere che fluttuavano sopra le teste di altrettanti stregoni. Non osò alzare gli occhi verso di loro, ma poteva immaginare le loro espressione di biasimo nei suoi confronti.
E non riusciva a sopportare quell’idea.
Maggart la condusse alla tenda di Artesia e la invitò a entrare con un cenno della testa. “La comandante ti sta aspettando.”
Bryce entrò nella tenda seguita dallo stregone.
All’interno erano presenti, oltre alla comandante, Yan, Divash ed Elvana.
Maggart si piazzò alle sue spalle.
Bryce avanzò verso il centro della tenda dove Elvana era già in piedi e sembrava attenderla. La parte superiore del viso era coperta da una benda che le lasciava scoperti gli occhi e la bocca coprendo il resto. Le rivolse un’occhiata accigliata.
“Mi hai rotto il naso” disse. “Spero tu sia contenta.”
“Zitta” disse Artesia. “Parlerai solo quando te lo diremo noi, strega della notte.”
Elvana serrò le labbra e guardò avanti.
Bryce si piazzò al suo fianco, le mani dietro la schiena e la schiena dritta come suo padre le aveva insegnato a fare quando si trovava di fronte a un mantello di rango più alto del suo.
Artesia le rivolse un’occhiata severa. “Quello che è accaduto oggi è molto grave.”
Bryce fece per dire qualcosa ma la strega le fece cenno con la mano di tacere.
“Parlerai quando te lo dirò io” disse Artesia.
Bryce annuì e rimase in silenzio.
“Non tolleriamole le risse e gli scontri” proseguì la comandante. “Ce ne sono stati troppi negli ultimi tempi, ma nessuno grave come quello di oggi. Aggredire una consorella è un atto disdicevole già in tempo di pace. Durante una guerra, mentre lottiamo per sopravvivere in una regione piena di nemici, è assolutamente inaccettabile.”
Bryce lottò contro il desiderio di parlare. Voleva dire ad Artesia che le dispiaceva, che aveva agito in quel modo solo perché Elvana si era frapposta tra lei e il suo desiderio di aiutarli.
“Un atto ancora più disdicevole, da infami potrei dire, è attaccare una consorella che abbiamo giurato di proteggere.”
Bryce si accigliò.
Gli occhi di Artesia si spostarono su Elvana. “Hai qualcosa da dire a tua discolpa, strega di Ningothris?”
“Servirebbe a qualcosa?”
“Se ti dichiarassi pentita, potrei mitigare la pena che subirai.”
Elvana ghignò. “Non mi pento di aver tirato qualche calcio a questa stupida” disse indicando Bryce con un cenno della testa.
“Molto bene” disse Artesia. “Yan e Maggart potranno testimoniare che non sei affatto pentita delle tue azioni. Farò in modo che la tua punizione sia esemplare, Elvana di Ningothris.”
“Aspetta” disse Bryce avanzando di un passo.
Artesia le scoccò un’occhiataccia. “Non ti ho dato il permesso di parlare.”
“Allora perché mi trovo qui dentro?” le chiese con tono di sfida.
“Stai mettendo alla prova la mia pazienza, principessa di Valonde. Che hai di così importante da dire che non può attendere la mia sentenza?”
Bryce guardò Elvana. “Perché volete punire soltanto lei? Ero presente anche io allo scontro.”
“Lei ti ha aggredita per prima” disse Artesia.
“Non è vero” esclamò Bryce.
Elvana sospirò e scosse la testa. “Sei proprio una stupida.”
Artesia la guardò con espressione severa. “Vuoi aggiungere qualcosa alla confessione di Elvana, principessa?”
“Sì” disse. “È falsa.”
“Continua” disse la comandante.
“Sono stata io ad attaccarla per prima” disse Bryce.
“Non crederle” disse Elvana. “La botta che le ho dato in testa deve essere stata troppo forte. È confusa.”
“So quello che dico” disse Bryce.
Artesia annuì grave. “Perché l’hai aggredita?”
Deglutì a fatica. “Volevo lasciare il campo.”
La comandante sgranò gli occhi. “Attenta a ciò che dici, principessa di Valonde. Andarsene senza motivo e senza un ordine di un comandante potrebbe essere diserzione.”
“Non volevo disertare” disse Bryce. “Mi sarei unita al gruppo di esplorazione di Yan.”
Lo stregone si accigliò. “Credevo fosse chiaro che non saresti venuta con noi” disse.
“Lo so” fece Bryce chinando la testa. “Ma io sentivo di dover venire lo stesso.”
Artesia la fissò con espressione severa.
“Questa regione è pericolosa” disse Bryce. “E piena di bande di rinnegati. Divash e io ne abbiamo incontrata una e siamo sopravvissuti a stento mentre il povero Gamal no.” Guardò Yan come in cerca d’aiuto. “Avrei potuto difendervi” disse trattenendo a stento le lacrime. “Sarei stata utile alla causa” aggiunse.
E avrei protetto Vyncent da quei pericoli, pensò in una parte remota della sua mente.
Artesia annuì grave. “Sarete confinate in tende diverse fino a mio ordine” disse con tono perentorio. “Per quanto riguarda te, strega della notte.”
Elvana la fissò con aria di sfida.
“Non osare mentirmi di nuovo o ti farò impiccare. Ora fuori, tutte e due.”

 

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Capitolo 25
*** Prigioniera ***


Prigioniera

 
“Sei una stupida” disse Elvana appena fuori dalla tenda.
“Zitta” le intimò Maggart. “O ti chiuderò quella boccaccia io stesso, strega della notte.”
“Devi solo provarci, sporco piediasciutti.”
Maggart emise un ringhio sommesso. “Da quella parte. Svelte.”
Fuori dalla tenda si era radunata una piccola folla di soldati e mantelli. I primi osservavano divertiti, come se vederle sfilare come prigioniere fosse uno spettacolo messo in piedi per distrarli dalla brutta situazione in cui si trovavano.
I visi di streghe e stregoni avevano espressioni diverse, ma nessuna sembrava amichevole.
Una ragazza dal mantello rosso scuro sputò a terra proprio davanti alla punta dei suoi stivali. Bryce sussultò al pensiero che avesse potuto colpirla.
“Vergogna” le gridò uno stregone sui trent’anni.
“Dovrebbero impiccarti, strega della notte” gridò una donna all’indirizzo di Elvana.
“Disperdetevi” gridò Maggart. “O vi farò frustare.”
La folla si ritrasse di qualche passo e loro furono libere di muoversi.
“Non era necessario che punissero entrambe” le sussurrò Elvana.
“Volevi essere punita da sola?”
“Lo avrebbero fatto lo stesso. I Londolin non attendevano altro che sputarmi addosso. Ma tu potevi risparmiarti di sporcarti quel bel mantello con gli schizzi.”
“Stai dicendo che avrei dovuto mentire alla comandante?”
“No, sciocca” disse Elvana. “Lei sapeva bene che la colpa non era mia. Non voleva punire te visto che aveva già me a portata di punizione.”
Bryce scosse la testa. “Se tu avessi detto la verità, non ti avrebbe punita. La colpa è tua.”
“Mia?” esclamò lei indignata. “Dici sul serio?”
Bryce annuì.
“Stai dando a me la colpa dopo che sei stata tu a colpirmi per prima?”
“Non dovevi metterti in mezzo.”
“Dovevo lasciarti disertare?”
“Non avrei disertato.”
“Certo che no” disse Elvana con tono di sufficienza. “Tu volevi solo unirti ai coraggiosi esploratori per difenderli dai cattivi rinnegati, giusto?”
“Il piano era proprio quello” rispose cercando di dominare l’irritazione.
“E il fatto che ci fosse quel Londolin nel gruppo di Yan è solo un caso, giusto?”
“Taci.”
“No” disse Elvana. “Se proprio volevi raccontare la verità ad Artesia, perché non le hai detto anche di Londolin?”
“Perché non sarebbe stato vero” disse con meno convinzione.
“Non ci credi neanche tu, principessa di Valonde” disse Elvana ghignando.
“Basta parlare ora” disse Maggart con tono imperioso. “O vi farò legare a un palo proprio qui al centro del campo e vi ci lascerò per cinque o sei giorni. Così avrete tutto il tempo per chiacchierare.”
Bryce trasse un profondo sospiro e serrò le labbra. Non le riaprì nemmeno dopo che Elvana venne spinta verso una tenda vicino alla sua.
Quella che le diedero era più piccole della tenda che aveva condiviso con la strega. Un soldato le portò la sacca qualche tempo dopo. Si affacciò all’ingresso e gliela lanciò in mezzo ai piedi ritraendosi subito prima che avesse il tempo di rivolgergli qualche domanda.
Bryce si protese verso la sacca e ne tirò fuori la coperta di lana. La stese a terra e vi si avvolse dentro. La mente ancora in subbuglio per quello che era accaduto le impedì di prendere sonno se non poco prima del sorgere del sole.
Quando aprì gli occhi, vide che vicino all’ingresso qualcuno aveva poggiato una ciotola piena di zuppa. Sospirò e la prese tornando subito a sedere sulla coperta stesa a terra.
Dopo aver finito si concesse di leggere qualche pagina del libro donatole da Joyce, ma non riuscì ad andare oltre la terza e dovette tornare indietro perché non ricordava ciò che aveva letto.
Ripeté l’operazione un paio di volte prima di arrendersi e gettare il libro nella sacca.
Lo finirò dopo, si disse poco convinta.
In due Lune era arrivata a poco più di un terzo della lunghezza e a mano a mano che avanzava nella lettura la vicenda raccontata dalla Stennig le sembrava sempre più complessa e piena di personaggi secondari dei quali a stento ricordava i nomi.
Eppure, Joyce li sa a memoria, si disse. Come ci riesce? Se fosse qui potrebbe raccontarmi la storia senza nemmeno aprire il libro, magari dopo averlo letto una sola volta nel giro di qualche giorno.
Sua sorella era sempre alla spasmodica ricerca di nuovi testi. All’inizio si era limitata a prenderli a prestito dalla biblioteca del palazzo, ma quando erano finiti, aveva iniziato a comprarli dai librai di Valonde.
Quelle erano le uniche occasioni in cui suo padre la lasciava libera di andare in città con una scorta dove Mythey non mancava mai.  A volte toccava a Roge o a Galef accompagnarla e in un paio di occasioni era stata scelta lei anche se andare a fare compere di libri l’annoiava a morte.
Joyce sembrava sempre entusiasta di tuffarsi tra quegli scaffali pieni di polvere e ricordava le sue grida di esultanza quando trovava un testo raro che diceva di cercare da tempo.
Aveva sempre faticato a farsi piacere quelle escursioni in città. Le considerava tempo sottratto ai suoi allenamenti e suo padre era d’accordo con lei, anche se non si era mai veramente opposto.
Di solito era sua madre a chiederle di concedersi una pausa per fare da scorta a Joyce.
“Ti farà bene uscire un po’” le diceva con tono pacato ma deciso. “Non puoi passare tutto il tempo nei sotterranei o ti verrà qualche malattia.”
Bryce non era sicura che esistesse un malanno del genere, ma accettava lo stesso per non dispiacere sua madre. Cercava di non farlo sembrare un impegno troppo gravoso e a volte aveva trovato piacevole girare per la città sulla carrozza scoperta, specie durante la stagione secca quando il sole era forte e il vento che spirava dal mare era fresco e carico di odori.
Un giorno aveva sorpreso Mythey a osservarla divertito.
Lei si era accigliata. “Cosa c’è di così divertente, vecchio cavaliere?”
Lui aveva scrollato le spalle. “Ho detto al nocchiero di fare il giro più lungo e passare vicino al quartiere del porto” aveva detto. “E di rallentare un po’ l’andatura, così avremmo potuto godere del profumo del mare.”
“Così ci metteremo più tempo” si era lamentata.
“Ma sarà più piacevole, giusto?”
Bryce aveva annuito. “Giusto.”
Bryce sospirò e cercò di allontanare quei pensieri. Essere confinata in quella tenda l’atterriva e il pensiero che Vyncent fosse fuori con il gruppo di esplorazione di Yan la rendeva ancora più inquieta.
Ormai dovrebbero aver lasciato il campo, si disse. E aver raggiunto i confini della valle. Da quel punto in poi inizia la parte più rischiosa. Per quanto ne sappiamo, i rinnegati potrebbero trovarsi lì fuori in agguato, pronti a colpirli a tradimento come avevano fatto la prima volta con l’armata di Artesia. Come hanno fatto con noi.
Scosse la testa con vigore per scacciare quel pensiero.
Elvana ha ragione, si disse. Sarei dovuta restare qui e non cercare di lasciare il campo. Sono una folle, ecco cosa sono. Se Artesia non mi punirà, lo farà certamente Erix quando tornerò alla sua armata. O mio padre non appena mi rimanderanno a Valonde con disonore.
Il pensiero di presentarsi davanti ad Andew di Valonde col marchio di infame e traditrice la terrorizzava. Avrebbe preferito morire nella maniera più dolorosa e umiliante piuttosto che subire una cosa del genere.
E costringere suo padre a vivere vergognandosi della figlia infame era altrettanto insopportabile.
Sospirò affranta e si avvolse nella coperta di lana. Dormì fino alla mattina seguente, quando trovò un’altra ciotola di zuppa e un pezzo di pane su di un vassoio. L’altra ciotola era sparita.
Non mi sono nemmeno accorta che qualcuno è entrato nella tenda, pensò mesta. Come speravo di sopravvivere lì fuori da sola, in mezzo ai rinnegati?
Mangiò senza badare al sapore del cibo e lasciò il pane per dopo. Mise la ciotola vicino all’entrata della tenda vincendo la tentazione di sbirciare fuori.
Ogni tanto aveva colto qualche movimento controluce. Ombre che si muovevano sullo sfondo. Aveva anche colto qualche frase scambiata sottovoce, ma non ne aveva compreso il significato.
Yan e Vyncent saranno già fuori dalla valle, si disse. Troveranno l’acqua che ci serve? O saranno costretti a tornare con brutte notizie? E se accadesse, quali sarebbero le conseguenze?
Un’armata senz’acqua la rendeva inquieta quasi come la prigionia in quella tenda.
Passò il resto della giornata cercando di calcolare quanto fosse distante Vyncent e quanto tempo ci avrebbero messo ad andare e tornare.
Vinta dalla noia prese il libro di Joyce e ne lesse un paio di pagine in cui Yanait, il vecchio e disgustoso mago, insidiava Shili e voleva usarne il sangue puro per far rivivere un antico demone prigioniero in un sotterraneo. Le palpebre iniziarono ad abbassarsi da sole dopo una decina di pagine in cui la principessa rifletteva su quanto fosse miserabile e disperata la sua condizione e si chiedeva se qualcuno sarebbe venuta a salvarla.
Chiuse il libro e lo gettò nella sacca. Appena si fu avvolta nella coperta di lana chiuse gli occhi e di addormentò.
Nei due giorni successivi cercò di andare avanti con il libro ma decise di averne abbastanza delle sofferenze di Shili per il momento e lo infilò sul fondo della sacca come a volersene dimenticare.
Guardò accigliata l’ingresso della tenda.
In quattro giorni nessuno si era presentato per parlarle o chiederle come stesse. Si era aspettata che venissero a rimproverarla o minacciarla e si era preparata ad accettare con orgoglio e fierezza le dure parole che le avrebbero rivolto.
Avrebbe accettato qualsiasi castigo o umiliazione pur di dimostrare a tutti che era ancora una strega degna di far parte di quell’armata.
Di qualsiasi armata, si disse.
Al quinto giorno decise che ne aveva abbastanza. Andò all’ingresso e fece per scostarlo.
Darò solo una sbirciata fuori, si disse.
Era sicura che i soldati e i mantelli di guardia le avrebbero intimato di tornare dentro, ma almeno avrebbe scambiato qualche parola con altre persone.
Il silenzio ovattato della tenda l’opprimeva a volte e quando calava il buio e il campo diventava meno animato, era il momento peggiore della giornata.
Esitò, la mano poggiata sul tessuto.
E se mi stessero mettendo alla prova? Si chiese. Forse Artesia vuole scoprire se sono in grado di ubbidire. Forse era quello il castigo che aveva ideato per me. Lasciarmi in una tenda finché non fossi impazzita.
Tornò alla coperta di lana e si concesse un’altra notte per rifletterci sopra.
Il giorno dopo notò che non c’era la zuppa all’ingresso. Strisciò fino al velo e lo scostò appena per guardare fuori. Da quel punto poteva vedere solo due tende ed entrambe erano chiuse. Non c’erano soldati o mantelli vicino a esse.
Si fece coraggio e mise la testa fuori guardando a destra e sinistra. Le guardie, se mai erano state presenti, erano sparite. Turbata chiuse l’ingresso e tornò alla coperta di lana.
Che cosa devo fare? Si chiese.
In quel momento restare lì dentro le sembrò la scelta più saggia, ma non ne poteva più di quella tenda.
Si alzò e andò all’ingresso, trasse un profondo respiro e uscì. Appena fuori raddrizzò la schiena e si guardò attorno. Si preparò a tornare subito dentro se qualcuno le avesse intimato di farlo, ma non accadde.
Nessuno di quelli che vide aggirarsi tra le tende stava badando a lei.
 

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Capitolo 26
*** Smetti di essere ciò che sei ***


Smetti di essere ciò che sei

 
Il primo a notarla fu Divash. Lo stregone sedeva in disparte, una scodella di zuppa nella mano destra e un cucchiaio in quella sinistra.
Le fece un cenno con la mano come a volerle dire di avvicinarsi.
Bryce si guardò attorno e puntò verso di lui con andatura incerta. I giorni passati seduta nella tenda le avevano intorpidito le gambe, nonostante avesse eseguito gli esercizi che suo padre le aveva insegnato.
Divash la soppesò con lo sguardo. “Ti vedo bene, principessa.”
Bryce si accigliò. “Sono libera?” gli chiese.
Lui si strinse nelle spalle. “Non lo so. Tu che ne dici?”
Bryce si guardò attorno. “Non c’erano guardie vicino alla tenda. Nessuno mi ha detto di rientrarci.”
“Allora bentornata tra di noi.”
“Pensavo che mi avrebbero avvertita” disse delusa. “Mi sento strana.”
“Strana?”
“Presa in giro sarebbe il termine più adatto.”
“Io credo che la faccenda in cui ti eri cacciata fosse molto seria. Artesia ha avuto il suo da fare per risparmiarvi una punizione peggiore.”
“È stata lei a metterci in una tenda” protestò.
“Gli altri comandanti volevano farvi di peggio. Soprattutto alla strega della notte. I mantelli di Londolin volevano appenderla a un palo.”
“Sarebbe stato ingiusto” disse Bryce.
Divash inarcò un sopracciglio.
“Non sei d’accordo?”
Lo stregone si accigliò. “Lo penso anche io, è vero, ma tu lo dici come se non ti importasse niente di lei.”
“Dovrebbe?”
“Credevo foste amiche voi due.”
Bryce rise.
Lui la fissò in silenzio finché non ebbe smesso. “Dico sul serio.”
Bryce scosse la testa. “Amiche. Elvana e io. Assurdo, non trovi?”
“Perché?”
“Qualche giorno fa ci siamo scontrate proprio in mezzo a questo campo. Eri presente anche tu, giusto?”
“Giusto” ammise.
“Questo dovrebbe dimostrarti che non siamo affatto amiche.”
Divash scrollò le spalle. “A volte gli amici litigano.”
“Non è il nostro caso.”
“Può darsi, ma ti ha salvato la vita. La strega della notte si è presa qualche botta ma tu hai evitato di disertare.”
“Non volevo disertare” disse Bryce sulla difensiva.
“Dovresti almeno ringraziarla.”
“Per cosa? Per avermi fatta punire?”
Divash ghignò. “Sei tu che hai confessato davanti ad Artesia. Così almeno mi hanno raccontato.”
“Non ho confessato” rispose stizzita. “Ho solo detto la verità, come era mio dovere.”
“Il tuo dovere sarebbe anche quello di obbedire agli ordini che ti vengono dati, non solo di ammettere di averli violati.”
Bryce fece per rispondergli piccata ma ci ripensò. Non le andava di parlare ancora di quella faccenda. “Il gruppo di Yan non è ancora rientrato?” chiese per cambiare argomento.
Divash scosse la testa. “No e non sperare che si facciano rivedere presto. Devono trovare acqua per diecimila persone e mille cavalli. Non sarà facile.”
“Yan ci riuscirà.”
“Invidio la tua sicurezza, principessa” disse Divash. “Ma l’esploratore non è abile come credi. Anche lui commette degli errori.”
Bryce si accigliò.
“Doveva rimandarti da Erix, tanto per cominciare. O non accoglierti affatto nel suo gruppo. Invece, con questa bella idea, ha coinvolto anche noi che non avevamo alcuna responsabilità.”
“Potevi farlo presente a Erix che non eri felice di andare con questo gruppo.”
Divash si strinse nelle spalle. “Il mio rango è alto, ma non abbastanza da potermi permettere di rifiutare un ordine della mia comandante. Di Erix, poi. E se iniziassi a rifiutare certi ordini, qualcuno inizierebbe a dire in giro che Jakot Divash è una testa dura, che non ubbidisce agli ordini e fa sempre come gli pare. Un irresponsabile a cui è meglio non affidare alcun compito di responsabilità e che magari nemmeno si è meritato fino in fondo il rango che ha. Come vedi, anche il rango ha i suoi problemi. Non ci sono soltanto privilegi.”
“Io vedo soltanto uno che ha paura di perderli quei privilegi” disse con tono provocatorio. “Non certo di guadagnarteli.”
Divash ghignò. “Neanche quando qualcuno tenta di darti un saggio consiglio smetti di essere la principessa Bryce.”
“Sono quello che sono.”
“Allora è meglio che smetti in fretta e impari a essere Bryce la strega dell’armata di Artesia o la prossima volta non troverai qualcuno disposto a sopportare i tuoi capricci.”
Avrebbe voluto rispondergli in maniera adeguata ma ci ripensò.
Devo tenere a freno la lingua, si disse, o Artesia penserà che voglia litigare con tutti nella sua armata e perderò quel poco di fiducia che ho ancora presso di lei.
“Forse hai ragione” disse con tono prudente. Si alzò di scatto e marciò decisa verso la sua tenda, quella dove aveva passato gli ultimi giorni.
Elvana era accanto a quella al suo fianco. La benda attorno al viso era sparita ma il naso era ancora gonfio e arrossato. Aveva anche un occhio nero e un labbro tumefatto.
“Questo è sleale” disse vedendola arrivare. “Ed è tutta colpa tua.”
Bryce si bloccò all’istante.
Che problema ha stavolta? Si chiese. Vuole la rivincita? O cerca solo di provocarmi per vendicarsi?
“Guarda la mia faccia” disse Elvana. “Sono a pezzi e tu invece hai solo qualche graffio. Non è affatto giusto. Pensavo di averti colpito più forte.”
“Avevo concentrato il potere nei muscoli” disse accigliata. “Dovevi farlo anche tu.”
“Ne stavo usando già tre di incantesimi. Di più non sono capace.”
“Peggio per te” disse Bryce. “La prossima volta starai più attenta.”
Lei sgranò gli occhi. “La prossima volta? Vuol dire che lo farai di nuovo? Per favore, se proprio devi prenditela con Divash o Fraska stavolta, capito? Non venire da me.”
“Non ci verrò affatto” disse seccata.
Elvana annuì. “Ce ne hai messo del tempo per uscire da quella tenda.”
Il cambio di argomento la lasciò spiazzata per qualche istante. “Io” disse cercando le parole. “Non pensavo potessimo uscire.”
“Neanche io” disse lei divertita. “Ma il secondo giorno ho messo la testa fuori e ho scoperto che non c’era nessuno di guardia. Per questo me ne sono andata in giro per il campo e ho scoperto che Artesia aveva tolto la sorveglianza dopo che Yan e il suo gruppo avevano lasciato la valle. Non c’era più motivo di tenerti prigioniera.”
Bryce avvampò. “Potevi venirmelo a dire” disse indignata. “Ho passato lì dentro tre giorni per niente.”
Elvana scrollò le spalle. “In ogni caso ti sei persa poco. In questo campo non succede niente, a parte qualche rissa ogni tanto.”
Bryce scosse la testa ed entrò nella sua tenda. Adocchiò la coperta di lana e la piegò infilandola nella sacca. Non voleva vederla per almeno un giorno e non era disposta a restare lì dentro più del necessario.
Appena fuori dalla tenda un soldato la stava attendendo. “La comandante ti vuole vedere” disse. “Ora.”
Bryce andò alla tenda di Artesia con la mente in tumulto. Era chiaro che la comandante doveva aver saputo da qualcuno che era uscita.
Ma da chi? Si chiese. Gli unici con cui ho parlato sono Divash ed Elvana. O forse sono stata riconosciuta da qualche altro soldato o stregone che lo ha riferito ad Artesia.
La comandante l’attendeva in piedi, l’espressione impassibile dipinta sul volto.
“Ti sei riposata abbastanza, Bryce di Valonde?”
“Stavo per venire da te.”
Artesia fece scattare un sopracciglio verso l’alto. “Per dirmi cosa?”
“Volevo chiederti scusa” disse senza cercare parole più complicate. “Sono dispiaciuta per quello che è accaduto l’altra sera. Ti do la mia parola di strega che non avverrà mai più.”
Artesia annuì grave. “Hai fatto bene a dire la verità quando ti ho fatta condurre qui” disse con espressione più rilassata. “Se non lo avessi fatto, avrei pensato di te che sei una bugiarda e questo è anche peggio.”
“Ti ringrazio.”
“Ringrazia solo te stessa e tuo padre che ti ha cresciuta in questo modo, anche se sospetto che dietro il tuo rispetto per certe regole ci sia più tua madre.” Sospirò. “Lei sì che era degna di farsi chiamare strega suprema della sua generazione, per quanto…”
Bryce si accigliò.
“Cosa c’è? Pensi che questo titolo non sia mai stato contestato?”
“Credevo che fosse evidente a tutti.”
“Forse perché così ti hanno voluta far credere” disse Artesia. “Ma ricordo bene che ai tempi della guerra contro Vulkath, c’erano almeno altre due streghe che contendevano a tua madre quel titolo. Ed erano entrambe molto forti.”
“In effetti non ne so molto.”
“Tua madre non te ne ha parlato mai?”
Scosse la testa.
“Posso comprenderla, con quello che ha passato. Quando combattemmo quella guerra, tutti ci augurammo che fosse l’ultima per molte generazioni a venire. Lo speravamo così tanto che facemmo finta di dimenticare che le ingiustizie che l’avevano scatenata non fossero mai esistite, se non nella mente folle di Vulkath e dei suoi seguaci.” Scosse la testa affranta. “E invece eccoci qui, venti anni dopo, a dover combattere un’altra guerra contro Malag, un nemico che pensavamo di aver eliminato per sempre cento anni fa. Stavolta non possiamo permetterci errori o esitazioni, principessa Bryce. Stavolta dobbiamo spezzare la catena di odio e vendetta che ci lega tutti quanti, da qui al continente antico passando per Krikor e le Isole del Sole Morente.”
“È quello che voglio fare” disse Bryce. “Non mentivo quando dicevo che voglio trovare Malag e sfidarlo a duello.”
“Ammiro il tuo coraggio” disse Artesia. “Ma non la tua ingenuità. Per quella posso solo essere indulgente perché sei giovane. Venti anni fa anche io sognavo, come tutte le streghe della mia generazione, di trovare Vulkath e ucciderlo in un duello di incantesimi.” Sorrise triste. “Ero proprio stupida all’epoca.”
Il lamento di un corno squarciò l’aria facendola sussultare. Bryce si voltò verso l’uscita della tenda. “Ci attaccano?” chiese.
Il corno suonò di nuovo.
“Arriva qualcuno” disse Artesia.
Uscirono dalla tenda una dietro l’altra, il corno che lanciava un terzo richiamo.
“Esploratori che rientrano” disse Bryce lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso.
È il gruppo di Yan, si disse. Non possono che essere loro.
Artesia guardò verso il lato opposto del campo, dove c’era l’ingresso con l’inizio della strada che portava a valle. Bryce notò la preoccupazione nel suo sguardo.
“Non sembri sollevata” disse.
Artesia serrò la mascella. “È troppo presto. Non dovevano tornare prima di altri sei o sette giorni. Deve essere accaduto qualcosa durante il viaggio.”

 

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Capitolo 27
*** Offerta infame ***


Offerta infame

Bryce si mescolò a quelli che si erano radunati vicino all’ingresso. Maggart e altri tre cavalieri erano discesi lungo la strada raggiungendo la valle. Si spostò dove la visuale del fianco della collina le permetteva di cogliere uno scorcio delle pendici. Una figura sostava in sella a un solo cavallo.
Sono partiti in dieci, si disse. Ed è tornato solo uno.
Maggart e i suoi raggiunsero il cavaliere solitario e scambiarono alcune parole. Lo stregone fece un cenno con il braccio verso la cima della collina. Il cavaliere venne scortato fino all’ingresso, dove Bryce poté vederlo in viso.
Fino a quel momento aveva sperato si trattasse di Vyncent, ma il viso tumefatto di Jehla Metz cancellò quella speranza. La strega aveva un occhio gonfio, il labbro superiore spaccato e la guancia destra segnata da una ferita ancora aperta.
Appena oltre l’ingresso venne aiutata a smontare da cavallo e adagiata a terra. Bryce tentò di avvicinarsi ma la folla e i cavalieri di Maggart tennero tutti a distanza tranne Artesia e gli altri comandanti.
La strega si chinò verso Jehla e le due scambiarono alcune parole.
“Nella mia tenda” sentì dire alla comandante.
I cavalieri di Maggart sollevarono Jehla e la aiutarono a raggiungere la tenda al centro del campo.
Bryce tentò di avvicinarsi ma venne respinta di nuovo.
“Jehla” gridò verso la strega.
Lei alzò gli occhi verso di lei e scosse la testa.
Bryce lottò per avvicinarsi ma finì per essere trascinata dalla folla. Riuscì a liberarsi e guadagnò un punto libero dove l calca era minore.
Elvana la raggiunse. “Ho sentito dire che è tornato qualcuno del nostro gruppo” disse.
Bryce annuì senza distogliere gli occhi da Jehla. Solo quando sparì insieme ad Artesia e gli altri nella tenda del comandante guardò Elvana al suo fianco. “È Jehla” disse, come se quello spiegasse ciò che stava accadendo.
“Era sola?”
“Sì.”
“E ferita.”
Bryce non rispose.
Elvana scosse la testa. “Non è un buon segno” disse con tono cupo.
Bryce deglutì a fatica. “Forse è solo tornata indietro perché era ferita.”
“Yan non l’avrebbe mai lasciata andare da sola” disse Elvana.
Ha ragione, pensò Bryce. Yan non l’avrebbe permesso.
La sua mente lavorò ad altre spiegazioni.
“L’avrà mandata indietro per avvertirci di aver trovato l’acqua” disse cercando di convincersi di quella spiegazione. “È stata attaccata dai rinegati ma è riuscita a fuggire.”
Elvana fece schioccare le labbra. “È una sciocchezza e lo sai anche tu. Yan non l’avrebbe mai mandata da sola. Ricordi quello che dice sempre? Due mantelli insieme sono un’armata. Un mantello da solo è un bersaglio.”
“Lo so quello che dice Yan” ringhiò Bryce. “Non serve che me lo ricordi.”
“Scusa” disse Elvana. “Sono preoccupata anche io per loro, ma cerco di non illudermi. È successo qualcosa di brutto.”
“Vorrei essere in quella tenda ora” pensò ad alta voce.
Divash le raggiunse. “Avete visto Jehla? Era conciata davvero male.”
Elvana annuì. “Tu che cosa ne pensi?”
“Finché non usciranno dalla tenda e ci diranno qualcosa, possono esserci diverse spiegazioni. E nessuna di esse mi piace. Hai notato quelle ferite?”
Bryce si accigliò.
“Non sembravano causate da uno scontro con un mantello” disse Divash. “Sembrava Elvana dopo che l’hai pestata per bene l’altra sera.”
“Non mi ha pestata” protestò la strega. “L’ho solo lasciata vincere per non frale troppo male.”
Bryce la ignorò e tornò a concentrarsi sulla tenda. L’ingresso era aperto e Maggart si stava guardando attorno come se stesse cercando qualcuno. I loro sguardi si incrociarono per un istante e subito dopo lo stregone venne verso di lei. Si fece strada a spintoni tra la folla fino a raggiungerla.
“Vieni” le disse con tono perentorio.
Bryce lo guardò perplessa.
“Vieni con me ho detto” disse Maggart.
“Che cosa succede?” chiese Elvana.
“Tu fatti da parte, strega della notte” le intimò lui.
Elvana gli scoccò un’occhiataccia ma fece un passo indietro.
Per Bryce fu come destarsi da una specie di sonno. “Fai strada” disse a Maggart.
Lo stregone la guidò fino alla tenda e poi all’interno. Il piccolo spazio era occupato da quattro comandanti, Artesia e Jehla, oltre che da Maggart e lei stessa.
Quando mise piede nella tenda tutti gli occhi si volsero verso di lei.
Bryce guardò Jehla. “Come stai?”
La strega chinò la testa in avanti.
“E Yan? Il gruppo?”
Non osava chiedere di Vyncent per non far capire agli altri che cosa stesse provando in quel momento.
“Jehla Metz” disse Artesia. “Ripeti a Bryce quello che hai detto a noi.”
Jehla annuì e alzò la testa. I suoi occhi erano lucidi. “Hanno ucciso Yan e altri due mentre stavamo bivaccando poco fuori dalla valle.”
Bryce ebbe un tuffo al cuore.
Yan è morto, si disse. Come il povero Gamal. Almeno ora saranno insieme, se l’Unico vorrà essere clemente con loro.
“Chi erano gli altri due?” chiese ricacciando indietro un groppo nella gola che le impediva di respirare.
“Alkam e Ljba” rispose Jehla.
Il cuore di Bryce riprese a battere come prima.
È vivo, si disse. Vyncent è vivo.
Ma non era sicura che stesse bene perché Jehla sembrava ansiosa di aggiungere altro.
“Hanno catturato gli altri, me compresa” proseguì Jehla.
“Chi?” le chiese.
“I rinnegati” disse Maggart irato. “Chi altri potrebbe averlo fatto. Lascia che Jehla prosegua, principessa. È importante e ti riguarda da vicino.”
Bryce si accigliò ma tacque, trattenendosi dal fare altre domande.
Jehla deglutì a fatica e disse: “Ci hanno portati al loro campo. Non so dove si trovi, ero bendata durante tutto il viaggio, ma non è lontano dall’ingresso della valle. Potrebbero essere già passati mentre parliamo, non lo so.” Scosse la testa e le lacrime le rigarono le guance.
“Jehla Metz” disse Artesia con tono perentorio. “Se ti metterai a piangere ti pentirai di non essere ancora prigioniera dei rinnegati.”
La strega annuì e strizzò gli occhi trattenendo le lacrime. “Il loro comandante disse di chiamarsi Azaril.”
Tra i comandanti si alzò un mormorio sommesso.
Artesia gettò loro un’occhiata furiosa. “Ne abbiamo già discusso. Ora lasciatela finire.”
Jehla sembrò riguadagnare un po’ di coraggio. “Siamo rimasti con loro per tre giorni, poi Azaril ha ordinato che venissi liberata. Mi ha mostrato i soldati e i mantelli al suo comando schierati.”
“Quanti erano?” chiese Bryce.
“Almeno quarantamila lance” disse Jehla. “E trecento mantelli.”
Sono il triplo di noi, pensò Bryce. Lanciò un’occhiata ai comandanti e riconobbe nelle loro espressioni la stessa preoccupazione che aveva attanagliato lei.
“Azaril mi disse che sapevano dove ci stessimo nascondendo e che era pronto a invadere la valle e conquistare l’avamposto. Mi disse che non voleva compiere un massacro, che era stanco di vedere tanti morti e che avrebbe fatto di tutto per evitare una inutile strage. Mi affidò un messaggio da portare ad Artesia e agli altri comandanti.” Fece una pausa, come se pronunciare le parole successive le costasse una fatica enorme. “Mi disse che, trascorsi tre giorni dalla mia partenza, sarei dovuta ornare all’avamposto e portare questo messaggio. Azaril risparmierà la nostra armata se gli consegneremo la principessa Bryce di Valonde. In caso contrario, ucciderà tutti quelli che si trovano in questo campo e i prigionieri che ha con lui.”
“Tutti fuori” disse Artesia. “Tranne Jehla, Maggart e Bryce.”
I comandanti si mossero con riluttanza verso l’ingresso. Bryce sentì i loro sguardi su di sé ma tentò di ignorarli. Uno stregone dalla lunga barba bianca la fissò prima di uscire mentre una strega sembrò volerle dire qualcosa ma poi scosse la testa e seguì gli altri.
Solo quando furono usciti Artesia trasse un profondo sospiro. “Ora” disse rivolta a Jehla Metz. “Ripeti solo a noi il messaggio di quel bastardo.”
Jehla annuì solenne. “Vuole Bryce. Se gliela consegneremo, lascerà in pace la nostra armata.”
Maggart fece un passo avanti. “Sei sicura che avesse tutti quei soldati e quei mantelli con lui? Non potrebbe averti ingannata?”
La strega scosse la testa. “Mi concesse il tempo di contare le formazioni e i gruppi di mantelli. Posso sbagliarmi di qualche decina, ma il numero è quello.”
“Dannazione” disse lo stregone. “Non riusciremo mai a resistere a un attacco” aggiunse rivolto ad Artesia.
La comandante teneva gli occhi chiusi e l’espressione assorta. “Mi serve tempo per riflettere” disse.
“Non metterci troppo” disse Maggart. “Azaril e la sua orda potrebbero essere qui tra qualche giorno.”
“Ho detto che devo rifletterci.”
“Non c’è tempo” la esortò Maggart. “Dobbiamo decidere adesso che cosa vogliamo fare.”
“Devo tornare da Azaril con una risposta” disse Jehla. “O farà uccidere i prigionieri.”
Bryce ebbe un tuffo al cuore.
“Ci serve tempo” disse Artesia. “Quanti giorni ti ha concesso di tempo?”
“Tre per venire qui e tre per tornare, ma sono riuscita a guadagnare mezza giornata sfiancando il cavallo” disse Jehla. “Quella povera bestia è quasi morta.”
“Se riusciamo a risparmiare un’altra mezza giornata” disse la comandante. “Avremo un giorno intero per pensare a cosa fare.”
“Un giorno in più o in meno che differenza vuoi che faccia?” chiese Maggart con tono polemico. “Senza considerare il fatto che Azaril potrebbe aver mentito e aver già ucciso i prigionieri.”
Bryce dominò l’istinto di prenderlo a pugni per fargli rimangiare quelle parole.
Ma sarebbe inutile, si disse. Potrebbe avere ragione. Azaril è un rinnegato e non ci si può fidare della sua parola.
“Manderemo Jehla indietro con un messaggio per Azaril” disse Artesia. “Gli proporremo una resa senza condizioni da parte nostra e ci appelleremo alla sua clemenza.”
Maggart ghignò. “Vuoi appellarti alla clemenza di un rinnegato? Di un infame?”
“Tu che cosa proponi?”
Maggart indicò Bryce. “Diamogli quello che vuole.”
Artesia evocò un dardo magico e glielo puntò contro il petto. “Potrei giustiziarti qui e adesso per quello che hai osato dire, Sadir.”
“Allora fallo” disse Maggart offrendole il petto. “Perché se non daremo a quel rinnegato la principessa di Valonde, tra cinque giorni al massimo saremo tutti morti in ogni caso.”


 

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Capitolo 28
*** Sono io al comando, dannata ragazzina ***


Sono io al comando, dannata ragazzina

Artesia abbassò la mano e fece sparire il dardo magico. “Esci da questa tenda.”
Maggart non si mosse né smise di fissare la comandante con aria di sfida. “Devi prendere una decisione” disse. “O qualcun altro la prenderà per te.”
“Mi stai minacciando?”
“Ti sto consigliando” rispose lo stregone. “Come ho sempre fatto fino a oggi.”
“Esci, ho detto” disse di nuovo Artesia.
Maggart sembrò sul punto di dire qualcosa ma ci ripensò e voltò loro le spalle.
Quando fu uscito, Artesia si concesse un profondo sospiro. “Dannazione” disse sottovoce. “Non sta andando bene. Non sta andando affatto bene.” Gettò un’occhiata a Bryce. “Non lasciate questa tenda. Nessuna delle due. Per nessun motivo.”
Bryce annuì e Jehla si limitò a emettere un grugnito sommesso.
Artesia lasciò la tenda chiudendo con attenzione l’ingresso. La sentì camminare e poi chiamare qualcuno a gran voce.
Bryce si voltò verso Jehla. “Ce la fai a parlare?”
“Il dolore alla bocca sta passando” rispose la strega. “Ma la guancia mi fa male.”
“Hai messo qualcosa sulla ferita? Potrebbe infettarsi.”
“Se doveva infettarsi l’avrebbe già fatto” disse Jehla. “Artesia ha ragione. Le cose non vanno bene. Maggart è solo l’inizio. Quando tutti sapranno della richiesta di Azaril, avremo dei guai.” Le rivolse un’occhiata supplice. “Mi dispiace. Dovevo dirlo ad Artesia quando me l’ha chiesto. Credevo che avesse il controllo della situazione ma mi sbagliavo.”
“Non è colpa tua” disse Bryce. “Ma di quel rinnegato.”
“Artesia risolverà la faccenda in qualche modo” disse la strega sicura. “È esperta almeno quanto Erix, se non di più. Non devi preoccuparti.”
“Non è di me che sono preoccupata.”
Jehla si accigliò.
“Quelli che sono rimasti con il rinnegato stavano bene?”
“Azaril mi disse di sì.”
“Tu li hai visti?”
Jehla scosse la testa.
Bryce sospirò affranta.
“Ti preoccupi per loro invece che per te stessa?”
“So difendermi.”
Jehla sogghignò. “Maggart e almeno metà di questo campo ti consegnerebbe al rinnegato pur di salvarsi. E l’altra metà resterebbe a guardare.”
“Hai detto che Artesia non lo permetterà.”
“Ho detto che risolverà la faccenda.”
Bryce deglutì a vuoto. “Tu credi che Azaril ucciderà i prigionieri se non mi consegno a lui?”
“Ucciderà tutti quello che vedi in questo campo” rispose Jehla. “Ma sì, inizierà dai prigionieri, non c’è alcun dubbio.”
Non posso permetterlo, pensò Bryce.
Artesia tornò in quel momento e non era sola. Con lei c’erano tre mantelli. Erano due uomini e una donna che potevano avere venticinque o trent’anni al massimo.
Artesia li indicò uno per volta. “Jakos Benski, Tobha Malbasc e Robyt Jessel.”
Tutti e tre le rivolsero un cenno di saluto con la testa.
“Da questo momento in poi saranno la tua scorta personale” proseguì Artesia.
“Ho già una scorta” disse Bryce.
“La strega della notte è insufficiente. Jakos.”
Uno dei tre fece un passo avanti. Indossava un mantello cremisi sulle spalle larghe.
“Lui sarà a capo della scorta. Ti seguiranno ovunque finché sarai al campo.”
“Finché?” chiese Bryce.
“Ti faremo andare via.”
“Io non voglio scappare.”
“E io non ho intenzione di consegnarti ai rinnegati” rispose Artesia con tono perentorio.
“Non puoi decidere per me.”
“Sono io al comando, dannata ragazzina.”
Bryce serrò la mascella.
“Se ti consegnassi ai rinnegati, poi non potrei fare ritorno né a Valonde né altrove. Sarei una infame per chiunque. Peggio, potrebbero inviarmi a Krikor con l’accusa di tradimento. E farei un torto troppo grande a una mia amica.”
“Mia madre…” iniziò a dire Bryce.
“Non parlavo di lei” disse Artesia. “Niente di quello che sto per dirvi deve lasciare questa tenda, avete capito?”
Tutti annuirono e anche Bryce lo fece con riluttanza.
“Bene” disse la comandante soddisfatta. “Maggart è stato chiaro e in questo momento starà cercando di capire se può contare sull’appoggio di qualche altro comandante. Per quanto ne so, almeno due potrebbero supportarlo. Gli altri sono incerti.”
“Falli imprigionare” suggerì Bryce.
Artesia ghignò. “Maggart negherebbe tutto e anche se lo facessi, ormai la notizia si starà diffondendo tra tutti quelli che si trovano nel campo.” Scosse la testa. “Azaril sapeva fin troppo bene quello che stava facendo, ma non gli darò la soddisfazione di umiliarci. Se vuole la principessa, dovrà venire qui e lottare per lei.”
“Io combatterò con voi” disse Bryce.
“Tu andrai via” rispose Artesia. “Jakos, Tobha e Robyt ti scorteranno al sicuro, verso l’armata di Erix.”
“E voi?” chiese Bryce. “I prigionieri ancora in mano ad Azaril?”
Artesia scosse la testa. “Non posso fare niente per loro, ma non importa. Come dice Maggart, moriremo tutti.”
“A me importa” esclamò Bryce.
E soprattutto non permetterò che Vyncent venga ucciso.
“Jakos” disse Artesia. “Portala nella torre orientale. È la più solida e meglio difendibile. Prendi una ventina di guerrieri. Scegli quelli più fidati e abili.”
Jakos fece un cenno di assenso con la testa.
“Stai facendo un errore” disse Bryce.
Artesia girò la testa dall’altra parte.

La folla fuori dalla tenda del comandante si era dispersa in parte. Guerrieri e mantelli avevano formato dei gruppi di cinque o sei che discutevano tra di loro. Mentre attraversava il campo insieme a Jakos e agli altri sentì i loro sguardi posarsi su di lei, esaminarla, scrutarla.
“Mi servono dei vestiti puliti” disse Jehla Metz. “E qualcosa per la ferita alla guancia.”
Jakos la guardò accigliato. “Non puoi allontanarti da noi.”
“Voi occupatevi di Bryce. Posso pensare a me” rispose la strega. “Sono stata in posti più pericolosi di questo.”
Lo stregone annuì. “Prendi anche le cose di Bryce.”
“In quale tenda si trovano? So che è stata spostata.”
“È quella con un drappo rosso davanti all’ingresso, vicino al muro settentrionale.”
Jehla annuì e andò via.
Bryce seguì il terzetto di mantelli cercando di valutarne la forza e l’abilità. Non aveva idea di quali fossero gli incantesimi che sapevano usare, ma era certa che Artesia non li avesse scelti a caso.
Se voglio sopraffarli, si disse, devo attendere che siano separati. Tutti insieme potrebbero battermi o chiamare aiuto se messi in difficoltà.
La torre orientale era più simile al dente spezzato un gigante che spuntava dal terreno. Era grigia e di forma quadrata come le altre quattro che segnavano gli angoli dell’avamposto. L’ingresso era ridotto a un foro scavato nel muro interno.
Jakos gettò una rapida occhiata dentro e le fece cenno di seguirlo. “Starai qui” le disse.
Dentro la torre era buio a parte la luce che filtrava dalle feritoie nella parte opposta. Una lama di luce tagliava in due tre giacigli posizionati sotto il muro.
Bryce si guardò attorno. “È qui che dormite voi?”
Tobha, la donna dai capelli tagliati cortissimi, sedette su una pietra di forma allungata. “Noi siamo la guardia personale di Artesia. Quando si ricorda che esistiamo, si intende.”
Bryce si accigliò.
“Alla comandante non piace avere chi le guarda le spalle.”
Non è molto diversa da me, pensò.
“Ma a volte le siamo utili” disse Jakos.
Bryce sedette in un angolo, la schiena poggiata al muro di pietre grigie e le gambe raccolte contro il petto.
Tobha le gettò un’occhiata perplessa. “Non ho mai fatto la scorta a una principessa” disse divertita. “E quando mi hanno detto che sarei partita con il resto dell’armata, non mi aspettavo di trovarne una proprio qui. Anche se in effetti sei stata tu a trovare noi.”
Bryce si limitò a scrollare le spalle.
“Non dare fastidio alla principessa” disse Robyt sedendo sul suo giaciglio. “Chiedile piuttosto se sta comoda lì o se vuole il tuo giaciglio mentre Jehla le porta la sacca.”
“Sto bene, grazie” disse Bryce accigliata. “Non mi serve il tuo giaciglio. Né quello di nessuno di voi.”
“Visto?” fece Robyt. “L’hai offesa, stupida.”
Tobha arrossì. “Non è vero. Ho solo detto che per me è strano fare la scorta a una principessa.”
Bryce ne aveva già abbastanza di stare nella torre ad attendere senza fare niente. In quel momento avrebbe voluto essere in viaggio verso l’armata dei rinnegati con Jehla. Il pensiero che tra un paio di giorni sarebbe scaduto il tempo concesso da Azaril la faceva fremere di rabbia e di impazienza.
Non ti importa di nessuno.
La voce di Elvana risuonò nella sua mente. Cercò di scacciarla via pensando a Valonde e a Joyce e i suoi fratelli.
Chissà che cosa staranno facendo ora? Si chiese. Joyce starà sicuramente leggendo uno dei suoi amati libri. Roge sarà al circolo a lamentarsi con tutti di non essere partito. La mamma sarà vicino a papà o forse a qualche importante consiglio di guerra. E Razyan? Galef?
Non ti importa di nessuno. E non conosci queste persone, ripeté la voce di Elvana.
Non aveva usato quelle esatte parole, ma sapeva che il senso era il medesimo.
Si schiarì la voce per richiamare l’attenzione di Tobha. “Da quale circolo vieni?”
La strega sgranò gli occhi. “Ulfamir” disse subito. “È molto piccolo ma siamo fedeli alleati di Valonde da trecento anni, da quando re Ramik sposò una delle cugine di Re Alberk di Valonde.”
Bryce annuì fingendo di conoscere quella storia. “E tu, Robyt?”
Lo stregone le rivolse un’occhiata accigliata. “Hai già imparato il mio nome?”
Bryce sorrise. “Imparo in fretta.”
“Decisamente.”
“Di dove sei?”
“Arental” disse Robyt.
“Lo stesso di Artesia” disse Bryce.
Lui annuì. “La mia guida è stata sua allieva. Quando seppe che la comandante cercava un mantello per completare la sua scorta, le suggerì il mio nome.”
“Deve considerarti il suo migliore allievo” disse Bryce.
“Non credo proprio. Solo i peggiori finiscono per diventare una scorta.”
“I peggiori o più sottovalutati” disse Tobha.
“I peggiori e basta” fece Robyt.
Bryce guardò Jakos.
Lo stregone era in piedi vicino all’entrata e fissava l’esterno con espressione accigliata.
“E tu, Jakos?” chiese Bryce. “Da quale circolo vieni?”
“Danusta” rispose lo stregone.
“Danusta” gli fece eco. “Giusto. Avrei dovuto capirlo dal mantello.”
“Come? Ci sono cinque vassalli di Valonde che portano lo stesso colore. Ci saresti potuta arrivare solo osservando i ricami sul mio mantello.”
Bryce gettò un’occhiata alle spalle dello stregone. Il mantello era di raso verde smeraldo. Non vide fregi, toppe o ricami che le potessero rivelare qualcosa sul suo casato o la città di provenienza.
“Tu non ne porti nemmeno uno” disse cercando le parole giuste.
“Sei una buona osservatrice” rispose lo stregone.
Bryce non sapeva dire se dicesse sul serio o la stesse prendendo in giro. La cosa la irritò ma se ne dimenticò quando Jakos cambiò posizione all’improvviso.
“Che succede?” chiese Robyt allarmato.
“Jehla Metz sta tornando” disse Jakos. “E non è da sola.”


 

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Capitolo 29
*** Puoi fidarti di me ***


Puoi fidarti di me

“Tu puoi entrare” disse Jakos rivolto a qualcuno che si trovava all’esterno. “Ma gli altri no.”
Altri? Si chiese Bryce. Di chi sta parlando?
Dall’esterno giunse una voce squillante. “Chi lo dice?”
“Ordini della comandante” rispose Jakos.
“Io sto eseguendo gli ordini di Erix” disse la stessa voce. “E a sua volta lei esegue gli ordini di re Andew. Quindi sai quanto me ne importa degli ordini della tua comandante?”
Bryce sospirò. Nella sua mente si formò l’immagine di Elvana che fissava con aria di sfida l’entrata della torre mentre parlava con quel terribile accento che allungava tutte le vocali senza alcun senso. Lo trovava divertente e al tempo stesso irritante, ma ogni tanto aveva dovuto soffocare una risatina.
Jakos sospirò affranto. “Senti, strega della notte.”
“Mi chiamo Elvana, mezzostregone piediasciutti.”
Jakos fece tambureggiare le dita sul muro.
“Fa questo effetto anche a me” disse Bryce con tono comprensivo.
“Non posso farti entrare” disse Jakos con tono spazientito. “E ora vattene.”
“Altrimenti?”
“Dovrò farti allontanare io. E quando lo farai striscerai.”
Sentì la risata di Elvana echeggiare dall’esterno.
“Jakos” disse Bryce.
Lui la guardò accigliato.
“Lasciala entrare. Vuole solo assicurarsi che sia intera.”
“Ho degli ordini.”
“Non hai idea di quanto possa essere insistente. Una volta mi ha seguita per mezzo circolo.”
Jakos chinò la testa in avanti e quando la rialzò guardò verso l’esterno della torre. “Tu puoi entrare, strega della notte, ma i tuoi amici devono restare fuori.” Si allontanò dall’ingresso per lasciare passare qualcuno.
Jehla Metz fu la prima a entrare con una borsa per mano. Ne buttò una a terra davanti a Bryce e l’altra la mise su di un lato. La seconda fu Elvana che appena dentro annusò l’aria come avrebbe fatto un cane.
“Puzza di chiuso qui dentro.”
Jakos la guardò accigliato.
Elvana gli elargì un mezzo ghigno e guardò Bryce. “Lo sai che non devi allontanarti mai da me. Sono stata in pensiero.”
“Smettila” disse Bryce. “Ora ho una scorta migliore di te.”
“Che ingrata” rispose Elvana piazzandosi di fronte a lei. “Qualcuno vuole spiegarmi che sta succedendo? L’ho chiesto a Jehla ma lei si è cucita la bocca.” Scosse la testa. “Non vorrei essere costretta a picchiarla per farla parlare, ma…”
“Devi solo provarci” disse Jehla sedendo a cavalcioni della sua sacca.
“Quello che sta accadendo qui non è una faccenda che ti riguarda” disse Jakos.
“Qualunque cosa comprenda Bryce di Valonde riguarda anche me” rispose Elvana con tono deciso.
“Non questa faccenda, strega della notte.”
Elvana lo fissò con astio.
“Ora puoi andare.” Jakos le indicò l’ingresso.
Elvana guardò Bryce. “Qualsiasi cosa stia succedendo, io posso esserti d’aiuto. Puoi fidarti di me.”
“Non dopo l’altra sera” disse Bryce.
Elvana scosse la testa. “Ci sono delle voci che girano. Tutti parlano tra di loro ma nessuno parla con noi.”
“Non si fidano di te” disse Jakos. “Strega della notte.”
“Bryce” iniziò a dire Elvana.
“Vai” fece Bryce. “Qui non mi sei utile.”
“Idiota” rispose la strega voltandosi. Passò di fronte a Jakos fissandolo con disprezzo. “Se qualcuno le farà del male per colpa tua, te la farò pagare.”
“Non minacciarmi, ladra” rispose lo stregone.
Elvana sparì oltre l’ingresso e Bryce si sentì sollevata dalla sua assenza.
“È sempre così quella strega?” le chiese Robyt.
Bryce non gli rispose.
Jehla si grattò la testa. “Io ho bisogno di riposare un po’. Non dormo da due giorni a parte qualche piccolo periodo di riposo.” Gettò un’occhiata a Bryce. “Però su una cosa aveva ragione Elvana. Si stanno diffondendo delle voci nel campo. Maggart e quelli che lo supportano non manterranno a lungo il segreto sulla richiesta di Azaril.”
“Maggart è un idiota” disse Tobha.
Jakos le gettò un’occhiataccia.
“Che ho detto di falso?” si difese la strega. “Lo dicono tutti.”
“Forse sono loro gli idioti” l’ammonì Jakos. “E stai parlando male di uno stregone di rango superiore al tuo. Devi imparare a tenere a freno la lingua se vuoi restare qui.”
Tobha scrollò le spalle.
“In ogni caso, tra un giorno al massimo tutti sapranno della faccenda” disse Jehla. “Spero che Artesia abbai pensato a cosa fare per allora.”
Bryce si accigliò.
“Sta già facendo qualcosa” disse Jakos. “Tiene al sicuro la principessa.”
“Certo” fece Jehla. “Ma quanto è sicuro questo posto?”
“Abbastanza” ribatté Jakos.
“Secondo te Artesia ci ordinerà di portare via la principessa?” domandò Robyt.”
Jehla si strinse nelle spalle. “Voi la conoscete meglio di me. Secondo te cosa farà?”
“Non lo so” rispose Robyt. “Ma vorrei saperlo.”
Anche io, pensò Bryce. Ma io so quello che voglio fare.
“Riposa anche tu” disse Jakos rivolta a lei. “Può darsi che l’ordine di andarcene arrivi presto. In quel caso dovremo essere pronti a metterci subito in marcia.”
Bryce tirò fuori dalla sacca la coperta di lana e se la avvolse attorno al corpo. Anche se lì nella torre non faceva molto freddo, dormiva meglio potendosi stringere al suo interno. Usò la sacca come cuscino e chiuse gli occhi.
Le servì un po’ di tempo per scivolare nel sonno.

Qualcuno la scosse con violenza. Bryce aprì gli occhi e sussultò alla vista del viso di Robyt. Lo stregone sembrava preoccupato e dispiaciuto al tempo stesso.
“Mi spiace di averti svegliata” disse esitando.
Bryce socchiuse gli occhi. “Che succede?” chiese con voce impastata dal sonno. Gettò un’occhiata all’ingresso, dove un panno ondeggiava al vento leggero che spirava dall’esterno. Dietro di esse vide danzare delle forme e un leggero bagliore. Subito dopo udì un rombo sommesso seguito da un leggero tremolio delle pareti di pietra.
“Dannazione” disse alzandosi di scatto. “Chi sta lanciando una sfera infuocata in mezzo al campo?”
Robyt si allontanò di un paio di passi. “Non lo so. Hanno iniziato a combattere da poco. Per questo ti ho svegliata.”
“Combattere?” chiese Bryce allarmata. “I rinnegati sono qui? Come hanno fatto a sorprenderci?
“I rinnegati non c’entrano” disse Jehla. “Stanno combattendo tra loro.” Andò verso l’ingresso.
“Ti consiglio di non uscire” l’avvertì Jakos. Notò che si era ritirato dietro la parete di roccia e sbirciava all’esterno scostando un lembo del panno che chiudeva l’ingresso. “Ho visto qualche dardo volare e non vorrei che ti colpisse per sbaglio.”
Bryce si mosse verso di lui.
Jakos si girò nella sua direzione. “Dove vuoi andare?”
“Fuori” disse decisa.
“Non posso permettertelo.”
“Perché combattono?”
“Non ci arrivi da sola, Bryce?” le chiese Jehla.
Lei scosse la testa.
“Maggart e i suoi hanno diffuso la notizia. Ora tutti sanno di Azaril e la sua richiesta.”
“Dovrebbero prepararsi a combattere contro il rinnegato” disse Bryce.
“Per quale motivo dovrebbero farlo? Se ti consegnassero a lui sarebbero salvi” disse Jehla.
Bryce deglutì a vuoto. “Questo è assurdo.”
“Persone disperate fanno cose assurde” disse Jakos. “Artesia lo sapeva e ha iniziato a prendere provvedimenti appena è stata certa che tu fossi in un posto sicuro. Ma questa torre non lo sarà a lungo, temo.”
Il panno che copriva l’ingresso si aprì e Tobha si gettò all’interno. Mosse un paio di passi verso il centro del pavimento piegata in due e ansimante.
“Che hai visto?” le chiese Robyt.
“Prima lasciala riprendersi un poco” fece Jakos.
Tobha annuì e si raddrizzò. “Stanno combattendo.”
“Chi?” le chiese Jakos.
“Maggart, Barris, Letheram e altri comandanti. Per ora sono solo loro ma altri si uniranno.”
“E la comandante?”
“Ha ancora il controllo di questa parte del campo, ma non ci vorrà molto prima che abbiano il sopravvento. Credo che il rapporto tra le forze sia di tre a due, ma si sta ampliando.”
“Dannazione” esclamò Jakos. “Dovevamo andarcene subito. Adesso sarà molto più difficile allontanarci.”
“Forse no” disse Tobha. “Ho visto la zona dei recinti. Lì non sono ancora arrivati. Se ci andiamo subito possiamo prendere cinque cavalli per noi e far fuggire gli altri. Questo li rallenterebbe, giusto?” Guardò Jakos che annuì.
“È una buona idea. Ci andiamo subito. Preparatevi.”
Bryce prese la sacca e ci buttò dentro la coperta di lana.
“No” disse Jakos. “Lasciamo tutte le nostre cose qui. Ci serve viaggiare leggeri e veloci.”
Bryce infilò una mano nella borsa e ne trasse il libro di Joyce. Lo infilò in una tasca del mantello e buttò la sacca in un angolo.
Jakos e Tobha si erano piazzati di fronte all’ingresso.
“Usciamo prima noi” disse Jakos. “Robyt, usa lo scudo per proteggere la principessa.”
Robyt rispose con un cenno della testa.
“So difendermi anche da sola” disse Bryce infastidita. “Ho ucciso un forgiatore.”
Jakos guardò fuori. “Potrai anche essere abile, ma una vera battaglia è una faccenda diversa. Quante ne hai combattute?”
“Nessuna” ammise.
“Come sospettavo. Vi farò un segnale se è sicuro” disse gettandosi fuori.
Bryce attese insieme agli altri trattenendo il fiato finché un fischio dall’esterno la fece sussultare.
“È Jakos” disse Tobha uscendo.
Jehla la seguì e poi Robyt. Bryce uscì dopo di lui.
Il terreno attorno alla torre settentrionale era sgombro dalle tende come lo ricordava. Quelle più vicine formavano una fila compatta oltre la quale si muovevano di corsa soldati e mantelli.
“Andiamo” li esortò Jakos.
Camminarono seguendo il perimetro delle mura fino a una zona dove la parete era collassata verso l’interno trascinandosi dietro tutto il resto. Le pietre occupavano lo spazio fino a un gruppo di tende a una ventina di passi di distanza.
“Da questa parte” disse Jakos dirigendosi verso le tende.
Tobha e Jehla lo seguirono, mentre Robyt si mosse più lento insieme a Bryce.
Un piccolo sole si accese tra loro e le tende. Bryce fece appena in tempo a evocare lo scudo magico. Fu l’istinto in anni di addestramento a guidare la sua mano. Il calore dell’esplosione la investì prima del boato assordante e dello spostamento d’aria che rischiò di scaraventarla indietro. Il polverone alzato dallo scoppio coprì la luce del sole e rese ombre confuse le persone che si muovevano lì vicino.
Udì qualcuno gridare e un flebile lamento provenire da un punto alla sua destra. Si girò da quella parte, lo scudo alzato e si mosse nella nebbia fino a incontrare un ostacolo.
Guardò in basso e vide il viso di Robyt fissarla con gli occhi sbarrati e vitrei. Al posto del braccio c’era una macchia rossa sul terreno.
“Dannazione” sibilò tra i denti.
“Da questa parte” gridò qualcuno. “Sono andati di lì. Li ho visti.”
“Dove?” domandò un’altra voce.
Vide ombre muoversi nella foschia e rimase immobile, cercando di capire chi avesse lanciato la sfera infuocata contro di loro.
Una mano le afferrò il braccio. Si girò di scatto, un dardo nella mano destra.
“Sono io” disse Jakos. Guardò in basso. “Era quello più vicino all’esplosione.”
“Tobha? Jehla?” chiese.
Jakos scosse la testa. “Non lo so dove siano andate, ma se sono intelligenti si saranno dirette ai cavalli. Noi faremo lo stesso.”
Bryce guardò oltre la sua spalla. “Non credo.”
Una dozzina di mantelli era apparsa a venti passi da loro. Maggart era alla loro testa.


 

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Capitolo 30
*** Risolviamo la faccenda ***


Risolviamo la faccenda

Jakos evocò i dardi magici e li puntò contro lo stregone.
Maggart reagì evocando lo scudo. “Non voglio ucciderti” disse.
Gli altri mantelli si disposero formando un semicerchio attorno a loro.
Bryce tenne lo sguardo puntato di Maggart mentre con la coda dell’occhio cercava di tenere sotto controllo quelli alla sua sinistra.
Sperò che Jakos stesse facendo lo stesso con quelli sulla destra che lei non poteva vedere.
“Fatevi da parte” disse Jakos.
Maggart non si mosse. “Prima parliamone.”
“Non abbiamo molto da dirci.”
“Invece sì” disse Maggart. “Artesia è morta.”
Bryce si accigliò.
“Dannato assassino” ringhiò Jakos.
“È stato un incidente. Volevo parlare con lei ma mi ha attaccato senza motivo. Abbiamo risposto e lei è stata colpita per sbaglio.”
“Menzogne” disse Jakos.
Maggart avanzò di un passo. “Sentì, Jak. Vogliamo solo la principessa. Nessuno deve morire. Noi la prendiamo e la faccenda è risolta.”
“Risolta in che modo?” chiese Jakos.
“La portiamo da quello stregone rinnegato” rispose Maggart. “Come lui ha chiesto. Una volta consegnata Bryce, andremo via da questo dannato posto.”
“Ho avuto ordine di proteggere la principessa, non di consegnarla ai rinnegati.”
“Lascia perdere quegli ordini” esclamò Maggart. “La persona che te li ha dati non ha più il comando. Adesso sono io che do gli ordini.”
“Tu sei un rinnegato ora” disse Jakos. “Ti aspetta la morte. O Krikor.”
“Credi che non lo sappia? Quando tornerò a Londolin mi processeranno, ma qui sta il punto, Jak. Io voglio tornare a casa e lo vuole la maggior parte di quelli che si trovano in questo campo. Artesia non l’aveva capito e guarda che cosa le è successo. Io ti conosco bene, Jak. So che sei una persona ragionevole nonostante tutto quello che hai fatto.”
“Attento a quello che dici.”
“So quello che dico” disse Maggart. “Abbiamo fatto la nostra parte.”
“La guerra non è ancora finita.”
“Per noi lo è. Guardali, Jak. Hanno combattuto e sono stati sconfitti. Ci hanno mandati da soli in una regione sperduta, in mezzo a forze di rinnegati superiori alle nostre. E sai per quale motivo?”
Jakos scosse la testa.
Maggart indicò Bryce e lei sussultò. “Per quella lì” disse. “Erix e la sua armata dovevano procedere indisturbate mentre avanzavano verso l’armata di Malag. Niente doveva mettersi sulla loro strada. Noi siamo serviti come diversivo per distrarre l’orda.”
“Stai mentendo” disse Jakos.
“Ho letto le carte, Jak. Artesia ha ricevuto dei messaggi da quando siamo partiti. Li ha ancora nella sua tenda, ben nascosti, ma esistono. Se vuoi posso mostrarteli.”
“È falso” disse Bryce. “Non credergli.”
“Tu sai che è così, Jak. Ti conosco da prima che ti consacrassi. Dannazione, pensi che ti mentirei su una faccenda così grave? Ti sto chiedendo di fidarti di me, di un tuo confratello, invece che di stranieri.”
“Sono nostri alleati” ribatté Jakos.
Maggart scosse la testa. “Non costringermi a farlo.”
Jakos arcuò la schiena come un animale sul punto di gettarsi contro la sua preda.
Maggart fece un cenno con la mano. Alle sue spalle emersero altre figure che nella nebbia causata dalla esplosione erano sagome indistinguibili l’una dall’altra.
Una fila di venti soldati armati di lancia e scudo marciò fino a nascondere lo stregone dietro di sé. Un’altra fila avanzò alle spalle della prima e un’altra dietro.
“Dannazione” disse Jakos. “Era solo una scusa per tenerci qui mentre loro si organizzavano.”
Bryce guardò a sinistra e vide altri mantelli unirsi a quelli che li avevano circondati.
“Io li terrò occupati mentre tu ti farai strada verso il recinto dei cavalli” disse Jakos. “È tutto quello che posso fare.”
“Morirai.”
“È possibile. Hai un’idea migliore?”
Bryce cercò di pensare in fretta a una soluzione ma gliene venne in mente soltanto una. “So come risolvere la faccenda” disse.
Jakos la squadrò dalla testa ai piedi. “Come?”
Bryce avanzò di un paio di passi e si fermò davanti ai soldati con le lance e gli scudi spianati. “Hai vinto” disse rivolta a Maggart. “Mi consegnerò al rinnegato e voi sarete salvi” aggiunse a voce alta affinché tutti la udissero.
“La tua offerta è inutile” disse Maggart. “Noi ti porteremo da lui, che tu lo voglia o meno.”
Bryce evocò lo scudo e la lama magica nell’altra mano. “In questo caso, porterete al rinnegato un cadavere. E io credo che mi voglia viva, altrimenti sarebbe venuto qui da solo a uccidermi.”
Maggart si accigliò. “Perché ti vuoi offrire? È un trucco?”
“Niente trucchi” disse Bryce. “Voglio andare dal rinnegato. L’ho sempre voluto, in verità.”
“Sei folle.”
“Voglio uccidere Malag e mettere fine alla guerra. Tu non lo vuoi?”
“Io voglio tornare a casa” disse lo stregone.
“Allora accetta la mia offerta.”
I mantelli e i soldati che si erano radunati lì attorno guardarono Maggart in attesa di una risposta.
“Se accetto, come farai ad andare dal rinnegato?”
“Con un cavallo. Basterà che me ne diate uno. E con Jehla. Lei è l’unica che sa dove si trova l’armata del rinnegato. Se l’avete uccisa sarà molto difficile arrivarci da sola.”
Maggart fece un cenno con la testa a uno stregone alla sua destra. L’uomo sparì dietro una tenda e quando tornò con lui c’erano Jehla Metz e Tobha. Entrambe erano scortate da mantelli e soldati. Vennero portate vicino a Maggart e costrette a inginocchiarsi.
“Le abbiamo sorprese mentre cercavano di rubare i cavalli” disse lo stregone. “Ma come vedi stanno bene. Non siamo assassini.”
Bryce annuì. “Ho delle condizioni da porre” disse scegliendo con cura le parole.
“Non le accetteremo” disse subito Maggart.
“Allora non ci sarà alcun accordo e mi dovrai uccidere qui e subito.” Guardò i mantelli e i soldati. “E tra quattro o cinque giorni morirete anche voi.”
Maggart ricevette un centinaio di sguardi ostili da parte di quelli che lo avevano spalleggiato. “Dicci le tue condizioni, principessa.”
“Jehla Metz, Tobha, Jakos, Fraska, Divash.” Sospirò. “Ed Elvana verranno con me.”
“No” disse Maggart. “Non ti porterebbero mai dal rinnegato. Ti scorteremo noi.”
E che fine faranno quelli che resteranno qui al campo e non si sono schierati dalla vostra parte? Si chiese. Non posso lasciarli qui a morire dopo che hanno rischiato la vita per me. Dopo che sono morti per me. Non potrei sopportarlo. Sarebbe troppo.
“Tu potrai scegliere dodici mantelli che ci scortino” gli offrì Bryce.
Maggart fece per dire qualcosa ma sembrò ripensarci. “Venti.”
“Venti” confermò Bryce. “E tu ne farai parte.”
“Io?” fece lo stregone.
“Ti assicurerai che mi consegnino al rinnegato. Tutti in questo campo si fidano di te e quando tornerai da loro tu potrai confermarlo con la tua parola.”
Maggart esitò.
“Giusto” disse uno stregone. “Maggart ci darà la sua parola di confratello.”
“Sì” gridò una strega. “Maggart è la scelta giusta. Deve accettare.”
Quelli che si trovavano lì attorno si scambiarono cenni affermativi con la testa.
“Maggart deve andare.”
“Che vada anche lui.”
Maggart strinse i denti in un sorriso forzato. “Va bene” gridò. “Accetto l’offerta della principessa. La porterò dal rinnegato e mi assicurerò che ci resti.”
Bryce vide la tensione allentarsi sui volti di quelli che qualche attimo prima volevano attaccarla. Eliminò lo scudo e la lama magica e camminò fino a Maggart.
“Prepara i cavalli. Voglio partire subito.”
Lo stregone annuì. “Prima devo scegliere la scorta. È una decisione saggia la tua, principessa.”
“Non è stata una decisione presa ora. Volevo andare dal rinnegato fin da quando Jehla me ne ha parlato, nella tenda di Artesia.”
Maggart la fissò per qualche istante, poi disse: “Farò radunare la tua scorta e i cavalli, ma non provare a fuggire o tutta questa armata ti inseguirà.”
Lo stregone tornò tra quelli che li avevano circondati e parlottò con alcuni di loro sbracciandosi e facendo segni con le braccia.
Bryce attese paziente vicino al muro crollato. Jakos le si avvicinò quasi di soppiatto.
“Non era questo il piano di Artesia” disse lo stregone con tono di rimprovero. “Ma ti ringrazio lo stesso. Potresti aver salvato tutta l’armata col tuo sacrificio.”
“Non è un sacrificio. So quello che faccio” rispose cercando di mostrarsi più sicura di quanto non lo fosse in realtà.
Jehla Metz e Thoba arrivarono scortate da un paio di stregoni. Entrambe avevano delle ferite leggere alle braccia e le gambe, ma si reggevano in piedi.
“È un errore” disse Jehla. “Non dovevi cedere.”
“Avrebbero ucciso tutti noi” disse Bryce.
“Tu no. Tu saresti sopravvissuta.”
“A che scopo? Per farmi incatenare da Maggart e farmi portare de Azaril come un animale? Piuttosto mi sarei fatta uccidere.”
“Non dubito che l’avresti fatto” disse Divash sopraggiungendo, anche lui scortato da due streghe e due stregoni. Fraska lo seguiva a pochi passi di distanza, lo sguardo accigliato.
Bryce gli rivolse un mezzo sorriso. “Tu al mio posto come ti saresti comportato?”
“Sarei fuggito abbandonando al loro destino questi infami” rispose lo stregone.
I mantelli che lo scortavano gli rivolsero un’occhiata piena di disprezzo.
“Che cosa ho detto di sbagliato?” si difese Divash. “Per quello che avete fatto sarete considerati degli infami.”
“Taci” disse una delle streghe. “Maggart ha dovuto agire così o Artesia ci avrebbe condannati tutti a morte.”
“Morirete lo stesso, perché quando si saprà ciò che avete fatto non ci sarà posto sul continente dove potrete nascondervi.”
“Basta, Div” disse Jehla. “Litigare adesso non sarà d’aiuto a nessuno. Pensiamo piuttosto a come raggiungere l’orda dei rinnegati senza farci ammazzare tutti per la via.”
Una ventina di soldati guidati da Maggart portarono sei cavalli e li diedero a Bryce e agli altri.
“C’è un errore” disse contando le bestie. “Ne manca uno.”
“Ne abbiamo portato uno per ciascuno di voi” rispose Maggart.
“Siamo in sette.”
Lo stregone la guardò accigliato. “Io ne conto solo sei.”
“Elvana” disse Bryce. “Manca la mia scorta personale.”
“La strega della notte è fuggita dal campo” disse Maggart. “Proprio come la codarda che è sempre stata. Ti ha abbandonata anche lei, Bryce di Valonde. Ora vogliamo andare?”

Note
E anche Bryce arriva a metà della corsa. Dal prossimo capitolo andremo dritti verso il gran finale :)
Per festeggiare mi concedo un sabato di vacanza e relax, ma non temete tornerò lunedì con un nuovo, fiammante capitolo.
E domenica non perdete la sorpresa che ho preparato (spero che vi piaccia).

 

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Capitolo 31
*** Solo un ricordo ***


Solo un ricordo

“Io spero che tu sappia dove stiamo andando” stava dicendo Maggart tra un sorso alla borraccia e l’altro.
Jehla Metz lo fissò con astio. “La via è questa.”
“Lo spero per te, ma io ho l’impressione che tu ci stia facendo fare il giro più largo per farci perdere tempo.”
Bryce, seduta a cavalcioni su di una pietra, stava cercando di concentrarsi sul Destino di una Strega. Era arrivata al punto in cui Shili si trovava da sola in mezzo a una foresta incantata, solo che non era davvero incantata ma piena di orribili mostri che cercavano di aggredirla. Solo con il potere della sua purezza e la bontà innata riusciva a tenerle lontane, ma se avesse ceduto alla paura l’avrebbero divorata.
Controllò le pagine che aveva letto e quello che le restavano da mancare.
Sono quasi a metà, si disse sorpresa. È più di quanto avessi mai letto prima di qualsiasi altro libro di Joyce.
Aveva ripreso a leggerlo durante le frequenti pause che Jehla imponeva per trovare un buon posto dove bivaccare e tenersi lontani dalle vie principali.
“Sono infestate dai predoni” aveva detto la strega.
“Non è da loro che dobbiamo andare?” aveva domandato Fraska.
Jehla l’aveva squadrata con sguardo scettico. “I rinnegati sono un’armata organizzata, con una certa disciplina, oserei dire.”
Maggart aveva fatto schioccare le labbra. “Che ne sai tu di quelli lì? Per me non sono molto diversi.”
Jehla aveva scosso la testa. “È un errore comune, ma io che esploro queste regioni da alcune Lune, so che non è così. I predoni possono essere molto peggio. Una volta abbiamo incontrato un villaggio che era stato dato alle fiamme e…”
“Sono tutte sciocchezze” aveva esclamato Maggart alzandosi di scatto. “Predoni o rinnegati non fa alcuna differenza. Sembra quasi che tu li ammiri, quegli infami.”
“Almeno non combattono tra di loro” aveva replicato Jehla.
Maggart l’aveva fissata in silenzio per qualche istante e poi si era voltato allontanandosi di qualche passo. Era andato a parlare con un paio di mantelli che facevano parte della sua scorta e che sembravano i suoi consiglieri più fidati.
“Si è portato dietro quelli di cui si fida di più” le aveva sussurrato Divash.
“Io avrei fatto lo stesso” gli aveva risposto.
“Lo so. E avresti commesso un grosso errore.”
“Posso chiederti perché?”
Divash aveva sogghignato. “Chi ha lasciato al campo?”
“Non lo so.”
“E io nemmeno, ma se ha portato qui quelli che gli sono fedeli, deve essersi lasciato indietro quelli che lo sono di meno. Gli incerti. E quelli che lo hanno affrontato.”
“Sono morti.”
Da Divash e Fraska aveva scoperto che era iniziato con un attacco alla tenda della comandante. Due sfere infuocate che l’avevano distrutta uccidendo la sua guardia e tre stregoni di alto rango a lei fedeli con i quali era in riunione.
Dalla tenda in fiamme erano usciti la comandante e due mantelli sopravvissuti, una strega e uno stregone. Erano feriti ma ancora vivi.
Maggart e i suoi li avevano attaccati scatenando la reazione di quelli che erano fedeli ad Artesia. Nel combattimento erano morti in trenta, compresi il resto dei mantelli di scorta che si trovavano con lei nella tenda.
Ferita e circondata, la comandante si era arresa.
C’erano stati scontri minori finché la fazione di Maggart non aveva prevalso.
Tutto mentre io me ne stavo chiusa in una torre, si era detta Bryce. Come le sciocche principesse dei romanzi della Stennig che aspettano che il principe vada a salvarle.
Scosse la testa per allontanare quei pensieri e concentrarsi sulle vicende di Shili. Era arrivata al capitolo in cui la principessa, caduta in un pozzo, era stata salvata da un bel cacciatore che viveva nei boschi.
Li incontra tutti lei? Si chiese divertita. Come può piacere a Joyce questa roba?
“La via è quella giusta” disse Jehla Metz. “Tra un giorno dovremmo arrivare al campo dei rinnegati.”
“Bene” disse Maggart alzandosi. “Spero proprio per te che sia così.”
Mentre si allontanava, Divash andò a sedersi vicino a Bryce.
“Come ci riesci, principessa?”
Bryce sollevò gli occhi dalla pagina. “A fare cosa?”
“A leggere mentre ti stiamo portando tra le braccia del nemico.”
Bryce abbozzò un sorriso. “Forse state portando il nemico tra le mie braccia.”
Lo stregone ghignò. “Sempre convinta di stare facendo la cosa giusta?”
Lei annuì.
Divash scrollò le spalle. “Non so se sei più sciocca o coraggiosa. Forse un po’ l’una e un po’ l’altra.”
Bryce usò la foglia per tenere il segno e chiuse il libro per infilarlo con cura in una tasca interna del mantello.
“Non sono felice di consegnarmi a quei rinnegati” disse con tono paziente. “Ma se questo può servire a salvare delle vite, sono contenta.”
“Molto nobile da parte tua, ma io ti ho vista combattere. Sei più abile a distruggere vite che a salvarle. Non mi rende felice privarmi di una strega abile come te, per quanto giovane e inesperta. E anche un po’ arrogante.”
“Non riesci a farmi un complimento senza aggiungerci tre offese?” gli chiese con aria di sfida.
“Non ti ho fatto nessun complimento, principessa. Sei troppo sicura di te. Troppo arrogante. Finirai per sbagliare e sarà la tua rovina.”
“Ora mi stai anche minacciando?”
“Ti sto avvertendo. E sarebbe bene che parlassimo di che cosa accadrà dopo.”
Bryce si accigliò. “Dopo cosa?”
“Dopo che ti avremo consegnata ai rinnegati.”
“Questo è facile” disse Bryce sicura.
Aveva pensato a lungo a quel momento e aveva cercato di preparare un piano, ma aveva concluso che era impossibile prevedere che cosa sarebbe accaduto.
“Il rinnegato mi vuole viva per portarmi da Malag. Come un trofeo.”
“Ne sembri davvero sicura.”
“Jehla è d’accordo con me, giusto?” chiese rivolgendosi alla strega.
Lei si strinse nelle spalle. “È solo una mia impressione, ma Azaril penso ti voglia portare al rinnegato per dimostrargli la sua lealtà e fedeltà.”
“Mi domando da cosa tu l’abbia capito” fece Divash perplesso.
“Tu sei uno stregone da battaglia e forse non sei abituato a valutare le persone per come parlano o si comportano” disse Jehla.
“Spero tu non mi stia offendendo, strega di basso rango.”
Bryce ridacchiò di nascosto.
Jehla scrollò le spalle. “Non era mia intenzione, credimi, ma è così. Prima che Yan mi reclutasse il mio compito era scortare ambasciatori e messaggeri verso i regni confinanti. Ho viaggiato parecchio e visto molti posti. E soprattutto ho incontrato molte persone, alcune delle quali erano sincere, mentre altre non lo erano.”
“Azaril ti sembrava sincero o un infame?” le chiese Divash.
“Mi ha dato l’impressione di essere alla ricerca di qualcosa.”
“Parlami di lui” la esortò Bryce.
“L’ho visto una sola volta, quando mi ha rimandata indietro col messaggio da riferire ad Artesia.”
“Parlaste solo di quello?”
“Sì. Mi disse del messaggio e di fare in fretta, perché dalla mia capacità di convincervi che la minaccia era seria poteva dipendere la vita di migliaia di persone. No, mi sono sbagliata. Parlò di milioni.”
“Milioni” disse Divash. “L’armata di Artesia ne conta a malapena diecimila. Quel rinnegato non sa fare di conto?”
“Non lo so” disse Jehla. “Ma sembrava davvero convinto di quello che diceva.
“Credi che manterrà la parola o ucciderà la principessa?” le chiese Divash.
“Non so se ci si può fidare di lui, ma sapeva dove è l’armata e in che condizioni si trova. Poteva ammazzarci tutti e marciare verso di noi, mentre come puoi vedere la via è libera e noi siamo ancora vivi. Se dovessi scommettere, direi che non vuole uccidere Bryce ma portarla in dono a Malag.” Guardò Bryce. “E io non ti invidio affatto. Non so come tu faccia a essere così serena.”
“Sono nata per questo” disse Bryce ripetendo le parole di suo padre.
Jehla si accigliò.
“È così” proseguì Bryce. “Non so spiegartelo in altro modo. So che se arriverò davanti all’arcistregone, avrò la possibilità di ucciderlo e mettere subito fine a questa guerra.”
“Morirai, piuttosto” disse Divash.
“Forse” rispose Bryce. “L’hai detto anche tu che sono forte.”
“Non lo sei abbastanza” ribatté lo stregone. “Tu sei solo una strega di basso rango giovane e arrogante, mentre lui è l’arcistregone che è sopravvissuto a un duello col più grande eroe di tutti i tempi ed è resuscitato cento anni dopo la sua morte. Cosa ti fa credere di poterlo uccidere?”
Nella mente di Bryce riecheggiarono le parole di suo padre, le stesse che le aveva ripetuto negli anni in cui si era allenata nei sotterranei del palazzo di Valonde ogni giorno, per almeno mezza giornata, a volte per una intera, sfidando e abbattendo qualsiasi guida le avessero messo contro.
Vide sfilare una decina di volti, alcuni amichevoli, altri ostili. Aveva subito sconfitte ma aveva anche imparato da esse, scoprendo i loro punti deboli e approfittandone.
Aveva pianto per le ferite, la fatica, il dolore.
“Un giorno tutto questo ti servirà” le diceva suo padre quando le asciugava le lacrime. “Ti renderà più forte, più resistente.”
A volte Bryce aveva la sensazione che tutti quegli sforzi fossero inutili. Un erudito chiamato a palazzo per completare la sua istruzione le aveva raccontato del duello tra Malag e Bellir, di come l’eroe affrontò l’arcistregone armato della spada forgiata dagli elfi e dell’armatura costruita dai nani.
Era andata a raccontarlo a suo padre.
“Bellir aveva le sue armi magiche” si era lamentata. “Come farò a battere l’arcistregone senza?”
“Tavon ti ha raccontato queste sciocchezze?” aveva detto suo padre.
Bryce aveva annuito col cipiglio tipico di una bambina della sua età.
“E ti ha per caso detto dove si trovava la forgia degli elfi o la miniera dei nani da dove Bellir prese le sue armi?”
Bryce aveva esitato prima di rispondere. “No” aveva ammesso incerta.
“Tavon non lo ha fatto perché nessuno di quei luoghi esiste, come non esistono gli elfi, i nani e gli uomini drago che mangiano i bambini che fanno domande troppo impertinenti.”
Bryce aveva provato vergogna per quello che aveva detto a suo padre.
“Io ti chiedo scusa.”
“Non sentirti in colpa, Bryce” aveva risposto suo padre. “L’arcistregone venne battuto a duello da Bellir, forse questo è vero e forse non lo sapremo mai, ma prima ancora la sua orda venne distrutta dal sacrificio di centinaia dei nostri migliori mantelli e soldati. Tutto questo non deve accadere mai più. È per questo che ti stiamo addestrando. Un giorno Malag o uno dei suoi accoliti potrebbe tornare per finire il lavoro iniziato cento anni fa e noi non possiamo farci trovare impreparati. Non stavolta.”
“Ma Malag è morto” aveva obiettato Bryce.
“E nonostante questo, è riuscito lo stesso a fare del male alla nostra famiglia. Ha cercato di uccidere tua sorella quando nemmeno era nata. Io non potrò mai perdonarlo e nemmeno tu dovrai. Devi diventare forte per entrambe.”
“Sono nata per questo” disse a Divash. “Mi sono addestrata per anni aspettando questo giorno.”
“Sarà stato tutto tempo sprecato se ti farai ammazzare da Azaril e i suoi.”
“Non succederà” disse Bryce sicura. “Lo userò per arrivare a Malag, lo ucciderò e la guerra sarà solo un ricordo.”


 

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Capitolo 32
*** Che cosa faremo dopo ***


Che cosa faremo dopo

La mattina del terzo giorno Jehla lasciò il loro gruppo. Alla sua partenza erano già tutti in piedi, compresa la scorta di Maggart.
Lo stregone volle scambiare due parole con lei prima che partisse. “Sai cosa fare, Jehla Metz. Riferisci a quel rinnegato che lo attenderemo qui per lo scambio. Lui porterà i prigionieri e noi gli daremo la principessa.”
Jehla annuì e guardò Bryce. “Sei sempre in tempo a ripensarci.”
“Tu piuttosto vedi di tornare con i prigionieri.”
E con Vyncent, avrebbe voluto aggiungere, ma non voleva mostrare davanti a tutti quella sua debolezza.
Aveva pensato spesso a lui in quei giorni, sperando che fosse ancora vivo e che Azaril avesse mantenuto la sua parola di non giustiziare i prigionieri fino al ritorno di Jehla.
Aveva temuto il momento in cui avrebbe scoperto la verità su quello che era accaduto e quel momento era arrivato.
Tra meno di mezza giornata saprò, si disse.
Secondo i calcoli fatti da Jehla, pensava di poter andare e tornare in quel tempo.
“Dipenderà da quanto si è spostato il campo di Azaril in questi giorni.”
“E se non fossero più lì dove li hai lasciati?” aveva domandato Maggart preoccupato.
“Azaril mi assicurò che se si fossero spostati mi avrebbe lasciato dei segni per poterli seguire. Non dovrei avere problemi a trovarli. È la cosa che mi riesce meglio.”
Jehla montò in sella al cavallo più fresco e veloce che avevano portato con loro e galoppò verso settentrione. Bryce la guardò allontanarsi finché non sparì oltre l’orizzonte. Solo allora andò a sedersi vicino a un masso che spuntava dal terreno come il dente spezzato di un gigante sepolto lì sotto.
Divash e Fraska la raggiunsero.
“So che non è il momento migliore per parlarne” disse lo stregone. “Ma dobbiamo discutere di una faccenda importante.”
Bryce si accigliò.
“Fraska e io ci siamo chiesti che cosa ci accadrà dopo che saremo tornati al campo con Maggart e i suoi.”
“Tornerete a casa” disse Bryce incerta.
“Non vogliamo viaggiare con loro” disse Divash. “Dopo l’ammutinamento, sono diventati dei rinnegati anche loro. Fare il viaggio insieme ci renderebbe rinnegati a nostra volta.” Scosse la testa affranto. “Mi chiedo se non lo siamo già diventati dando loro un aiuto con questa faccenda. In ogni caso, anche Jakos e Tobha sono d’accordo con me. E Jehla, naturalmente. Lei proprio non vuole saperne di tornare indietro.”
“Volete andare per conto vostro? Questa regione è enorme, vi prederete.”
“Con Jehla non accadrà. Yan l’ha istruito bene e ho la sensazione che tra un paio d’anni lo avrebbe superato in abilità. Dannazione, principessa, è sopravvissuta a uno scontro con i rinnegati e nonostante fosse ferita è riuscita a tornare da noi per avvertirci. Credo che valga la pena provarci.”
“A fare cosa?”
“A prendere il controllo e toglierlo a Maggart.”
“Vuoi attaccarlo?”
Divash annuì.
“Siete la metà dei loro.”
“Per ora.”
“Hai degli alleati segreti dentro il mantello?”
Divash scosse la testa. “Li ha Azaril per il momento, ma tra poco saranno qui.”
“I prigionieri non combatteranno contro Maggart” esclamò Bryce.
“Nessuno di loro è di Londolin, tranne uno. Maggart potrebbe non conoscerli molto bene e avere poca influenza su di loro. Di fatto la ribellione contro Artesia è stata iniziata dai Londolin perché si fidano di quell’infame. Potremmo approfittarne. Non dico che funzionerà, probabilmente no, ma dobbiamo tentare.”
“Mi sembra una follia.”
“È più o meno folle del consegnarsi al nemico?”
Bryce non aveva una risposta, ma in quel momento le importava solo di una cosa. “Lo stregone di Londolin tra i prigionieri” disse scegliendo con cura le parole. “Può esservi utile. Lo conosco abbastanza bene.”
“Lo conosci?”
“Era alla mia consacrazione” rispose. “Combattemmo insieme. È abile e leale.”
Divash annuì serio. “Garantisci tu per lui?”
“Sì. Non sarebbe contento di sapere che cosa ha combinato Maggart. Se riesci a convincerlo diventerà un buon alleato.”
“Sono bravo a convincere le persone” disse Divash. “Ci proverò. Dannazione, dovevo fare come Elvana e andarmene quando ne avevo l’occasione. Invece sono rimasto come uno stupido.”
“Sei stupido” disse Bryce comprensiva. “Ma almeno non sei un infame come quella lì.”
L’idea che Elvana fosse andata via abbandonandola la faceva arrabbiare e la rattristava al tempo stesso. Non riusciva a sopportare l’idea che avesse spezzato il giuramento che aveva fatto ai decani e a Erix.
Appena la rivedrò farò in modo che la puniscano come merita, si disse.
“Non essere troppo duro con lei. Al suo posto avrei fatto lo stesso.”
Bryce si rabbuiò. “È andata via senza motivo.”
“Il motivo ce l’aveva” disse Divash. “Deve ver capito che i Londolin stavano per prendere il sopravvento. Se fosse rimasta ora sarebbe un cadavere.”
“Se lo sarebbe meritato. I Londolin avevano ragione di disprezzarla.”
“I Londolin disprezzano un mucchio di cose. Come tutti noi, d’altronde.”
“Ci sarà pure un motivo se la chiamavano ladra.”
“Ha mai rubato qualcosa?” le chiese Divash.
“No, ma il suo popolo sì.”
“Cosa avrebbero fatto di così grave i ningothriani?”
“Vilcroen” disse Bryce come se quel nome spiegasse tutto.
Divash annuì grave. “Vilcroen, giusto. Ti hanno detto che cosa accadde?”
“Venne saccheggiata dai ningothriani.”
“E sai anche perché lo fecero?”
Bryce si strinse nelle spalle.
Divash sospirò. “Chi ti ha raccontato di Vilcroen?”
“È stato Maggart.”
“Come pensavo. A quell’infame piace raccontare le cose a modo suo.”
Bryce si accigliò.
“La storia di Vilcroen è un po’ diversa da come dicono i Londolin. Ningothris non è mai stata una nazione ricca o fiorente, ma vivevano degli scambi che facevano con le città della Costa Infuocata come Mar Siddhi e Mar Shedda. Metà dei loro provengono da lì. Nove secoli fa alcuni schiavi degli albini fuggirono e si stabilirono sulla costa settentrionale del continente.” Fece schioccare le labbra. “Non voglio annoiarti con troppi particolari. Un gruppo di pirati noto come i Figli dell’Abisso iniziò a colpire le città costiere bloccando i commerci con Ningothris e altre nazioni. Ne seguì una grave carestia perché Nightanatois non ha mai prodotto tutto il cibo di cui aveva bisogno ma lo aveva sempre comprato dai mercati del continente antico. Così all’improvviso due milioni di persone si ritrovarono senza cibo. Il senato di Ningothris deliberò di comprarlo da Taloras e Belliron, ma l’unico modo per farlo arrivare nelle città con i porti bloccati era farlo viaggiare via terra. E le rotte commerciali terrestri verso Ningothris sono tutte controllate dai Londolin. I bravi sovrani dal mantello verde alzarono le tasse che le carovane dovevano pagare per attraversare i loro territori. Ningothris pagò, almeno all’inizio, ma quando Londolin alzò ulteriormente il pedaggio, capirono che quello era un modo per strangolarli e preferirono scendere in guerra piuttosto che sottomettersi a loro. Colpirono Vilcroen perché aveva i magazzini pieni di grano. Il resto è come ti ha raccontato Maggart. Ci fu una breve guerra che costò la vita a qualche centinaio di soldati e decine di mantelli. Finché non intervenne Valonde con una sua armata per riportare la calma tra le due nazioni. Tuo padre radunò la flotta e le diede l’ordine di annientare i Figli dell’Abisso.”
Bryce tirò un lungo sospiro. “I Londolin non hanno agito come dei bravi alleati.”
“Sono vassalli devoti di Valonde, ma non nutrono alcun amore per i loro vicini. E sono ricambiati.” Divash ghignò. “E questo è anche il motivo per il quale non combattono nella stessa armata. Se non ci fosse stata Artesia al comando, la tua amica Elvana non sarebbe sopravvissuta tre giorni in mezzo ai Londolin.”
“Non è mia amica” disse dopo qualche istante di esitazione. “E sono ancora infuriata con lei. Avrebbe potuto almeno avvertirmi.”
Divash fece spallucce.
Passò il resto della giornata tentando di leggere, ma i pensieri andavano allo scambio e alla fine rimise il libro nella tasca interna e cercò di riposare distesa sulla coperta di lana.
“Voi. Preparatevi” disse uno degli stregoni della scorta di Maggart. “I rinnegati stanno arrivando con i prigionieri.”
Bryce balzò in piedi e marciò decisa verso Maggart, in piedi ai limiti del campo che avevano pizzato su di una bassa collina. Dall’altura poteva osservare un gruppo di cinquanta cavalieri venire verso di loro.
Da quella distanza non riusciva a riconoscere i volti, ma sentì lo stesso qualcosa agitarsi dentro il suo stomaco.
Vyncent deve essere tra di loro, si disse mentre discendeva il pendio della collina insieme a Maggart e la sua scorta. Erano questi gli accordi.
Dal gruppo dei cinquanta si staccarono due cavalieri. Uno indossava il mantello blu e l’altro quello grigio. Entrambi cavalcarono fino a trovarsi a un centinaio di passi di distanza prima di fermarsi.
Bryce cercò di capire quello che stava accadendo dall’espressione di Jehla Metz, ma da tanti passi di distanza era difficile scorgere il suo volto.
“Tu non muoverti di qui” disse Maggart. “Qualsiasi cosa accada di strano” aggiunse rivolto alla sua scorta. “Prendete i cavalli e scappate.”
Jehla e lo stregone rinnegato che l’aveva accompagnata smontarono e si diressero verso di loro. Maggart andò loro incontro.
I tre si fermarono a una cinquantina di passi di distanza, dove Bryce non poteva udirli. Jehla parlò per prima, poi toccò allo stregone rinnegato e infine fu Maggart a prendere la parola sottolineando le frasi con ampi gesti.
Lo stregone rinnegato si rivolse a quelli che erano rimasti indietro nel suo gruppo e fece loro un gesto col braccio. Dai cinquanta si staccarono la metà. Venti indossavano il mantello grigio mentre quello degli altri andava dall’azzurro di Valonde al verde di Londolin.
Bryce non ne era certa ma le sembrò che uno di essi la stesse fissando da lontano. Lei ricambiò quello sguardo.
Maggart e lo stregone rinnegato camminarono verso la collina a passo lento. “Come vedi” stava dicendo lo stregone di Londolin. “Abbiamo tenuto fede al patto.”
Il rinnegato era un uomo di mezza età dal portamento fiero e i capelli scuri spruzzati di grigio sulle tempie. Il naso aquilino spiccava di un viso paffuto.
Bryce notò che la stava fissando con interesse e ricambiò quello sguardo con uno di sfida. Nello stesso tempo raddrizzò la schiena per apparire più alta e imponente.
Maggart si avvicinò per primo. “Lui è Semil Bathas” disse indicando lo stregone.
Bathas le rivolse un cenno di saluto con la testa. “Onorato di conoscerti, principessa di Valonde.”
“Mi chiamo Bryce” disse con espressione dura.
“Devi andare con lui” disse Maggart.
Bathas fece un passo di lato. “Azaril ci sta aspettando.”
“Dove?” chiese Bryce.
“In un luogo che abbiamo convenuto” rispose Bathas.
Lei non si mosse.
“Non ti dirò dove si trova il mio comandante. Non davanti ai tuoi amici.”
Bryce si voltò verso la cima della collina. Divash, Fraska, Jakos e Tobha la stavano osservando dall’alto. Lei fece loro un cenno con la testa e tornò a rivolgere la sua attenzione a Bathas.
“Portami da lui” disse con tono perentorio.
Bathas la guardò accigliato. “Da questa parte. Abbiamo portato una cavalcatura per te.”
Quando arrivò al punto dello scambio, poté incrociare lo sguardo di Vyncent. Il suo viso era pulito e camminava con incedere regolare.
Non è ferito, si disse sollevata. Almeno questo. Almeno questo.
“Non dovevi” disse il giovane stregone.
“Silenzio” gli intimò Bathas. “O lo scambio non si farà.”
“Lascialo parlare” disse Bryce. “O sarò io a farlo fallire.”
Bathas serrò la mascella.
“E tu dovrai giustificarti col tuo padrone” aggiunse Bryce.
Vyncent fissò Bathas con astio e si rivolse di nuovo a lei. “Non ti fidare di loro. Qualsiasi cosa ti dicano, Bryce.”
“Starò bene” disse lei.
“Appena potrò verrò a cercarti. Te lo prometto.”
“No” fece lei. “Resta al sicuro. Restate tutti al sicuro.”
Vyncent scosse la testa.
“Basta così” disse Bathas spazientito. “Adesso andiamo.”
Bryce rivolse un’ultima occhiata a Vyncent e gli fece un cenno con la testa.
Lui rispose con un sorriso.
Uno splendido sorriso, si disse.


 

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Capitolo 33
*** Leggi e regole ***


Leggi e regole

Il campo non era come se lo era immaginato. Quando Bathas le aveva detto che l’avrebbe portata a quello della loro armata, si era aspettata un luogo caotico, disorganizzato, con tende erette senza un ordine e sporcizia e soldati sbandati con l’alito che puzzava di vino.
Mentre si avvicinavano quella sensazione di sicurezza e di superiorità nei riguardi di Bathas scemò fino a trasformarsi in una sottile inquietudine che le aveva afferrato il basso ventre.
Le tende erano organizzate su file di dieci per lato. Contò tre quadrati separati da altrettanti corridoi centrali che portavano a una grande tenda rotonda che sorgeva al centro. Tutto intorno pali di legno infissi nel terreno formavano una rudimentale barriera contro gli assalti della cavalleria. C’erano anche delle torri di avvistamento disposte negli angoli oltre a tre grandi recinti per i cavalli. Al centro di ogni quadrato era stato ricavato uno spiazzo dove erano stati allineati i carri per il trasporto dei rifornimenti di cibo.
Avvicinandosi notò i soldati di guardia a ogni ingresso e le loro corazze ben lucidate con gli scudi che sembravano nuovi. Gli uomini montavano la guardia bene ordinati e quando li videro arrivare si disposero a formare un corridoio attraverso il quale poter passare.
“Ben tornati.”
“Noi vi salutiamo.”
“Che la vittoria arrivi presto.”
Furono le frasi che udì mentre passava l’ingresso. Si era aspettata insulti, persino degli sputi ed era pronta a sopportare con sdegnato orgoglio qualsiasi umiliazione da parte di quei rinnegati pur di portare a compimento la sua missione.
Bathas e la sua scorta la condussero verso il centro del campo, nello spiazzo occupato dalla tenda rotonda. Bryce notò che non vi erano vessilli piantati nel terreno né stendardi che sventolavano a indicare a quale casato o circolo appartenesse il comandante.
Un rinnegato non ha circolo, né casato, si disse. Né patria né onore né altro per cui valga la pena vivere o morire.
Erano le parole di suo padre quelle e le ricordava bene.
Scosse la testa per scacciare quel ricordo.
Devo rimanere concentrata, si disse. Tra poco incontrerò Azaril. Lui può condurmi da Malag. Se riesco a convincerlo che non sono una minaccia mi porterà da lui.
Bathas e la scorta la costrinsero a rallentare e poi a smontare per percorrere a piedi gli ultimi venti o trenta passi. Davanti alla tenda si erano radunati almeno in cento. La maggior parte erano streghe e stregoni adulti che indossavano il mantello grigio, gli altri soldati di tutte le età e persino due eruditi, un prete del Culto dell’Unico con la tunica lacera e qualche inserviente che la osservava con occhi sgranati.
Una figura più piccola si mosse tra le gambe di una donna che doveva essere un’ancella. Bryce si accigliò e guardando meglio si accorse che era una bambina dai capelli ricci e scarmigliati. La stava osservando nascosta dietro le pieghe della tunica della donna, gli occhi pieni di timore.
Ha paura di me? Si chiese Bryce. In un campo di rinnegati è da loro che dovrebbe essere terrorizzata, non da me.
“Da questa parte” disse Bathas con tono sbrigativo. “Azaril ti sta aspettando.”
Bryce gli rispose con un cenno di assenso. Dimenticò la bambina e di concentrò sul suo incontro. Bathas non gli aveva rivelato niente e per tutta la mezza giornata in cui avevano viaggiato, era rimasto in silenzio.
Dopo aver lasciato Maggart e gli altri si erano diretti a occidente, avevano superato un fiume attraversando un ponte e avevano tagliato per una pianura coltivata a cereali in mezzo a basse colline.
Ogni tanto aveva intravisto delle fattorie aspettandosi che fossero in rovina per i saccheggi e le devastazioni, ma rimase turbata quando vide i contadini al lavoro nei campi. Sulla via avevano anche incrociato due carri che procedevano nella stessa direzione.
Uno della scorta aveva salutato il nocchiero di quello che procedeva in testa e l’uomo aveva ricambiato con un gesto amichevole.
Bryce aveva scosso la testa.
“Entra” stava dicendo Bathas indicando l’ingresso della tenda.
Si avvicinò al panno e lo scostò un poco, poi con più decisione mise un piede all’interno e anche l’altro.
Non devo mostrare timore, si disse. Né indecisione. Stanno cercando di impressionarmi, è ovvio. Devono aver preparato tutto questo per mettermi in soggezione, ma non ci riusciranno. Io sono Bryce di Valonde. Sono nata per questo. Non devo aver paura. Non devo…
“Io ti saluto” disse una voce flebile dal fondo della tenda.
Bryce cercò di metterla a fuoco nella penombra. L’unica luce disponibile era quella che filtrava attraverso due finestrelle in cima. La tenda era ampia una trentina di passi, ma vuota a parte i pali che servivano a sostenerla, un paio di bauli traboccanti di libri a destra, un giaciglio a sinistra e un tavolo con due sedie imbottite al centro.
Annusò l’aria avvertendo un gradevole odore di olii, incenso e lavanda. Tutto sembrava in ordine e il pavimento era pulito e privo di irregolarità.
E non ci sono insetti, si disse.
Odiava le cimici che dimoravano nei giacigli e quelli più grossi e di colore rosso scuro che si annidavano tra i resti dei pasti dei soldati quando non erano ancor stati ripuliti dagli inservienti.
A volte quelle bestiacce diventavano così audaci da venire a posarsi sui tavoli pieni di cibo per sfamarsi, a dispetto di soldati e mantelli che li scacciavano.
Elvana li odiava e una volta aveva digiunato per un giorno dopo che uno di quelli più grossi si era posata nel suo piatto. Alla fine aveva ceduto ed era tornata a mangiare anche se si guardava attorno con attenzione prima di addentare un solo morso.
Il pensiero di quanto l’aveva presa in giro Elvana per quell’episodio riaffiorò nella sua mente e quasi la distolse dal prestare attenzione alla figura avvolta nella penombra che se ne stava acquattata vicino al tavolo.
Avanzò di un passo sforzandosi di non mostrare timore. “Sei Azaril?” chiese.
La figura si sollevò assumendo i tratti di un uomo anziano, la barba lunga e ben curata, i capelli grigi e radi e la pelle rugosa. Indossava un saio celeste stinto legato in vita da una fascia rosso cremisi.
Bryce si accigliò. “Chi sei?”
“Sono Azaril” rispose l’uomo con voce roca.
Mi prende in giro? Si chiese.
L’uomo accennò un mezzo sorriso. “Non riesco a capire se sei sorpresa o delusa. Immagino entrambe le cose, principessa Bryce.”
Lei deglutì a vuoto. “Ti credevo diverso” disse incerta.
“Ti aspettavi un aitante stregone per caso?” chiese l’uomo divertito.
Bryce cercò di riprendersi dalla sorpresa. “In verità, sì. Di solito i nostri comandanti sono mantelli di rango elevato.”
“Immaginavo che scoprirlo ti avrebbe turbata.”
Lo ha fatto di proposito? Si chiese. O è sincero come vuole farmi credere?”
“Hai fame? Sei assetata? Posso farti portare un pasto se lo desideri.”
“Mangerò dopo” disse Bryce. “Non credo che tu mi abbia fatto venire qui per nutrirmi.”
Azaril sorrise. “In questo momento, non puoi nemmeno immaginare il motivo per cui sei qui.”
No, e potrei provarci, si disse. Ma scommetto che sei ansioso di dirmelo tu di persona. Lo farò parlare. Anche la più piccola informazione su dove si trova Malag, sulle forze che lo servono, e sui suoi poteri potrebbe essermi utile quando lo affronterò.
“Immagino” disse prudente. “Che tu mi voglia interrogare.”
Azaril la guardò interdetto. “E che cosa potresti rivelarmi di utile, principessa?”
“Non lo so. Prova a chiedermelo.”
Così ti fornirò informazioni false e contraddittorie dalle quali non potrai trarre alcun vantaggio, si disse.
Azaril annuì grave. “D’accordo” disse strizzando gli occhi. “Dimmi, principessa di Valonde, quali libri hai letto ultimamente?”
Bryce aprì la bocca per rispondere e subito la richiuse. “Credo di non aver compreso la tua domanda.”
“Ti ho chiesto la tua ultima lettura.”
“Non capisco.”
Azaril sorrise. “Eppure, è una domanda semplice, dovresti essere in grado di rispondermi.”
Bryce deglutì a vuoto.
Si sta prendendo gioco di me? Si chiese. O mi sta mettendo alla prova?
“Il Destino di una Strega” disse ripensando a libro che Joyce le aveva prestato. Avvertirlo nella tasca interna del mantello le regalava una certa sicurezza.
Azaril annuì. “Di Adenora Stennig. Peccato, non sono un suo lettore accanito. Io preferisco Beriah Typhos. Lo conosci?”
Bryce scosse la testa.
“Scrive romanzi d’avventura su pirati dall’animo nobile e principesse che si innamorano perdutamente di loro.”
“Non mi sembra molto diverso dalla Stennig” disse con una punta di scetticismo.
“Niente di più sbagliato, credimi. Ho esplorato l’intera produzione di Typhos e posso assicurarti che la sua prosa è molto diversa. Più ostica in certi punti, ma i suoi personaggi sono tutti unici e memorabili e tende a descrivere in maniera sublime le scene di battaglia navale.” Si accigliò. “Anche se ammetto di non averne mai vista una in vita mia, quindi potrebbe anche essersi inventato tutto. Ma a uno scrittore non si chiede di descrivere in modo reale una scena, ma di renderla plausibile. Non trovi?”
Bryce scosse la testa. “Quello che stai dicendo ha un senso?” chiese spazientita.
“Pensi che non lo abbia?”
“Credo di no” disse con tono deciso. “Credo che tu stia solo perdendo tempo in chiacchiere, Azaril o chiunque tu sia. Hai chiesto che mi consegnassi a te per risparmiare la vita ai miei compagni e io l’ho fatto. Lo hai fatto solo per parlarmi di uno scrittore da quattro soldi o c’è un motivo più importante di questo?”
Azaril la fissò divertito.
“Stanno morendo migliaia di persone in questa guerra” disse Bryce alzando la voce. “E noi due siamo qui a chiacchierare come se la faccenda non ci riguardasse.”
“Ci riguarda invece” disse Azaril. “E sono molto preoccupato per ciò che sta avvenendo. E se devo essere sincero, farti portare qui è il mio modesto contributo alla pace che sto cercando di fornire.”
Bryce dominò a stento la rabbia. “Vuoi fare qualcosa di veramente utile? Ordina alla tua armata di arrendersi e deporre le armi. Quelli che lo faranno avranno un trattamento dignitoso e forse anche il perdono. Per te e i comandanti non posso assicurare lo stesso, ma avrete un processo giusto, secondo le leggi e le regole dei regni civilizzati.”
Azaril sorrise mesto. “Conosco bene le vostre leggi e le vostre regole, principessa Bryce.”
“Allora dovresti affidarti a esse senza esitare oltre.”
“Stavo per aggiungere che sono quelle stesse leggi e le regole che ami tanto il motivo che hanno spinto la maggior parte di noi ad abbracciare la causa della ribellione.”


 

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Capitolo 34
*** La ragione per cui lottiamo ***


La ragione per cui lottiamo

Bryce lo fissò con espressione accigliata. “Dici cose senza senso.”
“So esattamente di cosa parlo, principessa Bryce.” Azaril si mosse di lato.
Bryce fu subito all’erta, il potere che scorreva dentro di lei pronto a trasformarsi in dardi magici, scudo e qualsiasi incantesimo portasse morte e distruzione tra i rinnegati.
Non è un erudito, si disse. Mi sta ingannando per costringermi a sottovalutarlo. Deve aver nascosto il mantello da qualche in uno di quei bauli, sotto i libri che finge di leggere e conoscere.
Azaril girò attorno al tavolo rivelando un corpo esile, la schiena piegata in avanti e una gamba che sembrava trascinare a fatica.
A teatro ho visto attori più bravi di lui, si disse Bryce divertita e arrabbiata al tempo stesso.
Era offesa per il modo goffo con cui quel rinnegato cercava di ingannarla, mancandole di rispetto.
“Se ti ho fatta portare qui è per mostrarti una cosa” disse Azaril zoppicando verso l’ingresso.
Bryce lo seguì con espressione accigliata.
“Vieni. Voglio mostrarti il motivo per cui lottiamo.”
Azaril uscì dalla tenda. Dopo qualche istante di esitazione, Bryce lo seguì.
Fuori la folla si era fatta più numerosa. Adesso c’erano molti più soldati e inservienti che mantelli. E molti inservienti e ancelle. E bambini e bambine di ogni età. Alcuni si nascondevano dietro le gonne delle madri o delle sorelle maggiori a giudicare dalla loro giovane età, altri la fissavano quasi con sfrontatezza, come a volerla sfidare.
“È quella la strega cattiva, zia?” esclamò una bambina di cinque o sei anni additandola col braccio teso.
“Zitta, Ranni, o ci sentirà” l’ammonì la donna che la teneva per mano.
Bryce avrebbe voluto avvicinarsi alla bambina e tranquillizzarla, ma la scorta di Azaril si frappose tra lei e la folla.
“Da questa parte” disse Bathas con tono cortese ma deciso. Quando le parlava sembrava guardare altrove, come se non osasse incrociare il suo sguardo.
O forse non gli interessa, si disse.
Bryce lanciò un’ultima occhiata alla bambina e si diresse da Azaril, che nel frattempo si era mosso zoppicando verso il viale a destra della tenda.
A metà strada c’erano una carrozza e dei cavalli. Bryce fu sorpresa di vederne una lì, in mezzo al campo dei rinnegati e in buone condizioni. Il legno sembrava laccato di recente e le finiture di metallo splendevano sotto il sole.
Azaril salì sulla carrozza e la invitò a fare altrettanto. Bryce esitò prima di mettere piede sulla scaletta e issarsi all’interno. L’ultima volta che ne aveva usata una era la carrozza scoperta che l’aveva portata al circolo per la sua consacrazione.
Amava quella carrozza, l’aveva usata altre volte per accompagnare Joyce nelle sue rare uscite per esplorare la città, di solito per fare visita a un sarto o una biblioteca dove erano arrivati dei libri nuovi.
Sedette sul sedile imbottito, di fronte ad Azaril. Il comandante dell’orda alzò il braccio e diede due colpi decisi al tetto. La carrozza si mise in moto. Guardando fuori, Bryce notò che la scorta era formata da una dozzina di cavalieri, tutti col mantello grigio. Bathas era alla loro testa e ogni tanto lanciava occhiate fugaci alla carrozza per poi tornare a fissare la strada davanti a sé.
Bryce cercò di rilassarsi sul sedile e di godersi il viaggio. “Posso chiederti dove stiamo andando?”
“Naturalmente. È tuo diritto saperlo. Il luogo si chiama Sharim.”
“Non mi dice niente. Dovrebbe significare qualcosa per me?”
“No, è assolutamente normale.”
“Che posto è?”
Bryce sperò che fosse dove si nascondeva Malag. Non sperava in una fortuna simile, sarebbe stato pretendere troppo dalla sorte.
Forse è solo il luogo dove dovrò attenderlo, si disse. Oppure è una residenza temporanea in attesa di mettermi in viaggio verso il nascondiglio vero e proprio.
“Un villaggio” rispose Azaril.
“Un villaggio” ripeté Bryce. “Solo questo?”
“Per molti, significa casa. Un luogo sicuro dove nascere, vivere e crescere i propri figli.”
“Non vedo che cosa abbia di tanto speciale.”
“Per noi niente, ma per i suoi abitanti è tutto.”
Bryce cominciava a trovare fastidioso quel modo di parlare. “Continuo a non capire. Vuoi mostrarmi un villaggio? Ne ho visti tanti venendo qui.”
“Esistono molti villaggi” disse Azaril. “Ma ognuno di essi è unico e speciale per chi vi abita. Per noi che siamo privilegiati, che non abbiamo mai davvero sofferto per aver perso le nostre case, potrà sembrare scontato, ma niente lo è davvero.”
Bryce si accigliò.
Non vuole darmi più informazioni, si disse.
“Parlami di te” disse dopo qualche istante di silenzio.
Azaril sorrise. “Che cosa vuoi sapere?”
“Porti la veste da erudito.”
“Sei una buona osservatrice.”
“Da quale accademia vieni?”
“Nazdur” rispose Azaril. “È nella parte occidentale del continente antico.”
“So dov’è. Nazdur è un vassallo di Nazedir.”
“I miei concittadini preferiscono considerarsi loro alleati, ma è vero, siamo vassalli. Nazdur non esisterebbe senza la benevolenza di Nazedir.”
“Come sei diventato comandante di questa armata?”
“Per i miei meriti. Come tutti i comandanti delle nostre armate.”
“Ce ne sono altre? In questa regione, intendo.”
“Attualmente, ce ne sono due, compresa la mia.”
Questa è un’informazione interessante, si disse. Devo scoprire dove si trova questa seconda armata.
“Le vie non sono molto sicure. I briganti attaccano i nostri messaggeri come fanno con i vostri.”
“Anche voi siete briganti” disse per provocarlo.
Azaril scosse le spalle esili. “Due Lune fa ci siamo divisi e da allora i contatti si sono interrotti.”
“Forse sono stati spazzati via.”
Bryce non ne aveva idea ma lo sperava.
“Ho fiducia nel comandante Sharim. Se la sua armata fosse stata distrutta, lo avremmo saputo.”
“Sembri molto sicuro.”
Azaril sorrise. “Non vuoi sapere altro di me, Bryce di Valonde?”
Lei scosse la testa. “Mi diresti solo bugie.”
“Perché dovrei mentirti?”
“Voi rinnegati siete bugiardi per natura.”
“Tu non hai mai mentito?”
Fissò l’anziano accigliata. “Non ai miei confratelli e consorelle” rispose misurando le parole. “Né alla mia guida.”
“Ma hai mentito, giusto?”
“Mai su faccende importanti.”
“Non credo che faccia molta differenza.”
Bryce ghignò.
“Sembri molto sicura di sapere chi o cosa siamo” disse Azaril. “Anche se questa è la prima volta che puoi parlare con noi. E vedere come viviamo.”
“Non mi importa niente di voi rinnegati” sbottò Bryce spazientita. “Voglio solo che scompariate per sempre. Se non foste apparsi, questa guerra non sarebbe mai iniziata.”
Azaril trasse un profondo sospiro. “Anche io vorrei che i rinnegati sparissero per sempre.”
Bryce lo fissò perplessa.
“Ti dirò di più. A volte sogno che non siano mai comparsi, che non sia mai nata un’orda che ha invaso questo continente a oriente e occidente. Mi cullo nell’illusione di non aver mai dovuto lasciare la mia accademia perché ho cercato il libro sbagliato nel posto sbagliato, attirando le attenzioni del Circolo Supremo. Mi sorprendo a pregare che la guerra abbia fine e che le persone coinvolte smettano di soffrire.”
Bryce lo fissò con espressione impassibile. “È difficile crederti, considerando il fatto che siete stati voi a iniziare la ribellione.”
“Tu credi, Bryce di Valonde? La nostra è stata solo una reazione a ciò che è accaduto molto prima. Ognuna delle persone che hai visto in quel campo aveva un preciso motivo per trovarsi lì.”
“Conosco quel motivo” disse Bryce. “È il disprezzo verso le leggi e le regole dei regni civilizzati.”
La carrozza rallentò e si fermò con uno strattone deciso. Bathas si affacciò alla finestrella che si apriva sul fianco.
“Siamo arrivati” disse.
Azaril le indicò lo sportellino con un cenno del braccio. “Vai tu per prima, Bryce di Valonde.”
Lei si alzò e aprì lo sportellino. Nello stesso momento il meccanismo attivò la scaletta dove chi scendeva poteva appoggiare i piedi.
Bryce balzò a terra affondando con entrambi gli stivali nel fango. L’aria puzzava di legno marcio e bagnato, fuliggine e altri odori sgradevoli che non riuscì a identificare.
La carrozza si era fermata al centro di uno spiazzo circolare delimitato da tronchi e pietre ammassate sui lati. Bryce sollevò la testa per guardarsi attorno. Ovunque il suo sguardo si posava vide le macerie di baracche sventrate, pilatri di legno anneriti dal fuoco che si ergevano come mute sentinelle nella devastazione.
Una casa che doveva essere stata di pietra era ridotta a un mozzicone distrutto, i muri sfondati e i massi che lo avevano formato sparpagliati tutto intorno.
Azaril la raggiunse zoppicando.
“Sharim” disse con voce appena udibile. “O almeno ciò che ne resta. Vieni, camminiamo mentre parliamo, ti va?”
“Posso rifiutare?”
“Sì, ma lo riterrei molto scortese” rispose l’anziano avviandosi.
Bryce lo affiancò tenendo gli occhi fissati al terreno. Era coperto di fango ancora molle per le piogge. Gli stivali vi affondavano per un paio di dita e doveva fare fatica per tirarli fuori. Ogni volta che lo faceva se ne trascinava dietro una certa quantità.
Con la coda dell’occhio notò Bathas e altri mantelli che li seguivano in silenzio, le mani bene in vista.
Se cercassi di attaccare Azaril dovrei scontrarmi con tutti loro insieme, si disse.
Non aveva idea di quale fosse il loro rango e di quali poteri avessero, anche se era sicura che almeno Bathas fosse uno stregone di alto rango.
Potrei iniziare da lui, pensò. Se riuscissi a sorprenderli, potrei sopraffarli. Quindi prenderei Azaril e lo costringerei a rivelarmi il luogo in cui si nasconde Malag.
Quell’idea si era formata nella sua testa un attimo dopo aver notato che erano distanti dal campo dei rinnegati.
Dobbiamo aver viaggiato per almeno dieci miglia, si era detta. Qui non ci sono migliaia di rinnegati, ma solo i dieci di scorta che hanno accompagnato Azaril.
“Poche Lune fa questo posto era molti diverso” stava dicendo Azaril.
Potrei farcela, si disse, ma se qualcosa non andasse come ho previsto? Che cosa accadrebbe? Se Azaril morisse nello scontro o se riuscisse a fuggire, perderei ogni possibilità di trovare il nascondiglio di Malag.
“Sharim era un centro piccolo, ma vitale. Duemila abitanti, forse tremila” continuò Azaril. “Aveva un mercato dove i contadini potevano vendere quello che producevano in eccesso. Avevano un fabbro che riparava gli attrezzi da lavoro e forse addirittura un maniscalco che si occupava delle bestie usate nei campi. Tutto il villaggio prosperava con il frutto di quello che veniva coltivato nei campi qui attorno. Poi un giorno tutto è cambiato.”
“Siete arrivati voi” disse Bryce. “E lo avete distrutto.”
“Noi commerciavamo con Sharim” disse Azaril. “Avevamo fatto molti scambi favorevoli sia per noi che per loro.”
“Certo è come dici tu” disse con tono scettico.
“Alcuni dei loro giovani si erano uniti alla nostra armata.”
“Costretti con la forza delle armi e la minaccia di uccidere i loro cari” disse Bryce.
“Perché avremmo dovuto farlo, principessa Bryce? Ti ho appena detto che eravamo buoni vicini.”
“Buoni vicini” disse Bryce trattenendosi dal ridergli in faccia. “Dei buoni vicini avrebbero fatto tutto questo? Siete arrivati e li avete costretti a cedervi tutto ciò che avevano e poi, non soddisfatti, li avete massacrati tutti. Mi hai portata qui per mostrarmi quanto siete infami voi rinnegati? In questo caso potevi risparmiarti la fatica del viaggio. È una cosa che sapevo già prima di arrivare al tuo campo.”
“Tu non sai proprio niente, Bryce di Valonde” disse Azaril con tono calmo. “Ma imparerai qualcosa stando con noi. Così quando tornerai alla tua armata, saprai cosa riferire loro.”


 

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Capitolo 35
*** Un nuovo mondo ***


Un nuovo mondo

Bryce lo fissò interdetta. “Cosa intendi per rimandarmi indietro?”
Azaril incrociò le mani dietro la schiena. “Quello che ti ho appena detto. Tornerai alla tua armata.”
Bryce lottò per non mettersi a gridare.
Tutto quello che sto passando è inutile? Si chiese disperata.
“Non mi porterai da Malag?”
Azaril la fissò come avrebbe fatto con una bambina che gli avesse rivolto una domanda piena di ingenuità. “Anche se volessi mandarti da lui, non saprei indirizzarti. Non ho idea di dove si trovi. Il maestro non lascia detto che a pochi la sua prossima destinazione e ancora meno sono quelli conoscono quella attuale.”
“Ma tu devi saperlo” disse Bryce. “Sei uno dei suoi comandanti.”
“In verità, non godo della sua totale fiducia” disse Azaril chinando la testa in avanti. “Ultimamente abbiamo avuto dei contrasti di vedute su certe faccende, ma non voglio annoiarti.”
Contrasti? Si chiese Bryce. Devo saperne di più.
“Se lui non si fida di te, perché ti lascia condurre la guerra in questa regione?”
“Sono più bravo a mantenere l’ordine che un buon comandante e lo sa. Mi ha inviato qui proprio per tenermi lontano dalle regioni dove le battaglie sono più aspre. Diciamo che voleva punirmi, in un certo senso. Sapendomi qui era convinto che potessi essergli utile senza creargli alcuna difficoltà.”
Bryce si accigliò. “Tu ti opponi a Malag?”
“Non è il termine giusto” disse Azaril. “Diciamo che entrambi stiamo cercando di ottenere la stessa cosa, solo in modi differenti. Vedi, dopo tanti anni passati a pianificare la rivolta, ci siamo entrambi convinti che il nostro modo sia quello migliore. Ci rispettiamo, potrei dire che in un certo senso proviamo affetto reciproco, ma nessuno dei due riesce a concepire che l’altro possa avere ragione, perché dovrebbe ammettere di avere avuto torto in tutti questi anni.”
Bryce si sentiva confusa ma non voleva darlo a vedere.
Non devo mostrare alcuna debolezza a questi rinnegati, si disse, o penseranno che possano disporre di me come desiderano.
 “Tu che cosa vuoi ottenere?” gli chiese.
“Quello che vogliamo tutti. La fine di questa guerra.”
Bryce serrò la mascella. “Arrendetevi.”
“Ciò non è possibile. Non più. Arrendersi adesso porterebbe a un massacro indiscriminato e a decenni di ulteriori sofferenze. Inoltre, molti di quelli che hanno iniziato la rivolta non comprenderebbero i motivi di una resa improvvisa da parte nostra. Purtroppo, la pace che cerchiamo non può essere ottenuta con la sconfitta di una sola parte e la vittoria totale dell’altra.”
“Pretendete che siamo noi ad arrenderci?”
“Per lo stesso motivo, sappiamo che non vi arrenderete mai e che continuerete a combattere per custodire il potere che ritenete vostro di diritto.”
“Che cosa volete allora?”
Azaril trasse un profondo sospiro. “Far giungere a chi ha il potere il nostro grido di dolore.”
Bryce ridacchiò. “Sembra quasi che voi siate le vittime e noi i rinnegati.”
“Gli abitanti di Sharim non hanno notato la differenza.”
“Se volete farvi ascoltare, deponete le armi e arrendetevi. Quelli di voi che non hanno commesso crimini troppo gravi, come la distruzione di questo villaggio e di molti altri, avranno un trattamento dignitoso.”
“È gente che ha perso tutto, principessa Bryce. A nessuno di loro importa più di tanto di come li trattereste.”
“Una resa potrebbe fare la differenza.”
“Sul serio?” Azaril indicò Bathas con un cenno della testa. “Semil è stato scacciato dal suo circolo per aver praticato la necromanzia. Ha cercato di raggiungere Nergathel, ma lo hanno catturato e imprigionato. Lo hanno imbarcato su una nave per Krikor senza processarlo, senza chiedergli perché avesse usato quel potere col quale era nato.”
“La necromanzia è vietata” disse Bryce. “Tutti lo sanno.”
“Se Bathas si arrendesse, potrebbe sperare nella vostra clemenza?”
“Non lo so” ammise. “Il suo caso è particolare.”
“Lo sono tutti, Bryce di Valonde. Io sono dovuto fuggire per aver indagato su faccende che qualcuno riteneva che dovessero restare un mistero. Ero giovane e curioso all’epoca, quasi sfrontato nei riguardi dell’autorità, ma ero sicuro di essere nel giusto, che con le mie scoperte avrei contribuito ad aumentare le conoscenze di tutti. Pensavo di poter rendere il mondo in cui viviamo un luogo migliore. E sono stato ricompensato con un’accusa di infamia. Sono stato scacciato dalla mia accademia e costretto a vagare per il continente in cerca di ospitalità che nessuno voleva concedermi. L’unico ad aiutarmi fu Malag. Egli mi accolse nel suo cerchio di consiglieri, mi diede rifugio e ospitalità.”
“Quindi è per senso di rivalsa che ti sei unito alla ribellione?”
“All’inizio era questo il motivo” ammise Azaril. “Ero deciso a prendermi una vendetta sui miei persecutori. Volevo rendere loro tutta la sofferenza che mi avevano inflitto. Malag lo capì e mi mostrò la sofferenza che lui e gli altri avevano sopportato. Capii che la vendetta avrebbe portato ad altra vendetta, che il sangue versato avrebbe chiamato a sé altro sangue, che da sofferenza sarebbe nata altra sofferenza in una catena che non aveva mai fine e che non poteva essere spezzata. A meno che qualcuno non volesse farlo.”
Non sta affatto rispondendo alle mie domande, si disse Bryce. Sta solo cercando di convincermi di essere nel giusto, quando sa bene di stare dalla parte degli infami. Quanto è pericoloso quest’uomo? O quanto è folle? Forse eliminarlo potrebbe ripagarmi del mio sacrificio.
Bathas si avvicinò con aria cupa. “Le ombre si stanno allungando” disse con voce bassa. “Dobbiamo rientrare al campo prima che il sole tramonti. Non è saggio restare fuori col buio.”
“Hai ragione” disse Azaril. “Torniamo al campo così la principessa potrà cenare e concedersi un sonno ristoratore prima di ripartire domani.”
La carrozza li attendeva dove l’avevano lasciata. Azaril salì per primo e Bryce lo seguì. Bathas montò in sella e li affiancò. Guardando attraverso la finestrella a lato, colse il suo sguardo intenso che la fissava.
Non si fida di me, pensò Bryce. Almeno non sembra pazzo come il suo comandante.
Rimasero in silenzio fino al ritorno al campo, dove trovarono un picchetto di guardie a riceverli. Una dozzina di streghe e stregoni si era radunata davanti alla tenda e la fissarono con sguardi ostili quando scese dalla scaletta.
Azaril andò loro incontro zoppicando.
“Dovevi avvertirci” disse uno degli stregoni avanzando di un passo verso l’erudito. “Avevamo il diritto di sapere che la principessa di Valonde era qui al campo.”
Azaril gli fece un cenno vago con la mano. “Vi avrei avvertiti in tempo. Non ho forse mandato dei messaggeri?”
“Dopo che l’avevi portata al campo” disse una strega con tono rabbioso. “Che cosa speravi di ottenere, Azaril? Adesso l’alleanza verrà qui in forze per riprendersela.”
“Non accadrà” rispose Azaril.
“Come fai a esserne sicuro?”
L’erudito sospirò. “Rimanderò indietro la principessa.”
Tra i mantelli si levò un leggero mormorio. Lo stregone che aveva parlato per primo fissò Azaril inorridito. “Devi essere impazzito.”
“Misura le tue parole” lo ammonì Bathas.
“Stai zitto tu, figlio delle ombre” gli rispose lo stregone.
Bryce osservò la reazione di Bathas. Lo stregone fremette e serrò la mascella, come se si preparasse ad attaccarlo. Sperò che lo facesse.
Sarebbe divertente vederli combattere tra di loro, si disse.
Invece la strega che aveva preso la parola posò una mano sul braccio dello stregone al suo fianco. “Bathas h ragione, Quin. Devi mostrare rispetto per il comandante.”
Quin emise una specie di grugnito e si liberò della presa. “La prossima volta che prendi una decisione così importante voglio essere avvertito” disse rivolgendosi ad Azaril. “O non potrò garantirti il mio sostegno. Io ti rispetto e so che sei una persona saggia, ma a volte mi chiedo se ti sei schierato dalla parte giusta in questa guerra.”
Azaril gli rivolse un leggero inchino. “Io ti ringrazio per il tuo rispetto, Quindal. Se non vi ho avvertiti è stato per mantenere il segreto su questa faccenda. Temevo che alcuni di voi avrebbero reagito in maniera ostile alla visita della principessa Bryce.”
“Avremmo potuto consigliarti” disse Quindal.
“Avevo già preso la mia decisione.”
“Non ti fidi più del nostro consiglio?”
Il viso di Azaril si rattristò. “Quindal, sono stanco, la principessa è affamata e io devo ancora conferire con lei su di una faccenda molto importante. Possiamo rimandare questa discussione?”
Quindal fece per dire qualcosa ma la strega al suo fianco gli sfiorò il braccio. “Ti chiedo scusa” disse lo stregone rivolgendo all’erudito un mezzo inchino. “Parleremo quando avrai tempo da dedicarci.”
“Attendi fino a domani” disse Azaril procedendo verso la tenda.
“Aspetta” disse una strega dai capelli castani facendosi avanti.
Azaril le rivolse un’occhiata perplessa. “Io ti conosco?”
“Mi chiamo Marenka Serrit” rispose la ragazza. “Ho il comando della squadra di esploratori della seconda armata.”
Azaril annuì grave. “Non era Dianna Shamil al comando?”
“È morta” disse Marenka. “Uccisa dai briganti a meridione di Lundor in una imboscata.”
“Questo mi rattrista. Perché non sono stato informato della morte di Dianna?”
“Eri impegnato” disse la strega. Prese da una tasca interna del mantello una pergamena. “Ho un messaggio da consegnarti.”
Lo porse ad Azaril che lo prese e lo infilò in un risvolto della tunica. “Quando è arrivato?”
“Un messaggero l’ha portato mentre eri via” rispose Marenka. “L’ha affidato a me perché te lo consegnassi di persona.”
Azaril annuì grave. “Domani lo affiderò a Ivania affinché se ne occupi. Hai fatto un buon lavoro.”
Marenka sorrise. “Ti ringrazio. Ti chiedo il permesso di andare a riposare.”
Azaril annuì e le rivolse un gesto vago con la mano.
Rimasta sola con lui nella tenda, Bryce valutò in fretta la sua situazione. Poteva uccidere l’erudito e cercare di fuggire dal campo sfruttando la confusione.
Ma potrei anche morire nel tentativo, si disse.
Era sicura di poter sopraffare la maggior parte di quei mantelli.
In fondo sono solo rinnegati, pensò.
Ma erano troppi e uno di loro poteva piazzare un colpo fortunato che superasse il suo scudo ferendola gravemente. O uccidendola.
Non avrebbe esitato se nella tenda fosse stato presente Malag, ma la vita di Azaril non valeva tanto quanto quella dell’arcistregone per lei.
Il mio scopo è uccidere Malg, si disse. Lascerò questo erudito a qualcun altro.
Azaril era andato a sedersi su una delle sedie imbottite e aveva chiuso gli occhi come se stesse dormendo. Bryce si mosse di lato con passi brevi e silenziosi.
“Hai parlato di un messaggio che vuoi affidarmi.”
Azaril aprì gli occhi e annuì solenne. “Un messaggio. Giusto. Il più importante che abbia mai affidato a qualcuno. Ti ho fatto venire qui di proposito perché dovevo essere sicuro che arrivasse all’attenzione delle persone giuste.”
“Di chi parli?”
“Dei comandanti dell’alleanza. Dei nobili. Dei fidati vassalli di Valonde, dei decani del circolo e di tuo padre e di tua madre, sovrani del regno.”
“Sono tante persone. Pensi davvero che mi ascolteranno?”
“Alcuni di loro lo faranno. Altri negheranno. Alcuni potrebbero arrivare a dire che ti ho influenzata con chissà quale arte misteriosa, ma tu e io sappiamo che non è così.”
Bryce deglutì a fatica. “Che cosa vuoi che dica?”
“Racconta loro quello che hai visto qui, oggi. Digli come viviamo, come siamo organizzati, quante e quali forze abbiamo radunato per combattere questa guerra.”
Puoi essere certo che lo farò si disse Bryce. Farò in modo che sappiano tutto, così la prossima volta che ci scontreremo con la tua armata di infami avremo un vantaggio enorme su di voi.
“Ma soprattutto, rammentagli quello che sto per dirti. Noi vogliamo creare un nuovo mondo che sia più accogliente e giusto. Per tutti. Ma per creare questo nuovo mondo, dovremo distruggere quello vecchio.”


 

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Capitolo 36
*** Ottenere informazioni ***


Ottenere informazioni

“Sembra una minaccia” disse Bryce fissando il viso stanco di Azaril.
“È solo la conclusione alla quale sono arrivato dopo anni di studi.”
“Avresti dovuto usarli meglio” disse Bryce.
Per quanto si sforzasse di mostrarsi educata e gentile con quel rinnegato, non riusciva a non essere sprezzante quando ripensava alla guerra che Malag e i suoi avevano scatenato.
Se non avessero iniziato, pensò, gente come Yan, Gamal e tanti altri sarebbero ancora vivi. E mio padre non si troverebbe nel suo letto ferito e sofferente. La mia consacrazione sarebbe stata ricordata come un giorno gioioso e non l’inizio di una guerra.
Azaril chiuse gli occhi e Bryce ebbe l’impressione che stesse trattenendo a stento le lacrime. Non aveva idea di come avrebbe reagito se si fosso messo a piangere.
Forse avrebbe riso di fronte a quel segno di debolezza da parte del comandante rinnegato.
Invece l’erudito si alzò a fatica dalla sedia. “È il momento di congedarci, principessa. Oggi ho messo alla prova le mie vecchie ossa e sento che se non concederò loro la dovuta attenzione, finiranno per tradirmi quando avrò bisogno di loro. Bathas ti porterà alla tenda che ti abbiamo riservato e lì potrai consumare il tuo pasto. Domani tornerai alla tua armata.”
Bryce lo salutò con un rapido cenno della testa e marciò verso l’ingresso, appena fuori, Bathas le andò incontro. “Da questa parte. La tua tenda non è lontana.”
Bryce lo seguì in silenzio, gli occhi rivolti al terreno coperto dai segni lasciati da centinaia di stivali, sandali e scarpe di ogni tipo e misura.
Bathas rallentò dopo un centinaio di passi, fermandosi davanti a una tenda che aveva un drappo rosso legato sopra l’ingresso. “Starai qui” disse con tono sbrigativo.
Bryce esitò davanti all’ingresso.
“Non è di tuo gradimento? Ti aspettavi qualcosa di più sontuoso, adatto al tuo rango?”
La tenda era più grande di quelle che aveva avuto fino a quel momento e sembrava pulita e integra. Quella che aveva condiviso con Elvana era piena di buchi e quando pioveva lasciava che l’acqua gocciolasse all’interno.
La strega di Ningothris aveva passato il giorno successivo a rattoppare i buchi con ago e filo, ma la volta successiva che aveva piovuto avevano scoperto che ce n’erano altri che aveva mancato la prima volta.
Il ricordo delle sue maledizioni le strappò un mezzo sorriso.
“È appena passabile” disse con tono di sufficienza. “Ma penso di non potermi aspettare di meglio da voi rinnegati.”
Bathas rispose con un grugnito sommesso. “Ti auguro una buona notte, principessa. Un’ancella passerà a portarti da mangiare.”
Bryce si limitò ad annuire e si infilò nella tenda.
“Se ti venisse in mente di andartene in giro per il campo” disse Bathas dall’esterno. “Sappi che ci sono sei mantelli qui fuori che ti seguiranno ovunque. Me compreso.”
Bryce non rispose. La tenda era accogliente e pulita e c’era un buon profumo. C’era un baule aperto e vuoto, un tavolo per due persone con una sedia imbottita e un giaciglio.  
Lo esaminò con cura scuotendo le coperte come faceva di solito per liberarle dalle cimici e dagli altri insetti. Non ne saltò fuori nemmeno uno.
Sospirò e sedette sulla sedia, l’espressione accigliata. Si chiese che cosa stesse facendo Vyncent in quel momento.
Spero sia tornato all’armata di Artesia, si disse. Maggart è di Londolin come lui, non gli farà del male.
Quel pensiero la sollevò.
Ha promesso che avrebbe fatto di tutto per liberarmi, pensò. Spero proprio che non ci provi.
Anche se da qualche parte in fondo alla sua mente, in quella zona dove aveva timore di gettare un’occhiata per paura di scoprire quello che non voleva, desiderava che lui tenesse fede alla sua promessa.
Non avrebbe saputo dire come avrebbe reagito se Vyncent fosse venuto al campo dei rinnegati per liberarla.
Come nei romanzi d’avventura che Joyce ama tanto, si disse divertita. Quando il principe stregone va a liberare la principessa tenuta prigioniera dal cattivo.
Era un pensiero stupido e le strappò un sorrisetto.
“Posso entrare?” chiese una voce da fuori.
Bryce sussultò alzando la testa di scatto. “Chi sei?”
“Mi chiamo Meree.”
“Non ti conosco. Che vuoi?”
“Sono l’ancella che si deve occupare di te.”
Bryce si accigliò.
Deve essere la donna di cui parlava Bathas prima, si disse.
“Entra” disse con tono perentorio.
Una donna dai capelli rossicci entrò piegata in due. Tra le braccia reggeva un vassoio con tre ciotole. Una era piena di verdura, una di carne immersa in un sugo fumante e la terza era colma di frutta.
“Ho portato il tuo pasto” disse Meree.
Ai suoi piedi, nascosto dietro la gonna, notò un viso minuscolo fare capolino e poi ritrarsi subito.
“Io vi conosco” disse Bryce. “Eravate fuori dalla tenda di Azaril quando sono arrivata.” Socchiuse gli occhi mentre cercava di ricordare il nome della bambina. “Lei è Dari, giusto?”
Meree sorrise imbarazzata. “Quello è il soprannome che le abbiamo dato. In verità il suo nome è Darina.”
“È bello” disse Bryce sforzandosi di sorridere alla bambina. “Io mi chiamo Bryce.”
Dari sollevò la testa per cercare lo sguardo di Meree e la donna le fece un cenno di assenso.
“Darina” disse la bambina mettendo una mano sul petto.
“È il tuo nome” disse Bryce. “Meree è la tua mamma?”
“Darina” ripeté la bambina.
Bryce si accigliò.
Meree sembrò imbarazzata. “È tutto quello che sa dire.”
Annuì. “È sempre stata così?”
La donna si strinse nelle spalle. “Non lo sappiamo. Quando l’hanno trovata era sola e diceva solo questo. In verità non sappiamo se sia il suo nome, lo immaginiamo soltanto.”
“I suoi genitori non la volevano più?” chiese.
“Sono morti” disse Meree. “A Sharim, quando è stata distrutta.”
Bryce deglutì a fatica. “Mi dispiace. Deve essere stato brutto per voi.”
“Io non ero presente. Mi sono unita all’armata quando sono sbarcati ad Arben, sulla costa occidentale.”
Bryce si fece interessata.
È una buona occasione per ottenere delle informazioni. “Deve essere stato terribile.”
“A cosa ti riferisci?”
“Parlo dell’attacco ad Arben. Quando l’armata di Malag ha attaccato la città.”
Meree scosse la testa. “Non c’è stato nessun attacco.”
Bryce la guardò perplessa.
“Posso solo riferirti ciò che ho sentito, ma mi è stato detto che sbarcarono dei mantelli grigi e andarono a parlare con il governatore della città, Warryn Pernor. Discussero per una giornata intera e poi lui diede l’ordine di aprire le porte. Non ci fu alcuna battaglia.”
“La città si è arresa senza combattere?”
“Pernor fece annunciare agli araldi che da quel giorno avremmo sostenuto l’armata di Malag.”
Non è possibile che sia stato così facile, si disse. Questa ancella mi sta mentendo o si sta prendendo gioco di me. Deve esserci stata una battaglia. Non è possibile che Arben si sia arresa senza combattere.
“Ci sono molti prigionieri di Arben nell’armata di Azaril, che tu sappia?”
Meree scosse la testa. “Nessun prigioniero. Quelli che si sono uniti all’armata lo hanno fatto spontaneamente. Nessuno è stato costretto.”
“E quelli che non si sono voluti arruolare?”
“Sono rimasti ad Arben.”
“Non è possibile” esclamò Bryce. “Devi aver capito male.”
Meree arrossì. “Mi spiace se ti ho offesa, ma ho solo detto la verità.”
“Qualcuno si sarà pure opposto alla resa di Arben.”
“Alcuni lo fecero, è vero” disse Meree. “Un centinaio di soldati, qualche mantello e alcuni nobili.”
“Sono stati uccisi? Dove sono adesso?”
“Pernor ha concesso loro di lasciare la città. Sono andati via.”
“Assurdo” disse Bryce.
Chi farebbe fuggire un oppositore per poi ritrovarselo come avversario in una battaglia successiva? Si chiese.
Meree sembrava atterrita. “Mi scuso ancora con te” disse imbarazzata. “Non so parlare bene il tuo dialetto e se ti ho offesa non era mia intenzione.”
Non sa niente, si disse Bryce. E se sa qualcosa riferisce la menzogna che le è stata raccontata, è chiaro.
“Sono io che ti chiedo scusa” disse facendo un gesto vago con la mano. “Sono stanca e affamata. Credo che mangerò questo pasto con gusto.”
Meree le rivolse un inchino deferente. “Ti lascio sola. Puoi chiedere a me per ogni tuo bisogno.”
Bryce si limitò ad annuire.
La donna prese Darina per la mano e fece per girarsi. La bambina puntò i piedi e non si mosse, continuando a fissare Bryce con occhi sgranati.
“Andiamo, Dari” disse Meree paziente. “La principessa deve mangiare e riposare.”
La bambina scosse la testa con vigore e alzò un braccio puntandolo verso Bryce.
“È chiaro che è interessata a me” disse Bryce divertita.
Meree arrossì. “Mi scuso con te. Non ho idea di cosa le sia preso. Non ha mai fatto così.” Fece per trascinare via la bambina ma lei si oppose di nuovo. “Andiamo, Dari. Non possiamo stare qui.”
Darina si divincolò dalla stretta della donna e fece qualche passo verso Bryce.
Lei attese immobile. “C’è qualcosa che vuoi dirmi?” le chiese con tono gentile.
Darina annuì con vigore e puntò il braccio verso il mantello.
Bryce si accigliò e ne sollevò un lembo per mostrarglielo. “Ti riferisci a questo?”
Darina annuì.
“È il mio mantello” disse Bryce. “Tutti quelli che hanno ricevuto il dono ne portano uno.”
La bambina fissò il mantello con occhi sgranati.
“Sei ancora giovane e potresti mostrare il dono crescendo” disse Bryce cercando di essere comprensiva. “Se succederà, ne riceverai uno anche tu.” Non pensava affatto che sarebbe accaduto. Di solito il dono si manifestava nei discendenti di chi già lo possedeva e i casi esterni erano molto rari.
Darina ebbe un attimo di esitazione.
“Andiamo adesso” disse Meree con tono imbarazzato. “Hai già dato abbastanza fastidio alla principessa.”
“Nessun fastidio” disse Bryce alzandosi. “È solo curiosa.”
Darina fece un passo avanti e poi un altro fino a raggiungere il mantello.
“Lo vuoi vedere da vicino?” le chiese Bryce divertita.
È audace, si disse compiaciuta. Se riuscissi a portarla via da questo campo potrei restituirla a qualche parente sopravvissuto alla distruzione del suo villaggio. O affidarla a una famiglia di Valonde perché la cresca come una ragazza decente.
Darina allungò una mano e sollevò un lembo del mantello, facendovi passare sopra le dita sottili. L’indice si soffermò per un attimo sul simbolo del circolo di Valonde, i tre cerchi concentrici. Lei sgranò gli occhi e ritrasse subito la mano, si voltò e corse verso Meree abbracciandola per la vita e affondando il viso nella sua tunica.
L’ancella sorrise imbarazzata. “Ti chiedo scusa per il suo comportamento.”
Bryce scosse la testa. “Non devi. È solo curiosa. E spaventata.”
Perché si trova in mezzo a dei rinnegati, si disse, ma decise di tenere per sé quel pensiero.
Meree le rivolse un altro inchino. “Allora io ti saluto. Se avrai bisogno di me mi troverai nella tenda di fianco alla tua.”
“Lo terrò presente” disse con educazione.
Quando l’ancella fu uscita, andò al giaciglio e si distese su di esso. Non voleva addormentarsi nel timore di essere colta di sorpresa.
È stupido pensarlo, si disse. Sono sola in mezzo a centinaia di stregoni rinnegati. Se avessero voluto uccidermi l’avrebbero già fatto. È certo che se ci provassero farei in modo di ucciderne a mia volta il più possibile.
Immersa in quei cupi pensieri scivolò in un sonno leggero e agitato.

Note
A Lunedì per il prossimo capitolo.
Buon Ferragosto!

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Capitolo 37
*** Fine del viaggio ***


Fine del viaggio

Stavano cavalcando da mezza giornata quando Bathas guardò verso l’orizzonte coperto da dense nuvole grigie e fece schioccare la lingua. “Sta arrivando un temporale. E noi ci finiremo in mezzo.”
Bryce era concentrata sulla strada da percorrere e sui dodici cavalieri che li scortavano. In tanti avevano lasciato il campo quella mattina, dopo che Azaril l’aveva voluta vedere un’ultima volta.
“È stata un’esperienza interessante” aveva detto l’erudito. “E almeno avrò qualcosa di interessante da raccontare la prossima volta che vedrò Malag. Sono certo che lui disapproverà le mie azioni, almeno all’inizio, ma è abbastanza intelligente da comprendere che l’ho fatto per tutti noi. E quando dico per tutti, intendo anche voi dell’alleanza.”
Bryce si era limitata ad annuire con cortesia.
“Riferirai il mio messaggio ai tuoi genitori e a chiunque dell’alleanza sia disposto ad ascoltare?”
“Descriverò loro tutto ciò che è accaduto qui” aveva risposto tenendosi sul vago.
Azaril aveva annuito. “Allora io ti saluto, principessa Bryce di Valonde. Che la tua via sia dritta.”
Lei aveva risposto con un cenno della testa e aveva lasciato la tenda a testa alta. Bathas e i suoi cavalieri l’attendevano all’esterno già in sella. Lo stregone rinnegato le aveva indicato un cavallo libero.
“Tu userai quello.”
Bryce aveva scosso le spalle ed era montata in sella con un gesto agile.
Bathas aveva fatto per alzare un braccio quando dalla piccola folla che si era radunata attorno a loro si era levata una voce.
“Così lasciamo andare i nostri nemici” aveva detto. “Affinché un giorno tornino per farci del male.”
Bryce si era voltata di scatto, cercando tra i visi della folla la persona che aveva parlato.
“E i nostri comandanti che cosa fanno? Le danno da mangiare e un posto sicuro dove dormire, persino un’ancella per servirla.”
A parlare era stato un uomo vestito con un saio marrone, occhi scuri e sgranati e capelli disordinati. Aveva agitato un pugno verso Bryce, che era rimasta ad osservarlo accigliata.
“È per questo che ci siamo uniti e siamo scesi in battaglia? Per continuare a servirli come facevano un tempo, affinché possano schiacciarci sotto i loro stivali?” aveva urlato.
Decine di teste avevano annuito a quelle parole. Un paio appartenevano a dei mantelli, una decina ai soldati e il resto erano di ancelle, servitori, operai.
“Dannati monaci del culto” aveva detto Bathas. “M chiedo perché Malag li tolleri. Dipendesse da me li appenderei da qualche parte e li lascerei lì. Non fanno altro che parlare di profezie e rendere scontente le persone, anche quando vinciamo.”
Bryce aveva continuato a fissare il monaco e lui aveva risposto puntandole contro il dito con aria di sfida.
“Verrà il giorno Figlia di Valonde” aveva detto. “in cui tu e i tuoi confratelli e consorelle capirete che non vi potete più opporre alla storia. Il tempo sta arrivando e porta con sé il cambiamento. Per alcuni sarà doloroso, per altri sarà gioioso, il compimento di un’attesa lunga millenni che né tu, né gli altri, potrete impedire. Ricorda le mie parole. Ricordale.”
“Vieni” aveva detto Bathas. “O dovrò far impiccare quel tizio.”
Bryce lo aveva seguito. “Chi è?”
Lo stregone aveva scrollato le spalle. “Uno dei tanti monaci che vagano per queste terre. Da quando la Cittadella ha deciso che la loro era un’eresia, si sono uniti all’orda. All’inizio erano utili. Sono abili guaritori, tengono a bada le persone e pensavamo che si limitassero a parlare, ma da qualche tempo…” Aveva scosso la testa. “Malag è stato troppo lontano da un vero campo di battaglia o forse vuole ignorare il problema. In fondo deve averne già tanti e questo deve sembrargli poco importante.”
Bryce era stata felice di sapere che quella faccenda poteva causare problemi all’arcistregone, ma il monaco sembrava avercela con lei e non con Malag.
“Parlava di un cambiamento che deve avvenire” aveva detto mentre lasciavano i confini del campo dei rinnegati. “Si riferiva alla ribellione?”
“Non so, non presto molta attenzione a ciò che dicono quegli esaltati. E nemmeno tu dovresti. Ci attende un viaggio piuttosto lungo.”
Bryce si era accigliata. “Dove volete portarmi?”
“Ti scorteremo fino al Fiume Dorato. È vicino al confine con Northon. Oltre quel punto per noi sarebbe poco salutare mentre per te sarà semplice raggiungere la salvezza. E potresti incontrare una pattuglia che ti condurrà in salvo.”
“Quel monaco aveva ragione” aveva detto dopo qualche istante di silenzio.
Bathas l’aveva fissata interdetto.
“Parlo del fatto che se mi liberate tornerò a combattervi appena potrò” aveva aggiunto con aria di sfida.
Lo stregone aveva annuito. “Io non pretendo di capire le intenzioni di Azaril, ma lo conosco da qualche tempo e so che se ha agito in questo modo ha un suo piano.”
“Intendi dire che potrei non tornare a combattere?”
“Non sto dicendo questo, principessa di Valonde.”
Bryce avrebbe voluto sapere il resto ma Bathas si era chiuso in un ostinato silenzio per il resto della giornata. Al termine del primo giorno si erano accampati alla base di una collina mentre uno stregone con la vista speciale controllava i dintorni.
Il giorno dopo si erano rimessi in viaggio prima che il sole sorgesse alle loro spalle. Avevano impiegato mezza giornata per mettersi alle spalle il brullo territorio delle pianure di Candor e trovare le morbide colline che punteggiavano la regione attorno a Northon.
Era stato allora che si erano accorti di stare avanzando verso un temporale.
“È solo pioggia” disse Bryce. “Non dirmi che ne hai paura?” gli chiese con tono provocatorio.
Bathas mormorò qualcosa. “Le piogge in questa stagione sono brevi e intese e tendono a far gonfiare i fiumi. Ne dobbiamo attraversare uno e non vorrei che l’acqua ci trascinasse via.”
Come il povero Gamal, pensò Bryce. Solo che l’esploratore era stato ucciso dall’incantesimo di un evocatore rinnegato come te.
Lo stregone con la vista speciale li affiancò, l’espressione preoccupata.
“Che cosa c’è?” gli chiese Bathas.
“Ho visto qualcosa. Cavalieri.”
“Quanti?”
“Venti. Forse di più.”
“Dannazione” ringhiò Bathas.
Dentro di sé Bryce esultò a quella notizia.
Deve essere una delle pattuglie di Northon, si disse. Forse si sono spinti a meridione per puro caso e ci hanno avvistati. Se è così devo rallentare Bathas e i suoi e fare in modo che ci raggiungano.
“Continuiamo” disse Bathas. “Cercheremo di distanziarli.”
Cavalcarono per un quarto di giornata prima di fermarsi per una pausa.
“Si sono avvicinati” annunciò lo stregone di vedetta.
Bathas radunò i suoi cavalieri. “È chiaro che ci stanno inseguendo. Deve essere una pattuglia di Northon. Nurg e Kipper verranno con me e la principessa. Gli altri si dirigeranno a occidente e faranno un giro lungo per tornare a Candor. Se siamo fortunati, si divideranno e diventerà più semplice distanziarli. Cercate di attirarne la maggior parte.”
I due gruppi si divisero e Bryce seguì Bathas. Diede una rapida occhiata ai due cavalieri rimasti con loro. Nurg era un uomo di mezza età dall’aria triste mentre Kipper era giovane e magro come un chiodo. Era lo stregone di vedetta che aveva individuato gli inseguitori.
“La tua vista è buona” gli disse Bryce cercando di studiarlo.
Kipper evitò il suo sguardo.
“Hai visto che mantelli indossavano?”
Nessuna risposta.
“Erano giallo limone? Te lo chiedo perché quelli di Northon hanno quel colore.”
Era una bugia. A Northon indossavano il rosso e il verde, ma sperò che Kipper non lo sapesse.
Lo stregone annuì. “Giallo limone, sì” disse.
Bathas gli lanciò un’occhiataccia.
Bryce invece annuì soddisfatta.
Non sono di Northon, si disse. Devono essere mantelli azzurri. Forse un gruppo che è stato mandato fin qui per cercarmi. Vyncent e gli altri devono aver dato l’allarme in qualche modo.
Si stava chiedendo come dovesse agire quando Bathas diede l’ordine di rallentare il passo. “Kipper? Dove sono?”
Il giovane stregone guardò a occidente. “Trenta miglia” annunciò.
Bathas annuì grave. “È abbastanza.”
Ha guardato nella direzione sbagliata, si disse Bryce. I nostri inseguitori si muovevano da meridione e non da occidente.
Guardò Bathas e notò che aveva evocato lo scudo e un dardo magico. Con una rapida occhiata si accorse che anche gli altri lo avevano fatto.
“Mi dispiace” disse Bathas. “Ma il nostro viaggio termina qui, Bryce di Valonde.”
Bryce avvertì il potere scorrerle dentro. “Siamo ancora lontani dal confine con Northon” disse per guadagnare tempo. Se avevano deciso di ucciderla prima che i suoi potessero liberarla, avrebbe cercato di resistere più che poteva.
“Purtroppo dobbiamo dividerci ora” disse Bathas. Alzò il braccio col dardo evocato e glielo puntò contro. “Mi dispiace molto.”
Bryce evocò lo scudo magico e lo sollevò d’istinto. Vide balenare il dardo a poca distanza dalla sua spalla quando si aspettava che colpisse in pieno lo scudo.
Invece lo vide proseguire con la coda dell’occhio fino al petto di Kipper, che venne passato da parte a parte e sbalzato giù dalla sella. Il corpo del giovane stregone rotolò per qualche passo prima di fermarsi con il viso rivolto al cielo grigio, gli occhi sbarrati e privi di vita.
Bryce guardò Bathas che impassibile aveva abbassato il braccio. “Quel bastardo non mi ha mai convinto, ma non sapevo come smascherarlo. Ho capito che mentiva quando gli hai chiesto dei mantelli.” Scosse la testa. “Kip viene da Luska. Non sapeva niente dei colori che usiamo qui.”
“Si avvicinano ancora” disse Nurg.
“Quindal vorrà azzannare la preda prima che gli sfugga dalle fauci” disse Bathas. Le rivolse un’occhiata divertita. “Se sei svelta e se il tuo cavallo regge, potrai raccontare anche di essere stata salvata da un rinnegato, principessa di Valonde.”
Bryce sbatté le palpebre confusa. “E se invece aspettassi qui che mi vangano a salvare?”
“Quelli non stanno venendo qui a salvarti” disse Bathas. “Quindal sta venendo ad ammazzarti.”
“Chi ti assicura che sia lui?”
“Se la tua vista è buona, potrai vedere tu stessa.”
Bryce si concentrò sull’orizzonte, dove una macchia si muoveva sollevando una nuvola di polvere. A mano a mano che la vista si schiariva, riuscì a cogliere qualche particolare. Un viso, il movimento di un cavallo, un mantello grigio che fluttuava sulla schiena di uno dei cavalieri.
“Dannazione” disse. “Tu lo sapevi?”
“Speravo che non accadesse” ammise Bathas. “Ma come vedi, anche tra di noi c’è chi desidera che questa guerra prosegua.” Guardò nella stessa direzione. “Ora vai. Cercheremo di rallentarli per concederti un altro po’ di vantaggio.”
Bryce tirò le redini, fece per andarsene ma ci ripensò. “Grazie” disse a denti stretti.
Bathas sogghignò e scosse la testa. “Che gran giorno per morire.”


 

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Capitolo 38
*** Sola contro tutti ***


Sola contro tutti

Non morirò, si disse. Non prima di aver rivisto mio padre e mia madre. E Joyce e i miei fratelli. E aver vinto questa guerra. E Vyncent.
Il suo viso aleggiò nella sua mente, il sorriso sincero e gli occhi di un blu profondo che la guardavano seri e divertiti allo stesso tempo.
Alle sue spalle avvertiva la presenza degli inseguitori, ora a meno di un miglio di distanza. Il cavallo procedeva a fatica nell’erba alta, sospinto dalle poche forze rimastegli. Stava già schiumando quando una zampa cedette e la scaraventò in avanti.
Si ritrovò a rotolare per qualche passo prima di fermarsi e balzare in piedi, i muscoli delle gambe e delle braccia rinforzati dal potere che vi aveva fatto fluire dentro.
Subito cercò con lo sguardo gli inseguitori. Dopo essersi divisa da Bathas si era concessa due pause per osservarli. Il loro numero sembrava calato ma non abbastanza.
Ne aveva contati trenta prima di rimontare in sella.
Trenta stregoni, si disse. Sono tanti o pochi?
Pensava di poter tenere testa tre stregoni rinnegati, forse quattro. Cinque, se li avesse colti alla sprovvista. Ma oltre quel numero non riusciva a fare previsioni.
Non provava paura e aveva accettato di poter morire quando era partita, ma era certa che se fosse successo sarebbe stato nel duello finale contro Malag.
In quel caso era pronta a sacrificare la propria vita per eliminare l’arcistregone e mettere fine alla guerra. Ma solo in quel caso. Morire in quella pianura sperduta in mezzo al nulla, braccata come una bestia selvaggia da un gruppo di rinnegati era umiliante.
Diranno che stavo scappando come una codarda, si disse. E tutti a Valonde crederanno a questa storia.
Quello era il pensiero che più l’angosciava, insieme all’idea che il suo ritratto non sarebbe stato appeso nella sala dei migliori, deludendo suo padre e le sue aspettative.
Perché mi sono consegnata ad Azaril? Si chiese. E perché mi sono fidata della sua parola? Avrei dovuto ucciderlo mentre ero da sola nella sua tenda e poi cercare di ammazzare quanti più rinnegati potevo. Morendo in quel modo avrei contribuito alla vittoria, mentre adesso…
Si raddrizzò e attese con aria di sfida i cavalieri che si stavano avvicinando. Ormai riusciva a scorgerli senza usare la vista speciale. Erano così vicini che poteva osservare i loro volti e distinguerli gli uni dagli altri.
Ricordava quello appuntito di Quindal, il giorno in cui l’aveva accolta al campo di Azaril con parole minacciose. Bryce non l’aveva dimenticato e nemmeno lui doveva averlo fatto.
E ora sta venendo qui ad uccidermi, si disse. E io ucciderò lui. Se non posso fare altro, anche le vite di pochi rinnegati serviranno alla causa dell’Alleanza.
Raddrizzò la schiena e si erse in una posa solenne, mentre attendeva l’arrivo dei cavalieri. Quando furono a mezzo miglio di distanza li vide rallentare la corsa fino a fermarsi. Né contò ventotto, tutti col mantello grigio che svolazzava dietro la schiena.
Non si vergognano nemmeno, si disse. Chissà quali erano i loro colori prima di abbracciare quello dell’orda. Non lo saprò mai. Non importa. Muori col colore che hai addosso, così si dice. Io morirò col blu di Valonde, non posso chiedere di più.
Dodici stregoni smontarono e avanzarono a piedi, con calma, come studiando il terreno prima di attaccarla. Si divisero mettendo una decina di passi tra ognuno di loro.
Così non potrò colpirli facilmente se uso una sfera infuocata, si disse. Peccato io non sappia usarla, ma ho altri incantesimi altrettanto efficaci.
In mezzo a quei dodici riconobbe Quindal. Camminava senza staccarle gli occhi di dosso, il palmo della mano sinistra aperto e l’aria che fluttuava attorno a esso.
Ha già lo scudo pronto, si disse. Sarà meglio che mi prepari anche io.
Alzò la mano ed evocò lo scudo magico.
Quindal e i suoi non rallentarono il passo allargandosi a formare un semicerchio che aveva lei al centro.
Mi attaccheranno su tutti i lati, pensò Bryce.
Scelse Quindal come primo bersaglio del suo attacco.
Caduto lui, si disse, sarà più semplice far cadere gli altri.
Attaccare il comandante era una vecchia tattica che suo padre le aveva insegnato nei primi anni di addestramento.
“Un’armata o una formazione senza un capo” le aveva detto allora. “Perdono metà della loro forza combattiva. Attacca sempre per primo chi ha il comando.”
Bryce fissò lo sguardo su Quindal, studiandone le mosse e l’espressione. Lo stregone non sembrava preoccupato e quando si fermò a una trentina di passi da lei, le rivolse un’espressione tronfia.
“Se ti arrendi ora” disse lo stregone. “Ti garantisco una morte rapida e dignitosa. Farò in modo che il tuo corpo venga riportato a Valonde in buono stato e che tu riceva una degna sepoltura. Con tutti gli onori.”
“A Valonde non tributiamo alcun onore a chi si arrende, fugge o tradisce. E tu hai fatto almeno due di queste cose, infame.”
Quindal scrollò le spalle. “Era mio dovere farti questa offerta. Ora che hai rifiutato, sappi che non rivedrai mai più la tua città da viva. Ti uccideremo e poi ti porteremo in trionfo in tutte le città che conquisteremo, fino alla tua amata Valonde, dove ti isseremo sul tetto del circolo prima di demolirlo.”
Bryce fremette per la rabbia e strinse i pugni. “Risolviamo la faccenda tra noi due.”
Quindal si accigliò. “Non è una questione personale, principessa di Valonde. Non ho nulla contro di te e se fossi rimasta nel tuo circolo ad attendere il ritorno dei tuoi confratelli e consorelle, non ti sarebbe mai accaduto niente di male. Ma sei venuta qui a sfidarci. A minacciarci. A ripetere a ognuno di noi che avresti voluto incontrare Malag per ucciderlo. Azaril è un vecchio sognatore innamorato dei libri che ha letto, ma è rimasto tra quelle pagine credendo che potessero insegnargli come trattare con quelli come voi che ci opprimono da millenni.” Scosse la testa. “Si sbaglia e gliel’ho detto, ma non ha voluto ascoltarmi. Così ho dovuto agire di mia iniziativa e fare ciò che andava fatto. Doveva ucciderti per dare un messaggio a quelli come voi, non trattarti con riguardo e rimandarti indietro.” Tra le sue mani apparve un dardo magico. “Adesso morirai, principessa di Valonde.”
“Mi chiamo Bryce” ringhiò. Evocò un dardo nella mano destra.
Quindal rivolse un cenno con la testa allo stregone alla sua destra e questi si mosse verso di lei. Gli altri avanzarono decisi, i dardi che scintillavano.
Arrivano, si disse Bryce, come se comprenderlo equivalesse a una liberazione.
Fu come se un peso che le gravava sul petto fosse stato rimosso e ora potesse respirare l’aria a pieni polmoni.
Potrebbe essere l’ultima che respirerò, si disse, ma sarà la migliore in assoluto.
Gridò mentre si lanciava verso Quindal, il braccio puntato contro il suo petto.
Le braccia degli altri mantelli si alzarono e puntarono verso di lei.
Sì, pensò Bryce, tutti insieme. Vi servirà tutto il vostro potere per fermarmi.
Un bagliore intenso esplose alle spalle di Quindal e i suoi. Per un attimo Bryce ebbe l’impressione che un nuovo, piccolo sole fosse sorto nella pianura spandendo i suoi raggi. Il calore intenso le scottò la pelle prima che un vento impetuoso la investisse spingendola indietro.
Puntò i piedi per terra opponendo resistenza a quella forza poderosa che minacciava si farla crollare e vide Quindal e i suoi venire scaraventati in avanti.
Lo stregone rotolò per una decina di passi prima di alzarsi con espressione stupita. Gli altri erano ancora a terra quanto uno degli stregoni rinnegati venne colpito alla schiena e al petto da qualcosa.
Due ferite nette si aprirono sul costato dell’uomo prima che stramazzasse al suolo.
Bryce si chinò in avanti e mise lo scudo magico davanti a sé, cercando di capire che cosa stesse accadendo. L’esplosione aveva sollevato una nuvola di polveri e detriti che aveva oscurato il campo di battaglia e reso indistinguibili le figure che si muovevano all’interno di esso.
“Sono qui” gridò qualcuno.
“A destra.”
“Non lo vedo.”
Qualcosa scintillò nella nube, come isolati fulmini che esplodevano e si esaurivano subito dopo.
Dardi magici, si disse. Qualcuno li sta lanciando alla cieca.
Quindal emerse dalla nube, lo scudo ancora attivo e una lama magica nell’altra mano. La individuò e andò verso di lei mulinando la spada sopra la testa.
Bryce lo attese prima di evocare la sua lama magica e corrergli incontro.
“Ti uccido” gridò lo stregone.
Bryce urlò qualcosa mentre si avventava contro di lui. Lo stregone alzò lo scudo e parò il colpo. Il contatto provocò una cascata di scintille.
Quindal alzò il braccio e affondò la sua lama magica che Bryce parò con il suo scudo.
Altre scintille.
“Bastarda” gridò lo stregone rinnegato.
Bryce annullò la lama magica e balzò indietro.
Quindal la seguì cercando di colpirla.
Come volevo, si disse.
Con calma evocò nella mano libera un grumo di potere più grande degli altri e lo puntò contro il petto dell’avversario. Dalla mano eruppe un raggio di potere puro che colpì lo scudo di Quindal ed esplose in una miriade di scintille.
Lo stregone puntò i piedi per non venire strappato da terra e scaraventato via.
“Maledetta” gridò mentre cercava di avanzare verso di lei, la lama magica ancora stretta nella mano.
Bryce annullò scudo e usò il potere sottratto a quell’incantesimo per aumentare quello del raggio magico.
Devo ucciderlo adesso, si disse. E poi concentrarmi sugli altri.
Con la coda dell’occhio vide emergere dalla sua destra un altro stregone rinnegato. Era ferito alle spalle e alla testa, barcollava ma si teneva in piedi. La individuò con un’occhiata ed evocò un dardo magico.
Dannazione, si disse Bryce. Se ora smetto di impegnare Quindal e concentro il mio potere nello scudo, riuscirà a sottrarsi al mio attacco e mi sarà addosso. Avrò guadagnato solo qualche istante di vita.
Il nuovo stregone alzò il braccio e lo puntò verso di lei. Bryce evocò lo scudo e parò il dardo magico trasformandolo in una cascata di scintille.
Lo stregone evocò un secondo dardo magico e stava per lanciarlo verso di lei.
Non così di fretta, pensò.
Al posto dello scudo, Bryce evocò il dardo magico e lo lanciò verso il nuovo avversario, centrandolo alla gola. Lo stregone eseguì una piroetta su sé stesso e si accasciò al suolo.
Quindal avanzò verso di lei e dopo un balzo di cinque o sei passi le tirò un fendente alla spalla. Bryce fece un passo indietro ed evitò il colpo, ma perse l’equilibrio e cadde sulla schiena.
Quindal alzò la spada per colpirla mentre era a terra.
“Muori bastarda” gridò affondando la lama.
Bryce evocò lo scudo e bloccò il colpo. Concentrò il potere nelle gambe per sospingere indietro Quindal. Lo stregone venne scaraventato sulla schiena dalla forza poderosa e cercò di rotolare di lato.
Bryce balzò in avanti e con un calcio gli colpì lo sterno. Quindal emise un grido strozzato e strabuzzò gli occhi, mentre col braccio cercava di colpirla tagliandole la gamba.
Lei eseguì un secondo salto atterrando vicino alla testa del rinnegato, evocò i dardi e lo colpì due volte al petto. Quindal sussultò un paio di volte e giacque a terra con gli occhi sbarrati in una muta sorpresa.
Bryce si voltò di scatto, pronta a fronteggiare gli altri stregoni rinnegati che sarebbero emersi dalla nube di detriti, ma mentre combatteva con Quindal il vento l’aveva dispersa un poco e adesso poteva riconoscere qualche figura al suo interno.
Vicino al corpo di uno stregone col mantello grigio vide prendere forma una figura femminile.
Era quella di Elvana.


 

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Capitolo 39
*** Salvataggio ***


Salvataggio

“Che io sia dannata” esclamò Elvana guardandola. “Ero sicura che quel rinnegato ti avrebbe ammazzata.”
“Tu” disse Bryce infuriata marciando decisa verso di lei. “Traditrice, bugiarda, codarda.”
Elvana la fissò corrucciata. “Forse io non conosco molto bene il dialetto di Valonde, ma voglio sperare che questo sia il modo con il quale ringraziate quelli che vi salvano la vita, perché altrimenti potrei arrabbiarmi.”
“Che tu sia maledetta” disse Bryce raggiungendola. “Che cosa ci fai qui? Che sta succedendo?”
Uno stregone dal mantello grigio emerse dalla foschia col braccio puntato verso di loro. D’istinto Bryce alzò lo scudo e assorbì il dardo magico.
Elvana lo colpì al ventre e al petto con due dardi e lo osservò compiaciuta mentre si accasciava al suolo. “E con questo fanno quattro. Tu a quanti sei?”
“Rispondi alla mia domanda” le gridò Bryce esasperata.
“Dopo” disse la strega. “Ora pensiamo a ripulire la zona da questi ratti.”
Prese a camminare in una direzione a caso.
“Aspetta” le gridò Bryce. “Fermati dannazione. Te lo ordino.”
“Non prendo ordini da te” disse Elvana continuando a camminare.
Ogni tanto udiva delle grida o una voce nella nebbia innaturale. Seguì Elvana per una trentina di pasi, quando lei si fermò all’improvviso e quasi andò a sbatterle addosso.
“Guarda qui” disse indicando un punto in basso. “Londolin ha aperto proprio un bel buco.”
Bryce restò col piede sollevato a mezz’aria, in bilico sopra un baratro profondo una decina di passi e largo trenta. Sul fondo c’era qualcosa che fumava e l’aria era impregnata da uno strano odore.
“Davvero notevole” disse Elvana muovendosi lungo il bordo del cratere.
“Mi vuoi spiegare?” le urlò dietro Bryce faticando a tenere il passo.
La strega di Ningothris fece un gesto vago con la mano. “Se vuoi i particolari chiedili a Jehla Metz e a quell’altro idiota. Come si chiama? Jakos?” Scosse la testa. “Credo di sì.”
“Jakos è qui?”
Elvana annuì.
“E anche Jehla?”
“Siamo una trentina in verità, ma non so dirti i nomi di tutti. C’è anche Divash. E il tuo amato Londolin, ovviamente.
“Vyncent?” chiese sorpresa.
“Chi credi che abbia aperto quel buco lì a terra?” disse Elvana indicando il cratere.
Mentre la nube di detriti si posava, Bryce notò altre figure che si muovevano. Alcune indossavano il mantello verde, altre quello giallo e ce n’erano anche uno rosso con una croce nera al centro e uno azzurro e verde.
Uno di quelli azzurri si diresse verso di loro. Riconobbe subito il sorriso sfrontato di Divash e l’espressione di supponenza.
“Ma tu guarda” disse lo stregone. “Almeno non abbiamo fatto un viaggio a vuoto.”
Bryce si diresse verso di lui. “Almeno tu vuoi spiegarmi quello che sta succedendo?” Gli chiese con tono esasperato. “Poco fa pensavo di dover morire e adesso…”
“Ancora non è detto che non accada” disse lo stregone. “Ma di sicuro abbiamo rimandato quel momento di qualche giorno. Forse di una Luna. Chi può dirlo?”
“Continuo a non capire.”
“Te lo spiego io” disse Jehla Metz.
La strega si era avvicinata a lei da dietro, sfruttando un punto cieco.
Bryce si voltò di scatto riconoscendo la voce. “Tu” disse sorpresa. “Elvana non stava mentendo. Ci siete proprio tutti.”
“Non proprio” rispose la strega. “Fraska e Tobha non sono potute venire.”
“Stanno bene?”
“Quando le ho lasciate erano ferite, ma dovrebbero essersi riprese.”
“Sono ferite? Hanno lottato?”
Jehla annuì. “C’è stato uno scontro.”
“Con chi? I Rinnegati?”
“Una specie” disse Jehla. “Maggart e i suoi.”
Bryce si sentì travolgere dalla confusione. “Non puoi spiegarmi meglio?”
“Dopo” disse Jehla. “Ora stai al sicuro. C’è costato parecchio venirti a liberare.”
Bryce si fece da parte e la lasciò andare. Altre streghe e stregoni con i mantelli dell’alleanza sciamarono attorno a lei tra i corpi dei rinnegati che erano stati abbattuti nello scontro.
I cavalieri che erano rimasti indietro sembrava fossero stati falciati mentre cercavano di ritirarsi.
Bryce passò oltre cercando tra i presenti il volto di Vyncent.
Elvana ha detto che era anche lui qui, si disse.
Si voltò a destra e sinistra senza riuscire a trovarlo, ma incrociò lo sguardo di Jakos che le fece cenno di raggiungerlo.
“Io ti saluto” disse.
Lo stregone annuì con vigore. “Lieto di vedere che stai bene.”
“Me lo dicono tutti” rispose Bryce. “E quasi mi sento in colpa di avervi creato tanti fastidi.”
“Nessun fastidio, principessa. Te lo dovevamo. E quelli che sono venuti con noi lo sapevano bene. Erano disposti a morire per riparare al torto che ti avevano fatto.”
“Mi sono offerta io come prigioniera.”
“Solo perché pensavano che i rinnegati non ti avrebbero uccisa. O forse volevamo solo ignorarlo, quando sapevamo benissimo come sarebbe finita.” Guardò i rinnegati a terra. “Quelli ti inseguivano per ammazzarti.”
“Non tutti” disse Bryce. “Azaril mi aveva liberata e un certo Bathas ha provato a fermarli.”
“Sembra quasi che tu abbia compassione per questi rinnegati” disse Jakos.
“Forse non lo sono sempre stati. Come Maggart e i suoi.”
Lo stregone annuì serio. “Vuoi sapere che fine ha fatto?”
Bryce si accigliò.
“Stavamo tornando al campo, quando Vyncent è riuscito a convincere quelli di Londolin a unirsi a loro per mettere in minoranza Maggart.”
Bryce annuì con fare sufficiente.
“Non sembri sorpresa.”
“Non mi aspettavo niente di meno da Vyncent.”
Jakos ridacchiò. “In ogni caso, c’è stato uno scontro tra noi e quelli di Maggart. E abbiamo vinto.”
“Lui dov’è?”
“Credo sia ragionevolmente morto. Vyncent lo ha ucciso in duello.”
Stavolta Bryce sgranò gli occhi.
“Sì, un vero duello, come nei romanzi d’avventura.”
“Dovrò complimentarmi con lui” disse felice.
“Dovresti farlo anche con la tua scorta, la strega della notte. Se non fosse stato par lei tutti i nostri sforzi sarebbero stati inutili.”
“È scappata” disse Bryce accigliata.
“Si era nascosta vicino al campo. Quando ti ha vista andare via, è tornata indietro e ha liberato Artesia e i comandanti a lei fedeli. Tutti insieme hanno eliminato i comandanti ribelli e ripreso il controllo dell’armata. Poi sono partiti in venti seguendo le nostre tracce. Ci siamo incontrati a mezza strada e abbiamo deciso di tentare una sortita nel campo di Azaril per liberarti.”
“Sarebbe stato un suicidio” disse Bryce con tono veemente. “Era ben difeso.”
“Lo sappiamo” disse Jakos. “Ma avremmo provato lo stesso, se non ti avessimo vista lasciare il campo. Avremmo potuto liberarti subito, ma farlo così vicino al campo di Azaril avrebbe potuto attirarli verso di noi. Abbiamo atteso che vi allontanaste seguendovi da una certa distanza. Stavamo discutendo sul momento migliore per agire, quando ci siamo accorti che non eravamo gli unici a seguirvi.”
“Il gruppo di Quindal” disse Bryce.
Jakos si accigliò. “Era quello il suo nome?”
Lei annuì. “Un vero bastardo rinnegato. Voleva ammazzarmi.”
“Ma tu hai ucciso lui” disse lo stregone compiaciuto.
“Meritava di morire” disse sicura. “Come tutti gli altri.”
Jakos annuì con meno convinzione. “Alcuni sono riusciti a scappare.”
“Inseguiamoli” propose subito. Aveva ancora voglia di eliminare qualche rinnegato.
Lo stregone scosse la testa. “Si dirigeranno verso il campo di Azaril e hanno un buon vantaggio. Prima di raggiungerli ci avvicineremo troppo e se venissimo scorti da qualche pattuglia di rinnegati, diventeremmo noi le prede e loro i cacciatori.”
Bryce fece una smorfia.
“Ti spiace così tanto lasciarli andare?”
“Detesto lasciare un lavoro a metà.”
“Se è un lavoro che cerchi, al campo di Artesia ne avrai parecchio da fare. Ci sono novemila tra soldati e mantelli da portare al sicuro prima che Azaril ci sia addosso con la sua armata.”
Bryce scosse la testa. “Non attaccherà.”
“Come fai a dirlo?”
“È vecchio. Ed è stanco di combattere.”
“Avete parlato voi due?”
Annuì.
“Di cosa, se posso saperlo?”
“Vorrei sapere di Vyncent” disse cambiando discorso. “Non lo vedo sul campo. Sta bene? È ferito?”
“Sta riposando.”
Bryce si accigliò.
“Vieni. Ti porto da lui” disse Jakos.
Girarono attorno al cratere mentre gli stregoni del loro gruppo spostavano i corpi dei rinnegati. C’erano anche mantelli dell’alleanza tra quelli che erano caduti.
“Quanti?” chiese Bryce.
“Otto” disse Jakos. “Forse nove. Ancora non so il numero esatto.”
“Dobbiamo riportarli indietro.”
Lo stregone ghignò. “Ci rallenterebbero. Dobbiamo lasciarli qui.”
“Seppelliamoli almeno. Se lo meritano.”
“Senti, principessa” disse Jakos fermandosi di colpo. “Sei giorni fa metà di quei mantelli voleva consegnarti al nemico. Sono venuti con noi perché erano pentiti e volevano fare ammenda. Si sono offerti loro di far parte del primo gruppo d’attacco. Dopo che Vyncent ha scagliato la sfera infuocata, si sono gettati all’attacco ben sapendo che sarebbero morti quasi sicuramente.”
Bryce deglutì a vuoto. “Un motivo in più per seppellirli come di deve.”
“Proprio non comprendi, Bryce di Valonde.”
Jakos riprese a camminare e lei lo seguì.
“Cosa dovrei comprendere, Jakos?” gli chiese con tono polemico.
Lui sospirò. “Quei mantelli sono morti perché tu ti salvassi, principessa.”
“Adesso sono salva.”
“Niente affatto. Lo sarai quando ti avremo portata al sicuro da Erix o in qualsiasi altro posto non ci sia qualche idiota come Maggart che voglia usarti come moneta di scambio.”
“Io ho scelto di essere scambiata” disse con vigore.
“Credilo pure” rispose Jakos. Indicò un gruppo di mantelli a una decina di passi di distanza. “Eccolo lì” disse. “Come vedi, sta benissimo.”
Bryce guardò nella stessa direzione e riconobbe Vyncent tra le due streghe e lo stregone che lo attorniavano. “Sei vivo” disse cercando di tenere ferma la voce.
Vyncent andò verso di lei con passo lento. “Anche tu.”
Bryce arrossì. “Non dovevi tornare indietro per me.”
“Avevamo tutti un debito con te. E poi Elvana ha insistito così tanto che abbiamo dovuto scegliere tra metterle un bavaglio o fare come diceva.”
“Attento a quello che dici, Londolin” disse Elvana sopraggiungendo. “O finirai nel cratere che hai aperto. Per poco non uccidevi anche Bryce.”
Lui rise. “Anche io sono contento di vedere che stai bene.”
Elvana fece una smorfia e si allontanò di qualche passo.
“E ora?” chiese Bryce.
“Ti portiamo al sicuro” rispose Vyncent.


 

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Capitolo 40
*** Mi serve il tuo aiuto ***


Mi serve il tuo aiuto

Artesia giaceva sulla stuoia al centro della sua tenda, il corpo nascosto dalla coperta di lana. Entrando, Bryce arricciò il naso avvertendo l’odore pesante della carne in putrefazione. L’incenso e l’olio che bruciavano in un braciere non riuscivano a coprirlo del tutto.
Artesia sollevò la testa ed emise un gorgoglio.
“Non ti sforzare” disse Bryce accovacciandosi al suo fianco.
La strega reclinò la testa all’indietro e chiuse gli occhi.
Bryce pensò si fosse addormentata ma sussultò quando la strega riaprì gli occhi e la guardò.
“Sei salva” disse senza esitare.
Bryce si sforzò di sorriderle.
“Per un attimo ho temuto che ti avessimo persa” proseguì Artesia. “Se ti fosse accaduto qualcosa di brutto, tua madre non me l’avrebbe mai perdonato. Mi spiace.”
“Non hai nulla di cui dispiacerti” disse con tono calmo.
La strega tossì un grumo di sangue.
Prima di entrare nella tenda, Jakos le aveva spiegato come stava la comandante dell’armata.
“Nello scontro ha preso due dardi nel petto” aveva detto lo stregone con aria cupa. “Era già grave quando siamo partiti. Ero certo che non sarebbe sopravvissuta fino al nostro ritorno, ma mi ha sorpreso ancora.” Aveva scosso la testa. “Avrei dovuto proteggerla meglio.”
“Non credo potessi fare molto di più, Jakos.”
“Saperlo non mi conforta affatto.”
“Riposa” disse Bryce. “Sono passata solo per farti sapere che sto bene. Ora non hai più niente di cui crucciarti.”
Artesia annuì con lentezza. “Jakos mi ha detto che cosa è accaduto. Hai tenuto testa ad Azaril e stavi per sfidare trenta mantelli tutti insieme. Notevole. Davvero notevole.”
A Bryce sfuggì un mezzo sorriso. “Vyncent e Jakos hanno fatto molto di più. Senza di loro sarei morta. E anche senza i nove mantelli che si sono sacrificati per me non sarei qui a parlarti adesso.”
“Spero solo che un giorno tuti questi sacrifici portino alla pace che tutti ci auguriamo” disse Artesia a fatica.
Bryce fece per alzarsi. “Sarà meglio lasciarti riposare” disse.
La comandante annuì solenne. “Mi ero sbagliata nel giudicarti, Bryce di Valonde. Forse è come diceva quell’idiota di Andew. Forse sei davvero la guida che l’alleanza stava aspettando.”
“Non ho fatto niente per meritare tanta fiducia” disse.
Non ancora, pensò dentro di sé avvertendo i fremiti dell’impazienza.
Fuori dalla tenda Jakos e Divash erano in attesa.
“Ci sono cose di cui discutere prima della partenza” disse il primo con espressione cupa. “E vogliamo che tu sia presente.”
Bryce lo guardò corrucciata. “Non sono una comandante. Non posso prendere nessuna decisione per questa armata.”
“Artesia ti ha promossa a sua consigliere” rispose Jakos. “Insieme a Elvana e Jehla Metz.”
“Sono felice per loro” disse sbrigativa.
“Bisogna nominare una nuova comandante. O un comandante” insisté Jakos. “Molti pensano a te.”
“Me?” chiese sorpresa.
Lo stregone annuì grave. “Per ora il tuo nome viene solo sussurrato, ma a mano a mano che gli altri nomi vengono esclusi, inizieranno a pronunciarlo a voce sempre più alta. Se diventerà un grido di esultanza, sarai la nuova comandante di questa armata.”
“Non voglio” disse subito.
Jakos la fissò interdetto. “Rifiuti un comando? Nessuna strega sana di mente lo farebbe.”
“Il comando non mi interessa.”
“Forse hai paura?”
Bryce non raccolse la provocazione. “Non penso di meritarlo.”
“Consegnandoti ad Azaril hi salvato tutti.”
Bryce sorrise mesta. “E voi avete salvato me tornando indietro. Io mi sarei fatta ammazzare come una stupida.”
Non riusciva a dimenticare quello che aveva provato quando si era ritrovata circondata da Quindal e dai suoi, il senso di frustrazione e di impotenza e la sensazione di aver sprecato tutte le occasioni che le erano state concesse.
Non voglio più sentirmi come quel giorno, si era detta mentre viaggiava con gli altri verso il campo di Artesia.
Jakos si strinse nelle spalle. “Sei vuoi rifiutare sei libera di farlo, ma almeno partecipa alla riunione. Molti vorranno sentirlo dire da te in persona.”
Bryce annuì e fece per andarsene.
“Un’ultima cosa” disse lo stregone.
Bryce si fermò a fissarlo interrogativa.
“Ancora non mi hai detto di che cosa avete parlato tu e Azaril.”
“È una faccenda della quale dovrò riferire a Erix in persona, quando la rivedrò.”
Jakos annuì. “Se vuoi mantenere il riserbo non te lo chiederò di nuovo. Spero solo che sia valso tutte le vite che abbiamo perso.”
“Ho rischiato la mia per ascoltarlo” rispose Bryce.
Gli volse le spalle e si diresse verso un gruppo di tende raccolte attorno a una più grande e rotonda. Lì sotto intravide una mezza dozzina di persone distese sulle stuoie e alcune che facevano la guardia davanti all’entrata.
Bryce salutò i soldati con un cenno della testa e loro risposero battendo a terra la lancia. Entrò nella tenda e cercò con lo sguardo Tobha e Fraska. Le due streghe erano sedute una di fronte all’altra e stavano discutendo a voce bassa.
Tobha alzò gli occhi verso di lei e le lanciò un sorriso. “Bryce di Valonde” esclamò allegra. “Stavamo proprio parlando di te.”
Fraska si voltò per guardarla. “Dicono che hai ucciso Quindal in duello.”
Bryce scrollò le spalle. “È stato uno scontro leale” disse con modestia. “Io ero da sola e loro erano in tre.”
Tobha si lasciò sfuggire una sonora risata. “Questo non è leale” esclamò. “Loro avrebbero dovuto essere almeno in cinque. Ti sei presa un vantaggio ingiusto.”
“La prossima volta li affronterò senza usare la mano sinistra” disse.
“Ora non esagerare” l’ammonì Fraska. “Sono contenta di vedere che stai bene.”
“E io sono felice di vedere che voi due vi state riprendendo. Quando Jakos mi disse che eravate state ferite, ho pensato al peggio.”
“Ci credevi già morte?” fece Tobha divertita.
Bryce scosse la testa. “Temevo di aver perso due preziose consorelle.”
“Ti ringrazio” disse Tobha. “Ma come puoi vedere stiamo bene. Tra un paio di giorni saremo in piedi e pronte a partire insieme all’armata.”
“È bello sentirvelo dire.”
“Dicono che Artesia non sopravvivrà” disse Tobha con tono sommesso.
“Le sue ferite sono gravi. E non si rimarginano.”
“Pensi che dovrei passare a trovarla?”
Bryce scosse la testa.
Tobha sospirò. “Avrei dovuto difenderla meglio, ma quando l’assalto è iniziato mi hanno colpita per prima ed ero a terra quando la comandante è stata colpita a sua volta.”
“Non devi sentirti in colpa” disse Fraska con tono comprensivo. Nel farlo si protese verso la ragazza e le strinse la mano.
Tobha chinò la testa. “Ero responsabile della sua vita” disse. “E ho fallito. È una macchia che non laverò mai via dal mio mantello.”
Bryce trasse un profondo respiro. “Fraska ha ragione. La colpa di quanto è accaduto è di Maggart e dei suoi. Tu non sei responsabile.”
Tobha accennò un timido sorriso.
“Ora vi lascio” annunci Bryce. “Ho delle faccende da sbrigare.”
“Lo sappiamo” disse Fraska. “Dicono che voglio affidarti il comando dell’armata.”
“Se lo faranno, rifiuterò.”
La strega la fissò sorpresa. “È un grande onore venire scelta per il comando.”
“Non ho fatto molto per meritarmelo. Ora scusami, ma devo proprio andare.”
Le dispiaceva essere così brusca, ma non le andava di ripetere quello che aveva già detto a Jakos. Lasciò la tenda e si avviò verso quella di Vyncent, ma mentre superava un bivacco Elvana le si parò di fronte.
“Attenta” disse irritata. “Potevo travolgerti.”
“Eri distratta” disse la strega affiancandola. “Vai da Londolin?”
“Non è una faccenda che ti riguarda.”
“Te lo chiedo perché lui è impegnato a fare altro in questo momento.”
Bryce si accigliò. “Sai qualcosa che ignoro?”
Elvana si strinse nelle spalle.
“Che cosa sta succedendo?”
“I Londolin voglio eleggerlo nuovo comandante dell’armata.”
Bryce si arrestò di colpo. “Come lo hai saputo?”
“A differenza tua, io parlo con le persone che ho intorno. A volte mi interesso delle loro faccende, anche se fingo. E non disdegno di origliare, di tanto in tanto.”
“Non mi importa come ne sei venuta a conoscenza.”
“Volevo solo spiegarti. Stanno tenendo una riunione per decidere come votare. E per chi.”
Bryce valutò che cosa risponderle. “Bene” disse.
Elvana inarcò un sopracciglio.
“Non posso essere contenta? Vyncent sarebbe una scelta saggia.”
“Ne sei convinta o sei solo innamorata al punto di rinunciare al comando per farlo felice?”
Bryce arrossì. “Smettila. E abbassa la voce, dannazione. Qualcuno potrebbe sentirti e credere che ciò che dici sia vero.”
“Non lo è?”
“No” rispose con tono perentorio. Trasse un sospiro ed eseguì un mezzo giro su sé stessa. “Se Vyncent è occupato, andrò dopo a trovarlo. E comandare questa armata non mi interessa. Comandare non mi interessa.”
“Certo” disse Elvana. “Dimenticavo che tu vuoi soltanto uccidere Malag. Sei nata per questo, giusto? Vai in giro a dirlo, quindi è vero.”
“Sì” rispose sbrigativa. “Che siano gli altri a comandare.”
“Forse perché hai paura?”
Bryce le ringhiò contro. “Basta” disse. “Discussione chiusa.”
Elvana si arrestò sul posto. “Fai come vuoi” disse cambiando direzione.
Bryce raggiunse la sua tenda e trovò Vyncent ad attenderla fuori di essa. Appena lo ebbe riconosciuto ebbe un leggero tuffo al cuore ma si riprese subito.
“Io ti saluto” disse cortese. “È davvero divertente perché stavo proprio venendo da te.”
Lui annuì. “Abbiamo avuto una riunione. Noi mantelli e soldati di Londolin, intendo.”
“Davvero?” gli chiese fingendosi sorpresa.
“Abbiamo preso una decisione in merito a chi debba comandare l’armata. Sai che si terrà una riunione dei comandanti, giusto?”
“Jakos mi ha avvertita.”
“Ti ha detto anche il nome che vogliono proporre?”
“Penso sia il tuo” disse sottolineando la frase con un largo sorriso.
Vyncent si rabbuiò. “Allora sai già la cattiva notizia.”
Bryce si accigliò. “Non sei felice?”
“Tu lo saresti al mio posto?”
“Non lo so. Credo di sì.”
Anche se ho appena detto sia a Elvana che Jakos che non voglio il comando, si disse.
“Non penso di essere la persona adatta” disse Vyncent. “Ne sarei onorato, ovviamente, ma sono sicuro che ci siano persone più meritevoli di me del comando.”
“Di chi parli?”
“Di Jakos, ovviamente.”
Bryce aveva sperato per un attimo che stesse parlando di lei. Se Vyncent le avesse chiesto di prendere il comando dell’armata, lo avrebbe fatto di sicuro.
“Jakos” disse esitando. “Sì, sarebbe la scelta giusta, credo. Era la scorta di Artesia. Lei si fida di lui.”
“Lo penso anche io” assentì Vyncent. “Ma i comandanti non la pensano come noi. Jakos non ha nessuno che lo appoggi e i due gruppi sono divisi.”
“I comandanti prenderanno la decisione migliore” disse Bryce sicura.
“Ne sono certo, ma nel frattempo non avremo un comandante sicuro mentre cerchiamo di tornare nel territorio dell’alleanza. E c’è un’armata nemica che potrebbe inseguirci.” Fece una pausa. “Dobbiamo fare qualcosa, Bryce. E tu devi aiutarmi.”


 

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Capitolo 41
*** Impara a comandare ***


Impara a comandare

Bryce si posizionò al margine del circolo formato dagli otto mantelli. Cinque erano stregoni e tre streghe. Quattro indossavano il colore verde, due quello giallo limone, uno il blu e l’ultima, una strega dall’aspetto massiccio, il rosa.
Non aveva mai visto un mantello di quel colore e avrebbe voluto chiedere alla strega da dove venisse, ma non voleva essere scortese o invadente.
Uno degli stregoni nel cerchio era Vyncent. Era in piedi tra i tre mantelli vedi di Londolin. Jakos e una strega che non conosceva, entrambi col mantello giallo limone, si tenevano come in disparte, mentre Jehla Metz si era defilata e ogni tanto le lanciava qualche occhiata fugace, come volesse invitarla a prendere posto accanto a lei.
La prima a parlare fu proprio la strega col mantello rosa. “Come comandante più anziana, anche se mi costa ammetterlo, spetta a me moderare questa riunione. Non avendo a disposizione un erudito né pergamene e matite sufficienti per redigere un verbale di questa riunione, avremo gli Dei e l’Unico come testimoni. Siete d’accordo?”
Le teste di tutti i presenti fecero un cenno di assenso.
“Molto bene” disse la donna. “Davanti all’Unico e agli Dei, io, Lithia Chung del circolo di Velmir, dichiaro aperta questa riunione dei comandanti. Come primo atto, porto a conoscenza di questa assemblea che la nostra amata comandante, Artesia Deknar, del circolo di Arental, è morta poco prima dell’inizio di questa riunione. Gli infami che l’hanno uccisa sono morti e quelli che li hanno sostenuti sono anch’essi morti o in fuga. Che l’Unico e gli Dei li maledicano.”
I presenti annuirono in maniera solenne.
Lithia sospirò. “La comandante è morta, ma l’armata esiste ancora e ha bisogno di una nuova guida. Com’è tradizione, quando un’armata dell’alleanza è lontana da una città e non può ricevere ordini da un circolo, elegge un comandante temporaneo che resta in carica fino al rientro in una città o fortezza alleata. Oggi siamo qui per questo motivo. Di solito ci saremmo concessi qualche giorno di tempo per prendere le nostre decisioni, esaminare i candidati ed esprimere il nostro voto. Quel tempo non ci è concesso.” Indicò l’orizzonte. “Da un momento all’altro i rinnegati potrebbero attaccarci. Dobbiamo decidere al termine di questa riunione e poi metterci subito in viaggio. Spero siate tutti concordi con me.”
Le streghe e gli stregoni annuirono di nuovo.
“Avete già deciso almeno un candidato?” chiese Lithia.
Uno degli stregoni di Londolin fece un passo avanti. “Noi proponiamo Vyncent” disse indicandolo col braccio teso. “Da quando si è unito all’armata si è dimostrato il migliore di tutti. Non ha mai lasciato indietro un confratello o una consorella, non ha mai mancato di rispetto ai mantelli di alto rango e la comandante Artesia lo aveva promosso a suo consigliere personale. Credo che tanto basti a farne il candidato migliore, l’unico che può guidare questa armata.”
Lithia annuì solenne. “Ci sono altri candidati?”
La strega dal mantello color giallo limone fece un passo avanti. “Noi proponiamo Bryce di Valonde. È giovane, inesperta, ma ha dimostrato coraggio consegnandosi ai rinnegati e salvandoci tutti. E ricordo che è stata consegnata dai Londolin. Fosse stato per loro, l’avrebbero anche ammazzata e portato in dono la sua testa al comandante rinnegato per far loro cosa gradita.”
“Infame” gridò lo stregone di Londolin. “Questa è un’accusa ingiusta.”
“Ho forse detto il falso?” ribatté la strega dal mantello limone. “Quello che è accaduto è davanti a tutti.”
Lithia si frappose tra i due. “Falis” disse rivolta allo stregone di Londolin. “Sularea” aggiunse guardando la strega. “Voi siete amici, io vi conosco. Il vostro astio reciproco è ingiustificato.”
“Ho i miei motivi, Lithia” disse Sularea. “Se non fosse stato per i Londolin, Artesia sarebbe ancora viva.”
“C’erano anche altri che combattevano contro la comandante” disse Falis. “E noi l’abbiamo difesa. Contro i nostri confratelli e consorelle. Per te non è sufficiente questo a dimostrare la nostra lealtà?”
Sularea incrociò le braccia sul petto.
Lithia tornò al suo posto. “Ci sono altri candidati?”
Nessuno parlò.
“Chi vota per Vyncent di Londolin?”
I mantelli color verde alzarono la mano, ma quella di Vyncent rimase in basso.
“Chi per Bryce di Valonde?”
Sularea, il suo confratello e Jakos alzarono la mano.
“Come temevo” disse Lithia. “C’è parità. E nessuno dei candidati ha raggiunto almeno la metà dei voti. In questo modo non avremo un comandante.”
“Non voteremo mai un Londolin” disse Sularea.
“E noi non ci faremo comandare da te” rispose Falis.
Bryce guardò Vyncent e lui le fece un cenno con la testa. “Chiedo la parola.”
Lithia le scoccò un’occhiata incerta. “Non ti sarebbe consentito parlare in questa riunione, a meno che non ti venga espressamente richiesto.”
“Volete eleggermi come vostra comandante” rispose Bryce. “Credo di dovervi dire qualche parola prima che lo facciate.”
Lithia sembrò soppesarla con lo sguardo. “Io non ho argomenti per oppormi. Se qualcuno ne ha, parli e ne terremo conto.”
I mantelli si scambiarono occhiate perplesse ma nessuno obiettò.
Bryce camminò fino al cerchio e si fermò un passo all’interno. “Tutti voi sapete chi sono. Forse pensate di saperlo anche meglio di me. Vi hanno detto che un giorno diventerò la strega suprema, la migliore della mia generazione. Alcuni credono fermamente in questo. Mio padre è uno di questi. Altri lo negano con altrettanta veemenza. Credo che alcuni di essi si trovino qui in mezzo a voi oggi.”
I mantelli di Londolin si scambiarono occhiate perplesse. Falis fece un passo avanti. “Noi non mettiamo in dubbio il tuo valore, Bryce di Valonde. So che ti sei battuta con vigore e hai rischiato di morire per noi. Ti ringraziamo per questo ma…”
“Ma non pensate che io sia adatta al comando.”
Falis serrò le labbra.
“Non temere di dirlo” disse Bryce. “Neanche io ci credo molto. Se dipendesse da me, partirei subito per andare a uccidere l’arcistregone. Da sola, senza né scorta né armata al seguito. E probabilmente finirei per farmi uccidere. Perché questo è quello che so fare meglio. Quello che sento di poter fare meglio. Quello per cui sono nata. Strega suprema non vuol dire comandante o guida suprema. Non mi rende certo migliore di te o di Vyncent di Londolin. E non è detto che lo diventi un giorno, anche se dentro di me so che questo è il mio destino.”
Lo stregone di Londolin annuì grave. “Sei saggia a farti da parte. Questo renderà il voto più semplice. Noi continuiamo a indicare Vyncent di Londolin come comandante. Chiedo una seconda votazione.”
Vyncent fece un passo avanti. “Prima di votare di nuovo, vorrei dire anche io qualcosa. Vi ringrazio per la fiducia, ma anche io penso di non essere adatto al comando. Se questa assemblea mi voterà, rinuncerò subito.”
“Non puoi” disse Falis. “Il voto è vincolante.”
“Solo per chi accetta” disse subito Lithia. “Una volta accettato l’incarico, non può più essere rifiutato, ma fino a quel momento qualsiasi candidato può tirarsi indietro.”
“Questo è un trucco” disse Falis. “E so di chi è la colpa” aggiunse guardando Sularea.
La strega scattò in avanti. “Misura le parole, mezzo stregone.”
“Tu devi misurare le tue” rispose Falis.
Bryce guardò Vyncent in cerca di un suggerimento e lui le fece un cenno con la testa. “Voglio dire ancora una cosa” disse ad alta voce.
Falis e Sularea le scoccarono un’occhiataccia, come se li avesse interrotti mentre erano impegnati in una mansione importante.
“Vorrei indicare anche io un candidato per il comando.” Indicò col braccio sollevato Jakos. “Lui sarebbe un’ottima guida per questa armata.”
Jakos la guardò con espressione sorpresa.
“Mai” disse Falis.
“Anche io appoggio la candidatura di Jakos” si affrettò a dire Vyncent.
Gli stregoni di Londolin si voltarono stupiti verso di lui.
“Non dici sul serio” disse Falis inorridito. “Dopo quello di cui abbiamo parlato nella nostra riunione.”
“Avete parlato solo voi” disse Vyncent. “Io non sono stato nemmeno interpellato.”
“Non era necessario.”
“Forse sì” rispose a muso duro. “Io confermo Jakos come mia scelta.” Guardò Sularea. “Se gli darete i vostri voti, avrà la maggioranza sufficiente.”
Lithia guardò Jakos. “Accetti la candidatura?”
Lo stregone rivolse un’occhiata interdetta a Bryce, poi annuì. “Accetterò il comando se mi darete il vostro voto.”
“È la scelta giusta” disse Bryce rivolta a Sularea.
“Spero tu sappia che cosa stai facendo.”
“Jakos è stato a lungo la scorta della comandante Artesia” disse Vyncent a voce alta. “Lei si fidava abbastanza da affidargli la sua vita.”
“Abbiamo visto tutti come è finita” disse Falis.
“Non certo per colpa sua” ribatté Bryce.
Falis scosse la testa. “Mi stai accusando di qualcosa?”
“Sì” disse Bryce.
Lo stregone la fissò stupita. “Avete sentito tutti, giusto? Questa strega di rango inferiore mi sta accusando.”
Lithia la guardò accigliata. “Spero tu abbia qualche prova o un buon argomento a tuo favore, principessa di Valonde. Accusare un alleato non è faccenda di poco conto.”
“Io” disse Bryce dopo qualche istante di esitazione. “Ti accuso di aver fatto troppo per questa armata.”
Falis la guardò corrucciato.
“Ti accuso di esserti impegnato troppo per il suo bene” proseguì Bryce. “E di aver rischiato la tua vita affinché la comandante Artesia riprendesse il comando.”
Lo stregone di Londolin si guardò attorno come in cerca d’aiuto. “Deve essere impazzita o si sta prendendo gioco di me.”
“Nessun gioco” disse Bryce. “E non sono impazzita. Quello che dico è vero. È ciò che ho visto stando al vostro fianco in questa armata. Ho potuto osservare quanto siete fedeli e devoti alla causa dell’alleanza. Nessuno che non lo sia potrebbe accettare di venire in questa regione a sfidare l’orda.”
Attese qualche istante per consentire i presenti di comprendere le sue parole.
“Per questi stessi motivi e per il bene dell’armata, ti chiedo di accettare la candidatura di Jakos e di votarlo. Lui non è un Londolin né uno di noi. Viene da un regno vassallo ai confini dell’alleanza, lontano da qui, al sicuro. Eppure, ha risposto alla chiamata come tutti voi, dimostrando tutta la sua fedeltà e la dedizione alla causa. Come voi. Se adesso ci dividiamo, i rinnegati faranno di noi tutto ciò che vogliono.”
Lithia annuì decisa. “Vi chiedo di nuovo di votare” disse.
I presenti alzarono la mano. Tutti i voti andarono a Jakos, tranne quello di Falis che osservò gli altri con sguardo accigliato.
“La decisione è presa” disse Lithia. “Jakos Benski sarà il comandante di questa armata finché non riceveremo nuovi ordini.” Guardò lo stregone. “Che cosa vuoi fare, adesso?”
Jakos avanzò al centro del cerchio e si rivolse a tutti. “Porterò questa armata in salvo. Partiremo stanotte stessa. Come mio primo atto da comandante, nomino Vyncent di Londolin, Bryce di Valonde, Falis di Londolin miei consiglieri. Inoltre nomino Jehla Metz e Lithia Chung come mie comandanti in seconda. Spero accetterete tutti l’incarico.”
Falis fece schioccare la lingua in segno di disapprovazione e girò loro le spalle andando via.
“Accetterà” disse Vyncent avvicinandosi. “Ci penserà sopra un giorno e capirà che gli conviene.”
Bryce voleva porgli molte domande ma solo una le venne in mente. “Perché hai rifiutato un facile comando? Per te sarebbe stato un grande onore.”
“Sarei stato un pupazzo nelle mani di Falis. Era lui che voleva comandare ma è sempre rimasto nell’ombra e non aveva alcun supporto dagli altri. Io sono giovane e inesperto e avrei dovuto rivolgermi a lui per un consiglio. Più di uno, a dire la verità. E tu perché hai rifiutato il tuo?”
“Lo sai meglio di me perché l’ho fatto. Non ero pronta e forse non lo sarò mai.”
“Allora approfitta del tempo che ti è stato concesso per imparare a comandare ed essere pronta per quando ti servirà. Non credo ci vorrà molto prima che un incarico venga affidato anche a te.”


 

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Capitolo 42
*** Niente è inevitabile ***


Niente è inevitabile

“Non so se essere sollevata o arrabbiata con te” disse Erix ricevendola nella sua tenda.
Anche se era stanca per il viaggio e desiderava solo stendersi su di un comodo giaciglio dopo tante notti passate avvolta nella coperta di lana, appena al campo alleato era andata a far visita alla comandante per porgerle i suoi saluti e rassicurarla sulla sua sorte.
Erix era sembrata sollevata nel vederla entrare nella sua tenda, anche se doveva sapere da almeno tre giorni che stava arrivando.
Un gruppo di esploratori li aveva individuati quando erano a meno di centoventi miglia da Arzit, informandoli che Erix aveva spostato lì la sua armata.
Jakos aveva affidato un lungo messaggio agli esploratori in cui spiegava ciò che era accaduto, la prigionia di Bryce, la morte di Artesia e tutto il resto.
“Comprendo il tuo sollievo” disse Bryce cercando di nascondere il suo divertimento. “Ma non la tu rabbia. Che cosa ho fatto di sbagliato per meritarmela?”
“Praticamente ogni scelta che hai compiuto da quando ti affidati a Yan e il suo gruppo di esploratori. Dopo la rissa con Divash volevo allontanarti dal campo e darti il tempo di riflettere. La regione che dovevate esplorare era sicura, almeno così dicevano gli esploratori, ma ci siamo sbagliati.”
“Me ne sono accorta.”
“Azaril e i suoi si sono mossi in fretta” disse Erix con voce più calma. “Più di quanto pensassimo. La sua armata ha occupato la regione a meridione di Candor prima che potessimo fare qualcosa. La sorte è stata avversa alla povera Artesia.”
“La sorte non c’entra” disse Bryce.
Erix le rivolse un’occhiata accigliata.
“Le sconfitte che ha subito erano inevitabili” aggiunse con voce ferma.
Durante il viaggio di avvicinamento ad Arzit aveva riflettuto su quanto era accaduto. Ne aveva discusso anche con Vyncent e Jakos e loro erano stati d’accordo.
“Ma Erix non ci crederà mai” aveva detto Jakos scuotendo la testa. “E nemmeno i decani. Prima che si convincano, passeranno intere Lune e migliaia dei nostri moriranno inutilmente.”
“Ne parlerò io a Erix” aveva dichiarato Bryce. “E riuscirò a convincerla.”
Vyncent le aveva sorriso. “Non vorrei mai aveva una discussione con te, Bryce di Valonde.”
“Per te sono Bryce e basta.”
Il suo sorriso si era allargato. “Bryce e basta. Giusto.”
“Inevitabili” disse Erix sollevando la testa. “Niente è inevitabile. I rinnegati sono stati fortunati.”
“Io ho visto il loro campo” ribatté Bryce. “E come me Jehla Metz e Vyncent, anche se non altrettanto bene.”
Entrambi, come gli altri prigionieri, erano stati tenuti in tende isolate dove non potevano vedere o sentire ciò che accadeva all’esterno. I rinnegati li avevano portati al campo bendati e poi rilasciati allo stesso modo.
Erix fece un gesto vago con la mano. “Ti sbagli. Il tuo occhio è inesperto. Quanti campi hi visto in vita tua?”
“Abbastanza” rispose. “Da capire che i rinnegati non sono un’orda disordinata che si limita ad avanzare e combattere. Hanno dei ranghi di comando, disciplina, organizzazione. Non lottano tra di loro per il potere e collaborano per ottenere la vittoria. E hanno un piano, anche se non so esattamente quale sia.”
“Quello lo conosco anche io” disse Erix con tono sommesso.
Bryce si accigliò.
“Distruggere il vecchio mondo per crearne uno nuovo” disse la strega come se stesse recitando dei versi imparati a memoria.
“È quello che ha detto Azaril prima di lasciarmi andare via.”
“I monaci del culto vanno predicando queste sciocchezze da quando l’orda è arrivata sulle coste. Non tutti ovviamente, è un’eresia che si sta diffondendo nonostante Adas Farrandim, il Gran Priore della Cittadella, abbia emesso una dura condanna contro di loro. Siamo autorizzati a imprigionarli e mandarli a Krikor se diffondono le idee dei rinnegati nei nostri territori.”
“Azaril non è un monaco del culto” disse Bryce. “E sembrava molto convinto di quello che diceva.”
“Tu credi alle sue parole?”
“Io credo solo che molti potrebbero credervi, se spinti dalla necessità. O dalla disperazione.”
“Persone disperate fanno cose disperate” assentì Erix.
Bryce annuì. “È quello che più mi preoccupa è che nessuno di quelli che conquistano si sentono tali. Ho parlato con una donna, lì al campo. La sua città era stata occupata dall’orda e lei si era unita all’armata senza esservi costretta. Sembrava addirittura felice.”
“E la cosa ti ha turbata?”
“Mi turba il fatto che molti altri potrebbero farsi ingannare da queste false promesse. Per molti distruggere il mondo potrebbe essere preferibile al viverci.”
“Le ingiustizie esistono da sempre” disse Erix. “Noi non pretendiamo di essere giusti, ma le leggi che abbiamo ci proteggono da quelli che vorrebbero sopraffarci.”
“Penso che a Meree non interessassero le leggi, ma solo di vivere in pace.”
“Le leggi garantiscono proprio questo, Bryce. Pace. Equilibrio. I circoli non esistono per caso. Noi mantelli dobbiamo restare uniti, ma non saremo mai una cosa sola. Chi ci provasse, riceverebbe solo ostilità da parte di tutti gli altri. Sai perché non prendiamo il potere, mai?”
“Il nostro compito è difendere i confini dei regni e dell’alleanza” disse ripetendo a memoria ciò che le era stato insegnato. “Prenderci cura di consorelle e confratelli e di tutti i sudditi che vivono entro quei confini.”
Erix annuì con vigore. “Esatto, proprio così. Se non ci prendiamo cura degli altri, nessuno lo farà per noi. I mantelli non coltivano né allevano, non sanno ricamare né costruire città o fortezze. Chi fa queste cose per noi deve essere protetto. Questo è il nostro scopo, Bryce di Valonde. Senza il popolo, senza quelli che non hanno i poteri, non potremmo sopravvivere. È per questo che nessun circolo governa davvero, almeno nelle regioni del mondo civilizzato dove questa legge è rispettata. Se ti volgi a Mar Qwara, puoi vedere a cosa porta la degenerazione. Schiavitù, sofferenza, isolamento.”
Bryce annuì a sua volta. “Mi chiedevo solo cosa spingesse quelle persone ad allearsi con Malag e la sua orda.”
“Il rifiuto delle leggi e della giustizia” disse Erix. “La convinzione di avere un senso della legge e della giustizia superiore al nostro. Noi che abbiamo convissuto in armonia per millenni. La stregoneria e i circoli esistono da tremila e cinquecento anni e non saranno Malag e la sua orda raccogliticcia a minacciarli. Sta a noi dimostrare loro che si sbagliano.”
“Sono nata per questo” disse Bryce.
Erix le sorrise. “Sarai anche nata per questo, ma puzzi come una che non si lava da un’intera Luna.”
“Abbiamo dovuto razionare l’acqua” disse arrossendo.
“Ora non è più necessario. Ad Arzit troverai un bagno caldo ad attenderti.”
“Arzit?” chiese.
Erix annuì. “Ti manderò a palazzo come mia portavoce.”
Bryce fece per dire qualcosa ma la sua guida fece un cenno con la mano.
“Devi riposare. Tutta l’armata ne ha bisogno, non solo tu. I guaritori che ho mandato a esaminare i feriti mi hanno riferito che ne avete parecchi in condizioni cattive.”
“In effetti non stanno molto bene” ammise Bryce.
Persino Fraska, che sembrava avere una ferita da poco, era stata costretta a prendere altre pozioni per un’infezione curata male e adesso aveva bisogno di riprendersi.
“Molti hanno sofferto per la mancanza di cibo e acqua e cure adeguate. Rimetterli sul campo adesso sarebbe inutile e perderemmo troppe forze. Faremo a meno di loro per la prossima campagna.”
“Posso chiederti di cosa si tratta?”
“No” rispose Erix con tono perentorio. “Ma ti terrò informata. Ora prendi le tue cose a vai ad Arzit.”
Bryce fece per uscire dalla tenda ma si fermò sulla soglia. “Devo avvertire anche Elvana?”
“È la tua scorta. Dove vai tu deve andare anche lei.”
“Pensavo di averti dimostrato che non mi serve un scorta.”
“Non mi hai dimostrato proprio niente, Bryce di Valonde. Ti sei consegnata al nemico rischiando inutilmente la vita invece di seguire il piano della povera Artesia e andartene il più lontana possibile.”
“L’ho fatto per salvare l’armata.”
“Dovevi pensare a salvare te stessa invece.”
Bryce strinse i pugni. “Artesia non pensava che io fossi così importante.”
Erix si accigliò. “Avete parlato voi due?”
Annuì.
“Che cosa vi siete dette?”
“Non molto. Artesia non credeva in me. Che fossi destinata a diventare la strega suprema e uccidere Malag.”
“È per questo che ti sei consegnata ad Azaril? Per dimostrarle che si sbagliava? Che tu eri davvero la strega suprema della tua generazione?”
“Volevo salvare l’armata” le disse incerta.
Erix fece un mezzo sorriso. “Ne salverai molte, di armate, ma non è ancora il momento giusto.”
“Quando, allora?”
“Quando imparerai a sacrificare quelli che vuoi salvare, Bryce di Valonde.”
Bryce si accigliò. “È l’esatto opposto di quello che dovrei fare” disse perplessa.
“Non otterrai nessuna vittoria senza sacrificare qualcosa a cui tieni.”
“Avrei sacrificato la mia vita.”
“Solo perché non la ritieni così preziosa quanto noi” rispose Erix sorridendo. “Ora vai ad avvertire Elvana.”

Invece di andare dalla strega, cercò la tenda di Jakos e si assicurò che ci fossero le sue insegne fuori. “Posso entrare?” chiese in maniera gentile.
“Entra” rispose una voce dall’interno.
Lo stregone sedeva su una sedia imbottita e non era da solo. Con lui c’erano Falis e Jehla Metz.
“Io vi saluto” disse Bryce.
“Noi salutiamo te” rispose Jakos per tutti.
Falis fece una leggera smorfia che Bryce ignorò.
“Vieni a porgermi l’ultimo saluto come comandante?” le chiese Jakos divertito.
“Vuoi rinunciare?” gli chiese con tono provocatorio. “Pensavo ti stessi abituando.”
“Ne discutevo proprio ora con il mio più fidato consigliere e con la mia seconda in comando” rispose Jakos. “E loro sono concordi sul fatto che dovrei rinunciare finché siamo qui ad Arzit e rimettere il comando nelle mani di Erix. Dovrebbe essere lei a scegliere qualcuno più adatto di me.”
“Voi siete d’accordo?” chiese Bryce agli altri due. “Lo sapete vero che un nuovo comandante cambierà i suoi consiglieri e ne metterà altri.”
“Lo sappiamo” disse Falis. “Per quanto mi riguarda, non mi interessa consigliare. Sono uno stregone da battaglia. Il mio posto è in mezzo a una formazione.”
“Io sono una esploratrice” disse Jehla Metz. “Mi sento a mio agio comandando poche persone di cui posso fidarmi. Yan mi mancherà, ma posso radunare un nuovo gruppo di esploratori e tornare a essere utile.”
“Io sono una guardia del corpo” disse Jakos. “La mia abilità sta nel proteggere gli altri, non nel pensare a come organizzare formazioni o piani di battaglia.”
“Mi sembra che con l’armata di Artesia abbiate fatto un buon lavoro” disse Bryce perplessa.
“Era un’emergenza” rispose Falis. “Ora è passata e dobbiamo pensare a un successore della comandante. Ci serve qualcuno che vada bene per tutti o questa armata si dissolverà ed Erix dovrà dividerci tra le altre forze a sua disposizione.”
“Sarebbe uno spreco” disse Bryce. “Noi lavoriamo bene insieme.”
“Sarà un problema di Erix trovare la soluzione” disse Jakos. “Noi abbiamo fatto ciò che potevamo.” Scosse la testa. “Anche se non è stato abbastanza. In ogni caso, c’è tempo per prendere una decisione.”
“Non molto” disse Falis.
“Sai qualcosa che ignoriamo?” le chiese Jehla Metz.
Lo stregone guardò altrove. “Solo delle voci che parlano di una battaglia decisiva che si combatterà a settentrione.”


 

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Capitolo 43
*** Solo tu puoi salvarci ***


Solo tu puoi salvarci

“Come sarebbe a dire che non possiamo entrare?” sbraitò Elvana al soldato.
L’uomo la fissò intimorito ma restò fermo, lo scudo a protezione del corpo anche se aveva la lancia abbassata per non sembrare minaccioso.
Davanti alla porta di ingresso di Arzit il drappello di guardie aveva eretto una barriera di cerne e ferro per fermare i quattro cavalieri.
Bryce, che era davanti a tutti, si chinò verso Elvana. “Non c’è bisogno di urlare” le disse con tono calmo. “C’è sicuramente una spiegazione.”
“Lo spero per questo qui” disse la strega con tono minaccioso.
“La spiegazione” disse il soldato. “È che abbiamo l’ordine di far passare solo due di voi. Ma io ne conto quattro.” Prese un foglio di pergamena e glielo mostrò.
Da lontano, Bryce non riuscì a leggere la scrittura minuta con il quale era scritto, ma in basso a sinistra riconobbe il fiore con sei petali simbolo del casato di Erix.
“Che sciocchezza” disse Elvana. “Quel pezzo di carta è inutile.”
“È stato firmato dalla vostra comandante” disse il soldato. “E controfirmato dal governatore Ofra.”
“Deve esserci stato un disguido” disse Bryce cercando le parole giuste. “Era stato stabilito che fossimo in quattro e non in due.”
“Non secondo quanto è scritto qui” disse il soldato con tono di sufficienza. “È un permesso per solo due stranieri, non quattro.”
Bryce girò la testa e incontrò gli sguardi preoccupati di Divash e Vyncent. Dopo la chiacchierata con Jakos era tornata da Erix e le aveva chiesto di poter portare anche loro in città.
Erix l’aveva fissata accigliata. “Anche Div? Dopo che avete fatto a botte?”
“Quello era il passato” aveva detto. “Ora siamo diventati buoni amici.”
“Sul serio?”
“È venuto a salvarmi. Non da solo, ovviamente. E credo l’abbia fatto solo perché io ho salvato lui, in precedenza, ma ciò che conta davvero è che adesso ci sopportiamo.”
“Ne sono felice. D’accordo, non vedo perché non si possa fare? Manderò un messaggero ad Arzit chiedendo di far entrare tre mantelli invece di due.”
“Quattro” aveva detto Bryce.
“Siete aumentati ancora di numero?”
Aveva annuito imbarazzata.
“Chi?”
“Vyncent di Londolin.”
Erix aveva tratto un profondo sospiro. “Io non penso sia una buona idea.”
“Perché no? Vyncent si è dimostrato davvero valido e ha rinunciato al comando dell’armata quando ha capito che avrebbe creato una divisione all’interno.”
“Lo so, ma dall’allievo di Rajan non mi sarei mai attesa di meno.” Aveva sorriso. “È stata anche la mia guida, in fondo. So come lavora.”
“Bene” aveva detto Bryce. “Allora chiedi un permesso anche per lui.”
“Lo farò, ma voglio darti un consiglio.”
“Ti ascolto.”
“Non affezionarti troppo a lui, né ai tuoi confratelli e consorelle. Soprattutto non farlo mentre c’è una guerra in corso.”
“Siamo buoni compagni” aveva detto, mentendo più a sé stessa che a Erix.
“Lo so, lo” aveva risposto lei con tono rassegnato. “Ma tu non farlo e basta. Ti eviterà di soffrire. E di fare sciocchezze.”
“Staremo solo qualche giorno ad Arzit” aveva risposto. “Gireremo per la città, vedremo qualche monumento, niente di più.”
Erix aveva sospirato di nuovo. “Non credo di potervi accordare un simile permesso.”
Bryce si era accigliata. “Saremo confinati a palazzo?” le aveva chiesto.
“Nessuno vi confinerà da nessuna parte, gli arziti non oserebbero farlo, ma devo avvertirti. Quella città non ci è amica. Non è ostile, ma nemmeno ci considerano ospiti graditi. Direi che ci tollerano fuori dalle loro mura, ma sarebbero più contenti di vederci sbaraccare e andare per la nostra via.”
“Questo è ingiusto” aveva esclamato indignata. “Noi li proteggiamo dall’orda.”
“Secondo il principe Kefarin, stiamo attirando qui i rinnegati.”
“Assurdo.”
“Lo penso anche io, ma siamo a casa sua e dobbiamo rispettare la sua opinione, anche se è sbagliata. Ripensamenti?”
Aveva scosso la testa con vigore. “Vorrei provare a convincerli del contrario. Ad appoggiarci.”
“Ho già fatto tutto quello che potevo. Kefarin ci ha dato il permesso di stare fuori dalle mura e per ora tanto basta. Voleva che andassi a palazzo per una visita di cortesia, ma io avevo troppo da fare e per questo avevo pensato di mandare te.”
“Potrei provare lo stesso. Col tuo permesso, s’intende.”
“Bryce di Valonde” aveva detto Erix con un mezzo sorriso. “Tu sei più brava a combattere che a convincere le persone. forse, se Kefarin ti affrontasse a duello, potresti sperare di convincerlo ad appoggiarci, ma è un nobile nato senza poteri. Non ci sarebbe alcun onore per te a batterlo. E poi lui non comanda davvero. Sono i nobili di Arzit che gli dicono che cosa fare.”
“Mi sembra tutto così complicato” aveva risposto delusa.
“Goditi il riposo. Arzit non è Valonde ma a palazzo ci sono dei veri letti e dei veri bagni. E vere ancelle che ti aiuteranno a levarti di dosso lo sporco e la puzza.”
“È la seconda volta che me lo fai notare. Ora stai diventando offensiva.”
“Come tua guida mi è concesso offenderti tre volte al giorno. Adesso vai, dannata ragazza.”
“Ti dico che c’è stato un errore” disse Bryce paziente. “Dovevamo essere in quattro.”
“Ma qui è scritto due” insisté il soldato.
Bryce sospirò. Iniziava a innervosirsi ma non voleva alzare la voce come Elvana.
Voglio convincere queste persone a fidarsi di noi, si disse. E minacciarle con urla non è un buon inizio.
“Sono sicura” disse con tono calmo. “Che se chiederai a un tuo superiore, ti dirà che quel pezzo di carta è vecchio e che ci sono nuove disposizioni.”
“A me non risultano.”
“Puoi controllare?” chiese con pazienza.
“Non ho tutta la giornata da dedicare a voi.”
Elvana ridacchiò. “Con le parole gentili non si porta a casa il pranzo, diceva mia nonna.”
“Tua nonna?”
La strega annuì decisa. “Mia nonna, sì. Faceva la mercante a Ningothris. Ogni mattina si alzava prima che il sole sorgesse andava al porto, dove i pescatori rientravano con le barche piene di pesci. Allora si svolgeva un’asta in cui i mercanti della città compravano i lotti di pesce più pregiato cercando di pagarli il meno possibile.” Scosse la testa. “Una volta mi portò con lei. Avevo sei o sette anni, non so, ma ricordo bene le urla, le minacce, le promesse che quei mercanti si facevano. Era una vera e propria battaglia, ma combattuta senza armi o incantesimi. Solo che, se perdevi, restavi con i bancali pieni di pesce marcio pagato a caro prezzo.”
Il soldato la guardò accigliato. “Che storia divertente. Dico davvero, strega della notte. Posso solo immaginare il puzzo di pesce di tua nonna che…”
Elvana gli sferrò un calcio sotto il mento. Il soldato barcollò all’indietro per un paio di passi e crollò a terra trascinandosi dietro lo scudo e la lancia.
Gli altri cinque scattarono in avanti, la punta delle lance rivolte verso di loro.
“No” gridò Bryce alzando le mani. “Fermi.”
I soldati avanzarono di un altro paio di passi.
“Dannazione.” Bryce saltò a terra e si piazzò davanti alle lance.
Il soldato colpito si stava rialzando, l mano che massaggiava il mento. “Mi ha fatto saltare due denti” si lamentò.
“Solo due?” fece Elvana divertita.
Bryce le lanciò un’occhiataccia. “Zitta.”
La strega scrollò le spalle.
“Vi chiediamo scusa” disse Bryce con voce calma. “È stato un incidente.”
“La strega della notte mi ha attaccato” disse il soldato.
“Quello non è stato un attacco” disse Elvana. “Se ti avessi attaccato, ora saresti a terra. E non ti saresti più rialzato.”
Il soldato sgranò gli occhi. “Mi ha minacciato” disse. “Prendetela.”
I soldati avanzarono di un passo, le punte delle lance che sfiorarono il petto di Bryce.
“Non ce n’è bisogno” disse cercando le parole giuste. “Vi chiediamo scusa se vi sentite offesi.”
“Levati di mezzo” disse il soldato minaccioso. “O ti farò passare da parte a parte.”
Bryce fece per dire qualcosa ma si bloccò quando si accorse che Divash e Vyncent erano smontati piazzandosi di fianco a lei.
“Nessuno passerà da parte a parte la principessa di Valonde” disse Divash. Nella mano destra aveva evocato un dardo magico.
Il soldato sembrò esitare.
Con la coda dell’occhio Bryce vide Vyncent preparare un dardo mentre Elvana stava evocando la corda magica.
Sta andando tutto male, si disse disperata. Dovevamo trovare degli alleati e ora dovremo combatterli.
“Arretrate” disse una voce proveniente dal cancello. “Cinque passi indietro. Adesso.”
Il soldato si voltò di scatto e impallidì. “Non avete sentito? Cinque passi indietro.”
I soldati indietreggiarono tenendo le lance puntate in avanti e gli scudi alzati a formare un muro compatto di metallo e legno.
Bryce riprese a respirare, il cuore che le batteva ancora nel petto.
“Non avanzate fino a mio ordine” disse la stessa voce di prima.
Il soldato che Elvana aveva colpito al mento si piazzò di lato rispetto alla formazione schierata, lasciando un passaggio libero.
Da dietro i soldati avanzò un uomo di mezza età, i capelli radi e grigi che incorniciavano un viso rotondo e grinzoso. Il nuovo arrivato avanzò con passo sicuro fino a superare i soldati di un paio di passi. “Che sta succedendo qui? Le grida si sentono fino al quartiere dei mercati.”
Il soldato deglutì vuoto. “Queste” iniziò a dire. “Queste persone tentavano di entrare senza un permesso. Ho cercato di spiegare il motivo per cui non potevano entrare, ma la strega della notte mi ha aggredito e poi minacciato di uccidermi se non mi fossi tolto di mezzo.”
“Non è vero” protestò Elvana. “Gli ho dato un calcio perché ha offeso mia nonna e poi gli ho detto che la prossima volta non si sarebbe rialzato da terra.”
L’uomo dai capelli grigi si girò verso il soldato. Sulle sue spalle il mantello color oro e arancio frusciò mettendo in evidenza i ricami a forma di losanga che ne coprivano i bordi. “È come dice lei?” chiese con tono perentorio.
Il soldato annuì con vigore.
Lo stregone tornò a rivolgere la sua attenzione a Elvana. “Se è così, ti chiedo scusa a nome della città di Arzit. Non era nostra intenzione offenderti.”
Elvana sbuffò e scrollò le spalle. “Scuse accettate.”
Bryce fece un passo verso lo stregone di Arzit. “Se qualcuno qui deve scusarsi siamo noi” disse con tono contrito. “Ti chiedo di accettarle e di riferire che Bryce di Valonde porge le sue personali scuse. Torneremo subito al campo dell’alleanza e accetteremo la punizione che la comandante Erix vorrà infliggerci.” Nel dirlo lanciò un’occhiataccia a Elvana.
La strega rispose con un mezzo sorriso.
Lo stregone annuì solenne. “Ora che ci siamo scusati tutti, perché non dimentichiamo quello che è accaduto?”
“Ne sarei più che felice” rispose Bryce.
“Bene” disse lo stregone. “Io sono Raz Ofra e ti stavo attendendo, Bryce di Valonde.”
“Tu attendevi me?”
Raz Ofra annuì deciso. “Ti aspettavo e spero proprio che tu non vada via. Anche perché solo tu puoi salvare questa città.”


 

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Capitolo 44
*** Ospiti sgraditi ***


Ospiti sgraditi

Camminarono fianco a fianco fino al centro della piccola piazza, dove iniziavano gli edifici a due o tre livelli che formavano una sorta di corona. Ogni palazzo era decorato con un colore diverso, ma tutti avevano qualcosa di arancio. A volte era l’ingresso, un porticato, il telaio di una finestra o uno stendardo che sventolava all’esterno.
Avevano lasciato i cavalli all’ingresso dopo averli affidati a uno stalliere.
“Trattali con cura” aveva detto Raz Ofra. “O ne risponderai a me personalmente.”
Lo stalliere si era inchinato e aveva portato via i cavalli uno alla volta.
“Ti chiedo ancora scusa” stava dicendo Bryce con tono contrito. “Per tutto quello che è accaduto.”
“L’errore è stato nostro” disse Raz Ofra. “Fin da quando è iniziata questa faccenda. E io ne sono un responsabile, come tutti i miei concittadini.”
“Tu non eri presente” disse Bryce perplessa.
“Penso non si riferisca a quello che è accaduto vicino al cancello” disse Elvana con tono saccente e divertito al tempo stesso.
“Tu taci” ringhiò Bryce. “Niente sarebbe accaduto se non fosse stato per te.”
“Io avevo ragione” si difese la strega. “Non è vero, Raz?”
L’uomo annuì grave. “La tua amica non mente.”
“Non è amica mia” disse Bryce. “È solo la mia scorta.”
Elvana scrollò le spalle.
“E ha sbagliato, anche se non capisco perché tu la stia difendendo.”
“La colpa è nostra” disse Ofra. “Perché siamo stati noi, col nostro assurdo divieto di farvi entrare in città, a provocare l’incidente.”
Bryce si accigliò.
Mentre camminavano, raggiunsero il confine della piazza e si inoltrarono nelle stradine interne. Arzit era tranquilla e silenziosa e sembrava che a quell’ora ci fossero poche persone per le strade.
“Se il divieto è assurdo” disse Divash inserendosi nel discorso. “Perché non lo rimuovi?”
“Non spetta a me questa decisione” disse Ofra.
“E a chi?”
“A Kefarin e al consiglio, tanto per iniziare.”
“Kefarin” disse Bryce. “È il principe di Arzit?”
Ofra annuì con vigore. “È stato eletto otto anni fa con i voti del consiglio.”
“Eletto” disse Bryce perplessa. “Voi eleggete i vostri governanti?”
“Ti stupisce?”
“Ne ho sentito parlare, ma è la prima volta che lo vedo di persona.”
Ofra fece un mezzo sorriso. “Nella parte orientale del continente è molto comune e sul continente antico è la consuetudine più diffusa. Azgamoor, Berger, Luska, Aboretien, Eriamas, Ardava e persino Chazar eleggono i loro governanti.”
Bryce aveva sentito parlare di quei posti ma non li aveva mai visti di persona. A volte era Joyce che gliene parlava mentre le raccontava quello che aveva letto su uno dei suoi libri.
“Allora che Kefarin rimuova il divieto” disse Divash. “Non sarebbe meglio per tutti?”
“Il principe non sembra pensarla in questo modo” disse Ofra scuotendo la testa.
“E il consiglio?” fece Divash. “Loro che cosa ne pensano?”
“La maggior parte è indecisa e ha scelto di rimettere la decisione a Kefarin, ma ancora nulla di ufficiale è stato deliberato. Si stanno ancora consultando.”
“L’armata di Erix è qui da più di una Luna” esclamò lo stregone. “Dovrebbero avere avuto il tempo di decidere, no?”
Ofra scrollò le spalle. “Ad Arzit facciamo così.”
“Intanto i rinnegati avanzano” disse Divash. “Mi chiedo di cosa abbia paura Kefarin. Forse non vuole schierarsi con l’alleanza?”
Ofra gli lanciò un’occhiata di traverso.
“Divash” disse Bryce. “Non osare offendere anche tu i nostri ospiti.”
“Lascia che parli” disse Ofra con tono tranquillo. “Finché una decisione ufficiale non verrà presa, è lecito esprimere la propria opinione liberamente. È così che facciamo ad Arzit.” Tornò a guardare Bryce. “Quando ho chiesto a Erix di portare un argomento che convincesse Kefarin, non immaginavo che avrebbe mandato te, principessa di Valonde.”
“Me?” fece stupita.
Ofra annuì con vigore. “Abbiamo un debito con il tuo regno.”
Una colonna di soldati e mantelli in marcia invase il vicolo dalla direzione opposta, bloccando il passaggio. Ofra si irrigidì per un istante, rilassandosi subito dopo.
Alla testa del gruppo, che doveva contare una trentina tra soldati e mantelli, c’era una donna dall’aspetto fiero e l’espressione imbronciata.
“Raz” disse con tono perentorio. “Quello che stai facendo non è consueto.”
Bryce fece cenno agli altri di fermarsi.
“E questi chi sono?” chiese Elvana a bassa voce.
“Tempo che ad Arzit le cose non vadano come pensiamo noi” rispose Divash.
“Che ne pensi?” chiese Bryce a Vyncent.
“Aspettiamo e vediamo. Siamo pur sempre ospiti, giusto?”
Non aveva una risposta a quella domanda, ma era certa che tra poco l’avrebbe ricevuta.
“Aspetto una risposta, Raz” disse la donna piazzandosi al centro del vicolo.
Ofra fece un mezzo inchino. “Ero solo andato ad accogliere i nostri ospiti.”
“Non spettava a te” disse la donna.
“Non era mia intenzione rubarti questo onore.”
“L’onore non c’entra. Abbiamo delle consuetudini. E tu le ignori sempre.”
“Ti chiedo di nuovo scusa.”
La donna avanzò di qualche passo. “Io vi saluto” disse con tono deciso. “Mi chiamo Coralena Ofra e vi do il benvenuto ad Arzit.”
Bryce guardò Raz e lui annuì con espressione rassegnata e divertita al tempo stesso.
“Vi prego di seguirmi fino al palazzo dei principi” disse Coralena. “Il principe Kefarin è ansioso di vedervi. Tutti quanti.”
“Almeno è educata” disse Elvana avviandosi.
Bryce affiancò Raz mentre procedevano insieme a Coralena e la sua scorta.
“È una tua parente?” gli chiese.
“Molto di più. È mia figlia” rispose l’uomo.
Lei si limitò ad annuire.
“Se stai pensando che è tanto bella quanto orgogliosa e sprezzante, hai ragione. È proprio così. Io l’ho educata affinché fosse così. Una perfetta strega di Arzit.”
“Non ti stavo giudicando. Sembra una persona molto sicura. È una cosa buona, credo.”
“A volte sì, altre no.”
“Prima hai parlato di un debito nei nostri confronti.”
“Il debito, sì” disse Ofra sorridendo. “È più un modo di dire che un fatto reale. Nessuno in effetti ne parla in questo modo, ma fa parte della storia di Arzit.”
“Perché non me ne parli?”
“Non c’è molto da dire” disse lo stregone. “Arzit era una colonia di Valonde, circa un ventina di secoli fa.”
“Valonde non ha mai avuto colonie.”
“Fu prima che si diffondesse l’usanza di mandare rinnegati e criminali a Krikor. All’epoca il mondo conosciuto era molto più piccolo e i confini più ristretti.”
“Non capisco.”
“Valonde e il suo dominio decisero che Arzit era abbastanza lontana da poterlo considerare un ottimo posto dove esiliare i propri criminali e gli indesiderati.”
Bryce scosse la testa. “Ti assicuro che non ne sapevo niente.”
“Arzit è così insignificante che non penso la troverai menzionata in un vostro libro di storia. Ma è giusto così, ci vorrebbero venti copie della nostra città per farne una grande come la vostra. Per non parlare dell’alleanza che avete creato. O della vostra storia.”
“Non ho mai detto che siete insignificanti” si affrettò a dire.
Ma la vostra città è decisamente piccola, aggiunse a mente. E forse ne servirebbero ben più di venti per eguagliare la mia Valonde.
“Ma l’avrai pensato” disse Raz Ofra. “E non solo di Arzit. Ci sono molte città come la nostra le cui voci non vengono mai ascoltate perché si confondono nel frastuono di quelle più grandi.”
“Sei stato molto gentile ad accogliere la principessa di Valonde” disse Coralena affiancandoli. “Ma adesso che ci siamo noi, puoi ritirarti, padre.”
Raz Ofra rivolse un inchino alla figlia e poi a Bryce. “Vi raggiungerò a palazzo più tardi” disse prima di allontanarsi in una strada laterale.
Bryce avrebbe voluto fargli qualche altra domanda, ma si costrinse e dedicare tutta la sua attenzione a Coralena.
La donna la stava guardando incuriosita. “Devi scusarci, non pensavamo arrivaste così in anticipo.”
“Abbiamo inviato un messaggero.”
“La lettera di Erix parlava di due soli ospiti, tu e la tua scorta. Invece vi siete presentati in quattro ai cancelli.”
“Arzit non può ospitare due mantelli in più?” le chiese Elvana con tono sfrontato. “O è troppo piccola?”
Coralena le rivolse un sorriso che sembrava forzato. “Abbiamo delle regole. E non riceviamo visite di stranieri molto spesso.”
Entrarono in una piazza ottagonale in cui ogni lato doveva misurare circa cento passi. Ai margini si era radunata una piccola folla che i soldati tenevano lontana. Bryce notò che nessuno parlava e si limitavano a bisbigliare tra di loro. C’erano molti uomini, ragazzi e qualche donna. E dei bambini. Ne contò una dozzina che osservavano incuriositi sotto lo sguardo attento degli adulti.
“Forse dovresti salutarli” disse Elvana.
“No” rispose Bryce. “Ricorda che siamo ospiti. Comportiamoci bene. È importante.”
Proseguirono tra due ali di folla silenziosa che li guardava sfilare. Bryce sentì i loro sguardi su di sé e cercò di ignorarli procedendo a testa bassa.
“Coralena Ofra” gridò una voce dalla folla. “Tu, Coralena Ofra.”
Bryce alzò la testa di scatto e vide un uomo agitare un braccio.
“Coralena Ofra” gridò per la terza volta. “Non fare finta di non sentirmi, Coralena.”
La ragazza scoccò un’occhiata nella stessa direzione.
“Hai dimenticato chi sei? Da dove vieni?”
Bryce cercò di guardare meglio l’uomo. Indossava un mantello color arancio con fregi neri e rossi. Si ergeva in mezzo alla folla che lo aveva circondato come a volergli fare da scudo.
“Rispondi, Coralena.”
“Taci, Grefter” disse la ragazza. “O ti farò gettare nelle prigioni.”
“Non puoi averlo dimenticato, Coralena” gridò Grefter. “È scritto nei libri e sulla nostra stessa pelle. Ogni strada e ogni pietra di cui è fatta questa città potrebbe dirtelo, se potesse parlare.”
“Gref” ringhiò Coralena fermandosi all’improvviso. “Smettila.”
“Non puoi azzittirmi, Coralena. Tu sai che cosa deve essere fatto. Il consiglio è pieno di codardi e Kefarin è un loro leccapiedi, ma tu sei diversa. Io lo so. Sono stato la tua guida e so che per te la storia e le tradizioni contano.”
“Basta Gref” esclamò Coralena. Fece un rapido cenno a due soldati della scorta. “Allontanatelo.”
I due cercarono di farsi strada tra la folla per raggiungere l’uomo, ma la gente sembrò compattarsi per non farli avanzare.
“Fatevi da parte” gridò Coralena minacciosa. “O dovremo costruire altre celle per chiudervi dentro.”
Le persone a lato della strada non si mossero.
“Disperdeteli” ordinò Coralena. “In nome del Principe e del Consiglio.”
I soldati premettero sulle prime file con gli scudi, ma tenendo le lance sollevate. Bryce temette che ci fossero degli scontri e concentrò il potere nelle mani per tenersi pronta, ma la folla indietreggiò defluendo nelle stradine laterali.
“Ti chiedo scusa per questo contrattempo” disse Coralena. “Proseguiamo verso il palazzo.”
“Chi era quello stregone?” chiese Bryce.
“Nessuno di veramente importante” rispose la strega con tono perentorio.
Bryce decise che per il momento poteva accontentarsi di quella risposta. Si attardò di qualche passo facendosi raggiungere da Divash e Vyncent.
“Che ne pensate?” chiese sottovoce.
“Stiamo attenti” disse Divash. “Non ci considerano ospiti graditi qui ad Arzit.”

Note
Da oggi e per tutto il mese rallenterò un poco il ritmo perché ho degli impegni e devo rifiatare :)

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Capitolo 45
*** Protezione ***


Protezione

“I miei cari e illustri ospiti” disse l’uomo in cima alla scalinata allargando le braccia come se volesse abbracciarli tutti. “Venite, venite. Attendevo con impazienza il vostro arrivo.”
“Il Principe Kefarin” annunciò Coralena con tono solenne. “Primo tra i suoi pari.”
I pari di cui parlava la strega dovevano essere le quindici figure assiepate ai lati della scalinata. Bryce le aveva intraviste per prime quando era entrata nella sala, un cerchio sormontato da una cupola al cui centro si apriva un foro da cui entrava il sole, un’unica colonna di luce che illuminava il sedile in cima alla scalinata.
Contò sei donne e nove uomini, tutti di età avanzata con i capelli grigi o scuri spruzzati di bianco. Indossavano tuniche e vesti dai motivi floreali e con tanti colori, ma tutti esibivano una fascia color arancio in vita.
Anche Kefarin, che aveva scelto una tunica bianco latte, aveva la vita cinta con una fascia dello stesso colore. Indossava anche un mantello arancio sopra le spalle strette.
Coralena li guidò alla base della scalinata, fatta di marmi bianchi consumati dal tempo e dai tanti piedi che l’avevano scalata prima di quel giorno.
Duemila anni, si disse Bryce. A Valonde non esistono molti edifici più antichi di questo.
“Io ti saluto” disse rivolgendo un inchino a Kefarin.
Il principe rispose con un largo sorriso. “Per me è un onore averti a palazzo, principessa Bryce. Mai avrei immaginato che il mio principato sarebbe stato benedetto da una simile fortuna.”
Bryce cercò di nascondere il suo imbarazzo. “Ti ringrazio” disse in maniera educata. “L’onore è anche nostro. Arzit è una città amica da molti secoli.”
“Amica” esclamò Kefarin. “È una parola che non rende onore al nostro legame, principessa. Noi ci consideriamo figli di Valonde. Discendiamo dai vostri coloni che molti secoli fa si insediarono in queste terre.”
Tra i consiglieri si levò un leggero mormorio di disapprovazione.
Bryce si sforzò di ignorarli.
“Le nostre sono città sorelle” proseguì Kefarin. “Unite dal sangue e dalle tradizioni. I nostri mercanti ci narrano dello splendore di Valonde ogni volta che tornano in città. Le meraviglie di cui ci hanno parlato sono celebri. Il porto con i suoi moli di pietra che possono ospitare fino a mille vascelli in una sola volta. La cupola del circolo che risplende come un secondo sole nelle giornate serene. Il tempio dell’Unico più grande del continente e la statua di Bellir nella piazza ottagonale” disse con tono eccitato.
Altro mormorio di disapprovazione.
“Non sembrano molto contenti di sentirselo dire” le sussurrò Elvana chinandosi verso di lei.
“L’ho notato anche io” disse perplessa.
“Forse dovresti dire qualcosa anche tu.”
Bryce si schiarì la gola. “Come principessa di Valonde e portavoce della comandante Erix, ti rinnovi i miei saluti” disse con tono solenne. “Valonde e la sua alleanza vogliono ringraziarti per l’ospitalità che ci hai dato permettendo alla sua armata di accamparsi fuori dalle mura cittadine.”
Il sorriso di Kefarin si allargò. “E noi siamo felici di avervi alle nostre porte.”
“Certo” disse Bryce scegliendo con cura le parole successive. “La comandante Erix mi ha affidato un messaggio per te.”
“Ti ascolto.”
“Da riferirti personalmente” aggiunse.
Kefarin allargò le braccia. “Non vi è argomento di cui io non possa discutere davanti ai miei pari” disse indicando i consiglieri sulla scalinata.
Bryce deglutì a vuoto. “Naturalmente, ma di solito noi preferiamo discutere di certe faccende in privato.”
L’espressione di Kefarin non mutò, ma Bryce notò lo stesso che il suo corpo si era irrigidito. “Ma qui ad Arzit abbiamo usanze diverse” disse sorridendo.
“Comprendo la vostra situazione, ma…” iniziò a dire.
“Io credo che tu non comprenda affatto, principessa di Valonde.”
A parlare era stata una delle consigliere, una donna che si trovava a metà della scalinata e la fissava con aria severa.
Bryce le rivolse un’occhiata accigliata. “Non ho udito il tuo nome quando sono entrata.”
“Lo udirai adesso” disse la donna. “Il mio nome è Metyna Meir, del clan dei Meir del quartiere occidentale.”
“Io ti saluto” disse Bryce rivolgendole un leggero inchino.
La donna rispose con una smorfia di fastidio. “Io invece non ti saluto. Vieni qui a imporre le tue usanze quando ti è stato spiegato per ben due volte che noi arziti facciamo in modo diverso da voi.”
“Non volevo offendervi” disse sulla difensiva.
“Ma lo hai fatto.”
“Se è così vi chiedo scusa” disse reprimendo la rabbia che provava.
Kefarin stava ancora sorridendo. “Riferisci pure il messaggio della comandante Erix” disse con voce tremante. “Lo ascolteremo con viva gioia.”
Bryce lo guardò perplessa. “La comandante Erix” iniziò a dire. “Rinnova ad Arzit i suoi saluti e vi invita ad aprire le porte e unirvi alla nostra alleanza.”
“La vostra alleanza” disse Metyna con tono sprezzante. “È solo la vostra alleanza, non la nostra.”
“La guerra che stiamo combattendo…” cercò di dire.
“È la vostra guerra.”
“Malag ha invaso questa parte di continente” disse Bryce con veemenza. “Adesso è la guerra di tutti quelli che vivono in questa regione.”
“Non si sarebbe alcuna guerra se la vostra alleanza si ritirasse domani stesso” disse un ometto calvo con il mento a punta coperto da una barba ispida.
“Non abbiamo iniziato noi” disse Bryce. “Malag ci ha attaccato per primo. Se abbiamo bisogno di un’alleanza per proteggerci la colpa è sua, non nostra.”
“Noi non abbiamo bisogno di proteggerci” disse un terzo uomo. Tra i consiglieri era quello più giovane, con folti capelli neri appena spruzzati di grigio e un fisico imponente. Sulle spalle portava un mantello arancio coperto di fregi e decorazioni nere e rosse. “Arzit è una città pacifica e non ha niente da temere.”
“A Malag non interessa. Ha attaccato città senza che fosse provocato.”
“Quando giungerà ad Arzit ce ne occuperemo” ribatté l’uomo. “Ma fino a quel momento non c’è alcun bisogno di provocare il suo intervento aprendovi le porte.” Guardò Kefarin. “Il principe è un uomo troppo giusto e gentile per dirlo apertamente, ma sa bene che gli arziti non gradiscono la presenza di stranieri entro le loro mura. Già il fatto di avervi concesso di accamparvi è un atto di generosità che voi avete interpretato come segno di debolezza.”
“Ti assicuro che non…”
“Voi assediate la nostra città” disse una donna che era in piedi alla base della scala. Il viso era grinzoso ed era piegata in avanti come se non riuscisse a stare dritta. Mentre parlava le puntava contro l’indice ossuto.
“Non è assolutamente vero” disse Bryce indignata.
“Un’armata che si accampa fuori dalle mura di una città che non le apre le porte come la definiresti?” le chiese la donna.
“Siamo stati invitati.”
“Vi siete presentati qui con le vostre lance e i vostri mantelli” disse Metyna Meir. “Non ci avete dato molta scelta.”
“Sono certa che Erix…”
“La tua comandante ci ha già chiesto tre volte di aprire le porte” proseguì Metyna. “E nonostante i nostri rifiuti, ha deciso di inviare qui te come portavoce. Forse voleva impressionarci mandando una discendente del re di Valonde?”
Bryce scosse la testa. “La mia è una visita di cortesia. L’avete detto voi che gli arziti sono nostri fratelli, giusto?”
Metyna fece un mezzo sorriso. “Voi ci avete esiliati ai confini di quello che una volta era il mondo conosciuto” disse con tono sprezzante. “E adesso vi presentate alle nostre porte implorando aiuto da chi avete sempre disprezzato. Ti sembra un comportamento cortese il vostro?”
“Quello che è accaduto in passato…”
“Si ripercuote su quello che accadrà nel futuro” disse Metyna. “Puoi inoltrare tutte le richieste che desideri al principe Kefarin, puoi anche supplicarlo o cercare di corromperlo con i doni più preziosi, ma lui conosce bene il volere di questo consiglio.”
I consiglieri annuirono tutti insieme come se avessero atteso quel momento preciso per farlo. Metyna scese le scale con passo solenne seguita da tutti gli altri. Insieme marciarono verso l’uscita della sala.
Kefarin discese a sua volta fermandosi di fronte a Bryce. “Ti rinnovo il mio benvenuto, principessa di Valonde. Finché desidererai di soggiornare ad Arzit sarai gradita ospite di questo palazzo.” Le rivolse un inchino e tornò in cima alla scalinata. “Per oggi le udienze sono sospese” annunciò.
“Da questa parte” disse Coralena indicandole l’uscita della sala.
Bryce notò che faticava a trattenersi dal sorriderle ma la seguì lo stesso. Quando uscirono dalla sala tornò a respirare come prima.
“Non ti aspettavi una simile accoglienza, principessa di Valonde?” le chiese la strega.
Bryce scosse la testa.
“Io ho visto molto di peggio” disse Elvana affiancandole entrambe.
Coralena le lanciò un’occhiata accigliata.
Bryce cercò con lo sguardo Vyncent e lo trovò che stava parlando a bassa voce con Divash. Quando sembrò accorgersi della sua occhiata le fece un cenno con la testa.
Bryce annuì e tornò a concentrarsi su Coralena.
“Sembri contenta di come è andato l’incontro” disse scegliendo con cura le parole.
“Non sembro. Lo sono. Da tempo mi oppongo all’alleanza e alla presenza della vostra armata di fronte alle mura di Arzit.”
“Perché? Ne guadagnereste anche voi.”
“Cosa?”
Bryce scrollò le spalle. “Protezione. Sicurezza.”
“Per secoli abbiamo fatto a meno della prima e la seconda non ci manca.”
“Nelle prossime Lune la situazione potrebbe peggiorare.”
“È una minaccia la tua?”
“L’armata di Malag si sta avvicinando” disse ignorando la provocazione.
“Mentre la vostra è già qui.”
Bryce emise un sospiro di rassegnazione. “Le accuse di Metyna sono assurde” disse spostando la discussione su un terreno più agevole.
“Ma vere.”
“No” rispose subito. “Noi non vi disprezziamo affatto.”
“Dubito che tu abbia mai sentito parlare di Arzit o della sua storia.”
Bryce vacillò per un attimo. “Ammetto che non è un argomento di cui discutiamo molto spesso.”
“Non sei molto brava a mentire, principessa di Valonde.”
“Mi chiamo Bryce” disse mostrando un po’ di orgoglio.
Coralena scrollò le spalle. “Voi non parlate mai di Arzit perché non ve ne curate. Siamo solo la prossima città da assoggettare o da aggiungere alla vostra alleanza per combattere la vostra guerra e garantire la sopravvivenza del vostro regno. Prova a negarlo, Bryce di Valonde.”
“Siamo qui per proteggere anche voi” disse incerta.
“Ma noi non vogliamo essere protetti” rispose Coralena. “Non siamo neanche in guerra con Malag, perché dovreste farlo? O forse è da voi che dobbiamo venire protetti?”
Bryce si accigliò.
“Da quello che ci farete se rifiuteremo la vostra protezione” continuò la strega. “Ci hai mai pensato, Bryce di Valonde?”


 

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Capitolo 46
*** Insieme ***


Insieme

Chiusa nella sua stanza, distesa sul letto a baldacchino, fissò il soffitto dipinto di bianco fino a vederlo sparire.
Un altro fallimento, si disse. L’ennesimo. Erix si infurierà con me quando verrà a sapere che ho compromesso l’alleanza con Arzit e rovinato i suoi piani.
Nella testa sentiva ancora le parole sprezzanti di Metyna Meir e quelle divertite di Coralena Ofra.
“È da voi che dovremmo essere protetti” le aveva detto prima di condurla alla sua stanza. “Non da Malag. Lui non ci ha fatto niente.”
“Ma potrebbe.”
“Voi aggredite tutti quelli che potrebbero attaccarvi, Bryce di Valonde?”
“Non è quello che volevo dire.”
“Cosa, allora?”
“Malag e la sua orda sono pericolosi. Infestano questa regione come ratti. E noi siamo qui per scacciarli via.”
Coralena aveva sorriso. “Fatelo, allora. Che aspettate?”
“Lo faremo sicuramente, con o senza il vostro supporto.”
“Le tue parole hanno il sapore di una minaccia.”
Bryce aveva resistito a stento alla tentazione di dirle che sì, era un avvertimento e che se Arzit non si fosse unita a loro le cose sarebbero peggiorate quando Malag sarebbe giunto lì per prendere e saccheggiare la città.
Se lo facessi, si era detta, Coralena direbbe che le mie parole sono una minaccia per Arzit.
“Non lo sono” aveva detto con calma. “Erix si augura solo che voi decidiate per il meglio.”
“Il consiglio ha già deciso.”
“Kefarin non sembrava d’accordo.”
“Non è lui a decidere.”
Bryce aveva sussultato. “Non è il vostro principe?”
Coralena aveva annuito. “Non ho mai detto il contrario.”
“E non comanda? Non prende decisioni per tutti?”
“Non è quello il suo compito. È il consiglio che decide su queste importanti faccende. Kefarin è il portavoce del consiglio, così come tu sei solo la portavoce di Erix.”
Bryce avrebbe voluto ribattere, ma Coralena le indicò la porta della sua stanza. “Non è grande e sontuosa come quelle che avete a Valonde, ma temo dovrai accontentarti.”
La stanza era ampia e comoda, con una parete occupata da una grande finestra dalla quale filtrava la luce del sole attraverso tende color crema, due guardaroba colmi di vestiti, un letto a baldacchino e una scrivania dotata di sedia imbottita.
Rimasta sola aveva sospirato ed era andata a stendersi sul letto per riposare e pensare. Aveva anche provato a dormire, ma non si sentiva abbastanza assonnata e si era limitata a fissare il soffitto con sguardo intenso, persa nei suoi pensieri.
Qualcuno bussò alla porta due volte. Bryce si sollevò di scatto, i sensi all’erta.
Altri due tocchi decisi. “Sono io” disse una voce dall’esterno.
Vyncent, si disse scivolando giù dal letto.
Appena mise piede a terra si bloccò. “Puoi entrare” disse con voce calma.
La porta si aprì e lui scivolò all’interno. Indossava la camicia leggera con i pantaloni rossi che aveva messo quel giorno e il mantello verde che scendeva fino alle caviglie.
“Perdonami se ti disturbo” disse chiudendo la porta. “Se vuoi posso tornare più tardi.”
Scosse la testa con vigore. “Non è necessario” disse con un nodo alla gola. “Siedi pure. Quella sedia è libera.”
Vyncent prese la sedia imbottita e sedette composto.
Bryce invece si accomodò sul bordo del letto.
“Non è andata come credevi” disse Vyncent serio.
Bryce si lasciò andare a un sospiro. “Credo di aver sbagliato tutto.”
“Non hai sbagliato proprio niente.”
“Le mie parole…”
“Divash pensa che ti abbiano attirata in una trappola.”
Bryce si accigliò.
“Non un agguato vero e proprio, ma per lui è chiaro che ti hanno portata di fronte al consiglio di proposito.”
“Perché?”
Vyncent scrollò le spalle. “Secondo Divash, volevano solo umiliarti. Sei la figlia del re di Valonde, era un’occasione unica per quelli del consiglio.”
“Che cosa speravano di dimostrare? Non sono nemmeno l’erede al trono.”
“Credo che per loro tu sia un simbolo.”
“Simbolo” disse Bryce a bassa voce. “Raz Ofra ha cercato di avvertirmi, penso. Mi ha parlato della storia di Arzit.”
Vyncent rimase in silenzio.
“Millenni fa, Valonde inviava in questa regione i rinnegati.”
“Come a Krikor?”
Bryce annuì con vigore. “Proprio così.”
“Ma questa non è Krikor” disse Vyncent. “Gli arziti hanno costruito una bella città e prosperano.”
“E non vogliono rinunciarci.”
“Tu lo faresti?”
Bryce sospirò. “Fare finta che Malag e la sua orda non esistano non li terrà al sicuro.”
Vyncent annuì. “Questo è un buon argomento. Avresti dovuto usarlo nella sala delle udienze per convincere i consiglieri.”
“Quelle persone non sembravano disposte ad ascoltarmi.”
Due colpi alla porta la fecero scattare in piedi.
Vyncent le fece un cenno con la mano. “Sarà un valletto che ci avverte che la cena è pronta” disse.
“Avanti” disse Bryce.
La porta si aprì e un ragazzo sui dodici anni fece capolino sulla soglia. “Io ti saluto” disse con aria intimorita. “Ho un messaggio da riferirti.”
“Da parte di chi?”
“Non mi hanno detto il nome. Il messaggero veniva da fuori il palazzo.”
“D’accordo” disse Bryce.
Il valletto lanciò un’occhiata fugace a Vyncent.
“Non ho segreti per il mio amico” disse Bryce. “Puoi riferirmi il messaggio.”
Il valletto sembrò rilassarsi un poco. “Vorrei che proseguissimo la chiacchierata di oggi. Devi finire di raccontarti quella storia di cui ti parlavo. Possiamo incontrarci dopo il tramonto vicino alla torre orientale.”
Bryce restò in attesa che proseguisse.
“È tutto” disse il valletto.
Lei annuì. “Ti ha per caso detto se vuole una risposta?”
Il ragazzo scosse la testa.
“Allora puoi andare e grazie.”
“Io ti saluto” disse il valletto prima di chiudere la porta.
Bryce tornò a sedersi sul letto.
“Di chi sarà il messaggio?” le domandò Vyncent.
“Tu di chi credi che sia?”
“Raz Ofra è l’unico nome che mi viene in mente.”
“Anche a me.”
“Ma?”
“E se fosse una trappola?”
Vyncent si accigliò. “Di chi? E perché dovrebbero tenderti una trappola, dopo quello che è accaduto stamani? Gli arziti non ci guadagnerebbero niente, a parte dare  Valonde un pretesto per attaccarli.”
Bryce scrollò le spalle. “Non ne ho idea. Non conosciamo nessuno ad Arzit. Nessuno di cui possiamo davvero fidarci, intendo.”
“Di noi puoi fidarti” disse Vyncent.
Bryce sentì il cuore accelerare i battiti. “Non dubito di te e Divash.”
“Avevo incluso anche Elvana.”
Bryce si accigliò. “Sei molto leale e onesto e lo apprezzo, ma non hai bisogno di mentire con me.”
Lui la guardò interdetto. “Non ti stavo mentendo.”
“Tu ti fidi di lei? Di una ningothriana?”
Vyncent scrollò le spalle. “Finora non ti ha mai tradita, anche quando poteva andarsene e mettersi in salvo ha preferito tornare indietro e aiutarti.”
“Sono i suoi ordini.”
“Allora li sta eseguendo al meglio delle sue capacità.”
Bryce sbuffò. “Preferirei non dirle niente” disse dopo averci riflettuto qualche istante. “E nemmeno Divash deve saperlo.”
“In ogni caso, lui sta dormendo nella sua stanza e ha detto di non voler essere disturbato.”
“Elvana è nella sua” disse Bryce. “Quindi andrò da sola all’incontro.”
Il viso di Vyncent si contrasse.
“Ho detto qualcosa si sbagliato?” gli chiese.
“Non ti lascerò andare da sola, Bryce di Valonde.”
“Il messaggio è per me. Raz Ofra vuole incontrarmi alla torre orientale.”
“Non diceva niente sull’andarci in compagnia di qualcuno. E io ho voglia di fare una passeggiata prima di cenare.”
Bryce scosse la testa. “Ma se fosse davvero una trappola…”
“Un motivo in più per venire” rispose lui.
O un motivo in più per non farti correre un pericolo inutile, si disse. Se ti accadesse qualcosa per colpa mia riuscirei a perdonarmelo?
“D’accordo” disse annuendo. “Andiamo all’incontro. Insieme.”

La torre orientale era una sagoma scura di forma cilindrica che svettava sopra le mura per metà della sua lunghezza. Il resto, la parte più ampia, era addossata al muraglione che li divideva dalla valle all’esterno.
Uscire dal palazzo non era stato difficile e nessuno aveva posto loro domande o chiesto dove stessero andando. I soldati arziti di guardia all’entrata principale, un arco di pietra sormontato da un drappo arancione, si erano limitati a salutarli con educazione.
Bryce e Vyncent avevano discusso su una buona scusa prima di lasciare la stanza ed avevano convenuto che quella migliore era dire di voler dare un’occhiata alla città senza allontanarsi troppo.
Non c’era stato bisogno di usarla e Bryce ne era stata sollevata.
“Se vogliamo guadagnarci la fiducia di queste persone” aveva detto mentre si allontanavano dal palazzo. “Mentire loro è il modo peggiore per iniziare.”
“E stiamo anche andando a un incontro segreto” aveva aggiunto lui sottovoce. “Come nei romanzi d’avventura.”
“Vero” aveva risposto divertita e nervosa allo stesso tempo. “Come nei romanzi che piacciono a Joyce.”
A quel nome Vyncent aveva sorriso. “Le hai mai scritto da quando sei partita?”
“Una sola volta” aveva risposto sentendosi dispiaciuta. “Pensi che dovrei farlo più spesso?”
“Sei sua sorella. Sembrava molto preoccupata per la faccenda della guerra. Qualche informazione in più potrebbe servire a farla stare più serena.”
“Lo so, ma non saprei cosa scriverle. Qui non c’è molto da raccontare.”
“Parlale di me” aveva suggerito.
“Di te?”
“Uno stregone di Londolin piuttosto incapace ma molto valoroso. Esagera pure su valoroso, non mi offendo.”
Bryce aveva sorriso. “Tu non sei affatto un incapace.”
“E nemmeno valoroso.”
“Non è vero” aveva protestato. “Lo sei invece. E molto.”
Vyncent era arrossito. “Lo pensi davvero?”
“Sì” aveva detto convinta. “Non hai esitato un istante per venire a salvarmi. Se non fosse stato per te sarei stata uccisa da quei rinnegati.”
“Non ero da solo. Eravamo in trenta.”
“Non importa. Tu hai lanciato la prima sfera infuocata, quella che ha scompigliato i rinnegati.”
Lui aveva scrollato le spalle. “È stato un colpo fortunato.”
“A me non è sembrato così.”
“E se avessi fallito?”
“Ne avresti lanciata una seconda.”
Vyncent aveva sorriso imbarazzato. “Non è così semplice. Anche una sola mi stanca molto e mi serve del tempo per recuperare le forze. È il mio limite.”
Bryce aveva fatto per rispondergli che si fidava di lui quando si era accorta che erano arrivati alla torre orientale. Le era bastata la vista dell’edificio per capire quanto fosse imponente.
Usò la vista speciale per scrutare nel buio e notò sue figure in attesa ai piedi della torre. “Sono in due” disse.
Vyncent si accigliò. “Vuoi che vada avanti io?”
“No” rispose. “Vado io. Ma tieni pronta una sfera infuocata nel caso dovesse servire.”


 

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Capitolo 47
*** Rinunciare a combattere ***


Rinunciare a combattere

Bryce tenne gli occhi puntati sulle due figure mentre avanzava verso di loro. A una ventina di passi di distanza si fermò e alzò entrambe le mani.
“Niente incantesimi” disse.
Una delle due figure avanzò. “E il tuo amico lì dietro?” le chiese.
“Mi sta solo accompagnando. Non interverrà se non gliene darete motivo. Ma se lo farete, abbatterà la torre alle vostre spalle prima che possiate allontanarvi.”
“Nessuno toccherà la mia amata Arzit” disse la seconda figura avanzando di una decina di passi.
La prima che aveva parlato sollevò un braccio evocando una lumosfera.
Bryce attenuò la vista speciale e mise a fuoco le due figure. Una apparteneva a Raz Ofra e l’altra allo stregone che aveva arringato Coralena mentre li stava scortando al palazzo.
Greften, si disse Bryce. È così che l’ha chiamato.
“Io ti saluto” disse Raz Ofra avanzando di qualche altro passo.
“E io saluto te” rispose Bryce. “E anche te, Greften.”
“Chiamami Gref, figlia di Valonde. Qui lo fanno tutti. Mi da quasi fastidio sentire il mio nome completo, se vuoi sapere la verità.” Lanciò un’occhiata a Vyncent. “Perché non dici al tuo accompagnatore di unirsi a noi? Mi rende nervoso avere qualcuno che mi osserva da lontano.”
Bryce si rifletté qualche istante e poi fece cenno a Vyncent di avvicinarsi.
Lui arrivò con passo prudente. “Io vi saluto” disse.
Raz Ofra e Gref lo ricambiarono con un mezzo inchino.
“Grazie per essere venuta con un così breve preavviso” disse lo stregone. “Non ero sicuro che avresti accettato di incontrarmi dopo quello che è accaduto nella sala delle udienze.”
“Qualcuno ti ha fatto un resoconto di cosa ci siamo detti?”
Raz annuì. “Ho ancora qualche amico dentro il palazzo, anche se Jacen e Tvezia stanno facendo terra bruciata attorno a noi.”
“Jacen e Tvezia” disse Bryce riflettendoci sopra. “Sono i due che hanno parlato contro Valonde.”
“Capisci in fretta figlia di Valonde” disse Greften. “È una buona cosa. Forse vivrai abbastanza da vedere la fine di questa guerra. Forse.”
“Conto di vincerla, questa guerra.”
Raz sorrise. “Che cosa ti dicevo, Gref? Il mio intuito non sbaglia mai.”
Greften sbuffò. “Ha solo dei buoni propositi e niente più. Ho già sentito questa frase un centinaio di volte. Almeno dieci quando combattevamo contro l’infame.”
“Ti prego” disse Raz. “Non ho fatto venire qui la principessa perché tu le raccontassi le tue noiose storie da veterano.”
“Ringrazia noi vecchi che quella guerra l’abbiamo vinta” disse Greften con tono di rimprovero. “O adesso staresti marciando agli ordini di Vulkath.”
Raz scrollò le spalle. “Smettila di parlare del passato. Adesso il nemico è Malag.”
“Malag o qualcun altro, il nemico esiste sempre.”
“Giusto” disse Bryce cogliendo l’occasione per parlare di quello che le interessava. “Voglio proprio parlare di Malag e della sua orda.”
“Penso che tu ne sappia molto più di noi, principessa.”
“Se conoscete i membri del consiglio, convinceteli ad aprirci le porte della città e accettare la nostra offerta di alleanza” disse con veemenza. “Sarà meglio per tutti.”
Raz sorrise triste. “So che non lo fai con cattive intenzioni ed è il frutto del luogo in cui sei nata e cresciuta, ma le tue parole somigliano molto a una minaccia.”
“È certo che Malag verrà qui a conquistarvi.”
“Arzit non avrebbe molto da offrirgli” disse Raz Ofra con tono mesto. “Non è una grande città e non è molto importante. Oserei dire che i nostri antenati hanno scelto con cura questo luogo, forse sapendo che un giorno sarebbe stato poco invitante per chiunque.”
Bryce scosse la testa. “I consiglieri sono vostri concittadini. Convinceteli voi a cambiare idea.”
“Hanno paura” disse Raz Ofra. “E anche io ne ho. Le armate di Malag possono distruggere la città, se entriamo nell’alleanza.”
“Noi vi difenderemo.”
“Come?”
“Abbiamo un’armata fuori dalle mura” disse Bryce esasperata. “Non ti basta?”
“Non rimarrà lì per sempre. Bryce di Valonde, tu sembri una grande strega e io non ho alcun dubbio che un giorno diventerai la strega suprema della tua generazione, ma non sai niente di Arzit e di come funzionano qui le cose. Di come risolviamo le nostre faccende.”
Bryce incrociò le braccia sul petto. “Nel messaggio dicevi che volevi raccontarmi una storia. Ti ascolto.”
Raz Ofra sorrise triste. “Non ti ho detto che cosa accadde davvero duemila anni fa, quando Valonde creò Arzit.”
“Mi hai detto che era una colonia dove mandavano i rinnegati.”
Lo stregone scosse la testa. Gref invece ridacchiò.
“La ragazza non sa proprio niente” disse il vecchio stregone. “Ecco perché parla in questo modo.”
“Hai ragione” disse Raz Ofra. “Le dobbiamo una spiegazione.”
“Ho detto che ti ascolto” disse Bryce cercando di non sembrare polemica.
Raz Ofra trasse un profondo respiro. “Duemila anni fa ci fu un complotto a Valonde. Alcuni senatori, con l’aiuto di streghe e stregoni di alto rango, cercarono di rovesciare la casa regnante dell’epoca. Non abbiamo molte informazioni e la maggior parte delle cronache dell’epoca sono andate perse. Abbiamo solo le copie di altre copie di altre copie e così via, con tutti gli errori e le imprecisioni, ma abbiamo un’idea vaga di cosa accadde.”
“Un complotto?” chiese Bryce. “Non ne ho mai saputo niente.”
“Un evento consueto, in un periodo turbolento come quello” disse Raz Ofra. “Il tentativo di tradimento venne scoperto. Ci furono processi e condanne.”
“I rinnegati vennero inviati qui?” chiese Bryce.
Raz Ofra scosse la testa affranto. “Vennero giustiziati. Allora come oggi, la morte attendeva chi cospirava contro i sovrani.” Fece una pausa.
“Che cosa accadde?”
“Te l’ho detto. I congiurati vennero condannati e giustiziati. Tutti, nessuno venne risparmiato.”
“E i rinnegati inviati ad Arzit?”
“I loro figli e figlie, le mogli e i mariti, i fratelli e le sorelle e tutti i loro servitori.”
Bryce si accigliò. “Erano complici?”
“Nella maggior parte dei casi, la loro unica colpa era quella di essere figli o di aver amato o servito le persone sbagliate. D’altronde, come potrebbe essere colpevole di tradimento una bambina di sei anni o un’ancella che serviva a tavola durante i pasti?”
“Io non lo so” rispose Bryce. “Sono sicura che un motivo per esiliarli esisteva, ma come hai detto tu la conoscenza è andata persa.”
“Non è andata persa affatto” disse Gref. “Noi perpetuiamo quella conoscenza con i nostri stessi corpi e il sangue che scorre dentro di noi. Uccidere i congiurati fu un atto di giustizia, ma esiliare tutti gli altri fu un’infamia. Voi forse avete potuto dimenticare, ma noi ricordiamo ogni giorno quella umiliazione.”
Bryce trasse un profondo respiro. “Se è stata commessa un’ingiustizia, potremmo chiedere scusa e impegnarci affinché non avvenga di nuovo.”
“Sono passati duemila anni” disse Raz Ofra. “Non siamo stupidi al punto di pretendere da voi delle scuse per un atto commesso da chi è morto da secoli. A che cosa servirebbe? Non raddrizzerebbe alcun torto, né cambierebbe la situazione. Il consiglio non si fida di voi Valonde. Vi considera degli infami, capaci di qualsiasi atto disonesto e ostile.”
“E tu? La pensi allo stesso modo?”
Lo stregone sorrise. “Io penso solo d Arzit e voglio difenderla. Per questo motivo, appena seppi che l’orda di Malag era sbarcata sulla costa occidentale, scrissi una lettera all’arcistregone Persym, chiedendogli di inviare un’armata.”
Persym, pensò Bryce. È lo stregone che incontrai nello studio di Erix prima della partenza. Lui sa che cosa sta accadendo qui?
“Speravo che vedendola fuori dalle mura risvegliasse in loro qualche antico sentimento” proseguì Raz Ofra. “Che il consiglio decidesse di dimostrarvi che non siamo più i discendenti di quelli che vennero esiliati.” Scosse la testa. “Ma tutto ciò che è ottenuto è che chiudessero i cancelli sbattendoli con forza.”
“Almeno hai tentato, amico mio” disse Gref.
“A che cosa è servito? Metà del consiglio mi è invisa e l’altra metà ha paura di parlare per non essere additati come infami da tutti gli altri.”
“Deve esistere un modo per convincerli” disse Bryce sicura. “Se la storia che hai raccontato è vera, siete davvero tutti figli di Valonde.”
“Quello ormai è il passato” disse Raz Ofra.
“Perché mi hai fatta venire qui?” chiese Bryce. “Potevi incontrarmi a palazzo e raccontarmi tutto.”
“Non siamo ammessi a palazzo” disse Gref. “Se provassimo a entrare, Jacen e Tvezia ordinerebbero a Coralena di imprigionarci.”
“Coralena è tua figlia” disse Bryce rivolgendosi a Raz Ofra. “Pensi che farebbe questo a suo padre?”
Raz inspirò. “Coralena è cresciuta sotto la guida di Jacen. Io ero lontano da Arzit, ho viaggiato molto. Penso che lo consideri un padre più di quanto lo sia mai stato io.”
“Non possiamo andare a palazzo” disse Gref. “Ma tu, sì. Vogliamo che tu sia la nostra portavoce, Bryce di Valonde.”
“Sono già la portavoce di Erix” disse.
“Allora per te non farà alcuna differenza” disse l’anziano stregone. “I nostri obiettivi sono simili.”
“Noi?”
“Quelli che appoggiano l’alleanza.”
Bryce ghignò. “Allora esiste qualcuno che può sostenerci?”
“Ci sono” disse Raz. “E ci sono molti altri indecisi che restano nell’ombra e accettano quello che decidono Jacen e Tvezia. Sono loro i consiglieri più potenti e tutti rispettano il loro volere, anche se spesso non sono d’accordo.”
“Che cosa posso fare io da sola? Sono una straniera e per giunta mi odiano.”
“Ti odiano e ti rispettano” disse Raz. “Lo so, gli arziti sono strani. Se almeno riuscissimo a infondere il dubbio nelle loro menti, tutto sarebbe più semplice.”
Bryce sospirò. “Voglio aiutarvi, ma non so come fare.”
“Forse è destino che le cose vadano in questo modo” disse Raz. “Forse non possiamo deviare il corso di questo fiume e impedire che giunga a valle. È stato un errore cercare di coinvolgerti, Bryce di Valonde e vorrei non essere costretto a chiederti di fare questo per noi, ma ho paura che se il consiglio non cambierà idea, sarà la fine per Arzit, alleanza o no.”

Mentre tronavano verso il palazzo, Bryce era immersa nei suoi pensieri, lo sguardo rivolto verso il basso. Vyncent la seguiva girando la testa a destra e sinistra.
“C’è qualcuno che ci segue?” gli chiese allarmata.
Lui scosse la testa. “No, perché lo pensi?”
“Ti guardavi in giro.”
“Stavo solo osservando.”
“Cosa?”
“Quanto è tranquillo qui. Mi piace.”
Bryce si accigliò.
“Mi ricorda Londolin, anche se noi abbiamo più giardini e alberi. Alcuni quartieri sembrano dei piccoli boschi.”
“Sembra un bel posto” disse Bryce sincera.
“Lo è” affermò Vyncent.
“Ti manca?”
Annuì. “Ogni giorno penso a quando tornerò a Londolin, a guerra conclusa. Mi dico che la troverò così come l’ho lasciata, forse ci sarà qualche piccolo cambiamento, ma è sicuro che saprò riconoscere ogni luogo in cui sono stato almeno una volta. E sono sicuro che anche tu la pensi così, Bryce.”
“Sì” ammise. “È confortante sapere che Valonde, il palazzo e tutti quelli che conosco saranno lì ad attendermi quando tornerò.”
“Ma lo stesso non vale per gli arziti” disse Vyncent incupendosi. “E per tutti quelli che abitano in questa regione e nelle altre dove l’orda di Malag è arrivata. Per loro la guerra ha portato solo sofferenza e sconvolgimenti. Non hanno un posto sicuro dove tornare, perché è molto probabile che quel luogo sia stato occupato o distrutto dagli invasori.”
Bryce deglutì a vuoto.
“Posso capire il consiglio e Coralena” proseguì Vyncent. “Se sapessi che Londolin verrà distrutta solo per essersi schierata con Valonde, forse mi opporrei in tutti i modi. Se lo facessi, mi considereresti un infame?”
Bryce provò a domandarsi cosa avrebbe fatto lei se si fosse trovata in quella situazione e l’unica risposta che trovò non le piacque.
“No” disse distogliendo lo sguardo. “Ma rinunciare a combattere non ci salverebbe lo stesso.”


 

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Capitolo 48
*** La cosa che ti riesce meglio ***


La cosa che ti riesce meglio

 
Elvana l’attendeva davanti alla porta della sua stanza, le braccia incrociate sul petto e la schiena appoggiata al muro. “Ed eccoti qui” disse con tono allegro. “Stavo per venirti a cercare.”
“Sono andata a fare una passeggiata” disse aprendo la porta.
“Con Londolin?”
“Si chiama Vyncent.”
“Di cosa avete parlato voi due?”
Bryce si accigliò. “Non è affare che ti riguardi.”
Elvana scrollò le spalle. “Te lo chiedo solo perché Coralena vuole vederti e penso che abbia a che fare con la vostra passeggiata romantica.”
“Non è stata” iniziò a dire stizzita. “Coralena?” chiese preoccupata. “Che cosa vuole?”
“A me non ha detto niente. È venuto un valletto che ti cercava e ho dovuto mandarlo via dicendogli che eri uscita con Londolin.”
“Lo hai fatto davvero?” chiese stupita.
“Ho solo detto la verità” disse Elvana staccandosi dalla parete. “E penso che sappiano già dove siete andati e perché. E con chi avete parlato.”
Bryce si accigliò. “Ci hanno seguiti?”
Elvana scrollò le spalle. “Io l’avrei fatto. In effetti, per un po’ ci ho pensato, ma ho deciso di concedervi una mezza serata di libertà. In fondo ve la siete meritata.”
“Basta” disse Bryce arrossendo. “Non è affatto come pensi.” Aprì la porta e si infilò nella stanza. Si fermò al centro, girò le spalle e fece un cenno alla strega. “Anche tu.”
Elvana entrò perplessa. “Credo sia la prima volta in assoluto che mi inviti a entrare in una tua stanza. A meno che tu non sia costretta a farlo.”
Bryce chiuse la porta. “Chi ci seguiva?” le chiese con tono preoccupato.
“Non l’ho visto chiaramente, ma con la vista speciale ho avvertito la sua aura. Sai cosa intendo, vero?”
“Manto invisibile” disse Bryce.
Elvana annuì.
“È per questo che abbiamo lasciato il palazzo senza che nessuno ci fermasse. Volevano che uscissimo.”
“Lo penso anche io. Si vede che erano più interessati a sapere dove stavate andando e con chi aveste appuntamento. A proposito, puoi dirmelo o è un segreto?”
“Tu con chi pensi che ci siamo visti?”
Elvana scosse la testa. “Quello stregone che ci ha accolti all’ingresso per caso? C’entra lui?”
Bryce annuì.
“Che voleva?”
Sbuffò e andò a sedersi sul bordo del letto. “Non so se mi ha detto tutta la verità, ma mi ha fatto chiaramente capire che gli arziti non vogliono far parte dell’alleanza. Per nessun motivo.”
“Mi sembrava che fosse chiaro da come ti hanno trattata nella sala delle udienze.”
“Speravo di poterli convincere” disse Bryce. “In qualche modo.”
“E cosa vuoi fare? Andartene?”
“Come portavoce di Erix sono inutile” disse affranta.
“Quello lo eri già prima.”
Bryce le scoccò un’occhiataccia.
“Tu non sei fatta per questo, Bryce” disse Elvana. “Contrattare, negoziare, argomentare con persone che nemmeno ti ascoltano.” Scosse la testa affranta.
“Che cosa mi stai suggerendo di fare? Dovrei andare via?”
“Aspetta” disse la strega. “Ho detto quello che non sai fare, ma c’è anche quello in cui eccelli.”
Bryce si accigliò.
Elvana evocò un dardo nella mano destra.
“È un dardo” disse.
“Sei scaltra” disse l’atra divertita. “Sì, è proprio un dardo.”
“Che cosa dovrei farci?”
Elvana scrollò le spalle. “Non lo so, ma quello che ti riesce meglio è piantare uno di questi nel petto di quelli che ti ostacolano.”
Bryce si alzò di scatto. “Mi stai suggerendo di ammazzare qualche arzita a caso per tentare di convincerli a entrare nell’alleanza?”
“No” rispose Elvana ritraendosi. “Non qualche arzita a caso. Puoi cominciare da quella Coralena e magari proseguire con quei due che ti hanno offesa nella sala delle udienze. Forse non li convincerai, forse anche loro cercheranno di bucarti la pelle con i loro dardi, ma è di sicuro la cosa che ti riesce meglio.”
“Assurdo” disse Bryce scuotendo la testa. Marciò decisa verso la porta e la spalancò. “Andiamo.”
“Dove?” chiese Elvana uscendo dopo di lei.
“Da Coralena.”
 
La sala in cui arrivarono era decorata da grandi drappi arancioni e neri che coprivano le pareti e lasciavano intravedere appena qualche pietra grigia sottostante.
I lati di cinquanta passi ciascuno erano occupati da rastrelliere piene di spade, lance e scudi che riflettevano la luce delle lampade a olio che ardevano su dei trespoli.
C’era una sola figura al centro della sala, in quel momento girata verso la parete opposta, dove un manichino coperto da un’armatura completa era stato piazzato a una trentina di passi di distanza.
“Riguardo a quello che ho detto prima” le sussurrò Elvana entrando. “Non dicevo sul serio. Era solo per provocarti.”
Bryce si accigliò.
“La faccenda del bucare qualche arzita con i dardi magici. Anche se mi darebbe una grossa soddisfazione sforacchiare quella lì” aggiunse indicando la figura al centro della sala con un cenno della testa.
Bryce sospirò. “L’avevo capito da sola” le sussurrò.
“Bene. Ora mi sento più tranquilla.”
Bryce avanzò fino a una decina di passi di distanza, fermandosi e restando in silenzio.
Coralena aveva puntato un braccio verso il manichino, qualcosa che brillava nel suo palmo. Chiuse e aprì la mano per tre volte di seguito, spostando di poco il polso e il braccio a ogni colpo.
Bryce seguì la corsa dei tre dardi socchiudendo gli occhi per cogliere la scia che si lasciavano dietro. Ognuno dei proiettili colpì il manichino. Il primo in un punto tra il collo e la testa, il secondo nell’incavo del braccio destro e il terzo tra il petto e la spalla sinistra.
Ogni colpo staccò dal manichino dei pezzi di legno che rimbalzarono via verso la parete opposta disseminandosi sul pavimento.
Bryce attese con pazienza che Coralena si voltasse verso di lei. Quando lo sfece, notò lo sguardo divertito della strega.
“Io ti saluto” disse educata.
“E io saluto te, principessa di Valonde. Vedo che sei venuta subito invece di riposarti dopo la tua passeggiata.”
“Non ero molto stanza.”
“E non sei sola.” Il suo sguardo scivolò verso Elvana. “Io ti saluto, Elvana di Ningothris. O come ti chiamerebbero a Valonde e in metà dei regni dell’alleanza, strega della notte.”
Elvana fece una smorfia. “Mi chiamano in tanti modi” disse.
“Se a te sta bene così” fece Coralena scrollando le spalle. Tornò a rivolgersi a Bryce. “Hai cenato?”
“Ancora no” disse.
“Non ti ruberò molto tempo” disse Coralena muovendosi con passo lento verso il manichino.
Bryce valutò se fosse il caso di seguirla e alla fine si mosse nella stessa direzione.
Coralena indicò lo sfregio tra il collo e la testa. “Un buon centro, ma non eccellente. Sono sicura che tu sapresti fare di meglio.”
“Questo è sicuro” disse Elvana. “E anche io potrei fare di meglio.”
Bryce le scoccò un’occhiataccia alla quale la strega di Ningothris rispose con un’alzata di spalle.
“È un buon centro come hai detto tu” disse infine. “E anche gli altri due sono molto precisi. Il colpo al braccio lo avrebbe reso incapace di sollevare lo scudo e quello alla spalla di alzare la lancia. Il colpo al collo lo avrebbe ucciso.”
Coralena annuì con vigore.
“Ma tu hai colpito prima il collo, poi il braccio e solo alla fine la spalla. Posso chiederti perché?”
“Perché rendere il nemico incapace di combattere, se posso ucciderlo al primo colpo?” chiese Coralena.
Bryce indicò lo spazio tra l’elmo e il resto della corazza. “Il colpo è più difficile. Serve una precisione maggiore. Tempo per prendere la mira, decidere se vale la pena rischiare e poi agire. Se fallisci hai sprecato un colpo prezioso e potresti non avere il tempo per metterne a segno un secondo.”
In quel momento era suo padre a parlare e non lei. Ricordava ancora le lezioni che lui le aveva dato, nei sotterranei del palazzo di Valonde, quando si allenava a tirare dardi contro i manichini.
Coralena annuì di nuovo. “Questo è il vostro modo di combattere” disse con tono di sufficienza.
Bryce avrebbe voluto risponderle che quello era l’unico modo sensato di agire.
“Prima togli la possibilità al nemico di difendersi” le diceva suo padre mentre indicava la lancia del manichino. “Poi lo disarmi” aggiungeva strappando via la spada e gettandola lontano. “Infine, elimini del tutto la minaccia” concludeva indicando la parte tra la testa e il collo che veniva lasciata scoperta dall’armatura.
Bryce aveva imparato che in quella piega sottile un colpo ben piazzato poteva spezzare una vita.
“Il modo di chi ha sempre forze soverchianti rispetto all’avversario” proseguì Coralena. “E non si preoccupa di quante perdite potrà subire, perché sa che altri combatteranno al posto loro se cadranno o resteranno feriti.”
La strega si girò verso una fila di manichini allineati sulla parete di destra. “Ma se sei da sola e devi affrontare il nemico sapendo che se cadi, nessuno ti sostituirà?”
Coralena sollevò il braccio e lo puntò verso i manichini. Con un gesto veloce aprì e chiuse il palmo della mano sei volte, lanciando un dardo per ognuna di essa.
Tutti dardi colpirono il bersaglio tra il collo e la testa, scheggiando il legno sottostante. Un manichino crollò a terra producendo un frastuono che le ferì i timpani.
Coralena tornò a rivolgersi a lei. “Per secoli, noi arziti ci siamo battuti da soli in queste terre aspre, conquistandoci il rispetto e il timore dei nostri nemici. I nostri mantelli sono famosi per il loro coraggio e la loro mira. Chiunque scenda in battaglia contro di noi sa che noi colpiremo per primi e solo per uccidere, non per ferire o menomare. Non ci interessa dominare o conquistare nuove terre, qui abbiamo tutto ciò che ci serve per prosperare e quello che non produciamo, possiamo scambiarlo con qualcun altro. Non ci serve niente e siamo sufficienti a noi stessi. Se Malag e la sua orda verranno qui in pace, potranno transitare e andare per la loro strada. E se invece decideranno di attaccarci…” Scosse la testa. “Siamo abituati a combattere con forze superiori alle nostre. Quindi, come vedi la vostra alleanza per noi è inutile. È un peso. Perché dovremmo combattere al vostro fianco, se fino a oggi abbiamo combattuto bene da soli? E perché proprio con voi, che ci avete esiliato in questa desolazione? Rispondi alle mie domande, principessa di Valonde.”
Bryce scelse con cura le parole. “Ammiro il vostro modo di combattere.”
“Tu ci ammiri?” fece Coralena divertita. “Voi Valonde non provate ammirazione, a parte verso voi stessi. Dicono che sarai la strega suprema della tua generazione, tutti ne parlano. Non è arroganza, questa?”
“Alle persone piace parlare.”
“Parlare senza moderazione è arroganza, principessa di Valonde.”
Bryce strinse i pugni. “Che cosa volete?”
Coralena sorrise. “Niente. Non hai sentito? Abbiamo tutto quello che ci serve.”
“Non è vero” ribatté. “Ma se siete così forti, portate la vostra armata fuori dalle mura e affrontate l’orda di Malag.”
“Prima che ci attacchi?”
“Non hai appena detto che è il vostro modo di combattere? Colpire il nemico per eliminarlo, senza aspettare che si avvicini abbastanza per colpirvi. Un singolo, preciso colpo al collo.”
Coralena la fissò senza parlare.
“Mi dispiace per quello che vi è stato fatto” disse Bryce. “Ma è successo duemila anni fa. Quelle persone hanno sofferto? Sì. Ma sono morte. Sono morti tutti.”
“Noi vogliamo impedire che altri soffrano” disse Coralena. “Per colpa vostra. Voi Valonde non siete meglio di Malag e della sua orda.”
Bryce si trattenne dal colpirla.
Elvana invece scattò in avanti. “Ora sei ingiusta a paragonarci ai rinnegati” disse con veemenza.
Coralena le scoccò un’occhiata disgustata. “E tu sei stupida a sentirti una di loro.”
Elvana si bloccò come se stesse per dire una frase ma ci avesse ripensato.
“Sei una serva dei Valonde” proseguì Coralena. “E nemmeno te ne rendi conto. Vi accontentate delle briciole che cadono a terra mentre i vostri padroni banchettano. Ho studiato la storia di Ningothris, non è molto diversa dalla nostra, ma la vostra maledizione è di controllare un tratto di costa molto vicino al continente antico.”
“Noi non siamo servi” disse Elvana ritraendosi.
“Invece lo siete” disse Coralena. “Vi tengono al guinzaglio, come un cane fedele che possono liberare quando serve a loro, come in questa guerra. Noi non ci faremo mettere la catena come voi.”
“Ti ho chiesto che cosa volete” disse Bryce a denti stretti.
Coralena le rivolse un’occhiata sprezzante. “Voglio che voi Valonde vi inginocchiate. Nella piazza principale di questa città. In ogni piazza di ogni città che avete conquistato. Voglio che chiniate il capo e chiediate scusa ai vostri servi.”
Bryce si trattenne a stento dal colpirla. “E se mi inginocchiassi io davanti a te, adesso, basterebbe a convincerti che non abbiamo servi, ma alleati?”
Coralena ghignò. “Potresti provare” disse. “Se non hai paura di sporcarti il vestito.”
“E convinceresti il consiglio ad approvare l’alleanza con Valonde?”
La domanda aleggiò nell’aria tra di loro mentre Coralena sembrava rifletterci sopra.
“Non posso convincerli, ma posso chiedere un altro voto e parlare a vostro favore.”
“Lo faresti davvero? Lo giuri sul tuo onore?”
“Lo giuro” disse la strega. “Ma lo farò solo se ti inginocchierai. Adesso.”
Bryce le voltò le spalle e marciò fuori dalla sala. Elvana la raggiunse quando era già a metà del corridoio che li collegava col resto del palazzo.
“Tanto non avrebbe mantenuto la promessa” disse con aria sufficiente.
“Invece sì” disse Bryce scura in viso. “Lo avrebbe fatto.”
“E allora perché non l’hai fatto?”
Bryce ghignò. “Inginocchiarmi non è una delle cose che mi riescono meglio.”

 

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Capitolo 49
*** Stupida e orgogliosa ***


Stupida e orgogliosa

 
“Se devo essere sincera” disse Erix sedendo sulla sua sedia imbottita. “Mi aspettavo esattamente questo quando ti ho mandata in città. E speravo che potessi parlare con persone come Raz Ofra e quel Grefton.”
“Parlare con loro non mi è stato di alcun aiuto” disse Bryce. “Il potere è nelle mani di Jacen e Tvezia.”
“Il potere è come l’acqua che scorre nel fiume” disse Erix. “Non rimane mai nello stesso posto troppo a lungo.”
Bryce si accigliò.
“L’incontro con Raz è servito a lui e alla parte di nobili che lo appoggia.”
“Non capisco.”
“Prima che tu andassi, ho fatto arrivare un messaggio di alcuni membri del consiglio cittadino.”
“Continuo a non capire.”
“Capirai, tra qualche giorno. Nel messaggio annunciavo l’arrivo della mia portavoce e invitavo chiunque avesse delle rimostranze a farsi avanti e parlarne con lei.”
Bryce si accigliò. “Quindi ero solo un mezzo per raccogliere informazioni?”
Erix annuì.
“Su chi?”
“Su coloro che sono leali ad Arzit. E quelli che tengono veramente alla loro città.”
“E chi sarebbero?”
“Jacen e Tvezia come ti hanno accolta?”
“Molto male” rispose Bryce. “Sembrava quasi che volessero dimostrare a tutti che la loro decisione era presa e non sarebbero tornati indietro.”
“Stolti, ma non potevano fare altro” disse Erix. “O sarebbero stati travolti.”
“E Raz Ofra e Grefton?”
“Ora sappiamo che possiamo contare su di loro.”
Bryce iniziava a capirci qualcosa. “Contare sul loro appoggio?”
Erix annuì di nuovo.
“Per ribaltare il voto del consiglio?”
“In una prossima votazione. Tra una Luna e mezzo, forse due. Avremo l’alleanza che ci serve.”
“Che fine faranno Jacen e Tvezia?”
“Nessuna vendetta, stanne certa. Non siamo rinnegati. Consentiremo a loro e quelli che non sono d’accordo di ritirarsi nelle loro residenze cittadine o di campagna, se ne hanno, fino alla fine della guerra. Dopo, potranno tornare in città e provare a riprendersi il potere, se ne avranno voglia.”
Bryce annuì solenne. “È vero che gli arziti erano i discendenti dei traditori che cercarono di conquistare il potere a Valonde?”
“È solo una leggenda. Agli arziti piace essere quelli che hanno osato sfidare un nemico troppo potente e ne hanno subito la tremenda collera, sopravvivendo lo stesso. Devono ritenerlo molto rassicurante, a modo loro.”
“E se invece fosse vera? Se li avessimo davvero esiliati solo per vendetta? Non gli staremmo facendo un altro torto in questo modo?”
“È per il loro bene” disse Erix con tono calmo. “Li stiamo proteggendo dall’orda di Malag.”
Bryce guardò altrove.
“Hai qualche dubbio?” le chiese Erix.
“No” rispose tornando a rivolgersi a lei. “Ma non voglio più essere usata per uno scambio di messaggi.”
“Se avessi mandato qualcun altro, gli arziti non lo avrebbero considerato importante. Si sarebbero potuti addirittura offendere e rifiutare di farlo entrare.”
“Io invece ero la messaggera perfetta.”
“Tu sei la figlia di Marget e Andew di Valonde e loro lo sapevano. Il messaggio sarebbe stato più forte e chiaro.”
“Capisco. Ma non voglio più farlo.”
Erix emise un sospiro rassegnato. “Adesso vai e riposati. Attendo una visita tra poco e devo prepararmi.”
“Come vuoi” disse inchinandosi. Si girò e raggiunse l’uscita della tenda.
 
“Erix è stata furba” disse Divash sedendo davanti al focolare. “Io avrei fatto lo stesso.”
“Certo” disse Elvana ghignando.
Divash le scoccò un’occhiata di traverso. “Metti in dubbio la mia intelligenza?”
“Non ce n’è così tanta da metterla in dubbio” rispose la strega. “La vera sfida sarebbe trovarne abbastanza.”
Divash raddrizzò la schiena. “Avevo dimenticato quanto eri irritante. Molto meglio la compagnia di Vyncent. Almeno non dice sciocchezze quanto te.”
“Tu e Londolin sareste una coppia perfetta” disse Elvana.
Divash emise un grugnito.
Bryce, seduta in disparte, ascoltava con la mente altrove il battibecco. Vyncent dovette accorgersene perché andò a sedersi vicino a lei e le porse del pane abbrustolito e una striscia di carne essiccata.
Bryce la guardò controvoglia.
“Non è come il vero cibo di Arzit” disse Vyncent. “Ma è buono. Se fai finta che lo sia. Quella è la parte difficile.”
Bryce sorrise. “Non è per questo.” Allungò una mano e prese il pane e la carne. “Stavo pensando agli arziti e alla loro voglia di essere lasciati in pace.”
Vyncent annuì. “Quindi ora non sei più convinta che debbano far parte dell’alleanza?”
“Come possiamo fidarci di un alleato che ci aiuta con riluttanza?”
“È più o meno quello che penso anche io” ammise Vyncent.
“Lo so.”
Ricordava ancora il discorso che avevano fatto mentre tornavano a palazzo dopo aver incontrato Raz Ofra e Grefton.
“Se mi fossi inginocchiata a Coralena, sarebbe cambiato qualcosa secondo te?”
“Credo di no” disse Vyncent. “Avresti perso il rispetto degli arziti.”
“Ma avrei garantito un alleato fedele a Valonde.”
“Un alleato che non ci rispetta.”
“Non avrebbero rispettato me” disse.
“Tu sei Valonde in questo momento. Erix sapeva bene che mandandoti ad Arzit non ti saresti mai inginocchiata davanti a loro.”
“Sono così prevedibile?”
Vyncent sorrise. “Sei orgogliosa. Non è per forza un difetto, ma lo sei.”
Bryce annuì. “Stupida e orgogliosa. Bene.”
“Non ho detto questo” disse lui stupito.
“Non importa. È così. Servo solo a portare messaggi. Azaril mi ha usata allo stesso modo e lui mi conosceva a stento. Devo emanare una specie di aura che mi precede.”
“Bryce” iniziò a dire Vyncent. “Nessuno ti chiede di essere più di ciò che sei.”
“E che cosa sarei secondo te?”
“Un simbolo. Un segno. Tu sei quello che molte streghe e stregoni non saranno mai. Ti invidiano. Sento i loro discorsi quando pensano di non essere ascoltati e quindi lo so.”
“Che cosa dicono?”
Vyncent scrollò le spalle. “Che ti sei sacrificata per loro e li hai salvati. Che hai sfidato da sola cinquanta mantelli rinnegati e li hai battuti.”
“Non ero da sola” protestò. “E non erano cinquanta.”
“È uguale. Non importa se fossero dieci o cento.”
Bryce sbuffò.
“Arriva qualcuno” disse Divash alzando la testa di scatto.
Bryce guardò verso l’ingresso del campo e vide una fila di cavalieri marciare attraverso il cancello fatto di tronchi di legno. In testa procedevano tre mantelli azzurri.
“Sono nostri” disse a bassa avviandosi nella loro direzione.
Devono essere le persone che Erix sta aspettando, pensò.
Elvana e Vyncent la seguirono mentre Divash rimase seduto di fronte al focolare, l’espressione cupa.
Sa qualcosa, si disse. Sa qualcosa e non lo ha detto. Ma cosa?
Guardò il terzetto in testa alla fila di cavalieri. Lo stregone a destra era anziano e portava la barba. La strega a sinistra era più giovane e aveva un sorriso sfrontato mentre si guardava attorno. Il terzo, che procedeva al centro, aveva la testa lucida e il naso adunco.
Persym, pensò Bryce ripescando dal fondo della sua memoria quel volto dall’espressione severa.
I tre le sfilarono davanti dirigendosi alla tenda di Erix e Bryce li seguì mescolandosi alla piccola folla che era stata attirata dallo scalpiccio degli zoccoli.
Arrivò quando i tre erano già smontati ed erano entrati nella tenda della comandante.
“Chi sono?” le domandò Vyncent.
“Conosco solo uno di loro” rispose. “Persym. Lo stregone che cavalcava in mezzo.”
Vyncent annuì grave. “È il comandante dell’alleanza in assenza di tuo padre. Ne ho sentito parlare. Sai anche chi sono gli altri due?”
Scosse la testa.
“Ve lo dico io chi sono” disse Divash emergendo alle loro spalle come un fantasma.
Bryce notò che la sua espressione si era fatta ancora più cupa.
Sa decisamente qualcosa, si disse.
“Parla” lo esortò Elvana.
“Il tizio con la barba si chiama Ervik Daronda. Invece la ragazza con la faccia antipatica si chiama Amya Shelef.”
“Mai sentiti prima” disse Elvana. “Non è che te li stai inventando?”
Divash sorrise mesto. “Magari fossero solo il frutto della mia fantasia. No, sono reali e so chi sono.”
“Li conosci?” gli chiese.
“Di fama principalmente, ma li ho visti un paio di volte al campo precedente. Non si fanno mai vedere troppo in giro e di solito vengono al campo solo per ricevere gli ordini e ripartire subito. Ecco perché voi non li avete mai visti. Passate tutto il tempo a discutere di quanto siete bravi e scaltri.”
“Ma smettila” disse Elvana. “Lo dici solo per sentirti importante. Chi sarebbero questi due? Ne parli come se fossero dei dannati spettri.”
“Niente spettri” disse Divash. “Io userei piuttosto la parola massacratori.”
 
“L’ultima volta che li ho sentiti parlare” disse Divash mentre tornavano verso il focolare lasciato a languire. “Si vantavano di aver attaccato e distrutto una dozzina di piazzeforti dei rinnegati. Piccole basi che usavano come nascondiglio con l’appoggio degli abitanti del luogo.”
Bryce lo fissò in silenzio.
“Avreste dovuto sentirli come si vantavano delle loro imprese” proseguì lo stregone. “Ervik meno dell’altra. Amya sembrava quella più soddisfatta e a chi glielo chiedesse faceva l’elenco dei posti che avevano visitato e ripulito. Questa era la parola che usavano.”
“Quali posti?” gli chiese Bryce con tono inquisitorio.
Divash scrollò le spalle. “Nessuno davvero importante. Non li troverai sulle mappe.”
“Dimmene un paio” lo esortò.
“Tzion, Famel, Matholin, Sharim, Shahona e altri così. Nomi senza alcuna importanza.”
“Senza alcuna importanza” disse Bryce con lo sguardo fisso davanti a sé.
Vyncent dovette notare qualcosa e anche Elvana le scoccò un’occhiata perplessa.
“Hai la faccia di una che ha visto uno spettro” disse la strega.
“Non uno spettro, ma una massacratrice” disse Bryce. Si girò di scatto e tornò a passo veloce verso la tenda di Erix.
“Aspetta” disse Elvana.
Bryce la ignorò. Non voleva ascoltarla. Il sangue le martellava nelle tempie offuscando qualsiasi altro pensiero.
“Bryce, fermati un attimo” sentì dire a Elvana.
Accelerò il passo.
“Londolin, aiutami dannazione.”
“Bryce” disse Vyncent. “Bryce, vuoi fermarti un attimo?”
La sua voce la fece sbandare. Si voltò di scatto, un dardo magico che le brillava nella mano destra e uno in quella sinistra.
Vyncent la guardò stupito. “Che vuoi fare con quelli?” le chiese allarmato.
“Non è chiaro? Voglio uccidere Amya Shelef ed Ervik Daronda.”

 

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Capitolo 50
*** La decisione è già stata presa ***


La decisione è già stata presa

 
Elvana si piazzò dietro di lei mentre Vyncent e Divash si guardavano interdetti.
“Qualunque cosa tu voglia fare” stava dicendo Vyncent. “O pensi che quei due ti abbiano fatto, sono sicuro che si possa trovare una soluzione diversa.”
“Tu dici?” gli chiese sollevando la mano. Non aveva idea di quando fosse apparso il dardo al centro del palmo, ma adesso che era lì, che lo sentiva, che avvertiva il potere che aveva concentrato in esso, voleva che vi restasse.
Almeno finché non avesse incontrato Amya o Ervik.
Se fossero stati insieme non sapeva chi avrebbe attaccato per primo.
La strega, si disse. Colpirò prima lei.
“Bryce” disse Vyncent muovendosi di lato con passi brevi. “Mi stai facendo paura. Non hai l’aspetto di una che sta scherzando.”
“Non scherzo affatto. Dico sul serio. Li voglio ammazzare.”
“È impazzita” disse Divash. “A volte capita. Battaglie, duelli, morti, vedi la gente ammazzata anche nei sogni, mentre mangi e la mente si perde.”
“Non è pazza” disse Elvana. “Vero, principessa? Perché se lo sei è davvero un grosso guaio per tutti.”
“Non sono pazza” disse Bryce.
Qualche soldato passò rivolgendo loro un’occhiata incuriosita. Uno fece per andare da loro.
“Che hai da guardare tu?” fece Elvana a muso duro. “È una faccenda privata. Tra amici.”
Il soldato esitò e cambiò direzione. Con la coda dell’occhio lo vide girare la testa e lanciare occhiate perplesse verso di loro, ma non rallentò né si fermò.
“Se non sei pazza” disse Vyncent. “Allora spiegaci che cosa vuoi fare.”
“Te l’ho detto. Uccidere Amya Shelef ed Ervik Daronda.”
Divash ghignò. “È pazza. Ovviamente dice di no, perché nessun pazzo crede davvero di esserlo. Probabilmente pensa che siamo noi i pazzi.”
Vyncent gli fece un cenno con la mano. “Puoi dirci perché lo vuoi fare?”
Bryce esitò.
“Non sto dicendo che non devi. Sono sicuro che hai un buon motivo per volerli morti, ma vorrei lo stesso che ce lo dicessi.”
“Perché dovrei?”
Vyncent scrollò le spalle. “Potremmo anche decidere di aiutarti.”
“Parla per te” disse Divash. “Minacciare dei mantelli di alto rango, che fanno addirittura da scorta al comandante supremo, è una cattiva idea.”
“Quanto cattiva?” chiese Elvana.
“Abbastanza da mandarti a Krikor.”
“Bryce?” fece Vyncent col solito tono calmo. “Puoi dircelo o no?”
“Divash lo sa, il motivo.”
“Non mi coinvolgere in questa follia” disse lo stregone.
“Lui ha capito quello che sta per accadere.”
“Lasciami in pace.” Divash fece per allontanarsi ma Vyncent gli bloccò il passo.
“Voglio capire anche io” disse con tono più deciso.
“Che vuoi capire tu?”
“Che cosa sta per succedere.”
Divash ghignò e scosse la testa.
“Non ce ne vuoi parlare?” gli chiese.
“Certe cose sarebbe meglio non dirle a voce alta.”
“Avanti, Div” fece Elvana. “Stiamo parlando tra amici. Sono soltanto parole.”
“Certe parole” disse lo stregone stringendo i denti. “Possono essere parecchio pericolose se dette a voce troppo alta. O davanti alle persone sbagliate.”
Vyncent tornò a rivolgersi a lei. “Che cosa sta per succedere? Che cosa sapete voi due che noi non sappiamo?”
“È meglio se vi fate da parte” disse Bryce respirando a fondo. “Tutti e tre. Posso sbrigarmela da sola.”
“Io non mi muovo di qui” disse Elvana.
“E io nemmeno” aggiunse Vyncent.
“Non dovete essere coinvolti anche voi” disse Bryce. “Sarebbe inutile.”
Tra le mani di Elvana apparve la corda magica. “Questa potrebbe essere utile, invece.”
“Mettila via” le disse con tono perentorio.
“Fammela mettere via tu” la sfidò lei.
Bryce stava per risponderle, quando Vyncent fece un passo avanti. Temette che stesse per affrontarla e si ritrasse di scatto per evitare lo scontro.
Non voglio fargli del male, si disse. Non voglio fare del male a nessuno di loro.
“Vogliamo solo capire che sta succedendo” disse Vyncent. “Per favore.”
Il cuore di Bryce aveva rallentato di qualche battito e i pensieri erano diventati più chiari. Quella che all’inizio le era sembrata una buona idea, l’unica cosa giusta da fare, ora non le sembrava affatto così.
Se attacco quei due, si disse, mi seguiranno e verranno coinvolti anche loro. A meno che non riesca a bloccarli qui, ma facendo loro del male. E io non voglio che questo accada.
Emise un profondo sospiro e abbassò le braccia. Nello stesso momento, lasciò che il potere accumulato nei muscoli, nelle ossa e nei dardi magici defluisse, disperdendosi nell’aria.
Scosse la testa affranta. “È tutto un grosso errore” disse.
“Finalmente” disse Elvana alle sue spalle. “Ho temuto davvero di doverti colpire.”
Vyncent si avvicinò di un altro passo. “Stai meglio? Sei più calma ora?”
Annuì, lo sguardo basso.
“Vuoi dirci che sta succedendo?”
“Li uccideranno tutti” disse con tono cupo.
“Chi verrà ucciso?”
“Gli arziti.”
 
Bryce sedette davanti al focolare, lo sguardo fisso alle ceneri di ciò che restava del fuoco. Elvana scacciò i pochi soldati che si trovavano lì attorno.
“La mia amica sta male. Ha bisogno di aria pulita da respirare e voi la rendete pesante con la vostra puzza.”
I soldati la guardarono in malo modo e si allontanarono lanciandole maledizioni a bassa voce.
Elvana tornò soddisfatta. “Non ci disturberanno. Potete parlare di tutto ciò che volete.”
Divash sedette di fronte a lei e Vyncent si accomodò alla sinistra, l’espressione comprensiva sul viso.
“Tu lo sapevi già” disse Bryce rivolta a Divash con tono d’accusa.
Lo stregone ghignò. “Io non so niente, principessa. Ma riesco a immaginarmi le cose prima che succedano, a volte. Chiamala fantasia o accortezza, è la stessa cosa.”
Elvana sedette a un paio di passi di distanza. “La smettete di parlare in questo modo voi due? E mi spiegate perché la mia protetta ha appena cercato di farsi mandare a Krikor per niente?”
“Non era per niente” disse Bryce. “E non sono la tua protetta.”
“Qualcuno deve pure farlo, principessa.”
Bryce non aveva la forza di ribattere e si limitò a scuotere la testa sconsolata.
“Perché gli arziti saranno uccisi?” chiese Vyncent.
“Perché non vogliono fare parte dell’alleanza.”
“Non mi sembra un buon motivo” disse Elvana.
“Ha più senso di quanto credi” rispose Divash. Guardò Bryce. “Volevi salvare quelli lì dopo il modo in cui ti hanno trattata, principessa?”
“Dovrei lasciare che li uccidano?”
“Non è detto che accada.”
“Ho visto che cosa hanno fatto a Sharim,”
La mascella dello stregone si contrasse. “Quando eri prigioniera di Azaril?”
Annuì.
“Perché non ce l’hai detto?” le chiese Vyncent.
“Pensavo che mi avesse mentito. O che avesse cambiato qualcosa per convincermi che fosse tutto vero. C’era anche Darina.”
Vyncent si accigliò.
“Una bambina che dicevano fosse l’unica sopravvissuta dell’attacco.”
Divash trasse un profondo sospiro. “Non puoi sapere che cosa è accaduto davvero. E nessuno te lo dirà mai. Per quanto ne sappiamo, i posti che hanno distrutto erano pieni di pericolosi rinnegati o di loro amici.”
“Come Arzit?” chiese Bryce polemica.
Divash scrollò le spalle.
Si alzò di scatto. “Dici che non sappiamo niente e non ce lo diranno mai, ma posso comunque provare a chiederglielo.”
Vyncent ed Elvana si alzarono a loro volta.
Bryce mostrò le mani. “Voglio solo andare a parlare.”
“Non hai la faccia di una che vuole solo parlare” disse Elvana.
“Potete venire anche voi se volete” le concesse. “Così vedrete da soli che non ho brutte intenzioni.”
Vyncent scambiò una rapida occhiata con Elvana, poi guardò Bryce. “Sul tuo onore?”
Bryce si mise la mano sul petto. “Sul mio onore.”
 
La tenda di Erix era sorvegliata ma i mantelli di guardia si limitarono a lanciarle occhiate di sfida mentre entrava senza farsi annunciare.
Diede una rapida occhiata a Vyncent ed Elvana che si erano fermati prima della soglia e fece loro un rapido gesto, quindi scostò il velo ed entrò nella tenda.
L’interno era occupato da due sole figure. Una, quella di Erix, fissava l’altra con espressione preoccupata. Quando si accorse di Bryce le rivolse un’occhiata stupita. “Tu che vuoi? Che ci fai qui?”
Bryce guardò l’altra figura. Era quella di Persym.
L’arcistregone indossava una tunica bianca sotto il mantello azzurro con ricami in platino. L’espressione era severa e non nascose il suo disappunto quando si accorse che era entrata nella tenda.
“Irruenta come al solito” disse. “Erix mi stava appunto aggiornando su di te e le tue ultime imprese.”
Bryce gli rivolse un rapido cenno con la testa. “Io ti saluto” disse con tono poco cortese. “E mi scuso per essermi presentata senza farmi annunciare, ma avevo bisogno di conferire in fretta con la mia guida e comandante.”
“Ora sei qui” disse Persym. “Non potevi attendere? Stavamo quasi per finire.”
“Ti ho detto che non potevo aspettare.”
“Cosa c’è di così importante da essere più importante di due mantelli di alto rango conferiscano tra di loro sulla guerra in corso?”
“Perdonami se insisto” disse Bryce stanca di quella schermaglia. “Ma ci sono delle vite che sto cercando di salvare.”
Persym si accigliò.
“Non avendo potuto fare niente per quelle di Sharim, sto provando a preservare almeno quelle di Arzit.”
Stavolta Erix sgranò gli occhi. “Di che cosa stai parlando?” le chiese.
“Divash mi ha detto chi sono quei due. Shelef e Daronda.”
“Due ottimi comandanti” si affrettò a dire Persym.
“Lo vedremo” rispose Bryce.
Lo stregone si accigliò. “Metti in dubbio la loro fedeltà o la loro abilità?”
“Nessuna delle due” ribatté.
Persym la guardò contrariato. “Aspetterò fuori che finiate” disse voltandosi di scatto.
“Ti chiedo perdono” si affrettò a dire Erix.
“Tieni a bada i tuoi sottoposti” le disse l’arcistregone mentre usciva. “O dovrò riconsiderare il tuo comando.”
Guardò Erix. “Dimmi che non è come penso. Dimmi che non farete niente contro gli arziti.”
Erix serrò la mascella.
“È tutto vero, quindi” disse Bryce incredula. “Div aveva ragione.” Scosse la testa. “Non lo fate.”
“La decisione è stata già presa” disse Erix.
“No.”
“Distruggeremo Arzit.”

 

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Capitolo 51
*** Giusto castigo ***


Giusto castigo

 
È un incubo, si disse Bryce. Tutto ciò non può essere vero. Erix non può aver detto una cosa così terribile. Devo essermi sbagliata.
“Ci sono almeno trentamila persone dentro le mura” disse con un groppo in gola.
“Non le uccideremo tutte ovviamente” disse Erix con tono serio. “Cercheremo di ridurre al minimo le vittime. Persym pensa che ce ne saranno solo due o tremila. Cinquemila, se gli arziti combatteranno casa per casa, ma noi speriamo ovviamente di no.”
“Voi sperate?”
“Gestire l’assalto a una città fortificata non è mai una cosa semplice. Spesso si preferisce l’assedio nella speranza che si arrendano prima che le scorte finiscano, ma i raccolti sono stati buoni quest’anno e i loro magazzini sono pieni. Potrebbero resistere per intere Lune, forse addirittura un anno. Non abbiamo tutto questo tempo a disposizione. E c’è un’altra faccenda da tenere in considerazione.”
Attese che proseguisse.
Erix sospirò. “Parlo delle nostre perdite, ovviamente. Un assalto richiederà il sacrificio di almeno dieci formazioni complete, quindici se siamo sfortunati. E un centinaio di mantelli.” Scosse la testa. “Quanto vorrei che si potesse fare in un altro modo.”
Bryce deglutì a vuoto. “Allora andiamo via.”
“Questo non è possibile.”
“Perché no? Leviamo il campo e troviamo un’altra città alleata.”
“Chi controlla Arzit, controlla questa regione. E chi controlla questa regione ha accesso a campi coltivati, corsi d’acqua e le vie commerciali dalla costa occidentale fino ad Arental. Se ce ne andiamo, l’orda si getterà sulla città come un lupo affamato. Lo hanno già fatto altrove.”
“Sharim” disse Bryce.
Erix serrò la mascella. “Quella è stata una faccenda spiacevole.”
“Soprattutto per quelli che ci abitavano.”
“Per tutti. Non fu una decisione semplice.”
“Molto comodo pensarla in questo modo.”
“E per te è molto facile giudicare, principessa di Valonde, ma Sharim era solo uno dei tanti villaggi che stavano passando al rinnegato. Che lo aiutavano e supportavano dando rifugio alle sue bande di razziatori.”
“Perché Sharim e non un altro villaggio, se erano centinaia?”
“Perché non loro? Dovevamo colpirne qualcuno per dare un segnale a tutti gli altri. Stilammo un elenco e sorteggiammo alcuni nomi a caso.”
Bryce sentì la rabbia crescere dentro di sé. “A caso” disse con un filo di voce.
“Serviva un segnale forte.”
“Ed è servito a qualcosa?”
“Nessun altro villaggio di questa regione ha dato appoggio ai rinnegati.”
Bryce rifletté in fretta sulle parole successive. “Quanti villaggi hanno respinto l’orda? Quanti non si sono sottomessi a loro?”
Erix si accigliò. “Non lo so con esattezza. Tutti quelli che non li hanno aiutati.”
“E quanti di loro sono stati distrutti?”
“Nessuno” disse dopo qualche esitazione. “Ma questo vuol dire poco. L’orda ha bisogno di molte meno risorse. È un’armata senza una vera organizzazione. Per la maggior parte sono sbandati che…”
“L’armata di Azaril non era fatta di sbandati” disse Bryce alzando la voce. “Erano ben organizzati, proprio come noi. Mangiavano carne e frutta fresca in abbondanza.”
“Hai visto solo quello che loro hanno voluto farti vedere.”
“Ho visto una bambina.”
Erix si accigliò.
“Si chiamava Darina ed era una sopravvissuta di Sharim. Ho visto la paura nei suoi occhi, ogni volta che guardavano i simboli di Valonde. Ne era terrorizzata.”
“Posso solo immaginare che cosa abbia passato e non provo alcun piacere, ma è la guerra. Dovevamo fare qualcosa.”
“E ora farete lo stesso con Arzit.”
“È colpa loro. Ci hanno letteralmente costretti.”
“Tu avevi detto che avrebbero votato entro una Luna o due e che sarebbero passati dalla nostra parte” gridò. “Perché non possiamo aspettare?”
“Perché non abbiamo più tempo” disse Erix con tono perentorio. “C’è un’armata di rinnegati che si sta formando a occidente. Non sappiamo quanti siano, ma supponiamo che si tratti di cinquantamila. O centomila soldati e mille mantelli.”
Bryce sgranò gli occhi. “Sono molti più di noi.”
“Non se uniamo le forze con l’armata di Northon. Ci stanno aspettando a settentrione, pronti a marciare uniti sotto i vessilli dell’alleanza. Ma non potremo farlo senza l’appoggio di Arzit. O senza essere assolutamente certi che non ci colpiscano alle spalle dopo essere passati con l’orda.”
“Non lo faranno, te lo garantisco.”
“Tu garantisci per loro, Bryce? Dopo che ti hanno umiliata?”
“Noi abbiamo umiliato loro per primi.”
Erix scosse la testa. “Che assurdità.”
“Ti dico che…” iniziò a dire.
“Basta, ne ho abbastanza. Ora lasciami sola, ho un consiglio di guerra da organizzare.”
“Devi ascoltarmi.”
“Ti ho già ascoltata. Adesso esci dalla mia tenda.”
Bryce la fissò con aria di sfida.
“Esci o ti farò trascinare fuori a forza, e ti punirò davanti a tutta l’armata come insubordinata.”
“È un errore.”
“Vai via adesso, principessa Bryce.”
Si girò di scatto e uscì dalla tenda. Appena fuori, incrociò lo sguardo severo di Persym.
“Hai ancora molto da imparare, principessa di Valonde” disse l’arcistregone.
“Vuoi insegnarmelo tu?” gli chiese con tono provocatorio.
Persym la fissò con supponenza. “Io spero solo che la guerra duri abbastanza da giustificare tutta la fiducia che è stata riposta in te. Lo dico perché al momento non mi sembra che la tua presenza sia servita a qualcosa, se non a rendere le cose più complicate.”
“Massacrare cinquemila arziti le renderà più semplici?”
“Se servisse ad accorciare la guerra anche di un solo giorno, ne farei massacrare anche diecimila” rispose l’arcistregone.
Bryce deglutì a vuoto e strinse i pugni.
“Tu non sei d’accordo con me, principessa? Vuoi che la guerra duri di più? Vuoi sacrificare altri mantelli e soldati di Valonde per salvare qualche migliaio di arziti traditori e spergiuri? È questo quello che vuoi?”
“Sembra quasi che provi piacere al solo pensiero” rispose.
“Provo piacere al pensiero di infliggere un giusto castigo a chi se lo merita.”
“Gli arziti non ci hanno fatto niente.”
“A volte si viene puniti anche per quello che si potrebbe fare e non si è fatto. Rifiutando la nostra generosa offerta di alleanza e protezione sapevano bene a cosa stessero andando incontro. Abbiamo inviato te affinché si convincessero che non eravamo dei mostri insensibili come ci descrivevano, ma ti hanno umiliata e cacciata via. Per questo motivo ora subiranno le conseguenze della loro arroganza. E la loro fine sarà d’esempio per tutti gli altri.”
Bryce fece per alzare un braccio ma una mano le afferrò la spalla e la costrinse a voltarsi. Si ritrovò a fissare il volto dall’espressione tesa di Vyncent.
“Vieni via. Ora.”
Fece per opporsi ma Elvana la sospinse sul fianco spingendola di lato.
“Si è fatto tardi” disse. “E io ho fame. A mensa serviranno lo stufato di carne e non me lo voglio perdere per colpa tua.”
“Lasciami” ringhiò.
Elvana la ignorò.
“Lasciami ora” disse con tono rabbioso divincolandosi. Guardò nella direzione di Persym e lo vidi chinarsi per entrare nella tenda di Erix.
Vyncent riprese a tirarla ma con delicatezza. Voleva arrendersi alla sua pressione. Voleva arrendersi a qualsiasi cosa ma si costrinse a restare in piedi. Si trascinò lontana dalla tenda della comandante, riluttante a fare un passo dopo l’altro.
“È la seconda volta che ti evito di ammazzare qualcuno” stava dicendo Elvana con tono divertito. “Ma non ti assicuro che potrò farlo sempre.”
“Nessuno ti ha chiesto di fare niente.”
“Gliel’ho chiesto io” disse Vyncent.
“Non è vero” disse subito Elvana. “Lui si è messo in mezzo, ma non ce n’era bisogno.”
Vyncent si strinse nelle spalle. “Sei calma adesso?”
“Di nuovo?” fece Elvana.
Bryce nascose la sua irritazione. “Sì. Ma non molto.”
“Certo che quel Persym è davvero strano” disse Elvana. “Sembrava quasi che ti volesse provocare. Voleva che lo attaccassi.”
“Vogliono distruggere Arzit” disse quando furono dall’altra parte del campo.
“Sì, lo sappiamo” rispose Elvana.
Bryce la guardò stupita.
“Mentre parlavi con Erix ci siamo fatti dire tutto da Divash” spiegò Vyncent.
Aveva ancora la gola secca al solo pensiero. “Non posso permetterlo.”
Elvana le lanciò un’occhiata interdetta. “Non puoi o non vuoi? Dopo il modo in cui ci hanno trattati, è il minimo che potessero aspettarsi.”
“Non è un motivo valido per ucciderne a migliaia.”
“Non moriranno così tanti” disse la strega di Ningothris. “Quando vedranno mantelli e formazioni schierate fuori dalle mura, capiranno quello che sta per accadere e faranno la scelta più giusta.”
“E se non la facessero?”
Elvana scrollò le spalle. “Sarebbero dei folli.”
“C’eri anche tu quando ho parlato con Coralena” disse Bryce. “Ti ha dato l’impressione che si sarebbe arresa, davanti alla nostra minaccia?”
“Non spetta a lei decidere. E sì, penso che quella lì si farebbe felicemente massacrare pur di poter dire di non essersi inginocchiata all’alleanza. Ma sarebbe una stupida.”
“Tu lo faresti?”
Elvana tacque per qualche istante. “Ningothris si è inginocchiata a Valonde secoli fa. Non ha importanza quello che farei io.”
“Ma se potessi scegliere di combattere e morire per essere libera?”
“Non lo so che cosa farei. Voi Valonde non vi siete mai sforzati troppo per essere amichevoli. O simpatici.”
Bryce si accigliò.
“Siete i più forti. I migliori, su questo continente. Tutti lo ammettono, anche se non lo dicono apertamente. E sapete di esserlo. Ce lo ricordate ogni momento. Quelli che non vi ammirano, vi temono perché sanno che rifiutare una vostra richiesta di amicizia può voler dire farsi un nemico potente.”
Bryce inalò una boccata d’aria e guardò Vyncent. “E tu? La pensano così anche a Londolin?”
“Loro sono vostri alleati da sempre” disse Elvana sprezzante.
Vyncent si strinse nelle spalle. “Noi siamo troppo piccoli e insignificanti, Bryce. Contiamo poco da soli, ma insieme a Valonde sentiamo di valere di più. Molti la pensano in questo modo.”
“Gli arziti conterebbero di più se si schierassero al nostro fianco? O preferirebbero morire da insignificanti, ma liberi?”
“Io credo che ti possano rispondere soltanto gli arziti. Ma l’ultima volta che siamo stati da loro, mi sembra che la risposta sia stata chiara.”
“Forse non gli abbiamo posto la domanda nel modo giusto.”

 

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Capitolo 52
*** Ciò che è giusto ***


Ciò che è giusto

 
Bryce chinò la testa davanti a Erix, le mani congiunte sul ventre. “Voglio chiederti perdono” disse con tono contrito. “E accettare qualsiasi punizione tu voglia infliggermi.”
“Ricordo di aver già avuto questa discussione” rispose la comandante. “E che la punizione che ti ho inflitto non è servita a molto. Ma allora avevi aggredito un confratello di alto rango, mentre questa volta ti sei introdotta nella mia tenda senza farti annunciare, interrompendo un consiglio di guerra.”
“So che è molto grave.”
“Meno di quanto credi” rispose Erix. “Ma mi hai messa in una brutta posizione, specialmente con Persym. Quell’idiota è convinto che dovrei rispedirti a Valonde. Dice che sei intrattabile, irrispettosa, indolente e ignori gli ordini. E io sono d’accordo con lui.”
“Quindi mi rimanderai a Valonde?”
“Ci penserò dopo aver risolto la faccenda di Arzit. Persym ha insistito perché fossi io ad avere il comando delle formazioni che si lanceranno all’assalto.”
Bryce annuì. “Immagino che lui guiderà i mantelli insieme a Shelef e Daronda.”
“In verità, mi ha indicato un nome del tutto diverso.”
“Posso chiederti quale?”
“L’avresti in ogni caso scoperto molto presto. Persym vuole che sia tu a guidare l’assalto dei nostri mantelli.”
Bryce sgranò gli occhi. “Ma hai appena detto che non si fida di me.”
“Vuole metterti alla prova, è chiaro. Dopo quello che hai detto, dubita della tua completa lealtà alla causa dell’alleanza. E non è il solo. La notizia si è diffusa nel campo e tutti ne parlano. Potremmo sopportarlo se si trattasse di una strega di rango inferiore, ma tu sei la figlia di Marget e Andew. Non possiamo consentire che ci sia anche solo il minimo dubbio sulla tua lealtà. Dovrai dimostrare da che parte sei schierata.”
“Io sono dalla parte di Valonde e dell’alleanza” disse convinta.
Erix annuì con vigore. “Bene. Domani potrai dimostrarlo. Adesso vai a riposare.”
Annuì e fece per girarsi. “Posso fare una richiesta?”
Erix si accigliò. “Solo se ragionevole.”
“Non voglio alcuna scorta sul campo domani.”
“Hai litigo di nuovo con Elvana?”
“Penso che sminuirebbe la mia autorità.”
La comandante annuì seria. “Mi sembra giusto. Ordinerò io stessa a Elvana di restare al mio fianco, come mia scorta personale.”
“E nemmeno Vyncent, Divash, Jehla Metz, Fraska e Yan.”
Erix la fissò in silenzio. “Perché non li vuoi con te? Ti sarebbe utile avere al tuo fianco mantelli di cui puoi fidarti.”
“Te lo chiedo per favore.”
“So che cosa stai cercando di fare.”
No, pensò. Non lo sai affatto. E nemmeno lo immagini.
“Non puoi proteggere le persone a cui tieni” proseguì Erix. “Non sul campo di battaglia.”
È da me che voglio proteggerli, si disse.
“Ti chiedo almeno di considerare la mia richiesta.”
La comandante sembrò esitare, poi disse: “Metterò quei tre nel gruppo d’assalto successivo. Nel prossimo consiglio di guerra discuteremo dell’attacco. Fino a quel momento, riposati e rifletti su ciò che hai fatto.”
“Ti ringrazio” disse dopo averle rivolto un inchino.
Erix fece un gesto vago con la mano.
Appena fuori dalla tenda, si diresse alla sua senza alzare la testa. Evitò le occhiate di soldati e mantelli cercando di farsele scivolare addosso. La notizia del suo litigio con Erix si stava già diffondendo e, anche se la comandante non aveva rivelato che cosa si fossero dette, qualcosa era comunque trapelato.
Erano sguardi ostili quelli che la scortarono fino alla tenda.
So a che cosa stanno pensando, si disse. Ma non mi importa. Sul campo di battaglia dimostrerò loro chi sono davvero.
Fece per entrare nella tenda ma un rumore di passi e un’ombra che si mosse al suo fianco la fecero trasalire. Si girò di scatto incontrando lo sguardo severo di uno stregone alto e imponente, il viso nascosto da una folta barba marrone.
Serrò la mascella. “Io ti saluto” disse in maniera automatica.
“E io saluto te, principessa Bryce. Mi conosci?”
Annuì. “Sei Ervik Daronda. Sei arrivato al campo insieme alla scorta di Persym.”
Daronda annuì grave. “Hai qualche momento da dedicarmi o devi riposare?”
Bryce rifletté qualche istante su quella domanda. “Il riposo può attendere per il momento. Ho riposato abbastanza ad Arzit.”
“Bene. Facciamo due passi?”
Bryce lo seguì fino ai recinti dei cavalli, in silenzio, quando Daronda si fermò voltandosi verso di lei.
“So delle voci che girano su di me e Amya.”
Bryce lo fissò in silenzio.
“E so che non sono affatto lusinghiere.”
“Tutti dicono che siete dei mantelli valorosi” si affrettò a dire. “E che portate sempre a compimento gli incarichi che vi assegnano.”
“Incarichi” disse Daronda. Per un attimo sembrò che volesse sogghignare ma subito tornò serio. “Facciamo sempre quello che ci ordinano di fare. A volte non traiamo piacere dagli atti che compiamo, ma dobbiamo farlo. Sono gli ordini.”
Bryce si accigliò. “A volte un ordine può essere interpretato. O aggirato.”
“Per te forse è facile dirlo, ma Amya e io veniamo da famiglie della provincia, dove il Dono è raro e a volte salta intere generazioni. Non possiamo concederci di interpretare gli ordini che riceviamo e nemmeno aggirarli. Per noi sarebbe la fine.”
Mezza giornata fa volevo uccidere questo stregone, si disse divertita. E adesso ci sto parlando come se fosse un vecchio amico. Forse Elvana ha ragione a dire che sono folle.
“Che cosa vuoi dirmi, Daronda?” gli chiese spazientita. “Sono stanca e vorrei riposare prima dell’attacco.”
“Voglio parlarti proprio di questo.”
“Non potevi attendere il consiglio di guerra di Erix?”
“Se te ne parlassi in quella occasione, entrambi rischieremmo un passaggio per Krikor. Persino adesso sto rischiando incontrandoti qui fuori.”
Bryce si accigliò. “Continua” disse di fronte alla sua esitazione.
“So che cosa volevi fare, quando hai affrontato la comandante.”
Ecco, pensò Bryce. Ha scoperto che volevo ucciderlo e adesso vuole vendicarsi. O umiliarmi. Non gli concederò nessuna di queste due cose.
“Prima che questa guerra iniziasse, io avrei fatto lo stesso” proseguì Daronda.
Bryce inalò una profonda boccata d’aria. “Vuoi le mie scuse?” gli chiese con tono di sfida.
“Se le pretendessi, tu me le concederesti?”
“Mai.”
“Nemmeno se ti minacciassi?”
Scosse la testa.
“Potrei convincere Persym a farti tornare a Valonde. A umiliarti nel peggiore dei modi concepibili.”
“Non mi scuserò” disse con orgoglio.
“E se ti mandassero a Krikor? In fondo hai cercato di uccidere un confratello e una consorella.”
“Accetterei la punizione, ma non ti darei le mie scuse.”
Daronda la fissò divertito. “Perché?”
“Perché non è giusto” disse.
Lui si accigliò.
“Sharim, gli altri posti che avete colpito. Arzit. Non meritavano di essere distrutti. Non meritavano tutta quella sofferenza.”
“La sofferenza di pochi ha evitato quella di molti.”
“Domandalo a Darina” disse Bryce. “Se sai chi è.”
Daronda annuì serio. “La bambina che trovammo a Sharim” disse dopo qualche istante.
“Tu la conosci?” chiese stupita.
“La trovarono Amya e i suoi, in mezzo a una baracca che era andata a fuoco. Si era salvata per puro caso.”
Bryce scosse la testa. “Descrivimela.”
“Avrò avuto sui sei o sette anni, forse otto. Capelli scuri e grandi occhi neri che ci fissavano impauriti. Non scorderò mai quella espressione. Mai.”
“Stai mentendo?”
“Vorrei tanto che fosse una bugia. Il mio sonno non sarebbe tormentato da tanti demoni.”
“Li avete evocati voi.”
“Lo so” ammise lo stregone. “Persym aveva ordinato di uccidere chiunque si trovasse a Sharim durante l’attacco. Sapevamo che anche quella bambina era inclusa nell’ordine, ma nessuno di noi aveva voglia di eseguirlo. Venivamo da altre tre missioni simili ed eravamo stanchi di tutta quella morte. Amya e io sapevamo di non poter ordinare a un soldato o a un mantello di ucciderla. Si sarebbero rivoltati o, se avessero ubbidito, ne sarebbero rimasti devastati per sempre. Amya prese per mano la bambina e la portò con sé in una parte isolata del villaggio. Sapevamo tutti che non l’avrebbe uccisa, ma decidemmo di non guardare lo stesso. Se non avessimo saputo, se avessimo fatto finta che invece aveva eseguito quell’ordine fino in fondo, il peso della disubbidienza sarebbe stato più leggero da sopportare.”
“Che cosa accadde dopo?”
“Amya liberò la bambina e le diede da mangiare per tre giorni. Non poteva fare altro.” Scosse la testa. “Se quello che dici è vero, se è sopravvissuta nonostante tutto, sono felice di aver disubbidito.”
Bryce chiuse gli occhi e li riaprì dopo qualche istante. “Perché mi stai dicendo tutto questo? Salvare una vita non ti assolve da tutte e altre che hai distrutto.”
“Ne sono consapevole e anche Amya lo sa, ma non possiamo sottrarci al nostro dovere.”
“Quindi distruggerete Arzit.”
“Se ce lo ordineranno, lo faremo.” Sembrò esitare.
“Ma?” fece Bryce.
“Volevo dirti che non sei sola, principessa Bryce.”
Si accigliò.
“Ci sono altri che non sono d’accordo e non vogliono sopportare il peso dell’infamia. Altri hanno la schiena così gravata dalla vergogna che non riescono a guardare negli occhi i loro confratelli e consorelle.”
“Chi sono?”
“Molti” rispose Daronda. “Non so dirti chi e quanti di preciso, ma ci sono. Me ne accorgo dagli sguardi che mi lanciano, dai discorsi che fanno, dalle mezze frasi che pronunciano quando sono sicuri che nessun altro stia lì ad ascoltarli e a badare a ciò che dicono.”
“Se quelli di cui parli venissero allo scoperto” disse. “Potremmo far cambiare i piani di Persym e di Erix.”
“Può darsi, ma non lo faranno. Hanno paura delle conseguenze e delle punizioni.”
“Allora è tutto inutile” disse Bryce. “Non si può combattere una battaglia con un’armata di codardi, figuriamoci vincerla.”
“A volte” disse Daronda. “A un’armata di codardi serve solo un comandante coraggioso.”
Bryce lo fissò in silenzio.
“Qualcuno che indichi loro la strada” proseguì lo stregone. “Che gli ricordi per cosa stanno combattendo e ciò è giusto fare. O non fare. Ci serve una persona del genere, Bryce di Valonde.”
“Fai un nome, perché a me non viene in mente nessuno.”
“Tu sai di chi parlo” rispose Daronda.
“Ma forse quella persona non sa che stai pensando a lei.”
“Io credo che, quando saremo davanti alle mura di Arzit ed Erix sarà pronta a dare l’ordine di assaltare, scopriremo se questa persona sa davvero cosa è giusto e cosa non lo è.”

 

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Capitolo 53
*** Non devo aver paura ***


Non devo aver paura

 
Un raggio di sole le ferì gli occhi facendoli lacrimare. D’istinto li socchiuse per tornarli ad aprire subito e mettere a fuoco le mura della città.
Ritta sulla sella, Bryce strinse le redini fino a sbiancare le nocche. Cercò di nascondere il tremore che avvertiva in tutto il corpo fingendo di sistemare il mantello sopra le spalle.
Erix, alla sua destra, le gettò una rapida occhiata come per assicurarsi che fosse ancora lì e non altrove. A qualche passo di distanza, Daronda e Amya fissavano le torri di Arzit che sembravano incombere come giganti scolpiti nella pietra.
Da quella distanza riusciva a cogliere il movimento dei soldati che si stavano allineando sopra i camminamenti, mentre gli scudieri preparavano le faretre per le frecce e i dardi da balestra. Vide anche sventolare qualche mantello, segno che il circolo della città era stato avvertito.
I corni dovevano aver risuonato a lungo mentre l’armata dell’alleanza veniva schierata nella valle antistante l’ingresso principale. Voltandosi, Bryce poteva abbracciare con uno sguardo le cento formazioni allineate su otto colonne. Ogni formazione era composta da cento soldati.
Il calcolo di quanti erano stati schierati era semplice.
Diecimila lance, si disse. Un quinto dell’armata.
Il resto era vicino al campo e si stava ancora disponendo. Sarebbero intervenuti dopo il primo assalto, se le difese di Arzit avessero retto l’impeto o respinto gli invasori.
Invasori, pensò. Come siamo arrivati a questo? Dannazione.
Cercò con lo sguardo Daronda ma lo trovò con gli occhi fissi sulle mura di Arzit. Solo Erix muoveva la testa facendo spaziare lo sguardo attorno, come se stesse valutando a spanne la forza dell’armata.
Nel consiglio di guerra della notte precedente avevano stabilito che Bryce avrebbe guidato il primo assalto, come Erix le aveva già annunciato.
Bryce aveva accettato.
“Porterò a termine il mio compito” aveva detto.
Quando il consiglio era terminato, Erix l’aveva trattenuta nella sua tenda.
“Non correre rischi inutili” le aveva detto.
“Non voglio alcuna protezione.”
La comandante aveva fatto una smorfia di disapprovazione. “Voglio che questa sia per te una lezione, non una punizione. O una condanna a morte.”
“Sei tu che mi hai ordinato di guidare il primo assalto.”
“Non ti manderò incontro a morte sicura, Bryce. Anche se sembri entusiasta dell’idea.”
“Vorresti che mi gettassi ai tuoi piedi implorandoti di risparmiarmi?”
“Non lo faresti nemmeno se te lo ordinassi. O ti minacciassi. Sei troppo simile a tuo padre.”
Bryce si era trattenuta dal risponderle piccata. “Posso andare a riposare adesso?”
Erix l’aveva congedata con un cenno della testa.
Mentre tornava a testa bassa alla sua tenda aveva incrociato Elvana, Vyncent e Yan. Tutti e tre avevano l’espressione perplessa.
“Ci devi una spiegazione” aveva detto Elvana col suo solito tono sgarbato.
“Non ora” aveva risposto con tono perentorio. “Adesso ho voglia di riposare per domani.”
“È proprio di quello che succederà domani che vogliamo parlarti” aveva detto Vyncent.
Persino lui sembra agitato, si era detta, il cuore che le batteva forte.
“È una pazzia” aveva aggiunto Yan. “Andare all’assalto da sola, senza una scorta.”
“Non sarò da sola” aveva obiettato. “Ci saranno altri duemila soldati e venti mantelli con me.”
“Nessuno li vedrà” aveva replicato Vyncent. “Tutti cercheranno la principessa di Valonde, la strega che si è presentata al loro principe dichiarando di volerli rispettare e che tre giorni dopo li ha attaccati a tradimento.”
Bryce aveva deglutito a vuoto.
“Tutti gli arcieri riserveranno il primo colpo per te” l’aveva avvertita Yan. “Così come i migliori tiratori punteranno i loro dardi magici al tuo petto.”
“Il mio scudo è forte. Li respingerò tutti” aveva detto cercando di mostrarsi sicura.
“Non puoi respingere decine di colpi.” Elvana le agitò il pugno davanti al viso. “E non potrai evitare questo.”
Bryce l’aveva fissata perplessa.
“Se ti rompo qualche osso, domani non potrai partecipare a questa follia.”
“Adesso basta” aveva esclamato esasperata. “Conosco i pericoli che corro, non sono una stupida. Erix non mi avrebbe mai dato il comando dell’assalto se non lo avesse previsto. Se non avete fiducia in lei, andate alla sua tenda e fatele presente i vostri timori.”
“Servirebbe a qualcosa?” aveva domandato Elvana. “A parte farci mettere agli arresti per qualche giorno?”
Bryce aveva scosso la testa proseguendo verso la tenda.
“Sei una pazza, principessa di Valonde” le aveva urlato dietro Elvana. “E una sconsiderata. Così rovinerai tutto.”
“Credo che abbia preso la sua decisione” aveva udito dire a Yan.
Vyncent l’aveva seguita fino all’ingresso della tenda. “Bryce.”
“No” gli aveva risposto facendo per infilarsi dentro.
Lui l’aveva bloccata trattenendola per un braccio. “Ascoltami.”
“No” aveva risposto con meno convinzione.
“Devi. Per favore.”
L’aveva guardato trattenendo a stento le lacrime. “Che cosa vuoi?”
“Se posso dire o fare qualcosa per convincerti a desistere” aveva detto Vyncent. “Io sono qui.”
Bryce l’aveva fissato in silenzio.
“Farò qualunque cosa vorrai. Qualunque.”
Lo so, aveva pensato. Chiunque di voi lo farebbe. Ma io non lo merito.
“Non c’è niente che possa convincermi a rinunciare” aveva risposto. “Niente che tu possa dire o fare. Ho deciso da sola e me ne prenderò ogni responsabilità, correndo i pericoli che comporta.”
“Ne sei assolutamente sicura?” le aveva domandato.
Bryce aveva annuito.
Vyncent l’aveva lasciata. “Allora fai quello che devi fare, Bryce.”
Erix stava parlottando con Daronda e Amya. La comandante annuì e si voltò verso di lei. “È il momento.”
“Non proviamo a parlamentare con loro?” suggerì.
“È servito a qualcosa mandare la mia portavoce? Che cosa abbiamo ottenuto se non la tua umiliazione?”
“Tu volevi che fossi umiliata” disse con tono d’accusa.
“Speravo che non accadesse” disse Erix. “Fino al tuo ritorno ho pregato perché gli arziti ti accogliessero come amica e alleata e non come un ulteriore segno della loro presunta inferiorità.”
“Voi pensate che siano inferiori” ribatté.
“No, ti sbagli. Non esiste inferiore o superiore. Noi siamo Valonde, il regno più ricco e potente di questo continente. Siamo secondi soltanto a Malinor e l’arcipelago di Chazar è nostro pari. È così da secoli, tutti lo sanno e lo riconoscono. Chiunque ci abbia sfidati è stato distrutto o è diventato nostro alleato.”
“O servitore.”
“Devi ancora comprendere molte cose, principessa. Il mondo non è fatto di dominatori e servitori. Tutti serviamo qualcuno. Noi mantelli serviamo il circolo e questi è al servizio del regno, così i nobili servono il re e la regina, i tuoi genitori ed essi servono e proteggono il popolo, che a sua volta serve il regno e la nobiltà. Non riesci a cogliere un equilibrio in tutto questo?”
“Ci vedo una profonda ingiustizia” disse con tono amaro.
“L’ingiusto è una persona che si arroga il diritto di comandare chi è più potente di lui. Un usurpatore o un rinnegato, come Malag, che vorrebbe vedere crollare nella polvere tutto ciò che abbiamo costruito nei millenni.”
“Gli arziti non sono suoi alleati.”
“Non importa. Finché penseranno di poter restare fuori dalla guerra rifiutando di schierarsi, saranno una minaccia che non possiamo tollerare. E adesso, preparati all’assalto, Bryce di Valonde. Conosci gli ordini, i comandanti delle formazioni hanno i loro.”
Bryce annuì e strattonò le redini per far girare la sua cavalcatura. Si ritrovò a fissare duemila visi anonimi, i corpi nascosti dalle armature leggere e dalle cotte di maglia. Sotto indossavano tuniche e camice che andavano dall’azzurro intenso al blu stinto a seconda di quante volte fossero state usate e lavate. Qualcuno indossava elmi con decorazioni e uno dei comandanti un’armatura a piastre sulla quale spiccava in risalto la stella dorata a cinque punte simbolo del suo casato. In mezzo a ogni formazione colse lo sventolio di un paio di mantelli.
Sospirò a quella vista.
I miei confratelli e le mie consorelle, si disse. Ho giurato di proteggerli a costo della mia vita e adesso eccomi qui a guidarli in battaglia.
 “Sapete quello che dovete fare” disse a voce alta. “Seguite il mio mantello mentre avanziamo.”
I comandanti risposero a quelle parole urlando “Valonde.”
Dall’altra parte della spianata giunse un saluto simile che poi risuonò ovunque rincorrendosi. Ogni formazione gridava più forte per sovrastare le altre.
Lo fanno per attirare su di loro l’attenzione degli Dei della guerra, si disse divertita.
Era stata suo padre a raccontarle quella storia, in una breve pausa tra un addestramento e l’altro.
Scacciò quel ricordo scuotendo la testa.
“Valonde” gridò a sua volta facendo girare il cavallo. Trasse un profondo respiro mentre lo sguardo scivolava sulle merlature delle torri di Arzit e dietro le sue mura riusciva a cogliere una fugace visione delle case dai tetti spioventi decorate d’arancione.
Pensò ai cittadini che l’avevano accolta in silenzio, ai loro sguardi ostili mentre avanzava verso il palazzo del principe. Alle occhiate spaventate dei bambini davanti al suo mantello azzurro.
Chissà quanti di loro ieri sera sono andati a dormire sicuri nei loro letti e al risveglio hanno scoperto di essere in guerra e che la loro tranquillità era solo un ricordo.
Chissà quanti di loro domani dovranno piangere un padre o una madre, un fratello o una sorella o uno zio. Chissà quanti di loro, si chiese ancora, vagheranno spaventati per le strade di Arzit, toccati dalla guerra e dall’orrore, immemori di quanto hanno perso e ignari di quanto ancora li attende.
Chissà quante Darina, pensò infine, nasceranno domani. Bambine e bambini terrorizzati dall’azzurro di Valonde e dal simbolo del nostro circolo.
Sollevò un lembo del mantello, lo stesso dove Folwin il sarto aveva ricamato un delicato fregio in oro e platino, una stella a cinque punte che sembrava caduta dal cielo per imprimersi sull’azzurro profondo di quel delicato tessuto. Era stata sua sorella a insistere perché fosse lui a confezionare il mantello.
È così bello, si disse. Joyce ha davvero buon gusto. Nessuno dovrebbe avere paura di una cosa così bella. Nessuno dovrebbe aver paura del blu di Valonde, dei suoi simboli, del suo nome. Nessuno dovrebbe ritenere ingiusta la nostra alleanza. Nessuno.
Fece schioccare le redini. Il cavallo avanzò di qualche passo, come esitando.
“In marcia” gridò qualcuno alle sue spalle.
Nessuno dovrebbe avere paura di Valonde, si disse ancora mentre dava un secondo schiocco con le redini.
“Avanti.”
E nemmeno io, pensò.
Colpì i fianchi del cavallo con il tacco degli stivali e l’animale prese a galoppare deciso per la spianata. Sentì il vento che le scompigliava i capelli e faceva ondeggiare il mantello dietro di lei, ma li ignorò.
Così come evitò di voltarsi per non incrociare gli sguardi sorpresi a forse sconcertati di chi si stava lasciando alle spalle. Aumentò l’andatura chinandosi sul collo del cavallo, il vento che diventava impetuoso.
Si trattenne dall’evocare lo scudo magico.
Se deve accadere, si disse, che accada, ma se qualcuno di loro mi sta guardando, forse capirà il mio gesto.
Non piovvero dardi magici né frecce e quando arrivò sotto le mura a una ventina di passi, rallentò ed eseguì una curva stretta per voltarsi verso l’armata di Valonde. Con un gesto fluido smontò da cavallo e lasciò che l’animale proseguisse per conto suo. Solo allora evocò lo scudo magico nella mano sinistra e lo sollevò davanti a sé.

 

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Capitolo 54
*** Una via diversa ***


Una via diversa

 
Bryce rimase immobile davanti al cancello di Arzit, consapevole degli occhi che la stavano osservando. Poteva solo immaginare i pensieri che in quel momento stavano attraversando le loro teste.
Erix doveva essere sorpresa e indignata allo stesso tempo. Gli arziti forse stavano valutando se fosse il caso di ucciderla subito o attendere che fossero quelli dell’alleanza a pensarci. Vyncent e gli altri dovevano aver pensato che era impazzita ed Elvana forse stava ghignando dicendo a tutti che lei lo sapeva già e che era solo questione di tempo prima che si rivelasse a tutti per quello che era.
Perdonami padre, si disse. E anche tu, madre. So che vi darò un grande dispiacere ma lo sto facendo per impedire una strage inutile. Per Valonde. E anche per l’alleanza.
Dall’armata schierata davanti ad Arzit a cinque o seicento passi dalle mura si staccò un singolo cavaliere che trottò verso di lei.
Bryce intensificò il potere nello scudo, aspettandosi un attacco, ma non avvenne. Il cavaliere si avvicinò fino a diventare riconoscibile.
Era Daronda.
A una decina di passi di distanza smontò con un movimento agile e si posizionò al suo fianco.
“Era il segno che ti aspettavi?” gli chiese senza staccare gli occhi dall’armata. Qualcosa si agitava in mezzo alle file di soldati e mantelli e persino Erix andava avanti e indietro parlottando con quelli che aveva al fianco.
“Pensavo a un discorso” disse Daronda divertito. “A belle parole da dispensare prima dell’assalto, ma a questo proprio no. Ammetto che mi hai sorpreso.”
“Lo sai che probabilmente moriremo, no?”
“Intendi uccisi dagli arziti o dall’alleanza?”
“Potrebbero accadere entrambe le cose.”
Rivolse un’occhiata fugace alle mura dietro di lui. C’era agitazione dietro le merlature e le difese e da quella distanza poteva sentire i mormorii dei difensori.
Anche loro stanno decidendo che cosa fare, si disse.
“Se gli arziti avessero voluto ucciderci, l’avrebbero già fatto.”
“Che cosa aspettano?”
“Aspettano” rispose Daronda. “E anche noi dobbiamo farlo. Guarda.”
Dall’armata schierata si erano staccate altre figure. Alcune procedevano a cavallo, altre a piedi. Vide mantelli sventolare e scudi e lance splendere sotto il sole.
I primi cavalieri li raggiunsero e smontarono piazzandosi al loro fianco. I loro mantelli erano azzurri e verdi, rossi e galli e uno persino di un viola chiaro che ricordava il cielo estivo nelle notti in cui entrambe le lune erano alte.
E poi c’erano Jakos, Jehla Metz, Fraska e persino Divash che le rivolse un mezzo sorriso.
“Sapevo che saresti stata la causa della mia morte, principessa di Valonde.”
Rispose allo stregone con un sorriso ampio.
Vyncent camminò fino a lei. “Se avessi saputo cosa volevi fare, avrei insistito di più per essere al tuo fianco.”
“L’importante è che tu lo sia adesso” rispose. “Grazie.”
Anche se avrei voluto che tu rimanessi indietro, al sicuro, si disse. Ci sarei dovuta essere soltanto io qui, sotto queste mura. E invece…
Non si era aspettata che altri si unissero a lei, ma stava accadendo. Dall’armata dell’alleanza si staccarono altri soldati e mantelli che vennero dalla loro parte, lasciarono i cavalli e si disposero sotto le mura, creando una mezzaluna di mantelli agitati dal vento e lance e scudi che luccicavano al sole.
Bryce sospirò.
“Spero che tu abbia un piano” disse una voce divertita facendola sussultare.
Si voltò di scatto e incrociò lo sguardo divertito di Elvana.
La strega della notte avanzava guardandosi attorno come alla ricerca di un volto conosciuto.
“Ci sono proprio tutti a quanto pare” disse rallentando il passo. “Persino Londolin.”
“Io ti saluto” disse Vyncent con tono cordiale.
“Sì, certo” rispose lei con un’alzata di spalle. “Allora, questo piano, principessa di Valonde?”
Bryce si accigliò. “Sei venuta anche tu” disse scuotendosi dalla sorpresa.”
“Sono la tua scorta, l’hai dimenticato?”
“Non eri obbligata a venire.”
“Resto pur sempre la tua scorta.”
“Sei dispensata.”
Elvana si accigliò.
“Ho tradito l’alleanza e Valonde” disse Bryce. “Mi attende come minimo la morte o Krikor.  L’esilio, se saranno magnanimi.”
“Allora ti farò da scorta anche in quei posti terribili che dici” rispose lei sicura. “Perché non mi hai detto che cosa volevi fare?”
“Mi avresti ostacolata” rispose.
“Idiota” disse Elvana. “Ti avrei aiutata, invece.”
“Sul serio?” chiese sorpresa.
Elvana annuì con vigore.
“Anche sapendo che avrei fatto qualcosa di orribile e tremendamente stupido, che mi sarebbe costata la morte o l’esilio?”
“Da quando ti conosco non fai altro che metterti in pericolo. Non mi stupisce che tu sia arrivata a questo. Anche se ammetto che sono rimasta sorpresa per un po’.” Guardò verso l’armata. “Prima di andare via ho sentito che la comandante gridava ordini ad alta voce. Secondo me si prepara a un attacco.”
“Questo è inevitabile” disse Daronda. “Li stiamo sfidando con questa piccola rivolta. Non si sopravvive combattendo l’alleanza.”
Bryce sospirò. “Se attaccano, voi vi farete da parte.”
Elvana la guardò sorpresa. “Vuoi restare tu da sola?”
Annuì.
“Sola contro diecimila? Forse non così tanti, ottomila diciamo ma è probabile che arrivino dei rinforzi da quelli lasciati al campo ma… hai capito che cosa voglio dire, no?”
“Meglio morire da sola che trascinarne con me migliaia.”
Elvana ghignò. “Ma la sentite? Che nobiltà d’animo. Mi verrebbe voglia di abbandonarla davvero da sola e vedere che cosa accade.” Scosse la testa. “Nessuno si muoverà di qui. Io non lo farò di certo.”
“Io nemmeno” disse Vyncent.
“Non parlavo di te, Londolin.”
Vyncent sorrise. “Anche io sono contento di combattere al tuo fianco, come l’altra volta, ricordi?”
Elvana sbuffò. “Quello non fu un vero combattimento. Questa è una faccenda del tutto diversa.”
“Va bene” disse Divash. “Ci siamo schierati. E adesso?”
“Seguiamo il piano di Bryce” disse Elvana. La rivolse un’occhiata piena di attesa.
Bryce si strinse nelle spalle.
La strega della notte sgranò gli occhi. “Hai un piano, giusto?”
“A dire la verità, no.”
“Bene” disse Elvana. “Siamo morti.”
“Io nemmeno mi aspettavo che vi uniste anche voi” disse Bryce come a giustificarsi.
“Nessuno ti sta accusando” disse Elvana con tono di sufficienza.
“A me sembrava proprio che mi stessi accusando.”
“Principessa” disse Jakos con tono paziente. “Tu hai coraggio e sei avventata, ma Jehla Metz e io abbiamo un po’ di esperienza su come comportarsi in certe faccende. Se volessi accettare il nostro consiglio, saremmo lieti di dartelo.”
Jehla Metz annuì con foga.
“Non penso di avere altra scelta” ammise.
“C’è sempre una via” disse Jehla Metz. “Siamo in evidente svantaggio e abbiamo bisogno di rimettere le cose in equilibrio.”
“Ci servono alleati” aggiunse Jakos.
Jehla Metz indicò il cancello alle loro spalle. “Lì potresti trovarne qualcuno disposto a sostenerti nella tua lotta.”
Bryce si girò verso le mura di Arzit. Da quella distanza poteva vedere soldati e mantelli sporgersi da dietro le merlature per guardare cosa stesse accadendo in basso.
“Credo che a questo punto gli arziti saranno disposti ad ascoltarti” disse Jakos. “Scegli con cura le parole che userai perché da quelle dipenderanno le vite di migliaia.”
Bryce sospirò e si piazzò a dieci passi da una delle torri, lo sguardo rivolto in alto. “Sono Bryce di Valonde” disse con voce tremante. “L’armata dell’alleanza è schierata per combattere. Hanno forze sufficienti per assaltare le mura finché non cadranno. Io non posso evitare che ciò accada. Non da sola, almeno, né con tutti quelli che vedete schierati al mio fianco. Posso solo combattere per impedire che questo ingiusto massacro venga compiuto, ma so già che non vincerò. Per questo chiedo aiuto a voi. Potete restare dietro le vostre mura e vederci morire tutti prima che poi tocchi a voi. O potete uscire e scegliere una via diversa.”
Si girò e tornò a passo lento davanti al cancello.
“Buon discorso” disse Elvana. “Mi è piaciuto molto.”
“Grazie” rispose. Guardò Jakos e Jehla Metz. “E ora?”
“Aspettiamo” rispose la strega.
Bryce tenne gli occhi puntati sull’armata. Le formazioni che avevano rotto le fila quando alcuni soldati le avevano abbandonate si stavano ricomponendo. Mantelli si muovevano sullo sfondo mentre da più lontano si intravedevano file di soldati marciare dal campo verso lo schieramento.
“Erix sta richiamando le riserve” disse Jehla Metz.
“Prevedibile” osservò Jakos. “Io avrei fatto lo stesso.”
“Avrebbe dovuto attaccare subito” disse Divash. “È chiaro che Erix sta prendendo tempo.”
Daronda annuì grave. “In questo momento si starà consultando con gli altri comandanti. Ci sarà qualcuno che vuole un assalto rapido per eliminarci e altri che non vogliono veder morire così tanti dei suoi compagni.” Guardò Bryce. “Li hai messi in una situazione difficile.”
“Lo siamo tutti” ribatté Divash. “E noi siamo quelli che rischiano di più.”
“Se non volevi rischiare dovevi restare con Erix e i suoi” disse Elvana.
Un corno risuonò sopra le loro teste facendola sussultare. Per un attimo temette che fosse stato dato il segnale di attacco, ma il suono proveniva da sopra le mura.
“Stanno uscendo” avvertì un soldato che si era sporto. “Fate spazio o vi colpiremo dall’alto.”
“Allontaniamoci” ordinò Bryce.
Crearono un mezzo cerchio ampio duecento passi davanti al cancello.
“Adesso apriremo il cancello” annunciò lo stesso soldato di prima. “Se anche uno solo di voi cercherà di entrare, richiuderemo subito e vi colpiremo dall’alto. E lo faremo per uccidere.”
“Nessuno proverà a entrare” disse Bryce.
Il soldato si ritrasse.
Come annunciato il cancello si sollevò lento fino a metà. Sotto di esso apparvero due figure che si mossero incerte e poi con maggiore sicurezza.
Bryce faticò a metterle a fuoco prima di riconoscerle.
Erano Raz Ofra e sua figlia, Coralena. Camminavano fianco a fianco guardandosi attorno. Appena oltre la soglia, il cancello venne calato in fretta, i cardini che sferragliavano.
Bryce sospirò e rimase in attesa, la schiena dritta e la tensione che aumentava.
Raz Ofra e Coralena camminarono fino a trovarsi al centro del cerchio formato da Bryce e quelli che si erano uniti a lei.
“Siamo qui per parlare” disse Raz Ofra allargando le braccia.

 

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Capitolo 55
*** Fare la cosa giusta ***


Fare la cosa giusta

 
Bryce fissò con le labbra serrate Raz Ofra e sua figlia. Coralena la guardava con aria di sfida, come se si aspettasse che lei le saltasse addosso da un momento all’altro.
“Non capisco il motivo di tutto questo” disse Raz Ofra. “Ma ammetto che mi hai sorpreso. Fino a poco fa ero convinto che sarei morto prima della fine di questa giornata.”
“Non è detto che debba accadere” disse Bryce.
“Tu conosci un modo per impedirlo?”
“Quelli che vedi pensano che un modo esista.”
Indicò il mezzo cerchio che si era formato attorno a loro. Tutti si tenevano a cento passi di distanza, gli sguardi fissi su quello che si stavano dicendo i tre al centro.
Coralena la guardò accigliata. “Che cosa volete?”
“Quello che volete voi. Salvare Arzit e i suoi abitanti.”
La strega fece un mezzo sorriso. “Allora fate ritirare la vostra armata.”
“Erix non andrà via. Le hanno ordinato di prendere la città.”
“Allora moriremo tutti” rispose la strega.
Bryce guardò Raz Ofra. “Non posso impedire che Erix dia l’ordine di attaccare Arzit.”
“Credi che io potrei convincerla a ritirarsi?” le domandò lo stregone.
“Hai già convinto il consiglio cittadino a lasciarti parlare con me.”
Raz Ofra sorrise. “Non li ho convinti. Erano terrorizzati. Pensano che io sia la loro ultima speranza di salvezza.”
Bryce si accigliò.
“Nel momento stesso in cui la vostra armata si è presentata nella spianata, il consiglio dei nobili è caduto e Kefarin ha perso il suo titolo.”
“Chi comanda ora?”
“Chiunque riesca a salvare la città. In caso contrario, non avrà molto senso stabilire chi è al comando.”
Bryce annuì convinta. “Parla a Erix.”
“Che cosa dovrei dirle per convincerla a ritirarsi?”
“Dille di non farlo.”
Raz Ofra si accigliò.
“È una trappola” disse Coralena evocando un dardo magico.
Un mormorio si levò tra quelli riuniti lì attorno. Bryce fece loro un cenno con la mano. “Non colpitela” gridò. “Chiunque lo farà, poi se la vedrà con me.”
Coralena la fissò con aria di sfida. “Un solo colpo” disse. “Me ne basta uno solo, ricordi quello che ci siamo dette?”
“Non sarà necessario” disse Bryce cercando le parole giuste. “Raz Ofra, mi hai chiesto se esiste una strada diversa da seguire. Io te ne sto offrendo una. È difficile, è dura e non è detto che sia un viaggio piacevole da fare, ma ti chiedo solo di considerarla.”
Lo stregone chinò la testa, gli occhi serrati. “Che cosa vuoi che faccia?”
“Padre” esclamò Coralena indignata.
Lui le fece un cenno con la mano.
“Tratta con Erix da pari a pari.”
“Non ti fidare di lei.”
Raz Ofra chiuse gli occhi e sfiorò la fronte con l’indice e il medio uniti. Quando li riaprì la sua espressione sembrava rassegnata. “Credo che parlerò con la tua comandante.”
Bryce sorrise.
Lo stregone guardò verso l’armata dell’alleanza. Altri soldati e mantelli erano confluiti.
Adesso devono essere almeno in ventimila, si disse Bryce. Voglino spaventare Arzit mostrando tutta la loro forza? O si stanno radunando per distruggerla dalle fondamenta? Non avrò commesso un errore attirando la loro furia sugli arziti?
Raz Ofra emise un debole sospiro. “Augurami buona sorte, principessa di Valonde.”
“Se vuoi, posso condividere il tuo destino” si offrì.
“Meglio se resti qui. Andando da solo sembrerò meno minaccioso.”
Raz Ofra si avviò verso l’armata dell’alleanza.
Coralena fece un passo indietro ed evocò un dardo magico. “Se è una trappola” disse puntandolo verso Bryce. “Mi assicurerò che tu muoia.”
“Lo trovo giusto” disse rassegnata. Guardò Vyncent e gli altri che osservavano preoccupati. “Nessuno le impedisca di uccidermi se Raz Ofra viene attaccato.”
“Io non ti assicuro niente” disse Elvana.
“Vyncent, mi affido a te” disse Bryce ignorandola. “Tu hai capito quanto è importante tutto questo, vero?”
Vyncent annuì.
Raz Ofra avanzò fino a trovarsi a cinquecento passi dalla prima fila dell’armata dell’alleanza. Disse qualcosa che da quella distanza Bryce non riuscì a cogliere e allargò le braccia per mostrare che non era armato e non aveva evocato dardi magici.
Bryce vide Erix e gli altri comandanti parlare tra loro gesticolando. Un paio scossero la testa con vigore ma a un certo punto la comandante fece loro un gesto deciso con la mano e smontò da cavallo.
Dopo essersi sistemata il mantello avanzò con passo deciso verso Raz Ofra, fermandosi a una decina di passi dallo stregone arzita.
Le sue labbra si mossero e Bryce intuì che anche Raz Ofra stesse dicendo qualcosa. Erix scosse la testa e indicò l’armata alle sue spalle. Lo so stregone arzita indicò la città. Erix guardò nella stessa direzione e indicò un punto oltre di essa.
Raz Ofra si toccò il petto come se stesse giurando e annuì con vigore. Erix si voltò verso i suoi comandanti e poi fece un cenno con la mano allo stregone. Lui annuì solenne e si voltò.
Bryce attese con pazienza che tornasse da loro.
“Vuole parlare con te prima di prendere una decisione” annunciò.
“Te lo dicevo che era una trappola” disse Coralena. “Uccidiamoli tutti e barrichiamoci dietro le mura. Dovranno versare molto sangue per conquistarla.”
“Verrà versato anche il nostro, di sangue” rispose Raz Ofra.
“Io sono pronta.”
Lo stregone si sfiorò di nuovo la fronte con le dita. “Tu che cosa vuoi fare, Bryce di Valonde?”
“Se Erix vuole parlare con me lo farò, ma non vedo come possa esserci utile. Io non posso trattare a nome vostro.”
“È la tua comandante. La conosci meglio di me. Che cosa pensi che voglia ottenere?”
“Davvero non ne ho idea” disse.
“Non sei obbligata ad andare” disse lo stregone. “E, per quanto possa sembrare inusuale, Arzit ti assicurerà protezione dietro le sue mura se tu e i tuoi vorrete entrare.”
“Vuoi aprire loro le porte della città?” fece Coralena indignata. “È proprio quello che vogliono.”
“Io non credo.”
“È un trucco.”
“Coralena” disse Raz Ofra con pazienza. “L’alleanza non ha bisogno di usare trucchi per conquistarci. Potrebbero prendere la città in qualsiasi momento. Devono solo stabilire quanti dei loro sono disposti a sacrificare.” Guardò Bryce. “Puoi andare o accettare la mia offerta di protezione. Durerà poco e non ti garantisco che tu sopravviva se l’alleanza decide di attaccare, ma è tutto quello che posso offrirti.”
“Ti ringrazio” rispose Bryce. “Ma credo che andrò a parlare con Erix. Ti chiedo solo di estendere l’offerta a tutti quelli che si trovano sotto le vostre mura.”
Raz Ofra annuì solenne. “Hai la mia garanzia.”
“Follia” disse Coralena. “Ce ne pentiremo tutti.”
Bryce la ignorò e marciò verso Erix.
La sua comandante e guida era in attesa con le mani dietro la schiena e la fissava con espressione accigliata. Si fermò nel punto dove Raz Ofra le aveva parlato poco prima.
“Io ti saluto” disse cercando di tenere ferma la voce.
Non deve capire che ho paura, si disse.
Erix si limitò ad annuire.
“Raz Ofra mi ha detto che volevi parlarmi.”
“Credo che tu mi debba una spiegazione” disse Erix. “E sono qui per ascoltarla.”
“Cosa non ti è chiaro?”
“Tutto. Voglio sperare che il tuo sia un complicato piano per prendere la città di cui mi hai tenuta all’oscuro. In quel caso sarei solo infuriata con te e potrei pensare a un castigo lieve, quasi simbolico. In caso contrario invece, se fosse quello che gli altri comandanti pensano…”
“Hai parlato con Amya?”
Erix si accigliò. “Che cosa c’entra lei in questa faccenda?”
“Le hai chiesto di Sharim?”
“Ovviamente” rispose con credine la strega. “Mi ha fatto una descrizione dettagliata di quanto è accaduto.”
“Ti ha parlato anche di Darina?”
“Chi sarebbe? Una strega rinnegata?”
Bryce scosse la testa. “È una bambina che i rinnegati hanno salvato.”
“Un’altra innocente che è finita tra le loro mani. Quando questa guerra terminerà pagheranno anche per questo.”
“Darina non è finita nelle loro mani. Ci è stata messa.”
“Da chi?”
“Da noi.”
Erix la fissò accigliata.
“Era l’unica sopravvissuta al massacro di Sharim.”
“Come fai a saperlo?”
“Me l’ha detto Meree. Prima che tu me lo chieda, è una donna che lavora come ancella al campo di Azaril.”
“Una rinnegata che aiuta i rinnegati” disse Erix scuotendo la testa. “Ti avrà sicuramente mentito.”
“Mi ha detto la verità, invece.”
“Come fai a dirlo?”
“Ho visto Darina.”
“Poteva essere chiunque, magari una bambina rapita da un villaggio vicino o…”
“Ha riconosciuto il simbolo del circolo sul mio mantello. Il simbolo del circolo di Valonde. I tre cerchi concentrici.”
“Ciò non prova affatto che sia vero.”
“Ne era terrorizzata” disse Bryce alzando la voce. “Spiegami perché una bambina nata e cresciuta a mille miglia da Valonde dovrebbe aver paura dei tre cerchi concentrici.”
Erix la fissò accigliata.
“Spiegamelo” la esortò Bryce.
“Non ho una spiegazione.”
“Tu ce l’hai invece” disse con tono d’accusa. “Persym ha ordinato a Daronda e Amya di attaccare quel villaggio e loro hanno ubbidito. Ne hanno attaccati anche altri, colpevoli di aver scambiato un po’ di merci con i rinnegati.”
“È più che sufficiente per…”
“Con le vie commerciali interrotte e i campi vuoti, come avrebbero potuto procurarsi il cibo per sopravvivere all’inverno?”
“Chi collabora con i rinnegati…” iniziò a dire Erix.
“Muore ucciso dalle lance o dagli incantesimi. E chi non lo fa muore di fame. Chi invece esita a schierarsi con l’alleanza o semplicemente vuole restare fuori da questa guerra, muore lo stesso. Non ti sembra che si muoia un po’ troppo facilmente in questa regione?”
“Ci vuoi suggerire un modo diverso di condurre questa guerra?”
“Gli abitanti di questa regione hanno paura di noi” disse Bryce. “Più di quanto temano l’orda di Malag.”
“A volte è necessario suscitare il timore per ottenere l’ubbidienza.”
Bryce deglutì a vuoto. “In questo modo ce li ritroveremo tutti contro.”
“Ma la maggior parte rifletterà sul proprio destino quando si tratterà di scegliere se supportarci o meno.”
“Questo non è giusto.”
“L’orda è ingiusta” rispose Erix. “Ora scegli se combattere o farti da parte. E fallo con attenzione, perché potrebbe costarti tutto, Bryce.”
“Noi non ci faremo da parte” rispose. “E tu lo sai.”
“Attaccheremo e distruggeremo la città. E per colpa della vostra ribellione dovremo raderla al suolo. Sarà una strage peggiore di quella che ci sarebbe stata se non vi foste messi in mezzo.”
“Se farete questa infamia, tutti lo verranno a sapere” disse Bryce. “L’intera regione e il continente insorgeranno contro l’alleanza.”
“Se lo faranno ne subiranno le conseguenze. Quelli che si schierano con l’arcistregone seguono un assassino e un rivoltoso.”
“Malag distrugge intere città e rade al suolo interi villaggi lasciandosi dietro solo gli orfani” disse Bryce serrando i pugni. “In questo sembra simile a noi. Credo che possiamo essere migliori di lui.”
“Sono parole da traditrice le tue.”
“Se distruggete Arzit, viaggeranno sulla bocca di tutti.”
Erix la fissò con espressione rassegnata. “Ho detto a Raz Ofra che avrei risparmiato la città se mi avesse consegnato te e avesse negato la protezione a quelli che ti avevano aiutato. Ma lui ha rifiutato. Questo non mi lascia molta scelta. Che cosa dovrei fare secondo te?”
Bryce aveva una sola risposta. “Fare la cosa giusta.”

Nota
Lo so, ho rallentato parecchio ma ora il peggio sembra passato.
Finalmente ho più tempo da dedicare a scrittura e correzione.
Spero che da questo momento in poi la pubblicazione di nuovi capitoli torni a una cadenza decente (diciamo 2 a settimana).

 

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Capitolo 56
*** Momento di gloria ***


Momento di gloria

 
“Quindi” stava dicendo Elvana agitando nell’aria il coltello da carne come fosse una spada. “L’ho infilzato alla spalla, gli ho girato attorno e poi l’ho colpito di nuovo sotto il costato, proprio qui.” Indicò un punto tra l’ascella e il seno destro.
Coralena, seduta sulla poltrona imbottita, l’ascoltava con espressione diffidente e disgustata al tempo stesso. “Dubito che tu abbia avuto il tempo di fare un movimento così complicato. Persino io ci riuscirei a fatica.”
“Mi stai dando della bugiarda?”
Coralena scrollò le spalle.
Elvana sgranò gli occhi e girò la testa verso Bryce. “Hai sentito questa qui, principessa? Dice che mi sto inventando tutto.”
Bryce, lo sguardo rivolto fuori dalla finestra, scrollò le spalle. “Non sta mentendo” disse.
“Visto?” fece Elvana.
“Sta solo esagerando come al solito.”
Coralena sospirò e si alzò in piedi. “Scusatemi, ma ho bisogno di tirare qualche dardo a un manichino. Ero passata solo per vedere che non vi mancasse niente. Mio padre vorrebbe parlarti nel suo studio, quando hai tempo.”
“Ci andrò subito” disse Bryce.
Coralena le rivolse un inchino e lasciò la stanza.
“Non sembrava molto felice” disse Elvana.
“Non ha molte ragioni di esserlo.”
“La sua città è ancora in piedi e lei è viva. E tutto per merito tuo, almeno in parte. Potrebbe anche mostrarti un po’ di riconoscenza.”
“Io credo che Coralena si senta derubata da me.”
“E che cosa le avresti sottratto?”
“Il suo momento di gloria” disse Bryce.
Elvana sbuffò. “Che sciocchezza. Se è vero, Coralena è pazza. O demente.”
Bryce scosse la testa. “Vado da Raz Ofra a sentire quello che vuole.”
Elvana le rivolse un gesto vago con la mano. “Vai pure. Ma non so se mi ritroverai al tuo ritorno.”
“Non vuoi venire con me?”
“Me lo stai chiedendo?”
“No” esclamò. “Ero solo sorpresa.”
“Ogni tanto mi piace sorprenderti” rispose Elvana mostrandole un ampio sorriso. “Saluta Raz da parte mia.”
“Gli porgerò i tuoi saluti” disse perplessa.
 
Lo studio di Raz Ofra era dietro una porta di legno massiccio. La sala era ampia e luminosa, con una finestra che affacciava sulla città, una parete occupata da scaffali pieni di libri e quella opposta da una mappa della regione. La scrivania era piccola e non c’era un tavolo, ma tre sedie imbottite.
Raz Ofra la invitò a sedere con un gesto ampio del braccio. “Sono felice che tu sia venuta.”
Bryce annuì e scelse una sedia. “E io sono felice di rivederti. Vedo che ti sei sistemato bene.”
“I privilegi di essere un principe di Arzit.”
“E quello precedente? Che fine ha fatto?”
“Nessuna fine, principessa di Valonde. Il consiglio ha concesso a Kefarin di rientrare nella sua residenza e conservare il titolo e i beni che possedeva.”
“Ha quasi fatto distruggere la città.”
“Tutti possono commettere un errore. Essere principe non ci rende infallibili. Io almeno non lo sono.”
“E nemmeno io” ammise.
“Bene” disse Raz Ofra sedendo dietro la scrivania. “Parliamo di quello che succederà ora.”
Bryce si accigliò.
“So che per te la guerra è finita.”
“Solo per il momento. Il mio ritorno a Valonde per conferire con il re e la regina è solo temporaneo.”
“Mentre sei in viaggio, la guerra potrebbe finire.”
“Non ne sono così convinta.”
“In ogni caso, Erix sembrava intenzionata a tenerti lontana dai campi di battaglia. Penso che farà di tutto per convincere i tuoi genitori che la sua è la scelta più saggia.”
“Te lo ha detto lei?” gli chiese.
Raz Ofra scrollò le spalle. “Ha detto che sei avventata e sciocca e inesperta. Impreparata per la guerra e assolutamente non pronta per un comando.”
Bryce deglutì a fatica. “Sono più o meno le stesse parole che ha usato con me.”
Raz Ofra annuì grave.
“Tu sei d’accordo con lei?”
“No, ma conta poco, penso.”
Bryce si concesse un mezzo sorriso. “E mio padre la penserà come te.”
Raz Ofra sollevò un sopracciglio.
“La sua testardaggine è proverbiale.”
“Non è un tratto comune a tutti i Valonde?”
Stavolta Bryce dovette chinare la testa. “È vero che a volte non ascoltiamo chi è più saggio ed esperto di noi, ma ci prendiamo le nostre responsabilità se ciò porta un danno.”
Raz Ofra annuì grave. “Hai reso un grande servigio a questa città. Hai sacrificato molto per noi.”
“Non l’avrei mai fatto, se non avessi pensato di rendere un grande servigio a Valonde e tutta l’alleanza.”
“Intanto solo Arzit è salva.”
“Lei e tante altre città che potrebbero passare dalla nostra parte, se non ci limitassimo a minacciarle o distruggerle. Questo modo di fare deve cambiare.”
“Lo spero davvero, perché l’alleanza ha bisogno di nuove forze, se è vero che l’arcistregone sta formando nuove armate a occidente e oriente.”
“Sai qualcosa che noi ignoriamo?” gli chiese preoccupata.
“Girano strane voci, principessa. Si parla di una grande armata a oriente, di tradimenti, di una regina folle e di demoni che sono riemersi dalle profondità della terra e che adesso camminano tra di noi.”
“Demoni” disse Bryce incredula. “Gli unici che ho visto avevano le sembianze di uomini e donne all’apparenza ragionevoli, convinti di essere nel giusto anche quando era chiaro che avevano torto.”
“La ragione a volte è la loro arma migliore. Altre volte, bisogna affidarsi al proprio istinto, come hai fatto tu schierandoti dalla nostra parte.”
“Stavo per morire.”
“E invece sei qui a parlare con me di leggende e demoni. Dovremmo trarre un qualche tipo di insegnamento da tutto questo, non trovi?”
 
La palestra era immersa nella penombra. Solo un paio di lampade a olio rischiaravano l’ambiente, che con le mura dalle pietre scure e tagliate in maniera grossolana era opprimente.
Quando vi entrò ebbe la sensazione che quel sarcofago di pietra stesse per chiudersi attorno a lei, soffocandola.
Una figura era al centro, le gambe divaricate e le braccia distese lungo i fianchi. Indossava una tunica verde scuro sotto il mantello arancione decorato con fregi neri e platino. Di fronte a lei, un manichino addobbato con pezzi di armatura e uno scudo la sfidava a una decina di passi di distanza, immobile nella sua stolidità di legno.
Bryce scivolò alle spalle della figura, come se volesse sorprenderla, ansiosa si vederla all’opera.
“Sei qui come spettatrice o come sfidante?” le chiese la figura senza voltarsi.
Bryce fece un ghigno. “Sono solo venuta a parlarti, Coralena.”
“Allora parla, ti ascolto.”
La strega sollevò un braccio di scatto e lo puntò contro il manichino. Dal suo palmo aperto scaturirono due dardi magici che, come punte di freccia, trafissero il manichino all’addome e alla gola, in due dei punti in cui l’armatura non riusciva a coprirli. I colpi sollevarono schegge di legno che volarono in tutte le direzioni.
“Volevo chiederti scusa” disse piazzandosi alla destra della strega.
Coralena socchiuse gli occhi senza smettere di guardare il manichino. “Per cosa?”
“Per averti rubato il tuo momento di gloria.”
La strega ghignò. “Non so di che cosa parli.”
“Lo sai che cosa voglio dire. Era il tuo momento, quello in cui avresti dimostrato a tutti gli arziti che avevi ragione, che non ti eri preparata inutilmente a quella battaglia per tutta la vita.”
“Proprio non riesco a capire.”
“Avresti dimostrato che i valondiani e la loro alleanza erano davvero gli infami che hanno causato tante sofferenze al tuo popolo.”
“Io non devo dimostrate proprio niente, principessa di Valonde. Quello che stai dicendo è la verità che già tutti ad Arziti conoscono e accettano. È storia.”
“Non è vero e tu lo sai. Il consiglio era diviso.”
“La maggioranza era con Kefarin.”
“Perché aveva paura.”
“Di cosa?”
“Di quello che sarebbe accaduto se avessero aperto le porte e accolto l’armata di Erix. Preferivano morire, piuttosto che accettare il fatto che avevate bisogno di noi. E ne avete ancora.”
“Il bisogno lo avete creato voi oppressori” disse Coralena. “Voi agite sempre in questo modo. Vi presentate come amici e alleati, per poi prendervi tutto. Sai come si dice ad Arzit? Diffida dei doni che vengono da Valonde.” Scosse la testa. “È sbagliato e ci costerà tutto quello che abbiamo costruito, mentre per voi sarà solo un piccola ferita che si rimarginerà in poco tempo.”
“Tutte le ferite sono dolorose e richiedono tempo per guarire, a parte quelle che ti uccidono” disse Bryce ripetendo le parole che una volta sua padre le aveva detto.
Coralena lanciò due dardi e colpì il manichino al braccio staccandolo di netto. “Dici che a Valonde qualcuno si dispiacerebbe se domani Arzit venisse rasa al suolo dall’orda a causa della vostra alleanza?”
“Non so rispondere alla tua domanda, ma a tremila dei nostri importava. E lo hanno dimostrato. Erano pronti a difendere la tua città contro i loro stessi confratelli e consorelle.”
“È stato un errore assecondarvi. Dovevamo lanciarvi addosso i dardi magici e mettere fine a questa faccenda. Ora sarà molto più difficile risolverla senza perdite per noi.”
“Preferivi piegarti all’orda del rinnegato?”
“Almeno loro non radono al suolo città e villaggi.”
“Quello è stato un errore.”
“Allora vai a chiedere scusa anche a loro.”
“Lo farei se servisse a qualcosa.”
Coralena ghignò. “Quindi hai voluto salvare Arzit per alleggerire la tua coscienza?”
“No. Perché era giusto farlo.”
“Va bene, ti sei scusata” disse Coralena con tono spazientito. “Ora puoi andare.”
“Un’ultima cosa” disse.
La strega la guardò accigliata.
Bryce distese le braccia e avvicinò i palmi. Nello spazio tra le mani apparve una sfera infuocata che alimentò col suo potere fino a farla diventare grande il doppio di una testa umana.
Coralena fece per dire qualcosa ma la ignorò puntando l’incantesimo contro il manichino. Solo allora liberò la sfera infuocata che volò verso il bersaglio e lo avvolse tra le fiamme.
Un’esplosione risuonò nella sala riverberandosi sulle pareti di pietra. Il manichino venne scagliato all’indietro spezzandosi in due.
Quando le fiamme si estinsero in una nuvola di scintille, erano rimasti solo pezzi di legno e di armatura piegati e anneriti.
Bryce distese le braccia lungo i fianchi.
Coralena la fissava in silenzio, l’espressione tesa, come se fosse pronta a balzarle addosso.
Se lo facesse, si disse, le darei la lezione che merita, anche se dovesse costarci l’alleanza che abbiamo forgiato con così grande fatica.
“Credi di farmi paura, principessa Bryce?” le chiese Coralena.
“Io spero che tu l’abbia” rispose. “Perché quando verranno i rinnegati di Malag a reclamare questa città, non vi basterà avere una buona mira.”
Coralena rispose con un’alzata di spalle e marciò fuori dalla sala.
Bryce sospirò affranta e tornò alla sua stanza. Elvana la stava aspettando davanti alla porta.
“Ci sono novità” disse subito.
“Parla” la esortò.
“È arrivato un esploratore. E non ha portato buone notizie.”

 

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Capitolo 57
*** Morte gloriosa ***


Morte gloriosa

 
Il soldato diceva di chiamarsi Yob e respirava a fatica.
Strib, il guaritore di Arzit che lo aveva esaminato, si staccò da lui e venne verso di loro.
Nella sala, posta in uno dei livelli interrati del palazzo dei principi di Arzit, erano presenti in dodici.
Bryce era una di essi.
Elvana se ne stava in silenzio in un angolo a osservarli, mentre Vyncent e Jakos parlottavano tra di loro. Jehla Metz invece si era avvicinata al gruppo degli arziti che comprendeva, oltre a Raz Ofra e la figlia Coralena, altri quattro consiglieri cittadini.
Il soldato indossava le insegne di Arzit ed era stato fatto sedere su di una sedia imbottita. Aveva un taglio profondo alla spalla destra e una gamba spezzata. Il cavallo con cui era giunto era stramazzato dopo che era riuscito a smontare.
I soldati di guardia lo avevano riconosciuto e soccorso, trasportandolo dentro una delle caserme. Lì Yob aveva detto di dover parlare con un comandante di alto rango per riferirgli che cosa aveva visto mentre era in esplorazione.
“Eravamo in dodici” disse respirando a fatica. “Quando siamo partiti. Il comandante Stelakk aveva ricevuto l’ordine di esplorare le colline a settentrione.”
Coralena annuì grave. “Stelakk aveva ricevuto quell’ordine, posso confermarlo.”
“Noi non ne sapevamo niente” disse uno dei consiglieri, un anziano dalla capigliatura rada che non si era presentato.
“Kefarin e io concordammo di tenere segreta la missione. Temevamo che vi fossero delle spie in città e volevamo evitare che gli esploratori subissero un agguato sulla via.”
Raz Ofra si schiarì la gola. “Dove sono Stelakk e il resto del gruppo?” chiese a Yob.
Il soldato scosse la testa. “Morti. Tutti quanti.”
Nella sala si alzò un leggero mormorio.
“Come?” domandò Coralena.
“Ci siamo spinti fino a settentrione come ordinato, superando le colline e discendendo verso la Spaccatura.”
Bryce si accigliò.
“È una fenditura nel terreno larga quasi mezzo miglio, profonda due e lunga cento” spiegò Raz Ofra. “Segna il confine tra questa regione e quella di Torelk.”
Bryce annuì.
“Superammo le colline e ci inoltrammo nella regione. Stelakk voleva raggiungere Città dell’Orlo per raccogliere informazioni e poi tornare indietro.”
“E l’avete raggiunta?”
Yob annuì.
“Che cosa avete scoperto parlando con gli abitanti?”
“Niente. Non ci siamo potuti avvicinare. La città è in mano ai rinnegati.”
Yob tossì. “Avevamo quasi raggiunto un villaggio vicino alle colline, quando venimmo sorpresi dai rinnegati.”
Ci fu un altro mormorio.
“Si sono spinti così lontano?”
“Come hanno fatto?”
“Da dove saranno passati?”
Raz Ofra fece un gesto vago con la mano. “Le domande a dopo. Lasciamo finire il racconto a Yob.”
“Restammo due giorni nelle vicinanze della città” proseguì il soldato. “Stelakk non voleva rischiare di farsi scoprire, così non tentammo di entrare in città.”
“È ben sorvegliata?” chiese Raz Ofra.
Yob annuì con vigore. “Almeno tremila soldati e cinquanta mantelli.”
“Cosa ci facevano lì?” chiese uno dei consiglieri.
“È chiaro” disse Raz Ofra. “È una testa di ponte.”
L’uomo si accigliò.
“La spaccatura è lunga, ci vogliono decine di giorni per aggirarla. Città dell’Orlo ha un ponte che collega le due sponde del baratro, l’unico per decine e decine di miglia. Devono aver occupato la città per assicurare un passaggio sicuro.”
“A chi?” chiese Bryce.
“A un’armata più grande” rispose lo stregone. “Continua. Che cosa avete scoperto dopo?”
Yob annuì. “Poco. Senza poterci avvicinare alla città potevamo solo osservare. Stelakk decise che avevamo raccolto abbastanza informazioni e ci dirigemmo verso le colline. Eravamo diretti a un villaggio per far riposare i cavalli e rifornirci, quando venimmo sorpresi da una pattuglia di rinnegati.”
“Che cosa è accaduto quando siete stati attaccati?”
“Stelakk ordinò a me e Gesthor di fuggire e tornare ad Arzit per dare l’allarme.”
“Sei giunto qui da solo.”
Yob scosse la testa. “Quei maledetti ci hanno inseguiti per tre giorni e tre notti. I cavalli stavano per cedere, così Ges ha suggerito che uno di noi si sarebbe dovuto sacrificare per rallentarli.” Deglutì. “Tirammo a sorte e io vinsi.” Scosse la testa affranto. “Sarei dovuto restare io indietro. Ges era migliore di me.”
Raz Ofra gli mise una mano sulla spalla. “Non incolparti per il suo sacrificio.” Si rivolse ai consiglieri. “Dobbiamo indire una riunione.”
Gli altri consiglieri annuirono e lasciarono la sala parlando tra di loro.
Raz Ofra prese da parte Bryce. “Se quel soldato ha detto il vero, i rinnegati hanno una grande armata a settentrione che aspetta di superare la spaccatura.”
“Sono lontani dalla tua città. Dovreste essere al sicuro.”
“Non è della mia città che mi preoccupo.” Raz Ofra rivolse un’occhiata a Jehla Metz. “La tua amica può spiegarti meglio di me che cosa potrebbe accadere.”
Jehla si avvicinò.
“Spiegate anche a me” disse Bryce.
La strega si schiarì la gola. “È chiaro che i rinnegati non puntano verso Arzit. Se sono andati a settentrione per superare la Spaccatura, vuol dire che sono diretti poco lontano da lì.”
Bryce si accigliò. “Quella regione è vuota, tranne che per l’armata di Erix.”
Jehla annuì con vigore. “Che in questo momento si sta dirigendo verso quella di Northon per condurre una battaglia congiunta.”
“L’orda dei rinnegati si ritroverà alle loro spalle.”
“Giusto” disse Jehla. “Erix dovrà fermarsi e combattere se non vuole essere colta di sorpresa.”
“Sarà una battaglia difficile. Le due armate si equivalgono per forza.”
“Erix comanda il meglio dell’alleanza” disse Bryce sicura. “Può tenere testa facilmente a un’armata molto più grande della sua, se composta da rinnegati.” Anche se lo stava dicendo, non ne era del tutto certa dopo aver visto come era organizzata l’orda dei rinnegati.
Raz Ofra annuì grave. “Ne sono certo anche io, ma Erix dovrà fare una scelta. O protegge la retroguardia e abbandona al suo destino l’armata di Northon, o sacrifica la retroguardia e marcia verso settentrione per soccorrere i suoi alleati. Secondo te che cosa farà? Te lo chiedo perché tu sei una sua allieva.”
Bryce non aveva una risposta. “Vorrei essere presente a quella riunione.”
“Ti serve un invito, principessa?” le chiese Raz Ofra ironico. “Tu sei l’eroina che ha salvato Arzit quando pensavamo che l’avremmo perduta per sempre.”
 
Come aveva annunciato, Raz Ofra convocò la riunione in una sala interna del palazzo dei principi. Il suo studio era troppo piccolo per accogliere le trenta persone che si radunarono attorno a lui, i visi illuminati dalle lampade a olio che ardevano lungo le pareti.
Bryce non conosceva i consiglieri presenti né i comandanti, ma contò undici mantelli compresi quelli di Raz Ofra e sua figlia Coralena.
Fu il principe di Arzit a prendere la parola per primo. “Tutti voi sapete già che cosa sta accadendo a Città dell’Orlo.” Attese qualche istante. “L’orda ha occupato la città per un solo motivo. Usare il ponte che collega le due sponde della Spaccatura.” Fece un cenno a una donna dalla figura minuta che sembrava nascosta in un angolo. Indossava una tunica rossa legata in vita da una fascia bianca. Sulle spalle indossava un mantello arancione senza fregi. “Yera?”
La donna fece un passo avanti.
“Tutti voi conoscete Yera Gross, una delle nostre migliori esploratrici.”
Gli occhi dei presenti putarono verso la donna.
Yera stringeva tra le braccia dei rotoli di pergamena.
“Yera vi parlerà di Città dell’Orlo e del suo ponte.”
Yera annuì senza staccare gli occhi da Raz Ofra. “Eccellenti consiglieri, stimati comandanti” esordì con voce appena udibile. “Città dell’Orlo è divisa in due dalla Spaccatura. L’unico modo per attraversarla è usare un ponte di pietra costruito sette secoli fa. Sono stata tre volte a Città dell’Orlo e ho avuto modo di esplorarla a fondo. È piccola, difesa da mura non più alte di quindici o venti braccia.”
Uno dei consiglieri, una donna di mezza età, fece un passo avanti. “Anche io sono stata a Città dell’Orlo e penso che a nessuno dei presenti importi davvero quanto sono alte le sue mura o di quante torri dispone. Quello che vogliamo davvero sapere è che cosa vogliono farne i rinnegati della città.”
“Se la useranno come base per attaccarci dovremo preparare le nostre difese” disse uno degli stregoni.
“Giusto” disse una strega al suo fianco annuendo.
“Noi pensiamo che non accadrà” disse Raz Ofra riprendendo la parola.
“Voi lo pensate?” fece la consigliera di prima. “Tu e chi se possiamo saperlo?”
“Io e il mio consiglio ristretto” rispose Raz Ofra. “Che tu conosci bene, Arfa Inovin.”
La consigliera fece una smorfia. “Conoscevo il consiglio di Kefarin, prima che decadesse. Di quello nuovo devo ancora apprendere i nomi. E mi sembra composto da troppi stranieri.”
Due consiglieri annuirono con vigore.
Raz Ofra guardò Jehla Metz.
La strega fece un passo avanti e si schiarì la gola. “Il principe Ofra ha ragione. I rinnegati non vogliono usare Città dell’Orlo per attaccare Arzit. Non avrebbe senso. Potrebbero avanzare da meridione e cingerci d’assedio usando la via commerciale più comoda invece di percorrerne una così angusta. È chiaro che hanno voluto evitare Arzit per puntare a un obiettivo più a settentrione.”
“Perché ci temono” disse lo stregone di prima.
Jehla Metz gli rivolse una rapida occhiata. “Il loro vero obiettivo è l’armata di Erix. Devono aver scoperto che si stava dirigendo a settentrione per unirsi a quella di Northon e affrontare l’orda che si trova vicino a Tel Mim.”
Nella sala si levò un brusio sommesso.
Lo stregone che aveva parlato per primo prese di nuovo la parola. “Confermo la mia proposta. Rafforziamo le difese come se i rinnegati stessero per attaccarci.”
Metà delle teste dei presenti annuirono.
Bryce lanciò un’occhiata a Raz Ofra che fissava la consigliera Inovin.
“Non si sta mettendo bene” disse Elvana al suo fianco. Fino a quel momento era rimasta in silenzio.
“Per niente” disse Bryce.
“Principe Ofra” disse la Inovin. “Che cosa hai intenzione di fare? Aspettiamo tutti una tua decisione.”
“Invieremo un gruppo di messaggeri per avvertire Erix di quello che sta accadendo” disse Raz Ofra. “Così non arriverà impreparata allo scontro.”
Stavolta annuirono quasi tutti, compresa la consigliera Inovin.
“È una scelta saggia” disse la donna facendo un passo indietro.
Bryce ne approfittò per avanzare. “Chiedo la parola” disse ad alta voce.
Coralena e Inovin la fissarono accigliate.
“Concessa” disse Raz Ofra.
“È un errore” disse Bryce senza cercare le parole giuste.
Nella sala si levò un mormorio sommesso di disapprovazione.
“È un errore avvertire Erix?” le chiese Coralena. “Non vuoi che si possa difendere dall’attacco?”
“Voglio che non abbia bisogno di farlo” rispose Bryce. “La battaglia che si combatterà a settentrione è troppo importante. Vincendola, ricacceremo l’orda nei suoi territori e salveremo Northon.”
“E Valonde” disse Coralena.
Bryce annuì. “Ovvio. La salvezza di ogni singola parte dell’alleanza è lo scopo della sua esistenza.”
“Allora non capisco perché pensi che sia un errore avvertire Erix.”
Bryce respirò a fondo. “Perché è quello che vogliono i rinnegati. Attaccando la retroguardia di Erix la costringeranno a ripiegare per difendersi, privando Northon del supporto nella battaglia che si combatterà a settentrione. L’armata di Erix non può essere in due luoghi nello stesso momento.”
“È vero” disse Jehla Metz. “E se anche Erix riuscisse a prevalere, cosa che tutti ci auguriamo, subirà molte perdite, la sua armata arriverà stanca alla battaglia più importante. Se ci arriverà.”
“L’armata di Erix non deve essere distolta dalla sua missione” disse Bryce con veemenza. “Che è quella di respingere l’orda a settentrione.”
“Che cosa suggerisci allora?” le chiese Coralena con tono supponente.
“Impediamo ai rinnegati di attraversare la Spaccatura” disse Bryce.
“Hanno già preso Città dell’Orlo.”
“Vuol dire che la riconquisteremo.”
“Come? Con quali forze? Erix ha lasciato solo poche centinaia di soldati e qualche decina di mantelli in città.” Coralena scosse la testa. “I rinnegati sono a migliaia dietro quelle mura e ne stanno per arrivare molti di più.”
“Abbiamo abbastanza forze in questa città per riconquistare Città dell’Orlo” disse Bryce. “Arzit ha ventimila soldati e duecento mantelli pronti a marciare.”
Dalla sala si levò un mormorio.
“No” disse un consigliere agitando il pugno verso l’alto. “Servono per difendere la città.”
“Lasceremo qui un contingente” disse Bryce.
“Non basterà a respingere i rinnegati quando si presenteranno a migliaia davanti alle mura” disse Inovin.
“Neanche quei ventimila vi potrebbero salvare” disse Bryce. “Ma riconquistando Città dell’Orlo, Erix e i Northon avranno una possibilità di respingere l’orda.”
“Follia” disse Coralena. “Ci stai proponendo di morire inutilmente per un alleato che non ci rispetta in una guerra che non abbiamo cominciato noi.”
Bryce annuì. “Proprio così.”
Coralena ghignò. “Sei pazza. O stupida. Non sacrificheremo le nostre migliori forze per voi e la vostra maledetta alleanza. Non le abbiamo create per questo, ma per affrontarvi in battaglia e dimostrare che non siamo inferiori a voi.”
Nemmeno io sono nata per questo, pensò Bryce. Speravo di morire in un duello glorioso contro Malag per mettere fine alla sua ribellione, non nell’assalto di una piccola città sperduta che a malapena compare sulle mappe.
“Vi siete addestrati per distruggerci” disse Bryce. “Ma l’orda farà questo lavoro per voi. E lo farà molto meglio, se vuoi il mio parere.”
Coralena fece per dire qualcosa ma serrò le labbra.
“E quando Valonde sarà un cumulo di macerie e voi non avrete più il vostro nemico giurato da odiare” proseguì Bryce. “Con le armate dell’orda davanti alle mura, vi chiederete se non sarebbe stato meglio continuare a odiare noi piuttosto che vivere sottomessi ai rinnegati.”
“Ci stai promettendo la distruzione?”
Bryce annuì. “La distruzione è possibile. Oppure una morte gloriosa.”

 

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Capitolo 58
*** Fino alla fine ***


Fino alla fine

 
Elvana strisciò fino a lei infilandosi nel buco del terreno. Lì, protette da una collinetta naturale, potevano osservare Città dell’Orlo da lontano.
Jakos aveva stimato che erano a una cinquantina di miglia di distanza.
“Un giorno di marcia” aveva detto lo stregone. “Due se ce la prendiamo comoda.”
Bryce aveva interrogato di persona i mantelli che con la loro vista lunga avevano osservato la città da lontano. Le loro parole li avevano convinti a marciare più in fretta per raggiungere la città.
“Si preparano ad attraversare il ponte” avevano riferito gli osservatori. “In quanti siano nell’altra parte della città non lo sappiamo, ma quella sulla nostra sponda è molto più piccola e deve avere meno difensori.”
“Dobbiamo attaccare subito” aveva suggerito Bryce.
Gli altri si erano detti d’accordo.
Gli altri, pensò Bryce. Chi erano? Jakos e Jehla Metz erano i suoi consiglieri, come Vyncent e Divash.
Oltre a loro, c’erano altri quattro mantelli di Arzit e Coralena. Il fatto che lei si fosse unita alla spedizione l’aveva sorpresa. Era convinta che sarebbe rimasta in città, decisa a difenderla a costo della sua vita.
I consiglieri le avevano offerto il comando dell’armata e lei aveva rifiutato.
All’inizio.
“Se non accetti” aveva detto Raz Ofra. “Dovrò assumere io il comando. E non sono un buon comandante.”
“Lo sarai di sicuro, visto il modo in cui governo questa città” aveva risposto modesta.
“Governare è faccenda diversa da comandare. Per questo non l’ho mi fatto. Ti prego di riconsiderare la tua decisione, principessa. Mi faresti un grosso favore.”
“Non vuoi la gloria di questa impresa?”
“Preferirei restare qui, ad Arzit. Grazie a te ho guadagnato un certo sostegno, ma gli oppositori sono ancora forti. Se mi allontanassi, correremmo il rischio di trovare una città ostile al nostro ritorno.”
“Allora accetto il comando” aveva risposto. “Ma perché proprio io? Sono una straniera.”
“Hai salvato Arzit.”
“E ora la sto trascinando in una impresa suicida. In un solo attacco distruggerò metà delle vostre forze, se sono fortunata.”
“Noi siamo nati per questo” aveva risposto Raz Ofra. “Fin da quando Arzit è nata e ha iniziato a sognare di vendicarsi un giorno dei suoi avversari, sapevamo che sarebbe stata un’impresa impossibile, che ci sarebbe costato tutto ciò che avevamo. Eppure, siamo andati avanti addestrandoci duramente per questo giorno. E alla fine è arrivato.”
“Non combatterete contro i vostri avversari.”
“Tu credi? Io penso che il vero avversario di Arzit sia sempre stato uno solo.” Aveva fatto una pausa. “Arzit stessa è il nostro avversario.”
Bryce si era accigliata.
“La nostra storia. Il nostro credere di esservi inferiori. Il nostro desiderio di rivalsa ci ha impedito di diventare ciò che eravamo destinati a essere. Eravamo davvero convinti di esistere solo per compiere questa unica missione.” Aveva scosso la testa sconsolato. “Che enorme spreco, non trovi?”
“E che cosa siete davvero?”
Raz Ofra aveva sorriso. “Ancora non lo sappiamo, ma penso che lo scopriremo alla fine di questa battaglia. Tu sei pronta?”
Aveva annuito. “Partirò con i migliori. Non posso fallire.”
“Ne sono felice. Mia figlia verrà con te.”
“Non devi” si era affrettata a dire. “Non costringerla.”
“In verità è lei che si è offerta volontaria. Ha insistito per accompagnarvi. È stata molto convincente.”
“Pensavo non credesse in questa impresa.”
“Penso che non ci creda ancora, ma vorrebbe. Io la conosco bene e ti assicuro che lo vorrebbe con tutte le sue forze. Come molto altri arziti, pensa solo al giorno in cui dimostrerà di essere meglio di voi Valonde.”
“Una morte gloriosa” stava dicendo Elvana in quel momento. “Davvero hai promesso a quelle persone che sarebbero morte?”
“È la verità. La maggior parte di noi morirà in questa battaglia.”
Elvana scosse la testa. “Pensavo che ti avrebbero ucciso in quella sala.”
“Anche io.”
“Smettila di fare l’arrogante” la sgridò lei divertita.
“Non è arroganza” rispose seria. “A volte dire la verità è tutto ciò che serve. Gli arziti volevano solo questo.”
Elvana sospirò. “La verità, certo.”
“Perché sei passata?”
“Jehla Metz ha indetto un consiglio di guerra per dopo il tramonto. E tu sei invitata.”
“Sono io la comandante. Dovrei indirli io questo consigli.”
“Il fatto che il dodici giorni di marcia tu non l’abbia mai fatto ha spinto Jehla a pensarci di persona.”
Bryce sbuffò. “Ci stavo pensando.”
“E hai anche pensato a un piano per entrare in città e conquistare quel ponte?”
Annuì.
Elvana la guardò stupita. “Me ne vuoi parlare?”
“È molto complesso, dubito che tu riusciresti a comprenderlo in pieno.”
“Non sono molto intelligente ma penso di poterlo capire almeno in parte. Perché non provi a parlarne?”
“Come vuoi.”
Elvana rimase in attesa.
Bryce fece schioccare le labbra. “Ci presentiamo davanti all’ingresso principale e chiediamo di entrare. Quando aprono le porte, uccidiamo tutti i rinnegati e conquistiamo il ponte. È troppo complesso per te?”
Elvana si tirò su. “Idiota. Nella tenda di Jehla Metz, dopo il tramonto. Se non ti presenti ti vengo a prendere e ti trascino per i capelli.”
Bryce fece una risatina e scosse la testa.
 
La tenda di Jehla era piccola e stretta e con i consiglieri stipati all’interno lo sembrava ancora di più. Due lumosfere fluttuavano sulle teste di Divash e Jakos spandendo una luce bianca e fredda.
Oltre a loro, erano presenti Vyncent, i consiglieri di Arzit, Elvana e Coralena Ofra. La strega sedeva in disparte con le braccia incrociate sul petto, mentre tutti gli altri erano in piedi.
“Direi di iniziare la riunione” disse Jehla. Da una sacca gettata a terra prese un rotolo di pergamena e lo aprì sull’unico tavolo al centro della tenda. Sul foglio erano state tracciate delle linee. Una, frastagliata, doveva rappresentare la Spaccatura. In un punto in mezzo erano state tracciate delle linee dritte e regolari.
“Ora che abbiamo a disposizione i resoconti degli esploratori e delle vedette, possiamo discutere su come condurre l’assalto a Città sull’Orlo” disse Jehla Metz picchiando l’indice sulla mappa. “Il nostro obiettivo principale sarà il ponte.”
“Credevo che avremmo preso la città” disse uno degli stregoni che facevano parte dei consiglieri arziti. Bryce lo ricordava perché aveva parlato nella riunione in cui li aveva convinti a tentare quell’attacco.
Dopo che tutti erano andati via aveva chiesto il nome a Raz Ofra.
“Si chiama Myro Fratuss.”
“Non sembrava molto entusiasta dell’attacco.”
“Myro è il comandante delle guarnigioni della difesa cittadina” aveva risposto Raz Ofra. “È normale che sia contrariato. Vorrebbe avere a disposizione tutte le forze possibili e non solo quelle che lasceremo qui.”
“Possiamo fidarci di lui?”
“È fedele ad Arzit” aveva risposto Raz Ofra.
“Deve essere fedele a noi.”
“Spetterà a te guadagnare la sua fiducia.”
La domanda di Fratuss aleggiò nell’aria come un fantasma.
“Sarebbe inutile conquistarla” disse Jehla Metz. “Anche perché non avremmo le forze sufficienti per tenerla.”
“Abbiamo ventimila scudi e duecento mantelli” ribatté Fratuss. “Sono più che sufficienti per controllare una città piccola come quella.”
“Jehla Metz ha ragione” disse Coralena. “Non siamo qui per conquistare, ma per distruggere.”
Jehla annuì. “Il ponte” disse con aria decisa. “Lo dobbiamo distruggere.”
“Sappiamo come è fatto?” chiese Divash.
La strega annuì di nuovo. “È di pietra. Tre colonne lo sostengono. Secondo gli eruditi dell’accademia che hanno potuto vederlo di persona, si tratta di una struttura solida che gli abitanti della città hanno sempre tenuto in buono stato. Le carovane dei mercanti usano il ponte per attraversare la Spaccatura e risparmiare molti giorni di viaggio. Città dell’Orlo esige una tassa per chi lo attraversa.”
“Quanto solido?” chiese Vyncent.
“Molto” disse Jehla Metz. “Ci vorranno quattro o cinque sfere infuocate per danneggiarlo al punto da renderlo inutilizzabile. Il doppio per abbatterlo.”
“Cinque sfere infuocate sono tante” disse Vyncent. “Dovremo avere il tempo di lanciarle e sperare che colpiscano il bersaglio.”
“Creeremo noi le condizioni per farvi lanciare i vostri incantesimi.”
Vyncent e altri tre mantelli di Arzit erano stati scelti per quella missione. Bryce avrebbe voluto che restasse nelle retrovie, ma quando avevano discusso della faccenda, lui si era offerto volontario.
“Se non ti fidi di me scegli qualcun altro” le aveva detto Vyncent.
Bryce gli aveva conferito il comando sul gruppo di mantelli che avrebbero dovuto colpire il ponte e Vyncent lo aveva accettato.
Jehla le rivolse una rapida occhiata. “Da questo punto vuoi proseguire tu?”
Bryce annuì e fece un passo verso il tavolo, in modo che tutti potessero vederla mentre parlava. “La parte orientale di Città dell’Orlo ha mura alte venti braccia, il che vuol dire che possiamo scavalcarle se arriviamo sotto di esse. Ci sono quattro torri di guardia, ognuna alta circa trentacinque braccia e un solo ingresso protetto da una grata di metallo. È sicuro che non appena ci vedranno i rinnegati distruggeranno il sistema di catene che chiude la grata in modo da sigillare l’ingresso, ma noi lo abbatteremo. La pietra è solida ma può essere spaccata.”
I consiglieri annuirono.
“Divideremo l’armata in sei gruppi diversi. Tre attaccheranno le mura per creare un diversivo e attrarre le forze dei rinnegati lontano dall’obiettivo principale, l’ingresso. Un quarto gruppo avrà il compito di aprire una breccia consentendoci di entrare in città. Il quinto gruppo avrà il compito di scortare e proteggere il sesto gruppo, che dovrà abbattere il ponte sulla Spaccatura. Fratuss, Divash e Jakos avranno il comando dei tre gruppi che dovranno creare il diversivo. Coralena Ofra comanderà il gruppo che dovrà conquistare l’ingresso. Io comanderò il quinto gruppo che farà da scorta al sesto, al cui comando ci sarà Vyncent.” Fece una pausa affinché quelle parole si imprimessero nella loro mente. “Jehla Metz resterà con la riserva, che sarà composta da quattromila soldati e trenta mantelli. Il loro compito sarà attendere che la breccia venga aperta e solo allora muovere all’attacco.”
Coralena si schiarì la gola. “Quanti rinnegati difendono la città?”
“Le vedette hanno stimato circa quattromila scudi e cinquanta mantelli.”
“Siamo in vantaggio di cinque a uno” disse la strega scuotendo la testa.
“Non è abbastanza per te?” le chiese cercando di non sembrare provocatoria. Non voleva rischiare di offendere gli arziti prima della battaglia.
“Perderemo metà delle nostre forze solo per distrarre i difensori della città” rispose Coralena. “E chissà quanti altri per distruggere il ponte.”
“Non ho mai detto che sarebbe stato facile.”
Coralena scosse la testa. “Di te non si può dire che sei bugiarda, principessa di Valonde, ma a volte aiuterebbe una parola di conforto.”
“Gloriosa morte” disse Elvana.
“Giusto” fece Coralena. “Gloriosa morte, ma per molti di quei soldati sarà solo morte, senza alcuna gloria.”
Bryce annuì grave. “Ti preoccupi della tua gente e ti fa onore. Posso solo prometterti che se la loro morte non sarà gloriosa, di sicuro sarà almeno valsa a qualcosa.”
Coralena sospirò. “Parliamo ancora dell’assalto all’ingresso. Quanto è solida la saracinesca? E quanto ci vorrà ad abbatterla.”
“Il mio consiglio” disse Fratuss. “È di colpire la pietra attorno. Una porta senza cardini non si regge in piedi.”
 
Quando la riunione si fu sciolta, Bryce si diresse alla sua tenda. Per scelta aveva preferito dormire in una piccola e distante da quella della comandante, dove invece teneva le riunioni e parlava con i comandanti.
Lì, in quella tenda stretta, c’erano posto solo per lei e i suoi pensieri. E il Destino della Strega, che non aveva aperto da quando era giunta ad Arzit.
Non c’è stato il tempo per farlo, si era detta.
Organizzare la partenza per Città dell’Orlo aveva assorbito tutto il suo tempo e le sue forze e non gliene erano rimaste abbastanza per la lettura.
Soppesò il libro tra le mani. “Mi spiace Joyce” disse a bassa voce. “Ma sarà per la prossima volta.” Lo infilò nella sacca. “Tu aspettami qui” aggiunse. “Tornerò per leggerti fino alla fine.”

 

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Capitolo 59
*** Andiamo a morire ***


Andiamo a morire

 
“Almeno avrò una bella storia da raccontare” disse Divash montando in sella.
Bryce lo guardò accigliata. “Me l’hai già detto una volta o sbaglio?”
Lo stregone sorrise e scosse la testa. “La tua memoria è buona, principessa di Valonde.” Fece schioccare le redini.
“E quella storia?” gli chiese.
“Te la racconterò dopo la battaglia.”
Elvana la raggiunse. “Pare che i difensori della città ci abbiano scorto. Le vedette riferiscono di una grande attività vicino alle mura. Non possono scorgere quello che succede oltre, ma è chiaro che stanno facendo affluire forze dalla parte occidentale a quella orientale per rafforzare le difese.”
“Niente che non avevamo previsto, no?”
Elvana annuì. “Vuol dire che sarà più dura farsi strada tra i loro corpi.”
“Hai paura? Vuoi restare nelle retrovie e goderti la battaglia da un posto sicuro?” le chiese per provocarla.
Elvana ghignò. “Sei proprio un’idiota. È ovvio che preferirei stare a mille miglia di distanza da qui. Dove vai tu ti seguono morte e distruzione da quando ti conosco.”
Bryce sospirò. “Allora resta indietro.”
“Non avevo ancora terminato. A me piace tutto questo. Per una volta, sento di stare facendo la cosa giusta. E la mia parte.”
“Pensavo odiassi farmi da scorta.”
“Non parlavo di quello, ma della battaglia. Odio ancora farti da scorta e se tu fossi meno stupida avrei smesso Lune fa.” Si strinse nelle spalle.
Vyncent e Coralena arrivarono insieme.
“I nostri tre gruppi dovranno procedere insieme” annunciò la strega di Arzit. “Ma arrivati in prossimità dell’ingresso, noi avanzeremo e voi resterete indietro, al coperto. Quando abbatteremo il cancello renderemo sicuro il passaggio per voi.”
Bryce annuì con vigore.
“E se non ci riuscite?” chiese Elvana.
“Vuol dire che moriremo tutti” rispose Coralena.
Bryce si concesse un’ultima occhiata all’armata schierata dietro di lei. Ventimila lance brillavano sotto il sole divise in duecento formazioni di cento soldati ciascuna. Trenta erano state disposte al centro a formare il gruppo che avrebbe attaccato l’ingresso. In mezzo a ciascuna formazione spiccavano uno o due mantelli. Gli altri tre gruppi erano formati da cinquanta formazioni ciascuna senza alcun mantello al loro interno. Due erano stati piazzati sulla destra e uno sulla sinistra. Qui vi erano altre quindici formazioni che sarebbero state sotto il suo diretto comando e dietro a queste, cinque formazioni che avrebbero ubbidito a Vyncent. C’erano anche duecento cavalieri all’estrema sinistra, per lo più esploratori.
“Quando vuoi” disse Jehla Metz.
Bryce si concesse qualche istante per riflettere.
“Non dovresti dire qualche parola ai soldati?” le chiese Elvana.
“Come nei romanzi d’avventura?”
“Lì sembra funzionare sempre. Il comandante dice un paio di sciocchezze e i soldati muoiono felici fino alla vittoria assicurata.”
“Agli inferi” disse strattonando le redini. “Prendiamo quella dannata città” gridò alzando il braccio destro.
A quel segnale, Jakos, Divash e Fratuss gridarono i loro ordini e i gruppi da cinquanta formazioni iniziarono a marciare verso la città.
Dietro ogni gruppo, una dozzina di scale venivano trasportate a braccia dai soldati.
Dalla città giunse il suono di un corno.
“Ci danno il benvenuto” disse Elvana.
“Andiamo a bussare alla loro porta” disse Coralena. Alzò il braccio e lo abbassò subito, iniziando ad avanzare. Il suo gruppo la seguì.
Bryce li osservò allontanarsi di cinquecento passi e quando tra il suo gruppo e quello di Coralena ce ne furono almeno duecento, diede l’ordine di avanzare.
“Andiamo anche noi” disse.
Elvana diede uno strattone alle redini e l’affiancò.
“Alla fine hai imparato a cavalcare” le disse cercando di non far trasparire la tensione.
“E tu a comandare.”
“Io ho sempre saputo comandare” rispose piccata. “Sono nata per questo.”
“No” disse l’altra. “Tu sei nata per farti ammazzare da Malag mentre cerchi di duellare con lui. Non sei affatto nata per questo e mi sorprende che tu sia qui oggi a dare ordini a questa armata. E che lei ti segua. Sono persino sorpresa che io ti segua, Bryce di Valonde.”
Sospirò. “Sei davvero confortante, lo sai?”
“Non sono nata per confortarti” rispose Elvana ghignando.
Bryce girò la testa e vice che il gruppo di Vyncent si era messo in marcia dietro di loro. Inspirò a fondo e tornò a fissare l sguardo davanti a sé, dove poteva vedere le formazioni ai lati dell’armata avvicinarsi alle mura.
Divash sarebbe arrivato per primo, mentre Jakos e Fratuss dovevano superare un pio di basse colline che li avrebbero rallentati.
Coralena invece stava rallentando, come se volesse arrestare la sua avanzata.
Era stata Jehla Metz a suggerire quella manovra. “Non attacchiamo tutti insieme” aveva detto alla fine della riunione di guerra. “Osserviamo i difensori rinnegati come reagiscono al nostro attacco. Sono sicura che siano piuttosto confidenti con le loro difese e certi di poter resistere a un assalto. Diamo loro l’impressione che il nostro sia un attacco disordinato e poi assaltiamoli con tutte le nostre forze, sorprendendoli mentre credono di poter controllare la situazione.”
Il gruppo di Divash era a un centinaio di passi dalle mura quando da queste partirono le sfere infuocate. Bryce ne contò tre in successione.
Due caddero lontane dalle prime formazioni, ma la terza ne colpì una in seconda fila. Da quella distanza udì solo il rombo dell’esplosione ma tra le fiamme alte intravide i soldati che cercavano protezione dietro agli scuri e quelli che invece erano stati centrati in pieno e adesso ardevano al suolo.
“È iniziata davvero” disse Elvana.
“Sì” rispose Bryce con la gola secca.
Le formazioni comandate da Divash accelerarono il passo portandosi a ridosso delle mura. Dall’alto piovvero pietre e frecce che colpirono gli scudi e rimbalzarono lontano.
Per la maggior parte.
Ogni tanto uno di quei proiettili trovava un passaggio o sfondava il metallo e il soldato che si era protetto sotto di esso cadeva a terra, tramortito o morto, da quella distanza non avrebbe potuto dirlo.
“Guarda” disse Elvana indicando la parte destra dello schieramento.
Le formazioni di Jakos e Fratuss avevano continuato ad avanzare fino a un centinaio di passi dalle mura, prima che qualcosa le scuotesse e iniziassero a correre.
Sulle loro teste piovvero massi e dardi che seminarono lo scompiglio nelle prime file. Quelli indietro superarono o calpestarono quelli che erano caduti e proseguirono.
A sinistra, i soldati di Divash avevano appoggiato le scale elle mura e stavano tentando la salita. Dall’alto giunse un rombo sommesso prima che una sfera infuocata si abbattesse su una delle scale, scagliandola via insieme ai soldati e una porzione di mura.
“Se continuano così distruggeranno le loro stesse difese” disse Elvana.
Bryce si limitò ad annuire, l’attenzione rivolta alle formazioni di Coralena che stavano avanzando verso l’ingresso della città.
Tra poco toccherà a me, si disse.
Coralena portò le formazioni a cento passi di distanza prima di dare l’ordine di attaccare. Le prime file partirono di corsa mentre quelle più indietro attesero qualche istante prima di mettersi in moto.
Dal punto in cui si trovava, Bryce li vide riversarsi contro l’ingresso come onde che si scagliavano contro la scogliera.
Dalle torri piovvero frecce che colpirono quelli che non avevano lo scudo o non avevano fatto in tempo a sollevarlo. Un soldato venne trafitto da una freccia all’occhio destro e cadde all’istante.
Ne vide un paio trascinarsi sul campo di battaglia, le gambe e l’addome pieni di frecce mentre altri giacevano al suolo senza apparenti ferite.
Sulla destra Fratuss aveva iniziato la scalata delle mura assieme ai suoi soldati mentre Jakos aveva portato le sue formazioni più in profondità.
“Cerca di attirare lontano i difensori” disse Elvana. “Per consentire a Fratuss di entrare.”
Bryce annuì. “Tra poco toccherà a noi” annunciò.
“Hai paura?” le chiese Elvana.
“No” rispose brusca. “Sono nata per questo.”
La strega di Ningothris annuì con vigore. “Sapevo che avresti risposto con queste esatte parole.”
Una delle formazioni di Coralena era avanzata sotto i colpi dei difensori fino alla grata che chiudeva l’ingresso e ora un centinaio di soldati si affollavano davanti all’ingresso.
Li vide ondeggiare mentre caricavano spingendosi in avanti. Poteva solo immaginare quello che stavano provano i soldati nelle file avanzate, schiacciate tra i proprio compagni che premevano da dietro e la grata.
Il piano era quello di sollevare la grata quel tanto che bastava da permettere ai soldati di passarci sotto. Da lì in poi avrebbero dovuto combattere corpo a corpo con i difensori.
La grata venne sollevata di un poco e vide agitarsi l’intera formazione mentre qualcuno si infilava di sotto. Dall’altra parte della grata, soldati con lo scudo dipinto di grigio usavano le lance per infilzare quelli che cercavano di entrare. I cadaveri si stavano accumulando fino a formare un muro di carne umana che proteggeva quelli che dall’esterno provavano a sollevare la grata.
I soldati si passarono tra loro dei tronchi di legno fino alla grata e quando questa venne alzata fino all’altezza di un uomo, qualcuno li passò sotto di essa.
Quando la lasciarono andare, la grata rimase incastrata sui tronchi senza potersi chiudere del tutto.
Quello sembrò un segnale.
Le formazioni rimaste in disparte si lanciarono verso l’ingresso sciamando oltre di esso attraverso la breccia aperta.
“Stanno entrando” disse Elvana.
“Tocca a noi.”
Si concesse un’ultima occhiata alle spalle, ma non alla sua formazione. Con lo sguardo cercò Vyncent e lo trovò che parlava con uno dei suoi luogotenenti.
Avrebbe preferito che stesse guardando lei, ma le bastava avergli rivolto un’ultima occhiata prima di avanzare.
“Andiamo” disse.
Dietro di lei le formazioni avanzarono con passo costante.
Bryce ne vide sfilare tre prima di accodarsi all’ultima.
“Dove vai?” le chiese Elvana. “Non dovresti rimanere nelle retrovie?”
“Il mio posto è lì in mezzo” disse con tono deciso.
La strega scrollò le spalle. “Così sarà più difficile proteggerti.”
“Allora torna indietro” le disse per provocarla.
Elvana sogghignò. “Ormai dovresti conoscere la risposta, Bryce di Valonde.”
“Allora tu non costringermi più a fare la domanda” ribatté divertita.
“Quindi è così che andiamo a morire?”
“Ti spettavi qualcosa di diverso?”
“No” rispose Elvana. “E nemmeno lo desideravo. Andiamoci a guadagnare la nostra morte gloriosa.”
Stavolta Bryce fu d’accordo con lei.

 

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